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Dedicato a te

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Enrico Cancelli, mainstream. Roberto è un giovane e brillante agente immobiliare che sta per diventare papà. Non ha buoni rapporti con la sua famiglia d'origine. Ha un'avventura extraconiugale con una ragazza separata, che ha già un figlio. Dopo essere entrato in contrasto con il suo titolare, sfrutta la buona opportunità lavorativa che gli offre il padre della sua amante, un importante immobiliarista della Toscana. La moglie scopre il suo tradimento e lo lascia, lui si trasferisce in Toscana, inizia il nuovo lavoro e va a vivere con l’amante. Con il lavoro entra in un losco giro di affari ma, quando scopre che la nuova compagna lo tradisce, decide di lasciare entrambi, rendendosi conto di quanto sbagliate siano state le sue ultime scelte. Farà di tutto per rimediare, ma sarà troppo tardi. Per tutto.

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In uscita il 30/11/2015 (15,70 euro)

Versione ebook in uscita tra fine dicembre '15 e inizio gennaio '16

(6,99 euro)

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ENRICO CANCELLI

DEDICATO A TE

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DEDICATO A TE Copyright © 2015 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-929-6 Copertina: Shutterstock.com

Prima edizione Novembre 2015 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

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A Melissa e al fratellino che arriverà presto, bellezza inebriante della vita che continua.

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“… sedutomi su una pietra vicino allo steccato, mi misi a guardare lontano; davanti a me si distendeva il mare agi-tato dalla tempesta notturna, e il suo sciabordio monoto-no, simile al mormorio di una città in procinto di addor-

mentarsi, mi ricordò i vecchi tempi, … ”

Da: “Un eroe del nostro tempo” Lermontov

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1 Era un venerdì sera, il sole si stava eclissando all’orizzonte immerso in lun-ghe striature rossastre, che rendevano il cielo infuocato. Era una bella sera, e per Roberto sarebbe stata ancor più bella perché Laura, sua moglie, gli avreb-be detto che aspettava un bambino. Di rientro dal lavoro correva a 160 chilo-metri l’ora con la sua Bmw sull’autostrada A4 in direzione Milano. Aveva da poco superato il casello di Brescia est e rimanevano ancora pochi chilometri prima del casello di Rovato, dove sarebbe uscito per dirigersi poi nel cuore della Franciacorta, a Bornato, da sua moglie Laura che lo stava aspettando nella loro villetta a schiera che avevano acquistato con un mutuo decennale. La radio, regolata su un volume più basso del solito, trasmetteva musica da discoteca che però non entrava nella testa di Roberto, tutto occupato a godere una piacevole sensazione per l’ottimo affare portato a termine quel pomerig-gio. Con un diploma di geometra e due anni di università presso la facoltà d’ingegneria, Roberto, che aveva quasi trent’anni, dopo aver fatto un paio di lavori poco interessanti, era diventato un agente immobiliare molto affermato, e quel pomeriggio, essendo riuscito a convincere un cliente importante a fir-mare l’atto preliminare di acquisto di un grosso cascinale disabitato, con an-nessi quaranta ettari di terreno coltivabile, lo aveva dimostrato un’altra volta a se stesso e agli altri. Il cliente, un grosso imprenditore edile di Poncarale, ini-zialmente dubbioso sulla possibilità di realizzare buoni affari con la ristruttu-razione del cascinale, soprattutto per la sua scomoda posizione rispetto ai cen-tri abitati, si convinse a firmare il preliminare in buona parte per l’innata ca-pacità di Roberto nel mettere a proprio agio i suoi interlocutori, e di far sem-brare di secondaria importanza aspetti che invece erano di primaria importan-za. Il cliente se n’era andato contento, ma ancor di più Roberto che ora, men-tre rallentava per imboccare l’uscita di Rovato, aspettava con ansia il momen-to di raccontare tutto a Laura. Le idee frullavano nella sua testa e la sbarra del telepass si alzò appena in tempo per non essere travolta. “Quasi quasi mi fer-mo a prendere qualcosa per festeggiare con Laura. Federico lo avviserò do-mani in ufficio, sono curioso di vedere che faccia farà!” pensò Roberto. Fede-rico era il suo titolare, alle cui dipendenze lavoravano, oltre a Roberto, ventot-to agenti immobiliari per un totale di dodici uffici sparsi nella provincia di Brescia, oltre a diverse impiegate occupate un po’ a tempo pieno e un po’ a part-time. Roberto smise di pensare a Federico e si concentrò su cosa acqui-stare per festeggiare quella sera. Decise all’ultimo momento di acquistare un vassoio di paste che piacevano molto a Laura, e anche a lui, e una bottiglia di

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spumante che, ovviamente, non poteva mancare in occasioni del genere. Poco dopo, arrivato finalmente a casa, parcheggiò la macchina davanti al garage, aspettò che si chiudesse il cancello scorrevole e, quando il lampeggiante si spense, schiacciò con una certa difficoltà il pulsante del campanello di casa con la mano destra, con la quale teneva la borsa da lavoro e la bottiglia di spumante, mentre sosteneva il vassoio di paste con il palmo della mano sini-stra. Il proprietario della terza villetta a schiera stava innaffiando a mano i fio-ri in giardino, e continuò a farlo come se Roberto non fosse arrivato, anzi co-me se non esistesse. «Un attimo, arrivo subito!» La voce di sua moglie lo rese ancor più felice, e quella manciata di secondi di attesa gli sembrò non passasse più. La porta si aprì. «Ciao amore!» «Ciao tesoro», fece appena in tempo a rispondere Roberto perché Laura, fer-ma sulla soglia di casa che la poneva a un giusto livello rispetto a lui, sporse in avanti la testa e lo baciò sulle labbra. In quel breve lasso di tempo Roberto rivide, come in un flash, tanti bei momenti del suo fidanzamento con Laura, felicemente coronati poi dal matrimonio celebrato da circa un anno. Laura in-dossava un paio di jeans un po’ sbiaditi, e una camicetta rosa con il colletto bianco. Un piccolo grembiule a fiori gialli e verdi, orlato da una striscia di stoffa color ciclamino, le dava un tocco di freschezza. Roberto non fece molto caso a tutto questo perché in particolare fu attratto dalla dolcezza del suo viso. I profondi occhi marroni, sovrastati dalla perfetta e sottile curva delle sopra-ciglia, la fronte leggermente alta, i capelli castani leggermente ondulati, l’armonia delle rotondità delle guance e del mento delicato, valorizzati dalle labbra ben delineate, rendevano il suo viso molto bello e simpatico. Roberto s’innamorò di lei fin dalla prima volta che la vide, e Laura, per Roberto, rap-presentava come si suol dire, la sua dolce metà: lui impulsivo, lei calma, lui sognatore, lei razionale, lui espansivo, lei riservata, lui a volte invadente, lei dolce e rispettosa, lui emotivo e molto sensibile, lei serena ed equilibrata. Ora Roberto si sentiva ancor più innamorato di lei di quand’erano fidanzati, ed era certo che nulla al mondo avrebbe potuto separarli. Laura rimase un po’ sorpresa nel vedere la confezione di pasticceria e la bot-tiglia. «Tieni, li ho presi perché stasera dobbiamo festeggiare», le disse lui porgen-doglieli appena entrato in casa. «Perché, cosa dobbiamo festeggiare?» Laura fu molto contenta della sorpresa, anche perché la aiutò a sentirsi un po’ meno a disagio per aver preparato con scarso risultato il coniglio ripieno. Ro-berto mise la borsa sul tavolino del salotto, poggiò sulla poltrona la giacca e la cravatta, che aveva appena sfilato dal collo con un gesto liberatorio, e spro-fondò sul divano con un sospiro.

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«Ti ricordi quell’impresario di Poncarale di cui ti parlavo l’altro giorno?» «Sì, mi ricordo», rispose Laura senza mostrare molto interesse a quella do-manda. Posò la confezione e la bottiglia sul tavolo della sala e si diresse verso la cucina. «Scusa ma devo controllare un attimo la cottura del coniglio ripieno.» «Sento un buon profumino», disse Roberto per incoraggiarla. «Un buon profumino? Beh, diciamo che ho cercato di fare del mio meglio, ma la cucitura si è rotta e un po’ di ripieno è fuoriuscito e si è mescolato con le patate… Tu non senti odore di bruciato?» Era difficile per Roberto non ammetterlo. «Forse un pochino, ma non preoccuparti.» Laura controllò il forno elettrico. «Laura, vieni qui un momento, mentre aspettiamo che la cena sia pronta, ti racconto di oggi.» «Il riso freddo è già in tavola», le rispose lei. Poi sedette vicina a lui sul diva-no. «Ti stavo dicendo di quell’impresario di Poncarale.» «Sì…?» «Quello che non si decideva mai ad acquistare quel cascinale nella bassa bre-sciana». Roberto si aspettava che Laura facesse un cenno di assenso, o dicesse qualco-sa, ma lei rimase in silenzio, e lo guardava incuriosita. Teneva le mani pog-giate sulle ginocchia e aveva una ciocca di capelli che le sfiorava l’occhio si-nistro. Roberto si sentiva sempre incoraggiato dal suo modo di ascoltare, e continuò il discorso con enfasi. «Oggi pomeriggio, dopo la quinta o sesta volta, non ricordo bene, ci siamo nuovamente incontrati sul posto per vedere di raggiungere un accordo. Ho dovuto faticare più del solito per convincerlo, ma alla fine ha firmato.» «Complimenti!» disse Laura, «sei stato proprio bravo.» «Bravo?…Vorrai dire bravissimo, grandioso!» esclamò Roberto trionfante. Proprio in quel momento suonò il timer del forno e quella buffa coincidenza infastidì un po’ Roberto. Laura sorrise divertita. «Scusa caro, vado un attimo a ricontrollare il coniglio.» Poi tornò a sedersi e Roberto rimase in silenzio. «Sei stato proprio bravo, sono orgogliosa di te!» disse lei per incoraggiarlo a riprendere il discorso. «Non è che abbia fatto chissà che cosa, del resto è il mio mestiere.» «Tu però sei riuscito dove qualcun altro ha fallito.» Roberto assentì con la testa, il fatto di sentirsi ammirato non gli dispiaceva. «Diciamo che ho insistito e ho saputo cogliere l’occasione giusta al momento giusto, e questo porterà nelle nostre tasche un bel po’ di soldi.» «Quanti?» chiese Laura andando subito sul concreto.

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«Esattamente non so quanti, ma saranno tanti.» Roberto lasciò la frase in sospeso, ma anche stavolta Laura, che non era molto loquace, rimase zitta. «A scuola invece com’è andata stamattina?» le chiese ricordando una partico-lare raccomandazione che lo psicologo aveva fatto a tutti i maschi durante i corsi prematrimoniali, quella di valorizzare sempre il lavoro delle mogli. Per un istante il volto di Laura assunse un’espressione quasi raggiante. «Bene come sempre… in certi momenti ho fatto fatica a tenerli, ma nel com-plesso sono stati bravi», disse Laura manifestando nell’espressione degli oc-chi la gioia di parlare dei suoi bambini di scuola. Era maestra di scuola ele-mentare da tanti anni e questo lavoro la entusiasmava. «Bene!» affermò Roberto. Laura si alzò. Anche Roberto si alzò dal divano, e solo allora si accorse che la tavola era apparecchiata in un modo particolare: nel mezzo c’era una candela non ancora accesa che dava un tocco di intimità. C’era anche un piccolo vaso di violette rosa e azzurre vicino al suo posto, dei bigliettini di carta colorata sparsi sulla tovaglia tra i panini, i grissini, le bottiglie, il contenitore del riso freddo e tutto il resto. Per antipasto c’erano dei carciofini, alcune fettine di affettati, e qualche funghetto sottolio. Il modo originale con cui la tavola era stata preparata esprimeva la delicatezza di Laura. Abituata col suo lavoro a stare in mezzo ai bambini, faceva le cose con quella gioia, quella spontaneità che solo loro sanno trasmettere. «Perché questo?» chiese Roberto mentre cercava di immaginare quale fosse il motivo di quella sorpresa. «Ti ho forse accennato qualcosa dell’appuntamento di oggi con l’impresario?» continuò, rendendosi conto subito dell’inutilità di quella domanda. Infatti, se anche così fosse stato, sicuramente Laura non a-vrebbe preparato la tavola in quel modo. Il motivo doveva essere certamente un altro. Laura si mise davanti a lui e lo fissò negli occhi. I suoi occhi riflette-vano la gioia di chi sta per svelare un segreto molto bello a una persona ama-ta. «Vediamo se indovini?» gli chiese con dolcezza. Lui cercò con un po’ di affanno la risposta giusta, ma aveva la sensazione che non l’avrebbe trovata. Poi però ebbe come un lampo. «Ho trovato! Hai ottenuto finalmente il posto fisso a scuola?» Prima ancora delle parole gli occhi di Laura gli dissero di no, e gli dissero che il motivo di quella sorpresa era il più bello del mondo. «Aspetto un bambino», sussurrò Laura. «Davvero?» riuscì a balbettare Roberto in preda all’emozione. Si abbracciarono, si strinsero l’uno all’altra e rimasero in silenzio alcuni se-condi. Poi Roberto le prese delicatamente la testa con le mani e la guardò ne-gli occhi. «È fantastico! Ma da quant’è?»

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«Da circa tre settimane.» «Forse è un po’ presto per festeggiare, potrebbe essere un falso allarme», os-servò Roberto con la speranza che si trattasse invece di una cosa certa. «È vero, nelle prime settimane il test di gravidanza non da una certezza asso-luta, ma io so di essere incinta!» «Perché?» le chiese Roberto rincuorato. «Perché lo sento dentro di me, è difficile da spiegare. Inoltre ultimamente ho più appetito del solito e, durante la giornata, mi capita a volte di avere un po’ di nausea.» Roberto la baciò sulle labbra: «Che bella sorpresa, allora presto diventerò pa-pà, magari di un bel maschietto, o di una bella femminuccia!» «La mia mamma dice che quando si ha la nausea fin dai primi mesi, vuol dire che è un maschietto», disse Laura. «Maschio o femmina per me non fa differenza, l’importante è che sia sano… E se fossero due gemelli, magari un maschio e una femmina?» La possibilità prospettata da Roberto non era poi così remota, ma Laura non l’aveva considerata. Restò un attimo perplessa e poi disse: «Beh, non esage-riamo, già mi preoccupo abbastanza a pensare di dover partorire un figlio, fi-guriamoci due.» «Risolveremmo il problema dei figli in un colpo solo», commentò lui, anche se in fondo percepì un certo disagio al pensiero che ciò potesse avverarsi. Sedettero a tavola e il discorso sulla gravidanza, sui test clinici, sul parto e soprattutto sui bambini continuò tra loro durante la cena. Laura si comportava esteriormente come prima, ma interiormente viveva un momento magico, che le mostrava la realtà molto più bella e coinvolgente di prima. Il percepire la vita che stava crescendo nel suo ventre la rendeva quasi euforica, come se l’inizio di quella vita non fosse stato solo una debole scintilla nell’immensità del cosmo, ma fosse un tutt’uno con esso, immenso come l’energia che l’aveva generato e di cui faceva strettamente parte. Roberto invece, come fanno di solito i futuri papà, non si soffermò ad assaporare la bellezza del pre-sente ma spostò il suo pensiero, le sue attese, a quando il bambino sarebbe nato, a quando avrebbero giocato insieme, a come l’avrebbe cresciuto e addi-rittura a che cosa avrebbe fatto da grande. Quest’ultimo pensiero lo interessò particolarmente: «Mio figlio, da grande, non farà il mio lavoro, perché richie-de troppo sacrificio.» Lei lo ascoltava divertita. «È troppo presto per dirlo, prima dobbiamo crescerlo bene, educarlo, inse-gnarli tante cose», osservò Laura. Rimasero un po’ in silenzio mentre Roberto cercava una scusa per non man-giare un pezzetto di coniglio, un po’ troppo cotto, che lei gli aveva appena servito.

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«Dobbiamo decidere il nome da dargli!» esclamò Roberto. «Se fosse un ma-schio mi piacerebbe chiamarlo Alberto… no, forse è migliore Luca. Tu che nome gli daresti?» «Alessandro», rispose prontamente lei. «Ti ricorda forse il nome di qualcuno in particolare?» Laura non rispose. «Invece se fosse una femmina, la chiamerei… Vanessa, Jessica… o magari Natascia.» «Sono tutti nomi non molto comuni», osservò lei. «Se fosse una femmina io le darei un nome particolare, che non si dimentica tanto facilmente», osservò Roberto che cominciò da subito a desiderare mag-giormente una femminuccia rispetto a un maschietto, forse perché come ma-schio si sentiva istintivamente più attratto da una figlia che da un figlio, o for-se perché aveva un solo fratello maschio, Diego, con il quale non andava mol-to d’accordo. «Se fosse una femmina io la chiamerei Denise», sentenziò convinto Roberto. «Denise piace anche a me. Per il maschio abbiamo ancora tanto tempo per pensarci… dobbiamo comunicare la bella notizia ai miei genitori», affermò Laura. Restò alcuni secondi assorta, in silenzio, e poi continuò: «Oggi pomeriggio mi ha chiamato tua mamma.» «Ma scusa, cosa aspettavi a dirmelo?» le chiese Roberto un po’ perplesso. «Te l’avrei detto dopo cena, mi ha detto che domenica prossima ci aspetta a pranzo.» «Bene, l’occasione per annunciare il lieto evento.» «Ci saranno anche Diego e Sabrina», disse Laura con voce atona. «Ecco perché hai aspettato a dirmelo, perché ha invitato anche loro due!» «Ho aspettato a dirtelo perché prima volevo farti sapere che ero incinta.» «Hai fatto bene, e poi se domenica ci saranno anche loro due, non me ne im-porta molto», disse Roberto un po’ stizzito, cercando inutilmente di nascon-dere con le parole ciò che esprimeva con l’espressione del viso. Una leggera piega ironica delle labbra, e qualche ruga orizzontale appena comparsa sulla fronte, manifestavano chiaramente il suo disagio interiore, che lui sentiva dentro di sé per l’aumento dei battiti del cuore e per un calore inaspettato nel-lo stomaco. Diego, il fratello maggiore per il quale la mamma aveva sempre stravisto, e ancor più stravedeva da quando si era laureato a pieni voti in in-gegneria informatica, mentre lui, Roberto, aveva smesso al secondo anno per-ché era incostante nello studio. “Se continui così non ce la farai a laurearti, non puoi studiare ogni tanto e pensare solo a divertirti, tuo fratello Diego stu-diava tutti i giorni, lui sì che s’impegnava.” Queste parole, che la mamma gli aveva ripetuto in tutte le salse, lo avevano demotivato a tal punto che un bel giorno, anche se aveva superato sempre bene tutti gli esami fin lì affrontati,

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anche se alcuni docenti gli avevano vivamente consigliato di non smettere, si ritirò dalla scuola e si cercò un lavoro. Solo suo padre, che non aveva prefe-renze tra i due figli, gli consigliò di non mollare, ma oramai Roberto aveva deciso. Trovò subito lavoro come rappresentante per una ditta che commer-cializzava componenti meccanici per il settore della robotica, e in poco tempo s’inserì bene in quel nuovo ambiente. L’unico problema era lo stipendio un po’ scarso. La persecuzione del confronto impari con suo fratello era destina-ta a continuare. “Devi impegnarti di più Roberto se vuoi riuscire a percepire un buon stipendio. Con i soldi che guadagni come faresti a sposarti, a mante-nere una famiglia? Guarda tuo fratello Diego, lui si che guadagna bene, si è laureato con il massimo dei voti e ora è anche diventato caporeparto.” Anche questa era una delle tante frasi sentite più volte dalla sua mamma che ora gli rimbombavano fastidiosamente nel cervello, e che più cercava di allontanarle e più gli sembrava di ascoltarle per l’ennesima volta e di rivivere il disappun-to delle sue indispettite risposte: “Tanto per cominciare non ho nessuna inten-zione di sposarmi, ci mancherebbe altro, e poi il lavoro che fa Diego che se ne sta tutto il giorno chiuso in un capannone, io non lo farei mai nemmeno se prendessi dieci volte quello che prende lui.” “Non devi arrabbiarti, io lo fac-cio per il tuo bene” si giustificava la mamma. Di fronte a risposte del genere Roberto si sentiva sempre più disarmato che mai, perché sapeva che sua mamma, così facendo, pensava veramente di agire per il suo bene. Nonostan-te ciò aveva con suo fratello maggiore un rapporto tutto sommato abbastanza buono, di tacita intesa anche di fronte alla palese predilezione della mamma nei confronti di Diego. Come se tra loro due i ruoli fossero stati reciproca-mente accettati e rispettati. Diego, il fratello bravo, taciturno, serio, in sintesi il preferito, Roberto il fratello incostante, disordinato, un po’ superficiale, cioè lo scapestrato. Questo delicato equilibrio tra loro due subì uno scossone inaspettato con l’arrivo di Sabrina, la fidanzata e poi moglie di Diego. Quello che all’inizio sembrò ai due fratelli espressione di un piccolo reciproco disa-gio, col passare del tempo divenne una rottura sempre più profonda e insana-bile, non perché Sabrina avesse agito per dividere i due fratelli ma perché provava una certa antipatia per Roberto, che lui ricambiava e che portò Die-go, succube di lei, a mal sopportare sempre più il fratello minore. Quando Diego decise di sposarsi, la casa fu alzata di un piano. Lui andò ad abitare di sopra, mentre al piano terra rimasero i genitori con Roberto. Non molto tem-po dopo anche Roberto e Laura decisero di sposarsi. Acquistarono una villetta a schiera poco distante, ma nonostante la vicinanza e il fatto che Diego e Sa-brina abitassero nella casa dei genitori, i due fratelli e le rispettive mogli si vedevano pochissime volte, solo quando non potevano evitarlo, come sarebbe accaduto quella domenica a pranzo. Con l’arrivo della seconda nuora, la mamma, pur avendo una certa simpatia per Laura, non cambiò l’atteggiamento nei confronti dei figli, anche perché era inconsapevolmente

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condizionata da Sabrina che la portava a manifestare ancor più la sua predile-zione nei confronti di Diego. La mamma diveniva meno invadente nei con-fronti di Laura solo quando le capitava di trovarsi da sola con lei, ma questo avveniva rarissime volte. L’unica cosa che Laura apprezzava di quell’invito a pranzo, era il fatto di evi-tare per una volta di lavorare ai fornelli. Rimasero per un po’ in silenzio, poi Laura propose di passare al dolce. «Ho preparato una torta di mele, ma se vuoi, apriamo subito le paste.» «Assaggerei volentieri tutte due», rispose lui. Laura servì la torta e le paste, Roberto aprì lo spumante e poco dopo dimenti-carono l’invito dei genitori di lui e godettero la gioia di diventare presto papà e mamma, di accogliere una nuova vita che avrebbe reso la loro certamente più bella e più intensa.

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2 Era domenica, mezzogiorno era stato annunciato da poco dalle campane della chiesa, ma Laura, come capitava di solito in quelle occasioni, non era ancora pronta. Stava finendo di truccarsi davanti allo specchio in bagno, e Roberto ritornava per la terza volta dalla cucina e per la terza volta le chiese impazien-te: «Quanto hai ancora?» «Ho quasi finito!» A percorrere il breve tragitto che li separava dalla casa dei suoi, in macchina avrebbe impiegato non più di due minuti, e inoltre avrebbero iniziato a pran-zare non prima delle dodici e trenta, ma ciò nonostante Roberto era un po’ impaziente. «Dai che son già suonate le dodici, siamo in ritardo.» Laura si stava spalmando un pizzico di fondotinta sulle guance. «Che problema c’è, tanto siamo qui a due passi. Cos’hai che mi sembri agita-to?» gli chiese, anche se sapeva già il perché. «Sai che non mi piace arrivare in ritardo.» «Secondo me non è questo il motivo.» «E quale sarebbe?» chiese Roberto un po’ infastidito di non saper nascondere le proprie emozioni. «Non hai molto piacere di rivedere tuo fratello e sua moglie.» Roberto aspettò un attimo prima di rispondere. «Beh, non lo posso negare, comunque cercheremo di fermarci il meno possi-bile, e dopo il caffè tanti saluti.» «Glielo diciamo oggi ai tuoi che sono incinta?» «Sì, certo, che problema c’è?» «Niente, non c’è nessun problema, solo che…» «Solo che?» ripeté lui incuriosito. «Solo che magari tuo fratello e tua cognata ci rimarranno un po’ male perché, da quanto ho capito l’ultima volta che ci siamo visti, è da un po’ che stanno cercando di fare un figlio.» «E a noi cosa importa? Non è mica colpa nostra se a loro non arriva!» ribatté prontamente Roberto. «E prima o poi lo verrebbero comunque a sapere», con-tinuò lui cercando inutilmente di calmarsi, mentre sentiva crescere dentro di sé l’agitazione. «Io sono pronta!» esclamò Laura. «Hai chiuso tutte le ante?» «Sì, è tutto a posto», le rispose lui ammirandola mentre usciva dal bagno.

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«Come sei bella!» le disse con sincero orgoglio. Poi fece per baciarla sulle labbra ma lei lo trattenne: «No, ho messo il rossetto.» Lui desistette un po’ a malincuore, continuò ad ammirarla nel suo bel vestito color ciclamino con la fascia di seta, che metteva in risalto le splendide forme del suo corpo, e poi si diresse verso il portoncino d’ingresso. Cinque minuti dopo, parcheggiata la macchina sul piccolo spiazzo a destra della casa dei suoi, stavano davanti al cancellino in attesa che qualcuno aprisse. Per un atti-mo una figura femminile, quasi certamente quella di Sabrina, li guardò dalla finestra della sala e poi scomparve, ma il cancellino rimase chiuso. Roberto schiacciò il pulsante una seconda volta e finalmente la serratura elettrica scat-tò. «Che cosa aspettava ad aprirci?» «Stai calmo, non hai motivo di agitarti», le sussurrò lei all’orecchio mentre percorrevano il vialetto lastricato di porfido. Si fermarono un attimo davanti all’ingresso per ammirare un bel vaso di azalee rosa che abbelliva l’angolo destro del portichetto. Sentirono dall’interno la voce della mamma: “Entrate, c’è aperto.” Laura entrò per prima mentre il suocero si stava dirigendo verso di loro. La tavola in sala era già apparecchiata e dalla cucina proveniva un buon profumino. Agnese, la mamma, era molto brava a cucinare, e in quel momento la si sentiva trafficare con le pentole. «Buongiorno!» disse Laura rivolgendosi al suocero che l’aveva raggiunta. «Ciao Laura, ciao Roberto, venite, accomodatevi, la mamma è in cucina», ri-spose lui. Roberto salutò tutti, e Diego e Sabrina risposero semplicemente “ciao”. Diego stava comodamente seduto su una poltrona e leggeva il giornale con l’aria di chi sta facendo una cosa molto importante e non vuol essere disturba-to, e Sabrina stava in piedi dietro di lui. Giuseppe andò a sedersi a tavola per primo e con un gesto della mano invitò anche tutti gli altri a fare altrettanto. A questo punto Sabrina si avvicinò a Laura e le due cognate si abbracciarono e si baciarono tre volte sulle guance come di consueto. Tanto Laura era sponta-nea quanto Sabrina sembrava impacciata. Comparve Agnese sulla porta della cucina tenendo una casseruola con la mano sinistra, mentre con l’altra ne me-scolava il contenuto con un mestolo di legno. «Ciao Laura, ciao Roberto, accomodatevi tutti a tavola, ho già servito l’antipasto. Tra poco porterò il primo», e indicò la tavola apparecchiata. In-dossava una camicetta fantasia dai colori rosa, giallo, azzurrino tenue, con le maniche rimboccate e una gonna azzurra coperta da un grembiule a fiorellini bianchi e rossi. Nonostante avesse già 55 anni, era ancora una bella signora, dal fisico giovanile e dalle forme ben proporzionate. Aveva un modo di fare espansivo e allegro che contraddiceva con il suo modo un po’ ingiusto di trat-tare i figli. Giuseppe era un tipo piuttosto taciturno che però, diversamente

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dalla moglie non faceva differenze tra i due figli e sapeva appianare con faci-lità i loro dissensi. «Mamma, però vieni a sederti anche tu», disse Diego mentre occupava posto a tavola seguito dagli altri. «Io arrivo subito, voi cominciate pure, buon appetito», replicò la mamma tor-nata nuovamente in cucina. Come sempre, Diego e Sabrina sedettero rivolti verso l’entrata, di fronte rispettivamente a Roberto e Laura; Giuseppe si se-dette a capotavola in mezzo ai due figli, e l’altro posto a capotavola, quello più vicino alla cucina, rimase libero per Agnese. «Buon appetito!» augurò a tutti Sabrina e tutti ringraziarono e iniziarono ad assaggiare gli antipasti. Qualche minuto dopo si sedette anche Agnese e pri-ma che ritornasse in cucina per servire i primi piatti, l’atmosfera si era già fat-ta più cordiale. Tre uomini da un lato e tre donne dall’altro formarono due gruppetti che in certi momenti sembravano ignorarsi reciprocamente, tant’erano presi dai loro discorsi. Dopo l’apprezzamento di Diego per la BMW di Roberto, per un po’ gli uomini parlarono del costo delle automobili, delle loro prestazioni, del fatto che ritenevano che quelle tedesche fossero le più affidabili. Le donne invece si complimentarono vicendevolmente dei loro vestiti e acconciature, soprattutto Laura e Sabrina che si studiavano in un mo-do che gli uomini riuscivano a percepire. Quando Agnese si alzò per servire i primi piatti, tutti i discorsi subirono una battuta di arresto. «Devo darti una mano a servire?» le chiese Sabrina. «Non c’è bisogno, ma se proprio ci tieni», rispose Agnese e tutte due scom-parvero in cucina, come se si fossero accordate prima. In effetti, quelli rimasti in sala le sentirono bisbigliare e sospirare. Poco dopo Agnese rientrò in sala tutta raggiante, tenendo con le mani una grossa casseruola di vetro piena di casoncelli al ragù di coniglio, fumanti e profumati, seguita da Sabrina che portava le fondine. Per primo fu servito Diego con la solita porzione abbon-dante. «Mamma, che esagerata, sono troppi per me, non riesco a mangiarli tutti!» Diego parlava sul serio mentre guardava impressionato quella doppia porzio-ne di casoncelli nostrani. «Mangia che ti fa bene», gli rispose lei particolarmente orgogliosa. «Guarda che così lo fai scoppiare!» osservò Giuseppe divertito. Laura si avvicinò a Roberto e gli bisbigliò nell’orecchio: «Glielo diciamo a-desso del bambino?» «Cosa?» chiese lui un po’ infastidito, mentre Sabrina, in quel momento dietro Giuseppe, li osservava incuriosita. «Glielo diciamo adesso del bambino, o vuoi aspettare ancora un po’?» ripeté Laura. Lui rimase un attimo in silenzio, mentre la mamma si stava avvicinando per servirlo.

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«Aspetta ancora un momento!» Laura, pazientò ancora per comunicare la bella notizia, e attese che le fossero serviti i casoncelli che, dal profumo, promettevano di essere particolarmente buoni. Quando tutti furono serviti, compresa Agnese che ritornò a sedersi al suo posto, i complimenti per la bontà dei casoncelli furono unanimi, e per un po’ si sentì solo il ticchettio delle posate, interrotto ogni tanto solo da brevi commenti. «Te l’ha detto tuo figlio?» chiese a un certo punto Agnese a suo marito. «Che cosa, quale mio figlio?» rispose Giuseppe cercando di intuire di cosa si trattasse. «Tuo figlio Diego.» Giuseppe guardò Agnese un po’ imbarazzato e non disse nulla. Roberto inve-ce sentì come un tuffo al cuore, generato da un inspiegabile disagio, e da quel momento decise di non aprire più bocca. Laura aveva notato la sua reazione, e benché Sabrina li stesse osservando, sfiorò con il suo il gomito di Roberto, come a suggellare un tacito accordo. «Poco fa in cucina ho parlato con Sabrina… Dai dillo tu!» continuò Agnese rivolta a Sabrina che in quel momento, avendo notato il disagio dei due co-gnati, si trovava in una disposizione d’animo particolarmente favorevole. «Ho detto ad Agnese che…», Sabrina si fermò fingendosi imbarazzata, ma solo per dare maggior peso alle sue parole. «Ho detto ad Agnese che Diego e io stiamo cercando di fare un figlio.» Diego, Sabrina e Agnese erano raggianti. Roberto rimase in silenzio e Laura deglutì un pezzo di cibo che le era diventato amaro tutto di un colpo. «State cercando? E quand’è che arriva?» esclamò Giuseppe da una parte or-goglioso al pensiero di poter diventare nonno, e dall’altra un po’ impacciato per tutto quell’inutile alone di mistero per una cosa tanto semplice e naturale. Tutti scoppiarono in una risata, perfino Roberto, come sempre molto orgo-glioso di suo padre, uomo schietto e di poche parole. «Quando il Signore vorrà, arriverà!» gli rispose Agnese, mentre volgeva uno sguardo adoratore su Sabrina che stava seduta alla sua sinistra. «Io non ho dovuto cercare con la tua mamma, anzi, se non stavo attento…», borbottò con la voce un po’ bassa Giuseppe in direzione di Roberto, mentre Diego fingeva di non aver sentito. A quelle parole Roberto si sentì un po’ rincuorato, come se suo papà avesse intuito il suo disagio. Roberto sorrise, e Laura, che non gli toglieva gli occhi di dosso sapendolo un po’ agitato, ritornò a parlargli nell’orecchio e a fargli la stessa domanda di prima. «No!» rispose lui un po’ seccato. Tutti notarono il suo tono un po’ alterato, ma fecero finta di niente. «Voi non avete ancora pensato a fare un figlio?» chiese Sabrina rivolgendosi espressamente a Laura.

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«No!» disse nuovamente Roberto rispondendo al posto di sua moglie, mentre toccava nervosamente le posate e teneva la testa un po’ bassa. «Comunque vedrete che arriverà presto», disse Agnese rivolgendosi solo e sempre al figlio maggiore e a sua moglie, come se all’altro figlio e all’altra nuora fosse preclusa la possibilità di diventare papà e mamma. «Adesso ci siamo veramente messi d’impegno», continuò Sabrina, e tutti im-maginarono che probabilmente erano mesi che ci stavano provando. «E comunque il ginecologo ha detto che dovrebbe arrivare presto.» «Avete fatto qualche esame?» chiese Laura con naturalezza. «Qualche esame in più non guasta mai!» le rispose Agnese al posto di Sabri-na. «Intendevo dire se avete fatto qualche esame per… per vedere se…» Laura, che non si era aspettata quella risposta da parte di sua suocera, lasciò la frase a metà, colta da un leggero imbarazzo. «Abbiamo fatto tutti gli esami del caso circa sei mesi fa, e sono risultati tutti ok.» «Allora è da un po’ che lo cercate?» affermò Laura con spontaneità, ma subi-to si pentì di aver detto quelle parole. «Se qualcuno mi aiuta a cambiare i piatti, il secondo è pronto da servire.» Con queste parole Agnese diede un taglio al discorso e si alzò. Si alzò anche Sabrina e poco dopo furono portati dei nuovi piatti contenenti un fumante spezzatino che riempì la stanza di un delizioso profumo, e tutti i commensali, com’era successo prima quando erano stati serviti i casoncelli, dimenticarono per un momento tutti i discorsi e cominciarono a mangiare. Roberto, a parte quelle poche parole dette in risposta ad alcune domande, continuava a rima-nere imperterrito in un ostinato silenzio, e più passavano i minuti e più il suo mutismo assumeva un tono quasi provocatorio nei confronti dei presenti. Ciò nonostante la sua mamma continuava a comportarsi con un’affettata natura-lezza, come se non si fosse accorta di nulla, o meglio come se Roberto non fosse presente. E questo suo atteggiamento ferì Roberto in modo particolare, e lo portò pian piano in quella disposizione d’animo alterata e, per certi versi, quasi incontrollabile, nella quale bastava una piccola scintilla per farlo andare su tutte le furie. Laura si era accorta di questo già da un po’, e non vedeva l’ora che il pranzo finisse per ritornare a casa, prima che accadesse l’irreparabile. La tensione divenne quasi palpabile. Neanche a farlo apposta fu allora che il discorso cadde su un argomento che per Roberto rappresentava, in quella situazione, una specie di nervo scoperto, pronto a far male: il lavoro. E come altre volte fu la mamma che inconsapevolmente innescò la scintilla. «Diego, adesso che ti sei sistemato bene con il lavoro, non avrai difficoltà ad allevare un figlio, magari anche due.» Diego si pavoneggiò annuendo lentamente con la testa.

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«Adesso che sei diventato caporeparto, quanti operai dipendono da te?» gli chiese la mamma con un interesse quasi smanioso, benché lo sapesse già con precisione perché Sabrina la teneva puntualmente informata. «Te l’ho già detto mamma, in totale dipendono da me circa cinquanta operai, però non li gestisco direttamente io, non avrei nemmeno il tempo di farlo. Ci sono altre tre persone sotto di me che lo fanno.» Diego lavorava come capo produzione in una grossa azienda metal meccanica che produceva attrezzature per l’edilizia. «Quindi sei il capo dei capi?» insistette la mamma. «Più o meno sì, anche se io mi occupo principalmente degli aspetti tecnici, un po’ meno di quelli organizzativi.» «Cioè?» «Cioè, seguo la produzione soprattutto per quanto riguarda la qualità… se un prodotto non rispetta certi parametri non si riesce a venderlo, quindi bisogna fare il possibile per evitare questo.» La mamma lo ascoltava come se pendesse dalle sue labbra. Roberto quasi sof-friva a starsene seduto, sentiva un forte bisogno di alzarsi per scaricare la ten-sione. Lo anticipò Laura. «Scusate, ma io non mi sento molto bene, forse ho mangiato troppo in fretta, provo come un senso di nausea…» «Magari sei incinta!» disse infelicemente Diego. Laura, cercando di essere il più naturale possibile, sfiorò con la mano la bocca di Roberto che stava per rispondere a tono alla battuta di Diego, e gli disse: «Caro, ti fa niente se torniamo a casa?» Roberto non le rispose e si alzò dalla sedia. Anche la mamma si alzò e disse: «Aspetta Laura che ti porto un digestivo che fa miracoli, vedrai che dopo sta-rai bene.» «No, grazie, forse è meglio se andiamo subito.» «Si tratta solo di un attimo!» Laura sembrò rimanere un po’ indecisa, ma con gli occhi implorava Roberto di andare via subito, mentre sentiva sempre più forte il senso di nausea. «Con il tuo lavoro vai bene Roberto?» gli chiese Diego con un tono velata-mente ironico. Per Roberto fu la goccia che fece traboccare il vaso. «Sì, perché?» «No, così, sempre in giro sulla strada… dici che è un lavoro sicuro?» Roberto diventò livido in volto. Laura corse in cucina perché non riusciva più a tenere il cibo nello stomaco. «Che cosa vorresti dire?» «Niente, solo che mi sembra un lavoro un po’ precario, che non ha futuro.» «Chi ti credi di essere?» esplose rabbiosamente Roberto. «Chi ti credi di esse-re, ingegnere da strapazzo… tu dici che il mio lavoro è precario, ma cosa ne

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sai tu del mio lavoro, tu che sei sempre chiuso in un capannone come una gal-lina in un pollaio? Io di certo non farei mai un lavoro come il tuo, se proprio lo vuoi sapere!» Vista la situazione si alzò anche il papà e restarono seduti solamente Diego e Sabrina che, visibilmente, condivideva le parole di suo marito. La mamma arrivò tutta spaventata dalla cucina e si mise a fianco di Diego come per di-fenderlo, nonostante fosse più robusto del fratello minore, e guardava Roberto con un’espressione di rimprovero e di spavento. «Roberto calmati, tuo fratello non ha detto nulla di male!» affermò lei cer-cando di tranquillizzarlo, ma ottenne l’effetto contrario. «Calmarmi, io calmarmi?» gridò Roberto. «Se non sbaglio sei tu che stai gridando», intervenne ironicamente Diego per provocarlo ancora di più. Roberto si rivolse direttamente a sua madre. «Calmarmi? Non posso stare calmo quando tu non fai altro che parlare con lui, solo con lui, non fai altro che vantare il suo lavoro, la sua stramaledetta laurea, mentre io non conto nulla, non ho mai contato nulla per te!» Il tono di voce di Roberto era straziante, manifestava tutta la rabbia repressa che solo un figlio che si è sentito per tanti anni, per tutta la vita trascurato dal-la mamma, può avere dentro di sé. Giuseppe s’impressionò molto ad assistere a quella penosa scena, provò un grande dispiacere nel vedere i suoi due figli che litigavano in quel modo e percepì lo sfogo di Roberto come un qualcosa tenuto troppo a lungo represso, che alla fine doveva saltar fuori. «Roberto calmati, anche se ti sembra che tua mamma faccia differenze tra voi due, ti posso assicurare che non è così. Per me e per tua mamma voi due vale-te allo stesso modo.» Queste parole, dette con calma da suo papà, riuscirono in parte a tranquilliz-zarlo, anche perché era l’unica persona tra i presenti che Roberto si rammari-cava in cuor suo di aver messo a disagio. Roberto si asciugò il viso tutto ar-rossato con un fazzoletto e aspettò l’arrivo di Laura. Quando lei arrivò, aveva il viso con un pallore eccessivo dovuto in parte alla nausea e in parte allo spa-vento per quanto era appena accaduto. La tensione si attenuò, almeno per il momento. La mamma iniziò a sparecchiare la tavola e questa volta Sabrina non si alzò ad aiutarla, ma rimase vicina a suo marito. «Andiamo», disse Laura a Roberto con un tono quasi implorante. «Sì, adesso andiamo.» «Fermatevi ancora un momento, non avete preso il dolce», chiese il papà con sincero rincrescimento. «No, è meglio che ce ne andiamo», rispose Roberto che sistemò il tovagliolo e si voltò verso la porta di uscita. Poi restò immobile per un attimo, come fos-se indeciso sul da farsi, perché sentiva che non era bello andarsene via così dai suoi genitori, come se temesse di rompere un delicato equilibrio, che in

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futuro sarebbe stato molto difficile risanare. Per la testa non gli passava mi-nimamente l’idea di dover chiedere scusa per la sua reazione eccessiva alla sottile ironia del fratello, ma già un leggero senso di pentimento stava affio-rando in lui. Ma durò solo un istante perché Diego, al colmo dell’insolenza, lo provocò nuovamente. «Comunque se un giorno rimarrai senza lavoro, io sono sempre disponibile a darti una mano», gli disse Diego senza nascondere minimamente l’ironia. Roberto per un istante non credette alle proprie orecchie. Fu il padre che in-tervenne per primo, e questa volta a voce alta: «Diego, non ti vergogni a par-lare così a tuo fratello, non ti vergogni?» A quel punto Roberto esplose con più furore di prima e nessuno dei presenti riuscì a calmarlo in nessun modo perché, fino a quando non mise il piede fuo-ri di casa seguito da Laura che lo implorava di calmarsi, continuò a scaricare nei confronti del fratello un sacco d’improperi con una veemenza incontenibi-le. «Piuttosto che venire a lavorare con te vado a cercare la carità, e poi se pro-prio lo vuoi sapere, so quanto prendete al mese voi ingegneri del cavolo, e io guadagno molto più di te. Ci mancherebbe di lavorare con te, non ti ho già sopportato abbastanza in tutti questi anni, e ora che mi stai alla larga sapessi quanto sono contento. Anzi, la cosa che mi spiace di più è di non aver com-prato la casa distante duecento chilometri da qui per non veder più la tua fac-cia. Ti vanti tanto e non sei capace nemmeno di mettere al mondo un figlio, e se proprio lo vuoi sapere, mia moglie sì che aspetta un bambino, e senza aver fatto tante storie…» Roberto era talmente agitato che in certi momenti sembrava gli mancasse il fiato e l’unico dei presenti che riusciva a dire qualche parola, del resto inutil-mente, per calmarlo, era suo padre. La situazione era a tal punto deteriorata che le parole di suo padre ebbero su di lui l’effetto contrario, perché lo irrita-rono ancora di più e lo portarono a dire altre parole ancor più cattive. «Ne ho proprio piene le tasche di tutti voi e vi giuro che, il tempo di guardar-mi in giro e poi non mi vedrete più, né me né mia moglie né mio figlio. Non lo meritate, tanto io cosa conto per voi? Nulla! Anche se dovessi morire, non piangereste di certo per me, nessuno di voi. Non voglio più vedervi!» Il tempo di sbattere la porta in faccia a suo padre, di salire in macchina con Laura terrorizzata, mentre qualche vicino di casa spiava dalle finestre, e di partire con la più ferma intenzione di non ritornare mai più da quelle parti, rappresentò per Roberto uno dei momenti più penosi della sua vita. E quella sciagurata intenzione si realizzò purtroppo in maniera irreparabile.

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3 Quella notte Roberto ebbe un sonno agitato, popolato da tanti sogni angoscio-si che il mattino lo disposero in una pessima condizione d’animo. Appena al-zato si preparò per recarsi al lavoro più in fretta del solito, come se dovesse fuggire da qualcosa d’indefinito, e Laura, che non aveva trovato modo di par-largli dal giorno prima e lo vedeva ancora agitato, lo osservò preoccupata e con tanta pena nel cuore. «Ciao», le disse semplicemente Roberto prima di uscire da casa. «Ciao, ci vediamo stasera» rispose lei. Appena giunto in ufficio si buttò a capofitto nel lavoro per tenere la mente più occupata possibile e non pensare a suo fratello, sua cognata, sua mamma e tutto ciò che questi rappresentavano per lui in quel momento. Federico, il suo titolare, arrivò come il solito verso le otto e trenta, e subito si complimentò con lui per la buona riuscita dell’affare portato a termine il venerdì preceden-te. In un impeto di sano orgoglio gli strinse addirittura la mano. «Complimenti Roberto, sei stato proprio in gamba, alla fine il taccagno ha ceduto.» «È stata dura, ma ce l’ho fatta», rispose Roberto senza manifestare particolare entusiasmo. «Ora dobbiamo sistemare alcuni affari importanti», affermò con enfasi Fede-rico. Il “dobbiamo”, detto da Federico in quel modo, stava forse a significare una cosa: probabilmente Federico, pur di non perdere la più che valida collabora-zione di Roberto, si era finalmente deciso a farlo entrare in società, e questo per Roberto avrebbe significato un importante balzo in avanti sotto l’aspetto professionale ed economico. E l’intenzione di Federico era proprio questa. Diede alcune disposizioni a Guido, un agente prossimo alla pensione, e al suo probabile sostituto, un giovanotto inesperto che doveva ancora dimostrare di saperci fare. Poi si avvicinò al distributore del caffè e ne offrì uno a Roberto che, però, non accettò. Bevve il caffè e si avviò in ufficio seguito da Roberto. Il telefono sulla sua scrivania squillava da un po’. «Pronto?… Scusi, non ho capito!» Roberto intuì subito che Federico non apprezzava quella telefonata. «Non la sento bene… pronto!… Ora non la sento più… pronto? Pronto?… Mi richiami più tardi… pronto?» Federico con uno scatto mise giù la cornetta.

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«Accidenti che tormento, se tutti i nostri clienti fossero come questo, cambie-rei subito mestiere!» «Ce ne sono anche di peggio», sentenziò Roberto convinto. «Beh, questo è vero, ma per fortuna ce ne sono anche di meglio. Questo tizio, per firmare, vuole la garanzia del confinante, la perizia dell’ufficiale catastale perché teme che i confini non corrispondano esattamente a quelli realmente denunciati. Noi non possiamo occuparci di tutte queste faccende, se l’immobile gli interessa s’informi un po’ lui, altrimenti lasci perdere.» «Tutto sta nel farlo sentire a suo agio, nel dargli la sensazione che le cose so-no state fatte nel migliore dei modi», disse Roberto, anche se sapeva che Fe-derico conosceva queste cose probabilmente meglio di lui. «Mi stai proprio dimostrando che la lezione l’hai imparata bene!» «Me l’hai insegnata tu!» Federico fece un sorriso compiaciuto. «Veniamo a noi, credo tu abbia capito cosa voglio dirti», riprese Federico senza tanti preamboli guardandolo fisso negli occhi. «Immagino di sì.» «È arrivato il momento di premiarti. Ti do la possibilità di entrare in società come socio minoritario al 20%.» «30% come avevamo ipotizzato all’inizio», affermò Roberto con un tono calmo che sorprese anche lui stesso. «30% è troppo, non posso, non ci starei dentro, le cose sono un po’ cambia-te.» «Prendere o lasciare, se non mi dai almeno il 30% sono obbligato a guardarmi in giro», tagliò corto Roberto senza lasciare un minimo spazio alla trattativa. «Facciamo così, prendiamoci alcuni giorni per pensarci, ognuno per conto suo, e poi ne riparliamo.» «Io non ho bisogno di ripensarci, ho già deciso.» «Beh, quand’è così lasciami almeno un po’ di tempo per riflettere», disse Fe-derico un po’ amareggiato. «Va bene, come vuoi tu», fu la risposta di Roberto. Rimasero alcuni minuti in silenzio. Roberto senza particolare interesse guardava dalla finestra le mac-chine che passavano sulla strada, mentre Federico, seduto con le gambe acca-vallate, tamburellava con la gomma sulla scrivania. Entrò Guido senza bussa-re e disse a Federico: «Ho in linea quella signora della villa di Sirmione…» «Dille che al momento sono impegnato, la richiamerò tra cinque minuti.» «Hai parlato con l’ufficio di Bagnolo? Hai il cellulare spento?» gli chiese perplesso Guido. «Sì! Tra un attimo mi libero», rispose seccato Federico. Guido uscì dall’ufficio lasciando volutamente la porta socchiusa. Lo sguardo di Federico vagava un po’ perso sulle pareti giallognole ricoperte di quadri di

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scarso valore; poi si rischiarò all’improvviso. Roberto se ne accorse e stette in attesa. «Ascolta Roberto, forse ho trovato la soluzione… ricordi quando ti dicevo che era mia intenzione aprire un ufficio immobiliare in Toscana? Forse è arri-vato il momento giusto per farlo.» «Cioè?» «Ti andrebbe di passare alcuni giorni in Toscana, nella zona di Piombino, per verificare se la cosa è fattibile?… Se così fosse potrei anche farti entrare co-me socio al 30%. Neanche a farlo apposta ricordi quella contessa di Desenza-no che acquistò circa tre anni fa, a Moniga del Garda, una villa che, a quanto pare, non l’ha mai abitata e la sta lasciando cadere a pezzi? Mi ha chiesto se riesco a trovarle una villa proprio in Toscana, sul mare, tra Livorno e Grosse-to, perché la vuol regalare a suo nipote come regalo di nozze.» «Caspita che regalino!» disse Roberto divertito. «La vuole con alcuni particolari requisiti, mi ha autorizzato a cercarla anche presso le agenzie immobiliari del posto, noi prenderemmo una buona percen-tuale comunque.» «Perché non si rivolge direttamente a quelle agenzie?» «Pensavo l’avessi già capito, perché si fida di noi e perché è sfacciatamente ricca, e non le importa spendere di più.» «Beata lei.» Federico restò in silenzio osservando il volto di Roberto per studiarne la rea-zione, e Roberto, benché presagisse che Federico non l’avrebbe mai fatto en-trare come socio al 30%, in quel momento si sentì particolarmente attratto dall’idea di andare in Toscana per qualche giorno. «Allora ti va l’idea?» tornò a chiedere Federico. «Sì, mi va!» La partenza fu stabilita per la mattina successiva, e durante quella giornata Roberto e Federico, negli spazi di tempo che riuscirono a ritagliarsi tra una telefonata e l’altra, tra una visita a un immobile in vendita e una commissione da fare in banca o presso l’ufficio tecnico comunale, pianificarono nel detta-glio quella che doveva essere la permanenza di Roberto in Toscana per la ri-cerca della villa da proporre alla contessa, ma soprattutto per la verifica dell’eventuale possibilità di aprire nuovi studi immobiliari in quella zona. Concordarono sul fatto che l’area più appetibile si estendeva da Livorno a Piombino, ma non scartarono a priori quella che proseguiva poi da Piombino fino a Marina di Grosseto. Quella sera Roberto tornò a casa più sereno rispet-to al mattino, perché quell’inaspettato cambiamento di programma lavorativo non gli aveva lasciato molto tempo per pensare ai dispiaceri del giorno prima, e inoltre gli dava la possibilità di cambiare aria per un po’. Laura invece era ancora scossa e, saputa la novità, cercò di convincere Roberto a non partire,

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almeno fino a quando non le fosse passata l’agitazione, ma poi, vista la sua insistenza, accettò suo malgrado. «Se ritieni che questo viaggio rappresenti per te una buona opportunità di cre-scita lavorativa, non voglio ostacolarti, anche se non mi va tanto l’idea di re-stare qui da sola.» La voce di Laura non era ferma come sempre. «Si tratterà solo di qualche notte e poi, se dovessimo considerare tutti quelli che per lavoro si assentano di frequente per intere settimane, o addirittura per dei mesi…?» le rispose Roberto un po’ stizzito. Laura lo guardò con gli occhi velati di tristezza. Al momento lui quasi non se ne accorse, ma quello sguardo di lei, come una foto che si mette bene in vista e la si vede anche quando non ci si pensa, anche quando si preferirebbe non vederla, s’impresse nella sua mente e nel suo cuore in maniera indelebile e più volte, tante volte per tanti anni, ritornò nella sua mente procurandogli sempre un’indefinita sensazione di disagio. «Ti fa niente se vado dalla mia mamma, se ho paura a stare qui a dormire da sola?» Roberto pensò alla casa che sarebbe rimasta incustodita, ma anche alla peri-colosa eventualità che i ladri entrassero di notte mentre Laura era da sola. «Mi sembra una buona idea!» Laura annuì e non aggiunse altro. Roberto ritenne che l’argomento fosse chiuso e quella sera andò a dormire prima del solito, perché la mattina dopo doveva alzarsi molto presto.

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4 Com’è vero il detto che “la mattina ha l’oro in bocca”, Roberto ancor prima delle otto era già arrivato a Piombino, e, ritemprato nel corpo e nello spirito, iniziò subito la doppia indagine che gli era stata affidata. Armato di cartina stradale della Toscana, di cataloghi, numeri di telefono di diverse agenzie immobiliari, ma soprattutto di tanto entusiasmo, quanto gliene dava la passio-ne per il suo lavoro, setacciò Piombino e dintorni, e verso sera arrivò a Popu-lonia. Le ricerche non furono però molto soddisfacenti e in albergo, dopo ce-na, cercò di riordinare la documentazione raccolta e le idee. Al cellulare Fede-rico gli sembrò soddisfatto del suo resoconto, ma più interessato alla villa del-la contessa che non all’apertura di nuovi studi immobiliari. Roberto decise per il giorno dopo di concentrarsi sulla ricerca della villa che, viste le pretese della contessa, gli sembrò alquanto difficile da trovare. Doveva avere un par-co molto grande affacciato direttamente sul mare, non distare troppo dai cen-tri abitati, avere non meno di venti stanze, rispettare la raffinata architettura della zona e tante altre caratteristiche tra le più disparate. Dopo una frenetica mattinata, Roberto, mentre pranzava in un ristorante, rivide nella mente le vil-le che gli agenti immobiliari di tre società diverse gli avevano fatto inutilmen-te vedere, perché per vari motivi non rispettavano i requisiti richiesti. Si sentì un po’ scoraggiato, ma non voleva darsi per vinto. Telefonò a un’agenzia immobiliare di Cecina e combinò di incontrarsi, entro venti minuti, con un agente davanti a una villa situata sul lungomare di Donoratico. La vista di quella villa fu per Roberto alquanto deludente. Era piuttosto piccola, in uno stato di evidente disordine, se non addirittura di abbandono, e inoltre era troppo vicina alla strada provinciale. Il piccolo parco che la circondava non era curato e tanti rami secchi, sparsi sul prato un po’ dappertutto, evidenzia-vano un’incuria che balzava subito all’occhio. Roberto decise di andarsene subito, senza aspettare l’agente che, pensò, avesse volutamente disatteso le sue richieste. Salì in macchina un po’ scocciato, ma proprio in quel momento arrivò lo sconosciuto agente su una vecchia Mercedes. Parcheggiò la macchi-na pochi metri più in là, scese e si diresse subito verso Roberto porgendogli la mano. Era un tipo sulla sessantina, di statura normale e piuttosto magro. La prima cosa che colpiva in lui erano i baffi grigi, leggermente piegati all’insù alle due estremità. Al vederli Roberto soffocò a stento un sorriso, perché gli ricordarono un simpatico personaggio di cartapesta della sua infanzia, inserito nella scenografia di una recita teatrale alla quale aveva partecipato quando andava alla scuola elementare. Aveva il naso rosso, il viso affilato e due occhi

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marrone leggermente infossati, lucidi e molto vivaci, messi ancor più in risal-to da folti capelli grigi. Al primo impatto non gli ispirò molta fiducia. Roberto scese dalla macchina e si scambiarono una vigorosa stretta di mano. «Piacere Aurelio.» «Piacere Roberto.» «Mi dispiace se l’ho fatta aspettare.» «No, sono io che sono arrivato in anticipo», affermò Roberto mentre cercava di studiare quegli occhi che continuavano a muoversi e sembrava volessero nascondere qualcosa. «Allora cosa ne pensa di questa villa, fa al caso suo o no?» gli chiese Aurelio andando subito al sodo e invitandolo con un gesto della mano ad avvicinarsi al pesante cancello di ferro battuto. «Credo proprio di no, anzi a dire il vero sono rimasto deluso nel vederla, per-ché non corrisponde per niente a quello che le avevo chiesto per telefono.» Aurelio lo guardò un po’ pensieroso, come se si fosse accorto all’improvviso di non avere a che fare con un principiante. «Mi piacciono i giovani schietti e decisi, non come certe pappamolle che ci sono in giro. Posso darti del tu? Potresti essere mio figlio!» «Sì, non c’è problema.» «Ascolta Roberto, ti chiami Roberto, vero?» «Sì!» «Ascolta, una villa che corrisponda, o meglio che si avvicini alla descrizione che mi hai fatto per telefono, da queste parti è quasi impossibile da trovare… in vendita naturalmente.» Roberto lo guardò incuriosito. «Metà mondo è da vendere, e metà da comprare!» gli disse quasi in tono di sfida. «Questo è vero», confermò Aurelio. «Comunque non vuoi dare lo stesso un’occhiata all’interno? Essendo del me-stiere anche tu avrai certamente imparato che certi immobili non si presentano molto bene dall’esterno, ma all’interno possono nascondere delle particolarità molto interessanti per il cliente.» «È appunto questo il problema, anch’io sono del mestiere e, non vorrei essere scortese, ma, non posso permettermi di perdere altro tempo», cercò di con-cludere Roberto con molta franchezza. Aurelio rise di vero gusto. «Certo che quanto a carattere non ti manca proprio, sai che cominci a diven-tarmi simpatico?» Roberto non disse nulla. L’altro cominciò a fargli delle domande sul suo lavo-ro e Roberto stette al gioco, curioso di scoprire dove volesse arrivare. «Devi esser molto in gamba nel tuo lavoro e, se proprio ci tieni tanto, ti posso aiutare a cercare la villa, ma a una condizione.»

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«Non la sto seguendo», disse Roberto sempre più incuriosito. «C’è un tizio da queste parti, ricco sfondato, che vive da solo, lavora nel mondo della finanza e abita in un paese che poi ti dirò, poco distante dal qua-le possiede una villa disabitata che fa al caso tuo, o meglio della tua contes-sa.» «Lei pensa che potrebbe essere disposto a vendere?» «Lui la vuol vendere, ma non la vende. Mi spiego meglio: negli ultimi due tre anni è già venuto un paio di volte nella mia agenzia e so per certo che è stato anche in altre, con l’intenzione di vendere, ma prima che saltasse fuori un ac-quirente, ci ha sempre ripensato.» «Un indeciso insomma!» commentò Roberto pensieroso. «Sì, proprio un indeciso; tutto il problema sta li, bisogna riuscire a convincer-lo.» «E dove si trova la villa?» chiese Roberto. Aurelio a quella domanda manifestò apertamente il piacere di tenerlo sulle spine. «Come ti ho anticipato prima, te lo dico solo a una condizione.» «Mi dica, quale sarebbe la condizione?» «Se riuscirai a convincerlo, e te lo auguro davvero, anche se sarà molto diffi-cile, dovrai tornare da me e valutare seriamente una proposta.» «Quale proposta?» «Tu non mi conosci ancora, ma io, non per vantarmi, possiedo la più grande agenzia immobiliare della fascia costiera che va da Punta Ala fino a Marina di Pisa. Ho alle mie dipendenze un sacco di persone, ma praticamente sono solo nella gestione della azienda. Mia moglie non se ne occupa, e mia figlia, di-vorziata e con un bambino, lavora per me part-time ma ha in testa tutt’altro. Mi serve una persona fidatissima, e se dovessi trovarla, la farei entrare in so-cietà. Tu mi stai simpatico, te l’ho già detto, e se veramente riesci a strappare dalle grinfie di quel baccalà quella villa, ti do la possibilità di fare un balzo professionale in avanti che nemmeno te lo immagini.» Tutto questo a Roberto parve ovviamente alquanto strano. “Ci deve esser per forza un tranello!” pensò. Poi disse: «Ciò che mi ha detto è molto allettante, non lo posso negare, ma lei mi cono-sce solo da un quarto d’ora.» «Ascolta, ho molti più anni di te, e credo di avere imparato fin troppo a cono-scere le persone.» I suoi occhi erano divenuti all’improvviso particolarmente vivaci, e continuò: «Sono stanco di faticare, con i pochi parenti che mi sono rimasti non scorre buon sangue, e l’unico amico che avevo è morto da poco. Dimostrami cosa sai fare e ti mostro tutte le mie carte alla luce del sole. Poi deciderai con cal-ma. Ci stai o non ci stai?» «Come farei a dire di no, anche se la cosa mi sorprende?»

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«Affare fatto!» esclamò Aurelio stringendogli la mano con maggior energia di prima. «Seguimi che ti porto a vedere la villa e t’indico dove abita lui.» Detto questo salirono ognuno sulla propria macchina e partirono di gran car-riera, Aurelio davanti e Roberto dietro.

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5 Giunti a destinazione Roberto ebbe da subito una positiva impressione e, co-me gli aveva anticipato Aurelio, dovette ammettere che quanto stava osser-vando superava addirittura le sue attese. Immersa nel verde di un grande par-co, con piscina, spiaggia privata e ovviamente l’immancabile cancello di ferro battuto che si apriva su un viale lastricato che si snodava sinuoso tra siepi e cespugli fioriti, fino al colonnato dell’ingresso principale, rendeva concreto ciò che la contessa stava cercando e ciò che, certamente, tante persone sogna-vano di possedere. Invece la casa dove abitava il proprietario, che raggiunsero poco dopo, era una bifamiliare di recente costruzione, abbastanza bella e con un giardino curato quasi alla perfezione, ma comunque non paragonabile alla villa sul mare né per il valore, la posizione, lo spazio, la quiete e altro ancora. Davanti a essa Aurelio e Roberto si salutarono, l’uno promettendo di farsi ri-vedere e l’altro augurando buona fortuna. Roberto si fermò e poiché, come gli aveva detto Aurelio, il proprietario la sera non tornava prima delle ore 20, a-spettò elaborando mentalmente il da farsi. Era il mese di giugno e la stagione balneare era nel pieno della sua attività. Faceva caldo, le strade erano affollate di persone di tutte le età che indossavano indumenti leggeri e che, in sandali o ciabatte, camminavano pacificamente per godersi quelle tranquille ore serali, ricche di profumi, di colori, caratteristici dell’inizio estate. Come prassi, an-che d’estate, Roberto non toglieva la giacca sul lavoro, ma quella sera, un po’ per il caldo, un po’ perché si sentiva quasi ridicolo, con tutte le persone che incontrava vestite con calzoncini corti e maglietta, la lasciò in macchina. Pas-seggiò avanti e indietro più volte davanti alla casa e a un certo punto notò che le ante erano aperte; allora suonò più volte al citofono, ma nessuno rispose. Nella casa di fianco un uomo, a torso nudo, stava innaffiando il giardino. Si rivolse a lui. «Scusi, ha forse notato se il suo vicino di casa è già arrivato?» gli chiese indi-cando la casa. Quello lasciò cadere il tubo di gomma per terra, si spostò alcu-ni metri, chiuse il rubinetto e finalmente si avvicinò. «Cos’ha detto, scusi?» «Chiedevo se per caso ha notato se il suo vicino di casa è già arrivato.» «Sì, l’ho visto circa un quarto d’ora fa… perché, non risponde al citofono?» «No!» disse Roberto con un tono che esprimeva quanto fosse scontata la sua risposta. «Allora forse è andato nella sua villa di Cecina; sapesse com’è bella, lei cer-tamente non se lo immaginerebbe mai!»

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«La ringrazio per l’informazione, ora devo andare, buonasera», tagliò corto Roberto che non aveva nessuna intenzione di perdere tempo in chiacchiere. Salì in macchina e si allontanò veloce, mentre l’altro lo guardava quasi scon-solato di dover tornare a innaffiare il giardino. Davanti alla villa, sulla piazzola antistante al maestoso cancello di ferro battu-to, era parcheggiata una Jaguar ultimo modello. Roberto si ritrovò a fare la stessa cosa di poco prima. Schiacciò il pulsante del citofono, ma questa volta, dopo un paio di tentativi e dopo aver notato una persona che da una finestra che dava sul portico della villa, lo aveva osservato alcuni istanti, la serratura elettrica si aprì di scatto. Entrò e s’incamminò deciso lungo il viale delimitato da ambo i lati da cespugli di rose, oleandri e tante altre qualità di fiori. Quan-do stava per raggiungere il portico, vide un grosso cane lupo che, sbucato all’improvviso da chissà dove, correva abbaiando verso di lui con un’aria per niente rassicurante. Preso dal panico, fece appena in tempo a saltare su un muretto di pietra prima che il cane lo raggiungesse. L’animale, che con un semplice balzo lo poteva aggredire, si fermò e continuò ad abbaiare fissando-lo con occhi minacciosi. «Vattene bestiaccia, a cuccia… Non c’è nessuno in casa!» gridò Roberto. Era molto spaventato e aveva l’impressione che il cane aspettasse solo un suo movimento per avere un pretesto per saltargli addosso. Finalmente il proprie-tario, tenendo in mano un piccolo innaffiatoio, uscì dalla casa e chiamò il ca-ne. «Tom a cuccia, adesso basta.» Il cane smise di abbaiare, si sedette, continuò a fissare Roberto e ogni tanto gli ringhiava contro. «Tenga buono il suo cane, mi ha fatto prendere uno spavento!» disse Roberto tutto agitato. L’uomo si avvicinò e rise di vero gusto. «Ah, ah, tanta paura per una cosa da nulla!» «Vorrei vedere lei nei miei panni; ora per cortesia potrei scendere da qui?… Accidenti, mi si sono strappati i pantaloni, ci mancava anche questa.» L’uomo accarezzò il cane mentre guardava incuriosito Roberto. Dimostrava non più di cinquanta anni, aveva un viso intelligente, un po’ arrotondato, i ca-pelli erano leggermente brizzolati. Piuttosto alto di statura, dal carattere pro-babilmente tranquillo, sembrava proprio all’opposto di Aurelio. «Che cosa vuoi ragazzo, cercavi me?» «Se è lei il proprietario di questa villa, sì!» «Naturalmente lo sono. Allora dimmi!» Roberto, sempre impeccabile di fronte ai clienti, si sentiva a disagio per la cu-citura strappata sul fianco sinistro dei pantaloni. Non gli rispose volutamente mentre verificava con attenzione lo strappo. Li aveva acquistati da poco.

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«Che cosa vuoi che sia, li farai aggiustare a una sarta; non mi hai ancora detto perché sei qui?» Aveva poggiato per terra l’innaffiatoio e lo guardava con le braccia incrocia-te, mentre il cane stava seduto al suo fianco, proprio come fosse stato la sua guardia del corpo. «Le volevo chiedere se è disposto a vendere questa villa!» L’uomo restò sorpreso. «Perché, la vorresti comprare tu?» «Certo che no! Se avessi i soldi per comprarla, visto che sicuramente ne ser-virebbero tanti, non andrei in giro a quest’ora per lavoro.» «Questo è vero, ma allora chi la vuole comprare?» «È un mio cliente, che abita dalle mie parti. Io mi chiamo Roberto, sono un agente immobiliare di Brescia.» «Lo sai che ci vogliono un sacco di soldi?» disse l’uomo che non si era anco-ra presentato. «Me lo immagino, ma il mio cliente non ha problemi di questo genere.» L’uomo accarezzò il cane e rimase un po’ pensieroso. «Ma come hai fatto ad arrivare fin qui?» «Me l’ha detto Aurelio, un grosso agente…» Roberto non riuscì a finire la frase. «Aurelio, quel farabutto? Come fai a conoscerlo?… Comunque, puoi mettere il cuore in pace, non ho intenzione di vendere, cioè non ho ancora deciso.» «Come non detto, se le cose stanno così, tanto vale lasciar perdere subito, mi spiace solo per i pantaloni», replicò prontamente Roberto, seguendo il suo i-stinto che lo portava a non insistere con gli indecisi, proprio per metterli a di-sagio nella speranza che, inconsciamente, fossero proprio loro a voler conti-nuare la trattativa. Anche questa volta la tattica sembrò funzionare. «Questo cliente, si può sapere chi è?» «Per una questione di correttezza, se non c’è un minimo d’intenzione non di-co chi è l’acquirente. Comunque è una persona sicura, anzi vorrei dire più che sicura.» Roberto intuì che l’uomo stava diventando un po’ più malleabile. «Non mi sono ancora presentato: mi chiamo Enea, piacere.» «Piacere Roberto.» Si strinsero la mano. «Come ti avrà certamente detto Aurelio, c’è stata una volta, o un paio di volte credo, in cui ho avuto una mezza intenzione di vendere, ma poi ci ho ripensa-to, non del tutto, perché anche adesso non so nemmeno io cosa mi convenga fare. Non mi servono soldi, ma è anche vero il fatto che questa villa non la sfrutto per niente.» Enea tornò ad accarezzare Tom che se ne stava pacificamente seduto, e Ro-berto si avvicinò a lui con un po’ di coraggio.

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«Si lascia accarezzare dai forestieri?» «Dipende, se gli stanno antipatici gli morde la mano», rispose Enea sorriden-do. Roberto accarezzò il cane sulla testa piatta, e questi lo lasciò fare con la lingua in fuori. «Vedi, gli stai simpatico, non capita di frequente con Tom.» «A parte poco fa che voleva quasi mangiarmi.» «È addestrato come cane da guardia, e lo sa fare molto bene.» «Ne sono convinto.» Si guardarono contemporaneamente negli occhi, come due che a un certo punto non hanno più nulla da dirsi. «Beh, adesso è meglio che vada, comunque grazie lo stesso», concluse Ro-berto porgendogli la mano. Enea non si mosse. «Tornando a prima, questo tuo cliente potrebbe pagare tutto subito? Cioè, ha buona liquidità?» «Credo proprio di sì.» Ora Enea guardava per terra, come se cercasse la soluzione in mezzo ai sasso-lini che, dato l’orario, non si vedevano tanto bene. «Ritorna qui domani sera, non ti garantisco nulla, può esser che magari non ci sarò nemmeno, se mi capita qualche imprevisto. Vedi un po’ tu, io intanto ci ripenso», concluse Enea quasi in tono di sfida. «Ok, ci sarò!» confermò Roberto mentre pensava tra sé: “Che gente strana abita da queste parti!” «È stato un piacere, buonasera, anzi, buonanotte!» «Buonanotte!» Si strinsero la mano e ognuno ritornò da dov’era venuto.

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6 Se non fosse stato per quella scarsa possibilità, che Enea gli aveva lasciato, di riprendere la trattativa per l’acquisto della villa, Roberto la mattina dopo sa-rebbe tornato a Brescia. Tutte le informazioni che servivano a Federico, per decidere l’eventuale apertura di alcuni uffici immobiliari da quelle parti, le aveva raccolte come sempre in maniera meticolosa, come altrettanto metico-losamente aveva cercato una villa che potesse andar bene alla contessa, e l’unica che sembrava rispettasse i requisiti richiesti era proprio quella di Ene-a. Pertanto, un po’ a malincuore perché aveva voglia di rivedere Laura, dovet-te ingegnarsi a riempire la giornata in attesa che arrivasse sera. Alle venti cir-ca giunse nuovamente sulla piazzuola davanti alla villa, dov’erano parcheg-giate la Jaguar di Enea e altre due lussuose automobili. Rincuorato alla vista della Jaguar, si diresse speranzoso al cancellino e schiacciò più volte il pul-sante del campanello, ma la serratura elettrica non scattò. Sentiva delle voci maschili provenire dalla villa, e dopo aver osservato con attenzione, riuscì a intravedere a malapena tre o quattro uomini che discutevano animatamente seduti attorno a un tavolino poco distante dal portico. Solo allora si accorse che il cancellino era socchiuso. Si fece coraggio, entrò e s’incamminò lungo il viale per raggiungere il luogo da dove provenivano quelle voci, nel timore che Tom sbucasse all’improvviso da dietro qualche cespuglio. “Ormai Tom mi conosce” pensò, e nella speranza di non incontrarlo arrivò finalmente in fondo al viale. Enea, un po’ agitato, stava trattando con due uomini più gio-vani di lui, che parevano più controllati nel modo di porsi e di esprimersi. Tutti tre stavano guardando dei documenti sparsi sul tavolino, e continuarono a farlo come se Roberto fosse stato invisibile. «Buonasera!» disse lui un po’ a disagio. «Ciao ragazzo, hai fatto sistemare i pantaloni?… Dammi alcuni minuti poi sono da te», gli rispose Enea un po’ infastidito, mentre gli altri due non lo de-gnarono del minimo sguardo e continuarono a guardare alcune carte. Roberto si allontanò pochi metri, perché gli pareva non educato sentire cosa stavano dicendo, ma pochi metri non bastarono, per il tono piuttosto alto delle loro voci, sulle quali prevaleva quella di Enea, che sembrava non accettasse qual-cosa che riguardava il tasso d’interesse di alcuni investimenti azionari. In quella situazione Enea non sembrava per nulla un tipo indeciso, e Roberto, notando ciò, sorrise. Dal tono della discussione era evidente che non avevano nessuna intenzione di finire presto, e Roberto a un certo punto, dopo aver ammirato per l’ennesima volta un cespuglio di fiori particolarmente belli, e

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dopo aver osservato più volte il sole che si stava avvicinando alla linea dell’orizzonte sul mare, cominciò a spazientirsi e a sentirsi un po’ ridicolo. Decise di tagliar corto, si avvicinò al tavolino e si rivolse a Enea. «Scusi, volevo solo sapere se c’era qualche margine di trattativa, perché in caso contrario tanto vale che tolga il disturbo.» Questa volta i due sconosciuti lo squadrarono diffidenti da capo a piedi, men-tre Enea sembrava quasi divertito per la sua inaspettata intromissione. «Hai con te la delega per i preliminari?» gli chiese Enea senza tanti preambo-li. Roberto al momento rimase impacciato. «No, non l’ho con me, però la posso preparare in dieci minuti, se riesco a se-dermi da qualche parte.» «Allora datti da fare, perché tra poco qua ho finito.» «Ma!…» Roberto rimase a bocca aperta, perché tutto ciò gli pareva alquanto strano e inaspettato. «Tu adesso metti giù il preliminare, per la cifra decidiamo dopo. Non hai det-to che il tuo cliente non ha problemi di soldi?» «Sì, questo è vero!» «Bene, appena dentro l’ingresso principale troverai tutto ciò che ti serve. Poi ti raggiungerò, ti farò vedere tutte le stanze e, se riusciremo a combinare, met-teremo le firme.» «Ok, ricevuto», rispose tutto raggiante Roberto, e pochi minuti dopo era già seduto dietro una sontuosa scrivania a redigere nei minimi particolari la dele-ga per l’atto preliminare di acquisto della villa. Enea, come gli aveva promes-so, lo raggiunse poco dopo, giusto il tempo per Roberto di scrivere le ultime righe del preliminare, e gli fece vedere minuziosamente tutta la villa. Poi u-scirono a visionare il parco quando il sole si stava già inabissando nell’orizzonte del mare, per cedere il posto alla fredda luce della luna. Quan-do Enea scrisse a chiare lettere sul preliminare il prezzo della villa, non lasciò il minimo spazio alla trattativa, ma Roberto si accorse subito che ciò non ser-viva perché, con la sua esperienza in materia, sapeva che quella cifra era infe-riore al valore reale dell’immobile. Dopo la firma, tutto raggiante per quell’ottimo affare appena concluso, chiese a Enea: «Ma in tutta sincerità, cos’è che l’ha spinto a decidere così in fretta?» Enea lo guardò e sorrise. Poi rispose: «Un mucchio di azioni che possiedo e che proprio oggi mi hanno fatto guadagnare un sacco di soldi, e mi hanno convinto ad acquistarne tante altre.» «Capisco», disse quasi tra sé Roberto, ritenendo questa risposta la più ovvia che potesse aspettarsi da una persona come Enea. Poi raggiunsero insieme lo spiazzo dov’erano parcheggiate le automobili. Si salutarono con la solita stretta di mano, si augurarono la buona notte e parti-rono in due direzioni opposte. Appena giunto in albergo, preso da una vera e propria euforia, Roberto si diresse di corsa nella sua camera e quasi non si ac-

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corse del portiere che, tutto compunto dietro il suo bancone, gli aveva augura-to la buona notte. Per prima cosa preparò la valigia, lasciando fuori i docu-menti che gli sarebbero serviti la mattina dopo per completare il giro. Poi fece una doccia, indossò il pigiama e si distese di schiena sul letto in un ottimo sta-to d’animo. Tenendo i gomiti allargati e le mani sotto la testa, osservò il grande lampadario che, per effetto della luce sul comodino, rifletteva un’ombra frastagliata che si allungava sul soffitto. Si sentiva proprio conten-to. L’affare, come tanti altri negli ultimi tempi, si era concluso nel migliore dei modi e, grazie alla fortuna che questa volta aveva avuto una parte prepon-derante, andava ad aggiungersi a una lunga lista di successi lavorativi. La co-sa che più di tutte lo rendeva felice era la certezza che il giorno dopo avrebbe rivisto Laura. Pensando a lei, in quel momento, provò un particolare senso di piacere a starsene lì immobile a fantasticare. Aveva proprio voglia di riveder-la, e anche se si erano già sentiti poche ore prima, decise di richiamarla sul cellulare. Quei pochi secondi che passarono, prima di risentire la sua voce, lo misero un po’ in apprensione. «Pronto?» chiese lei finalmente. «Ciao Laura, sono Roberto, sono ancora io!» Laura aspettò un attimo prima di rispondere. «Ah sei tu, ciao, ma è successo qualcosa?» «No cara, non è successo nulla!… Cioè, per la verità è successo qualcosa di bello.» «Mi ero quasi spaventata», disse lei con un sospiro di sollievo. Solo allora Roberto si rese conto che erano già le ventitré passate. «Cos’è successo di bello?» «Scusa, non volevo spaventarti, quel tizio della villa di cui ti dicevo oggi po-meriggio, ha deciso di vendere.» «Davvero, dici che firmerà presto?» «Presto? Ha già firmato stasera», le ripose lui cadenzando le parole. «Che bravo, ora capisco perché mi hai chiamato a quest’ora, e poi?» «E poi…» non continuò la frase perché si stava chiedendo se conveniva dirle subito di Aurelio, della sua proposta, o aspettare quando fosse arrivato a casa. Preferì la seconda soluzione, per riprovare il giorno dopo il piacere di comu-nicarle una buona notizia. «E poi, dimmi?» insistette lei incuriosita. «Domani mattina dovrò sbrigare le ultime faccende e al massimo prima di cena sarò a casa.» «Questa è la notizia che aspettavo.» «Ho tanta voglia di rivederti, tesoro!» «Anch’io caro.» «Ah che sciocco, e il nostro bambino come sta?»

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«Spero meglio della sua mamma che ha un po’ di nausea», rispose lei fingen-dosi un po’ sconsolata. Ma il tono della voce manifestava quanto fosse con-tenta di aspettare un bambino. «Stai riguardata, mi raccomando!» «Ok, non preoccuparti caro.» «Non hai paura a dormire da sola?» le chiese lui, pentendosi poi di averle fat-to quella domanda. «Un po’ sì, questa è la seconda notte che dormirò da sola, spero passi il più in fretta possibile.» Il desiderio di averla accanto, di sentire la sua presenza, divenne quasi fisico. «Non avere paura cara, non succederà nulla. Domani sera ci sarò io con te, porta pazienza ancora per questa notte, buonanotte tesoro, ti amo.» «Anch’io ti amo, allora ti aspetto per domani sera all’ora di cena, me l’hai promesso.» «Contaci! Ciao tesoro, buonanotte.» «Buonanotte.» Chiuse la comunicazione e per alcuni minuti rimase nuovamente immobile a guardare il soffitto, senza pensare a nulla. Poi s’infilò sotto le lenzuola e, pri-ma di addormentarsi, pensò che la vita è fatta di alti e bassi: il lavoro gli pia-ceva, ma il rapporto con la sua mamma e soprattutto con suo fratello non era per niente buono. In compenso però aveva Laura che rendeva tutti quei picco-li dispiaceri quasi delle nullità. E anche quella notte sognò di lei e del loro fu-turo bambino, che presto sarebbe arrivato.

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7 La mattina seguente, dopo aver fatto una colazione abbondante, risalì in ca-mera, si lavò i denti, prese tutte le sue cose, ricontrollò di non aver dimentica-to nulla e finalmente scese a pagare il conto. Il proprietario dell’albergo, un omaccione con le maniche di camicia sempre rimboccate che mettevano in risalto le sue robuste braccia pelose, avendo fatto tardi la sera prima, non si era ancora messo all’opera. Al suo posto dietro il banco stava sua moglie, una signora sui quarant’anni, con i capelli tinti di un biondo elettrico e un viso ab-bastanza grazioso ma mortificato da un’espressione eccessivamente seria. Quella mattina però sembrava particolarmente prodiga di sorrisi. Roberto si sentì un po’ infastidito. «Ha fatto buona permanenza da noi signore?» «Direi di sì!» «C’è stato qualche problema, le posso dare del tu?» «Certo che sì!» La signora guardava Roberto con insistenza mentre teneva in mano la chiave della camera che lui le aveva appena consegnato. Lui, tutto preso a pensare al suo lavoro, la osservava come uno che guarda di là da un vetro. «Ah che sbadata, stavo dimenticando di darti il resto!» Roberto estrasse dalla tasca il portafoglio, sistemò i soldi del resto e lo rimise in tasca. Prese la valigia e le cose che erano rimaste fuori, perché non era riu-scito a farcele stare, e salutò con naturalezza. «Arrivederci e grazie.» «Grazie a te, buona giornata», rispose lei mentre un altro cliente, sopraggiun-to da poco, la stava osservando con un certo interesse. Raggiunse la macchina, sistemò le sue cose e poco dopo si ritrovò immerso nel traffico già intenso, nonostante fossero solo le sette di mattina. Verso le otto e trenta telefonò a Federico, che rimase molto impressionato e soddisfat-to di sapere che Enea si era deciso a vendere la villa. Come sempre Roberto lo informò su tutto, e rimasero d’accordo di aggiornarsi o quella sera stessa o al massimo la mattina successiva, appena fosse ritornato a Brescia. Poi, come ultimo atto della sua permanenza in Toscana, telefonò ad Aurelio chiamando-lo sul cellulare. La solita voce registrata gli disse che al momento quel nume-ro non era raggiungibile. Fece allora il numero del suo ufficio e gli rispose la voce sicura e gentile di una giovane donna, che gli consigliò di richiamare Aurelio sul cellulare, perché quel giorno era rintracciabile solo in quel modo. Riprovò e solo al terzo tentativo Aurelio rispose.

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«Pronto?» «Pronto, è il signor Aurelio?» «Sì, sono io, chi parla?» «Sono Roberto, l’agente di Brescia, si ricorda? La villa sul mare…» «Ah sì, l’agente di Brescia. Ha poi venduto la villa quell’indeciso di Enea? Non dirmi che ha firmato, non ci crederei.» Roberto aspettò alcuni secondi prima di rispondere, per gustare una piacevole sensazione di sano orgoglio, che rappresentava per lui una specie di rivincita. «E invece ha proprio firmato, ieri sera!» «Davvero? È incredibile, come hai fatto?» «Non ho fatto nulla di particolare, probabilmente sono arrivato al momento giusto!» «Sei veramente in gamba, e non ti vanti nemmeno!» «Non ce n’è motivo.» Per alcuni secondi rimasero tutti due in silenzio. «Io ne ho ancora per un paio d’ore circa, vieni verso mezzogiorno nel mio uf-ficio, così possiamo andare a pranzo in un buon ristorante. Conosci la stra-da?» gli chiese Aurelio. «Me l’ha spiegata l’altra volta, ma non la ricordo bene.» «Hai presente il centro di Cecina? Direzione Livorno, dopo circa duecento metri a destra, non puoi sbagliare la scritta è bene in vista.» «La ringrazio molto, ma oggi vado di fretta», gli rispose Roberto dopo un at-timo di esitazione, mentre pensava a Laura. «Stai scherzando, cosa può cambiare un’ora in più o in meno?» Aurelio non aveva tutti i torti, ma Roberto non voleva ritardare la partenza. «Sarà per un’altra volta, non oggi.» «Come sempre quando hai deciso sei irremovibile! Comunque ascolta, se ci ripensi, io alle dodici, massimo dodici e trenta, torno in ufficio. Se mi rag-giungi, mi farà molto piacere, e la proposta che ti ho fatto sappi che per me è definitiva. Se vieni a lavorare da me ti raddoppio lo stipendio…» Si fermò aspettando che Roberto si manifestasse almeno un po’ lusingato, ma ciò non avvenne. «Ti raddoppio lo stipendio e ti metto a disposizione una villetta a schiera gra-tis, ripeto gratis! Non dovrai pagare nulla di affitto, né luce, acqua, gas. Dimmi tu se questa non è un’ottima proposta.» «Effettivamente è ottima», confermò Roberto. «Non ti rimane altro da fare che convincere tua moglie a venire ad abitare in Toscana. E poi non dirmi che si sta bene dalle tue parti, con la nebbia in in-verno, e l’afa in estate.» «Non si sta poi così male neanche dalle mie parti.» «Se lo dici tu», borbottò Aurelio.

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«Ci devo pensare bene, e poi non credo che mia moglie si lascerà convincere facilmente.» «Ascolta ragazzo, pensaci bene, e ricordati che la fortuna passa una volta sola nella vita, tutto sta nel non farla scappare. Pensa alla mia proposta, ti do il doppio dello stipendio e la casa gratis, io mantengo sempre la parola. Ti la-scio una settimana, dico bene, una settimana per decidere. Se non mi richiami entro tale termine, vorrà dire che non hai accettato. In tal caso amici come prima. Se sei furbo, e io so che lo sei, accetti di buona lena.» Roberto rimase un attimo in silenzio, poi disse: «Va bene, anche se non do-vessi accettare la richiamerò entro una settimana. Comunque la ringrazio.» «Non mi devi ringraziare, devi decidere!» «Ok, allora ci sentiamo, di nuovo grazie.» «Ciao, a presto.» «Buongiorno.» «Ciao.» Aurelio staccò e Roberto rimase un po’ frastornato con il cellulare in mano. Ancora incredulo su quanto aveva appena ascoltato, involontariamente superò di poco la striscia di mezzeria sull’asfalto. Il suono acuto del clacson di una macchina, che stava sopraggiungendo nella direzione opposta, lo distolse da quei pensieri. Rimise il cellulare in tasca, accese la radio e, con la testa in agi-tazione, si accinse a completare il suo giro per poi finalmente tornare a casa, rivedere Laura e raccontarle tutto.

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8 Verso le due del pomeriggio, mentre percorreva gli ultimi chilometri di strada prima di raggiungere il casello più vicino per entrare in autostrada, ci ripensò un attimo e decise all’ultimo momento di passare da Cecina per vedere i “mi-tici uffici” dell’agenzia immobiliare di Aurelio. Uscì da una grande rotonda orlata di fiori e s’infilò su un lungo viale alberato leggermente in pendenza, in direzione del mare. Circa dieci minuti dopo, mentre procedeva lentamente nel centro di Cecina, ebbe modo di osservare il grande complesso commerciale nel quale c’erano gli uffici di Aurelio, il punto nevralgico della sua attività imprenditoriale. La cosa che per prima balzava all’occhio, come gli aveva già anticipato Aurelio, era la grande scritta che sovrastava l’ingresso, realizzato con un’architettura un po’ bizzarra che abbinava lo stile moderno di grosse vetrate colorate, sorrette da strutture di acciaio inox, con quello classico di colonne circolari in marmo chiaro, il tutto messo ancor più in risalto dal con-trasto creato da quadrature di mattoni rossi. Il piano superiore sembrava stac-cato da quello inferiore, per l’impatto visivo della lunga scritta che non pas-sava di certo inosservata. Una volta allontanatosi, Roberto pensò che quello stile in un certo modo fosse in sintonia con il carattere di Aurelio, almeno per quel poco che aveva avuto modo di conoscerlo: il carattere di un uomo che si era fatto da sé, determinato e un po’ spregiudicato. Pensando nuovamente all’incredibile proposta che gli aveva fatto poche ore prima, provò un partico-lare senso di euforia. “Di sicuro Laura accetterà di venire ad abitare in Tosca-na”, pensò, “e poi Aurelio ha perfettamente ragione quando dice che in To-scana si vive molto meglio che da noi a Brescia. Qui il clima è più mite, e so-prattutto c’è il mare, ci sono dei bellissimi posti anche nell’entroterra. Certo, nemmeno la Franciacorta è da buttar via”, continuò Roberto quasi a volersi giustificare, “ci sono dei bei posti anche da noi, dei borghi medioevali che so-no molto rinomati, c’è il vino buono…” Ma più insisteva col pensiero sull’argomento e più gli sembrava che la bilancia pendesse dalla parte che lo attraeva di più. Infatti poi pensò: “Il vino della Toscana però è più rinomato, più buono. E comunque a parte tutti questi aspetti, i soldi che prenderei e le opportunità di crescita che avrei venendo qua, non li troverei da nessun’altra parte”. Mentre continuava a elaborare nella testa questi pensieri, arrivò in Franciacor-ta quasi senza accorgersene e benché fossero solo le cinque del pomeriggio, anziché passare dall’ufficio per aggiornare Federico, prese la strada di casa. Sperava di trovare Laura a casa, ma lei non c’era. Portò la macchina in gara-

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ge, sistemò un po’ di cose, fece la doccia e attese il suo arrivo comodamente sdraiato sulla poltrona leggendo il giornale. Roberto era tutto intento a leggere le pagine sportive del giornale quando l’inconfondibile ticchettio dei tacchi sul vialetto gli annunciò l’arrivo di Lau-ra. D’istinto fece per alzarsi dalla poltrona, ma poi decise di starsene seduto. Ma quando vide lei entrare in casa un po’ affannata, tenendo due borse della spesa, con una gonna nera un po’ attillata e una maglietta grigio scura, Rober-to per un momento dimenticò tutto, si alzò, le lasciò solo il tempo di dirgli: «Ciao caro, sei già arrivato?» e l’abbracciò stringendola forte a sé. «Ciao amore, sono così contento di rivederti.» «Anch’io», disse lei rispondendo affettuosamente al suo abbraccio. Giunse l’ora di cena, ma Laura non aveva ancora avuto il tempo di preparare qualcosa da mangiare. Roberto le propose di andare al ristorante cinese del centro commerciale; non le aveva ancora parlato di Aurelio, perché voleva farlo in una situazione particolare. «Sai che la cucina cinese non mi attira molto e inoltre le portate sono un po’ scarse e poiché devo mangiare per due, preferirei andare in pizzeria», gli disse Laura accettando di buon grado l’idea di uscire a cena. «Affare fatto, porto la tua macchina in garage e ti aspetto fuori», affermò Ro-berto tutto contento. In pizzeria Roberto le raccontò la proposta di Aurelio. «Mi sembra tutto così… come dire… troppo facile», osservò Laura, mentre il cameriere, dopo aver preso l’ordinazione, si stava allontanando. Roberto sa-peva che non sarebbe stato semplice convincere Laura ad andare ad abitare in Toscana, ma queste sue parole lo misero intimamente a disagio, perché rias-sumevano l’unico aspetto di tutta la faccenda che non convinceva nemmeno lui, come una piccola e sgradevole voce che senti dentro anche se non vuoi ascoltarla, che ti rode pian piano anche se fai finta di non accorgertene. Aprì e ripiegò il tovagliolo per prendere tempo. Il cameriere era già di ritorno con la birra e la coca cola. «In effetti, non hai tutti i torti, la proposta di Aurelio è più che allettante, ha quasi dell’incredibile, me ne rendo conto benissimo anch’io, però, se il mio fiuto non m’inganna, sono convinto che sia una cosa seria e inoltre, ciò che più conta, io praticamente non rischio nulla.» Roberto smise di parlare per bere un sorso di birra e per lasciare spazio a e-ventuali commenti di Laura, ma lei rimase zitta in ascolto guardandolo diritto negli occhi. «Anche se, per ipotesi, dovesse rivelarsi una fregatura, per male che vada ri-torniamo qui dalle nostre parti e continuo a fare quello che sto facendo tuttora con Federico, con qualcun altro o magari finalmente da solo, in piena auto-nomia. Non rimarrei di certo senza lavoro.»

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«E del mio lavoro cosa ne dici?» gli chiese lei, come se con un colpo avesse fatto cadere un castello di carta. «Le scuole elementari ci sono anche da quelle parti.» «Non è facile come credi cambiare sede didattica.» «Ma non è impossibile, e poi con tutti i soldi che prenderei, tu potresti benis-simo startene a casa, o magari fare un lavoro meno impegnativo, ad esem-pio…» Roberto si rese conto di aver detto una sciocchezza. Laura non perse tempo a controbattere: «Ad esempio cosa? Scusa ma, se non l’hai ancora ca-pito, a me piace fare l’insegnante, ho studiato per questo e non ho nessuna in-tenzione di smettere proprio ora. Io capisco che la proposta che ti ha fatto quel tipo… come si chiama?» «Aurelio.» «Sì, Aurelio, ha anche un nome un po’ strano… la proposta che ti ha fatto è molto interessante, chiunque nei tuoi panni si sentirebbe invogliato ad accet-tare.» «Appunto, è proprio questo che ho cercato di dirti» osservò Roberto, speran-do che lei cominciasse ad accettare l’idea. «Per me non è così semplice. Primo, te l’ho già detto, non voglio perdere il mio lavoro, e l’idea di andare a insegnare in Toscana non mi attira per nien-te.» «E poi?» le chiese lui cominciando a spazientirsi. «Mi spiacerebbe molto allontanarmi dai miei genitori, dai luoghi dove sono nata e cresciuta e ho vissuto per tanti anni, e inoltre…» «Non voglio offenderti, ma secondo me sei un po’ antiquata, ti crei tanti pro-blemi per niente. E poi continui a dimenticare una cosa: tante altre donne, per non dire quasi tutte, a parte te, farebbero i salti di gioia per un’opportunità del genere. Fossero tutte come te, più nessuno si sposterebbe per migliorare il proprio lavoro e tanti sarebbero costretti ad accontentarsi di un magro stipen-dio.» Come sempre Roberto, quand’era agitato, parlava un po’ a sproposito. Il fatto curioso era che anche lui se ne rendeva conto, ma non riusciva a fare diver-samente, come se fosse trascinato da un volano che girava per inerzia. «Noi non abbiamo problemi finanziari!» gli ricordò Laura cercando di rimet-terlo in carreggiata. «Non è questo il punto!» continuò lui un po’ accaldato. «Il fatto di non avere problemi finanziari non significa che uno deve restare fermo per tutta la vita, bisogna sempre cercare di crescere, di andare avanti.» «Io non intendevo dire questo, tu puoi crescere, anzi sono sicura che crescere-sti benissimo nel tuo lavoro anche restando qui.» «Qui dove, con Federico? Sarei destinato a una monotonia perenne.» Laura rimase sorpresa.

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«Scusa ma, non sei stato tu a dirmi che Federico aveva intenzione di farti en-trare in società con lui?» «Che cosa c’entra? Se aspetti lui, ne hai voglia.» In quel momento il cameriere arrivò con le pizze e, avendo notato l’agitazione di Roberto e il disagio di Laura, si rivolse solo a lei con molta delicatezza au-gurandole buon appetito, e lui non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Co-minciarono a mangiare la pizza e per alcuni minuti rimasero in silenzio. La pizza era molto buona e Roberto la stava proprio gustando, Laura invece sembrava non apprezzarla molto. «Non ti piace?» le chiese Roberto con la bocca piena. «Mi piace, ma non ho molta fame.» Era chiaro che il suo scarso appetito deri-vava anche dai discorsi di poco prima. «Quando ti ho interrotto poco fa, cos’è che stavi dicendo?» «Ora non ricordo», rispose Laura. «Stavi dicendo che oltre al tuo lavoro, ai tuoi genitori e così via, c’è un’altra cosa alla quale ci tieni molto.» Prima di rispondergli, Laura si pulì la bocca col tovagliolo e spinse il piatto poco in avanti, anche se in esso rimaneva ancor più di metà pizza. «Intendevo dire che la cosa che più m’inquieta all’idea di traslocare in Tosca-na è che tra un po’ di mesi nascerà nostro figlio.» Roberto rimase sorpreso, perché solo in quel momento si rese conto che quel-la scelta avrebbe condizionato notevolmente la vita di suo figlio, e quasi si vergognò per la sua mancanza di tatto che, certamente, a Laura non era sfug-gita. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva da dove cominciare. Il boccone di pizza all’improvviso gli sembrò fosse diventato amaro tutto di un colpo. «Vorrei tanto che nostro figlio, se fosse possibile, crescesse qui dove siamo cresciuti noi, dove tutti ci conoscono. Anche se è vero il fatto che andare a vivere da un’altra parte non è di certo la fine del mondo; tanti lo fanno per la-voro.» Detto questo, Laura rimase in silenzio mentre guardava Roberto che finiva di mangiare. «Non mangi più la pizza, vuoi qualcos’altro?» le chiese un po’ meno agitato di prima. «No grazie, non prendo più niente, ho un po’ di nausea.» «Vuoi che ritorniamo subito a casa?» «No, sta tranquillo, tanto sono abituata. Tra un po’ mi passerà.» Roberto cominciò a mangiare anche la pizza che era avanzata a Laura. Era dispiaciuto per quello che le aveva detto prima, ma per orgoglio non trovava le parole per chiederle scusa. Invece fu lei, come sempre, che cercò di chiude-re il discorso.

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«Ascolta Roberto, anche se ci tengo molto al mio lavoro e mi spiacerebbe al-lontanarmi dai miei genitori e, soprattutto, vorrei crescere nostro figlio in questo paese al quale sono molto legata, mi rendo conto di quanto sia impor-tante per te, per noi, il tuo lavoro, e se proprio ritieni che quest’opportunità sia la cosa giusta da fare, andremo a vivere in Toscana. Ti prego però, essendo questo un passo molto delicato da fare, promettimi che prima di decidere sta-rai molto attento, perché sai meglio di me che il mondo è pieno d’imbroglioni.» Roberto la guardò con gratitudine, sinceramente orgoglioso di avere una mo-glie come lei. «Ti ringrazio cara, ti prometto che m’informerò bene e starò molto attento. E volevo anche dirti che…» Neanche a farlo apposta il cameriere ritornò proprio in quel momento per chiedere se volevano ancora qualcosa, e solo quando se ne fu andato Roberto riuscì finalmente a dire quello che il suo cuore gli suggeriva da un po’: «Lau-ra, volevo dirti che mi dispiace per prima, volevo chiederti scusa.» Per un attimo gli occhi di Laura, sotto la calda luce del lampadario, brillaro-no, e sia lui sia lei non dissero più nulla fino a quando il cameriere non ritornò con il caffè. FINE ANTEPRIMACONTINUA...