26
Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una breve storia Giuseppe Venanzoni 1. Introduzione Il presente saggio ripercorre in termini molto sintetici la storia dell’analisi economica quantitativa, dalla nascita dell’Aritmetica Politica alla fine del XVII secolo agli attuali sistemi di Contabilità Nazionale: lo SNA93 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e il SEC95 dell’Unione Europea (UE). Questo saggio in particolare giunge ai primi decenni del XX secolo, periodo in cui i principali contributi della scuola neoclassica, maturati in forma definitiva, hanno permeato profondamente il moderno assetto teorico della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani fino ai giorni attuali. È una storia legata allo sviluppo economico e sociale delle nazioni moderne, e si intreccia con quelle del pensiero economico da un lato, e dello studio statistico dell’economia e della società dall’altro. Quest’ultimo aspetto, trascurato a volte dagli storici del pensiero, è fondamentale poiché ha consentito di verificare con misure empiriche la validità dei concetti teorici via via elaborati. Al perfezionamento delle conoscenze quantitative negli ultimi tre secoli hanno contribuito: lo sviluppo della metodologia statistica; la diffusione dei censimenti; l’introduzione delle rilevazioni campionarie; la crescente disponibilità di dati amministrativi, per l’attività sempre più estesa delle organizzazioni pubbliche moderne; il loro utilizzo più sistematico, facilitato di recente dai progressi informatici nella gestione delle basi-dati. La trattazione ripercorre necessariamente quella molto più vasta del pensiero economico in generale, del cui sviluppo le opere di molti degli Autori richiamati costituiscono momenti centrali. L’attenzione è tuttavia rivolta all’analisi quantitativa dei fenomeni economici (definizione, misura, e studio dei comportamenti empirici): sono pertanto tralasciati gli sviluppi puramente teorici, con l’eccezione di quelli che hanno avuto riflessi, anche non immediati, sugli studi quantitativi. Anche con tali limitazioni, affrontare un argomento così vasto in due saggi può apparire temerario. In effetti questi hanno origine nelle lezioni che da diversi anni svolgo nei corsi istituzionali di Statistica Economica presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università “La Sapienza” di Roma. Lo

Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una breve storia

Giuseppe Venanzoni

1. Introduzione

Il presente saggio ripercorre in termini molto sintetici la storia dell’analisi economica quantitativa, dalla nascita dell’Aritmetica Politica alla fine del XVII secolo agli attuali sistemi di Contabilità Nazionale: lo SNA93 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e il SEC95 dell’Unione Europea (UE). Questo saggio in particolare giunge ai primi decenni del XX secolo, periodo in cui i principali contributi della scuola neoclassica, maturati in forma definitiva, hanno permeato profondamente il moderno assetto teorico della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani fino ai giorni attuali.

È una storia legata allo sviluppo economico e sociale delle nazioni moderne, e si intreccia con quelle del pensiero economico da un lato, e dello studio statistico dell’economia e della società dall’altro. Quest’ultimo aspetto, trascurato a volte dagli storici del pensiero, è fondamentale poiché ha consentito di verificare con misure empiriche la validità dei concetti teorici via via elaborati. Al perfezionamento delle conoscenze quantitative negli ultimi tre secoli hanno contribuito: lo sviluppo della metodologia statistica; la diffusione dei censimenti; l’introduzione delle rilevazioni campionarie; la crescente disponibilità di dati amministrativi, per l’attività sempre più estesa delle organizzazioni pubbliche moderne; il loro utilizzo più sistematico, facilitato di recente dai progressi informatici nella gestione delle basi-dati.

La trattazione ripercorre necessariamente quella molto più vasta del pensiero economico in generale, del cui sviluppo le opere di molti degli Autori richiamati costituiscono momenti centrali. L’attenzione è tuttavia rivolta all’analisi quantitativa dei fenomeni economici (definizione, misura, e studio dei comportamenti empirici): sono pertanto tralasciati gli sviluppi puramente teorici, con l’eccezione di quelli che hanno avuto riflessi, anche non immediati, sugli studi quantitativi.

Anche con tali limitazioni, affrontare un argomento così vasto in due saggi può apparire temerario. In effetti questi hanno origine nelle lezioni che da diversi anni svolgo nei corsi istituzionali di Statistica Economica presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università “La Sapienza” di Roma. Lo

Page 2: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

2

sviluppo della Contabilità Nazionale è trattato da autori che costituiscono un riferimento obbligato per chi si avvicina a tale campo di ricerca (Studenski, 1958; Kenessey, 1994; Vanoli, 2005). Si tratta però di opere non sempre facilmente accessibili, in particolare agli studenti, e consultate in genere solo dagli studiosi della disciplina. In mancanza di una specifica trattazione nei manuali universitari (esemplare fra questi, per capacità di trattazione e rigore, nonostante il passare degli anni ed il mutamento dei sistemi contabili di riferimento, è il Giannone, 1992), sempre più ho avvertito l’inadeguatezza dell’approccio consueto seguito nei corsi di base: introdurre e illustrare direttamente l’impostazione attuale della Statistica Economica senza ricordarne origini e sviluppo, rinviando al più ai corsi di Contabilità Nazionale per gli approfondimenti opportuni. È un’impostazione autoreferenziale (le statistiche ufficiali e gli aggregati economici sono ciò che sono perché così è scritto nei manuali dell’ISTAT o dell’EUROSTAT), e molto più nozionistico (in senso deteriore) di un approccio che ripercorra anche brevemente la storia delle discipline che hanno contribuito a creare l’attuale sistema delle statistiche economiche. È inoltre un doveroso omaggio al lavoro di quanti hanno contribuito – con le intuizioni originali, la pertinacia e il rigore del lavoro scientifico, e in non pochi casi con gli errori commessi - al lento e progressivo coagularsi e cristallizzarsi di idee avvenuto nel corso di quasi 350 anni.

I richiami presentati possono consentire di formarsi una immagine sintetica ed essenziale di tale percorso. La bibliografia essenziale richiamata alla fine del lavoro permette inoltre al lettore interessato di iniziare un percorso più sistematico di ricerca di tale fondamentale campo di studi.

La prima stima del reddito nazionale, relativa all’Inghilterra, risale al 1664: non è ancora emersa, fino ad oggi, alcuna precedente traccia di tale originale approccio quantitativo allo studio dell’economia. Al suo autore, Petty, è così attribuita la paternità della Contabilità Nazionale, da lui definita Aritmetica Politica. I tre secoli e mezzo che ci separano da tale data possono essere suddivisi, a grandi linee, in tre parti.

La prima è quella delle origini e degli sviluppi iniziali: le idee di Petty furono riprese, sporadicamente prima e in maniera più sistematica poi, da altri studiosi che elaborarono successive stime del reddito nazionale, a cominciare da Francia, Inghilterra e Olanda. Nel corso di tali sviluppi furono approfonditi e chiariti alcuni rilevanti concetti teorici – con i contributi fondamentali, a volte su posizioni opposte, di autori come Quesnay, Smith, Marx e Marshall - ed affinate al tempo stesso le metodologie empiriche. Questo periodo può considerarsi concluso nei primi decenni del XX secolo, quando a livello teorico si giunse ad alcuni punti fermi sui concetti e principi fondamentali, riassumibili per brevità nei canoni del pensiero neoclassico. Contemporaneamente, in

Page 3: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

3

diverse nazioni appositi enti pubblici iniziarono a sostituirsi ai singoli studiosi nelle elaborazioni empiriche. I conti nazionali entrarono così a far parte delle statistiche ufficiali, accanto ad un insieme di informazioni statistiche di dettaglio su molteplici aspetti economici e sociali (occupazione, prezzi, commercio estero, etc.).

La seconda parte, molto più breve ma ricca di sviluppi essenziali, si colloca nei due decenni successivi al 1930. Le conseguenze della prima guerra mondiale (1914-18), la crisi del sistema economico internazionale per la grande depressione degli anni ‘30, il secondo conflitto mondiale (1939-45), e infine le nuove tensioni nate con l’inizio della guerra fredda (1946-47), con i loro devastanti effetti politici e sociali, acuirono gli sforzi volti a comprendere meglio il funzionamento dei sistemi economici di mercato, sotto il profilo sia teorico (nascita della macroeconomia keynesiana), sia empirico. I due aspetti sono intrecciati. Le statistiche ufficiali prodotte a livello governativo furono sempre più utilizzate per valutazioni e confronti, a scopo scientifico, politico, economico, sociale e militare: ciò portò alla necessità di standardizzare metodologie e applicazioni, e quindi inevitabilmente principi e concetti. Tale attività, iniziata con la Società delle Nazioni negli anni ’20 e completata poi con l’ONU alla fine degli anni ’40, vide l’influenza determinante di Keynes e il contributo essenziale di Stone. Fu così perfezionato in termini formali ed assiomatici lo schema di costruzione e presentazione degli aggregati economici alla base della Contabilità Nazionale attuale, che recepì inoltre i principi fondamentali della macroeconomia keynesiana.

La terza parte inizia dal secondo dopoguerra ed arriva ai giorni nostri. Il confronto scientifico fra le ricerche intraprese nei diversi paesi – su impostazioni teoriche, metodologie e procedure statistiche – portò nel 1953 alla compilazione in sede ONU del primo manuale di Contabilità Nazionale: il System of National Accounts (SNA53). Sempre più paesi hanno da allora iniziato a costruire correntemente i conti nazionali, migliorando progressivamente l’informazione economica quantitativa. Una variante del sistema ONU è stata adottata dai sistemi ad economia pianificata (Urss, Cina ed altri paesi del socialismo reale) portando al Material Product System (MPS), ottenuto modificando alcuni principi dello SNA53 per adeguarli ai canoni dell’ortodossia marxista. Lo stesso successo teorico ed empirico dello SNA, progressivamente esteso a praticamente tutti i paesi aderenti all’ONU, ha portato a successive revisioni necessarie per affinarne principi e metodologia, fino a giungere al sistema attuale (SNA93). Uno sviluppo parallelo è stato seguito dal 1970 nei paesi della Comunità Economica Europea (CEE), divenuta poi l’Unione Europea (UE), con un proprio sistema contabile: il Système Européen de Comptes Économiques Intégrés (SEC70, successivamente rivisto e aggiornato fino all’attuale SEC95), caratterizzato da alcune minori ma

Page 4: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

4

significative differenze rispetto allo SNA. Con la scomparsa pressoché totale dei regimi del socialismo reale dopo il 1989, e la conseguente transizione dall’economia pianificata a quella di mercato, il sistema MPS è stato progressivamente abbandonato e sostituito dallo SNA93, o dal SEC95 per i paesi interessati all’ingresso nella UE.

Parallelamente allo sviluppo dei sistemi di conti nazionali, dalla metà del XX secolo è cresciuta in modo esponenziale l’analisi empirica, sotto l’impulso degli sviluppi della Teoria Economica e dell’Econometria (disciplina che ha visto l’applicazione dei principi probabilistici all’analisi delle osservazioni). La crescita quantitativa e qualitativa delle rilevazioni statistiche ha aperto nuovi campi di interesse, sotto il profilo macroeconomico - di cui i conti nazionali sono una rappresentazione sintetica ma non esaustiva - e in misura crescente microeconomico: analisi del comportamento di singoli agenti (persone, famiglie, imprese, etc.). Lo studio della variabilità del comportamento di collettivi – dati riferiti a singole unità (analisi cross-section), spesso organizzati in modo cronologico (serie storiche), o territoriale (serie spaziali), o combinando più modalità (serie panel) – ha fornito a sua volta ulteriore impulso alle rilevazioni statistiche, in un circolo virtuoso continuo.

La trattazione dei punti salienti dell’analisi quantitativa dalla fine del XVII secolo agli inizi del XX, oggetto di questo saggio, è articolata in quattro gruppi di argomenti, individuati per brevità dall’autore e la scuola di pensiero principali: Petty e gli Aritmetici Politici si riferisce alla prima formulazione in termini moderni dell’analisi quantitativa a fine ‘600; Quesnay e i Fisiocratici è dedicato ai contributi caratterizzati dalla considerazione del flusso circolare del reddito a metà ‘700. Smith e i Classici tratta delle diverse correnti di pensiero contraddistinte dalla teoria del valore-lavoro fino a metà ‘800; tale argomento, per la sua estensione, è articolato in due paragrafi, cui segue uno specifico paragrafo dedicato al parallelo sviluppo delle stime empiriche. Marshall e i Neoclassici richiama infine gli sviluppi della scuola dell’utilità marginale fino ai primi decenni del ‘900; anche questo argomento è suddiviso in due paragrafi, cui segue un paragrafo conclusivo dedicato allo sviluppo internazionale delle stime ‘ufficiali’, fino alla soglia della moderna Contabilità Nazionale.

2. Petty e gli Aritmetici Politici

Sir William Petty (1623-87), medico di professione, è considerato il caposcuola dell’Aritmetica Politica e l’autore del concetto di Reddito Nazionale, da lui introdotto nelle opere Verbum Sapienti e Political Arithmetick del 1664 e 1676, pubblicate entrambe postume (1690-91). Secondo il suo ideatore, l’Aritmetica Politica tratta di fenomeni sociali “in termini di Numero,

Page 5: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

5

Peso o Misura” piuttosto che con “Parole comparative o superlative”. Petty definì il “Reddito della popolazione” come la somma del “Valore annuo del Lavoro della Popolazione e del Ricavo annuo dello Stock o Ricchezza della Nazione”, anticipando così la moderna distinzione fra reddito da lavoro e da capitale (somma di rendite, interessi e profitti). Il Lavoro include l’attività delle persone occupate nelle attività agricole, manifatturiere e dei servizi (governativi, militari, mercantili e professionali); il Reddito è poi definito anche come somma della “Spesa annua della Popolazione e del Surplus non speso”, anticipando la moderna applicazione macroeconomica del principio della partita doppia, che porta all’identità fra produzione e impiego delle risorse:

La stima originale di William Petty, 1664 (milioni di sterline) Reddito Spesa

Dalla Terra 8 Alimentari, Abitazioni, Da altre proprietà Personali 7 Abbigliamento e le 40 Dal Lavoro della Popolazione 25 altre necessità

Totale 40 Totale 40

Le osservazioni che una popolazione prospera si caratterizza per un

“Reddito maggiore della Spesa” e che la “Ricchezza o Stock della Nazione è il risultato del Lavoro passato” denotano l’intuizione di Petty che l’accumulazione (il reddito passato non speso) è la chiave dello sviluppo economico. In alcuni passi delle sue opere si può infine cogliere un’anticipazione della teoria del moltiplicatore, formulata da Keynes quasi tre secoli dopo. I suoi contributi sono quindi molteplici: introduzione del concetto di reddito nazionale; formulazione di tale concetto secondo il modello ‘estensivo’ (alternativo a quello ‘restrittivo’ che vedremo in seguito), nei termini sia dei fattori produttivi (lavoro e capitale) che dei settori di attività economica (cruciale è l’inclusione dei servizi); esposizione della fondamentale relazione di equilibrio statico delle risorse di un’economia; intuizione delle caratteristiche dinamiche del processo di accumulazione. Petty non si limitò a formulare concetti pur così innovativi per il suo tempo, ma li tradusse nella prima misura empirica del reddito nazionale, ottenuta moltiplicando il totale della popolazione inglese per una stima della spesa media pro-capite, ed utilizzando il principio dell’eguaglianza reddito-consumo nell’ipotesi (inesatta ma non lontana dalla realtà) di surplus (o risparmio) nullo. Suddivise poi tale reddito nelle componenti da capitale e lavoro, stimando in base a superficie e canone medio le rendite agricole totali (la parte all’epoca più rilevante dei redditi da capitale) ed ottenendo per residuo l’altra componente. Queste valutazioni furono poi utilizzate per altre ricerche, fra cui la stima della capacità di tassazione (la base imponibile, in termini moderni), e il confronto della ricchezza materiale fra Inghilterra, Francia e Olanda, i tre paesi direttamente concorrenti sul piano economico, politico e militare.

Page 6: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

6

Per quanto possa oggi fare sorridere la metodologia di quelle stime – Smith riassunse l’opinione di consenso degli economisti del XVII secolo con l’affermazione: “non ho molta fiducia nell’aritmetica politica”, una posizione che di tanto in tanto riaffiora fra gli economisti teorici e i giornalisti economici – non c’è dubbio che tutti i principi e le potenzialità della moderna analisi quantitativa del reddito fossero già presenti. La novità dell’opera di Petty può essere maggiormente apprezzata considerandola sullo sfondo della corrente di pensiero allora prevalente, il Mercantilismo, il cui tema centrale è stato brillantemente sintetizzato come “guerra economica per il guadagno della nazione”. Secondo i mercantilisti l’obiettivo fondamentale dell’attività economica è l’accumulazione di metalli preziosi, da conseguire, per paesi privi di miniere come Inghilterra e Francia, con un commercio internazionale aggressivo e sostenuto dallo Stato (il termine ‘politica economica’ è del 1615), secondo la lucida espressione di Francis Bacon (1561-1626):

“Siano così poste le fondamenta di un commercio vantaggioso tale che l’esportazione dei nostri beni sia maggiore dell’importazione di quelli stranieri, così che saremo sicuri che le riserve del Regno cresceranno, poiché il saldo commerciale deve essere pagato in moneta o metalli preziosi”. (Spiegel, 1991; p. 99)

La nascita dell’Aritmetica Politica non fu accidentale, ma un effetto delle correnti intellettuali che dopo il Rinascimento portarono gli studiosi verso l’analisi empirica, il metodo sperimentale, la ricerca quantitativa. Petty – vissuto nel secolo di Descartes, Galileo, Newton e Leibniz – fece parte della cerchia di John Graunt (1620-74), il cui lavoro sulle tavole di mortalità è un passaggio fondamentale della statistica moderna. Il Parlamento inglese del XVII secolo (periodo molto turbolento) varò una serie di leggi che migliorarono la conoscenza quantitativa di vari aspetti economici e sociali: dalla tenuta dei registri parrocchiali, alle norme sulla navigazione e sul commercio marittimo, alla revisione del catasto fiscale (risalente al Domesday Book normanno dell’XI secolo). Tutto questo ne costituiva la premessa, ma l’originalità dell’opera di Petty emerge comunque.

Fra gli altri studiosi dell’epoca il più importante è Gregory King (1648-1712), autore nel 1696 di una nuova valutazione del reddito nazionale inglese, fondata su fonti statistiche e metodi di calcolo più raffinati della precedente. L’importanza di King è nella metodologia più che nei risultati (prossimi a quelli di Petty): la sua valutazione degli aggregati combinò i tre momenti del circuito del reddito (produzione, distribuzione ed impiego), di cui mostrò la fondamentale identità; utilizzò inoltre in maniera brillante fonti amministrative (registri fiscali) riclassificate alla luce di concetti sociali (suddivisione in classi della società). Il suo procedimento di stima, molto più articolato e documentato di Petty, consentiva la ripetibilità dei risultati e quindi la verifica della loro

Page 7: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

7

attendibilità: passo essenziale del metodo scientifico sperimentale, e caratteristica dei moderni sistemi di dati statistici. La sua opera, pubblicata purtroppo postuma dopo quasi un secolo (1802), ebbe però un’influenza limitata e indiretta sul pensiero economico. Alcune copie manoscritte circolarono in un ristretto gruppo di studiosi, fra cui Charles Davenant (1656-1714), scrittore e uomo politico influente della sua epoca, che espose e divulgò i concetti e le stime di King. Altri importanti studiosi furono: Arthur Young (1741-1820), cui si deve una stima del reddito nazionale inglese agli inizi della rivoluzione industriale (1770), basata su molteplici e più attendibili fonti statistiche; un primo ministro (William Pitt il giovane, nel 1798) che utilizzò i suoi studi per illustrare al Parlamento la proposta di finanziare le guerre napoleoniche con una tassa progressiva sul reddito; Friederich Gentz (1764-1832), che rivedette le stime di diversi autori precedenti per ricondurle al concetto ‘restrittivo’ del reddito proposto nel frattempo da Smith.

Sviluppi vi furono anche in Francia. Due autori in particolare, entrambi con un ruolo pubblico di rilievo, sono interessanti non tanto per l’originalità – si ricollegano entrambi a Petty e King, delle cui opere conoscevano probabilmente l’esistenza ed i tratti essenziali – quanto per le vicende politiche. Il primo è Pierre de Boisguillebert (1646-1714), governatore di Rouen, che pubblicò (saggiamente) all’estero ed in forma anonima Le Détail de la France (1697), dal significativo ed imprudente sottotitolo “La Francia rovinata sotto il regno di Luigi XIV” (all’epoca ancora regnante). La successiva opera Factum de la France (1707), con una ricca documentazione e una stima del reddito nazionale della Francia secondo l’Aritmetica Politica, fu presentata direttamente al governo. L’opera conteneva però anche una proposta di riforma fiscale dell’ancien régime in linea con quella della rivoluzione francese di un secolo dopo, e provocò la perdita del posto di governatore e l’esilio. Il secondo autore è Sébastien Le Prestre de Vauban (1633-1707), Maresciallo di Francia e celebre ingegnere militare del tempo (un tipo di fortificazioni porta il suo nome). La sua opera Dime Royale (1707) contiene una stima del reddito nazionale (il “reddito del regno”) della Francia articolata per branche produttive ed ottenuta combinando dati amministrativi e fiscali con ingegnosi quanto approssimativi metodi campionari. La stima era funzionale alla proposta “che tutto il reddito dovrebbe contribuire proporzionalmente al sostegno dello Stato”, radicale per l’epoca, in cui solo i redditi più bassi erano di fatto tassati. Né l’influenza del re né i meriti militari salvarono Vauban: la sua lunga carriera terminò con uno scandalo politico, la caduta in disgrazia e l’esilio.

Page 8: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

8

3. Quesnay e i Fisiocratici

A metà del XVIII secolo prevalse una nuova corrente di pensiero, la scuola fisiocratica, il cui principale esponente fu François Quesnay (1694-1774), medico personale di Luigi XV, una posizione che per la notevole influenza contribuì alla diffusione delle sue idee. Il suo maggior contributo è costituito dalla Philosophie Rurale (1764) e soprattutto dal Tableau économique (1758), una rappresentazione dell’attività economica in termini di flussi fra le diverse classi sociali: agricoltori, proprietari terrieri, artigiani, etc. Alla scuola fisiocratica risale il concetto ‘restrittivo’ del reddito, riassumibile nella tesi che la capacità di produrre nuova ricchezza è propria solo di una parte dell’attività economica: l’agricoltura, unica attività realmente ‘produttiva’ perché capace di fornire al termine del ciclo un ‘prodotto netto’ superiore al valore degli input utilizzati (lavoro, capitale, sementi, etc.). È evidente l’analogia con il ciclo agricolo naturale, in cui il raccolto al termine dell’annata produttiva è superiore alle sementi utilizzate (in quantità) ed alle spese sostenute (in valore). Da tale constatazione i Fisiocratici trassero un dottrina che portò a considerare ‘sterili’ le altre attività economiche, che fanno solo circolare nel resto della società la ricchezza prodotta, e ‘improduttive’ o parassitarie le classi sociali non direttamente impegnate nell’agricoltura. Tali idee furono sviluppate principalmente in Francia, la più importante nazione agricola europea, all'interno di un dibattito culturale caratterizzato da nomi come Voltaire e Rousseau e dall’impresa dell’Encyclopédie. Si trovano ad esempio già in bozza in un lavoro del 1755, Essai sur la nature du commerce en général, pubblicato ed attribuito postumo a Richard Cantillon (1690?-1734), di cui si conosce poco, a parte l’abilità di speculatore (accumulò una fortuna nella Bancarotta di Law, che travolse il regno di Francia agli inizi del secolo).

Quesnay è la figura più importante di tale corrente di pensiero, sia per l’importanza dei suoi scritti, sia per la vicinanza al sovrano che assicurò ampia diffusione alle sue opere (sembra che lo stesso Luigi XV partecipasse alla correzione delle bozze del Tableau économique). Il Tableau mostra in particolare il flusso del reddito nazionale nel sistema economico: questo ha origine con l’attività degli imprenditori e dei lavoratori agricoltori (la classe produttrice); nel passaggio successivo il reddito affluisce ai proprietari terrieri (la classe che controlla e distribuisce); il flusso termina quando il reddito raggiunge la rimanente popolazione, impegnata nelle attività non agricole (la classe sterile). Si può notare in tale rappresentazione il riflesso della situazione sociale prima ancora che economica della Francia e delle altre nazioni europee dell’epoca: la nobiltà terriera laica ed ecclesiastica estraeva dalla popolazione contadina rendite feudali, decime e tasse, che spendeva poi nei prodotti artigianali e nei servizi delle città. Il Tableau costituisce nondimeno la prima rappresentazione schematica del processo economico come insieme di flussi fra

Page 9: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

9

i diversi agenti: può essere pertanto considerato il predecessore sia della moderna analisi del reddito per settori istituzionali, sia delle matrici input-output sviluppate da Leontiev nel 1920. A Quesnay, medico come Petty, si deve inoltre la proposizione che tutte le società hanno una comune ‘fisiologia economica’, che si presta ad analisi qualitative e quantitative standard: intuizione ampiamente convalidata dal lavoro di statistici ed economisti delle generazioni successive. La rappresentazione di Quesnay si riferisce ad un’economia sostanzialmente stazionaria, che tende cioè a riprodurre esattamente se stessa nei diversi cicli produttivi; Quesnay costruisce però anche alcuni esempi in cui “il Tableau ha perso il suo equilibrio” (ad esempio uno spostamento dei consumi dai beni agricoli a quelli manifatturieri) introducendo quindi tale concetto nell’analisi economica.

I Fisiocratici costituirono il principale gruppo di pensatori in campo economico e sociale fino a Smith ed alla scuola classica: ne ricordiamo per la loro importanza due. Il primo è Anne Robert Turgot (1727-81), uno degli ultimi e più influenti ministri delle finanze dell’ancien régime, le cui Reflections on the Formation and the Distribution of Riches (una sintesi in inglese del pensiero fisiocratico francese) ebbero una diffusione all’estero superiore a quella delle stesse opere di Quesnay. A Turgot risale anche la prima formulazione del principio dei rendimenti marginali decrescenti, un punto cardinale della successiva analisi neoclassica; la sua esposizione si trova purtroppo in un lavoro del 1760 che non ebbe molta fortuna e rimase praticamente sconosciuto: il principio fu nuovamente riscoperto da studiosi inglesi oltre mezzo secolo più tardi.

Il secondo è Antoine Laurent Lavoisier (1743-1794), fondatore della chimica moderna. Di ricca famiglia della borghesia parigina, acquistò una carica di férmier général (esattore cui il regno di Francia appaltava la riscossione delle tasse di una provincia) per finanziarne con i proventi il suo laboratorio di ricerca. La carica lo portò ad interessarsi di economia e di agricoltura, e a ricoprire diversi incarichi pubblici alla fine dell’ancien régime. Componente dell’Assemblea Nazionale, Lavoisier presiedette alcuni dei comitati che riorganizzarono lo stato francese durante la rivoluzione, avanzando in tale veste anche la proposta di un’agenzia governativa per la la raccolta sistematica e la pubblicazione ufficiale delle informazioni statistiche. I suoi meriti non lo salvarono dalla ghigliottina sotto il Terrore giacobino (con altri 27 fermiers généraux, conseguenza imprevista e spiacevole del suo antico investimento finanziario). Lavoisier condusse dal 1784 al 1791 una stima del reddito nazionale francese: la lunghezza stessa del periodo testimonia la procedura metodica e meticolosa seguita, eredità evidente della prassi alla ricerca scientifica appresa nello studio della chimica. Il suo lavoro costituì un precedente, seguito poi da statistici ed economisti, nell’impiego sistematico dei

Page 10: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

10

dati per le stime. Il rigore esercitato nella selezione ed interpretazione delle informazioni statistiche lo portò alla fondamentale scoperta del problema della duplicazione (o doppio conteggio) del valore della produzione. Lavoisier identificò il problema e ne prospettò la possibile soluzione, suggerendo di affrontare la valutazione dal punto di vista del consumo; toccò così per primo l’essenziale questione della distinzione fra beni finali (di consumo) e intermedi (di produzione), cruciale da allora nell’analisi economica e nella contabilità nazionale. Lavoisier fu un Fisiocratico; le sue stime, rigorose sotto il profilo metodologico, sono viziate alla radice dall’impiego del concetto ‘restrittivo’ del reddito: cercando la corretta stima del ‘prodotto netto’ del regno, arrivò alla (moderna) stima del ‘prodotto lordo’ dell’agricoltura.

4. Adam Smith

Ai Fisiocratici subentrò in breve tempo la scuola classica del pensiero economico, il cui principale esponente fu Adam Smith (1723-90), professore di Filosofia Morale all’Università di Edimburgo: la sua opera fondamentale, The Wealth of Nations (1776), è una pietra miliare della storia del pensiero economico, da molti studiosi considerata come l’inizio del periodo moderno. L’importanza e l’influenza di Smith derivano dalla presentazione di un sistema teorico completo, il liberismo economico, inserito in un più ampio sistema filosofico: il liberalismo politico di John Locke (1632-1704), alla base delle moderne costituzioni liberali. Tema centrale del liberalismo politico è la tutela dei diritti naturali dei cittadini: diritto all’esistenza, alla libertà, al raggiungimento della felicità, alla proprietà individuale; dovere di un governo è la loro protezione: in primo luogo del diritto di proprietà (garanzia di tutti gli altri), secondo una linea di pensiero risalente ai giuristi inglesi del XIII secolo e ripresa poi da Thomas Hobbes (1588-1679). Il liberismo economico, coerente con tali premesse, porta ai principi dell’eguaglianza delle condizioni e della libertà di concorrenza, e quindi al superamento radicale della struttura feudale della società, con tutti i suoi ordinamenti particolari, privilegi giuridici, monopoli economici e corporazioni professionali provenienti in blocco dal medioevo. Il libero mercato è considerato uno strumento di progresso: la ricerca del profitto individuale, come guidata da una mano invisibile, porta al raggiungimento del benessere sociale (dottrina conosciuta riduttivamente come laissez faire).

Il contestuale affermarsi nei rispettivi campi delle due teorie liberali, l’economica e la politica, portò al loro rafforzamento reciproco, assicurandone la supremazia incontrastata per oltre un secolo. In campo economico in particolare il liberismo fu considerato poco meno che una dottrina ortodossa, cui si contrappose solo la filosofia economica marxista, considerata non a caso

Page 11: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

11

una ‘eresia’; anche se la scuola marginalista ne demolì la teoria del valore (si veda più avanti), il predominio intellettuale del liberismo rimase sostanzialmente inalterato fino al periodo keynesiano. La scuola classica riprende aspetti sostanziali della teoria fisiocratica, riconoscendo però la capacità di essere produttive anche alle attività manifatturiere oltre che a quelle agricole: l’estensione è in un certo senso naturale, dato il contemporaneo inizio del capitalismo industriale in Inghilterra, la formazione di una prima classe imprenditoriale e i suoi effetti sullo sviluppo economico. Non si ripeté quindi l’errore dei Fisiocratici, prevalentemente francesi, che ritennero sterili le attività manifatturiere del proprio paese, in gran parte artigianali. Sterili furono considerate solo le attività di servizio, a fine ‘700 organizzate prevalentemente in forme pre-industriali. Così, con l’autorevolezza e l’influenza del suo pensiero, Smith perpetuò per quasi un secolo l’errore fisiocratico del concetto ‘restrittivo’ del reddito.

Si è parlato di un sistema completo di teoria economica. The Wealth of Nations contiene una critica rigorosa dei precedenti sistemi mercantilista e fisiocratico (l’opinione sull’Aritmetica Politica è già stata ricordata), ma soprattutto un modello esplicativo che attribuisce la ricchezza delle nazioni a due cause concomitanti: la produttività del lavoro, e il rapporto fra lavoro produttivo e improduttivo. Il primo aspetto dipende dalla divisione e specializzazione del lavoro umano - caratteristica già analizzata sotto il profilo politico e sociale da Platone (428-347 a.c.) – di cui Smith mette in luce gli effetti economici: in particolare l’aumento esponenziale della capacità di produrre indotto dalla parcellizzazione e ripetitività delle operazioni; famoso è l’esempio sulla fabbricazione degli spilli, utilizzato ancora oggi nella didattica dell’economia. Si tratta di un’embrionale anticipazione della dottrina - detta alternativamente taylorista da F. W. Taylor (1856-1915), l’ingegnere che la formulò nei termini attuali, e fordista da Henry Ford (1863-1947), il fondatore dell’industria omonima che l’applicò su vasta scala - sull’organizzazione degli stabilimenti intorno alle catene di montaggio.

Il secondo aspetto è cruciale per la storia dell’analisi economica quantitativa. Smith considera ‘produttivo’ il lavoro prestato nella produzione di beni (agricoli o industriali), e ‘improduttivo’ quello impiegato nei servizi:

“il lavoro di un operaio manifatturiero generalmente si aggiunge al valore delle materie prime, alle spese del proprio mantenimento e al profitto del proprietario. Il lavoro di un domestico, al contrario non si aggiunge a nulla … il lavoro dell’operaio si fissa e si realizza in un qualche particolare oggetto o bene vendibile, che dura per qualche tempo almeno dopo che il lavoro è passato … Il lavoro del domestico al contrario non si fissa in nessun particolare oggetto o bene vendibile. I suoi servizi generalmente periscono nel momento stesso in cui vengono prestati, e raramente lasciano dietro di loro una qualche traccia o

Page 12: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

12

valore, tramite cui un’eguale quantità di servizi possa essere successivamente procurata”. (Studenski, 1958; p. 18)

Coerentemente con tale impostazione, la produzione nazionale risulta costituita solo da beni, e il reddito nazionale solo dal valore delle remunerazioni (salari, rendite, interessi e profitti) derivanti dalla fabbricazione di questi. Le attività di servizio non creano valore, e non sono pertanto ‘reddito netto’ o creazione di nuovo reddito, ma semplicemente redistribuzione del reddito creato altrove: come nel Tableau di Quesnay, salvo che per l’estensione all’industria della proprietà considerata originariamente propria solo dell’agricoltura. Si tratta di una posizione che discende dall’osservazione dell’attività imprenditoriale nelle fabbriche manifatturiere inglesi del tempo, e della conseguente tumultuosa fase di accumulazione, progresso tecnico e crescita industriale. Il modello smithiano sembra spiegare tale processo, al prezzo però di sovrapporre e confondere i problemi della creazione di valore, della distinzione fra impieghi finali e produttivi, del meccanismo di accumulazione e dello sviluppo economico. L’influenza e l’autorevolezza del liberismo economico contribuirono al predominio di tale impostazione - sostanzialmente fino alla rivoluzione ‘marginalista’ (seconda metà del XIX secolo) e a quella ‘keynesiana’ (prima metà del XX) - anche se a fine ‘700 esistevano già linee di pensiero radicalmente differenti, in ultima analisi più corrette e feconde. È interessante ricordarne due.

La prima è attribuibile a tre italiani - Ferdinando Galiani (1728-87), Pietro Verri (1728-97) e Giuseppe Palmieri (1721-94) - considerati oggi più innovativi e rigorosi di Smith: lo anticiparono nel rilevare le incongruenze della teoria fisiocratica, senza però ripetere l’errore di contrapporre lavoro produttivo e improduttivo. Per loro tutto il lavoro impiegato nella produzione di cose utili e richieste dal mercato è produttivo, indipendentemente dall’aspetto materiale dei prodotti: un’impostazione derivata dalla filosofia scolastica medioevale, e perfettamente il linea con l’Aritmetica Politica di Petty. Le loro elaborazioni si limitarono però alle definizioni generali, senza portare alla costruzione di un sistema teorico completo o di un modello esplicativo dell’economia, né a stime del reddito nazionale o ad altre valutazioni economiche empiriche. Anche l’ostacolo della lingua (solo Galiani, diplomatico a Parigi, scrisse in francese) contribuì alla scarsa diffusione delle opere; rapidamente dimenticate e riscoperte dagli storici del pensiero oltre un secolo più tardi, non ebbero effetti sullo sviluppo dell’analisi quantitativa: l’influenza di Smith era nel frattempo divenuta incontrastata. Anche sul piano degli studi empirici non vi furono conseguenze di rilievo. La Statistica del dipartimento dell’Adda ad esempio - una delle ricerche curate da Melchiorre Gioia (1767-1829) negli anni 1812-14, e considerata la prima pubblicazione statistica ‘ufficiale’ italiana in quanto commissionata dal Regno (napoleonico) d’Italia - contiene un insieme

Page 13: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

13

sistematico di dati geografici, demografici, economici e politici: i fenomeni sono però riportati in un quadro puramente descrittivo, che non affronta il problema della misura sintetica dell’attività economica nei termini di Petty.

Tale approccio è invece presente in una serie di studi poco noti ma estremamente interessanti condotti nello stesso periodo in Russia, che risulta così il terzo paese in ordine cronologico in tale campo (dopo Inghilterra e Francia). L’arretratezza e la vastità dell’impero russo, nel ‘700 economicamente e socialmente arretrato nonostante l’importanza politica e militare, portarono sovrani come Pietro il Grande (1682-1725) e Caterina II (1762-96) ad intensificare le indagini amministrative - fra cui l’obbligo per la chiesa ortodossa di tenere i registri parrocchiali e trasmettere le informazioni al governo (come nell’Inghilterra del ‘600) – e di svolgere quasi sistematicamente Censimenti della popolazione e delle abitazioni (necessari per il fisco). Diversi studi statistici furono condotti in tale periodo, grazie anche all’influenza dell’Encyclopédie sugli importanti circoli culturali e letterari della capitale. I più significativi sono quelli del direttore delle Dogane di S. Pietroburgo A. N. Radishchev (1749-1802), che iniziò due trattati su demografia, economia ed amministrazione della provincia di S. Pietroburgo, mai completati: la parallela utilizzazione di parte della documentazione per un libro critico sul governo (Il Viaggio da S. Pietroburgo a Mosca, 1790), lo condannò alla Siberia. Durante l’esilio compose Il Commercio con la Cina, del quale mostrò la scarsa importanza (contrariamente all’opinione prevalente) in base ad una stima del reddito nazionale per la Russia condotta secondo l’impostazione di Smith. Graziato, lavorò alla Descrizione della mia Proprietà: ricostruzione di un villaggio russo con dati economici dettagliati: superfici e coltivazioni agricole, reddito e spesa delle varie tipologie di famiglie, risparmi e investimenti, stock di moneta e di beni, etc. Ogni aspetto economico e sociale del villaggio è misurato e analizzato secondo uno schema non lontano dagli attuali conti della produzione e del reddito; il risultato è un case-study di notevole modernità. Tutti i suoi lavori vennero soppressi dalla censura; condannato di nuovo, si suicidò in carcere; gli altri studiosi contemporanei furono messi a tacere. Fu proibita la ricerca economica quantitativa, considerata disciplina sovversiva; le poche copie dei lavori non distrutte, fortunatamente conservate dai censori stessi, tornaro a circolare dopo la rivoluzione del 1905: tardivo omaggio alle capacità e coraggio degli autori. Solo intorno al 1900 ci fu una ripresa degli studi, per il mutato clima politico interno e l’influenza dei risultati ottenuti in altri paesi. I problemi economici della prima guerra mondiale, sottolineati nel 1915 in un importante articolo dell’Economist (si veda più avanti), portarono ad effettuare una stima accurata del reddito nazionale, utilizzata poi come benchmark nel periodo iniziale dello stato sovietico.

Page 14: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

14

5. Gli altri Classici

Se nella Russia del XIX secolo ad un’inizio pioneristico seguì il letargo, nello stesso periodo si registrarono invece in altri paesi (in genere più democratici: un caso?) progressi enormi nella misura statistica dell’economia. Prima di esaminarli, è opportuno richiamare brevemente gli sviluppi teorici successivi a Smith. La trattazione dei numerosi ed importanti contributi della scuola classica è argomento indubbiamente meglio approfondito nei corsi specialistici di storia del pensiero economico: senza alcuna pretesa di richiamare anche solo una selezione dei principali autori, ne ricordiamo qui alcuni, la cui specifica influenza sugli sviluppi dell’analisi quantitativa è fondamentale. In primo luogo Thomas Robert Malthus (1766-1834), autore di An Essay on the Principle of Population (1798), considerato il primo studio moderno di economia della popolazione (alcune anticipazioni si trovano nelle opere degli italiani Giovanni Botero, del 1588, e Gianmaria Ortes, del 1790). L’impostazione del problema della popolazione in Malthus è riassumibile nel celebre principio secondo cui la disponibilità di alimenti cresce in progressione aritmetica e la popolazione in progressione geometrica, con conseguente sempre maggior squilibrio in assenza di controllo sulla popolazione. Sono presenti in tale impostazione - anche se poste in modo errato, e completamente prive di riscontri empirici - le basi dell’analisi del rapporto fra popolazione e risorse economiche, ovvero dell’interazione fra domanda e offerta.

Con riferimento proprio a tale aspetto è doveroso ricordare Jean-Baptiste Say (1767-1832), il cui Traité d’èconomie politique (1803) – opera di esposizione dei canoni del pensiero di Smith - si affermò rapidamente e a lungo come manuale d’insegnamento presso le principali università (la traduzione inglese del 1821, Treatise on Political Economy, considerata superiore per chiarezza e sintesi alla stessa Wealth of Nations, fu adottata ad Harvard fino al 1850). A tale autore è attribuita la cosiddetta ‘Legge di Say’, o legge dei mercati: “l’offerta crea la domanda per i prodotti”, ovvero “appena un prodotto è creato, consente nello stesso istante un mercato per gli altri prodotti, pari al proprio intero valore”. La formulazione originaria, piuttosto ambigua, si presta ad interpretazioni diverse: da quella di una pura tautologia, a quella di un modello del comportamento dei mercati. In quest’ultimo caso, si può sostenere che la Legge di Say implica una tendenza strutturale delle economie di mercato all’equilibrio generale: se ogni offerta crea la propria domanda, non vi può essere sovraproduzione (e pertanto disoccupazione) permanente. Questa impostazione fu demolita dalla teoria macroeconomica keynesiana, che mise in luce la possibilità di equilibri di sotto-occupazione. Di tali aspetti rimane una traccia permanente nell’attuale sistema dei conti economici nazionali: la presentazione degli aggregati avviene sotto forma di relazioni di identità (equilibrio) fra domanda e offerta, senza però che ad esse (riferite al passato e

Page 15: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

15

quindi ex-post) sia attribuito un significato di equilibrio dinamico (riferito al futuro e quindi ex-ante).

Dopo Smith, il più importante economista classico è David Ricardo (1772-1823), autore di opere considerate fondamentali come The High Price of Bullion (1810), An Essay on Profits (1815; titolo abbreviato), Principles of Political Economy and Taxation (1817). I contributi di Ricardo sono alla base dell’analisi moderna per argomenti come la distribuzione del reddito, il commercio internazionale, la dinamica economica. Possiamo ricordare la teoria della Rendita (detta appunto ricardiana) fondata sul principio dei rendimenti marginali decrescenti, e definita “il surplus percepito dal proprietario della terra coltivata sotto condizioni più favorevoli di quella marginale” e pari alla “differenza di prodotto ottenuto con l’impiego di due quantità identiche di lavoro e capitale”, e delle conseguenti teorie del Salario e del Profitto. Altri risultati fondamentali sono relativi all’analisi del Commercio Internazionale (basata sul principio dei vantaggi comparati), o degli effetti del Debito Pubblico sul reddito nazionale. Al di là dei singoli temi, l’apporto complessivo di Ricardo all’economia è di tipo metodologico: adozione di un sistema di analisi teorica in cui l’osservazione empirica è la base per costruzioni astratte (modelli, in seguito spesso tradotti in termini matematici), sviluppate con rigore logico, seguendo fedelmente il principio di parsimonia nell’introduzione di concetti non necessari (‘rasoio di Occam’). Nel campo specifico della teoria del valore-lavoro, la ricerca di una misura invariabile del valore portò Ricardo su una posizione ancora più decisa rispetto a Smith:

“il valore di un bene, o la quantità di ogni altro bene per cui sarà scambiato, dipende dalla quantità relativa di lavoro necessario per la sua produzione, e non nel maggiore o minore compenso pagato per quel lavoro”. (Spiegel, 1991; p. 320)

L’influenza di Ricardo rafforzò l’accettazione della teoria di Smith su lavoro produttivo/improduttivo, nonostante le critiche crescenti cui era stata sottoposta già agli inizi dell’800 da economisti come Say, che aveva conseguentemente messo in dubbio la validità del concetto ‘restrittivo’ del reddito, o come James Maitland, earl of Lauderdale (1759-1839), che nella sua Inquiry into the Nature and Origin of Public Wealth (1804), assunse una posizione radicale in merito alla teoria stessa del valore-lavoro:

“il lavoro non è misura del valore poiché il suo stesso valore cambia. La ricerca di una misura invariabile del valore è altrettanto futile quanto lo è stata la ricerca della pietra filosofale da parte degli alchimisti. La distinzione fra lavoro produttivo e improduttivo non ha validità”. (Spiegel, 1991; p. 300)

Page 16: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

16

Anche nell’opera di John Stuart Mill (1806-73) - l’ultimo grande economista della scuola classica, che ne sistematizzò l’esposizione teorica, ed i cui Principles of Political Economy (1848) furono adottati come manuale in numerose università fino agli inizi del ‘900 – la teoria del valore-lavoro risulta indebolita. Nonostante infatti la sua piena adesione alla formulazione ricardiana, Mill stabilisce una distinzione fondamentale fra l’analisi della produzione – i cui principi di funzionamento considera vere e proprie legge naturali e immutabili – e quella della distribuzione del reddito prodotto, regolata da fattori ‘istituzionali’ e quindi influenzati dal comportamento umano. Tale impostazione spezza lo stretto legame fra produzione e distribuzione stabilito appunto da Ricardo con la teoria del valore-lavoro.

Nel momento in cui tale teoria – ed il conseguente corollario su lavoro produttivo e improduttivo – iniziava a vacillare, ricevette un nuovo impulso dalla riformulazione effettuata dal principale esponente del ‘socialismo scientifico’, Karl Marx (1818-83), che ne fece la pietra angolare della sua visione dinamica della società: il materialismo dialettico, di cui il valore-lavoro (ed il conseguente ‘plusvalore’) è punto essenziale. Nelle sue opere più celebri, Il Manifesto Comunista (1848, con Friedrich Engels, 1820-95), e soprattutto Il Capitale (III volumi: 1867, 1885 e 1894), l’analisi economica è intrecciata con la filosofia politica, e porta ad una visione deterministica della società e della storia, il cui sviluppo è visto in termini di conflitto fra le classi sociali. Limitando l’attenzione agli aspetti connessi all’analisi economica quantitativa, Marx introduce una variante nella teoria di Smith: la capacità di creare valore è riconosciuta solo al lavoro, considerato così l’unico ‘fattore produttivo’. Si tratta di un importante passo indietro, che porta ad una posizione simmetrica a quella di Quesnay di circa un secolo prima, in cui l’unico fattore era la terra. Il capitale ha una funzione politico-sociale più che economica: la concentrazione dei mezzi di produzione nella classe sociale dominante (la borghesia industriale, a metà ‘800) permette a quest’ultima di ‘espropriare’ le classi soggette (in particolare i lavoratori, ridotti alla condizione di ‘proletari’) di parte del valore-lavoro creato: il ‘plusvalore’ appunto. La posizione di Marx in merito alla distinzione fra attività produttrici di beni (agricoltura e industria) e di servizi è articolata: la creazione di valore non dipende dalla forma del prodotto (materiale o no) ma esclusivamente dalla forma del processo produttivo (capitalistico o no). Tale principio non viene però sviluppato nelle sue conseguenze logiche, perché a metà ‘800 le forme capitalistiche di produzione di servizi “sono insignificanti rispetto al totale. Le possiamo quindi completamente trascurare”. Pur con differenti premesse, la sua posizione finale è di fatto simile a Smith.

La teoria del valore-lavoro così formulata divenne la base del marxismo, adottato come articolo di fede nei paesi del socialismo reale dalla rivoluzione

Page 17: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

17

d’ottobre (1917) alla caduta del muro di Berlino (1989). Che si trattasse di un’ortodossia non solo virtuale lo scoprirono diversi studiosi, di rilevanza internazionale, delle cui opere fu esaminata la purezza ideologica. Fra i principali esempi ricordiamo Nikolaj Dmitrievič Kondrat’ev (1892-1930?), primo studioso dei cicli economici, o Leonid Vital’evič Kantorovič (1912-1986, Nobel 1975), che introdusse la programmazione lineare: per entrambi fu messo in dubbio che l’impiego della matematica in economia fosse lecito alla luce della teoria marxista. Fortunatamente per il pensiero economico, la risposta fu positiva (anche se inadeguata per Kondrat’ev, nel frattempo vittima del Terrore staliniano) alla luce di un noto passo tratto da una lettera di Marx ad Engels del 1873, in cui richiama:

“quei diagrammi dove è riportato il movimento annuo dei prezzi … ho cercato diverse volte di calcolare le formule per quelle curve irregolari … per determinare matematicamente le principali leggi che governano le crisi”. (Spiegel, 1991; p. 487)

Ortodossia a parte, dalla teoria marxista discende logicamente un concetto estremamente ‘restrittivo’ di reddito nazionale (nessun valore riconosciuto ai servizi, né alle categorie di reddito costituite da rendite, profitti e interessi), che trovò espressione concreta in uno specifico sistema di contabilità nazionale (il Material Product System, si veda più avanti).

6. Stime empiriche

Gli studi empirici si moltiplicarono nel corso del XIX secolo parallelamente in Europa e negli Stati Uniti, con progressi continui in campo metodologico: procedure di stima, utilizzo di fonti, significatività e comparabilità dei risultati. Le prime stime del reddito nazionale basate sull’impiego sistematico dei Censimenti del Regno Unito (1800 e 1811) sono di Patrick Colquhoun (1745-1820), cui si deve A Treatise on the Wealth (1814, titolo abbreviato). Ancora più importante è il successivo The Present State of England (1823, titolo abbreviato) di Joseph Lowe: il reddito nazionale del 1823 è ottenuto aggiornando in base al Censimento del 1821 i precedenti risultati di Colquhoun, facendo così implicitamente ricorso alla tecnica del benchmark (aggiornamento con indicatori di una stima approfondita per un anno base). A Lowe va il merito dell’introduzione di valutazioni a prezzi costanti: il reddito nazionale e le entrate tributarie del Regno Unito espressi per cinque anni (fra il 1792 e il 1823) a prezzi 1792. Ciò permise lo studio empirico dell’evoluzione del carico fiscale, tema di estremo interesse in quel periodo (per il costo delle guerre napoleoniche) e già trattato da Ricardo in termini teorici. I dati permisero di accertare anche una crescita nel periodo 1792-1823 della

Page 18: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

18

produzione in ‘volume’ (a prezzi costanti) superiore alla popolazione, contrariamente alle attese derivabili dal ‘principio della popolazione’ di Malthus. In Francia – primo paese in cui venne creato un Ufficio di Statistica (1790), come parte del Ministero dell’Interno - furono effettuate diverse stime del reddito nazionale nella prima parte del XIX secolo, a carattere però sporadico e senza particolari sviluppi teorici o metodologici: le fonti statistiche sono generalmente tratte dai Censimenti o dalle altre rilevazioni sull’attività produttiva e le stime sono impostate secondo un concetto ‘restrittivo’ (fisiocratico o smithiano) del reddito. Il quarto paese in ordine cronologico in cui furono effettuate stime del reddito nazionale è rappresentato dagli Stati Uniti, dove George Tucker (1775-1861) utilizzò i dati dei Censimenti, effettuati con regolarità a cadenza decennale a partire dal 1790, pubblicando i risultati nel Progress of the United States (1855).

Chiudiamo tale periodo ricordiando il National Income of the United Kingdom (1868) di Robert Dudley Baxter (1827-75), che utilizzò una pluralità di fonti, censuarie e amministrative (su fisco, salari, affitti, etc.). La stima di Baxter – erede diretta di quelle di Petty e King di due secoli prima - anticipa per metodologia le procedure attuali, e si stacca parzialmente dal concetto ‘restrittivo’ di reddito di Smith (viene introdotta una terza categoria di lavoro, definito ausiliario e intermedio fra quello produttivo e improduttivo, relativa ad una parte dei servizi). La modernità di Baxter è chiaramente espressa dalla sua esposizione dell’utilità di una stima economica sintetica di un paese:

“la documentazione per tale analisi è abbondante; ma la sua enorme massa rende difficile presentarla con chiarezza e in poco spazio. Il lungo elenco delle attività della gente, e l’infinita varietà dei salari anche in una stessa attività, possono essere apprezzati solo da coloro che si dedicano al loro studio. L’accuratezza dei dettagli è irraggiungibile, e si è obbligati a lavorare per medie generali. L’obiettivo principale è rendere quelle medie attendibili e semplici, tali che non siano solo masse non digerite di cifre o semplici elenchi di totali non connessi fra loro, ma coerenti e lucide. Fatti importanti non devono inoltre essere basati solo su affermazioni; la giustificazione dei fatti e le ragioni dei calcoli devono essere presentate in ogni caso, così che il lettore possa rilevare e verificare da solo”. (Studenski, 1958; p. 115)

Si tratta di una descrizione semplice ed essenziale dell’obiettivo delle stime economiche, ed una perfetta sintesi del codice deontologico dello statistico.

Page 19: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

19

7. I Neoclassici

Negli ultimi decenni del XIX secolo il pensiero economico conobbe la cosiddetta rivoluzione marginalista - il termine ‘rivoluzione’, anche se improprio perché il percorso fu graduale, rende l’idea della profondità del cambiamento - così definita per il ruolo centrale attribuito al principio dell’utilità ‘marginale’ (e in generale dei costi e ricavi marginali) nel determinare valori e prezzi di mercato. L’osservazione che il consumo di servizi genera utilità come quello di beni, e che la capacità produttiva è accresciuta dalle spese per alcuni servizi intangibili alla pari di quelle per beni durevoli – posizioni già espresse da Say e Lauderdale e che permeavano il pensiero economico verso metà ‘800 - trovò piena espressione nella scuola neoclassica o marginalista. Abbandonata la teoria del ‘valore-lavoro’, fu introdotto al suo posto un nuovo principio in grado di unificare alcuni temi, fino ad allora non pienamente integrati fra loro nell’analisi classica: teoria del consumatore, dell’impresa, della produzione e della distribuzione del reddito. L’analisi marginalista abbandonò lo studio della crescita economica, almeno in un primo tempo, spostando l’analisi sui problemi di ottimizzazione nell’uso di risorse disponibili in una quantità limitata, fissata a priori e non modificabile (ricerca di situazioni teoriche ottimali, definite ‘punti di equilibrio’): tale approccio condusse ad un impiego sempre più esteso della matematica in economia. Punto di partenza fu la rappresentazione delle relazioni fra fenomeni economici come funzioni analitiche di più variabili (la quantità domandata di bene come funzione del suo prezzo, del prezzo degli altri beni, del reddito del consumatore, etc.); ciò permise di utilizzare in economia alcuni strumenti derivati dallo studio delle funzioni, in forma analitica (equazioni) e grafica (diagrammi): un’eredità indelebile nell’analisi economica (e statistica). I lavori dei principali autori neoclassici, anche se di natura strettamente teorica, aprirono in breve tempo la via agli studi empirici, statistici in particolare, agevolati proprio dall’impostazione matematica adottata.

Numerosi autori segnarono tappe importanti. Antoine Augustin Cournot (1801-77), nelle Recherches sur les principes mathématiques de la théorie de la richesse (1838) introdusse: il principio marginalista (anticipato da Turgot, ma dimenticato); la curva di domanda inclinata negativamente (relazione funzionale inversa fra quantità e prezzo); i concetti di costo e ricavo marginale; la teoria dell’impresa in condizioni di monopolio (in una forma sostanzialmente simile all’attuale) e di concorrenza. Cournot fu innovativo anche per l’ampio uso di equazioni e grafici, cosa che gli alienò molti lettori. William Stanley Jevons (1835-82), in The Theory of Political Economy (1871) formulò in modo compiuto il principio dell’utilità marginale decrescente, fondamento della costruzione teorica neoclassica (in realtà già anticipato dal matematico svizzero

Page 20: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

20

Daniel Bernoulli nel 1738, ma anch’esso dimenticato). Francis Ysidro Edgeworth (1845-1926), in Mathematical Psychics (1881) introdusse il concetto di curva di indifferenza. Philip H. Wicksteed (1844-1927), in An Essay on the Coordination of the Laws of Distribution (1894) sviluppò la teoria della produttività marginale. Importanti contributi furono apportati anche dagli esponenti della cosiddetta scuola austriaca: Carl Menger (1840-1921), che formulò contemporaneamente a Jevons i principi della teoria marginalista; Friedrich von Wieser (1851-1926), la cui Natural Value (1889) contiene l’esposizione del problema della valutazione (e cioè dell’attribuzione di valore economico), di cui si mostra l’aspetto di categoria “naturale della società, nel senso che ogni società ordinata razionalmente, indipendentemente dalle istituzioni, deve necessariamente esprimere valutazioni”; e infine Eugen von Böhm-Bawerk (1851-1914), la cui Teoria positiva del capitale (1889) ha aperto la strada alla moderna analisi del capitale e dell’interesse. La sua trattazione del rapporto fra i due fattori produttivi originali (lavoro e risorse naturali) e il terzo fattore (il capitale, ottenuto combinando gli altri due e il capitale preesistente) è alla base della distinzione fra risorse riproducibili e non-riproducibili nell’analisi empirica. Quanto alla teoria dell’interesse, gli agenti economici tendono per Böhm-Bawerk a:

“sovrastimare i beni attuali rispetto a quelli futuri, dello stesso genere e quantità, e per indurli a scambiare beni attuali con i futuri occorre pagare un aggio, o premio, che eguaglia i valori attuali e futuri. Tale aggio, o premio, è conosciuto come interesse”. (Spiegel, 1991; p. 539)

Un posto di rilievo spetta a Léon Walras (1834-1910), i cui Éléments d’économie politique pure (1874-77) contengono la prima trattazione matematica dell’equilibrio economico generale, rappresentato come sistema di equazioni simultanee che riproduce l’interdipendenza fra i diversi mercati dell’economia di un paese. A Walras, economista teorico per eccellenza, si deve un passo fondamentale verso la moderna contabilità nazionale: “nel costruire il suo sistema di equazioni, Walras partì dalla basilare distinzione fra mercati dei prodotti e mercati dei fattori produttivi. Nei mercati dei prodotti i consumatori domandano i beni forniti dalle imprese; nei mercati dei servizi produttivi resi da lavoro, terra e capitale, i consumatori, che sono anche i proprietari delle risorse produttive, ne vendono i servizi alle imprese ricevendone in cambio dei ricavi che costituiscono i loro redditi. I consumatori appaiono così come acquirenti nei mercati dei prodotti e come venditori nei mercati dei servizi produttivi. Le imprese sono acquirenti nei mercati dei servizi produttivi e venditrici nei mercati dei prodotti”. Tale schema supera gli errori e le ambiguità presenti nelle versioni di Quesnay e Say: tradotto in diagramma oltre mezzo secolo più tardi, è divenuto la forma standard di presentazione del circuito della produzione e del reddito.

Page 21: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

21

Alla scuola neoclassica appartengono diversi autori americani, con contributi importanti all’analisi empirica. Fra questi Simon Newcomb (1835-1909), i cui Principles of Political Economy (1885) riportano la prima chiara distinzione fra ‘flussi’ e ‘stock’, alla base della moderna e fondamentale suddivisione dei fenomeni e quindi degli aggregati economici in due categorie: quelli misurati con riferimento rispettivamente ad un intervallo o ad un istante di tempo. John Bates Clark (1847-1938), nella Distribution of Wealth (1899) e negli Essentials of Economic Theory (1907) contribuì a chiarire il rapporto fra ‘il capitale’ come fondo astratto e ‘i beni capitali’ come strumenti concreti del processo produttivo: la radice della distinzione fra le immobilizzazioni tecniche (il capitale in senso reale) e il patrimonio netto (la ricchezza finanziaria), collegate nella moderna contabilità nazionale dal conto dell’investimento finanziario. Clark estese inoltre il principio dei rendimenti marginali decrescenti a tutti i fattori produttivi, generalizzando così la rendita differenziale (ricardiana), applicata fino ad allora solo alla terra. Le sue ricerche lo condussero a introdurre la statica comparata, strumento ancora attuale, riportando così nella teoria economica l’analisi dinamica, propria dei classici e trascurata poi dai neoclassici. Sono infine pionieristici i suoi studi sulla distribuzione quantitativa del reddito, che Clark separò da quelli sulla distribuzione funzionale, tema fino ad allora predominante.

Con riferimento proprio alla distribuzione quantitativa del reddito, un posto di rilievo spetta all’italiano Vilfredo Pareto (1848-1923), successore di Walras nell’insegnamento universitario a Losanna, cui si devono contributi importanti in economia (Manuale di economia politica, 1906) e sociologia (Trattato di sociologia generale, 1916). La sua attività si caratterizza per un elevato livello di astrazione teorica unita ad una profonda attenzione alla realtà empirica. Nel campo più propriamente teorico, a Pareto risale il concetto di ‘ottimo’ (definito appunto ‘paretiano’) di un sistema economico: una situazione in cui è impossibile migliorare la posizione di un soggetto della collettività senza peggiorare quella di qualcun altro; finché l’ottimo paretiano non è raggiunto, la performance complessiva del sistema economico è sempre migliorabile. Il suo interesse empirico è riscontrabile nella raccolta di esempi concreti di distribuzione del reddito, le cui regolarità lo portarono a formulare una ‘legge’ (detta di Pareto) da lui definita ‘universale’, in quanto valida in paesi e periodi diversi. Di tale legge cercò di dimostrare la validità generale stimandone statisticamente i parametri con metodi grafici (diagrammi doppio-logaritmici nei quali le distribuzioni teoriche, analiticamente delle iperboli, divengono delle rette). Malgrado le forti critiche (mosse soprattutto alle procedure di stima), la sua ricerca aprì un nuovo campo agli studi quantitativi nel XX secolo. Le distribuzioni di Pareto, oggi così denominate, hanno una loro validità come variabili teoriche, e sono utilizzate sia per interpolare le distribuzioni empiriche, sia per misurare il grado di ineguaglianza del reddito.

Page 22: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

22

8. Alfred Marshall

Il principale esponente della scuola neoclassica, per l’importanza dei lavori non meno che per l’influenza accademica esercitata con il lungo e prestigioso insegnamento a Cambridge, è in ogni caso considerato Alfred Marshall (1842-1924). Autore eminentemente teorico, non perse mai di vista gli aspetti empirici, come testimoniano gli esempi nei suoi principali lavori: Economics of Industry (1879) e Principles of Economics (1890). Studioso dell’equilibrio parziale, come Walras lo era stato di quello generale, Marshall arricchì di concetti essenziali l’analisi della domanda. La sua definizione di elasticità è ancora quella standard (doppia frazione che collega le variazioni relative di quantità e prezzo): il flusso di lavori teorici ed empirici originati ne testimonia l’importanza, per non parlare dei diversi concetti di elasticità derivati da quello principale: elasticità rispetto al reddito, elasticità incrociate di due beni, elasticità di sostituzione dei fattori, etc. Il surplus del consumatore (area compresa fra la curva di domanda e la retta del prezzo) e quello del produttore (area fra compresa fra la retta del prezzo e la curva di offerta), già abbozzati da alcuni autori, sono da Marshall pienamente sviluppati all’interno della teoria marginalista, e costituiscono il punto di partenza per importanti sviluppi a carattere anche empirico ed operativo: l’analisi costi-benefici, la scelta degli investimenti, la valutazione delle decisioni politiche.

Altro concetto prezioso per gli studi empirici è quello di quasi-rendita:

“un ricavo differenziale che è determinato dal prezzo [cioè dalla curva di domanda] percepito dai possessori di beni capitali, di capacità particolari e di talenti naturali. L’offerta di queste risorse è fissa nel breve periodo e pertanto fornisce ai suoi possessori un reddito che, anche se di breve durata, assomiglia sotto ogni aspetto alla vera rendita della terra, la cui offerta è limitata in modo permanente”. (Spiegel, 1991; p. 596)

Si può notare per inciso in tale passo il riferimento al breve/lungo periodo, altro concetto dovuto a Marshall. Nonostante la successiva battuta di Keynes sul lungo periodo, non si deve dimenticare che la distinzione marshalliana fra breve e lungo è funzionale e non cronologica: la scansione dipende infatti dalla velocità di aggiustamento dei fattori produttivi (capitale in primo luogo, ma non solo: si veda il concetto di quasi-rendita) alle variazioni del mercato. La distinzione si ricollega a quella fra costi di produzione fissi e variabili: un dato oggi acquisito in economia, ma all’epoca un passo pioneristico, probabilmente suggerito a Marshall dall’esame della prassi aziendale e contabile. Ulteriore conferma della sua attenzione alla realtà empirica è l’individuazione dei ‘monopoli naturali’, imprese con una curva di costo marginale negativa: la diminuzione dei costi di produzione al crescere della dimensione porta

Page 23: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

23

inevitabilmente un’azienda, se non è ostacolata dalla normativa, ad emergere quale leader del mercato, fino a divenire monopolista. Ciò è alla base dell’intervento pubblico a favore della concorrenza, stimolo a sua volta di continue ricerche teoriche ed empiriche sulle condizioni di costo e di mercato nei diversi settori produttivi. Nell’ambito della teoria marshalliana dell’impresa spiccano poi le economie interne ed esterne. Le prime sono definite in termini di organizzazione aziendale (economie di scala e di specializzazione), secondo una linea di pensiero risalente a Smith. Le seconde, assolutamente innovative, hanno a che fare con l’agglomerazione di imprese omogenee per filiera produttiva in ambiti territoriali circoscritti (i moderni distretti industriali), caratterizzati dalla disponibilità di fattori produttivi a costi relativamente bassi (lavoro specializzato, assistenza tecnica, infrastrutture di trasporto, etc.): il meccanismo dinamico conseguente (agglomerazione riduzione dei costi agglomerazione etc.) ostacola il decentramento delle attività economiche, e genera squilibri territoriali (congestione in alcune zone e sottosviluppo in altre). Un altro campo di intervento pubblico oltre che di analisi teorica ed empirica.

Con riferimento infine alla contabilità nazionale, Marshall è stato decisivo nell’abbandono del concetto ‘restrittivo’ del reddito, identificando nettamente la produzione con la creazione di utilità: una posizione presente da allora in poi nel pensiero economico prevalente, e radicatasi saldamente nella misura degli aggregati economici. La definizione data da Marshall comprende con chiarezza le attività di produzione di servizi nella creazione di valore, a pieno titolo accanto a quelle di beni: viene così ripristinato da quel momento il concetto ‘estensivo’ del reddito che era stato proprio dell’analisi economica quantitativa fino all’impostazione seguita da Quesnay e confermata poi da Smith. Marshall precisò anche la distinzione fra reddito lordo e netto:

“Il lavoro e il capitale del paese, con la loro attività sulle risorse nazionali, producono annualmente un dato aggregato netto di beni, materiali ed immateriali, inclusi servizi di ogni tipo. La delimitazione di ‘netto’ è necessaria per tener conto dell’impiego di materie prime e di semilavorati, e per il deprezzamento degli impianti utilizzati nella produzione: tutte queste perdite devono naturalmente essere dedotte dalla produzione lorda per trovare …. il vero reddito o ricavo annuale netto del paese, il dividendo nazionale: è possibile naturalmente stimarlo per un anno o per qualsiasi altro periodo”. (Studenski, 1958; p. 20).

9. Prime stime ‘ufficiali’.

Contemporaneamente agli sviluppi del pensiero economico, fra fine ‘800 ed inizio ‘900 si registrarono progressi notevoli nelle stime empiriche: il primato

Page 24: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

24

spetta all’Australia, dove il direttore dell’ufficio statistico del governo del Nuovo Galles del Sud, l’ingegnere minerario Timothy A. Coghlan (1856-1926), curò nel 1886 una prima stima del reddito nazionale, via via estesa alle altre colonie fino a divenire dal 1890 una serie periodica annuale per l’intero continente. Caratteristica specifica di tale stima è di essere stata commissionata dal governo e pubblicata nell’annuario statistico australiano: era così nata la prima di una lunga serie di stime ‘ufficiali’ del reddito nazionale. Coghlan è innovativo anche sotto il profilo metodologico: abbandona definitivamente l’impostazione ‘ristretta’ del reddito, sostituita da quella ormai prevalente di Marshall; utilizza per la prima volta contemporaneamente i tre approcci possibili per le stime – quello della produzione, della distribuzione e dell’impiego del reddito - migliorandone la qualità in maniera significativa. Seguirono il Regno Unito, con la serie di stime del reddito nazionale di A. L. Bowley (1904), la Francia con Clément Colson (1913), la Germania con Karl Helfferich (1913), e gli Stati Uniti con Willford I. King (1915). Il lavoro di Coghlan segna una svolta radicale: le stime, fino a quel momento opera di singoli studiosi, diventano in breve tempo il compito di strutture governative; una situazione che permette di operare con maggiori risorse, ma che comporta esigenze e rischi specifici, come vedremo in seguito. Bowley in particolare propose la costituzione di un apposito:

“dipartimento centrale di statistica, che non solo avrebbe coordinato tutte le statistiche necessarie per la preparazione delle stime del reddito nazionale, ma avrebbe effettuato le stime stesse” (Studenski, 1958; p. 143).

Si tratta della soluzione oggi adottata praticamente in tutte le nazioni.

Iniziarono parallelamente a diffondersi i primi confronti internazionali basati sul reddito pro-capite: Leone Levi (1821-88) confrontò nel 1861 i dati di Regno Unito, Francia, Russia ed Austria (espressi in sterline, valuta internazionale dell’epoca). Più importante ed accurato fu il lavoro presentato da Michael G. Mulhall (1836-1900) nel Dictionary of Statistics (1884): le stime - opera in gran parte dell’autore, sulla base del materiale statistico disponibile - sono relative a diciotto paesi (compresa l’Italia, con un reddito annuo per abitante di 12,2 sterline, contro le 20,8 della media generale). Nonostante le numerose critiche - alcuni studiosi le definirono all’epoca “del tutto arbitrarie” - le stime risultarono verosimili; fatto ancora più importante, le polemiche stimolarono ulteriori ricerche. Nella prima parte del XX secolo i paesi che disponevano di stime anche saltuarie del reddito nazionale crebbero con regolarità: otto agli inizi del ‘900; tredici alle soglie della prima guerra mondiale (Italia inclusa, con la stima di Michele Santoro del 1911). Fu una crescita qualitativa oltre che numerica, accompagnata dalla percezione crescente nei governi e nell’opinione pubblica dell’importanza delle stime del

Page 25: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

25

reddito nazionale per valutare l’intervento pubblico in economia. Emblematico fu ad esempio un articolo dell’Economist (18 dicembre 1915), che ebbe ampia eco durante la prima guerra mondiale, in cui si calcolava un’incidenza dello sforzo bellico pari al 102% del reddito nazionale complessivo dei paesi coinvolti nel conflitto. Uno degli effetti dell’articolo fu la ripresa degli studi quantitativi in Russia, dopo una pausa di oltre un secolo, che furono poi utilizzati nella fase iniziale della costruzione dello stato sovietico dopo la rivoluzione d’ottobre.

Lo sviluppo proseguì fra le due guerre mondiali, sulla spinta degli enormi problemi aperti dalla fine del conflitto: riconversione delle economie di guerra; dislocazione delle frontiere politiche e delle sfere di influenza economica; riparazioni belliche della Germania agli Alleati. Decisivo si rivelò infine il crollo della borsa valori di Wall Street (ottobre 1929); quest’ultimo si trasformò rapidamente in una profonda crisi finanziaria ed economica americana, poi internazionale, con conseguenze devastanti a livello sociale e politico, fino a dare l’impulso probabilmente decisivo alla presa di potere nazionalsocialista in Germania (1933): una catena di eventi che sfociò nella seconda guerra mondiale (1939). La crisi del 1929-33 distrusse anche in ambito accademico la convinzione del ‘buon’ funzionamento del sistema economico di mercato: la certezza in particolare della tendenza naturale a raggiungere un ‘equilibrio di pieno impiego delle risorse’. Ciò riportò l’attenzione sulla dinamica economica – fulcro dell’analisi classica, trascurata invece dalla scuola marginalista – iniziando dal ciclo congiunturale di breve periodo. La teoria macroeconomica, come fu denominata, accentuò l’interesse sullo studio del reddito nazionale e delle sue componenti, e contribuì a dare la forma sostanzialmente attuale alla contabilità nazionale.

Il numero di paesi con stime del reddito continuò a salire: ventidue nel 1930; trentatré nel 1939, di cui nove con regolari serie annue di stime ufficiali. La Società delle Nazioni (l’organizzazione internazionale antesignana dell’ONU fra le due guerre mondiali), nel suo World Economic Survey (1939) pubblicò le stime del reddito nazionale di ventisei nazioni per il periodo 1929-38. Le esigenze di confronto internazionale portarono ai primi tentativi di standardizzazione fra i vari paesi; l’inizio della seconda guerra mondiale interruppe il lavoro, ma gli sviluppi teorici e metodologici furono ripresi dopo la fine del conflitto.

La prima parte della storia dell’analisi economica quantitativa si chiude qui: circa due secoli e mezzo hanno portato dall’intuizione di Petty alle soglie dell’epoca contemporanea. Molto più breve ma essenziale è il successivo passaggio, che copre meno di due decenni del XX secolo, dalla metà degli anni ’30 all’inizio di quelli ’50. Numerosi ricercatori hanno contribuito agli sviluppi

Page 26: Dall’Aritmetica Politica alla Contabilità Nazionale Una ... · della Contabilità Nazionale. Un secondo saggio sarà dedicato agli sviluppi successivi, dai contributi keynesiani

26

teorici ed empirici, ma due spiccano fra tutti: John Maynard Keynes (1883-1946), padre della moderna Macroeconomia, e sir Richard Stone (1913-91, premio Nobel 1984) cui si deve l’impostazione attuale della Contabilità Nazionale. A questi, ed agli sviluppi conseguenti, sarà dedicato un saggio successivo.

BIBLIOGRAFIA COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES, INTERNATIONAL

MONETARY FUND, ORGANISATION FOR ECONOMIC COOPERATION AND DEVELOPMENT, UNITED NATIONS (1993), System of National Accounts 1993, United Nations, Brussels, Luxembourg,, New York., Paris, Washington DC.

COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE (1996), Sistema Europeo dei Conti SEC 1995, Eurostat, Luxembourg.

GIANNONE A. (1992), Sistemi di contabilità economica e sociale, Padova, CEDAM. KENDRICK J. W. (1995), “The Historical Development of National-Income

Accounts”, History of Political Economy, pp. 284-315. KENESSEY Z., Ed. (1990), The Accounts of Nations, IOS Press, Amsterdam. SPIEGEL H. W. (1991), The Growth of Economic Thought, Duke University Press,

Durham & London. SCHUMPETER J. A. (1968), Storia dell’analisi economica, Boringhieri, Torino. STUDENSKI P. (1958), The Income of Nations, New York University Press, New

York. VANOLI A. (2005), A history of National Accounting, IOS Press, Amsterdam.