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SUMMER TWOHOUSandNINE

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FREE ART // N.OO SUMMER TWOHOUSandNINE

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SOMMARIo

WHAT’s DÉTOURNEMENT WEBZINE? 02 INTERVISTA a DÉTOURNEMENT VENISE 2009 03 LA BIENNALE NON E’ MALE (first part) 08 VISITA (S)GUIDATA 09 CONTRO BIENNALE 10 UN NUOVO PADIGLIONE X UN VECCHIO PADIGLIONE 11 GRATUITO CRITICO 12 In copertina: gr.gr., FREE//COVER, cover-competition for Détournement webzine, 2009.

EDITOR in chief ⋆ Gabriele Perretta

MANAGING editor ⋆ gr.gr.

Art DIRECTOR ⋆ gr.gr.

EDITORs ⋆ gr.gr. ⋆ Matteo Bergamini

CONTACT ⋆ [email protected]

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What’s ? Détournement: Détournement webzine nasce come edizione confinante a Détournement Venise 2009 - manifestazione collaterale alla 53a Esposizione Internazionale d’Arte - nell’intento comune di fare del Libero Dialogo un diffuso Work in progress di interlocutori intelligenti, ma anzitutto interdisciplinari all’Arte, in un’esperienza sperimentale del Condiviso. gr.gr.: DÉTOURNEMENT è un DIFFUSORE COLLATERALE, in formato WEBZINE, ORIENTATO AD ESSERE VETRINA DI RICERCA NELLE NUOVE POLITICHE SOCIALI, IL CUI NETWORK, APERTO ALLA PROMOZIONE DI ogni EMERGERE CULTURALE, ATTRAVERSA UNA PIATTAFORMA D’UTENZA INCLINE ALL’USO DEI New Media Work, in una LOGICA POST-ARTISTICA o MEGLIO ATTA alla DEVALORIZZAZIONE DELL’Arte ALTA. CONTRO IL FASCIO dei SAPERI STABILITI, CONTRO L’INQUINAMENTO CULTURALE: X una RICCHEZZA CRITICA, RADICALE e LIBERTARIA decentrata dal COATTISMO DI MASSA, L’OBIETTIVO è: RIAPPROPRIARSI DEL PROPRIO MEDIA-SYSTEM MENTALE, CON L’AUSILIO di un USO ECQUOresponsabile DEL TERMINE ‘FREE’, PREPOSTO AD ESSERE PRATICA DEL FARE OPINIONE o meglio x LIBERARE IL FARE CRITICO DA qualsivoglia GENERE OBBLIGAZIONALE. INDIPENDENTE E DEMOCRATICO, NEL FARE DELL’ATTIVISMO LA PROPRIA FEDE COLLATERALE, IL WEBZINE È MEZZO COOPERATIVO X E DI TUTTI, IN CERCA DI 1 CONTINUA FREE COLLABORATION!

…: … in progress

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INTERVISTA a DÉTOURNEMENT VENISE 2009

O meglio a Gabriele Perretta

Détournement Venise 2009

Una passeggiata nella memoria – itinerario d’arte contemporanea nella città di Venezia Evento collaterale alla 53a Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia 7 giugno / 22 novembre 2009 Un progetto ideato da Elisabeth Sarah Gluckstein e Gabriele Perretta

EDITORIALE BY G. Perretta + gr.gr.

gr.gr.: Quali sono i fattori di Ricerca nei temi scelti da Détournement Venise 2009 [parola, immagine e memoria]?

G.P.: Non ci sono “fattori”, c’è solo ricerca! C’è talmente ricerca che spesso non si vedono né i fattori nel senso di artefice, autore, creatore, né l’elemento che coadiuva, né quello che coordina o che assiste. Forse, in questo, uno dei tratti più caratteristici del Détournement è la critica all’organizzativismo curatoriale che ormai da molto tempo circola “dans la pensée occidental unique”. Diciamo che il “fattore” c’è ma non si vede! Se si tratta di quel termine che in matematica indica uno dei punti estremi di moltiplicazione. Ribadiamo dunque che au-delà du facteur c’è il coefficiente della ricerca. E in questo momento il coefficiente dell’arte e lo scombussolamento, è la rappresentazione sintetica, chiara e lampante che tra le categorie di crisi totale della globalizzazione vede necessariamente l’arte come l’espressione massima di ciò che “dans ce monde” ha fatto rigorosamente cilecca, ciò che “detournandosi” ha detournato tutto il circostante. L’arte contemporanea come dice Hans Belting è la fine stessa dell’arte! Qui va detto anzitutto che cos’è la ricerca oggi(!?). Partiamo dal presupposto che in Italia la ricerca è quasi fuori dai giochi del sapere e della stessa industria culturale; perché l’ultima contro-rivoluzione proveniente dagli schemi del pensiero unico riformista e liberale ha fatto completamente fuori la ricerca; ad esempio: la ricerca per quanto riguarda il mondo accademico proveniente dagli strati più radicali del desiderio di conoscenza e di approfondimento è stata completamente annientata, essa è considerata dal capitale come una “grande nemica di classe”. Una delle caratteristiche principali di questi governi, sia del centro destra che di quelli del centro sinistra, è l’abolizione dei programmi di ricerca, di qualsiasi ricerca che serva ad alimentare una forza di idee. Quello dei ricercatori è un gruppo sociale che va assolutamente abolito e disperso. Ma alla lettera cosa significa ricerca? E’ quell’attività rivolta a cercare qlcu. o qlco. con molta cura e impegno: fare promuovere, una ricerca. Indagine condotta con sistematicità e tendente ad accrescere o a verificare il complesso di cognizioni, documenti, teorie, leggi inerenti a una determinata disciplina o argomento. Del resto, se oggi si prova solo a dire che ormai la ricerca passa come ricerca di mercato si è tacciati di idealismo, perché c’è sempre qualcuno che ti rimprovera che si vorrebbe qualcosa che automaticamente non si autodenuncia in forma di “analisi del mercato”, con lo scopo di prevedere nel tempo l'entità della domanda di un dato bene | A partire dalla svolta curatoriale della fine degli anni ’90 è evidente quello che la Biennale di Venezia fa: sostenere delle ricerche di mercato. La Ricerca pura, che ha per solo intento l'accrescimento delle conoscenze scientifiche ed è volta alla fine a se stessa, è quindi fuori dal proposito vespertino dell’arte contemporanea, per il nuovo pensiero unico e liberale ha il difetto di essere considerata “punk”. La verità e che nell’arte contemporanea ci vorrebbe un po’ di sano e gustoso senso del punk, visto che ormai tutto il mondo sa bene che il suo rosario recita: “The Future is over”. Siamo circondati solo da una finta “Ricerca applicata, volta a fini pratici”, vendere con delle belle cifre dei prodotti che fanno rabbrividire l’onesto e gioioso design contemporaneo. Detto questo proviamo a vedere cosa significava il détournement per i vecchi compagni situazionisti e cosa significa adesso, aggiornato alle pratiche contemporanee che si riferiscono a ciò che Hans Belting chiama “la fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte”, che in altri termini chiamerei non “Das Ende der Kunstgeschichte” ma piuttosto “das Ende von der Kunstgeschichte oder dem Liberalismus der Kunst”. Insomma per détournement si intendeva un metodo di straniamento che modifica il modo di vedere oggetti o immagini comunemente conosciuti, strappandoli dal loro contesto abituale e inserendoli in una nuova, inconsueta relazione. Questo metodo, noto come sampling nella cultura pop, viene utilizzato in ambito visuale soprattutto per mezzo di collages o montaggi (che possono essere effettuati anche con il computer). Tuttavia si possono "détournare" anche concetti o frasi. Una forma diffusa del détournement è la parodia, nella quale l'estetica o il contenuto di un testo vengono strappati dalla loro relazione originaria, trasferiti in un altro contesto (di solito fino a quel momento criticato) e quindi ridefiniti. Il concetto di détournement venne teorizzato per la prima volta dai situazionisti nel 1957: la creazione culturale situazionista comincia con i progetti dell'urbanesimo unitario o della costruzione di situazioni nella vita quotidiana, non essere separabili dal movimento di realizzazione delle possibilità rivoluzionarie insite nello sviluppo dell'attuale società. Così, nell'azione diretta che viene realizzata nell'ambito che si vuole distruggere, può venire fatta già oggi un'arte critica con i mezzi di espressione disponibile, dai film alle immagini. I situazionisti riassumono ciò nella teoria del DÉTOURNEMENT. Singoli individui o gruppi di artisti, critici nei confronti dell'arte, si servono del metodo straniante del détournement. Famosi sono i Ready Mades di Marcel Duchamp; anche Joseph Beuys procedette spesso in maniera simile. E' d'obbligo citare anche il plagiarismo, nel quale vengono spacciati come propri non solo idee e testi altrui, ma anche immagini o foto strappate dal loro contesto originario. Mentre i détournement e le ridefinizioni, venivano utilizzati nell'ambito artistico per sottolineare, la discutibilità della sensibilità artistica della cultura alta, i situazionisti presero forme della cultura popolare, della grafica quotidiana e della pubblicità e le associarono ad analisi politiche. Essi ritennero i fumetti un'adeguata forma espressiva e, sottraendoli al loro contesto usuale (la letteratura

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détour 04 nement d'intrattenimento di basso livello), li rivestirono di nuovi contenuti. Adesso cosa succede nel pensiero rinnovato post-situazionistico? Succede che: attraverso il détournement di immagini, concetti e testi dell'estetica, di qualsiasi estetica o di qualsiasi discorso come discorso di potere, se ne mostra e decostruisce la velata funzione ideologica, come sarebbe possibile attraverso testimoni esplicitamente analitici. Perciò i détournement sono un mezzo efficace per rendere visibile l'arbitraria costruzione sociale di categorie. Al détournement consapevole e programmato si contrappone un'altra forma popolare di appropriazione delle strutture egemoniche. Come sostiene Michel de Certeau, il quotidiano degli individui è determinato da continue e momentanee appropriazioni e ridefinizioni di ciò che viene imposto, per esempio il modo di consumare, la scelta delle vie da percorrere nella città o il rapporto con la cosiddetta cultura alta. Questo porta a concludere che il détournement è un efficace modo di muoversi, proprio perché somiglia alle strategie e alle relazioni quotidiane con i dati di fatto sociali e ne rappresenta un parallelo. Il détournement può servire a svariati scopi, ma soprattutto a fare dell’arte un fatto politico. Restituire, come diceva Benjamin, dopo la riproducibilità, l’arte alla politica! Il détournement può aiutare a respingere gli attacchi dell'avversario, a renderlo ridicolo e può servire a diffondere altre, rovesciate interpretazioni della realtà. Un importante mezzo di comunicazione agitativo è proprio l'utilizzo radicale di ciò che è apparentemente a disposizione di tutti nell’ambito dell’arte, ovvero quelle opere che si rendono più facili e più semplici nella loro reperibilità. La lingua di quelle opere non è più solo il mezzo per il trasporto della verità di turno, quella del curatore, ma le sue stesse strutture diventano obiettivo di un contraddittorio. Non solo la lingua di quelle opere descrive cose, è essa stessa una cosa, un insieme di regole che è necessario far muore nella loro contraddizione, "détournare" e ridefinire, ma anche controbilanciare e risemantizzare. La lingua dell’arte adottata dallo schema riassuntivo e didascalico dei curatori si presenta come un sistema ordinatore "il cui potere si fonda sul fatto di essere accettato senza discussioni" (K. Gruber). Infatti, il detournare veneziano è una vera e propria non-mostra, è una macchina che ha interiorizzato la filosofia del rotto - di cui parlava Alfred Sohn-Rethel nel ‘26 - e porta avanti questo paradigma scostandosi da qualsiasi definizione e inciampando su tutto. Si tratta quindi di disturbare l'ordine pacifico dei segni dell’arte, in primis per richiamare l'attenzione sulla loro mansione consolidante. Nel migliore dei casi ciò significa impadronirsi degli spazi vuoti dell’arte, magari utilizzando quell’arte che apparentemente è già uno spazio troppo vuoto, o è uno spazio troppo aperto: esprimere il non detto dell’arte, che è il detto per eccellenza e allo stesso tempo rivelare come il linguaggio stesso si basi sul vuoto e l'occultamento di questa “panoplia”. Un tale détournement, attraverso l’aggancio dei luoghi comuni dell’arte, attacca i fondamenti simbolici dell'ordine sociale." Il progetto della comunicazione mediale agitatrice punta non soltanto sulla dialogicità del mezzo (la meta e la metà dell’arte) e sul linguaggio della mostra un po’ arraffozzonata, priva di un apparente criterio, disorganizzata e irreperibile, disturbante nei confronti del percorso e dell’attendibilità tra comunicazione dei siti, dei luoghi e del territorio, ma anche su tecniche sofistiche: confutare la rappresentazione ufficiale della realtà, squilibrare la ferma immagine del mondo, scombinare le coordinate della verità, scrivere una mappatura che realmente non esiste, dichiarare il falso, giocare insomma col “morto dell’arte”. Come ricordava qualcuno una volta e per tutte “è compito del soggetto agire nello spazio della mostra senza celebrare la curatorialità, ma mostrare i “segni di un’intelligenza dissoluta, e di un linguaggio che mina i codici istituzionali" (K. Gruber). Forse il semiologo Roland Barthes ha formulato il concetto di sedizione artistica in forma di interrogativo: "La migliore sovversione non consiste forse nel distorcere i codici, anziché nel distruggerli?". Un'ulteriore esperienza di détournement è la burla. E nell’arte odierna l’arte stessa, con il suo sistema va presa in giro, vanno sferragliati i sistemi più sofisticati di parodismo. Lo sberleffo, in un’Italia in cui solo i “comici” in questo momento fanno resistenza e sono gli unici veri e grandi artisti “a venire”, costringe gli ascoltatori a tenere le orecchie ben aperte. Un udito per l'originale nella sua circostanza originaria, e l'altro udito per la versione modificata o ridefinita. Il confronto delle due espressioni attira l'attenzione su quello che si trovava nascosto nel testo originario. Per ciò che concerne i tre termini fondamentali su cui ruota il discorso di détournement [parola, immagine e memoria] basta scoprire i retroscena del discorso: A) sulla questione parola = siamo di fronte all’esigenza di individuare una possibilità di linguaggio: Cos’è in questo momento il linguaggio dell’arte? E se il linguaggio dell’arte attraverso la parola richiamasse lo statuto disciplinare del linguaggio visivo stesso, in relazione con l’uso della parola e della frase? Il Linguaggio è un Sistema di comunicazione che richiede l’uso coordinato della voce, dell’articolazione e delle tecniche del linguaggio verbale. In senso lato, ovvero anche per il confronto tra verbum et imago il termine “parola” può essere usato come sinonimo di linguaggio. Cosa succede dunque al nostro universo artistico contemporaneo! Sembra che il linguaggio si sia bloccato e non abbia più la capacità di articolarsi. In un universo supermediatico l’assurdità è che il linguaggio ha perso la sua forza mediale, conservando solo la sua virilità “ipermediale”. Quindi anche qui bisogna operare una rivoluzione delle differenze ed introdurre una politica di sessi e di genere che indichi una nuova democrazia di diversità. Il termine “articolazione”, che i glottologi usano per lo studio della parola, nel dosaggio del dialogo, in questo caso, non si riferisce solo alla produzione di suoni per formare le parole, ma anche a quelle parole che si bloccano in un complesso segnico-visivo in grado di “Détournare” l’insieme stesso del linguaggio. Ormai nel campo dell’arte contemporanea non c’è più distinzione tra IMMAGINE, PAROLA E MEMORIA. Il linguaggio è un sistema di simboli convenzionali, adottati e utilizzati da un gruppo di persone per comunicare i propri pensieri e sentimenti. I simboli possono essere verbali o non verbali, cioè parlati oppure scritti o ancora mimati con gesti e movimenti del corpo. E l’arte contemporanea ha pensato bene di utilizzarli tutti. Adesso la sfida è nella domanda come, quando e perché vengono adoperati dagli artisti e come si fa a vincere la panoplia della forma standard del linguaggio visivo, la forma da supermercato. Nel linguaggio parlato si usano le tecniche di articolazione, mentre nel linguaggio scritto queste vengono sostituite dall’ortografia e da altri segni convenzionali, il détournement è un modo per dire sviando. Dètournement mette in funzione attraverso la parola i difetti e le afasie della lingua dell’arte. E lo fa, così come ha sempre fatto il Medialismo, miscelando tecniche, contesti, modi espressivi, progetti, affinità, conseguenze, complessità e procedimenti della medialità e della multimedialità (dalla pittura all’installazione digitale). Siccome la parola è parzialmente una funzione appresa, tutte le condizioni che interferiscono con l’apprendimento possono portare a difficoltà di espressione. Attualmente il sistema dell’arte si manifesta mediante un forte spessore patologico del suo linguaggio. L’articolazione linguistica dell’arte contemporanea sembra pregiudicata da menomazioni fisiche. La mancanza di articolazione può anche essere la conseguenza dell’imitazione inconscia di modelli di linguaggio non corretti o dell’inadeguata percezione degli stimoli che vengono dall’ambito mediatico, che ormai si è costruito un territorio autonomo ed unilaterale rispetto alla critica mediale. Qui i disturbi sono frequentissimi, possono essere la conseguenza di malattie o danni della comunicazione o possono essere l’espressione di un controllo stesso della comunicazione in senso unilaterale, ove il “pensiero monogamo” rimane. l’unico albatros possibile. La causa più frequente nell’ambito delle patologie del linguaggio artistico è tuttavia l’abuso cronico del fattore

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di ricerca mercantile e dell’apparato come unica possibilità di rappresentare il contemporaneo. Ovvero un territorio omogeneo di individui in cui non si riconoscono generi, gruppi, differenze. Qui è facile dire che in un mondo di immagini la parola è occultata, ma la verità è che la parola non c’è, non perché viene contraddetta dall’immagine, ma perché essa appare solo come la manifestazione di una patologia. Dunque, l’intento è quello di alleviare alla base un disturbo neurologico del linguaggio visivo contemporaneo, per poter “ridire la parola”, ribadirebbero i fenomenologi: “das Wort wiederholen”. In sostanza, il détournement usa la parola come il logopedistaCome lo specialista che diagnostica e cura i diversi disturbi della parola, del linguaggio e della voce. Siccome le condizioni fisiche, neurologiche o psicologiche sono sovente responsabili o correlate ai disturbi della parola, il logopedista spesso fa parte di una squadra che interviene sulla patologia della parola. Nel nostro contemporaneo siamo tutti sordi, l’ascoltatore non ascolta o vede più la televisione, ma segue “l’altro da sé”. E’ importante, come fanno alcuni artisti multimediali di Détournement, agire sulla contraddizione psicoterapeutica generalizzata: la terapia di recupero della parola serve a misurare l’udito. In effetti, stando alla radice del termine memoria, essa si associa alla preoccupazione della cura della parola (parola riflettuta e riflettente) perché memor ‘memore’, da un ceppo che indica ‘ricordo, preoccupazione’ definisce la natura stessa della nostra ansia di fare . Nel nostro contemporaneo, all’interno dell’universo mediale ed ipermediale, esiste una forma artistica che riguarda una memoria informatica, una memoria psicologica,insomma diremmo una memoria cache e una memoria collettiva. Anche se in effetti ambedue sono collettive. Come è possibile ricondurre i segni di un singolo artista contemporaneo a qualcosa che riguarda l’unica scoperta di un artista e non di un movimento, di un genere, di una tendenza? Solo chi si interessa di suppellettili e di oggetti staccati dalle vere singolarità può credere nell’individualismo dell’arte, che poi sarebbe piuttosto colui che divide il “dividualismo”. La sincerità di dètournement è che invece considera qualsiasi lavoro individuale e di curatore di ogni singolo artista o di ogni storico dell’arte come una sorta di affermativa memoria collettiva, e qui per memoria collettiva si mette dentro sia la tradizione della memoria cache che quella delle storie dell’arte. La Memoria collettiva è quell’insieme di informazioni che costituiscono il fondamento dell’identità di una collettività o di una terra. Quello che invece quest’anno in maniera chiara con l’allargamento dei Padiglioni Nazionali a Venezia non si vede più. La Globalizzazione ha vinto, ha vinto il Capitalismo aggressivo e che si espone mediante la bella faccia da bravo ragazzo: Daniel Birnbaum. La storia può essere affidata alla scrittura e quindi non vi sono limiti alla quantità di fatti e nozioni che possono essere conservati nel tempo. Nelle società che non utilizzano questo strumento la trasmissione delle conoscenze è affidata ai singoli individui e alla loro capacità di ricordare. Poiché nel corso del tempo si perdono i riscontri oggettivi, nascono tradizioni e miti che fanno parte del patrimonio culturale di una società e che quindi la identificano distinguendola da altre. Fanno parte della memoria collettiva le concezioni che riguardano la cosmologia, le origini, le divinità, ma anche le leggi non scritte che regolano il comportamento degli individui e che vengono tramandate oralmente. La memoria collettiva è il vero patrimonio su cui si fonda anche il tracciato di un singolo segno artistico; e l’immagine si integra con la parola e la memoria per queste stesse ragioni, essa affiora sia dalla memoria psicologica collettiva, che da quella mediale. Nell’ambito della psicologia l’immagine è la rappresentazione mentale di ciò che è stato percepito attraverso i sensi (in particolare attraverso la vista) e che permane dopo la scomparsa dello stimolo. Nell’ambito della psicologia generale questo termine assume diversi significati: immagine mnemonica (la rappresentazione mentale di un'esperienza passata che influenza la percezione dell'individuo nel presente); immagine corporea (la percezione che ciascuno ha del proprio corpo); immagine eidetica (l'immagine talmente chiara e definita, che il soggetto vede anziché immaginare, restando però consapevole che essa non corrisponde a una realtà presente). Al contrario, nelle allucinazioni visive l'individuo ritiene che l'immagine percepita corrisponda a una realtà presente, che invece non esiste. Nella teoria della medialità, l’immagine è un messaggio costituito da segni iconici. In termini semiotici, l'immagine è un vero e proprio “testo”, un “oggetto semiotico” da interpretare come qualsiasi altro “testo”, indipendentemente dal suo supporto materiale specifico, che è caratterizzato dalla bidimensionalità del suo significante (in questo caso, gli elementi espressivi e materiali). La nostra cultura e il sapere delegano gran parte delle informazioni alle immagini e alla comunicazione visiva. Soprattutto i mass media come la televisione e il cinema, fanno ampio uso di immagini e, in particolare, di immagini in movimento. Un'immagine rappresenta

oggetti figurati o astratti attraverso segni iconici il cui grado di somiglianza con ciò che è raffigurato (il 'referente') è sempre relativo a

un sistema culturale specifico. Esistono infatti gradi differenti di iconicità, ossia i segni assomigliano agli oggetti rappresentati in modo maggiore o minore a seconda dei vari sistemi di convenzioni culturali. La rappresentazione 'per immagini', in questi termini, richiede alcune operazioni di selezione e di 'pertinentizzazione'; in altre parole si scelgono, di volta in volta, soltanto determinati caratteri da riprodurre. Il rapporto tra immagine e oggetto rivela gli elementi e i tratti che, a scapito di altri, sono stati considerati funzionali a un certo scopo comunicativo. Detto questo si può vagheggiare quanto sia importante la sequenza: PAROLA … IMMAGINE … MEMORIA. Qui Détournement sostituisce in maniera strisciante gli zoccoli duri della medialità e della comunicazione al loro compito linguistico ordinario! gr.gr.: All’affermazione di Daniel Birnbaum: «Non credo nei movimenti e nelle tendenze, mi stancano. Mi interessano sole le cose - e le persone - individuali» cosa afferma?

G.P.: Mi sembra che in qualche modo parlando della tradizione memoriale collettiva della storia dell’arte, in linea teorica ho già risposto al più giovane direttore della Biennale di Venezia. Per il resto devo dire che ha ragione Renato Barilli (per UNDO net), con la sua dichiarazione irruenta su Venezia e lo spirito dei curatori: “siamo in un’orgia monarchica, dove c’è la lotta al trono, alla successione di cariche ed al dominio della deficienza!” Non è che Birnbaum non crede nei movimenti, è che piuttosto guardando la sua Biennale non ci fa credere nel suo credo, un credo pseudo-individualista e pseudo-tutto … ! L’affermazione: “Non credo nei movimenti e nelle tendenze” è un’affermazione contro l’identità stessa e la storia dell’arte moderna e contemporanea. La storia dell’arte moderna e contemporanea è figlia dei movimenti artistici del Primo Novecento. Se capisco bene l’arte che privilegia questa simulazione del modernismo dilagante, un po’ political correct ed un po’ molto post-moderno è proprio lo scimmiottamento della radicalità collettivistica e di tendenza dell’arte delle avanguardie storiche, con l’aggiunta dell’avventismo public art, etc.. L’espressione, “mi stancano”, poi, indica in maniera chiara ciò che dicevo prima nell’ambito dell’arte e delle patologie contemporanee. L’arte è passata ad una dimensione clinica, ma non tanto nel senso critico e psicoanalitico, ma in quanto affare da “internamento”. Essa si occupa degli atteggiamenti di spossatezza e di affaticamento o di debolezza pseudo-individualistici, atteggiamenti che dividono, frammentano, separano, disgiungono e distribuiscono. Infatti grazie alle regole di mercato il motto è “curare e distribuire” [medicare, assistere, guarire, sanare e ripartire, spartire, dosare]. Il Détournement,

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détour 06 nement invece, si rivolge contro questa dimensione della società di ripartizione. “Mi interessano sole le cose - e le persone - individuali” è invece un’espressione di disinteresse totale. Se ad un curatore, interessano solo le cose, vuol dire che pensa ad esse come dei possedimenti, degli averi, delle suppellettili della distribuzione fintamente anonime. Chi fa le “cose”? forse, per questo mondo di curatori, le “cose” si fanno da sole? Significa che chi le guarda più che decostruirle le decontestualizza. E come è possibile guardare questa specie di publicart, di social art vetero-modernista che propongono questi curatori alla Birnbaum e poi “Fare Mondi”? Ci sono delle persone che possono “fare mondi”? Non mi risulta che un mondo sia stato fatto da individui in quanto persone ma forse in quanto biologie. Chi è l’individuo? E’ un organismo animale o vegetale, distinto e indivisibile. Nel senso che è una persona singola, specifica considerata rispetto alla società. Dal punto di vista etimologico: dal lat. individuus, in- neg. e dividuus ‘divisibile’, da dividere ‘dividere’, è qualcosa che allontana e come si fa a fare mondi e ad allontanare, a dividere il mondo, prima ancora di averlo enunciato? Questa è una contraddizione in termini dell’arte contemporanea, chic, internazionalista e fintamente mondana! gr.gr.: In cosa Détournement venise 2009 è collaterale alla Biennale?

G.P.: La parola détournement, in cui risuona così forte l’origine composita o il corpus filosofico che anticipa un qualsiasi straniamento, oggi - grazie alla manifestazione che presentiamo a Venezia, tra gli eventi collaterali della Biennale - è evidente come evento sconnesso, in contraddizione al collaterale stesso. Détournement concerne, nel francese situazionistico e post-situazionistico la ricerca di una full immersion tra città reale e città della memoria, ridisegnando una mappa decostruttiva. Il détournement è un metodo di stornamento, che modifica le cose, strappandole dal loro contesto abituale e inserendole in una nuova, inconsueta relazione, avviando un processo radicale di riflessione critica. Questo metodo parte da un ambito concettuale generale e si dirama in tutte le forme artistiche, fino ad interagire con lo scenario architettonico e mediale. Dopo la metamorfosi globale dell’arte contemporanea, il concetto di détournement non è più quello che corrisponde all’invenzione situazionista del ‘57 e, pur avvalendosi del contributo critico dell’urbanismo post-unitario e della costruzione di situazioni nella vita quotidiana che superano l’arte, esso si trascrive in una nuova formula di mitteilsam handeln (agire comunicativo). A questo titolo, il détournement è una parte consistente di un’etica del discorso [Ethik der Rede] artistico e di una filosofia della pratica del procedere (Verlaufen) e del convivere urbano (städtisch zusammenleben) e comunicativo (mitteilsam)! Per vivere la loro vita quotidiana e per scoprire la loro Venezia, tutti oggi si servono del détournement, tutti

oggi si difendono con lo strumento del détournement urbain, tutti oggi procedono nella città, dopo la cognizione del ready-made diffuso e gli happening stranianti che si sono sprigionati con la nostra partecipazione ad una rivendicazione politica e civile. Dopo la museificazione degli oggetti quotidiani, il detournement prova a proporre la crisi e la critica della leggerezza della cultura alta! Gli artisti si propongono dunque come dei nuovi sviatori, come dei nuovi depistatori, giocando nell’infinito gioco della relazione umana, il gesto che introduce qualsiasi discorso. Questa collezione di “opere-azioni” (così come sono state presentate, con tutta l’approssimazione che accompagna questo modello di mostra, vuole testimoniare che la riflessione architettonica del segno artistico, nello spazio urbano di una città, ricca di memoria come Venezia, non è necessariamente un mero esercizio intellettuale. Essa vuole parlare, con irriverente

autenticità, di come un avanzamento della surteoria possa darsi in modo privilegiato e partecipato in una pratica di autogestione. Questo è un percorso di ricerca che, pur riconoscendo le origini, non cerca l’origine, che non ha l’esigenza di nominarsi, ma che tenta di parlare di libertà artistica e critica dentro lo sguardo architettonico del fare, genealogicamente si interroga ed interroga la sua capacità di creare discontinuità, attivando pratiche relazionali e cooperative altre. La mostra affronta uno dei temi più scottanti del dibattito contemporaneo: il nesso tra le politiche di globalizzazione della cultura e la tutela dei diritti umani del singolo fare artistico, che oscilla tra vocazione di qualità di principio e pratiche di fuga dagli effetti di normalizzazione. Lo spirito dell’iniziativa si articola su due paradigmi fondamentali: il primo indaga l’evoluzione delle pratiche di detournement; il secondo traccia tre case studies (biografia, percorsi urbani, medialità) nelle diverse traiettorie della città e dei luoghi della memoria. Qui naturalmente la biografia non persegue nessun modello di ricerca dell’individualistico. Alla ricerca di una costruzione altra dell’arte e del sapere, che non sia collaterale a niente! È possibile misurarsi con una simile sfida? I contributi artistici raccolti in questa rassegna, le modalità con cui sono stati scelti ed il quadro entro cui questo progetto si è sviluppato, parlano un linguaggio comune, ovvero quello della comunicazione che viene, della comunità che si fa tempo, memoria, linguaggio fuori da se stesso e decostituzione infinita! gr.gr.: Tra gli artisti da Voi scelti, chi meglio risponde al détournement?

G.P.: Raccontando l’esperienza dell’autogestione del sapere fuori e dentro l’establishment, simili possibilità site specific esprimono circolazione di contenuti e riflessioni originali, attraverso la costruzione di un percorso di detournement della stessa mappa, ridisegnata su quella originaria di Venezia. In un momento in cui la produzione e l’uso dei saperi sta subendo drammatiche trasformazioni, è più che mai urgente attivare percorsi che rilancino la funzione critica del depistaggio. Fare arte per produrre pratiche di decontestualizzazione! Detto questo naturalmente tutti gli artisti corrispondono, non c’è n’é uno che sia al di sopra dell’altro! gr.gr.: «Sono tutti artisti che hanno una storia, non ci sono giovani emergenti» [G. Perretta x Exibart], perché? G.P.: Si voleva uscire fuori dall’idea di una Biennale che presentasse delle novità, o perché non si pensasse a qualcosa che rientri nell’idea di “Aperto” o delle nuove tendenze. Uno dei difetti dell’arte contemporanea è la rincorsa verso il nuovo. Il nuovo oggi è banale, come è banale la dimensione del giovane. Il contemporaneo ha eliminato il giovane. Le condizioni di mercato in cui si organizza la situazione artistica contemporanea, non fanno altro che sfruttare il giovane nella macchina produttiva, il giovane è un elemento della macchina produttiva. Il giovane è impegnato a rimanere sempre giovane, perché la macchina organizzativa dell’industria culturale chiede al giovane di rinfrescarsi continuamente per mantenersi sulla cresta dell’onda. Ed è così che assistiamo alla condizione di assistenzialismo infinito. Uscire da quest’ottica significa superare giovanilismo e novitas infinite. gr.gr.: Omaggio al Situazionismo [Détournement venise 2009] quanto dista da omaggio al Futurismo [Pad. Italia]? G.P.: Beh anche l’ipotesi di paragone è aberrante. Mi costringete a parlare di qualcosa che è stato visto in negativo da tutti, che non ha espresso un solo giudizio di valore positivo. Un Padiglione del quale persino i soggetti meno attendibili si sono espressi in malo modo. Vale la pena di confermare quello che ha detto Renato Barilli di tutta la 53 edizione della Biennale di Venezia. Détournement venise

2009 si è fatto volontariamente fuori da solo! In una dimensione così esilarante come quella mise en scène dai curatori della Biennale di quest’anno l’unico gioco valido è quello di mostrare lo sfascio dell’arte. La dissoluzione volontaria di Détournement appare come una

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grande ed autentica risorsa concettuale … il futurismo è una specie di maschera indossata dal regime politico, sotto al quale vive attualmente anche la sinistra … gr.gr.: Quali sono i risvolti post-venise 2009 di Détournement? G.P.: Un progetto che si pone questioni generali di destrutturazione e di “catastrofe” non può avere risvolti. Il futuro di una manifestazione come questa è che ognuno dei partecipanti prende una direzione e possibilmente riproduca un sistema di critica che è stato adottato ed è stato messo in atto in questa esperienza. In tempi non sospetti, il poeta americano Allen Ginsberg, diceva: “ Il messaggio è: allargate l’area della coscienza”.

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L A B I E N N A L E

(first N O N E’ M A L E part)

Un tour per “visioni” tra le sale della mostra “Fare Mondi” curata da Daniel Birnbaum alla 53’ Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia BY Matteo Bergamini

Fare mondi… di certo la modulazione con cui si sono messi in scena gli universi di Daniel Birnbaum è vasta e variegata, e più che darne una lettura lineare, il magma dell’ex Padiglione Italia ai Giardini della Biennale veneziana e dell’Arsenale va indagato come una piccola cosmogonia composta, appunto, di una serie di mondi più o meno riusciti: alcuni spiccano per una visionarietà marziana, altri come monito per una riappropriazione di poetiche legate alla viva realtà. Come in tutti i mondi che si rispettino vi sono rapporti disturbati, possibilità insolite legate all’accostamento di differenze di sguardi, materiali, visioni: vi sono mondi fragilissimi come quello messo in scena da Hans Peter Feldman che con Shadows Play propone un teatro delle meraviglie che ricorda l’andamento delle ombre cinesi, il mistero della luce confusa con i corpi opachi; attraverso la lenta rotazione di dischi su cui sono posati oggetti-giocattolo che proiettano sulle pareti nude sagome che ricordano da vicino l’installazione che Annette Messanger, in rappresentanza al Padiglione francese, propose nella Biennale del 2005…un carosello inquietante in cui ci si lascia stupire da un universo effimero destinato a durare fino all’accensione del primo neon. E se di visionarietà si parla come non inserire nel discorso l’opera della giovanissima Natalie Djurberg che con i suoi video in claymotion mette lo spettatore al centro di un’angoscia dolce e stralunata, atavicamente fondata su un immaginario che corrisponde al pensiero innocente dei bambini e dei filmaker di lungometraggi horror. Le sagome su pellicola si fondono con uno scuro giardino in cui le regole della natura sono sovvertite per lasciare spazio a una serie di fiori visivamente dolciastri e repellenti; piante carnivore affascinanti e ubriache. Piccole mostre personali di grandi artisti in grado di creare una sorta di percorso tra tecniche e tematiche: Thomas Saraceno che tesse nella sala centrale del Padiglione una ragnatela di vedova nera che somiglia ad una nave spaziale o a un piccolo pianeta sospeso ma ancorato ad una non ben definita base; Simon Starling che con l’andamento di una pellicola ricrea un organismo che ricorda strutture geometriche; Wolfgang Tillmans che con le sue indagini “monocrome” dona un punto di vista dal centro della percezione del colore. Fare mondi significa creare punti di vista, e il punto di vista che manca oggi è probabilmente un’indagine che sia una deviazione degli universi presenti: il sognare e il provare a mettere in atto qualcosa che resti al di fuori della semplice accumulazione di oggetti quotidiani o dalla spiegazione eccessivamente razionalizzata di una tematica: niente più mondi esotici in cui l’occidente guarda alle manifestazioni artistiche delle proprie colonie promuovendo il tutto come le possibilità “autoctone” di popoli che in realtà sono stati spodestati dei loro antichi e reali punti di visione sul mondo: si tratta di verificare la possibilità di cosmi che vengono a galla anche all’interno di una piccola sfera domestica, mondi mansueti e al contempo carichi di mistero che mantengono l’equilibrio e la serenità di questo povero occidente massacrato: il cinese Chu Yun all’Arsenale ricrea una piccola galassia in un ambiente completamente buio con il solo ausilio di elettrodomestici che segnalano la loro presenza attraverso il sussidio di una spia luminosa: un’istallazione-gioco che fonde la percezione delle tenebre e la tranquillità domestica della notte basata anche, per molti versi, dal riconoscimento delle spie di accensione, dai rumori dei propri oggetti in funzione … di fronte al black-out la civiltà post-industriale non entra forse in panico? Universo misterioso di una bellezza cangiante, data ancora una volta dalla sola alternanza del movimento dello spettatore e dai fasci di luce che colpiscono fili dorati, è l’installazione all’ingresso delle Corderie di Lygia Pape, che con una serie di filamenti obliqui in tensione rispetto a tutta l’altezza della sala mette in scena una continua materializzazione-smaterializzazione dal gusto magico dell’illusione costante. Mondi assurdi o mondi distorti come accade nell’installazione di Michelangelo Pistoletto, riappropriatosi per l’occasione di una formidabile intensità; una sala di specchi che riflettono la realtà e il trabocchetto, l’oscuro oltre il riflesso, il narciso che si spacca. Trova spazio anche qualche ben riuscita installazione a tema “altro-mondo”: l’artista africana Anawana Haloba realizza una sorta di chiosco in cui fusti di latta dall’etichetta recante all’interno prodotti tipici locali sono al contrario zeppi di diversi tipi di caramelle la cui produzione è prettamente occidentale; i mondi si confondono anche nella grandissima installazione Human Being di Pascale Marthine Tayou realizzata nel 2007, che mischia le abitazioni di un villaggio africano con gli scarti, le immagini e i prodotti dell’occidente insieme a piccoli fantocci che hanno l’aspetto di bambole wodoo e sacchi di fantomatica cocaina, uno dei prodotti più richiesti e più esportati dai paesi dell’Africa nera. I mondi che mettono in scena il loro piccolo confine o che lasciano spazio a scansioni temporali, a effetti di varia sorta in linea con dimensioni di percezione minima sono lasciati un po’ da parte … Il messaggio di Birnbaum pare piuttosto quello di riappropriarsi di un pianeta, il nostro, attraverso la sua rivoluzione poetica, con o senza dubbi di sorta, tramite la fantasia, rileggendo il possibile e l’impossibile (d’altronde una delle prime opere mostrare nell’ex Padiglione Italia, divenuto sulla facciata un immenso poster di un paesaggio marino grazie all’intervento di Jhon Baldessari, leone d’oro alla carriera insieme a Yoko Ono) è una meravigliosa e misteriosissima tela di Gino De Dominicis, artista impossibile da ascrivere a correnti o movimenti vari. Altra declinazione possibile e contaminante arriva da Aleksandra Mir, che all’interno dell’Arsenale mette a disposizione un milione di cartoline in cui diversi paesaggi caratterizzati dalla presenza dell’acqua sono raccolti sotto il nome di “Venezia”… un’opera da spedire, da collezionare, da far viaggiare attraverso un mondo che in occasione di questa Biennale sembra decisamente “fatto” bene, lontano dagli stereotipi sulla varietà culturale e da un esotismo qualunquista da copertina geografica alla ricerca di un punto disperso sulla Terra in cui ritrovare per l’ennesima volta una colonia occidentale. Il curatore non pare forzare la mano, eccedere di teorie o superfetazioni, ma sceglie la linearità di un titolo che, come scrive Massimo Bran nell’editoriale del mensile Venews, è un auspicio e un invito a mettersi in gioco con il proprio lavoro per scoprire nuovi corsi. E, aggiungiamo, nuovi mondi!

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V I S I T A De la 53esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia

( S ) G U I D A T A BYe BYe gr.gr. Per Birnbaum sta nel titolo “Fare Mondi” la chiave per poter recepire quest’esposizione non come una mostra di presentazione a carattere museale, ma bensì come un “workshop, una cucina, un vivace bazar, un laboratorio …”, in cui il pubblico è attivo e non solo un “visitatore”. Purtroppo è rimasta un’intenzione legata al gioco di parole, dato che il “visitatore” resta tale e diviene elemento attivo solo nei buffet o nel notare i vari restauri ed ampliamenti atti a contenere più gente, più opere, più varietà … per attirare spettatori e possibili compratori. Non preoccupatevi c’è né per tutti i gusti! Se non si trova nulla alla Biennale si può provare alla contro biennale o nei collaterali sparsi per tutta la città, si possono trovare mostre di ogni genere, con una cartina si cercano i vari punti d’esposizione e già che ci sei visiti la città. Lo spazio urbano non diviene un ambiente espositivo, un corpo organico funzionale, bensì una caotica e capiente scatola, dove si può trovare di tutto, ma la logica si è temporaneamente assentata. Molto spazio molte opere, ma ben poca attenzione nel valorizzare entrambi. Troppo concentrati sui particolari si sono dimenticati di guardare il tutto da lontano. Tutto sommato ponendo attenzione ai particolari si possono apprezzare per esempio l’installazione di Claude Lévêque presentata dal padiglione francese, un ambiente minimale, ma al contempo molto particolareggiato in grado di rievocare attraverso la luce, il suono e la struttura che delimita lo spazio il momento che precede il cambiamento di una rivoluzione. Un’altra opera meno sofisticata nell’aspetto formale, ma altrettanto efficace nel suo intento di denuncia è “The Greater G8 Advertising Market” (2007-09), scultura interattiva di Anawana Haloba, una critica politica, ironica sulle politiche antidemocratiche dei leader mondiali, che hanno impiantato un mercato della pubblicità composto da prodotti intrisi di un senso d’inutilità. Quindi guardando con attenzione - come un segugio - si possono scovare molte cose interessanti, ma non è di certo vita facile per un semplice visitatore, nonostante la mini guida che elenca tutto quello che vi è da vedere e una cartina che non è mai abbastanza dettagliata, di sicuro non riuscirà a vedere il tutto con così tante cose, avvenimenti, esposizioni … Arrivato a sera scopre che il massimo dell’interazione sta nel consumarsi gli occhi e le suole delle scarpe, ma di certo non potrà dire di aver visto “poca roba”. Sembra quasi si facciano tutti concorrenza! Ci vorrebbe più gioco di squadra e forse anche quel semplice visitatore avrebbe potuto giocare a “Fare Mondi”, oltre che a visitarli. Se è pur vero che le esposizioni ufficiali non sono preposte a favorire il dibattito, che porta al germe di un nuovo linguaggio artistico, è anche vera la speranza irrazionale, che si rinnova ad ogni Biennale, d’imbarcarsi sul “Nautilus” alla scoperta di “nuovi mondi” ed udire nuove idee, incontrare nuove tecnologie, avendo così il privilegio d’ammirare il germogliare del futuro … ma ci si ritrova inconsapevolmente inghiottiti in un turbinio di parole, d’idee consumate, gesti consueti, sguardi andanti e come automi si ribattono vecchi sentieri. La normalità soprattutto oggi che stiamo vivendo nella speranza di superare la svolta inferiore del ciclo congiunturale e contemporaneamente s’inizia a preoccuparsi della possibile crisi di crescita che porterebbe a nuove crisi finanziarie, diviene un’ottima strategia di marketing, quindi la parola d’ordine, necessariamente, diviene … rassicurazione … nulla è più rassicurante d’immagini riconoscibili, legate alla memoria di un recente passato, che danno un senso di normalità apparentemente avulso dal contesto socioeconomico contingente. Il mondo dell’arte non è retto da leggi indipendenti dalla vita economica in un universo chiuso e autonomo, perciò la 53esima Biennale di Venezia è un’opportunità per gli operatori del settore, un’occasione d’usufruire di una vetrina prestigiosa quale essa è. È vero che la Biennale mantiene quella struttura formale retrò, legata al tradizionale nazionalismo comune a tutti gli avvenimenti ufficiali, che porta a ribadire lo scopo per cui nacque, ossia mettere a confronto gli artisti italiani con il mondo; ma il rinnovamento delle strutture e il decentramento dato dagli eventi collaterali hanno in se le tracce di Novità. La crisi economica dà un’opportunità “creatrice” di nuovi mondi, poiché nelle macerie del passato ci sono sempre i germi del futuro, ma guardando, stiamo solo respirando la polvere dei primi crolli, anche se si ha la sensazione di un tempo sospeso, un tempo d’avvento.

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CONTRO BIENNALE

La vera contro biennale è: Pinault, nel Suo far partecipare la città al fermento culturale di una grande città europea, quale è. BY gr.gr. Henri François Pinault - in seguito all’acquisto dell’80 per cento delle quote della nuova società: Palazzo Grassi s.p.a. - sbarca a Venezia con la sua collezione d’arte moderna e contemporanea (una delle cinque più grandi al mondo) a seguito di un’iniziale e inattuata intenzione ubicativa: la vecchia fabbrica Renault di Billancourtviene (FR), ufficialmente abbandonata per problemi di lentezza nella burocrazia francese, perbacco più di quella italiana? Ma a tal riguardo Liberation puntualizza che, comprando Palazzo Grassi per la sua collezione Pinault ha risparmiato 120 milioni di euro, nonostante le spese di restauro! L’avventura veneziana - di colui che oggi è definito il nuovo “Doge” - prosegue poco dopo con l’aggiudicarsi del concorso concernente la gestione della Punta della Dogana (spazio espositivo sul Canal Grande). Al concorso si annunciano due concorrenti: l’uno Pinault, sostenuto dal sindaco M. Cacciari; l’altro la Fondazione Solomon R. Guggenheim, appoggiata dalla Regione e dal finanziere A. Rigotti con Abn Amro, ma - come previsto dal bando - non avendo fornito l’elenco contenente un numero preciso d’opere d’arte destinate a costituire la dotazione permanente del centro per i prossimi 30 anni, quest’ultima si autoesclude con la rinuncia de la Regione a fare ricorso al Tar. Il 7 giugno ha così vita il nuovo polo espositivo, i cui lavori di restauro, seguiti da Tadao Ando, sono durati un anno e mezzo ca., con un costo complessivo - a carico del magnate francese, di 20 milioni di euro. Da qui Cacciari, l’attuale sindaco di Venezia, ha affermato essere tale insediamento in laguna, paragonabile alla nascita della Biennale più di 100 anni fa, alche ci si auspica che la Serenissima divenga l’Autorevole sede per lo svolgersi dell’arte contemporanea, grazie alla Fondazione Pinault. Queste sono le aspettative della città e le Nostre, nonostante le presunte divergenze su di una possibile permanenza post-Biennale dell’opera Ragazzo con rana, a la Punta della Dogana, che per molti potrebbe divenire il nuovo simbolo di Venezia, ma per altri come per il sindaco: «Il ragazzo con la rana di Charles Ray non rimarrà in Punta della Dogana per sempre, verrà tolta non appena la Biennale sarà conclusa». Vedremo poi! Un’ultima polemica è scoppiata ad agosto per la «fermata Pinault», la nuova fermata alla Salute dei vaporetti della linea 2, di cui F. Miracco, portavoce del governatore Giancarlo Galan, parla di: «Favori sospetti, favori forse elargiti perché da Pinault le masse scarseggiano?» ed aggiunge: «Chissà se l'amministrazione comunale sarebbe stata prodiga di favori se a vincere lo strano concorso per Punta della Dogana fosse stata la cordata veneto-veneziana in larga misura composta da istituzioni pubbliche». Ma per Cacciari è: «stragiusto che si favorisca la visita del massimo numero possibile di persone allo straordinario lavoro di recupero che è stato fatto a Punta della Dogana in base al progetto di Tadao Ando. O il dottor Miracco ha qualcosa da obiettare sulla qualità e la competenza del suddetto architetto?» aggiungendo che il “favore sospetto” è limitato al periodo estivo e - per di più - non costa nulla! Di nuovo: «Assicuro Miracco che ogni sosta della linea 2 oltre tale periodo verrà rigorosamente repressa dalle stesse pattuglie dell’Esercito che sono state messe di recente a mia disposizione». Oltre le polemiche, molto spesso legate ad un modo tutto italiano di fare politica partitica, la polemica stantia prevale sull’interesse della città, ma una cosa è certa – ci auguriamo - Venezia non sarà più Venezia Biennale! Un vero progetto contro biennale, insidia la Biennale Istituzione, non la 53a Esposizione Internazionale d’Arte, come la sterile contro biennale a Ca’Pesaro: Non Voltarti Adesso!/Don’t Look Now!, ma la sua futura egemonia!

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U N N U O V O P A D I G L I O N E X

U N V E C C H I O P A D I G L I O N E

Un ‘nuovo’ padiglione a la 53a Biennale di Venezia: www.Padiglionelnternet.com. BY gr.gr.

Fare un’opera, lasciare traccia, registrare non ha più lo stesso senso a seguito dell’avvento dell’infrazione informatica e dell’archiviazione convulsa. Internet, in quanto ambiente di comunicazione, rappresenta l’infrastruttura materiale di una nuova forma organizzativa che, partendo dal mondo della produzione, contamina IL MONDO. La rete come l’arte, è l'interconnessione di collettivi, artisti, attivisti, individualità varie, che riconoscendo obiettivi comuni, agiscono nella più variabile Condivisione delle risorse comunicative, verso un Linguaggio globalizzato, o meglio Unitario. Come nel mondo delle grandi reti, esso è divenuto l’equivalente laico delle cattedrali, e cosi come nel mondo delle cattedrali, la proprietà “artistica” del singolo individuo è caduta in favore di esigenze Comunitarie. Ernest Cassirer ha scritto: “Lo scopo principale di tutte le forme della cultura consiste precisamente nel compito di edificare un mondo comune del pensiero e del sentimento, un mondo umano che vuol essere un xotvòv ... e non un sogno individuale, o una bizzarria o fantasia non meno individuale ... Il linguaggio sembra esser il primo ad imboccare questa strada ed a guidarvi i passi dell’umanità. Esso non può concepirsi al modo di una Lingua universalis”. L’umano è un animale comunicante che agisce nel mondo sulla base di modelli creati con l’appoggio di informazioni ricevute, quindi l’umano culturale ha un comportamento veicolato dall’esterno, ma che pone la sua continuità nella Storia dei prodotti generati dal passato. Alche il legame tra attività artistiche, tecnologiche, etc. nasce dal fine comune di porsi in Relazione, dando vita a un processo APERTO di info-comunicazione. Nella premessa di The Embassy of Piracy si legge: “Tutti siamo l‘Ambasciata e tutti siamo ambasciatori della libertà di internet nel mondo. Sta a noi diffondere, modificare e condividere questa avventura”, espressione - questa - legata alla grande Utopia? Un territorio controllato costantemente: La rete, uno spazio che doveva unire tutto il mondo e aprire le società chiuse, un’utopia! Gli stati hanno ancora punti di vista diversi, il cyberspazio è deterritorializzante per natura, mentre lo stato si basa sul concetto di territorio, la rete e i suoi “beni informatici”, possono transitare da un punto all’altro del pianeta, comportando una perdita di controllo su di una buona parte dei flussi transfrontalieri (economici, informativi, etc.). Ma poiché le legislazioni nazionali sono valide all’interno delle frontiere, basta installare un server in un qualsiasi paradiso dei dati - oltre la frontiera - e si potranno fornire informazioni incriminanti od organizzare comunicazioni proibite; ma guardando la Cina, si vede che, qualora lo voglia, lo Stato è in grado di controllare o meglio censurare con forza ogni comunicazione! Il network globale è una serie di reti incentrate sulle rispettive nazioni-stato, reti ancora connesse al protocollo di Internet, ma separate sotto molti aspetti, e anche se le tecnologie di geoidentificazione vanno facendosi più veloci, economicamente più diffuse, la creazione di reti nazionali chiuse si sta estendendo. Il mondo della comunicazione, concepito come una possibilità di progresso culturale e democratico: Mondiale, è un enorme contenitore censurato, dove TUTTI NOI siamo chiamati a porvi accento, poiché la mancata Rivoluzione delle Reti, ha creato una linea di demarcazione tra gli info-ricchi e gli info-poveri, la cosiddetta frattura digitale o digital divide, a cui è necessario porvi mezzo (rimedio). Per valutare il divario digitale bisogna tener conto del divario globaldemocratico che la Rete produce, le cui disuguaglianze vecchie e nuove, si cristallizzano lungo confini di reddito, genere, istruzione … in un’immensa massa esclusa di info-poverì. Ma Internet - quantomeno in premessa - è il cuore e il polmone della rivoluzione globalpopolare della comunicazione e dell’informazione ed è qui che si muovono pratiche attive come l’’Arte’, creando quegli spazi d’interscambio critico, di cui la realtà quotidiana necessita. Alche la nascita del padiglione Internet, colma un vuoto protrattosi già da troppo tempo in una manifestazione d’Arte Contemporanea, quale è la Biennale di Venezia e nonostante discutibili scelte di rappresentanza, risulta comunque essere un’operazione positiva, nonché irrinunciabile, tanto più perché aperto ad essere l’ingresso per alcuni Collateralismi (mostre collaterali) come: New Wave, uno show online con una componente fisica che vede come protagonisti Petra Cortright (US), Martijn Hendriks (NE), Harm Van den Dorpel (HO), Sinem Erkas (UK), Elna Frederick (US), Parker Ito (US), Oliver Laric (AU), Guthrie Lonergan (US) e Pascual Sisto (ES/US), etc. etc.

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BY gr.gr.

G R A T U i T O Fare il Sociale:

C R i T i C O esemplari da La Biennale di Venezia

C’è posto per tutti anche per Fare Mondi? Eccoci di fronte alla solita utopia, eccoci all’Artocrazia di questa 53esima kermesse veneziana: con tanti Mondi, si certo! Ma con quanti Fare? Alla domanda Noi si risponde con pochi esempi riconducibili al fare Ricerca, tutto il resto: la solita Storia. Tra le già conclamate rappresentanze, cui Daniel Birnbaum ha posto in attenzione, un esempio di prestante Attualità giunge proprio da due operatrici del gratuito: Aleksandra Mir e Anawana Haloba, entrambe erogatrici di quella logica tascabile tanto cara alla Società dei Servizi, che proprio come il libro tascabile giunge ad una più ampia utenza, tanto più se a costo zero. Fuorviando dall’Arsenale con loro eccovi Banu Cennetoğlu con Catalog, da cui è consentito scaricare gratuitamente - esclusivamente per la durata della Biennale - tutte le fotografie, in esso contenute o Las Correspondencias in Sull’economia zero di Pedro G. Romero, in cui si mette in relazione l’intera comunità di Venezia, mediante lettere e/o biglietti, che si inviano fra loro in forma anonima e contenenti notifiche impreviste, debiti e quant’altro sia motivo di preoccupazione, come: soldi e amore. Attenzione: qui l’intento non è disperdere l’attenzione, bensì costituire un gratuito critico cosciente di questa nostra società e della pratica politica in essa operante, dove l’operare la consapevolezza del singolo con trasparenza significa rendere visibile ciò che è invisibile [P. Klee] o come meglio delinea A. Haloba in The Greater G8 advertising Market, che è ambiguo. La pratica partecipativa del Self service, qui in uso impiega un fattore di quotidianità pari allo scontato del nostro fare utenza ed i nomi fin qui citati ne danno atto. Tanti esempi di Commento sociale, supportato - come il ‘900 insegna - da una Quotidianità non più solo rappresentata ma presente, come in Constellation No.3 di Chu Yun. Per cui non vi è più necessità di Fare Arte bensì di Fare il Sociale - ad arte - in una vera e propria logica della pubblica utilità, proprio come all’oggi la ricerca scientifica fa. Da qui eccoci approdare a My Sunshine di Nikola Uzunovski, un vero e proprio progetto scientifico, con tanto di tempi a lungo termine e spazi laboratoriali. Perché: ‘E’ l’arte che ha finito per rappresentare il fattore critico in politica; le scienze sociali si sono convertite in produzioni di governabilità. E’ nell’arte che si concentra la critica sociale perché queste scienze e i partiti elaborano pratiche di omogeneità sociale apparente che riproducono le discriminazioni. […] Il ruolo dell’artista è sempre lo stesso, cioè quello di smantellare l’impostura della rappresentanza politica’ [J. P. Mellado in Intervista a Justo Pastor Mellado di F. La Paglia in cura. Art magazine, n.01, 2009]. Rendere praticabile il politico in un processo di ‘ritorno alla normalità’ - come lo ha definito M. Trimarchi - verso una politica a noi quotidiana. Quotidiana tanto quanto la manifestazione di protesta avvenuta nel buon nome di un lavoro gratuito, ecco ciò che hanno denunziato gli stagisti, gli studenti, i precari operanti nella Biennale con: Give me back my money day, svoltasi nei giorni della vernice veneziana: il precariato di Venezia. Esempio di capitale umano come tanto altro capitale italiano! Altri esempi di un nuovo potere: il potere del Gratuito, di uno sfruttamento camuffato: ad arte! Ma quali sono i termini massimi di sostenibilità di un tale gratuito? O meglio cosa significa educarci nell’essere gratuiti? Ed in assenza di risposte dal Padiglione Italia, dove sono gli italiani? Siamo in cerca di Attivismi Critici!