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Deus Vult 1 · 2020. 5. 13. · Deus Vult - miscellanea di studi sugli Ordini Militari • 137 • del popolo o del proletariato ecc. Le loro organizzazioni si fondavano sull’obbe-dienza

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20 l l - Edizioni Penne & Papiri, TuscaniaCOD. 041.74.096 - ISB 978-88-89336-46-5

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È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasimezzo, senza la preventiva autorizzazione dell 'Editore.

In copertina:Monte Sant' Angelo, chiesa di Santa Maria Maggiore.

Pilastro affrescato, Templare orante (© C. Guzzo).

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Comitato scientifico

Cristian Guzzo - cristian.guzzotddibero.itHelen Nicholson - [email protected]

Anthony Luttrell - margaretluttrel/@gmail.comPhilippe Josserand - phjosserand@wanadoojr

Carlos de Ayala Martinez - [email protected] Amatuccio - [email protected]

Giuseppe Marella - marella.giuseppe@/ibero.itNadia Bagnarini - n.bagnarini@/ibero.it

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“Militia” e “militanza”.

Templari e rivoluzionari di professione a confronto.

Giovanni Amatuccio

Hans Jonas, nel suo ormai classico studio sullo Gnosticismo, dedicava un ul-timo capitolo alla relazione tra il pensiero gnostico dell’Antichità e l’Esistenzia-lismo moderno. Parafrasando le sue premesse metodologiche, in questo saggio mi ripropongo di delineare un confronto tra “due movimenti ampiamente distanti in termini cronologici e concettuali e a prima vista incommensurabili”.1 Nel nostro caso, il primo “movimento” appartiene pienamente al cuore dell’età medievale - sebbene all’interno di esso rappresenti un fenomeno per certi versi atipico - ed è quello dell’Ordine del Tempio; l’altro, invece, è rappresentato da un fenomeno eminentemente “moderno”, quale quello dei cosiddetti “rivolu-zionari di professione” dell’età contemporanea. L’ipotesi qui delineata è che essi abbiano qualcosa in comune nonostante la distanza cronologica che li separa.

L’idea di questa indagine metastorica nasce inizialmente da un sugge-rimento di carattere lessicale desunto da Jean Leclerq. L’eminente studioso notava, in un suo intervento al convegno sulla Militia Christi della Mennola, come il termine “militia” - trapiantato in origine dal lessico militare romano in quello monastico medievale, riferito alla militia Christi quale metafora della pugna spiritualis che il monaco combatteva contro il male - fosse in seguito, in epoca moderna e contemporanea, entrato nel lessico politico con l’accezione di “militanza”, assumendo il nuovo significato relativo, in particolare, all’impegno politico per una causa.2

Da parte mia, aggiungo che, nel caso dei Templari, il termine ritornò ad assumere, oltre al significato metaforico, il suo senso originario riferito al miles realmente combattente. Partendo da questa constatazione lessicale, tenterò qui di cogliere alcuni aspetti di confronto tra due realtà cronologicamente distanti, cercando di dimostrare come ci siano sorprendenti attinenze tra la militia dei Templari e la “militanza” dei rivoluzionari di professione del XIX e XX secolo. Che tra i due fenomeni storici possa esserci una qualche affinità, può sembrare di primo acchito inverosimile; ma l’idea del confronto nasce dalla constatazione

1 H. Jonas, Gnosi e spirito tardo antico, a c. di C. Bonaldi, Milano 2010, p. 1084. 2 notre époque a conservé cette manière de dire, à propos de ceux qui sont ‘militants’ d’un groupe d’Action catholique ou d’un parti politique . (J. Leclercq, Militare Deo dans la tradition patristique et monastique, in Militia Christi e Crociata nei secc. XI-XIII, Milano 1992, pp. 3-18, p. 6).

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che, nel lungo intervallo di tempo che separa le due vicende - in pratica tutto il Basso Medioevo e l’Età Moderna - non si riscontrano simili esperienze per quanto riguarda le caratteristiche che qui andrò a delineare, vale a dire: lotta armata per un ideale superiore, nella quale si sacrifica se stessi, in primo luogo a una rigida disciplina e in secondo luogo alla possibilità del sacrificio estremo. La guerra in questo lungo ciclo storico torna a essere - come lo era nel Medioevo - faccenda di prìncipi e stati, la disciplina militare si basa solo sul deterrente delle punizioni e gli incentivi sono solo di carattere materiale. Gli avvenimenti “rivoluzionari” di questo periodo - penso, ad esempio, alle lotte religiose dei contadini tedeschi durante la Riforma - pur assumendo aspetti di carattere escatologico, non producono organizzazioni permanenti paragonabili ai Templari o ai partiti rivoluzionari dell’Età contemporanea. Lo stesso dicasi per le prime vere esperienze rivoluzionarie dell’Europa del Seicento: la rivoluzione inglese, quella olandese e quella napoletana, dove è l’elemento socio-politico a caratterizzare la direzione e l’organizzazione popolare in quei frangenti tutto sommato sporadici e privi di continuità di lunga durata.

Ciò che invece si verifica nel caso dei Templari e, a distanza di molti secoli, dei rivoluzionari moderni, è che la “lotta armata” contro un nemico “assoluto”, viene a caratterizzarsi in maniera decisamente “ideologica”. In particolare, tre sono, a mio parere, gli aspetti che accomunano i rispettivi atteggiamenti psicologici delle due figure: - l’atteggiamento di fronte alla guerra (o alla “lotta armata”) e all’“ideale”, - il carattere di permanenza della loro scelta, - la rigida disciplina fondata sulla rinuncia alla volontà individuale.

L’anomalia della rottura dello schema tripartito tipico della società medievale (oratores, bellatores, laboratores) rappresentata dai Templari, è stata ampiamente rilevata dalla storiografia. Non a sufficienza, invece, è stata colta un’altra importante anomalia, quella costituita dalla concezione della guerra permanente in nome della fede (‘ideale’). Tale anomalia autorizza ad azzardare il paragone che li vede come precorritori di quelli che saranno i comportamenti che molti secoli dopo diverranno comuni a tanti uomini dell’Europa moderna: i “rivoluzionari di professione”, figura storica che a partire dalla Rivoluzione francese - e precisamente dalle prime esperienza della sinistra giacobina di Babeuf - arriverà fino ai guerriglieri dei nostri giorni, passando per i cospiratori risorgimentali, gli anarchici del XIX secolo e i Bolscevichi; insomma tutto il variegato mondo romantico e post-romantico, che ha fatto della figura del martire e del combattente per l’ideale, l’eroe dei secoli XIX e XX.3 Costoro avevano fondato i valori della propria esistenza su di un giuramento, per il quale s’impegnavano a combattere, uccidere e morire in nome di un “ideale” superiore costituito nella fattispecie da concetti quali libertà, uguaglianza, difesa

3 Il discorso potrebbe essere esteso anche al filone della destra “rivoluzionaria” - fascismo, nazi-smo ecc. - ma ciò richiederebbe una focalizzazione diversa dell’indagine e ulteriore spazio.

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del popolo o del proletariato ecc. Le loro organizzazioni si fondavano sull’obbe-dienza e su di una rigida disciplina, avevano, inoltre, un carattere di perma-nenza, in quanto i militanti si votavano per la vita alla causa.4

È soprattutto nell’opera di Luciano Pellicani, dedicata alle radici storiche del terrorismo, Revolutionary Apocalypse, che troviamo un’eccellente sintesi dei contenuti dell’indagine da seguire, nonché abbondante materiale di riferi-mento. Ad esempio, Pellicani così accenna alle affinità tra lo “spirito rivolu-zionario” moderno e i precedenti medievali:

“…Il rivoluzionario di professione segue una chiamata: militanza ‘con la

consapevolezza che la propria vita ha il significato nel servizio di una causa’. In breve, essere un rivoluzionario di professione significa essere completa-mente dedicato alla rivoluzione; il partito è la sola ragione di vita e la sola fonte di gratificazione psicologica. Significa altresì sottomettersi a una rigo-rosa disciplina, fino al punto di diventare un asceta. Askesis - autodisciplina - è ciò che caratterizza il modo specifico di essere un rivoluzionario di profes-sione. [...] In tal senso il rivoluzionario di professione è il crociato della sov-versione permanente, un monaco guerriero impegnato giorno e notte in una guerra contro altri Ordini, tutti in vario modo corrotti e corrompenti. Per tale scopo egli eliminerà dalla propria vita tutto ciò - sentimenti, interessi, passio-ni, gusti - che possa distrarlo dal suo dovere. Egli perseguirà un inarrestabile processo di auto-purificazione fino a identificarsi completamente e assoluta-mente con la causa e l’istituzione - il partito rivoluzionario - che lo incar-na…”.5

Gli elementi delineati da Pellicani trovano un riscontro evidente nel modello

medievale templare. Dai testi fondanti dell’Ordine (Il de laude, il prologo della Regola) emerge nettamente la convinzione di una devozione totale alla “causa”; causa per la quale il monaco-cavaliere offre il sacrificio della sua vita. Tale sacrificio si pone su un doppio binario: quello della dedizione permanente, caratterizzata, come vedremo meglio in seguito, dalla “rinuncia alla propria volontà”, e quello dell’estremo sacrificio della morte in battaglia. Ed è in nome di tale sacrificio che, al tempo stesso, il combattente templare è autorizzato poi a uccidere e a sacrificare la vita del nemico senza commettere peccato di omicidio. La teoria del malecidium di San Bernardo bene si attaglia alla morale, ad esempio, del rivoluzionario russo che si sente autorizzato a uccidere i re

4 Sui movimenti rivoluzionari del XIX secolo, e in particolare sugli aspetti storico-psicologici, si veda: J. H. Billington, Con il fuoco nella mente. Le origini della fede rivoluzionaria, Bologna 1986, cap. XXV. 5 L. Pellicani, Revolutionary Apocalypse. Ideological Roots of Terrorism, Westport 2003, pp. 104-105 (t.d.A.). Ho attinto a piene mani da questo testo per quanto riguarda suggestioni e cita-zioni, in quanto approfondisce con dovizia di particolari e acume critico la psicologia dei rivolu-zionari moderni. Tuttavia, me ne servo indipendentemente dalle tesi di fondo dell’autore, rivolte a dimostrare la sostanziale appartenenza del Marxismo e dei movimenti correlati, a una sorta di neognosticismo laico.

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poiché essi rappresentano il male assoluto.6 In ciò il gesto trova la sua giustificazione, oltre al fatto che il terrorista, nel colpire a morte il nemico, sacrifica la propria vita.

Del resto, il parallelo tra queste due pur cronologicamente lontane espe-rienze, si ritrova negli stessi scritti dei “padri” rivoluzionari. Ad esempio, con queste parole Friedrich Engels, nel suo saggio su “Schelling e la rivelazione”, celebrava la lotta per “l’Idea” rivoluzionaria:

“… questa corona, questa sposa, questa santa cosa è l’auto-coscienza

dell’umanità (Idea), il nuovo Graal attorno al cui trono le nazioni si riunisco-no […] Questa è la nostra vocazione, diventare i Templari di questo Graal, cinta la spada attorno ai nostri fianchi per la sua causa, rischiando le nostre vite con gioia, nell’ultima guerra santa, che sarà seguita da migliaia di anni di regno della libertà. E tale è la forza dell’Idea che colui che l’ha conosciuta non può cessare di parlare del suo splendore o di proclamare la sua forza conquistatrice, che gioiosamente e con cuore puro offre tutto, sacrifica corpo e anima, vita e proprietà in modo che essa e solo essa trionfi. Colui che la creduto in essa una volta, a cui nella quiete notturna della sua piccola camera è apparsa in tutto il suo splendore, non potrà mai abbandonarla, egli dovrà seguirla dove lo condurrà, anche alla morte…”.7

Questo richiamo ai Templari e al Graal stupisce non poco sulla bocca del

padre del materialismo storico, di certo non sospettabile di manie templariste, pur imperanti nell’Ottocento europeo. Non è un caso che Engels scelga l’esem-pio dei Templari per esaltare la dedizione rivoluzionaria alla “causa”. Pur non essendo, probabilmente, conoscitore della storia del Tempio, egli tuttavia attin-geva a un aspetto dell’immaginario del suo tempo legato alla storia e alla figura dei Templari quali combattenti devoti “alla causa”: il suo riferimento è desunto chiaramente dal Parzival, nel quale i Templari sono rappresentati quali custodi del Graal. Nelle parole di Engels si ritrovano i topoi classici usati già secoli prima nei testi dell’Ordine per esaltare e al tempo stesso legittimare l’azione dei cavalieri di Cristo. Così estrapolato dal contesto generale, il suo linguaggio potrebbe essere tranquillamente scambiato per un frammento di un testo medievale: la guerra santa, il Graal, i Templari ecc. Ciò non dimostra, evidentemente, improbabili ascendenze del pensiero rivoluzionario marxista o pre-marxista dalla storia dell’Ordine, sebbene non è del tutto escluso che la comprovata ispirazione della massoneria settecentesca ai Templari abbia potuto influenzare - a partire dagli Illuminati di Baviera, attraverso le sette post

6 Sane cum occidit malefactorem, non homicida, sed, ut ita dixerim, malicida... Bernardus Clarae-vallensis, Liber ad milites Templi. De laude novae militiae, in Sancti Bernardi opera, III, Roma 1963, pp. 213-239, ed. J. Leclerq et alii, par. 4, p. 214. 7 K. Marx, F. Engels, Historich-Kritische Gesaumtausagabe, Frankfurt am Main: Marx-Engels Archiv, 1927, 1/2 2:225-26 (t.d.A.).

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rivoluzione francese, anche i primi movimenti radicali comunisti (Babeuf ecc.).8 Ciò che qui invece conta è il nesso forte esistente tra la “mentalità” del templare del XII-XIII secolo e quella del “rivoluzionario di professione” del XIX-XX secolo. Del resto, riferimenti diretti di un paragone tra partito bolscevico e Ordini religioso-militari si ritrovano, anche negli stessi discorsi dei suoi leader. Ad esempio è Stalin, in un discorso del luglio 1921, a definire il partito bolscevico come “una sorta di Ordine dei Porta-Spada all’interno dello stato sovietico”; mentre in altra occasione disse a Beria che i bolscevichi erano “una sorta di Ordine religioso-militare”.9

Oltre agli stessi protagonisti, anche la storiografia ha spesso individuato e sottolineato il paragone tra organizzazione rivoluzionaria e organizzazione reli-giosa, assumendo, però, come esempio quello dei Gesuiti, ciò perché esso costituiva l’esempio più visibile e più vicino cronologicamente alla propria esperienza. Il primo, forse, a formulare il paragone fu il generale Dumouriez, che definì i Girondini “i Gesuiti della Rivoluzione”; fu poi Proudhon a usare lo stesso paragone per i Giacobini, e questa formulazione ebbe ampia fortuna venendo ripresa in seguito da altri autori ed esteso poi ai Bolscevichi.10 Molti commentatori, tuttavia, limitano il paragone agli aspetti proverbialmente attribuiti alla Compagnia di Gesù, il cinismo e il machiavellismo. Di recente è stato Luciano Pellicani a titolare un capitolo del suo già citato Revolutionary Apocalypse, proprio “The Jesuits of the Revolution”, dove, invece, il parallelo viene esteso agli aspetti relativi alla disciplina, al concetto di avanguardia intellettuale ecc. È in particolare su questi ultimi aspetti che le caratteristiche attribuite alla Compagnia di Gesù, che vengono messe in risalto nella compa-razione, sono ascrivibili sicuramente all’esperienza più antica del Tempio.11 Il

8 Sulle vicende del Templarismo del XVIII secolo e gli intrecci con Massoneria, Illuminati di Baviera e altre sette, si veda la parte seconda di P. Partner, I Templari, tr. it., Torino 1991. 9 J. V. Stalin Works, From Marx to Mao, vol. 5, Mosca 1957, 74; S. S. Montefiore, Stalin: the Court of the Red Tsar, New York 2003, pp. 85-86. 10 C. F. Du Périer Dumouriez, La vie et les mémoires du général Dumouriez: avec des notes et des éclaircissements historiques, Paris 1823, p. 314; P. J. Proudhon, De la justice dans la révolution et dans l’église, Parigi 1860, p. 172. Sul parallelo tra Gesuiti e Bolscevichi, si veda in particolare R. Fülöp-Miller, The Mind and Face of Bolshevism, Londra 1927, pp. 280 e ss., dove l’autore, partendo dal Dostojevski della Leggenda del Santo inquisitore, si sofferma soprattutto sulle ana-logie etiche, in particolare sul concetto di fine e di mezzo, nonché su quello di gerarchia. 11 “Nel tentativo di comprendere questa diversità (che tutti i partiti comunisti hanno indicato come prova della loro superiorità morale sui partiti riformisti e borghesi), è utile comparare il partito leninista con l’Ordine religioso Gesuita, com’è stato fatto in molte occasioni. Esso è governato dagli stessi principi: la Compagnia di Gesù fu concepita dal suo fondatore come una macchina da guerra al servizio della redenzione. Sebbene non abbia mai confessato il suo debito con Ignazio da Loyola, quando Lenin cominciò il cammino indicato da Bakunin […] accettò la regola fonda-mentale dei gesuiti: perinde ac cadaver. Su questa regola egli costruì l’istituzione che credeva avrebbe salvato l’umanità dalla rovina morale e dall’essere trascinata nella palude borghese. L’obiettivo dichiarato: massima coesione morale e intellettuale del corpo consacrato, rendendolo spiritualmente impervio…” (L. Pellicani, Revolutionary, op. cit., p. 105) (t.d.A.).

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confronto diventa, infatti, più calzante nel caso dei Cavalieri di Cristo, se si tiene presente il dato rappresentato dalla concomitanza dell’ele-mento che abbiamo definito “ideologico” con quello armato, combattente, fatto questo che si riscontra sia nel caso dei Templari sia dei rivoluzionari moderni, ma non in quello dei Gesuiti. Sebbene, infatti, questi ultimi abbiano spesso adottato metodi, linguaggi e metafore di tipo militare, non si può dire che abbiano mai costituito una forza armata realmente combattente.

Il primo dei tre aspetti del paragone, a cui si accennava in precedenza, da considerare è il concetto di militanza per un “ideale”, una causa, per il quale ci si impegna, da una parte, in un servizio “permanente” fino all’estremo sacrificio della vita stessa, dall’altra si è disposti a uccidere il “nemico”, ritenendosi assolti dall’azione violenta e omicida dal valore superiore della causa stessa. Il punto di partenza necessario per l’indagine su tale aspetto è costituito senz’altro dalle linee tracciate da Paul Alphandéry e Alphonse Drupont, i quali nell’ambito della definizione degli elementi ideologici e psicologici dell’ “idea di crociata”, hanno, tra l’altro, messo in evidenza le analogie tra lo spirito escatologico delle crociate medievali e le moderne rivoluzioni “justicières”.12 Un parallelo tra crociata e rivoluzione viene avanzato anche dal filosofo francese Albert Camus, il quale afferma che “La révolution, même et surtout celle qui prétend être matérialiste, n’est qu’une croisade métaphysique démesurée”.13

Se si ammette questa equazione tra crociata e rivoluzione, a maggior ragio-ne, a mio parere, se ne può stabilire un’altra tra monaco-guerriero e rivoluzio-nario tenendo presente la peculiarità del fenomeno templare all’interno del più generale movimento crociato. Il cavaliere, in effetti, si fa Templare per difendere i pellegrini e i Luoghi Santi; ma la sua è una scelta salvifica al pari di quella del pellegrino: egli sceglie di adempiere un voto per garantirsi la salvezza della propria anima. Tuttavia, a differenza del pellegrino, o del crociato, il suo è un voto caratterizzato da una scelta di vita, una scelta definitiva; e in ciò è più simile al monaco, in quanto sceglie di rinunciare alla propria volontà , in un’ottica che è di servizio e di sacrificio, ma che gli garantisce il premio supremo per il Cristiano: la salvezza della propria anima. Se è vero che il pellegrino gerolosomitano conquista la salvezza compiendo il viaggio verso il Santo Sepolcro, ciò sarà ancor più vero per chi, armi in pugno, decide di

12 “…il pensiero di Paul Alphandéry, nel rilevare con forza la realtà di nova religio della Crociata, ha presentito vicinanze tra Crociata e Rivoluzioni. Queste masse povere, custodi della tradizione della Crociata, che cosa contengono in sè se non il potere della Rivoluzione giustizialista ? [...] Avvento del socialismo, quale società del regno, senza classi, giusta, armoniosa. In ciò consiste il compimento comune della Crociata e della Rivoluzione. Tutte e due in movimento verso l’avvento, e affinché il regno sia fatto” (P. Alphandéry, A. Dupront, La Chrétienté et l’idée de Croisade. Recommencements nécessaires (XIIe-XIIIe siècles), Paris 1959, pp. 276-277 (t.d.A.). In altra sede lo stesso Dupront estende il paragone tra i crociati e i rivoluzionari giacobini (A. Dupront, Croisades et eschatologie, in Umanesimo e Esoterismo: Atti del V convegno internazionale di studi umanistici, a c. di E. Castelli, Padova 1960, p. 170). 13 A. Camus, L’homme revolté, Paris 1966, p. 136.

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difendere quei pellegrini e quel luogo, anche se, come nel caso dei fratelli d’Occidente, non partecipa direttamente alla guerra in Oriente, garantendo tuttavia ai combattenti della Terrasanta le risorse economiche e umane.

La novità maggiore dell’Ordine combattente consiste, quindi, nel fatto di aver introdotto un concetto della guerra in nome di un “ideale”, fenomeno al-quanto raro per la storia dell’Occidente e che s’invererà solo nell’epoca con-temporanea. Per rimanere alla storia del Medioevo occidentale, infatti, provia-mo a chiederci per che cosa si combatteva nel Medioevo. I valori per i quali gli uomini mettevano in gioco la propria vita erano quelli dell’onore, della fedeltà, del coraggio, del bottino, del potere. Valori certo comuni a tutte le epoche della storia comprese la nostra, ma che nel medioevo assumevano un significato par-ticolare: onore personale e della stirpe; fedeltà verso il signore, il re, l’imperato-re; coraggio nel combattere, sprezzo della vita; sete di guadagno di bottino, di terre e di potere. Ora, forse per la prima volta nella storia, nell’esperienza delle Crociate, ma ancor più con la nascita degli Ordini Militari, compare il concetto della guerra in nome della fede, quindi per qualche cosa che andava al di là dei valori summenzionati: combattere e morire per qualcosa di più alto, che esulava dai meschini guadagni della vita terrena, ma che aveva come ricompensa la vita eterna. Certo si potrebbe discettare sull’utilitarismo anche di questa concezione, che a ogni modo prevedeva il guiderdone finale, il premio più alto per un Cristiano, per colui cioè che credeva nella resurrezione della carne e nella vita eterna, ma si trattava pur sempre di un premio “ideale”, trascendente.

Se tali considerazioni valgono per i crociati in generale, valgono ancor di più per i monaci-cavalieri, grazie al carattere permanente del loro servizio, e qui veniamo al secondo punto del confronto: la permanenza. Come già ricordato, i Templari e gli altri monaci-cavalieri facevano un voto di servizio permanente, cosa che li rendeva diversi dagli altri crociati. Questi ultimi svolgevano è vero la loro missione, il loro pellegrinaggio armato verso i luoghi Santi, ma conclusa la missione e adempiuto il voto, tornavano alle loro case, ai loro cari e tornavano semmai a combattere di nuovo per l’oro o per il re; oppure, rimanevano in Siria, ma in veste di signori feudali, a difendere e amministrare i loro nuovi patrimoni terrieri. I Templari no, i Templari restavano in servizio permanente, per tutta la loro vita, a combattere per Cristo e per la Chiesa.

Lo stesso elemento della “permanenza” caratterizza anche i rivoluzionari “di professione” contemporanei, i quali si distinguono dalle esperienze coeve dei rivoluzionari, potremmo dire, “occasionali”, vale a dire tutti coloro che, a vario titolo, si trovano coinvolti nei vari episodi di rivolta più o meno organizzate, o nelle stesse grandi rivoluzioni dei secoli XIX e XX. La differenza tra le due figure è facilmente riscontrabile nel carattere permanente delle organizzazioni rivoluzionarie venutesi a formare in Europa a partire dall’espe-rienza Giacobina in poi. Carboneria, sette rivoluzionarie nazionalistiche, su su fino al Partito bolscevico russo della prima ora: in tutte queste organizzazioni la militanza assumeva il carattere di una dedizione permanente, una scelta di vita,

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che impegnava il militante al di là della semplice partecipazione al singolo avvenimento rivoluzionario. Per restare dunque nel nostro paragone, possiamo affermare che il Templare sta al Crociato come il rivoluzionario di professione sta a quello occasionale. Dunque, oltre alle suaccennate differenze di carattere ideologico, un altro elemento fondamentale, quello della permanenza, li distingueva dagli eserciti contemporanei, i quali si costituivano e si scioglievano alla bisogna, senza che ci fossero strutture permanenti quali caserme o simili.14

Il terzo elemento del confronto è costituito dalla concezione della disciplina che caratterizzava entrambi i movimenti in esame. È nota ed emblematica la concezione della disciplina “rivoluzionaria” espressa al massimo livello dal par-tito bolscevico e da i suoi epigoni. Ma in realtà questa concezione della discipli-na veniva da più lontano ed era già patrimonio delle sette rivoluzionarie dell’Ottocento. Una delle testimonianze più sorprendenti in tal senso è riscontrabile negli scritti di Michail Bakunin. Sorprendente perché stupisce trovare, nel padre fondatore della dottrina anarchica, un elogio della disciplina e dell’organizzazione apparentemente stridente rispetto ai canoni del pensiero libertario, ma del resto è risaputo che il partito bolscevico si modellò sulle esperienza dei primi rivoluzionari russi del XIX secolo. Vediamo come, ad esempio, nel seguente passo di Bakunin, si ritrovino i cardini principali del concetto di disciplina e obbedienza, guarda caso attribuiti dall’autore ai Gesuiti, ma che noi sappiamo essere presenti nei fondamenti dell’istituzione templare. In particolare due sono gli elementi che colpiscono per la loro affinità con i testi fondanti del Tempio - quasi sembrerebbero citazioni testuali, se non fosse pressoché sicuro che Bakunin non abbia mai conosciuto tali fonti - : la “rinuncia alla propria volontà” e “l’organizzazione della comunità” che trasforma i molti in un solo individuo:

“Avete mai pensato alla principale ragione della forza e la vitalità

dell’Ordine dei Gesuiti? Vi dirò la ragione. Essa consiste nell’assoluta estin-zione dell’individuo nella volontà e nell’organizzazione della comunità. […] Questo è il sacrificio che io chiedo a tutti gli amici. Io sono il primo pronto a dare questo esempio. Io non voglio essere Io, io voglio essere noi. Solo a questa condizione […] la nostra idea trionferà”.15

Come non riconoscere in queste righe straordinarie corrispondenze con le

parole del De Laude Novae Militiae di Bernardo di Chiaravalle.

14 Mi si perdoni l’autocitazione, ma l’argomento è stato da me approfondito assieme ad altri a-spetti in G. Amatuccio, Dal castrum al claustrum e viceversa. Disciplina monastica e disciplina cavalleresca nell’esperienza templare, in: “Nuova Rivista Storica”, XICV, fasc. I, (2010), pp. 125-154. 15 Cito e traduco da, L. Pellicani, Apolalypse, op. cit., p. 112, nota 45.

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Deus Vult - miscellanea di studi sugli Ordini Militari

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“Vivitur in communi, plane iucunda et sobria conversatione, absque uxo-ribus et absque liberis. Et ne quid desit ex evangelica perfectione, absque omni proprio habitant unius moris in domo una, solliciti servare unitatem spi-ritus in vinculo pacis. Dicas universae multitudinis esse cor unum et animam unam: ita quisque non omnino propriam sequi voluntatem, sed magis obsequi patagi imperanti”.16

Ma dove il paragone diventa ancor più calzante è nella Lettera agli ufficiali

dell’esercito russo, laddove l’anarchico, approfondisce la similitudine tra Gesuiti e rivoluzionari:

“…Mi riferisco a un’organizzazione segreta che già esiste, e che dovrebbe

già contare sulla disciplina, la dedizione e l’appassionata abnegazione dei suoi membri e sulla passiva obbedienza a tutte le direttive di un singolo co-mitato che conosce tutti gli scopi non conosciuti da tutti. I membri di questo comitato hanno dedicato completamente se stessi; ciò li autorizza ad aspettar-si che lo stesso faccia ciascuno dei membri dell’organizzazione. Essi hanno abbandonato tutto ciò che è oggetto del desiderio di orgoglio, ambizione e potere di avidi uomini; rifiutando per uno e per tutto il potere personale, pub-blico e ufficiale, e in generale ogni celebrità nella società, hanno votato essi stessi all’oscurità permanente, lasciando agli altri la gloria dell’apparenza e della fama, preservando per se stessi, e sempre collettivamente, solo l’essenza dell’impresa. Come i Gesuiti, ognuno ha abbandonato la propria volontà, non per sottomissione, ma per l’emancipazione del popolo. All’interno del comitato, quindi nell’intera organizzazione, non è l’individuo che pensa, vuole e agisce, ma la collettività [...] Un serio membro compie ri-gorosamente e in condizionatamente gli Ordini e le istruzioni dall’alto senza chiedere mai, senza voler conoscere, il grado col quale egli contribuisce all’organizzazione. Egli conosce che tale disciplina è un’essenziale garanzia della relativa impersonalità di ogni membro che di conseguenza è la conditio sine qua non della vittoria comune. Egli sa che solo tale tipo di disciplina gli consentirà di contribuire alla formazione di una vera organizzazione e creare una forza rivoluzionaria collettiva che, essendo basata sul potere impersonale del popolo, potrà combattere con successo vis a vis il formidabile potere dell’organizzazione dello Stato…”.17

Il concetto di “abbandonare la propria volontà”, mutuato dalla regola

benedettina, era alla base della disciplina dell’Ordine; scritto a chiare lettere nell’incipit della Regola, ricompare poi in più punti:

16 Bernardus Claraevallensis, Liber, op. cit., IV,7, p. 220. 17 Cito e traduco da, L. Pellicani, Apocalypse, op. cit., pp. 132-133.

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“Noi ci rivolgiamo principalmente a tutti coloro che disdegnano di se-guire le proprie volontà e desiderano, con puro coraggio, servire come cava-lieri il sovrano Re…”.18

“Voi che avete rinunciato alle vostre volontà…”.19 “Noi ordiniamo per comune consiglio, che in questa Casa consacrata da

Dio, nessun fratello combatta o riposi secondo la propria volontà, bensì se-condo gli ordini del maestro, al quale tutti dovranno inchinarsi…”.20

La rigida disciplina del Tempio, era stata mutuata da quella monastica e

adattata alle esigenze militari. Fu proprio essa che permise ai cavalieri dell’Ordine di diventare i formidabili difensori della Terrasanta e degli stessi stati crociati. Grazie a essa, i Templari erano riusciti a creare una formidabile macchina da guerra che non aveva analoghi negli eserciti secolari del tempo.21

In conclusione, possiamo quindi affermare che il fenomeno templare rappresenta un caso singolare e unico nella storia del Medioevo in quanto precursore di elementi “ideologici”, che, trasposti su di un piano profondamente diverso (laico e materialista), solo molti secoli dopo, si dispiegheranno in tutta la loro potenzialità nella storia europea.

18 Il Corpus normativo templare. Edizione dei testi romanzi, con traduzione e commento in italia-no, ed. G. Amatuccio, Galatina, 2009, I, p. i. 19 Ivi, I, p. 1. 20 Ivi, 1, p. 26. 21 Cf. G. Amatuccio, Dal castrum…, op. cit.