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un concorso di idee per la riqualificazione, valorizzazione, trasformazione, del parco a ruderi di auletta e del suo territorio descrizione Auletta e Pertosa co/A - allegati

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un concorso di idee per la

riqualificazione,valorizzazione, trasformazione,

del parco a ruderi di aulettae del suo territorio

descrizione Auletta e Pertosa

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0_Auletta e Pertosa in breveAuletta sorge sulla riva sinistra del fiume Tanagro, ad un altitudine di 280 m s.l.m., si estende su una superficie di circa 35,64 Kmq, in gran parte collinare e conta una popolazione complessiva inferiore a 2.500 abitanti. Situata ai confini con la Basilicata e la Calabria, ricade nel territorio della Comunità Montana Tanagro ed e l’unico paese del Tanagro che si trova nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano.

Pertosa sorge alle pendici dei Monti Alburni, sul versante destro del fiume Tanagro, ad una altitudine di 301 metri s.l.m., si estende su una superficie territoriale di 6,2 Kmq e conta una popolazione di circa 700 abitanti. A seguito di una delibera del consiglio comunale adottata all’unanimità (giugno 2009), il Comune di Pertosa ha formalmente fatto richiesta di entrare a far parte del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano in quanto area contigua al territorio che fa capo all’ente.La Zona delle Grotte dell’Angelo a Pertosa/Auletta e il fiume Tanagro rientrano nell’area SIC (Siti di interesse Comunitario)IT8050049 (fiumi Tanagro/Sele).Pertosa ed Auletta rientrano nella Riserva Naturale Foce Sele-Tanagro, in queste località esiste una realtà carsica di notevole interesse scientifico ed estetico (Grotte dell’Angelo)e rientrano nel sistema montuoso Alburni/Cervato dove si trovano le vette più alte della Campania (il Monte Alburno 1742m/slm e Monte Cervati 1898 m/slm).

I territori dei due Comuni sono attraversati dal fiume Tanagro, tributario del Sele, ancora intatto, il corso d’acqua e le zone circostanti di detto fiume sono ZPS e SIC.Auletta e Pertosa custodiscono le proprie antiche tradizioni nelle quotidiane usanze della gente, nelle ricercate lavorazioni artigianali, nelle genuine produzioni gastronomiche, tra le quali meritano di essere menzionate: l’olio di oliva, la pasta fatta in casa, il carciofo (inserito tra i presidi Slow Food a tutela della genuinità del prodotto), fagioli, asparagi, funghi, pomodori, salumi e caciocavalli. Oggi, alla secolare vocazione agricola, si comincia ad affiancare una programmazione turistica particolarmente attenta alla conservazione ed all’offerta della giusta combinazione tra bellezze naturalistiche ed itinerari culturali.

1_territorio e turismo in breveNonostante la indiscussa bellezza del paesaggio e la felice posizione geografica, dal momento che tale territorio dista soltanto 70 km da Paestum, ricca di arte e fascino, ricordata come il più famoso centro della Magna Grecia e che rappresenta un meraviglioso viaggio tra storia, cultura e archeologia, mentre a soli 72 Km vi è Salerno, città ricca di storia, cultura e natura incastonata tra la meravigliosa costiera amalfitana e la splendida costiera cilentana, il territorio oggetto di questa indagine non riesce ad attuare flussi turistici tali da poter essere, se non in alcuni casi sporadici, interessanti sotto la ricaduta economica nel tessuto sociale. Anche il grande attrattore costituito dalla Certosa di Padula che dista dal nostro territorio soltanto 36 Km non riesce a realizzare attorno a sé stabilità economica e sviluppo di microimprenditorialità, dal momento che difficilmente il turista pernotta e consuma pasti sul territorio circostante, trattandosi di un turismo mirato che visita il sito e poi riparte ed è quasi esclusivamente stagionale.

Anche il nostro territorio con le sue spettacolari Grotte dell’Angelo può vantare un flusso turistico di un certo interesse, anch’esso però stagionale, in buona parte scolastico, e che raramente permane nei luoghi o siti circostanti. Diverse sono le iniziative intraprese dalle istituzioni che hanno cercato di dare impulso al sito: sia attraverso un’attenta riqualificazione del territorio e del tessuto sociale che attraverso la creazione di nuovi attrattori come il Museo MIdA con le due sezioni la geo-speleoarcheologica e la botanico paesaggistica, gli spettacoli allestiti all’interno

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delle grotte, attività sportivo/naturalistiche, manifestazioni sociali e musicali.

Tutto ciò ha la sua radice in due aspetti fondamentali:

1. La scarsa conoscenza del territorio e della sua potenziale offerta, da parte del bacino di utenza, dovuta alla poco lungimiranza negli anni passati delle istituzioni che hanno preferito privilegiare l’industrializzazione, sovvenzionata, di aree a prevalente vocazione agricola che con la crisi si sono trovate spiazzate e prive di risorse. Anche se negli ultimi anni le istituzioni stanno cercando di spingere e promuovere turisticamente le aree interne, ma l’operazione è lunga e non può dare risultati se non a lungo termine;

2. La manomissione e lo stravolgimento del territorio dovuto alla cementificazione non tanto in termini quantitativi ma qualitativi, frutto della mancanza di un coordinamento “estetico”. Inoltre, al di fuori degli agglomerati urbani, il territorio versa in uno stato evidente di degrado, come se gli abitanti stessi avessero poco a cuore il rispetto per l’ambiente, pur auspicando uno sviluppo turistico che potrebbe rappresentare la risoluzione dei problemi economici, ignorando, però, che il primo passo per una promozione turistica efficace è la proposta di un ambiente sano, pulito e armonico.

2_Auletta: storia, natura, culturaAuletta, incastonata tra i Monti Alburni e il versante occidentale dell’Appennino campano-lucano, lambisce il Parco del Cilento e del Vallo di Diano. Vi si arriva facilmente, percorrendo la A3 Salerno – Reggio Calabria ed uscendo a Petina o imboccando la SS Basentana all’altezza di Buccino. La sua posizione ha reso questo comune, geograficamente, il punto di congiunzione tra diverse realtà territoriali della provincia meridionale di Salerno, storicamente luogo di passaggio obbligato per addentrarsi a Sud e, culturalmente, frutto del sedimentarsi di tradizioni e vite.

Osservando la vita quotidiana di questo paese, gli anziani seduti davanti ai bar del corso principale, i bambini uscire da scuola, troppo pochi per riempire l’intero edificio, la presenza di piccoli esercizi commerciali a gestione familiare, si capisce chi sono gli aulettesi senza leggere i dati statistici. I numeri non fanno che confermare le impressioni. Oggi gli abitanti del comune sono 2.454, il minimo storico dal 1861, nonostante i redditi negli ultimi anni abbiano subito un progressivo rialzo e nonostante l’aumento contenuto di comunità immigrate, il trend della popolazione nel 2001/2010 è -1,3%. L’età media aumenta di anno in anno, nel 2010 è quarantatre anni, perché per ogni mille abitanti ne nascono 6,1 e ne muoiono 10,2, il tasso di crescita naturale fa il paro dunque con quello migratorio.Il bilancio demografico deficitario di Auletta non si discosta da quello degli altri paesi del comprensorio del Tanagro e del Cilento – Vallo di Diano, la causa principale dello spopolamento è la partenza dei giovani che per motivi di studio e lavoro si allontanano dal proprio nucleo familiare per poi ritornarvi sporadicamente, come testimoniato dalle circa centocinquanta abitazioni lasciate vuote. Da questi luoghi si è sempre partiti, fino a qualche decenni fa si aspettava alla vecchia stazione, oramai in disuso, il treno che portava al Nord, oggi è la vicina autostrada a collegare Auletta agli agglomerati urbani. Eppure, questa terra di passaggio, è stata meta di viaggiatori ed eroi. Le origini di AULETTA, secondo la leggenda, ci portano molto lontano, al viaggio di ENEA da Troia a Roma, durante il quale il nocchiero Palinuro, vittima scelta da Nettuno per assicurare a tutti gli altri un viaggio sicuro, morì non molto lontano sulle coste del Tirreno salernitano. Il suo inseparabile compagno di viaggio Auleto non volle lasciarlo solo, lo seppellì e gli rimase accanto, tenendo con sé i suoi averi e alcune piantine d’ulivo. Auleto rimase in queste terre e vagando con tutti i suoi averi si fermò sulla riva sinistra del fiume Tanagro (Negro), all’imbocco della foresta di “Lontrano” a ridosso

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della Grotta dell’Angelo, lungo la strada pedemontana che univa Poseidonia (Paestum) al Vallo di Diano, dando origine ad un agglomerato urbano che prese il suo nome.Si presume che il primo abitato fosse sorto come luogo di sosta e di ristoro per le carovane. Va ricordato che nella stessa grotta dell’Angelo, più conosciuta come grotta di Pertosa, sita nel territorio di Auletta, sono state trovate testimonianze della presenza dell’uomo, già prima della presumibile origine di Auletta. Gli studiosi moderni tuttavia non concordano sulle origini del nome ‘Auletta’. Tralasciando il mito, qualcuno vuole che il nome Auletta derivi da “AULA ELECTA” in luogo della munita ed elevata fortificazione o ancora, semplicemente, da una continuazione del latino aula, cortile, stalla; per altri l’origine sarebbe da ricercare nel vocabolo aiuoletta. Altri attestano che il nome sia di origine greca (Auletta fu fiorente colonia greca tra il VI e VII sec. a.C.), e deriverebbe dal termine ‘Auletes’ che significa ‘suonatori di flauto’, proprio per indicare l’origine pastorale del primo nucleo abitato che pare si sia stanziato nella zona vicina alla Grotta dell’Angelo.

C’è chi invece fa derivare il nome Auletta da un fitonimo: dal latino olea/oliva e quindi Auletta. Quest’ipotesi convince se si tiene presente che Orazio e Ovidio usarono il termine ‘OLIBA’ per indicare il ramo d’ulivo e, tale voce, in seguito a varie influenze di dialetto locale, si trasformò in ‘Olibola’, quindi ‘Olivola’ poi ‘Avuletta’ e infine ‘Auletta’. Il nome ‘Olibola’ compare in vari documenti: nel 1095 per la prima volta si viene a conoscenza dell’antica denominazione del paese e dell’esistenza di una chiesa dedicata a San Pietro nell’atto notarile con cui Guglielmo, Conte di Principato, dona alla Chiesa di San Pietro apostolo una terra ‘quae sita est in loco qui dicitur Olivola’; il 09 agosto 1131 con l’atto del notaio Roberto da Eboli, Nicola Conte di Principato figlio di Guglielmo Signore di Auletta, conferma le donazioni fatte dal padre. In epoca longobarda, dopo aver subito numerosi saccheggi oltre che per le numerose malattie che scoppiarono, Auletta è trasferita sulla sponda destra del fiume Tanagro.I primi abitanti, che si erano stabiliti nella località “Tempa di Donna Rosa”, si trasferirono successivamente sulla riva del fiume Tanagro. Intorno all’anno Mille, sorsero nel paese molte chiese e l’eremitaggio di San Giacomo sul monte omonimo. All’incirca nella stessa epoca, Auletta era fortificata e ad essa si poteva accedere attraverso tre porte corrispondenti ad altrettante strade: Porta del Castello, Porta del Fiume e Porta Rivellino o Piano. Era già stato costruito anche il Castello Marchesale con le sue superbe torri, parte integrante del sistema di difesa del Ducato di Salerno che nel 1535 permise di resistere alle truppe spagnole di Carlo V. Proprio attorno ad esso, in epoca longobarda, il paese, più volte distrutto e abbandonato in passato, rinacque.In epoca normanna, questa terra fu dominata da Guglielmo di Principato, appartenente alla stirpe degli Altavilla, poi dai Gesualdo, dai Vitilio e dai più nobili Di Gennaro, ultima famiglia feudataria di Auletta. Nel periodo aragonese, essa divenne “terra promiscua” del feudo di Caggiano. In epoca napoleonica, anche Auletta come tutto il Regno di Napoli, subì le conseguenze delle leggi che sopprimevano gli ordini religiosi (1807-1809): i beni di chiese e monasteri furono prima incamerati nell’erario e poi alienati per pagare i creditori dello Stato; preti e monaci scomparvero. Furono i Greci ad insediare nella vallata del Tanagro una tappa necessaria ai loro luoghi, lenti e faticosi itinerari mercantili e a darle la denominazione AULETH, quando, verso il V sec.a.C., stabilirono per via terra i collegamenti tra le colonie greche del Tirreno e quelle dello Ionio risalendo il corso del Tanagro ( i percorsi erano due: il primo Poseidonia, Mattinelle di Albanella, per sotto Altavilla, Serre, Scorzo, Galdo, Incoronata, Regina, Ponte Colonna, Battaglione, Costa del Principe, Morosella, Intagliata, Vallo di Diano. L’altro percorso escludeva la Valle del Tanagro, risaliva lungo il Calore per Roccadaspide, Acquara, Bellosguardo, San Rufo e Vallo di Diano, per poi proseguire). Auletta si trovò così all’imbocco del Lontrano sulla Tempa di Donna Rosa detta Costa del Principe, a ridosso della Grotta dell’Angelo, all’inizio della risalita

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dell’Intagliata. Qui fecero capo le genti del circondario attratte dalle mercanzie civili che vi barattavano, qui convennero per riti religiosi della grotta, qui attinsero nuove costumanze e modelli evolutivi di ordinamenti civici. In quest’epoca Auletta era sulla riva sinistra del Tanagro.In epoca romana però, con la realizzazione della strada consolare tra Capua e Reggio, che alla località Difesa portava sulla sponda destra del fiume l’antica carovaniera greca, anche il centro abitato di Auletta, per la sua particolare funzione di tappa e di ristoro, fu trasferita su quella sponda e vi dovette ricevere unitamente ad una più definita giurisdizione anche la fruizione di tutto il territorio a valle della nuova strada.

Auletta è in parte, secondo alcuni autori, sulla destra del fiume Tanagro, già dal periodo romano; altri dicono che l’attuale Auletta è stata costruita, nel punto ove si trova, fin dall’ VIII secolo; i documenti, i quali partono dall’XI secolo, ci attestano l’esistenza di Auletta sulla destra del Tanagro già in quest’epoca, ed è molto ben agglomerata con quattro chiese documentate e conosciute; altre, invece, sono solo documentate. Invece i meno accorti dicono che Auletta fu edificata, dove ora è, nel XV secolo. L’avvocato Domenico Papa in un suo scritto del 1939, addirittura dice che lo spostamento di Auletta è avvenuto nel XVII secolo. Alla fine del XIV secolo, in Auletta, fu soppressa la Parrocchia di San Giovanni, ancora oggi esistente, ed aperta al culto fino al 23 novembre 1980,dove esisteva una parrocchia vi era anche un centro abitato. I beni passarono alla Chiesa Madre di San Nicola di Mira eretta nell’XI secolo; ciò lo attestano anche i ruderi. In località Casalnuovo, documentata già nel ‘500, vi era eretta una parrocchiale dedicata a sant’Elia, documentata fin dal 1182.

Il tentativo di leggere i luoghi attraverso i segni della presenza dell’uomo, non solo attraverso i toponimi, deve fare i conti, ad Auletta come altrove, con la natura. Il centro del paese, come il territorio circostante, è adagiato su un declivio collinare che dal Monte San Giacomo degrada, a volte bruscamente, fino al corso del Tanagro; questo, fino all’immissione nel Sele, denomina una Riserva naturale protetta. La zona montuosa di Auletta è quella della catena degli Alburni, ricca di castagneti, noccioleti e querceti, a cui si aggrappano i ponti della A3. Nonostante i segni della presenza dell’uomo, la natura è rigogliosa e si esprime al massimo nei paesaggi mozzafiato: gli uliveti ed i campi, il profilo brullo dei monti e le case raggruppate del centro e sparse nelle frazioni di campagna.

L’abitato si adagia allo sperone su cui, nel tempo, si è ampliato e fortificato. Vi si accedeva da tre porte, Porta del Castello, Porta di Rivellino e Porta Fiume, i vertici degli assi viari che incrociano le piccole piazze, i palazzi gentilizi e gli abitati più umili a cui si arriva attraverso stradine, scalinate, discese che si adeguano alla morfologia dell’altura a strapiombo sul torrente Cretazzaro. I vicoli del centro storico, continuano ad ospitare gli eventi cruciali del paese così come i gesti quotidiani, nonostante la natura stessa ne abbia costretto il continuo rimodellamento.

Auletta più volte ha dovuto fare i conti con lo spostamento a est dei Titani, secondo la mitologia rifugiatisi sui Monti Alburni per scappare da Nettuno e causa dei terremoti che hanno alterato la struttura urbana e la storia del comprensorio. Se un terremoto nella prima metà del XIV secolo permette agli aulettesi scampati alla morte di impossessarsi dei terreni della vicina Pertosa, rasa al suolo, dopo quello del 1694 il comune si rende autonomo dal feudo di Caggiano. In seguito al sisma del 1857 gli antichi edifici del paese furono restaurati o soggetti a nuovi utilizzi, gli spazi riorganizzati; il caso più significativo è quello dell’attuale Palazzo dello Jesus, i tre ambienti, prima del terremoto erano luoghi di culto, poi utilizzati in maniera diversa. L’indole degli aulettesi è testimoniata da un’incisione posta sul palazzo a monito: (Aliis) cegnatis (illi) coluerunt, “contro chi distrugge ci sono quelli che ricostruiscono”.

È il sisma del 1980, con le ferite non ancora cicatrizzate, ad aver influito maggiormente

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sulla storia recente di Auletta. L’esempio dei volontari e delle associazioni arrivate in soccorso e l’oculata azione politica degli amministratori locali porta a risolvere una diatriba decennale, la partizione dello sfruttamento turistico delle Grotte dell’Angelo di Pertosa. I due comuni contendenti nel 2004 danno vita, insieme alla Regione Campania e alla Provincia di Salerno alla Fondazione MidA (Musei Integrati dell’Ambiente) volta alla valorizzazione dei beni naturalistici e museali, dell’agricoltura tradizionale e della ricezione turistica del territorio. Il sisma dell’80, le sue conseguenze ed effetti sono al centro del lavoro di studio e ricerca promosso dall’Osservatorio permanente sul dopo sisma, parte integrante della Fondazione, la cui sede è il Palazzo dello Jesus di Auletta, simbolo della ricostruzione.

Nell’atavico scontro tra distruzione e ricostruzione gli aulettesi ancora hanno la possibilità di riappacificarsi con una natura a tratti matrigna che quasi ogni cento anni spariglia le carte dell’esistenza comunitaria. Ad Auletta, uno dei tanti paesi campani colpiti dalla sciagura del terremoto del 1980, nonostante il versante antico del centro, quello che guarda verso Caggiano, sia stato quello più pesantemente danneggiato, non ci fu la perdita di vite umane. Dei circa 2700 abitanti, però, solo seicento conservarono un tetto sicuro sulla testa. L’amministrazione dell’epoca, guidata da Nicola Berghella, poté godere dell’aiuto del territorio biellese che “adottò” questo comune ed il suo comprensorio; negli anni seguenti i fondi per la ricostruzione hanno permesso l’abbandono definitivo dei containers dotati a chi aveva perso tutto. È solo da qualche anno che i terremotati aulettesi stanno riavendo le proprie case.

Ogni catastrofe esaspera la legge del più forte, solo i migliori, i più solidi ce la fanno; il discorso vale per gli uomini, così come per le cose, materiali e non. Il dopo terremoto ha riorganizzato le priorità della comunità, così come ne ha modificato le aspettative. Il caso delle abitazioni è significativo: se posso avere una casa comoda, spaziosa, facile da raggiungere, perché ritornare nella mia vecchia casa, scomoda, piccola e raggiungibile solo a piedi? Questo ragionamento, moltiplicato per ogni abitante, è la vera causa dello spopolamento del centro storico, di Auletta come degli altri comuni ricostruiti. Le conseguenze di questo pensiero sono visibili, basta addentrarsi nella zona del centro storico, la sua quarta parte, abbandonata a se stessa e alla natura, quella che si affaccia sulla rupe, quella dove i vicoli si fanno più stretti e si aprono alle abitazioni più umili.

Il Comune di Auletta, però, non vuole che questo angolo del paese perda la propria identità, anzi, ha pensato di ridarle una nuova vita, sfruttando il bene che i ruderi conservano: le pietre e la memoria. Dal 2002 sono iniziati i lavori di restauro conservativo che hanno tenuto conto dei segni che il terremoto ha lasciato; le crepe nei muri, le controsoffittature in legno, i colori sgargianti delle carte da parati non sono state toccate. Il nuovo utilizzo di questi ambienti si traduce da un lato in una serie di suite, circa 25, di un albergo diffuso inglobato nei locali, un tempo cucine, camere da letto o stalle, da reinventare. Questo è il Parco a ruderi, perpetuare, a mò di monito, quello che la tragedia ha causato provando a leggere le tracce, immobili, dei giorni, dei passi che hanno percorso quelle stradine, delle mani che lì hanno lavorato. Le vite sono state violate, dal terremoto e dall’abbandono, non occorre ricostruirle, ma saperle leggere, avere cuore e passione che sappiano tradurre in idee pietre e memoria.

3_Auletta: eventi e manifestazioniNel mese di agosto ad Auletta si svolge nel centro storico, il percorso gastronomico ”mangiamo con i contadini”, una manifestazione che vuole rievocare usanze, costumi, tradizioni e gastronomia dei contadini di una volta. La manifestazione si svolge il 13 e 14 agosto, organizzata dalla Pro Loco e dall’Associazione Terra Nostra, nella due giorni molto intensa, si possono vedere gli spettacoli del gruppo folk locale, accompagnati dai ragazzi con l’organetto, una fiera-mostra di prodotti tipici e artigianato locale, una mostra fotografica dei matrimoni dell’epoca e le

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bellezze del centro storico. Mentre nel corso delle serate si possono degustare degli ottimi piatti poveri che i contadini mangiavano solo nei giorni di festa. I punti dove possono essere degustati i prodotti, vengono identificati, secondo le varie “masserie”di produzione. Ad esempio alla “massaria r for la matina”, si può mangiare l’antipasto tipico a base di salumi, formaggi e sott’oli; alla “massaria r vasc a lu pont”, si può mangiare la pasta e fagioli e la pasta ai funghi porcini; alla “massaria r li crun”, si può mangiare dell’ottima carne di maiale arrostita o fritta con le patate e peperoni all’aceto ; alla “massaria r la r fesa” si può gustare un’ottima crostata di fragoline di bosco e ancora la pizza rustica detta “pizza chiena”, il tutto con dell’ottimo vino bianco e rosso locale.

Altro appuntamento molto importante è la festa del Santo Patrono: “San Donato da Ripacandida” che si svolge dal 15 al 18 agosto. Ma la festa religiosa è sicuramente il momento più importante, infatti il 17 agosto ricorre la festa di San Donato da Ripacandida, in suo onore, vengono celebrate della Sante Messe, e al mattino la processione parte dalla chiesa madre San Nicola di Mira, gira tutto il paese, compreso il centro storico, oltre alla statua viene portato in processione anche il braccio di San Donato. Anticamente la processione partiva la mattina e finiva verso le 14.30 del pomeriggio, tantissimi sono i fedeli che accorrono anche dai paesi limitrofi.

4_Auletta: prodotti tipiciIl Carciofo BiancoIl Carciofo Bianco, meglio definito come un “carciofo dai capolini bianchi”, è molto raro e si coltiva nella zona del basso Tanagro, nei comuni di Auletta, Pertosa, Caggiano e Salvitelle, ed è proprio grazie ai quattro comuni, alle comunità montane Vallo di Diano e Tanagro e dei produttori che si sono riuniti in consorzio, che si sta valorizzando un prodotto che per anni è stato trainante per l’agricoltura e che invece stava per scomparire.Le particolarità di questo carciofo sono numerose, su tutte vanno segnalate la resistenza alle basse temperature, la colorazione tenue ( un verdolino chiaro, quasi bianco), la dolcezza e la straordinaria delicatezza. Tutte queste caratteristiche, consentono di mangiare il carciofo bianco crudo condito con olio extravergine di oliva locale. Attualmente, non vi sono grosse coltivazioni del carciofo bianco, ma molti agricoltori ne coltivano piccoli appezzamenti ad esclusivo uso familiare, senza far uso di trattamenti particolari, di concimi o altre sostanze che potrebbero in qualche modo modificare le rare qualità organolettiche. Il carciofo bianco del Tanagro è stato inserito tra i presidi Slow Food a tutela della genuinità del prodotto.

L’olio extravergine di olivaAuletta è uno dei territori dove si produce un buon quantitativo di olio e di ottima qualità. I Greci individuarono in Auletta un territorio fertile e collinare, dove poter far nascere un sito, costituendo la colonia di AIULECTOS ( cioè Auletta), mettendo in atto la coltivazione della pianta dell’ulivo. Ma la storia ci racconta che ad Auletta erano presenti le piante di ulivo, già prima che l’uomo riuscisse a capire la ricchezza che il liquido giallo ottenuto dalla spremitura dell’oliva rappresentava. Quello che viene prodotto ad Auletta è di colore verde o giallo paglierino, odore e sapore mediamente fruttati, con un leggero sentore di amaro e piccante. I terreni sono ricchi di acque e di potassio, fosforo, ferro e calcio. Mentre la qualità più frequente è la frantoiana. Le olive vengono raccolte entro la fine di dicembre esclusivamente a mano e molite dopo massimo due giorni dalla raccolta, presso i frantoi del posto. Sicuramente l’olio rappresenta per i cittadini di questo posto una fonte di reddito, visto che vi sono tantissime piante di ulivo, un buon numero di frantoi, e nello stesso, vi sono tanti potatori che dopo la raccolta procedono alla potatura delle piante. E’ molto bello nel periodo della raccolta, vedere i contadini del posto e non solo, muoversi tutti i giorni, con i mezzi agricoli, andare negli uliveti, portare le olive al frantoio, e

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poi infine portare i contenitori con l’olio a casa, per svuotarli nelle “giarle” ormai vuote.

Il FagioloAppartiene al gruppo dei tondi bianchi, ed è coltivato in piccoli orti con l’ausilio tradizionale di canne, attualmente la coltivazione si evolve verso l’uso di reti. LA coltura è stata oggetto di un incontro tecnico organizzato dalla Fondazione MIdA nel dicembre 2010 e necessita di interventi di documentazione e valorizzazione.

Il RafanoE’ una coltura fortemente legata alla tradizione gastronomica campano-lucana, che necessita di azioni di valorizzazione e recupero delle ricette.

Il Ciliegio di AulettaE’ una coltura con aspetti ornamentali che necessita di azioni di valorizzazione e recupero delle ricette

I SalumiNella tradizione locale dei contadini, i salumi genuini e originali, ottenuti da carne di maiale allevati con prodotti della terra, venivano considerati ricchezza della tavola, e venivano consumati non come cibo quotidiano, ma in occasione di feste e ricorrenze particolari. Ancora oggi la tradizione continua, infatti i contadini di Auletta allevano i maiali, acquistandoli piccoli, nel mese di gennaio- febbraio, i maialetti vengono allevati e nutriti con prodotti della terra (ghiande, granturco, mele e rimanenze della cucina ecc.), poi nei mesi di dicembre - gennaio vengono macellati. In queste occasioni, proprio come una volta le famiglie si riuniscono, aiutandosi a vicenda.La carne viene accuratamente scelta e separata, per poi essere insaccata nelle budella del maiale, una volta che il salame viene insaccato, viene appeso nelle cantine, per farlo “curare”, dopo che tale processo è avvenuto, viene messo o sott’olio in recipienti di creta, o sotto strutto fuso. Fra le specialità locali vi è la “soppressata”, che si ottiene dal prosciutto del maiale, a cui si aggiunge del grasso tagliato a cubetti, sale e pepe nero a grani e viene insaccato nelle budella larghe del maiale, poi viene messa sotto pressa, in un luogo fresco ed asciutto, a questo punto viene conservata in recipienti di creta, sott’olio o sotto strutto.La soppressata è uno dei salami più pregiati e anche più costosi, ma genuinamente molto buona. Accanto alla soppressata, ci sono la salsiccia con polvere di peperoncino piccante o dolce, il prosciutto, il capicollo e la pancetta.

5_Auletta: il territorioDati sul ComuneLocalità e frazioni: Mattina e Ponte

Enti sovracomunali di cui fa parteParco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano Parco Regionale fluviale del Sele e dei suoi affluenti

Comunità Montana di appartenenzaComunità Montana Zona del Tanagro – Alto e Medio Sele

Superficie del territorio Ha 3.565,00

Principali montagne Monte La Marta - 1.257Costa Palomba - 1.105Costa Manca - Grotta dell’acqua - 1.012

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Serra San Giacomo - 904Vetta più alta: Monte La Marta - 1.257

FiumiFiume Tanagro - Km 5,600 (nel Comune di Auletta)Torrente Lontrano - Km. 5,200

Specchi d’acquaInvaso artificiale Valanghe - Proprietà privata

Spazi ricreativi Area attrezzata Pineta BraidaComplesso ricreativo Cannioni - PompeianoForeste San Tommaso

Paesaggio/zone protette Rilievi montuosi cartonaticiParco Nazionale del Cilento e Vallo di DianoFascia lungo il corso del Fiume Tanagro - Larghezza m. 300

Coltivazioni agricoleZona montana e pedemontana: Pascoli e seminativi a colture cerealicole e foraggere Fascia basale: oliveti e vigneti

Aree protette (Parchi - oasi - riserve) Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (circa 2 % della superficie - e retante superficie inclusa nelle aree contigue)Parco regionale fluviale del Sele e dei suoi affluenti (4 % della superficie territoriale)

Flora Orchidee selvatiche (Orchis sp. Ophyris sp. , Serapias sp., Cephalanthera sp.)Acero di Lobel (Acer lobelii)Crochi (Crocus sp.)Viole (Viola sp.)Primule (Primula sp.)Garofani selvatici (Dianthus sp.)Genziane ( Genziana lutea)Agrifoglio (Ilex aquifolium)

Specie animali rare Nibbio reale - Nibbio bruno - Sgarza ciuffetto - Garzetta - Airone bianco maggiore - Falco pellegrino - Gru - Martin pescatore - Airone rosso - Albanella reale - Pavoncella - Beccaccia - Beccaccino - Tordo - Merlo – Colombaccio - Lupo - volpe - faina - tasso - riccio - lepreNatrice tessellata - Cervone – Biacco - Rana agile - Tritone crestato italiano - salamandra

Siti naturali di particolare interesseFiume Tanagro tra Pertosa e ContursiGrotta dell’Angelo Grotta dell’Acqua Grotta della Signora

Avvenimenti storici particolariNel 1535 l’imperatore Carlo V, tornando dalla Tunisia e messosi in viaggio per raggiungere Napoli, dopo essere stato ospite dei monaci nella Certosa di San Lorenzo, giunse ad Auletta. Quindi si fermò nel castello degli Scandenberg ,ed è

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proprio qui che morì un suo ufficiale che fu sepolto nella chiesa madre.Il 17 agosto 1810 dal matrimonio di Raimondo Vitilio Di Gennaro e Maria Rosa Revereta nacque Emanuela Beatrice che andò in sposa al nobile Antonio Castriota Scanderbeg, erede di Giorgio Castriota Scabderbeg, successivamente divennero signori di Auletta. Nel 1860 fu la volta del Generale Giuseppe Garibaldi, che partito da Sala Consilina alle 14.30 del 5 settembre, arrivò in serata ad Auletta, fu ospite di Palazzo Mari dove dormì la notte tra il 5 e il 6. Da qui emise l’ordinanza che nominava comandante generale dell’esercito e della flotta il lombardo Giuseppe Sirtori, e governatore della Basilicata il patriota Giacinto Albini. Venne accolto dal popolo in modo gioioso, e proprio da Auletta scrisse a diverse personalità invitandole ad unirsi e dar vita al Comitato Unitario Nazionale.

Prodotti tipici (DOP, IGP, DOC, DOCG, prodotti tipici albo regionale) DOP Olio extravergine di oliva delle Colline Salernitane Caciocavallo silanoCarciofo bianco

Prodotti artigianaliLavorazione della pietra localeLavorazione del legnoLavorazione del ferroRicamo

Costume, folklore Pro Loco Mattina di AulettaAuletta Terra Nostra

Leggende e raccontiLa storia romanzata è all’ingresso del Paese, nel rudere che una volta era la Taverna Scanderbeg, dogana delle Calabrie, passando per Potenza, dove si fermarono gli eredi italiani dell’eroe nazionale albanese.Ed è sempre questo borgo a rendere - nel 1703 - romantica e tragica la storia della diciottenne Anna Maria Vitilio, figlia del feudatario del tempo, la bella Anna Maria si innamorò di Lorenzo De Maffutis, giovane armigero del padre, Anna Maria rimase incinta, ma suo padre, per soffocare lo scandalo, fece prima uccidere l’intrepido armigero e poi fece avvelenare con uno stratagemma sia la figlia che l’uomo cui era stata promessa in sposa e che, saputo della gravidanza, l’aveva ripudiata.Ma le storie di passioni coinvolsero anche un altro feudatario di Auletta, il grande musicista Carlo Gesualdo che, nell’odierno palazzo Sansevero di Napoli, nel 1590 soffocò nel sangue le intemperanze della moglie e cugina , Maria D’Avalos, per l’amore che la legava apertamente al già coniugato Fabrizio Carafa dei Ruvo D’Angri.

Chiese San Nicola di Mira San Giovanni, detta di Santa Maria delle GrazieCappella di San Giacomo (in comune con Caggiano)

Abbazie, conventi, monasteri Convento dei Padri Riformatori (1600) con chiostro centrale

Roccaforti Casino dei MonaciCastelli Castello Marchesale - XII secolo

Edifici storici Eremitaggio dello Jesus

Collegamenti con le grandi arterie

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Autostrada Salerno - Reggio Calabria - Svincolo di Polla o Svincolo di PetinaRaccordo Autostradale Sicignano degli Alburni - Potenza - Svincolo di Buccino

Il centro storicoNel centro storico si entra dalla Porta Fiume e dopo pochi metri ci si trova in Piazza del Sedile (oggi chiamata Piazza Raffaele Giallorenzo, in onore di un partigiano morto durante la guerra) che era un punto di incontro, di discussione e sede di molte delle attività commerciali.Da Piazza del Sedile si snodano tre strade: Vico Soldoverio, Via Luca Beatrice e Via Casella - Cupone che, attraverso tanti vicoletti ricongiunti fra loro, ci portano alle altre Porte d’accesso al Centro Storico. Via Cupone porta ad una Fontana Storica per i nostri nonni: Fundana Nova (Fontana Nuova). Vico Soldoverio, da un punto di vista storico, è il più importante perché c’è l’ingresso di casa Mari dove fu ospitato Giuseppe Garibaldi durante il suo viaggio verso Napoli.Fu sede, anche se per una notte, delle forze insurrezionali contro i Borboni ed infine ospitò anche San Gerardo Maiella, il quale guarì una fanciulla malata.Via Luca Beatrice, è la via più lunga e dopo aver oltrepassato la Piazzetta Santi Quaranta, arriva fino alla Porta Castello dove si ricongiunge ad una salita con omonimo nome. Lungo le strade troviamo ancora oggi numerosi portali d’interesse storico appartenenti a famiglie che all’epoca andavano per la maggiore come i Fallace, Gambino e Muccioli.Dalla Porta del Castello ha inizio una salita e dopo qualche metro, giungiamo in Piazza Campitello che ospita la caratteristica Chiesa di San Giovanni, conosciuta come Santa Maria delle Grazie e il palazzo Carusi.Dalla Piazza ha poi inizio Via Castello (ora chiamata via Gerardo D’Amato), dove troviamo la torre campanaria e quel che resta della vecchia Chiesa Chiesa Madre, numerosi portali di interesse storico, tra cui quelli di casa Caggiano, Langone, Opromolla e D’Amato. Via Gerardo D’Amato, con un percorso parallelo a Via L. Beatrice e Via Cupone termina in Porta Rivellino.

Area SIC “Fiume Tanagro e Sele” Ogni area comunitaria protetta (SIC e ZPS) è caratterizzata da uno o più habitat vissuti da numerose specie animali e vegetali di notevole valenza dal punto di vista della conservazione della biodiversità. Per ogni habitat, riferito ad ogni sito “Natura 2000” ricadente nel territorio della Comunità Montana Vallo di Diano, è riportato un giudizio di valutazione globale basato sulla analisi di tre informazioni ecologiche (indicatori: Rappresentatività, Superficie Relativa e Grado di Conservazione) considerate nei formulari standard dei siti Natura 2000 pubblicati dal Ministero dell’Ambiente aggiornati all’anno 2005 con riferimento alla Direttiva Habitat 92/43/CEE.La Rappresentatività è la frequenza degli habitat presenti nel sito suddivisa in quattro categorie di rappresentatività; il grado di rappresentatività rileva “quanto tipico” sia un tipo di habitat; con (A) si intende una rappresentatività eccellente, con (B) una buona rappresentatività, con (C) una rappresentatività significativa e infine con (D) si indicano i casi nei quali la tipologia di habitat è presente sul sito in misura non significativa. Qualora la rappresentatività dell’habitat sul sito sia classificata come “D = non significativa“, non sono necessarie altre valutazioni come “superficie relativa, grado di conservazione e valutazione globale.La Superficie relativa (p) mostra la superficie del sito coperta dal tipo di habitat naturale rispetto alla superficie totale coperta dallo stesso tipo di habitat naturale sul territorio nazionale (A: 100 = p > 15%, B: 15 = p > 2%, C: 2 = p > 0%).Per Grado di conservazione di un habitat naturale si intende la stima della conservazione della struttura e delle funzioni del tipo di habitat naturale in questione e possibilità di ripristino (A: conservazione eccellente, B: buona conservazione, C: conservazione media o ridotta). Questo indicatore è considerato «soddisfacente» quando la sua area di ripartizione naturale e le superfici che comprende sono stabili o in estensione, la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile

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e lo stato di conservazione delle specie tipiche è soddisfacente ai sensi della lettera i della Direttiva 92/43/CEE .La Valutazione globale del sito per la conservazione del tipo di habitat naturale è distinta in valore eccellente (A), valore buono (B), valore significativo (C).Gli habitat che interessano il paesaggio naturale e biologico di Pertosa sono 4 a forte valenza scientifico-naturalistica e con un’intrinseca vocazione all’uso ecocompatibile. In particolare ci sono habitat fluviali (fiume Tanagro), erbosi, rocciosi e di natura carsica.

L’habitat - Fiumi mediterranei a flusso permanente con Glaucium flavum Si rinviene in tratti di corsi d’acqua corrente a dinamica naturale o seminaturale (letti minori, medi e maggiori) in cui la qualità dell’acqua non presenta alterazioni significative. Tale habitat è rappresentato da comunità vegetali presenti sui depositi alluvionali incoerenti dei fiumi a regime mediterraneo (piene autunno-invernali) con notevole presenza di Glaucium flavum. Questa specie, soprattutto nitrofila vegeta in terreni leggeri, ricchi di sostanze organiche in ambiente arido, inoltre si rinviene in terreni sabbiosi, litorali ciottolosi, dune, greti, macerie e margini stradali fino a 400 m di quota. I giudizi relativi alle tre informazioni ecologiche sono:

Rappresentatività: BSuperficie relativa: CGrado conservazione: BValutazione globale: B(elaborazione su dati Ministero dell’ Ambiente, 2005)

Fiumi con argini melmosi con vegetazione del Chenopodion rubri p.p e Bidention p.p.L’habitat -Fiumi con argini melmosi, nel Vallo di Diano, è presente unicamente nel SIC “Fiume Tanagro e Sele”. Esso si rinviene in tratti di corsi d’acqua corrente a dinamica naturale o seminaturale (letti minori, medi e maggiori) in cui la qualità dell’acqua non presenta alterazioni significative.Tale habitat comprende gli argini e le sponde melmose e fangose di un corso d’acqua, con vegetazione pioniera nitrofila in prevalenza annuale; in primavera ed inizio estate questi ambienti appaiono privi di qualsiasi vegetazione. In particolare sono delle coltri vegetali costituite da specie erbacee annuali a rapido accrescimento che si insediano sui suoli alluviali, periodicamente inondati e ricchi di nitrati situati ai lati dei corsi d’acqua, grandi fiumi e rivi minori. Il substrato è costituito da sabbie, limi o argille anche frammisti a uno scheletro ghiaioso. Lo sviluppo della vegetazione è legato alle fasi in cui il substrato dispone di una sufficiente disponibilità idrica, legata soprattutto al livello delle acque del fiume e in subordine alle precipitazioni, che quindi non deve venir meno fino al completamento del breve ciclo riproduttivo delle specie presenti.Si tratta di vegetazione legata ai substrati depositati dal fiume e la cui esistenza richiede la permanenza del controllo attivo esercitato dalla morfogenesi fluviale collegata alle morbide e alle piene; la forte instabilità dell’ambiente è affrontata dalla vegetazione approfittando del momento (o dei momenti stagionali) più favorevoli e comunque producendo una grande quantità di semi che assicurano la conservazione del suo polline specifico. Le specie presenti sono generalmente entità marcatamente nitrofile che ben si avvantaggiano dell’elevato tenore di nutrienti delle acque di scorrimento superficiale. Le formazioni vegetali secondarie dominate dalle stesse specie, ma slegate dal contesto fluviale e formatesi in seguito a forme di degradazione atropogena non appartengono a questo habitat.Tra le specie vegetali caratteristiche si individuano:Polygonum lapathifolium, P. hydropiper, P. mite, P. minus, P. persicaria, Bidens tripartita, B. frondosa, Xanthium italicum, Echinochloa crus-galli, Alopecurus aequalis, Lepidium virginicum.Tra le specie presenti molte non sono autoctone (Bidens sp. pl., Xanthium italicum, Echinochloa crus-galli, Lepidium virginicum) e il forte carattere esotico della flora presente costituisce un elemento caratteristico di questo habitat.

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Inoltre è una tipica comunità pioniera che si ripresenta costantemente nei momenti adatti del ciclo stagionale, favorita dalla grande produzione di semi. Il permanere del controllo da parte dell’azione del fiume ne blocca lo sviluppo verso la costituzione delle vegetazioni di greto dominate dalle specie erbacee biennali o perenni. Nell’ambito di questa vegetazione possono avvenire fenomeni di germinazione massiva dei semi di Salix alba o S. triandra cui può conseguire lo sviluppo delle relative formazioni legnose arboree o arbustive ripariali della classe Salicetea purpureae (Moor, 1958).Trattandosi di cenosi erbacee annuali che si sviluppano sui greti di sedimenti fini regolarmente rimaneggiati dal corso d’acqua è necessario garantire la permanenza del regime idrologico e dell’azione morfogenetica del fiume cui consegue il mantenimento di estensioni di greto attivo in fregio all’alveo. La conservazione di questa vegetazione in frammenti mono o paucispecifici può avvenire anche su superfici ridotte a zolle o a strette fasce di vegetazione, ma la sua espressione tipica richiede l’esistenza di superfici più ampie.I giudizi relativi alle tre informazioni ecologiche sono:

Rappresentatività: CSuperficie relativa: CGrado conservazione: CValutazione globale: C(elaborazione su dati Ministero dell’ Ambiente, 2005)

Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachipodietea Questo habitat “Percorsi substeppici di graminacee e piante annue” normalmente è dominato da vegetazione erbacea annuale tipica di ambiente caldo-arido. Il nome deriva da Thermos = annuale e da Brachipodium = genere caratteristico di graminacee.Vi appartengono praterie basse meso e xero-mediterranee, in gran parte aperte e ricche di terofite. Si sviluppano su suoli privi di nutrienti ed alcalini, spesso su substrato calcareo.In genere i pascoli presentano una netta impronta xerica, principalmente dominati da terofite (piante annuali) come il falasco (Brachypodium rupestre) ed altre graminacee, ricchi di elementi mediterranei. Si tratta spesso di cenosi derivate dall’abbandono di aree coltivate e condizionate da aridità estiva. Considerato da molti studiosi come l’ultimo stadio di degrado della vegetazione spontanea mediterranea, è il risultato dell’azione del disboscamento, del dilavamento meteorico, della forte siccità estiva e del pascolamento. Nonostante la sua aridità, risulta un habitat molto ricco per l’avifauna, richiamata soprattutto in primavera dalla notevole abbondanza di insetti. Essendo un ambiente creato prevalentemente dall’ azione dell’ uomo, le mutate attività economiche mettono in pericolo la sua sopravvivenza in quanto le piante arbustive della macchia mediterranea ricolonizzano il territorio.I giudizi relativi alle tre informazioni ecologiche sono:

Rappresentatività: BSuperficie relativa: CGrado conservazione: BValutazione globale:B(elaborazione su dati Ministero dell’ Ambiente, 2005)

Foreste a galleria di Salix alba e Populus albaQuesto habitat è presente unicamente nel sito SIC che si estende lungo il corso del fiume Tanagro e del Sele. L’habitat è rappresentato da foreste ripariali tipiche del bacino mediterraneo dominate da Salix spp. Vi appartengono le foreste a galleria pluristratificate con Populus spp., Ulmus spp., Alnus spp., Tamarix spp. In genere in questo tipo di habitat i pioppi sono dominanti negli strati superiori ma possono essere scarsi o assenti negli strati inferiori dove prevalgono gli altri generi citati.È una formazione forestale improntata dalla presenza di salici, in particolare

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salice bianco, e pioppi, soprattutto pioppo bianco; alle due specie si possono accompagnare in misura diversa come abbondanza: pioppo nero, pioppo grigio, ontano nero e olmo. Lo strato arbustivo è variamente sviluppato e diversificato; lo strato erbaceo è sovente rigoglioso e ricco di erbe palustri, spesso nitrofile. Forma cordoni forestali lungo le rive dei corsi d’acqua, in particolare lungo i rami secondari attivi durante le piene, predilige i substrati sabbiosi mantenuti umidi da una falda freatica superficiale. I suoli sono giovanili, perché bloccati nella loro evoluzione dalle correnti di piena che asportano la parte superficiale. La collocazione fitogeografica del tipo è prevalentemente mediterranea, con penetrazioni anche nel sopramediterraneo; in questo caso, pur mantenendosi la fisionomia “a galleria”, la composizione floristica, soprattutto del sottobosco, perde di tipicità e spesso si caratterizza per la presenza di specie nitrofile banali o, più frequentemente, di specie esotiche.Tra le specie vegetali caratteristiche di tale habitat si indicano:Salix alba, Salix cinerea, Populus alba, Populus nigra, Ulmus minor, Alnus glutinosa, Rubus caesius, Frangula alnus, Humulus lupulus, Leucojum aestivum, Viburnum opulus, Bryonia dioica, Carex elata, Urtica dioica, Iris pseudacorus, Phalaris arundinacea, Cornus sanguinea, Rubus ulmifolius, Carex pendula, Lysimachia vulgaris, Solanum dulcamara, Equisetum palustre, Phragmites australis.La foresta si insedia direttamente sui substrati degli alvei fluviali investiti con minor forza dalla corrente di piena ordinaria. Infatti, la colonizzazione avviene contemporaneamente da parte delle specie legnose, soprattutto salici e pioppi e da parte delle specie di sottobosco.Solo nel caso di una graduale attenuazione nel tempo dell’azione della corrente fluviale, la foresta si insedia su precedenti stadi erbacei di alte erbe.La foresta matura difficilmente si mantiene a lungo nel tempo, essendo destinata a: essere demolita nel corso di piene eccezionali, se ancora soggetta all’azione della corrente fluviale, evolvere verso formazioni riferibili ai querco-ulmeti, se svincolata dall’azione fluviale.Dati i caratteri dinamici propri della foresta, una gestione di mantenimento risulta difficoltosa e comunque porterebbe ad una situazione altamente artificiale, lontana dal modello naturale.La soluzione migliore sarebbe quella di riservare, per congrui tratti di fiume, spazi sufficienti perché la formazione sia capace di rinnovarsi naturalmente, riproponendosi con espressioni nuove e lasciando alla loro naturale evoluzione le foreste censite. Tutti gli interventi di carattere idraulico nell’alveo o sulle rive del fiume che alterano gli equilibri idrici, modificando l’assetto della corrente, possono avere ripercussioni importanti sulla foresta. Nel limite del possibile dovrebbero essere controllate le specie esotiche più invadenti.I giudizi relativi alle tre informazioni ecologiche riferite al SIC sono:

Rappresentatività: B Superficie relativa: CGrado conservazione: BValutazione globale: B(elaborazione su dati Ministero dell’ Ambiente, 2005)

Riserva naturale Foce Sele Tanagro La Riserva regionale è stata istituita con provvedimento istitutivo: L.R. 33, 01.09.93 - D.P.G.R. 5565/95 - D.P.G.R. 8141/95 - D.G.R. 64, 12.02.99 presentando una superficie totale pari a circa 7.000 ettari.La Riserva si estende lungo le fasce fluviali dei tratti del fiume Sele e del fiume Tanagro. Il tratto del Sele è quello compreso tra la zona di foce del Sele fino all’Oasi di Persano, l’altro invece è quello che comincia dalla confluenza Sele-Tanagro fino al fiume Calore lucano nel comune di Casalbuono.La Riserva presenta in qualche zona una sovrapposizione spaziale con il SIC Fiume Sele-Tanagro ed il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Essa è caratterizzata da un substrato di tipo alluvionale l.s. con depositi ghiaiosi e sabbiosi e talvolta argilloso-limosi testimonianti gli ambienti lacustri e palustri presenti prima

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della bonifica.Nella zona di Pertosa-Polla presso le gole di Campostrino la Riserva è dominata da un paesaggio accidentato impostato su un substrato di natura carbonatica, invece a sud nel comune di Casalbuono sono presenti litologie appartenenti a flysch di natura terrigena.L’area considerata presenta dei tratti del suo corso totalmente regimentati in maniera parziale da interventi di ingegneria naturalistica e tratti che conservano per fortuna caratteri di naturalità con vegetazione spontanea, aree golenali, andamenti meandriformi ed intrecciati ecc.La fauna ittica è molto diversificata (circa 20 specie) e rappresentata dalla trota, anguilla, carpa, cavedano, cardola, tinche, gambusie ecc.Vi è un’avifauna migratoria molto diversificata: l’airone cenerino molto presente, l’airone bianco maggiore, cormorano, cavaliere d’Italia, gru e beccaccini. Tra quelli stanziali si evidenziano la gallinella d’acqua, il tuffetto e le gazze.La zona di Riserva presenta diverse criticità: prelievi abusivi di inerti, scarichi abusivi di rifiuti solidi, lubrificanti e rifiuti/scarichi industriali, presenza di fauna non autoctona invasiva e cementificazione selvaggia che distrugge la capacità autodepurativa del fiume ecc.

6_Pertosa: storia, natura, culturaPertosa si estende su una superficie territoriale di 6,2 Kmq, ad una altitudine di 301 metri s.l.m, sorge alle pendici dei Monti Alburni sul versante destro del fiume Tanagro.

Sull’origine di Pertosa non si posseggono notizie certe, l’unico dato reale è che l’attuale centro urbano non corrisponde a quello originario.Gli storici contemporanei, che si sono occupati delle prime vicende del luogo, fanno tutti riferimento ad una monografia di autore ignoto che fornisce notizie relative ad uno stanziamento urbano poco distante dall’attuale centro cittadino.“Pertosa Vecchia”, nome dell’originario sito tramandato dalla tradizione orale, si fa coincidere con un luogo a circa un chilometro dalla cittadina odierna, verso est, tra la destra del Tanagro e la vecchia strada delle Calabrie. Nei pressi di tale sito, tra il XVIII e il XIX secolo, sono stati trovati ruderi di antiche abitazioni, di templi, vasi di ceramica di pregevole fattura, monete di bronzo e d’argento consolari e imperiali. Successivamente, in seguito a scavi occasionali, sono stati rinvenuti anche frammenti di marmo con iscrizioni greco-latine, nonché una testa di marmo finissimo ornata di corone di foglie di pampini e di alloro raffigurante secondo alcuni Apollo.Tali reperti lasciano intuire che la vecchia Pertosa (che si congettura chiamarsi Consinum, dal nome di una strada Consina del territorio di Pertosa citata in documenti del X e XI secolo) già esistesse negli ultimi tempi della Repubblica o nei primi dell’Impero. La stessa fonte ipotizza che l’antica Pertosa sia stata distrutta intorno all’842 dalle orde saracene richiamate dai principi di Benevento e di Salerno (Radelchi e Siconolfo) in lotta tra loro. I superstiti ripararono nei luoghi detti Casaleni corrispondenti all’attuale Pertosa.

I disordini creati dalle invasioni barbariche e le lotte per il potere diffondono dappertutto indigenza, lutti e miseria morale. Per il superamento di tanto degrado un grande merito va riconosciuto agli ordini religiosi, che con la loro preziosa presenza concorrono al riscatto spirituale e sociale di numerose realtà.Relativamente a Pertosa, un ruolo fondamentale in tal senso va ascritto ai benedettini di Cava. Infatti, dal monastero di S.S. Trinità, da poco fondato da S. Alferio, numerosi monaci, verso la metà dell’XI secolo, si distaccano per raggiungere le più remote contrade del Principato salernitano allo scopo di istruire e somministrare gli aiuti spirituali a coloro che ne abbisognano. All’epoca alcuni monaci benedettini si stabiliscono anche a Pertosa, dove costruiscono un convento con annessa chiesa dedicata a S. Maria.Siamo negli ultimi anni del Mille e il timore della fine del mondo porta principi, duchi

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e gastaldi a fare donazioni a chiese e monasteri per la salvezza delle loro anime, di tali benefici gode in grande misura anche la chiesa pertosana.Le donazioni continuano anche dopo il Mille, come risulta da numerosi diplomi conservati presso l’Archivio dell’abbazia cavense. Il patrimonio del monastero raggiunge una consistenza ragguardevole, al punto che la quasi totalità dei beni immobiliari del territorio di Pertosa appartiene alla chiesa di S. Maria e quindi ai benedettini locali.Pertosa, dunque, può considerarsi un unico feudo dei benedettini la cui titolarità viene riconosciuta al monastero della SS. Trinità di Cava in seguito ad una bolla del papa Urbano II del 1092, un riconoscimento che trova conferma in una successiva bolla di papa Eugenio II del 1149.Pertanto, sin dagli inizi del Mille, Pertosa è feudo dell’abbazia cavense, che l’amministra tramite un Priore col titolo di Vicario in rappresentanza della Casa madre.Tale assetto politico-amministrativo assicura al piccolo centro protezioni altolocate nonché agevolazioni, franchigie e benefici, come quelli concessi da Federico II e da Carlo d’Angiò.

Successivamente un terremoto e una epidemia di peste portano ancora una volta distruzione e lutti nel piccolo centro degli alburni. L’evento calamitoso è da collocarsi intorno al 1328, anno in cui il monastero cavense, tramite il suo Abate, cede in enfiteusi ad alcuni abitanti di Caggiano e Auletta una parte dei terreni che possiede a Pertosa. Verosimilmente il sisma e la pestilenza non hanno lasciato superstiti tra gli abitanti del luogo pertanto i benedettini locali ritornarono a Cava nella Casa madre, dopo aver ceduto parte del territorio della chiesa.Il silenzio delle fonti su Pertosa per oltre due secoli lascia presupporre l’assenza di qualsiasi forma di vita nel piccolo centro, se si escludono rogiti notarili relativi ai terreni fondiari del luogo in cui intervengono cittadini di Auletta e Caggiano. A partire dalla metà del sec. XVI alcuni contadini di Caggiano, probabilmente gli enfiteuti dei terreni del monastero della SS. Trinità, fissano la loro dimora a Pertosa dando vita così ad un primo nucleo abitato.

Nel 1570 anche i benedettini ritornano a Pertosa, dove hanno conservato la parte migliore del feudo (località Arnaci) e altri terreni sparsi. Il loro primo intervento concerne la ricostruzione del monastero, in seguito viene anche invitato da Cava un Vicario per riprendere il potere spirituale e civile del paese a nome della Chiesa Madre.Il ritorno dei benedettini a Pertosa provoca la rottura degli equilibri consolidatisi durante la loro lunga assenza, a contrastare la loro autorità interviene il Vescovo di Campagna – Satriano su invito del clero di Caggiano titolare delle decime sulle rese dei terreni agrari e delle ricche prebende su alcuni edifici ecclesiastici.Nasce così un’aspra contesa tra le due parti, che si risolve solo nel 1583 con l’intervento del Nunzio Apostolico competente. In seguito al processo per dirimere la contesa, che si svolge in Napoli presso il Tribunale della Nunziatura, la “giurisdizione spirituale” di Pertosa viene assegnata all’abbazia cavense.Chiusa la vertenza con il clero locale, relativa alla supremazia sulla giurisdizione spirituale, se ne apre un’altra sulla giurisdizione civile. Questa volta la controparte dei benedettini di Cava è rappresentata dal Principe di Venosa-Gesualdo, signore di Caggiano, Salvitelle e Sant’Angelo.Il Principe, partendo dal presupposto che gli abitanti di Pertosa corrispondono all’Università di Caggiano tasse e balzelli vari, considera il paese una sua appendice e gli abitanti suoi vassalli. L’Abate di Cava, a tutela dei diritti del monastero, ricorre alla Regia Camera e nel 1636, ancora pendente il giudizio, si estingue la famiglia Gesualda e pertanto i feudi di famiglia vengono incamerati dal Fisco Regio.Con l’avvento della Repubblica Napoletana si creano le premesse per l’indipendenza amministrativa di Pertosa. Anche qui, agli inizi del 1799, si innalza l’Albero della libertà e si eleggono il Municipe e il Consiglio dei sei, ma, come altrove, quell’esperienza è destinata a fallire.Agli inizi dell’Ottocento Pertosa è una realtà urbana ormai consolidata, che aspira

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ad una proprio autonomia amministrativa.

Nel 1829 una commissione di cittadini di Pertosa, capeggiata dal medico Angelo Morrone, si reca a Caggiano per rivendicarne la separazione. L’emancipazione viene accordata con Reale decreto il 20 marzo 1829 e a partire dal 1° gennaio 1830 Pertosa opera con una separata amministrazione autonoma.

7_Pertosa: eventi e manifestazioniNegro festival di musica e cultura etnica la rassegna, giunta alla XVI edizione, si svolge durante la terza settimana di agosto.

Un muro diventa cultura mostra permanente allestita presso la P.zza “G. De Marco”

Festa di San Benedettocelebrazione religiosa del 21 marzo, la solenne processione del santo protettore si svolge lungo le vie del centro storico.

Festa patronale di San Vittoriocelebrazione religiosa del 14 maggio e la solenne processione del santo si svolge lungo le vie del centro storico.

Sagra del carciofo bianco14/15 maggio con stand gastronomico e degustazione di piatti tipici.

8_Pertosa: produzioni tipiche, risorse turistiche, culturali e ambientali8_1_produzioni tipiche

Pertosa custodisce le proprie antiche tradizioni nelle quotidiane usanze della gente, nelle ricercate lavorazioni artigianali, nelle genuine produzioni gastronomiche. I prodotti tipici: olio di oliva, pasta fatta in casa, carciofi, fagioli, asparagi, funghi, pomodori, salumi e caciocavalli.

Produzione tipica olioOlio extravergine di oliva “Colline Salernitane” D.O.P.

Produzione tipica vino7 Vini “Castel San Lorenzo” D.O.C.

Produzione tipica caseariCaciocavallo Silano D.O.P.

Produzione tipica salumiLaboratori artigianaliLavorazione del ferroLavorazione del legnoLavorazione oggetti in vimini

8_2_siti architettonici

Chiesa Santa Maria delle Grazie: complesso architettonico risalente al XVII° secolo, conserva l’ affresco della Madonna delle Grazie di autore ignoto del 1400, a cui

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è sovrapposto un polittico datato 1625. Nell’abside della parrocchia, è possibile ammirare il grande quadro dell’Immacolata di Bernardo Lama del 1600.

Centro storicoBorgo rurale medievale che si irradia da Piazza San Benedetto in cui domina la fontana ornata da stalattiti e stalagmiti.

8_3_siti archeologici

Grotta dell’Angeloarea di ritrovamento di reperti del periodo Neolitico (vasi di ceramica, manufatti in pietra, oggetti di osso e di metallo e resti di palafitte).

8_4_musei

Musei integrati dell’ambiente - MIdAprogetto multifunzionale in progress, predisposto per ospitare mostre ed iniziative culturali, presente una sezione di divulgazione geologica e una botanico/paesaggistica ed un osservatorio sul doposisma. MIdA funge anche da auditorium ed il suo programma scientifico è prevalentemente orientato alla didattica.

8_5_risorse ambientali e turismo

Oggi, alla secolare vocazione agricola, si comincia ad affiancare una programmazione turistica particolarmente attenta alla conservazione ed all’offerta della giusta combinazione tra bellezze naturalistiche ed itinerari culturali.

Monti Alburni Massiccio carsico (1.742 m) di origine sedimentaria composto da rocce calcaree che si stagliano imponenti sullo sfondo della piana del Sele. Il versante settentrionale appare dirupato e di non facile accesso, mentre quello meridionale, più agevole, presenta grotte, sorgenti ed altipiani che riprendono le allungate fratture interne del rilievo.

Fiume Tanagro Principale affluente del Sele, nasce in territorio lucano dal monte Sirino e scorre impetuoso, incassato tra pareti di roccia attraverso il Vallo di Diano. Al tempo dei romani fu chiamato Tanager (fiume negro), probabilmente per la natura ferrosa dei minerali che contiene.

Il Cammino dell’AlleanzaItinerario di trekking che attraversa lo splendido scenario del Vallo di Diano e dei Monti Alburni.Inizio percorso: Grotte dell’Angelo di Pertosa.Fine percorso: Petina.Lunghezza: 23,8 kmPercorrenza: a piedi 3 km/ora, in mountain bike 10 km/ora

Complesso speleologico delle Grotte dell’Angelo L’origine delle Grotte di Pertosa (la cui denominazione ufficiale è “Grotte dell’Angelo a Pertosa”), è fatta risalire a ben 35 milioni di anni fa, sono le più importanti dell’Italia del sud, le uniche ad essere attraversate da un fiume sotterraneo, il Tanagro o Negro, il cui corso è stato deviato a scopo di utilizzo energetico. Così facendo l’entrata delle Grotte si è allagata, tanto da permettere l’accesso all’interno.Incuneate per circa 3000 metri sotto gli Alburni le Grotte, si snodano in una suggestiva serie di cunicoli ed antri, fino a terminare in tante “Sale” naturali, tutte con una caratteristica diversa. I radicali cambiamenti climatici e territoriali che hanno caratterizzato la vita del nostro Pianeta, hanno lasciato il loro segno in questi luoghi

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che sono pertanto divenuti anche un’importante testimonianza delle diverse Ere geologiche. Grazie alla loro particolare conformazione, le Grotte non sono state scalfite nemmeno dall’ultimo terremoto che ha notevolmente interessato l’area circostante. Questo fa si che all’interno di questi cunicoli si possa essere decisamente più al sicuro che fuori, oggi come ieri, come già sicuramente sapevano i nostri antenati dell’età del Bronzo, e forse anche della Pietra, che proprio qui scelsero di costruire le loro palafitte, le uniche, di cui si ha testimonianza, costruite all’interno di un sito come questo delle Grotte dell’Angelo a Pertosa. Il particolare clima ed il tasso di umidità hanno fatto si che resti lignei di quelle antiche costruzioni, giungessero quasi intatti sino a noi, a testimonianza storica dell’avvenuto insediamento e di una lunga permanenza. Anche gli antichi Greci e poi i Romani, scelsero queste caverne naturali per i loro rituali e le cerimonie sacre, tanto che il primo ad accennare a questi luoghi fu Plinio il Vecchio. Rifugio dei Cristiani, che qui pregavano Cristo al sicuro da ogni pericolo, le Grotte continuarono a dare riparo all’uomo fino alla prima metà dello scorso secolo, quando gli abitanti del Vallo le usavano come rifugio sicuro antiaereo. Purtroppo la permanenza dell’uomo ha anche interferito con la costruzione calcarea di stalattiti e stalagmiti, andando a toccare la superficie delle opere calcaree naturali e lasciando così una patina che non ha più permesso alle gocce di calcio di far crescere ulteriormente le colonnine naturali.

Leandro Alberti, frate domenicano del XVI sec., parlò per primo, in modo esplicito, dell’esistenza delle Grotte dell’Angelo a Pertosa, esplorate in seguito, per la prima volta, da P.Carucci e G.Patroni, a cavallo fra Ottocento e Novecento. Ancora oggi gran parte delle Grotte sono oggetto di studio da parte degli speleologi che continuano a portare alla luce , giorno dopo giorno, una meraviglia in più. Il tour all’interno delle Grotte inizia a circa 263 metri di altitudine sulla sinistra idrografica del fiume Tanagro, con una piccola ma suggestiva traversata in barca sulle acque verdi e ricche di calcio del fiume sotterraneo. L’itinerario breve si snoda per circa mille metri in un suggestivo percorso caratterizzato dal succedersi di ampie cavità all’interno delle quali è possibile osservare imponenti gruppi stalatto-stalagmitici e straordinarie concrezioni che ricoprono quasi interamente il suolo, dando vita a forme così perfette e affascinanti da ricordare le opere di un abile scultore. L’itinerario intermedio conduce alla Grotta delle Spugne, il cui spettacolo trasmette una suggestione unica e consente un’emozione irripetibile. Quello completo prevede un doppio imbarco e sbarco, con visita alla cascata sotterranea ed a un ramo concrezionale meraviglioso denominato appunto il Paradiso. Le Grotte possono anche essere visitate in modalità speleologica, con due percorsi avventura: con cui si potrà risalire il fiume sotterraneo fino alla polla sorgiva, nelle viscere della terra, dove il buio ed il silenzio sono gli incontrastati dominatori, da sempre.

Il percorso turistico si snoda attraverso cunicoli, gallerie, strettoie e grandi Sale, tutte caratteristiche ed uniche nel suo genere: tra le tante segnaliamo la Sala delle Meraviglie, quella Grande, ove l’altezza sfiora i 24 metri senza che ci si renda conto di tale dimensione. In realtà, i concetti di spazio e di tempo sono percepiti in modo diverso all’interno delle Grotte, come se il tempo scorresse più lento e lo spazio fosse più ristretto a misura d’uomo. Un sapiente gioco di luce ben evidenzia le mille figure e le costruzioni calcaree dalle forme più disparate che lasciano ampio spazio alla fantasia. Unica al mondo è la Sala delle Spugne, che da sola varrebbe tutta la visita. Anche la Sala dei Pipistrelli, così chiamata perché una volta era il rifugio di migliaia di questi animali che nel buio di questi luoghi trovavano conforto e riparo, presenta caratteristiche molto particolari e rare. Sulla roccia si vede ancora il segno di dove arrivavano gli escrementi di questi animali, che avevano ricoperto di tonnellate di guano oltre metà della Grotta dei Pipistrelli. Disturbati dalla presenza dell’uomo hanno poi lasciato questi luoghi per loro non più sicuri, lasciando a noi la scoperta delle meraviglie calcaree presenti in questa parte di Grotte. La Montecatini, oggi Montedison, società che si occupò di rimuovere il guano, ottenne da questo, tonnellate di materiale prezioso da utilizzare per fertilizzanti e cosmetici. La Sala dei Pipistrelli affaccia sul primo tratto del fiume sommerso percorso in barca all’entrata,

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proprio sopra un piccolo anfratto che fu scelto dal regista Dario Argento come location per una scena del film: “Il Fantasma dell’Opera”. Uscendo dalle Grotte ci si trova di nuovo immersi nella realtà del Vallo e nella ricca vegetazione che circonda questa zona.

9_Pertosa: il territorioIl territorio di Pertosa è caratterizzato dalla presenza dominante di una natura rigogliosa, per la presenza dell’acqua che da sempre ha favorito lo sviluppo di intense attività produttive, in particolare nel settore tessile, cartario ed idroelettrico. Ancora oggi, nell’isolotto fluviale alle pendici del Monte Intagliata e nei resti di un mulino nelle vicinanze delle Grotte dell’Angelo, sono visibili le tracce di quest’antica capacità produttiva.Per la specificità del suo patrimonio ambientale Pertosa rientra nell’area SIC “Fiume Tanagro e Sele”, nella Riserva naturale Foce Sele Tanagro (Fonte: La Rete Ecologica del Vallo di Diano, Comunità Montana Valle di Diano).

Area SIC “Fiume Tanagro e Sele”Ogni area comunitaria protetta (SIC e ZPS) è caratterizzata da uno o più habitat vissuti da numerose specie animali e vegetali di notevole valenza dal punto di vista della conservazione della biodiversità. Per ogni habitat, riferito ad ogni sito “Natura 2000” ricadente nel territorio della Comunità Montana Vallo di Diano, è riportato un giudizio di valutazione globale basato sulla analisi di tre informazioni ecologiche (indicatori: Rappresentatività, Superficie Relativa, Grado di Conservazione) considerate nei formulari standard dei siti Natura 2000 pubblicati dal Ministero dell’Ambiente aggiornati all’anno 2005 con riferimento alla Direttiva Habitat 92/43/CEE.

La Rappresentatività è la frequenza degli habitat presenti nel sito suddivisa in quattro categorie di rappresentatività; il grado di rappresentatività rileva “quanto tipico” sia un tipo di habitat; con (A) si intende una rappresentatività eccellente, con (B) una buona rappresentatività, con (C) una rappresentatività significativa e infine con (D) si indicano i casi nei quali la tipologia di habitat è presente sul sito in misura non significativa. Qualora la rappresentatività dell’habitat sul sito sia classificata come “D = non significativa“, non sono necessarie altre valutazioni come “superficie relativa, grado di conservazione e valutazione globale.

La Superficie relativa (p) mostra la superficie del sito coperta dal tipo di habitat naturale rispetto alla superficie totale coperta dallo stesso tipo di habitat naturale sul territorio nazionale (A: 100 = p > 15%, B: 15 = p > 2%, C: 2 = p > 0%).Per Grado di conservazione di un habitat naturale si intende la stima della conservazione della struttura e delle funzioni del tipo di habitat naturale in questione e possibilità di ripristino (A: conservazione eccellente, B: buona conservazione, C: conservazione media o ridotta). Questo indicatore è considerato «soddisfacente» quando la sua area di ripartizione naturale e le superfici che comprende sono stabili o in estensione, la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile e lo stato di conservazione delle specie tipiche è soddisfacente ai sensi della lettera i della Direttiva 92/43/CEE .

La Valutazione globale del sito per la conservazione del tipo di habitat naturale è distinta in valore eccellente (A), valore buono (B), valore significativo (C).Gli habitat che interessano il paesaggio naturale e biologico di Pertosa sono 4 a forte valenza scientifico-naturalistica e con un’intrinseca vocazione all’uso ecocompatibile. In particolare ci sono habitat fluviali (fiume Tanagro), erbosi, rocciosi e di natura carsica.

L’habitat - Fiumi mediterranei a flusso permanente con Glaucium flavumSi rinviene in tratti di corsi d’acqua corrente a dinamica naturale o seminaturale

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(letti minori, medi e maggiori) in cui la qualità dell’acqua non presenta alterazioni significative. Tale habitat è rappresentato da comunità vegetali presenti sui depositi alluvionali incoerenti dei fiumi a regime mediterraneo (piene autunno-invernali) con notevole presenza di Glaucium flavum. Questa specie, soprattutto nitrofila vegeta in terreni leggeri, ricchi di sostanze organiche in ambiente arido inoltre si rinviene in terreni sabbiosi, litorali ciottolosi, dune, greti, macerie, margini stradali fino a 400 m di quota. I giudizi relativi alle tre informazioni ecologiche sono:

Rappresentatività: BSuperficie relativa: CGrado conservazione: BValutazione globale: B(elaborazione su dati Ministero dell’ Ambiente, 2005)

Fiumi con argini melmosi con vegetazione del Chenopodion rubri p.p e Bidention p.p.L’habitat -Fiumi con argini melmosi, nel Vallo di Diano, è presente unicamente nel SIC “Fiume Tanagro e Sele”. Esso si rinviene in tratti di corsi d’acqua corrente a dinamica naturale o seminaturale (letti minori, medi e maggiori) in cui la qualità dell’acqua non presenta alterazioni significative.Tale habitat comprende gli argini e le sponde melmose e fangose di un corso d’acqua, con vegetazione pioniera nitrofila in prevalenza annuale, in primavera ed inizio estate questi ambienti appaiono privi di qualsiasi vegetazione. In particolare sono delle coltri vegetali costituite da specie erbacee annuali a rapido accrescimento che si insediano sui suoli alluviali, periodicamente inondati e ricchi di nitrati situati ai lati dei corsi d’acqua, grandi fiumi e rivi minori, il substrato è costituito da sabbie, limi o argille anche frammisti a uno scheletro ghiaioso. Lo sviluppo della vegetazione è legato alle fasi in cui il substrato dispone di una sufficiente disponibilità idrica, legata soprattutto al livello delle acque del fiume e in subordine alle precipitazioni, che quindi non deve venir meno fino al completamento del breve ciclo riproduttivo delle specie presenti.Si tratta di vegetazione legata ai substrati depositati dal fiume e la cui esistenza richiede la permanenza del controllo attivo esercitato dalla morfogenesi fluviale collegata alle morbide e alle piene. La forte instabilità dell’ambiente è affrontata dalla vegetazione approfittando del momento (o dei momenti stagionali) più favorevoli e comunque producendo una grande quantità di semi che assicurano la conservazione del suo polline specifico. Le specie presenti sono generalmente entità marcatamente nitrofile che ben si avvantaggiano dell’elevato tenore di nutrienti delle acque di scorrimento superficiale. Le formazioni vegetali secondarie dominate dalle stesse specie, ma slegate dal contesto fluviale e formatesi in seguito a forme di degradazione atropogena non appartengono a questo habitat.Tra le specie vegetali caratteristiche si individuano:Polygonum lapathifolium, P. hydropiper, P. mite, P. minus, P. persicaria, Bidens tripartita, B. frondosa, Xanthium italicum, Echinochloa crus-galli, Alopecurus aequalis, Lepidium virginicum.Tra le specie presenti molte non sono autoctone (Bidens sp. pl., Xanthium italicum, Echinochloa crus-galli, Lepidium virginicum) e il forte carattere esotico della flora presente costituisce un elemento caratteristico di questo habitat.Inoltre è una tipica comunità pioniera che si ripresenta costantemente nei momenti adatti del ciclo stagionale, favorita dalla grande produzione di semi. Il permanere del controllo da parte dell’azione del fiume ne blocca lo sviluppo verso la costituzione delle vegetazioni di greto dominate dalle specie erbacee biennali o perenni. Nell’ambito di questa vegetazione possono avvenire fenomeni di germinazione massiva dei semi di Salix alba o S. triandra cui può conseguire lo sviluppo delle relative formazioni legnose arboree o arbustive ripariali della classe Salicetea purpureae (Moor, 1958).Trattandosi di cenosi erbacee annuali che si sviluppano sui greti di sedimenti fini regolarmente rimaneggiati dal corso d’acqua è necessario garantire la permanenza del regime idrologico e dell’azione morfogenetica del fiume cui consegue il

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mantenimento di estensioni di greto attivo in fregio all’alveo. La conservazione di questa vegetazione in frammenti mono o paucispecifici può avvenire anche su superfici ridotte a zolle o a strette fasce di vegetazione, ma la sua espressione tipica richiede l’esistenza di superfici più ampie.I giudizi relativi alle tre informazioni ecologiche sono:

Rappresentatività: CSuperficie relativa: CGrado conservazione: CValutazione globale: C

Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-BrachipodieteaQuesto habitat “Percorsi substeppici di graminacee e piante annue” normalmente è dominato da vegetazione erbacea annuale tipica di ambiente caldo-arido. Il nome deriva da Thermos = annuale e da Brachipodium = genere caratteristico di graminacee.Vi appartengono praterie basse meso e xero-mediterranee, in gran parte aperte e ricche di terofite. Si sviluppano su suoli privi di nutrienti ed alcalini, spesso su substrato calcareo.In genere i pascoli presentano una netta impronta xerica, principalmente dominati da terofite (piante annuali) come il falasco (Brachypodium rupestre) ed altre graminacee, ricchi di elementi mediterranei. Si tratta spesso di cenosi derivate dall’abbandono di aree coltivate e condizionate da aridità estiva. Considerato da molti studiosi come l’ultimo stadio di degrado della vegetazione spontanea mediterranea, è il risultato dell’azione del disboscamento, del dilavamento meteorico, della forte siccità estiva e del pascolamento. Nonostante la sua aridità, risulta un habitat molto ricco per l’avifauna, richiamata soprattutto in primavera dalla notevole abbondanza di insetti. Essendo un ambiente creato prevalentemente dall’ azione dell’ uomo, le mutate attività economiche mettono in pericolo la sua sopravvivenza in quanto le piante arbustive della macchia mediterranea ricolonizzano il territorio.I giudizi relativi alle tre informazioni ecologiche sono:

Rappresentatività: BSuperficie relativa: CGrado conservazione: BValutazione globale:B(elaborazione su dati Ministero dell’ Ambiente, 2005)

Foreste a galleria di Salix alba e Populus albaQuesto habitat è presente unicamente nel sito SIC che si estende lungo il corso del fiume Tanagro e del Sele. L’habitat è rappresentato da foreste ripariali tipiche del bacino mediterraneo dominate da Salix spp. Vi appartengono le foreste a galleria pluristratificate con Populus spp., Ulmus spp., Alnus spp., Tamarix spp. In genere in questo tipo di habitat i pioppi sono dominanti negli strati superiori ma possono essere scarsi o assenti negli strati inferiori dove prevalgono gli altri generi citati.È una formazione forestale improntata dalla presenza di salici, in particolare salice bianco, e pioppi, soprattutto pioppo bianco; alle due specie si possono accompagnare in misura diversa come abbondanza: pioppo nero, pioppo grigio, ontano nero e olmo. Lo strato arbustivo è variamente sviluppato e diversificato; lo strato erbaceo è sovente rigoglioso e ricco di erbe palustri, spesso nitrofile. Forma cordoni forestali lungo le rive dei corsi d’acqua, in particolare lungo i rami secondari attivi durante le piene. Predilige i substrati sabbiosi mantenuti umidi da una falda freatica superficiale. I suoli sono giovanili, perché bloccati nella loro evoluzione dalle correnti di piena che asportano la parte superficiale. La collocazione fitogeografica del tipo è prevalentemente mediterranea, con penetrazioni anche nel sopramediterraneo; in questo caso, pur mantenendosi la fisionomia “a galleria”, la composizione floristica, soprattutto del sottobosco, perde di tipicità e spesso si caratterizza per la presenza di specie nitrofile banali o, più frequentemente, di

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specie esotiche.Tra le specie vegetali caratteristiche di tale habitat si indicano:Salix alba, Salix cinerea, Populus alba, Populus nigra, Ulmus minor, Alnus glutinosa, Rubus caesius, Frangula alnus, Humulus lupulus, Leucojum aestivum, Viburnum opulus, Bryonia dioica, Carex elata, Urtica dioica, Iris pseudacorus, Phalaris arundinacea, Cornus sanguinea, Rubus ulmifolius, Carex pendula, Lysimachia vulgaris, Solanum dulcamara, Equisetum palustre, Phragmites australis.

La foresta si insedia direttamente sui substrati degli alvei fluviali investiti con minor forza dalla corrente di piena ordinaria. Infatti, la colonizzazione avviene contemporaneamente da parte delle specie legnose, soprattutto salici e pioppi e da parte delle specie di sottobosco.Solo nel caso di una graduale attenuazione nel tempo dell’azione della corrente fluviale, la foresta si insedia su precedenti stadi erbacei di alte erbe.La foresta matura difficilmente si mantiene a lungo nel tempo, essendo destinata a: essere demolita nel corso di piene eccezionali, se ancora soggetta all’azione della corrente fluviale, evolvere verso formazioni riferibili ai querco-ulmeti, se svincolata dall’azione fluviale.Dati i caratteri dinamici propri della foresta, una gestione di mantenimento risulta difficoltosa e comunque porterebbe ad una situazione altamente artificiale, lontana dal modello naturale.La soluzione migliore sarebbe quella di riservare, per congrui tratti di fiume, spazi sufficienti perché la formazione sia capace di rinnovarsi naturalmente, riproponendosi con espressioni nuove e lasciando alla loro naturale evoluzione le foreste censite. Tutti gli interventi di carattere idraulico nell’alveo o sulle rive del fiume che alterano gli equilibri idrici, modificando l’assetto della corrente, possono avere ripercussioni importanti sulla foresta. Nel limite del possibile dovrebbero essere controllate le specie esotiche più invadenti.I giudizi relativi alle tre informazioni ecologiche riferite al SIC sono:

Rappresentatività: B Superficie relativa: CGrado conservazione: BValutazione globale: B

(elaborazione su dati Ministero dell’ Ambiente, 2005)

Riserva naturale Foce Sele TanagroLa Riserva regionale è stata istituita con provvedimento istitutivo: L.R. 33, 01.09.93 - D.P.G.R. 5565/95 - D.P.G.R. 8141/95 - D.G.R. 64, 12.02.99 presentando una superficie totale pari a circa 7.000 ettari.La Riserva si estende lungo le fasce fluviali dei tratti del fiume Sele e del fiume Tanagro. Il tratto del Sele è quello compreso tra la zona di foce del Sele fino all’Oasi di Persano, l’altro invece è quello che comincia dalla confluenza Sele-Tanagro fino al fiume Calore lucano nel comune di Casalbuono.La Riserva presenta in qualche zona una sovrapposizione spaziale con il SIC Fiume Sele-Tanagro ed il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Essa è caratterizzata da un substrato di tipo alluvionale l.s. con depositi ghiaiosi e sabbiosi e talvolta argilloso-limosi testimonianti gli ambienti lacustri e palustri presenti prima della bonifica.Nella zona di Pertosa-Polla presso le gole di Campostrino la Riserva è dominata da un paesaggio accidentato impostato su un substrato di natura carbonatica, invece a sud nel comune di Casalbuono sono presenti litologie appartenenti a flysch di natura terrigena.L’area considerata presenta dei tratti del suo corso totalmente regimentati in maniera parziale da interventi di ingegneria naturalistica e tratti che conservano per fortuna caratteri di naturalità con vegetazione spontanea, aree golenali, andamenti meandriformi ed intrecciati ecc.La fauna ittica è molto diversificata (circa 20 specie) e rappresentata dalla trota,

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anguilla, carpa, cavedano, cardola, tinche, gambusie ecc.

E’ presente un’avifauna migratoria molto diversificata: l’airone cenerino molto abbondante, l’airone bianco maggiore, cormorano, cavaliere d’Italia, gru, beccaccini. Tra quelli stanziali si evidenziano la gallinella d’acqua, il tuffetto e le gazze.La zona di Riserva presenta diverse criticità: prelievi abusivi di inerti, scarichi abusivi di rifiuti solidi, lubrificanti e rifiuti/scarichi industriali, presenza di fauna non autoctona invasiva, cementificazione selvaggia che distrugge la capacità autodepurativa del fiume ecc.

Parco del Cilento e Vallo di DianoA seguito di una delibera del consiglio comunale adottata all’unanimità (giugno 2009), il Comune di Pertosa ha formalmente fatto richiesta di entrare a far parte del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano in quanto area contigua al territorio che fa capo all’ente.