Da Mantegna a Raffaello

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  • Verso la manieramoderna: da Mantegna a Raffaello

    di Giovanni Romano

    Storia dellarte Einaudi 1

  • Edizione di riferimento:in Storia dellarte italiana, II. Dal Medioevo al Nove-cento, 6. Dal Cinquecento allOttocento, tomo I. Cin-quecento e Seicento, a cura di Federico Zeri, Einau-di, Torino 1981

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  • Indice

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    1. Lo Studiolo di Isabella dEste: Mantegna, Bellini, Perugino 4

    2. Lo Studiolo di Isabella dEste: problemi di iconografia 11

  • 1. Lo Studiolo di Isabella dEste: Mantegna, Bellini,Perugino.

    La grande quantit di nuove informazioni accumulateintorno allo studiolo di Isabella da Egon Verheyen, SilvieBguin, Phyllis Williams Lehmann e Clifford M. Brownconsentono oggi di affrontare senza troppe esitazioni que-sta iniziativa emblematica della cultura cortigiana tra lafine del Quattrocento e i primissimi anni del secolo suc-cessivo1. Manca ancora un repertorio esaustivo della ster-minata corrispondenza in proposito, ma anche solo a riper-correre il materiale reso noto dagli interventi pionieristicidi Alessandro Luzio e Rodolfo Renier si riesce a leggerebene il costante e testardo sforzo di aggiornamento cultu-rale cui Isabella dEste si sottopose per adeguare i temi ico-nografici e le presenze pittoriche al fronte davanguardiaautorizzato dalllite letteraria del momento.

    Come parte in causa e protagonista riconosciuta diquellavanguardia il suo coinvolgimento sar totale, nonmeno della sua adesione ai princip e allo stile cortigia-no, cos da lasciarsi sfuggire che quella diffusa fioriturainizia presto a cedere il campo; si trover infine emar-ginata rispetto alla nuova ondata delle mode intellettuali(e alla nuova unificazione ideologica) e vedr il suo astrotramontare tra le pi velenose polemiche e gli oroscopiinfamanti dellAretino.

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  • Di uno studiolo in castello per la giovanissima sposadi Francesco Gonzaga si ha notizia dal novembre 1491,a poco pi di un anno e mezzo dal matrimonio, ma ladecorazione iniziale sembra ridursi alle imprese di casaGonzaga eseguite dal pittore Luca Liombeni2. Pochimesi pi tardi, il 4 marzo 1492, Giacomo Calandra assi-cura Isabella che il Mantegna contribuir alla decora-zione dello studiolo e finalmente, nel luglio 1497, ilprimo dipinto sar fissato alle pareti (si tratta con tuttaprobabilit del cosiddetto Parnaso). A questa data Isa-bella sembra aver gi preso contatto con altri pittori percompletare limpresa, esattamente con Giovanni Belli-ni (lettera di Alberto da Bologna del 26 novembre 1496)e con il Perugino (lettera a Lorenzo da Pavia del 3 apri-le 1497). Non possono essere scelte casuali, per quantoIsabella sia poco pi che ventenne; la sua pronta intel-ligenza e la sua ampiezza di informazioni, che gli archi-vi documentano giorno per giorno, non consentono mar-gini allimprovvisazione; tocca alla ricerca storica rico-struire per successive deduzioni i motivi di quellorien-tamento, di quellaccorta strategia di committenza.

    Con la famiglia dei Bellini i Gonzaga sono in contattoalmeno dal 1493 e, per quanto a quegli anni non lo sifaccia notare troppo, Gentile, Giovanni e Niccol Bel-lini restano pur sempre i cognati del Mantegna3. natu-rale che Isabella fosse ben informata sulle opere pub-bliche di Giovanni Bellini a Venezia dalla famiglia Cor-naro e dai suoi corrispondenti veneziani, cos da rico-noscere il suo successo ufficiale alla ripresa dei lavorinella Sala del Maggior Consiglio e nella Scuola Grandedi San Marco (1492); con assoluta certezza aveva poiavuto notizia anche delle opere private, assai pi adat-te al suo gusto collezionistico. Scrivendo allamica Ceci-lia Gallerani a Milano, in data 26 aprile 1498, Isabellamostra di avere avuto in visione certi belli retracti deman de Zoanne Bellino che vorrebbe confrontare con

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  • un esemplare di Leonardo da Vinci ritrattista: difficiledire se per confermare a se stessa una radicata prefe-renza, o se per il sospetto che fosse sorto allorizzonteun nuovo astro della ritrattistica sul quale assumere tem-pestive informazioni; per parlar chiaro la Galleranirisponder che, quanto alla bravura di Leonardo, nonse truova un paro4. Ma non bastavano a Isabella tantoconclamate qualit figurative, se non autorizzate da unelogio letterario, e nel caso del Bellini il problema si fadifficile. Non si pu infatti utilizzare il sonetto O ima-gine mia celeste e pura di Pietro Bembo, perch dei pri-missimi anni del Cinquecento, ma forse erano giunte alleorecchie della marchesa le composizioni poetiche in elo-gio del pittore che Niccol Liburnio riunir ad altrecose sue, nel 1502, sotto il titolo seducente di Opere gen-tili et amorose5. Il sospetto si basa sul fatto che il Libur-nio dedicher proprio a Isabella la sua seconda raccoltaletteraria (le Selvette del 1513, ricordate nellinventariodei libri della marchesa).

    Sul Mantegna non occorre sostare, dopo le pagine diapertura sul dono di una casa da parte di FrancescoGonzaga e sulla Cronaca di Giovanni Santi, mentre opportuno riflettere sulla scelta del Perugino; anche inquesto caso il repertorio della Cronaca urbinate ci puessere di aiuto, come fu di verosimile guida a Isabella6.Dei due coetanei, Leonardo e Perugino, solo questosecondo un divin pictore, a conferma di una gerar-chia che vale per il grande pubblico almeno fino ai car-toni per la SantAnna e per la Battaglia di Anghiari. Glialtri fiorentini del momento (Ghirlandaio, FilippinoLippi e Botticelli) corrono via senza riconoscimenti par-ticolari, salvo la giovane et del Lippi junior, e solo conLuca Signorelli ritornano attributi qualificanti (Luca deingegno et spirto pellegrino), non credo solo per le esi-genze di una versificazione un poco chiacchierina. Sullamemoria del Santi forse agiva ancora la prestigiosa com-

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  • missione al Signorelli di un affresco nella Cappella Sisti-na, ma leffetto doveva essere minore sulla mente insof-ferente di Isabella dEste. Che del resto la voce corren-te favorisse il Perugino e non il Cortonese si constata almomento in cui il Signorelli verr chiamato per la suaimpresa pi impegnativa; voglio dire gli affreschi nelDuomo di Orvieto (cappella di san Brizio) che, come noto, erano stati prima offerti al Perugino, dichiaratosiper indisponibile. Anche da Venezia, per quanto sedenon molto ospitale per i pittori di altre regioni, veniva-no ottime commendatizie sul maestro umbro. I docu-menti raccolti dal Canuti e riesaminati dal Ballarin loconfermano presente in citt nellestate del 1494 e nel-lautunno del 1495, per una impresa di grande impor-tanza, in quella stessa Sala del Maggior Consiglio, aPalazzo Ducale, cui gi si accennato per Bellini7. Noncredo esista segno di stima pi invidiabile per un pitto-re quattrocentesco, cresciuto in una Italia ancora com-pattamente gravitante intorno alle piccole corti, alle suecitt commerciali, ai grandi santuari religiosi e alle uni-versit. il segno vistoso che anche la cultura figurati-va, fuori delle strette corporative, si adegua alla circo-lazione di novit, di mode, di motivi formali, di costu-mi intellettuali imposta dai letterati cortigiani in conti-nuo e turbinoso avvicendarsi intorno alle corti, e maga-ri anche attorno ai pi promettenti empori editoriali. Ilprimato di Perugino va letto per questo verso tanto neisuoi estremi settentrionali (Pavia, Cremona, Bologna,ovviamente Venezia) quanto in quelli meridionali (natu-ralmente la pala commessa da Oliviero Carafa per ilDuomo di Napoli, ormai sulla met del primo decenniodel Cinquecento) e abbiamo la fortuna di poterne segui-re laffermazione quasi in presa diretta, attraverso lefonti contemporanee.

    Forse il documento pi curioso la serie di distici cheil notaio Pier Domenico Stati scrisse a commento del

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  • contratto per laltar maggiore della chiesa di Santa MariaNova a Fano (21 aprile 1488), quasi un esaltante peana,affine a certe iscrizioni medievali dedicate a grandiarchitetti o scultori: Pictor in Italia tota qui primushaberis / Petreque qui primus pictor in orbe manes / [...]Optimus et primus pictor iam Petrus in orbe...8. Menocuriosa, in quanto meno assoluta, ma certo pi signifi-cativa nella sua relativit la nota informazione a Ludo-vico il Moro circa i migliori pittori contattabili a Firen-ze per certe opere da eseguire alla Certosa di Pavia:

    Sandro de Botticello pictore excellen.mo in tavola et inmuro: le cose sue hano aria virile et sono cum optima ragio-ne et integra proportione. Philippino di frati Philippo opti-mo: discipulo del sopra dicto et figliolo del pi singuralemaestro di tempi suoi; le sue cose hanno aria pi dolce, noncredo habiano tanta arte. El perusino maestro singulare, etmaxime in muro; le sue cose hano aria angelica, et moltodolce. Domenico de Grilandaio bono maestro in tavola etpi in muro; le cose sue hano bona aria et homo expedi-tivo, et che conduce assai lavoro. Tutti questi predicti mae-stri hanno facto prova di loro ne la capella di papa Syxtoexcepto che Philippino. Ma tutti poi allOspedaletto delM.co Laur.o et la palma quasi ambigua9.

    In verit la palma era contesa al Perugino dal soloFilippino Lippi, e furono infatti impegnati ambedue perla Certosa pavese. Fuori di Firenze per il confronto eratutto a favore del Perugino, nonostante le teste di pontedi Filippino a Genova e a Bologna; lo ricaviamo daglielogi del Maturanzio per la pala di San Pietro a Perugia(1495-99) e da una lettera di Agostino Chigi al padrecirca una pala per SantAgostino a Siena (7 novembre1500)10 Isabella poteva pertanto sentirsi in piena ragio-ne nellinsistere con Bellini e con Perugino, quanto mairenitenti, per avere un loro dipinto nello studiolo: erano,

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  • col Mantegna, i pittori universalmente riconosciuti alvertice della graduatoria figurativa quattrocentesca.Dopo la fortuna sopraregionale di Giotto, lo studiolo misembra il primo caso di un discorso figurativo a raggionazionale, in una Italia ancora frammentata politica-mente, e soddisfatta di esserlo. Non altrettanto ci sipoteva compiacere per le disparit linguistiche e ne fer-veva gi un vivissimo dibattito tra i letterati a proposi-to di un coordinamento unitario, almeno sul fronte dellalingua usata nelle corti (quel dibattito stava aprendo lavia anche agli artisti).

    Dal nostro punto di vista sorprende limpopolarit diLeonardo, su cui gravavano una certa marginalit cultu-rale della corte milanese, soprattutto dopo la morte diBeatrice dEste, limpegno non letterario ma tecnico-scientifico del maestro, e la rarit di opere circolantisotto il suo nome11. Persino lUltima Cena alle Grazie diMilano stenta ad emergere tra i contemporanei comeprimo capolavoro della maniera moderna, in anticipoindubbio su Michelangelo e su Raffaello, mentre i pochiritratti venivano per lo pi gelosamente riservati. Pucos capitare che nello Speculum lapidum di CamilloLunardi, uscito a Venezia nel 1502 con dedica a CesareBorgia, Leonardo non sia ricordato tra i maggiori pitto-ri del momento, proprio lui che stava per contattare ilBorgia e mettersi al suo servizio (ma come architetto mili-tare). Sono invece privilegiati i pittori scelti da Isabella,con una certa propensione ancora per Mantegna:

    Penicillo quoque qui praestantior Ioanne Bellino Vene-to ac Petro Perusino qui adeo hominum imagines, animal-lum quoque ac rerum omnium pingunt, ut solo spiritu care-re videantur? Inter antiquos celeberrimus fuit Zeusis [...].Fuere et Protogenes et Apelles [...]. Non minori et admi-ratione Italia nostra virum celeberrimum habet, qui ob eiusexcellentiam inaurati militis ordine annumeratus est,

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  • Andream Patavinum cognominatum Mantegnam qui omnesregulas ac pingendi rationes posteris aperuit, et non solumpenicillo omnes excedit, verum etiam arrepto calamo seucarbone extinto in ictu oculi hominum aetatum ac diverso-rum animallum veras imagines ac effigies diversarumquenationum habitus, mores ac gesta figurat, ut quasi se move-re videantur. Hunc non solum modernis, sed antiquis prae-ferendum esse censeo12.

    Nello stesso 1502 Isabella dEste riprende i contatticol Perugino tramite Francesco Malatesta e rinuncia alquadro del Bellini su cui aveva per lungo tempo conta-to; si direbbe che i due fatti siano interdipendenti per-ch tanto la lettera a Francesco Malatesta quanto quel-la a Michele Vianello per Bellini sono datate 15 set-tembre. Da non molti giorni era stato collocato nello stu-diolo il secondo dipinto del Mantegna (credo la Miner-va che caccia i Vizi), a giudicare dal fatto che solo il 31luglio era arrivata da Venezia la vernice necessaria. Man-tegna lavorer ancora a un terzo dipinto (o almeno al suomodello) con il regno di Como, ma Isabella teme di nonpoter pi contare molto su questo diligente settantenne,che pur ha prodotto con la Minerva uno dei suoi pi alticapolavori. Basterebbe il bellissimo volto spirante delcentauro, circondato da una peluria di alghe chiare, o ilgruppo degli amorini in volo, di una misura involonta-riamente raffaellesca, o le montagne frananti, le nuvoleantropomorfe, la vegetazione malata dellacquitrino aconvincerci che Mantegna poeticamente ancora ingrado di reggere i confronti pi esigenti. Gi si vistoleccellente risultato del fregio Corner e non meno raf-finata e sensibile mi pare la mano che con feroce dili-genza ha strizzato la sciarpa a frange che cinge il SanSebastiano della Ca dOro13. Il dipinto non ha mai avutogrande fortuna, ma andrebbe tenuto conto del fatto chela finitura del volto non autografa. Il fitto macerarsi

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  • dei panni in pieghe taglienti e come fissate dal gelo sem-bra il corrispettivo metaforico del Mantegna alla mace-razione sentimentale del Perugino. Una lucida rispostatutta dentro il problema dello stile, che per ormai pochisi impegnavano ad accogliere e gradire; il dissidio si erafatto radicale e si avviava a minacciare lo stesso conte-nuto morale e allegorico dello studiolo.

    2. Lo Studiolo di Isabella dEste: problemi di iconografia.

    [A] La poetica nostra inventione, la quale grandementedesidero da voi esser dipinta, una batagla di Castit con-tro di Lascivia, cio Pallade e Diana combattere virilmen-te contro Venere e Amore. E Pallade vol parere quasi deavere come vinto Amore, havendoli spezato lo strale doroet larco dargento posto sotto li piedi, tenendolo con lunamano per il velo che il cieco porta inanti li ochi, con laltraalzando lasta, stia posta in modo di ferirlo. Et Diana alcontrasto de Venere devene mostrarsi eguale nella vittoria;et che solamente in la parte extrinsecha del corpo come nela mitra e la girlanda, overo in qualche velettino che abbiintorno, sia da lei saettata Venere; et Diana dalla face diVenere li habbia brusata la veste et in nulla altra parte sianfra loro percosse. Dopo queste quatro deit, le castissimeseguace nimfe di Pallade e Diana habbino con varii modi eatti, come a voi pi piacer, a combattere asperamente conuna turba lascivia di fauni, satiri et mille varii amori. Etquesti amori a rispetto di quel primo debbono essere pipicholi con archi non dargento, n cum strali doro, ma pidi vil materia come di legno o ferro o daltra cosa che viparr.

    [B] Et per pi expressione et ornamento della pitturadallato di Pallade li vuol esser la oliva arbore dedicata allei,dove lo scudo li sia riposto col capo di Medusa, facendoliposare fra quelli rami la civetta, per essere ucciello proprio

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  • di Pallade; dallato di Venere si debbe farli el mirto, arbo-re gratissima allei.

    [C] Ma per maggior vaghezza li vorebbe uno acomoda-to lontano, cio uno fiume overo mare dove si vedesseropassare in sochorso dAmore, fauni, satiri et altri amori, echi di loro notando passare el fiume e chi volando, e chisopra bianchi cigni cavalcando, se ne venissero a tanta amo-rosa impresa. E sopra el lito del detto fiume o mare Jovecon altri iddei, come nemico di castit, trasmutato in tauroportasse via la bella Europa, e Mercurio, qual aquila soprapreda girando, volasse intorno ad una nympha di Palladachiamata Glaucera, la qual nel braccio tiene un cistello ovesono li sacri della detta iddea; e Polifemo ciclope con unsolo occhio coresse diretro a Galatea, et Phebo a Daphnegi conversa in lauro, ci Pluton, rapita Proserpina, la por-tasse allo infernale suo regno, et Neptuno pigliasse unanimpha e conversa quasi tutta in cornice...

    [D] Ma parendo forse a voi che queste figure fusserotroppe per uno quadro, a voi stia di diminuire quanto viparer, purch poi non li sia rimosso el fondamento prin-cipale, che quelle quatro prime, Pallade, Diana, Venere,et Amore. Non accadendo incomodo mi chiamer satisfat-ta sempre; a sminuirli sia in libert vostra, ma non agiu-gnierli cosa alcuna altra.

    Cos recita listruzione di Isabella dEste acclusa alcontratto col Perugino del 19 gennaio 1503 per un dipin-to che le verr consegnato solo nel 1505; allistruzioneera unito anche un disegno con tutti i particolari che,sfortunatamente, non stato ancora reperito14. Per mag-giore chiarezza il testo qui riprodotto con un piccolorestauro sui capoversi, per distinguere quanto appartie-ne alla poetica [...] invenzione nel suo fondamentoprincipale [A e C], da quanto va inteso solo come ausi-lio per pi expressione et ornamento [B], e da quan-to rientra nel campo facoltativo della vaghezza [C e

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  • D]. Su questa lezione di iconografia umanistica dobbia-mo basarci per intendere anche gli altri dipinti dello stu-diolo, misurandone laderenza o meno al suo sempliceschema. Ovviamente i conti tornano benissimo con laBattaglia di Castit contro Lascivia (che Perugino ha disin-voltamente ricalcato sulla Battaglia di ignudi del Pollaio-lo) e tornano altrettanto bene con il cosiddetto Regnodella Poesia (o della Musica) del Costa che, commesso sulfinire del 1504, verr consegnato due anni dopo: perambedue i dipinti il suggerimento iconografico si devea Paride da Ceresara. I conti non tornano affatto con idue dipinti del Mantegna, dove invenzione, expres-sione (cio attributi per individuare meglio il sogget-to) e vaghezza sono intrecciati in modo indissolubi-le, e dove non esiste un secondo piano popolabile a pia-cere. In una situazione intermedia si colloca il secondodipinto del Costa, dedicato al dio Como, da datarsi sul1511, solo con qualche margine di incertezza. Basti perora dire che sul tema del dio Como si era gi esercitatolo stesso Mantegna, preparando un terzo dipinto per lostudiolo poi non eseguito, e che con tutta verosimi-glianza il Costa si ispir a quel disegno per il primo pianodel dipinto, riservandosi invece il fitto paesaggio sullasinistra e larrivo di Arione dal mare, con altri come luicavalcanti sulle onde15.

    Non abbiamo notizie su chi sugger al Mantegna itemi iconografici dei suoi contributi allo studiolo (Comocompreso) ed molto probabile che, su una poetica [...]invenzione di Isabella dEste riguardante il significatodinsieme della decorazione, Mantegna abbia fatto da s.Non mi pare sia possibile leggere diversamente la sua let-tera del 13 maggio 1506 a Isabella stessa: Ho quaxi for-nito de designare la instoria de Como de Vostra Ex.quale andar seguitando quando la fantasia me adiu-ter. A supporto vengono le perplessit, vere o falseche fossero, del Bellini circa il porre un suo dipinto a

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  • fianco di quelli del cognato. Se Bellini poteva essere unpoco in malafede non lo era Lorenzo da Pavia, praticodel mondo degli artisti, e non solo veneziani ( amicoanche del Perugino e di Leonardo). Le sue lettere sonounivoche sulla eccellenza del Mantegna in fatto di inven-zioni: ben vero che de invencione non se po andareapreso a m. Andrea ecelentisimo... (6 luglio 1504);de invencione nesuno non po arivare a m. AndreaMantegna che invero l ecelentisimo e el primo, maGiovane Belino in colorire ecelente... (16 luglio 1504);io per me non spero maie vedere el pi belo desegna-tore e inventore... appena ricevuta la notizia dellamorte del Mantegna; di rimando Isabella si lascia anda-re a un commento senza troppa commozione, e forse unpoco denigratorio, ormai cosciente che la testimonian-za figurativa e culturale del Mantegna apparteneva a unmondo tramontato: ... siamo certe che de la morte dem. Andrea Mantegna habiati preso dispiacere per essermancato alli pari vostri un buon lume (ambedue le let-tere sono del 16 ottobre 1506)16.

    Proviamo a verificare anche il problema dellinven-zione alla luce delle fonti contemporanee, ad esempiosul De sculptura di Pomponio Gaurico. Tra le moltebanalit raccolte nellambiente padovano dal suo petu-lante autore ventenne, vi leggiamo che la competenzaletteraria assolutamente dobbligo per un artista, eche lo scultore deve essere

    antiquarium quoque, qui sciat, cur verbigratia Mars apudRomanos duplex, Gradivus et Quirinus, alter in Campo olimextra, alter in foro intra urbem colebatur, cur et Venus apudLacedemonios armata, apud Archadas nigra, apud Cypriosbarbata virili sceptro, muliebrique ornatu, ecc. ecc.17.

    Giusto la competenza che Mantegna si era guada-gnata frequentando gli amici antiquarii, magari leg-

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  • gendo il Polifilo dellantiquario Francesco Colonna,rilevando epigrafi e raccogliendo taccuini di disegni,collezionando oggetti antichi da rianimare nel corsodella sua attivit di pittore non meno antiquario deisuoi compagni di gita sul lago di Garda: nella testa dellaVenere cacciata dal giardino delle Virt facile ricono-scere i tratti della sua cara Faustina de marmo anticha(lettera a Isabella del 13 gennaio 1506)18.

    Per chi ancora non si fosse convinto si pu condurreuna verifica su una famosa incisione doppia uscita dallabottega del Mantegna e preparata da un suo splendidodisegno al British Museum, intendo lAllegoria dellaVirt (Hind, V 22) di cui una serie di precise ricercheha potuto ricomporre lalbero genealogico: a partire daalcuni versi del raro Pacuvio, per la figura dellIgnoran-za cieca e deforme seduta su un globo, fino alla TabulaCebetis, un dialogo di origine greca amatissimo dalnostro Rinascimento, per le figure restanti (una verifi-ca incrociata viene da un noto quadro di Leombruno,nella Pinacoteca di Brera, che intreccia la Tabula con Lacalunnia di Apelle)19. Non per ancora stato collegatoallincisione un manoscritto della Nazionale di Roma checontiene la Cebetis Tabulae interpretatio desultoria di Gio-vanni Battista Pio con dedica a Isabella dEste, da giu-dicare un probabile lavoro mantovano, prima del pas-saggio del Pio alla corte di Ludovico il Moro (1497) epoi a quella dei Bentivoglio bolognesi (1500). Lattiviteditoriale milanese del Pio nota (prima Varrone,Nonio, Festo, Apicio, Fulgenzio, Sidonio insieme, poiPlauto), e cos caratteristica, nella rarit delle scelte inzone marginali o arcaiche della classicit, da farci capi-re che cosa intendesse Ercole Strozzi quando, nel 1496,lo present ad Isabella dEste come possibile precetto-re: La imparer pi vocabuli exquisiti in uno mese daepso che la non far in tri da un altro. Incontreremoancora questo personaggio a Roma, al tramonto della sua

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  • carriera; ora, tra Ferrara, Mantova e Milano, la sua filo-logia innamorata di testi rari, di zone recondite del lati-no, di vocabuli exquisiti serve a gettar luce sui temiexquisiti del Mantegna20.

    La ricerca sulle fonti letterarie per le opere del mae-stro mantovano purtroppo ancora agli inizi, ma spe-riamo che presto qualcuno sciolga almeno il nodo chelega le incisioni con la Battaglia degli dei marini, il passodella Naturalis historia di Plinio su unopera di Scopa contritoni e nereidi e la decorazione della spectatissimaporta del tempio esplorato da Polifilo in sogno:

    piena concinnamente di aquatici monstriculi nellacquasimulata et negli moderati plemmyruli semihomini; et foe-mine, cum spirate code pisciculatie, sopra quelli appresso ildorso acconciamente sedeano, alcune di esse nude,amplexabonde gli monstri cum mutuo innexo; tali tibici-narii, altri cum phantastici instrumenti, alcuni tracti, nelleextranee bige sedenti, dalli perpeti delphini, dil frigidofiore di nenufaro incoronati, tali vestitose di le propriefoliacie; alcuni cum multiplici vasi di fructi copiosi et cumstipate copie; altri cum fasciculi di achori et di fiori dibarba silvana mutuamente si percotevano; tali erano cintidi trivuli; laltra parte sopra gli hippopotami aequitanti luc-tavano, et altre diverse belve et invise cum protectionechilonea; et qui dava opera ad la lascivia, et qui a iochi variiet feste21.

    Gli studi recenti sullo studiolo hanno sostato conparticolare compiacimento sulle intricate iconografiemantegnesche leggendo in trasparenza la sorprendentemiscela tanto di testi medievali (Mitologiae di Fulgenzio,Psychomachia di Prudenzio, Genealogia Deorum del Boc-caccio, Trionfi del Petrarca) come di testi classici, cono-sciuti non sempre direttamente: dai Fasti di Ovidio allesterminate Dionisiache di Nonno, alle Immagini di Filo-

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  • strato Lemnio voltate in latino da Demetrio Mosco e initaliano da Mario Equicola (nella dedica a Isabella delcodice di Parigi lEquicola, le giudica degne di la tuaaurea grocta). Poco si pu aggiungere, in specie sul Par-naso, cos minutamente decodificato dalla Williams Leh-mann, salvo modificare langolo di visione e tentare disorprendere il defluire di quelle iconografie anche al difuori dello studiolo, quasi fossero esempi cui adeguareil proprio comportamento quotidiano, non diversamen-te dalle imprese vere e dagli emblemi che costellavanogli appartamenti Este-Gonzaga: i polizzini legati, il cro-giolo, il silenzio, il candeliere, il XXVII, ecc.

    Un accenno al Parnaso pu essere anche generico,poco pi che un luogo comune, ma tale linsistenza sulmotivo da far credere che faccia parte di un elegantegioco per allusioni. Isabella, da poco sposa, ma gi notacome munifica protettrice di letterati, viene definitadal riminese Francesco Roello doctissima, che stataal monte Parnaso et a la fonte Pegasea [...] tucta dedi-ta a le Muse (quasi il fondamento principale del Par-naso ancora di l da venire). Quando invece la splendi-da allegoria del Mantegna ha trovato posto sulle paretidello studiolo ecco Galeotto Del Carretto, da CasaleMonferrato, inviarle dei componimenti poetici pursapendo come habia tutta la achademia di Parnasso inquesta inclita cit di Mantova (15 aprile 1498). Anco-ra pi appropriatamente scrive da Verona BernardoBembo, padre di Pietro, in una lettera a Francesco Gon-zaga del 2 settembre 1502:

    ... per Marco Cantore vostro familiare et nostro veronese[quindi il famosissimo Marchetto Cara] ho ricevuto i verside Venere et figlio. Di quali ne ho avuto a piacere moltoperch sono deliciosi, et ben quadrano al facto. Ma pimhariano piaciuti fusseno stati di Venere e Marte figu-rando la persona vostra vero simulacro desso...

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  • Forse solo un gioco di societ, ma non escluso cheBernardo Bembo alludesse proprio al dipinto del Man-tegna; la conferma mi sembra riconoscibile in alcuniversi di Battista Fiera, certo pi tardi di qualche anno,dove si d per scontato che la Venere del Parnaso sia Isa-bella dEste. Lo sviluppo del tema cortigiano del Par-naso tocc il massimo di ampiezza nellAmoroso peregri-naggio del Calmeta, che noi conosciamo per una letteradel Calmeta stesso a Isabella dEste (5 novembre 1504)e per la dedica delle Collettanee in morte di SerafinoAquilano a Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino ecognata di Isabella (1504):

    ... questo compendiolo di frammenti in miscellanee o col-lettanee ti destino e dedico scrive Giovanni Filoteo Achil-lini acci che quando con la toa Diva Emilia il tuo dilet-to monte Parnaso ascenderai (la cui amenitade il tuo e miofacondo Poeta nel primo libro del suo Peregrinaggio Amo-roso, non ancora in luce pervenuto, leggiadramente descri-ve) ecc.

    Losmosi continua tra le corti italiane, che trattotipico e portante della diffusione culturale di queglianni, consente di usare indirettamente anche questacitazione per il Parnaso mantovano che ancora sembraironicamente brillare, con il suo terso splendore di pri-mavera, sul fondo di una movimentata scena di gelosiaconiugale descritta da Francesco Gonzaga (lettera del 21febbraio 1507): Isabella, sospettando la propria dami-gella Isabetta Tosabezzi di una tresca col marito, letaglia inferocita i capelli e picchiandola urla: va mo,fa la nimpha al Signore!22. Discesi dallOlimpo Marte,Venere, le Muse, le ninfe, Mercurio, Apollo, le divinitminori care ai mitografi si aggirano nelle corti italianecome parte ineliminabile di quella vita e di quella curio-sa disponibilit verso le antichit classiche. Come non

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  • ricordare che, per il Carnevale del 1507, giunsero incorte a Urbino due ambasciatori di Venere e, tramite uninterprete, dal momento che parlavano solo la lingua delloro pianeta, rimproverarono leccessiva freddezza diElisabetta Gonzaga e di Emilia Pia nei confronti delladea che li aveva inviati?

    Le ricerche iconografiche a noi pi vicine, su unatraccia che fu meno esasperata in Panofsky, hanno spes-so dimenticato la convenzionalit, magari anche la futi-lit di questi apparati allusivi, e si ostinano ad appesan-tire certa cultura del Rinascimento italiano con unsovraccarico di zavorra filosofica (occulta o scolastica)che non fu nella mente dei protagonisti di quegli anni,forse neppure in quella del Ficino, almeno non ai livel-li oggi presunti. Per nostra fortuna Errist Gombrich hasaputo condurci per mano a leggere con sensibilit e giu-sta misura le Mitologie botticelliane e sulla traccia di quelsaggio fondamentale opportuno considerare anche lemitologie mantegnesche: un intrico complesso di simbolie di significati, da precisare uno per uno ricollocandolinella realt culturale, anzi proprio nel repertorio di let-ture dellartista e dei suoi consulenti, a volte disperata-mente dispersivo e banalmente compilatorio. Come seci non bastasse i significati possono a volte slittarefuori dai sentieri previsti o adeguarsi a delle esigenze chesono ormai contingenti e non dei mitografi o dei primicreatori dei nomi degli dei, comportando quindi deifenomeni di disturbo nella lettura iconografica, da nonimputare alla nostra ignoranza, bens alla disinvolta ese-gesi di alcuni nostri commentatori umanisti (di quellitardo-quattrocenteschi in particolare)23. Il delirio icono-logico, che riconosce il suo libro dei sogni nel Ripa (esiamo ancora fuori dagli incubi ben pi costrittivi di altrirepertori), malattia di anni pi tardi e di corti soffo-cate da un dirigismo culturale che non fu solo religiosoe politico, ma globalmente psicologico e morale. Fu allo-

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  • ra che nacquero i manuali per non commettere errori digusto, di etichetta, di religione, di comportamento, odaltro, secondo una strategia integralista che gli anni diIsabella dEste non conoscono ancora. Pu sorprende-re, ma non troppo a rifletterci, il fatto che quelle cortidi ultimo manierismo guardassero oltre i modelli tardo-quattrocenteschi oltre una societ ancora piena diavventure personali, e di sventure naturalmente, tal-volta indipendenti persino dal censo e dal sangue, e siriferissero piuttosto allesperienza delle corti tardogoti-che, ignorando le aperture anche sociali dellumanesimo.Di qui qualche motivo della sfortuna storica che toc-cata agli anni di passaggio tra Quattrocento e Cinque-cento; anni di crisi politica vistosa, ma non anni vuotie senza germi di importanti novit future. Se mai meri-ta una riflessione insoddisfatta, almeno per quanto attie-ne alla cultura figurativa, il mancato rinnovamento nelcampo religioso, che anzi subisce liniziativa della cul-tura cortigiana e vi si adegua. Sul finire del secolo nonsi pu dire che la Madonna della Vittoria al Louvre e lapala di Santa Maria in Organo ora a Milano possanostare alla pari dei Trionfi o dello studiolo. La qualit per-sonale del Mantegna fuori discussione, ma importariconoscere che solo le due imprese profane possonoassurgere a forme simboliche della fioritura cortigiana inItalia, non i due dipinti ecclesiastici. Il discorso vale perMantova e per il resto dItalia, dal momento che nem-meno la Firenze di Savonarola seppe proporre qualcheplausibile alternativa; non saprei dire quanto fosse pos-sibile in concreto, e liconoclastia riformata potrebbeapparire una risposta negativa per disperazione, se nonfosse accompagnata da una prepotente esplosione di gra-fica militante, ad altissimo livello.

    Al di l delle favole antiche lo studiolo di Isabella celaun privato itinerario iconologico, per usare un ambiguotermine di moda, che si individua solo mettendo in suc-

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  • cessione i nuclei fondamentali e pi direttamente appa-renti di quelle affollate iconografie. Lunione di Vene-re e Marte, sotto il segno dellAmore celeste (o Anteros),genera larmonia del mondo, il suo ritmo musicale rive-lato dalla danza delle Muse, dalla musica di Apollo, dalcanto, e quindi dalla poesia per musica. Otia si tollasperiere Cupidinis arcus si legge ai piedi della bellicosaMinerva che caccia dal regno della Virt il vizioso cor-teggio della Venere terrena, mentre nel cielo appaionoGiustizia, Forza e Temperanza invocate dalla Virtusdeserta allestrema sinistra: Agite, pellite sedibusnostris | foeda haec viciorum monstra | virtutum coeli-tus ad nos redeuntium | divae comites. Sulla destra lamadre delle Virt, segregata in mura ciclopiche, affidail suo messaggio di salvezza a un esile cartiglio: et mihivirtutum matri succurite divi. Una precisazione sulsignificato di questa concitata estromissione viene ricor-dando che Otia si tollas... tratto dai Remedia amo-ris di Ovidio. Il contratto per il dipinto del Peruginoparla di quoddam opus Lasciviae et Pudicitiae eattraverso la lettera dintenti di Isabella chiaro, anco-ra una volta, che si tratta di una sconfitta dellAmoreterreno. Pi ambiguo il significato del primo dipinto diLorenzo Costa, su cui gli iconografi hanno sostato dimeno e con molte difficolt. Qui il consulente di Isa-bella, Paride da Ceresara, propone in effetti una fabu-la o historia per nulla antiqua se la vera protagoni-sta, al centro, pu vestire alla moda del 1506. Riducen-do schematicamente la lettura si pu pensare che Vene-re e Amore, ovviamente la Venere celeste e Amore-Anteros, premino la vittoria sui Vizi, e in primo luogosullAmore terreno, di una giovane che altri non puessere se non Isabella stessa, in veste di perfetta donnadi palazzo, come avrebbe detto Castiglione. eviden-te che sui confini di questo regno musicale veglianoDiana, dea di conclamata castit, e Cadmo, dio minore,

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  • ma che ebbe il fortunato destino di sposare Armonia(almeno secondo i pettegolezzi delle Dionisiache diNonno). Il secondo dipinto costesco ci ripropone unregno popolato di musici cui presiede Como, dio dellefeste, seduto accanto alla solita Venere celeste, mentrequella terrena, accosciata al suolo, rischia quasi di esse-re calpestata da Apollo. Sullo sfondo Giano e Mercuriosvolgono lo stesso ufficio toccato a Minerva nel giardi-no della Virt. Il filo che lega lintera serie quindi unelogio, in cinque capitoli, dellAmore celeste e delle suevittorie, con premio finale per la sua adepta che accol-ta nel regno di Anteros e coronata come per un trionfoallantica.

    Non necessario cercare molto lontano il materialedi base su cui stato costruito questo approdo figurato,un poco fuori tempo, di un dibattito vivissimo nellIta-lia delle corti intorno al tema amoroso. Fuori tempo per-ch al momento della sua conclusione risulta gi supe-rato dalla prima edizione degli Asolani del Bembo; esem-pio unico comunque, e questo vanto tutto proprio diIsabella dEste e del Mantegna, perch propone per unavia non mai praticata con tanto rigore il paragone tra laletteratura e larte, con evidente preferenza per que-stultima. Isabella non scrisse mai professionalmente,resta viva per noi nella sua acuta intelligenza politica,nella sua disponibilit agli amichevoli affetti, nelleimprovvise suscettibilit di autonoma donna di palaz-zo, nella sua inesausta curiosit, persino nelle sue rimo-zioni psicologiche, attraverso le bellissime lettere chesono giunte fino a noi; ma lintima collaborazione colMantegna consente alle sue convinzioni di platonismocortigiano un canale espressivo anche attraverso leimmagini, con piena fiducia nella loro maggior sugge-stione e nel loro pi intenso potere emotivo. I riferi-menti letterari di Isabella sono i trattati pi grevemen-te compilatori sul lamore, dagli Anteroticorum libri di

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  • Pietro Edo o Cavretto (Treviso 1492) allAnteros di Bat-tista Fregoso (Milano 1496), in evidente contiguit cro-nologica e di gusto con gli inizi dello studiolo. Pi tardisi aggiungeranno le conversazioni in corte con JacopoCalandra (il figlio di chi assicur alla marchesa la colla-borazione del Mantegna, nel 1492), di cui le fonti ricor-dano un trattato damore intitolato Aura, per noi per-duto24.

    Concludendo mi sembra certo che al momento dellachiusura dei lavori nello studiolo, con il quadro delregno di Como, Isabella e Costa ritornino alleruditomodello mantegnesco dopo le libert attualizzanti del-lIncoronazione di Isabella (che consegnata nel 1506, aun anno di distanza dalledizione degli Asolani e a pochimesi dalla diretta conoscenza tra Isabella e PietroBembo)25. Per questa scelta tradizionale possiamo sospet-tare una ripresa del vecchio dibattito su Amore-Anteros,stimolata dalla presenza di Mario Equicola che, dal1508, passa al servizio di Isabella dopo una lunga espe-rienza di corti italiane (da Napoli a Ferrara). Subitodopo lEquicola riprende a lavorare al suo vecchio trat-tato, anzi Libro de natura de Amore, che verr pubblicatosolo assai pi tardi (1525), con dedica ad Isabella. Unlibro che si pone vicino agli Asolani quando promette,in apertura, di spiegare quali et quanti siano li affecti,effecti, cause et moti, che per quello [lamore natural-mente] alli animi nostri advengono, e se ne allontanainvece quando indaga qual sia la falsa et qual veravolupt et beatitudine con ragione et auctorit di anti-qui probatissimi... In effetti nel trattato gli antiquiprobatissimi non mancano, anzi tutte le pagine gron-dano di studiate citazioni, senza contare che la primaparte una revisione diligente di tutta la bibliografiaclassica, medievale e contemporanea. Numerose paginesono anche dedicate agli stilnovisti, ai provenzali e aiTrionfi del Petrarca, un repertorio romanzo cui indiret-

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  • tamente avevano fatto richiamo i motti che costellava-no il pavimento dello studiolo (vrai amour ne se chan-ge, bona f non est mutabile), fino al prenez surmoi votre exemple amoureux scritto su una delle tar-sie dei fratelli Mola, ora nella grotta della Scalcheria. gi stato notato che quella frase appartiene a una can-zone di Giovanni Ockeghem pubblicata dal Petrucci aVenezia nel febbraio 1504, ma vale la pena di ricorda-re che continuando i versi sembrano fare eco al morali-smo dello studiolo:

    Commencement damours est savoureuxEt le moyen plain de peine et tristesseEt la fin est davoir plaisant maistresse Mais au saillir sont les pas dangereux26.

    Una lezione che per Isabella, come per lEquicola, siesplicava in

    fictioni poetice [...] ch, como nella theologica sacra spe-culatione enigmi, figure, parabole, proverbii et similitudi-ni vedemo, cos ad inescare et excitare la imperita multi-tudine et occultamente tirare il vulgo alla cognitione delvero li antiqui cognobero essere necessaria una nova gene-ratione di delectare cio fabule, le quali alti e reconditisensi comprendono27.

    Una disciplina che si plasmava sulle fabule degliantichi, che ad esse sacrificava ogni passione, tanto cheforse allude a Isabella il gi ricordato interprete degliambasciatori di Venere giunti ad Urbino per omaggiareElisabetta Gonzaga Montefeltro:

    ... ma laccoglienza, il senno e la virtute potrebbon dare al mondo ogni salute.Se non fosse il penser crudele et empio,

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  • che varma incontro Amor di ghiaccio il petto,e fa daltrui s doloroso scempioe priva del maggior vostro diletto voi con laltre, a cui nce il vostro exempio;

    Tra le altre, non proclivi a una pi accogliente dispo-nibilit amorosa, andava infatti annoverata anche Isa-bella dEste e ne avranno sorriso sotto la maschera imisteriosi messaggeri celesti: Pietro Bembo, autore degliAsolani, e Ottaviano Fregoso, destinato ad un altissimoelogio da parte del Castiglione nella dedica al Da Sylvadel Cortegiano28.

    1 e. verreven, The Paintings in the Studiolo of Isabella dEste at Man-tua, New York 1971; Le Studiolo dIsabelle dEste, catalogo della mostraa cura di S. Bguin, Paris 1975 (altri interventi sullo studiolo, connessicon questa mostra, in Laboratoire de recherche des Muses de Fran-ce. Annales, 1975 e in La Revue du Louvre, luglio-agosto 1975);p. williams lehmann, The Sources and Meaning of Mantegnas Parnas-sus, in p. williams lehmann e k. lehmann, Samothracian Reflections,Princeton 1973, pp. 57-178 (ma il saggio risale al 1968); c. m. brown,The Grotta of Isabella dEste, in Gazette des Beaux-Arts, maggio-giu-gno 1977, pp. 155-71; febbraio 1978, pp. 72-82 (lo scritto stato rea-lizzato in collaborazione con A. M. Lorenzoni); id., Lo insaciabile desi-derio nostro di cose antique: new documents on Isabella dEstes Collec-tion of Antiquities, in Cultural Aspects of the Italian Renaissance. Essaysin Honour of Paul Oskar Kristeller, a cura di C. H. Clough, New York1976, pp. 324-53.

    2 Per questi momenti iniziali sono ancora importanti le indicazioniraccolte in g. gerola, Trasmigrazioni e vicende dei Camerini di IsabelladEste, in Atti e memorie della Reale Accademia virgiliana di Man-tova, vol. XXI, 1929, pp. 254-60.

    3 Per lintricato giro di corrispondenza tra i Gonzaga e i Bellini, sitengano presenti: w. braghirolli, Carteggio di Isabella dEste Gonzagaintorno ad un quadro di Giambellino, in Archivio veneto, 1877, parteI, pp. 370-83; v. cian, Pietro Bembo e Isabella dEste Gonzaga. Nuovidocumenti, in Giornale storico della letteratura italiana, gennaio-giu-gno 1887, pp. 104-8; a. luzio, Disegni topografici e pitture dei Bellini,in Archivio storico dellarte, 1888, pp. 276-78; j. m. fletcher, Isa-

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  • bella dEste and Giovanni Bellinis Presepio, in The Burlington Maga-zine, dicembre 1971, pp. 703-12: c. m. brown, Giovanni Bellini andArt Collecting, ivi, giugno 1972, pp. 404-5.

    4 a. venturi, Nuovi documenti su Leonardo da Vinci, in Archiviostorico dellarte, 1888, p. 45.

    5 dionisotti, Niciol Liburnio cit., p. 49, nota 4.6 I versi qui utilizzati sono facilmente reperibili in baxandall, Pit-

    tura ed esperienze sociali cit., p. 108.7 ballarin, Una nuova prospettiva cit., p. 237, nota 1.8 f. battistelli, Notizie e documenti sullattivit del Perugino a

    Fano, in Antichit viva, settembre-ottobre 1974, pp. 67-68.9 baxandall, Pittura ed esperienze sociali cit., p. 24.10 p. scarpeliani, Le fonti critiche relative ai pittori umbri del Rina-

    scimento, in LUmanesimo umbro, Atti del IX Convegno di studi umbri(Gubbio, 22-23 settembre 1974), Perugia 1977, pp. 624-25.

    11 Sul sospetto provincialismo milanese si vedano le inequivocabilitestimonianze che ho raccolto in La pala sforzesca, Quaderni di Breran. 4, Firenze 1978, pp. 14-15 e 22, nota 22.

    12 e. carin, Giudizi artistici di Camillo Lunardi, in Rinascimento,giugno 1951, pp. 191-92; non credo che possa identificarsi con Leo-nardo da Vinci il Leonardo milanese, incisore di pietre dure, citato dalLunardi; questa identificazione riproposta in id., Il problema dellefonti nel pensiero di Leonardo, in La cultura filosofica del Rinascimentoitaliano, Firenze 1961, p. 397. Mantegna e Bellini, ma non ancora ilPerugino, sono elogiati da Jacopo Filippo Foresti nelledizione vene-ziana del Supplementum Chronicarum (1503): c. dionisotti, Tiziano ela letteratura, in Tiziano e il manierismo europeo, a cura di R. Pallucchini,Firenze 1978, p. 261.

    13 Il San Sebastiano di Venezia senza dubbio quello lasciato incom-piuto dal Mantegna al momento della morte (13 settembre 1506); pitardi il Michiel lo segnala nella collezione di Pietro Bembo a Padova(j. morelli [m. michiel], Notizia dopere di disegno, a cura di G. Friz-zoni, Bologna 1884, p. 50); il pessimistico commento del cartiglio pres-so la candelina, Nihil nisi divinum stabile est, coetera fumus, Misembra ancora di ispirazione polifilesca, ma certo si adatta bene altempo della peste del 1506 (battisti, Il Mantegna e la letteratura classi-ca cit., pp. 46 e 51). Per puro dovere di completezza si segnala anchelimbarazzante articolo di m. levi dancona, Il Mantegna e la simbolo-gia: il S. Sebastiano del Louvre e quello della Ca dOro, in Commen-tari, gennaio-giugno 1972, pp. 44-52.

    14 verheyen, The Paintings in the Studiolo cit., pp. 26-27.15 Non ovviamente pensabile che Costa mettesse mano al dipin-

    to prima della morte del Mantegna, con tutta evidenza incaricato diquel soggetto; per gli anni successivi laggancio plausibile mi sembra da

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  • riconoscere nella ripresa di contatti col Francia, sul finire del 1510, poiprecipitosamente smentiti (cfr. a. luzio, Federico Gonzaga ostaggio allacorte di Giulio II, in Archivio della R. Societ Romana di storiapatria, 1886, pp. 564-65). I margini di incertezza sono dovuti allanostra limitata conoscenza degli anni mantovani del Costa, per i qualinon di nessun aiuto la confusa monografia di Ranieri Varese. Anchedi recente si ripetuto che sotto il dipinto costesco si troverebbe lab-bozzo del Mantegna, mentre il fatto assolutamente da escludere. Leradiografie esposte alla mostra parigina del 1975 erano ben pi leggi-bili di quanto non lasci intendere lo stesso catalogo: il dipinto statoeseguito con colori molto spenti e senza corpo, con intonazione pre-valente verso il grigio piombo; su questa base il pittore tornatoriprendendo tutta la vegetazione che rivela quindi un maggior spesso-re di materia cromatica rispetto al resto. Tale vistoso squilibrio deveaver suggerito assai per tempo delle riprese, che non sono per este-sissime: i danni maggiori si trovano presso le gambe della Venere cele-ste a sinistra; dietro la schiena della nuda che abbraccia un airone, alcentro; nellangolo in basso a destra.

    16 kristeller, Andrea Mantegna cit., pp. 496, 493, 494, 50017 p. gaurico, De sculptura (1504), a cura di A. Chastel e R. Klein,

    Genve-Paris 1969, p. 55.18 kristeller, Andrea Mantegna cit., p. 496.19 Per lincisione cfr. j. a. levenson, k. oberhuber e j. l. sheenan,

    Early Italian Engravings from the National Gallery of Art, Washington1973, pp. 222-27 (scheda di Leveson e Sheenan); per le fonti lettera-rie cfr. f. j. dwyer, A Note on the Sources of Mantegnas Virtus com-busta, in Marsyas, 1970-71, pp. 58-62. La fortuna editoriale dellaTabula Cebetis in latino inizia sul 1495-96 e a Mantova poteva esserenota ledizione bolognese del 12 maggio 1497 (Benedictus Hectoris)nella traduzione latina di Ludovico Odasi padovano e per le cure diFilippo Beroaldo; tra gli altri scritti di questa raccolta si segnala il dia-logo albertiano tra Mercurio e la Virt (creduto di Luciano) destinatoa ispirare al Dosso il suo famoso dipinto viennese con Giove in atto dicolorare le ali alle farfalle. Non da escludere che alla Virtus combustacome alla tela con Minerva dello studiolo si ricolleghino alcuni com-ponimenti per musica, attribuiti a Isabella dEste, e un sonetto di Nic-col da Correggio (cfr. c. gallico, Poesie musicali di Isabella dEste, inCollectanea Historiae Musicae, vol. III, 1963, pp. 109-15: il codi-ce che ospita i componimenti isabelliani datato 1495; c. dionisotti,Nuove rime di Niccol da Correggio, in Studi di filologia italiana,1959, p. 180). Per il rapporto con il dipinto di Leombruno a Brera cfr.battisti, Il Mantegna e la letteratura classica cit., p. 35.

    20 c. dionisotti, Gli umanisti e il volgare fra Quattro e Cinquecento,Firenze 1968, pp. 80-87.

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  • 21 Unico termine sicuro per la cronologia della Battaglia degli deimarini la copia di mano del Drer datata 1494; che non si tratti inogni caso di unincisione precoce mi sembra confermato dal rapportotra le teste dei duellanti nella met sinistra dellincisione e la testa delcentauro nella Minerva che caccia i Vizi dello studiolo (cfr. levenson-oberhuber-sheenan, Early Italian Engravings cit., pp. 188-93); questocomporta la gi prospettata dipendenza di Francesco Colonna (vene-to) per la citazione riportata in testo (si veda Hypnerotomachia Polyphi-li cit., vol. I, p. 52, vol. II, p. 87). Al sospetto di un rapporto con iltesto di Plinio sono stato indotto da una miniatura di Pietro Guinda-leri (?) nel Plinio gonzaghesco ora alla Biblioteca Nazionale di Torino:cfr. a. bovero, Ferrarese Miniatures at Turin, in The Burlington Maga-zine, agosto 1957, pp. 261-65; u. meroni, Mostra dei codici gonza-gheschi ecc., catalogo, Mantova 1966, pp. 66-67 e 80-81; la miniaturaper (del Cod. I, 22.3, fol. 5r) illustra linizio del libro IX, mentre ilpasso sul rilievo con gli di marini al libro XXXVI 4.

    22 I materiali qui collegati sono reperibili in v. cian, Una baruffa let-teraria alla corte di Mantova (1513). LEquicola e il Tebaldeo, in Gior-nale storico della letteratura italiana, luglio-dicembre 1886, p. 389,nota 1; id., Pietro Bembo cit., p. 90; luzio e renier, La coltura e le rela-zioni letterarie cit., p. 382; a. luzio, Isabella dEste ne primordi del papa-to di Leone X e il suo viaggio a Roma nel 1514-1515, in Archivio sto-rico lombardo, 1906, p. 101; v. calmeta, Prose e lettere edite e ine-dite ecc., a cura di C. Grayson, Bologna 1959, p. xxxiv; battisti, IlMantegna e la letteratura classica cit., pp. 42-43.

    23 e. h. gombrich, Mitologie botticelliane. Uno studio sul simbolismoneoplatonico della cerchia del Botticelli, in id., Immagini simboliche.Studi sullarte del Rinascimento, Torino 1978, pp. 47-116 e 280-302 (masi ricordi che la prima redazione di questo saggio del 1963). Dopolintervento gi segnalato della Williams Lehmann liconografia del Par-naso mantegnesco pu considerarsi decodificata, ma importante risa-lire al dibattito che precedette questa soluzione per intendere i pro-blemi e i rischi di una ricerca iconografica al di fuori di un preciso con-testo storico. Lincidente pi grave fu linterpretazione salace del dipin-to proposta da e. wind, Bellinis Feast of the Gods. A Study in VenetianHumanism, Cambridge (Mass.) 1948, p. 8; era la prova che Wind nonaveva inteso per nulla il progetto dello studiolo, tanto pi che isolavadallinsieme ciascuno dei dipinti e, sul fraintendimento della prima telamantegnesca, si provava a immaginare che anche il Festino degli dei aWashington (dipinto da Bellini per lo Studiolo di Alfonso dEste)potesse essere stato pensato per Isabella. Della giusta polemica che nesegu vale la pena di ricordare almeno lintervento di e. tietze-conrat,Mantegnas Parnassus. A Discussion of a recent interpretation, in The ArtBulletin, giugno 1949, pp. 126-30; pi tardi, nel 1963, intervenne

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  • anche Gombrich con nuove plausibili proposte (ora in Immagini sim-boliche cit., pp. 117-20, 302-3). Concludendo ripeto qui la mia con-vinzione che la biforcazione warburghiana Panofsky-Saxl sia pi gravedi quanto appaia in evidenza e che la linea Panofsky-Wind sia assaimeno garantita di quella Saxl-Gombrich.

    24 La bibliografia sui trattati damore del tardo Quattrocento esulla diffusione di una forma molto disinvolta di neoplatonismo ormai enorme, e non sempre necessaria; riducendosi al minimo si veda-no con maggior chiarezza e. verheyen, Eros et Anteros. LEducationde Cupidon et la prtendue Antiope du Corrge, in Gazette des Beaux-Arts, maggio-giugno 1965, pp. 323-32; c. dionisotti, Appunti suLeone Ebreo, in Italia medioevale e umanistica, 1959, pp. 415-21;m. pozzi, Introduzione al reprint dei Trattati damore del Cinquecento,a cura di G. Zonta, Bari 1975, pp. v-xv.

    25 Sulliconografia della seconda tela del Costa cfr. wind, BellinisFeast of the Gods cit., pp. 46-48; c. m. brown, Comus, dieu des ftes ecc.,in La Revue du Louvre, xix, 1969, pp. 31-38; j. schloder, Les Costadu Studiolo dIsabelle dEste ecc., ivi, luglio-agosto 1975, pp. 230-33.

    26 f. luisi, La musica vocale nel Rinascimento ecc., Torino 1977,p. 18.

    27 Sulle favole didattiche dei poeti antichi insistono anche il Bembo(Asolani I xii) e Leone Ebreo (si veda lampia citazione riportata in a.gentili, Da Tiziano a Tiziano ecc., Milano 1980, p. 20). SullEquicolae il suo tardivo trattato sono intervenuti di recente: d. de roberti, Lacomposizione del De natura de amore e i canzonieri antichi maneggiatida Mario Equicola, in Studi di filologia italiana, 1959, pp. 189-220;i. rocchi, Per una nuova cronologia e valutazione del Libro de naturade Amore di Mario Equicola, in Giornale storico della letteratura ita-liana, ottobre-dicembre 1976, pp. 566-85; m. aurigemma, Il gusto let-terario di Mario Equicola ecc., in Studi di letteratura e di storia in memo-ria di Antonio di Pietro, Milano 1977, pp. 86-106; m. pozzi, Mario Equi-cola e la cultura cortigiana ecc., in Lettere italiane aprile-giugno 1980,pp. 149-71.

    28 bembo, Prose e rime cit., pp. 662-63 (Stanze di M. Pietro Bembo,recitate per giuoco ecc., 27 e 28).

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