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1. Spazio e territorialità nel Medioevo La nozione di confine, è risaputo, svolge un ruolo cruciale a qual- siasi livello di rappresentazione e organizzazione del mondo: lo atte- stano i numerosi eventi che sui confini, intorno o a causa di essi hanno luogo, e le altrettante teorie avanzate con riferimenti impliciti o espliciti ai sistemi di confinazione, alla loro importanza e persistenza. Tuttavia, se considerata in riferimento alla continuità e contamina- zione della maggior parte dei fenomeni sociali e culturali tramandatici dalla storia, la riproduzione geografica della società medievale sembra invece fondamentalmente adattarsi a un modo originale di elabora- zione del significato, fondato su un sistema di rappresentazione che mescola rimandi e gerarchizzazioni tra piani dotati di valori spesso differenti, sicuramente lontanissimo dalla nozione univoca di esten- sione materiale, omogenea e misurabile, cui la civiltà occidentale con- temporanea riconduce lo spazio e i suoi limiti 1 . Le contrapposizioni del sistema medievale rispetto a quello moderno sono così considerevoli da rendere quasi impossibile una visione sintetica. Sebbene dal X secolo le testimonianze di cronisti, di viaggiatori e, in misura minore, di artisti si facciano numerose, la ricchissima polisemia dei termini, l’azione antropica e la valenza quasi sacrale assegnata al limen 2 , nonché l’assenza quasi totale di SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE. CONSIDERAZIONI IN MARGINE AL ROLLUM BULLARUM DI MONREALE Serena Falletta 1 Cfr. A. Guerreau, Il significato dei luoghi nell'Occidente medioevale: struttura e dinamica di uno spazio specifico, in E. Castelnuovo, G. Sergi (a cura di), Arti e storia nel medioevo. Tempi, spazi e istitu- zioni, I, Einaudi, Torino, 2002, pp. 201- 239; G. Chouquer (a cura di) Les formes du paysage, 3 voll., Editions Errance, Paris, 1996; Id., L’étude des paysages. Essais sur leurs formes et leur histoire, Editions Errance, Paris, 2000. 2 Si vedano i numerosi esempi offerti dalla letteratura agiografica che, traslando dalla sfera privata a quella pubblica e politica il significato simbolico del limite terminale con i suoi segni anche giuridici, lo rendono emblema della sicurezza e dell’identità ter- ritoriale (cfr. A. Benvenuti, Draghi e confini. Rogazioni e litanie nelle consuetudini litur- giche, in corso di stampa in Simboli e rituali nelle città toscane fra medioevo e prima età moderna (Arezzo, 21-22 maggio 2004); consultabile on line all’indirizzo: http://centri.univr.it/RM/biblioteca/SCA FFALE/b.htm#Anna%20Benvenuti). n. 31 18 Mediterranea Ricerche storiche Anno VII - Aprile 2010

DI MONREALE · 2010. 4. 19. · DI MONREALE Serena Falletta 1 Cfr. A. Guerreau, Il significato dei luoghi nell'Occidente medioevale: struttura e dinamica di uno spazio specifico,

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  • 1. Spazio e territorialità nel Medioevo

    La nozione di confine, è risaputo, svolge un ruolo cruciale a qual-siasi livello di rappresentazione e organizzazione del mondo: lo atte-stano i numerosi eventi che sui confini, intorno o a causa di essihanno luogo, e le altrettante teorie avanzate con riferimenti impliciti oespliciti ai sistemi di confinazione, alla loro importanza e persistenza.Tuttavia, se considerata in riferimento alla continuità e contamina-zione della maggior parte dei fenomeni sociali e culturali tramandaticidalla storia, la riproduzione geografica della società medievale sembrainvece fondamentalmente adattarsi a un modo originale di elabora-zione del significato, fondato su un sistema di rappresentazione chemescola rimandi e gerarchizzazioni tra piani dotati di valori spessodifferenti, sicuramente lontanissimo dalla nozione univoca di esten-sione materiale, omogenea e misurabile, cui la civiltà occidentale con-temporanea riconduce lo spazio e i suoi limiti1.

    Le contrapposizioni del sistema medievale rispetto a quellomoderno sono così considerevoli da rendere quasi impossibile unavisione sintetica. Sebbene dal X secolo le testimonianze di cronisti,di viaggiatori e, in misura minore, di artisti si facciano numerose, laricchissima polisemia dei termini, l’azione antropica e la valenzaquasi sacrale assegnata al limen2, nonché l’assenza quasi totale di

    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE.

    CONSIDERAZIONI IN MARGINE AL ROLLUM BULLARUM

    DI MONREALE

    Serena Falletta

    1 Cfr. A. Guerreau, Il significato dei luoghinell'Occidente medioevale: struttura edinamica di uno spazio specifico, in E.Castelnuovo, G. Sergi (a cura di), Arti estoria nel medioevo. Tempi, spazi e istitu-zioni, I, Einaudi, Torino, 2002, pp. 201-239; G. Chouquer (a cura di) Les formesdu paysage, 3 voll., Editions Errance,Paris, 1996; Id., L’étude des paysages.Essais sur leurs formes et leur histoire,Editions Errance, Paris, 2000.2 Si vedano i numerosi esempi offerti dallaletteratura agiografica che, traslando dalla

    sfera privata a quella pubblica e politica ilsignificato simbolico del limite terminalecon i suoi segni anche giuridici, lo rendonoemblema della sicurezza e dell’identità ter-ritoriale (cfr. A. Benvenuti, Draghi e confini.Rogazioni e litanie nelle consuetudini litur-giche, in corso di stampa in Simboli erituali nelle città toscane fra medioevo eprima età moderna (Arezzo, 21-22 maggio2004); consultabile on line all’indirizzo:http://centri.univr.it/RM/biblioteca/SCAFFALE/b.htm#Anna%20Benvenuti).

    n.31

    18M e d i t e r r a n e a R i c e r c h e s t o r i c h e Anno VII - Aprile 2010

  • carte e mappe prima del XVI3 secolo rendono bene l’idea del divarioabissale tra la descrizione medievale dello spazio e quella contempo-ranea. In questo senso, si comprende pienamente come la parola‘confine’ sia uno di quei termini il cui significato rimane, in epocamedievale, per lo più indeterminato se privo di una precisa conte-stualizzazione4.

    Una possibile chiave di lettura nell’indagare le descrizioni termi-nali dell’epoca è, in questo contesto, quella della logica sociale domi-nante, in grado di far emergere dinamiche complesse nell’ambito diciò che la storiografia italiana definisce “territorialità medievale”5: unastruttura percorsa da poteri e prerogative, recentemente definita daPaola Guglielmotti come «una realtà estremamente composita, com-plessa e spesso mutevole, una trama irregolare di linee ed addensa-

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    S. FALLETTA

    3 Sulla sostanziale incapacità tecnica dirappresentazione cartografica dei territori,cfr. P. De LaPradelle, La frontière. Étude deDroit international, Les éditions internatio-nales, Paris, 1928, p. 35; G. Dupont-Fer-rier, L’incertitude des limites territorialesen France du XIIIe siècle au XVIe, «Com-ptes-rendus de l’Académie des Inscrip-tions et Belles-Lettres» (1942), pp. 62-77;B. Guillemain, De la dynamique systèmesaux frontières linéaires, in Confini eRegioni. Il potenziale di sviluppo e di pacedelle periferie. Atti del convegno Problemi eprospettive delle regioni di frontiera (23-27marzo 1972), Lint, Trieste, 1973, pp. 259-264; P. Guichonnet, C. Raffestin, Géogra-phie des frontières, Presses Universitairesde France, Paris, 1974, p. 18.4 Negli ultimi anni il tema della frontiera edel confine, usualmente trattato in campoantropologico ed etnografico, ha goduto diuna certa fortuna anche sul versante sto-riografico. Per l’epoca che qui interessaimprescindibile resta il contributo diDaniel Nordman che, a conclusione di unlungo percorso di ricerca, ha messo in evi-denza come, per ciò che riguarda la Fran-cia (una delle realtà politiche più studiateda questo punto di vista), non sia possi-bile ricostruire un processo di linearizza-zione delle frontiere continuo e progres-sivo sino a buona parte dell’epocamoderna, ma si mostri piuttosto unacaratteristica trama di confini, destinata aperdurare per lunghi secoli, che non èassenza di frontiere, o confusione, macomplessità (cfr. D. Nordman, Frontieres

    de France. De l’espace au territoire, XVI-XIX siécle, Gallimard, Paris 1998).5 Già Claude Raffestin a proposito di talenozione aveva invitato a tener distinti sulpiano dell’analisi storica e geografica itermini spazio e territorio, sostenendo lanon equivalenza dei due termini: «il terri-torio infatti, presuppone uno spazio, ma èattraverso un’attività di appropriazione etrasformazione che il primo riesce adassumere una propria fisionomia. Appro-priandosi di uno spazio, l’uomo lo territo-rializza. Il territorio quindi, a differenzadello spazio, può essere prodotto. Ognipratica spaziale indotta da un sistemad’azioni o di comportamenti, ancheembrionali, scrive Raffestin, si traduce inuna produzione territoriale» (P. Marchetti,I giuristi e i confini. L’elaborazione giuridicadella nozione di confine tra Medioevo edEtà Moderna, «Cromohs», VIII (2003), pp.13-23:15; disponibile on line all’indirizzo:http://www.cromhos.unifi.it/8_2003/marchetti.html). Sul concetto di territorialitànel Medioevo, si vedano il fondamentaleP. Vaccari, La territorialità come base del-l’ordinamento giuridico del contado, Tip.Cooperativa, Pavia, 1921 e il più recentelavoro di Giuseppe Sergi, La territorialitàe l’assetto giurisdizionale ed amministra-tivo dello spazio, in Uomo e spazio nel-l’Alto Medioevo. Settimane di studio delCentro italiano di studi sull'alto Medioevo(4-8 aprile 2002), Centro italiano di studisull'alto Medioevo, Spoleto, 2003, pp.479-501.

  • menti di possessi, prerogative, diritti, giurisdizioni»6, esito di processie contrattazioni continue.

    Non a caso, l’esame delle tracce documentarie in grado di restituirela logica dell’organizzazione territoriale nel Medioevo mette in luce lenumerose contradditorietà ed incertezze nelle definizioni e ancor di piùnelle descrizioni dei confini, caratterizzati da complesse trame di limiti eprivilegi interni e soggetti a una pluralità di ordinamenti giuridici e com-plessi normativi differenti che ne disciplinano l’esistenza, regolandosisull’uso di un registro concettuale fortemente ancorato alla iurisdictio7

    ma anche alle abitudini, i comportamenti consolidati, gli spostamenti.L’analisi sull’actio finium regundorum assume dunque – quasi necessa-riamente – l’arguta definizione fornita da Paolo Cammarosano in unasua recente Lettura: «distinguere, separare, condividere: tre modi di sin-tetizzare le funzioni di un confine, senza che necessariamente una fun-zione escluda l’altra, in una convivenza priva di contraddizioni»8.

    33n.18

    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    6 P. Guglielmotti, Introduzione a Id. (a curadi), Distinguere, separare, condividere.Confini nelle campagne dell’Italia medie-vale, in «Reti Medievali. Rivista» VII(2006/1, gennaio-giugno), on line all’indi-rizzo: http://www.dssg.unifi .it/_RM/rivi-sta/saggi/Confini_Guglielmotti.htm.7 La parola iurisdictio in epoca medievale èdotata di una complessa articolazionesemantica, non sovrapponibile alla moder-na nozione di giurisdizione traducenteuna funzione del potere politico, e indicapiuttosto quel complesso di poteri pub-blici astrattamente esercitabili e che, tuttiincarnati nella figura dell’imperatore, pos-sono poi essere distribuiti in una serie diconcatenazioni successive su tutto il terri-torio. Ben si comprende dunque, comeanche dalle pagine dei giuristi, almenofino alla metà del XVI secolo – quandoviene pubblicato uno dei principali lavorisui confini, il Tractatus de finibus di Giro-lamo Del Monte – risulti chiaramente «cheall’antica suprema potestas imperiale,anche in tema di ius confinandisi sonosostituite, nel corso dei secoli, altre pote-stas che, de iure o de facto, pretendonouna loro legittimazione autonoma. Maquesta apparizione non mette in discus-sione i principi che regolano la conforma-zione politica dei territori nei suoi aspettiessenziali. Ed è in questo contesto chepuò essere letto lo sviluppo ulteriore deldiscorso che i giuristi conducono in temadi titolarità del diritto a tracciare dei con-

    fini. Certo, il Papa e l’Imperatore sonotitolari di questo diritto, segno del loroimperium universale, ma allo stesso modone sono titolari tutti coloro che manife-stano, attraverso l’esercizio della propriaiurisdictio, una relazione di superiorità inrapporto ad un territorio. Ogni soggetto,individuale o collettivo che sia, capace divantare proprie prerogative su di uno spa-zio dato, può disporre frazionandolosecondo il proprio volere», P. Marchetti, Igiuristi e i confini cit. In questa direzione,particolarmente interessanti appaiono leconsiderazioni di Marco Bellabarba,secondo cui la demarcazione dei limitispaziali di un territorio in relazione aipoteri giudiziari su di esso esercitati«esprimeva la rilevanza della pratica giudi-ziaria quale simbolo e funzione dellasovranità medievale», inevitabilmente lon-tana da un’immagine lineare e cartogra-fica del territorio (cfr. M. Bellabarba, Giu-risdizione e comunità: Folgaria controLastebasse. Un caso di conflitto confinariotra Impero asburgico e repubblica di Vene-zia (XVII-XVIII secolo), «Acta Histriae» VII,pp. 239-240). Sulla giurisdizione nelMedioevo cfr. il fondamentale saggio di P.Costa, Iurisdictio. Semantica del poterepolitico nella pubblicistica medievale(1100-1433), Giuffrè, Milano, 1969.8 P. Cammarosano, Lettura, in P. Gugliel-motti (cura di), Distinguere, separare, con-dividere cit.

  • Questo aspetto emerge con evidenza nelle descrizioni confinarie rin-tracciabili in alcuni documenti trascritti all’interno del cartulario diSanta Maria Nuova di Monreale, fonte imprescindibile per chi si accingaa indagare la composizione e la struttura del territorio soggetto a quellache proprio in epoca medievale fu la più importante signoria ecclesia-stica siciliana. Nel Liber Privilegiorum della chiesa – del quale chi scriveha recentemente proposto un’edizione digitale consultabile on line9 – sirintracciano infatti numerosi diplomi che restituiscono, attraverso unascrittura documentaria ricca di dati suggestivi, la straordinaria descri-zione di un dominio e dei suoi fines. In questa direzione particolarmenteinteressanti si sono rivelate le indagini compiute sulle forme di trascri-zione dei confini e sulla rappresentazione dello spazio prospettate dalRollum Bullarum, senza dubbio tra i documenti più importanti registratinel codice10, la cui rilevanza storica ha invogliato nel tempo numerosistorici ed eruditi locali ad affrontarne lo studio e proporne letture, spessodifficoltose, lasciandosi andare a facili quanto rischiosi entusiasmi sullacorrispondenza tra i siti descritti e la realtà dei luoghi. La breve indaginepreliminare che si propone tenta di restituire due aspetti tra i più signi-ficativi legati alla pratica terminale di ancient régime: quello territoriale,che emerge dalla descrizione topografica proposta dalla fonte e dallerecenti indagini archeologiche condotte sugli insediamenti medievali sici-liani, culminanti nella Monreale Survey diretta da Jeremy Johns11; equello personale, legato alla rappresentazione e alla capacità dei contem-poranei di proiettarsi sul territorio, deducibile dall’analisi delle frequenticontroversie e liti confinarie menzionate nel testo.

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    S. FALLETTA

    9 L’edizione è stata realizzata nell’ambitodel progetto per il Dottorato di Ricerca inStoria dell’Europa Mediterranea (Univer-sità di Palermo, XX ciclo), ed è libera-mente consultabile all’indirizzo internet:vatlat3880.altervista.org.10 Il documento originale fu rilasciato daGuglielmo II per l’arcivescovato di Mon-reale nel maggio del 1182. Edito da Salva-tore Cusa alla fine dell’Ottocento, è attual-mente conservato presso la BibliotecaCentrale della Regione Siciliana (Tabula-rio di Santa Maria Nuova di Monreale,perg. nr. Balsamo 163: 7 pergamenenumerate e legate tra loro, della lunghezzacomplessiva di m. 5, 195+mm. 77); il testoè in latino nelle prime tre pergamene,mentre le successive quattro recano lasua versione araba (cfr. S. Cusa, I diplomigreci e arabi di Sicilia, 2 voll., Stab. tip.Lao, Palermo, 1868-1882 (Documentidegli Archivi siciliani), pp. 179-244). Il

    fatto che Guglielmo faccia redigere ildocumento in tre lingue sarebbe indice,secondo Lima, «della sua volontà di darnemassima divulgazione e in parallelo, del-l’esistenza di una popolazione mista allaquale quindi si adegua la cancelleria delre» (A.I. Lima, Monreale (Palermo), S.F.Flaccovio, Palermo, 1991 p. 11).11 Per i risultati di questo lavoro cfr. J.Johns, The Monreale Survey: indigenesand invaders in Medieval West Sicily,«Papers in Italian Archaeology, IV. Classi-cal and Medievale Archaeology», CCXLVI(1985), pp. 215-223; Id., La Monreale Sur-vey. Insediamento medievale in Sicilia occi-dentale: premesse, metodi, problemi ealcuni risultati preliminari, in G. Noyè (acura di), Castrum 2. Structures de l’habitatet occupation du sol dans les pays meditér-ranéen: les médothes et l’apport de l’ar-cheologie intensive, Casa de Velázquez,Roma-Madrid, 1988, pp. 73-84.

  • 2. Il Rollum Bullarum: un esempio di inchiesta territoriale

    Le incertezze storiografiche legate al tema dei confini hannospesso risentito di un’impostazione metodologica che ha legato «l’evo-luzione tecnica e concettuale delle linee di separazione dei territorialla formazione dello Stato»12, creando una sorta di mitologia del con-fine come elemento rilevante nella definizione del potere statale. Rara-mente però l’analisi si è mossa nell’ambito degli aggregati politiciminori, dove pure sembra sussistere un forte legame tra la volontà didemarcazione dei confini e la costituzione di formazioni politiche acarattere territoriale.

    In epoca medievale, il diritto di tracciare confini sulla terra pre-vede una titolarità multipla nella quale ogni soggetto – individuale ocollettivo – capace di vantare prerogative su un territorio, possadisporne frazionandolo secondo il proprio volere13. Su questa tema-tica, non casualmente, si innestano tra l’altro i ragionamenti chenumerosi giuristi sviluppano – da Graziano in poi – sul tema dei con-fini territoriali, contribuendo a creare una sorta di “diritto dei confini”entro cui risolvere «questioni relative al tema della legittimazione adagire in difesa del proprio territorio e delle proprie prerogative, o que-stioni relative alla prova dei confini o alla possibilità della loro pre-scrittibilità (cioè del loro spostamento a vantaggio di un signore e adanno di un altro per abitudine consolidata nel tempo) o questionirelative alla stessa titolarità del diritto di adfigere terminos»14. Si trattadi interpretazioni particolarmente attente alla sfera delle circoscrizioniecclesiastiche, che proprio a partire dal XII secolo rappresentano l’an-titesi dei poteri imperiali e regii e che, paradossalmente, avrebberoispirato nei secoli successivi l’organizzazione degli Stati nascenti nelladelimitazione delle proprie forme di esercizio territoriale del potere.

    Il rollo di Monreale fornisce, in questo senso, uno spunto interes-sante. Il diploma, nel quale vengono minuziosamente descritti la com-posizione e i confini di una consistente parte del dominio monrealese,oltre a rivestire un interesse eccezionale nel campo della toponoma-stica, della geografia storica e dello studio delle rappresentazioni spa-ziali, è infatti anche un felice esempio di affermazione di una prassi di

    35n.18

    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    12 P. Marchetti, De iure finium. Diritto econfini tra Tardo Medioevo ed EtàModerna, Giuffrè, Milano, 2001, p. 23.13 In proposito valgano le osservazioni diR.D. Sack: «il confine territoriale puòessere la sola forma simbolica che com-bina la direzione nello spazio con affer-mazioni sul possesso o sulla sua esclu-sione» (R.D. Sack, Human Territoriality,Cambridge University Press, Cambridge,

    1986, p. 32). E non solo possesso oesclusione di diritti di proprietà, maanche di diritti politici e sociali: da qui,la persistenza dei confini e il loro ricono-scimento da parte dei soggetti indivi-duali, nel segno di una territorialità per-sonale che è anche la misura di cogni-zione delle logiche del funzionamentopolitico.

  • confinamento connessa a una nozione di supremazia sul territoriocapace di far assumere a una istituzione – la signoria ecclesiastica diSanta Maria Nuova – la fisionomia di una formazione politica territo-riale. Si tratta, probabilmente, dell’esempio più significativo di quelgruppo di documenti noti alla diplomatica siciliana come giaride o pla-tee, coi quali si è soliti indicare una speciale serie di carte pubblichecontenenti descrizioni territoriali in unione agli elenchi nominativi deiservi e dei villani di una data terra o casale appartenenti al demanioregio o conceduti a chiese, monasteri, vescovati e feudatari: insostanza, un prototipo di mappe catastali strutturate secondo i con-fini generali di una data circoscrizione territoriale15.

    Al di là del formulario del rollo, che riprende gli elementi del pri-vilegio solenne sviluppando nell’arenga il classico tema della preoccu-pazione reale per il benessere degli istituti ecclesiastici e l’interesse,da parte del sovrano normanno, per la salvaguardia della pace e dellatranquillità dei monaci, ciò che qui interessa sottolineare è la partico-lare struttura compositiva del documento. Nel testo infatti, il territo-rio assegnato all’abbazia appare frazionato in divise16 di cui vengono

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    S. FALLETTA

    14 P. Marchetti, I giuristi e i confini cit., p. 18.15 All’epoca normanno-sveva afferiscono intotale 12 documenti simili: oltre al piùantico, redatto nel 1095, 8 vanno ascrittialla cancelleria di Ruggero II e 3 a quellaGuglielmo II. Ma altri elenchi vengonoindicati in parecchi documenti riguardanticoncessioni di terre relative al nuovoassetto fondiario della Sicilia: CarloAlberto Garufi rintraccia infatti altri ottoelenchi nominativi di servi e villani delGran Conte Ruggero, da lui conceduti fra il1081 e il 1097 ai vescovi di Traina e Mes-sina, Mileto e Palero, agli eremi di Stilo ed’Arsafia in Calabria, e a Ruggero Forestal(cfr. C.A. Garufi, Censimento e Catastodella popolazione servile. Nuovi studi ericerce sull’ordinamento amministrativo deiNormanni in Sicilia nei secoli XI e XII,«Archivio Storico Siciliano» NS. XLIX(1928), pp. 1-100:7). Il diploma per Mon-reale, segna però il tramonto di questatipologia documentaria, che infatti nonverrà più utilizzata né tantomeno citatanelle fonti posteriori: l’ultima attestazionedell’ufficio arabo è una platea dell’aprile1183, contenente la trascrizione in greco earabo dei nomi dei villani e borgesi appar-tenenti a Monreale, non compresa peròall’interno del liber della chiesa (cfr. H.Enzensberger, Le cancellerie normanne:

    materiali per la storia della Sicilia musul-mana, in Del nuovo sulla Sicilia musul-mana. Giornate di Studio (Roma, 3 maggio1993), Accademia nazionale dei Lincei,Roma, 1995 pp. 51-67:64; il regesto dellaplatea del 1183 si trova in C.A. Garufi,Catalogo illustrato del Tabulario di S. Mariala Nuova di Monreale, Era Nova, Palermo,1902 (Documenti per servire alla Storia diSicilia pubblicati a cura della Società Sici-liana per la Storia Patria, XIX), doc. 45(Palermo 1183 Aprile I ind), pp. 25-26).16 Nella documentazione siciliana, l’atte-stazione più antica della parola divisa(«Divisa: terra et portio, sic dicta, quod sitsuis limitibus divisa; definita, vel quod perdivisam, seu testamentum, relicta sit por-tio hereditaria; fines, limites, metae loco-rum et praediorum», C. Du Cange, Glossa-rium mediae et infimae latinitatis, rist.an.Forni, Bologna, 1982, pp. 148-149) sitrova in un diploma del 1094 che descrivele terre del marchese Odobono: il docu-mento, edito da Rocco Pirri è datatoPalermo 31 agosto 1094 (II ind.) (cfr. R.Pirri, Sicilia Sacra disquisitionibus et noti-tiis illustrata, 4 voll., apud haeredes PetriCoppulae, Panormi, 1644-47; nuova ed.riveduta e ampliata in 2 voll., Palermo1733; rist. anast. con uno scritto di F.Giunta, 2 voll., Forni, Bologna, 1987, I, p.

  • enunciati i confini e il reddito in natura, secondo un modus operandiricollegabile ai registri contenenti le descrizioni delle terre demaniali,un tempo conservati negli uffici della Duana de Secretis e della DuanaBaronum e conosciuti con il nome di defetari, la cui controversa ori-gine non è ancora stata chiarita17. Se il nome arabo attribuito ai qua-derni (ar. daftar, pl. dafa–tir) potrebbe infatti facilmente rimandare auna provenienza fatimide – come aveva supposto Michele Amari – nonpossono tuttavia essere escluse né l’ipotesi di un influsso normanno,su possibili modelli offerti dall’organizzazione tributaria inglese, néquella della traduzione e riutilizzo a scopo fiscale, da parte della can-celleria araba siciliana, di libri catastali di origine bizantina preesi-stenti l’invasione saracena della isola18. Congettura che troverebbedelle prove nella frequenza di descrizioni di confini in greco e l’usobizantino – alla fine di ogni periodo indizionale – di redigere un cata-

    37n.18

    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    76). Il termine divisa, che compare fre-quentemente in questi documenti con ilsignificato di circoscrizione, è usato anchein Inghilterra all’epoca di Enrico I per indi-care i confini e l’estensione di una nuovaproprietà fondiaria o di un territorio (cfr.C.A. Garufi, Censimento e Catasto dellapopolazione servile cit., p. 18).17 «I defetari erano i registri tenuti daikatib o scrivani dei diwan, in cui veni-vano segnati i beni demaniali e le loromodificazioni», (G. Trovato, Documentiarabo-siculi del periodo normanno, Tipo-grafia Vena, Monreale, 1949, p. 3).Secondo la De Simone su questi elenchivenivano annotati i passaggi di proprietà– a seguito di successione, donazione,vendita o permuta – e gli obblighi fiscali edi servizio dei proprietari terrieri verso laCuria (cfr. A. De Simone, I diplomi arabi diSicilia, in Testimonianze degli arabi in Ita-lia. Giornata di studio (Roma, 10 dicem-bre 1987), Accademia Nazionale dei Lin-cei, Roma, 1988, pp. 57-75:60). LaDuana, ufficio anche noto con il nomearabo di dîwân at-tahqîq al-ma’mûr, eraincaricata di trattare gli affari ammini-strativi e giudiziari pertinenti le finanzedel regno; si occupava inoltre di tutti iproblemi riguardanti diritti regi e regiodemanio e deteneva i registri di terre eservizi. «Secondo Caravale, le funzionidella ad-dîwân al-ma’mûr e della dîwânat-tahqîq al-ma’mûr si differenziaronodurante il regno di Guglielmo II, mentredurante il regno di Ruggero II non erano

    separate. Egli suggerì inoltre l’ipotesi chela duana de secretis e la duana baronumavessero distretti amministrativi distinti,ma competenze fondamentalmente simili,a differenza di quanto aveva pensatoGarufi: la prima aveva infatti competenzasulla Sicilia e sulla Calabria, e la secondasul resto della penisola ad eccezione dellaCalabria» (H. Takayama, L’organizzazioneamministrativa del regno normanno diSicilia, in E. Cuozzo (a cura di) Studi inonore di Salvatore Tramontana, Elio Sel-lino editore, Pratola Serra, 2003, pp. 415-439:422). Per gli studi di Caravale sull’ar-gomento, cfr. M. Caravale, Il regno nor-manno di Sicilia, Giuffrè, Milano, 1966 eId., La monarchia meridionale. Istituzioni edottrina giuridica dai Normanni ai Bor-boni, Laterza, Roma-Bari, 1998.18 Per un approfondimento delle diverseipotesi sull’origine dei defetari, cfr. L.Genuardi, I defetari normanni, in Scrittiper il Centenario di Michele Amari, 2 voll.,I, rist. an. Società Siciliana di StoriaPatria, Palermo, 1990, pp. 159-164.Anche l’effettivo utilizzo di questi registriresta incerto: «erano registri in cui venivadescritto tutto il territorio dell’isola,secondo il Caravale, solo le terre dema-niali secondo il Garufi» (E. Mazzarese Far-della, La struttura amministrativa delRegno Normanno, in Atti del CongressoInternazionale di Studi sulla Sicilia Nor-manna, (Palermo, 4-8 dicembre 1972),Edizioni Sciascia, Palermo, 1973, pp.213-224:217).

  • sto completo delle terre con la lista dei coloni che vi risiedevano, rile-vate da Ferdinand Chalandon19, ma anche nell’assenza di testimo-nianze simili in documentazione araba prodotta al di fuori della Sici-lia o di notizie di un tale uso nell’amministrazione arabo-islamica20.

    Sembra invece certo che durante l’epoca normanna questi registrifossero utilizzati per estrarvi giaride e platee, anche se la mancanza direvisioni periodiche e di una regolare registrazione delle variazionisubite dalle proprietà fondiarie avranno sicuramente creato nonpoche difficoltà nella redazione dei documenti. Se quindi il rollo del1182 per Monreale fu estratto da un registro doganale, come indiche-rebbe il chiaro riferimento nella corroboratio21, non è detto che la tra-scrizione del documento non sia stata comunque integrata da unaricognizione topografica effettuata sul territorio: una conferma in talsenso potrebbe provenire dalla notizia, riportata dal Garufi, secondola quale il giustiziere della Magna Curia che nel 1188 compilava unanalogo documento per il vescovo di Cefalù, avendo utilizzato un certoquaternus della Duana redatto nel 1123 dal protonotaro della Curiama trovandolo poco aggiornato, avesse deciso di compiere un accerta-mento personale sulle terre in questione22.

    Pare in effetti, anche sulla scorta delle indicazioni fornite daAndrea Romano, che in epoca normanna la Magna Regia Curiausasse, nelle azioni possessorie o divisorie per il riconoscimento deiconfini, inviare i propri funzionari sul luogo al fine di condurne i rile-vamenti necessari23. Sembrerebbe dunque di essere in presenza diuna vera e propria scrittura del confine, antesignana di quei libri ter-minorum o finium che, a partire all’età podestarile e con una diversalogica interna, diventeranno una tipologia documentaria largamenteattestata nell’Italia centrale e settentrionale, finalizzata alle esigenzedel dominio cittadino sui territori circostanti e alla sicura definizionedei diritti, spesso dispersi, che ciascun comune poteva vantare suterre ed insediamenti acquisiti nel corso del tempo24. Anche l’aspetto

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    19 F. Chalandon, Histoire de la dominationnormande en Italie et en Sicile, 2 voll.,Librairie A. Picard, Paris, 1907; rist. an.New York 1960, II, p. 531sgg.20 Cfr. A. Noth, Alcune osservazioni a pro-posito dell’edizione dei documenti arabi deire normanni di Sicilia, «Atti dell’Accademiadi Scienze, Lettere e Arti di Palermo», s. 5,VI (1981-82), Parte Seconda: Lettere, pp.121-129:125.21 Dove infatti si legge: «Has autem divisaspredictas a deptariis nostris de saracenicoin latinum transferri ipsumque saraceni-cum secundum quod in eisdem deptariiscontinetur sub latino scribi precepimus».

    22 Cfr. C.A. Garufi, Censimento e Catastodella popolazione servile cit., pp. 50-51.23 Cfr. A. Romano, Tribunali, Giudici e Sen-tenze nel Regnum Siciliae (1130-1516), inJ.H. Baker (ed. by), Judicial Records, LawReports and the Growth of Case Law,Duncker & Humblot, Berlin, 1989, pp.211-301.24 Fra i testi più significativi, gli esempiofferti da Bologna, Vicenza, Perugia,Orvieto, Pistoia, Modena e Siena, tutticompresi tra gli anni ’20 e ’90 del XIIIsecolo. Su Bologna cfr. A.I. Pini, Gli estimicittadini di Bologna dal 1296 al 1329,«Studi Medievali», s. 3, XVIII (1977), pp.

  • sistematico dei rilevamenti confinari, secondo una logica di inquadra-mento complessivo di un intero territorio, «per cui al dato fiscale epatrimoniale si sommavano aspetti e funzioni importanti come quellaidentitaria e politica»25, indicherebbero chiaramente una affinità dellatipologia documentaria rappresentata dal rollo monrealese con i libridi confini continentali, piuttosto che con le registrazioni altomedievali,tendenzialmente incomplete e sommarie nella designazione dei limititerritoriali26.

    39n.18

    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    111-159; M. Venticelli, I “libri terminorum”del Comune di Bologna, in F. Bocchi (acura di), Metropoli medievali. Proceedingsof the Congress of Atlas Working GroupInternational Commission for the History ofTowns, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 223-330:245-330. Per Vicenza: F. Lomastro,Spazio urbano e potere politico a Vicenzanel XIII secolo. Dal “Regestum possessio-num comunis” del 1262, Accademia Olim-pica, Vicenza, 1981; sul registro cfr. ancheId., Il “Regestum possessionum ComunisVincentie” del 1262: suggestioni e proble-mi, in A. Cestaro (a cura di), Studi di sto-ria sociale e religiosa. Scritti in onore diGabriele De Rosa, Ferraro, Napoli, 1980,pp. 87-98. Per Perugia: M. Vallerani, Il“Liber terminationum” del comune di Peru-gia, «Mélanges de l’École Française deRome, Moyen Âge, Temps Modernes»,XCIX (1987) 2, pp. 649-699. Per unapprofondimento sull’argomento cfr. G.Francesconi, F. Salvestrini, La scritturadel confine nell’Italia comunale: modelli efunzioni, in corso di stampa in Limites etfrontières. IIIe Congrès Européen d’ÉtudesMédiévales, Fédération Internationaled’Instituts d’Études Médiévales, (Jyvä-skylä FIN], 10-14 juin 2003), a cura di O.Merisalo, H. Blankenstein; disponibile on-line su Reti Medievali all’indirizzo:http://centri.univr.it/RM/biblioteca/SCAFFALE/f.htm#Giampaolo%20France-sconi. Interessanti considerazioni dicarattere generale sul rapporto tra confinie misurazione della terra in ambito comu-nale sono svolte da P. Zanini, Significatidel confine. I limiti naturali, storici, mentali,B. Mondadori, Milano, 1997, pp. 5-10 e29-30; particolarmente significative sonoa questo proposito le riflessioni sul casosenese di P. Cammarosano, Tradizionedocumentaria e storia cittadina. Introdu-zione al “Caleffo Vecchio” del Comune di

    Siena, Accademia Senese degli Intronati,Siena, 1988, pp. 51 e sgg.25 G. Francesconi, F. Salvestrini, La scrit-tura del confine nell’Italia comunale.Modelli e funzioni cit.26 Lo sforzo legato alla redazione dei con-fini, che si riallaccia alla necessità di inte-ragire in termini coerenti con i luoghi dagovernare, è prassi largamente nota allastoriografia attraverso lo studio dei polit-tici, definiti da Pierre Toubert «strumentitecnici elaborati in funzione delle esigenzeconcrete di gestione di complessi fondiarisottoposti a sistemi di conduzione piùcomplessi di quanto non sia facile per lostorico immaginare, che hanno avuto l’ef-fetto di rafforzare quelle stesse norme diconduzione» (P. Toubert, Il sistema cur-tense: la produzione e lo scambio interno inItalia nei secoli VIII, IX e X, in G. Sergi (acura di), Curtis e signoria rurale. Interfe-renze fra due strutture medievali, Scripto-rium, Torino, 1997, pp. 25-94:34; suipolittici v. anche P. Cammarosano, Il ruolodella proprietà ecclesiastica nella vita eco-nomica e sociale del Medioevo Europeo, inGli spazi economici della Chiesa nell’Occi-dente mediterraneo. Sedicesimo Convegnointernazionale di studi (Pistoia, 16-19maggio 1997), Centro Italiano di Studi diStoria e d’Arte, Pistoia, 1999, pp. 1-17, inpart. le pp. 6-7). Furono utilizzati soprat-tutto in ambiente monastico tra IX e Xsecolo: tra i più antichi, il polittico diIrmione, che illustra il patrimonio delmonastero di Saint-Germain-des-Prés diParigi. Per l’Italia va ovviamente ricordatoil Breve de terris del monastero di San Giu-lia di Brescia (879-906), per il quale cfr. E.Barbieri, I. Rapisarda, G. Cossandi (a curadi), Le carte del monastero di S. Giulia diBrescia, I (759-1170), edizione on-line conintroduzione, documenti e bibliografiadisponibile all’indirizzo: http://cdlm.lom-

  • A un’analisi più attenta tuttavia, il rollo di Monreale sembra espri-mere anche una finalità inventariale: il che ne avvicinerebbe il testoquindi, ai libri comunis bolognesi, strumenti di verifica contro usurpa-zioni e abusi su cui – facendo riferimento ai documenti originali –venivano trascritti gli elenchi, le descrizioni e le superfici delle pro-prietà immobiliari acquisite dal comune27. Va inoltre sottolineato chelo scopo primario per cui sembra essere stato redatto il diploma nonsembra affatto quello di censire i proventi abbaziali o definire obblighie tributi a carico dei villani dipendenti – come avveniva per i politticialtomedievali – quanto piuttosto quello di documentare efficacementeil modello organizzativo rurale. Il dominio territoriale illustrato daldocumento è infatti costituito da un insieme di terre e dipendentisparsi all’interno di uno o più villaggi; non un latifondo compatto, manuclei di appezzamenti, beni, diritti e uomini dipendenti dal signoreecclesiastico28: una struttura che potrebbe fornire qualche indica-zione utile a illuminare il quadro generale dell’amministrazione dellagrande proprietà fondiaria ecclesiastica meridionale nei secoli XII eXIII, tema in gran parte ancora oscuro a causa della scarsità, reti-cenza e nebulosità della documentazione pertinente.

    L’indagine territoriale che il rollum restituisce dimostra in ognicaso come il confinamento sul territorio dominato dalla signoria mon-realese sia stata questione assai complessa. Non si sarà trattato, inaltre parole, di marcare attraverso linee e geometrie neutrali la sepa-razione tra due spazi limitrofi, ma di intrecciare nella scrittura queiframmenti di vita quotidiana e di interessi economici legati all’uso difonti e corsi d’acqua, campi coltivabili, pascoli, selve che sembra assaiarduo separare dall’attività degli uomini stanziati sulle divise: piccolecomunità addensate su spazi non sempre compatti, ma disseminatisu un’area assai vasta e di cui oggi è quasi impossibile rinvenire le

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    bardiastorica.it/edizioni/bs/brescia-sgiu-lia1/; in part. per il polittico v.: http://cdlm.lombardiastorica.it/edizioni/bs/brescia-sgiulia1/carte/sgiulia0906-12-31);G. Pasquali, La distribuzione geograficadelle cappelle e delle aziende ruralidescritte nell'inventario altomedievale delmonastero di S. Giulia di Brescia, in SanSalvatore di Brescia. Materiali per unmuseo, 2 voll., Grafo, Brescia, 1978, I/2.Contributi per la storia del monastero e pro-poste per un uso culturale dell’area storicadi Santa Giulia, pp. 141-166. Altrettantoimportante è l’estimo di Bobbio (862), peril quale cfr. A. Attolini, Il monastero di SanColombano in Bobbio, Mucchi, Modena,2001; E. Destefanis, Il monastero di Bob-

    bio in età altomedievale, All’Insegna delGiglio, Firenze, 2002. Per l’edizione deipolittici più significativi dell’Italia centro-settentrionale, cfr. A. Castagnetti, M. Luz-zati (a cura di), Inventari altomedievali diterre, coloni e redditi, Istituto Storico Ita-liano, Roma, 1979.27 Sui libri comunis cfr. G. Tamba, Libri,libri contractum, memorialia nella primadocumentazione finanziaria del comunebolognese, in Id., Una corporazione per ilpotere. Il notariato a Bologna in età comu-nale, Clueb, Bologna, 1998, pp. 259-295,in part. la p. 268.28 Cfr. L. Provero, L’Italia dei poteri locali.Secoli X-XII cit., p. 56.

  • tracce. Delimitare l’esatta collocazione geografica di questi distrettinon sarà stata operazione semplice, riguardando non solo castra ecasalia la cui posizione territoriale appare in qualche modo definita,ma anche quelle aree dislocate attorno agli abitati e alle fortificazionila cui esatta estensione appare sfumata da un’ambiguità intrinsecadifficile da sciogliere anche per i contemporanei: da qui, la trascri-zione di confini che tagliano monti, colline, valli, fiumi seguendo trac-ciati di appartenenza che non sempre assecondano un disegno topo-grafico coerente. D’altra parte è la stessa organizzazione del territoriomedievale che sembra rifuggire da una nozione di frontiera lineare,soprattutto a causa dell’estrema mobilità dei possedimenti e dei dirittiche rendevano vano ogni sforzo teso a individuare l’esatta demarca-zione delle linee di confine. Un’incertezza dei confini che doveva rap-presentare proprio la molla per condurre subtilis inquisitio circa laconsistenza dei fondi rurali, e che spiegherebbe anche – tanto per ilrollo quanto per gli altri documenti relativi alla determinazione deifines – la prevalenza di formule di tipo pertinenziale, caricate di unvalore terminale giuridicamente soddisfacente.

    3. Termini apparentes: gli elementi naturali che creano il confine

    L’esame della traduzione latina del lungo documento, che dà ori-gine a un testo singolare pur nella sua sostanziale correttezza29, sti-mola l’analisi delle numerose indicazioni toponomastiche, il cui ecce-

    41n.18

    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    29 Il rollum è testimonianza unica di unsostrato arabo che agisce, progressiva-mente storpiato e volgarizzato, sul lessicogeografico siciliano. Sull’argomento sisono espressi numerosi studiosi: si veda,a titolo esemplificativo, F. D’Angelo, Icasali di Santa Maria la Nuova di Monrealenei secoli XII-XV, «Bollettino del Centro diStudi Filologici e Linguistici Siciliani», XII(1973), pp. 333-339:339. La questionedelle vie di penetrazione degli arabismi inarea romanza e nei singoli paesi è com-plessa e oggetto di costanti studi. Per ilterritorio siciliano vanno in particolaremenzionate le osservazioni di G. Cara-causi, Stratificazione della toponomasticasiciliana, in E. Vineis (a cura di), La topo-nomastica come fonte di conoscenza sto-rica e linguistica. Atti del convegno dellaSocietà Italiana di Glottologia (Belluno, 31marzo, 1 e 2 aprile 1980), Giardini Editori,Pisa, 1981, pp. 107-144; Id., Arabismimedievali di Sicilia, Centro di studi filolo-

    gici e linguistici siciliani, Palermo, 1983.Per la toponomastica siciliana, una fonteutile sebbene più tarda è costituita dalleRationes decimarum Italiae nei secoli XIII eXIV. Sicilia, a cura di P. Sella, BibliotecaApostolica Vaticana, Città del Vaticano1944. Michele del Giudice, in appendicealla ristampa del 1702 dell’Historia delLello, inserì una Carta Corografica dell’Ar-civescovato di Monreale, nella quale perònon c’è corrispondenza né di nomi, né diestensione, cfr. Descrizione del real tem-pio, e monasterio di Santa Maria Nuova diMorreale. Vite de' suoi arcivescovi, abbati,e signori. Col sommario dei privilegj, delladetta Santa Chiesa di Gio. Luigi Lello.Ristampata d'ordine del’illustriss. e reve-rendiss. monsignore arcivescovo, abbateDon Giovanni Ruano. Con le osservazionisopra le fabriche, e mosaici della chiesa, lacontinuazione delle Vite degli arcivescovi,una Tavola cronologica della medesimaistoria, e la notizia dello stato presente del-

  • zionale rilievo si accompagna alla possibilità di cogliere, per loro tra-mite, i segni ancora vivi della presenza islamica sul territorio sicilianononostante gli evidenti adattamenti e le deformazioni dovute alla neces-sità di tradurre da una lingua all’altra concetti e realtà materiali30. La

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    l'arcivescovado. Opera, del padre donMichele del Giudice, Regia stamperiad'Agostino Epiro, Palermo, 1702. Unarestituzione della topografia sicilianad’epoca musulmana – seppure limitataesclusivamente ai nomi con prefisso inkalat, rahal o mensil – fu tentata da Rosa-rio Gregorio, le cui interpretazioni furonoperò spesso giudicate inesatte da MicheleAmari. Quest’ultimo raccolse, dalle crona-che e dai documenti dei secoli XI-XV unaserie di nomi topografici, producendo unacarta comparata nella quale, tuttavia,sono evidenti diverse lacune, errori eduplicazioni, mentre la designazione dimolti luoghi resta incerta, cfr. M. Amari,A.H. Dufour, Carte comparée de la Sicilemoderne avec la Sicile au XIIe siècled’après Edrisi et d’autres géographes ara-bes, H. Plon, Parigi, 1859; ora in Id., Tardistudi di storia arabo-mediterranea, a curadi F. Giunta, Accademia nazionale discienze lettere e arti di Palermo, Palermo1985, pp. 9-53.30 Il diretto confronto delle sequenze del-l’originale testo arabo con quelle corri-spondenti della traduzione latina eviden-zia infatti numerose difformità – in gene-rale alternanze singolare/plurale, maschile/femminile – ma anche non corrispondenzetra arabo e latino, «causate verosimil-mente dal fraintendimento e dunque dalladeformazione di toponimi nella translitte-razione da una lingua all’altra» (M.A. Vag-gioli, Note di topografia nella Sicilia medie-vale: una rilettura della Jarı –da di Monreale(divise Battallarii, divisa Fantasine), in Attidelle Quarte Giornate Internazionali diStudi sull’area Elima (Erice, 1-4 dicembre2000), III, pp. 1247-1317:1249; disponi-bile in formato digitale all’indirizzo inter-net: http://download.sns.it/labarcheo/elima2003/Vaggioli.pdf).Queste difficoltà sono particolarmentevisibili nelle attestazioni documentariebilingui, in cui i nomi di località arabe,verosimilmente già adattate dall’autorealle finalità cancelleresche, vengono sotto-poste ad ulteriore trasformazione nella

    versione latina. Tra gli esempi forniti dalrollo, vanno annoverati g ÿabal (monte) tra-dotto mons o montana; ha–rik (criniera,sommità, vetta) in latino terterum o altera(«ila– ha–rik ibn Hamzah» viene convertitonel documento «ad alteram Benhamse»),ma anche mons («ha–rik ar-arı –h», tradotto«mons venti»); rabwah (elevazione, collina)che diventa altera («ila ‘r-rabwah» nel rolloè «usque ad alteram»); s ÿaraf (sega, cimadentata) tradotto con altera, crista, serra;kudyah (colline), in latino monticellus,monticulus e più raramente altera; eancora mins§a –r (catena di monti) reso conserra; walg ÿah (campo) riportato come pla-num, planus campus e planicies. Interes-santi gli esiti della traduzione degli stessitermini di confinazione: hadd (limite,frontiera), che sembra seguire la stessaevoluzione semantica del latino finis e deltardo latino divisa, indicando così insiemesia i confini, sia il territorio compresoentro gli stessi e quindi il tenimentum ehawz, tradotto ora con tenimentum ora,con una sfumatura amministrativa, perti-nenza (e infatti «rahl bahrı — f ı— hawz Ga—tu—» èreso nel documento «Rahalbahari, quodest in pertinentiis Iati») ma anche comeluogo circondato da un recinto («ilà ha—’ithawz (al-maba—nı— )» è tradotto «usque admurum Parci») (cfr. A. De Simone, Sualcune corrispondenze lessicali nei diplomiarabo-latini della Sicilia medievale, in L.Serra (a cura di), Gli interscambi culturalie socio-economici fra l’Africa Settentrionalee l’Europa Mediterranea. Atti del Con-gresso Internazionale di Amalfi (5-8dicembre 1983), 2 voll., Istituto universi-tario orientale, Napoli, 1986, I, pp. 469-484:477, cui si rimanda anche per altrecorrispondenze). Sull’indeterminatezzadella parola tenimentum, che appare neicartulari toscani del secolo XI per indicareun fondo rustico e, al tempo stesso, unadeterminata forma di possesso, cfr. P.Jones, Le terre del capitolo della cattedraledi Lucca (900-1200), in Id., Economia esocietà nell’Italia medievale, Einaudi,Torino, 1980 pp. 275-294:283.

  • carica definitoria della terminologia geografica utilizzata manifestal’assoluta prevalenza della matrice araba, cui fa da contraltare unalimitata cristianizzazione della toponomastica, rilevabile nella quasitotale assenza di toponimi legati al culto dei santi: numerosissimisono quindi i kalat, i rahal e mensil, tutti utilizzati per indicare ilcasale – la forma di insediamento più tipica della regione – ma anchetoponimi e termini geografici di evidente derivazione arabofona, comebalata (ar. balat, pietra piana, lastra o lastrone)31, margio (ar. marg ÿ,luogo basso dove stagna l’acqua, palude)32, favaria (ar. fawwar, sor-gente d’acqua)33. Il caso linguistico più interessante del documento ètuttavia l’utilizzo di un particolare tipo sintattico che, attraverso laduplicazione di sostantivi quasi sempre connessi a un verbo comeandare o camminare, esprime un moto per luogo o più esattamente un“moto rasente luogo”34. Il sintagma si rileva proprio nella descrizionedei confini, dando luogo a frasi così articolate: «ascendit per cristamcristam», «vertitur divisa ad occidentem per viam viam», «descenditdivisa per flumen flumen», «vadit per serram serram»35. Se forme bisil-labiche risultanti da duplicazione sono abbondatemente attestate neldialetto siciliano senza che il loro processo costitutivo sia consideratopeculiare dell’isola o dell’area mediterranea in genere, per il tipo cam-minare riva riva è stata invece proposta una formazione monogeneticanel Mezzogiorno, non tanto per la sua struttura formale36 quanto per

    43n.18

    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    31 Il prestito è rimasto nel sicilianoodierno, ed è attestato anche in funzionetoponomastica (cfr. M. Pasqualino, Voca-bolario siciliano etimologico, italiano elatino, 5 voll., Epos, Palermo, 1785, p.180; F. Giuffrida, I termini geografici dia-lettali della Sicilia, «Archivio Storico per laSicilia Orientale», s. 4, X (1957), pp. 5-108:42).32 Da cui nel siciliano margiu (cfr. M.Pasqualino, Vocabolario etimologico cit., p.111; F. Giuffrida, I termini geografici dia-lettali della Sicilia cit., p. 71; G. Caracausi,Arabismi medievali di Sicilia cit., p. 282).L’analisi di voci simili può forse essereconsiderata l’esempio più rappresentativodell’ausilio che la toponomastica fornisceall’indagine geografica. Un termine comemargio infatti è spesso l’unico testimone diun paesaggio completamente trasformatodall’azione umana: le aree acquitrinosenella quasi totalità dei casi sono state pro-sciugate o bonificate, mentre i cordonilitoranei sono stati spianati e tagliati perconsentire la valorizzazione turistica dellespiagge.

    33 Da cui il siciliano favara. Il terminesopravvive in parecchi toponimi siciliani(cfr. M. Pasqualino, Vocabolario etimolo-gico cit., p. 113; G. Caracausi, Arabismimedievali di Sicilia cit., p. 224).34 B. Migliorini, Il tipo sintattico «cammi-nare riva riva», in C. Segre (a cura di) Lin-guistica e Filologia. Omaggio a BenvenutoTerracini, Il Saggiatore, Milano, 1968, pp.183-190:186.35 «Voce molto diffusa in tutta la Sicilia,con cui si indicano non solo le cresteseghettate o margini interrotti di burronirocciosi, ma anche molti che non presen-tano la regione culminante con caratteridi sega» (G. Caracausi, Arabismi medievalidi Sicilia cit., p. 55). È però probabile chetermini come serra o cresta indichino,nella documentazione analizzata, intericomplessi montuosi.36 «In Sicilia e nell’Italia meridionale que-sto tipo di raddoppiamento esprime, conla frequenza e la varietà spiccata dellerepliche di senso proprio e traslato, la suamassima vitalità quantunque altrove sipresenti (…) in una serie di forme che ne

  • la frequenza con cui compare nella documentazione siciliana d’etànormanna e sveva37. L’uso ridondante di questa forma di duplicazione– che sembrerebbe indicare uno sforzo di adeguamento alle normesintattiche della lingua latina a un costrutto estraneo a essa – unito aun’analisi delle abitudini ortografiche del traduttore potrebbero for-nire ulteriori elementi per l’identificazione del copista, da alcuni rite-nuto di origine francese38.

    Al di là dei casi linguistici, la ricognizione del diploma è un ottimopunto di partenza per analizzare la descrizione del dominio monrea-lese. Scomposta in un numero elevato di distretti rurali presieduti daun casale di grandi o medie dimensioni, l’organizzazione del territoriosembrerebbe ricalcare un sistema di matrice araba – secondo ilmodello dell’hisn verificato per la Spagna – basata su strutture micro-territoriali composte da spazi aperti costruiti intorno a un sito emi-nente, centro ideale della tenuta. In sostanza, una struttura polinu-cleare formata da circoscrizioni più o meno ampie, ciascuna dellequali gravitante attorno a un casale di dimensioni variabili e difficil-mente conoscibili, perché generalmente indicate da unità miste –superficie coltivabile ponderata alla produttività – segnalate nel docu-mento da frasi quali «recipit predicta divisa seminaturam centumviginti salmarum» o «sunt ad quattuor parricla scilicet ad seminatu-ram». I problemi di lettura e interpretazione che la fonte scritta poneper quel che riguarda il rapporto tra luoghi e confini reali o percepitisi presenta comunque con evidenza già nella semplice lettura deldocumento, e nonostante – o forse proprio in ragione – del bassolivello di astrazione della rappresentazione spaziale: lo sguardo di chiha condotto la ricognizione topografica appare infatti attento al detta-

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    dimostrano la fortuna nel toscano e nellalingua stessa» (G. Caracausi, Ancora sultipo “camminare riva riva”, «BollettinoCentro Studi Filologici e Linguistici Sici-liani», XIII (1977), pp. 383-396:287).37 Sulla base della segnalazione di attesta-zioni similari rintracciate da Rohlfs indiplomi siciliani di età sveva scritti in latinoe in carte dell’Italia meridionale ancora piùantiche di lingua greca (cfr. G. Rohlfs, Ita-lienish navigare riva riva, «Zeitschrift fürRom. Philol.», XLV (1925), pp. 292-296).Caracausi ha confutato l’ipotesi di unaderivazione dalla lingua araba, dove nonrisulterebbe traccia di questo costrutto –almeno in tale specifica funzione – , pro-spettando invece un’origine dal greco doveil sintagma, sempre col senso di attraverso,lungo, trova ancora oggi una certa vitalità,(cfr. G. Caracausi, Ancora sul tipo “cammi-

    nare riva riva” cit., p. 393).38 «Il traduttore del documento doveva es-sere un francese. Nella sua linguamaterna il suono s era ed è rappresentatoora dalla lettera s (come in sien), ora dallalettera c (come in ciel); per cui una voltatrascrisse divisa Hendulcini, altra volta“casale quod dicitur Hendulcini”». Eancora: «Davanti ad un toponimo, peresempio, che interprete pronunciavaGiàlsu, se la cavò con un divisa terrarumIalcii (i = j francese) ora con un per Ialcium,poi con Calat-Ialci» (B. Rocco, Andalusi inSicilia, «Archivio Storico Siciliano», s. 3,XIX (1969), pp. 267-276:271). L’ipotesitroverebbe una conferma nel costrutto dialcuni vocaboli, prima tradotti in francesee poi latinizzati, come il termine arabo percollina (harik) riportato in lat. terterum, dalfr. terte.

  • glio, sia esso un’emergenza rocciosa resa riconoscibile dal colore odalla forma, edifici ormai abbandonati e in rovina, recinti per animalio grotte. È un’analisi che non lascia vuoti e che si articola in un pae-saggio antropizzato ricco di sfumature, raccontato attraverso l’ampiacasistica fornita dall’orografia e idrografia siciliane ma anche dai trac-ciati stradali, dalle coltivazioni incontrate lungo il percorso, dallediverse forme insediative. Il testo materializza quindi una realtàespressiva composta da segni a carattere tipicamente terminale,facenti capo a elementi naturali che si polarizzano attorno ai duesistemi territoriali già privilegiati nella pratica confinaria romana,quello idrico e quello viario, attingendo però contemporaneamente aglielementi naturali o artificiali incontrabili lungo il percorso.

    In questa grande operazione di formazione del territorio, al di làdell’immediata percezione dei contributi umani, sembra possibile rin-tracciare anche una trama di regole giuridiche che hanno in qualchemodo modellato le forme in cui la stessa scrittura è stata compiuta.Nei testi giuridici medievali, ampia accoglienza viene infatti riservataalla dettagliata ricognizione delle tipologie confinarie più comuni: inquesto senso, l’estrema minuzia, l’accuratezza nelle descrizioni deiconfini fornite dal documento – la continua menzione di strade, vie,croci, fontane, toponimi – risolvendosi in una ricchezza di particolarigeografici che attesta la palese volontà di rappresentare immaginispaziali definite, non può essere considerato fatto casuale. Alberi, fos-sati o pietre conficcate nel terreno – le cosìdette lapides terminales –vengono indicate dai doctores medievali come le forme più comuniattraverso cui materializzare una linea di confine: «un confine natu-rale, scrivono i giuristi, non si differenzia dagli altri confini tracciatidall’uomo se non per il fatto di essere più visibile e più stabile, e perquesto più sicuro»39. Secondo Giovanni d’Andrea, il limes potevaquindi essere segnato da pietre di confine, ma allo stesso modo «perflumina et rivos aquarum, per castella et per villas, puta castrum velvilla sit unios diocesis, citra vero sit alterius, quandoque etiam distin-guuntur per montes, ut totus mons sit unius diocesis, reliquus alte-rius, quandoque per cacumina montium, ut scilicet illa sint limina vellimitationes»40: la stabilità e l’evidenza di questi elementi fisici del pae-saggio li rendevano infatti particolarmente adatti per demarcare unalinea di confine.

    E il rollum sembra confermare le prescrizioni del giurista, segna-lando una serie di dati assai eloquenti e rievocando un fitto reticolato

    45n.18

    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    39 P. Marchetti, Spazio politico e confininella scienza giuridica del tardo medioevo,in P. Guglielmotti (a cura di), Distinguere,separare, condividere cit.

    40 G. d’Andrea, In tertium Decretaliumlibrum novella commentaria, Venetiis,1612, c. Super eo, tit. De Parochiis et alie-nis parochianis, 2.

  • confinario in cui corsi d’acqua si mescolavano alle vie campestri, pas-sando di fossa in fossato, di monte in collina e trovando un sicuroorientamento nella posizione di una pietra o di una croce41. La letturarestituisce un tracciato che si attua di segno in segno, lungo linee teo-riche che connotano una profonda volontà di strutturazione dello spa-zio: i confini descritti, pur incontrando numerosi elementi di discon-tinuità, procedono lungo assi ideali che tagliano o attraversanostrade, montagne, valli e corsi d’aqua, seguendo linee di appartenenzache non sempre assecondano un disegno topografico coerente. La pre-ferenza per un cammino quanto più possibile ininterrotto – anche sesolo nella traduzione scritta del paesaggio – sembra ambire a unaridefinizione geometrica dei luoghi misurati: «si tenta cioè di spostarel’attenzione materiale, oltre che giuridica, dall’uso alla proprietà»42

    preferendo allo spazio aperto la struttura rigorosa imposta da unosfruttamento prevalentemente agricolo.

    Il dato che sembra emergere è la volontà di legittimare il confineattraverso la rielaborazione concettuale di segni che traevano comun-que origine dal contesto rurale, rendendo contemporaneamente ope-rativa una suddivisione dello spazio in funzione della sua amministra-zione e gestione: come ha giustamente sottolineato Lagazzi, «l’impera-tività dell’istanza produttiva è talmente ovvia che è pressocchè scon-tato rilevarne l’importanza a livello terminale: un territorio delimitatoè certo anche un territorio considerato, di fatto o potenzialmente, pro-duttivo»43. Le considerazioni sviluppate dai giuristi, che non manca-vano di indicare i termini apparentes capaci di segnare aree di confine,codificando quelle caratteristiche che ne permettevano la differenzia-zione da un insieme generico altrimenti insignificante, trovano dun-que una puntuale applicazione nel brano citato: la cui analisi eviden-

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    41 Si legga, a titolo esemplificativo, unadelle numerose descrizioni confinarie pre-senti nel testo (consultabile all’indirizzointernet: http://vatlat3880.altervista.org/,alla sezione Schede Descrittive – Divise),relativa alla divisa Ducki, oggi identificatanella zona di Masseria Ducco e CaseDucotto, a circa tredici chilometri da Cor-leone (IGM, s. 25/V, Piana degli Albanesi,f. 258, sez. I-NO). Quello della divisa Duckidoveva essere un territorio collinare – loconfermano i frequenti riferimenti a mon-ticelli e valli – dove anzitempo si era mani-festato il fenomeno di desertificazione espopolamento dei casali, come testimo-niano i numerosi accenni ad edifici diruti,come quelli chiamati Helcasar, alle rovinetra gli alberi di sambuco o della sorgenteHassen, nonché a un edificio diruto ubi-

    cato nei pressi del pozzo Elseref. Nono-stante ciò, la presenza di un monticulumfossarum e di una «menaka, ubi mollifica-tur lini» sita in prossimità del vallone delfiglio di Lahacsen, lasciano intuire unadinamica attività agricola.42 L. Lagazzi, I segni sulla terra. Sistemi diconfinazione e di misurazione dei boschinell’alto Medioevo, in Il bosco nel Medioevo,a cura di B. Andreolli, M. Montanari,Clueb, Bologna, 1988, pp. 17-34:21.43 Ivi, p. 26; lo studioso ricorda inoltre chenel Medioevo «il confine non rappresentaancora, solo ed esclusivamente, un limitedi proprietà: più spesso, vista anche latipica ambiguità giuridica dell’epoca,regola semplicemente lo sfruttamento el’uso del territorio delimitato».

  • zia chiaramente come la dimensione di alcune pietre o la loro dispo-sizione, così come la tipologia delle essenze arboree o dei corsi fluviali,siano elementi capaci di indicare in maniera dirimente il tracciato diun confine44. La relativa stabilità e la consistente dimensione di que-sti elementi del paesaggio terrestre attribuivano infatti ai confini daessi segnati una caratteristica di durevolezza, che gli stessi giuristiritenevano imprescindibile, nonostante poi si dimostrassero consape-voli dell’azione di una natura spesso turbolenta e capace di ridefinirela topografia dei luoghi, così come della complessità intrinseca dialcuni elementi di separazione45.

    La scrittura di questi termini confinari si imponeva comunque,anche nel caso citato, come una sorta di operazione preliminare legataall’oculorum inspectio, perché – evidentemente – poteva mostrarsi riso-lutiva della vertenza di confine qualora se ne fosse presentata la neces-sità. Ciò non significa che questo tentativo di razionalizzazione, diricerca di linee preferenziali, spesso non finisse col perdersi – e il docu-mento analizzato ne è una prova – nella complessità dei singoli ele-menti descritti, lasciando intuire una visione dello spazio sommersadalla varietà del contesto territoriale. Nel lungo diploma monrealese latensione conoscitiva si esplica infatti in una microtoponimia a volteesasperata, che definisce ogni singola realtà produttiva ma anche i per-sonaggi a essa legata. Se rintracciare veri e propri confini apparivaun’operazione complicata, li si cercava andando a scavare nei ricordidegli anziani – fatto questo, che rappresentava una prassi normale del-l’epoca in questione – creando una forte compenetrazione umana, ter-ritoriale ed economica nelle zone di frontiera che sembra incrociareuna dimensione geografico-territoriale e una dimensione personale,intrinseca alla giurisdizione sugli uomini. La preferenza accordata alsupporto di un “catasto vivente”, di una realtà che attraverso la scrit-tura si rende conosciuta e riconoscibile, potrebbe indicare quasi unrifiuto dello spazio astratto e razionale in favore di un’umanità varia econcreta, che agisce, frequenta e gestisce il territorio.

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    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    44 Cfr. C. Milani, Il confine: note linguisti-che, in «Contributi dell’Istituto di StoriaAntica dell’Università Cattolica», XIII(1987), pp. 3-12. Il fiume posto al confinedi due territori è la materializzazione piùeclatante di un confine naturale e sul suoaspetto definitorio i doctores medievali siprodigarono nell’individuazione di uncomplesso di regole distintive; analoga-mente, anche i rilievi montuosi hanno, dasempre, rappresentato un elemento visi-bile di separazione tra territori confinantima, a differenza dei fiumi – irrequieti per

    vocazione – appaiono nella memoriaumana come elementi geografici immuta-bili. Tuttavia anche in questo casol’aspetto definitorio non è privo di inte-resse: l’indicazione dei tratti capaci di dif-ferenziare un monte da un colle «permet-teva infatti di attribuire un’identità speci-fica ad alcuni elementi del paesaggio ter-restre sui quali potevano scontrarsi pre-tese contrastanti» (P. Marchetti, De iurefinium cit., p. 201).45 Cfr. P. Marchetti, De iure finium cit., pp.183 e 184-185.

  • 4. Limen e litis: la risoluzione giuridicadelle controversie confinarie

    Come non mancano di ricordare numerosi giuristi, tra la parolalimen e la parola litis sembra esistere un legame piuttosto stretto:Girolamo Del Monte, riprendendo un’espressione di Virgilio, scriveinfatti che «limen erat positus litem ut discerneret agri»46. Non stu-pisce dunque il fatto che una tematica ricorrente in gran parte delladocumentazione relativa ai confini sia quella conflittuale: e lenumerose descrizioni di contenziosi presenti negli archivi sono itesti che, proprio questo periodo, sembrano offrire in maniera piùdiretta la rappresentazione dello spazio e del paesaggio di unadeterminata popolazione, prova evidente di come la società perce-pisca assai precocemente l’esistenza di linee di separazione tra dif-ferenti comunità47.

    Lo stesso segnalamento dei confini attraverso pratiche pubbli-che che ne fissino il tracciato nel ricordo degli uomini è una prassifrequente, che rinvia a una delle testimonianze più valide – per lascienza giuridica medievale – del passaggio di un tracciato di sepa-razione territoriale: la memoria degli abitanti del luogo. La geografia“popolare” viene innalzata a mezzo probatorio per eccellenza dallascientia iuris che, in materia confinaria, indica un complesso diregole capaci di comporre e stemperare gli attriti e le frizioni cheimmancabilmente si generano sul territorio48. In un’epoca in cuinessuna autorità politica era capace di riprodurre tracciati di con-fine sicuri, il ricorso alla prova orale, elaborato dal diritto comune,appare l’elemento in grado di legittimare i limiti zonali delle circo-scrizioni presenti sul territorio.

    Gli esempi prospettati dalla documentazione monrealese si pre-sentano, nell’ambito di questa dinamica conflittuale, caso emblema-tico. I conflitti scoppiati lungo le zone di confine e che avevano perprotagoniste le comunità locali si consumavano lontano dal duomo, in

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    46 G. Del Monte, Tractatus de finibusregendis, Venetiis, 1574, II, 10.47 Per un’ampia casistica si rimanda alfondamentale contributo di F. De Dain-ville, Cartes et Contestations au Xve siècle.Maps and litigations in the 15th century,«Imago Mundi», XXIV (1970), pp. 99-121:l’autore, attraverso il materiale d’archivioreperito, documenta numerose conteseterritoriali e di confine, tutte all’incirca delXV sec., sollevando più di un dubbio sul-l’idea, assai condivisa in ambito storiogra-fico, dell’indeterminatezza dei confini

    medievali legata all’assenza di carte.48 «Le zone di confine, in quanto zone adalta entropia sociale, sembrano reclamareda questo punto di vista l’intervento dipeace specialist» (P. Marchetti, De iurefinium cit., p. 4); sulla nozione di peacespecialist e la sua eventuale funzione inmateria di confini si vedano Confini eregioni. Il potenziale di sviluppo e di pacedelle periferie. Atti del convegno Problemi eprospettive delle regioni di frontiera (23-27marzo 1972), Lint, Trieste, 1973.

  • uno stillicidio di episodi minimi, ma riscontrabili in tutti i territorieuropei di antico regime49.

    Sul territorio amministrato da Santa Maria Nuova le vertenzegenerate dai conflitti territoriali, proprio perché legate alla vita eall’azione su spazi ben definiti, si svolgono secondo un approcciotopografico diretto che diventa non solo un termine concreto dellagestione del patrimonio50 ma anche un ulteriore elemento per l’appro-fondimento dello studio sulla “scrittura” del territorio già affrontatonei paragrafi precedenti.

    La territorialità sottesa al governo dell’arcivescovato era caratte-rizzata – come si è visto – da una trama assai complessa di confiniinterni, spesso ricadenti simultaneamente in più circoscrizioni, sullequali il tema dello ius confinandi non infrequentemente veniva sosti-tuito da mutevoli rapporti di supremazia innescati da soggetti, indi-viduali o collettivi, in grado di vantare particolari prerogative su diuno spazio dato e quindi, di disporne secondo il proprio volere. Nonè in effetti insolito incontrare, nelle lunghe descrizioni delle divisefornite dal rollo del 1182, contese tra circoscrizioni differenti inmerito al possesso di casali – come avviene a Summino («Et contine-tur infra eam divisam, de qua controversia est, casale que diciturCuctaie») – o, più comunemente, liti confinarie risolte da una com-missione composta da boni homines e veterani i quali, pur risiedendoall’interno dei distretti oggetto della discordia ed essendo parimentisottoposti alla giurisdizione della signoria, erano chiamati a testimo-niare o a dirimere le controversie. L’arbitrium boni viri era dunqueinteso come il criterio decisivo per determinare l’estensione o la col-locazione di ciò che doveva essere considerato un confine, perché ingrado di attribuire un significato particolare ai signa. In altre parole,nell’incertezza dei rapporti d’appartenenza, il ricorso alla generalisopinio radicata nella memoria degli anziani e dei maggiorenti venivaconsiderato un elemento di prova per fondare la liceità delle preteseavanzate dalle parti in conflitto.

    Non è inutile forse attirare l’attenzione sul significato che l’espres-sione boni homines assume in simili contesti, in relazione al tradizio-nale valore attribuitole nelle comuni notitiae, in cui i notai erano solitidichiarare che un determinato procedimento giuridico era stato com-piuto in presentia di boni homines nominativamente indicati. Neidocumenti di questo tipo infatti, l’impiego del termine fa leva essen-

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    49 Validi esempi posteriori sono forniti da E.Grendi, in La pratica dei confini: Miogliacontro Sassello, 1715-1745, «Quaderni Sto-rici», LXIII (1986), pp. 811-845, e O. Raggio,Costruzione delle fonti di prova: testimoniali,possesso e giurisdizione, in «Quaderni Sto-

    rici», XCI (1996), pp. 135-156.50 Cfr. B. Palmero, Regole e registrazionedel possesso in età moderna. Modalità dicostruzione del territorio in alta Val Tanaro,in «Quaderni Storici», CIII (2000) 1, pp.49-86:50.

  • zialmente sull’idoneità delle persone così designate – avuto riguardoalla loro estimazione sociale, che le rende fededegne – a fungere datestimoni e sottoscrivere i documenti; nei casi analizzati invece, il ter-mine boni homines assume un connotato sociale, indicando gruppieminenti non tanto dal punto di vista economico, quanto piuttosto daquello dell’amministrazione locale: in sostanza, una sorta di èlite con-tadina, esclusa dall’aristocrazia militare ma con capacità di azionepolitica su base regionale51. Un esempio: nella descrizione della MagnaDivisa Iati viene riportata tra gli elementi di confine una strada «queducit de Kalatafimo ad viam Permenin» evidentemente causa di lite, senel documento subito dopo si legge che «ad hanc autem divisam con-venerunt veterani Trapani, et veterani Jati». L’espressione è singolare:sembra infatti che gli anziani di Trapani e di Iato siano giunti in locoproprio nel momento in cui l’addetto agli accertamenti topografici stavaeffettuando i propri rilevamenti sul campo. Nel caso citato, la risolu-zione pacifica della controversia si ottiene appunto attraverso la visionevaloriale attribuita ai tracciati di limitazione tramandata dalla memo-ria dei boni homines: è cioè il tempo – un tempo fatto di abitudini, com-portamenti consolidati, spostamenti – a determinare il reale tracciatodelle linee di confine e l’identità geografica dei luoghi52.

    Più spesso però i disaccordi non erano ancora stati risolti, per cuinella giarida vengono riportate le varie posizioni degli anziani: a Mal-vito a esempio «dixerunt veterani Corilionis quoniam redit ad orientemcum via quousque pervenit ad divisam terre Ianuensis» e in contrap-posizione «dixerunt homines Malviti quod divisa secat et ascendit admeridiem usque ad capud terteri». Discordie sorgevano anche sulleparcelle coltivate53 fino ad arrivare a vere e proprie invasioni di grosseestensioni di terreno, come avveniva ancora a Malvito, il cui dominusnon solo aveva invaso il distretto confinante ma addirittura vi avevacostruito un mulino. Gli episodi menzionati, nella loro dimensionestorica, non sembrano essere dotati di caratteri eccezionali: fannoparte degli innumerevoli esempi di contestazione di confini che carat-

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    51 Su questa differenza di significato cfr. P.Brancoli Busdraghi, Masnada e bonihomines come strumento di dominio dellesignorie rurali in Toscana (secoli XI-XIII), inG. Dilcher, C. Violante (a cura di), Strut-ture e trasformazioni della signoria ruralenei secoli X-XIII, Il Mulino, Bologna, 1996,pp. 287-342:326 e L. Provero, L’Italia deipoteri locali. Secoli X-XII cit., pp. 188-189.52 In questo senso è spiegabile, ad esem-pio, perchè il principio dell'imprescrittibi-lità dei fines pubblici affermato con forzadai doctores del diritto comune, possa

    venire meno solo nel caso in cui nellamemoria delle comunità confinanti non visia più traccia del momento in cui lo spo-stamento dei confini sia stato effettuato(cfr. G. Del Monte, Tractatus de finibusregendis cit., c. LXXVII, vv. 15-20).53 Nella divisa Maganuge: «cultura quamdixerunt homines Iati esse quatragintasalmarum de terris Cumeyt»; a Malvito:«in quadraginta salmarum seminatura estdiscordia inter homines Corilionis ethomines Malviti».

  • terizzavano la vita delle comunità rurali, non solo in epoca medievale.Il loro rilievo sta quindi nella dimensione locale della narrazione sto-rica, dove la varietà dei casi evidenzia come la legittimità della pretesanon fosse sempre connessa al fatto che i suoi titolari si inserissero inuna gerarchia di potere, quanto piuttosto a una condizione di superio-ritas de facto, non riconosciuta giuridicamente ma comunque implici-tamente operante.

    Dagli accenni alle dispute confinarie emerge inoltre una dimen-sione delle tensioni locali che si realizzava in rapporti tra casali limi-trofi: nella “pratica dei confini” cioè, trovavano una composizionedinamica i diversi aspetti della conflittualità locale e delle sue prati-che di attivazione e ricomposizione. Attraverso la memoria dei finestramandata dagli anziani, la categoria giuridica del possesso si rista-biliva nel termine “usurpazione”, condiviso a ogni livello della società,che permetteva agli attori di rendere pubblico un conflitto, mobili-tando la protezione delle autorità.

    La denuncia orale dell’usurpazione preconizzava, in qualchemodo, il mantenimento di diritti attestato dal documento di reintegrodel possesso, dando origine a una tipologia sociologica delle manife-stazioni espressive di ostilità in grado di risolvere, talvolta, le tensioniin atto.

    La tipologia delle modalità di scontro e di ricomposizione sem-bra disporsi, nei casi esaminati, lungo un continuum ai cui estremistanno, da un lato, le liti confinarie risolte o sopite e dall’altro, leliti assolute, senza argini né vie di composizione, che richiedonoun’ingerenza esterna e quasi sempre il diretto intervento dell’auto-rità sovrana. In generale, questa tipologia si attesta in territori sog-getti alla giurisdizione di due diverse autorità giudiziarie, dove l’in-tervento del potere politico superiore per il mantenimento del pos-sesso investe un ruolo fondamentale sia per registrare ed autenti-care quanto eseguito dagli ufficiali, sia per reintegrare l’autoritàdella parte in causa lesa. In questo senso, la pratica dell’interces-sione regia, venne richiesta costantemente dagli arcivescovi diMonreale dall’epoca sveva in poi, quando numerosi territori deldominio ecclesiastico furono oggetto di illecite usurpazioni. Nelgennaio del 119554 a esempio, ricevendo la chiesa di Santa MariaNuova sotto la sua speciale protezione e confermandole i privilegi

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    SCRITTURA E MEMORIA DEL CONFINE

    54 Documento I.13 del cartulario (Paler-mo, 2 gennaio 1195 (XIII ind.): «Tenor pri-vilegii Henrici VIti imperatoris bullatibulla aurea qui una cum Constanciaimperatrice uxore sua approbat, conceditet confirmat ac sub speciali protectione etcustodia sua recipit ecclesiam Montis

    Regalis cum universis pertinenciis etbonis suis tam stabilibus quam mobili-bus cum observatione privilegiorum perregem Guillelmum Secundum eidemecclesie indultorum, videlicet cum libera-litatibus, consuetudinibus, dignitatibus,immunitatibus et aliis omnibus iuribus

  • precedentemente concessi, Enrico VI interveniva sulla questionedei territori pugliesi. La causa è comprensibile alla luce di undiploma successivo, col quale la regina Costanza dirimeva in favoredi Monreale la contesa sorta tra l’arcivescovo Caro e Corrado diMonte Fusculo, signore di Grumo, relativa alla tenuta di Bitetto:un’area di confine tra le città di Bitonto e Binetto particolarmenteambita dai signori locali55.

    La narratio del documento restituisce gli estremi del mandatoregio col quale, nel giugno del 1195, i giustizieri della Terra di Bariavevano ricevuto l’incarico di curare la presa del possesso da partedella chiesa di Monreale del gruppo di terre usurpate56. Nella tramadello scritto – un’istantanea globale delle forze in campo – emerge ilsenso di una disputa dinamica, cui partecipano attivamente la grandeabbazia siciliana, il signore locale, i tecnici del diritto e i numerosiboni homines chiamati a testimoniare. Per inciso, i territori pugliesiche la regina Costanza consegnava a Monreale, verranno definitiva-mente perduti dopo il 1378, a causa della separazione della Sicilia dalRegno di Napoli57.

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    quibus dicta ecclesia utebatur temporedicti regis et cum omnibus aliis bonis queusque ad tempus dicti imperatoris dictaecclesia acquisivit et que poterit acqui-rere in futurum».55 Doc. I.24 (Palermo 1196, dicembre, XIVind.): «Tenor privilegii Constancie impera-tricis et regine Sicilie super questione queolim fuit inter archiepiscopum MontisRegalis et Conradum de Monte Fusculotunc dominum Grumi, super quodamtenimento Bitecti quod dicitur Visciliequod adiudicatum fuit eidem ecclesie eteidem Conrado fuit impositum perpetuumsilencium super ipso». Sulla questione diGrumo, cfr. M. Caravale, Le istituzioni delRegno di Sicilia fra l’età normanna e l’etàsveva («Clio», XXIII (1987), pp. 373-423:387).56 «Tunc venientes boni senes hominesBitecti quorum nomina hec sunt: SymonGrippus, Nicolaus Senioris et Crisenciuset Bisancius, Guirdillus et Mellismirate etLeo Conflatus et Iohannes Lardus et Con-stantinus et Mellisbundus et IohannesPotus et Leo Maionis et Grusus, quiomnes quasi uno ore et uno corpore unusante alium ceperunt designare tam ipsasdivisas Viscilie quam et alterius tenimentiquod erat iuxta ipsum tenimentum Visci-

    lie, quod bitectenses in pace tenebant etnulla questio eis inferebatur a supradictodomino comite et hominibus Grumi». Nelmandato, non trascritto nel cartulario edemanato a Bitonto il 15 luglio del 1195(ind. XIII) si legge: «Giovanni di Montefortegiustiziere della terra di Bari, con l’assi-stenza di alcuni giudici di Bitonto eBitetto, per ordine dell’ImperatriceCostanza, sentiti i testimoni ed esaminatii documenti, rimette la chiesa di Monrealein possesso dei beni usurpatile nel territo-rio di Grumo» (cfr. C.A. Garufi, Catalogoillustrato del Tabulario di S. Maria laNuova cit., doc. 66, p. 33). Sulla cancelle-ria di Costanza d’Altavilla, sulla qualeancora manca un’elaborazione critica, cfr.T. Kölzer, La reggenza di Costanza nellospecchio dei suoi diplomi, «Atti dell’Accade-mia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo»,s. 5, VI (1981-82), Parte Seconda: Lettere,pp. 85-107.57 Dopo lo scisma, «Urbano VI mantennela Sicilia nella propria obbedienza permezzo di un rapporto privilegiato con iquattro vicari e del riconoscimento delleloro funzioni e dei loro poteri. [...] Fu puredeposto, perché scismatico, l’arcivescovodi Monreale – un catalano – e sostituito daUrbano con il francescano romano Paolo

  • 5. Conclusioni

    Dalla documentazione analizzata emerge una vera e propriaproduzione storica dei confini, che si articola in una molteplicità disoggetti e punti di vista e contemporaneamente registra un pro-cesso di riconoscimento reciproco, di legittimazione incrociata trapotere istituzionale e popolazione soggetta. Processi che si tradu-cono nella trascrizione documentaria in un’applicazione concreta,mirata e consapevole dei termini legati al territorio e al suo sistematerminale, seguendo l’istanza della confinazione come ermeneutica,conoscenza ed interpretazione dello spazio. Sia pure in modoancora “primitivo”, documenti come il rollum bullarum attestanochiaramente la volontà di esprimere un’identità spaziale, che siesplica nella precisione classificatoria e in un’accuratezza deri-vante, senza dubbio, da una maggiore capacità di intervento direttosul contesto territoriale.

    Simili testimonianze, intreccio di segni sulla carta e segni sullaterra fondato su permanenze e continue trasformazioni, danno la per-cezione concreta della lettura del territorio medievale come spazio fit-tamente intessuto di azioni, pertinenze, diritti, pretese ma sopratuttodi confini, da intendere non come semplici linee che separino in modototale ed esclusivo ma come zone liminali complesse e ambigue, causadi conflitto e ragione di pace, elementi di inclusione ed esclusione,ordine e disordine, definizione e divisione58.

    Questo carattere indefinito che il medioevo consegna all’epocamoderna, si tramanda anche nelle fonti giuridiche come un nucleosemantico che ingloba paesaggio e memoria: una memoria specifica,legata al tempo – quello dei ricordi dei boni homines – e allo spazio. Aquesta pratica fanno riferimento i doctores medievali, la cui analisispeculativa, seppur difficoltosa e mediata da concetti carichi di com-ponenti soggettivistiche, percettive e simboliche, trova poi una tangi-

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    Lapi. A lui non andarono i redditi pugliesidella diocesi (150 fiorini l’anno, la città diBitetto e i possedimenti a Brindisi, Mono-poli e Bitonto) che l’arcivescovo Guglielmoaveva ceduto temporaneamente al cancel-liere del Regno di Napoli Nicolò Spinelli eche Clemente VII confermò allo stesso inenfiteusi perpetua ed ereditaria, in consi-derazione della parte avuta dallo Spinellinella propria elezione» (S. Fodale, I vescoviin Sicilia durante lo scisma d’Occidente,inG. De Sandre Gasparini, A. Rigon, F. Tro-lese, G.M. Varanini (a cura di), Vescovi e

    diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVIsecolo. Atti del VII Convegno di studi dellaChiesa in Italia (Brescia, 21-25 settembre1987), 2 voll., Herder, Roma, 1990, pp.1061-1097:1063).58 La definizione – difficile dire meglio! – èripresa da R. McCor, studioso di dirittointernazionale attento al problema dellaconfinazione (cfr. R. McCor, Pushing Backthe Limitations of Territorial boundaries,«European Journal of International Law»,XII (2009), pp. 867-888).

  • bile applicazione nelle situazioni di frizione o di scrittura del confineproposte dalla documentazione analizzata. In questo senso, il datoche emerge con maggiore evidenza dalla fonte esaminata resta lavolontà di legittimare il confine attraverso una rielaborazione concet-tuale, anche laddove il segno terminale tragga la propria origine dalcontesto rurale, riversandola in una scrittura pianificata e trasferendoidealmente i segni terminali su un piano modellizzante che produceuna nuova definizione geografica.

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