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di Dario Saftich IL PROLOGO w w w . e d it .h r/ l a v o c e A n n o V I I n . 7 2 S a b ato , 1 3 o tt o b r e 2 0 1 2 dalmazia LA VOCE DEL POPOLO DEL POPOLO Il “sogno dalmata” sta vacillando sotto l’urto della crisi globale. Nel de- cennio scorso le “magniche sorti e pro- gressive” della Dalmazia erano legate a doppio lo all’aumento inesorabile, continuo, ossessivo dei prezzi degli im- mobili. Chiunque disponesse di un ap- partamento in qualche centro storico, di un fazzoletto di terra non lontano dal mare si sentiva una sorta di Paperon de’ Paperoni. Poi improvvisamente è arriva- ta la doccia fredda con la crisi dei mu- tui oltreoceano, che ha dilagato nel Vec- chio continente. Ed è comparsa la pau- ra, contagiosa, inarrestabile. Il mercato, no a quel momento in continua asce- sa, si è bloccato. Di punto in bianco si è capito che con gli immobili si poteva sì guadagnare, ma anche perdere. Le com- pravendite, indirizzate a fare lauti affa- ri, erano una scommessa come un’altra. Alla cieca. Sono ormai diversi anni che la bolla immobiliare si sta sgonando in Dalmazia. Ma non si è ancora sgonata del tutto. I dalmati sono gente tenace: di abbassare i prezzi in maniera decisa non ne vogliono sentire ancora. E così gli immobili nei “tropici alle porte di casa” sono in genere ancor sempre più cari che non, ad esempio, sulla costa spagno- la del Mediterraneo, Baleari comprese. Parliamo dei prezzi richiesti, poi se gli affari vanno in porto questo è tutto un altro discorso. A dare il colpo di grazia al “sogno dalmata” potrebbe essere la tassa sul patrimonio che il ministro delle Finanze, Slavko Linić, sta annunciando urbi et orbi da tempo e che agita le notti non soltanto degli abitanti della regione, ma anche di quanti, residenti nell’area continentale del Paese, hanno acquista- to o costruito villini o case per le vacan- ze sulla costa e sulle isole della Dalma- zia nei decenni scorsi. All’epoca del so- cialismo il mattone era l’unico investi- mento possibile per la “borghesia rossa” in ascesa, e in genere per la classe me- dia che stava sorgendo (ed anche per il “proletariato” che iniziava a ragionare in termini che potremmo denire pic- colo borghesi). Tutti aspiravano a far- si una casa o a disporre della versione jugoslava della dacia russa, la famosis- sima “vikendica”. E ora costoro trema- no a pensare che quello che ritenevano fosse un investimento d’oro possa dive- nire di punto in bianco una palla al pie- de. Il timore palpabile è che con l’avven- to della tassa patrimoniale, molti cerchi- no di vendere case e terreni divenuti im- provvisamente una zavorra. Ma la legge della domanda e dell’offerta è chiara: in quel caso i prezzi niscono in picchia- ta. E i dalmati che pensavano magari in futuro di sbarcare il lunario vendendo qualche pezzo di terra ereditato, ritenuto “pregiato” no a poco tempo fa, ora si rendono conto che la “realtà europea” è tutt’altra cosa rispetto a quella imma- ginata prima della caduta del Muro... A poter trarre vantaggi dagli scenari che si prospettano potrebbero essere i cit- tadini stranieri, anche gli italiani, che volessero comprare casa in Dalmazia: i prezzi presto dovrebbero scendere ul- teriormente e un pezzettino di paradiso all’ombra delle antiche mura di Zara, o Lesina, o Traù dovrebbe essere molto più accessibile di quanto non sembrasse no a ieri. Il «sogno dalmata» si sta sgonfiando Giorgio Baglivi Giorgio Baglivi il raguseo medico del papa il raguseo medico del papa Dalla Dalmazia all’altra sponda Mario Simonovich PAGINE 2 e 3

Dalla Dalmazia all’altra sponda GGiorgio Baglivi iorgio ... · Affectionibus”, dopo aver trattato della Polmonite con letargia, prende in considerazione il Catarrhus Suffocativus

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di Dario Saftich

IL PROLOGO

www.edit.hr/lavoce Anno VII • n. 72 • Sabato, 13 ottobre 2012

dalmazia

LA VOCEDEL POPOLODEL POPOLO

Il “sogno dalmata” sta vacillando sotto l’urto della crisi globale. Nel de-cennio scorso le “magnifi che sorti e pro-gressive” della Dalmazia erano legate a doppio fi lo all’aumento inesorabile, continuo, ossessivo dei prezzi degli im-mobili. Chiunque disponesse di un ap-partamento in qualche centro storico, di un fazzoletto di terra non lontano dal mare si sentiva una sorta di Paperon de’ Paperoni. Poi improvvisamente è arriva-ta la doccia fredda con la crisi dei mu-tui oltreoceano, che ha dilagato nel Vec-chio continente. Ed è comparsa la pau-ra, contagiosa, inarrestabile. Il mercato, fi no a quel momento in continua asce-sa, si è bloccato. Di punto in bianco si è capito che con gli immobili si poteva sì guadagnare, ma anche perdere. Le com-pravendite, indirizzate a fare lauti affa-ri, erano una scommessa come un’altra. Alla cieca. Sono ormai diversi anni che la bolla immobiliare si sta sgonfi ando in Dalmazia. Ma non si è ancora sgonfi ata del tutto. I dalmati sono gente tenace: di abbassare i prezzi in maniera decisa non ne vogliono sentire ancora. E così gli immobili nei “tropici alle porte di casa” sono in genere ancor sempre più cari che non, ad esempio, sulla costa spagno-la del Mediterraneo, Baleari comprese. Parliamo dei prezzi richiesti, poi se gli affari vanno in porto questo è tutto un altro discorso. A dare il colpo di grazia al “sogno dalmata” potrebbe essere la

tassa sul patrimonio che il ministro delle Finanze, Slavko Linić, sta annunciando urbi et orbi da tempo e che agita le notti non soltanto degli abitanti della regione, ma anche di quanti, residenti nell’area continentale del Paese, hanno acquista-to o costruito villini o case per le vacan-ze sulla costa e sulle isole della Dalma-zia nei decenni scorsi. All’epoca del so-cialismo il mattone era l’unico investi-mento possibile per la “borghesia rossa” in ascesa, e in genere per la classe me-dia che stava sorgendo (ed anche per il “proletariato” che iniziava a ragionare in termini che potremmo defi nire pic-

colo borghesi). Tutti aspiravano a far-si una casa o a disporre della versione jugoslava della dacia russa, la famosis-sima “vikendica”. E ora costoro trema-no a pensare che quello che ritenevano fosse un investimento d’oro possa dive-nire di punto in bianco una palla al pie-de. Il timore palpabile è che con l’avven-to della tassa patrimoniale, molti cerchi-no di vendere case e terreni divenuti im-provvisamente una zavorra. Ma la legge della domanda e dell’offerta è chiara: in quel caso i prezzi fi niscono in picchia-ta. E i dalmati che pensavano magari in futuro di sbarcare il lunario vendendo

qualche pezzo di terra ereditato, ritenuto “pregiato” fi no a poco tempo fa, ora si rendono conto che la “realtà europea” è tutt’altra cosa rispetto a quella imma-ginata prima della caduta del Muro... A poter trarre vantaggi dagli scenari che si prospettano potrebbero essere i cit-tadini stranieri, anche gli italiani, che volessero comprare casa in Dalmazia: i prezzi presto dovrebbero scendere ul-teriormente e un pezzettino di paradiso all’ombra delle antiche mura di Zara, o Lesina, o Traù dovrebbe essere molto più accessibile di quanto non sembrasse fi no a ieri.

Il «sogno dalmata» si sta sgonfi ando

Giorgio Baglivi Giorgio Baglivi il raguseo medico del papail raguseo medico del papa

Dalla Dalmazia all’altra sponda

Mario Simonovich PAGINE 2 e 3

2 dalmazia Sabato, 13 ottobre 2012

Baglivi non ci ha lasciato una maggior consi-stenza di opere, ma la loro validità è fuori discus-sione soprattutto per la dettagliata osservazione del paziente, la raccolta dei dati obiettivi e la loro suc-cessiva valutazione logica. Assiomatico nell’attua-le prassi corrente, un approccio di tale genere allora era contestato in nome di teorie e principi oggi qua-si incomprensibili, ma a quei tempi piuttosto diffuse quanto praticate.

OPERE PRINCIPALI Le sue opere principali sono la “De Praxi Medica” ed il successivo “Speci-men quatuor librorum de fi bra motrice et morbosa” dove espone il suo programma di fi siopatologia. Nel “Catarrhus Suffocativus” descrive per primo l’origi-ne dell’edema polmonare da scompenso cardiaco.

GALILEI La formazione culturale e dottrina-ria del Baglivi fa capo a Galilei secondo cui, sco-perte le ragioni di un fatto, bisogna cercare la legge esatta che lo regola. Le leggi meccaniche del mondo inorganico vanno applicate anche nelle funzioni vi-tali sicché, osservato un fenomeno, si deve cercare di riprodurlo per poterlo studiare.

SANTORIO SANTORIO Questi erano i princi-pi della Scuola Jatrofi sica o Jatromeccanica che Ba-glivi portò al massimo sviluppo. Secondo tale indi-rizzo tutti i fenomeni vitali sono dei puri fatti mec-canici (a tradurre nei fatti lo sperimentalismo gali-leiano, applicando allo studio dell’uomo il metodo matematico, fu in quegli anni soprattutto il capodi-striano Santorio Santorio con i suoi studi sulla “per-spiratio insensibilis” e con il quale peraltro Baglivi mantenne un intenso rapporto epistolare).

MACROCOSMO Di contro ad essi si poneva la Scuola Jatrochimica che si riallacciava alle idee di Paracelso che defi niva la natura come il Macroco-smo la cui parte egregia era l’Uomo (Microcosmo) formato delle stesse sostanze e dominato dalle me-desime leggi. Ai quattro elementi aristotelici (aria, acqua, terra, fuoco) Paracelso aggiunse i tria prima (sale, zolfo e mercurio) presenti in tutti gli esseri vi-venti e nel caos primordiale. Se dunque la creazione era da paragonarsi al lavoro di un chimico, ne de-rivava che gli organi del corpo operavano chimica-mente.

TARANTOLISMO Nel 1695, il Baglivi dà alle stampe il suo primo testo scientifi co: “Dissertatio de tarantula” a commento del tarantolismo, malattia fre-quente in Puglia, in cui distingue un’intossicazione reale da morso del ragno ed una simulata, di carat-tere isterico. Nel 1696 pubblica “De Praxi Medica” in cui defi nisce i compiti della nuova medicina, net-tamente distinta fra “pratica e teorica” rivendicando, per il medico pratico il primato dell’osservazione al letto del paziente.

FISIOPATOLOGIA SOLIDISTA Alla fi ne del 1700 il raguseo pubblica lo “Specimen quatuor li-brorum de Fibra Motrice et Morbosa”, che annuncia il suo programma di fi siopatologia solidista.

Secondo il solidismo (in questo caso il “Nuo-vo Solidismo”), che nel I sec. a. C. aveva dato vita alla “Scuola Metodica”, la più brillante nella Roma imperiale, tutte le malattie derivano da alterazioni

delle parti solide del corpo, mentre i liquidi hanno un ruolo del tutto passivo. Accettata la tesi, Bagli-vi sostenne che unità elementare di tali parti solide era “la fi bra”. Esistevano fi bre carnee ossia motrici, contrattili, costituenti la massa muscolare (distinte in muscoli lisci e striati) e fi bre membranacee che for-mavano i vasi, i visceri ed i tendini che, con il loro moto oscillatorio fungevano da vie della sensibili-tà. Organo propulsore delle prime era il cuore con il fl usso di sangue; quello delle seconde era la dura madre, dotata anch’essa di una sistole e di una dia-stole che producevano il moto del fl uido nervoso nei canali dei nervi che si propagava a tutte le parti soli-de a loro sottoposte.

UN GROSSO ERRORE L’attribuzione di tale funzione alla dura madre fu un grosso errore di Ba-glivi ma, grazie ai suoi studi, le proprietà della fi bra, e soprattutto la sua capacità di contrazione, si pone-vano alla base della fi siologia e della patologia. Il suo pensiero ebbe risonanza europea perché fu uno dei primi a sostenere che la vita ha sede nelle varie parti del corpo e nel suo insieme. La sua patologia ‘fi brillare’ aprirà la via alla patologia ‘cellulare’.

CATARRO Nel 1704 pubblica il suo “Canones de medicina solidorum ad rectum Statices usum”. La prima edizione appare in appendice al “De Statica medicina” del Santorio.

Nel “Liber Primus” di una delle edizioni della sua “Opera Omnia”, nel Capitolo “De Raris Pulmonum Affectionibus”, dopo aver trattato della Polmonite con letargia, prende in considerazione il Catarrhus Suffocativus. Il termine “catarro” (dal greco “kata-rreo”: scorro giù), adottato fi n dall’antichità greco-romana, esprimeva il concetto in auge fi no al Rina-scimento, secondo il quale il catarro altro non era che fl egma o comunque materiale da eliminare, che il cervello scaricava giù in gola, nel collo o nel tora-ce. Egli concluse che era invece causato dal ristagno di sangue e dalla sua rapida coagulazione nei polmo-ni ed attorno al precordio. Peraltro nella patogenesi in sé il cuore non è menzionato, né spiegato il per-ché del ristagno: la sua giustifi cazione del “Catarrhus Suffocativus” è limitata alla circolazione polmonare.

SEGNO DI MORTE IMMINENTE Circa la “spuma oris”, ben nota fi n da Ippocrate, soprattutto come segno di morte imminente, è il primo ad attri-buirla ad un’ostacolata circolazione polmonare, ov-vero la spuma alla bocca, assieme agli altri sintomi sopraelencati, rendono la diagnosi di edema polmo-nare, quale noi oggi la intendiamo, praticamente ir-refutabile. In sintesi, cancella defi nitivamente l’anti-ca ipotesi del fl egma espulso dal cervello.

EDEMA POLMONARE Giorgio Baglivi de-scrive dunque correttamente una parte del mecca-nismo dell’edema polmonare. Con lui il quadro del “Catarrhus Suffocativus” fa il suo debutto quale ma-lattia del sistema circolatorio. È ben vero che non chiama direttamente in causa il cuore, ma l’accura-ta descrizione del quadro e della sua patogenesi ci consente oggi di attribuirgli la primitiva descrizio-ne dell’insuffi cienza miocardica e dell’edema pol-monare.

Giorgio Baglivi il raguseo medico dSCIENZA Una fi gura che esprime emblematicamente l’intensità delle relazioni storiche tra le due spo

M isurando a passi nervo-si l’atrio dell’ospeda-le cittadino nell’attesa

d’essere chiamata dal medico, una donna di Ragusa (Dubrov-nik), si è imbattuta in un busto, posto sull’usuale piedestallo. Nulla di strano, ha scritto, pro-muovendo immediatamente un acceso dibattito su uno dei tan-ti siti di comunicazione sociale, se non fosse che, per quanto di pregevole fattura, era “inserito in una nicchia, fra due gabinet-ti” (non medici, bensì per altra, necessaria, ma molto meno ele-vata funzione, da cui anche le sue recriminazioni). Si tratta di Giorgio Armeno Baglivi dicono gli italiani, Gjuro Armen Bagli-vi, puntualizzano a modo loro i croati. Il contestato busto all’ospedale di Ragusa (Dubrovnik)

Nella chiesa di San Marcello al Corso in cui è stato sepolto, l’Acca-demia Croata delle Scienze ed Arti ha fatto apporre nel 1995 ha fat-to apporre questa lapide bilingue nella quale si afferma che Giorgio

Baglivi (Djuro nella parte in croato) è nato a Dubrovnik/Ragusa (solo Dubrovnik, in croato) in Croazia nel 1668

Svelò l’essenza dello scompenso cardiaco I grandi meriti di Giorgio Baglivi

PROVENIENZA ARMENA Era nato a Ragusa l’8 settembre 1668, fi glio, sempre per gli uni, di Biagio Armeno e Maria Lupi, per gli altri di Vlaho Armen e Marija Vuković (ma c’è anche la varian-te Ana), che due anni dopo avrebbe messo alla luce un altro fi glio, Gia-como (serve riportare Jakov, l’im-mancabile variante?). Il cognome indicava la provenienza armena del padre, piccolo commerciante con in cassa sempre meno soldi di quel che occorreva per vivere.

ORFANI Ma il peggio doveva ancora venire. Nello stesso anno in cui nasceva Giacomo, moriva la madre e, non molto dopo il pa-dre, molto probabilmente di tuber-colosi, scrive Mirko Grmek, auto-re di circostanziate ricerche sul-la storia della medicina nell’area dell’odierna Croazia. Degli orfa-ni si occupò il fratello paterno e quindi un altro zio, un canonico, che li mandò a scuola dai gesui-ti. Una mossa che si rivelò doppia-mente fortunata.

STRAORDINARIO INTE-RESSE In primo luogo perché Giorgio mostrò subito uno stra-ordinario interesse per il latino, la letteratura classica e l’archeologia, ma soprattutto perché Pierangelo Baglivi, anziano medico di Lecce senza fi gli, si rivolse allo zio cano-nico, che in quella città era prefetto del collegio dei gesuiti, perché gli trovasse a Ragusa un giovane “del-la cui istruzione si sarebbe fatto ca-

rico” come si diceva allora, ossia sarebbe stato da lui adottato e que-sti gli propose i due fratelli.

LECCE All’età di circa 14 ri-spettivamente 12 anni, Giorgio e Giacomo arrivarono a Lecce e fu-rono adottati assumendo il cogno-me Baglivi. Giacomo optò per la vita religiosa, Giorgio si avviò alla pratica medica seguendo le visite del padre adottivo che si rivelò presto tanto genitore affettuosis-simo quanto abile uomo pratico non alieno da un certo dispotismo, come si vide anni dopo, quando, avendo il fi glio conosciuto Mar-cello Malpighi, allora medico del papa, e valutate molto presto le opportunità che qui si offrivano, si adoperò a dissuaderlo dall’accet-tare l’incarico di medico alla corte polacca mostrandosi però subito dopo assolutamente determinato ad indurlo a partire qualora “il ma-estro” si fosse trovato d’accordo.

UNA FULGIDA CARRIE-RA Allo stesso modo usò un tono risoluto, anzi quasi minaccioso, per negare l’assenso al desiderio di sposarsi manifestatogli dal gio-vane, per il quale voleva solo una fulgida carriera medica mentre tutto il resto si doveva trascura-re. Interessante notare, per inciso, che il fi glio non se ne ebbe mai a male, ma anzi per tutta la vita mo-strò una vera adorazione per il ge-nitore adottivo.

STUDI DI MEDICINA La conoscenza con Malpighi fu co-

di Mario Simonovich

dalmazia 3Sabato, 13 ottobre 2012

del papaonde del Mare Adriatico

Nel libro De Praxi Medica del 1696 vengono defi niti i compiti della nuo-va medicina, nettamente distinta fra pratica e teorica e rivendicato, per

il medico pratico il primato dell’osservazione al letto del paziente

Nel Liber Primus di una delle edizioni dell’Opera Omnia, nel Capitolo De Raris Pulmonum Affectionibus, prende in considerazione il Catarrhus Suffocativus. Il termi-ne “catarro” adottato fi n dall’antichità greco-romana, esprimeva il concetto ancora in auge secondo il quale il catarro altro non era che “fl egma” o comunque materia-

le da eliminare, che il cervello scaricava giù in gola

Nel 1695 esce il suo primo testo scientifi co: Dissertatio de tarantula quale commento del tarantolismo, malattia frequente in Puglia, in cui distingue un’intossicazione reale da morso del ragno ed una simulata,

di carattere isterico. L’opera fu presto tradotta in varie lingue

munque successiva agli studi di medicina che Giorgio - che, detto per inciso, fi rmava talvolta anche come Baglivo – aveva intrapreso a Napoli per frequentare quindi le più importanti Università italiane dell’epoca. Particolare indicativo per le sue scelte successive è an-che il fatto che si recò in parec-chi ospedali, fra cui quelli di Pa-dova, Venezia, Firenze, ed anche, secondo certi dati, Ragusa. Alfi -ne si fermò a Bologna, dove, ap-punto, insegnava Malpighi. Fra i due si istituì uno stretto rapporto: Giorgio divenne il più autorevole allievo dell’illustre docente, tan-to che, prima di morire in conse-guenza di un ictus nel 1694, que-sti chiese esplicitamente che gli fosse affi data la dissezione del suo cadavere.

ALTO VALORE SCIENTI-FICO Il rapporto in merito ste-so dal raguseo si rivelò un testo di alto valore scientifi co in quan-to istituiva un preciso rapporto fra la localizzazione dell’emorragia e la paralisi che ne era derivata, tan-to più degno d’attenzione consi-derato che l’autore non aveva che 26 anni. Anni peraltro impiega-ti molto bene fi n dall’inizio degli studi, in quanto, su sollecitazione del maestro, era divenuto archia-tra pontifi cio, ossia medico perso-nale di due papi, Innocenzo XII e il successore Clemente XI. Quale fosse la sua infl uenza risulta pale-se anche dalla lettera che il vesco-vo di Lecce gli scrive per chieder-gli di indurre il papa a contribui-re in maniera più sostanziosa alla creazione del seminario con cui intende dar corso in maniera più incisiva ai dettami del concilio di Trento. La sua infulenza sul pon-

tefi ce doveva palesemente essere signifi cativa.

INARRESTABILE ASCESA Negli anni che seguirono, la sua car-riera sembrò seguire un’inarrestabi-le ascesa: docente, medico del papa, membro di varie accademie fra cui l’Arcadia, in contatto epistolare con i più noti ricercatori del tempo, era ovunque richiesto ed apprezzato.

MORTE IMPROVVISA A troncarla, all’improvviso, fu la morte improvvisa, che lo colse nel giugno 1707, a soli 39 anni in-

compiuti, in seguito ad una malat-tia intestinale, seguita da ascite. Ci fu chi la attribuì primariamente al cagionevole stato di salute rileva-to anche dal padre quando lo ave-va dissuaso dall’incarico in Polo-nia, ma altri affermarono, come ha scritto qualche anno fa il ricer-catore Ennio De Simone citando i suoi biografi , che, “specie in casa d’amici”, il grande medico “indul-geva troppo ai piaceri della men-sa e delle libagioni”. Cinque anni dopo, moriva il fratello Giacomo.

4 Sabato, 13 ottobre 2012 dalm

Zara, l’autentica regina del canottaI rematori sono stati l’orgoglio della città fi n dall’Ottocento. Gli inizi sono stati duri, poi i succe

di Igor Kramarsich

La società di canottaggio Ja-dran è solo l’ultima delle grandi società che hanno reso

popolare questo sport non soltanto a Zara, ma a livello regionale dalma-ta e che hanno fatto parlare di sé a livello internazionale. Non si può dire di aver offerto un quadro esau-riente della storia di Zara dell’ulti-mo secolo e mezzo senza parlare dei grandi successi che ha avuto questo sport negli anni a partire dal 1885. Da quell’anno in poi è stato tutto un susseguirsi di risultati di prim’ordi-ne sia a livello nazionale, che in am-bito internazionale.

FIOR DI MEDAGLIE Basti ricordare che le varie società di ca-nottaggio zaratine hanno conqui-stato allori sia a livello europeo che mondiale, ed hanno pure ottenuto diverse medaglie olimpiche. Anche se oggi generalmente il canottaggio è considerato uno sport di serie B questo non è il caso di Zara. Qui ab-biamo certamente una grande socie-tà di calcio, un club di pallacanestro di primissimo piano, però è dal ca-nottaggio che vengono i più grandi successi sportivi zaratini. E in que-sto contesto sarebbe suffi ciente ram-mentare le medaglie olimpiche con-quistate dai canottieri zaratini a par-tire dal 1924.

Però prima di addentrarci nella storia dell’attuale Jadran vediamo come si è evoluto il mondo del ca-nottaggio a Zara da quei primi gior-ni del 1885 e dalla fondazione della Società dei canottieri Dalmazia.

SI PARTE NEL 1876 La So-cietà di ginnastica e scherma zara-tina venne fondata nel 1876. Però dopo nemmeno 10 anni di attività fu costretta a chiudere i battenti. Il 25 maggio del 1885 un gruppo di entu-siasti cominciò però a gettare le basi per la nascita di una società esclu-sivamente imperniata sul canottag-gio. L’impresa si rivelò molto diffi -cile. Però tre appassionati, potrem-

mo dire tre “temerari”, non si dette-ro per vinti, decisero di affrontare di petto gli ostacoli amministrativi e di altro genere e il 25 giugno presen-tarono uffi cialmente la domanda per la registrazione della nuova società. Però, come si sa, ogni inizio è par-ticolarmente diffi cile, per cui questo primo tentativo andò a vuoto. Nei mesi successivi ci furono altri ten-tativi di formalizzare la nascita del club.

IL TERZO TENTATIVO E al terzo tentativo, fi nalmente, il 27 otto-bre 1885 lo Statuto della società dei rematori Dalmazia venne uffi cial-mente registrato. Quello che è parti-colarmente interessante è che questi tre entusiasti fondarono una società senza disporre nemmeno di un remo. Infatti, appena nella riunione della presidenza della società del 14 apri-le 1886, venne presa la decisione di comprare il primo remo, una lancia. E questa venne acquistata a Venezia per un importo di 260 fi orini.

LA PRIMA REGATA Il 14 ago-sto 1887 venne disputata la prima re-gata a Ždrelc, dove a gareggiare fu-rono i remi tipo lancia. Dopo questa regata, visto il suo indubbio succes-so, si stabilì che in futuro le regate si sarebbero disputate nel centro di Zara e che i biglietti sarebbero stati a pagamento. Sempre nel 1887 ven-ne deciso di ampliare la società con sezioni per ciclisti e l’anno seguen-te pure con la sezione dedicata alla ginnastica.

DISSIDI VIOLENTI Le cro-nache registrano che nel 1888, pre-cisamente dal 10 maggio al 26 ago-sto, furono ben 154 le uscite in mare. E i 1.294 partecipanti percorsero la bellezza di 451 miglia marine. Fu-rono pure diverse le regate disputate a Preko, Ošljak, Kali, Ždrelac, Banj, Bibinje, ecc. Dopo questi primi suc-cessi si arrivò puntualmente ai pri-mi dissidi. Questi furono particolar-mente violenti all’Assemblea straor-dinaria svoltasi il 19 giugno 1890. Vani furono i tentativi di salvare la

Una storia che parte da lontanoSocietà dei canottieri Dalmazia, Circolo canottieri Diadora,

Società di ginnastica Sokol, canottieri Jadran. È questa la sto-ria che ha fatta di Zara una delle principali sedi del canottaggio non solo a livello croato, ma anche a quello europeo. Si tratta di una storia che parte da lontano, dal 1885, e che ha portato Zara ai massimi livelli sia europei che mondiali, ed anche a vincere medaglie olimpiche. Vediamo in breve la storia di queste glorio-se società e di questo sport a Zara, le cui origini risalgono a più di 130 anni fa.

società e qualche mese più tardi nel 1891 il club chiuse i battenti.

LARGO AL SOKOL Se la So-cietà dei canottieri Dalmazia ebbe vita breve e si spense dopo soli sei anni, più fortunata, alla lunga, si ri-velò la sezione presso la società di ginnastica Sokol fondata nel 1882. La Sokol come tale venne fondata nel 1882. Tre anni più tardi, paralle-lamente alla fondazione della Socie-tà canottieri Dalmazia, venne aper-ta una sezione di canottieri presso la stessa Sokol.

La prima vera attività, per quanto concerne il canottaggio, la registria-mo appena il 13 luglio 1887, quan-do il quotidiano locale scrisse delle prime “imprese” dei canottieri lungo le isole attorno a Zara. Poche le at-tività nei mesi successivi. Si segna-lano unicamente determinate inizia-tive nel 1890, collegate all’arrivo dei membri del Sokol dalla Croazia con-tinentale e dall’Istria.

GITE La notizia successiva, ine-rente a una regata in città, la registria-mo appena nel 1893. Però si tratta della notizia di una regata non dispu-tatasi per via di dissidi interni. Poi, con il passare degli anni, registriamo soprattutto diverse gite dei canottieri nei paesi e nelle città vicine. Così nel 1901 le cronache segnalano la visita ai canottieri di Sebenico; nel 1904 ci furono le trasferte a Nona (Nin) e a Privlaka e così via. Negli anni furo-no molto popolari soprattutto le atti-vità dei canottieri che si estrisecava-no con gite nei paesi vicini, nel tenta-tivo di diffondere questo sport.

La fi ne di questa società la regi-striamo nel 1911. Infatti era maturata la consapevolezza che avere due so-cietà di canottieri di ispirazione na-zionale simile a Zara fosse veramen-te troppo: così il 14 gennaio del 1911 si decise di unire la società di canot-taggio Jadran con la sezione del So-kol e di fondare una nuova società sempre con il nome Jadran. Con que-sta decisione dopo 25 anni il club ca-nottieri Sokol cessò di esistere.

CIRCOLO CANOTTIERI DIADORA Prima di parlare della Ja-dran, ancor oggi operativa, non pos-siamo non ricordare però un’altra glo-riosa società, ossia il Circolo canot-tieri Diadora, che venne fondato nel 1900. Il 26 agosto dello stesso anno all’Assemblea elettorale fu nomina-to presidente Enrico de Schoenfeld, mentre il suo vice fu Giuseppe Perli-ni. Nel 1901 la società decise di com-prare i suoi primi remi dalla socie-tà di canottaggio Saturnia di Trieste, che proprio quell’anno aveva cessato di esistere. Già nel maggio del 1901

il Circolo canottieri Diadora organiz-zò le sue prime regate. Nel settembre del 1901 fu disputata la prima regata a Oltre (Preko). Si trattò di una vera e propria competizione sulla distanza di 1.750 m. Si sa che il primo vincitore fu il remo di nome Elsa. La regata suc-cessiva venne disputata lungo la riva nuova zaratina tra le società di canot-taggio Diadora e Zara. Nel settembre 1901 l’Assemblea societaria registrò il suo primo anno di vita. Il club aveva a disposizione all’epoca ben 10 remi e c’erano state già 500 uscite in mare.

COMPETIZIONE A TRIE-STE Poi nel 1904 si segnala la re-gata disputata insieme ai tre ca-nottieri giunti dalla società Nereo di Fiume. Nel settembre del 1906 i canottieri del Diadora disputaro-no la loro prima regata internazio-nale, precisamente quella di Trie-ste. Da questa prima competizione di livello internazionale ritornaro-no con un quattro con, costruito al cantiere navale Gallinari di Livor-no, che ottenne un ottimo risulta-to. L’anno seguente parteciparono

anche alla 23.esima regata interna-zionale di Trieste dove si impose-ro nella categoria degli esordienti. A trionfare furono Stenta, Zanelli, Catalinich, Luxardo con il timo-niere Orfei. Vinsero pure la coppa dell’Adriatico.

SEZIONE FEMMINILE Il 18 luglio 1908 è passato alla storia come il giorno in cui venne aperta la prima casa della vela di questa so-cietà. Nel 1909 si riunì l’Assemblea della società: nel corso della sessio-ne venne eletto nuovo presidente De-metrio Medovich. E venne accolta pure l’idea di aprire anche una sezio-ne femminile di canottaggio. Infi ne venne deciso di acquistare due nuovi remi e precisamente per l’otto con e per il quattro con.

COPPA Nel settembre del 1909 la società Diadora partecipò alla re-gata di Trieste e ottenne una brillan-te vittoria con l’equipaggio compo-sto da Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Catalinich, Carlo Toniatti e il rematore Gerolamo Bogdanovich. I vogatori ricevettero pure un ricono-

La prima pagina dello statuto del Jadran

I canottieri della Jadran del 1910 I vincitori della regata triestina del 1909: Luigi Miller, Pietro Luxardo, Simeone Catalinich, Carlo Toniatti e il timoniere Gerolamo Bogdanovich

5Sabato, 13 ottobre 2012mazia

aggio dalmataessi non sono mancati (1 e continua)

La festa del Sokol del 1908

Una regata della Diadora

Lo stemma della Società dei canot-

tieri Dalmazia

I membri del Sokol

scimento particolare dall’Automobil club Trieste.

Nel 1910 a visitare la città di Zara fu il proprietario dell’Herald, Gordon Benett. Grande appassiona-to di canottaggio, ed entusiasta della profi cua attività della società locale, regalò pure un trofeo e così nacque l’idea di dare vita alla coppa Gordon Benett da disputarsi proprio a Zara.

1911, ANNO DA INCORNI-CIARE Il 1911 fu il primo grande anno di successi a livello internazio-nale. La società prese parte alla re-gata internazionale di Trieste, a quel-le di Capodistria e Ancona ottenen-do diversi ottimi piazzamenti. Seguì la regata a Firenze, sul fi ume Arno, dove gli zaratini si imposero in tre delle quattro categorie a cui parte-ciparono. Il 13 agosto a Zara venne pure disputata una regata. Poi nel set-tembre dello stesso anno gli zaratini presero parte al campionato italiano sul lago di Como e conquistarono il primo posto sia nel quattro con che nell’otto con a livello juniores. Infi -ne ci fu la regata a Villa d’Este. Poi il 17 settembre i rematori del Diadora parteciparono alla regata di Trieste, dove vinsero tre delle quattro gare alle quali presero parte.

PARALISI ALLA VIGILIA DELLA GUERRA L’ultima ini-ziativa antecedente la Prima guer-ra mondiale la ritroviamo nel 1912, quando, grazie alle offerte dei citta-dini, venne acquistato in Francia un nuovo remo per il quattro con. Infi ne nel 1913 la storia della società non registra alcuna attività. E di lì a poco inizia la Prima guerra mondiale.

JADRAN Torniamo ancora un po’ indietro. Infatti, come abbia-mo già scritto, nel 1908 venne fon-data un’altra società, l’unica ancora esistente, ossia lo Jadran. Il 29 ago-sto del 1908 Kosto Neumayer depo-sitò presso le autorità amministrati-ve competenti, a nome del Comitato promotore, la domanda di fondazio-ne della società. Mise a punto tutta la documentazione, con cinque diverse proposte di statuto, assieme a Veljko Fabijanić e Antun Marchi. Ricevette, per quelli che erano i tempi burocra-tici dell’epoca, una risposta velocissi-ma e già due giorni dopo venne uffi -cialmente registrata la nuova società con il numero 43098/1.

IL CROATO LINGUA UFFI-CIALE Il 20 settembre 1908 si ri-unì l’Assemblea elettorale, durante la quale alla carica di primo presi-dente venne eletto Josip Cortelazzo, mentre Antun Danilo fu nomina-to segretario. Entrarono a far par-te della prima dirigenza societaria

pure Norbert Filaus (vicepresiden-te), Ivo Botteri, Damjan Lučić-Roki, Kažimir Katalinić, Marko Niseteo, Tomo Brajković, Stjepan Zakarija. Revisori furono Ivan Alujević e Ivo Perović. È interessante notare che nel regolamento della società scrive che la sede è a Zara, che il nome del-la società è Jadran e che la lingua uf-fi ciale è il croato.

FUSIONE Furono scarse le at-tività inizialmente. E si arrivò così al 1911. Dapprima il 14 gennaio il Sokol e poi il 27 gennaio pure la Jadran op-tarono per la fusione delle due società. Nacque così la nuova Jadran. Questo il nome completo: Hrvatsko veslačko društvo Jadran. In seguito alla fusione non vi furono grossi contraccolpi: ri-mase quasi tutto invariato a livello di Statuto. Subì lievi modifi che soltanto lo stemma societario. Dopo la fusione tra i due club, il numero di canottieri registrò un notevole aumento; a pren-dersi cura delle nuove leve fu in primis Frano Dominis. Un grande allenatore che ha segnato la storia di questa so-cietà, prima a Zara e poi pure a Spala-to, dove si trasferì quando il principale centro urbano della Dalmazia setten-trionale venne incluso nell’ambito del Regno d’Italia.

ALLORO NEL NUOTO Poche inizialmente le attività della nuo-va Jadran. La prima iniziativa che fece salire la società alla ribalta del-le cronache fu quella del 15 agosto 1912 a Crikvenica. Infatti i più forti rematori del club zaratino, Aleksan-dar Vukić e Tomo Polić, partecipa-rono all’undicesima gara internazio-nale, però di nuoto! Ottennero i pri-mi due posti. Questo è oggi ricordato come il primo grande successo della società; la prima medaglia di Alek-sandar Vukić è ancor oggi conserva-ta nelle vetrine della Jadran. Questa è pure una conferma del fatto che i primi canottieri era innanzitutto de-gli sportivi, che praticavano pure al-tri sport per tenersi in forma.

UN PERCORSO IN SALITA La società, subito dopo la sua nascita, si ritrovò a dover affrontare determi-nati problemi: il primo era quello di non poter disputare gare internaziona-li, non facendo parte di alcuna Fede-razione. Infatti, fi n dall’inizio, il club decise di non registrarsi presso la So-cietà delle regate di Trieste. Scelse, invece, la strada di puntare alla costi-tuzione di una Federazione per tutti i club di matrice nazionale croata in Dalmazia e fuori dalla Dalmazia. Non si arrivò a caso a una simile soluzione. Inizialmente la società fece domanda per partecipare alle gare nell’Adriati-co del 1911 all’IR. Rowing Clubu Ita-

liano - Federazione Nazionale delle So-cietà di Canottaggio, sezione Eridane a Torino. La domanda fu respinta e la so-cietà zaratina fu indirizzata a diventa-re membro della Federazione Austria-ca (Oesterreichischer Ruderverband) o della Società delle regate a Trieste. Nel maggio del 1912 la Jadran presentò do-manda di adesione alla FISA (Federa-tion Internationale des Societe’s d’Avi-ron), che pure la respinse, ma che nel contempo propose agli zaratini di fon-dare una propria Federazione.

UNA FEDERAZIONE CRO-ATA AUTONOMA E così si arri-vò all’iniziativa per la costituzione di una Federazione autonoma, i cui pro-motori furono all’inizio Frano Domi-nis e Josip Cortelazzo. Diverse socie-tà furono invitate a far parte di questa nuova associazione. I primi ad accet-tare furono il Neptun di Osijek, il Vu-kovar di Vukovar e la Vila di Fiume. Finalemente nel febbraio 1914 fu pre-sentata la domanda di adesione alla Federazione sportiva della Croazia. La domanda fu accolta e a partire dal 14 aprile divenne operante la nuova Federazione croata di canottaggio. Il 10 maggio 1914 fu eletta la nuova di-rigenza della Jadran: a farne parte fu-rono Marko Mladineo (presidente), l’ing. Gospodnetić (vicepresidente), Frane Ivančević (segretario), Simo Pavlović (tesoriere), Frano Dominis, Niko Niseteo, Ivo Lovrinčević e Pe-legrini (revisori).

Però i venti di guerra si facevano ormai sentire con forza e di lì a poco tutte le attività sportive cessarono.

PAGINE IMPORTANTI E dopo la Prima guerra mondiale il canottag-gio zaratino cominciò a scrivere pa-gine importanti negli annali di questo sport, non soltanto a livello nazionale, ma pure a quello internazionale. I suc-cessi iniziali furono coronati dalla me-daglia olimpica del 1924. Ma di questo ed altro nella prossima puntata.

6 dalmazia Sabato, 13 ottobre 2012

Autentica «chicca» per il Mese del Litasselli di un manoscritto in Beneven

PATRIMONIO Dal 15 ottobre va in mostra il prezioso frammento, acquistato all’asta alla londine

di Ilaria RocchiArmando Petrucci, nell’intro-

duzione al “Codice diplomatico di Tremiti”, afferma che fra il X e XI secolo il mare Adriatico fu un ele-mento unifi cante, una sorta di pon-te per le opposte sponde del Garga-no e della Dalmazia: i contatti e gli scambi commerciali delle popola-zioni che le abitavano erano fre-quentissimi. I benedettini fondaro-no, proprio in quel periodo, nume-rosi monasteri sulle isole antistanti la costa dalmata; la Dalmazia e la Puglia adottarono lo stesso tipo di scrittura, la Beneventana di Bari, o dalmata, grazie alla diffusione che ne fecero i monaci dell’abbazia di San Nicola, nelle Tremiti.

A distanza di dieci e più secoli si torna a parlare di relazioni tra le due rive del “mare nostrum” e ciò in quella orientale, per un prezioso tassello di questi intrecci culturali che le Biblioteche di Ragusa (Du-brovnik) hanno acquisito di recen-te, partecipado a un’asta londinese. Infatti, si sono aggiudicate il fram-mento di un manoscritto del XIII secolo, scritto con la grafi a Bene-ventana, che, secondo gli studio-si, sarebbe nato proprio a Ragu-sa. Il reperto sarà la “chicca” del-la mostra di manoscritti realizzati con la grafi a beneventana conser-vati presso la Biblioteca scientifi -

ca della città dalmata, evento clou del Mese del Libro, che si svolge-rà dal

15 ottobre al 15 novembre. Nel corso della manifestazione sarà ap-punto presentato e discusso questo manoscritto del ‘200 appena ac-quisito. Ne parlerà la studiosa lo-cale Rozana Vojvoda, un’esperta in materia di manoscritti dalmati.Pezzo della presti-giosa Collezione

SchøyenL’esemplare – stimato tra le

3-5mila sterline – fi gurava in un unico lotto, battuto da Sotheby’s, composto da diversi “papiri” pre-sentati come “Storia del mano-scritto: sessanta importanti fogli manoscritti della Collezione Schø-yen” (appartenente a Martin Schø-yen di Oslo, è certamente una delle più importanti raccolte private di questo genere: vi è rappresentata, spesso in esemplari di ecceziona-le qualità e valore, la cultura scritta di quasi tutti i paesi del mondo, da testi su papiro, a codici medievali, a testi buddisti).

L’asta si è svolta il 10 luglio scorso nella capitale britannica e, grazie a una donazione dell’as-sociazione Amici delle antichi-tà di Ragusa, le Biblioteche ra-gusee sono riuscite ad aggiudi-

carsi il reperto. A “passare” l’in-formazione che il manoscritto sarebbe stato messo in vendita era stata la storica dell’arte Flora Tur-ner (nata Vučetić), presidente del-la Società britannico-croata, Joško Belamarić, dell’Istituto per la Sto-ria dell’arte a Spalato, e la studiosa ragusea Rozana Vojvoda.

Ed è stata proprio quest’ulti-ma, che ha conseguito il dottora-to di ricerca sui manoscritti dal-mati in Beneventana, a lanciare l’ipotesi che il frammento “londi-nese” sia di origini ragusee. La da-tazione e la provenienza dalmata sono state accertate invece da Vir-ginia Brown, ricercatrice di respi-ro internazionale, che ha insegnato presso il Pontifi cio Istituto di Stu-di Medievali di Toronto, membro delle più prestigiose accademie mondiali in materia di studi stori-ci e paleografi ci, tra le quali l’Ac-cademia medievale americana e il Comitato internazionale di paleo-grafi a latina. Un consistente lascito

La Brown, scomparsa nel 2009, ha studiato per anni i frammenti in scrittura beneventana, documen-

ti in minuscola medievale usata nell’Italia meridionale e in città dalmate come Ossero, Arbe, Zara, Spalato, Traù, Ragusa e Cattaro, dall’ottavo al sedicesimo secolo – una passione che le aveva instilla-to Elias Avery Lowe, ma che in lei era diventata non solo un tema di ricerca, ma una ragione di vita –, e di cui uno dei manoscritti più rap-presentativi è il “Registro di papa Giovanni VIII” (databile alla pri-ma metà del 1070), composto a Montecassino e contenente lette-re del pontefi ce (872-882) rivolte ai principi croati Zdeslav e Brani-mir (che da questi fu appunto rico-nosciuto “dux Chroatorum” in una missiva del 7 giugno 879), nonché al clero croato.

Ma, a proposito di Beneven-tana dalmata, va ricordato anche il Missale plenum, dell’XI secolo di Traù, conservato alla Biblioteca della Metropoli di Zagabria; quin-di l’Evaneliario di Ossero (oggi nei Musei Vaticani), della secon-da metà dell’anno 1000; nonché l’Evangeliario di Vekenega, in mi-nuscola zarativa (si trova a Ox-ford), circa del 1085, e l’Evange-liario di Traù, della prima metà

del XIII secolo. Ragusa, fa notare la Vejvoda, è la città dalmata più ricca per numero di frammenti in Beneventana: ne possiede una cin-quantina; tra l’XI e il XIII secolo vi operò almeno una scuola scrit-toria beneventana.

Nella sua tesi di dottorato, Ro-zana Vojvoda sostiene che presso il monastero benedettino di Santa Maria sull’isola di Lacroma (Lo-krum) sia indubbiamente esistito uno scrittorio, dal quale uscivano codici in Beneventana, attivo dal tardo XI secolo e più avanti.Ritorno alle origini

Per la direttrice delle Bibliote-che ragusee, Vesna Čučić, l’acqui-sizione del frammento “londinese” – che così torna nel luogo di pro-venienza – è di fondamentale im-portanza per la città e le sue col-lezioni. Si tratta della testimonian-za di un patrimonio di inestimabile valore, che parla della grafi a bene-ventana, ma anche dell’eredità cul-turale della Croazia.

Il discorso delle “origini ragu-see” del manoscritto viene con-fermato da Rozana Vojvoda sulla base di criteri scientifi ci propri del-Esempio di scrittura beneventana

Una grafi a che scrive i rapporti tra le due sponde dell’AdriaticoLa Beneventana” è una grafi a minuscola medievale,

cosi chiamata in quanto originaria del ducato di Beneven-to, nell’Italia meridionale. È stata anche chiamata lango-barda (o longobarda o longobardisca) in quanto trae origi-ne da territori abitati dai Longobardi (Langobardia Minor), e talvolta anche gotica; è stata denominata “beneventana” per la prima volta dal paleografo Elias Avery Lowe (15 ot-tobre 1879 – 8 agosto 1969) in “The Beneventan Script. A History of the South italian Minuscule” (Oxford 1914). La Beneventana, che si distingue nelle tipizzazioni barese e cassinese, è comunemente associata con l’Italia a sud di Roma, ma è stata anche usata nella zona dalmata (nel mo-nastero di San Crisogono di Zara) sotto l’infl uenza barese.

BENEVENTO Questa scrittura, sviluppatasi a parti-re da Benevento, è stata usata approssimativamente dalla metà del VIII secolo fi no al XIII secolo, anche se ne esisto-no esempi fi no al tardo XVI secolo. I centri più importanti della Beneventana sono due: il Monastero di Montecassino e Benevento. La grafi a del tipo barese (“Bari type”, secon-do la defi nizione di Lowe), dove venne creata una variante della grafi a, si sviluppò nel X secolo dalla grafi a di Mon-te Cassino e per infl usso di una minuscola di tipo greco. In generale, questa scrittura è molto spigolosa. In accordo con Lowe, la forma perfetta di questa scrittura fu quella usata

nel XI secolo, quando Desiderio – – era abate di Monte-cassino, dopodiché inizio il suo declino. Nel corso del XIII secolo la scrittura fu sostituita, per impulso delle domina-zioni di Normanni e Svevi e dell’arrivo dell’ordine cister-cense, dalla scrittura gotica, per sopravvivere soltanto in alcuni centri come Montecassino, Cava dei Tirreni e per breve tempo Salerno. Complessivamente ci restano oltre 600 codici in tale scrittura.

DALMAZIA Tipi particolari della scrittura beneventa-na sono quelli di Bari e della Dalmazia, più rotondeggianti nel tratto: in tutto ne esistono meno di 40 codici. Fino alla fi ne del Duecento gli scriptoria della Dalmazia utilizzava-no esclusivamente la scrittura beneventana, caratteristica solo per l’Italia meridionale, mentre gli scritti corredati di miniature dell’XI secolo a Zara ricordano in buona misu-ra opere analoghe create a Montecassino. Fino alla fi ne del Duecento gli scriptoria della Dalmazia utilizzavano esclu-sivamente la scrittura beneventana, caratteristica solo per l’Italia meridionale, mentre gli scritti corredati di miniatu-re dell’XI secolo a Zara ricordano in buona misura opere analoghe create a Montecassino.

MONASTERI I benedettini svolsero un ruolo impor-tante nell’evengelizzazione e nella diffusione della cultura in Dalmazia, regione per la quale si “sparsero” fondando

numerosi monasteri a Zara, Spalato, Traù, Ragusa e così via. Dunque, la Beneventana penetrò in Dalmazia – men-tre dalle parti a nord giungeva in regione la minuscola ca-rolina – grazie alla loro opera, o di quella dei monaci dal-mati che si erano formati in qualche istituto pugliese o a Montecassino, come avvenne per l’abate di Zara, Madio. Il citato A. E. Lowe ha richiamato l’attenzione sulla Bene-ventana in Dalmazia – in tempi più recenti si è occupata del tema Emanuela Elba, autrice del volume “Miniatura in Dalmazia. I codici in beneventana (XI-XIII secolo)”, Ga-latina, Congedo, 2011 – rilevando non solo l’aspetto pale-ografi co ma anche quello più generale, ossia come risul-tato del fl usso di correnti culturali tra le due sponde, che appunto si avverte anche nella calligrafi a come nell’or-namentazione dei libri manoscritti ad opera di scriptoria dalmati. Questi ultimi curavano prevalentemente la Be-neventana tonda: ricorderemo i codici del monastero di San Crisogono a Zara. Inoltre, la Beneventana incise pure sui mutamenti morfologici nei tipi letterari del glagolitico angoloso, prettamente croato, nei libri di carattere sacro, nonché del cirilliano. Insomma, modi di scrivere medie-vali che ci testimoniano una non trascurabile simbiosi la-tino-slava, oltre che i legami tra la Dalmazia e l’Italia, in particolare la Puglia.

dalmazia 7Sabato, 13 ottobre 2012

ibro a Ragusa: ntana del ’200

ese Sotheby’s per poco più di 3mila sterline

Il documento è stato presentato al pubblico di recente dalla presidente della Società croato-britanni-ca, Flora Turner, dalla direttrice delle Biblioteche di Ragusa, Vesna Čučić, e dalla ricercatrice Rozana Vojvoda, che ha conseguito il dottorato di ricerca proprio sul tema della Beneventana, grafi a minusco-la medievale, presente nelle città dalmate. Si tratta di un frammento del Vangelo di San Giovanni, del XIII secolo, che le Biblioteche di Ragusa hanno acquistato all’asta a Londra, da Sotheby’s, per la cifra di 3.125 sterline, grazie anche a una donazione da parte della Società degli amici delle antichità ragu-

see (Društvo prijatelja dubrovačke starine)

Relazioni antichissime e reciprocamente profi cueI rapporti tra il meridione

d’Italia e l’Adriatico orientale sono antichissimi, probabilmen-te risalgono già all’epoca prei-storica. Ad esempil è attestato che nel IV secolo avanti Cristo i Greci che creano le prime colo-ni commerciali sulla coste dalma-te provenivano proprio dalla Si-cilia. Come rilevano diversi sto-rici e studiosi, tra cui Jorjo Tadić (si veda tra gli altri “La Puglia e le città dalmate nel secolo XII-XIII”, in “La Zagaglia: rassegna di scienze, lettere ed arti”, anno II, n. 7, Lecce, settembre 1960, pp. 56-59). Tali relazioni s’inten-sifi carono in periodo romano e si suppone non abbiano subito in-terruzioni nemmeno nell’età me-dievale, dopo la calata degli Slavi verso le regioni adriatiche, consi-derato che tutta l’area era sogget-to all’Impero Romano d’Oriente, alias Bisanzio. I contatti si man-tennero pure sotto i Normanni che, per un periodo protettori di Ragusa (Dubrovnik) – sul fi nire del XII secolo –, s’interessarono alle faccende dalmate.

«OFFENSIVA» Beninteso, tali relazioni non furono sempre “tranquille”, anzi. Tanto per cita-re un episodio, nel 642 si svolse la prima “offensiva” degli Sla-vi della Dalmazia rivolta contro i Longobardi del Sud d’Italia, nel-le regioni presso il Monte Garga-no, a Siponto, cui seguirono al-tre loro spedizioni, portate avan-ti per tutelare gli interessi di altri, tra cui Franchi, Bizantini, Sarace-ni, Normanni (questi si “vendica-rono” nel 1075/76, con tremende

devastazioni, deportazioni, ridu-cendo in schiavitù numerosi uo-mini, tra cui persino il re croato Dmitar Zvonimir).

Dunque, le ragioni che han-no determinato l’avvicinamento tra le due realtà sono esistite per secoli e sono di diverso carattere, geografi co, economico e cultura-le. Affacciate l’una all’altra, non hanno avuto diffi coltà a comuni-care e mantenere reciproci contat-ti. Inoltre, erano spinte a “dialo-gare” anche da motivi economici: la Puglia, ad esempio, produce-va grano, di cui viceversa la Dal-mazia scarseggiava; d’altra parte, per il tramite dei dalmati l’Italia meridionale, e in primo luogo la Puglia, riceveva dalla penisola balcanica diverse materie prime, nonché schiavi.

ALLEATO Ma un’alleato ol-tremare poteva venir bene anche per contrastare le potenze che in quel periodo si contendevano la supremazia sulla Dalmazia, come i re d’Ungheria, la Repubblica di Venezia, l’Impero bizantino e gli stessi Normanni. Interessi reci-proci, quindi, le spingeva a in-tratterere profi cue relazioni di scambi, tant’è che Ragusa pen-sò bene di stringere patti com-merciali e di amicizia con va-rie città del Sud italiano, come Molfetta (1148), quindi Ravenna (1188), Fano e Ancona (1199); ai primi del XII aveva intessuto una rete fi tta di rapporti con cit-tà pugliesi: Bari e Monopoli nel 1201, Termoli nel 1203, nuova-mente Molfetta nel 1208, Bisce-glie nel 1211... In tutti questi trat-

tati si garantiva vicendevolmente la sicurezza degli averi. Non è da escludere che esistessero anche prima della loro forma per così dire uffi ciale: è molto probabi-le che derivassero da pratiche e usanze precedenti, forse anche secolari, che ora venivano messi per iscritto.

SCAMBI Si parlava di scam-bi: attraverso i porti dell’Adriati-co orientale arrivavano in quello occidentale metalli come l’argen-to e il piombo, legname, pellicce, cavalli e altre materie prime; la Dalmazia, oltre al grano puglie-se, importava pure il sale: infat-ti, non produceva quantità suffi -cienti a coprire il proprio fabbiso-gno. Inoltre, dalla Puglia giunge-vano tendenze e fermenti artistici e culturali, in particolare fra la fi ne dell’XI e il XIV secolo. Gli affreschi conservati nella chiesa di San Michele a Stagno (Ston), denotano chiaramente infl ussi della pittura benedettina dell’Ita-lia meridionale. La scultura della Dalmazia dal XII al XIV secolo ha subito, indubbiamente, il forte infl usso della scultura pugliese: i capitelli della cattedrale di Traù, della fi ne del XIII secolo o inizi XIV, rimandano ai capitelli di Ca-stel del Monte, senza dimentica-re l’apporto di “Simon Raguseus, habitator Tranensis”, Simeone da Ragusa (Šimun Dubrovčanin per i croati), che realizzò il bel por-tale della chiesa di San’Andrea a Barletta, che certamente non sarà stato l’unico scultore e tagliapie-tre ad aver varcato il mare e lavo-rato sulle sponde italiane.

Commento al Vangelo di San Giovanni

“In Iohannis Evangelium tractatus” (Commento al Van-gelo di San Giovanni) è una delle opere più ispirate e più valide di Sant’Agostino, elabo-rata in un arco di tempo piutto-sto ampio (406-420) e – come attesta l’elevato numero di co-dici che ce l’ha tramandata – va annoverata fra i testi più letti e ricopiati del fi losofo, vescovo cattolico e teologo latino, detto anche Doctor Gratiae.

È costituita da centoventi-quattro discorsi, nati nel corso di vari anni (non meno di tre lustri). I primi cinquantaquat-tro sono prediche fatte ai fede-li e messe per iscritto dai tachi-grafi ; gli altri settanta sono stati dettati e letti da altri. Giovanni Reale la presenta in una forma

nuova, che cerca di ricostruire e riprodurre il ritmo del parla-to, i possibili silenzi, le riprese. l’ariosità che in questo modo viene data ai vari Discorsi li rende assai più leggibili, frui-bili e godibili, rispetto alla loro presentazione in blocchi com-patti, come di solito vengono presentati.

Nel “Saggio introduttivo” vengono presentati la struttu-ra logica, i fondamenti meto-dologici, fi losofi ci e teologici dell’opera e in più punti viene fatto vedere in cosa consista la rivoluzione agostiniana rispetto al pensiero fi losofi co antico-pa-gano, e per quali ragioni Ago-stino sia da considerare davve-ro per molti aspetti il padre spi-rituale dell’Europa.

la paleografi a, ossia del suo aspet-to generale, che per la sua ango-latura e la morfologia rimanda ad alti frammenti di documenti del XIII secolo conservati a Ragusa – Biblioteca scientifi ca, monasteri domenicano e francescano, Archi-vio di Stato – o che sono di origini ragusee, come quelli di Chantilly e Graz.

Vojvoda spiega che a Ragusa gli scrittori del XIII secolo adot-tarono una forma specifi ca di gra-fi a beneventana, contraddistinta da una pronunciata angolatura,

caratteri non uniformi, lieve-mente inclinati a destra o a sini-stra, frequenti spaziature tra la let-tera e la linea di base... in sostanza un tipo di scrittura che si discosta dal tipo di callibrafi a beneventana dell’XI secolo.

Tra i documenti presi in esame dalla studiosa, conservati nella sua città, e che presentano tratti molto simili al frammento comprato da Sotheby’s, fi gurano un frammen-

to del 1200 anch’esso contenente l’opera di Sant’Agostino, “Tracta-tus in Iohannem” (si trova al Con-vento francescano ed è frammen-tato in sei minuscola parti incol-late a un codice del XVI secolo), come pure quello “londinese”; quindi un codice, ossia un Missa-le coevo conservato alla Bibliote-ca scientifi ca “Juraj Habdelić” di Zagabria, ma di proprietà della bi-blioteca del monastero gesuita ra-guseo.

La Collezione di Martina Mar-tin Schøyen conterrebbe anche un altro foglio di probabile deri-vazione ragusea, datato XI seco-lo, anche questo in Beneventana tonda e relativo al citato scritto di Sant’Agostino. Frammenti del medesimo manoscritto si trova-no nelle biblioteche dei monasteri francescano e domenicano di Ra-gusa, e presso altre collezioni (Ar-chivio di Stato a Parma e, a Blo-omington, all’Indiana University, Lilly Library).

8 dalmazia Sabato, 13 ottobre 2012

“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat Edizione: DALMAZIARedattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Teo SuperinaCollaboratori: Mario Simonovich, Ilaria Rocchi, Igor Kramarsich e Dino Saffi

Anno VII / n. 72 del 13 ottobre 2012

L’avvento dell’Europa «isola» RagusaCOLLEGAMENTI All’UE l’ultima parola per superare «l’anomalia territoriale»

di Dino Saffi

L’Europa ha compreso la delicatezza della posizio-ne in cui si ritroverà l’area

ragusea dopo l’ingresso a pie-no titolo della Croazia nell’UE. Qualche soluzione per lenire i disagi degli abitanti della Perla dell’Adriatico e del suo compren-sorio dovrà pur sempre essere tro-vata. Per tale motivo l’Unione eu-ropea ha approvato un fi nanzia-mento di 200mila euro per lo stu-dio preliminare di fattibilità per la costruzione del ponte di Sab-bioncello che dovrebbe costitu-ire il bypass croato dell’enclave costiera bosniaca di Neum. Per il governo di centrosinistra a Za-gabria è una prima vittoria, giac-ché dopo le pressioni dell’opposi-zione ha giocato la carta dei fondi europei per la costruzione dell’in-frastruttura, che del resto, è anche nell’interesse di Bruxelles visto che il luglio del prossimo anno la Croazia, se tutto andrà per il verso giusto, sarà la ventottesima stella d’Europa.

IL CONFINE ESTERNO DELL’UNIONE E la frontiera croata diventerà il confi ne esterno dell’Unione verso i Balcani occi-dentali. Ma, e questo viene rile-vato con forza soprattutto a Sa-rajevo, nello studio di fattibilità dovrebbero essere analizzate an-che tutte le altre possibili soluzio-ni inerenti al collegamento. Com-preso il corridoio in territorio bo-sniaco come vorrebbe la Bosnia, la quale teme che il ponte possa precludere il suo accesso al mare aperto da Neum. Se il progetto del ponte dovesse ottenere il via libera, la Croazia potrebbe otte-nere dall’UE per la realizzazio-ne dell’opera un contributo pari all’85 per cento dell’investimen-to.

UN PARADOSSO È davvero paradossale il fatto che in un’Eu-ropa senza confi ni, a soffrire le conseguenze dell’ampliamento dell’UE siano proprio la magnifi -ca Ragusa (Dubrovnik), città me-dievale fortifi cata di straordinario fascino, e la sottile striscia costie-ra che la circonda, ovvero il lem-bo meridionale della Dalmazia, una striscia di terra a ridosso del mare, lunga una cinquantina di chilometri e larga non più di 10.

Ragusa è testimonianza di una storia antica, città di indipenden-za e di commercio. Ma l’anomalia territoriale che per secoli è stata il punto di forza dell’antica repub-blica marinara rivale di Venezia potrebbe divenire il suo tallone d’Achille, sottraendo fl ussi com-merciali e soprattutto turistici e dirottandoli altrove.

CROAZIA SPEZZATA IN DUE Forse soltanto proprio ora balza alla luce il fatto che la Cro-azia (e di conseguenza la Dalma-zia) è davvero spezzata in due. La parte settentrionale del territo-rio croato (quasi la totalità dei 56 mila chilometri quadri di superfi -cie del Paese) è divisa da quella meridionale da un lembo di terra lungo pochi chilometri che è terri-torio bosniaco: è l’area di Neum, una delle stranezze geografi che d’Europa, l’unico sbocco della Bosnia ed Erzegovina sul mare.

CONTROLLI FRONTA-LIERI Si tratta di un problema minimo, oggi che sia la Croazia che la Bosnia non sono parte della UE, e che i controlli alle frontiere dei due Paesi sono tutto sommato

minimi e rapidi. Ma quando, dal 1.mo luglio 2013, Zagabria entre-rà di diritto a far parte dell’Unio-ne Europea, le cose cambieranno. Il lembo maggioritario settentrio-nale della Croazia sarà allaccia-to alla Slovenia e all’Ungheria, e quindi parte integrante del territo-rio dell’Unione. Non altrettanto accadrà all’area di Ragusa, Ragu-savecchia (Cavtat) e alla peniso-la di Sabbioncello, di fatto un’en-clave racchiusa tra il territorio bosniaco e quello montenegrino. Nei pressi della località di Neum, per arrivare all’area ragusea bi-sognerà superare due frontiere in 10 chilometri circa. E si tratterà di frontiere tra UE e un Paese extra-comunitario, con annessi control-li a tappeto su persone e merci, e prevedibili lungaggini burocrati-che, code e attese.

AGGRAVIO DI COSTI Un impedimento che alla lunga po-trebbe fi nire per scoraggiare i vi-sitatori. Gli stranieri ad esempio, per aggirare l’ostacolo, avrebbero come possibile soluzione quella di arrivare in aeroporto a Ragusa o via mare partendo da Bari: si-tuazione quest’ultima appetibile per chi arriva dal centro-sud ita-liano, non certo per chi proviene dall’Europa centrosettentriona-le. Con un aggravio di costi non indifferente. Altra opzione, quel-la imbarcarsi su un traghetto a Ploče, servizio che già esiste, e di lì raggiungere lo scalo di Trpanj sulla penisola di Sabbioncello e dirigersi poi verso Ragusa, senza passare confi ni. Chiaro che si al-lungano i chilometraggi e i tempi: benché la tratta da attraversare per mare sia dell’ordine dei 10 chilo-metri, vanno conteggiati tempi d’attesa e imbarco. E il prevedi-bile sovraccarico di traffi co che la verisimile maggiore diffi col-tà di attraversamento del confi ne porterebbe su questo servizio tra-ghetti di linea e sulla via di acces-so in ambo i sensi.

TUTTA... COLPA DEI TUR-CHI Se lo spezzettamento del ter-ritorio croato è di per sé curioso, ancor più curiosa è la vicenda sto-rico-politica che ne è all’origine. Si deve risalire alla fi ne del di-ciassettesimo secolo, quando la pur ricca e prosperosa Repubbli-ca di Ragusa doveva fronteggiare la regina dei mari, Venezia. Stret-ta sul mare dallo strapotere della Serenissima, e su terra dall’Impe-ro Ottomano, Ragusa cedette quel lembo di terra non particolarmen-te ricco e poco abitato ai Turchi, che, occupandolo, schermaro-no virtualmente la città rispetto alla potentissima rivale. Assieme a Neum all’Impero Ottomano fu concesso pure lo sbocco al mare di Sutorina nelle Bocche di Cat-taro.

ORGOGLIOSA AUTONO-MIA Forte della presenza otto-mana e delle proprie stesse mura, la Repubblica ragusea non cedette mai il fulcro del suo territorio, ov-vero la sua orgogliosa autonomia non venne mai meno per secoli. Fu costretta a soccombere soltan-to dinanzi alle truppe francesi di Napoleone, all’inizio dell’Otto-cento. Ma del resto lo stesso de-stino toccò alla Serenissima.

NEUM E SUTORINA Neum, poi, nella successiva frammenta-zione dell’area dei Balcani occi-dentali, rimase sempre appannag-gio della Bosnia ed Erzegovina. Oggi, quel colpo di genio strate-gico dei governanti della città di

La ratifi ca dell’accordo confi nario con la Bosnia permetterebbe di procedere alla costruzione del ponte di Sabbioncello senza il rischio di veti da parte di Sarajevo. Per sensibilizzare le autorità sull’esigenza di partire con il progetto di costruzione, le associazioni dei reduci di guerra e dei barcaioli hanno crea-

to di recente un simbolico “ponte di barche” tra la terraferma e Sabbioncello

Arte e cultura tra le due sponde:convegno scientifi co a Zara

Realizzato in collaborazione con l’Ateneo di Padova

ZARA – L’Università di Zara ospiterà dal 25 al 27 ottobre prossimi il convegno “Letteratu-ra, arte, cultura tra le due spon-de dell’Adriatico ed oltre”. Sarà questo l’ottavo convegno scien-tifi co internazionale in ordine di tempo, organizzato nell’ambito del progetto di cooperazione di-dattico-scientifi ca tra l’Universi-tà di Zara e l’Università di Pado-va (Dipartimenti di Italianistica), sotto gli auspici della Municipa-lità di Zara e con l’appoggio del-la Contea di Zara e del Comune di Preko. L’incontro di quest’an-no, che si articolerà tra Zara e Ol-tre (Preko) sull’isola di Ugliano (Ugljan), sarà dedicato al fon-datore del Dipartimento di ita-lianistica zaratino, l’accademico Žarko Muljačić (1922 – 2009). Rientrerà, inoltre, nell’ambi-to delle celebrazioni del decimo anniversario del rinnovamento dell’Ateneo locale. Al convegno, oltre a docenti e scienziati zarati-ni e padovani, parteciperanno an-che professori di altre università croate e straniere. Saranno così presenti tra gli altri docenti di Pola, Fiume, Zagabria, Spalato,

Banja Luka, nonché dell’Univer-sità G. d’Annunzio Chieti – Pe-scara. Interverranno pure esperti montenegrini.

Nel Comitato d’onore del convegno fi gurano Zvoni-mir Vrančić, sindaco di Zara, Đani Bunja, vicepresidente del-la Contea di Zara e Ante Jero-limov, sindaco del Comune di Preko. Del Comitato scientifi co

organizzativo fanno parte Živko Nižić, Nedjeljka Balić-Nižić e Andrijana Jusup Magazin.

Nel corso del convegno verranno trattati diffusamente soprattutto temi riguardanti la Dalmazia, la sua arte e la sua letteratura che risentono della simbiosi e degli intrecci cul-turali italo-croati nell’Adria-tico.

San Biagio oltre 300 anni fa, per anni il suo punto di forza, rischia di diventarne il tallone d’Achil-le. Va rilevato che, al contrario di Neum, Sutorina cambiò “padro-ne”. Dopo la seconda guerra mon-

diale non si ritrovò ad essere par-te integrante del territorio bosnia-co e nemmeno di quello croato, ma fu ceduta all’allora Repubblica socialista del Montenegro. E per tale motivo oggi la Croazia nel-

le Bocche di Cattaro confi na sul-la terraferma proprio con il territo-rio montenegrino. Se Sutorina fos-se rimasta bosniaca, l’area ragusea sarebbe di fatto... un’enclave croa-ta in territorio bosniaco.

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