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Dag Tessore L’ESASPERAZIONE DEL PRIMATO DI DIO NELLA CONCEZIONE ISLAMICA FONDAMENTALISTA Uno studio su Sayyid Qutb Sayyid Qutb e i cardini del suo pensiero In questi mesi turbolenti, segnati da guerre, attacchi terroristici di vario genere, scontri religiosi violenti, si è parlato tanto – forse troppo – di Islam e di fondamentalismo islamico. Ma la brevità e superficialità degli articoli di giornale e delle trasmissioni televisive e in generale lo scarso livello di approfondimento dei mass-media hanno fornito informazioni non sempre accurate. Si tende a generalizzare, a trarre conclusioni e ad ignorare la complessità e poliedricità dell’Islam, che non è solo una religione, ma è anche una cultura, uno stile di vita, una mentalità. Ora, il primo passo per sapere come affrontare questa realtà a noi oggi così presente – il fondamentalismo islamico – è innanzi tutto necessario conoscerla e capirla. Anche il più temibile nemico non può essere affrontato correttamente, combattuto e vinto se non lo si conosce, se non si capiscono i suoi moventi, le sue scelte, le sue mire. E’ di primaria importanza dunque capire che cosa anima il pensiero islamico estremista e il modo migliore per far ciò è ascoltarlo dall’interno. In questo breve saggio, pertanto, lascerò la parola a uno dei più grandi ideologi dell’integralismo islamico odierno, Sayyid Qutb, egiziano, morto nel 1966. Insegnante nelle scuole per diversi anni, poi ispettore presso il Ministero dell’Istruzione e fondatore del giornale Al-fikr al-jadid, Qutb sviluppò col passare del tempo un sempre più marcato nazionalismo. Nel 1948, all’età di 42 anni, si recò a studiare in diverse università negli Stati Uniti, per due anni, e maturò una concezione fortemente critica nei confronti della civiltà occidentale, insieme ad una rivalutazione della tradizione

Dag Tessore: L'esasperazione del primato di Dio

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Saggio sul pensiero di Sayyid Qutb: "L'esasperazione del primato di Dio nella concezione islamica fondamentalista". Dag Tessore, 2015.

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Dag Tessore

L’ESASPERAZIONE DEL PRIMATO DI DIONELLA CONCEZIONE ISLAMICA FONDAMENTALISTA

Uno studio su Sayyid Qutb

Sayyid Qutb e i cardini del suo pensiero

In questi mesi turbolenti, segnati da guerre, attacchi terroristici di vario genere, scontri religiosi violenti, si è parlato tanto – forse troppo – di Islam e di fondamentalismo islamico. Ma la brevità e superficialità degli articoli di giornale e delle trasmissioni televisive e in generale lo scarso livello di approfondimento dei mass-media hanno fornito informazioni non sempre accurate. Si tende a generalizzare, a trarre conclusioni e ad ignorare la complessità e poliedricità dell’Islam, che non è solo una religione, ma è anche una cultura, uno stile di vita, una mentalità.

Ora, il primo passo per sapere come affrontare questa realtà a noi oggi così presente – il fondamentalismo islamico – è innanzi tutto necessario conoscerla e capirla. Anche il più temibile nemico non può essere affrontato correttamente, combattuto e vinto se non lo si conosce, se non si capiscono i suoi moventi, le sue scelte, le sue mire. E’ di primaria importanza dunque capire che cosa anima il pensiero islamico estremista e il modo migliore per far ciò è ascoltarlo dall’interno. In questo breve saggio, pertanto, lascerò la parola a uno dei più grandi ideologi dell’integralismo islamico odierno, Sayyid Qutb, egiziano, morto nel 1966. Insegnante nelle scuole per diversi anni, poi ispettore presso il Ministero dell’Istruzione e fondatore del giornale Al-fikr al-jadid, Qutb sviluppò col passare del tempo un sempre più marcato nazionalismo. Nel 1948, all’età di 42 anni, si recò a studiare in diverse università negli Stati Uniti, per due anni, e maturò una concezione fortemente critica nei confronti della civiltà occidentale, insieme ad una rivalutazione della tradizione religiosa e sociale dell’Islam. Di ritorno in Egitto, aderì al movimento dei Fratelli Musulmani, fondato nel 1928 da Hasan al-Banna’. La sua radicalizzazione religiosa si accentuò. Nel 1954 il presidente Nasser sciolse il movimento e incarcerò i suoi membri, tra cui Qutb. In prigione scrisse le sue due principali opere, l’immenso commentario al Corano, intitolato Fi Zilali l-Qur’an (All’ombra del Corano), e il libriccino Ma’alim fi t-tariq (Pietre miliari). A causa delle accuse da lui rivolte al governo egiziano di essere nemico dell’Islam e apostata, venne condannato a morte e impiccato nel 1966.

Gli scritti di Sayyid Qutb, divenuti poi il cardine del pensiero fondamentalista islamico e alla base del successivo sviluppo delle frange più estremiste dell’attuale Islam politico e terroristico, sono un mezzo ottimale per comprendere dall’interno questa realtà a noi così estranea e ostile.

Qutb parte dalla considerazione che esista nel mondo un’opposizione inconciliabile tra lo Hizb Allah, il Partito di Dio, e lo Hizb al-Shaytan, il partito di Satana (Corano 58,22 e 19). Gli uomini dello Hizb Allah credono che esista Dio, che sia onnipotente, che a Lui spetti ogni sovrana potestà, ogni gloria e maestà: «E’ Dio il Creatore di tutte le cose, è Lui l’Unico, il Vittorioso!» (Cor. 13, 16). Questa supremazia assoluta di Dio su tutte le cose è detta hakimiyya; si oppone a taghut, il demonio della prevaricazione, ovvero al tughyan, l’empia e superba prevaricazione ed esaltazione dell’uomo in spregio a Dio.

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I modernisti, che Qutb chiama anche empi o partigiani di Satana, non credono veramente che esista Dio e che gli dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; talvolta però essi si dicono credenti e si presentano come veri “religiosi”, ma mostrano, con quel che dicono e che fanno, di non credere veramente: sono ipocriti (munafiqun, Cor. 63); come dice il Corano: «V’è poi gente che dice: “Crediamo in Dio e nell’Ultimo Giorno”, eppure non sono credenti. Cercano di ingannare Iddio e coloro che credono, ma, incoscienti, ingannano solo se stessi» (Cor. 2, 8-9). «A vederli, le lor persone ti piacciono e, quando parlano, volentieri ascolti il lor dire (...). Sono essi il tuo nemico, guàrdati da loro! Dio li faccia perire! Quanto lungi son dalla Fede!» (Cor. 63, 4). Essi cercano essenzialmente di spodestare Dio e di togliergli il primato e la supremazia, per mettere al suo posto l’Uomo. Le loro parole e le loro scelte concrete sono volte a garantire il proprio benessere e non la gloria di Dio. Ciò è naturale per chi non crede in Dio, ma diventa ipocrisia ed empietà quando si tratti di persone che si presentano come credenti. Essi infatti si rifanno, sì, al Corano (per dar prova della loro religiosità), ma lo usano solo per corroborare e far sembrare autenticamente “religiose” le loro posizioni “laiche” e antireligiose. Per questo Qutb sostiene che serve a ben poco disputare sulla lettera del Libro Sacro: ciò che conta è comprendere a fondo e condividere lo “spirito” del Corano, lo spirito della fede, la hakimiyya. Tutto il resto non sarà che una conseguenza di quest’unico punto essenziale, cioè la fede che Dio esista e che a lui spetti il primo posto in tutto. Se si comprende ciò, è evidente che ogni istante della propria vita deve essere in funzione, a servizio e a lode di Dio. Dio non è «cosa trascurabile» (Cor. 11, 92). Chi credesse veramente non potrebbe che ardere di zelo per Dio. Se non arde di questo zelo, se preferisce rimanere a casa piuttosto che andare a combattere per la gloria di Dio, ciò è chiaro segno che evidentemente non crede sul serio, come dice il Corano: «Quei che ti chiedono il permesso di restarsene a casa, sono coloro che non credono in Dio e nell’Ultimo Giorno e hanno il cuore dubbioso e nel dubbio loro stanno esitanti» (Cor. 9, 45). Non vi è quindi alcuna possibilità di compromesso, asserisce Qutb, un po’ sulla falsariga dell’evangelico «Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e Mammona» (Mt 6, 24). E’ necessario scegliere: «Chi desidera il campo arato dell’altra vita, gliene daremo in abbondanza e chi desidera il campo arato del mondo, gliene daremo, ma nell’Altro non ne avrà parte alcuna» (Cor. 42, 20). Gli empi «preferiscono la vita del mondo alla vita dell’Oltre» (Cor. 14, 3); ma coloro che scelgono Dio, devono rimanergli fedeli ed essere coerenti sino in fondo: «O voi che credete! Non tradite Dio!» (Cor. 8, 27).

Più volte il Corano dà ingiunzioni e poi aggiunge: «se siete sinceri» o «se sieti veri credenti» (cfr. Cor. 8, 1). Ciò significa che la fede si vede dalle opere; la vera fede in Dio si prova dal modo con cui il credente si comporta, ragiona, parla, agisce. La vita quotidiana è il banco di prova della fede. Se poi l’obbedienza a Dio porta a dolorose rinunce, a sofferenze e disagi, ciò avviene appunto «perché Dio possa riconoscer coloro che credono» (Cor. 3, 140) e distinguerli dagli ipocriti o falsi credenti.

Come si vede, il discorso di Qutb è totalemte incentrato sul Corano. Cita anche non di rado vari hadith del Profeta, ma non cita quasi mai i grandi ulema, teologi e giuristi, della tradizione islamica. Questo perché egli ritiene che l’Islam debba essere fondato esclusivamente sulla parola di Dio, certa, immutabile e infallibile, e non sulle mutevoli e fallaci parole degli uomini. I musulmani credono che il Corano sia la parola di Dio e la Legge divina per gli uomini. Qutb dice che, se si ha davvero questa fede (‘aqida), non si può far altro che mettere in pratica, integralmente, la Legge dettata da Dio (shari’a). Quindi «obbedite a Dio e al suo Messaggero, se siete veri credenti» (Cor. 8, 1). «L’ordine di Dio è stabilito in modo assoluto» (Cor. 33, 37): non rimane che obbedire o disobbedire, senza vie di mezzo. «Credete in una parte del Libro e rifiutate un’altra parte?» (Cor 2,

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85). Se si crede che il Corano è parola di Dio, non si possono seguire alcuni versetti e tralasciarne altri, considerati anacronistici o scomodi. E non ha senso discutere in vista di una eventuale modifica della Legge: se si ha la fede e si crede quindi che essa venga direttamente da Dio, si deve necessariamente credere che sia perfetta: «O voi che credete! Non intromettetevi [con vostre personali opinioni] al cospetto di Dio e del Suo Messaggero, e temete Iddio!» (Cor. 49, 1).

Neppure ha senso, quindi, discutere se le leggi di Dio siano utili o no, siano benefiche o no: «Dio decreta ciò che vuole!» (Cor. 5, 1). Certo, si crederà che «Iddio desidera agio per voi, non disagio» (Cor. 2, 185) poiché «Dio è misericordioso e benigno» (Cor. 2, 225) e «può darsi vi spiaccia qualcosa che è invece un bene per voi, e può darsi vi piaccia qualcosa che è invece un male per voi: Dio sa e voi non sapete» (Cor. 2, 216), ma, in ultima analisi, «Dio fa ciò che vuole» (Cor. 2, 253). Di conseguenza l’atteggiamento dell’uomo di fronte alle leggi di Dio deve essere – insiste Qutb - di totale sottomissione (islam) e rassegnazione, con riverente timore e filiale gratitudine. L’uomo è servo di Dio, in tutto dipendente da lui. Sarebbe sempre empietà e superbia volersi emancipare dalla propria condizione di assoluta dipendenza da Dio, o rivendicare presunti diritti. Altrettanto empio e superbo sarebbe protestare «per invidia del fatto che Dio elargisca il Suo favore a chi Egli vuole di fra i Suoi servi» (Cor. 2, 90) e per questo lamentarsi del proprio stato d’inferiorità. Sarebbe stato questo, secondo il Corano, il motivo della condanna del diavolo (Iblis), come dice: «E quando dicemmo agli Angeli: “Prostratevi avanti ad Adamo”, tutti si prostrarono salvo Iblis, che rifiutò superbo» (Cor. 2, 34) perché diceva: «”Non sarà mai che io mi prostri di fronte ad un uomo che Tu hai creato d’argilla secca, presa da fango nero impastato!”» (Cor. 15, 33).

La posizione di Qutb, fortemente ancorata al Corano e ad una visione totalitaria, assoluta, radicale della religione, è agli antipodi da quella di pensatori musulmani più o meno suoi contemporanei, rappresentanti del cosiddetto modernismo islamico. Secondo Abu l-Kalam Azad, ad esempio, «la religione in sé ha come scopo la felicità e prosperità della società umana» 1. Tale felicità è da intendersi sia in senso materiale, come «il Paradiso delle scoperte scientifiche»2 e del benessere economico, sia in senso spirituale umanistico, cioè come «sviluppo nell’uomo di una personalità equilibrata: questo è – secondo Ghulam Ahmed Parwez – lo scopo della Rivelazione»3. La Legge di Dio è dunque intesa non tanto come una serie di precetti esterni, quanto come una legge interna della coscienza, come dice Mazhar al-Din Siddiqi: «La Rivelazione non è altro che la Ragione operante ad un livello più profondo»4. Halide Edib Adivaz5 sostiene che le prescrizioni coraniche non devono essere applicate oggi alla lettera: le considera infatti come leggi fondamentalmente umane, valide solo per il tempo e la società in cui furono promulgate. E’ da notare che questi pensatori modernisti non respingono affatto il Corano, anzi cercano di fondare le loro idee proprio su di esso.

La politica di Dio

Tutto, secondo Sayyid Qutb, rientra nella «visione globale della Fede» (tasawwur i’tiqadi shamil), poiché tutto viene da Dio e il criterio di tutto è Dio (e quindi la religione). Già Platone

1 J.M.S. Baljon, Modern Muslim Coran interpretation, Brill 1968; p. 742 al-Masriqi, Hadith al-Qur’an, p. 266 s.; cit. in Baljon, op. cit. 3 Parwez, Salim ke Nam, p. 248; cit. in Baljon, op. cit.4 Siddiqi, cit. in: The Islamic Literature, Lahore, agosto 1953, 85 Halide Edib Adivaz: Lettera allo Shaikh Muh. Asraf, pubblicata in “The Islamic Literature”, marzo 1953

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aveva detto: «Dio è il criterio supremo di tutte le cose, e non l’uomo, come alcuni sostengono» 6. Lo scopo della società umana e dell’apparato politico è di dar gloria a Dio e di servirlo secondo la sua legge, perché – per citare sant’Ignazio di Loyola, «l’uomo è stato creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore»7. Lo scopo non è il benessere dell’uomo e la sua felicità terrena, come vorrebbero i modernisti: «Fu reso adorno agli occhi degli uomini l’amor dei piaceri, come le donne, i figli e le misure ben piene d’oro e d’argento, e i cavalli di purissima razza, e i greggi e i campi; questi son beni di questa vita terrena, ma presso Dio è la meta buona» (Cor. 3, 14); «questa vita della terra è godimento effimero» (Cor. 40, 39); «non è questa vita terrena altro che vanità e gioco, ma la Dimora dell’Oltre è davvero la Vita, s’essi sapessero!» (Cor. 29, 64); dunque «non vi seduca la vita del mondo e non vi seduca, su Dio, il Seduttore!» (Cor. 31, 33).

Ciò non significa che Dio voglia dall’uomo il disprezzo di tutte le cose terrene e sofferenza, poiché «Iddio desidera agio per voi, non disagio» (Cor. 2, 185) e «vuol rendervi i pesi leggeri, poiché l’uomo fu creato debole» (Cor. 4, 28) e «in verità Iddio è con voi clemente, indulgente» (Cor. 57, 9), ma anche se Dio volesse per l’uomo disagi (come ad esempio i digiuni), egli dovrebbe ugualmente obbedire: non deve infatti seguire la Legge di Dio perché è agevole, bensì perché è la Legge di Dio. Qutb spiega8, parlando del vino, che il suo divieto è utile e benefico (allontana l’ebbrezza dalle menti e le rende più sane), ma l’unico vero motivo per cui non deve essere bevuto, è perché Dio ha così comandato. Come per il vino, così per tutto: tutto deve essere regolato dalla Legge di Dio, indipendentemente da qualsiasi utilità “umana” e rispetto umano; più le prescrizioni sono penose e più sono valide per mettere alla prova l’autenticità della fede, come dice il Corano: «L’adultera e l’adultero siano puniti con cento colpi di frusta ciascuno, né vi trattenga la compassione che provate per loro dall’eseguire la sentenza di Dio, se credete in Dio e nell’Ultimo Giorno» (Cor. 24, 2). A Dio deve sempre essere riservato il primo posto: «Se i vostri padri e i vostri figli e i vostri fratelli e le vostre mogli e la vostra tribù e i beni che avete acquistato e un commercio che temete possa andare in rovina, e le case che amate, vi sono più care di Dio e del Suo Messaggero e della lotta sulla Sua Via, allora aspettate finché Dio vi porterà il Suo Ordine distruttore!» (Cor. 9, 24).

Si deve obbedire a Dio in piena sottomissione (islam), senza preoccuparsi delle sofferenze “terrene” di ciò: «Se temete che ne derivi impoverimento, ebbene Iddio vi farà ricchi col tesoro del Suo favore, se vorrà» (Cor. 9, 28). Se vengono a mancare le provviste, non importa: «La migliore provvista è il timore di Dio» (Cor. 2, 197).

Il vero credente deve dunque vivere in questo modo la sua fede; ma è lecito imporre la legge di Dio agli altri per instaurare uno Stato teocratico? Secondo Qutb, sì. Ogni potere infatti appartiene a Dio (teocrazia9): egli è il Sovrano di tutti gli uomini e ha investito il suo Profeta di potestà profetica e regale (nabi e malik) e dopo la morte del Profeta, i califfi suoi successori. Ora, «Dio dà ai suoi messaggeri poteri su chi Egli vuole, e Dio è su tutte le cose potente» (Cor. 59, 6); i califfi sono, così, strumenti del potere di Dio, il quale si serve di loro per estendere il suo regno sulla terra (mamlakat Allah fi l-ard10). Che Dio, poi, scelga il califfo come supremo strumento per imporre la propria sovranità, è una sua decisione insindacabile: Dio «favorisce per la Sua misericordia chi

6 Platone, Leggi, IV, 716 C7 Ignazio di Loyola, Ejercicios Espirituales, 238 Fi zilali l-Qur’an, p. 9789 Giuseppe Flavio, che ha coniato il termine “teocrazia”, dice che Mosè «ha istituito come governo la teocrazia, collocando in Dio il potere e la forza» (Contra Apionem, II, 16)10 Fi zilali l-Qur’an, p. 1433

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vuole» (Cor. 3, 74) e «ha prescelto alcuni su altri» (Cor. 4, 34) perché Dio «fa quello che vuole» (Cor. 2, 253).

L’unica forma di governo ammissibile – dice Qutb - è dunque la teocrazia, retta dal vicario del Profeta, cioè dal califfo. Quest’ultimo è solo un umile esecutore della shari’a islamica. Non ha nessun potere legislativo, non è un re. Come dice Dio in un hadith attribuito al Profeta: «Io sono il re! Dove sono i re della terra?»11. L’unico re e sovrano è Dio. Pertanto la teocrazia ha come unico criterio l’onore di Dio e la sua Legge. E’ quindi l’opposto della democrazia, che si prefigge come criterio i valori e i desideri della maggioranza, quali che siano, senza avere valori assoluti. Lo Stato teocratico invece è espressione di una «minoranza credente», depositaria dei valori assoluti (e non relativi) della Legge di Dio. E’ lecito a questa minoranza imporsi con la forza alla maggioranza infedele? Qutb ritiene di sì, non solo per l’autorità che le viene da Dio ma, ancor più, per “misericordia”. Lo spiega bene un altro importante ideologo del fondamentalismo islamico, questa volta uno sciita, Morteza Motahhari: «I genitori hanno due tipi di attaccamento nei confronti del proprio figlio: uno “razionale”, l’altro emotivo. L’attaccamento razionale talvolta li induce a compiere un’azione che apparentemente causerà dolore e afflizione al figlio. Ad esempio, potrebbero affidarlo all’operato di un chirurgo per l’amputazione di un arto suppurato; pur dolendosi e versando lacrime, essi insisteranno presso il medico perché operi nel più breve tempo possibile. Verseranno le lacrime del loro attaccamento emotivo, chiedendo nel contempo l’operazione chirurgica a motivo del loro attaccamento razionale»; «parimente un musulmano è naturalmente preoccupato della salvezza di tutti gli esseri umani ed è interessato a che diventino musulmani»; perciò, «al fine di eliminare la corruzione da una società in cui prevalgono la mancanza di religione e la sua ignoranza, l’Islam fornisce indicazioni per portare avanti una battaglia armata»12. Infatti i più fra gli uomini sono tanto immersi, secondo Qutb, nelle seduzioni di Satana (il «contagio svedese», come lo chiama, cioè tipicamente occidentale laico antireligioso), da non potersene liberare: «Satana – dice un hadith - scorre come il sangue nelle vene dei figli di Adamo». E’ quindi necessario distruggere con la forza i poteri diabolici (cioè i governi laici infedeli) che, con le loro ideologie liberali e la loro politica permissiva, rendono i cittadini schiavi dei piaceri, del denaro e dell’egoismo. «Combattete i prìncipi dell’empietà!», dice il Corano (Cor. 9, 12), «combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il suo Messaggero han dichiarato illecito!» (Cor. 9, 29). La milizia di Dio, per compassione e amore, dovrebbe combattere per liberare le vittime di tali società dall’infelice prigionia in cui si trovano. Non si tratta di costringerli alla fede, la quale è sempre una scelta libera di fronte a Dio: «Potrò forse costringervi a credere se voi non volete?» (Cor. 11, 28); «chi vuole creda e chi non vuole respinga la Fede» (Cor. 18, 29); si tratta solo di liberarli dalla loro schiavitù (e dunque non-libertà) a un regime che apparentemente li lascia liberi, ma che in realtà li schiavizza e “ipnotizza” con le proprie seduzioni opprimenti ed irresistibili. Soltanto dopo che sia stata distrutta questa tirannia, gli uomini potranno essere veramente liberi: «Il jihad – scrive Qutb – instaura l’ordine islamico, ma la fede è lasciata alla libertà di coscienza, una volta garantita la protezione dell’ordine pubblico islamico e al riparo dalle influenze ostili»13.

La guerra santa è così allo stesso tempo liberazione misericordiosa dei buoni e castigo dei cattivi, che «Iddio punirà per mano vostra» (Cor. 9, 14). Quanto alle sofferenze che la guerra provoca, dice il Corano: «Ogni male che vi colpisce, vi colpisce per i peccati che avete commesso;

11 Sahih al-Bukhari12 Morteza Motahhari, La Guida e il Magistero, Centro Culturale Islamico Europeo, Roma 1987; p. 14 e 1513 Fi zilali l-Qur’an: Introduzione alla Sura VIII, p. 1433-1443

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eppure molte cose [Dio] perdona» (Cor. 42, 30); e all’obiezione che, con la guerra si provoca la morte di molti innocenti, Qutb risponde che chi muore in grazia di Dio va in paradiso (se Dio vuole). Inoltre, il jihad è uno strumento della provvidenza divina per mantenere i giusti equilibri nel mondo, come dice il Corano: «Se Dio non respingesse gli uomini gli uni tramite gli altri, la terra si corromperebbe: ma Dio è pieno di grazia per il mondo» (Cor 2, 251).

La guerra santa comunque, è una validissima “prova di fede”: chi la rifiuta è portato al rifiuto, molto probabilmente, non da una motivazione ideologica che lo spinga a pensare che Dio non voglia la guerra, bensì piuttosto da una mancanza di vera fede e da un attaccamento alle cose umane e terrene: «Voi preferite la vita terrena, ma è l’altra che è più bella, più lunga» (Cor. 87, 16-17); «O voi che credete! Che avete, che quando vi si dice: “Lanciatevi in battaglia sulla via di Dio”, rimanete attaccati alla terra? Preferite forse la vita terrena piuttosto che quella dell’Oltre? Ma il godimento della vita terrena, di fronte alla vita dell’Oltre, non è che poca cosa!» (Cor. 9, 38): né distolga dal combattere per Dio la paura degli uomini: «Avete forse paura di loro? Ma è di Dio piuttosto che dovete avere paura, se siete credenti! (Cor. 9, 13).

Qutb insiste nel sottolineare che il jihad non è “guerra giusta” ma “guerra di fede” (ma’rakat al-‘aqida), di natura prettamente spirituale e religiosa: deve essere il prolungamento di una “guerra interiore” «contro il Demonio, la passione, i desideri, le ambizioni...»14. Essa non deve assolutamente “contaminarsi” con motivazioni economiche, nazionalistiche, “umane”; e ancor meno deve essere provocata dall’odio e dall’aggressività, come dice il Corano: «Non vi induca l’odio contro gente empia ad agire ingiustamente» (Cor. 5, 8).

Quanto detto riguardo al jihad vale anche per la legislazione penale della shari’a e le cosiddette pene coraniche. Qutb afferma che le punizioni non devono mai essere eseguite per vendetta, per rabbia, per odio del delinquente. Dice un hadith che il Profeta «non si vendicava mai per se stesso, in qualsiasi questione che gli si presentava, ma se le leggi di Dio venivano violate, egli compiva vendetta per Dio»15. In un altro hadith è narrato che un tale Abdullah bevve del vino e il Profeta lo punì frustandolo. Una persona lì presente si mise allora ad insultare e schernire il reo. Ma il Profeta disse: «Non insultatelo, poiché in nome di Dio, io so che egli ama Dio e il suo Messaggero»16. Ciò significa che la punizione deve essere eseguita solo perché Dio lo comanda, e non con spirito di odio o disprezzo verso chi ha commesso il delitto.

Inoltre l’applicazione delle pene coraniche deve servire come espiazione della colpa: «Chiunque commetta uno di questi crimini – dice ancora un hadith - e riceva la pena legale in questa vita, questa sarà la sua espiazione e purificazione»17.

Qutb non mette in discussione l’applicazione scrupolosa delle pene coraniche, anche là dove a noi la pena sembra eccessiva e sproporzionata. Ad esempio il furto è punito anche quando la cosa rubata è minima: secondo un hadith «Dio maledice il ladro che ruba anche soltanto un uovo: perciò gli si tagli la mano»18, e la mano tagliata deve essergli appesa al collo19. Un altro esempio è costituito dalla pena di morte per chi prende in giro o insulta il Profeta (un “crimine” che appunto, proprio in questi giorni, tre terroristi islamici affiliati all’Isis, hanno punito uccidendo i giornalisti della rivista satirica Charlie Hebdo a Parigi). Secondo un hadith riportato nelle raccolte canoniche di Abu Dawud e Nasa’i, un uomo aveva una madre la quale insultò il Profeta e quell’uomo la uccise

14 Fi zilali l-Qur’an, p. 144115 Sahih al Bukhari, 678616 Sahih al-Bukhari, 678017 Sahih al-Bukhari, 680118 Sahih al-Bukhari e Sahih Muslim19 Hadith riportato da Tirmidhi.

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all’istante. Il Profeta ne fu informato e approvò il gesto. Che questo hadith sia autentico o no, la pena di morte per tale crimine è comunque prevista dalla scuola giuridica malikita.

L’insistenza di Qutb sul dovere di ripristinare integralmente le punizioni coraniche (a quei tempi non applicate praticamente in nessun paese islamico) troverà soddisfazione, anni dopo, allorché esse furono appunto reinserite nel diritto di alcuni Stati, primo fra tutti l’Iran. E non è cosa di poco conto che un Progetto di codice penale arabo unificato, fondato sulla shari’a e redatto dal Consiglio della Lega degli Stati Arabi fu approvato dal Consiglio dei Ministri Arabi della Giustizia nel 1996.

L’economia nel piano di Dio

Sayyid Qutb ritiene che tutto debba essere valutato in funzione del fine ultimo, che è Dio. Il denaro e le ricchezze non sono un male in sé, ma diventano spesso un pericolo perché facilmente allontanano da Dio; come dice il Corano: «O voi che credete! Non vi distraggano le vostre ricchezze e i vostri figli dalla menzione del nome di Dio» (Cor. 63, 9); «...porte d’argento e letti d’argento per adagiarvisi e ornamenti d’oro; ma tutto questo non è che godimento breve di vita terrena, mentre v’è l’Altra presso il Signore per i timorati di Dio» (Cor. 43, 34-35); «vile è la merce del mondo, ben migliore è l’Altra per chi teme Iddio!» (Cor. 4, 77).

Qutb accusa la civiltà moderna laica di essere plutocratica e di assegnare al benessere economico un’importanza del tutto sproporzionata: guai a «chi ammucchia ricchezze e le prepara pel dopo. Crede forse che le ricchezze lo faranno eterno? Niente affatto! Sarà lanciato nella Voragine!» (Cor. 104, 2-4). «Non ti inganni la facilità negli affari degli infedeli, sulla terra: poca cosa, e poi, ultimo rifugio, l’Inferno: qual tristo giaciglio!» (Cor. 3, 196-197), «e non allungare gli sguardi bramosi sugli splendori di vita terrena che a molti di essi facciamo godere, per provarli. La provvidenza del tuo Signore è più buona ed eterna!» (Cor. 20, 131).

Le ricchezze sono seducenti e rischiano di allontanare dall’unico vero Bene, che è Dio: «Vi distrarrà da Dio la gara di ricchezza, fino al giorno in cui visiterete i sepolcri!» (Cor. 102, 1-2). «O voi che credete! In verità nelle vostre mogli e nei vostri figli v’è un nemico per voi. Guardatevene (...). Poiché le vostre ricchezze e i vostri figli non sono che una tentazione, mentre presso Dio v’ha mercede immensa!» (Cor. 64, 14-15). Inoltre il benessere materiale porta facilmente alla superbia e ad un senso di autosufficienza e indipendenza da Dio: «Se Dio troppo ampia elargisse la Sua provvidenza ai Suoi servi, questi insolentirebbero sulla terra» (Cor. 42, 27).

La povertà – dice Qutb - suscita le virtù della speranza, dell’umiltà e della fiducia in Dio. Chi veramente crede in Dio non teme la povertà, perché spera tutto da lui e accoglie con gratitudine tutto ciò che Dio gli dona. «Noi vi metteremo alla prova col terrore, con la fame, con la privazione dei beni e della vita e dei frutti della terra» (Cor. 2, 155); coloro che, come Giobbe, perseverano umilmente e con pazienza nell’amore di Dio, «quando li colga disgrazia esclamano: “In verità noi siamo di Dio e a Lui torneremo!”» (Cor. 2, 156). Hanno piena fiducia in Dio e sperano che «se saran poveri, certo Dio con la Sua grazia li arricchirà» (Cor. 24, 32).

Qutb mette in luce il contrasto che c’è tra lo spirito zakawi (cioè “della zakat”, ovvero “di purezza” e di carità verso i poveri) nell’Islam e lo spirito ribawi (cioè “usuraio, speculativo, imprenditoriale”) tipico della Jahiliyya, cioè della società dell’ignoranza, quella che ignora l’Islam. Il denaro deve essere sottratto alle brame perfide degli usurai capitalisti che non mirano ad altro che ad arricchirsi illecitamente, e deve essere invece gestito dalla suprema autorità religiosa dello Stato,

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che lo impiegherà per la Via di Dio (sabil Allah) cioè per la sua gloria e per il bene comune, innanzi tutto dei poveri, degli orfani e delle vedove. La ricchezza deve quindi essere maneggiata come uno “strumento pericoloso”, con distacco, ricordando sempre che «quel che v’è presso Dio è migliore del divertimento e del commercio» (Cor. 62, 11).

La famiglia e la donna

Secondo Qutb la famiglia è il nucleo centrale della società umana. La famiglia, che egli concepisce in senso strettamente tradizionale, crea quel prezioso valore che è costituito dai rapporti di parentela. Qutb rimprovera aspramente alla Jahiliyya di disgregare le famiglie (a causa del libertinaggio, del divorzio, ecc.) e di creare quindi una società in cui i rapporti diventano impersonali, quasi tra esseri anonimi, e fondati soltanto su interessi egoistici, economici o venerei. Una società sana invece dovrebbe basarsi su rapporti veramente umani e personali, di amore e di rispetto. Il criterio non deve essere il profitto economico o il piacere carnale, come avviene nell’Occidente infetto dal «contagio svedese», ma la dignità dell’uomo e, in ultima analisi, la fede, che è «la base della mutua amicizia, dell’amore e della lealtà tra musulmani»20.

La famiglia, dunque, deve essere la scuola dove si apprendano ed assimilino questi valori, tenendosi ben lontani dal contagio perverso della Jahiliyya: «Che visione materialista! – scrive Qutb - ... e questo mercato di schiavi chiamato “emancipazione della donna”!»21. Il matrimonio islamico deve essere, allo stesso tempo, un fatto profondamente umano e religioso: è «l’incontro di due cuori in Dio»22. La vita coniugale diventa così un modo per servire e onorare Dio, nella concordia e nell’umiltà, educando nella fede i figli e facendo della famglia una vera e propria “palestra della religione”.

Per comprendere bene le idee di Qutb sulla dignità e il ruolo della donna, è necessario partire da un presupposto prettamente religioso: Dio, che è il sovrano dell’universo, ha il diritto di privilegiare chi vuole e di negare il suo favore a chi vuole (Cor. 3, 26), perché «a Dio appartiene il dominio dei cieli e della terra e dello spazio fra essi; Egli crea ciò che vuole, ed è sovra tutte le cose potente!» (Cor. 5, 17). Perciò egli, senza doverne rendere conto a nessuno, potrebbe esaltare l’uomo ed umiliare la donna: Dio, infatti, fa quello che vuole; e nessuno potrebbe lamentarsene o protestare, poiché «se Dio avesse a riprendere gli uomini per quel che davvero meritano, non lascerebbe sul dorso della terra nessun essere vivo» (Cor. 35, 45) e «se volesse, vi annienterebbe tutti» (Cor. 14, 19): Egli infatti è «il sovrano padrone dei suoi servi» (Cor. 6, 18), «regnante sul trono, glorioso, fa ciò che vuole (Cor. 85, 15-16).

Tuttavia Qutb ritiene che Dio, per sua gratuita misericordia, abbia conferito alla donna la stessa dignità che all’uomo e un ruolo non inferiore nella società. E’ per questo che il Corano raccomanda spesso la gentilezza e la dolcezza nei confronti delle donne (Cor. 2, 229, ecc.): «Trattatele con gentilezza, ché, se le trattate con disprezzo, può darsi che voi disprezziate cosa in cui Dio ha invece posto un bene grande» (Cor. 4, 19). La differenza con la Jahiliyya sta nel fatto che Qutb vede la piena realizzazione di tale dignità nelle virtù del pudore e della castità, nell’umile servizio domestico e nella riverente e amorosa sottomissione al marito. Qutb esalta grandemente il valore della pudicizia, opponendosi con sdegno all’aperto e impudente libertinismo dell’Occidente

20 Morteza Motahhari, La Guida e il Magistero, p. 1721 Sayyid Qutb, Ma’alim fi t-tariq, 1964 (1980), p. 16022 Fi zilali l-Qur’an, p. 240

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laico, il quale, con il pretesto dell’emancipazione femminile, riduce le donne a puri oggetti di piacere in una aberrante esaltazione dei piaceri della carne. Questo è uno svilimento e un oltraggio, oltre che a Dio, alla dignità delle donne, le quali dovrebbero invece essere «devote a Dio e sollecite della propria castità» (Cor. 4, 34), riservate e pudiche, non solo nello spirito, ma anche all’esterno, cioè negli atteggiamenti del corpo e nell’abbigliamento: «Di’ alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro intimità e non mostrino troppo le loro bellezze, eccetto quel che di fuori appare, e si coprano i seni d’un velo» (Cor. 24, 31).

Permettere alle ragazze di uscire con fidanzati o di partecipare a feste compromettenti significherebbe gettarle spietatamente nel vortice delle tentazioni contro la purezza, spingendole così alla corruzione delle virtù e della loro integrità. Piuttosto «rimanetevene nelle vostre case e non v’adornate vanamente come avveniva ai tempi dell’idolatria» (Cor. 33, 33). Il compito della donna sposata, dunque, è di accudire i figli e le faccende domestiche. Ciò non significa però affatto che essa sia meno importante dell’uomo o che il suo ruolo sia inferiore: il suo ruolo è semplicemente diverso. Il fatto poi – scrive Qutb – che gli occidentali considerino come cosa negativa e ingiusta il non poter partecipare ai lucri del commercio e alla vana boria delle attività pubbliche e politiche, deriva dalla corrotta mentalità laica, «ferocemente bramosa dei beni terreni» (Cor. 100, 8).

Rimane ancora da dire che «gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni su altri» (Cor. 4, 34). Dio, infatti, fa quello che vuole. E’ importante però sottolineare che, a differenza della mentalità laica, la mentalità religiosa islamica vede nell’umiltà, nell’obbedienza e nella sottomissione grandi e luminose virtù che avvicinano a Dio. Come dice il Corano: «Aiutatevi con la pazienza e con la preghiera, che son cose gravi, ma non per gli umili» (Cor. 2, 45).

I modernisti, secondo Qutb, sono infetti dal «contagio svedese» e confondono la libertà vera con il permissivismo, pensando che il permettere alla donna di guadagnar soldi, di divorziare e di vestirsi in modo indecente sia una maniera per favorirla e riconoscerne la dignità, mentre, per Qutb, ciò significa sottrarle la sua femminilità più autentica e corromperla con seduzioni malvage, rovinando in tal modo lei e l’intero sistema familiare, retto su di una sana armonia, il cui equilibrio, al sopraggiungere di ribelli rivendicazioni, non può che spezzarsi.

Arte e cultura nello Stato islamico

Come ogni altra attività umana, secondo Qutb l’arte non ha in sé il proprio fine assoluto, ma è ordinata al fine ultimo dell’uomo, che è Dio. Tutte le discipline profane valgono e sono lodevoli soltanto nella misura in cui aiutano la fede e servono la religione. Così, la calligrafia può onorare il Corano, le decorazioni murali possono abbellire le moschee, la scienza può portare a contemplare più dettagliatamente la stupenda complessità della creazione di Dio; anche la filosofia, se si fa umilmente «ancella della teologia», per usare la celebre espressione tomistica, può aiutare a comprendere meglio gli insegnamenti della religione. Tutte queste cose dunque sono buone, se adempiono al loro scopo, ossia che, per mezzo di esse, «il cuore dell’uomo sia richiamato a Dio»23. Se invece non ottengono questo scopo, allora, dice Qutb, sono condannabili nel loro insieme: diventano infatti solo vana curiosità o godimento estetico, distraendo dall’unica cosa importante che è Dio. «Quel che v’è presso Dio è migliore del divertimento» (Cor. 62, 11). Se poi queste discipline profane diventano non solo inutili, ma addirittura dannose per la fede e apportatrici di suggestioni e valori ostili alla religione, allora a maggior ragione sono da respingere ed eliminare. In tal caso 23 Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 91, 2

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scienza e filosofia non sono che sfrontato curiosare e superbo orgoglio: «La scienza senza la fede – dice Qutb – è fitna (seduzione, scandalo, sedizione)»24. Proprio come diceva san Tommaso: «Tutto ciò che nelle altre scienze [profane] si trovi che sia ripugnante alla verità di questa scienza [la teologia], sia condannato come falso, interamente»25. L’arte e la musica, lasciate a se stesse, diventano strumenti di Satana, e la sua tirannia per mezzo di esse è, secondo Qutb, palese e mostruosa nella Jahiliyya. Un esempio tipico è costituito dall’arte oratoria o avvocatura: nell’Occidente laico essa, attraverso perfidi giri di parole e di idee, si propone di difendere e far apparire innocenti coloro che sa essere colpevoli, falsando senza vergogna la verità; e tutto soltanto per brama di miserabili applausi e di denaro meschino. Ciò si deve, secondo Qutb, ai regimi cosiddetti “liberali” che permettono tali aberrazioni in nome della “libertà”.

In realtà, tutto è collegato: la cultura e l’arte, nel mondo occidentale, sono impregnate di erotismo e di consumismo. L’Occidente stesso non è altro, afferma Qutb, che un immenso bordello a cielo aperto: «La condizione di ignoranza in cui si trovano le società contemporanee non è di natura diversa da quella in cui versava l’antica Arabia prima del sorgere dell’Islam (…). L’umanità vive oggi in un grande bordello. Basta dare un’occhiata alla stampa, al cinema, alle sfilate di moda o ai concorsi di bellezza, alla sale da ballo, ai bar e alle trasmissioni radiotelevisive. O osservare la sua folle brama di corpi nudi, posizioni provocanti o affermazioni allusive in letteratura, nell’arte e nei mass-media. A ciò si aggiunge il sistema dell’usura che alimenta l’avidità dell’uomo per il denaro, per il quale l’uomo è disposto a ricorrere a mezzi spregevoli per accumularlo e investirlo».

Cristiani ed ebrei

Dalle pagine che precedono il lettore può essersi fatto un’idea del discorso islamico integralista, del suo linguaggio, delle sue argomentazioni. Impregnato di citazioni coraniche, l’insegnamento di Sayyid Qutb, come pure dei suoi emuli fino ad oggi, ha una sua logica interna, ha una sua peculiare coerenza, capire la quale è essenziale per chiunque desideri comprendere le cose prima di giudicarle.

Un’ultima parola però va ancora spesa sul giudizio di Qutb riguardo ai cristiani e agli ebrei. Su questo egli è categorico: «La Gente del Libro [cioè appunto cristiani ed ebrei] è idolatra (shirk), infedele (kufr), la loro religione è invalida (batil)». Questa tesi, secondo cui essi non sarebbero più da considerare Gente del Libro, e quindi protetti e tutelati dalla shari’a anche all’interno di uno Stato islamico, bensì infedeli e idolatri e quindi costretti a scegliere tra l’Islam e la morte, è oggi accettata generalmente negli ambienti integralisti. Del resto, secondo la shari’a, affinché l’omicidio sia considerato colpevole e sia punito, si richiede che l’ucciso sia musulmano.

Nelle antiche biografie del Profeta si narra che Safwan figlio di Umayya fu esortato dal Profeta ad abbracciare l’Islam, ma Safwan non volle. Il Profeta allora gli disse queste lapidarie e terribili parole: «Hai da scegliere tra la spada e l’Islam: cosa preferisci?». Va detto però che l’obbligo di aderire all’Islam era inteso qui più come un dovere di fedeltà allo Stato che come una costrizione ad abbracciare interiormente la fede islamica. L’Islam era, oltre che una religione e una fede, un patto sociale, un insieme di leggi per la convivenza, un sistema governativo. Chi vive in quel sistema statuale, deve giurargli fedeltà, cioè deve essere musulmano. In questo senso la fede interiore del cuore rimane libera: «Essi – scrive Qutb - non sono costretti ad abbracciare l’Islam

24 Fi zilali l-Qur’an, p. 310125 Tommaso d’Aquino, Summa theologiae I, 1, 6

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[...], ma la convivenza è possibile solo se essi non frappongono nessun ostacolo alla realizzazione dell’ordine islamico del potere nella società»26.

Comunque stiano le cose, Qutb parla di «quel vasto raggruppamento di demoni umani, crociati, sionisti, idolatri, comunisti, che divergono tra loro ma convergono in una unica offensiva contro l’Islam»27 ed esorta continuamente, nei suoi libri, a rompere ogni rapporto con le altre religioni e a combatterle. Effettivamente già nella Sunna del Profeta si trovano non solo hadith che esortano i musulmani a fare guerra contro gli infedeli per convertirli all’Islam o ucciderli, ma anche a fare di tutto per differenziarsi dai non musulmani, perfino nei minimi dettagli della quotidianità: «Tagliate i baffi e lasciate crescere la barba, per differenziarvi dai zoroastriani»28; e ancora: «Gli ebrei e i cristiani non si tingono (i capelli e la barba): voi differenziatevi da loro!»29.

L’aggressività di Qutb nei confronti del Cristianesimo è sorprendente, anche perché le accuse che egli muove contro la Chiesa sono in realtà le stesse che quest’ultima muoveva, fino a pochi decenni fa, contro il modernismo. Ad esempio, egli le rimprovera di promuovere una religiosità troppo individualista, interiore, spiritualista, relativista: è la stessa cosa che la Chiesa rimprovera al quietismo, al Protestantesimo, ecc. Così pure egli l’accusa di essersi lasciata assorbire dal “laicismo”, cioè dalla «mentalità di questo mondo», dando più importanza ai problemi dell’uomo che all’onore di Dio, e mostrandosi troppo arrendevole (e quasi alleata) con la perversa civiltà occidentale moderna, di tipo americano, olandese o giapponese. Ora, la Chiesa – si pensi a Pio X, ma anche a Pio XII - si lamentava di queste medesime cose, accusandone i modernisti, e si trovava quindi in sintonia con Qutb. E’ impressionante quante certe encicliche di Gregorio XVI, Pio IX e Pio X sia simili, nello stile, nel linguaggio e nei contenuti, agli scritti di Sayyid Qutb! Quest’ultimo però non era al corrente dell’insegnamento tradizionale della Chiesa cattolica e si limitava a notare quel che vedeva intorno a sé: la civiltà laica dei paesi cosiddetti cristiani. Egli non sapeva che la Chiesa si è nel passato quasi sempre opposta a tale mentalità “laica” e modernista, condannandone tutti i fautori, a partire da Abelardo, Jan Huss, Giordano Bruno, Galileo e fino a modernisti dei secoli XIX e XX. La civiltà occidentale moderna (la Jahiliyya di Qutb) è dunque nata, in un certo senso, proprio in opposizione alla Chiesa. Ma Qutb non la pensa così: ritiene invece che la Jahiliyya sia stata prodotta proprio dal Cattolicesimo. La stessa idea (ma con un giudizio opposto) si ha in pensatori islamici modernisti come Al-Masriqi30: egli ammira il Cristianesimo (cioè la civiltà occidentale moderna) poiché ad esso spetterebbe il merito di aver portato a tanto sublimi realizzazioni, quali l’invenzione della bomba atomica e la scalata del Monte Everest! Ghulam Ahmed Parwez invece (e così pure Rashid Rida) mostra di aver compreso la differenza tra Cristianesimo e civiltà laica occidentale. E’ interessante notare che egli, dal suo punto di vista modernista, muove al Cristianesimo accuse opposte a quelle mosse da Qutb: egli infatti gli rimprovera essenzialmente di essere troppo “religioso” e, per così dire, troppo “coranico”. Il Cristianesimo presenterebbe, secondo Parwez31, un’immagine di Dio troppo maestosa e tremenda, darebbe un’eccessiva importanza all’umiltà a discapito della curiosità scientifica e della conoscenza razionale, sarebbe troppo tradizionalista e patriarcale nel suo modo di considerare la donna e nella sua morale.

26 Fi zilali l-Qur’an27 Fi zilali l-Qur’an, p. 120828 Sahih Muslim29 Sahih al-Bukhari30 Al-Masriqi, Hadith al-Quran, 183 e 19031 In Baljon, op. cit., p. 83-85

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Come si vede, il giudizio di questi autori, compreso Qutb, sul Cristianesimo e l’Occidente è spesso frutto di amalgame confuse e di una certa ignoranza. Ed è proprio l’ignoranza che, mentre alimenta in molte correnti islamiche l’odio e la violenza verso il mondo cristiano, rende noi incapaci di capire, di affrontare, di convivere con una religione – l’Islam – che conta più di un miliardo di fedeli e che, anche nelle sue frange più estreme e ostili, ci interpella.

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