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DE Vinis PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL ’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected] LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE Luglio / Agosto 2010 Anno XVII - n. 94 - 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postal e - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/ 02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano

DeVinis n. 94 Luglio-Agosto 2010

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Pubblicazione Ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier

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Page 1: DeVinis n. 94 Luglio-Agosto 2010

DEVinis

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - [email protected]

LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ,LA CUL TURA, IL PIACERE,

I PROTAGONISTI DEL BERE BENE

Luglio / Agosto 2010

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Vino, produttori

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In Italia il consumo di vino risul-ta in diminuzione da diversi anni.Altrettanto sta accadendo neglialtri Paesi europei “tradizionaliproduttori”. Dai quasi 37 milio-ni di ettolitri della fine degli anniOttanta, siamo passati a menodi 25 milioni con un calo di oltreil 30 per cento.Ognuno di noi consuma poco piùdi 40 litri di vino all’anno rispet-to agli oltre 60 di quasi venti annifa. La stessa tendenza ha inte-ressato la Francia, scesa da 66a 53 litri pro-capite. La Spagnapassa invece da 40 a 30 litri. Per le imprese italiane la fortu-na risiede nel fatto che il consu-mo di vino si è ormai diffuso aiquattro angoli del pianeta, diven-tando una delle bevande piùacquistate – o comunque inseri-te in un trend di forte espansione – tra la popolazione.È quanto sta ormai accadendo negli Stati Uniti, dove ilconsumo di vino ha superato – in termini assoluti – illivello di quello italiano (27,3 milioni di ettolitri) o anchein Gran Bretagna, dove i consumi sono praticamenteraddoppiati dal 1990.Alla luce di questo calo strutturale dei consumi sul mer-

cato nazionale e della crescita nelresto del mondo, le imprese vini-cole italiane hanno maggiormen-te focalizzato l’attenzione sullevendite oltre confine: dal 2000al 2008, il valore dell’export divino italiano è infatti passato da2,5 a 3,6 miliardi di euro, deno-tando un incremento di quasi il47 per cento. Il merito principaledi questa crescita è senza dubbiodelle nostre eccellenze enologiche,che vengono apprezzate sempredi più dai consumatori. Ma senzanulla togliere agli amici produtto-ri e agli enologi che lavorano conprofessionalità, un ruolo nonsecondario nella crescita del valo-re dell’export nel mondo ce l’han-no anche i sommelier, che negliultimi anni grazie all’espansioneinternazionale dell’Ais e della Wsa

hanno comunicato pregi, virtù e anche difetti (quandoci sono) dei vini italiani nei migliori ristoranti stellati,negli alberghi, nelle enoteche e durante i convegni e letavole rotonde a cui sono stati invitati. Questi dati checonfortano le nostre scelte e la nostra politica ci spin-gono a fare sempre meglio e sempre di più all’interno eall’esterno dei confini italiani.

di Terenzio Medri

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Anno XVII luglio-agosto 2010Associazione Italiana Sommeliers Editore

Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, [email protected] la pubblicità | Top Communication Sas [email protected] Tel. +39 392/8289316

Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - [email protected]

Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, [email protected]

Hanno collaborato | Francesca Antonacci, Ennio Baccianella, Roberto Bellini, Pamela Bicchi, Carlo Cambi, LuigiCaricato, Mauro Carosso, Riccardo Castaldi, Elisa della Barba, Piermaurizio Di Rienzo, Maurizio Ferrari, AlessandroFranceschini, Natalia Franchi, Paolo Giarrusso, Maddalena Giuffrida, Michela Guadagno, Emanuele Lavizzari,Michela Lugli, Maurizio Maestrelli, Letizia Magnani, Angelo Matteucci, Davide Oltolini, Roberto Piccinelli, PaoloPirovano, Alessandra Rotondi, Luigi Salvo, Ludovica Schiaroli, Lorenzo Simoncelli, Francesco Tarsia, Franco Ziliani.

Fotografie | Archivio AisPer l’articolo a firma di Francesca Antonacci foto © archivio Ramandolo/TommasoliPer l’articolo a firma di Mauro Carosso foto di Maurizio VincentiPer le foto dell’articolo a firma di Ludovica Schiaroli si ringrazia Gastronomade, nuovo canale di aggregazione per lavalorizzazione della cultura e del turismo enogastronomico: www.gastronomade.tvPer l’articolo a firma di Letizia Magnani foto di Laura PacchioniPer l’articolo a firma di Michela Guadagno foto di Giovanni LambertiSi ringrazia la redazione di Bibenda e Stefano Segati per le foto dell’Oscar del Vino - Premio Internazionale delVino 2010

Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001

Associato USPI

Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA € 20,00 ESTERO € 45,00Intestare ad “Associazione Italiana Sommeliers – viale Monza, 9 – 20125 Milano” specificando il motivo del versa-mento da effettuarsi secondo una delle tre seguenti modalità:- pagamento tramite c/c postale 000058623208 - bonifico su Banco Posta, codice IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codi-

ce SWIFT BPPIITRRXXX)- bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano,

IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001)

Chiuso in redazione il 28-6-2010

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La quota associativa è di 80 euro e comprende l’abbonamento annuoalla rivista ufficiale AIS e alla GuidaDuemilavini edizione 2011.

Rinnovo quota associativa 2010

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La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene.

AIS Associazione Italiana SommeliersPresidente | Terenzio MedriVicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella RomaniMembri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, LorenzoGiuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

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All’interno 20 Turismo LE STRADE E I VIGNETI DELL’UMBRIA

52 Tendenze PREGI E DIFETTI DELL’ESTATE

68 Olio AROMI DA SCOPRIRE

70 Birra SPEGNERE LA SETE E RINFRESCARE IL PALATO

72 Distillati È UNA DONNA “IL MAGO” DEI RON

74 Acqua UN CORRETTO ESAME OLFATTIVO

83 Musei LA STORIA DELLA GUINNESS

96 Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI

98 Io non ci sto! SERVONO NUOVE CANTINE SOCIALI NON MAXI STRUTTURE

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Luglio / Agosto 2010

6 Il trofeo più ambito

IL CONCORSO MONDIALE DEI SOMMELIER A SANTO DOMINGO

10 Il vino nel cuore d’Italia

PERUGIA ACCOGLIE IL CONGRESSO NAZIONALE 2010

24 All’ombra del vulcano

UN BRINDISI CON I VINI DELL’ETNA

30 Vigneti ai piedi dei monti

IL TRENTINO IN DEGUSTAZIONE

35 Monsieur Pinot Noir

UNA GIORNATA PARTICOLARE NEL DOMAINE DE LA ROMANÉE CONTI

38 Appuntamento con la storia a Lessona

LE BOTTIGLIE CHE HANNO FATTO L’UNITÀ D’ITALIA

42 Il profumo del Sud

VIAGGIO NELL’IRPINIA DA BERE

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Il migliore

del mondosbarca

in un paradisoterrestre

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Apochi passi dal Mar dei Caraibi, in un paradiso terrestre, ma non saràper trascorrere una vacanza: la Wordwide Sommelier Association sbar-ca in ottobre a Santo Domingo per il concorso Miglior Sommelier del

Mondo 2010. Dopo la finale di Roma di due anni fa, è la capitale dellaRepubblica Dominicana a ospitare i professionisti più esperti del pianetaper l’assegnazione del titolo mondiale.Già da diversi anni la WSA è presente ai Caraibi e questo evento internazio-nale è la conferma che il lavoro svolto ha raggiunto risultati ampiamentesoddisfacenti. «La cultura del cibo e del vino nei Paesi caraibici» ha sottoli-neato Terenzio Medri, presidente della Worldwide Sommelier Association, «èmolto distante dalle nostre tradizioni e dal nostro modo di concepire l’eno-gastronomia. L’obiettivo principale è quello di diffondere la nostra culturadel vino anche in questi luoghi, ma sempre in continuo dialogo e confrontocon gli usi e i costumi enoalimentari locali».Nel 2004 il primo gruppo di appassionati, tutti diplomati provenienti daicorsi Ais, costituiscono una delegazione iniziando a organizzare un primolivello con docenti provenienti dall’Italia. A partire dal 2008, grazie a unacollaborazione più stretta con El Catador e l’intervento di Thomas Sartoricome relatore dei corsi, si avvia un intenso programma didattico e un fittarete di iniziative. Per la diffusione della cultura del vino e della gastrono-mia nei Caraibi si diffondono così corsi professionali, degustazioni, labora-tori di abbinamento cibo-vino, cene didattiche e conferenze. «I nostri corsisono nella lingua ufficiale del Paese, lo spagnolo e considerando che laRepubblica Dominicana ha molto poco da condividere con il vino se non ilconsumo, questo già si può considerare un grande risultato» ha conferma-

LA WORDWIDE

SOMMELIER

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OTTOBRE A SANTO

DOMINGO PER ILCONCORSO MIGLIOR

SOMMELIER DEL

MONDO 2010. DOPO LA

FINALE DI ROMA DI DUE

ANNI FA, È LA CAPITALE

DELLA REPUBBLICA

DOMINICA A OSPITARE I

PROFESSIONISTI PIÙ

ESPERTI DEL PIANETA

PER L’ASSEGNAZIONE

DEL TITOLO MONDIALE

di Emanuele Lavizzari

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Birra e rum, non potrebbe essere altri-menti. Queste le bevande più diffusenella Repubblica Dominicana. Il climatropicale e una temperatura media tra25 e 30 °C durante tutto l’arco dell’an-no invitano i dominicani a fare unapausa in qualsiasi momento della gior-nata, con una “fría”, così generalmen-te viene indicata la birra ghiacciata. Etra i prodotti locali la birra nazionalePresidente rappresenta un vero orgo-glio popolare, tanto che il termine haormai assunto una connotazione pre-

cisa: “Una Presidente por favor!” significa “Una birra perfavore!”. Il rum rappresenta la bevanda tropicale perantonomasia e senza dubbio alcuni tra i migliori rum delmondo provengono dalle isole caraibiche. La grandevarietà prodotta in questo Paese deriva dal fatto chemolto elevata è la coltivazione di canna da zucchero.Un distillato che racchiude il sé il sapore della propria ori-gine, i profumi intensi di una terra lontana, in cui il fasci-no del mare sconfinato e della foresta incontaminata hada sempre fatto da sfondo a leggende di pirati e corsa-ri. I coloni secoli fa notarono che dalla distillazione delsucco e della melassa della canna da zucchero si otte-neva un prodotto alcolico con una personalità ben defi-

nita e particolari caratteristiche organolettiche. Così nelcorso dei secoli processi di lavorazione sempre più ricer-cati e complessi ci hanno restituito il “ron” che conoscia-mo. Più lungo è il processo di invecchiamento, più pre-giata è la qualità del rum. In ogni caso, ciascuna tipolo-gia di rum sa esaltare il proprio corredo di profumi e sfu-mature se degustata correttamente: i rum bianchidanno il meglio di sé quando vengono miscelati in cock-tail e long drink o se accostati alla Coca Cola. La com-binazione coca e rum, infatti,non è una tradizione solamentecubana. Gli añejos e gli ambrati,invecchiati nel legno per unperiodo compreso tra i tre e i cin-que anni, si fanno apprezzaremolto bene da soli, ma sono squi-siti anche on the rocks o combi-nati nei cocktail a base di frutta.Gli invecchiati vengono affinati in rovere o quercia peralmeno dieci anni e sono serviti nella copita da sherry onel classico balloon di cristallo. Regalano sensazioniintense, frutto del loro incredibile spettro aromatico otte-nuto anche grazie alla loro lunga permanenza in legnipregiati che, con il passare del tempo, fanno emergerenote di frutta matura, caramello, tabacco biondo, vani-glia e sentori balsamici.

La tradizione della Repubblica Dominicana

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to Thomas Sartori. In effetti, il numero crescente dipartecipanti ai corsi di Santo Domingo di madrelinguaspagnola ha reso necessario strutturare le lezioni in que-sto modo. «Siamo orgogliosi che la WSA» ha aggiuntoSartori «ci abbia affidato la responsabilità di organizza-re il prossimo concorso Miglior Sommelier del Mondo2010 qui in Repubblica Dominicana. Qualcosa di impen-sabile fino all’altro ieri!».

LA FINALEAlla finalissima di mercoledì 13 ottobre, aperta al pubbli-co, accederanno i tre sommelier che hanno ottenuto ilmiglior punteggio nelle semifinali del giorno prima: un que-stionario teorico, una degustazione alla cieca, con relati-va descrizione tecnica e organolettica di due vini selezio-nati dal comitato tecnico, un test di abbinamento cibo-vinoe una prova pratica di servizio selezioneranno i tre finali-sti. La prova finale si svolgerà in due parti.1) Degustazione e correzione di una carta dei vini

- Analisi organolettica di cinque prodotti e loro relativapresentazione al pubblico secondo i principi stabiliti inmateria di degustazione organolettica. Il comitato tec-nico sceglierà in segreto i cinque prodotti in esame.

Per ogni prova la giuria elaborerà una scheda tecnica insintonia alle griglie di valutazione preparate.- Correzione della carta dei vini. I candidati dovrannoevidenziare gli errori riscontrati nella carta dei vinisottoposta alla loro attenzione.

2) Prova di servizio a) Servizio dell’aperitivo, in accordo con i commensali.b) Abbinamento cibo-vino. A ogni candidato sarà asse-gnato un tavolo con almeno due commensali, il serviziodovrà essere eseguito nella lingua prescelta; il candida-to dovrà consigliare i vini più adattati al menu di cucinainternazionale (che sarà presentato dallo chef cinqueminuti prima della prova), motivando le proprie scelte.Il menu per questa prova sarà stabilito dal comitato tec-nico e redatto in francese e in inglese. c) Prova di conversazione. Il candidato sarà chiamatoa rispondere correttamente alle richieste dei commen-sali.d) Prova di decantazione. Durante questa prova, la giu-ria sarà chiamata a valutare la presentazione e lo stiledel finalista (tenuta, espressione, descrizione, abilità nelservizio ecc.), in accordo con i criteri internazionali adot-tati dal comitato tecnico.

REPUBBLICA DOMINICANALa Repubblica Dominicana è una democrazia rappresentativa situatanei due terzi orientali dell'isola caraibica di Hispaniola, nelle GrandiAntille. Confina a ovest con la repubblica di Haiti ed è bagnata a norddall'Oceano Atlantico, a sud dal Mar dei Caraibi e a est con il Canaledella Mona, che la separa da Porto Rico. La capitale è SantoDomingo.Il clima è prevalentemente tropicale, con piogge abbondanti e unatemperatura media, durante tutto l'arco dell'anno, tra 25 e 30 °C. Leuniche eccezioni si registrano nelle zone a elevata altitudine, dovedurante la stagione invernale le temperature scendono fino a -5 °C. A seconda della stagione, inoltre, le giornate durano da 11 a 13 ore.Nell'agricoltura, le colture prevalenti e di maggiore reddito sonoquelle orientate alle esportazioni: canna da zucchero, caffè, cacao,tabacco, presenti in tutte le pianure interne. Tra le colture destinateall'alimentazione locale, prevalgono il riso, il mais e la manioca.

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Dopo la conquista del titolo europeo lo scorso 15novembre a San Marino, Luca Gardini cerca ora l’affer-mazione sul gradino più alto del podio mondiale.Originario di Ravenna, si è formato presso l’IstitutoTecnico Agrario Luigi Perdisia. È diventato sommelierprofessionista poco più che ventenne dopo anni digavetta tra hotel e ristoranti della Romagna. Tra le sueesperienze professionali non si può non ricordare quellacome chef sommelier presso l’Enoteca Pinchiorri, ilfamoso Tre Stelle Michelin in pieno centro storico aFirenze. Attualmente ricopre lo stesso ruolo al RistoranteCracco di Milano. Tra le sue numerosissime affermazionicitiamo il concorso Nebbiolo 2003, il titolo regionale emaster Sangiovese nello stesso anno, il premio MigliorSommelier d’Italia 2004 e, come già indicato, MigliorSommelier d’Europa 2009.

Dall’Europa verso la fascia iridata

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Il cuore verde

d’Italia,centro pulsante

del vino

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IL 44° CONGRESSO NAZIONALE AIS DOPO SEDICI ANNI TORNA IN UMBRIA, CON UN

PROGRAMMA RICCO, CHE RISCOPRE I GRANDI VINI LOCALI E LE BELLEZZE ARTISTICHE

di Ennio Baccianella

Emozione, passione, grande professionalità e organiz-zazione, questi sono stati gli elementi che hanno per-messo al direttivo dell’Ais di scegliere, tra le regioni

d’Italia, l’Umbria come sede del prossimo Congresso nazio-nale, che si svolgerà a Perugia dal 30 settembre al 4 otto-bre. Un grande evento non solo rivolto agli oltre 30mila som-melier iscritti all’associazione ma indirizzato ai milioni diappassionati e addetti al settore eno-gastronomico che ruo-tano intorno al mondo del vino. Numerosi i patrocini offer-ti all’evento. Da quello del ministero delle Politiche Agricole,Alimentari e Forestali alla Regione Umbria, dalla Provinciaal Comune, dalla Camera di Commercio di Perugia alle asso-ciazioni di categoria regionali, quali le Strade del Vino e laStrada dell’Olio, a dimostrazione dell’interesse e dell’impor-tanza che riveste a livello nazionale il 44° Congresso Ais.

PROGRAMMA CONSIGLIERIGiovedì 30 settembre: arrivo a Perugia della Giunta esecu-tiva nazionale e dei consiglieri nazionali presso l’Hotel Brufani,nel pieno centro storico della città e alle ore 11.30 riunionedella Giunta esecutiva nazionale che nel tardo pomeriggiosi trasferirà presso le Cantine Caprai a Montefalco per unavisita e per partecipare in serata alla cena di gala.Venerdì 1 ottobre: trasferimento a Torgiano presso il relaisTre Vaselle per la prevista riunione del Consiglio nazionalee nel pomeriggio visita al Museo del vino e dell’olio.

PROGRAMMA CONGRESSISTIVenerdì 1 ottobre: in mattinata arrivo dei congressisti pro-venienti da ogni parte d’Italia e, alle ore 15.30, inaugura-zione della Mostra Mercato Umbria Bella e Buona, con pro-tagoniste le eccellenze agro-alimentari e artistiche regionaliumbre, che si svolgerà all’interno della Rocca Paolina, inpieno centro storico di Perugia. Alle ore 16.00 semifinale sele-zione “Primo Sommelier d’Italia 2010, Premio Franciacorta”e in contemporanea, incontro della presidenza Ais con i dele-gati di tutta Italia. Seguirà in Piazza della Repubblica, inesclusiva per l’Italia, “Happy Hour 61”, aperitivo in stile Anni’60 offerto ai congressisti e alla città di Perugia dall’AziendaGuido Berlucchi. La serata proseguirà con il Gran Galàdi benvenuto alle ore 20.30 presso l’Egizia Dancing diDeruta con protagonisti i vini della “Strada del Cantico”:Torgiano Rosso Riserva Docg e le Doc Assisi, Torgiano,Colli Martani e Colli Perugini. Durante la cena consegnadella borsa di studio premio “Bonaventura Maschio – Laricerca dell’eccellenza”. Allieterà la serata uno spettacolomusicale a sorpresa.Sabato 2 ottobre: dopo la partenza per le varie destinazio-ni, meta delle numerose escursioni, alle ore 9.30, presso laSala dei Notari, cerimonia di apertura del 44° Congressonazionale Ais alle presenza delle autorità. Dopo la cerimo-nia tavola rotonda sull’importante tema “Perché l’Italia delvino non riesce a fare sistema?” con la presenza di illustripersonaggi del mondo della stampa e dell’enologia. Al ter-mine assemblea nazionale dei soci. Alle 13.30, all’interno del Centro espositivo della Provincianella Rocca Paolina, pranzo in compagnia dei vini Doc della

“Strada Etrusco Romana” in Umbria da Gustare, dove le DocColli Amerini, Orvieto, Rosso Orvietano e Corbara sarannoprotagoniste.Appuntamento nel pomeriggio alle ore 16.00 nel TeatroPavone di Perugia con la finale “Primo Sommelier d’Italia2010, premio Franciacorta”, cui seguirà in Piazza dellaRepubblica, in esclusiva per l’Italia, “Franciacorta: unionedi passioni”. Il Consorzio della Franciacorta e i finalisti delconcorso “Primo Sommelier d’Italia, premio Franciacorta”,saranno protagonisti dello show delle bollicine insieme atutti i congressisti e alla movida perugina. Alle ore 20.30 incontro conviviale presso il suggestivo com-plesso monumentale di Santa Giuliana per “La Notte delleStelle”: appuntamento con gli chef stellati umbri MarcoBistarelli del ristorante Il Postale e Marco Gubbiotti del risto-rante La Bastiglia, che incanteranno i congressisti con leloro creazioni, protagoniste insieme ai vini del Consorzio diMontefalco. Concluderà la serata la proclamazione del “PrimoSommelier d’Italia 2010, premio Franciacorta”.Domenica 3 ottobre: dopo la partenza per le varie destina-zioni, meta delle numerose escursioni, alle ore 10.00 visitaguidata, su prenotazione, alla città di Perugia e alle bellez-ze artistiche.Alle 11.30 appuntamento all’Hotel Brufani Palace con “I viniche hanno fatto la storia dell’Umbria”. Da sempre la regio-ne Umbria protagonista con la sue produzioni enologiche diqualità crescente ha lasciato con alcune sue etichette segnitangibili nella storia enologica nazionale e quindi Ais Umbriaha organizzato una degustazione di annate storiche di alcu-ni vini che hanno portato l’immagine dell’Umbria in Italia enel mondo.Alcuni vini in degustazione: Rubesco Riserva VignaMonticchio e San Giorgio Lungarotti, Cervaro della SalaCastello della Sala, Sagrantino di Montefalco 25 anni Caprai,Orvieto Classico Campo del Guardiano Palazzone, ArquataRosso Adanti, Rubino La Palazzola. Lunedì 4 ottobre: partenza con escursione libera ad Assisi inoccasione delle celebrazioni della festa di San Francesco,patrono d’Italia. Solenni cerimonie liturgiche nelle Basilichedi Santa Maria degli Angeli e di San Francesco. Le manife-stazioni collaterali comprendono spettacoli di danze e cantipopolari.

ALLA SCOPERTA DEL TERRITORIOLA ROCCA PAOLINANel 1540, durante il papato di Paolo III Farnese, Perugia,dopo la sconfitta nella Guerra del Sale, perse da ultimo comu-ne d’Italia la sua indipendenza. In segno di affermazione delrinnovato dominio pontificio, Antonio da Sangallo il Giovanefu incaricato di costruire un’imponente fortezza sul ColleLandone, distruggendo l’intero quartiere dei Baglioni (la fami-glia perugina più invisa dal papa) e il Borgo di S. Giuliano.A questo scopo più di cento case ma anche chiese e mona-steri vennero rasi al suolo per ricavarne materiali per lacostruzione. Il Papa volle che il suo progetto venisse realiz-zato in tempi brevi e pertanto incaricò, quale architetto del-l’opera, Antonio da Sangallo il Giovane, il quale riuscì a fare

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della nuova Rocca, voluta da PaoloIII e perciò detta Paolina, non solouna possente costruzione milita-re, ma anche una grande operad’arte. Egli ebbe, tra l’altro, la sen-sibilità di non distruggere l’etruscaPorta Marzia, ma la smontò e rein-castonò nella rocca, così come oggiappare, comunque privandola persempre della sua funzione. Il Papain persona effettuò in tre anni bensette sopralluoghi, per accertarsiche tutto procedesse speditamen-te. Per reperire denaro, non si esitòa disfare e poi vendere i singoli pezzi di travertino dell’anti-ca porta etrusca di Porta Sole, probabilmente ubicata all’estre-mità nord della Piazza del Sopramuro, l’odierna PiazzaMatteotti. Fu così che il nuovo considerevolissimo edificio fucompletato in soli tre anni, cosa perfino adesso difficilmen-te realizzabile. Oggi, dall’esterno, rimane visibile solamenteun tratto delle mura di sostegno in Viale Indipendenza e ilbastione di levante sulla Via Marzia, che incorpora l’etru-sca Porta Marzia, dalla quale si accede alle imponenti fon-dazioni che utilizzarono il quartiere dei Baglionicon la via Bagliona e le sue case in pietra benindividuabili fra le mura in mattoni aggiuntedal Sangallo. Un altro percorso, molto sug-gestivo, è quello delle scale mobili che por-tano dal parcheggio di Piazza Partigianiattraverso la Rocca sotto il porticato late-rale del Palazzo del Governo (1870, sededella Provincia) in Piazza Italia, circondatada edifici costruiti in seguito alla demolizionedella Rocca: Albergo Brufani 1880, Banca d’Italia1871, Palazzo Cesaroni 1897 e ora sede del Consiglio regio-nale e il Condominio residenziale 1872, ambedue dell’archi-tetto perugino Guglielmo Calderini che ha firmato anche ilPalazzo di Giustizia a Roma.

LA STORICA SALA DEI NOTARIÈ situata presso Palazzo dei Priori, di fronte a Piazza IVNovembre, in pieno centro di Perugia. Risalente all’epocamedievale in cui fu edificato il palazzo, ad essa si accede permezzo di una scalinata sopra la quale fanno bella mostra il

Grifo e il Leone di Perugia. Al latodestro della scalinata, guardando lafacciata del Palazzo dei Priori, puòscorgersi ancora il pulpito dai qualile magistrature cittadine di epocacomunale erano solite parlare allapopolazione. All’interno la Sala deiNotari si articola su di una piantarettangolare con pareti finementedecorate e sormontate da volteromaniche. Gli affreschi sono statipurtroppo involgariti da riprese pit-toriche di non particolare pregio, chefortunatamente non sono riuscite a

offuscare interamente l’originaria eleganza e bellezza dellasala. Sono particolarmente suggestivi gli affreschi degli stem-mi araldici delle famiglie nobiliari perugine, tra cui svetta,su tutte, quella dei Bracceschi, innalzata ai vertici cittadi-ni da Braccio Fortebraccio da Montone, fulgido esempio dicondottiero medievale, che osò sfidare il papato, saccheg-giando Roma, e fu sconfitto dagli intrighi contro di lui ordi-ti, nella ferale battaglia de L’Aquila. La Sala dei Notari è oggisede di incontri pubblici e di concerti corali e di musica clas-sica.

IL COMPLESSO DI SANTA GIULIANAIl complesso di Santa Giuliana, costituito dalla chie-sa e dall’ex monastero femminile cistercense, risa-le al 1253 e fu restaurato nel Cinquecento, ma suc-cessivamente soppresso dai Francesi nel 1797 etrasformato in granaio. Parte del monastero è ora

sede della Scuola di lingue estere dell’esercito. Lafacciata della chiesa è del Trecento ed è rivestita di

marmi policromi a disegno geometrico. Bello il portalesovrastato da uno splendido rosone. L’interno è a una solanavata, con pareti rivestite da frammenti di decorazioni eda affreschi di scuole ed epoche diverse. Un affresco del1250 raffigura l’Ultima cena, un altro, quattrocentesco, laCrocifissione. Altri affreschi mostrano angeli, santi, gli evan-gelisti e l’Agnello mistico. Notevole l’Incoronazione dellaVergine, affresco staccato del XIII secolo. L’ex monasterocistercense è situato sul fianco destro della chiesa e, supe-rato il magnifico portale duecentesco, si giunge al grandeChiostro, costruito intorno al 1376 e attribuito a Matteo

� La rocca Paolina � Il Palazzo dei Priori in Piazza IV Novembre

� Pietro Vannucci detto ilPerugino, autoritratto

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Gattapone. È costituito da pilastri poligonali a fasce bian-che e rosse e da un loggiato superiore a trifore.

LA GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIALe collezioni della Galleria Nazionale dell’Umbria sono ospi-tate dal 1878 ai piani superiori di Palazzo dei Priori, uno deipiù interessanti esempi di edilizia civile gotica in Italia. Laraccolta museale è la più esaustiva e completa della regio-ne, per la varietà e la molteplicità delle testimonianze arti-stiche pertinenti a un arco cronologico compreso tra il XIIIe il XIX secolo. Parte dei lavori qui conservati costituivanoil ricco patrimonio a uso didattico dell’Accademia di Perugia,fondata nel 1573. Ad esse si aggiunsero opere donate da pri-vati e quelle demanializzate dopo i provvedimenti di soppres-

sione degli ordini e delle corporazioni religiose, emanati primadal governo napoleonico e in seguito dallo Stato italiano. Laconsistenza numerica e il valore della raccolta portarono nel1863 all’istituzione di una Pinacoteca civica, intitolata aPietro Vannucci. Nel 1918 fu ceduta allo Stato e assunse il nome di RegiaGalleria Vannucci, poi Galleria nazionale dell’UmbriaL’ordinamento museografico, presentato nella sua veste defi-nitiva nel dicembre 2006, propone le opere in sequenza cro-nologica. Le testimonianze dal XIII al XV secolo sono espo-ste al terzo piano, quelle dal XVI al XIX secolo sono pre-sentate al secondo; il percorso è intervallato da sezioni mono-grafiche dedicate ai tessuti umbri, all’oreficeria, alle cera-miche, alla grafica antica e alla topografia.

Una realtà associativa con la dignità istituzionale di un consorzio di tutelanon si può improvvisare in poco tempo. Si tratta di storie che vengono dalontano, di reti che raccolgono le volontà dei produttori, indirizzando i comu-ni sforzi verso uguali obiettivi, la fatica del lavoro quotidiano verso il riconosci-mento della propria attività. È il caso del Consorzio Tutela Vini Montefalco,una realtà giovane nata nel 1981, all’indomani del riconoscimento delMontefalco Doc, ma in realtà rifondata e potenziata solo nel 2001. L’area sifregiava allora di un grande fermento per l’interesse di numerosi produttori eneoproduttori che si contendevano i migliori terreni a cifre esorbitanti perimpiantare i propri vigneti e per costruire cantine d’avanguardia. È impor-tante sottolineare come negli ultimi sei anni siano state edificate quarantanuove cantine circa, oltre a ulteriori dieci in fase di realizzazione, e una quantità di manodopera assorbi-

ta, che fa del Montefalco una delle isole felicidel settore vitivinicolo. Un distretto produttivocresciuto a tempo di record attorno a un vitig-no autoctono di gran pregio: il Sagrantino. Unboom sconosciuto a tutte le restanti aree viti-cole che sono partite con la produzione e lanotorietà qualche anno prima, ma che hannoimpiegato un lasso di tempo maggiore persviluppare strutture, capacità e forza lavorospecializzata. Il Sagrantino, forte di una tipicitàe di un legame al territorio che non ha eguali,si è avvantaggiato dell’interesse di grandi pro-duttori che hanno creduto e investito nellazona, apportando capitali, know-how e unaforte carica di imprenditorialità.

Il Consorzio Tutela Vini Montefalco

� La sala dei Notari La GalleriaNazionale

dell'Umbria

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Convocazione

ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA PER MODIFICHE STATUTARIE

Il Consiglio Nazionale dell’Associazione Italiana Sommeliers ai sensi dell’art. 9 dello StatutoSociale e in esecuzione della delibera

del 12 luglio 2010

convoca gli iscritti dell’Associazione Italiana Sommeliers all’Assemblea che sarà tenuta il gior-no 5 settembre 2010 alle ore 6.00 in prima convocazione e il giorno 6 settembre 2010 alleore 10.00 in seconda convocazione presso Hotel Rome Cavalieri – Via Cadlolo 101, Roma

per la trattazione del seguente

ORDINE DEL GIORNO

Approvazione delle modifiche statutarie proposte dal Consiglio Nazionale dei seguenti articoli dello Statuto vigente: 6, 12, 13, 19, 20.

Il testo delle modifiche è pubblicato sul sito ufficiale dell’associazione www.sommelier.it

Il PresidenteTerenzio Medri

ESTRATTO DAGLI ARTICOLI 5 - 6 - 9 DELLO STATUTO

Possono partecipare all’Assemblea gli iscritti all’A.I.S. come da Art. 5 dell’attuale Statuto asso-ciativo. Possono deliberare e quindi votare l’approvazione delle modifiche statutarie gli iscritti all’A.I.S.come da art. 5/A, in regola con il pagamento della quota sociale.Non sono ammesse deleghe. Le modifiche dello Statuto saranno valide in prima convoca-zione con la presenza e il voto favorevole di almeno due terzi dei soci aventi diritto al voto ein seconda convocazione con il voto favorevole di almeno due terzi dei soci presenti aven-ti diritto al voto.

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Il rilancio dell’Umbria Felix

e del Sagrantino

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Tra Bacco e tabacco stavolta ci si è messa di mezzo Venere. Non sembriirrispettoso questo calembour per la neo Assessore all’Agricoltura dellaRegione Umbria, Fernanda Cecchini, ma alcune sue dichiarazioni hanno

riagitato le acque, per la verità mai abbastanza tranquille, nel mare magnumdelle polemiche che da un paio di anni a questa parte increspano l’arcadicoprofilo delle campagne attorno ad Assisi, la città di frate Francesco e della paceuniversale. È faccenda che riguarda molto da vicino uno dei vini più rappre-sentativi della qualità italiana: il Sagrantino di Montefalco. E che si porta die-tro un problema assai più generale e centrale: il ruolo dell’agricoltura nello svi-luppo sostenibile dei territori. L’Ais sbarcherà in Umbria per tenere il suo congresso nazionale. E stata unascelta precisa quella del presidente Terenzio Medri: ribadire il ruolo della viti-vinicoltura di qualità nello sviluppo anche turistico dei territori da vino e porrecosì la figura del sommelier al centro non solo dell’expertise delle bottiglie madello scenario culturale che ruota attorno al vino: il paesaggio, l’arte, lo stile divita. Oggi il sommelier è più che mai chiamato a essere un divulgatore della

SOSTENERE LE COLTIVAZIONI DI TABACCO PIUTTOSTO CHE PUNTARE A

QUALIFICARE LA PRODUZIONE ENOICA DI MONTEFALCO. UNA PROPOSTA

QUELLA DELL’ASSESSORE REGIONALE ALL’AGRICOLTURA, FERNANDA

CECCHINI, CHE LASCIA PERPLESSI, SOPRATTUTTO RIFERITA A UNA REGIONE

DALLA FORTE VOCAZIONE VITIVINICOLA. E PER RIBADIRE IL RUOLO DELLA

VITICOLTURA DI QUALITÀ NELLO SVILUPPO ANCHE TURISTICO, L’AIS SCEGLIE

L’UMBRIA PER IL SUO CONGRESSO NAZIONALE

di Carlo Cambi

� Fernanda Cecchini, Assessorealle Politiche agricole eagroalimentari della RegioneUmbria

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cultura complessiva del vino come frutto della terra e delle attività dell’uomo.La scelta dell’Umbria è stata fatta proprio per ribadire come il legame tra sto-ria, territorio, cultura ed enologia di qualità sia inscindibile e come sia compi-to dell’Ais occuparsi della promozione e divulgazione di questi valori attraver-so la comprensione alta delle qualità del vino. Vuole essere l’appuntamentocongressuale dell’Ais un viaggio alla riscoperta dell’Umbria Felix: di quello stra-ordinario connubio che si realizza nel cuore verde d’Italia tra paesaggio, cul-tura e cultura materiale e valori spirituali. Sono peraltro queste le componen-ti del vero turismo del vino, quel fattore che anche grazie all’opera dei som-melier italiani, è diventato ulteriore asset delle cantine nel loro sviluppo. Propriol’Umbria è stata protagonista nell’ultimo decennio di uno sviluppo impetuosodel turismo del vino grazie a due fattori: il salto qualitativo delle produzionienoiche di questa regione e l’instaurarsi di un connubio virtuoso tra la quali-tà percepita delle etichette e la qualità intrinseca delle dotazioni patrimonialidel territorio. Ecco perché DeVinis ha deciso di compiere – quasi un’anteprimadel congresso Ais – un nuovo tour tra le vigne del Sagrantino, prendendo spun-to dalle notizie di cronaca alimentate dalle dichiarazioni della neo assessoreregionale all’agricoltura. Che cosa ha in sostanza detto Fernanda Cecchini,dinamica esponente di punta del Pd umbro? Che preferisce sostenere le colti-vazioni di tabacco piuttosto che puntare a qualificare la produzione enoica diMontefalco. Una dichiarazione che ha lasciato molti perplessi e che finora

l’assessore non ha affatto smentito. La sua intervista sul “Messaggero”comparsa nell’edizione regionale umbra dell’autorevole quotidiano

capitolino, è suonata come una scelta di campo. L’assessore pergiustificare la sua scelta ha snocciolato una serie di cifre chestanno a indicare come la tabacchicoltura sia uno dei settori che

producono maggior reddito nelle campagne umbre. E inoltre laCecchini ha sostanzialmente affermato che è vero che il tabacco fa

male, ma è del pari vero che il vino fa ancora peggio perché se uno simette alla guida dopo aver alzato il gomito diventa pericoloso per sé e per

gli altri. Ma la Cecchini non si è limitata a questo: ha aggiunto che la tabac-chicoltura di qualità è una produzione eco-compatibile e che finché c’è doman-da di tabacco nel mondo bisogna pur soddisfarla. Dunque sostegno alle fogliedi Kentucky e che le vigne si arrangino. C’è in questa presa di posizione del nuovo responsabile politico dell’agricoltu-ra umbra – è appena il caso di ricordare che la riforma del titolo V dellaCostituzione varata nel 2001 assegna l’agricoltura come competenza esclusi-va alle Regioni e perciò quanto dice l’assessore competente è “legge” – una sortadi conflitto al ribasso del politically correct. La campagna anti-alcol sembra averfatto premio sulla campagna anti-fumo, ma mentre è certo che fumare fa male,ci sono moltissimi studi che confermano che bere del buon vino con modera-zione fa bene. E questo è il primo motivo per cui l’Ais è schierata a difesadella vitivinicoltura di qualità: per divulgare la cultura del vino che significapiacere del vino, un piacere che si coltiva attraverso la degustazione, cioè lapercezione sensoriale e culturale del vino e non attraverso un consumo smo-dato di alcol. È nella mission della sommellerie quella di difendere il vino comevalore di civiltà. E dunque non può esservi nessuna contrapposizione tra Baccoe tabacco: il primo è cultura e benessere, il secondo ancorché un piacere è sicu-ramente un danno. Sarebbe il caso che l’assessore Cecchini si leggesse anchei moltissimi studi biomedici che indicano in un moderato apporto di alcol, ma

� Piante di tabacco � Una coltivazione di tabacco

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soprattutto nel resveratrolo e nell’azione antiossidante dei flavonoidi uno deicapisaldi della dieta mediterranea: il migliore e più salutare regime alimenta-re del mondo. E guarda caso il Sagrantino è uno dei vini rossi a maggiorecontenuto di flavonoidi. Senza scomodare il paradosso francese, si può direche il vino fa bene. Al corpo, allo spirito e anche all’economia. E anche standoai soli indicatori economici il vino fa sicuramente meglio del tabacco perché èuno straordinario marcatore territoriale, capace di veicolare l’immagine com-plessiva di una terra ed è una coltura davvero eco-compatibile. Certo, c’è chiha notato che gli impianti viticoli intensivi modificano il paesaggio, lo descri-vono in maniera diversa, ma sicuramente la vigna chiede alla terra meno diquanto non chieda il tabacco, una coltura che divora enormi quantità di acquae che ha bisogno di consistenti apporti da parte della chimica in campo perdare buoni risultati. Basterebbe questo a farci interrogare su da che partedebba pendere la bilancia tra Bacco e tabacco. Ma sarebbe accedere all’idea diuna contrapposizione tra le due colture, una contrapposizione che non c’è

nei fatti e che men che meno può esserci a livello divalori, non solo economici. Tuttavia una riflessione va fatta sul ruolo che la RegioneUmbria ha avuto nel governo di quel territorio stra-ordinario che è la patria del Sagrantino. Una deno-minazione che è cresciuta in fretta grazie all’impegnodi alcuni produttori “storici” che hanno creato da unvino di “paese” un fenomeno internazionale. Giovaricordare che il Sagrantino ha origine remotissime eancora avvolte nel mistero. Marco Caprai insieme aLeo Valenti, uno dei maggiori enologici italiani e docen-te di viticoltura all’università di Milano, si sono messisulle tracce del Sagrantino, ma arrivati in Anatolia nehanno perso il filo. È un progetto di studio che conti-nua, attraverso un’attenta disamina del Dna della pian-ta e che, a detta dello stesso professor Valenti , riser-va a ogni successivo approfondimento una sorpresa.Del resto sono state fatte accurate selezioni clonali

per capire le potenzialità di questo vitigno, si sono fatte in alcune aziende dellemicrozonazioni, ma è mancato un coordinamento di sistema. Gli effetti si sen-tono proprio in questi anni di crisi globale. Il Sagrantino viene venduto aprezzi molto bassi per una Docg di quel valore, è a rischio di perdere la suaidentità che è data prima di tutto dal legame territoriale, in ultimo è in crisi disovrapproduzione. E come se ci fosse stata una incapacità di gestire il succes-so. Ed ecco perché l’affermazione del neo assessore all’agricoltura ha lasciatomolti increduli: come può non rendersi conto la Regione che uno dei punti dieccellenza del suo territorio ha bisogno non solo di un sostegno economico, maprima di tutto di una meditata regia tecnico-politica? Come si può contrappor-re una produzione massiva, ancorché importante sotto il profilo delle quanti-tà, a una produzione di (potenziale) altissimo profilo qualitativo e che può fun-gere da enorme moltiplicatore per l’economia del distretto attraverso il moto-re di sviluppo dell’enoturismo? Nota al proposito il presidente dell’Ais TerenzioMedri: “Abbiamo deciso di tenere il nostro congresso in Umbria proprio perribadire da questa eccezionale terra il rapporto inscindibile che c’è tra vino diqualità e territorio di qualità, ma anche per richiamare l’attenzione di tutti: dai

� Montefalco � I vigneti lungo le colline intorno a Montefalco

� Uve in appassimento per il Sagrantino Passito

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produttori ai poteri politici sulla necessità di spingere sullo sviluppo dell’eno-turismo come fonte economica e come prassi di divulgazione del valore edella cultura del vino”. È quanto si era tentato di fare a Montefalco. Mentrel’anno scorso il Sagrantino ha celebrato i trenta anni dall’ottenimento della Doc(fu voluta fortemente da cinque produttori che peraltro il Consorzio di tutelanon ha sentito neppure il bisogno di invitare alle celebrazioni, né l’obbligo cul-turale di far raccontare a loro l’esperienza di pionieri di questa eccellente deno-minazione) quest’anno cade il decennale di una ricerca che segna una svoltanella percezione del rapporto vino-territorio. La ricerca fu quella promossa dallaFondazione Agnelli sui giacimenti di valore dei territori vinicoli e da quella ricer-ca emerse che Montefalco, grazie al Sagrantino, era il territorio con le piùforti potenzialità di espansione non solo del fatturato legato alla produzionevitivinicola, ma soprattutto alla creazione di un sistema territoriale a vocazio-ne turistica di alta qualità. La professoressa Sabina Addamiano fu la coordi-natrice di quella ricerca e oggi, di fronte alle evidenti difficoltà di mercato delSagrantino, rilegge in maniera critica il “suo” studio. “Avvertimmo già allorache Montefalco poteva correre solo un rischio: la perdita di identità e la perdi-ta di valore derivante da una non oculata programmazione territoriale e dellaproduzione vinicola”. Una profezia che sembra essersi avverata. Montefalco èpassata in una decina d’anni da poco più di 200 ettari vitati ad oltre 750ettari, la produzione di vino si è di fatto quintuplicata e mentre sicuramente larendita fondiaria di chi ha venduto i terreni sui quali far crescere le vigne èstata più che positiva, assai più complessi sono i problemi legati alla gestionenon solo delle produzioni, ma anche della salvaguardia del valore economicodel Sagrantino e alla capacità di penetrare nuovi mercati.A fronte di questa situazione la Regione Umbra ha spinto molto per l’incremen-to di produzione: l’albo viticolo è stato chiuso in ritardo e ora il problema diMontefalco è di essere in crisi per eccesso di successo. A fronte di tutto que-sto vi è oggi una sorta di paralisi del Consorzio di tutela che cerca di gestire lacrisi piuttosto che di immaginare una possibile nuova chiave di sviluppo. Eccoperché le parole della Cecchini a Montefalco sono parse una sorta di presa didistanza da una situazione di difficoltà rispetto alla quale neppure la Regioneè esente. Ma per fortuna il turismo a Montefalco sembra reggere almeno in ter-mini di flusso. Sandro Casciola, direttore della Strada del Sagrantino, nota:“Abbiamo ancora una forte capacità di attrazione, la qualità complessiva deiservizi di accoglienza è migliorata, siano stati premiati come la Strada del Vinoche fa la migliore comunicazione via internet, dunque abbiamo un noccioloduro di competenza per potere reggere. Quello che ci serve è oggi un rilanciodell’immagine del vino”. E su questo tema Marco Caprai, il leader indiscussodi questo territorio, va incalzando da tempo il Consorzio di Tutela, la Regionemedesima, ma anche i suoi colleghi produttori chiedendo di tornare a una valo-rizzazione piena del vino Sagrantino, di reagire alla crisi puntando sulleeccellenze territoriali, di governare il surplus produttivo, ma soprattutto di pun-tare all’innovazione salvaguardando la tradizionalità del vino e contempora-neamente dando il via alle zonazioni, a nuove selezioni clonali, a una omoge-neità qualitativa e a una politica commerciale comune. Questo è oggi Montefalcovisto dal vino, ma esiste l’eterno fascino di questo “balcone dell’Umbria” checi consente di guardare dalle sue mura avite un paesaggio unico da Perugia aFoligno, a Spello, a Trevi e giù verso Sud fino a Spoleto, si vede l’incanto dellaculta valle. È la Montefalco che ci fa passeggiare tra i vicoli dove antiche vitidi Sagrantino pre-fillossera sono dei monumenti vegetali, è la Montefalco chenel museo di San Francesco ci consente di ammirare Benozzo Gozzoli, il Perugino,i grandi del Rinascimento umbro. È la Montefalco che profuma di prosciuttoe di tartufo, di griglia e di strangozzi, di pecorini, è la Montefalco che recita conl’affresco di Luigi Frappi l’eterna magia del paesaggio, è la Montefalco dove oggisono stati aperti alcuni hotel di notevole fascino. Dunque è un territoriocapacissimo di tornare a essere protagonista, solo che impari ad amare il suovino. E magari lo faccia degustare all’assessore Cecchini per spiegarle che seil fumo è una semplice (e pericolosa) voluttà, il vino è la poesia della terra. Eancor di più a Montefalco: una terra unica come l’Umbria dove i sommelier siradunano per ascoltare la poetica dei luoghi racchiusa in un elisir dal saporeuniversale come il Sagrantino.

� Montefalco, uno scorcio tra ivicoli cittadini

MONTEFALCOLa città è situata in una posizionepanoramica, dominante la pianuradel Topino e del Clitunno. Per ques-ta favorevole posizione è chiamata"la ringhiera dell'Umbria”.Il toponimo Montefalco si deve,secondo la tradizione, a Federico IIdi Svevia. L'imperatore, visitando iluoghi nel XIII secolo, constatando ilgran numero di falchi presenti nel-l'area, decise di cambiare il nomedella località da Coccorone (CorsCoronae) a quello attuale. La pre-senza dell'animale nel territorio èandata via via scemando, fino araggiungere il minimo storico in etàmoderna. Il 31 luglio 2007 è stataliberata nei cieli di Montefalco unacoppia di gheppi, con finalità diripopolamento. Il progetto ha avutoun grandissimo successo e i gheppisi sono riprodotti.

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ASSOCIAZIONEITALIANA

SOMMELIERS

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA GENERALE

ORDINARIA

L’Assemblea Generale Ordinaria è convocatain conformità all’Art. 6 dello Statuto Sociale, inprima convocazione alle ore 6.00 del giornovenerdì 1 Ottobre 2010 e in seconda convoca-zione alle ore 12.00 del giorno sabato 2 Ottobre2010 presso la Sala dei Notari, Palazzo dei Priori,Piazza IV Novembre, Perugia

per la trattazione del seguente

ORDINE DEL GIORNO

Relazione del PresidenteDibattito e interventi degli Associati

Conclusioni del Presidente

Giunta Esecutiva Nazionale

Il PresidenteTerenzio Medri

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Tutte le grandipotenzialità

dell’Umbria

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Dal XVII secolo la tradizione voleva che i giovani inglesi aristocrati-ci (ma non solo) partissero per un lungo viaggio per apprendere lacultura, l’arte, la politica di un Paese straniero. Meta privilegiata

era l’Italia: Roma, Napoli, Firenze, Venezia, Bologna.Con il trascorrere del tempo e grazie alle linee aeree low cost che hannopermesso un’esaustiva esplorazione dell’Europa, dai monumenti ai musei,dalle aree rurali alle zone urbane, ecco che l’enoturismo sostituisce la fun-zione pedagogica, indottrinando i più curiosi sul buon bere.Di cantina in cantina, di collina in collina, degustando i migliori vini delterritorio ed educando i sensi, l’enoturismo è il nuovo Grand Tour. Perchèil vino è cultura, è la voce della terra e delle sue genti, specie quando siparla dell’Italia, ancor più quando si nomina l’Umbria.Quarta tra le cinque più importanti destinazioni enoturistiche in Italia dopoToscana, Piemonte e Veneto e prima della Puglia, l’Umbria sta miglioran-do le sue strutture e ampliando gli eventi per attirare sempre più turistiamanti del vino (buono). Fino a dicembre “La Strada del Sagrantino”, iniziativa che porta il nomedella punta di diamante della produzione vinicola regionale, coinvolge ituristi con l’approfondimento culturale ed enologico in terra umbra. Dal 16 al 19 settembre, Enologica: Montefalco, Bevagna, Gualdo Cattaneo,Giano dell’Umbria, Castel Ritaldi organizzano una quattro giorni dedicatial Sagrantino. Si parte con l’inaugurazione della mostra mercato dei vinidi Montefalco doc e docg con i trenta produttori della zona, si prosegue con

ECCELLENZE

ENOGASTRONOMICHE,PAESAGGIO, STRUTTURE,VOGLIA DI FARE, STORIA

E CULTURA FANNO

DELLA REGIONE CHE

OSPITERÀ IL CONGRESSO

AIS UNA DELLE METE

PIÙ VISITATE DAI

TURISTI

di Elisa della Barba

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le degustazioni guidate di Sagrantino e degli altri vinirealizzate con l’Ais, mostre a tema, dibattiti e seminariformativi.Numerosi gli itinerari enoturistici da percorrere, da solio in gruppo, che si possono però per comodità sintetiz-zare con le quattro Strade del vino della regione, tenen-do però presente che le stesse sono costantemente inner-vate da novità.La Strada del vino Colli del Trasimeno comprende latratta da Perugia al Lago Trasimeno e offre una seriequasi infinita di cantine da visitare, come l’AgricolaGoretti Produttore Vini, la cantina Sasso dei Lupi, laCantina Donini, l’Agricola Stefania Mezzetti. Il territorio è infatti interessato dai vini a denominazio-ne di origine controllata Colli del Trasimeno o Trasimenoe Colli Altotiberini. Paesaggio, clima e diversità del micro-clima hanno permesso nuove forme di coltivazione, ovvia-mente affiancate alle varietà “tradizionali” (Sangiovese,Grechetto, Trebbiano, Canaiolo, Malvasia), mirando allaproduzione di vini moderni e d’alta qualità. A Torgiano e Montefalco nascono i due grandi Docgdell’Umbria: il Torgiano Rosso Riserva, sulla Strada delCantico dove troviamo anche Todi, Marciano, Perugia,Assisi, e il Sagrantino di Montefalco, sulla Strada delSagrantino.Tra le cantine da visitare, la Cantina Giorgio Lungarottie la Cantina Arnaldo Caprai. La Strada dei vini Etrusco Romana abbraccia le terredivise a metà dal corso del Tevere che offrono non soloun percorso di cantine da visitare vasto e interessante,ma panorami e monumenti che “chiudono” il cerchiocon due strutture interamente dedicate all’enogastro-nomia: il “Palazzo del Gusto” di Orvieto, centro di for-mazione enogastronomica annesso all’Enoteca regiona-le, che offre una rassegna completa della realtà vinico-la provinciale e regionale, e il Palazzo Petrignani adAmelia nel centro storico della città, che ospita la Scuoladell’Alimentazione.Ampia dunque l’offerta per chi vuole avvicinarsi alvino o voglia approfondire le già solide conoscenze inmateria. E se la crisi porta gli italiani ad accorciare levacanze, questo non intacca di certo la qualità. È pro-prio il vino il fattore principale in grado di attrarre visi-tatori sul territorio dei comuni italiani che sono a voca-zione enogastronomica e a incidere fino al 30 per centosull'economia legata allo sviluppo turistico locale.Le statistiche fanno ben sperare: 7,5 milioni di italianihanno già scelto e vissuto 4-5 esperienze di turismo eno-gastronomico mentre 2,6 milioni si dichiarano turistiespliciti del vino, in buona parte anche giovani (Fonte:VIII Rapporto sul Turismo del vino), fetta di mercato quin-di già conquistata e da coltivare con itinerari ancora piùambiziosi.Positive anche le tendenze per il futuro: 2 milioni di ita-liani avrebbero intenzione di votarsi all’enoturismo. La qualità prende dunque piede non solo per un’éliteristretta ma per più persone interessate a una pausabreve volta a “coccolare” i sensi che il vino chiama attra-verso eventi enoturistici mirati e consapevoli. Quali? Le possibilità per l’enoturismo, in particolare per le regio-

ni attrezzate come l’Umbria, sono tante: le Strade delvino solo l’inizio di un lungo percorso che comprendeanche la visita delle Cantine, i vigneti, i Musei del Vinofino ai ristoranti che puntano su prestigiose carte deivini. Tra gli italiani fra i 30 e i 44 anni almeno il 40 per centoha realizzato una delle attività elencate. Tra queste pos-sibilità i dati ci indicano che gli enoturisti scelgono i tourdelle cantine, con un 74 per cento coinvolto. Ultime nellalista, invece, le visite ai Musei del vino. Come incoraggiare invece all’azione coloro che vorreb-bero concedersi all’enoturismo ma ancora non l’hannofatto?La prima necessità per le regioni è sicuramente quelladi comunicare maggiormente e in maniera più efficace,eventualmente anche allargando l’offerta con l’ideazio-ne e la creazione di nuovi itinerari, seguiti con cura. Cidice molto del mercato turistico il fatto che l’eventoche meglio viene ricordato dagli appassionati del vinosia il Vinitaly, mentre le Cantine Aperte arrivano secon-de. Questo perché le iniziative vengono memorizzatemaggiormente se comunicate meglio e con più cura attra-verso strumenti adatti. Si pensi che il numero delle strade del vino in tutta Italiadal 2008 al 2010 è passato da 128 a 154. Positivo, se

� Caratteristici vicoli di Spello, uno dei borghi più affascinanti d'Italia

� La cittadina di Amelia

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l’alto numero rispecchiasse non solo quantità ma anchequalità. Il problema però, come spesso accade in terri-torio italiano, è la scarsa valorizzazione del patrimoniovinicolo unito a quello paesaggistico-culturale che spes-so lascia molte di queste Strade scarne, poco visibili, siasulle mappe reali che a livello metaforico e conoscitivo,oppure proprio inesistenti, elencate o registrate solo “perfare numero”.Incentivo a migliorare le cose dovrebbe essere la consa-pevolezza che resta ancora un grande mercato da con-quistare che è quello di circa 28 milioni di turisti “inde-cisi”, e cioè che non si riconoscono nelle definizioni delletipologie del turismo, ma che proprio per questo potreb-bero essere convinti ad assaporare l’enoturismo, spe-cialmente quei 2 milioni di turisti che già si dichiaranointenzionati a voler visitare un vigneto e i quasi altri duemilioni che si dicono interessati a percorrere le Stradedel Vino. Subito dopo una più oculata comunicazione sul terri-torio viene la riorganizzazione del piano urbanistico deicomuni per la valorizzazione del territorio vitivinicolostesso, necessaria non solo per un’accoglienza appro-priata degli enoturisti ma anche per la salvaguardia del-l’ambiente coinvolto (Fonte: Fabio Taiti).A questo proposito l’Umbria si trova “nel mezzo” nonsolo geograficamente. Per quanto riguarda la ripartizio-ne territoriale del turismo del vino, infatti, l’Italia cen-trale conta il 21 per cento di turisti enologici nel 2010contro il quasi 25 per cento del nord, distaccando diparecchio il 14,5 per cento del sud e delle isole. L’Umbria si è avvantaggiata però rispetto alle sue colle-ghe del Centro Italia nell’evoluzione dei circuiti internet:nel Nord d’Italia 52 strade su 57 hanno un proprio sitoweb (91,2 per cento), nel Centro Italia 25 su 33 strade(75,7 per cento), nel Sud Italia 23 su 54 (36 per cento).

Tra le regioni “in positivo” troviamo, appunto, l’Umbria,che per ognuna delle 4 strade del vino della regione haapprontato un sito internet, tutti aggiornati ed esausti-vi, a pari merito con l’Emilia Romagna (11 su 11) e laToscana con 14 siti internet su 16 (Censis Servizi).L’Umbria vince anche per tempestività di risposta aipotenziali clienti dell’enoturismo: con la tecnica stati-stica del mistery client è stata inviata una e-mail da uncliente fittizio ai siti internet disponibili delle Strade delVino d’Italia (purtroppo solo 114 su 154 dispongono diun sito), domandando un itinerario per il week-endseguente. La redemption, ovvero la risposta ricevuta entro un tempolimite fissato in 72 ore, è stata del 39,6 per cento tota-le con 45 risposte date su 114 Strade, così suddivisa:una percentuale del 55 per cento per il Nord, 39 percento per il Centro e del solo 13 per cento per il Sud. Larisposta in media è pervenuta dopo 34 ore dall’invio dellamail, ma il Nord ha risposto entro 26 ore, il centro dopo38, il Sud dopo 39 ore. L’Umbria è al primo posto permaggior redemption con 4 siti su 4 delle Strade del vino,che hanno non solo risposto al cliente, ma l’hanno fattoesaustivamente, seconda l’Emilia Romagna (8 su 11),terza la Lombardia (5 su 9). Importante ricordarsi, poi, che è stata proprio l’Umbrianel 1993 a fondare il Movimento turismo del vino. Da quiè nata la grande iniziativa Cantine Aperte che le princi-pali regioni vinicole d’Italia hanno poi adottato. Con un curriculum così e un po’ di buona volontà neimesi a venire gli enoturisti possono (e devono) aspettar-si molto dall’Umbria.Hai visto mai che questa regione, zeppa di storia, bel-lezza e buon vino, rubi la scena alle prime della classeper arrivare presto in cima alle destinazioni enoturisti-che più visitate?

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Un brindisisotto l’ombradel vulcano

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La “Montagna di Fuoco”, terra dove la lava ha tracciato i percorsi dellevigne, è un susseguirsi di terrazzamenti e muretti a secco in pietralavica, antichi palmenti, bellissime case padronali che si alternano a

casolari erosi dalle colate laviche, paesaggi di incomparabile bellezza pla-smati dall'operosità dell'uomo che, malgrado le numerose devastanti eru-zioni, mai ha abbandonato del tutto le coltivazioni delle vigne e anche deicastagni, ciliegi, noccioli, meli che segnano garbatamente il comprensorio.Lo straordinario territorio dell’Etna e i vini di grandissima finezza che daesso derivano sono da qualche anno sotto i riflettori per la loro unicità, figliadi particolari condizioni pedoclimatiche differenti, non solo rispetto al restodella Sicilia, ma anche tra una zona e l'altra dello stesso vulcano. Il lungoperiodo caratterizzato da una viticoltura impegnata a produrre vini da taglioad alta gradazione utili a dare corpo e colore ad anemici vini del Nord stafinendo, il nuovo fermento è la riscoperta della qualità, vecchie vigne sonoritornate in produzione con meticoloso lavoro di recupero e godono, nellediverse contrade, dell’apporto di terreni di diversa composizione. Possonoesprimersi a differenti altitudini, un vero e proprio paradiso in cui l'autoc-tonia di vitigno e territorio si fondono veramente al meglio. I vignaioli che vivono sotto l'ombra del vulcano più alto d'Europa, lo consi-derano un punto di riferimento, il primo sguardo al mattino è dedicato alui, alla direzione che prende il pennacchio di fumo che da esso fuoriesce,e che svela come sarà il tempo del giorno. In queste terre, coltivati da oltrequattro secoli, i più importanti vitigni autoctoni a bacca rossa sono il Nerello

LO STRAORDINARIO

TERRITORIO DELL’ETNA,DOVE I PERCORSI DELLE

VIGNE SONO STATI

TRACCIATI DALLA LAVA,CI REGALA VINI UNICI

GRAZIE ALLE

PARTICOLARI

CONDIZIONI

PEDOCLIMATICHE CHE

CARATTERIZZANO

QUESTA ZONA

di Luigi Salvo

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Mascalese e il Nerello Cappuccio. Il Mascalese è presente con una varietàdi popolazioni clonali eterogenee e la sua resa è fortemente condizionata dalversante del vulcano nel quale è coltivato, dall’altitudine, lo si trova infattidai 300 metri sul livello del mare fino ai 1.100, e dal sistema d’allevamen-to adottato. Il migliore e ancora oggi il più diffuso è quello ad alberello soste-nuto dal tradizionale palo in castagno, con alte densità di viti per ettaro da6.000/9.000 ceppi, ma esistono antichi vigneti anche a 12.000 ceppi perettaro. In alcuni di questi manca il sesto d'impianto geometrico delle viti,questo perché sull'Etna per tradizione si è spesso praticata la propagazio-ne della pianta per propaggine, ovvero l'interramento del tralcio di vite alloscopo di poter ripristinare le vicine fallanze, permettendo in questo modola presenza di viti franche di piede. Il Nerello Cappuccio o Mantellato deveil suo nome al singolare portamento a cappuccio o a mantello della piantacoltivata ad alberello. Negli ultimi decenni è stato soggetto a un continuoabbandono da parte dei viticoltori tanto da rischiare l'estinzione. Sul vul-cano vi sono tre grandi zone elettive per la coltivazione della vite: quella com-presa tra i 400 e gli 800 metri nel versante rivolto a nord, quella tra i 400e i 900 metri sul livello del mare nel versante rivolto ad est e quella fra i 600e i 1.100 metri nel versante rivolto a sud. In particolare nel versante nordsi concentra oggi quasi il 50 per cento della produzione vinicola e nei comu-ni di Castiglione di Sicilia e Randazzo si produce oltre il 40 per cento delvino dell'Etna. Le temperature medie sono più basse rispetto a quelle ditutta l’Isola, quelle minime in inverno e anche nel periodo dell'inizio del ger-mogliamento scendono sotto lo zero, nel corso dell’estate le temperature

massime non sono mai elevate. Le piogge sono per lo piùdistribuite nel periodo autunno-inverno e a volte in con-comitanza con il periodo vendemmiale e sono molto piùpresenti nella parte est rispetto a quelle nord e sud. Leuve raggiungono qualità organolettiche di primissima gran-dezza grazie alle grandi escursioni termiche stagionali egiornaliere. Spesso sull’Etna si vendemmia a Novembreinoltrato con temperature che scendono a 6-8 gradi, glisbalzi termici tra il giorno e la notte arrivano a sfiorare i30 gradi. I vini da Nerello Mascalese e Cappuccio emozionano, ese è pur vero che il Nerello ha una certa somiglianza conil francese Pinot Nero, nota differenziale importante è il“terroir” che è unico in Europa, e ciò grazie al vulcano cheha creato con varie colate in epoche diverse un substra-

to ricco di particolari sali minerali a reazione sub-acida, di microelementiquali ferro e rame, potassio, fosforo, magnesio e azoto. L’apporto che le vignericevono influisce sulla componente olfattiva dei vini. Oggi gli ettari di vigne-to coltivati a Nerello Mascalese sull’Etna sono circa 2.500, quelli a NerelloCappuccio meno di 100, mentre quelli iscritti all'Albo dei vigneti Etna a Docsono in totale 250, di questi la metà hanno oltre 30 anni d'età, e alcuni sonopiù che centenari. Gli antichi vigneti sul vulcano hanno un grandissimo fascino, alcuni d’im-pianto 1870-1880 sono uno spettacolo della natura, ogni pianta con il suotronco spesso e contorto è vicinissima all’altra, tutte insieme creano un dise-gno figlio del tempo. La magia di questo territorio vinicolo si esprime attra-verso vini dalla chiara connotazione.Salvo Foti, enologo etneo di grande esperienza, dice a questo proposito:«Definire a parole come debba essere un vino dell'Etna è difficile. È più faci-le capire che è etneo dalle sensazioni che riesce a dare. D'altronde, il nostromodo di essere, così come per il vino, è relativo e dipende dall'ambiente (lazona) in cui si vive, dal proprio passato (la vigna e i vitigni), dal presente(l'annata), dalla propria cultura (il viticoltore, il vinificatore), dal momento(la vinificazione), dal futuro (l'affinamento). Vi sono due tipi di vino: il vinodell'uomo e il vino degli uomini. Il primo ha una durata relativa a una per-sona. Il secondo dipende da una civiltà, da un territorio e sopravvive al sin-golo uomo. Il vino dell'Etna è il vino degli uomini».

L’Etna (Mungibeddu o semplice-mente ’a Muntagna in siciliano) è unvulcano attivo che si trova sulla costaorientale della Sicilia, tra Catania eMessina. È il vulcano attivo più altodel continente europeo e uno deimaggiori al mondo. La sua altezzavaria nel tempo a causa delle sueeruzioni, ma si aggira attualmente sui3.340 m.s.l.m. e il suo diametro è dicirca 45 chilometri.

� Vignaioli al lavoro sulle pendicidell'Etna

� Grappoli di Nerello Mascalese

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Pietradolce – Etna Rosso Doc Archineri 2008 Trecastagni (Ct) – Nerello Mascalese – 14,5°Tra Solicchiata e Passopisciaro sul versante Nord dell’Etna, tra i 600 e gli 800 Mt. s.l.m,si estendono i 10 ettari di Michele Faro, vigne ad alberello di Nerello Mascalese a piedefranco tra i 50 e i 60 anni d’età. Esordisce con lucente rubino pieno. Sprigiona aromieleganti e complessi di rosa canina, note di ciliegia, prugna fresca, cuoio, cioccolato. Dinotevole presa, ha tannino di fine estrazione e una precisa continuità che mette in rela-zione naso e bocca. Affinato 14 mesi in tonneaux. Abbinamento consigliato tagliatele alsugo di cinghiale. Prezzo consigliato in enoteca: 26 euro.

Passopisciaro – Passopisciaro Igt Sicilia 2008 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese – 15°Andrea Franchetti produttore di origine romane, ma toscano d’adozione, ha animato ilrilancio della viticoltura Etnea. Il suo vino nasce da uve raccolte risalendo lungo il fian-co settentrionale del vulcano, tra i 550 ed 1.100 metri sul livello del mare nelle contradeMalpasso, Moganazzi, Feudodimezzo, Santo Spirito, Sciaranuova e Guardiola. Rubinocaldo e trasparente, intenso e attraente il bouquet di lampone, ribes, macchia mediter-ranea, balsamo e spezie. In bocca è di finezza avvolgente, tra freschezza e sapidità di frut-to. Con rosette di maiale e radicchio. Prezzo consigliato in enoteca: 34 euro.

Graci – Etna Rosso Doc Quota 600 2007 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14,5°Nel territorio di Passopisciaro i vigneti a piede franco di Alberto Graci sono coltivati adaltitudini che vanno dai 600 ai 1000 Mt. s.l.m. Nel bicchiere il vino è rubino trasparen-te, dal sipario olfattivo variegato caratterizzato da sentori di rosa, viola, ciliegia, lamponee suadenti note speziate e selvatiche. La bocca è ricca di calore e di tannini fitti ma fles-suosi spalleggiati da viva freschezza, colpisce la sua lunga chiusura di persistenza frut-to-minerale. Un anno in botte grande. In abbinamento con agnolotti al ragù di cervo.Prezzo consigliato in enoteca: 26 euro.

Girolamo Russo – Etna Rosso Doc San Lorenzo 2007 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14,5°Giuseppe Russo ha deciso di cambiare vita dando un contributo significativo all’aziendadi famiglia rilevata dal padre. Le uve del San Lorenzo provengono dall’omonima contra-da a 820 Mt. s.l.m. da vigne di età compresa fra i 50 ed i 100 anni, il vino affina 12 mesiin barriques nuove e di secondo passaggio. Dal luminoso colore rubino, veicola al nasointense note di frutti rossi, grafite e spezie. In bocca si mostra elegante, avvolgente,equilibrato da sfaccettature aromatiche di freschezza e solida mineralità. Ideale con agnel-lo brasato. Prezzo consigliato in enoteca: 26 euro.

Cottanera – Etna Rosso Doc 2007 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14,5°Deriva da 5 ettari in contrada Solicchiata a 730 Mt. s.l.m., a composizione prettamentelavica, segnati da microclima con forti escursioni termiche tra giorno e notte, di proprie-tà della famiglia Cambria. Veste rosso rubino trasparente, ha naso elegante e seduttivo,con fresche note di rose, amarena e ciliegia, sentori vegetali e minerali. La bocca è di calo-re e sostanza, una vivida sponda di freschezza conduce al finale avvolgente di sapiditàvulcanica. È maturato 12 mesi in barriques. Ottimo con filetto di manzo agli odori. Prezzoconsigliato in enoteca: 24 euro.

LA DEGUSTAZIONE

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Fattorie Romeo del Castello – Etna Rosso Doc Vigo 2007 Randazzo (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14,5°Rosanna Romeo del Castello e la figlia Chiara Vigo si occupano dell’azienda in contradaAllegracore sul versante Nord dell’Etna. Il vino deriva da una vigna centenaria denomi-nata “la fruttiera”, coltivata ad alberello è sopravvissuta all’eruzione vulcanica del 1981.Colore rubino vivo, il naso è pieno di sentori floreali di rosa, fruttati di ciliegia e mara-sca, eucalipto e spezie. La beva è tutta freschezza e mineralità, i tannini sono di prege-vole spessore, chiude lungo con finale fruttato. Accompagna medaglioni di vitello alla pia-stra. Prezzo consigliato in enoteca: 22 euro.

Biondi – Etna Rosso Doc Outis 2007 Trecastagni (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 13,5°Da vigneti ad alberello del Monte Ronzini nel versante Est dell’Etna, Ciro Biondi produ-ce Outis (Nessuno), matura in barriques per 12 mesi. Nel bicchiere è rubino trasparen-te, dall’impianto olfattivo di grande eleganza che spazia da viola, rosa, ciliegia e fragolasotto spirito, a sensazioni mentolate, vaniglia ed evidente brezza minerale. Al palato anchese vigoroso incede sul velluto, rinfrescato da viva spalla acida, tannino fine in evoluzio-ne e lunga chusura tra frutto e mineralità. In abbinamento con costatine di maiale. Prezzoconsigliato in enoteca: 23 euro.

Tenuta di Fessina – Etna Rosso Doc Il Musmeci 2007Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 13,5°Fessina è un atto d’amore della Toscana Silvia Maestrelli per la Sicilia, il vino nasce conl’intervento dell’agronomo ed enologo Federico Curtaz, le vigne di contrada Rovitello dioltre 80 anni d’età sono a 670 metri s.l.m., affina 15 mesi in parte in botte da 36 hl e intonneaux. Dal vivo colore rubino, ha naso con eleganti note di rosa, ciliegia, amarenasotto spirito, vaniglia e tabacco scuro. La bocca è fresca e poliedrica, minerale, dalla nobi-le trama tannica, è persistente nella lunga scia di gran fascino. Abbinamento con invol-tini d’agnello. Prezzo consigliato in enoteca: 35 euro.

Benanti – Etna Rosso Doc Serra della Contessa 2006Linguaglossa (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 13,5°Questo Cru di Giuseppe Benanti maturato per oltre un anno in barriques, deriva da unvigneto centenario in parte franco di piede posto nel Monte Serra, un cono vulcanico a500mt s.l.m. nel versante Est nel comune di Viagrande. Si presenta alla vista rubino inten-so, ha un bel naso aperto di amarena, ribes, piacevoli note mentolate, tabacco e speziescure. Beva importante, composta da tannini coesi, netta sensazione di freschezza, lungae persistente chiusura di sapidità minerale. Abbinamento consigliato: agnello alla sena-pe. Prezzo consigliato in enoteca: 30 euro.

Paolo Caciorgna Etna Rosso Doc N’anticchia 2006Randazzo (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14°L’enologo toscano Paolo Caciorgna produce l’eccellente Etna “N’anticchia” (“un poco” indialetto siciliano), nome appropriatissimo visto la micro produzione di sole 2600 bottiglie.Rubino trasparente, di viva lucentezza, dal bicchiere lascia emergere sensazioni di pru-gna, amarena, origano, vaniglia e soffi balsamici. Bocca che si allarga su registri di calo-re e morbidezza, presente spina acida sostenuta, perfetta corrispondenza gusto-olfattivacon lunghi e piacevoli ricordi di frutta e spezie. Affinato sei mesi in barriques, in abbina-mento con arista al forno. Prezzo consigliato in enoteca: 30 euro.

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La piccola perladell’Argentario

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Spesso parlando di vino, l’ap-proccio tecnico-degustativotende a prevalere su quello nar-

rativo-emozionale. Approfondite ana-lisi sensoriali ci fanno dimenticare chedietro una bottiglia si celano storiedi uomini e di terre, e a volte ci s’in-namora di un vino al di là di qualun-que sensata motivazione tecnico-orga-nolettica, ma solo per semplice affini-tà emozionale, per quello che riescea raccontarci e per ciò che rappresen-ta per il territorio in cui viene pro-dotto. Ed è proprio di un vino così chevogliamo parlarvi.Argentario, un promontorio tuffato nelmare nella Toscana del sud, ma difatto una piccola isola collegata allaterra ferma da esili strisce di terra(tomboli) che fanno da confine alla sug-gestiva laguna di Orbetello.Porto Ercole, 1986. Chi scrive, quan-do visita un luogo sconosciuto, silascia guidare dagli odori persi nel-

l’aria, che spesso raccontano più diquanto si riesca a vedere. Col portoalle spalle, il fresco umido delle viuz-ze del vecchio paese viene incontro aplacare l’afa di un giorno d’agosto. Eraquasi mezzogiorno e il venticello fre-sco spirava tra i vicoli quattrocente-schi trasportando gli odori delle cuci-ne in piena attività. Mentre lo stoma-co gorgogliava suggestionato da efflu-vi di ragù, carni alla brace ed erbe aro-matiche, le narici, colsero una notaolfattiva di vino che tra scalinate eviuzze portava in via Sant’Antonio 2,davanti a un vecchio magazzino sulcui portone campeggiava un consu-mato e bisunto cartello scritto a mano:“Vino locale”.L’anima da sommelier ebbe un sus-sulto, la curiosità montava e vistol’uscio semiaperto la testa si infilò perdare una sbirciata. Nella penombrafresca e umida della cantina sedevaun piccolo e anziano signore dagliocchi vispi che sorrise e disse di entra-re. Una stretta di mano, un bicchieredi un insolito vino bianco dai riflessiambrati e quattro chiacchiere. Le pre-sentazioni: il signore è Marsilio Puccinato nel 1921, ragioniere, ex sommer-gibilista, e sua moglie, Ademia Scotti,vignaiola già a sei anni, classe 1923.Nel calice viene versato il VinumPlenum, un graffiante e sorprenden-te “Ansoneco” Costa dell’Argentario.Vino di grandi contraddizioni, quasisconosciuto nella zona di produzionee vino di famiglia degli Agnelli, acqui-stato con regolarità da Susanna, perdieci anni sindaco di Porto SantoStefano. Questi due “ragazzini” dal1970 gestiscono l’azienda di famiglia,un morso di terra a 350 metri sul livel-lo del mare, poco più di 5.200 metriquadrati strappati al bosco sul pro-montorio dell’Argentario. Una vigna a piede franco piantata daigenitori di Ademia a metà delNovecento su terreni carsici ricchi dicalcare cavernoso (Miocene superio-re, 10 milioni di anni fa), terrazze con

È PLENUM, IL VINO DI

MARSILIO E ADEMIA,MARITO E MOGLIE

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� I vigneti sull'Argentario

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mura a secco e coltivazione ad albe-rello, corta la potatura con i tralci cheappoggiano su una palatura di canneintrecciate di sicura origine greca. Abituato a moderni e attrezzati vigna-ioli tra composti e super organizzatifilari di moderna concezione, vedereAdemia, ultra ottantenne, scorazzarecon l’agilità e la sicurezza di un ragaz-zina tra i sassosi e sdrucciolevoli fila-ri della sua vigna riempie di sconcer-to e sorpresa. La cantina, probabil-mente sorta su un ex “palamento”*,è l'antitesi del tecnicismo e dellamodernità. Quello di Ademia non èsolo un processo lavorativo, ma unavera e propria simbiosi con la suavigna. Niente chimica, ma conoscen-za e rispetto dei ritmi naturali dellaterra, solforosa spesso sotto gli 80 mg/le trattamenti ridotti all’osso, vistaanche la scarsità di pioggia che cadein zona. Lavora con gesti antichi e con-sapevoli, dove l’istinto e la memoriastorica contadina sostituiscono lemoderne tecniche di coltivazione.Eroicamente, tutto viene fatto rigoro-samente a mano e ancora si zappa conil bidente, vite per vite, filare per fila-re, terrazza per terrazza. Le viti diAnsonica, dai certi progenitori greciRoditis e Sideritis, in questo fazzolet-to di terra a picco sul mare esposte asud-ovest, hanno imparato a rimane-re basse per ripararsi dai venti caldiche soffiano durante il giorno e, nelcontempo, a cogliere le brezze umidedella notte, adattandosi così a soprav-vivere con il minimo indispensabile inun habitat aspro ed essenziale. Il figlioGiuseppe dal 2005 è diventato unaiuto indispensabile per la conduzio-ne dell’azienda, caricandosi di granparte del lavoro pesante e manuale,nel fermo rispetto, naturalmente, deiconsigli che mamma Ademia continuaa dare. Le uve, ci racconta Giuseppe,vengono raccolte manualmente tra fine

agosto e primi di settembre, traspor-tate e lasciate all’ombra della piccolacantina fino a notte fonda, quando,come tradizione, con il rinfrescarsi del-l’aria e relativo calo delle temperatu-re vengono deraspate e pigiate soffice-mente. Il mosto ottenuto rimane a con-tatto sulle bucce 48 ore, con brevirimontaggi manuali che imprimeran-no al vino l'inconfondibile colore ambradorato. L’uvaggio è Ansonica al 90 percento, con piccole percentuali diProcanico, Aleatico, Biancone eMalvasia. La fermentazione è natura-le da lieviti indigeni, avviene in picco-li tini d’acciaio senza alcun controllosulla temperatura e, come raccoman-da Ademia, svinatura e travasi solo erigorosamente nelle fasi di luna calan-te, dando così luogo a un processo dichiarificazione naturale e arcaico checome da tradizione conferirà al vinouna piacevole ed ormai dimenticatanota d’ossidazione, caratteristica irri-nunciabile per una vera Ansonicadell’Argentario, ricordandoci così cheun vino è anche patrimonio culturale,espressione di storia e tipicità di unterritorio e quindi non sempre vale lapena svenderlo agli altari del gusto con-temporaneo spesso dettato da velocied effimere e mode commerciali. È unvino insolito, non addomesticato, dovegià il colore d'un vivido e lucente gial-lo oro dai riflessi ambrati ci mette inallerta, la nota ossidata fa da volanoa una complessità olfattiva che si evol-ve molto lentamente, dalle fragranzefloreali di mele e d'acacia, per arriva-re a impronte più accattivanti di agru-mi, con accenti salmastri e minerali.In bocca entra irriverente, deciso eavvolgente. Una piacevole freschezzasveglia il palato confermandoci inten-sità, struttura e sapidità. L’ossidazioneviene confermata, ma essa si accom-pagna a lievi note iodate che ci ricor-dano la vigna a picco sul mare. Ottima

persistenza gusto-olfattiva, con unfinale asciutto dal lieve sapore di man-dorla. Il Plenum imbottigliato rimane4/6 mesi in cantina prima della ven-dita, ma in 10/12 mesi aumenta dicomplessità ed equilibrio, conferen-do al colore un brillantissimo e mar-cato tono ambrato. Insostituibile abbi-namento con i piatti tradizionalidell’Argentario, come le linguine allabottarga di muggine, oppure sorseg-giato con dei crostini di cefalo sfu-mato leggermente piccanti. Ma se vole-te tirare fuori l’anima del Plenumaccompagnatelo a un piatto di melù,o potassolo, dell’Argentario in umido,con pinoli e olive nere: è un pesce dimare della famiglia Gadidae, simile aun piccolo nasello, che dopo esserestato pescato viene essiccato diretta-mente in barca. Ademia, Marsilio e Giuseppe, per dirlacon Veronelli sono “Angeli Matti”, viti-cultori fuori dagli schemi, che al di làdi ogni retorica celebrazione fanno ilvino non solo con il palato e con ilcuore ma anche con il cervello.

* I palamenti, costruiti tra il 1500 e il1700, sono strutture di modeste dimen-sioni destinate alla pigiatura dell'uva.All'interno di una sorta di edicola inmuratura si trovano una o più vasche,non di rado scolpite direttamente negliaffioramenti di granito. Nella prima veni-va pigiata con i piedi l'uva, nella secon-da, posta più in basso e collegatomediante un foro detto “cucchione”, siraccoglieva il mosto. Attraverso unsecondo foro, posto nel punto più bassodel palmento, si procedeva al recupe-ro del liquido in otri in pelle di capra chepoi venivano con l'asino portato nellecantine. Questo sistema risparmiavaai contadini il trasporto dell'uva fino alpaese, consentendo loro di ricavare ilmosto in prossimità dei punti di ven-demmia.

� Francesco Tarsia e Marsilio Pucci � Annick Tarsia insieme ad Ademia Scotti e Marsilio Pucci

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uando si parla di Trentino del vino non si devesolo pensare, con tutto il rispetto che merita-no soprattutto per la loro intraprendenza com-merciale alle tre grandi cantine cooperative

(Cavit, Lavis e Rotari Mezzocorona) che hanno portatoil messaggio del vino della provincia di Trento in giroper il mondo. Oppure a una serie di più piccole canti-ne sociali che talora difendono l’identità di vini a diffu-sione più zonale come il Marzemino o il Vino Santo. A difendere e proporre un’im-magine più ambiziosa, a misu-ra di consumatore un po’ piùcurioso ed esigente, dei moltivini prodotti in questa bellissi-ma terra, un ampia gamma divini che vanno dai Trento Docmetodo classico ai bianchi davarietà autoctone e internazio-nali, ai vini rossi di diversastruttura sino ai vini dolci o dafine pasto, pensano egregiamen-te una cinquantina di aziendeagricole piccole e medie, attiveun po’ su tutto il territorio pro-vinciale. Aziende che, fortunatamente, hanno capito chesolo l’unione fa la forza (nessuna di loro, seppure le piùblasonate, può pensare di bastare a se stessa) e da annisi sono unite pensando di dar vita a quella benemeritarealtà che è l’Associazione Vignaioli del Trentino, di cuiè possibile visitare il sito Internet a questo indirizzo:http://www.vignaiolideltrentino.it/. Un gruppo di azien-

de che cerca di proporsi insieme con una coralità d’espres-sione, in tutte le occasioni in cui sia possibile mostrareche c’è anche… un altro Trentino del vino. Aziende piccole, ma agguerrite, fedeli a un concetto diqualità, che significa proporre vini fedeli al proprio ter-ritorio e che ne rispecchino l’anima e l’identità, che ha“contagiato” positivamente ogni associato e spinge ognu-no, grazie a un sano meccanismo di emulazione, a faresempre meglio. La riprova di questo stato di cose l’ho

avuta a maggio, quando sonosalito a Trento per una primadegustazione, riservata a bolli-cine e vini bianchi, di ottanta vinidi un folto numero di associati,quelli che hanno ritenuto pro-porsi alla “verifica” del mioassaggio fatto rigorosamente allacieca. Per i consumatori e gliappassionati di vini trentinibuone notizie, perché i riscontripiù che convincenti, anzi ottimi,non sono assolutamente man-cati, con un livello qualitativo piùche confortante sia nel caso dei

Trento Doc che dei bianchi da varietà autoctone come laNosiola, o da quelli da varietà aromatiche. Senza dimen-ticare Chardonnay e Pinot grigio e soprattutto una seriedi uvaggi bianchi, varianti da azienda ad azienda, chedanno la misura di come in terra trentina si producanooggi bianchi non solo piacevoli, ma complessi, con unaricchezza e una varietà di espressione sorprendente.

Anima e identità

del Trentino nel bicchiere

di Franco Ziliani

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Trento Doc Brut Nature 2007 Letrari Colore paglierino vivo oro di grande luminosità, naso fine, ben espresso, floreal-vegetale conaccenni di alloro, crema pasticciera, pan brioche, con una bella sapidità e freschezza, vivoe quasi cremoso. La bocca è molto sapida con acidità mordente, gusto equilibrato, bellosviluppo verticale, persistenza lunga, vivo nervoso, ancora molto giovane.

Cuvée Extra Brut 2005-2006 Pojer & SandriPaglierino oro di bella intensità e brillantezza, naso fitto, pieno con una certa dolcezza e matu-rità del frutto, giocato su note, frutta esotica, pompelmo, ananas. Bocca molto ricca benstrutturata, chiude su note leggermente asciutte, ben costruito ma ancora molto giovane.

Trento Doc Brut 2007 LetrariPaglierino oro di notevole intensità e brillantezza, naso fitto, complesso, con note di fruttasecca, leggera speziatura, accenni di miele, agrumi, frutta esotica, per un bouquet ampio,di bella intensità ed espressione nitida. Bocca ricca, larga, piena, con grande espressionedi frutto, salda costruzione, persistenza lunga e viva, carattere ben secco e diretto.

Trento Doc Brut Riserva 2006 LetrariPaglierino di media intensità, grande brillantezza, perlage sottile e continuo, naso molto ele-gante, secco, ampio, con note di alloro, cioccolato bianco e pan brioche, piuttosto sapidocon accenni minerali e di pietra focaia. Bocca molto asciutta e viva sin dal primo impatto,molto diritta, nervosa con ampio sviluppo, diritta verticale, con persistenza lunga e gran nerbo.

Trento Doc Brut riserva 2004 Maso MartisPaglierino oro intenso e brillante, naso caldo, secco, maturo, con bella espressione florea-le, spiccato carattere citrino, sapido minerale, con sfumature di spezie orientali e alloro.Bocca piena, di ampia struttura, il vino sembra mancare un po' di energia, di allungo, tendea sedersi con spiccata vinosità.

Trento Doc Brut riserva del Fondatore 2000 LetrariBella vivacità cromatica, naso fresco, floreale, nervoso di bella fragranza e vivacità incisiva.Bocca ricca, di bello slancio ed energia, ha sale, acidità ben bilanciata, verticalità, lungapersistenza, grande equilibrio e piacevolezza e si fa bere molto bene.

Vigneti delle Dolomiti Nosiola 2009 Pojer & SandriGrande vivacità di colore, brillante, metallico, vivo, squillante. Naso caratteristico ben secco,salato, con note di fiori bianchi, accenni di agrumi, bel nerbo vivo. Al gusto acidità spicca-ta, salato, appuntito, con nerbo preciso, bell'allungo verticale, grande energia e caratteree finale nitido di mandorla.

Trentino Nosiola Vigneti Maso Nero 2009 Roberto ZeniPaglierino verdognolo vivo, brillante, molto luminoso, naso caratteristico, elegante, con notedi fiori bianchi e nocciola fresca di grande fragranza e bella dolcezza espressiva e sfuma-ture di pesca bianca. Bocca salata, di bella energia, con grande allungo, acidità calibra-ta, verticalità, carattere saldo con lunga persistenza e ricchezza di sapore. Vivo fresco, dav-vero ben fatto.

Trentino Nosiola Sole Alto 2009 Marco DonatiPoca intensità di colore e lucentezza metallica; naso sottile, caratteristico, fragrante, di bellagrazia espressiva con note di fiori bianchi, nocciola fresca, anice e qualche accenno agru-mato. Bocca ben secca, composta, di salda costruzione con buon equilibrio e sapidità.

Vigneti delle Dolomiti Nosiola 2008 Fanti GiuseppeColore paglierino verdognolo di bella luminosità e brillantezza pieno di riflessi, naso di buonafragranza e freschezza, con note di fiori bianchi, agrumi, accenni di nocciola fresca e pescabianca. L’attacco in bocca è ben secco, vivo nervoso, con acidità che spinge, con nerbosapido pieno di energia e carattere, con una piacevole nota amara che richiama la man-dorla sul finale lungo e diritto.

Vigneti delle Dolomiti Nosiola Maiano Bianco Poli Francesco 2007Colore vivo, naso molto aromatico e quasi moscatato con accenni dolci speziati, agruma-ti, di mandorla, noci e miele d'acacia. Bocca ricca piena leggermente dolce con ampiamateria larga e succosa: difetta un po' di freschezza e di nerbo acido sul finale.

LA DEGUSTAZIONE

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Trentino Pinot grigio Maso BergaminiPaglierino oro di bella intensità, naso ampio, caldo, espansivo, con bella espressione di frut-ta - pera - molto varietale. Bocca con buon equilibrio, frutta viva e succosa ma ravvivatada una bella espressione acida minerale e da una buona freschezza. Salato con interessan-te persistenza.

Vallagarina Pinot grigio 2009 La CadaloraNaso molto varietale, con espressione fruttata nitida, nervosa, salata, note floreali, accennisapidi. Buon equilibrio in bocca, abbastanza strutturata piena, con materia ricca, saldacostruzione, molto secco, diretto, con una bella persistenza lunga.

Vallagarina Pinot grigio Aes 2009 LetrariColore buccia di cipolla con leggera ramatura, naso molto caratteristico, macerativo,maturo, molto varietale ma con una certa fragranza e sapidità. Bocca nervosa, con bellaacidità che spinge, una materia larga ed equilibrata e finale nervoso salato di notevoleenergia.

Vigneti delle Dolomiti Pinot grigio Graminé 2008 LongarivaColore buccia di cipolla-sangue di piccione-rosato scarico, naso effusivo, ampio con bellapolpa fruttata, pera, fiori bianchi, accenni salati minerali. Bocca ampia, ricca, di notevoleimpegno e larghezza, molto strutturato pieno, succoso con buona persistenza lunga, difet-ta solo un po' di freschezza e di nerbo sul finale.

Trentino Riesling 2008 ZanotelliColore di grande vivacità e brillantezza, paglierino verdognolo, naso elegante, sapido,con agrumi e leggera speziatura di bella fragranza e ricchezza. Bocca fresca, salata conacidità nervosa che spinge, e una notevole mineralità nel retrogusto. Lungo, persistente congrande energia e “sale”.

Trentino Riesling 2007 Maso BergaminiColore di media intensità traslucido vivo, naso di grande impatto, con note minerali, accen-ni di idrocarburi, note di agrumi, fiori bianchi, mandorla, di notevole eleganza e freschezza.Bocca un po' sottile, non di grande ampiezza, ma con una bella vena acida salata incisivae una lunga persistenza nervosa, essenziale, petrosa di stupenda energia.

Trentino Riesling Clessidra 2004 Pelz & PifferColore molto vivace, luminoso, traslucido, naso caratteristico, minerale, petroso, con accen-ni di idrocarburi, fiori bianchi, agrumi, mandorla, miele d'acacia. Bocca ricca, piena, di bellaespansione, giocata più sul piano del frutto, della dolcezza, della cremosità che della inci-sività minerale. Molto piacevole da bere ora.

Trentino Chardonnay L’Opera 2009 GrigolettiBella vivacità e intensità di colore, naso ampio, maturo, succoso, con bella consistenza difrutto, accenni di fiori secchi, fieno e agrumi, di interessante complessità e vivacità. Boccaricca, piena, con una bella consistenza succosa, sviluppo largo, di buona ricchezza di sapo-re e finale articolato e lungo.

Vigneti delle Dolomiti Chardonnay Perer 2008 LongarivaColore paglierino di media intensità, naso essenziale, incisivo, salato, con note di frutta eso-tica, fieno secco e di agrumi in evidenza. Bocca viva, nervosa, con acidità che spinge. Vinoancora molto giovane, con una buona mineralità e un certo nerbo.

Vigneti delle Dolomiti Myrto 2009 ForadoriNaso caldo, maturo, ancora un po' fermentativo, di buona complessità e fittezza, caldo masapido e nervoso, bel mix di agrumi e fiori bianchi con una leggera speziatura. Boccaricca, piena, strutturata, ben secca e incisiva, vino di gran carattere ancora un po' squilibra-to. Da uve Incrocio Manzoni.

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Vigneti delle Dolomiti Manzoni bianco 2008 Giuseppe FantiColore paglierino vivo dorato multi riflesso, profumi di bella vivacità e definizione, ampi, com-plessi, ben strutturati, con note di fiori secchi, agrumi, mandorle, accenni di miele e solo unaleggera speziatura in evidenza, gusto ben secco, ma largo, ampio, ben strutturato, ricco digrande soddisfazione, con un’acidità ben calibrata, continuità e nitido sviluppo, grandenerbo ed estrema piacevolezza, da vino, come la Nosiola, di spiccata personalità ecarattere.

Vigneti delle Dolomiti Manzoni bianco 2007 ZanotelliColore poco intenso, traslucido, naso non molto espressivo ma incisivo nervoso e floreale.Bocca di buona freschezza, con acidità che morde, grande sale che dà persistenzalunga e appuntita. Vino molto fresco e ancora pieno di energia.

Vigneti delle Dolomiti bianco Filii 2009 Pojer e SandriMedia intensità di colore, naso molto particolare, dolce-salato con una nitida vena agru-mata e un accenno leggermente minerale di bella fragranza e freschezza. Bocca moltopiacevole, larga succosa di bell'equilibrio e calibrata dolcezza, vino molto immediato, fre-sco e di grande appeal. Da uve Riesling, Incrocio Manzoni, Kerner e Müller Thurgau.

Vigneti delle Dolomiti Fossa Bandita 2009 LetrariBellissima brillantezza di colore con riflessi metallici nel bicchiere. Naso intrigante, com-plesso, con una buona freschezza e sapidità, ampio, fragrante, elegante, molto salatonervoso. Bocca con acidità spiccata, una grande mineralità e freschezza non ampio,ma preciso verticale persistente. Da uve Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e IncrocioManzoni.

Vigneti delle Dolomiti bianco L’Aura 2008 Pedrotti GinoColore di bella intensità, quasi “grasso” nel bicchiere. Naso caldo, mediterraneo, com-plesso, con note di frutta matura, accenni vegetali di fiori e fieno secco, oltre che di miele.Bocca piena, molto strutturata, con prevalenza di note dure e leggermente astringenti,manca di bilanciamento. Il finale è molto pieno, ma la piacevolezza è un po' carente. Dauve Nosiola e Chardonnay.

Vigneti delle Dolomiti Retiko 2008 GrigolettiColore intenso di bella vivacità, naso cremoso, compatto con bella densità di frutto e unacerta dolcezza espressiva, con note di agrumi, frutta secca, pesca e fiori bianchi. Boccaampia, articolata con freschezza e acidità nervosa, con equilibrio e piacevolezza e finalelungo e vivo. Da uve Chardonnay, Sauvignon, Incrocio Manzoni.

Vigneti delle Dolomiti Sortì 2008 Roberto ZeniNaso molto caldo, maturo, complesso di grande compattezza ed eleganza, con un belgioco dolce-salato fresco nervoso e vivo, che richiama la frutta secca e il fieno. Bellissimaampiezza, larghezza e densità in bocca, molto strutturato, caldo, espansivo di grande sod-disfazione, con una persistenza lunga, pieno ma vivo, con acidità ben calibrata e nervosa.Da uve Pinot bianco e Riesling.

Vigneti delle Dolomiti Pritianum 2008 Giuseppe FantiGrande brillantezza e intensità nel bicchiere, naso salato, elegante, nervoso con unabella florealità, note di agrumi evidenti, molto fresco, nervoso, essenziale, vivo. Al gusto hanotevole allungo e una bella personalità, molto secco diretto, con grande equilibrio e belcorredo acido. Da uve Chardonnay, Incrocio Manzoni, Nosiola, Riesling.

Vallagarina Anisos 2007 Eugenio RosiColore paglierino intenso oro ambrato, naso piuttosto maturo, caldo con presenza di notedolci tostate, zafferano leggera speziatura. Bocca ricca, piena, di ampia struttura ma tendea chiudere leggermente asciutto e un po’ amaro, anche se molto pieno con tanta mate-ria. Da uve Pinot bianco, Chardonnay, Nosiola.

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Vigneti delle Dolomiti bianco Stravino di Stravino 2006 PravisSplendida intensità e brillantezza cromatica, un paglierino oro squillante spettacolare. Nasoampio, caldo, suadente, con note aromatiche, di frutta matura, agrumi, rosa passita, gin-ger e intreccio di sfumature dolci e salate e una leggera presenza di legno. Bocca ricca,piena, ampia, di grande struttura, con una nota leggermente affumicata, materia ricca,lunga persistenza, molto intrigante. Da uve Riesling, Incrocio Manzoni, Chardonnay, Sauvignone Kerner.

Vigneti delle Dolomiti Besler Biank 2005 Pojer & SandriColore di grande brillantezza e vivacità, naso di bella espressione minerale petrosa, con sfu-mature di agrumi e fiori bianchi, ha freschezza e sale. Bocca viva, nervosa di nitida defini-zione, ha sapidità, bell'allungo, nerbo, grande piacevolezza e sapidità, vino incredibil-mente giovane ancora con uno splendido potenziale di evoluzione. Da uve Pinot bianco,Riesling, Sauvignon, Incrocio Manzoni e Kerner.

Vigneti delle Dolomiti Müller Thurgau Quaron Borgo dei Posseri 2009Colore paglierino verdognolo di media intensità, naso caratteristico, varietale leggermen-te muschiato-aromatico di una certa freschezza ed eleganza. Bocca abbastanza ricca epiena, con un bel corredo acido, una buona lunghezza e persistenza. Vino equilibrato, pic-colo ma ben fatto.

Vallagarina Sauvignon 2009 BalterColore paglierino verdognolo scarico, naso varietale di una certa finezza con leggerenote verdi, di foglia di pomodoro e sambuco più che peperone, di bella sapidità e fre-schezza. Gusto sapido, nervoso, con una bella coerenza e dinamismo e acidità taglien-te e profonda.

Vallagarina Moscato giallo 2009 VallaromColore totalmente scarico, ma naso assolutamente intrigante di crema pasticciera, agru-mi canditi, rosa, accenni geraniosi di grande fragranza. Bocca moderatamente secca,con una buona acidità, poi prevalgono note terpeniche e il finale di bocca non è fresco,articolato, scattante come prometteva.

Vallagarina Traminer aromatico 2009 LetrariColore di poca intensità, ma brillante, naso molto varietale, con bella nota speziata nonpriva di accenni dolci, di rosa passita, salvia e canditi, in complesso una bella espressio-ne nitida con qualche accenno geranioso. Bocca di buon equilibrio, secca, nervosa, conuna buona ampiezza e densità, ha lunghezza, nerbo preciso e nessuna nota amara.

Trentino Traminer aromatico 2009 Maso PoliColore di poca intensità più sul verdognolo che sul paglierino, naso sottile, fragrante, flo-reale, geranioso, con una discreta equilibrata dolcezza e accenni di agrumi rosa e gin-ger. Abbastanza grasso in bocca, voluminoso con alcol pronunciato e un certo residuozuccherino che dà volume ma non facilita la beva.

Trentino Traminer aromatico 2008 Maso FurliColore paglierino oro intenso, naso intrigante, con accenni di miele, rosa, scorza d'aran-cia amara, una speziatura leggera. In bocca molto vivace, sapido anzi salato, con unabella articolazione e componente minerale: ha nerbo, vivacità, persistenza lunga e viva,un'acidità nervosa e grande ricchezza di sapore.

Trentino Superiore Villa Margon 2007 LunelliColore di media intensità, un paglierino oro brillante, naso fitto, maturo, compatto, di unacerta finezza ed eleganza, con nitida nota di mandorla. Al gusto ha piacevolezza,nerbo sapido, si propone lungo e nervoso, con coda verticale, spalla acida, linearità esapidità pronunciata. Da uve Chardonnay e con una quota di Pinot bianco.

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Una giornata

particolare

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Nel 1977 Ettore Scola racconta la storia di due soli-tudini umane, le quali si incontrano, si riconosco-no, uniscono le loro solitudini, si amano e infine

di devono lasciare. Il titolo del film è Una giornata parti-colare. La particolarità risiede nell’intimistica diversitàdel perduto personaggio maschile, nell’inconsapevolez-za della calda femminilità della protagonista femminile edell’eccezionalità dell’evento: la visita di Hitler a Roma.Mercoledì 26 maggio 2010 è stata una giornata partico-lare. A Vosne-Romanée è una mattinata quasi calda, ilcielo è disegnato di cumuli e ricci, l’aria non si è ancoracaricata di umidità, il silenzio delle vigne attornia tuttoil villaggio. Sono le dieci quando nella stretta stradache unisce Rue du Château e Rue du Temp Perdu, ilcui nome è Rue Derrière le Four, ecco apparire di colorerosso un cancello alquanto anonimo se non fosse per le

due consonanti che lo addobbano in alto “R” e “C”. R.C.per gli enofili impenitenti ha un solo significato: RomanéeConti.L’ambientazione è alquanto naturale e normale, non cisono sfarzi evidenti, tutto è plasmato in un feeling che siabbina alla silenziosità del terroir; altri, vista la famamondiale del vino ne avrebbero fatto un tempio da osan-nare.Lo stile discreto e schivo di una borgognosità contadinasalta agli occhi all’ingresso della cantina. A destra sonoallineanti dei grandi e larghi tini di legno usati per la vini-ficazione con in bella mostra il patriarca dell’azienda, dioltre 200 anni di età, ma ancora in uso. Qua è la ripo-sano alcuni pancali di prezioso vino rosso destinati allaNuova Zelanda e al Messico. Tutti gli attrezzi enologicisono sistemati a macchia di leopardo a testimonianza diun disordinato e momentaneo disuso.È una cantina molto simile a quella di un “coldiretto”,per dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che fare vino èmolto, molto naturale.Seguo la mia guida che si avvicina nell’angolo a sinistradell’ingresso, proprio dietro un tino di legno che ancorasembra odorare di mosto; lì c’è un piccolo passaggio,stretto e nascosto, come se volesse nascondere un cave-au. Oltrepasso la soglia e piccoli scalini in pietra mi avvia-no verso il basso; l’aria si fa più fresca, mi viene incon-tro come per salutarmi, è pulita e carezzevole, è acro-micamente umida e linda. Quest’aria protegge un teso-ro: il Pinot Nero della Société Civile du Domaine de laRomanée Conti.

di Roberto Bellini

� I vigneti della Romanée-Conti

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Il liquido rubino s’annida in barrique allineate in modoordinato, che emanano un profumo dolce e delicato dilegno; legno che il Domaine acquista direttamente daicoltivatori di quercus nelle foreste di più antico blasonedi Francia, lo fa stagionare all’aria, lo invia alla lavora-zione, a façon, e infine ritira le barrique finite.Bernard Noblet è figlio d’arte, per 40 anni suo padre halavorato in azienda, lui invece opera nel Domaine da 35anni: una vita maritata al Pinot Nero.Bernard spiega che dal 2008 tutte le vigne sono coltiva-te in modo biodinamico, il composto organico è fatto incasa, la vigna viene lavorata con l’ausilio del cavallo. Laloro coltura “ragionata” vuole ancor di più conservarela naturalità dell’espressione del terroir, per questo ilieviti sono solo indigeni, solo quelli che vivono in vigna.La vinificazione, macerazione e fermentazione si svolgenell’arco di 18-25 giorni, seguono 18 mesi in barrique e18 mesi in vetro.Il percorso nella cantina sotterranea mi conduce nell’an-golo a sinistra, Bernard toglie il cocchiume da una bar-rique che porta il nome Grand Échézeaux, l’annata è2009, poi seguiranno Romanée-Saint-Vivaint, Richebourg,La Tâche e Romanée-Conti.Grand-Échézeaux 2009. Il vino, nonostante la poca fiocaluce dell’ambiente, ha limpidezza ben brillante. Vestitoabbigliato di lucente rubino buccia di ciliegia, impetuo-sa l’intensità fruttata e floreale, naso non completamen-te composto per via di un accennato residuo di malolat-tica che non impedisce di percepire una vellutatezza suc-cosa e saporita, un tannino finissimo e una persistenzaaromatica intensa che sta componendosi elegantemen-te.Romanée-Saint-Vivaint 2009. Ha colore rubino setoso,ottima la consistenza. Il profumo si articola tra espres-sioni di piccoli frutti rossi e dolcissimo speziato, le notetostate si stanno maritando alla complessità. Gusto giàsapido e raffinato nel tannino, la succosità del Pinot Nerosi fa tentata armonia, vividamente fruttato il sapore èdi ribes rosso e la chiusura gusto olfattiva si sta alline-ando ai canoni di una resistente lunghezza.Richebourg 2009. Molto intensa la tonalità rubino, d’unascintillante vivacità. Freschissimo l’impatto fruttato, fine-mente vegetale di violette ammazzettate, vanigliato e pepa-to. La sapidità pizzica le papille gustative, al sapore diciliegia selvatica che forma una espressione tattile di tan-nino un po’ scorbutico. Ha una scala strutturale decisa-mente sopra la media dei Pinot Noir, esuberantementegiovane necessiterà dell’affinamento in vetro per armo-nizzarsi.La Tâche 2009. È un monopole, cioè la vigna appartie-ne a un solo proprietario. Questa unicità si individuasubito nella purezza del Pinot Nero, complesso nel frut-tato, nel floreale e nello speziato, un po’ balsamico e mine-rale. Finissima è la spigolosità gustativa, al gusto di cor-niola selvatica che si estrinseca in una sensazione tan-nica in via di equilibrio, saporito di spezie orientali. Ilfinale di gusto si allunga alternando espressione di mor-bidezza e di tannicità, chiusura pulitissima.Romanée-Conti 2009. Bernard Noblet s’avvicina allabarrique posta nella fila superiore, nel settore centrale,toglie il cocchiume e inserisce la “pipette” e poppa quel

� Il piccolo centro urbano di Vosne-Romanée

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vino. Il bicchiere dal bevante a forma di rosa quasi sfio-rita accoglie il Pinot Nero. La voce di Bernard esce quasisilenziosa, cercando di non disturbare la quiete di queivini sonnecchianti.Romanée-Conti è un vino particolare, anch’esso è unmonopole di proprietà della Société Civile du Domainede la Romanée Conti. Il vino rappresenta la pura essen-za del Pinot Nero e incontrarlo sfiora un aspetto magico:è incontrarsi, riconoscersi, unirsi, amarsi e infine lasciar-si.Ettore Scola volle rappresentare nel film “Una giornataparticolare” le velate malinconie quotidiane della Lorene di Mastroianni, entrambi inconsapevoli che al megliopotrebbe non esserci mai fine e incontrare Romanée-Conti è avvicinarsi a un fine e a una fine.Ecco allora l’incontro particolare con Romanée-Conti, dalcolore rubino setoso di fulgida cristallinità, sinuosamen-te scivola nel bevante con movimento seducente e fem-minile. Riconoscere l’essenza del Pinot Nero è facile, rico-noscere l’esplosione floreale di Romanée-Conti è odora-re un’anima irripetibile: glicine, violetta di bosco e giag-giolo dal petalo viola; intensamente raffinato è il frutta-to, una corbeille di ciliegie, di ribes rosso, di fragola dibosco. Il vino è ancora cullato dalla barrique e l’apportoaromatico del prezioso legno si sta insinuando nella per-sonalità varietale dell’uva, sta unendo le due solitudini edemozionalmente inonda lo spirito del degustante e loammalia, lo prepara alla nuova esperienza, predisponen-dolo a prossime intime complicità.Romanée-Conti si ama e ti ama, la particolare complici-tà si massimizza nelle sensazioni gusto-olfattive. Il tri-pudio del gusto ha nella sensuale tannicità sapido-frut-tata la migliore rappresentazione del seduttivo appeal diun vino che è insieme femmina e amante. Sorprende lasua gioventù gustativa verginea e navigata, a cui labarrique sta costruendo un maquillage gustativo cremo-so e sofficemente piccante, la cui sosta distillerà un eau-de-parfum di balsamica menta, di vanigliata liquirizia, dirinfrescante efflusso di spezie orientaleggianti. È un attodi amore gusto-olfattivo lunghissimo dal sapore sapida-mente fruttato, una linfa finissima al sapore di ciliegiae altri piccoli frutti a bacca rossa frullati, quasi un mix,un frappé fruttato dal gusto secco. Romanée-Conti è un Pinot Nero che sensualizza e illan-guidisce le sensazioni che rifiniscono la persistenza aro-matica, il suo finale di gusto ha ancora un intreccio pue-rile, alcuni approcci aromatici s’affacciano timidamente,ma la tempra dell’eleganza e della perfezione s’intuisceghiottosamente.Lasciarsi è un po’ morire, qualcuno sicuramente l’avràdetto, questa giornata particolare ha il suo epilogo nellasciarsi, come nel film di Ettore Scola. È un lasciarsisilenzioso, soffusamente melanconico, d’una melanco-nia felice per l’amore vissuto e i cui umori effusivi reste-ranno a lungo nelle corde della memoria di questa gior-nata particolare. La particolarità della giornata merita di rielaborare unacitazione dotta, poetica e scomodare la genialità di FabrizioDe André diventa un obbligo se si parla di Romanée-Conti: è stato meglio lasciarlo che non averlo mai incon-trato.

� Il cancello con le iniziali della Romanée Conti

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La storiaraccontata

attraverso

il vino

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uintino Sella alza in alto il bicchiere di cristal-lo sul quale è inciso lo stemma sabaudo. Ilvino è quello della sua terra: il Nebbiolo diLessona. Il limpido colore granato riflette la

luce degli imponenti lampadari che illuminano la sala.Tutti i presenti lo seguono, alzandosi in piedi e brin-dando all’Italia finalmente unita. Il 18 ottobre 1870, l’il-lustre politico piemontese, severo ministro delle Finanze,tiene a battesimo il primo governo italiano dopo la brec-cia di Porta Pia a Roma e, con orgoglio, offre il vino chela sua famiglia produce da secoli sulle dolci colline diLessona, nei pressi di Biella.Il cammino verso l’atto finale dell’Unità d’Italia erainiziato a Torino il 17 marzo 1861 con la proclamazio-ne del Regno d’Italia. Camillo Benso conte di Cavourmorirà poco dopo, il 6 giugno dello stesso anno, tra ilrimpianto generale. Il sommo statista, tessitore dell’uni-tà d’Italia, non partecipò alla seduta del primo parla-mento italiano a Roma. Avrebbe certamente condivisoil brindisi con il Lessona, naturalmente aggiungendoanche il Barolo, prodotto nelle sue tenute di Grinzane,presso il famoso castello. La storia passa anche attraverso il vino. In occasione

dei 150 anni, ormai prossimi, dell’Unità d’Italia si sonovoluti ricordare gli eventi con una speciale serata dedi-cata al vino di Lessona, nobile denominazione legata alvitigno Nebbiolo, concludendo con l’apertura di unastorica bottiglia Lessona del 1861.Luca De Marchi titolare della Proprietà Sperino ha illu-strato il particolare terroir di Lessona, piccolo centroa pochi chilometri da Biella, la storia e la peculiaritàdel suo vino ottenuto dal Nebbiolo. La particolare qua-lità che gode questa denominazione è dovuta al terre-no costituito da soffici e antiche sabbie marine. Fino aiprimi anni del 1900 Lessona era circondata dalle vigne,uno spettacolo unico, la viticoltura era praticata concura e i vini prodotti godevano di grande considera-zione ed erano presenti su molti e importanti mercati. I principali proprietari e produttori erano nobili e fami-glie borghesi, per i quali la viticoltura non era l’attivi-tà principale. Una fortuna per alcuni aspetti, per i con-tatti e per la commercializzazione del vino, ma ancheun limite per il futuro. L’estinzione di alcune famigliee la speranza di guadagni superiori in altre attività,allontanò dalla vigna due generazioni di lessonesi.L’eccezione, grazie alla quale la memoria del vino di

IN OCCASIONE DELL’ORMAI PROSSIMO 150° ANNIVERSARIO

DELL’UNITÀ D’ITALIA SI SONO VOLUTI RICORDARE GLI EVENTI

CON IL VINO DI LESSONA, PICCOLO CENTRO A POCHI PASSI DA BIELLA

di Mauro Carosso

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Lessona non si è estinta, è rappresentata dai Sella, sto-rici produttori e banchieri, e dai Clerico, unici contadi-ni che per generazioni hanno vissuto della loro terra.Accanto a queste due realtà si è affiancata l’anticaProprietà Sperino, produttori nel passato di ottimiSpanna, così erano chiamati i vini di Lessona, la cuiattività enologica è stata ripresa con passione dallafamiglia De Marchi, originaria di questa terra, titolaredella tenuta toscana di Isole e Olena, ma con la pas-sione per il Nebbiolo.

����LE VICENDE LEGISLATIVEGià nel 1895 in uno studio del ministero dell’Agricolturasi citava il vino di Lessona come vino prodotto dal viti-gno Spanna. Vino di particolare pregio.Arturo Marescalchi scriveva nel 1905: «Il Lessona è unvino gagliardo, che mantiene la sua piena vitalità forsepiù a lungo e più degnamente degli altri grandi vinid’Italia. Nella sua pienezza di vita è un vino fino, com-pleto, splendido per il profumo sottile e delizioso enon traboccante. Magnifico per la pastosità carezze-vole che presenta al palato, per il nervo vigoroso esincero che fa sentire sotto, per l’armonia piena dei suoicomponenti». Notevoli in questo periodo le lucide e com-petenti riflessioni sulla indiscuti-bile qualità del vino di Lessonariportate sui bollettini della loca-le parrocchia da parte del parro-co monsignor Delfino Maggia :«A Lessona dobbiamo rivalorizzar-ci curando il vino tipo Lessona,dato dalla cosiddetta “Spanna”che ha profumo, gusto e pregio dasuperare il Barolo, formato dallastessa vite produttrice, ma con

specialità di terreno fecondatore inferiore al terreno col-linare di Lessona» (novembre 1925). Il decreto del 1942disciplinò la produzione del vino di Lessona classifican-dolo tra i vini di pregio di seconda categoria, comesottospecie del Gattinara. Si legge nel decreto che «par-tecipando alle caratteristiche organolettiche del vinofino (che derivano dall’esposizione delle vigne, dallacomposizione chimica del terreno e dalla ricchezza diparticolari sali metallici in esso contenuti ) non puòvenire confuso nella massa anonima dei vini definiti di“normale consumo” dall’art. 1 del Decreto 29/8/1941».Nel 1977 si giunse, dopo un lungo iter burocratico, alriconoscimento della Doc. Il periodo non era dei piùfavorevoli, la viticoltura a Lessona e nel Biellese denun-ciava il progressivo abbandono verso altre attività cer-tamente più remunerative. Pochi, seppur tenaci, furo-no i produttori che portarono avanti con difficoltà lepratiche per la denominazione, tra questi i Sella, i Clericoe gli Ormezzano. Finalmente il 2 marzo 1977 fu pub-blicato sulla Gazzetta Ufficiale il disciplinare della nuovaDoc Lessona. Fortemente voluta dai Sella, per moltianni la Doc Lessona risultò quasi un monopolio dellaloro azienda agricola, essendo rimasti gli unici a imbot-tigliare ed etichettare il vino Lessona. Una fortunache ha mantenuto in vita questa denominazione.

����LA RIPRESAI nuovi vigneti, che in questi ultimi anni spuntano sullecolline di Lessona, testimoniano la volontà di ripresadella viticoltura, dando al Lessona un più ampio respi-ro e competitività. La vite riprende quello che un tempoera suo. Prestigiosi terreni e mirabili posizioni, abban-donate al bosco per quasi un secolo, sono reimpianta-ti a Nebbiolo. Una rivincita? Certamente terreni sani,terreni vergini. Negli anni in cui trattamenti ed esaspe-rati interventi hanno invaso i vigneti di mezza Europain nome della tecnologia, le vigne di Lessona erano asso-

pite, invase da robinie, faggi ebetulle. Dunque una nuova viti-coltura su terreni antichi che,attraverso le nobili sabbie mari-ne, respirano il desiderio di pro-durre un grande vino. Una zonavitivinicola non può che cresce-re quando al suo interno ci sonopiù produttori che mirano allaqualità e alla valorizzazione delterritorio e alla competitività.

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� Mauro Carosso, delegato di Torino, e Fabio Gallo,presidente Ais Piemonte, insieme ai produttori diLessona

� Quintino Sella� Camillo BensoConte di Cavour

Lessona e le Prealpi Biellesi

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LESSONA SAN SEBASTIANO ALLO ZOPPO 2004

La prima annata del San Sebastiano risale al 1980 e valorizza l’anticovigneto di famiglia, collocato ai piedi della storica villa settecentesca chedomina la collina. Una parte delle viti superano il mezzo secolo di vita.Intenso il colore granato, ricca complessità olfattiva che spazia dai profu-mi fruttati, speziati e minerali. Lentamente con l’ossigenazione il vinoaumenta in definizione e finezza rivelando il vero carattere dei vini diLessona. Gusto pieno e completo, di grande corrispondenza gusto olfatti-va, tannino vivo e piacevole. Vino importante e di fascino.

LESSONA OMAGGIO A QUINTINO SELLA 2004

Da alcune vendemmie viene proposto il Lessona Quintino Sella, selezionedella migliore botte. Un riconoscimento all’illustre uomo politico che portòa compimento il cammino dell’Unità d’Italia.Granato limpido, intensi e complessi profumi di fiori, frutta matura, accom-pagnati da intriganti note minerali, sfumature agrumate caratterizzano ilfinale. Completo al gusto, equilibrato e persistente.

TENUTE SELLALe Aziende Agricole Sella comprendono i vigneti di Lessona e la tenuta di Bramaterra. Terrenicoltivati a vigna fin dalla fine del 1400. La famiglia Sella inizia la produzione del vino nel 1671,affiancando nel tempo le attività nel campo tessile e successivamente bancario. GioachinoSella, con la collaborazione di Cristiano Garella, conduce oggi l’azienda vitivinicola affiancato dall’enologoGianluca Scaglione. Per loro la produzione del vino è passione, cultura ed emozione. Negli ultimi anni l’aziendaha proposto al mercato delle nuove etichette che valorizzano i vigneti più vocati, rinnovando anche la graficadell’elegante e storica etichetta.www.tenutesella.it – [email protected]

LESSONA 2005

Classico granato, brillante di fascino. Profumi intensi ampi, di estremafinezza, ricordi floreali di rosa e piccoli frutti, ribes e fragolina, le note diaffinamento sfumano in un ricordo speziato dolce. Sapore intenso, fine edelicato, ricorda con forza la salinità del territorio. Perfetta fusione del-l’acidità con il tannino, vino armonico.

LESSONA 2006

Scintillante il colore granato, ricco di riflessi rubino. Olfatto finissimo e inten-so ad un tempo, fiori rossi accompagnati da sfumature speziate che noninvadono il campo minerale, quasi vegetale, che apporta freschezzaolfattiva incredibile. Sapore pieno, equilibrio completo in divenire, senzadubbio la maturazione in bottiglia apporterà le attese grandi e nobili evo-luzioni del Nebbiolo.

PROPRIETÀ SPERINOL’amore per la propria terra ha mosso la famiglia De Marchi a ricominciare la produzione di vino in Lessona.L’antica etichetta Proprietà Sperino ha ripreso vita grazie al progetto di recupero e valorizzazione di Paolo DeMarchi e del figlio Luca. Le difficoltà per il rimpianto della vigna dove il bosco era ormai padrone, lo studio delterreno e ultimamente la produzione in proprio di fertilizzante, caratterizzano la tenacia e la volontà pionieristicadei De Marchi che hanno creduto in questo territorio, da sempre nel loro cuore. Le prime vigne reimpiantatehanno ormai dieci anni e iniziano a dare prodotti di alto livello.info@proprietàsperino.it

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LESSONA 2004

Granato trasparente, all’olfatto esprime con calma e precisione articolatie intensi profumi fruttati che ricordano il melograno e il ribes, affioranodolci spezie e finiture minerali. Al gusto è intenso con lunga e finissima per-sistenza. Ottimo equilibrio con dialogo tra l’acidità e il dolce tannino. Ilsapore risulta coerente con l’olfatto imprimendosi nettamente nellamemoria gustativa.

LESSONA 2005

Granato da Nebbiolo di razza, olfatto fine e delicato, porge tutta la fra-granza e la mineralità dei migliori Lessona. Piccoli frutti, delicata speziatu-ra con ricordi di agrume. Il gusto rivela la sua giovinezza e il ricco tanninotende a prevalere sulle morbidezze. La persistenza rivela grande sapiditàche segna il finale. Vino con spiccato carattere.

LESSONA Denominazione d’origine controllataD.M. 3/12/1976 G.U. 2/3/1977

Vitigno Nebbiolo min 75%, Vespolina e/o Bonarda max 25%Comune di produzione: Lessona in provincia di BiellaResa : 80 q./ettaro 70% resa uva /vinoGr. alcolica minima: 12°Acidità : 5.50 per milleEstratto: 22 per mille Affinamento: due anni di cui uno in legno, con decorrenza dal 1° gennaio successivo alla vendemmia.

LESSONA SELLA 1961 Le bottiglie provengono direttamente dalle cantine dell’azienda. Sono state conservate con cura in locali idonei.Dopo l’apertura si è effettuata la decantazione.Perfetto il colore aranciato limpido e vivo. Naso austero ed etereo, che lentamente progredisce nell’espressionedi articolati profumi. Dominano le note terziarie della maturazione in bottiglia, spezie, erbe e frutta in confettura.L’insistente ricordo dei fiori secchi, i tocchi di tostatura e liquirizia nobilitano il bicchiere. Ottima bevibilità, tuttoappare equilibrato con grande lunghezza e persistenza. Si ricorda a lungo, vino con mezzo secolo di vita.

LESSONA PROPRIETÀ SPERINO 1861 La bottiglia originale non ha subito nessuna ritappatura nel corso della sua vita. Proviene dalle cantine del castellodi Lessona, antica proprietà della famiglia Sperino, pervenuta in eredità alla famiglia De Marchi, parenti collateralidegli Sperino. Una nota particolare merita Casimiro Sperino (1812 - 1894), senatore del Regno d’Italia, medico chi-rurgo, preside della facoltà di medicina e fondatore del primo ospedale gratuito d’Italia, l’Ospedale oftalmico diTorino. Deluso e amareggiato dalle vicende interne al suo ospedale, si ritirò a Lessona, dedicandosi alla viticoltura.In particolare suo figlio Felice si applicò con metodo, pubblicando saggi sulla viticoltura e intrattenendo corrispon-denza con esperti del tempo in campo agronomico ed enologico, confrontandosi pure con importanti realtà pro-duttive come la Francia. Il colore giallo paglierino limpidissimo, il Nebbiolo si decolora negli anni, potassio, tanninie antociani formano la camicia che rende trasparente il vino. La luce attraversa con fierezza il vino nel decanter,dal bicchiere emergono profumi complessi e particolarissimi. Il sentore di frutta secca, tostato e vaniglia, speziecomplesse e grande etericità degna di un grande vino simile allo sherry fino, con aggiunta di fine mineralità. Si sor-seggia in silenzio: fresco, sapido, anzi, molto sapido, continuo e piacevole nel comunicare la sua vitalità. È un vinovivo, ricco di gusto.

MASSIMO CLERICOAntica famiglia di Lessona, da sempre produttori di vino, abitano nella bella casa di famiglia chiamata Ca’ duLeria. Massimo rappresenta la quarta generazione e nel vino ha puntato sull’assoluta qualità. Il papà è stato unodei sostenitori della Doc, motivo in più per incentrare tutto sulla valorizzazione del territorio. La scelta di dedicarsicompletamente al vino di Lessona è stata vincente regalando a Massimo soddisfazioni e importanti riconosci-menti per i suoi vini.www.clericomassimo.it – [email protected]

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Tutti i volti della

viticolturairpina

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di Alessandro Franceschini

Avere i giusti compagni di viaggio è una fortuna impa-reggiabile. Specie quando ci si incunea in territorida soppesare con cura, per togliere preconcetti o

false sovrastrutture che ci si è costruiti nel tempo, dedi-candosi sempre e solo all’assaggio di campioni, attivitàfondamentale, ma non sufficiente senza l’ascolto dellevigne e delle persone che le vivono quotidianamente. “Qui ci sono ancora molti boschi. La fillossera è arrivataintorno agli anni venti e trenta e fino a prima del terremo-to praticamente solo tre aziende hanno portato avanti l’in-tero comparto vitivinicolo irpino: Mastroberardino, Di Marzioe Struzziero”. Maurizio Paolillo, agronomo e consulente scientifico dellarivista Porthos, è uno dei nostri primi “Caronte” che ciaccompagneranno in un breve, ma intenso, tour, tra alcu-ni dei territori simbolo delle viticultura irpina. Greco diTufo, Fiano di Avellino e Taurasi: tre denominazioni cheda sempre fanno da portabandiera del vino campano,ma che al tempo stesso incorporano diversità e comples-sità che solo raramente emergono con chiarezza. Il mer-cato, sappiamo bene, ha i suoi tempi, spesso in antitesicon quelli dell’uomo e dei vini che produce. Fiano e Greco sono due uve che più di altre patiscono l’in-distinta consuetudine di dover consumare i vini bianchientro il primo anno dall’uscita. L’Aglianico taurasinonon è lo stesso, sempre e comun-que: il comprensorio ha terreni,altitudini ed esposizioni talmenteeterogenee al suo interno da con-segnare vini con volti di varia fat-tezza. Così come esiste il Barolodi Barolo e quello di Serralunga eMonforte, non è una forzatura,anzi, una necessità, dover parla-re del Taurasi di Taurasi, maanche di quello di Paternopoli o diCastelfranci. La ricchezza dellaviticultura irpina, ancorata quasisenza accorgersene a un dedalodi territori diversi ma anche a unpatrimonio ampelografico autoc-tono praticamente immacolato,spesso non riesce a far parlaredi sé come dovrebbe. Difficile spie-gare il motivo. Atavico individualismo locale? Anche, main realtà qui, forse più che altrove, limiti e punti di forzaspesso non riescono a trovare il giusto equilibrio. PaoloDe Cristofaro, giornalista e anima di molte iniziative viti-vinicole presenti sul territorio irpino, ci può aiutare a capi-re bene parte delle difficoltà presenti: “Da un punto di vistastrategico e promozionale, l’Irpinia del vino è l’emblema diquanto spesso si sostiene a proposito delle politiche di soste-gno ai prodotti del sud. Molto complicata la creazione e il

consolidamento delle forme associative, grande dispendiodi energie e risorse in iniziative di respiro prettamente loca-listico, esasperazione degli atteggiamenti di campanilismo,difficoltà di dare continuità e sostegno ai progetti di promo-zione e comunicazione”.Ci siamo affidati a tre persone che vivono il territorio irpi-no quasi quotidianamente, attraverso due giorni di visitein vigna e seminari all’interno della manifestazioneAnteprima Irpinia, svoltasi il 5 ed il 6 giugno.

��� Non tutti i Greco sanno di tufo“Le note di albicocca oppure di miele e castagno sono dovu-te più ad ossidazioni precoci che non all’aderenza al varie-tale”. A Mauro Erro, enotecario, giornalista e collabora-tore di varie testate tra le quali il blog www.lucianopig-nataro.it, spetta il compito di sfatare alcuni preconcettilegati a uno dei vini bianchi storici campani più tradizio-nali, intimamente legati al bere quotidiano locale e al tempostesso più difficili da definire. “Vi è una estrema polveriz-zazione della proprietà e difficilmente le aziende vinificanoin purezza le uve di un determinato areale”: difficile qui piùche altrove definire con certezza tratti e caratteristiche diun uva che lega il suo nome al comune di Tufo, ma chesa anche non esserne schiavo. Se dal paese che dona ilnome insieme all’uva all’intera denominazione, Docg dal

2003, si sale verso Santa Paolinao Montefusco cambiano le altitu-dini e i terreni. Qui, in una dellezone più aperte del comprensorioirpino (nonché una delle più vita-te) i terreni sono più argillosi rispet-to a Tufo, con buona presenza dicalcare e di carbonato di magne-sio. È storica la diatriba tra Tufo eSanta Paolina per definire il migliorGreco: impossibile rispondere,basta però, in effetti, osservare.Tufo ha storicamente gli impiantipiù vecchi e connota in modo pre-ciso i vini attraverso quelle noteminerali e sapide insieme.Spostandosi verso Santa Paolinaci troviamo in presenza di grandiescursioni termiche che aiutano le

fasi dormienti della vite e soprattutto accentuano note aro-matiche che non fanno parte in modo marcato e spiccatodi quest’uva. Come sottolinea ancora Erro: “Fondamentale,poi, è sempre il cosiddetto manico”, cioè il produttore.Allevare Greco per ottenere vini ricchi di personalità nonè d’altronde facile: acidità elevate e pH basso, grande cari-ca polifenolica con rischio di ossidazioni, grappolo com-patto e soggetto a muffe. C’è una bella ricchezza di profi-li olfattivi diversi oggi presenti sul mercato, ma certamen-

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te quelli che ricordano in modo quasi stucchevole e osses-sivo “i frutti tropicali e la banana non appartengono né alvarietale, né al territorio”.

��� Tra i gran cru del FianoQuando arrivi al bivio tra Lapìo e Montefalcione e comin-ci a tuffarti tra le vigne, magari inoltrandoti verso la voca-ta frazione di “Càmpore”, rimani colpito prima dal cartel-lo “III Tratto Appia Antica” e poi dalla sagoma del monteTuoro. Queste due zone rappresentano la culla del Fiano,luoghi dove la coltivazione della vite ha sempre resistitoanche dopo la seconda guerra mondiale. Due macrozone:Lapìo con terreni argillosi ed esposizioni a sud vocate ancheper l’Aglianico, Montefalcione con terreni più sciolti eleggeri e la presenza di versanti che guardano anche anord. “È più facile parlare di territorio per il Fiano”: Antonio DelFranco, sommelier e presidente uscente Ais Campania,disegna con relativa sicurezza un quadro, quello del Fiano,dove la distinzione tra caratteristiche organolettiche dovu-te ad areali ben distinti è più semplice da delineare:“Pompelmo e agrume a Lapìo, grande mineralità aMontefrèdane, frutta carnosae grassezza a Summonte”e ancora maggior sottigliez-za e finezza a San Micheledi Serino e via discorrendo.Quella del tempo e dell’at-tesa è un fattore che in moltisottolineano quando si parladi Fiano: “Spesso tra ilsecondo ed il terzo anno ilFiano ha come una sorta dimutismo per poi riemergere”ci dice sempre Del Franco oancora c’è chi, come MaurizioPaolillo, pone l’accento sul

rischio di giudicare il Fiano poco dopo la sua uscita: “Il Fianonon dovrebbe mai essere consumato prima del terzo anno,altrimenti si omologa agli altri vini”.

��� I volti del TaurasiPaolo De Cristofaro non si stanca mai di sottolineare l’in-credibile diversità presente tra le diverse anime dell’Aglia -nico di Taurasi: “È un areale diversissimo con anche unmese di differenza nell’epoca di vendemmia tra zona e zona”.Se Mastroberardino ha corso una gara a sé in assolutaautonomia fino agli anni Ottanta, in seguito il panoramasi è arricchito di realtà, spesso piccolissime, ma in gradodi animare una denominazione che stupisce per eteroge-neità. Cloni diversi, altitudini praticamente di tutti i tipi,terreni argillosi, calcarei o ancora vulcanici. Se a questouniamo le ovvie variabili dell’annata e delle filosofie pro-duttive, ci si rende conto, poco dopo aver attraversato,anche velocemente, i luoghi di elezione dell’Aglianico tau-rasino come il paragone con le Langhe, che abbiamoevocato in apertura, non sia poi così forzato. “La grande annata per Taurasi non coincide, come si è sem-pre pensato con il colore e la concentrazione”. De Cristofaro,in effetti, sottolinea come questi due parametri non pos-

sano essere considerati come uniche iconestilistiche in presenza di unatale varietà di terroir. Nellezone alte, come ad esempioa Montemarano, Paternopolie Castelfranci abbiamo tan-nini, acidità e alcol. Vinipotenti dove la vendemmiaa volte si protrae anche sinoa metà novembre, completa-mente all’opposto rispetto adareali come Venticano oPietradefusi dove l’Aglianicomatura molto prima. Per

� Vigneti di Lapìo ai piedi del Monte Tuoro

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ricercare maggior eleganza, con vini più sottili che grossi,dobbiamo spostarci nella media Valle del Calore, aLuogosano piuttosto che a Sant’Angelo all’Esca, o anco-ra in specifiche località, come Case d’Alto e Piano d’Angelo,dove uno strato di lapilli vulcanici disegna un terroir doveè facile imbattersi in vigne ancora a piede franco. “La rag-giera avellinese” ha oggi lasciato il posto all’allevamento acontro spalliera, anche se è ancora abbastanza facile osser-vare vigne allevate con il vecchio e storico sistema diconduzione della vite in Irpinia: ma non sono gli unici cam-biamenti. “A partire dagli anni Novanta sono scomparsemolte classiche aziende agricole che producevano sostan-zialmente grano per gli animali e sono nate molte aziendevinicole”. Chi parla è Salvatore Molettieri, considerato unodei pionieri del rinascimento locale.

��� Qualche segnalazioneTrentuno aziende non possono ovvia-mente donare un quadro esaustivo ditre denominazioni, alla luce dellacomplessità appena evocata, seppursommariamente. Alcune realtà, degu-state sia alla cieca che tra i banchi diassaggio allestiti presso il CastelloMarchionale di Taurasi, meritanocomunque una segnalazione. CiroPicariello è senza indugio il primonome segnalare: il suo Fiano diAvellino 2008 è una ventata di ariafresca. Sapido, mordente, di granbella lunghezza, non concede alcunaconcessione ad aromaticità fuori postoo a piacione mollezze. A tratti quasiaffumicato, con un frutto vivo e drit-to, rappresenta una gran bell’esem-pio dell’areale di Summonte. Sette gliettari proprietà, cinque dei quali alle-

vati a Fiano, la piccola azienda di famiglia lavora su vigne-ti posti a 650 metri di altezza su terreni argillosi e sabbio-si insieme. Spostandoci tra i Greco di Tufo, segnaliamoinvece il campione di Vadiaperti, annata 2009: da vigne-ti provenienti tra i 600 metri di altitudine in località“Marotta” nel comune di Montefusco, riesce a coniugarebene tratti agrumati, di limone e una mineralità di gran-de finezza espressiva. Gessoso e di gran bello slancio fina-le, sebbene ancora in fasce, il Greco di Raffaele Troisi rap-presenta bene quelle peculiarità che distinguono il Grecodella fascia alta della denominazione.Taurasi presentava un discreto numero di campioni del-l’annata 2006: una conferma anche in quest’annata emer-ge da Pasqualino Di Prisco. Da vigneti presenti nell’anti-

co borgo di Fontanarosa, il suo Taurasiha classe e finezza, nella grana dei tan-nini così come nella definizione delfrutto, dolce, già ben distesa e aperta,ma mai ruffiana e stucchevole. Il VignaCinque Querce di Salvatore Molettieriha come timbro potenza ed estrazio-ne, specie in questa fase ancora infasce: ma rimanendo sempre nellafascia alta della denominazione, aCastelfranci, merita una menzione ilTaurasi dell’azienda Boccella. Davigneti di più di 50 anni, posti a 600metri di altitudine con una splendidaesposizione sud-est, nasce questocampione da un particolare clonedell’Aglianico detto “a coda di cavallo”.Gran nerbo nella trama tannica, spe-zie, note di cacao e frutto ben integra-ti insieme e un centro bocca di granrazza e sostanza. Da aspettare concalma, come molti dei vini provenien-ti da questo piccolo comune.

� Vigna Cinque Querce a Montemarano

� Il Fiano di Avellino di Ciro Picariello

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L’antico orodel Friuli

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Il nome evoca l’idea di un luogo ameno e piacevole. Ma il Ramandolo riportaalla memoria più il vino, che non la località. Infatti fin dall’antichità il vino portail nome del toponimo e non quello del vitigno. E come ha detto Piero Pittaro,

ex presidente dell’Unione internazionale degli enologi, “ciò accade quando la famadi un prodotto supera quella del luogo d’origine e ne congloba storia e immagine”.Ci troviamo in Friuli Venezia Giulia e in particolare sulle colline di un antico borgorurale tra Nimis e Tarcento, in provincia di Udine, un tempo patria di Celti e diLongobardi. Un territorio attraente per la gente ospitale, per le pregevoli espres-sioni artistiche, per le antiche tradizioni e naturalmente per la grande varietà divini. Piccoli terrazzamenti realizzati con la sola forza delle braccia e intorno diste-se di boschi. È questa l’area del Consorzio Colli Orientali del Friuli e Ramandolo,che comprende circa 2300 ettari di vigna. Fra le varietà coltivate in questa zonavanno segnalati anche gli altri vitigni autoctoni di questo territorio, come Friulano,Verduzzo friulano, Ribolla gialla, Schioppettino, Pignolo, Tazzelenghe, Refosco dalpeduncolo rosso e Picolit. Il Ramandolo è una pregevole rarità, se ne producono appena 285 mila bottigliel’anno. Ottenuto da uve di Verduzzo Friulano, clone giallo, viene coltivato in unanfiteatro di vigneti arrampicati sulle colline, le cui lavorazioni, data la fortependenza, devono essere realizzate interamente a mano. Le viti affondano le radi-

ci in terreni marnosi e sono allevate usualmente con il sistemaa Guyot o alla cappuccina. Hanno una discreta resistenza allemalattie e una produzione piuttosto buona e costante. Le opera-zioni di vendemmia iniziano in genere nelle ultime settimane diottobre. La raccolta tardiva ha lo scopo di ottenere un leggeroappassimento dei grappoli, poi completato nel centro di appas-simento appositamente costituito, favorendo così la formazionedi un maggiore contenuto zuccherino e ottenendo un vino di note-vole complessità aromatica. Il Ramandolo viene fatto riposarein barrique per circa un anno, poi l’imbottigliamento e l’affina-mento in vetro per altri sei mesi. Si ottiene un vino unico. Pittarolo descrive così: “Colore giallo dorato, quasi oro antico o bucciadi cipolla, odore di miele di castagno, con sfumature di miele ditiglio e, invecchiando, di frutti di bosco, muschio, fieno. Il gustoè pieno, di gran corpo, morbido, deliziosamente dolce, che richia-ma nettamente il gradevole amarognolo del miele di castagno.Lunghissimo in bocca, poiché la sensazione piacevole rimane pergran tempo dopo la deglutizione”. È un vino da meditazione maè ottimo anche in accompagnamento con alcuni antipasti comeil fois gras, il patê di fegato, il Parmigiano a scaglie, il Gorgonzola.Abbinato al prosciutto San Daniele con i fichi maturi, al Montasioa piccole fette guarnite con miele e nocciole e alla trota affumi-cata esalta, con il suo equilibrio tra tannino e acidità, il loro gustodeciso. Il suo sapore dolce ne fa un pregevole vino da dessert,ideale con la pasticceria secca e i tipici dolci locali, come i biscot-ti Uessuz, i Ramandolini, la Gubana, con lo strudel e la fruttasecca. Un tempo venduto solo localmente, oggi il Ramandolo èconosciuto e apprezzato in tutto il mondo. È il primo cru del Friuli

PRODOTTO DA UNO DEI

PIÙ ANTICHI VITIGNI DEL

FRIULI E PRESENTE

NELLA LISTA DEI VINI

SERVITI NEL CONCILIO

DEL 1409 A PAPA

GREGORIO XII, ILRAMANDOLO È LA PRIMA

DOCG DELLA REGIONE.UNA RARITÀ DI CUI SI

PRODUCONO SOLO

POCHE MIGLIAIA DI

BOTTIGLIE L’ANNO

di Francesca Antonacci

� La Conca di Ramandolo

� I vigneti

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Venezia Giulia e la sua Docg, ottenuta nel2001, ha contribuito a dare alla viticol-tura locale quella sorta di “spinta”, comel’ha definita il giornalista Giuseppe Longo,che attendeva da anni. Nella sua zona diproduzione si sta infatti puntando alrilancio del vecchio clone di Verduzzo gial-lo, caratteristico di Ramandolo, poco pro-duttivo e di alta qualità, i vigneti si sonoammodernati, ne sono stati creati dinuovi. Dal 1988 è stato costituito ilConsorzio per la Tutela del Ramandoloche assiste i viticoltori dal vigneto allacantina e organizza attività divulgative epromozionali per valorizzare questo pro-dotto. Sirio Tommasoli, consulente distrategie di valorizzazione e comunicazione, ricorda che nel1996 la produzione era caratterizzata da una frammenta-zione in piccole aziende operanti in una sottozona Doc deiColli Orientali del Friuli estesa per circa 60 ettari. “Il vino, un passito a vendemmia tardiva, aveva una perso-nalità storica importante e ben definita ma peccava di omo-geneità e coerenza nelle diverse produzioni aziendali. L’obiettivo

quindi era di posizionare il Ramandolonella fascia dei passiti italiani di altagamma, raggiungendo la produzioneannuale di 300 mila bottiglie. Gli inter-venti sono stati mirati a ridefinire in ter-mini di attualità la personalità del pro-dotto, si è puntato alla formazione deiproduttori, all’individuazione delle primeazioni di marketing rivolte al binomio“prodotto-territorio”. Si è anche provve-duto a costituire l’archivio del Ramandolo,che raccoglie una corposa scelta di foto-grafie sulle caratteristiche morfologichedei vigneti, sulle tecniche tipiche di pro-duzione e le architetture dei luoghi, suipaesaggi e sulla gente del Ramandolo,

rintracciando numerosi documenti storici in diversi fondidella regione. Questo archivio ha permesso di gestire subitol’immagine del Ramandolo e del suo territorio, coordinandoi tempi e i contenuti dei messaggi e mettendo a disposizionedelle imprese e dei mezzi di comunicazione una rassegnacompleta di fotografie e di notizie articolate nelle diverse sta-gioni della produzione”. Un impegno che ha visto la siner-

gia tra Consorzio e produtto-ri. “Da una parte il primo hasaputo interfacciarsi concre-tamente con le amministrazio-ni locali che hanno mostratosensibilità e interesse” spie-ga Tommasoli, “procedendoa realizzare progetti volti a pro-muovere lo sviluppo turisticodell’area e adottando soluzio-ni adeguate alle richieste checaratterizzano la crescentedomanda di turismo nelle areepedemontane. Dall’altra i pro-duttori hanno incessantemen-te incontrato il loro pubblicoanche al di fuori delle aziende,partecipando a importanti ini-ziative, organizzando degusta-zioni in numerose città italia-ne e proponendo il Ramandoloin abbinamenti opportunamen-te mirati con prodotti tipici dellezone visitate”.

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Una preziosa e intelligente operazione dicomunicazione, rivolta soprattutto aigiovani, è stata portata avanti per pro-muovere una pregiata perla della nostraviticoltura, come il Ramandolo. Tra lediverse iniziative, anche la pubbli-cazione di un volume Il Ramandolo suiColli Orientali del Friuli e di una raffinatabrochure. Dalle pagine di quest’ultima ilRamandolo scandisce i tempi dell’incon-tro e della memoria, sottolineati daimmagini emozionali e da indimenticabiliversi di grandi poeti, un percorso deisensi, per ricordare che il vino di qualitàè in grado di offrire momenti di intensità,consentendo di consumare comunican-do, come amano fare sempre più gio-vani o semplicemente di godere di unapausa di piacere in totale tranquillità.

Far conoscere un vino

� Sirio Tommasoli

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Il vinodel petroliere

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La sua grande passione per il mondo del vino èsbocciata frequentando la comunità di SanPatrignano. In mezzo a quei vigneti e osservando

l’ultraperfezionismo di Andrea Muccioli, ha decisoche anche nei suoi terreni in Oltrepò Pavese avrebbeavviato una produzione che guarda esclusivamente allaqualità e per nulla alla quantità. Lui, Gian MarcoMoratti, petroliere, marito del sindaco di Milano LetiziaMoratti e fratello del patron dell’Inter Massimo, è unadi quelle persone che quando iniziano a parlare di vino,non solo del suo, non si fermerebbero più. La sua azien-da, Castello di Cigognola, sta scalando ormai le classi-fiche di tutte le guide italiane e si sta ritagliando impor-tanti fette di mercato, in Italia e all’estero. D’altrondegià nei secoli scorsi il vino di Cigognola si faceva apprez-zare. “Negli archivi storici di Milano ci sono documen-ti che parlano di quel vino come buono e salubre, dalquale proveniva l’entrata economica principale del castel-lo”, racconta Moratti, che a quella collina è particolar-mente affezionato. Lì, infatti, ha sposato sua moglieLetizia, sindaco di Milano. Lì ci torna spesso perchéseguire il lavoro in vigna e in cantina non è un sem-

plice passatempo, ma è un’attività che lo impegna inprima persona.

Come le è venuta l’idea di fondare l’azienda e dar vitaalla produzione di vini?“Il Castello di Cigognola ha una storia millenaria, esi-ste una relazione del Fondo per l’Ambiente Italiano checi riporta a prima dell’anno 1000. La collina, infatti, erauna posizione strategica per scrutare tutta la PianuraPadana. Alla fine del XVIII Secolo passò alle famiglieGazzaniga Arnaboldi e da qui è possibile ricostruire l’al-bero genealogico della famiglia di mia moglie Letizia,arrivando a suo nonno, di cognome Brichetto, che vinseparecchi premi con il Barbera di Cigognola, poi a miosuocero, il padre di Letizia, che, finita la Seconda GuerraMondiale, decise di mettere in vendita il castello”.

Per quale motivo?“Durante il periodo fascista il castello venne trasforma-to in una villa triste (luogo dove venivano imprigionatie torturati coloro che si ribellavano al regime, ndr). Miosuocero, che fu deportato nel campo di concentramen-

di Piermaurizio Di Rienzo

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to di Dachau, non si sentiva piùlegato a quel luogo. Così nel 1982lo rilevammo io e Letizia e comin-ciammo a ristrutturare gli interni.Il piano per ripartire con la produ-zione del vino risale al 1996. Finoa quel momento, infatti, si produ-cevano 8mila bottiglie di un blenddi Barbera, Croatina e Uva rara: lofaceva il nostro anziano custode”.

Com’è scattata la molla? Quandoha pensato di produrre i suoi vini? “Premetto che decidemmo fin dal-l’inizio di fare le cose seriamente,non tanto per farlo a livello ama-toriale. Io e mia moglie ne parlam-mo con Andrea Muccioli, che a San Patrignano ha tra-sformato il vino del contadino in un vino pluripre-miato. Camminando nei campi intorno al castellocon Andrea, vidi tre ettari di terreno in vendita e deci-si di comprarli, portando così la nostra proprietà a cin-que ettari. Poi chiesi all’amico Riccardo Cotarella didarmi una mano. Ero già in possesso di stime suiterreni, compiute da alcuni agronomi, che avevano giu-dicato il terreno ottimo per la produzione di vino.Cotarella mi confermò che la terra era adatta per farecose eccezionali”.

Qual è la vostra produzione attuale?“Abbiamo 32 ettari, di cui 25 vitati, presto arriveremoa 28, e 20 in produzione. Parlando di bottiglie, nel 2009ne abbiamo prodotte 82mila, ma contiamo di arrivaread una media di 250mila. Al momento produciamo ilBarbera “Dodici Dodici”, che è il nostro vino base, e ilBarbera “Castello di Cigognola”, che è la riserva: que-st’ultimo si stappa dopo tre anni di affinamento ed èancora giovane. A fine anno arriveranno sul mercato leprime bollicine rosé, un metodo classico dell’Oltrepò(100% Pinot nero), mentre nella primavera del 2011usciranno le bollicine bianche (85% Pinot nero, 15%Chardonnay). Poi presenteremo il nostro Nebbiolo”.

Un Nebbiolo dell’Oltrepò: una scommessa?“Guardi che un tempo di Nebbiolo ce n’era parecchioin Oltrepò. D’altronde il terreno non è poi molto diver-so dal Piemonte e questa era una zona che fino all’Unitàd’Italia apparteneva al Regno dei Savoia. Io ho una par-ticolare passione per il Nebbiolo, in particolare per i vinipiemontesi, ma apprezzo anche quelli valtellinesi. Mirendo conto che si tratta di una scommessa ambizio-sa, ma il terreno è talmente buono che sarebbe un pec-cato non provarci. Spero che il mio venga consideratoall’altezza dei grandi vini piemontesi”.

Molte aziende dell’Oltrepò stanno provando e propo-nendo al mercato la vinificazione in rosso del Pinot nero:non ci avete pensato anche voi?“No, perché ritengo che qui il Pinot nero sia buono vini-ficato in bianco. Da queste parti la vinificazione in rossoporta a una tale differenza con i grandiosi vini dell’Alto

Adige e dell’Austria, per non par-lare della Borgogna, che mi sem-bra fuorviante”.

Il mercato ha apprezzato finora ivostri prodotti? “Per i primi due vini la risposta èstata ottima e sulle bollicine nonho timori perché sono di alta qua-lità. In Italia abbiamo cinquantaagenti per poter coprire tutto ilPaese. Anche all’estero stiamo otte-nendo buoni risultati. Siamo pene-trati in Svizzera, in Gran Bretagnae negli Stati Uniti, mentre stiamopartendo in Canada, Germania,Singapore e Hong Kong. L’estero

mi preoccupa meno dell’Italia, perché sanno riconosce-re subito la qualità del vino italiano e i nostri prodottivantano un ottimo rapporto tra qualità e prezzo, unvero punto di forza”.

Quali errori sono stati commessi in Italia per quanto riguar-da la relazione tra i consumatori e i produttori di vino?“L’Italia può vantare un terreno magico, come dicevaLuigi Veronelli. È nostro dovere produrre il massimodella qualità cercando di farlo a prezzi non esagerati.Nel periodo prima della crisi i vini avevano raggiuntoquotazioni francamente eccessive. Io ritengo che nonsi debba mai abbandonare la qualità in favore dellaquantità: ecco, questo è l’errore da evitare”.

Dai racconti sembra di capire che l’origine della suaazienda e della sua passione sia legata a doppio filo aSan Patrignano?“È innegabile: la mia passione per il vino la devo tuttaa Vincenzo e Andrea Muccioli. Conobbi Vincenzo nel1979 e già nella primavera del 1980 andai con i ragaz-zi della comunità per scoprire da vicino tutta l’attivitàin vigna. Vincenzo seguiva la tradizione romagnola,producendo un classico Sangiovese di facile bevuta, diquelli da conservare in cantina per non più di un anno.Andrea, che chiese a suo padre di occuparsi di que-sto settore, è una persona che ricerca l’eccellenza, piùdi un perfezionista: andò da Cotarella con la chiaraintenzione di arrivare a una produzione di altissimolivello. Adesso non lo dico solo io, ma sono tutti i cri-tici a riconoscere che i vini di San Patrignano sonoeccellenti”.

Lei è capace di emozionarsi quando parla di vino. Pensache i giovani dovrebbero capirne di più per bere più con-sapevolmente?“Veder nascere il vino, sentirlo nel tempo, è un’espe-rienza di vita. Seguendo la sua lavorazione, ci si accor-ge della straordinarietà. Faccio questo paragone: è comel’uomo che dà il meglio di sé quando fatica per raggiun-gere un obiettivo, il vino diventa ottimo se proviene daiterreni più difficili, quelli collinari. Per questo credo cheil vino meriti molto rispetto, spesso, purtroppo, lo sentoequiparare senza senso ad altre bevande alcoliche. Il

� Il Castello di Cigognola � Gian Marco Moratti

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vino dev’essere protetto come caratteristica della nostranazione. Anziché riempirci continuamente di norma-tive, dovremmo da una parte dare più libertà alla pro-duzione, dall’altra proteggere la qualità”.

L’Oltrepò ha bisogno di rilanciarsi?“L’Oltrepò sarà una terra straordinaria quando punte-rà esclusivamente sulla qualità. La nebbia per anni hafrenato lo sviluppo urbanistico in Oltrepò: Milano si èespansa a Nord, in Brianza, dove, tradizionalmente,non c’è nebbia. Grazie a questo fattore climatico, quel-la dell’Oltrepò si è conservata come una zona bellissi-ma. Ho molta fiducia in questa terra che deve abban-donare il concetto della quantità. Mi creda, è il consu-matore che ce lo impone. Basti osservare la scompar-sa della vendita di vino in damigiana: è una chiara indi-cazione che ci dice come la gente sia più propensa apremiare la qualità”.

Sulle vostre etichette sono riportati il suo nome e quellodi sua moglie Letizia. Qualcuno potrebbe identificare ivostri vini come “i vini del sindaco”. Le fa piacere?“Essendo mia moglie un ottimo sindaco, non può chefarmi piacere. Direi che ci può stare la correlazione otti-mo sindaco-ottimo vino. Poi le confesso che a casanostra si beve di tutto”.

Sua moglie è un’appassionata di vini?“Mia moglie ha un palato straordinario ed è un giudi-ce inflessibile dei nostri vini. Quando verso del vino a Letizia lo faccio alla cieca,ma lei difficilmente si sbaglia nell’identificarlo o nell’in-dicare le caratteristiche. È in grado di stabilire una cor-retta analisi sensoriale”.

Le bollicine che arriveranno sul mercato a fine annohanno già passato l’esame di Letizia Moratti?“Abbiamo fatto poco tempo fa un ultimo assaggio delrosé con Cotarella e Letizia: lo abbiamo accompagna-to a una gelatina di astice e verdure. Devo dire che èpassato a pieni voti, un motivo in più per essere piùche ottimista”.

E il Nebbiolo? Quando arriverà?“La vendemmia è programmata per il prossimo anno,poi farà quattro anni di affinamento per approdare sulmercato nel 2015”.

L’anno dell’Expo di Milano, che si concentrerà sul temadell’alimentazione. Ci aveva mai pensato a questa coin-cidenza?“Spero che tra le cose buone che verranno presentateall’Expo ci possa essere anche questo nostro vino”.

� Gian Marco Moratti insieme alla moglie Letizia, sindacodi Milano

� Andrea Muccioli, Riccardo Cotarella e Gian MarcoMoratti

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Cosa è In e cosa è Out in questa nuova stagionecalda? Come cambia il mondo del loisir, in tempodi crisi? E quali sono le ultimissime novità, rela-

tive ai piaceri della vita, comparse all’orizzonte? Mettendosubito in chiaro le domande cui vado a dare una rispo-sta con questo mio articolo, desidero sgombrare il campoda qualsivoglia dubbio e favorire la lettura ai veri inte-ressati. Che, molto probabilmente, rimarranno sorpresiquanto me, davanti all’ennesima moda vinicola, in rampadi lancio. Le prime avvisaglie risalgono a mercoledì 9 giu-gno 2010: avendo il piacevole compito di inaugurare gli

attesissimi aperitivi estivi del quotidiano Il Resto delCarlino presso il delizioso giardino del Royal CarltonHotel di Bologna, organizzo il simpatico dibattito “Comepartire per le vacanze, senza farsi fregare…”, coinvolgen-do in veste di relatori l’architetto Ettore Mocchetti, diret-tore di AD, il cantante Gazebo (do you remember “I likeChopin”?) e la responsabile formazione Clarins, CinziaVolponi. Ebbene, proprio in quella felice occasione, ildirettore commerciale di IsoEventi, Alberto Grazia,responsabile di un servizio catering molto propositivo fracui spiccava la qualità delle carni e dei salumi della

Il belloe il brutto

dell’estate

2010

I SECRET CONCERTS, I CHIRINGUITOS, LO “CHEF ROMPISCATOLE”, IL PIGIAMA

ALLA CITRONELLA: LE ULTIMISSIME NOVITÀ SUI PIACERI DELLA VITA E DEL PALATO

di Roberto Piccinelli

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Macelleria Zivieri di Monzuno, mi anticipa che nel corsodella serata avrei assaggiato una Ribolla Gialla made inSlovenia, spumantizzata, servita con ghiaccio e spic-chio di arancio, da bere con la cannuccia. Se mi avessepreannunciato l’atterraggio dei marziani, l’avrei senz’al-tro guardato con meno stupore… Ma è stato proprio così,con bollicine servite da ragazze-immagine in una sortadi tumbler basso, dalle forme morbide, smaltato di bian-co e chiamato a fare pendant con il colore ed il look dellabottiglia. Tutto molto modaiolo, in perfetta sintonia conuna società che tiene più alla forma che alla sostanza.La proposta arriva da Solkan, sobborgo di Nova Gorica,e cavalca il fenomeno della “vetrinizzazione” di cui ho giàavuto modo di scrivere su queste pagine: in particolare,il “White” targato Silveri gioca la carta estrema, cercan-do di trovare un punto di fusione fra il mondo del vino equello dei drink, fra il minimo comune qualitativo e ilmassimo comune spettacolare. Ne sentiremo senz’altroparlare. Ma andiamo avanti e schiudiamo le porte a un’al-

tra tendenza dell’ultima ora, i Secret Concerts. Trattasidi concerti intimi, modello falò, che si svolgono in case,ville, giardini o spiagge private, tutti immersi in atmosfe-re sopra le righe, tra candele e abat-jour, profumi ine-brianti e allestimenti da favola, persone selezionate (max100) e informazioni centellinate. L’indirizzo della locationviene svelato tramite sms il giorno prima dell’evento, men-tre uno dei primi appuntamenti doc ha avuto come pro-tagonista la band Marta sui Tubi e si è svolto in quel diCavriago (RE), l’11 giugno 2010, tra alberi, fiaccole arden-ti e distese verdeggianti, sotto le stelle... Terza chicca dicui discutere sotto l’ombrellone è l’approdo in Italia diuna filosofia culinaria nata in una Spagna duramentecolpita dalla recessione economica: preparare da man-giare utilizzando i prodotti contenuti nelle scatolette invendita nei supermercati. Portabandiera nostrano di que-sta nuova moda è l’autodefinitosi “chef rompiscatole”Marco Squizzato, di stanza alla Trattoria al Corso diCamposampiero. Le sue tesi a sostegno sono 1) si spen-

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de meno 2) al ristorante, la formula scatolet-ta va vista come sperimentazione allegra,che il cliente apprezza in particolar modoperché, tornato a casa, può copiare qualsia-si ricetta con facilità 3) piuttosto che il pescefresco a basso prezzo, ma dalla qualità incerta,meglio il tonno in scatola. Visto che le sue ricette sonogià su YouTube, possiamo farci una prima idea sul nuovofenomeno, preparando e assaggiando un “Timballino ditonno con crema di piselli al pan perduto”. Ma per averele idee davvero chiare, dovremmo ottenere risposta a unadomanda angosciosa: se le materie prime della cena pro-vengono da scatolette di latta, da dove dovremmo estra-polare il vino?

� Zanzare tigre e chiringuitosDopo una primavera lunga, fredda e piovosa, frotte diesperti si sono subito premurati di darci la prima brut-ta notizia della nostra estate: le zanzare tigre sono piùnumerose e agguerrite che mai, a causa di questo mattoclima degli ultimi tempi. Ovvio, quindi, che il nostro nuovo,vero oggetto di culto non possa che essere che l’introva-bile pigiama anti-zanzare alla citronella, sorta di arabafenice dei giorni nostri. La domanda è una sola: ce la fare-te a rintracciarlo e comprarlo prima che vada esaurito eche siate pieni di bolle anti-estetiche? Scherzi a parte,direi che fra le hit stagionali devono senz’altro essereannoverati i chiringuitos, fatti apposta per ballare a piedinudi sulla sabbia e decisamente da preferire alle disco-teche vecchio stampo. Del resto, dici chiringuito e ti vienein mente una baracca di legno e paglia innalzata suuna spiaggia caraibica, inondata di musica e piena zeppadi giovani… Per non costringere gli amanti del genere alunghi viaggi, segnaliamo le più piacevoli strutture dellanostra Penisola, partendo da L’Avamposto di SantaCesarea Terme, Ficodindia di Santa Caterina, BeachBar di Torregrande, Maklas di Costa Rey e Barloventodi Santa Teresa di Gallura. Che, rispettivamente, rega-lano la vicinanza di un’antica torre saracena, notti a piccosulla scogliera, party dedicati a sub e velisti, grigliatefunky e intriganti gare di nascondino nella macchia medi-terranea. Con tutto ciò, non si vuole negare che esista-no versioni edulcorate dell’originale. Ma anche in questaversione, alcune strutture vanno tenute sott’occhio per

qualità musicale,come il Chiringuito di Mantova,per l’allegria coinvolgente, tipo Il Castellodi Vulcano e per la facilità di socializzazione,esempio classico il Lele’s di Lignano Pineta. Discorsoa parte, per le due evoluzioni fascinose e trendy, ma rigo-rosamente in salsa gourmet, proposte dallo chef MorenoCedroni. La prima, il Clandestino Susci Bar di Portonovo,propone la versione italica del sushi nell’ambito di unchiosco proiettato sul mare selvaggio del parco del Conero.La seconda, Anikò di Senigallia, sviluppa la prima “salu-meria di pesce al mondo” all’interno di un piccolo chio-schetto stiloso, piazzato appena fuori del centro pedona-le e votato a servire pesce, crostacei e veloci piatti caldi,accompagnati da un buon bicchiere di vino. E dove lotrovate, ai Caraibi, un chiringuito per gastronauti?Nonostante tutto, però, devo confessare che, quanto achiringuitos nostrani la mia mente ritorna sempre congrande piacere al Jeko Bay di Lido di Staranzano (Go),attualmente chiuso, ma location selvaggia, ideale per sca-tenarsi sulla sabbia, fra torce, mare e vegetazione incon-taminata. Già. C’era una volta una serie di spartani chio-schi piazzati a pochi metri dal delta del fiume Isonzo, nel-l’ultimo tratto di spiaggia prima del Parco Naturale, ingrado di spalancare le porte su una realtà unica. Unarealtà fatta di un panorama fiabesco sull’intero golfo diPanzano, musica dance fino all’alba e totale libertà nel-l’espressione delle proprie sensazioni vitali. Qua, la tra-sgressione era di casa, soprattutto nei magici “full moonparty” in cui nulla era programmato ma tutto accadeva,perché la luna sa fare miracoli… Certo, per raggiungerela location occorreva percorrere un tratto di strada ster-rata e parcheggiare le auto in mezzo al bosco, ma il giocovaleva la candela, vieppiù presentandosi in loco fin dal-l’ora dell’aperitivo, quando davanti agli occhi si paravaun fantastico tramonto su un mare piatto come l’olio,attraversato da insolite specie di animali e uccelli, in libe-ra uscita dall’adiacente oasi faunistica.

Anikò. Piazza Saffi 10, Senigallia (AN).Tel. 071/60990; 071/7931228Barlovento. Loc. Giucchesu, SantaTeresa di Gallura (SS). Tel. 0789/756088Beach Bar. Lungomare Eleonorad’Arborea, Torregrande (OR). Tel. 335/384440; 329/6136461Chiringuito. Loc. Miglioretto, viaParma 22, Mantova. Tel. 0376/2200240; 347/4252215Clandestino Susci Bar. ContradaPoggio, Portonovo (AN).Tel. 071/801422

Covo di Nord Est. Lungomare Rossetti1, Santa margherita Ligure (GE). Tel. 0185/290348Ficodindia. Loc. Torre Uluzzi-Portoselvaggio, lit. Salentina, SantaCaterina (Le). Tel. 339/4441363Il Castello. Loc. Fanghi, via PortoLervante, Vulcano (ME). Tel. 090/9852622; 335/7850399L’Avamposto. Loc. Porto Miggiano. Santa Cesarea Terme (LE). Tel. 340/4110764Le Gorille. 1 quai Suffren, Saint-

Tropez. Tel. 0033 (0) 4/94970393 Lele’s. Piazza Marcello D’Olivo 7,Lignano Pineta (UD). Tel. 0431/422133Maklas. Loc. Cala Sinzias, Costa Rey(CA). Tel. 328/1343329Royal Carlton Hotel. Via Montebello8, Bologna. Tel. 051/249361The Club. Via Veglia 12, S. Moritz. Tel. 0041/818372805Trattoria al Corso. Via Corso 86/a,Camposampiero (PD).Tel: 049/9303013; 335/1227036

INDIRIZZI

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� Blu pavone e cappelli di pagliaDetto basta al tacco 14, che ci azzoppa qualche ragaz-za di troppo e alla sedia a sdraio, che fa tanto “pensio-ne Mariuccia” e in quanto tale ampiamente surclassatada quei lettini rotanti capaci di seguire gli spostamen-ti del sole, che nemmeno Mazinga, non possiamo fare ameno di celebrare la salita alla ribalta del color blu pavo-ne, perfetto per pavoneggiarsi in un mondo in cui si amaguardare, ma soprattutto essere guardati. Stop anchealla tristanzuola bandana e agli zoccoli della bella olan-desina, rispettivamente rimpiazzati, al meglio, dal cap-pello di paglia in versione multicolor e dagli infraditopersonalizzati, decisamente più godibili delle celeber-rime e ormai déjà vu babbucce cifrate, lanciate da FlavioBriatore. La lista degli oggetti da considerare irrimedia-bilmente out comprende senza tema di smentita ancheil perizoma a vista, soprattutto se spunta dalle gonnepanterate delle ultra-cinquantenni d’assal-to e il pantalone a vita bassa di uominiover 40, con tanto di pancia, palesementeaffetti da sindrome di Peter Pan. Quantoall’Happy Hour, come da concezione attua-le, con nome non pertinente, ma soprat-tutto con modalità aberranti, poi, non ciripeteremo mai abbastanza: fare code chemanco negli uffici postali e prendere gomi-tate nelle gengive per strappare un’oliva ouna tartina già toccata e rifiutata da altrinon è davvero cosa. Come pure bere cock-tail preparati da pseudobarman e mangia-re prodotti anti-qualitativi… Tornando allehit positive, in questo caso virate sul femminile, fari pun-tati sul mismatched bikini che invita, perfino in spiag-gia, a stare alla larga dagli abbinamenti standard. Vialibera ai due pezzi a piacere, con conseguente campo libe-ro nella scelta di top e slip apparentemente spaiati, mapalesemente coordinati. Grande è l’attenzione per pail-lettes e strass, vieppiù in presenza di un’estate votataal binomio glitter&glamour. Le T-shirt prediligono stam-pe con ritratti di attori o attrici di Hollywood, men-tre i capelli puntano su acconciature naturali, mosse,ondulate e sexy. L’icona di bellezza per eccellenza ritor-na a essere Brigitte Bardot. E chi potrebbe non essered’accordo, soprattutto rivedendola nel film “Piace a trop-

pi”, ossia “Et Dieu... créa la femme”, risalente all’anno digrazia 1956? Contestualmente, la mente vola a Saint-Tropez e al mitico Le Gorille, dove i play boy facevano agara a contendersi le stelle e stelline del momento. Ma ilperiodo storico e la connotazione geografica del flashbackmi offrono su un vassoio d’argento l’opportunità di festeg-giare sulla carta, dopo averlo fatto di persona, in loco, loscorso 1 giugno, il primo compleanno post riapertura diuna discoteca inaugurata nel lontano 1934, il Covo diNord Est di Santa Margherita Ligure. Basterebbe solo lameravigliosa vista sul golfo di Portofino a farne parlare,ma la storia e l’atmosfera del locale sono di quelle che nonpassano inosservate. Qui hanno cantato Frank Sinatra,Liza Minnelli, Sammy Davis jr., Barry White, Grace Jonese il tennista John Mc Enroe vi si é scoperto chitarrista,dimostrando però di non essere dotato di talento in quel-la veste… Del resto, questa discoteca non merita di per-

dere colpi. Visto che già nel 1958 funse daset per il film “Racconti d’Estate”, in cuirecitavano Sylva Koscina, Alberto Sordi,Marcello Mastroianni, Lorella De Luca eMichelle Morgan. A farla conoscere al jetset internazionale fu il pierre svizzero PeppoVanini, che in seguito fece grande ancheil The Club di St. Moritz, a mantenerla ini-zialmente alla ribalta fu Lello Liguori, afarla ripartire è Stefano Rosina che puntaa utilizzare al meglio i vari spazi, propo-nendo Beach & Yacht Club, Dancefloor,Restaurant Lunch&Dinner e Champagneriein area Covino. Insomma, sono stato molto

lieto di attribuire al Covo di Nord Est un Oscar del Piacere2010, vieppiù perché affiancato dalla dj Reina Moncada,con passato di Playmate, dal vocalist GiovanniConversano, noto per la sua partecipazione al program-ma “Uomini e Donne”, dalla violinista Marta Cosaro, ospi-te di numerose trasmissioni televisive e circondato da20 splendide modelle, trasformate in altrettante, delizio-se madrine. A far da corollario al taglio della maxi tortacelebrativa, un eccezionale spettacolo di fuochi d’artificio,allestito da veri professionisti del settore, grazie ai qualitutto il Golfo del Tigullio si è unito ai festeggiamenti. Dallafesta agli auguri sentiti, il passo è breve: buona estate atutti!

In Out Chiringuitos DiscotecheLettino rotante Sedia a sdraioGlitter&glamour Tacco 14 Pigiama alla citronella Happy HourCappello di paglia BandanaBlu pavone ZoccoliInfradito personalizzati Babbucce cifrateStar T-shirt Perizoma a vista Mismatched bikini Costume interoPantaloni a vita bassa

IN & OUT DELL’ESTATE 2010

� Il mismatched bikini,ovvero i due pezzi''spaiati''� Un chiringuito

52_55 Piccinelli Tendenze In & Out:Layout 1 1-07-2010 14:26 Pagina 55

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I Vip premiano

le eccellenze

enologiche

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L’Oscar del Vino torna a splen-dere a Roma. Ancora unafesta spettacolare si è svolta

durante il Premio Internazionale delVino 2010. La nuova formula stu-diata da Franco M. Ricci, ideatoredell’evento, la conduzione della bravae frizzante Elisa Isoardi, gli ospitiintervenuti durante la cerimonia,tutto ha contribuito al clima gioiosoed emozionante. L’Associazione ita-liana sommeliers Roma ha rinnova-to la sempre più attesa cerimoniaper l’assegnazione del PremioInternazionale del Vino, ormai unconsolidato classico della scena mon-dana. Sul palcoscenico una sceno-grafia non solo di grande effetto maanche di alto valore artistico e unabella sfilata di Vip per consegnare iprestigiosi trofei a chi nell’ultimoanno si è distinto per il contributo

dato al successo del vino italiano nelmondo. Elisa Isoardi ha tenuto lascena davanti a un parterre eccezio-nale, con la presenza di Vip delmondo del vino, dello spettacolo edella cultura. Tra gli altri, sono inter-venuti Al Bano, Eleonora Daniele,Federico Quaranta, Veronica Maya,Mimmo Locasciulli, Pierluigi Diaco,la cantante emergente Anita, tre bel-lezze di Miss Italia 2010 (MirellaSessa, Claudia Loy, LudovicaCaramis), Claudia Andreatta (MissItalia 2006), Gianfranco Vissani. Unbel ritmo ha accompagnato la con-segna degli undici trofei, anche gra-zie ai brillanti interventi musicali delquartetto di Giuliana Soscia e PinoJodice Italian Tango Quartet.Al termine dello spettacolo, tutti i vinipremiati e tutti i candidati sono statidi nuovo protagonisti di una “prezio-

CONSEGNATI A ROMA I

PREMI INTERNAZIONALI

DEL VINO 2010: TRA

LE NOVITÀ DI

QUEST’ANNO LA TARGA

D’ORO DI BIBENDA E

DUEMILAVINI

ASSEGNATA A BRUNO

CERETTO DI ALBA,AMBASCIATORE DEL

PIEMONTE E

DELL’ITALIA NEL MONDO

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1 MIGLIOR VINO SPUMANTEFranciacorta Brut Satèn 2004 Palazzo LanaBerlucchi | Borgonato di Corte Franca (Brescia)

2 MIGLIOR VINO BIANCOSauvignon Vie 2008 San Patrignano | Coriano (Rimini)

3 MIGLIOR VINO ROSSOVino Nobile di Montepulciano 2007Fattoria del Cerro | Acquaviva di Montepulciano (Siena)

4 MIGLIOR VINO EMERGENTEFranciacorta Villa Crespia NumeroZero RiservaFrancesco Iacono - Muratori | Adro (Brescia)

5 MIGLIOR RAPPORTO QUALITÀ PREZZOGinepreta 2007 - Cirulli | Ficulle (Terni)

6 MIGLIOR PRODUTTORE / AZIENDACecchi | Castellina in Chianti (Siena)

7 MIGLIOR GIORNALISTA / SCRITTORE Marcello Masi | Tg2

8 MIGLIOR RISTORANTE / CARTA DEI VINI Spiritodivino | Montefalco (Perugia)

9 MIGLIOR SOMMELIERSimone Semprini | The Ritz | Londra

I PREMIATI

sa” degustazione. I sommelier hannomesso a disposizione degli ospiti tuttala loro esperienza e capacità nel ser-vizio dei vini e Dante Renzini ha deli-ziato tutti i convenuti con le sueghiottonerie. Il Premio Speciale dellaGiuria 2010 è stato assegnato dalpatron Franco M. Ricci alla FamigliaMariani per l’azienda vitivinicolaBanfi di Montalcino (Siena) con que-sta motivazione: “Pionieri e protago-nisti dell’ambizioso progetto italianomirato al mercato internazionale delvino di qualità hanno contribuito inmaniera determinante al successodel nostro paese, fino a renderlo il

primo assoluto nel mercato ameri-cano. In Italia le loro sperimentazio-ni e ricerche, in vigna e in cantina,hanno fatto scuola alla nuova eno-logia nascente. Un’azienda nata conun sano rapporto con l’ambiente esviluppata attraverso importanti inve-stimenti nella cultura che hanno pro-dotto un fondamentale arricchimen-to del territorio”. Novità di quest’an-no la Targa d’Oro di Bibenda eDuemilavini 2010 assegnata a unpersonaggio che ha dedicato la suavita al vino: Bruno Ceretto di Alba,grande ambasciatore del Piemonte edell’Italia nel mondo.

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uando questo articolo andrà in stampa, ilMondiale di calcio 2010 sarà alle battute fina-li. Quindi onore ai vincitori. I vinti, se non altro,hanno avuto l’opportunità di soggiornare in

Sud Africa, Nazione magica dal puntodi vista vinicolo. L’operazione marketing e promozionedelle eccellenze turistiche, opportunitàimprenditoriali e soprattutto del patri-monio vinicolo di questo “nuovo mondo”è iniziata molto prima del 2010 Fifa sok-ker-wêreldbekertoernooi (in lingua afri-kaans), riguardando anche la città diNew York con le degustazioni organiz-zate “su vari campi”: al ristorante LeCirque (con tutte le autorità governative convenute); aXai-Xai, il wine bar di Manhattan bandiera del Sud Africacon carta vini e cibo assolutamente locali; nei pub dota-ti di grandi schermi per vedere le partite in diretta, tifan-do per la squadra del cuore e brindando con prodotti di

Stellenbosch o analoghi. L’evento clou è stato comun-que “The Great South African Wine Show” presso ilTribeca Rooftop, terrazza coperta e scoperta nellaManhattan sud (con vista spettacolare sulla città) in cui

oltre 400 vini da 135 produttori sonostati oggetto di degustazione, in abbi-namento a piatti della cucina tipica, tracui il Bobotie, cioè manzo essiccato, tri-tato e servito con frutta.L’organizzazione è stata ancora unavolta affidata alla Dunn-Robbins Group. I “padroni di casa” invece erano l’ame-ricana James Beard FoundationGreens, dedicata alla diffusione e sal-vaguardia della cultura enogastrono-

mica americana, e soprattutto Wines of South Africa(Wosa) associazione non-profit di oltre 500 produttorilocali, creata nel 1999 per promuovere il Sudafrica neimercati internazionali attraverso i suoi vini. Il Wosa, chepartecipa regolarmente a fiere quali ProWein in

Il Sud Africapresenta

l’abbinamento

calcio-vinoIL MONDIALE HA DATO AL PAESE L’OPPORTUNITÀ DI PROMUOVERE LE

ECCELLENZE TURISTICHE, IMPRENDITORIALI E IL PATRIMONIO VINICOLO

di Alessandra Rotondi

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Germania, il London Wine Trade Fair ed il Vinordic aStoccolma, collabora attivamente con il ministero delTurismo, organizza seminari marketing per i membri,ospita compratori e giornalisti internazionali presso leaziende o in vigna per renderli consapevoli delle stra-tegie di mercato o aggiornarli sulla domanda e offerta.Wosa inoltre realizza la “Cape wine trade exhibition” ogni2 anni. Quest’anno con l’industria vinicola sudafrica-na, ha creato “Fundi”, linea di vino di qualità superio-re, i cui proventi di vendita sono serviti per preparare2010 persone diversamente abili a diventare “Stewardsdel Vino” in occasione dei molti eventi collaterali allaFifa World Cup. Oltre a una ampia selezione di vini indegustazione, il Great South African Wine Show ha offer-to 3 seminari sulla versatilità dello Chenin Blanc, l’uvapiù coltivata in tutta la nazione;sul Pinotage a cui è stato affian-cato l’attributo “Plus, Plus”, e l’ul-timo dal titolo accattivante “lavarietà è la nostra natura”, excur-sus sulle differenze ambientali erealtà vinicole. Globalmente l’even-to ha contribuito a far sapere cheil 95 per cento dei vini sudafrica-ni è prodotto nella regione CapeFloral, la più piccola anche se piùricca del Paese, per biodiversità diflora, riconosciuta dall’Unescocome la sesta area verde nelmondo, con diecimila specie dipiante, più di tutto l’intero emi-sfero boreale, valore di maggiorrilievo se si considera che l’esten-sione di Cape Floral rappresentasolo lo 0,5 per cento del continen-te africano. Tra gli altri dati diffu-si durante il grande tasting, quel-li relativi all’esportazione dei vinisudafricani verso il mercato americano: in dettaglio, damarzo 2009 si è registrato un incremento del 4 per cento,di cui il 41 per cento verificatosi nei primi 3 mesi del2010 grazie al battage pubbicitario del campionato mon-diale di calcio. Se si considera che gli Stati Uniti nonsono propriamente “big fan” di questo sport, è un eccel-lente risultato. Il fatto che il Wosa abbia poi uno dei suoiquartieri generali a Montreal (Québec) fa sì che la sen-sibilità verso i vini sudafricani sia elevata anche inCanada con vendite aumentate recentemente del 26 percento e un fatturato di 47 milioni di dollari nel 2009contro i 2 milioni del 2005.

La vendemmia 2010 (“capovolta” perché si effettua afebbraio-marzo) ha registrato tuttavia una diminuzio-ne del 6,5 per cento rispetto all’anno precedente per untotale di 1.243.449 tonnellate di uva raccolta, 948,8milioni di litri prodotti tra vino, succhi di uva e distil-lati, con una stima media di 765 litri per tonnellatad’uva, (dati del South African Wine Industry Information& Systems). I responsabili di tale decrescita – che comun-que non ha riguardato la zona di Orange River – sonostati l’eccessivo calore e irradiazione solare, la scarsairrigazione e la peronospora. I produttori sono tutta-via soddisfatti della qualità raggiunta che definisconoeccellente in analisi sensoriale. Come prevedibile, loshow ha offerto una grande la selezione di Pinotage neibanchi d’assaggio e inebrianti effluvi di caffè tostato e

cioccolata fondente usati da tuttigli espositori come “elemento diattrazione”. Tra le curiosità, “TheOld Man’s Sparkle”, un metodo“Cape Classique” Brut della can-tina Groote Spot di Cape West,dove i venti freddi dell’Atlanticocreano analogie climatiche con laregione della Champagne, tantocara al patriarca aziendale PeterPentz. La novità è data dalla com-posizione: 100% Merlot. Il resto rispetta le fasi della spu-mantizzazione con seconda fer-mentazione in bottiglia. Il GrandeShow dei vini sudafricani ha infi-ne ospitato il lancio americanodell’“Enviropack” dell’aziendaDouglas Green cioè il “vino inbusta”. In dettaglio, è definitocome “un contenitore con rubi-netto” 100 per cento riciclabile,salvaspazio, ecointelligente (80 per

cento in meno di impronta al carbonio) equivalente a 4bottiglie di vino, in grado di mantenersi per 6 settima-ne dopo l’apertura. Disponibile in Chardonnay eCabernet Sauvignon, rispettivamente al primo e secon-do posto per vendite e gradimento globale. Il costo aldettaglio è di 19.99 dollari. Ancora prematuro prevederne il successo ma certamen-te il banco dove è stato presentato, con la mascotte deimondiali e la sagoma a dimensione naturale del presi-dente Obama è stato il più fotografato dell’evento, atti-rando tutti gli invitati a un incontro ravvicinato conentrambi.

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“Bevete acqua, perché il vino non rien-tra fra ciò che è permesso”

(Agostino, Confessiones)

Niente vino alla donne. Eraquesta la “dura lex” impostadagli antichi Romani alle

donne. Ne ha parlato recentemen-te il professor Maurizio Bettiniall’università di Vercelli in occasio-ne di una conferenza intitolata“Perché a Roma le donne non pote-

vano bere il vino?”. Presentato dallaprofessoressa Magrassi, che presie-de la Società di Cultura Classicavercellese, Bettini, docente di filolo-gia classica all’ateneo di Siena eappassionato studioso di antropo-logia del mondo antico, ha minuzio-samente descritto il contesto arcai-co dell’incompatibilità che intercor-re tra la donna e il vino nella cultu-ra romana.L’argomento non è nuovo allo stu-

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Il vinonegato

alle donne dell’antica RomaIL CONTROLLO SOCIALE

SULLE DONNE PREVEDEVA

IL DIVIETO DI BERE

VINO, AL PUNTO CHE

ESISTEVA LO IUS OSCULI,IL DIRITTO DEL BACIO,

PER VERIFICARE SE

AVEVANO BEVUTO

di Maddalena Giuffrida

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dioso, che ha già trattato il tema inun saggio nel volume Affari di fami-glia dedicato allo studio e alla esplo-razione delle forme parentali all’in-terno della cultura antica.Senza mai perdere di vista il rigorefilologico, l’autore declina in chiaveantropologica il divieto del vino alledonne nel mondo romano, tessendoil reticolo culturale e il contesto etno-grafico dove tale divieto si inseri-sce. Emerge un quadro caratterizza-to dal forte controllo sulla donnaesercitato dal gruppo parentale, checonsiderava una vera e propriaminaccia alla purezza e all’integritàdella famiglia stessa l’eventuale inte-

resse femminile per il vino.L’assunzione di vino da parte di unadonna era considerata reato al paridell’adulterio o dell’aborto senza ilconsenso del marito. E per adulteriouna donna poteva addirittura esse-re messa a morte.

Professor Bettini, perché a Roma alledonne non era permesso bere vino?“Quello che dicono le nostre fonti, edè bene dar retta prima di tutto agliantichi quando parlano di se stes-si, era questo: il vino porta la donnaalla disonestà e all’adulterio. In altreparole, i Romani stabilivano un nessofra vino e trasgressione sessuale,

come se questa bevanda in qualchemodo rendesse impura la donna o lapredisponesse all’impurità”.

Per la donna che beveva di nascostosi ricorreva addirittura allo ius osculi,il diritto del bacio.“Credo che la sua domanda intendariferirsi all’uso, anzi al diritto (ius),secondo cui la donna romana dove-va ricevere sulla bocca il bacio (oscu-lum) dai suoi parenti maschi fino alsesto grado incluso. Le nostre fonti– a cui, ripeto, dobbiamo dar retta,visto che ce lo dicono – insistono sulfatto che questo bacio veniva datoproprio per controllare se la donnaavesse bevuto del vino. Non era unamanifestazione di affetto, ma unavera e propria forma di test olfatti-vo, cui si aggiungeva anche l’ideadi rendere visibile, attraverso il dirit-to del bacio, il reticolo di parentelain cui la donna era inserita”.

Come si è arrivati al divieto di berevino, o meglio, a tale divieto è possi-bile dare una data precisa?“In realtà di questo divieto si parlasoprattutto nel periodo della Romaarcaica. Ma anche Monica, la madredi Agostino, secondo suo figlio, scon-sigliava le donne dal bere questasostanza. Diceva che non era nellaloro “potestà”. Insomma, si trattadi un divieto o meglio di una incom-patibilità di lunga durata. Non esclu-do neppure che, almeno in certiambienti sociali, la donna che beve-va apertamente venisse guardatamale anche fino a qualche decen-nio fa”.

Quali erano le punizioni inflitte alledonne colte a bere vino?“Si riuniva un consiglio di parenti,ovviamente maschi, i quali prende-vano le loro decisioni in proposito.

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� Il prof. Maurizio Bettini, docente di filologia classica all'Universitàdi Siena

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Nella letteratura degli exempla, certodi carattere alquanto mitologico chepossediamo, la donna viene addi-rittura uccisa per questo”.

È vero che alle donne era interdettoanche l’ingresso alle cantine di stoc-caggio del vino?“A dir la verità non mi risulta. Forselei si riferisce al fatto che, secondoPlinio, la donna con il ciclo aveva ilpotere di far inacidire il mosto. Sitratta dunque di una cosa diversa.Che il liquido mestruale abbia pote-ri malefici, del resto, è una creden-za comune a molte culture, anche alfolklore europeo. Insomma nelle cre-denze condivise (più o meno consa-pevolmente) da molte persone, illiquido mestruale può destare uncerto orrore. Soprattutto nei maschi,ma talora anche nelle femmine. Unilluminista direbbe che le supersti-zioni sono difficili da estirpare deltutto”.

Quali autori ci narrano di questi epi-sodi di percosse e punizioni alledonne?“Soprattutto Plinio e Valerio Massimo.Ma anche storici come Dionigi diAlicarnasso, un greco appassionatodi Roma che scrisse un’interessan-tissima storia di questa città e di que-sta cultura. Soprattutto i primi librisono preziosi per noi”.

Che cosa potevano bere le donnesenza incorrere in severe punizioni?“Dei vini che non erano vini. Alledonne erano permessi vini, per cosìdire, camuffati, i cosiddetti dulcia,bevande ben diverse dal temetum,il vino vero. La cosa fondamentale èche questi vini dolci non prevede-vano la fermentazione. Aulo Gellio,ad esempio, nelle Notti attiche ci for-nisce interessanti notizie a questoproposito elencando una serie dibevande concesse al mondo femmi-nile: la murrina, ovvero vino aroma-tizzato con la mirra, o la lorea, unabevanda ricavata dalla macerazionein acqua delle fecce. Erano bevan-de che non sapevano di vino, comedicono le nostre fonti. Insomma nonavevano quell’odore intenso, quelgusto forte che ha il vino e che iRomani chiamavano virus. Non è uncaso che questa parole designasseanche il seme maschile”.

Si può parlare di una forma di control-lo sociale sulla donna?“Certamente, si tratta proprio di que-sto. Il controllo sociale viene eserci-tato soprattutto dal punto di vistadella sua purezza e fedeltà. Quelloche più si teme è che la stirpe venga“inquinata” (è proprio questo il ter-mine che usano) da figli nati da unseme diverso da quello del padre emarito legittimo. In fondo, il divietodel vino si riconnette proprio a que-sto: al timore che la donna, fanciul-la o sposa possa mettere al mondodei figli spuri”.

Non solo il vino era vietato alla donnenella vita quotidiana ma era bandi-to anche nei riti alla Bona Dea, ceri-monia religiosa rigorosamente fem-minile, dal quale gli uomini eranoesclusi.“È proprio così. Secondo uno dei rac-

conti di fondazione del culto allaBona Dea è proprio la colpa del vinoa giocare un ruolo di primo piano.Secondo Plutarco, ad esempio, ilmito della istituzione del culto sareb-be da far risalire a Fauno, marito diBona Dea, che uccise la moglie col-pendola con rami di mirto, dopoaverla sorpresa a bere vino. SecondoMacrobio, invece, Fauno non è piùun marito ma un padre che vuolecommettere adulterio con sua figliae per ottenere il suo scopo la faubriacare. La resistenza della ragazza è puni-ta a colpi di rami di mirto. Da que-sti racconti si vede chiaramente cheil vino femminile ha un ruolo forte-mente negativo nei rapporti di paren-tela: da una parte abbiamo unamoglie che viene uccisa e dall’altraun padre che cerca di ubriacare lafiglia per commettere incesto”.

� Anfore vinarie romane

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Questa presenza del rapporto parentale anche nelmito ci riporta, dunque, al punto di partenza, ovve-ro al profondo intreccio donna e gruppo familiare.“È vero. Anche nella rappresentazione religiosa, la‘colpa del vino’ appare associata da una parte, allarelazione parentale, e dall’altra alla trasgressionesessuale. Insomma il contesto mitico non fa altroche confermare un modello culturale reale”.

Interessante è l’uso linguistico del termine “vino” nelculto alla Bona Dea.“La presenza del vino, in effetti, all’interno dellacerimonia alla dea è camuffata, come del resto l’usodel vino al femminile nella vita quotidiana. Il vino,causa della punizione di Bona Dea, è bandito dalrituale celebrato in suo onore, così come il mirto,pianta sacra a Venere, non può comparire tra lepiante con cui si adorna l’altare della dea. Tornandoal vino usato per le libagioni, esso entra in scenasotto il falso nome di “latte” e il “vaso da vino” chelo contiene viene chiamato mellarium ovvero “vasoda miele’. Anche nella dimensione cultuale femmi-nile, il vino può entrare solo in maniera, per cosìdire, negata e coperta”.

Latte e miele, vino dolce. Sembrerebbe che le donnesiano associate all’idea di dolcezza.“Per quanto riguarda il rapporto miele e mondofemminile, c’è da notare che le api, nel mondo anti-co, erano ritenute creature caste e sobrie per eccel-lenza. Da un punto di vista meramente biologico,il latte distingue nettamente la donna dall’uomo.È la donna, infatti, che produce il latte dal suo seno.Alla dea Rumina, la dea protettrice delle donne cheallattano, era vietato fare offerte di vino a confer-ma della netta contrapposizione tra latte e vino.Sulla dolcezza femminile, beh, non cediamo trop-po agli stereotipi”.

� Donne romane in un dipinto di Lawrence Alma-Tadema

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Tutti in vigna

per l'estate

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Con l’arrivo dell’estate, per chipuò, è arrivato il momento didecidere dove trascorrere

qualche giorno di riposo. Mare, mon-tagna o mete esotiche? Questi i soli-ti dilemmi. Ma in aggiunta all’offer-ta turistica tradizionale, si stannosviluppando da qualche anno i cosid-detti turismi alternativi. Su tutti quel-lo enologico che, solo nel 2009, hamosso 6 milioni di visitatori per unfatturato di 1,8 miliardi di euro (datiColdiretti). Visitare cantine e vigneti non è più unvezzo di pochi intimi, ma una tipolo-gia di vacanza che sta prendendo sem-pre più piede anche tra i meno inten-ditori. Secondo l’VIII rapporto sulTurismo del Vino, realizzato da CensisServizi-Città del Vino e presentato aglistati generali dell’Enoturismo adAlberese, sono 7,5 milioni gli italianiadulti che nell’ultimo anno hannosvolto almeno 4/5 esperienze turisti-che legate al vino. Sono invece 2,6

milioni quelli che si autodefinisconoturisti espliciti del nettare di Bacco.Numeri in continuo aumento “chestanno trasformando una ristrettatribù di specialisti in un preciso popo-lo di appassionati” afferma Fabio Taiti,professore di Politica Economica pres-so l’Università di Siena e autore delrapporto. Ma nonostante i risultati ei numerosi passi avanti fatti negli ulti-mi vent’anni, si può dire che il turi-smo enogastronomico non abbia anco-ra sfondato. Di seguito una disaminadelle problematiche e una serie di pro-poste, fatte in esclusiva per De Vinis,da alcuni dei principali attori del set-tore, per far emergere definitivamen-te un comparto con potenzialità anco-ra inespresse.

MENO CAMPANILISMI E PIÙ COMUNICAZIONESe dunque il turismo enogastrono-mico ha un potenziale di crescitaancora consistente, non bisogna però

L'ENOTURISMO

RACCOGLIE UN NUMERO

SEMPRE MAGGIORE DI

APPASSIONATI ANCHE SE

IN PASSATO LA SCARSA

COORDINAZIONE

NAZIONALE E I TROPPI

CAMPANILISMI HANNO

OSTACOLATO LO

SVILUPPO. LE PROPOSTE

E LE STRATEGIE DEGLI

ESPERTI DEL SETTORE

di Lorenzo Simoncelli

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sottovalutare le altrettante proble-maticità. Su tutte lo scarso sviluppodella comunicazione. Sei sindaci sudieci (sempre secondo il rapportodell’Osservatorio) ritengono che il fat-tore di spinta più efficace per incre-mentare il turismo del vino sia lega-to ai modelli comunicativi. Quindi lasottovalutazione dei nuovi elementidi interazione (social media su tutti)appare come un fattore di rischio, dascongiurare il più rapidamente pos-sibile. Su 154 Strade del Vino pre-senti in Italia, 40 non hanno alcunavisibilità su Internet. Le regioni inforte deficit sono l’Abruzzo (0 su 6) ela Sardegna (0 su 8), totalmente irra-giungibili dagli enonaviganti. A volteinvece si verifica il fenomeno inverso,dove un’eccessiva informazione gene-ra disorientamento. È il caso dellatenuta di Bolgheri con cinque por-tali dedicati di enti diversi l’uno dal-l’altro. I risultati dunque appaionoancora disuguali e spesso controver-si. A fronte di pochi consolidatidistretti, i soliti noti, più di cinque emeno di dieci (Prosecco, Chianti,Montalcino) ci sono molte, ma vola-tili occasioni festaiole (qualche fiera

locale e un po’ troppe sagre). Ladomanda di tendenza, in assenza disistemi di attrazioni forti e innovati-vi, rischia infatti di scivolare rapida-mente in una moda passeggera. “Gliamministratori di Città del Vinovogliono vendere o promuovere?”, sichiede il professor Taiti. “Per vende-re bisogna prima promuovere e que-sto dev’essere il ruolo degli ammini-stratori”, conclude. Altri pericolosivezzi che stanno prendendo corposono un citazionismo più orecchiatoche esperienziale, il dilettantismodegustativo e la ricerca di gusti fusiono di tendenza. Ma il vero talloned’Achille resta l’eccessiva frammen-tazione dei percorsi legati al vino. Dal2008 al 2010 il numero delle Stradeè passato da 128 a 154 “creando cosìun processo inerziale che crea con-fusione e non valore”, sottolinea FabioTaiti, professore di Politica Economicaall’Università di Siena. “Un’accentuata concorrenzialità dimete e di destinazioni a costi bassi”,prosegue Taiti, “che sa più di sceltapolitica che di lungimirante azionestrategica”. Dello stesso avvisoDonatella Cinelli Colombini, asses-sore al Turismo di Siena che ritie-ne il turismo un bene non sur-rogabile: “154 Strade delVino uguali non creanouna destinazione”. Confrontando la realtà eno-turistica italiana con quelladegli altri due grandi Paesieuropei a vocazione vitivini-cola, Francia e Spagna, effet-tivamente quache dubbiopotrebbe sorgere. Se il nume-ro di turisti è simile, 7,5 milio-ni per la Francia e 6 per laSpagna, a sorprendere è la quotaridotta di Strade del vino. Solo 14in Francia, 21 per la Spagna, cioèquante ne ha la Toscana. Allora checosa fare? “Per potenziare e integra-re il sistema d’offerta è opportunoincrementare le politiche di alleanze

con i comuni limitrofi”, analizza FabioTaiti, “la parola d’ordine per i pros-simi anni è condensazione, meglio sesotto una regia nazionale”.

MANOVRA FINANZIARIA: “NO ALLA STANGATA”Se i turismi classici stanno subendoqualche contrazione a seguito del per-durare delle difficoltà economichedelle famiglie, l’enoturismo ha anchela qualità di essere decorrelato dal-l’andamento degli altri mercati.Questo fa sì che stia subendo meno

la generale contrazionedei consumi. Anche se,le scarse risorse desti-nate agli enti locali, tra

i 20 e i 25 mila euroall’anno, non permetto-no di ammortizzare le

spese necessarie pereventi, comunicazione e

formazione degli addetti.Inoltre la recente mano-vra finanziaria varata dal

ministro Tremonti, che pre-vede nel biennio 2010-2012

tagli ai comuni per una cifrache si dovrebbe aggirare intorno

ai 4 miliardi di euro (fonte Il Sole24Ore), non va certo nella direzioneauspicata dagli amministratori loca-li. Dura la replica di Giampaolo Pioli,presidente dell’Associazione NazionaleCittà del Vino, “una vera e propriastangata per i comuni italiani, a par-

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� Donatella Cinelli Colombini, asses-sore al Turismo del Comune di Siena

� Fabio Taiti, professore di PoliticaEconomica all'Università di Siena eautore dell'VIII rapporto sul turismoenogastronomico

� Giampaolo Pioli, PresidenteAssociazione Nazionale Città delVino

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Vin

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tire dai tagli del 5 per cento del per-sonale, che avrà forti ripercussionisoprattutto sui territori con meno di5mila abitanti (oltre l’80 per cento deicomuni in Italia), che rappresentanol’ossatura della gestione dei territorirurali e della produzione agricola diqualità del made in Italy”. Che cosaproponete in concreto? “Renderefacoltativa la tassa di soggiorno per icomuni”, commenta Pioli, “eliminareil patto di stabilità almeno per unasoglia superiore di enti locali virtuo-si e infine adottare misure strategi-che per non perdere competitività, adesempio ridurre l’Iva al 5,5% a risto-ranti e alberghi come in Francia”.

QUALI SCENARI PER IL FUTURO?Dato che per i comuni a vocazioneenoica lo sviluppo del turismo lega-to al vino assumerà un’importanzasempre crescente per l’economia delloro territorio (già oggi incide intor-no al 30 per cento sullo sviluppo turi-stico), servono proposte concrete econdivise tra ministero del Turismoed enti locali. Poi toccherà a sinda-ci e Città del Vino trovare un puntod’incontro tra visioni a volte diver-genti. Da una parte troppo localisti-che (quelle dei comuni), dall’altraeccessivamente teoriche e autorefe-renziate (quelle delle Strade del vino).E allora che cosa serve in concre-to? “Regolamentare gli uffici turisti-ci a livello nazionale e renderli soste-nibili”, suggerisce Donatella CinelliColombini, assessore al Turismo diSiena, “realizzare un logo comunericonosciuto dal Codice della strada,creare accordi con network commer-ciali e compagnie aeree, ma soprat-tutto caratterizzare i percorsi vinico-li ognuno secondo le peculiarità delterritorio, cosicchè enoappassionatie non, possano sapere già prima di

partire quello a cui vanno incontro,senza incappare in spiacevoli sor-prese”.Secondo Giampaolo Pioli, presiden-te nazionale dell’associazione Città delVino bisogna “creare una regia unicanazionale, garantire standard minimidi qualità condivisi, puntare sulla for-mazione e l’aggiornamento dellefigure professionali e infine allariforma e al rifinan zia -mento della legge sul -le Strade del vino(268/99)”. “È arrivato ilmomento di cercare unastrada diversa”, affermaFabio Taiti “con l’incom-bere della globalizzazio-ne bisogna puntare su set-tori di competitività vantag-giosa. Serve una massa cri-tica degli investimenti e poiil progetto intrapreso dalMinistero del Turismo su unitinerario nazionale del turismoenogastronomico è fermo da un annoe mezzo”. A rappresentare il ministero delTurismo agli stati generali di Alberesec’era anche Pierluigi Ronchetti, coor-dinatore del comitato per l’enogastro-nomia del ministero del Turismo, chein esclusiva per DeVinis, ci ha pre-annunciato quelli che saranno leprossime mosse del dicastero guida-to da Michela Vittoria Brambilla. “Lacommissione è molto giovane è natada un anno, ma ci stiamo muoven-do già in diverse direzioni”, ci ha dettoRonchetti, “in queste settimane ini-zierà una trasmissione su Rai 2 allaricerca dei piatti perduti dal titolo‘Capotavola’ e a breve partirà un toureuropeo che toccherà le principalicapitali dove saranno allestiti standcon i nostri prodotti nelle principalipiazze”. E cosa risponde alle accuse

degli enti locali sui tagli previsti dallamanovra Tremonti? “Al di là dellamanovra finanziaria sono le idee chemoltiplicano le risorse”, commentaRonchetti, “inoltre per realizzare unaregia comune serve una volontà cul-

turale più che politica, c’èancora un eccessivo cam-panilismo, bisogna essereuniti nel nome del madein Italy”.In sostanza il turismo eno-gastronomico italiano inpresenza di una domanda

di tendenza, sembra tro-varsi di fronte all’alternati-

va fra restare un buon com-primario o diventare unattore protagonista sulla

grande scena delle modernesmanie per la villeggiatura. Finoa quando si continuerà a pensa-

re che il vino prodotto in una certazona sia di per sé l’attrattore fon-damentale dei visitatori su quel ter-ritorio, l’enoturismo resterà confina-to a esercitare ruoli complementario da specialisti. Solo in pochi casi(Champagne, Chablis, etc.) il vino dasolo (o quasi) è capace di generareun effetto di sviluppo moltiplicatoreper tutta l’economia locale. Ma perpuntare sul turismo enogastronomi-co come nuovo motore dello svilup-po economico locale e nazionaleoccorrerà mettere in cantiere e con-dividere un ben diverso e più ambi-zioso progetto. Per convincere volu-mi consistenti di enoappassionati amuoversi dalle rispettive residenze etrasformarsi da consumatori di vinoin turisti di territorio e quindi spen-dere tempo e reddito, è indispensa-bile montare e comunicare meccani-smi generatori di irripetibili emozio-ni, fruibili solo in quello specifico con-testo.

PRIMA FASE: fino agli anni Settanta ci si focalizza-va su una ricerca esplorativa di vini di buona qua-lità, autentici e identitari (Doc, Docg), dotati dimarche affidabili (storici casati), prodotti da validienologi, in cantine attrezzate da visitare, ubicatein territori noti.

SECONDA FASE: negli anni Ottanta e Novanta siformano cinque distinte fasce di enoturisti, i curio-si, gli esploratori, i tifosi, i professionisti, e gli speri-mentatori. Il loro volume è in crescita e si passa daun grado all’altro quanto più numerose e frequen-ti sono le tappe enoturistiche praticate. La ricercasul posto si allarga dai prodotti ai servizi, si affer-

mano gli agriturismi, proliferano le sagre, prendequota l’ibridazione fusion della cucina di tradizio-ne, si affermano gli eventi dedicati, da “Cantineaperte” a “Calici di stelle”.

TERZA FASE: dagli anni Novanta ad oggi, si assistealla formazione di quei processi che rappresenta-no il nodo critico in attesa di essere sciolto. Da unaparte prosegue la mutazione evolutiva degli eno-turisti, alla ricerca non più solo di prodotti e servizi,ma di esperienze enoiche e racconti memorabili;dall’altro il paradigma dell’offerta tipica ha gene-rato una proliferazione di micro destinazioni (154Strade del vino).

Breve storia del turismo enogastronomico

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Gli aromi si sposano

con gli oli

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Oli

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Un territorio meno battuto e certamente poco valorizzato èquello dei condimenti all’olio extra vergine di oliva. Gli oliaromatizzati sono qualcosa di diverso, forse non piaceran-

no ai puristi che optano per l’olio extra vergine in purezza, tut-tavia c’è un nuovo segmento di mercato in continua crescita chenon si può trascurare. È il chiaro segnale che un numero sem-pre maggiore di consumatori ne stanno apprezzando la bontà ocomunque desiderano accostarsi a tali oli per soddisfare una lorolegittima curiosità. A questo punto, meglio affidarsi a condi-menti dalla qualità certa, con una materia prima buona in par-tenza. E che siano sicuri per la salute, oltre che gradevoli dalpunto di vista sensoriale. Meglio diffidare invece di quelli realiz-zati occasionalmente o senza la dovuta cura. È bene dubitareanche di quegli oli aromatizzati senza etichetta e presentati neiristoranti il più delle volte in bottiglie di fortuna e di cui non si hala certezza di una materia prima dalla qualità garantita. In tutta confidenza, non ho mai utilizzato tali oli. Non mi affa-scinano, però resto aperto a tutte le possibili soluzioni: li accol-go senza alcun fastidio. Non riesco a utilizzarli solo perché nonne sento la necessità ma se il consumatore li gradisce non vedomotivi per non accontentarlo. Non c’è nulla di anomalo, il condi-mento aromatizzato ha un pubblico di estimatori che si stasempre più estendendo, soprattutto all’estero, soprattutto là dovenon conoscono ancora bene l’olio extra vergine in purezza e cosìrestano affascinati dagli aromi che si uniscono alla materia gras-sa. La gran parte di tali oli aromatizzati viene presentata in con-fezioni da 250 ml, ed è anche giusto perché in fondo è bene chesi consumino in tempi brevi, una volta aperta la bottiglia. Sulmercato stanno prendendo progressivamente piede anche confe-zioni più piccole e al momento si contano oltre quindici varietà digusto, poste in vendita a un prezzo medio che si attesta su circaquattro euro la confezione. È un vero successo, considerando tral’altro che l’olio aromatizzato è a tutti gli effetti un prodotto nuovo,sul piano merceologico. È recente infatti la presenza di tali con-dimenti sugli scaffali dei negozi tuttavia non sono affatto prodot-ti del tutto nuovi, visto che vantano un’antica, millenaria, tradi-zione alle spalle. Le varie denominazioni con cui vengono presen-tati in etichetta danno libero sfogo alla fantasia e tutto è lecito.Il legislatore non ha infatti formulato, ad oggi, alcuna norma spe-cifica al riguardo. Così, quando per esempio si effettuano i con-sueti controlli da parte delle autorità ispettive, si cerca in primoluogo di capire se il prodotto sia corrispondente a quanto dichia-rato in etichetta e che soprattutto sia microbiologicamente sicu-ro. Le aziende professionali non deludono, perché provvedono aeffettuare tutte le più accurate analisi. Valutano sia la materiaprima, sia il prodotto finale al momento della collocazione in bot-tiglia, facendo effettuare le principali analisi chimico-fisiche emicrobiologiche e, nondimeno, quelle strettamente sensoriali, cosìda garantire uno standard più elevato e costante. È evidenteche non tutti gli oli aromatizzati siano di qualità, c’è chi immet-te in commercio prodotti scadenti e poco sicuri. Per questo è utile

segnalare alcuni condimenti a base di olio extra vergine di oliva,mettendo tra l’altro in luce anche gli abbinamenti al cibo più indi-cati. Quanto invece alle degustazioni di tali oli, riporto solo le indi-cazioni relative alla fluidità degli oli stessi, alla loro pulizia al pala-to, all’equilibrio della carica aromatica e soprattutto all’assenzadi difetti. Per il resto, si sa, ciascun olio esprime l’aroma di rife-rimento, quindi è evidente che un olio al peperoncino sa dipeperoncino, e via a seguire. Ma ora, giusto per inquadrare inqualche modo il prodotto, segnalo alcune indicazioni di massi-ma, certamente utili per rendersi conto di cosa vi sia effettiva-mente dietro al processo produttivo. L’olio e l’aroma vengono ovvia-mente prima di tutto, mentre a volte, c’è chi decide di aggiunge-re il “testimone”, ossia pezzi interi di peperoncino, di frammentidi funghi, di tracce di rosmarino o prezzemolo, e tutto ciò che ispi-ra di volta in volta la fantasia del produttore. Ciò che più impor-ta, è in particolare la natura della sostanza grassa utilizzata,alquanto determinante per la qualità. È da tenere presente chetutti gli oli sono in quanto tali strutturalmente fragili e delicati ehanno perciò vita breve, in quanto destinati a ossidarsi. C’èperò una grande differenza tra i vari oli cui si può ricorrere. Meglio,tra tutti, un buon extra vergine, che è sempre da preferire a ungenerico olio di oliva, ma soprattutto a un olio di semi. In alcunicasi si ricorre invece a miscele tra oli diversi. C’è l’imbarazzo dellascelta. Prima di acquistare meglio leggere con attenzione l’etichet-ta. I condimenti di cui si apprezza la bontà del prodotto finalerestano sempre quelli a base di olio extra vergine di oliva. Maanche l’aroma ha la sua importanza: può essere naturale o sin-tetico. Ed è evidente che quello naturale sia di gran lunga da pre-ferire, ma diventa cruciale l’attenzione all’igiene. Con gli aroma-tizzati non si può rischiare, occorre essere certi che si sia fron-teggiato ogni rischio batterico. L’estratto lo si può ottenere per“infusione”, ed è un metodo largamente utilizzato a livello artigia-nale e casalingo; ma anche per “percolazione”, che è un proces-so industriale ben sperimentato. Se qualcuno lo desidera, èpossibile procedere con una preparazione casalinga, ma nullain tal caso è da sottovalutare, perché i rischi sono molto alti. L’oliodeve essere di buona qualità, perché la parte grassa subisceinevitabilmente una progressiva degradazione ossidativa nelmomento in cui si lega ad altre componenti. Più un olio è buono,maggiore è la sua resistenza e anche gli aromi dovranno essereselezionati con cura, perfettamente puliti. Un esempio? In circamezzo litro d’olio si metteranno a macerare due peperoncini pic-canti per almeno dieci giorni e più. Al termine, dopo aver filtratoil tutto, si versa il condimento in una bottiglia scura, in mododa proteggere il contenuto dall’azione ossidante della luce. La bot-tiglia va anche tenuta lontana da fonti di calore, visto che si trat-ta di una materia prima molto delicata. La medesima operazio-ne può essere fatta di volta in volta con delle foglie d’alloro o conaltre erbe aromatiche ma è sicuramente più comodo e convenien-te acquistare gli oli aromatizzati già fatti, affidandosi ad aziendeserie e capaci.

di Luigi Caricato

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GLI ASSAGGIFratelli Turri - Condimento aromatizzato al rosmarino.

Nel bicchiere. Verde, è limpido alla vista, con presenza di testimone.Ha profumo intenso. Al palato ha buona fluidità ed equilibrio, unita-mente a una piacevole sensazione di morbidezza.

L’abbinamento. Creme di legumi, arrosti di carne, grigliate di pescespada.

Fratelli Turri, strada Villa 9, 37010 Cavaion Veronese (Verona) tel. 045.7235598, [email protected] - www.turri.com

Antico Colle Fiorito - Condimento aromatizzato al peperoncino.

Nel bicchiere. Color aranciato tendente al rosso, limpido, con pre-senza di testimone. Ha note pulite e nette di peperoncino, buonafluidità e sensazione tattile.

L’abbinamento. Pizze, carni bianche ai ferri, patate lesse, salse dipomodoro.

Azienda agricola Antico Colle Fiorito, via Porcianese 3951035 Porciano Lamporecchio (Pistoia)tel. 0673.803842, [email protected]

Goccia di Sole - Condimento all’arancia in olio extra vergine dioliva .

Nel bicchiere. Giallo dai riflessi aranciati, è limpido alla vista. Estrattoda arance pugliesi, ha note dolci e fini, buona fluidità e armoniadelle sensazioni fruttate.

L’abbinamento. Tagliolini all’uovo con julienne di pompelmo, gam-beri lessi, nasello con zucchine.

Oleificio cooperativo Goccia di Sole, via Lago Tammone70056 Molfetta (Bari), tel. [email protected] - www.gocciadisole.com

Gabrielloni - “Sapor”, condimento aromatizzato al limone.

Nel bicchiere. Ottenuto non per infusione ma direttamente per spre-mitura di olive e limone. Giallo oro dai riflessi verdi, è limpido allavista. Al naso ha note olfattive fini. Al palato morbidezza ed elegan-za, buona fluidità.

L’abbinamento. Insalate verdi, tartare di mare, pesci bolliti.

Frantoio Oleario Gabrielloni, via Montefiore62019 Recanati (Macerata), tel. [email protected] – www.gabrielloni.it

Gradassi - Condimento aromatizzato al ginepro.

Nel bicchiere. Verde dai netti riflessi giallo oro, è limpido alla vista,con presenza di testimone in bacche. Al palato ha buona fluidità earmonia, una gradevole sensazione di morbidezza.

L’abbinamento. Verdure alla griglia, arrosti di selvaggina.

Cufrol – Frantoi oleari umbri, ss. Flaminia Km 13506049 Spoleto (Perugia), tel. [email protected] - www.cufrol.com

VENETO

TOSCANA

PUGLIA

MARCHE

UMBRIA

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Un’estate a tutta birra

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Con le temperature che salgono rapide a sfiorare i 40gradi e l’umidità, almeno nelle grandi città, che si fasempre più simile a quella della giungla del Borneo, è

giocoforza, se si deve scrivere di bevande alcoliche, pensarealle poche che si possono bere in questo periodo. Per chi scri-ve di birra non va poi così male. Il nostro mondo è talmente differenziato da non risultare pre-tenzioso affermare che ogni giorno ha la sua birra ideale e sel’inverno fa venire in mente specialità trappiste o d’abbazia emagari robusti barley wine dalle gradazioni alcoliche parago-nabili a quelle di un buon vino, la stagione più calda dell’an-no porta il pensiero a birre poco alcoliche, dissetanti per la lorogradevole acidità, secche nella loro luppolatura. Del resto, anche

i numeri dicono che l’estate è davvero la stagione della birra,almeno in Italia. Da anni infatti circa la metà dei volumi con-sumati nel nostro Paese si sviluppa tra giugno e settembre etale è il legame tra birra e temperature estive che, non stiamoesagerando, un’estate più piovosa del solito mette a repenta-glio i risultati di fine anno. In parte, ovviamente, è un proble-ma ma resta tuttavia un dato di fatto. Quali sono le birre chesi bevono in estate e quali invece si potrebbe scoprire? Le “regine”, da un punto di vista meramente quantitativo, resta-no le lager. Italiane e del resto del mondo visto che sul nostromercato furoreggiano etichette messicane e spagnole, forseanche legate all’immaginario vacanziero, e si segnalano le india-ne, le thailandesi, le giapponesi e via di questo passo. Ma, oltre

di Maurizio Maestrelli

È LA STAGIONE DELLA BIRRA: LO DICONO I DATI DI MERCATO E LE

CONSOLIDATE ABITUDINI DEGLI ITALIANI. LA SCELTA VA INDIRIZZATA VERSO

PRODOTTI DI BASSA GRADAZIONE, BIRRE CAPACI DI SPEGNERE LA SETE E

RINFRESCARE IL PALATO…

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RE ALEProduttore: Birra del Borgo –Borgorose (Rieti)Distributore: Interbrau(www.interbrau.it)

È la birra che ha costruito lafama di Leonardo Di Vincenzoportandolo a diventare, daeccellente homebrewer, a birra-io tra i più affermati in Italia eassai noto anche all’estero. Altafermentazione ispi-rata alle India PaleAle inglesi, rispettalo stile per l’abbon-dante luppolaturafatta però ricorren-do a varietà ameri-cane. Coloreambrato, profiloaromatico moltoelegante connette note agrumate e pepate,ottimo bilanciamento al palatoper una birra che si lascia bereda sola, ma che regge bene ilconfronto con zuppe tradizionalia base di cereali o con piattispeziati ed etnici.

DEUSProduttore: Brasserie Bosteels –Buggenhout (Belgio)Distributore: Interbrau(www.interbrau.it)

Birra “di lusso” già dalla presen-tazione, la Deus ha attirato su disé molti consensi autorevoli siaper la insolita tecnica di produ-zione, che prevede uno “stage”finale nella zona delloChampagne con l’applicazionedelle tecniche daMetodo Classico delremuage e del dégor-gement, sia per l’aro-ma piacevolmentefruttato, il fine perlagee il gusto secco chele fa meritare l’ap-pellativo di “Brutdes Flandres”. Vaservita in flûte ed èperfetta come ape-ritivo, ma probabil-mente dà il megliosu piatti a base di crostacei emolluschi, crudità di mare o for-maggi delicati.

SAISONDUPONTProduttore: Brasserie Dupont -Tourpes (Belgio)Distributore: Dibevit Import(www.dibevit.com)

Un classico mondiale diuna tipologia, la saison,che dopo essere statamolto popolare in Belgioha patito un po’ la con-correnza delle lagerindustriali. La Dupont,prodotta già nel lontano1844, è una sorta dicapostipite della“nuova” specie ed è riu-scita ad affermarsianche all’estero, Italiacompresa. Alta fermentazione,colore dorato con riflessi aran-cioni, un aroma di grande fre-schezza con note floreali e frut-tate, in bocca si lascia bere confacilità e disseta. Da provare suprimi piatti saporiti, pesce d’ac-qua dolce, formaggi delicati ericette a base di asparagi.

DEGUSTAZIONE

i brand, ci sono sicuramente delle tipologie che maggiormen-te gratificano il palato rispetto ad altre. Pensiamo ad esempioalle acidule e rinfrescanti blanche o witbier belghe, dai grade-voli e intensi profumati agrumati e speziati, alle weizen bava-resi, anch’esse molto dissetanti sebbene dotate di un corpomaggiore che le rende delle birre più consistenti, magari adat-te a un pranzo leggero e ipocalorico. Perfette, almeno secondo il nostro gusto, sono tutte le birreparticolarmente luppolate. Pensiamo in prima battuta alle pils,ceche o tedesche, ma anche alle India Pale Ale e alle lorocugine d’Oltreoceano, le American Pale Ale. Ottime, perché leg-gere e di facile approccio, le stagionali saison già pensate all’ori-gine per rinfrancare le pause durante i lavori estivi nei campi,e le gueuze, la cui acidità complessa sa “asciugare” il palatocome poche altre birre sanno fare. In Italia il microcosmo dei birrifici artigianali offre, comesempre ormai, solo l’imbarazzo della scelta. Ne presentiamoqualcuna seguendo alcune località di vacanza consci che il cri-terio è del tutto indicativo e che, anche rimanendo a casa, leopzioni non mancano. In Sardegna, ad esempio, cercherem-mo di bere la Friska del birrificio Barley (www.barley.it), unablanche speziata con coriandolo e scorza d’arancia amara,oppure la Tuvi Tuvi, ultima nata di straordinaria bevibilità. Chiva in Toscana si adoperi per ricercare La 5 del birrificio L’Olmaia (www.birrificioolmaia.com) dallabuona luppolatura e dal grado alcolico contenuto, sulla costaligure segnaliamo invece La Bianca di Maltus Faber (www.mal-tusfaber.com), anomala blanche, perché non speziata, ma diottima fattura; oppure la N.8 del birrificio Scarampola (www.bir-rificioscarampola.it) aromatizzata con il chinotto di Savona.

Scendendo verso sud, in Campania, ecco la profumata LemonAle del birrificio Karma (www.birrakarma.com) specialità conlimoni della zona e in Puglia la bitter November Ray del salen-tino birrificio B94 (www.birrificiob94.it). In Abruzzo, che vi tro-viate sulla splendida costa o a respirare l’aria fresca del GranSasso, è da non perdere l’eleganza complessa della Blanche duValerie del birrificio Almond ’22 (www.birraalmond.com) conaggiunta di pepe nero del Borneo, ma neppure l’insolita BiancaPiperita, con foglie di menta e miele locale, del birrificioOpperbacco (www.opperbacco.it). Nelle Marche, da qualchetempo a questa parte, si sta distinguendo il birrificio TenuteCollesi (www.tenutecollesi.it), da provare la loro Ego e inRomagna, ma sarebbe più corretto dire in Emilia, va benissi-mo la Surfing Hop di Toccalmatto (www.birratoccalmatto.it),birrificio che sta facendo incetta di premi un po’ dappertutto(e del quale abbiamo scritto il numero scorso) oppure la ViaEmilia, ottima pils nostrana, dell’altrettanto blasonato Birrificiodel Ducato (www.birrificiodelducato.it). Concludiamo infinequesta specie di “giro d’Italia” per birre in vacanza con il Veneto,la Curmi ovvero la blanche del birrificio 32 Via dei Birrai(www.32viadeibirrai.com), e il Friuli Venezia Giulia, la Canapadel birrificio Zahre Beer (www.zahrebeer.com) di Sauris.Insomma, avendo presente che la panoramica non è per nien-te esaustiva, è abbastanza chiaro che se l’estate è davvero lastagione della birra, la birra sa offrire all’estate un autenticocaleidoscopio di profumi e di sapori che vanno ben oltre il tritoluogo comune della semplice “bionda” da bere in spiaggia. Anzi,la “bionda”, la “mora”, la “rossa” o chi volete voi, questa voltaportatevela in giro alla scoperta delle infinite chicche birrarieche l’Italia ormai sa offrire.

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È una donna

“il mago”dei ron

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AGenova presso il Palazzo Ducale, in occasionedella mostra artistica fotografica della città ligu-re vista dall’alto di Olivo Barbieri intitolata A dif-

ferent Altitude, abbiamo avuto il piacere di incontrareper la seconda volta nel giro di due anni un grande per-sonaggio del mondo del rum o meglio ron come si scri-ve e si pronuncia in Guatemala. Ci riferiamo a LorenaVásquez, una delle poche donne Master Blender nelmondo, laureata in chimica farmaceutica con specia-lizzazione in Tecnologia degli alimenti e Amministrazioned’impresa. Lorena inizia la sua opera presso LasIndustrias Licoreras de Guatemala nel 1986 e dopo avercoperto vari incarichi è da qualche anno responsabiledi invecchiamento, miscelazione e assemblaggio dei rone si occupa specificamente del prestigioso Zacapa, con-siderato da un crescente numero di consumatori unodei migliori ron della categoria super premium. Quandoparla del “suo” prodotto esprime tutto l’entusiasmo nelpoter dividere con gli intercultori alcuni dei segreti diproduzione. Zacapa porta il nome di una città del

Guatemala di circa 200mila abitanti che divenne capo-luogo di regione nel 1876. Cento anni più tardi LasIndustrias Licoreras vollero inserire sul mercato unanuova tipologia di ron da bersi liscio, che nacque appun-to nel 1976 dalla distilleria di Retalhuleu di fronteall’Oceano Pacifico. Nel 2008 Diageo siglò un accordo di distribuzione edeventuale acquisizione futura di parte delle azioni. Inseguito elaborò per il prodotto un concetto innovativo,posizionando il ron Zacapa in un contesto suo che sidistingue dagli altri prodotti. Questo indica chiaramen-te la particolare attenzione di produzione non solodurante la lavorazione per ottenere un distillato eccel-lente ma soprattutto per affinarlo in condizioni ambien-tali particolari. Il concetto è l’altitudine, l’avvicinarsi ilpiù possibile agli dei, l’essere in un ambiente più sanodall’aria pura e sottile, più povera di ossigeno tipicadelle alture. Lorena Vásquez, con la valida traduzione e commentodel noto esperto di distillati Franco Gasparri, ci ha con-

LORENA VÁSQUEZ, GRANDE PERSONAGGIO DEL MONDO DEL RUM, È RESPONSABILE DI INVECCHIAMENTO, MISCELAZIONE E ASSEMBLAGGIO

DEL PRESTIGIOSO ZACAPA, UNO DEI MIGLIORI RON

DELLA CATEGORIA SUPER PREMIUM

di Angelo Matteucci

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dotto per mano in un viaggio immaginario alla sco-perta del ron Zacapa.La canna da zucchero è coltivata nella pianura diRetalhuleu accanto alla distilleria su terreno vulcani-co acido-argilloso, ideale per la coltura di una specia-le qualità di canna atta a produrre un succo particola-re. L’altitudine è di poco superiore ai 300 metri sul livel-lo del mare. La pianta cresce e matura in sei mesi edurante la crescita il terreno, per la siccità superficia-le, crea delle crepe obbligando la pianta a cercare l’ac-qua nel sottosuolo, ottenendo così una maggiore con-centrazione di zucchero nel succo. Vi sono due rac-colte l’anno, una a metà novembre e l’altra ad aprile.La canna tagliata e pressata rilascia il suo succo cheviene concentrato tramite evaporazione di parte dell’ac-qua vegetale del succo stesso. Il nuovo liquido,sciropposo, prende il nome di miel virgen. Ilmomento è particolarmente delicato perchéoccorre evitare qualsiasi forma di fermentazio-ne spontanea (da lieviti nell’aria, non selezio-nati) che può essere nociva per il risultatofinale. In tempi brevissimi vengonoaggiunti al “miele” lieviti prelevati diret-tamente dal frutto di ananas otte-nuti freschi in laboratorio per ognipartita. La lenta fermentazione, perottenere i migliori aromi, avviene atemperatura controllata di 32/33°per un periodo che varia tra cinquee sette giorni con un risultato fina-le di circa otto gradi alcolici.L’utilizzo del miel virgen e i lieviti daananas fanno parte di una metodolo-gia unica per la produzione di Zacapa poiché la mag-gior parte dei rum mondiali sono prodotti con la melas-sa, un sottoprodotto dello zucchero mentre i rhum agri-cole, prodotti nei territori caraibici influenzati dal domi-nio francese, utilizzano succo di canna non concentra-to. Contrariamente agli altri prodotti fermentati(vino, birra, sidro ecc.) il derivato di canna dazucchero non è mai diventato una bevanda a sestante, se si escludono consumi limitati alla popo-lazione più povera di un drink a base di succo dicanna fermentato chiamato boch o boj. Abbiamo visto che la distillazione avviene inpianura sul mare con un clima caldo, in una solacolonna di distillazione, in un unico passaggioottenendo un distillato dal contenuto alcoli-co di 88/90° che, diluendolo con acqua pura,è portato alla gradazione di circa 60°. Per contro l’invecchiamento avviene in mon-tagna presso la “Casa en las nubes” o addirit-tura sopra le nuvole a 2300 metri di altitudi-ne in un clima sensibilmente più freddo cheraggiunge a malapena 15°. Qui Lorena Vásquezda il meglio di se stessa. Applica un sistema sole-ra particolare ad hoc con un procedimento dina-mico. Per il nuovo distillato si utilizzano bariliamericani utilizzati in precedenza per la matura-zione del bourbon whiskey dove il distillato rima-ne per almeno un anno ed è soprattutto in que-

sta fase che il ron Zacapa acquisisce nuovi aromi.L’evaporazione dei distillati in Paesi tropicali a tempe-ratura di 30° ed oltre è di solito di circa il 10 per cento

l’anno. Nel caso di Zacapa, per contro, essendo invec-chiato a una temperatura sensibilmente più bassa,l’evaporazione è più limitata e l’invecchiamento èsensibilmente più lento. Dopo la prima fase avvie-ne una miscelazione di ron vecchi e nuovi e quindi

la nuova miscela è inserita in barili di rovere tosta-ti all’interno. Qui vengono esaltati gli aromi dicocco, scorza d’arancia, mandorla e altri. Nellaterza fase il distillato finora invecchiato inbarili americani passa in barili spagnoli,utilizzati nel Paese d’origine per l’affina-mento di vino sherry, dove rimane a lungoarricchendosi di caratteristiche di coloreramato e di aromi e gusto fruttati e spe-ziati. Con questo percorso termina il pro-prio invecchiamento il più giovane dei ron

Zacapa che è imbottigliato con la dicitura15 anni Solera Reserva. Per le qualità supe-

riori il ron così maturato è ancora miscelato a ronvecchi e passa in barili spagnoli che hanno contenutoil ricco sherry Pedro Ximenez. Lorena decide infine quan-do il prodotto è pronto per essere imbottigliato comeSolera Reserva 23 anni. Per la qualità 23 anni SoleraReserva Etichetta Nera, esclusivamente per il mercatoitaliano, vi è un ulteriore passaggio in barile di roverecon una nuova tostatura interna. Infine per la qualitàpiù prestigiosa Zacapa XO Solera Gran Reserva Especialvi è un ultimo passaggio in barili francesi che hannocontenuto cognac e di fatto quest’ultimo ron è defini-to “Il Cognac dei rum”. Lorena agisce, per ognunadelle tre tipologie più giovani, con lotti di 300-350

barili il cui contenuto è assemblato e posto ingrandi tini per il periodo di affinamento. Il ronè sempre filtrato a temperatura ambiente eviene diluito con acqua pura di montagna perarrivare alla gradazione voluta. Ad esclusio-ne della qualità XO, prodotta in piccole quan-tità e commercializzata in bottiglia partico-larmente prestigiosa, le altre tipologie diZacapa sono poste in bottiglie decorate dauna fascia di foglie di palma essiccate, intrec-ciate a mano e denominata “petate” anticosimbolo Maya dell’unione tra cielo, terra,sole e luna ovvero la materia e lo spirito conchiaro riferimento all’antico retaggio delpopolo guatemalteco.

Lorena Vásquez �

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L’importanza

del nasoper conoscere

l’acqua

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Acq

ua

Uno degli argomenti maggiormente affascinanti ma, al contempo,problematici per quanto riguarda l’analisi organolettica è l’esameolfattivo. Questa fase della degustazione, che risulta tra le più com-

plesse per quanto riguarda il vino, aumenta ulteriormente il proprio livel-lo di difficoltà se applicata all’acqua. Tale elemento è infatti, proprio per laproblematicità di questo esame, da sempre considerato inodore (e insa-pore). Ovviamente l’acqua non presenta un bagaglio olfattivo composto dadecine e decine di differenti sentori ma l’analisi olfattiva, proprio comeaccade per il nettare di bacco, appare indispensabile per l’individuazionedi eventuali difetti e problematiche che può presentare la bevanda. Inoltre,non viene solitamente preso in considerazione il fatto che, tramite l’esameolfattivo, è possibile anche per le acque verificare e apprezzare le cosiddet-te “caratteristiche positive di tipicità”, nonché la corrispondenza di tipo-logia. Quest’ultima caratteristica, che in campo enologico si riferisce adiverse peculiarità, tra le quali il tipo di vino e la zona di produzione, èriscontrabile anche nelle acque. Nel liquido risultano, infatti, presenti letracce minerali dei luoghi che questo ha attraversato durante il propriocammino ed è notorio che ogni tipologia di terreno o di roccia presenta unapropria precisa particolarità olfattiva come, ad esempio, le rocce tufaceeche al naso esprimono note cosiddette di “pozzo profondo”. Vi sono poi isentori peculiari di ogni sorgente, ma durante la degustazione devono esse-re evidenziati anche gli eventuali odori anomali, nonché quelle note parti-colarmente sgradevoli, anche se solitamente molto lievi, riferibili a proble-matiche dovute a un cattivo stato di conservazione, nonché a criticità lega-te al contenitore utilizzato. A tal proposito può accadere, anche se moltodi rado, che si riscontri un sentore tendenzialmente “dolciastro”, a volteassociabile all’utilizzo del PET. Il tutto senza dimenticare che, proprio comeaccade per il vino, il locale scelto per l’assaggio dovrebbe essere privo diodori che possano disturbare l’opera del degustatore e quest’ultimo, peril medesimo motivo, dovrebbe evitare di utilizzare profumo, saponi profu-mati, nonché ovviamente, astenersi dal fumare.

L’ESAME OLFATTIVO,INDISPENSABILE

PER IL VINO, È PARTICOLARMENTE

IMPORTANTE ANCHE PER

CAPIRE SE L’ACQUA

PRESENTA DIFETTI

O EVENTUALI

PROBLEMATICHE

di Davide Oltolini

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SAN BENEDETTOL’Acqua Minerale San Benedetto è un’acquaoligominerale che nasce in Veneto dalle neviperenni dei ghiacciai alpini della regione. Lafonte è situata nel territorio del comune diScorzè, in provincia di Venezia. Nata nel 1956,

la società Acqua Minerale SanBenedetto S.p.a. possiede un fat-turato consolidato di gruppo diben 875 milioni di euro, 2.300dipendenti, una capacità pro-duttiva in Italia di 17 milioni dipezzi al giorno ed è attiva com-mercialmente in oltre 80 Paesinei cinque continenti. Per il2010 Acqua Minerale SanBenedetto ha presentato lanuova bottiglia da 1,5L e inuovi formati da mezzolitro. Esteticamente i nuoviformati si presentano, rispet-to alle versioni precedenti, con linee piùpulite e una forma più slanciata e piùstretta al centro, offrendo così al con-sumatore una migliore impugnaturagrazie alla speciale presa ergonomica

che facilita la versata migliorandone lapraticità d’uso. Novità anche per l’immagi-

ne con la rivisitazione dell’etichetta che sottolinea iconcetti di trasparenza e purezza. Il residuo fisso (a180°C) è di 272 mg/l, mentre il pH ha un valore di7,42. All’assaggio esprime una buona morbidezza edevidenzia una struttura di particolare equilibrio. www.sanbenedetto.it Numero Verde 800544555

80 DEGREES NORTH – ICEBERG WATERProviene dagli iceberg della Groenlandia,che pare siano stati generati tra i12.000 e i 15.000 anni fa dalla nevee dalla pioggia di quell’epoca remota.Si ottiene dalla “raccolta” di icebergalla deriva e dalla successiva lavora-zione in un moderno impianto di fil-trazione. Viene commercializzata inbottiglie in PTR da 1000 e da 500 ml.Al palato risulta morbida, quasi dolcee appare estremamente particola-re in retrolfazione.www.distyle.it tel. 0516958605 - 3485403266

LURISIAL’acqua di Lurisia è stata casualmente scoperta all’ini-zio del Novecento da un minatore nella zona del comu-ne di Roccaforte di Mondovì, in provincia di Cuneo. Ilnome deriva dalle “lose”, spesse lastre di pietra chevenivano ricavate dalle innumerevoli cave e galleriepresenti nella zona. I primi ad accorgersi delle qua-lità curative delle acque locali furono gli scalpelli-ni del piccolo centro di Nivolano, che con esse sicuravano le ferite procuratesi durante il lavoro.Dalle proprietà medicamentose delle acque trae,infatti, origine la storia dell’omonimo stabili-mento termale e la successiva commercializzazio-ne dell’acqua minerale naturale Santa Barbara diLurisia. L’Istituto idrotermale esegue ben 120 milaprestazioni stagionali con 7mila passaggi gior-nalieri durante il periodo di alta stagione. Lurisianasce sul monte Pigna a 1.460 metri sul livellodel mare in un ambiente incontaminato. Presenta35,4 mg/l di residuo fisso e contiene 3,0 mg/l di

sodio. Ha un pH di 6,9 e una durezza < 1. Nel 2007è stata l’acqua minerale “non effervescente” più vendu-ta nei ristoranti di New York City. Al palato appare leg-gera, ben equilibrata e con una gradevolissima e accat-tivante nota “rinfrescante”.www.lurisia.it [email protected] tel. 0174583000

INFINITIInfiniti è il brand delle auto di alta gammadel produttore automobilistico nipponicoNissan. Tra i gadget scelti per la propriaclientela ve ne è uno estremamente par-ticolare rappresentato da bottigliet-te di acqua dalla forma accattivan-te. L’acqua contenuta nelle botti-glie Infiniti proviene dalla fonte La

Liese, conosciuta da oltre3000 anni e situata nel cuore

del Parc Naturel des Vosges duNord, in Francia. Quest’ultimoè iscritto nel programma Men&Biosphere sostenuto dall’UNESCOper preservare il territorio e la purez-za leggendaria della sua acqua. La bevan-da presenta un buon equilibrio oligo-minerale e lacomposizione della stessa dichiarata dall’azienda(che riportiamo fedelmente) risulta la seguente:Sodium 1,1 mg/l, Potassium 1,9 mg/l, Calcium 10,5mg/l, Magnésium4 mg/l, Fer 0,005 mg/l,Bicarbonate 48 mg/l, Sulfates6 mg/l, Chlorures5 mg/l, Fluor 0,10 mg/l e No3 2,1 mg/l.www.infiniti.it

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La Liguria e i suoi

VinidAmare

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Even

ti

Giunta all’edizione numero sette, VinidAmare,la manifestazione dei vini di Liguria, ha mante-nuto le aspettative confermandosi “luogo pri-

vilegiato dove dare spazio e fare conoscere le eccellen-ze di questa regione non solo agli addetti ai lavori, maanche al consumatore di tutti i giorni”. Con queste parole Pier Franco Schiaffino, presidentedel comitato organizzatore della rassegna e delegatoregionale Ais Liguria per le manifestazioni ed eventi, hapresentato la rassegna VinidAmare 2010 nell’affollataveranda dei bagni Miramare in passeggiata aCamogli. Il successo della manifestazione ènei numeri straordinari e ancorain crescita: ottantaquattro produt-tori presenti – dalla Riviera diLevante a quella di Ponente – e cen-tinaia fra ristoratori, albergatori,sommelier e semplici amanti del vinoche hanno affollato il lungomare diCamogli per scoprire i vini del terri-torio, approfittando del meravigliosopomeriggio di sole. Ed è proprio sulla qualità dei vini chei produttori sembrano puntare, per-ché se in passato si produceva moltovino da tavola, oggi sono sempre di piùle aziende impegnate nella ricerca dell’eccellenza nelrispetto della tradizione. Le scelte fatte stanno dandoi primi frutti e si regista una piccola crescita nel set-tore, con un incremento del numero di aziende e addet-ti ai lavori. Un bilancio assolutamente positivo perMoreno Babbini, delegato uscente Ais di Genova, chedescrive la situazione odierna senza però nascondere

le difficoltà oggettive di un settore, quello vitivinicolo,che in Liguria risente di molti problemi, primo fra tuttila scarsa capacità produttiva, che rende il nostro vinoper pochi essendo consumato quasi tutto in loco. Antonello Maietta, vicepresidente nazionale Ais, si sof-ferma su un dato emblematico: nel 1960 nelle CinqueTerre i vigneti occupavano una superficie di 500 etta-ri, mentre oggi ne sono rimasti solo 85. Superficialmentequanto detto potrebbe indurre al pessimismo, perciòè bene ricordare che nonostante le particolari caratte-

ristiche del territorio (circa il 90 percento dell’area ha una pendenza supe-riore al 30 per cento) in questi ultimianni molti giovani si sono impegnatinel ripristino di antichi vigneti conottimi risultati. In generale si riscon-tra quindi una viticoltura in cresci-ta, poiché supportata da una gene-razione fortemente motivata cheriscopre l’agricoltura come attivitàprevalente. Pier Franco Schiaffino, che insie-me all’Ais e al comune di Camoglida sette anni organizza la manife-stazione, ha l’aria soddisfatta men-tre si aggira tra gli stand e sem-

bra dimenticare per un attimo la fatica che comportala preparazione dell’evento che, tiene a precisare, “richie-de un impegno notevole e del tutto gratuito da partedegli organizzatori e dei sommelier della sezione geno-vese”. Promuovere e fare conoscere i vini del territorioè lo scopo del ritrovarsi a Camogli ogni anno, aggiun-ge Schiaffino.In quest’ottica, il premio, conferito annualmente a chi

BILANCIO PIÙ CHE POSITIVO PER LA RASSEGNA DI CAMOGLI: I PRODUTTORI

CHE PUNTANO ALL’ECCELLENZA NEL RISPETTO DELLA TRADIZIONE

di Ludovica Schiaroli

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abbia contribuito in modo significa-tivo alla diffusione della cultura del-l’enogastronomia, è stato assegna-to a Franco Bonanini, presidentedel Parco nazionale delle CinqueTerre, “proprio per l’impegno quoti-diano nella promozione del territo-rio che riflette lo spirito della mani-festazione”, conclude Schiaffino. Nelricevere il premio, Bonanini sinte-tizza in due parole il lavoro che daanni sta portando avanti nelleCinque Terre: “paesaggio alimenta-re”, cioè la ricerca di un punto di incontro tra chi pro-duce e chi consuma, per sfruttare al meglio le risorsedel territorio, creando ricchezza e incentivando le pic-cole produzioni locali che sono anche a zero impattoambientale. Ma soprattutto fare entrare la tipicità deivini liguri, la varietà dei vitigni autoctoni nella carte deivini dei ristoratori, che a volte presentano molte lacu-ne sotto quest’aspetto. Lo sforzo da fare è in questadirezione: una comunicazione organica e precisa traproduttore e ristoratore che possa in fine giungere alconsumatore, che si spera attento e sensibile. D’altrondeAntonello Maietta fa notare come “i viticultori ligurihanno avuto in passato un approccio molto tiepido neiconfronti dei vini internazionali, non seguendo la modae mantenendo i vitigni tradizionali”. Oggi, che il consu-matore è sempre più alla ricerca del vitigno autoctono,potrebbe essere un vantaggio da sfruttare. In chiusura, Alex Molinari e Marco Rezzano, rispetti-vamente neo presidente regionale e delegato Ais dellaSpezia hanno confermato le aspettative di crescita dellamanifestazione, non nascondendo la speranza di “bis-

sare l’evento durante l’anno” e nelcontempo condividendo la preoccu-pazione di Antonello Maietta circale adesioni, perché “se continueran-no a crescere, di questo passo, ilprossimo anno il comune dovràallungare la passeggiata…”.A latere, ma non troppo, visto chesi era sempre in passeggiata, Marino

Giordani, presidente uscente Ais Liguria e vicepresi-dente tecnico dell’Onaoo, Organizzazione nazionaleassaggiatori di olio d’oliva, ha tenuto un affollato semi-nario sull’olio d’oliva ligure. Molti gli appassionati chehanno degustato le tre tipologie di olio ligure presenti,Riviera di Ponente, di Levante e Savona. Per chi volesse approfondire ulteriormente la conoscen-za dei vini liguri, il consiglio è di leggersi il bel libro scrit-to da Antonello Maietta Vini di Liguria. VinidAmare (ed.Corigraf, Genova 2008). In otto capitoli, tante quantesono le Doc liguri con un’ultima parte sulle Igt, il nume-ro due dell’Ais racconta il vino legandolo alla storia delterritorio e delle sue genti. Si scopre così che NapoleoneBonaparte, ospite della marchesa Doria, assaggiò ilRossese e “lo elesse a prodotto di conforto personale”nel corso della campagna d’Italia, che Stendhal men-zionò nel libro sul suo viaggio in Italia il Bianco dellaValpolcevera, ma soprattutto che fu un ancora scono-sciuto Luigi Veronelli, allora cronista del Giorno, a par-lare della Liguria (i Colli di Luni) come zona di produ-zione di vini di qualità.

� Marino Giordani durante il semi-nario sull’olio di oliva ligure

� Da sinistra, Italo Mannucci, sinda-co di Camogli, Franco Bonanini,presidente Parco Nazionale delleCinque Terre, e Pier FrancoSchiaffino

� Antonello Maietta, vicepresidentenazionale AIS e Pier FrancoSchiaffino, presidente del comita-to organizzatore VinidAmare

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Quando bere significa

volersi bene

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Èun barman professionista dilungo corso. Docente esternopresso la Scuola Alberghiera

Ermenegildo Zegna di Cavaglià eTrivero, insegna “Bar & Sala Bar” edè il formatore responsabile delProgetto “Laboratorio Bar” dellaScuola Superiore Salesiana di Torino,in Piazza Rebaudengo. Qui FulvioPiccinino ha avviato un progetto daltitolo Saperebere di cui va giusta-mente fiero ed orgoglioso. Un’attivitàdi formazione e sensibilizzazione al“bere consapevole” che coinvolgeanche ragazzi disagiati.

Fulvio Piccinino, il progettoSaperebere da quali motivazioniè nato e quali finalità si propone?«Il progetto Saperebere parte dal con-vincimento che il bere responsabi-le nasce dalla conoscenza della sto-ria e dei criteri per individuare i pro-dotti di qualità. Il processo virtuosoavvenuto con il consumo del vino,che ha visto progressivamenteaumentare il consumo di qualità,può essere possibile anche per idistillati e il bere miscelato a pattoche il consumatore conosca prodot-ti e cocktail, smettendo di accettareignobili intrugli fatti con alcolici didubbia provenienza. Il grande bar-man Angelo Zola diceva che “beremiscelato è bere moderato”, perchèi drink di qualità devono tornare aessere “prodotti da meditazione” e

non da tracannare in piedi al bancobar.Un altro concetto che spesso ripetoai ragazzi è che prima di inventarecocktail nuovi bisogna imparare afare bene quelli che già ci sono. Solorileggendo la storia e comprenden-do il passato della miscelazione sicreano le basi per il futuro, perchètutto arriva dal periodo storico in cuii barman avevano a disposizionepochi aromatizzanti e prodotti diconsumo come zucchero e limone.Alcuni anni fa mi fu proposto di inse-gnare all'interno delle scuole alber-ghiere nell’ambito della terza area,quella dedicata a interventi esternidi professionisti del settore bar, e miresi immediatamente conto che semi fossi proposto con delle lezioninozionistiche su cocktail e distillatiavrei perso immediatamente l’ atten-zione dei ragazzi.Creai così delle presentazioni inPower Point dove, oltre alla storiadella distillazione, ogni distillatoaveva enunciata la sua origine, lecuriosità a esso legate e aneddotirelativi alla letteratura o a personag-gi famosi.Se parlavo di vodka , mi aggancia-vo a Napoleone, alla rivoluzione diottobre, per arrivare a James Bonde al Vesper Martini che prevede lapresenza del distillato di originepolacca.Se parlavo di gin, dicevo dell'origine

farmaceutica del distillato, passan-do dalla guerra dei trent'anni, lacolonizzazione e la compagnia delleIndie, fino ad Hemingway con “Al dilà del fiume tra gli alberi” per aggan-ciarmi alla prima Guerra Mondialee magari ripartire dalla Grappa....Il progetto ha visto il suo coronamen-to quest’anno, poiché tramite l'IstitutoSalesiano di Torino mi è stato affida-to un corso di “sala e bar” per ragaz-zi con disagio giovanile, fuori dal per-corso scolastico, affidati ai servizisociali.Il corso bar tenuto secondo i criteridel progetto Saperebere ha ottenu-to ottimi risultati, portando a finecorso un numero di ragazzi superio-re alle aspettative e consentendo adalcuni partecipanti di trovare lavo-ro presso i bar dove si erano recatiper lo stage, dimostrando voglia edentusiasmo per questa nuova pos-sibilità che era stata data loro».

C'è una netta contrapposizione,lei afferma, con il binge drinkingcioè il bere per bere. Davvero que-st'ultimo fenomeno è di moda fragli adolescenti di oggi? E a suoavviso, perché?«Ho lavorato in Inghilterra dove,nonostante ci sia una grossa cultu-ra del bere miscelato e alcuni dei bare dei barman siano tra i più famosidel mondo, la gioventù si distruggein nome del divertimento che di fatto

di Paolo Giarrusso

IL BARMAN PROFESSIONISTA FULVIO PICCININO CI PARLA DEL SUO PROGETTO

CHE PROMUOVE LA CULTURA DEL BERE RESPONSABILE E CONSAPEVOLE

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è la cancellazione totale della pro-pria persona. Il problema, quindi,è legato a una forma mentale del gio-vane che non vede alternative se nonbere fino al completo stordimento. Lavorando, poi, nei bar del NordItalia, ho visto come questo presun-to stile di bere abbia preso piedeanche qui da noi, ma in manierasicuramente meno vistosa che nelmondo anglosassone. Conosco, tral’altro, molti colleghi che rifiutano dipreparare intrugli proposti dagli stes-si clienti o cocktail “famosi” per uncerto tipo di movida come “L'angeloazzurro” o il “Kamikaze” e invitano acambiare richiesta. Il problema è che manca la culturadel bere, non c'è conoscenza dei pro-dotti e del bere miscelato, bisogne-rebbe creare una nuova classe diconsumatori consapevoli che sia ingrado di conoscere l'esatta prepara-zione dei drink e i criteri di qualitàdei prodotti utilizzati.Da parte mia, sto cercando, con l’ar-rivo del prossimo anno, di metterein atto dei corsi bar con il marchioSaperebere cha abbiano questo tipodi filosofia: la creazione della cultu-ra del bere responsabile e consa-pevole».

Uno degli scopi è quello del recu-pero della grande tradizione ita-liana della liquoristica. Questa èandata completamente persa? E

se sì, per quali motivi?«Questo è un discorso che mi staparticolarmente a cuore. Curando ilsito internet www.saperebere.com,ho riscoperto molti prodotti dimen-ticati della nostra liquoristica cheha una tradizione millenaria e unsuccesso incredibile all’estero.Pensiamo al Frangelico, prodotto,con le nocciole del Piemonte, aCanale, da una grossa multinazio-nale e protagonista di decine di cock-tail nei bar d’oltremanica; alGalliano, vendutissimo in Svezia eInghilterra, al Tuaca, liquore livor-nese, a base di vaniglia, la cui ricet-ta si fa risalire al Lorenzo ilMagnifico, praticamente sconosciu-to in Italia, ma leader di mercato neibar americani della west coast. Ma potrei citare anche L'AmericanoCocchi, ottimo vino amaricato, eccel-lente aperitivo, prodotto a Cocconatod'Asti dall'omonima azienda spu-mantistica, che riceve continui rico-noscimenti all'estero, ultimo un arti-colo sul New York Times, ma che èpraticamente sconosciuto in Italia.Infine vorrei citare il ToccasanaNegro, e in particolare la sua riser-va del fondatore, eccellente amaroinvecchiato, in grado di gareggiareper finezza e struttura con i grandiamari francesi come Chartreuse eBenedectine, ma praticamente sco-nosciuto ai più.Potrei continuare citando i liquori

cantati da d’Annunzio come ilSangue Morlacco della Luxardo el’Aurum della Ilva, rispettivamenteliquori alla marasca e all'arancio, dieccellente fattura e piacevolezza, pra-ticamente sconosciuti alla maggio-ranza dei barman, ottimi aromatiz-zanti per la realizzazione di cocktailvintage.Il motivo della graduale perdita dellatradizione è da individuare nel impo-verimento della professione del bar-man, diventato un semplice porgi-tore, per comodità, mancanza di pre-parazione e per la pubblicità mar-tellante di alcuni prodotti che indi-rizzano il consumatore in consumidi massa e standardizzati.Dobbiamo tornare ad essere propo-sitivi dietro al banco, “perdere” deltempo con il cliente, farlo crescerea livello di consumo qualitativo. Un mio sogno rimane la realizzazio-ne di una gara fra barman, in cuivengano nuovamente utilizzati que-sti prodotti dimenticati, riattualiz-zandoli magari con l'abbinamentoalle spezie.Ritengo infatti che, spesso, nelle garetra barman ci sia una banalizzazio-ne del gusto, alla ricerca del drinksolo piacevole, mentre ci sia pocaricerca e azzardo nell’abbinamento,cosa possibile con liquori mono erbee liquori amari di produzione arti-gianale locale, proposti da piccolerealtà come la Origine di Cengio».

� I ragazzi del progetto� Fulvio Piccinino durante una lezione

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L’esame di maturità

dell’uva

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Il processo di maturazione com-porta una serie di importanti tra-sformazioni chimico–fisiche che

interessano colorazione, consisten-za e composizione della bacca.L’inizio della maturazione è sanci-to dall’invaiatura, che si manifestavisivamente con il progressivo cam-biamento di colore degli acini, chedal verde virano gradualmente versola colorazione tipica del vitigno, aseguito della scomparsa della cloro-filla e alla comparsa dei pigmentispecifici a seconda che si tratti diuve a bacca bianca o a bacca nera.Dall’invaiatura in poi si assisteanche all’aumento delle dimensionidegli acini e al cambiamento dellaloro consistenza, che diviene via viapiù morbida e plastica. Dal puntodi vista della composizione chimi-ca si considera un progressivo accu-mulo di zuccheri e di polifenoli, unadiminuzione dell’acidità, un aumen-to del pH e un accumulo di sostan-ze aromatiche e dei loro precursori,determinante per l’espressione orga-nolettica del vino.

����IL METODO ICVPer valutare il livello di maturazio-ne delle uve e la loro qualità enolo-gica ci si affida usualmente allemisurazioni analitiche di zuccheri(°Brix), acidità totale e pH; per scen-dere più nel dettaglio si procedespesso anche alla determinazione diacido tartarico e acido malico. Nelcaso delle uve a bacca nera, a que-ste analisi si aggiungono quelle rela-tive alla maturità fenolica ovveroindice di fenoli, antociani poten-ziali, antociani estraibili e tanninidei vinaccioli.Tramite questi parametri vengono

realizzate le curve di maturazione,un importante strumento che con-sente di seguire l’evoluzione dellecaratteristiche dell’uva e di stabili-re di conseguenza il momento piùopportuno per la vendemmia, checome noto riveste un’importanzafondamentale nel determinare il pro-filo qualitativo del vino che sarà otte-nuto.L’Institut Coopératif du Vin (Icv) diMontepellier ha messo a punto unametodologia di analisi sensoriale del-l’uva, complementare alle analisi

UN METODO MESSO A

PUNTO IN FRANCIAFORNISCE UNA VERA E

PROPRIA “PAGELLA”CHE CONSENTE DI

SEGUIRE L’EVOLUZIONEDELLE

CARATTERISTICHE

DELL’UVA E DI

STABILIRE IL MOMENTO

PIÙ OPPORTUNO PER LA

VENDEMMIA

di Riccardo Castaldi

� Uva Trebbiano

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chimico–fisiche eseguite in labora-torio, che consente di valutarne laqualità enologica e di trarre prezio-se indicazioni per guidare le sceltein vigneto, in primo luogo l’epoca divendemmia; questo tipo di analisi sirivela inoltre strategica anche perscegliere le tecnologie di vinificazio-ne più appropriate, in modo da esal-tare le caratteristiche positive del-l’uva e prevenire il rischio di difetti.Con la metodica Icv vengono valu-tate, con un’unica analisi, le carat-teristiche meccaniche degli acini,

l’equilibrio acidico, la potenzialitàaromatica e la quantità, la qualità ela localizzazione dei polifenoli, evi-denziando eventuali disequilibri esi-stenti tra le varie componenti del-l’acino.Il grande pregio della metodica Icv èdi aver standardizzato e trasforma-to in uno strumento oggettivo quel-lo che si è fatto fin dagli albori dellaviticoltura in maniera più empirica,ovvero l’assaggio delle uve. In que-sto modo tutti gli operatori della filie-ra hanno modo di utilizzare il mede-simo linguaggio quando si esprimo-no relativamente alle caratteristichedell’uva; inoltre è possibile confron-tare tra di loro i risultati di annatedifferenti, dal momento che ciascu-na valutazione viene registrata suuna scheda di degustazione, avva-lendosi eventualmente dell’ausiliodelle tavole sinottiche di caratteriz-zazione dei descrittori.L’analisi sensoriale delle uve esegui-ta con la metodica Icv ha un costomolto contenuto e soprattutto ha ilvantaggio di essere semplice edestremamente rapida, tanto da con-sentire di prendere decisioni intempo reale, direttamente nel vigne-to, aspetto di importanza non tra-scurabile nel concitato e delicatoperiodo che precede la vendemmia,quando pochi giorni possono avereun’importanza determinante sugliesiti qualitativi.La tecnica di analisi sensoriale delleuve secondo il metodo Icv è acqui-sibile tramite corsi di durata limita-ta, rivolti ad agronomi ed enologi mafruibili agevolmente anche da som-melier e da consumatori appassio-nati, interessati a comprenderemeglio tutto ciò che sta a monte del

bicchiere di vino. I corsi, al di fuoridel bacino mediterraneo francese,area di competenza diretta dell’Icv,sono impartiti da Vinidea srl di Pontedell’Olio (Pc), società di servizi spe-cializzata nella formazione e aggior-namento professionale per la filie-ra vitivinicola, in seguito a un accor-do di esclusiva mondiale.

����IL CAMPIONAMENTOPer bene comprendere la reale situa-zione di un vigneto, è fondamenta-le prelevare un campione di acinirappresentativo, tenendo in consi-derazione di come il grado di matu-rità all’interno del grappolo subiscavariazioni significative passando dallato esposto al sole a quello in ombranonché dalla porzione centrale allapunta e alle ali, che in genere sonopiù in ritardo. In genere si percor-rono due interfilari, uno in andatae uno in ritorno, prelevando alter-nativamente sul lato destro e sul latosinistro di ciascuno di essi. È impor-tante che gli acini siano prelevati conl’aiuto di forbici, in modo tale da evi-tare il distacco del pedicello.

����I DESCRITTORIL’analisi prende in considerazionele tre porzioni principali dell’acino,ovvero polpa, buccia e vinaccioli, uti-lizzando 19 descrittori, a ciascunodei quali viene attribuito un punteg-gio da 1 a 4.La procedura di degustazione vieneapplicata a tre acini scelti a caso nel-l’ambito del campione prelevato incampo e prevede che si parta dal-l’esame visivo e tattile. Comprimendol’acino tra le dita viene valutata laconsistenza meccanica, che dimi-nuisce col procedere del processo di� Uva Sangiovese

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maturazione; si prende poi in esameil colore della buccia, che passa dalverde al giallo ambrato nelle uve abacca bianca e dal rosa pallido alnero in quelle a bacca nera, per lequali si deve focalizzare l’attenzionenel lato del pedicello. Staccando ilpedicello dall’acino, viene valutatal’attitudine alla sgranatura, cheaumenta col procedere della matu-razione. Nell’uva matura il pennel-lo, ovvero ciò che resta attaccato alpedicello dopo il suo distacco dallabacca, si stacca con facilità, presen-ta poca polpa aderente e assumeuna colorazione rossa nelle uve a

bacca nera; la presenza di un pen-nello con polpa gelatinosa è indicedi stress idrico subito dalla pianta.Si passa quindi alla degustazionedella polpa, che prevede che siaestratta schiacciando gli acini tralingua e palato, separando le buccee i vinaccioli che sono sputati e con-servati; si continua schiacciando lapolpa al fine di estrarre il succo; con-siderando la facilità con cui la polpasi è separata dalla buccia, la pre-senza di polpa aderente ai vinaccio-li e un’eventuale liberazione di succoa seguito di una successiva masti-cazione, viene valutata l’aderenzadella polpa o attitudine alla separa-zione, che aumenta con l’avanzaredella maturazione. La presenza diun grumo gelatinoso attorno aivinaccioli è indice di stress idricosubito dalla pianta. Sul succo estrat-

to vengono valutate la dolcezza, l’aci-dità, gli aromi erbacei e gli aromifruttati. In talune varietà, col pro-cedere della maturazione spariscel’erbaceo e compare il fruttato, men-tre in altre varietà queste due sen-sazioni aromatiche si intrecciano.La degustazione della buccia preve-de che, dopo aver deglutito o sputa-to la polpa, si rimettano in bocca lebucce e si proceda alla loro masti-cazione, effettuando un numero dimovimenti mascellari compreso tra10 e 15, che deve essere sempre ilmedesimo per ciascun degustatore;dopo aver masticato viene valutatal’attitudine alla triturazione dellabuccia, che è maggiore nelle uvemature. Passando poi la lingua sulpalato e focalizzando l’attenzionesull’attrito che incontra, viene valu-tata l’intensità tannica, dopodichéviene valutata l’acidità.Concentrandosi su labbra, gengivee palato e considerando le sensazio-ni di bruciatura e la difficoltà a sali-vare, viene valutata l’astringenzadella buccia. L’analisi della poltigliaporta infine alla valutazione degliaromi erbacei e degli aromi fruttati,che concludono l’esame della buc-cia.L’analisi sensoriale si conclude conl’esame visivo e gustativo dei vinac-cioli, la cui importanza non deveessere sottovalutata. Innanzi tuttoviene valutato il loro colore, che puòvariare dal bianco e giallo–verde, finoal marrone scuro, che caratterizza ivinaccioli delle uve mature; la meto-dologia prevede che i vinaccioli nonsiano degustati qualora siano verdi.Mordendo i vinaccioli tra gli incisi-vi, viene valutata la loro durezza; ilvinacciolo immaturo è tendenzial-mente gommoso e non si rompe,mentre presenta un grado di matu-razione ottimale quando diventa fra-gile e croccante. La degustazione deivinaccioli prosegue masticandoli unnumero fisso di volte, compreso tra10 e 15, al fine di poter valutarnel’astringenza, gli aromi e l’intensitàtannica. L’astringenza viene avver-tita sulle labbra e sul palato mentregli aromi, che possono essere daverdi, erbacei fino a torrefatti, sca-turiscono dall’analisi della poltiglia.Passando la lingua sul palato duran-te la masticazione, viene invece ana-lizzata l’intensità tannica.

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Guinness: più di un record,

un mito

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Mu

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La Guinness Storehouse è unodei musei del gusto più inte-ressanti del mondo. Lo è per

diverse ragioni. Intanto perché rap-presenta un prodotto e una terra. Labirra nera, Dublino, l’Irlanda.

��� LA STORIA La sua storia parte da lontano. Siamoa metà del Settecento quando ArthurGuinness, figlio di un amministrato-re terriero, lascia il suo primo birri-ficio al fratello, per trasferirsi aDublino. Sono anni difficili. La birrainglese costa meno di quella nazio-nale, perché sottoposta a minori tas-sazioni, eppure Arthur decide di pun-tare in alto e il 31 dicembre del 1759firma il contratto d’affitto di un pic-colo birrificio in disuso e male attrez-zato situato a St James’s Gate. Il documento prevedeva una duratadi 9000 anni al prezzo di 45 sterli-

ne l’anno. I locali erano situati suuna superficie di quattro acri e dota-ti di paiolo di rame, vasca di fermen-tazione, macina, due contenitori peril malto, stalla per dodici cavalli e fie-nile per 200 tonnellate di fieno. Ilprimo dicembre, Arthur firma il con-tratto in veste di nuovo birraio e lodeposita presso il Minute Book of theDublin Brewers and MaltstersCorporation (il Registro dei mastri bir-rai e produttori di malto di Dublino).Nel giro di otto anni diviene Mastrodella Corporazione. Inizialmente il suo birrificio producela birra classica, bionda, poi, sullascorta di un nuovo prodotto che arri-va da Londra, scuro, Arthur decidedi puntare solo sulla birra nera, laGuinness, che nel giro di un paio distagioni conquista non solo l’Irlanda.Ogni giorno nel mondo si bevonodieci milioni di bicchieri di Guinness.

VIAGGIO NELLA

STOREHOUSE DOVE SI

RACCONTA LA STORIA

DELLA BIRRA NERA

D’IRLANDA

di Letizia Magnani

� Arthur Guinness, il fondatore

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sei

��� LA BIRRA NERA CONQUISTA IL MONDO

Acqua, orzo trasformato in malto etostato, luppolo e lievito sono i quat-tro ingredienti della Guinness, cheoggi si produce in 49 Paesi ed è ven-duta in oltre 150. La Guinness pos-siede 5 birrifici in 5 Paesi: Irlanda(Dublino), Malesia e tre in Africa:Nigeria, Ghana e Camerun. È propriol’Africa, seguita dagli Stati Unitid’America e preceduta dalla GranBretagna, il continente che beve piùbirra nera. Anche se non è il nero ilvero colore della Guinness, bensì ilrosso rubino intenso, dato dall’orzotostato. È sempre l’orzo, con l’acqua,a conferire alla Guinness il saporeche da metà Settecento in poi con-quista tutti, lavoratori, uomini, donnee giovani. Il colore, il sapore e il mar-chio, naturalmente. L’audacia delmarchio infatti, usato per la primavolta in maniera moderna e spre-giudicata fa della Guinness veramen-te una birra da primato. Ma andiamoper ordine. Torniamo al 1770, ArthurGuinness continua la supervisionedegli affari del birrificio assistito datre dei suoi figli. Arthur è sposato conun’ereditiera, Olivia Whitmore, dacui ha avuto 21 figli, dieci dei qualisopravvivono all’infanzia. Oltre allacasa di Dublino, Arthur acquistauna casa di campagna a Beaumont,vicino alla capitale, e inizia a occu-parsi della vita pubblica diventandoGovernatore del Meath Hospital eSegretario dei Friendly Brothers diSan Patrizio. Dona anche 250 ghineealle Chapel Schools annesse allaCattedrale di San Patrizio. Viene inol-tre nominato bir-raio del Castellodi Dublino, lasede del governoirlandese. Alla suamorte, nel 1803,Arthur lascia ineredità alla fami-glia un notevolepatrimonio perso-nale di circa 23mila sterline eun’azienda in pienaproduzione allesuccessive genera-zioni che hannoseguito l’esempio imprenditoriale delfondatore. A seguire le suo orme sonoinfatti: Arthur Guinness II (1768-1855), Benjamin Lee Guinness (1798-1868), Edward Cecil Guinness (1847-1927), Arthur Edward Guinness(1840-1915), Rupert EdwardGuinness (1874-1967).

��� LA STOREHOUSE È questa la storia che si scopreentrando nella magnifica casa dellabirra nera di Dublino. Si tratta di unedificio dei primi Novecento a formadi grande pinta. Sarebbero neces-sarie 14,3 milioni di pinte di birra perriempire il gigantesco atrio in vetroche accoglie i visitatori. Alta 38 metri,la Storehouse ha sul tetto il GravityBar più famoso e più alto d’Irlanda,

dove si beve rigorosamen-te Guinness. La Storehouse è il primo edi-ficio a essere stato costrui-to nelle Isole Britanniche instruttura d’acciaio secon-do lo stile di Chicago (ilsecondo favoloso si trovaa Londra ed è l’HotelRitz). I muri fungono da bar-riera agli elementi contravi d’acciaio che forma-no l’intelaiatura di basedell’edificio stesso. È quiche per tutto il breve

Novecento veniva fermentata la birra.Già negli anni Cinquanta i tini dilegno vengono sostituiti con quelli dialluminio e quindi negli anni Settantacon quelli di acciaio. Passione e tec-nologia sono alla base dellaStorehouse, che già dalle fondamen-ta tiene insieme questi due semi. È

per questo che una volta diventatatroppo piccola per la produzione, lacasa diviene invece perfetta per acco-gliere i visitatori. Così dal Duemila sitrasforma nel museo della Guinness,dove si possono scoprire segreti ecuriosità sul mondo della birra.

��� ALL’INTERNO DEL MUSEO Al piano terra si scoprono i primiquattro ingredienti fondamentali perla riuscita della birra, che comeabbiamo detto, sono l’acqua, l’orzo,il luppolo e il lievito. Ma perché labirra diventi mitica serve un quintoelemento, per questo nel corso dellavisita si incontra il fondatore dellaGuinness, Arthur. Sarà proprio ilMastro Birraio più importante delmondo ad accompagnare i visitatorialla scoperta del processo di produ-zione della birra, che si può scoprireal primo piano, dove si trovano ancheil laboratorio di degustazione, la sto-ria dei trasporti e quella della con-servazione, affidata alla maestria deicostruttori di barili. Ma è alla comunicazione e alla pub-blicità che la Guinness deve moltodel suo successo. Per questo il secon-do piano dell’edificio è forse il più inte-ressante. Cartelloni pubblicitari, spotcinematografici e televisivi, gadget,testimonial, oggetti: c’è tutto. Il successo del marchio lo si deve

� L'azienda nel 1955

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all’intuizione di legare l’identità dellabirra proprio al territorio. È la primavolta che avviene. Per questo sul mar-chio ci sono tre elementi distintivi eidentitari: la firma del fondatore,l’Arpa, che è il simbolo dell’Irlanda(non a caso poi il governo ha decisodi inciderla anche sulle monete) e ilmarchio Guinness, nato, come tuttii marchi, per salvaguardare i consu-matori dalle imitazioni, dai “tagli” edagli “allungamenti” che i gestori dipub potevano fare per abbassare ilcosto del prodotto. Per la prima voltaa metà Ottocento viene proposto divendere la birra sfusa, cioè spillatanei pub, nelle pinte marchiateGuinness. È un successo. Ma è anchela certezza per il consumatore di bere

proprio il prodotto desiderato. Nasceun marchio famoso e forte, ma anchela garanzia migliore per il consuma-tore. Il resto è storia. Anzi, è mito. Edè legato all’intuizione geniale di JohnGilroy (1898-1985), uno degli arti-sti più versatili, dotati e originali diquesto secolo. Dal 1930 al 1960 è luia curare le campagne pubblicitariedella Guinness, “le prime e le miglio-ri”, come è tipico per gli irlandesi. Sitratta di vere e proprie pietre miliariper il mondo della pubblicità e dellacomunicazione. Gilroy usa per laprima volta come testimonial gli ani-mali dello zoo. Il leone marino è il primo protagoni-sta della saga. A lui succedono i tuca-ni, i pellicani, le testuggini, l’orso, il

coccodrillo, il canguro, gli struzzi,la giraffa e i pinguini. Un successodietro l’altro che colpiva l’immagina-zione e faceva sognare, divertire edemozionare uomini, donne, giovani,lavoratori. Geniale e semplice, imme-diata, la pubblicità ha reso grandeun prodotto unico, come la Guinness.Al piano superiore si può ripercorre-re la storia dell’edificio, e al quintopiano, l’ultimo prima di arrivare alGravity Bar, si può infine mettere allaprova la propria abilità nello spillarela birra. Un gioco, ma anche un’av-ventura.

��� IL LIBRO DEI GUINNESSE, nel segno dell’avventura, nasceanche a metà degli anni Cinquantaun altro mito legato al mondoGuinness, che è di per sé un marchio,una storia, un nome “da Guinness”,appunto. È il “Libro del Guinness deiprimati”, che viene pubblicato per laprima volta nel 1955, ed è il librocoperto da copyright più venduto ditutti i tempi. L’idea venne a Sir HughBeaver, amministratore delegato dellaGuinness negli anni Cinquanta. Il 10novembre 1951, Sir Hugh stava par-tecipando a una battuta di caccianella Contea di Wexford quando unpiviere dorato gli volò sopra la testa.Puntò e mancò la mira. La sera si ini-ziò una discussione tra i partecipan-ti su quale fosse la specie di selvag-gina alata a volare più velocemente.Questa conversazione diede a SirHugh l’idea di compilare un libro di“eventi” che fungesse da riferimentoufficiale in grado di dirimere qualsia-si discussione notturna in atto negli81.400 pub britannici e irlandesi. SirHugh parlò di questa sua idea aNorris e Ross McWhirter che gestiva-no un’agenzia di ricerche a Londra.Si decise quindi la pubblicazione delprimo “Libro del Guinness deiPrimati” nell’agosto 1955, dove peròmanca la menzione alla specie di sel-vaggina alata più veloce nel volo. Solonella seconda edizione, l’anno suc-cessivo, viene inserita questa infor-mazione, che come molte altre intui-zioni legate al mondo Guinness, hadato origine a un mito. Che piaccia omeno come gusto, la storia della birranera, del suo fondatore, del marchio,è uno degli esempi più brillanti e unicidi come un prodotto della terra, labirra, possa diventare molto di più.Un marchio, un mito, un Guinness.La Guinness.

Info: www.guinness-storehouse.com

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Buon compleanno,

Gualtiero

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Gra

nd

i ch

ef

Metti una sera con il cuoco che ha fatto la storia della cucina ita-liana nella seconda metà del Novecento e scoprire che si tratta diuna cena pensata e realizzata seguendo idee e creatività di

Gualtiero Marchesi. Voluta per festeggiare l’ottantesimo compleanno diun maestro che ha insegnato l’arte e la scienza della cucina a generazio-ni di cuochi, ma che si è presto trasformata da momento di convivialitàin manifesto della filosofia gastronomica di Marchesi.L’evento si è svolto a Colorno, in provincia di Parma, lo scorso 14 maggioed è stato il momento finale di Alma Viva 2010. Questa manifestazioneorganizzata da Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana, è stataistituita per celebrare la gastronomia e la cucina del nostro Paese attra-verso convegni, dimostrazioni ed eventi culturali e gastronomici, che hannocoinvolto cuochi, docenti, allievi, giornalisti, istituzioni e imprese. La mis-sione di Alma, infatti, è quella di formare nuovi cuochi, pasticcieri esommelier, trasformando la loro passione in una professione. Determinanteper questo il coinvolgimento di grandi maestri della cucina italiana, comeGualtiero Marchesi, rettore di Alma.L’edizione 2010 di Alma Viva è stata dedicata alla figura del maestroMarchesi che quest’anno compie ottant’anni. Per festeggiarne il comple-anno sono stati organizzati diversi eventi, culminati nella giornata del14 maggio con una Lectio Magistralis del maestro dedicata a “La costru-zione del menu”, un seminario su “La formazione nel mondo del vino”,organizzato con la collaborazione di Ais, e una cena di gala con degusta-zione “7 grandi vini per 7 grandi piatti del Maestro”. Tutto questo per cele-brare l’arte, le idee e la filosofia gastronomica di Gualtiero Marchesi.Il momento culminante della giornata è stata la cena di gala, per cui Almaha voluto proporre sette piatti che hanno reso famoso Marchesi, sette piat-ti di grande interesse e caratterizzati da una propria personalità. Per que-sti sono stati scelti e abbinati sette grandi vini per esaltarli, ma nonsono stati serviti assieme alla portata, bensì dopo che le posate sono stateappoggiate sul tavolo. Questo perché la serata è stata realizzata seguen-do la filosofia professionale di Marchesi, applicando alla lettera le sue idee.Secondo il maestro un grande piatto va assaggiato e degustato da solo,così anche una grande vino deve essere degustato da solo, senza la pre-senza di cibo. Sul tavolo, quindi, si sono alternati i diversi momenti lega-ti alle due degustazioni. Prima il piatto e solo dopo che è stato portatovia arrivava il vino, a sua volta portato via prima del piatto successivo.Sempre presente sul tavolo solo l’acqua. Un’alternanza che ha permessodi trasformare la serata in un momento di studio e approfondimento,più che una semplice cena di gala è diventata una degustazione a tuttotondo: grandi piatti e grandi vini. Un momento di convivialità che ben sisposa con la “mission” di Alma di promuovere la gastronomia italiana nel

AIS E ALMA, LA SCUOLA

INTERNAZIONALE

DI CUCINA ITALIANA,HANNO ORGANIZZATO

UNA SERIE DI EVENTI,CONVEGNI

E DIMOSTRAZIONI

PER CELEBRARE

GLI OTTANT’ANNI

DI MARCHESI

di Maurizio Ferrari

86_87 Ferrari Alma Gualtiero Marchesi.qxd:Layout 1 6-07-2010 9:24 Pagina 86

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RITORNA IL MASTERSOMMELIER ALMA-AISConoscere per far conoscere. Il prossimo 4 ottobre prenderà il via, nella sede di Alma aColorno, la seconda edizione del Master Sommelier Alma-Ais, IV livello Ais, destinato a sommeli-er, ristoratori, esperti od operatori in possesso del diploma di terzo livello Ais o di una formazioneequivalente. L’obiettivo del master, come sottolineato dal direttore Luigi Bortolotti, è quello difornire ai partecipanti i migliori strumenti per comunicare il vino e il suo mondo. Spazio dunque aun approfondimento molto spinto sulla degustazione, ma con un orientamento specifico al mar-keting e alla comunicazione. Gli studenti apprenderanno come avvicinarsi al cliente in sala perspiegare le qualità dei vini e i giusti abbinamenti, come gestire in modo corretto una cantina,come maneggiare in modo proficuo i moderni strumenti della comunicazione e del marketing.Impareranno quindi a gestire tutto il processo che va dall’analisi del vino alla gestione e pro-mozione di quest’ultimo in diversi ambiti. Nelle 500 ore di formazione una quota rilevante saràdedicata a visite didattiche alla scoperta di territori d’eccellenza, con degustazioni presso can-tine selezionate di vini caratteristici. Prima dell’esame finale un altro importante momento for-mativo sarà rappresentato da uno stage. I partecipanti al Master andranno in Italia o all’esteroin strutture legate al mondo della sommellerie o della comunicazione dove potranno sin dasubito applicare ciò che hanno appreso durante le lezioni con i docenti. Docenti che nonlasceranno mai “soli” i partecipanti, ma li seguiranno anche a distanza grazie all’uso di Internet.Attraverso un apposito sito sarà possibile agli studenti accedere a materiale e attività didatticheon line, rimanendo così in costante contatto con il personale docente. Dopo l’esame finale ipromossi riceveranno il diploma Ais di IV livello.

Per maggiori informazioni sulla seconda edizione è possibile contattare la segretaria del masterGiulia Baccarelli allo 0521.525221.

mondo sostenendo l’impiego di materie prime, ingredienti e vini che necaratterizzano l’eccellenza qualitativa.Il menu della serata prevedeva uovo al caviale; insalata di capesante allozenzero; riso oro e zafferano; sfalde di merluzzo, asparagi e tartufo nero;filetto di vitello alla Rossini (secondo Gualtiero Marchesi); gelato al par-migiano reggiano e prosciutto di Parma croccante; zuppa di piccione alleverze, tre gusti per un dolce. A questi piatti sono stati abbinati i seguen-ti vini: Franciacorta Gran Cuvée Brut 2005 Az. Vinicola Bellavista, Conteadi Scalfani Bianco Nozze d’Oro 2008 Azienda Agricola Tasca d’Almerita,Alto Adige Pinot bianco 2007 di Giorgio Grai vini, Verdicchio dei Castellidi Jesi Classico Villa Bucci riserva 2006 Azienda Agricola Bucci, LangheChardonnay Gaia&Rey 2004 Cantina Gaja, Colli Piacentini Malvasia DonnaLuigia 2009 Azienda Agricola Torre Fornello, Dindarello 2009 AziendaAgricola Maculan.Gli altri due eventi organizzati in occasione di Alma Viva 2010 si sono svol-ti gli scorsi 17 aprile e 8/9/10 maggio. Un giro al Castello sforzesco diMilano per una visita guidata alla mostra “Storiae d’Italia – GualtieroMarchesi e la Grande Cucina Italiana” ha aperto l’appuntamento del 17aprile. La giornata è poi proseguita con due tavole rotonde dedicate a for-mazione, professionalità e prospettive occupazionali nel settore dell’eno-gastronomia. Il secondo appuntamento ha visto coinvolte alcune delle piùprestigiose scuole internazionali di cucina che si sono confrontate in semi-nari e workshop tra Milano e la sede di Alma a Colorno dedicati al futu-ro della gastronomia. Durante la tappa milanese i partecipanti hannopotuto effettuare una visita guidata della mostra dedicata a Marchesi alCastello Sforzesco, che è proseguita sino al 20 giugno. Una occasioneper conoscere la storia dell’uomo Marchesi e del cuoco che sono stateintrecciate in un “racconto” che si è snodato intorno al numero sette,amato dal maestro. La mostra ha ripercorso la vita e le opere di Marchesi,calandole all’interno di cornici musicali e artistiche che hanno guidato ivisitatori alla scoperta dei principi del fare cucina del maestro: semplici-tà, essenzialità, verità, materia ed eleganza.

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Arriva la vigna eco-sostenibile

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Ecolo

gia

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ua

lità

uid philosophia magiscolendum...?’ Cosa dob-biamo coltivare più dellafilosofia, si domandava

Cicerone nel De finibus honorum etmalorum nei secoli ‘avanti Cristo’ nonpensando certo di ricevere rispostadal futuro dopo Cristo! La risposta,in chiave per così dire moderna, èarrivata nel 2010 dal mondo scien-tifico, dai produttori e dagli enologi:una produzione vitivinicola eco-soste-nibile i cui fattori di sostenibilitàambientale, sociale ed economicaabbiano come denominatore comu-ne la qualità.Proposto come progetto di sperimen-tazione sulla sostenibilità dei proces-si produttivi in vigna, Magis, è pro-prio questo il nome scelto dai promo-tori, vede coinvolte per ora centoaziende vitivinicole italiane dislocatein tutte le regioni della penisola e chehanno messo a disposizione i piùimportanti vitigni autoctoni e inter-nazionali. Più volte, in verità, le riso-

luzioni dell’Oiv, l’Organizzazione inter-nazionale della vigna e del vino, sisono occupate di tracciare le lineeguida per quelle aziende orientate aduna produzione ecocompatibile; que-sta volta però i plus che segnano ladifferenza, sono la sinergia e la fusio-ne delle competenze volte a delinea-re un protocollo operativo che per-metta alle aziende coinvolte di attua-re una viticoltura realmente sosteni-bile in tutti i sui aspetti. Scoprire unoad uno gli strumenti che compongo-no l’orchestra del progetto in cuiognuno è perfettamente abile nel suo-nare il proprio spartito, permetteràdi cogliere appieno le potenzialità delpercorso apertosi con Magis, che gra-zie al ‘protocollo di sostenibilità’ met-terà a disposizione delle aziende ade-renti le migliori competenze del com-parto. L’Università di Milano, per ini-ziare, il cui compito è quello di toc-care le corde della parte agronomicalavorando in particolare nell’area d’in-tervento riguardante il miglioramen-

SI SCRIVE MAGIS

MA SI LEGGE

SPERIMENTAZIONE SULLA

SOSTENIBILITÀ DEI

PROCESSI PRODUTTIVI IN

VIGNA. IL PROGETTO

COINVOLGE UN

CENTINAIO DI CANTINE,ASSOENOLOGI, DUE

UNIVERSITÀ

E L’ISPA-CNR DI BARI

di Michela Lugli

‘Q

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to della gestione della chioma, si pre-figge di raggiungere il migliore equi-librio vegeto-produttivo possibileoccupandosi, inoltre, della difesa delvigneto dalle principali avversità bio-tiche in linea con i principi dell’agri-coltura integrata.All’Università di Torino tocca la parterelativa alla meccanizzazione; l’ate-neo piemontese, infatti, dovrà redi-gere specifici protocolli per la regola-zione ottimale delle diverse attrez-zature impiegate in azienda per ladistribuzione degli agrofarmaci impe-gnandosi, inoltre, ad offrire un ade-guato livello di formazione agli ope-ratori. Le analisi qualitative su uve evini saranno affidate all’Unione ita-liana vini che al termine del proget-to si occuperà anche della stesura del‘protocollo di sostenibilità’; affidateall’Ispa-Cnr (Istituto di Scienze delleproduzioni alimentari) di Bari le ana-lisi di valutazione dei livelli di con-taminazione di ocratossina (unamicotossina ad attività principalmen-te nefrotossica) su uve, mosti e vinie l’individuazione di misure per la suaprevenzione in campo. Assoenologi, l’associazione enologi edenotecnici italiani, effettuerà la valu-tazione sensoriale dei vini occupan-dosi, inoltre, di seguire la parte dellepratiche enologiche. Bayer CropScience avrà il compito di garantirealle aziende una linea di difesa invigna dotata dei requisiti di sosteni-bilità economica, sociale e ambien-tale unitamente all’irrinunciabilerequisito di efficienza. Image Line, infine, avrà il compito digestire e rendere disponibile in retealle aziende coinvolte dal progetto,una piattaforma gestionale sullaquale sarà possibile trovare e gesti-

re, tramite accesso privato, i datiaziendali dal vigneto alla cantina maanche trovare e condividere cono-scenze e informazioni. La cantineimpegnate in Magis, tra cui SantaMargherita, Marchesi di Barolo,Gruppo italiano vini che hanno ade-rito già in fase sperimentale, a fron-te di tanto bagaglio scientifico e pro-fessionale si impegnano a mettere adisposizione una parte di vigneto suf-ficientemente consistente da consen-tire di ottenere una produzione‘Magis’ parallela ma separata da quel-la aziendale, condividendo inoltre,l’abilità dei propri tecnici ed il pac-chetto di esperienza che ciascunadi esse ha accumulato nel tempo intermini di viticoltura di precisione,gestione della chioma, analisi quali-tative e sensoriali e tutto quantopossa essere utile.“Tra le cento aziende aderenti cisiamo noi” si legge sul sito azienda-le della Cantina di Castelnuovo delGarda che oggi associa oltre 250 pro-duttori della zona che si estende asud-est del Lago di Garda e che com-prende i siti di produzione dei viniBardolino, Bianco di Custoza, Luganae Bardolino Superiore. “Anche la nostra azienda” prosegue“partecipa a una iniziativa che per laprima volta riunisce gli sforzi di pro-duttori di vino, enologi, comunitàscientifica, associazioni e industriacon l’obiettivo di migliorare e garan-tire la sicurezza e la sostenibilità delleproduzioni italiane. Questo proget-to rappresenta per noi un’opportuni-tà unica che ci consente di antici-pare e di prepararci all’evoluzionenormativa in atto a livello comunita-rio; rispondere alle esigenze dei con-sumatori in tema di sicurezza alimen-

tare e rispetto ambientale; fornire datioggettivi per la comunicazione dimo-strando concretamente la sosteni-bilità ambientale, sociale ed econo-mica delle produzioni così da pre-parare l’azienda ad una certificazio-ne del processo produttivo dalla vignaalla bottiglia”. L’enologo Lorenzo Landi afferma inve-ce che oggi “è veramente possibileottenere vini di grande qualità limi-tando al massimo gli effetti sull’am-biente”. Un aiuto può arrivare, secon-do Landi, dalla ricerca scientifica edall’utilizzo di prodotti a basso impat-to ambientale come ad esempio ilrame e lo zolfo utilizzati in agricoltu-ra biologica ma prodotti di sintesi coneffetto e durata limitati nel tempo.“Un altro aspetto importante è – affer-ma Landi – la capacità di modularel’impiego di questi prodotti laddoveci sia veramente bisogno; oggi dispo-niamo di tecnologie, da quella satel-litare a quelle più semplici, che ci con-sentono di individuare se nel vigne-to vi sia effettivamente bisogno diintervenire con specifici prodottioppure no. Tutto questo – concludel’esperto – permette anche di ridur-re i costi”.Si tratta quindi di un progetto per-meato da grandi aspettative e ambi-zioni che per una volta si pone alti eimportanti obiettivi rivolti, senza dub-bio, al miglioramento della competi-tività aziendale sul mercato ma cheper fare ciò, passa attraverso la presadi coscienza della necessità di pro-durre secondo principi etici e dirispetto ambientale richiesti a granvoce dal mondo dei consumatori delvino e la cui eco, ci auguriamo, siestenda e contagi l’intero settore delleproduzioni alimentari e non.

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90

Pillole

VITO SANTE CECERE - PUGLIAVia Santa Maria della Croce, 32 70015 Noci (BA)Tel. 080/[email protected]

GENNARO CONVERTINI - CALABRIAC/o segreteria Ais CalabriaVia Livenza 20/2287100 Cosenza (CS)Cell. 393/[email protected] [email protected]

GAUDENZIO D’ANGELO - ABRUZZOC/o Rist. Casa D’AngeloVia San Nicola 566010 Fara F. Petri (CH) Tel. 0871/70296 - Fax 0871/70282 [email protected]

VITO GIUSEPPE D’ANGELO - BASILICATAC/o Enoteca Il CantinoneVia Forcella 2285028 Rionero in Vulture (PZ)Cell. 338/[email protected] [email protected]

GIOVANNA DI PIETRO - MOLISEC/o Grand Hotel EuropaViale dei Pentri 7686170 Isernia (IS)Tel. 0865/2126 - Fax 0865/413243Cell. 337/[email protected] [email protected]

FABIO GALLO - PIEMONTEC/o Gastronomia GalloC.so Sebastopoli 16110137 Torino (TO) Tel. 011/393488 - Fax 011/[email protected] [email protected]

NICOLETTA GARGIULO - CAMPANIARot. Capo D’Arco Nerano 17/C80061 Massalubrense (NA)Cell. 338/[email protected]

CHRISTINE MAYR - ALTO ADIGEVia Beato Arrigo 18/A/239100 Bolzano (BZ)Cell. 331/[email protected]

ALEX MOLINARI - LIGURIAC/o Lord Nelson PubCorso Valparaiso 2716043 Chiavari (GE)Tel. 0185/302595 - Cell. 335/[email protected]

GIAN CARLO MONDINI - ROMAGNAVia Martiri della Libertà 4548024 Massa Lombarda (RA)Tel./Fax 0545/[email protected]

GIUSEPPINA PILLONI - SARDEGNAC/o Rist. Dal CorsaroViale Reg. Margherita 209125 Cagliari (CA)Tel. 070/664318 -Fax 070/[email protected]

FRANCO RICCI - LAZIOC/o Hotel Rome Cavalieri Via Alberto Cadlolo 10100136 Roma (RM)Tel. 06/8550941 - Fax 06/[email protected]

RENZO ZORZI – FRIULI VENEZIA GIULIAC/o Enoteca La SerenissimaVia Cesare Battisti 3034072 GRADISCA D'ISONZO (GO)Tel. 0481/99598 - Fax 0481/[email protected]

Elezioni dei presidenti regionali

In alcune regioni si sono tenute le elezioni dei presidenti. Le novità arrivano in Campania conNicoletta Gargiulo, in Liguria con Alex Molinari e in Friuli Venezia Giulia con Renzo Zorzi. Sono riconfer-mati alla presidenza delle rispettive regioni: Vito Sante Cecere (Puglia), Gennaro Convertini(Calabria), Gaudenzio D’Angelo (Abruzzo), Vito Giuseppe D’Angelo (Basilicata), Giovanna Di Pietro(Molise), Fabio Gallo (Piemonte), Christine Mayr (Alto Adige), Gian Carlo Mondini (Romagna),Giuseppina Pilloni (Sardegna) e Franco Ricci (Lazio).

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Convocazione

ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA

L’Assemblea Generale Ordinaria è convocata in conformità all’Art. 6 dello Statuto Sociale, in prima con-vocazione alle ore 6.00 del giorno 26 ottobre 2010 e in seconda convocazione alle ore 9.00 del giorno 27ottobre 2010 presso la sede dell’Associazione Italiana Sommeliers – Viale Monza 9, Milano

per la trattazione del seguente

ORDINE DEL GIORNO

Relazione del PresidenteInterventi degli Associati

Apertura dei seggi elettorali presso le sedi delle Associazioni Regionali o luogo da loro indicato

Giunta Esecutiva NazionaleIl Presidente

Terenzio Medri

Le elezioni per il rinnovo delle cariche sociali si svolgeranno presso i seggi elettorali aperti dalle ore 12 alle ore20 presso il luogo indicato dalle singole associazioni regionali.

STRALCIO DAL TESTO DELLO STATUTO SOCIALEArt. 6 - OrganiGli organi dell’Associazione sono i seguenti:A) Assemblea.L’assemblea è formata dagli associati appartenenti alle categorie di cui all’art. 5.Hanno diritto di voto i sommelier (art. 5/A) in regola con il pagamentodella quota sociale nei termini previsti dal regolamento.Viene convocata, almeno una volta all’anno dalla giunta esecutiva nazionale, per pubblici proclami, median-te pubblicazione dell'avviso sulla rivista organo ufficiale dell'associazione, da effettuarsi almeno 45 giorni primadella data dell'assemblea.L’assemblea nomina il Presidente e il segretario.Spetta all’assemblea:- eleggere, ogni quattro anni, il consiglio nazionale;- fornire le indicazioni per l’attuazione degli scopi sociali;- approvare la relazione del Presidente dell’A.I.S.;- modificare lo statuto, se convocata per tale scopo;- stabilire i rimborsi forfettari per gli organi statutari.L’assemblea sarà valida, in prima convocazione, con la presenza di almeno la metà dei soci mentre, in secon-da convocazione, sarà valida qualunque sia il numero degli associati presenti aventi diritto al voto. Le deci-sioni vengono prese a maggioranza semplice, tranne quelle relative alle modifiche statutarie, per le quali èrichiesta una maggioranza qualificata (art. 9).

Le votazioni per il rinnovo delle cariche sociali vengono effettuate come da regolamento elettorale appro-vato dal Consiglio Nazionale.

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APERTE LE ISCRIZIONI AL PREMIO INTERNAZIONALE“INNOVAZIONE NELLA PROFESSIONE” IN PROGRAMMA ALL’HOTEL RITZ DI LONDRA

Il Premio Villa Sandi “Innovazione nella professione”giunge alla 10.ma edizione e conferma il propriocarattere sempre più interna-zionale. Quest’anno infatti itre vincitori saranno invitati aricevere l’ambito riconosci-mento all’Hotel Ritz di Londrail prossimo 20 settembre. I pre-miati delle passate edizionihanno confermato il valore diquesto titolo, un elementoimportante che ha dato loroprestigio e popolarità.Le candidature e gli elaboratidovranno pervenire alla SedeAis entro il 31 luglio 2010.I candidati dovranno averemeno di 29 anni e presentare

i documenti previsti dal regolamento del premiosecondo le indicazioni presenti sul sito internetwww.sommelier.it. La selezione sarà effettuata da unagiuria qualificata composta da giornalisti enogastrono-mici di fama internazionale, dal presidente Ais TerenzioMedri e dal presidente di Villa Sandi Giancarlo Moretti

Polegato. Anche quest’anno il concor-so è volto a valorizzare queigiovani che stanno maturan-do la propria esperienza nelmondo della sommellerieinternazionale e che si sonogià distinti per professionalitàe spirito di iniziativa.I tre vincitori riceveranno ilpremio di 1.550 euro ciascu-no, un attestato e una targadi Villa Sandi, consegnati il20 settembre durante lacena di gala nella capitaleinglese.

Il Premio Villa Sandi vola a Londra

� Riccardo Sgarra, Daniel Marzotto e Diego Meraviglia, vincitori lo scorso anno

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I produttori del Carmignano, con il nuovo e vulcanicopresidente del Consorzio, Igor Fiorini, hanno fatto lecose in grande per l’undicesima edizione di “Di ViniProfumi”, vetrina dove è stata presentata l’annata2008 di questa Docg. Oltre duemila le presenze registrate nel corso della duegiorni che si è svolta nel primo week-end di giugno alGiardino Buonamici di Prato, trasformato in un salottodove sono stati realizzati percorsi adeguati per ladegustazione e soprattutto è stata installata un'illumi-nazione suggestiva che al calar del sole ha reso que-sto spazio nel cuore del centro storico di Prato davveromagico. La presentazione dell’evento si è invece svolta allaCantina del Redi di Artimino, dove sono state protago-niste le annate 2007 e 2008 di questa piccola (in termi-ni quantitativi) grande (in ter-mini qualitativi) zona viniviti-cola della provincia di Prato.Il “cantore” storico delCarmignano RealmoCavalieri sottolinea che ci tro-viamo nell’“ombelico delmondo del vino”, affermazio-ne questa assolutamentevera. Il perché è presto detto:la prima citazione scritta delCarmignano risale al 1392quando il notaio ser LapoMazzei invia una missiva almercante di Prato MarcoDatini, in cui comunica diaver acquistato per suoconto 15 some di vino diCarmignano pagato 5 voltein più rispetto ad altri vini,segno questo della sua giàrinomata qualità. Sarà poi il Granduca CosimoIII de’ Medici a stabilire in unbando del 1716, le qualità del vino che si producevaall’interno della sua tenuta di caccia (il Barco Reale, laDoc nata successivamente), creando così, la primavera e propria Doc della storia vinicola italiana. Altra data fondamentale nella storia di questo vino, è il1600, quando Caterina de’ Medici importa dallaFrancia il Cabernet (e chiamata per questo ancoraoggi “uva francesca” dai produttori locali), vitigno cheentra nel disciplinare di produzione e da considerarsiper questa ragione storica ormai quasi “autoctono” diquesto territorio.Le annate presentate in questa edizione, sono statedescritte dal dottor Rigoli, il quale ha specificato leparticolarità di questo terroir e delle vendemmie in

questione, puntando l’attenzione sull’ottima matura-zione delle uve per quanto riguarda il 2008, che havisto un giugno piovoso, un luglio e agosto particolar-mente caldo e secco e un settembre fresco, tutte con-dizioni quindi ideali per una vendemmia pressochéperfetta, con ottimi profumi e buona acidità, donan-doci vini molto equilibrati e con un ottimo potenzialed’invecchiamento. Il 2007 va invece ricordato come uno degli anni piùprecoci, senza dimenticare il fatto che qui ilSangiovese possiede un germogliamento particolar-mente precoce e un ciclo vegetativo lungo (più chenel Chianti Classico o a Montalcino), condizioni questeottime per l’uva. Questa annata può essere paragonata in termini cli-matici a quella del 2003, anche se a differenza di essa,

i risultati ottenuti sono stati sinceramente migliori, conbuoni equilibri e potenzialità. Tutte queste caratteristi-che si sono riscontrate nel bicchiere al momento delladegustazione delle riserve 2007 e dell’annata 2008,degustazione di grande livello qualitativo. Le riserve 2007, si possono definire generalmente anco-ra in piena evoluzione, con vini caldi ma eleganti, aconferma del fatto di come il Carmignano, raggiungalivelli qualitativi sempre migliori e in costante crescita, eche merita per questo, una grande attenzione daparte di tutto il mondo del vino e soprattutto dei con-sumatori, grazie anche al suo ottimo rapporto qualità-prezzo.

(Pamela Bicchi)

Il Carmignano grande protagonista nel “salotto” di Prato

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Napoli celebra i vini dei vulcaniMaggio mese “di-vino” a Napoli e in Campania. Numerosi gli eventi promossie patrocinati dalla Regione a cui ha partecipato l’Associazione italiana som-meliers della Campania.Tra questi la manifestazione “I Vini dei Vulcani” si è svolta a Palazzo Reale diNapoli, presso la sede della Biblioteca Nazionale nella Sala dei libri “Rari”,affacciata sulla terrazza prospiciente il porto e il Golfo. Una giornata intensa discambi culturali sul patrimonio vitivinicolo della regione, per accendere i riflet-tori sui vini delle aree a carattere vulcanico dalla peculiarità del terreno arric-chito dalla secolare mineralità di lave e lapilli e dalla singolare varietà di uve:non solo il Vesuvio, noto al mondo enologico per il Lacryma Christi, ma ancheIschia, Capri e Campi Flegrei, volano per il turismo e la storia archeologica.Nell’ambito della manifestazione si è svolto il convegno “Vino e Memoria” organizzato dal Consorzio di

tutela vini dei Campi Flegrei presieduto da Michele Farro, a cuihanno dato il proprio contributo esperti di settore quali FabioTerribile, ordinario di Pedologia presso l'Università Federico II diNapoli, e Antonella Monaco, tecnico della Facoltà di Agrariadi Portici, con cartografie sui vitigni e sulle aree vinicole dellaprovincia. Si è parlato dell’importanza di una sinergia a livelloistituzionale tra le associazioni dei produttori con Rosario Lopadel ministero dell’Agricoltura intervenuto in rappresentanza delpresidente della Regione Campania Stefano Caldoro, LucioTisi segretario generale della Camera di Commercio di Napoli,Nello Palumbo, assessore alle Attività Produttive della Provinciadi Napoli e Andrea d'Ambra, presidente del Campania WineGroup; ma soprattutto il vino regala emozione alla cultura e

alla storia come sottolinea Mauro Giancaspro, direttore della Biblioteca nazionale, indicando uno deiprimi trattati di agricoltura nel manoscritto del Rusticano di Pietro De Crescenzi.Nel pomeriggio, un ampio banco di assaggio con il percorso sensoriale dei vini delle Strade del Vino deiCampi Flegrei, del Consorzio di Tutela Vini del Vesuvio e delle isole di Ischia e di Capri, curato dalla pro-fessionalità dei sommelier campani. Con il vulcano che, sornione, sorvegliava il tutto dall’alto.

(Michela Guadagno)

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Lib

ri

All’indomani della crisi provocata dallo scandalodel metanolo nel 1986, nasce l’AssociazioneNazionale Città del Vino, cui dobbiamo il lavorodi analisi e proposta noto come “Piano Regolatoredelle Città del Vino”, che ha visto la luce nel 1996e che trova nelle nuove indicazioni metodologicheraccolte nella presente pubblicazione la sua rin-novata forza. L’Associazione Nazionale Città delVino si inserisce in un contesto di grande atten-zione per la tutela del territorio e la sua valoriz-zazione. L’Associazione raggruppa un insieme dienti locali convinti che il vino e le campagne cheospitano la sua produzione costituiscano un cir-cuito virtuoso di cui molti Comuni hanno avutobisogno per tornare a vivere e per diventare unacomunità migliore radicata su un migliore terri-torio. L’assunto del volume ruota intorno al ter-ritorio e alla necessità di gestirlo con attenzionein quanto esauribile e fondamentale per la stes-sa sopravvivenza umana. Il paesaggio non va con-siderato solo nella sua apparente immobilità, mane vanno assecondate le dinamiche di cambia-mento che l’uomo, inevitabilmente, apporta.Cambiamenti che devono però rispondere a unalogica ben precisa: quella della salvaguardia del-l’identità territoriale come elemento di competiti-vità. Per questo, il paesaggio rurale non può piùessere “affidato” alledinamiche economichespontanee, ma può edeve essere oggetto diuna pianificazione urba-nistica, allo stesso mododelle aree d’insediamen-to urbano. Da qui origi-na la raccolta di espe-rienze e di regole chehanno portato a un veroe proprio “piano regola-tore rurale”, inserito nel volume.Obiettivo dell’opera è quello di far crescere una“cultura” del paesaggio, indirizzando Comuni eamministrazioni pubbliche verso una program-mazione consapevole di moderna conservazionedel paesaggio. A supporto, una ricca raccolta disuggerimenti, anche metodologici e riferimentioperativi per le buone pratiche a tutela del pae-saggio, e su insediamenti residenziali e produt-tivi.

Il paesaggio come risorsa.

VINO E PAESAGGIO MATERIALI PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO

A cura di: Pier Carlo Tesi, LorenzoVallerini, Luigi Zangheri

Editore: CI.VINPrezzo: 15,00 euro

SULLO SCAFFALE di Natalia Franchi

Questo libro è un vaccino contro i pericoli della cattivainformazione. Con queste parole l’autore Dario Bressaniniapre la sua acuta analisi dei numerosi luoghi comuni dicui è vittima il consumatore nei confronti del cibo. Unasorta di colossale fraintendimento che origina da una malin-tesa cultura del “naturale a tutti i costi” oltre che da unaserie di interessi economici intorno aiquali, purtroppo, ruota buona partedel nostro vivere quotidiano.Bressanini non cerca colpevoli, madenuncia una grave approssimazionenel sistema informativo, dove la stam-pa spesso si limita a passare nozionierronee, senza reale fondamentoscientifico. Lo stesso approccio scien-tifico che troviamo nelle pagine delvolume e che deriva dalla formazionedell’autore – chimico e ricercatore uni-versitario all’Università degli Studidell’Insubria a Como e collaboratoredella rivista “Le Scienze” – mediato ereso gradevolissimo da un piglio da cronista che rende iltesto un inaspettato viaggio nel mondo della tavola.Siamo attorniati da tantissimo cibo, mai come adesso, manon sappiamo quale sia l’esatta provenienza e la qualitàcon la quale viene prodotto. Lo spauracchio degli Ogm (orga-nismi geneticamente modificati) domina l’immaginario col-lettivo, mentre tutti sembrano ignorare il fatto che da alme-no trent’anni nelle nostre tavole trovano spazio cibi sele-zionati attraverso l’uso di radiazioni (nucleari!): pompelmi,orzo, riso, melanzane e piselli, solo per citarne alcuni.Non ha dunque senso essere pro o contro gli Ogm e i raggigamma, ciò che importa è essere a favore della ricerca scien-tifica, l’unica in grado di proporre risultati controllati e con-trollabili dall’opinione pubblica, rifuggendo la filosofia della“natura benigna” fondata sull’idea che si possa distin-guere chiaramente tra ciò che naturale (buono) da ciòche è artificiale (cattivo). La realtà – ai più sconosciuta – èche tra una molecola prodotta in laboratorio e una prodot-ta dalla natura non vi è alcuna differenza. Le due mole-cole sono assolutamente identiche: le proprietà caratteri-stiche, infatti, non dipendono da come queste vengono pro-dotte, ma semplicemente dalla struttura geometrica e dailegami tra gli atomi che costituiscono la molecola stessa,oltre che dagli atomi che la costituiscono. Le trecento pagine del volume si sarebbero potute raddop-piare, a detta dello stesso autore, “parlando delle patate alselenio, dell’aspartame o dei probiotici dello yogurt. Ma nonè necessario. Ora avete qualche mezzo in più per giudicarel’informazione che vi bombarda ogni giorno, dai giornali, agliscaffali dei supermercati”.

Gli atomi non hanno memoria.

PANE E BUGIE LA VERITÀ SU CIÒ CHE MANGIAMO. I PREGIUDIZI, GLI INTERESSI, I MITI, LE PAURE

Autore: Dario BressaniniEditore: ChiareletterePrezzo: 13,60 euro

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Originale firma de La Stampa, Andrea Scanzi addossa la colpa diquesto volume ai lettori che hanno apprezzato il suo bestseller Elogiodell’invecchiamento (2007), di cui il vino degli altri è ideale seguito.O meglio, prosecuzione di un viaggio – come scrive lo stesso autore– “perché i viaggi non finiscono mai”. Un viaggio che conduce ideal-

mente il lettore dalla Franciacorta alle faldedell’Etna, dalla Toscana a Bordeaux, dalla Mosellaall’Abruzzo, dalla Rioja spagnola all’Argentina, inuna spettacolare varietà di paesaggi, profumi,colori, gusti, culture, tradizioni, alla scoperta divini che hanno storie importanti da raccontare edi viticoltori coraggiosi. Lo scopo non è quello distabilire graduatorie («il “vino migliore” non esi-ste» ammonisce l’autore), ma di conoscere meglioi vini degli altri attraverso il confronto con i nostri. Il volume si apre con una dedica a uno tra i piùamati attori e registi americani: “A Clint Eastwood,con e senza cappello. Ai suoi sigari, ai canyon sulvolto. Allo sguardo che fa in Gran Torino, quando

muore per noi, ultimo filare di un tempo che abbiamo voluto smarri-re”. Una dedica che incarna l’essenza del libro, che del viaggio rac-chiude tutto il senso di scoperta del nuovo e di nostalgia per il vec-chio. Un’ironia e un umorismo senza pari permeano le pagine dell’in-tero scritto e permettono a Scanzi di approcciare un tema che, persua natura, sarebbe destinato a una ristretta cerchia di “enoesper-ti”, e che invece diviene libro per tutti. Il lettore si sorprenderà nelritrovare tra le righe situazioni esilaranti in cui riconoscersi, perchéognuno ha il suo modo di avvicinarsi al vino, sia che nel degustarlosi avverta una “distinta matrice boschiva di Pinot Nero” o un più sem-plice sapore di frutta. Perché nel mondo del vino nessuno ha ragio-ne, e ognuno sceglie in base alla propria sensibilità.L’impronta personale dell’intero libro si ritrova in due divertenti capi-toli (in apertura e in chiusura dell’opera), esemplari dell’impianto nar-rativo: Le dieci cose che pensavo sul vino prima di questo libro e Ledieci cose che penso sul vino dopo questo libro. Ecco quanto Scanzipensava:1) I vini francesi sono troppo cari.2) I vini migliori del mondo sono quelli italiani.3) I vini americani sanno di vaniglia.4) I vini del Sudamerica costano poco. Giustamente.5) Sono trent’anni che bevo, ci fosse stata una volta che ho beccatoun vino con sentori di chiodi di garofano.6) I vini più buoni sono sempre rossi.7) I vini dolci piacciono a tutti, hanno qualcosa in più.8) Lo Champagne è sopravvalutato.9) Quando non so come scegliere un vino, mi affido ai voti in cente-simi delle riviste di settore. Meglio se statunitensi.10) Gli astemi mi fanno paura.In merito a quanto Scanzi pensa, l’invito è a gustarvene la lettura. Nevale la pena.

Credo che il vino sia uno dei pochi vaccini al nichilismo.

IL VINO DEGLI ALTRI VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEI MIGLIORI VINI DEL MONDO (E DEI LORO RIVALI ITALIANI)

Autori: Andrea ScanziEditore: MondadoriPrezzo: 18,50 euro Il vino è un soggetto poetico privilegiato, al

pari dei fiori e del corpo femminile: un micro-cosmo perfetto, un segno, una forma dellaperfezione mirabile dellanatura e dell’arte umana.La poesia è la più degnainterprete della sua essen-za; poesia che diventa subli-me se associata all’eros, allabevanda di Bacco indisso-lubilmente legato. Il volumedi Francesco Leuzzi – appas-sionato cultore di eno-poe-sia – è assai più di un attodi amore nei confronti delvino: è la prova tangibile diun completo abbandono al suo fascino, alquale nulla può opporsi, come nell’innamora-mento più sincero.A ulteriore prova di ciò, l’autonoma pubblica-zione del libro, quasi a voler sottrarre taletributo alle fredde logiche commerciali del-l’editoria tradizionale. E di poesie si compo-ne l’intera opera, oltre a precisi richiami sto-rici: una curata raccolta di odi al vino afrodi-siaco fonte di erotismo e sensualità. Al vinodel Simposio e della comunicazione umana.Al vino “demone trascinante che conduce gliuomini verso l’abbandono dionisiaco”. Una rassegna da cui lasciarsi condurre, daOmero a Ovidio, da Dante Alighieri e Gabrieled’Annunzio, fino a Neruda e al vino dell’oro-scopo (chi scrive è della Bilancia, dunqueamante dello Champagne e del Dolcetto d’Alba).Difficile scegliere il poema che meglio espri-ma la cifra del volume. Volendo prediligere iltema dell’amore come forza salvifica che il vinosublima, la scelta non può che cadere suJacques Prévert …

Vuote erano le coppee in pezzi la bottigliae il letto sgualcitoe la porta serratae tutte le stelle di cristallodella bellezza e della gioiasplendevano nella polveredella camera non spazzataed io ero in una fiamma di gioiaubriaco mortoe tu ubriaca vivanuda nelle mie braccia.

Il vino è poesia.

ENOLANDIAVINO EROS POESIA

A cura di: Francesco LeuzziEditore: Francesco LeuzziPrezzo: 22,00 euro

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Servono nuove cantine sociali non maxi strutture

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Mi è recentemente capitato di raccontare in unarticolo scritto per una testata che si rivolge algrande pubblico, quindi a persone non neces-

sariamente addette ai lavori e non esperte del mondodel vino, quale significato e quale ruolo speciale abbia-no avuto le cantine cooperative in Italia da un secoloa questa parte. Ho ricostruito perché siano nate allafine dell’Ottocento e come si siano sviluppate nel secon-do Dopoguerra, con l’intento di evitare la fuga dallecampagne, dare uno sbocco e una possibilità di reddi-to al lavoro dei piccoli viticoltori, sottraendoli alla spe-culazione di commercianti e imbottigliatori e combat-tere la piaga della disoccupazione. E ho sottolineato come abbiano svolto per lungo tempouna vera e propria funzione sociale, sottolineata anchedal nome con cui sono spesso chiamate: Cantine socia-li, ovvero cantine dove non esiste un singolo proprieta-rio, ma dove un certo numero di viticoltori decidonodi collaborare e di cooperare per produrre insieme, conle uve provenienti dai rispettivi vigneti, vino. Ho par-lato della loro logica da “stato assistenziale”, secondola quale non era tanto importante come si producesse,quale fosse la qualità dei vini, quali gli sbocchi di mer-cato, ma soprattutto rappresentare una zona francadove conferire uve che altrove diversamente avrebbe-ro trovato collocazione visto che ben difficilmente queiviticoltori da soli avrebbero potuto essere dei trasfor-matori di uve a 360 gradi e diventare dei produttori inproprio. Ovvio, ho ricordato, che così facendo, sottra-endosi in tal modo alle più elementari logiche di mer-cato, queste cantine finissero per accumulare pesantipassivi, che il potere politico (che molto spesso le hafavorite e “benedette” perché diventavano serbatoi divoti) si occupava di ripianare con generose elargizionidi finanziamenti pubblici.Questo era il passato, ancora presente in molte situa-zioni soprattutto al Sud dove una filosofia quantitati-va ben più che qualitativa è spesso ancora dominan-te. Ma oggi le cose, ricordata la fortissima valenza socia-le che le cantine cooperative hanno avuto nella loro faseiniziale, la situazione è profondamente cambiata. Come ho scritto, un’iniezione di “privato”, un progres-sivo abituarsi a considerare le cantine sociali come delleaziende private, dove devono tornare i conti e dovel’obiettivo è produrre vini che riescano a stare sul mer-cato, che abbiano buone probabilità di imporsi e di farsiapprezzare dai consumatori italiani e internazionali, oanche solo da quelli locali, per le cantine che preferi-scono rivolgersi ancora a un bacino zonale o regionalepiù ristretto, ha fatto miracoli. Una sana vena d’im-prenditorialità, il diffondersi della convinzione che laqualità, quella vera, quella riconosciuta e percepita daiconsumatori più consapevoli, non potesse più rappre-sentare un optional, ma l’obiettivo dell’agire, ha por-tato a modificare profondamente le cose sia in vignache in cantina. È sotto gli occhi di tutti, basta citare aziende esem-

plari come la Cantina produttori del Barbaresco, quel-le di Terlano o di Colterenzio o San Michele Appiano inAlto Adige, oppure quella di Colonnara nella zona delVerdicchio dei Castelli di Jesi, la Cantina di Santadiin Sardegna, quella della Valpolicella di Negrar, laCooperativa agricola Cinque Terre, la Crotta di Vegneronin Valle d’Aosta, il fatto che diverse cantine cooperati-ve italiane oggi non solo siano protagoniste sul mer-cato nazionale e su quelli esteri, ma che non abbianonulla da invidiare alle aziende private. Ma c’è di più,perché alcuni vini prodotti da cantine cooperative sonoaddirittura diventati punti di riferimento nelle rispetti-ve denominazioni, un risultato che anche solo 30-40anni fa sarebbe apparso utopistico. Ed è palese che purcon tutto il rispetto possibile per grandi cantine coope-rative del Trentino e dell’Emilia Romagna, che hannoraggiunto volumi importanti e una capacità di aggre-dire i diversi mercati grazie a una politica di fusioni traloro, i risultati qualitativi migliori, qualitativamente par-lando e a livello d’immagine, si hanno con le cantineche evitando il gigantismo, ovvero il raggiungere dimen-sioni troppo grandi si sono mantenute su dimensionimedie. Arrivando, con un cambiamento radicale, di pellee di pensiero, a operare in vigna e in cantina e nellacommercializzazione con l’identica mentalità di canti-ne private di medie dimensioni. Alla luce di questa evi-denza, mi è suonato davvero strano leggere un recen-te intervento dell’assessore alle Risorse agricole e ali-mentari della Regione Sicilia, Bufardeci, che presen-tando un piano di riorganizzazione del sistema coope-rativistico viticolo regionale ha dichiarato: “É neces-sario stimolare un processo di aggregazione tra le can-tine sociali per creare nuovi soggetti imprenditorialiin grado di competere con maggiore incisività sul mer-cato nazionale e internazionale. Esiste un problemadi dimensioni delle aziende agricole, particolarmentesentito nel settore vitivinicolo, che non consente ai nostriproduttori di fare massa critica. La polverizzazione nonpaga e per rilanciare il settore va sostenuta una logicadi accorpamento”. In altre parole per “promuovere l’aggregazione delle coo-perative cantine sociali vitivinicole esistenti”, si vorreb-bero “creare strutture di maggiori dimensioni in termi-ni di capacità di ammasso di uve e di ettari di vigneto”.Capisco bene che è necessario razionalizzare, che trop-pe cantine sociali siciliane non hanno capito la nuovalogica di stare veramente e non a parole sul mercato,ma siamo sicuri che dando vita a mega cantine che“ammassino” (si noti il verbo, espressione di una logi-ca antica e superata) uve ed ettari di vigna, invece dirisolvere dei problemi non se ne creerebbero di altri edi peggiori? In Sicilia, come nel resto d’Italia, c’è bisogno di canti-ne sociali nuove sul piano della mentalità, non di maxistrutture. È per questo che di fronte alla propostadell’assessore Bufardeci mi tocca ancora una volta direrispettosamente che no, io non ci sto…

di Franco Ziliani

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