16
Delatre - 3 APRILE-MAGGIO 2007

Delatre - Numero 3

Embed Size (px)

DESCRIPTION

La rivista del Piccolo Teatro della Versilia

Citation preview

Page 1: Delatre - Numero 3

Delatre N° - 3 APRILE-MAGGIO 2007

Page 2: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

Corato.Durante il viag-gio per venire qui in Puglia Simone mi ha proposto (insieme a Clau-dia) di scrivere qualcosa su “Per-ché JJF è finito?”. Ho provato una piacevole sensa-zione in questa richiesta: senti

che il tuo daffare non è sempre qualco-sa che scivola via come il tempo che non torna più. A quello spettacolo ho dedica-to e dato tanto, ma nel mezzo del cammi-no ho cominciato a rendermi conto di un

grande divario: quello tra me e i ragazzi. Ingenuamente non l’avevo valutato pri-ma. Vedere gli allievi distrarsi durante le sessioni di prova, chiacchierare tra di loro, giungere in ritardo brontolando su quelle stupide multe, dimenticarsi l’attrezzeria o parti di costumi di scena, avere fretta nel-l’andare via al termine delle prove, mi ha fatto provare sensazioni di disagio, di ama-rezza profonda. Anche il dilettantismo ha delle pretese ed io non vedevo neppure la “passione” del dilettante in loro. Bisogna anche sapere essere dilettanti. Di fronte a loro, in quest’esperienza, non ero soltan-to regista e insegnante, ma anche attore. E, davvero, è stata durissima inghiottire certi bocconi. Con il senno di poi dico: ho portato a termine JJF per me, per

come è la mia percezione nei confronti della bellezza dell’arte, e soprattutto per-ché avevo dato la mia parola. Per me: ho ripreso in mano l’Arlecchino dopo tanti anni, mi sono messo in discussione di nuovo su testi, sequenze corporee, parti-ture fisiche su me stesso, uso di luci…e in più (una scommessona) ho gestito la mia armata di mufloni, ho scelto i costumi, l’attrezzeria…insomma da vero sfocona-to. Alla fine, però, ci sono riuscito. Ci siamo riusciti? Mah! Sono perplesso nel rispondere. La disciplina, in questa scuo-la, è una questione basilare: cedere la mia esperienza alle persone che vengono qui è di una difficoltà indescrivibile, perché il mio lavoro è principalmente quello di educare all’arte teatrale (da quest’anno

Perchè JUMPING JACK FLASH è finito?

Il Numero -3 Le righe che segnano l’inizio di questo terzo numero sembrano essere troppo poche per presentarlo a sufficienza. Dirò solo che è un numero molto “intimo” ed “emozionale”...il resto lo lascerò al vostro giudizio.La stupenda copertina e i disegni della favola di pag. 8 sono di Elena Buono, figlia di Donatella, un’allieva storica della scuola. Arte a raccontare Arte.Anche se non sono riguardanti questo numero e questo periodo ci sono due fatti bellissimi (uno e mezzo...) che vanno sottolineati: a luglio (19-20-21-22) il Piccolo Teatro della Versilia parteciperà a Mercantia, Festival Internazionale del Teatro di strada, una gran-diosa occasione che porterà fra i vicoli di Certaldo (Fi) alcune maschere della “Vita è una pacchia” e della Commedia dell’Arte (con Federico a fare da Arlecchino). L’altro fatto è ancora incerto al momento in cui scrivo, speriamo che mentre starete leggendo sia invece ufficializzato: Federico ha presentato “Esisto Ancora” a ROMATEATROFESTIVAL, festival internazionale che nel 2003 ci vide vin-citori di due premi con “Zio Vanja”. Allora fu selezionato tra 200 regie, quest’anno il festival è stato riconosciuto anche dal Presidente della Repubblica e ha raccolto 1024 regie partecipanti da tutta Europa...e noi siamo “almeno” tra le 25 finaliste!!!! Solo 8 di loro andranno a Roma a giugno per rappresentare lo spettacolo e concorrere quindi ai premi finali. Incrociamo le dita!!!!!!Altra notiziona: a fine gennaio avevamo presentato nell’ambito del bando “Uno spazio per le idee 2006/2007” un progetto riguardante proprio la nostra rivista (il titolo del progetto era...”Raccontare il Teatro”) ed è di pochi giorni fa la notizia che abbiamo ottenuto il finanziamento che ci consentirà quindi di divulgare ulteriormente “Delatre”.A questo proposito ringraziamo coloro che finanziano il progetto, cioè la Provincia di Lucca e La Fondazione Banca del Monte di Lucca: grazie per l’opportunità concessa. YEAH!!!!

C.

Ad Aprile dello scorso anno, Federico tornò ad essere attore dopo un lungo periodo di stop (la scuola, la regia...). Lo fece divenendo i mille per-sonaggi di “Jumping Jack Flash Vol.1” e andando in scena al Teatro Jenco di Viareggio per due giorni (nel cartellone della stagione di prosa 2005/2006 FONDAZIONE TOSCANA SPETTACOLO). Nella rappresentazione erano presenti anche 12 allievi-attori della scuola. “Jum-ping Jack Flash” non è mai stato replicato nonostante il successo e la richiesta di molti coloro che già lo avevano visto. Perché?

L’ANGOLO DI FEDERICO

Page 3: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

anche di formare l’attore), non di educa-re in senso generale o di educare alla di-sciplina: queste sono cose che riguardano la famiglia, il padre, la madre ed io sono solo il direttore di una scuola di teatro. Chi viene al Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia si incontra con il mio senso della disciplina che sta alla base del lavoro pedagogico. Fino a poco tempo fa crede-vo (nella mia ingenuità) di poter educare a questo senso della disciplina: in JJF ho capito quanto mi sbagliassi. Ci sono allie-vi ed ex allievi che si sono messi in con-trasto con me negli anni, non in relazione al teatro, bensì a fattori del tutto avulsi da quest’arte; sono caduto in questo tra-nello anche io con loro, perché convinto che il dialogo e le chances che offrivo loro potessero poi servire a comprendere ciò che non si può comprendere: il teatro è asciutto, scarno, ruvido e non ammette intromissioni. Quando c’è il teatro non ci sei te e viceversa. Nient’altro. JJF per me era una festa, un confidarmi e mo-strare una parte molto intima di me agli allievi, confessare le mie parti segrete di fronte a loro, ma l’atteggiamento di cui

sopra lo ha trasformato in qualcosa che non aveva niente a che fare con il mio senso dell’arte. Come dico spesso: se vo-lete fare le vostre cose non venite qui da me, trovatevi in un bar e fate le vostre chiacchierate. So di essere un insegnan-te esigente, ma so che altrimenti questa scuola non esisterebbe più da anni, non ci sarebbero persone che frequentano da tre, quattro, cinque, sei, sette, otto anni e anche di più: record che fanno sentire bene, mi mettono in continuazione alla prova, fanno accettare con meno pesan-tezza i grandi compromessi che alle volte devo affrontare. Questo mantiene viva la parte professionale. Il mio lavoro non è la mia vita. Ma la mia vita si evolve grazie anche al mio lavoro. JJF è stato un prege-vole lavoro da vedersi sul palco in quelle due serate: perfino le riprese video riesco-no a raccontarlo con una certa decenza (il teatro, se lo riprendi con le videocamere non ha più ragione di esistere).JJF è esistito durante le quasi due ore di forsennata fatica idilliaca tra rotture di routine continue e salti (‘mbanchi) verso la morte, tra quadri pittorici presi in pre-

stito, comica elegia e momenti di noia, tra sospensione e caduta e attesa. “Scherzo in quindici quadri”. Era il mio spettacolo. Sono felice di averlo fatto. So che alcuni allievi hanno dato l’anima e sono rimasti infastiditi talvolta da certi atteggiamenti, ma sono riusciti sempre a non lasciarsi coinvolgere: sono gli allievi che stanno “appropriandosi” del senso della disci-plina, non la stanno “eseguendo”. Gliene sono grato. Ma il silenzio uccide, in certi casi. In JJF ho inserito anche il “momen-to del party”, ovvero potevamo portare da bere o mangiare e durante le prove si de-gustava un buon vino e compagnia bella. Il senso dell’ironia! Non prenderti troppo sul serio! Invece che cosa succede? Tut-ti si sbracano (non tutti) e il senso sacro del tuo fare ed essere diventa un cazzuto momento che si mischia al quotidiano di second’ordine. Ci vuole tempo, Federico, ci vuole tempo e lavoro…Dove sarà Jack adesso? Io lo so. Ciao Simone, grazie. Era il mio spettacolo. Per questo, fors’anche, è finito.Baci baci.

Federico Barsanti(direttore del PTSV)

Un corso di formazione per attori: l’inizio…

A gennaio il Piccolo Teatro della Versilia ha aperto per la prima volta il corso di Formazione per attori , corso di livello professionale che mira a creare la Compagnia Stabile del Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia. Serena, già da due anni allieva della scuola (la dolce maschera Niurinuu e Pinocchio altro non sono che lei), fa parte di questo corso e si è propo-sta di parlarci di ciò che è stato fatto in questi primi mesi e di quali siano le sensazioni nell’affrontare un lavoro di questo tipo.

Gennaio 2007. La Scuola del Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia ha finalmente aperto il Corso di Formazione per Attori. A mettere in chiaro le cose fin da subito una selezione iniziale degli allievi tramite 10 ore di prova: alcuni esclusi, altri ammessi, altri ancora ammessi, ma solo dopo un ulteriore mese di osservazione. Risultato: 10 allievi (ora 9, perché una ragazza ha già abbandonato il corso), 10 ore settimanali più 2 appuntamenti mensili serali, 14 mesi, 800 ore totali, a Giugno e Novembre due selezioni con docenti esterni e alla fine…Federico ha detto non so cosa faremo, ma so cosa voglio fare!Ma come funziona una lezione? Partiamo dall’inizio.CAPITOLO PRIMO: Il corpo è la macchina! L’inizio è il riscaldamento: ginnastica, Signori, GINNA-STICA! Camminare, correre, danzare, blocage (minuti interminabili in cui il compito è mantenere l’immobilità assoluta dalle narici alla punta dell’alluce). Infatti l’attore deve anche essere un atleta; sì, perché altrimenti, come lo reggi uno spettacolo che in primo luogo è una prestazione fisica? Ci ha detto Enrico Bonavera: “stare in scena è faticoso, deve esserlo, e per di più la fatica non si deve vedere, tutto deve sembrare leggero, senza sforzo”. E per raggiungere questo risultato serve…l’allenamento! Quindi oplà: correre, saltare etc. e guai a chi si lamenta, perché in quel caso dieci (quindici, venti, trenta…) flessioni per tutti!CAPITOLO SECONDO: L’attore è il meccanico! L’inizio delle cose è l’inizio: è quando le cose ancora non ci sono, è il BIANCO. Noi allievi, prima di tutto, dobbiamo diventare bianco: annullare le curve della postura del corpo, il ritmo dei passi, le espressioni del volto, quasi a diventare linee che attraversano lo spazio senza raccontare alcuna storia. Per fare questo indossiamo la maschera neutra,

PENSIERI E TEATRO

Page 4: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

che copre il volto e aiuta ad isolarsi dal resto e da noi stessi: dapprima ci si sente costretti dietro la maschera e nel rigore di un corpo così pulito, ma poi si scopre che in quel bianco c’è più spazio, c’è più libertà per essere qualcos’altro da sé. Così impariamo di nuovo a stare in piedi, camminare, parlare (lettura neutra parola per parola, ciascuna a sé, come emergesse dal nulla e poi sparisse). Questo è l’inizio. L’esercizio numero uno. E serve a TOGLIERE (o almeno imparare a gestire) la personalità, un’armatura di ostacoli che impediscono al-l’attore di essere veramente ricettivo e creativo (infatti mantenere il volto neutro ha molto a che fare con l’interiorità dell’attore). Serve ad imparare a stare in scena col proprio peso e a dare vita e importanza ad ogni passo. E serve perché scopriamo che per esprimere una certa emozione bastano molti meno gesti di quelli che abitualmente si fanno…da un corpo neutro a un corpo disperato, qual è il gesto essenziale che fa la differenza? La lezione (a volte in autogestione, perché il corso propone anche di imparare ad essere RESPONSABILI ciascuno di sé e degli altri) procede poi secondo tre vie principali. Lettura scenica, esercizi di teatro-danza e la famigerata, temuta e attesissima IMPROVVI-SAZIONE! E qui i problemi sono tanti…perchè saliamo sul palco ciascuno chiuso nel proprio io, preoccupato, isolato, assente, e vediamo solo buio, un muro, restiamo come bloccati oppure ci nascondiamo dietro cascate di azioni e parole senza emozione. Così ci sentiamo delusi perché ci scopriamo vuoti. Ma davvero non c’è proprio nulla? O è solo dietro al muro? Il trucco forse è saltare, percorrere l’intervallo fra la persona e l’attore, tornare al bianco: scrollarci di dosso l’io, via le aspettative, via la fretta, e diventare apertura, riconoscente, pacata, in ascolto del proprio corpo, dello spazio che ha attorno, dell’ALTRO, della persona che è in scena con noi, con cui possiamo cucire un incontro, se solo entrambi siamo onesti. Essere onesti vuol dire, per prima cosa, raccontare quel buio, perdonarlo e perdonarsi, facendo uscire tutte le immagini che ci sono dietro e soprattutto le emozioni, sostandoci dentro, seguendole, mentre si trasformano l’una nell’altra, dalla gioia al dolore e così via. Basta che il gioco resti un gioco, un’occasione, una possibilità… Utilissimo è un esercizio che si inserisce nel contesto dell’improvvisazione, ossia quello del drammaturgo: due allievi sono in scena e uno da fuori suggerisce ai compagni cosa dire, come dirlo, con quale stato d’animo, con quali movimenti. L’esercizio serve perché, nella condizione di drammaturgo, uno DEVE essere presente, concentrato non su di sé ma sull’esterno, attento ad ogni particolare, per essere d’aiuto agli attori in scena, e sperimenta così quella condizione in cui dovrebbe sostare sempre, poco io e tanto ascolto. Da annunciare con particolare giubilo è poi uno degli esercizi più stimolanti, anche questo nel contesto dell’improvvisazione: esercitazioni sulla COMMEDIA DELL’ARTE, con interpretazione dell’incredibile Arlecchino (il personaggio che Federico studia da anni), un’occasione per entrare nell’ infinita complessità del mondo delle maschere espressive e della commedia goldoniana e per sperimentare la condizione di lontananza da sé, apertura e fatica da cui partire sempre.Riscaldamento. Il bianco. La voce. Le emozioni. Gli altri. I personaggi. Prendiamo vita a poco a poco. A partire dal Perché volete fare questo corso? , la motivazione di fondo, forse l’unico vero e continuo inizio.E nel farlo il gruppo di allievi sembra entusiasta, pieno di voglia di fare (pure i 30-40 minuti di esercizi al giorno a casa!), felice di aver incontrato questo modo di fare teatro che lo fa essere un percorso incredibile dentro le persone, dentro le parole, dentro tutto, da sbellicarsi dal ridere e da raccogliersi come in luogo sacro, da sentirsi scemi a star lì a raddoppiare il mondo e da essere fieri di voler sostare per raccontare qualcosa.

Serena Guardone

Lo spettacolo “Esisto Ancora” andato in scena tra gennaio e febbraio ha visto, per la prima volta, la partecipazione degli allievi del corso dei ragazzi e dei bambini del Piccolo Teatro della Versilia. I ragazzi hanno poi avuto l’occasione di contribuire anche alla rappresentazione “La vita è una pacchia”. Che esperienze!!!

Ce le raccontano in queste pagine attraverso poesie, punti esclamativi, puntini di sospensione e tutto ciò che serve...per scrivere di teatro!!!

“Esisto Ancora...per non dimenticare”

Con “Esisto Ancora per non dimenticare” ho ufficialmente aperto la porta del teatro con la chiave giusta.Una magnifica rappresentazione sullo spietato sterminio degli ebrei che, sul palco, rianimava i corpi dei deportati e la freddezza delle figure tedesche. Avevo già studiato qualcosa sui libri di scuola, ma tutte quelle date e spiegazioni non entravano facil-mente in testa. Servivano immagini, parole, fatti che mi facessero veramente rendere

IL TEATRO DEI RAGAZZI

Page 5: Delatre - Numero 3

conto della drammaticità della tragedia. La mia prima comparsa davanti ad un vero pubblico, CHE BELLEZZA! E’ stato molto difficile immedesimarmi nella parte. Dovevo riuscire a pensare di qualcosa di veramente brutto per rendere il mio personaggio, una giovane deportata, reale ed espressivo. Sono fiera di quello che ho fatto: ho contribuito a lasciare impresso nella mente degli spet-tatori un segno profondo. Abbiamo rinfrescato ancora una volta la memoria, il ricordo della Shoah e svelato la notizia a chi ancora non era a conoscenza. (Carolina Gonnelli)

Lo spettacolo della memoria

Una valigia, una torcia…

Il sipario si apre come piangendoSilenzio qua intornoPoi grida,parole in tedesco…persone che chiedono aiuto…persone che raccontano l’accaduto…e lo vivono, e lo sentono dentro

Ci siamo riusciti, siamo stati bravi, ottimi attori

La gente ha capito, pur tappandosi gli orecchi.

Andr

ea d

e l Giudice

DELATRE N° -3

“La Vita è una pacchia”

“LE MASCHERE”

Benedetta: qualche lezione fa siamo arrivati a teatro credendo di fare una lezione normale, poi abbiamo notato maschere e cap-pelli per tutti e ci siamo chiesti che cosa avremmo fatto.Beatrice: abbiamo indossato maschere e cappelli e ognuno di noi a ritmo di musica doveva inventare un movimento con il brac-cio destro camminando.Carolina: ispirandoci al gesto di Andrea abbiamo iniziato a creare una coreografia del tutto curiosa.Gloria: Con l’aiuto di Federico abbiamo montato tutta la coreografia che sarebbe stata inserita nello spettacolo “La vita è una pacchia”.Shira: per quanto riguarda la nostra coreografia, visto che non ho visto lo spettacolo, a me non è piaciuta, all’inizio aveva il suo mistero, ma poi si è rivelata noiosa.Andrea: era un lavoro sia di concentrazione che di puro divertimento.Benedetta: sembrava di essere in un altro mondo, i movimenti che facevamo erano molto meccanici, sembravamo dei giocattoli che stavano prendendo vita.Stefano: è stato difficile ma dopo tante flessioni e addominali la coreografia è venuta bene e ci siamo divertiti. Beatrice: al momento dello spettacolo eravamo molto emozionati, era diverso dal solito, eravamo personaggi irreali, e da una parte era difficile usare dei suoni pronunciando parole strane e insignificanti.Andrea: WOW…lo vorrei rifare…YEAH!Benedetta: io all’inizio non ero felice come al solito quando devo fare uno spettacolo, preferisco la recitazione, e credevo che non mi sarei divertita, invece più provavamo, e più entravo nel mio personaggio, più mi divertivo, e adesso anche io lo farei di nuovo.Naomi: a me invece sembrava di essere un tasto di un pianoforte che si muo-veva mentre il pianista suonava, è stato uno spettacolo simpatico.Andrea: stupendamente stupendo…ce l’abbiamo fatta a superare anche que-sto…alla prossima.Tutti: Yeah!

IL TEATRO DEI RAGAZZI

Page 6: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

IL CLOWN RACCONTATO DA GIOVANNI FUSETTI

Giovanni Fusetti racconta il ruolo del Clown nella sua pedagogia teatrale (seconda parte)

IL CLOWN NEL CUORE DELLA PEDAGOGIA TEATRALEDopo il seminario tenuto a Dicembre al Delatre, Giovanni ha scritto per noi due articoli, un primo, presente nel numero -4, dal titolo “DALLA MASCHERA NEUTRA AL NASO ROSSO: L’attore alla scoperta del proprio Clown” e un secondo, questo, in cui prosegue il viaggio sulla maschera più piccola del mondo.

Giovanni Fuseti concentra la sua ricerca artistica sul movimento teatrale e la creazione, in particolare mimo, pan-tomima, clown e teatro di maschere. E’ stato allievo del L.E.M. Laboratoire d’Etude du Mouvement e assistente pedagogico alla Ecole Jacques Lecoq, dove è stato, successivamente, anche insegnante di improvvisazione. Condu-ce una intensa attività pedagogica in Italia ed all’estero.

Dal punto di vista della pedagogia tea-trale, l’antica massima del “conosci te stesso”, è alla radice del mio lavoro sul Clown e il Neutro che si situa alla porta di ingresso del viaggio. Si potrebbe farla evolvere così: conosci te stesso, trasformati in poesia e gioca.Se il poeta con la maschera neutra par-te alla scoperta del mondo, ad un certo punto incontra sé stesso, come forma della natura. E’ qui che ho elaborato una specifica pedagogia in cui accade un processo che definisco di “riconci-liazione”. Questa riconciliazione, cioè riunione di parti opposte o in conflitto, avviene a due livelli: teatrale e episte-mologico.Sul piano teatrale è un riconciliazio-ne tra i due estremi rappresentati dalle due pedagogie di Lecoq e Stanislawski. Usando il linguaggio della Gestalt si po-trebbe dire che se il primo parte dalla forma per toccare il fondo, il secondo parte dal fondo per arrivare alla forma. Lungi da essere incompatibili e inconci-liabili, come spesso si ritiene, si tratta di una assoluta complementarietà. Il fatto che siano stati messi, e che tuttora sia-no, in opposizione, è da leggersi come un fatto storico e contingente, legato alla cultura di un epoca ed alla persona-lità dei fondatori e dei loro primi allievi. Ha generato una grave separazione tra teatro di testo e teatro di movimento, separazione che è in realtà del tutto ar-bitraria e fuorviante.Questa separazione è una variazione su un tema più grande, che è la separazio-ne ed opposizione tra idea è istinto, tra mente e corpo, tra pensiero e azione, teoria ed esperienza, tra alto e basso, tra psiche e corpo, e in ultima analisi tra anima e corpo, grande fardello della

nostra radice occidentale, che sul piano epistemologico ha generato la grande opposizione tra scienza e arte.Dunque l’altro livello di riconciliazione di questa pedagogia è il piano episte-mologico, intendendo con questa pa-rola “lo studio della conoscenza”. Una pedagogia artistica che nasce dal corpo nello spazio e che si nutre non solo di arte ma anche di ogni altra disciplina che contribuisce alla conoscenza del mondo attraverso il corpo.

Una parola chiave è emersa in questi anni ed è coscienza, con cui intendo “la consapevolezza dei nessi”. Durante questi anni di viaggi paralleli tra il teatro, la formazione e la terapia, il mio lavoro di pedagogia teatrale si è nutrito di coscienza, e il mio lavoro di coscienza si è nutrito di teatro.Incrociando la pedagogia corporea di Lecoq con altre pedagogie che lavorano a partire dal corpo e dall’emozione cor-porea, ne è nata così una sintesi.E in realtà non si tratta di qualcosa di nuovo, ma solo di una nuova forma per qualcosa di molto antico. La mia visione si radica infatti in una dinami-ca antichissima e al tempo stesso pro-fondamente contemporanea che vede

nell’arte e in p a r t i c o l a -re nell’arte teatrale, una via comples-sa e integrale di inizia-zione e di celebrazione de l l ’ uomo come esse-re vivente, a m a n t e , p e n s a n t e , danzante e tra-sformante. Una via non solo di rappre-sentazione ma anche di conoscenza e di coscienza.Il teatro è nato come rito e nella sua na-tura rituale c’è la sua essenza e la sua forza.E tra tutti gli stili teatrali con cui lavoro, certamente il Clown ha un ruolo fon-damentale. In esso ritrovo l’espressione più limpida delle radici della mia peda-gogia. Potrei riassumerle così:

Pedagogia del MovimentoIl corpo è il primo luogo di conoscenza e di sensibilità dell’artista e il princi-pale strumento del linguaggio teatrale. L’esperienza e lo studio del corpo in movimento nello spazio portano alla scoperta progressiva delle leggi fondamen-tali del Movimento e della Creazione Artistica. Un riferimento fondamen-tale è la p e d a -gogia

Page 7: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3 IL CLOWN RACCONTATO DA GIOVANNI FUSETTI

del movimento teatrale di Jacques Le-coq, con cui sono stato allievo, assisten-te e insegnante.Pedagogia del Gioco TeatraleIl Gioco (le jeu) è lo stato fondamentale dell’attore: esso esiste quando il rigore della tecnica si incontra con il piacere dell’artista; l’attore che gioca rappre-senta e re-inventa il mondo in ogni suo gesto, rivelandone la ricchezza poetica. Vero e proprio “Homo Ludens”, l’atto-re/giocatore è un poeta del gesto. Egli lavora con rigoroso piacere e disciplina-ta follia.Pedagogia della CreazioneL’attore non è solo interprete del teatro ma autore e regista del proprio lavoro. L’obiettivo della mia pedagogia è la formazione di artisti di teatro, creatori del proprio mestiere (arte). Compito della pedagogia è di fornire strumenti espressivi lasciando gli allievi liberi di sviluppare la propria voce poetica. Do dunque priorità alla relazione pedago-gica rispetto all’insegnamento: essa è il risultato dell’incontro tra l’allievo e il pedagogo. In questo contatto entrambi si mettono a disposizione del processo creativo.Pedagogia dell’IniziazioneL’attore, poeta e creatore, erede degli an-tichi sciamani, lavora quotidianamente ad affinare e pulire la propria percezione del mondo, e ad allenare i propri mez-zi espressivi. Per questo in ogni viaggio artistico e poetico avviene un itinerario di iniziazione ad una nuova forma di comprensione della realtà, e ad una più profonda consapevolezza poetica. L’attore alla scoperta del mondo va neces-sariamente alla scoperta di sé stesso. Del pro-prio potere e delle proprie ferite, che spesso coincido in una misteriosa alchimia della coscien-za. Il mio obiettivo è non solo formare poeti ma formare poeti coscienti. Per

questo il lavoro di consapevolezza emo-tiva è fondamentale, e per questo mi sono nutrito di molti approcci e stru-menti pedagogici, che ho poi integrato in un unico “calderone alchemico”. In particolare sono fondamentali in me

la Pedagogia della Gestalt, le Arti Marziali Interne Taoiste, la Bioenergetica e il la-voro sugli Stati di Coscienza Non Ordi-nari (Sciamanesimo Contemporaneo).

Profondamente radicato nella mia pe-dagogia, l’itinerario di scoperta del proprio clown diventa così un viaggio emozionale ricchissimo per l’attore: gli permette infatti un contatto diretto con le proprie emozioni e una loro imme-diata trasposizione nello spazio scenico. Ogni attore e attrice abita un corpo per-

sonale pieno di storia: è una storia emotiva che ha plasma-to una par-ticolarissima forma fisica, profondamen-te espressiva e potenzialmen-te comica. Lo stato clowne-sco è uno stato di coscienza non ordinario,

in cui l’attore incontra queste pieghe del proprio corpo, le zone dove l’emozione si è impressa in forme poetiche del tut-

to personali. L’amplificazione provoca-ta dalla maschera e dall’incontro con il pubblico, provoca una presa di contatto dell’attore con queste zone, da cui si libera l’energia impressa. “L’espressio-ne di ogni emozione provoca piacere”

(Alexander Lowen) e in questo piacere l’attore trasforma la sua umanità drammatica (la ferita) in tema comico. Si anima così un processo di alchimia in cui le lacrime vengono co-stantemente trasformate in riso, sia per l’attore che per il pubblico. L’attore tocca nel clown uno stato fon-damentale del teatro: l’estasi, la vetta del piacere espressivo.Questo viaggio ci insegna ad esplorare la profondità emotiva per trasformarla in comicità. E ci permette di sperimen-tare il teatro come un evento estrema-mente serio e totalmente giubilatorio. Una celebrazione della vita come è, qui ed ora, nell’assoluta risata della creazio-ne perpetua.

Giovanni [email protected]

Si cerca Si trova!!!

Si sperimenta

Cerca di vivere pienamente

la sua vita su questo pianeta

ww

w.gi

ovan

nifu

setti

.com

Page 8: Delatre - Numero 3

Swindolè

DELATRE N° -3

La Favola è una Pacchia...Quella che trovate di seguito è il prologo di una favola che ha come protagonisti i personaggi in maschera dello spettacolo “La Vita è una Pacchia”. E’ una storia a puntate...ciò che vi chiedo, so-prattutto a voi BAMBINI, è di continuarla (anzi...iniziarla: qui trovate solo la presentazione delle maschere!!!). Ci sono due regole: la prima è che deve essere una favola teatrale da poter mettere in scena (usate i dialoghi!!!), la seconda è che nella prossima parte dovrà comparire, oltre, se vorrete, ad altri personaggi, anche ARLECCHINO (chissà che avventure con quel birbante!!!!). Attenti che non dovrete finirla ma lasciare anche voi una frase a metà da far continuare poi a qualcun altro nel numero successivo e così via...I bellissimi disegni sono di Elena, e anche la vostra storia sarà disegnata da lei...quindi FORZA!!!!

PERSONAGGI:

Narratore: con un cilindro in testa e dei guanti bianchi, gira sempre con un grande bastone nero.Spazzolino: la simpatica maschera con le dita da drago: è la più curiosa di tutte. Si muove piano piano, con le sue gambe colorate e la sua grande pancia. A volte sembra solitaria ma adora giocare con le altre maschere e inventare storie con la sua mano verde. Niurinuu: la dolce maschera rossa con i fiori in spalla. E’ sempre paurosa di tutto e mentre cammina si nasconde il viso perché teme di aver combinato una marachella...a volte le fa senza nemmeno accorgersene.Swindolè: la maschera che fa più paura di tutte: sembra un corvo smemorato sempre alla ricerca di qualcosa: a volte si guarda tra i piedi pensando di averlo finalmente trovato…ma si scorda cosa…e allora ricomincia la sua ricerca. Oppà: la ranocchietta rosa dalle gambe verdi. Saltella in qua e in là sempre sorridendo con la bocca larga, non smette mai ed infatti ha sempre la bocca asciutta e una gran sete. E’ una grande affamata...ma troppo buona per mangiare gli insetti che trova, anzi, fa amicizia con tutti e loro,

per ricambiare, le portano un sacco di insalata verde, proprio come le sue gambe.Sciua: il pinguino arancione con il frack. Questa maschera è buffosissima, non sa camminare bene e allora tiene le mani strette strette per non cadere e quando muove le gambe dondola come una campana…E’ la più birichina di tutte…fa sempre tanti danni e si diverte un mucchio, però a volte è anche un po’ triste…e le altre ma-schere devono farla sorridere in fretta…perché quando è triste fa ancora più danni.

(e poi...se volete...aggiungete voi i personaggi...e date anche un titolo alla favola)

INIZIO:

(Da una fessura di un sipario rosso, appare il guanto bianco del Narratore che tiene un bastone lungo lungo, di quelli che servono per quando ci si arrabbia. Il sipario si apre e il narratore viene in avanti in proscenio. Batte forte per terra il bastone)

BUM BUM BUM.

(Le cinque maschere, seguite da lontano anche dalle altre, entrano in scena incuriosite dopo aver sentito il rumore del bastone)

NARRATORE: Quella che sto per raccontarvi è...

...cContinuatela voi nel prossimo numero...

C.

Sciua e Oppà

LA FAVOLA E’ UNA PACCHIA

Niurinuu e Spazzolino

Page 9: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

16 Marzo(Elisabetta) Arriviamo a Corato e resto subito incantata da quel paese; quelle case, le viuzze, la luce strana. E’ un paese che sa di teatro. Il seminario ha come titolo “Maschera e testo”: mi incuriosisce parecchio. Come faremo a far sposare tutto il lavoro fatto sulla maschera neutra con il testo? 17 Marzo(Elisabetta) In mattinata comincia il duro lavoro con Federico sullo spet-tacolo “La vita è una pacchia” che faremo domani e i dolori fisici prendono il sopravvento, il viaggio mi ha distrutto ma non mi arrendo anzi mi esalto un po’…è la fatica dell’attore! Nel mezzo a questo faticoso lavoro…il seminario.(Simone) Dopo aver temuto che il seminario venisse presto interrotto a causa di ritardi ingiustificati dei “coratini” e ancor più perché sei (6!!!) di loro

non avevano portato la maschera neutra (titolo del seminario: la maschera e il testo!!!!), Federico ci chiede, dopo un’ esauriente intro-duzione ai contenuti del seminario ed un breve accenno al testo, di calare la maschera sul nostro viso. Come mi accade non di rado, allo scendere di essa sul mio viso cala il buio e mi ritrovo in una sorta di piccolo psicodramma che solo chi ha seguito questo tipo di percorso può capire. In un angolo mi fermo a “gustarmi” questi attimi di intimità con me stesso. Purtroppo la maschera ci viene immediatamente tolta in cambio degli anonimi vestiti da noi scelti per il personaggio. Mi ritrovo così più che spaesato ad indossare i panni del duro Stanley Kowalsky e a lavorare sul testo “Un tram che si chiama desiderio”. Dopo un primo più classico approccio all’opera, uniamo al lavoro del personaggio la maschera neutra cercando attraverso di essa la valorizzazione del gesto. L’averla smessa in virtù di “volgari cenci” mi ha notevolmente spiazzato, non tanto per le difficoltà oggettive incontrate nell’approccio al testo ma più per aver successivamente indossato nuovamente la maschera senza un training e senza un minimo di preavviso. Questo mi ha reso una sorta di oggetto ibrido non in grado di attingere alle sue potenzialità per recuperare il gesto, né di essere libero di poter usufruire del testo stesso per approcciarmi al personaggio.18 Marzo(Elisabetta) Alcuni (2) indisciplinati allievi di Francesco, per l’ennesima volta ritardano e vengono allontanati temporaneamente dal seminario per poi essere reintegrati da Federico più tardi. Questa cosa crea un po’ di tensione in ognuno di noi, coratini e non…Il lavoro sulle maschere e testo non è così immediato nonostante tutti i seminari fatti sulla maschera neutra: calarsi la maschera, dire il testo e soprattutto entrare in relazione con l’altro (la famosa azione reazione) mi risulta difficile. La voglia di buttarci però non ci manca, e mentre Federico ci incita, noi piano piano molliamo. Molto utile è l’intervento del drammaturgo in un nuovo esercizio: dobbiamo calare la maschera, dire il testo, ascoltare il drammaturgo che ci dà indicazioni precise ed entrare in relazione con il nostro compagno. Per iniziare cercarsi con lo sguardo aiuta e anche un contatto fisico può servire per poi imparare a sentirsi anche a distan-za. Ma allora questa maschera funziona! Sono sicura che da domani il seminario decollerà…ed io invece decollerò con quell’aereo verso casa. Non c’è tempo per pensarci, arriva lo spettacolo! Mamma mia che corsa la vita dell’attore! Perché è così che mi sento da tre giorni. Ci prepariamo velocemente, sistemiamo gli oggetti, entriamo in maschera e via dentro a quel sogno che è “La vita è una pacchia”. Finisce veloce mentre si accendono le luci e mi emoziono a vedere i “vecchi” coratini tutti lì in prima fila. Sono venuti a vederci! Vengono a salutarci ma io voglio tornare in scena perché non ho dato quello che potevo e nel secondo spettacolo sento la magia che mi avvolge, me lo vivo, me lo gusto, mi sembra anche lungo, non voglio rimanere con l’amaro in bocca…e ci riesco! Questa volta i complimenti e i ringraziamenti me li prendo. Mi rimane impresso il commento di una ragazza: “mi ha emozionato e il secondo spettacolo mi è sembrato diverso, non mi sono accorta di averlo già visto”.Ci siamo riusciti. 19 Marzo(Camilla e Milena) La giornata si è aperta con Simone al volante (come d’abitudine), destinazione: Castel del Monte, altopiano delle Murge. Stupor Mundi. Serena ci introduce nella storia, Milena ci guida all’interno, Roberto ci spiega la chiave di volta. Una mattinata bellissima con la compagnia al completo (udite udite…anche Federico!) prima di correre all’ Aeroporto di Bari dove Elisabetta e Simone decollano per tornare a casa (causa lavoro purtroppo). E nel pomeriggio: Arlecchino va al Palestrone!!! Federico ci regala (che regalo strepitoso!!) più di due ore del suo tempo per approfondire lo studio, già iniziato con il corso di formazione,

Diario di un seminario…

16-22 marzo 2007: Federico va a Corato per tenere un seminario con titolo “La maschera e il testo teatrale” alla SCUOLA CIVICA DELLE ARTI DELLE COMUNICAZIONI diretta da Francesco Martinelli e porta con sé 8 allievi del PTSV.Il seminario, lo stare insieme, il vivere di teatro 24 ore al giorno...non poteva essere descritto da una persona sola, così è nato questo articolo: una raccolta di esperienze da parte degli allievi di Seravezza che ripercorrono giorno per giorno il loro viaggio in Puglia.

CORATO-SERAVEZZA: IL GEMELLAGGIO

Niurinuu e Spazzolino

Page 10: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

10

sulla diciassettesima scena del primo atto dell’ “Arlecchino servitore di due padroni”. Ci mostra alcuni passi di Arlecchino; ci insegna come scomporre i movimenti in base all’azione da fare; ci fa porre l’attenzione sul significato di ciascuna battuta a seconda che essa esprima un pensiero “leggero” od uno “pesante”; osserva e guida ognuno di noi nell’approccio ai personaggi di Arlecchino e Smeraldina. Il tempo passa e arriva in fretta il momento della terza lezione del seminario. Finalmente tutti puntuali! Cerchio: eser-cizi di improvvisazione libera e, a seguire, con il testo. Entrare in gioco con uno stato d’animo ben preciso; se ho in mente il “niente”, lo metto in scena; pensiero leggero o pesante; porsi in ascolto dell’altro, accogliere la proposta, rielaborarla e riproporre: azione e reazione. Sembra quasi che tutto quello che ha ripetuto Federico per lezioni e lezioni si sia svelato nelle parole “par-

tire dal niente”: a pensarci ora dà una sensazione di vertigine che spaventa… ma forse è proprio questa la condizione necessaria per far qualcosa di teatrale?!20 Marzo(Viola e Roberto) “Troppi blocchi, attori morti”Una caratteristica evidente del quarto giorno di seminario è stata sicuramente quella della difficoltà nel “reagire” senza dover per for-za riuscire a “capire”. Una lettura poco chiara del corpo dei propri compagni (partner), data da una probabile indecisione attoriale, ha portato troppo spesso ad una confusione scenica ed a un diluvio di proposte che quasi sempre sfociavano nel temuto MISTICI-SMO. Ma cosa vuol dire essere mistici? Forse la preoccupazione ed i tentativi per evitare di esserlo ci hanno bloccato ulteriormente. Il desiderio di portare avanti la propria originalità durante gli esercizi di improvvisazione a due o a tre, magari proponendo un’infi-nità di cose, ha comportato l’abbandono, a volte nocivo, degli spunti dati dai partner. 21 Marzo(Serena) Il quinto giorno del seminario si è aperto dedicando venti minuti ad una discussione in cui esprimere le difficoltà incontra-te e questo non era diverso dall’improvvisare: raccontare quello che abbiamo dentro, rabbioso, desolato, triste, gioioso, esattamente com’è, confessarsi con onestà! Abbiamo poi continuato e concluso con l’improvvisazione a due, dapprima senza e poi col testo (una battuta a testa), senza maschera. Il problema più grande è stato ancora quello della fretta: entravamo in scena come allievi-che-vanno-a-fare-un-esercizio e non come personaggi (sebbene vestire gli abiti di scena aiutasse ad entrare in una condizione altra da sé) con un’emozione viva, che può, con la giusta lentezza, esasperarsi, spengersi, trasformarsi, mescolarsi a quella di un altro, fino a scrivere un’intera storia. Come ha ben detto Francesco Martinelli nel suo discorso conclusivo a fine seminario, entravamo in scena poco riconoscenti, non vedevamo la persona che avevamo davanti, né sentivamo noi stessi, mentre Federico era così in ascolto che si accorgeva e valorizzava ogni nostro minimo movimento irriflesso in scena: era presente. Ecco il trucco, essere presenti: quando uno riesce a restare nel presente, ad abbandonare l’andamento logico e quotidiano del dialogo e a seguire le emozioni e la vita della situazione che ciascuno tesse assieme agli altri prima ancora dell’intenzione stessa, allora il gioco funziona. E in alcuni casi ha fun-zionato: seguiti passo passo (durante gli esercizi è utilissimo il continuo intervenire dell’insegnante, aiuta a diventare disponibili e duttili e serve a riconoscere i momenti in cui rimaniamo in superficie e quelli in cui siamo veri e la scena funziona), alcuni allievi (su ciascuno un lavoro diverso) si sono letteralmente TRASFORMATI, e a tratti capitava di ritrovarsi tuffati nella rete di una storia vera quanto il presente della creatività che l’aveva generata. Alla fine è rimasta la voglia di lavorare e fra allievi e insegnante, si esitava ad andare via: quindi YEAH, grazie Corato!

Simone, Elisabetta, Viola, Roberto, Camilla, Claudia, Milena, Serena.

Concludo questo articolo con il pensiero che Roberto ha lasciato sul sito internet:

Siamo ritornati da Corato con un bagaglione di esperienza in più da trasmettere a tutti coloro che non sono potuti venire (o sono dovuti ripartire prima della fine del seminario!), la strada continua con una serietà drammatica più consapevole aumen-tando così il divertimento di questo giocone che è il teatro. Ri-cordiamoci che “chi se la prende campa tre giorni, e questo è il secondo!” Forza Coratini, la vita è una pacchia!...Anche se...Venerdì San-to...odore d’incenso... C.

CORATO-SERAVEZZA: IL GEMELLAGGIO

Page 11: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

11

LA VITA E’ UNA PACCHIA, MA LA MIA VICINA E’ UNA RACCHIA.

Una tribù di maschere colorate allo stato primitivo conquista il mondo civile e composto degli uomini grigi. Il distacco è forte tra il pubblico e la scena. Siamo in un tunnel buio dove immagini, visioni, sogni, girano come un vortice intorno a noi. C’è il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria e il teatro. Ci si muove insieme alle singole maschere che sono musica. Ironia, voglia di comunicare, poesia e violenza selvaggia… ma da dove proviene questo carnevale sublime? Dov’era finito? Nella testa di un maestro del primitivo, Federico “il Grande”. Il suo impero di sogni senza sudditi. Gli attori sono liberi mentre: Mosè è sulla montagna, Icaro è nel cielo, Prometeo si brucia, Federico sogna. Un fantasma bianco e maestoso attraversa più volte il buio con una torcia in mano direzionata verso la propria maschera: “E’ Diogene! Che cerca la verità.” No, è semplicemente una luce che si muove; è una porta di luce che ci conduce altrove. Tutto è un surrogato di vita extraquotidiana. Come faccio a spiegarlo alla mia vicina? E’ un ricordo di ciò che probabil-mente fummo e quasi sicuramente saremo; saremo quando chiuderemo definitivamente questi maledetti occhi, quando non vedrò più la racchia della mia vicina, ci scollegheremo dal mondo, ci licenzieremo dal Collocamento… quando final-mente saremo in Paradiso, il luogo del tempo sognato. In attesa del trasferimento tutti dovremmo dipingerci la mani e la faccia di blu, come ha fatto Federico “il Grande Puffo”, diventare la tela indelebile su cui scorre il cielo blu. I miei allievi di Seravezza hanno co-raggio. Si prestano alla materia dei sogni, diventano sogno, non sono at-tori ma artisti della scena. I miei allie-vi di Seravezza sono presenti come le cicale d’estate. Ho sempre desiderato da bambino trovare le cicale, le senti-vo cantare e pensavo: “Dove diavolo sono?”. Seguivo il loro canto, mi avvicinavo, mi sembrava di essere arrivato… ma non sono mai riuscito a vederle. Ora sono cresciuto, d’estate mi siedo sot-to un albero e le lascio cantare, non ho voglia di trovarle, lascio che loro trovino me, e mi metto a sognare. Le cicale che non vedo, cantano per me ed io sogno. I miei allievi di Seravezza hanno mo-strato la loro abilità ad essere Arte. Ne sono orgoglioso.Roberto, Viola, Claudia, Serena, Ca-milla, Simone, Elisabetta, Milena, Bravi, Davvero, Bravi.Ma le cicale d’inverno dove cazzo sono?

Francesco Martinelli

18 Marzo 2007. “La vita è una pacchia” viene rappresentata a Corato. Le maschere invadono la Puglia!!!!

Ecco come ha visto il nostro spettacolo Francesco Martinelli...

CORATO-SERAVEZZA: IL GEMELLAGGIO

Page 12: Delatre - Numero 3

STORIA DI UN GEMELLAGGIO

A Corato chiesi a Francesco e a Federico di scrivermi due articoli sul senso del gemellaggio tra le nostre scuole e sul seminario appena trascorso. Ricordo perfettamente di aver chiesto loro un articolo tecnico: da perfetti interpreti di ciò che Federico chiama “rottura di routine”, mi hanno inve-ce consegnato due articoli che di tecnico hanno poco...ma che raccontano perfettamente il viaggio che ogni anno porta l’uno nella scuola dell’altro.

Ho iniziato il mio viaggio su un treno Barletta-Viareggio via Roma. Lasciavo la terra degli ulivi per andare verso il mare. Raggiungevo un luogo pieno di mistero dove due fiumi diventano uno, un luogo dove le montagne si divi-dono per custodire segreti, un luogo chiamato Delatre. Avevo messo nella valigia il pigiama elegante, i tre asciugamani (viso, doccia, sedere) in tinta, i prodotti d’igiene personale “Coloniali”; mi ero preparato ad un grande evento pur non sapendo che stava succedendo. Prima di scendere dal treno dovevo capire come relazionarmi con il direttore del Piccolo Teatro Speri-mentale della Versilia, come presentarmi a colui che mi avrebbe ospitato. Sapevo che dovevo evitare atteggiamenti confidenziali cercando però di non

creare distacco. Rimandavo la strategia di stazione in stazione, mi dicevo: “Deciderò alla stazione precedente a quella di Viareggio” . Non sapendo bene se venisse prima Pisa, Livorno o Lucca, a Grosseto decisi risoluto di attendere Firenze. Stazione dopo stazione, di Firenze nessuna notizia, ero attentissimo a scorgere dal finestrino tutti i cartelli, finché lessi –Viareggio- ed esclamai deluso: “Ma non è possibile! Da Firenze passano tutti, perché io no?”. Non avevo scelta dovevo scendere senza aver pensato. Era il periodo delle castagne che rotolano dalle montagne, delle foglie che imbruniscono, dei cimiteri aperti, del Burlamacco che riposa. Incontrai Federico: “Ciao, porto io la valigia? E’ pesante”, gli risposi: “Ciao, portiamola insieme”. Ci avviammo verso l’uscita in silenzio stando attenti a portare lo stesso peso, a fare gli stessi passi, salire gli scalini nello stesso momento, posare insieme il bagaglio nell’auto. Silenzio e Rolling Stones. La cava di marmo, il ponte di ferro, il convento delle suore, il distributore del Pepi, il cancello del Delatre. Camminammo insieme senza mai appoggiare la valigia. Ora dovevo prepararmi ad incontrare gli allievi del maestro, gli abitanti del Delatre. Pensavo al discorso di presentazione, temevo che da quelle parole iniziali sarebbe dipeso il giudizio di tutti. Federico disse: “Francè, è ora di andare”, ma io non avevo ancora le idee chiare, e poi aggiunse: “A me piace essere puntuale”. Arrivammo al Delatre ben 50 minuti prima dell’orario della lezione. Volevo continuare a pensare nel bar più vicino se-duto ad un tavolino a bere un caffé, come faccio di solito quando ho appuntamenti importanti. Il bar più vicino era un locale strettissimo con un solo tavolino accanto ad una squallida slot machine dove era seduto il Pepi che alitava alcol digerito. Rinunciai, entrai nel Delatre e dall’ora non sono più uscito. Francesco e Federico decisero che il loro rapporto doveva continuare. Sono anni che la Scuola di Corato e la Scuola di Seravezza sono gemellate. Quanta strada abbiamo fatto assieme. Oggi siamo riusciti ad avviare numerose forme di collaborazione e scambio: le rispettive amministrazioni comunali hanno riconosciuto il patrocinio alle Scuole, i nostri allievi riescono a confrontarsi tra loro tramite stage specifici, gli allievi presentano uno spettacolo dai cui ricavi riescono ad ammortizzare alcuni costi, collaboriamo nei giudizi annuali con i provini finali. In pochi anni le nostre proposte sono aumentate, migliorate…ora dovremmo pensare alla realizzazione di un unico spettacolo con gli allievi delle due Scuole. Perché si fa tutto questo? Perché il Serra e il Vezza si uniscono proprio dov’è il Delatre? Gemellaggio non significa essere uguali; Castore era mortale mentre Polluce immortale eppure erano gemelli. Nelle due Scuole c’è qualcosa di mortale e di immortale, ciò che è mortale a Corato non lo è a Seravezza e viceversa ma entrambe sono gemelle, entrambe figlie di Zeus. Le nostre Scuole sono in continuo movimento ma sembra che tutto graviti intorno ad un perno, un’unica matrice. Quale? L’estremo rispetto professio-

1�

DELATRE N° -3 CORATO-SERAVEZZA: IL GEMELLAGGIO

Page 13: Delatre - Numero 3

nale per gli allievi. Io non mi sono mai chiesto se gli allievi sono conten-ti del gemellaggio (alcuni sembrano addirittura indifferenti!!). Quando si chiede qualcosa agli allievi a volte si rischia di perdere l’entusiasmo. Sono convinto che molti allievi a Corato attendono con ansia il maestro Federico, pur ignorando che le Scuole sono gemellate e così accade quan-do io vado a Seravezza. Nonostante il nostro disperato tentativo di fare affezionare tra loro gli allievi, farli confrontare, alcuni non si salutano nemmeno. Del resto molti dimostrano interesse con la loro presenza nelle diverse iniziative, scrivono considerazioni di stima e riconoscenza, fanno mille sacrifici per non perdere l’occasione di fare importanti esperienze, applaudono e si commuovono. Verrà un giorno in cui tutti si ricorde-ranno che le due Scuole sono gemellate, allora partiranno dalla Toscana e dalla Puglia pullman di pellegrini che canteranno canzoni dei Rolling Stones e sventoleranno dai finestrini rami di ulivo; allora si faranno cerimoniali alla presenza dei Sindaci parati con la fascia della pace; allora si organizzeranno scambi enogastronomici e culinari; allora Pepi nominato assessore a Seravezza promuoverà il premio “Orecchiette alla Barese” e l’assessore di Corato il premio “Bistecca alla Fiorentina”; allora Fran-cesco e Federico forse non ci saranno più. Buon appetito.

Maestro Francesco Martinelli (direttore Scuola delle Arti della Comunicazione di Corato)www.teatrodellemolliche.it

DELATRE N° -3

1�

CORATO 16 MARZO - 22 MARZO 2007

Partire in pulmino!Insomma, questa sì che è una novità per me! Mischiarmi con gli allievi! Stare con loro.Prendersi la responsabilità di provare pur sapendo i rischi che corri. In questi ultimi 35 anni ne ho fatta di strada! E andare fino a Corato, di strada, ce ne è da percorrere. Un soggiorno, uno stage, uno spettacolo, un baciare il mio fi-

glioccio, un abbracciare e parlare con quello scatenato Ballanzone di Francesco, una vita che ti balena continuamen-te nella testa: tutto assolutamente perfetto! Anche le defezioni, le leggerezze di certi momenti hanno avuto una funzione positiva: gli allievi non sarebbero tali altrimenti.Oggi è il sole.Sono nella mia casa con sottofondo quel genio di Enzo Jannacci; quest’uomo, con la sua musica, mi ha difeso quand’ero giovanissimo, mi ha fatto cantare tra gli oliveti di una scuola dove stavo in “convitto”, in mezzo a tutti i miei dubbi, al terrore per il futuro (“che cazzo farò io nella vita? Chi sono? Perché questa esistenza? Perché si deve morire?”).

CORATO-SERAVEZZA: IL GEMELLAGGIO

Page 14: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

Enzo c’era. Enzo cantava ed io…vai alla grande! Senza sbagliare una parola! Due LP per intero sapevo alla perfezione: “Fotoricordo” e “ Perché ci vuole orecchio”. Che roba!! Alcune di quelle canzoni sono gioielli inestimabili, perle, alberi secolari, pezzi unici che, miracolosamente sono entrati nella mia vita, nel mio cuore per non uscirne mai più.A Corato, al termine dello stage ho salutato i ragazzi con una canzone del maestro “Lettera da lontano”. Simone mi aveva chiesto di metterla in onore della loro partenza anticipata in aereo (lui ed Elisabetta sono dovuti tornare per motivi di lavoro). Sicuramente avrei chiuso il seminario con “Come gli aeroplani”, ma non mi è dispiaciuto affatto accontentare la richiesta.Anche alla scuola di Seravezza ho fatto ascoltare alcune canzoni di Enzo nel periodo di Esisto Ancora: qualcuno si commuoveva, qualcuno stava con gli occhi fissi al pavimento, al soffitto, nel vuoto, tutti in ascolto. Tutti. “Ecco tutto qui”, un capolavoro; una canzone (canzone?) che negli anni ho ascoltato e ria-scoltato riascoltato; alle volte ho l’impressione netta di essere stato in studio nel momento in cui veniva incisa. Avevo 13 anni quando quella canzone e quel disco entrarono nelle mie orecchie. Il mio prof di lettere (ero in seconda media), in gita a Venezia, in treno, mentre al registratorino ascoltavo Jannacci

mi chiese, guardandomi con grande curiosità: “Federico, ma perché ascolti Jannacci?”. Non ricordo la risposta, ma ricordo che senza capire dissi: “Perché?” e lui con dolcezza e incre-dulità “Perché è strano che a questa età si ascolti Jannacci”. Infatti io non ero giovane, dentro ero vissuto come un sasso di montagna. Che vita questa vita così tremenda e spaventosa alle volte! Che bella questa vita così spensierata e profumata alle volte! Che entusiasmo nella gioia, nella rabbia, nel disgusto, nella paura! Certe volte mi prende una paura sfacciata pesan-

do che tutto ciò finirà. Certe volte non me ne frega un bel niente che finirà e sorrido, sorrido senza paura. La musica, il teatro, la scultura, la pittura, l’aria aperta, i muretti di sassi, la poesia, e…Il seminario a Corato è un altro passo in avanti verso questo viaggio che fa rima con gemellaggio di cui talvolta non ne comprendiamo l’enorme importanza. Corato è un passo in avanti per la mia pedagogia, per i rischi che mi prendo ogni volta con gli allievi e la mia inti-mità svelata poco a poco di fronte a loro.Corato è un abbraccio pieno di gratitudine nei confronti di Francesco che con il suo lavoro laggiù compie un’impresa ogni giorno.Corato 2007, un’altra rottura di routine.Corato, un abbraccio a tutti gli allievi e al loro impegno.Corato è un agglomerato di sogni. Puglia e Toscana: l’incontro.Perché ci vuole orecchio.

Federico

1�

CORATO-SERAVEZZA: IL GEMELLAGGIO

Page 15: Delatre - Numero 3

DELATRE N° -3

Direzione: Claudia Sodini Grafica e impaginazione: Claudia Sodini Collaborazione: Serena Guardone, Viola Giannelli

Disegni: Elena BuonoFotografie: Gianni Di Gaddo (le foto del seminario di Corato sono di Camilla Santini e di Cinzia Pagano).

Per Informazioni Tel 3281447868 - [email protected] - [email protected] www.piccoloteatroversilia.it

1�

La maschera

La Maschera ti rende diverso, un altro.La tua faccia non sai più riconoscerla come propria;

Ti appare deformata, ti sembra annebbiata, ti appare un pò offuscata.Con la maschera ci si trasforma in un altro personaggio, cambiamo volto, cambiamo sguardo,

cambiamo modo di esistere e di essere.

Nessuno ci può riconoscereNessuno può dirci chi siamo

Neanche l’amico più caroNeanche un lontano parente

Neanche la nostra anima che dentro la Maschera trema...e ci spegne.Andrea Del G

iudice

GLI APPUNTAMENTI DEL PTSV

I prossimi appuntamenti del PTSV...Seminari:

Il 15 e 16 Aprile SANDRO VERDECCHIA “Il suono e il sé” Alessandro Verdecchia è pedagogo e musicista che lavora a tutto campo su territorio Nazionale e nelle scuole, per adulti e per

bambini.

Il 13 e 14 Maggio VEIO TORCIGLIANI “Educazione alla Voce”Veio Torcigliani, baritono, è uno degli insegnanti stabili della scuola.

Spettacoli:

Il 13 Aprile Ore 21 a Lucca, Loc. SAN MICHELETTO verrà rappresentato “LA VITA E’ UNA PACCHIA”, spettacolo di Teatro Visuale e Teatro Danza dove il personaggio diventa immaginario collettivo... Il sogno si affaccia sulla scena e cattura personaggio e pubblico invitandoli ad

un’infatuazione onirica....

Il 29 Aprile Ore 16 presso l’Auditorium Scuola Media Ugo Guidi - Forte dei Marmi si terrà “PINOCCHIO” Lettura scenica dei primi capitoli di Pinocchio. 24 allievi, tra corso propedeutico, gruppi avanzati e Produzione, danno vita alla storia del

famoso burattino...

Il 13 Maggio Ore 21 al Teatro Comunale di VALDOTTAVO(LU) verrà replicato “LA VITA E’ UNA PACCHIA”.

Il 29 maggio alle ore 20 presso il Teatro Jenco di Viareggio si avrà una serata dedicata ai bambini e ai ragazzi con ciascun corso della scuola a proporre una rappresentazione

CD: W.A. Mozart Concerto per pianoforte e orchestra numero 23 K488

LIBRO: J.L.Borges “I congiurati”

I consigli di Federico:

Page 16: Delatre - Numero 3

DELATRE N° - 3 APRILE-MAGGIO 2007