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MA DAVVERO IL MOBBING NON E’ MAI REATO? di Beniamino Deidda* e Anna Guardavilla** Vediamo dunque quali valutazioni hanno ispirato la decisione finale della Corte. Prima ancora di esaminare gli ele- menti che hanno maggiormente inciso sull’esito del giudizio, si può osservare che la stessa qualificazione dolosa della condotta di mob- bing, risultante dall’accusa di lesioni personali volon- tarie gravi (per l’indebolimento dell’organo della fun- zione psichica), a ben guardare, ha posto le basi per una costruzione giuridica che potremmo definire “in salita”. Un’impostazione del genere implica infatti la prova che l’agente abbia ‘voluto’ la malattia psichica della vittima come conseguenza precisa del suo com- portamento. Ed è arduo ipotizzare e provare che un datore di lavoro persegua con volontà ed intenzionali- tà il disagio psichico di un suo dipendente. Ma, anche tralasciando l’elemento soggettivo del reato, ciò che più di tutto ha determinato la sentenza liberato- ria da parte del giudice è stata la difficoltà di dimostra- re la sussistenza della lesione (dal momento che “la mera alterazione del tono dell’umore non è riconduci- bile alla nozione di “lesione”, data la natura transeun- te e assai comune”) e dall’altra parte la difficoltà di individuare un atto illecito cui collegare eziologica- mente la malattia, dunque un atto che ne fosse la causa. Gli atti lesivi, infatti, erano “difficilmente in grado di rapportarsi alla patologia evidenziata” e, quanto alla lesione, dagli atti risulta una “malattia, a sua volta, non connotata da esiti allocabili cronologicamente – con sicurezza – quanto al suo insorgere, così da evi- denziare l’autore del fatto illecito e le circostanze modali dell’azione lesiva”. Dunque ciò che emerge dalle parole della Cassazione è che in questo specifico caso non è stata fornita la prova della lesione perché il dato oggettivo della malattia non è risultato provato, che è cosa diversa dal dire che le lesioni conseguenti ad una condotta mob- bizzante non possono mai costituire un illecito penale. 10-1 10-11/2007 1/2007 * Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste. ** Giurista, Associazione Ambiente e Lavoro. 1. La sentenza n. 33624 del 2007 della Cassazione Penale affronta la delicata questione della rilevanza penale del fenomeno ormai da anni noto come “mob- bing”, termine con il quale si suole indicare un “atteggiamento ostile e non etico posto in essere in forma sistematica - e non occasionale o episodica – da una o più persone, eminentemente nei confronti di un solo individuo il quale viene a trovarsi in una con- dizione indifesa e fatto oggetto di una serie di inizia- tive vessatorie e persecutorie” (Heinz Leymann). Nella divulgazione che di tale sentenza è stata fatta dalla stampa e dai mass media l’accento è stato posto sull’esito negativo del ricorso avanzato dalla parte civile e dal p. m., il cui valore, strettamente connes- so alla vicenda processuale dedotta in giudizio, è stato invece generalizzato fino al punto di ricavarne il principio secondo cui il mobbing non può essere configurato come un reato e ad esso può conseguire un ristoro nella sola sede civile. Tale approccio in realtà non tiene conto delle pre- messe giuridiche e delle caratteristiche peculiari del caso oggetto del giudizio, che emergono invece da una lettura rigorosa della sentenza stessa, dalla quale si evincono – peraltro senza troppi sforzi interpreta- tivi - carenze nell’impianto accusatorio e lacune a livello di accertamento probatorio, elementi che hanno avuto un peso determinante nella decisione della Cassazione. Solo avendo riguardo alla vicenda processuale ed alle argomentazioni giuridiche addotte dalla Corte, dunque, si può ricostruire il reale significato della pronuncia e ridimensionarne il valore che, lungi dal- l’essere assoluto e generale, è relativo e strettamente connesso alla fattispecie esaminata. Occorre dunque esaminare i motivi per i quali la Cassazione ha giudicato inaccoglibile il ricorso avverso la sentenza di non luogo a procedere resa dal GUP, partendo dalle conclusioni cui perviene la Corte stessa, allorché afferma che “la difficoltà di inquadrare la fattispecie in una precisa figura incri- minatrice, mancando nel codice penale questa tipiz- zazione, deriva qui dall’erronea contestazione del reato da parte del pm. L’atto di incolpazione è inca- pace di descrivere i tratti dell’azione censurata.Che è cosa ben diversa dal dire, come alcuni hanno fatto, che il mobbing non può costituire reato!

di Beniamino Deidda* e Anna Guardavilla** - cgil.itcgil.it/Archivio/SaluteeSicurezza/Iniziative/Mobbing_reato_Deidda... · vessazioni, violenze psicologiche e persecuzioni pro- lungate

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MA DAVVERO IL MOBBING NON E’ MAI REATO?di Beniamino Deidda* e Anna Guardavilla**

Vediamo dunquequali valutazionihanno ispirato ladecisione finaledella Corte. Prima ancora diesaminare gli ele-menti che hannom a g g i o r m e n t einciso sull’esitodel giudizio, si puòosservare che la

stessa qualificazione dolosa della condotta di mob-bing, risultante dall’accusa di lesioni personali volon-tarie gravi (per l’indebolimento dell’organo della fun-zione psichica), a ben guardare, ha posto le basi peruna costruzione giuridica che potremmo definire “insalita”. Un’impostazione del genere implica infatti laprova che l’agente abbia ‘voluto’ la malattia psichicadella vittima come conseguenza precisa del suo com-portamento. Ed è arduo ipotizzare e provare che undatore di lavoro persegua con volontà ed intenzionali-tà il disagio psichico di un suo dipendente.Ma, anche tralasciando l’elemento soggettivo del reato,ciò che più di tutto ha determinato la sentenza liberato-ria da parte del giudice è stata la difficoltà di dimostra-re la sussistenza della lesione (dal momento che “lamera alterazione del tono dell’umore non è riconduci-bile alla nozione di “lesione”, data la natura transeun-te e assai comune”) e dall’altra parte la difficoltà diindividuare un atto illecito cui collegare eziologica-mente la malattia, dunque un atto che ne fosse la causa.Gli atti lesivi, infatti, erano “difficilmente in grado dirapportarsi alla patologia evidenziata” e, quanto allalesione, dagli atti risulta una “malattia, a sua volta,non connotata da esiti allocabili cronologicamente –con sicurezza – quanto al suo insorgere, così da evi-denziare l’autore del fatto illecito e le circostanzemodali dell’azione lesiva”.Dunque ciò che emerge dalle parole della Cassazioneè che in questo specifico caso non è stata fornita laprova della lesione perché il dato oggettivo dellamalattia non è risultato provato, che è cosa diversa daldire che le lesioni conseguenti ad una condotta mob-bizzante non possono mai costituire un illecito penale.

10-110-11/20071/2007

* Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste.** Giurista, Associazione Ambiente e Lavoro.

1. La sentenza n. 33624 del 2007 della CassazionePenale affronta la delicata questione della rilevanzapenale del fenomeno ormai da anni noto come “mob-bing”, termine con il quale si suole indicare un“atteggiamento ostile e non etico posto in essere informa sistematica - e non occasionale o episodica –da una o più persone, eminentemente nei confronti diun solo individuo il quale viene a trovarsi in una con-dizione indifesa e fatto oggetto di una serie di inizia-tive vessatorie e persecutorie” (Heinz Leymann). Nella divulgazione che di tale sentenza è stata fattadalla stampa e dai mass media l’accento è stato postosull’esito negativo del ricorso avanzato dalla partecivile e dal p. m., il cui valore, strettamente connes-so alla vicenda processuale dedotta in giudizio, èstato invece generalizzato fino al punto di ricavarneil principio secondo cui il mobbing non può essereconfigurato come un reato e ad esso può conseguireun ristoro nella sola sede civile.Tale approccio in realtà non tiene conto delle pre-messe giuridiche e delle caratteristiche peculiari delcaso oggetto del giudizio, che emergono invece dauna lettura rigorosa della sentenza stessa, dalla qualesi evincono – peraltro senza troppi sforzi interpreta-tivi - carenze nell’impianto accusatorio e lacune alivello di accertamento probatorio, elementi chehanno avuto un peso determinante nella decisionedella Cassazione.Solo avendo riguardo alla vicenda processuale edalle argomentazioni giuridiche addotte dalla Corte,dunque, si può ricostruire il reale significato dellapronuncia e ridimensionarne il valore che, lungi dal-l’essere assoluto e generale, è relativo e strettamenteconnesso alla fattispecie esaminata.Occorre dunque esaminare i motivi per i quali laCassazione ha giudicato inaccoglibile il ricorsoavverso la sentenza di non luogo a procedere resa dalGUP, partendo dalle conclusioni cui perviene laCorte stessa, allorché afferma che “la difficoltà diinquadrare la fattispecie in una precisa figura incri-minatrice, mancando nel codice penale questa tipiz-zazione, deriva qui dall’erronea contestazione delreato da parte del pm. L’atto di incolpazione è inca-pace di descrivere i tratti dell’azione censurata.” Che è cosa ben diversa dal dire, come alcuni hannofatto, che il mobbing non può costituire reato!

A tutto ciò va aggiunta la mancanza della prova di unulteriore e fondamentale elemento caratterizzante ilmobbing, rappresentato dalla “mirata reiterazione diuna pluralità di atteggiamenti, anche se non singolar-mente connotati da rilevanza penale, convergenti sianell’esprimere l’ostilità del soggetto attivo verso lavittima sia nell’efficace capacità di mortificare ed iso-lare il dipendente nell’ambiente di lavoro”. Anche in questo caso, infatti, viene rilevata dallaCorte una “reiterazione di condotte non compiuta-mente contestata; inoltre riferita ad azioni in sé privedi potenzialità direttamente lesiva dell’integrità dellavittima (come ingiurie, diffamazioni, ecc.), o prive diriscontri di esiti obiettivamente dimostrabili”. La stessa difficoltà riscontrata nell’individuazionedell’azione e dell’evento investe poi anche il nesso dicausalità, dal momento che “è ben ardua la ravvisa-bilità del rapporto di cui all’art. 40 c.p. di una singo-la ingiuria o di una sola propalazione diffamatoria ointimidativa (i cui contorni restano oscuri, non essen-do assolutamente specificati nell’addebito di accusa)[…] Non è conseguentemente data la ravvisabilità deiparametri di frequenza e di durata nel tempo delleazioni ostili poste in essere dal soggetto attivo dellelesioni personali, onde valutare il loro complessivocarattere persecutorio e discriminatorio”.Alla luce di tali premesse, è evidente che il fatto che nonsia stato possibile provare la sussistenza degli atti lesivie la loro reiterazione nel tempo, la conseguente lesione,ed il nesso di causalità tra tali elementi, non significache non sia possibile che in altri casi tali elementi pos-sano essere invece ritenuti sussistenti e che la loro sus-sistenza possa essere dimostrata in sede penale.Sostenere il contrario rappresenterebbe un’operazioneinterpretativa priva di fondamento giuridico. E soprat-tutto non avrebbe riscontro in ciò che ha detto laCassazione, la quale nel motivare l’inadeguatezza deglielementi addotti dall’accusa a sostegno della propriatesi, lungi dal sostenere che il mobbing non può inte-grare una fattispecie penale, ha fornito indicazioni suirequisiti che devono sussistere affinché venga provatatale responsabilità: “la prova della responsabilità“deve essere verificata, procedendosi alla valutazionecomplessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesi-vi … che può essere dimostrata per la sistematicità edurata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristicheoggettive di persecuzione e discriminazione, risultantispecificamente da una connotazione emulativa e prete-stuosa.”(cfr. Cass. civ., Sez. L., 6.2006, Meneghello/Unicredit Spa, CED Cass. 587359)”. E tale dimostrazione, in questo caso, non è stata ade-guatamente fornita.

2. Una volta acclarata, o meglio riaffermata la confi-gurabilità di una tutela penale in caso di mobbing,occorre prendere in considerazione i vari casi in cui iltale condotta potrebbe dar luogo a conseguenze pena-li trovando riscontro in alcune ipotesi di delitti dolosie colposi previste dal codice penale.Poiché, come si è ricordato, nell’attuale ordinamentopenale non vi è una norma tassativa che definiscapenalmente illecita la condotta di chi pone in esserevessazioni, violenze psicologiche e persecuzioni pro-lungate nel tempo sul luogo di lavoro, occorre far rife-rimento alle singole fattispecie di reato previste dalcodice penale cui possono essere ricondotti i compor-tamenti costitutivi del mobbing. La prima di tali ipotesi ci viene indicata dalla stessaCassazione Penale nella sentenza (n. 33624 del 2007)qui commentata, nella quale si legge: “E’ approdo giu-risprudenziale di questa Corte che la figura di reatomaggiormente prossima ai connotati caratterizzanti ilc.d. mobbing è quella descritta dall’art. 572 c.p., com-messa da persona dotata di autorità per l’esercizio diuna professione: si richiama, in tal senso, per unasituazione di fatto giuridicamente paragonabile – inlinea astratta – alla presente Cass. sez. VI, 22.1.2001,Erba, CED, Cass. 218201. Ove si accolga siffatta lettura, risulta evidente che, sol-tanto per l’ipotesi dell’aggravante specifica della cita-ta disposizione, si richieda la individuazione della con-seguenza patologica riconducibile agli atti illeciti”.Al reato di maltrattamenti previsto dall’articolo 572del codice penale, che presuppone l’intenzionalitàdell’azione (nella fattispecie dell’azione mobbizzan-te), la giurisprudenza è a volte ricorsa anche nel casodi molestie sul lavoro (v. per tutte Cass. Pen. 12 marzo2001, n. 10090 in Guida al Dir., 2001, 20).

Vi sono poi altre fattispecie tipiche a cui la condottadel c.d. mobber può essere ricondotta. L’aver provocato, a seguito di azioni mobbizzanti, undanno alla salute anche psichica del lavoratore connegligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza dinorme scritte, quali ad esempio l’articolo 2087 c.c.,può determinare la responsabilità per il reato di lesio-ni personali colpose previsto dall’articolo 590 c.p.Alle lesioni personali possono poi essere applicate,a seconda dei casi, le circostanze aggravanti previ-ste dall’articolo 583 del codice penale o, nell’ipote-si in cui il reato sia stato commesso con violazionedelle norme sulla prevenzione infortuni (ad es. leprescrizioni contenute negli artt. 3 e 4 del D.Lgs.626/94), le aggravanti contenute nel terzo commadell’articolo 590 c.p.

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Legge n. 123/2007 e T.U., informazioni all'indirizzo:http://www.amblav.it/testounico.asp

In caso di mobbing potranno inoltre verificarsi com-portamenti lesivi dell’onore, del decoro o della repu-tazione del prestatore di lavoro, quali ingiurie (art.594 c.p.) o diffamazioni (595 c.p.). Potranno, ancora, ricorrere il reato di violenza privata(art. 610 c.p.), o di minaccia (612 c.p.), o, nell’ambitodella Pubblica Amministrazione, potrà configurarsiuna responsabilità per il reato proprio dell’abuso d’uf-ficio (art. 323 c.p.).Vale la pena di rilevare che in una recente sentenza (n.16148 del 20 luglio 2007), la Cassazione Civile, pur nonfacendo espresso riferimento al fenomeno del mobbing,ha giudicato in merito al ricorso avanzato da un lavora-tore che assumeva che “il proprio datore di lavoro, ben-ché costantemente informato, aveva omesso di adottaregli opportuni provvedimenti per tutelare l’esponente ela moglie dalle continue aggressioni e minacce deglialtri dipendenti”, precisando che “per tali fatti delittuo-si era stato iniziato un procedimento penale a carico diquattro dipendenti […] per i reati di furto, ingiurie,minacce e lesioni personali, concluso […] con sentenzaistruttoria di improcedibilità per amnistia.” Dalla sentenza emerge altresì che tali fatti delittuosierano “protratti nel tempo” e che era rintracciabileuna “colpevole negligenza del datore di lavoro pertutto il tempo in cui i reati sono stati commessi, cia-scuno dei quali era idoneo a fondare la richiesta dirisarcimento”.

3. Se è vero che il mobbing può integrare uno o piùdelitti previsti dal codice penale, non bisogna dimen-ticare che tale condotta può dare luogo altresì a con-seguenze contravvenzionali per le quali occorre fareriferimento alle leggi penali speciali in materia di tute-la dei lavoratori sui luoghi di lavoro.In particolare occorre verificare quali siano le specifi-che contravvenzioni, contenute nella legislazionevigente in materia di salute e sicurezza, che possonoessere oggetto di violazione da parte del soggetto cheponga in essere il mobbing sul lavoro nonché quali diesse siano realmente applicabili a tale fenomeno e conquali modalità.Tale questione è strettamente connessa a quella del-l’inquadramento e della qualificazione che si intendedare a tale comportamento alla luce delle categorieconcettuali che caratterizzano l’ambito prevenzioni-stico ed in particolare l’ambito della salute sui luoghidi lavoro. Detto più semplicemente, il mobbing vainquadrato come il rischio del verificarsi di un eventolesivo della salute del lavoratore, che il datore di lavo-ro ha l’obbligo di valutare ai sensi dell’art. 4 delD.Lgs. 626/94, o come evento in sé, ovvero alla stre-gua di una malattia?Partendo dalla prima questione, verifichiamo qualiviolazioni di norme contravvenzionali previste dallalegislazione prevenzionistica siano configurabili incaso di mobbing.

A tal fine occorre far riferimento agli articoli 3 e 4 delD.Lgs. 626/94 che prescrivono fondamentali obblighidi natura organizzativa e procedurale a carico deldatore di lavoro. L’art. 3 comma 1 lettera d) obbliga quest’ultimo a rea-lizzare la “programmazione della prevenzione miran-do ad un complesso che integri in modo coerente nellaprevenzione le condizioni tecniche ed organizzativedell’azienda, nonché l’influenza dei fattori dell’am-biente di lavoro”.Tale norma, dunque, impone l’adozione di misureorganizzative idonee a tutelare la salute psico-fisicadel lavoratore, tra le quali possono essere ricompreseanche quelle atte a prevenire le situazioni che rappre-sentano un facile terreno di coltura del mobbing, quali- a titolo di esempio - un cattivo stile manageriale, unambiente di lavoro sfavorevole ed un’organizzazionedel lavoro inadeguata.Riguardo a quest’ultimo aspetto, ad esempio, fattoririlevanti nella causazione del mobbing ed inerentiall’organizzazione del lavoro possono essere le cro-niche carenze di organico unite alle forti pressionilavorative, i compiti mal definiti, il lavoro mal orga-nizzato, lo stile eccessivamente gerarchico, le istru-zioni insufficienti o addirittura la mancanza di infor-mazioni. Proprio in tal senso, occorre far riferimento anche adaltre misure generali di tutela previste dall’art. 3 comma1 del D.Lgs. 626/94 che possono a loro volta costituireoggetto di violazione da parte del datore di lavoro cheponga in essere il mobbing verso un lavoratore.La lett. f) del medesimo comma vincola il datore dilavoro al “rispetto dei principi ergonomici nella con-cezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezza-ture e nella definizione dei metodi di lavoro e produ-zione, anche per attenuare il lavoro monotono e quel-lo ripetitivo.” E ancora, le lett. s) e t) prescrivono rispettivamente la“informazione, formazione, consultazione, partecipa-zione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti,sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sulluogo di lavoro” ed “istruzioni adeguate ai lavorato-ri”. Ed è intuitivo in quale modo l’inosservanza diqueste due ultime norme possa venire in rilievo inmateria di mobbing.

Di fondamentale importanza sono poi gli obblighipenalmente sanzionati contenuti nell’art. 4, comma 5,lett. b) e c), ai sensi del quale il datore di lavoro:

“aggiorna le misure di prevenzione in relazione aimutamenti organizzativi e produttivi che hanno rile-vanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro,ovvero in relazione al grado di evoluzione della tec-nica della prevenzione e della protezione”;“nell’affidare i compiti ai lavoratori tiene contodelle capacità e delle condizioni degli stessi in rap-porto alla loro salute e alla sicurezza”.

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Questo secondo obbligo impone al datore di lavoro diprocedere ad una adeguata attribuzione delle mansio-ni al lavoratore, che non contempla ad esempio ilcosiddetto ‘demansionamento’, cioè un uso indebitodel lavoratore fuori dalla mansione cui sia stato desti-nato, senza che ciò venga giustificato da ragioni orga-nizzative e senza una previa valutazione in merito allesue condizioni in termini di salute e sicurezza.

4. Passiamo ora ad analizzare la seconda questione,ovvero se il mobbing vada considerato un rischio, e quin-di come tale vada obbligatoriamente valutato ai sensidell’articolo 4 D.Lgs. 626/94, o sia piuttosto da conside-rarsi alla stregua di una patologia, ovvero di una malat-tia professionale conseguente all’azione persecutoria.E’ dunque necessario far emergere le caratteristicheprecipue che tale fenomeno presenta e verificarne lacompatibilità o meno con le categorie citate, a partiredal concetto di rischio.Se identifichiamo il mobbing come un rischio lavorati-vo, dobbiamo anzitutto partire, nell’ottica della valuta-zione dei rischi, dalla questione dell’identificazione del“pericolo”, definito dalla letteratura scientifica come laproprietà o qualità intrinseca di una determinata elemen-to (ad es. materiali o attrezzature di lavoro, metodi e pra-tiche di lavoro), avente il potenziale di causare danni (v.Linee Guida CE sulla Valutazione dei rischi).Calando tale definizione nella realtà del mobbing, dob-biamo rilevare che, sebbene possano esservi condizioniorganizzative oggettivamente riscontrabili atte a concor-rere nella verificazione del fenomeno, esse interagisco-no necessariamente, per la natura stessa del mobbing,con il duplice elemento soggettivo rappresentato da unlato da una volontà umana direzionata a porre in essere

tale condotta nei confronti di un altro lavoratore (chepuò anche assumere le sembianze di un’intenzionalitànon espressa), e dall’altro dalla reazione della vittimadel mobbing che sarà più o meno rilevante a secondadella capacità individuale di tale soggetto di far frontealla prevaricazione perpetrata nei suoi confronti. Nell’eziologia del mobbing, infatti, le condizioniorganizzative dell’ambiente di lavoro e le politiche digestione complessiva dell’azienda interagiscononecessariamente con le risorse psicologiche, la perso-nalità e la capacità di resistenza individuale dei singo-li lavoratori coinvolti.Dunque già la fase dell’individuazione del pericolocomporta una prima difficoltà nell’identificazione delmobbing come rischio lavorativo.Se poi consideriamo che il mobbing può essere perpe-trato non solo dal datore di lavoro ma anche da altrisoggetti (un dirigente o un qualsivoglia dipendenteverso un altro lavoratore) nell’ottica della valutazionedei rischi il discorso si complica ulteriormente.Spesso il “mobber” è il datore di lavoro stesso, ovve-ro colui che peraltro ha la paternità giuridica (con leconnesse responsabilità) del documento di valutazio-ne dei rischi, circostanza che può già far emergere unaprima contraddizione.In tale eventualità, infatti, anche il processo di valuta-zione dei rischi che prevede, a seguito dell’identifica-zione dei rischi, l’eliminazione di questi o, qualoranon sia possibile, la loro riduzione al minimo con laconseguente individuazione delle misure di prevenzio-ne e protezione corrispondenti, non sortirebbe alcuneffetto reale, di fronte ad una volontà persecutoria uni-laterale riferibile allo stesso soggetto investito dallalegge del compito di prevenire tali comportamenti.

Che risultati potrebbero sortire, adesempio, la formazione e l’informa-zione nei confronti dei lavoratori,mirate alla sensibilizzazione di questiin materia di mobbing e quindi allapromozione di un clima aziendale dicollaborazione, qualora la condottafinalizzata all’emarginazione di uno opiù lavoratori provenisse dallo stessodatore di lavoro, ad esempio nell’am-bito di un disegno finale di ridimen-sionamento del personale?Anche il diverso caso in cui l’autore delmobbing sia un soggetto diverso daldatore di lavoro presenta le sue insidie,dal momento che, se è vero che in taleevenienza lo strumento della valutazio-ne dei rischi potrebbe tornare ad essereapplicabile, è evidente che presuppostoper tale applicabilità dovrebbe essere ilfatto che il datore di lavoro in qualchemodo venga a conoscenza del mobbing(analogamente a quanto accade nel

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caso di un infortunio o di una malattia professionale) oquantomeno dei suoi segnali “sentinella”, affinché que-gli possa adottare i provvedimenti del caso.Non può essere infatti esclusa l’ipotesi, presa in varicasi in considerazione anche dalla giurisprudenza, cheil datore di lavoro, pur usando la normale diligenza,non sia venuto a conoscenza di tali comportamenti. Altre difficoltà, nell’inquadramento del mobbing nel-l’ambito della valutazione dei rischi, possono poiporsi, nella fase preliminare alla valutazione deirischi, sul piano della raccolta delle informazioni, del-l’identificazione delle persone esposte ai rischi e deimodelli di esposizione di queste nonché, nella fasevera e propria della valutazione dei rischi, sul piano adesempio del calcolo delle probabilità di danni nellecircostanze presenti al momento della valutazione.Non si può non osservare, infatti, come la previsionedel danno derivante dal mobbing dipenda in largamisura anche dal livello di capacità di resistenza indi-viduale alle aggressioni esterne di cui sia dotata la vit-tima del mobbing.Il mobbing può infatti dare luogo a diversi tipi di rea-zione a seconda della capacità della persona offesa ditrovare in se stessa le risorse per reagire al soprusoche sta subendo. Il che, se non ha evidentemente con-seguenze sul piano del diritto alla tutela di tale lavora-tore dal momento che è principio indiscusso quelloper cui “la Costituzione, nel suo art. 32, e la legge,nell’art. 2087 c.c., tutelano tutti indistintamente i cit-tadini, siano essi forti e capaci di resistere alle preva-ricazioni siano viceversa più deboli e quindi destinatianzitempo a soccombere”1, ne ha invece inesorabil-mente sul piano di una eventuale valutazione preven-tiva degli impatti che un’azione di mobbing puòavere, in un’ottica di valutazione dei rischi. Anche volendo superare le difficoltà derivanti dall’ap-plicazione al mobbing della procedura della valuta-zione dei rischi, la questione sostanziale resta comun-que quella della prevedibilità.Occorre cioè domandarsi, andando al nocciolo dellaquestione, quanto possa essere ritenuto prevedibile uncomportamento che, pur favorito da una situazioneorganizzativa specifica, che possiamo assumere veri-ficabile e valutabile, è comunque determinato anchedall’elemento soggettivo, sia nella sua eziologia chenella “risposta” che a tale comportamento viene datada parte di chi lo subisce.La questione è di rilevante importanza sul piano deldiritto ed in particolare ai fini della determinazionedell’esigibilità o meno di tale valutazione da parte del-l’ordinamento, se partiamo dal presupposto per cui ildatore di lavoro è tenuto a prevedere tutto ciò che siaprevedibile fino al limite dei comportamenti impreve-dibili, esorbitanti dal processo produttivo.Ciò risulta ancora più evidente se si considerano i trat-ti caratterizzanti il fenomeno del mobbing, che si sonopiù volte evidenziati.

A questo proposito la Cassazione ci ricorda che il mob-bing “può realizzarsi con comportamenti datoriali,materiali o provvedimentali, indipendentemente dal-l’inadempimento di specifichi obblighi contrattuali odalla violazione di specifiche norme attinenti alla tuteladel lavoratore subordinato” e che, in tal caso, “la sussi-stenza della lesione del bene protetto e delle sue conse-guenze deve essere verificata - procedendosi alla valuta-zione complessiva degli episodi dedotti in giudizio comelesivi - considerando l’idoneità offensiva della condotta,che può essere dimostrata, per la sistematicità e duratadell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettivedi persecuzione e discriminazione, risultanti specifica-mente da una connotazione emulativa e pretestuosa”(Cass., Sez. Lav, 6 marzo 2006, sent. n. 4774).Se dunque uno degli elementi costitutivi del mobbingè la sistematicità e durata della condotta nel tempo, èlecito domandarsi come sia possibile fare una valuta-zione preventiva in merito alla reiterazione di un certocomportamento (che può essere di natura lecita) o aduna sua finalizzazione criminosa, diversamente daquanto si può dire rispetto ad una valutazione com-plessiva condotta a posteriori degli episodi dedotti ingiudizio come lesivi, nella quale il giudice può tenerconto di un quadro composto da azioni che, se pureirrilevanti giuridicamente se prese singolarmente,complessivamente considerate possono comporre unquadro delittuoso rilevabile ex post. E ancora, se i mezzi per la realizzazione del mobbingpossono consistere in atti materiali o provvedimenta-li, anche a prescindere dall’inadempimento di specifi-chi obblighi contrattuali o dalla violazione di specifi-che norme attinenti alla tutela del lavoratore subordi-nato, a quali indici oggettivi può essere ancorata, invia preventiva, una previsione? Tutto ciò ci induce ad affermare che il mobbing nonpossa che essere considerato alla stregua di una pato-logia del sistema rispetto alla quale può solo (e deve)essere verificata l’attuazione dei fondamentali obbli-ghi organizzativi contenuti nelle norme contravven-zionali previste dalla legislazione prevenzionistica,sopra ricordate.

5. Per concludere questa breve escursione sugliaspetti penalistici che vengono in evidenza nel feno-meno del mobbing, due parole devono essere spesesull’opportunità, da più parti sostenuta, di introdurrenell’ordinamento una nuova fattispecie penale chemeglio definisca e sanzioni il mobbing.Tale opportunità involge considerazioni che apparten-gono a due piani distinti: il primo di natura eminente-mente politica e il secondo più squisitamente giuridico.Quanto al primo aspetto, non va sottovalutato il parti-colare clima culturale nel quale trovano speciale riso-nanza quegli aspetti di aggressione alla salute chederivano dalle incongruenze organizzative, dallecostrizioni psichiche e dalle violenze morali.

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1 Tribunale di Torino, 16 novembre 1999.

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Tutto questo trova oggi qualche amplificazione nono-stante non siano affatto scomparse le prevaricazioni ele aggressioni al ‘corpo’ ed alle membra dei lavorato-ri, i quali purtroppo continuano a perdere gli arti, acadere dall’alto e a morire.Questa non è una buona ragione per trascurare leaggressioni psico-fisiche che la moderna organizza-zione del lavoro riserva ai lavoratori. Ma certo, sulpiano politico, occorre una visione equilibrata, capacedi risolvere i problemi veri del lavoro e della salutedei lavoratori, più che di correre dietro alle suggestio-ni delle mode culturali.Sul piano strettamente giuridico, invece, non si fa fati-ca a riconoscere l’esigenza di una maggior precisionelegislativa. Nonostante gli sforzi compiuti dalla giuri-sprudenza per inquadrare il mobbing negli schemi difattispecie giuridiche diverse, dai maltrattamenti allemalattie da lavoro, dall’ingiuria alla violenza privata,dall’abuso di ufficio alle molestie, non vi è dubbio che

gli elementi tipici del mobbing sfuggono e non silasciano rinchiudere nello schema di reati diversi.Certamente nel mobbing c’è l’ingiuria o la diffama-zione, ma non solo; c’è la violenza morale, ma nonsolo; c’è l’abuso dell’autorità nel luogo di lavoro, manon solo. C’è in più appunto, ciò che è tipico del mob-bing, quella reiterazione persecutoria, quella sottilecostrizione che si subisce solo quando si è inquadratiin una organizzazione lavorativa e si è soggetti all’al-trui autorità che degenera in prevaricazione e in arbi-trio. Ebbene, nessuna delle fattispecie di reato chesono state finora utilizzate dai giudici contiene in séquesta specificità. Se, dunque, si vuole perseguire con maggior decisioneun fenomeno certamente odioso, non resta che ricorre-re ad una più precisa formulazione giuridica; si evite-rebbe così che dalle maglie di grossolane imputazionisfuggissero comportamenti che la collettività giudicalesivi della dignità e della salute dei lavoratori.

RESPONSABILITA' PENALE DEL SINDACO PERVIOLAZIONE OBBLIGHI ANTINFORTUNISTICI

Corte di Cassazione Penale, Sez. III, n. 35137 del 20 settembre 2007, Pres. Postiglione, Ricorrente Lo T.

(con nota di commento di Anna Guardavilla)

Omessa individuazione del datore di lavoro in un Comune

Svolgimento del processo.Con sentenza del 24.4.2006 il tribunale di Messinasezione distaccata di Taormina ha condannato Lo T.Domenico nella veste di sindaco del comune diGallodoro alla pena di euro 1.500,00 di ammenda peruna serie di contravvenzioni alla normativa sulla sicu-rezza del lavoro – avere omesso di elaborare il docu-mento sulla valutazione dei rischi sulla sicurezza esalute durante il lavoro; avere omesso di designare ilresponsabile del servizio di prevenzione e protezione;avere omesso di nominare il medico competente. Era emerso in dibattimento che la Asl di Messina,Servizio medicina, aveva proceduto ai controlli dilegge ed avendo constatato la inosservanza di talinorme aveva prescritto al Sindaco di adeguarsi alladisciplina vigente nel termine di giorni 180 constatan-do, alla scadenza, che le prescrizioni non erano stateosservate.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazio-ne l’imputato a mezzo del difensore deducendo a) vio-lazione di legge per avere il giudicante ritenuto che laresponsabilità in materia spetti all’autorità politicainvece che ai funzionari comunali aventi funzionidirettive: ciò in contrasto con la previsione dell’art. 2co. 1 lett. b) della legge 626 del 1994 o alternativa-mente b) difetto di motivazione non essendo statospiegato in base a quale ragionamento il giudice abbiaindividuato la responsabilità del sindaco.

Motivi della decisione.Il ricorso è infondato e deve essere respinto. Con l’unico motivo vi si lamenta l’errata attribuzioneal sindaco della responsabilità per l’inosservanza dellanormativa antinfortunistica all’interno del comunesostenendosi che la responsabilità stessa dovesse con-figurarsi a carico dei dirigenti o funzionari dell’ente. Così come nota il ricorrente, a mente dell’art. 2 lett. b)del D.Lvo 626 del 1994, contenente l’attuazione diuna serie di direttive CE riguardanti il miglioramentodella sicurezza e della salute dei lavoratori durante illavoro “nelle pubbliche amministrazioni per datore dilavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteridi gestione ovvero il funzionario non avente qualificadirigenziale nei soli casi in cui quest’ultimo sia prepo-sto ad un ufficio avente autonomia gestionale”. E tut-tavia perché tale disposizione trovi pratica attuazioneoccorre che gli organi di direzione politica – nelnostro caso il sindaco - procedano alla individuazionedei soggetti ai quali attribuire la qualifica di datore dilavoro di cui alla disposizione stessa, in conformitàperaltro a quanto agli stessi organi imposto dall’art. 30del D.Lvo 19.3.1996 n. 242 contenente modifiche edintegrazioni al D.Lvo n. 242 del 1994. Nella specie non risulta che ciò sia avvenuto tanto èvero che il ricorrente neppure in questa sede si è pre-murato di indicare il soggetto da considerare all’inter-no del suo comune come datore di lavoro limitandosiad effettuare una generica affermazione di principio. La mancata indicazione non può che avere come con-seguenza il permanere in capo al soggetto titolaredella responsabilità politica – nella specie il sindaco –della qualità di datore di lavoro e ciò ovviamenteanche ai fini della responsabilità per la violazionedella normativa antinfortunistica. In questi precisi termini è l’indirizzo già affermatosidi questa Corte Suprema quale risulta da Sez. IV, sent.n. 38840 del 2005 Rv 232418, con la quale è stataconfermata la responsabilità di un sindaco per l’infor-tunio occorso ad un operaio del comune. Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricor-rente al pagamento delle spese processuali.

PQM.La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso econdanna il ricorrente al pagamento delle spese pro-cessuali.

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In un Comune, la mancata individuazione da partedegli organi di direzione politica – nella fattispecie ilSindaco - dei soggetti ai quali attribuire la qualificadi datore di lavoro di cui all’articolo 2 comma 1 lett.b) D.Lgs. 626/94, in conformità peraltro a quantoagli stessi organi imposto dall’art. 30 del D.Lgs.19.3.1996 n. 242, non può che avere come conse-guenza il permanere in capo al soggetto titolaredella responsabilità politica della qualità di datoredi lavoro e ciò anche ai fini della responsabilità perla violazione della normativa antinfortunistica.

La ricostruzione del caso.Imputato è Lo T. Domenico, in veste di Sindaco delComune di G.Questi è stato condannato dal Tribunale (quindi inprimo grado) alla pena di euro 1.500,00 di ammendaper le seguenti contravvenzioni:- omessa predisposizione del documento di valutazio-

ne dei rischi;- omessa designazione del responsabile del servizio di

prevenzione e protezione;- omessa nomina del medico competente.Si noti peraltro che si tratta di obblighi fondamentaliche attengono alla fase di pianificazione e predisposi-zione dell’intero sistema di gestione per la salute esicurezza di una qualsivoglia organizzazione.La responsabilità qui non consegue ad un infortunio:il procedimento che ha condotto alla condanna inprimo grado del Sindaco ai sensi del D.Lgs. 758/94 èstato attivato da una verifica dell’ASL la quale, proce-dendo agli ordinari controlli di legge, aveva constata-to l’inosservanza degli obblighi suindicati prescriven-do al Sindaco di adeguarsi alla disciplina vigente neltermine di centottanta giorni. Trascorso tale periodo,l’Organo di Vigilanza aveva constatato la mancataregolarizzazione e ciò aveva determinato la ripresa delprocedimento penale e la condanna in primo grado. I motivi di ricorso: con il ricorso per Cassazione l’im-putato lamenta l’errata attribuzione al Sindaco dellaresponsabilità per l’inosservanza della normativaantinfortunistica all’interno del Comune, sostenendoche tale responsabilità vada configurata a carico deidirigenti o funzionari dell’ente. Il ricorso viene rigettato dalla Suprema Corte.Vediamo perché.

Il principio giuridico sancito dalla Corte diCassazione.

Ricostruiamo preliminarmente il quadro normativoche sorregge tale interpretazione.L’art. 2 lett. b) del D.Lgs. 626/1994 prevede che“nelle pubbliche amministrazioni per datore di lavo-ro si intende il dirigente al quale spettano i poteri digestione ovvero il funzionario non avente qualificadirigenziale nei soli casi in cui quest’ultimo sia pre-posto ad un ufficio avente autonomia gestionale”.

Come sottolinea la Corte stessa, affinché tale disposi-zione trovi pratica attuazione occorre che gli organi didirezione politica, nella fattispecie il Sindaco, proce-dano all’individuazione dei soggetti ai quali attribuirela qualifica di datore di lavoro di cui alla disposizionestessa, in conformità a quanto disposto dall’art. 30del D.Lgs. 19 marzo 1996 n. 242.

Quest’ultima norma, infatti, aveva imposto - undici annior sono - agli organi di direzione politica o, comunque,di vertice delle amministrazioni pubbliche di cui all’art.1 c. 2 D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, di procedere - entrosessanta giorni – all’individuazione di tali soggetti,tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionaledegli uffici nei quali l’attività veniva svolta.

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Il commento alla sentenzadi Anna Guardavilla

La Suprema Corte sancisce qui il principio per cuila mancata individuazione del datore di lavoro inun Comune non può che avere come conseguenza ilpermanere in capo al soggetto titolare della respon-sabilità politica – nella specie il Sindaco – dellaqualità di datore di lavoro e ciò ovviamente ancheai fini della responsabilità per la violazione dellanormativa antinfortunistica.

In mancanza di tale individuazione, dunque, gliobblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro -e le connesse responsabilità – non possono che per-manere in capo al soggetto che avrebbe dovutodistribuirli e dislocarli secondo i criteri indicati,ovvero all’organo politico il quale, venendo meno aduna precisa norma di natura “organizzatoria”, rima-ne l’unico obbligato, “a meno di ritenere” – comesottolinea la Cassazione nel precedente richiamato –“che per un indefinito periodo di tempo si crei unasorta di immunità derivante da una scelta omissivaconsapevole dell’obbligato”.Va in ultimo tenuto in considerazione l’art. 4 comma12 D.Lgs. 626/94, che prevede che “gli obblighi rela-tivi agli interventi strutturali e di manutenzione neces-sari per assicurare, ai sensi del presente decreto, lasicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso apubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi com-prese le istituzioni scolastiche ed educative, restano acarico dell’amministrazione tenuta, per effetto dinorme o convenzioni, alla loro fornitura e manuten-zione. In tal caso gli obblighi previsti dal presentedecreto, relativamente ai predetti interventi, si inten-dono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari pre-posti agli uffici interessati, con la richiesta del loroadempimento all’amministrazione competente o alsoggetto che ne ha l’obbligo giuridico.”

Una ricognizione della recente giurisprudenzasul Datore di Lavoro Pubblico.La sentenza in commento ci fornisce l’occasione peruna breve (e come tale non esaustiva) ricognizionedella recente giurisprudenza di legittimità in materiadi datore di lavoro pubblico.In particolare ciò che qui interessa prendere in analisisono i profili attinenti alle responsabilità dell’organopolitico da un lato in caso di mancata individuazionedel datore di lavoro “prevenzionistico” e dall’altro,nel caso si sia pure provveduto a tale individuazione,a causa della designazione di un soggetto inadeguato,ad esempio perché sprovvisto di reali poteri.

Con la sentenza n. 47249 del 30 novembre 2005, laTerza Sezione Penale della Cassazione ha giudica-to in merito al caso di un dirigente pubblico ritenutocolpevole in primo grado del reato di cui all’art. 89,c. 2 lett. b) D.Lgs. 626/94 per avere, nella veste didatore di lavoro (in quanto dirigente comunale alquale spettavano i poteri di gestione di un cantiere)omesso di richiedere l’osservanza da parte del medi-co competente dell’obbligo di effettuare la sorve-glianza sanitaria preassuntiva sui lavoratori a rischioper il predetto cantiere.In questo caso l’individuazione di tale soggetto comedatore di lavoro era stata effettuata da parte dell’orga-no politico.Confermando la decisione del giudice di merito cheaveva correttamente ritenuto che tale soggetto, relati-vamente al predetto cantiere di lavoro, dovesse consi-derarsi datore di lavoro o preposto dal momento che alui erano stati attribuiti i relativi poteri gestionali conprovvedimento del Sindaco, la Corte ricorda che“nelle pubbliche amministrazioni, nel cui noverorientrano anche gli enti locali, per datore di lavoro, aifini della normativa sulla sicurezza e salute nei luoghidi lavoro, deve intendersi il dirigente al quale spetta-no poteri di gestione, compresa la titolarità di auto-nomi poteri decisionali in materia di spesa (cfr. Sez.III, 4 marzo 2003, Fortunato, m. 224.847).Di conseguenza, esattamente il giudice del merito haanche ritenuto che, in tale sua qualità, l’imputatoavesse anche gli obblighi previsti dall’art. 4 del mede-simo d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, fra cui l’obbli-go (indicato dal comma 5, lett. g)) di adottare le misu-re necessarie per la sicurezza e la salute dei lavorato-ri, ed in particolare di “richiedere l’osservanza daparte del medico competente degli obblighi previstidal presente decreto, informandolo sui processi e suirischi connessi all’attività produttiva”.”

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Partiamo anzitutto dal precedente richiamato dallaCorte stessa nella sentenza n. 35137 del 2007, ovve-ro Cass. Pen., Sez. Quarta, sent. n. 38840 del 21ottobre 2005, che ha confermato la responsabilità diun Sindaco - il quale non aveva provveduto ad indi-viduare il soggetto o i soggetti cui conferire la quali-fica di datore di lavoro prevenzionistico - per l’infor-tunio occorso ad un operaio del Comune. La Corte afferma così che “questa mancata indica-zione non può che avere la conseguenza - a menodi ritenere che per un indefinito periodo di temposi crei una sorta di immunità derivante da unascelta omissiva consapevole dell’obbligato - chesia l’organo di direzione politica a conservare laqualità di datore di lavoro quanto meno nel perio-

do successivo alla scadenza dei 60 giorni indicatidalla legge e fino all’individuazione del datore dilavoro da parte dell’organo obbligato a questoadempimento”.E “non v’è quindi dubbio che, una volta che gliorgani di direzione politica abbiano adempiuto aicompiti programmatici loro affidati il dirigente siaresponsabile dell’azione od omissione nell’espleta-mento delle sue funzioni di attuazione del program-ma e, in questo senso, questa sezione condividel’orientamento fatto proprio dalla terza sezione diquesta Corte (si veda in particolare la sentenza 13gennaio 1999, n. 2297, Moffa, rv. 213156) che haescluso la responsabilità del sindaco per le con-travvenzioni in tema di prevenzione degli infortunisul lavoro a meno che si riferiscano a carenzestrutturali addebitabili ai vertici dell’ente”.

L’individuazione del datore di lavoro all’interno diuna Casa Circondariale, identificato nel direttore dellastessa, è l’oggetto della pronuncia n. 36981 dellaTerza Sezione della Cassazione Penale, emessa il 24giugno 2005.La Suprema Corte si è così espressa:“Quanto allaindividuazione dei soggetti che, nei settori di attivi-tà pubblica, possono essere ritenuti responsabilidelle violazioni alla normativa di prevenzione degliinfortuni e di igiene del lavoro (figura del datore dilavoro pubblico), deve evidenziarsi che il legislatoreitaliano, con il D.Lgs. 19.9.1994, n. 626, ha rece-pito compiutamente il modello di “impresa sicura”di derivazione comunitaria (art. 118 del Trattato isti-tutivo della C.E.E. e direttiva - quadro n. 391/89),introducendo una normativa omogenea in tema disicurezza e di salute sul luogo di lavoro, estesa atutti i settori di attività, compresi quelli aventi natu-ra pubblica. […]”.Fatta tale premessa, più avanti la Corte sottolinea poigli aspetti che distinguono la figura giuridica del dato-re di lavoro pubblico da quella del datore di lavoroprivato, precisando che “il datore di lavoro pubblicoai fini prevenzionali si caratterizza, pertanto, rispettoa quello che opera nel settore privato, non per la tito-larità di poteri decisionali e di spesa, quanto piuttostoper un potere di gestione del settore o dell’ufficio cuiè preposto, al quale si aggiunge il requisito della qua-lifica dirigenziale (ai sensi dell’art. 3, 2° comma, delD.Lgs. 3.2.1993, n. 29) ovvero dello svolgimento dimansioni direttive funzionalmente equivalenti.I dirigenti, ai quali spettano i concreti poteri digestione in ordine all’attività ed all’ufficio - centraleo periferico - cui sono preposti, non hanno - per quan-to attiene all’adempimento degli obblighi di sicurezzae di salute sui luoghi di lavoro - vincoli di subordina-zione gerarchica e funzionale, né devono sottostarealle decisioni dei soggetti preposti agli organi digoverno e di vertice degli enti pubblici (titolari di fun-zioni di definizione dell’indirizzo politico - program-matico e di legale rappresentanza), pur restandofermo il potere di controllo sul loro operato da partedegli organi di vertice di ciascuna amministrazione,che discende più in generale dal rapporto di servizioche li lega all’ente.”Questo è un passaggio sul quale vale la pena soffer-marsi.

Se si parte, come nella sentenza qui esaminata, dal-l’assunto per cui i poteri decisionali e di spesa nonsono (quantomeno secondo il dettato letterale dellanorma) elementi “caratterizzanti” la figura del datoredi lavoro pubblico, a differenza di quanto può dirsi peril potere di gestione ex articolo 2 lett. b) del D.Lgs.626/94, occorre però anche domandarsi quali siano leimplicazioni che conseguono al conferimento o menodi tale potere di spesa, sia sotto il profilo delle respon-sabilità giuridiche del soggetto designato che di quel-le dell’organo politico designante.E’ evidente, infatti, che in via generale le responsabi-lità giuridiche sono strettamente connesse ai potericonferiti e che, anche nel caso del datore di lavoropubblico, il concreto e sostanziale esercizio dei poteridi gestione da parte di chi ne è investito non può cheessere diversamente modulato a seconda delle risorsedi cui questi sia stato dotato.1

Al fine di approfondire tale questione, si riportano quidi seguito – in via esemplificativa - i passi più rilevan-ti di una pronuncia (Cassazione Penale, Sez. Terza,13 luglio 2004, n. 39268) nella quale la SupremaCorte, affrontando il tema dell’individuazione deldatore di lavoro nella Pubblica Amministrazionein rapporto all’istituto della delega di funzioni, sot-tolinea l’esigenza di effettività dei poteri di gestionee la necessità di che questi siano correlati ad una“capacità gestionale di natura patrimoniale.”Nello specifico, il ricorso su cui la Corte è stata chia-mata a pronunciarsi nel caso in specie era stato pro-posto avverso una sentenza del Tribunale con laquale erano stati condannati, rispettivamente, ilPresidente della delegazione di amministrazione diun Policlinico universitario e il direttore di un labo-ratorio di analisi del medesimo ente, il primo perchénon manteneva sgombre da materiale ed attrezzaturele vie di fuga del laboratorio d’analisi dell’ospedaleed il secondo per non aver mantenuto in buono statodi efficienza l’impianto di aspirazione nel vuotatoiodel laboratorio. La Cassazione richiama la rilevanza del principiodi effettività ed in particolare di “effettività dellagestione del potere in considerazione della protezio-ne accordata dalla Costituzione ai fondamentalidiritti inerenti alla legislazione antinfortunistica.[…]

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1 Sullo stretto legame tra poteri di gestione e poteri di spesa, si vedano anche le indicazioni fornite dal D.Lgs. n. 29/1993 e dalla circolare del Ministerodell’Interno n. 3 del 17 dicembre 1996.

Infatti, se il datore di lavoro pubblico viene individua-to nel dirigente al quale spettano i poteri di gestioneovvero nel funzionario non avente qualifica dirigen-ziale nel solo caso in cui costui sia preposto ad un uffi-cio avente autonomia gestionale (art. 2 lett. b) secon-da parte d.l.vo n. 626 del 1994), l’art. 4 dodicesimocomma del decreto legislativo da ultimo citato precisache “gli obblighi relativi agli interventi strutturali e dimanutenzione necessari per assicurare.. la sicurezzadei locali e degli edifici assegnati in uso a pubblicheamministrazioni ... ivi comprese le istituzioni scolasti-che ed educative.. restano a carico dell’amministra-zione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, allaloro fornitura o manutenzione, precisando che “gliobblighi previsti... relativamente ai predetti interventi,si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funziona-ri preposti agli uffici interessati, con la richiesta delloro adempimento all’amministrazione competente oal soggetto che ne ha l’obbligo giuridico”.In tal modo viene ribadito il principio fondamentalein materia di delega di funzioni, secondo cui, attesa laposizione di garanzia assunta dai vertici dell’entepubblico, la delega in favore di un soggetto che nonpuò neppure rifiutarla, qual è il dirigente o il funzio-nario preposto, assume valore solo ove detti organisiano incolpevolmente estranei alle inadempienze deldelegato e non siano stati informati, assumendo unatteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza.”E aggiunge: “peraltro, inoltre, occorre distinguereriguardo ad ogni ente, pubblico o privato, in pienaarmonia con i principi espressi dalle normative orga-nizzatorie ed istituzionali, fra difetti strutturali e defi-cienze inerenti all’ordinario buon funzionamentodelle strutture stesse, ulteriormente suddividendosi inquesto caso fra quelle di carattere occasionale, inogni caso non riferibili al soggetto apicale, e perma-nenti, giacché in detta ultima ipotesi si richiede lacomunicazione espressa o, comunque, la conoscenzadelle stesse da parte degli organi di vertice.Tale impostazione, con riferimento ad ogni ente, legaindissolubilmente l’esercizio dei poteri gestionali,

affidati ai dirigenti, all’attribuzione di “autonomipoteri di spesa” senza i quali non può esserci alcunesercizio di facoltà gestionali e comporta la respon-sabilità del datore di lavoro pubblico nell’individua-re dirigenti in possesso di attitudini e capacità ade-guate, prospettando, quindi, una responsabilità “perculpa in eligendo” oltre che “in vigilando”.Sembra, invece, ampliare il campo della responsabili-tà del dirigente, restringendo quella dell’organo isti-tuzionale una pronuncia di questa Corte (Cass. sez.III ud. 14 febbraio 2000 dep. 29 maggio 2000,Fichera), nella quale si sottolinea in maniera eccessi-va che “il datore di lavoro pubblico ai fini prevenzio-nali si caratterizza .. rispetto a quello che opera nelsettore privato, non per la titolarità di poteri decisio-nali e di spesa, quanto piuttosto per un potere digestione del settore o dell’ufficio cui è preposto, alquale si aggiunge il requisito della qualifica dirigen-ziale (ai sensi dell’art. 3, 2^ comma, del D.Lgs.3.2.1993 n. 9) ovvero dello svolgimento di mansionidirettive funzionalmente equivalenti”. Tale assunto non appare condivisibile ove non vengacorrelato con le norme organizzatorie dell’ente (nellaspecie si trattava di un Comune), con il rapporto disubordinazione esistente tra dirigente ed organo divertice, con le capacità decisionali e di spesa, sicchéle su riferite affermazioni appaiono parziali, anche sedevono essere lette in relazione alla particolare fatti-specie esaminata.

Pertanto, la posizione del dirigente quale datore dilavoro comporta una capacità gestionale di naturapatrimoniale, poteri effettivi di gestione e l’eserciziodi poteri non esauriti in attività riconducibili esclusi-vamente alla categoria degli obblighi e, quindi,anche a quello della sospensione del servizio, mentrel’organo apicale è sempre responsabile, alternativa-mente o cumulativamente, ove venga informato delledeficienze e non vi adempia ovvero nel caso in cuisiano necessarie impegnative di spesa, non consenti-te ali organo tecnico o al dirigente del settore.”

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RIFIUTI, MPS E SOTTOPRODOTTI:RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

a cura dello Studio Stefano Maglia

Rifiuti

MPS e sottoprodotti.

Cass. III Pen. 21512 del 21/06/2006, G.Per potersi configurare un “sottoprodotto” alla lucedell’art. 183, lett. n), del D.Lgs. 152/06 (in sintoniacon le pronunce della Corte di Giustizia UE) è indi-spensabile verificare il requisito della effettiva certez-za del riutilizzo del materiale, da suffragare conriscontri oggettivi, non essendo sufficienti a tal finemere affermazioni testimoniali (nella specie, trattasidi fanghi provenienti da attività di frantumazione elavaggio inerti).

Cass. III Pen. 40190 del 6/12/2006, G.Il materiale che residua da attività di distilleria (raspie vinaccioli destinati alla produzione di biogas) nonrientra nella categoria dei sottoprodotti di cui all’art.183 del D.Lgs. 152/06, in quanto non presenta lecaratteristiche qualificanti individuate dalla normativae dalla giurisprudenza, ovvero la mancanza di condi-zioni peggiorative per l’ambiente e la salute e l’assen-za di processi di trasformazione preliminare.

Cass. III Pen. 10257 del 9/03/2007, A.L’articolo 183, lettera n), D.L.vo 152/06 detta le con-dizioni per l’utilizzazione dei sottoprodotti (che nonsempre coincidono con i residui), stabilendo che pos-sono essere utilizzati alle condizioni ivi previste, pur-ché non comportino per l’ambiente e la salute condi-zioni peggiorative rispetto a quelle delle normali atti-vità produttive. La prova della mancanza di danno perl’ambiente deve essere fornita dal soggetto che dedu-ce la riutilizzazione (fattispecie relativa all’utilizza-zione dei residui della lavorazione del legno comecombustibile).

Cass. III. Pen. 10262 del 9/03/2007, B.L’art. 183, lett. n), D.L.vo 152/06 detta le condizioniper l’utilizzo dei sottoprodotti (che non sempre coin-cidono con i residui, posto che quest’ultima categoriaè più ampia di quella dei sottoprodotti), stabilendo chepossono essere utilizzati alle condizioni ivi previste,purché non comportino per l’ambiente e la salute con-dizioni peggiorative rispetto a quelle delle normaliattività produttive. La prova della mancanza di dannoper l’ambiente deve essere fornita dal soggetto chededuce la riutilizzazione.

Cass. III Pen. 10264 del 9/03/2007, P. ed altro.Gli scarti di materiale plastico successivamente sotto-posti ad un processo di trasformazione non rientranonella definizione di sottoprodotto di cui all’art. 183, c.1 lett. n), del D.L.vo 152/06, essendo subordinata l’at-tribuzione di tale qualifica alla condizione che i sotto-prodotti vengano impiegati direttamente dall’impresache li produce o commmercializzati a condizioni eco-nomicamente favorevoli per l’impresa stessa diretta-mente per il consumo o per l’impiego, senza la neces-sità di operare trasformazioni preliminari in un suc-cessivo processo produttivo.

Cass. III Pen. 14185 del 5/04/2007, B. ed altro.Ai sensi dell’art. 184, c. 3, D.L.vo 152/06, sono rifiu-ti speciali i rifiuti derivanti dalle attività di demolizio-ne e costruzione, sicché il materiale costituito da mat-toni e cemento provenienti da demolizioni non puòqualificarsi materia prima secondaria ex art. 181 delD.L.vo 152/06, anche in mancanza del DM di attua-zione previsto dal c. 6.

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A un anno e mezzo dall’entrata in vigore del testoUnico Ambientale (D.L.vo 152/06), quali sono leposizioni prese dalla giurisprudenza su alcuni istitu-ti chiave, come la nozione di rifiuto, di materia primasecondaria e sottoprodotto?Nelle pagine che seguono si dà conto di questi temiattraverso un’accurata selezione di recenti massime.

Cass. III Pen. 14557 del 1104/2007, P.In tema di gestione dei rifiuti, al fine di qualificareuna sostanza quale “materia prima secondaria” aisensi degli artt. 183 lett. q) e 181, commi sesto, dodi-cesimo e tredicesimo, D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152,occorre fare riferimento, in attesa della emanazionedei previsti decreti ministeriali, al D.M. 5 febbraio1998 per i rifiuti non pericolosi e al D.M. 12 giugno2002 n. 161 per i rifiuti pericolosi. La definizione di “sottoprodotto” - sottratto alladisciplina dei rifiuti - contenuta nell’art. 183 lett. n)del D.Lgs. 3 aprile 2004 n. 152, che ricomprendeanche il residuo produttivo commercializzato a favo-re di terzi per essere utilizzato, senza trasformazionipreliminari, in un ciclo produttivo diverso da quellodi origine, si pone in contrasto con la nozione comu-nitaria di rifiuto, come interpretata dalla Corte digiustizia, per la quale, per distinguere il sottoprodot-to dal rifiuto, è necessario che il riutilizzo sia certo,che avvenga nel medesimo processo produttivo esenza trasformazioni preliminari. (Nell’occasione, laCorte non ha sollevato la questione di costituzionali-tà della norma nazionale, per contrasto con gli artt.11 e 117 Cost., per la mancanza nel caso di speciedella certezza del riutilizzo).

Cass. III Pen. 15562 del 18/04/2007, PG presso Trib.Verona in proc. P.Per poter riconoscere ai prodotti dell’attività di impre-sa la qualità di sottoprodotto o materia prima seconda-ria occorre la ricorrenza dei requisiti di cui alle lett. n)e q) dell’art. 183 del D.L.vo 152/06.

Nozione di rifiuto.Cass. III Pen. 31396 del 27/06/2006, PM in proc. S.ed altro.Le acque di sentina rientrano nella nozione di rifiuto aisensi degli art. 183 e 232 del D.Lgs. 152/06, e vannoconsiderate tali fino alla ultimazione della procedura direcupero che, ai sensi dell’art. 183, comma terzo lett. h)del citato decreto n. 152, può portare a generare com-bustibili. (Nell’occasione la Corte ha ulteriormenteaffermato che le acque di sentina non possono essereconsiderate “medio tempore” quali prodotti, in quantoil combustibile in esse contenuto non è suscettibile didestinazione diretta al consumo, e che pertanto non puòessere soggetto ad accisa se non dopo l’ultimazionedella procedura di recupero).

Cass. III Pen. 33882 del 9/10/2006, B. ed altri.Integrano la nozione giuridica di rifiuto, sia ai sensi delD.Lgs. 22/97, sia ai sensi del D.Lgs. 152/06; quei mate-riali derivanti da attività di demolizione che necessitanodell’attività di cernita , in quanto non possono qualifi-carsi - allo stato - materia prima secondaria ai sensi del-l’art 181, commi 6 e 13, del D.Lgs. 152/06, anche inmancanza del decreto ministeriale di attuazione previstodal 6° c.: infatti, a norma dell’art. 181, c. 12, del D.Lgs.152/06, la disciplina in materia di gestione dei rifiuti siapplica fino al completamento delle operazioni di recu-pero, che si realizza quando non sono necessari ulterio-ri trattamenti e tra le operazioni di recupero, ex art. 183,lett. h), del D.Lgs. 152/06, sono espressamente “inclusela cernita o la selezione”.

Cass. III Pen. 40445 del 12/12/2006, B.Ai sensi della nozione di rifiuto di cui all’art. 183, lett. a),D.L.vo 152/06, la condotta di deposito incontrollato sulsuolo di materiali di varia natura (calcinacci, cemento,frammenti di mattoni, piastrelle, imballaggi, tavoli esedie) non consente di qualificare gli stessi come materieprime secondarie, bensì quali rifiuti in senso giuridico.

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D.L.VO 152/06:SANZIONI IN MATERIA AMBIENTALE

di Miriam Viviana Balossi

Il tema dell’abbandono di rifiuti ricopre un ruolo cen-trale nella normativa del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152(GU n. 88 del 14 aprile 2006 – SO n. 96), come già,del resto, avveniva sotto la vigenza del D.L.vo 5 feb-braio 1997, n. 22 (Decreto Ronchi). Tale rilievo è con-fermato dalla numerosa giurisprudenza, di merito e dilegittimità, che nel corso degli ultimi anni si è pronun-ciata sulle diverse modalità di realizzazione di questaforma di illecito, aggiungendo, pronuncia dopo pro-nuncia, criteri e requisiti attraverso i quali megliocomprendere la fattispecie in oggetto.Il 29 aprile 2006, con l’entra in vigore del “TestoUnico Ambientale”, sono cambiati i riferimenti nor-mativi e, oggi, l’abbandono di rifiuti è vietato dall’art.192 del D.L.vo 152/06, in maniera del tutto simile aquella del precedente art. 14 del D.L.vo 22/97:

Art. 192 - Divieto di abbandono1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti

sul suolo e nel suolo sono vietati. 2. E’ altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsia-

si genere, allo stato solido o liquido, nelle acquesuperficiali e sotterranee. 3. Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui

agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cuiai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione,all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti edal ripristino dello stato dei luoghi in solido con il pro-prietario e con i titolari di diritti reali o personali digodimento sull’area, ai quali tale violazione sia impu-tabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accerta-menti effettuati, in contraddittorio con i soggettiinteressati, dai soggetti preposti al controllo. IlSindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal finenecessarie ed il termine entro cui provvedere, decorsoil quale procede all’esecuzione in danno dei soggettiobbligati ed al recupero delle somme anticipate. 4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia impu-

tabile ad amministratori o rappresentanti di personagiuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenu-ti in solido la persona giuridica ed i soggetti che sianosubentrati nei diritti della persona stessa, secondo leprevisioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231,in materia di responsabilità amministrativa delle perso-ne giuridiche, delle società e delle associazioni.

Anche in tal sede, l’apparato sanzionatorio è dispostosue due differenti norme:

Art. 255 - Abbandono di rifiuti.1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma

2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agliarticoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immettenelle acque superficiali o sotterranee è punito con lasanzione amministrativa pecuniaria da centocinque euroa seicentoventi euro. Se l’abbandono di rifiuti sul suoloriguarda rifiuti non pericolosi e non ingombranti siapplica la sanzione amministrativa pecuniaria da venti-cinque euro a centocinquantacinque euro. 2. Il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il

titolare della succursale della casa costruttrice che violale disposizioni di cui all’articolo 231, comma 5, è punitocon la sanzione amministrativa pecuniaria da euro due-centosessanta a euro millecinquecentocinquanta. 3. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco,

di cui all’articolo 192, comma 3, o non adempie all’ob-bligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito con lapena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di con-danna o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444del codice di procedura penale, il beneficio della sospen-sione condizionale della pena può essere subordinatoalla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cuiall’articolo 192, comma 3, ovvero all’adempimento del-l’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3.

Art. 256 - Attività di gestione di rifiuti nonautorizzata.2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di

imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano odepositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero liimmettono nelle acque superficiali o sotterranee in vio-lazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2. Posto che non sussistono sostanziali divergenze tra ilprecedente testo del D.L.vo 22/97 e quello del TUambientale, (infatti sia il divieto che le sanzioni sonostati riconfermati; eccezione fatta, però, per il mancatoriferimento del nuovo art. 255 D.L.vo 152/06 ai benidurevoli -ex art. 44 del D.L.vo 22/97-, in quanto la pre-cedente norma su tale tipologia di rifiuti non è statariproposta nella versione del Testo Unico Ambientale),si segnala l’introduzione della prova dell’elemento sog-

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Art. 255: abbandono di rifiuti

gettivo del reato in capo al proprietario del sito interes-sato dall’abbandono di rifiuti effettuata dai soggetti pre-posti al controllo i contraddittorio con gli interessati.Rimane invariata anche la duplice previsione di una san-zione amministrativa pecuniaria a carico delle personefisiche responsabili dell’abbandono di rifiuti (art. 255D.L.vo 152/06) e di una sanzione penale a carico dellepersone giuridiche (rectius: dei soggetti responsabili disocietà o enti – art. 256, c. 2, D.L.vo 152/06). Un primo aspetto problematico concerne la configura-bilità dell’illecito: in quali ipotesi si presenta un abban-dono di rifiuti? Un profilo controverso della tematicadell’abbandono di rifiuti riguarda la specificazione del-l’aggettivo “incontrollato”: le norme citate riportanospesso, ma non sempre, l’aggettivo “incontrollato”: par-rebbe, dunque, che solo laddove tale abbandono di rifiu-ti sia incontrollato, si sia in presenza della descritta fat-tispecie. In realtà, come si può delineare un “abbandonocontrollato” di rifiuti? Diverse pronunce della SC hannomeglio specificato il concetto, seppur con riguardo allafattispecie del deposito: secondo Cass. Pen., sez. III, 28maggio 2002, n. 20780, “in tema di gestione dei rifiuti,affinché possa configurarsi l’ipotesi di deposito control-lato e temporaneo, di cui all’art. 6 lett. m) del D. Lgs 5febbraio 1997 n. 22, occorre il rispetto delle condizionidettata dal citato articolo, ed in particolare il raggrup-pamento dei rifiuti nel luogo di produzione e l’osservan-za dei tempi di giacenza, in relazione alla natura ed allaquantità del rifiuto; in mancanza si configura il reato diabbandono e deposito incontrollato di rifiuti, sanziona-to dall’art. 51, comma 2, del citato decreto n. 22”.Se ne deduce che se l’abbandono è di per sé incontrol-lato, e dunque sanzionato, il deposito è incontrollatoquando esce dai termini delle prescrizioni del deposi-to temporaneo.Peraltro, non si creda che l’abbandono di rifiuti in unluogo chiuso (ad esempio, un capannone) impedisca ilconfigurarsi della fattispecie in questione: infatti, Cons.Stato, sez. V, 3 febbraio 2006, n. 439 ha solo stabilitoche in un caso simile non si tratta di abbandono di rifiu-ti sul suolo o nel suolo, tale da configurare una discari-ca a cielo aperto o interrata, ma di un mero abbandonodi rifiuti in un fabbricato chiuso.Un secondo aspetto controverso concerne il confine tra

l’abbandono di rifiuti e la discarica abusiva: forse cheesiste un parametro quantitativo il cui superamento per-mette la configurazione di una discarica abusiva? Inassenza di una previsione simile tra le norme in materia,dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere cheè il ripetuto accumulo di rifiuti in maniera sistematica,lungi dal determinare il requisito della incontrollabilità,a dar vita alla fattispecie di reato di discarica abusiva1.Un terzo aspetto degno di nota è l’ordinanza di rimo-zione di cui all’art. 192, c. 3, D.L.vo 152/06 (prima art.14, c. 3, D.L.vo 22/97), intesa quale sanzione accesso-ria rispetto a quelle principale sopradescritte. Taledisposizione individua il Sindaco come il soggetto inca-ricato di disporre l’ordinanza di rimozione dei rifiutiabbandonati: a questo proposito, il Tar Abruzzo, sez.Pescara, 4 marzo 2006, n. 145 ha precisato che “un con-solidato e costante orientamento degli organi di giusti-zia amministrativa, ha già in merito chiarito che, aisensi del combinato disposto dell’art. 14 del D.L.vo 5febbraio 1997, n. 22, e dell’art. 107 del D.L.vo 18 ago-sto 2000, n. 267, il potere di adottare ordinanze perdisporre la rimozione e l’avvio a recupero di rifiutiabbandonati non spetta al sindaco, ma rientra nellagenerale competenza gestionale dei dirigenti”. Si tengapresente che per il sindaco/dirigente competente non èuna potestà adottare tale atto, ma un vero e proprioobbligo: secondo Cass. Pen., sez. III, 7 settembre 2005,n. 33034 “nel caso di deposito o di abbandono dei rifiu-ti o di immissione di essi nelle acque superficiali o sot-terranee l’art. 14 D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22 fa obbli-go al sindaco di intervenire senza ritardo per la rimo-zione, l’avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti e alripristino dello stato dei luoghi … L’obbligo posto acarico del sindaco riguarda l’immediato intervento perl’eliminazione dei rifiuti e il ripristino dello stato deiluoghi, sostituendosi se necessario ai soggetti obbliga-ti, non noti o inadempienti, con diritto di rivalersi su diloro per le spese anticipate”.Da quanto riportato discende altresì che il Sindaco/diri-gente competente deve attivarsi anche quando non sitrovi il responsabile dell’abbandono di rifiuti o il pro-prietario sia incolpevole, posto che in via preliminaredevono essere svolte le opportune indagini per indivi-duare i soggetti responsabili.

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1 Cfr sul punto: Cass. pen., sez. III, 29 luglio 1999, n. 1819 (c.c. 12 maggio 1999), P.M. in proc. Di Liberto: "Al fine della configurazione del reato, il concet-to di gestione di discarica deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo sia attivo che passivo diretto a realizzare ed anche tollerare emantenere lo stato di fatto che costituisce reato. Integra perciò gli estremi del reato previsto dall'art. 25 D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 l'interramento di rifiu-ti da altri depositi, essendo evidente il danno ecologico provocato da tale attività"; Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 2000, n. 2110 (ud. 10 gennaio 2000), P.M.in proc. Terrile: "Esiste una continuità sostanziale dell'illecito relativo al deposito incontrollato di rifiuti tra il D.P.R. n. 915/82 ed il D.L.vo n. 22/97, in quantoora tale comportamento è sanzionato in modo diretto dall'art. 51, comma 2, del c.d. "Decreto Ronchi", mentre nella disciplina previgente rientrava nel concet-to generale di smaltimento senza autorizzazione ex artt. 16 e 26 del suindicato D.P.R"; Cass. pen., sez. III, 13 novembre 2000, n. 11599 (ud. 11 ottobre 2000),Cimini: "Per la configurazione dell'elemento materiale della contravvenzione di realizzazione di una discarica abusiva, occorre verificare la sussistenza di dueelementi, costituiti dal ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all'abbandono e dalla trasformazione, sia pur tendenziale, delsito, degradato dalla presenza dei rifiuti. (Fattispecie in tema di accumulo di ceneri derivate dall'ordinaria attività di funzionamento di centrale ENEL relativa-mente alle quali si riscontrava una macroscopica eccedenza dei quantitativi di scorie accumulate rispetto a quelle periodicamente rimosse tale da evidenziarenon un deposito più o meno controllato bensì un vero e proprio abbandono sistematico"; Cass. pen., sez. III, 26 febbraio 2004, n. 8424 Fiato: "Lo scarico inun area determinata di materiali provenienti da demolizioni e scavi, costituenti rifiuti speciali a norma dell'art. 7, comma 3,lett. b) D. Lvo. n. 22/97, posto inessere attraverso una condotta ripetuta pur se non abituale e protratta per lungo tempo, configura la fattispecie di realizzazione e gestione di discarica, e neces-sita dell'autorizzazione"; Cass. pen., sez. III, 16 febbraio 2004, n. 48402: "La permanenza del reato di discarica abusiva si correla alla protrazione nel tempodella condotta materiale, accompagnata dalla cosciente volontà di mantenimento della stessa"; conforme a Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 2005, n. 2950; tra lepiù recenti pronunce si segnalano: Cass. pen., sez. III, 22 settembre 2005, n. 33789, e Cass. pen., sez. III, 1 febbraio 2006, n. 3932: "La realizzazione di unadiscarica può effettuarsi attraverso il vero e proprio allestimento a discarica di un'area, con il compimento di opere occorrenti a tal fine quali lo spianamento delterreno, l'apertura dei relativi accessi, la recinzione, etc… ma anche attraverso il ripetitivo accumulo, nello stesso luogo, di sostanze oggettivamente destinateall'abbandono, con trasformazione, sia pur tendenziale del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti".

Gestione di rifiuti non autorizzata.L’art. 256, c. 1 recita quanto segue:“Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto,

recupero, smaltimento, commercio ed intermedia-zione di rifiuti in mancanza della prescritta autoriz-zazione, iscrizione o comunicazione di cui agli arti-coli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è puni-to: a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un annoo con l’ammenda da duemilaseicento euro a venti-seimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; b)con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni econ l’ammenda da duemilaseicento euro a ventisei-mila euro se si tratta di rifiuti pericolosi”2.

Come si evince dalle lettura della norma, il c. 1 si rife-risce a fattispecie tra loro estremamente differenti(raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commer-cio e intermediazione), ma che presentano un minimocomune denominatore: tutte, infatti, sono caratterizza-te dall’assenza delle autorizzazioni prescritte dallalegge.Come già anticipato, l’illecito rappresentato dall’atti-vità non autorizzata di gestione di rifiuti costituisce unreato di pericolo presunto, sicché la mera assenzadell’autorizzazione, iscrizione o comunicazione pre-scritta dalla legge (natura formale dell’illecito) fapresumere la messa in pericolo del bene giuridico daproteggere (l’ambiente), attraverso la tutela, seppurindiretta, della funzione amministrativa. La norma distingue le sanzioni prescritte a secondache l’attività illecita abbia ad oggetto rifiuti non peri-colosi o rifiuti pericolosi: in entrambi casi si tratta dicontravvenzioni, ma con alcune differenze. Nel casodei rifiuti non pericolosi possono essere alternativa-mente comminate o la pena dell’arresto (da 3 mesi a 1anno) o quella dell’ammenda (da 2.600 € a 26.000 €);viceversa, nell’ipotesi di rifiuti pericolosi sono cumu-lativamente comminate sia la pena dell’arresto (da 6mesi a 2 anni, quindi esattamente il doppio rispetto alcaso precedente), sia quella dell’ammenda (da 2.600 €a 26.000 €): in ogni caso, il preciso ammontare del-l’importo sanzionatorio sarà deciso dal giudice secon-do equità nell’ambito del suo esclusivo potere discre-zionale. Si rammenta, peraltro, che le sanzioni appenadescritte rappresentano il riferimento su cui si artico-lano anche le successive disposizioni sanzionatoriedell’art. 256.

Nella fattispecie qui in oggetto non rientra solo l’ipo-tesi della gestione di rifiuti priva di autorizzazione, inquanto secondo la giurisprudenza si può configurareanche il diverso caso di un’autorizzazione non rien-trante nella competenza dell’Ente che l’ha rilasciata:in tale ipotesi, l’organo della P.A. concorre con l’au-tore del reato, allorché abbia rafforzato il propositodell’autore della violazione o abbia addirittura resopossibile la commissione del fatto di reato (Cass.Pen., n. 20762, 16 giugno 2006).Da ultimo, si tenga presente che l’art. 256, c. 4 preve-de che:“Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della

metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizionicontenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonchénelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condi-zioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni”.

Questa disposizione richiama le sanzioni base previstenel c. 1, ma sostanzialmente le dimezza qualora, pur inpossesso della prescritta autorizzazione, non venganoosservate le prescrizioni nella stessa contenute o anchesemplicemente richiamate; e si incorre nelle medesimesanzioni (dimezzate) in caso di carenza dei requisiti odelle condizioni richieste per le iscrizioni (ad es. iscri-zione all’albo gestori ambientali) o per le comunicazio-ni (ad es. autosmaltimento di rifiuti).

Discarica non autorizzata.Il c. 3 sanziona l’illecito della realizzazione o gestio-ne della cd. “discarica abusiva”, ovvero della discari-ca posta in essere in assenza dell’autorizzazione pre-scritta dalla legge:“Chiunque realizza o gestisce una discarica non auto-

rizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesia due anni e con l’ammenda da duemilaseicentoeuro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell’ar-resto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro cin-quemiladuecento a euro cinquantaduemila se ladiscarica è destinata, anche in parte, allo smalti-mento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condan-na o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444del codice di procedura penale, consegue la confi-sca dell’area sulla quale è realizzata la discaricaabusiva se di proprietà dell’autore o del comparte-cipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o diripristino dello stato dei luoghi”.

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2 Gli articoli citati nella norma si riferiscono a:- Art. 208: autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero di rifiuti;- Art. 209: rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale;- Art. 210: autorizzazioni in ipotesi particolari;- Art. 211: autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione;- Art. 212: albo nazionale gestori ambientali;- Art. 214: determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l’ammissione alle procedure semplificate;- Art. 215: autosmaltimento;- Art. 216: operazioni di recupero.

Art. 255: abbandono di rifiuti

Tale previsione va letta in correlazione con il D.L.vo13 gennaio 2003, n. 36 (Attuazione della Dir.1999/31/CE relativa alle discariche), in quanto inquella sede si rinviene all’art. 2, lett. g), la nozione didiscarica nei termini seguenti: “area adibita a smal-timento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sulsuolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogodi produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento deimedesimi da parte del produttore degli stessi, nonchéqualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a depositotemporaneo per più di un anno. Sono esclusi da taledefinizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati alfine di essere preparati per il successivo trasporto inun impianto di recupero, trattamento o smaltimento, elo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o tratta-mento per un periodo inferiore a tre anni come normagenerale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smalti-mento per un periodo inferiore ad un anno”. Sotto la vigenza del DPR 915/88 e del D.L.vo 22/97si era posto più volte il problema di definire il concet-to di discarica abusiva e da tempo la giurisprudenza dimerito ha valorizzato, ai fini della configurazionedella discarica, due caratteri distintivi, ovvero l’occa-sionalità/temporaneità dei depositi incontrollati dirifiuti in contrapposizione alla condotta ripetuta checontraddistingue una discarica, nonché l’impatto ditale condotta sull’ambiente in considerazione dellaquantità e dello spazio occupato3. In una prima fase,la giurisprudenza richiedeva anche la presenza delrequisito della trasformazione, sia pur tendenziale, delsito degradato dalla presenza dei rifiuti: ad oggi, però,si tratta di una condizione ormai superata, posizioneperaltro confermata in numerose pronunce4, sicché icaratteri che permettono di identificare la discaricarispetto al mero abbandono di rifiuti sono i seguenti:

- accumulo ripetuto di rifiuti;- tendenziale carattere di definitività.

La giurisprudenza ha contribuito a meglio precisare icaratteri di queste condotte, evidenziando che la rea-lizzazione di una discarica può effettuarsi attraversoil ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanzeoggettivamente destinate all’abbandono (Cass. Pen. n.33789 del 22 settembre 2005; Cass. Pen. n. 3932 del1 febbraio 2006) o anche mediante un unico conferi-mento di igenti quantità di rifiuti che faccia assumerealla zona interessata l’inequivoca destinazione diricettacolo di rifiuti; viceversa, la gestione di unadiscarica si identifica in un’attività autonoma, suc-cessiva alla realizzazione, che può essere compiutadallo stesso autore di quest’ultima o da altri soggetti(Cass. Pen. n. 3932 del 1 febbraio 2006), e si tratta diun termine che va inteso in senso ampio, attribuendo-

gli il significato estensivo di condurre, portare avantiun’iniziativa, un’attività e simili, attribuendo così rile-vanza giuridica all’attività di mantenimento di disca-rica fin dopo la sua chiusura (“post-gestione” – Trib.Pen. Bari del 16 giugno 2004). Recentemente, la S.C., con la sentenza Cass. Pen.,sez. III, n. 137 del 9 gennaio 2007, ric. Mancini, haribadito che i reati di realizzazione e gestione didiscarica in difetto di autorizzazione sono realizza-bili solo in forma commissiva, atteso che non posso-no consistere nel mero mantenimento della discarica odello stoccaggio realizzati da altri, pur nella consape-volezza della loro esistenza, a meno che non risultiprovato il concorso, a qualsiasi titolo, del possessoredel fondo, o non ricorra l’obbligo giuridico di impedi-re l’evento, ai sensi dell’art. 40, c. 2, Cod. Pen. Come emerge dalla lettura della norma, il regime san-zionatorio previsto in relazione alla realizzazione diuna discarica non autorizzata è particolarmente gravo-so (arresto da 6 mesi a 2 anni e ammenda da 2.600 €a 26.000 €. Peraltro, si assiste ad un aggravio degliimporti sanzionatori – arresto da 1 a 3 anni e ammen-da da 5.200 € a 52.000 € - laddove la discarica siadestinata, seppur in parte, ad accogliere rifiuti perico-losi) ed esercita una indubbia efficacia deterrente, inquanto la norma prevede la confisca obbligatoriadell’area sulla quale è realizzata la discarica, sia incaso di condanna ordinaria, sia in caso di patteggia-mento, qualora l’area sia di proprietà dell’autore o delcompartecipe del reato: costoro, quindi, vengono spo-gliati della materiale disponibilità del terreno, conconseguenti gravi danni per le loro attività economi-che. Si tenga altresì presente che, oltre alla sanzione,è imposto l’obbligo di bonificare e ripristinare lostato dei luoghi.

Da ultimo, si rammenta che ilD.L.vo 36/03 in materia didiscariche prevede all’art. 16alcuni reati sanzionati ex art. 51D.L.vo 22/97, ora art. 256D.L.vo 152/06: per completez-za, si segnala che tali reatiriguardano:

- l’inosservanza dei divieti di cui all’art. 7, cc. 1-3,D.L.vo 36/03 relativi al conferimento di determinatirifiuti;

- la violazione delle procedure di ammissione dei rifiu-ti in discarica di cui all’art. 11 del D.L.vo 36/03;

- la violazione del divieto di cui all’art. 7, c. 4, D.L.vo36/03 di diluizione/miscelazione di rifiuti al solo finedi renderli conformi ai criteri di ammissibilità di cuiall’art.5 decr. cit.

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3 AMENDOLA G., La gestione dei rifiuti, Rimini, 2005, p. 99 ss.4 Ex multis: Cass. Pen., sez. III, n. 42212 del 28/10/2004 : « l’accumulo ripetuto di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione dellaquantità considerevole dei rifiuti e dello spazio occupato ... la discarica si differenzia quindi dal deposito incontrollato, quando questo non supera l’anno perla tendenziale definitività e la maggiore estensione nei tempi di smaltimento”; Cass. Pen., sez. III, n. 38318 del 29/09/2004: “la qualificazione di discarica deri-va dalla destinazione oggettiva dell’area … in considerazione della ripetitività delle operazioni di scarico, dello spianamento dell’area ad essa destinata e dallasua perimetrazione e recinzione, dalla previsione del conferimento di ulteriori quantità di rifiuti”; Cass. Pen., sez. III, n. 8424 del 26/02/2004: lo scarico inun’area determinata di rifiuti speciali posto in essere attraverso una condotta ripetuta, pur se non abituale, e protratta per lungo tempo, configura la fattispeciedi realizzazione e gestione di discarica.

La parte IV del D. Lvo. n. 152/06 dedica un interoTitolo, il V, alla bonifica dei siti inquinati.L’art. 242, che riguarda le procedure operative edamministrative della bonifica, prescrive che al verifi-carsi di un evento che sia anche solo potenzialmente ingrado di inquinare un sito il responsabile debba mette-re in opera le misure necessarie di prevenzione secon-do le modalità descritte all’art. 304 (cioè quelle per ilcaso di minaccia di danno ambientale) ovvero dandoapposita comunicazione al Comune, alla Provincia,alla Regione, o alla Provincia autonoma nel cui territo-rio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto dellaProvincia che nelle ventiquattro ore successive infor-ma il Ministro dell’ambiente e della tutela del territo-rio. Tale comunicazione dovrà avere ad oggetto tuttigli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolarele generalità dell’operatore, le caratteristiche del sitointeressato, le matrici ambientali presumibilmentecoinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire.La comunicazione, non appena pervenuta al comune,abilita immediatamente l’operatore alla realizzazionedegli interventi operativi di prevenzione. Attuate le necessarie misure di prevenzione seguel’accertamento della soglia di contaminazione che, senon superata consente di procedere immediatamenteal ripristino; in caso contrario, quindi in caso di supe-ramento dei limiti delle concentrazioni soglia di con-taminazione (CSC) si deve dare avvio alla vera e pro-pria bonifica partendo dalla redazione di un piano dicaratterizzazione.Come si può vedere nella parte normativa non vi èalcun accenno alle cause, dolose o colpose o acciden-tali, del superamento della soglia di contaminazione,né questo avviene nella parte sanzionatoria, infattil’art. 257 comma 1 punisce “chiunque cagiona l’inqui-namento del suolo, del sottosuolo, delle acque superfi-ciali o delle acque sotterranee con il superamentodelle concentrazioni soglia di rischio è punito con la

pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’am-menda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, senon provvede alla bonifica in conformità al progettoapprovato dall’autorità competente nell’ambito delprocedimento di cui agli articoli 242 e seguenti”.Posto che nel nostro sistema giuridico, come in apertu-ra del commento si sottolineava, la responsabilitàoggettiva rappresenta un’eccezione, dato che la normadi cui all’art. 2043 cod. civ. contiene la regola generaledell’imputazione della responsabilità per dolo o colpa(quindi le ipotesi speciali devono essere espressamentedisciplinate), se ne conviene che nel D.L.vo 152/06non esiste più una forma di responsabilità oggettivaper causazione accidentale dell’evento inquinamen-to, ma occorrerà, per attribuire la sanzione penale di cuiall’art. 257, dimostrare almeno la colpa (trattandosi dicontravvenzione) dell’inquinatore.Cade anche, a parere di chi scrive, tutto il ragiona-mento proposto dalla Corte di Cassazione circa la sus-sistenza di un reato di pericolo presunto in relazionealla omessa bonifica, che sembrerebbe invece un sem-plice reato di omissione, legato alla verifica concretadel superamento delle concentrazioni soglia rischio, eper il quale l’elemento di pericolo di superamento deilimiti non è più insito nella fattispecie e dato per pre-supposto, ma causa di avvio di procedura diversa epreliminare rispetto a quella della bonifica, ovvero laprocedura per l’attuazione delle misure di prevenzio-ne. La mancata comunicazione dell’evento di inquina-mento, peraltro, è punita con la pena dell’arresto datre mesi ad un anno o con l’ammenda da mille euro aventiseimila euro.Solo gli eventi potranno dimostrare se l’affievolimen-to del regime di responsabilità a favore dell’introdu-zione di misure di prevenzione sia una soluzione effi-cace per la tutela dell’ambiente, salvi gli interventi acorrezione che il legislatore sembra voler apportarenei prossimi mesi.

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Art. 257: bonifica siti contaminati

Mud.Le disposizioni dell’art. 258 che riguardano il Mudsono il c. 1 e c. 5, cpv 1, ovvero:“1. I soggetti di cui all’articolo 189, comma 3, che

non effettuino la comunicazione ivi prescritta ovve-ro la effettuino in modo incompleto o inesatto sonopuniti con la sanzione amministrativa pecuniariada duemilaseicento euro a quindicimilacinquecentoeuro; se la comunicazione è effettuata entro il ses-santesimo giorno dalla scadenza del termine stabi-lito ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, siapplica la sanzione amministrativa pecuniaria daventisei euro a centosessanta euro.

5. Se le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono formal-mente incomplete o inesatte ma i dati riportati nellacomunicazione al catasto, nei registri di carico escarico, nei formulari di identificazione dei rifiutitrasportati e nelle altre scritture contabili tenute perlegge consentono di ricostruire le informazionidovute, si applica la sanzione amministrativa pecu-niaria da duecentosessanta euro a millecinquecen-tocinquanta euro”.

In questa sede, l’art. 258, c. 1 richiama direttamentel’art. 189, c. 3 con un duplice scopo: individuare i sog-getti che possono commettere questo illecito e ricor-dare l’obbligo di effettuare la comunicazione annualesancito in quella sede. Le condotte sanzionate dall’art. 258, c. 1 sono di duetipi: la mancanza della comunicazione e l’effettuazio-ne di tale comunicazione in modo incompleto o ine-satto sono parimenti punite con una sanzione ammini-strativa pecuniaria dal 2.600 € a 15.500 €. In caso diritardo nella presentazione della comunicazione, lagiurisprudenza della SC ritiene che ciò integri la vio-lazione in oggetto come se si trattasse dell’omissionedella comunicazione5, sempre che questo ritardo sforiil sessantesimo giorno dalla scadenza del termine sta-bilito ex L. 70/94: in caso contrario, l’art. 258, c. 1prevede una consistente riduzione della sanzioneamministrativa pecuniaria da 26 € a 160 €. Se il c. 1 contempla le due diverse ipotesi dell’omes-sa comunicazione e della sua effettuazione in modoincompleto o inesatto, il c. 5 introduce il diverso casodella comunicazione che contiene indicazioni formal-mente incomplete o inesatte: qualora, però, dall’esa-me del Mud, dei registri e dei formulari si possanoricostruire le informazioni mancanti, si applica al sog-getto responsabile di tale illecito la sanzione ammini-strativa pecuniaria ridotta da 260 € a 1.550 €.

A questo proposito, e anticipando quanto si vedrà inseguito anche con riguardo ai registri e ai formulari, ènecessario precisare la distinzione tra le fattispecie presein considerazione in questa sede a proposito del Mud:- omessa comunicazione: si tratta dell’ipotesi più sem-

plice, ovvero quella in cui il soggetto obbligato nonpresenta il Mud alla CCIAA (totale violazione del-l’obbligo documentale). Tale situazione viene pari-ficata alla mancata presentazione del Mud oltre ilsessantesimo giorno dalla scadenza del termine sta-bilito ai sensi della L. 70/94;

- comunicazione effettuata in modo incompleto o ine-satto: in questo secondo caso, il Mud viene presen-tato, ma si riscontrano alcuni errori o mancanze ditipo sostanziale nella sua compilazione e si tratta didifetti così gravi da permettere che sotto il profilosanzionatorio quest’ipotesi sia parificata alla suaomissione. Per fare un esempio, questo potrebbeessere il caso in cui non sia stata riportata la quanti-tà di una determinata categoria di rifiuti;

- comunicazione effettuata con indicazioni formalmenteincomplete o inesatte: questo terzo caso consiste nellaforma più lieve di violazione prevista dall’art. 258 enon a caso è prevista una consistente riduzione dellasanzione amministrativa pecuniaria, in quanto si trat-ta di un mero difetto formale del tutto ovviabile. Talepotrebbe essere il caso in cui viene per sbaglio inver-tito un numero del codice cer, ma la sua descrizione ècorretta e dalla verifica di registri e formulari si con-ferma l’ipotesi di un mero errore formale (ad esem-pio, anziché scrivere “19.12.01 – carta e cartone” siinvertono per sbaglio i numeri centrali, così da scrive-re “19.21.01 – carta e cartone”: posto che un codicesiffatto non è presente in elenco e la descrizione è cor-retta, è facile ricostruire che si tratta di un errore for-male, magari dovuto ad una frettolosa compilazione).

Registro C/S.Le disposizioni dell’art. 258 che riguardano il registroC/S sono il c. 2, c. 3 e c. 5, cpv 1,ovvero:“2. Chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo

incompleto il registro di carico e scarico di cui all’ar-ticolo 190, comma 1, è punito con la sanzione ammi-nistrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quin-dicimilacinquecento euro. Se il registro è relativo arifiuti pericolosi si applica la sanzione amministrati-va pecuniaria da quindicimilacinquecento euro anovantatremila euro, nonché la sanzione amministra-tiva accessoria della sospensione da un mese a unanno dalla carica rivestita dal soggetto responsabiledell’infrazione e dalla carica di amministratore.

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5 Cass. Civ., sez. I, n. 24053, 28/12/2004, Carella c. Provincia Milano, come cit. in RAMACCI L., La nuova disciplina dei rifiuti, Piacenza, 2006, p. 200.

Art. 258: violazione degli obblighi di comunicazione,di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari

3. Nel caso di imprese che occupino un numero di unitàlavorative inferiore a 15 dipendenti, le misure minimee massime di cui al comma 2 sono ridotte rispettiva-mente da millequaranta euro a seimiladuecento europer i rifiuti non pericolosi e da duemilasettanta euroa dodicimilaquattrocento euro per i rifiuti pericolosi.Il numero di unità lavorative è calcolato con riferi-mento al numero di dipendenti occupati mediamentea tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori atempo parziale e quelli stagionali rappresentano fra-zioni di unità lavorative annue; ai predetti fini l’annoda prendere in considerazione è quello dell’ultimoesercizio contabile approvato, precedente il momentodi accertamento dell’infrazione.

5. Se le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono formal-mente incomplete o inesatte ma i dati riportati nellacomunicazione al catasto, nei registri di carico e sca-rico, nei formulari di identificazione dei rifiuti tra-sportati e nelle altre scritture contabili tenute perlegge consentono di ricostruire le informazioni dovu-te, si applica la sanzione amministrativa pecuniariada duecentosessanta euro a millecinquecentocin-quanta euro”.

In questa sede, l’art. 258, c. 2 richiama direttamentel’art. 190, c. 1 con un duplice scopo: individuare i sog-getti che possono commettere questo illecito [chesono quelli di cui all’art. 189, c. 3, nonché i soggettiche producono rifiuti non pericolosi di cui all’art. 184,c. 3, lett. c) rifiuti da lavorazioni industriali, d) rifiutida lavorazioni artigianali e g) rifiuti derivanti dall’at-tività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi pro-dotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delleacque e dalla depurazione delle acque reflue e daabbattimento di fumi] e ricordare l’obbligo di tenere ilregistro di carico e scarico rifiuti sancito in quellasede.Le condotte sanzionate dall’art. 258, c. 2 sono di duetipi: la mancata tenuta del registro e la sua tenuta inmodo incompleto sono parimenti punite con una san-zione amministrativa pecuniaria dal 2.600 € a 15.500€. Nel caso in cui si tratti di rifiuti pericolosi, la san-zione amministrativa pecuniaria è aumentata da15.500 € a 93.000 € e a questa si accompagna la san-zione amministrativa accessoria della sospensione da1 mese a 1 anno dalla carica rivestita dal soggettoresponsabile dell’infrazione e dalla carica di ammini-stratore. Il c. 3 precisa che i suddetti importi sanzionatori sonoridotti (del 60% per i rifiuti non pericolosi - da 1.040€ a 6.200 €; dell’ 85% ca. per i rifiuti pericolosi - da2.070 € a 12.400 €) qualora le violazioni di cui al c. 2avvengano in imprese che occupano un numero dilavoratori inferiore a 15 dipendenti (il capoverso suc-cessivo illustra i criteri per il calcolo di tale numero).Infine, il c. 5, come già visto nel paragrafo preceden-te a proposito del Mud, introduce il diverso caso delregistro che contiene indicazioni formalmente incom-

plete o inesatte: qualora, però, dall’esame del Mud,dei registri e dei formulari si possano ricostruire leinformazioni mancanti, si applica al soggetto respon-sabile di tale illecito la sanzione amministrativa pecu-niaria ridotta da 260 € a 1.550 €. Si tenga presente cheil c. 5, cpv 2, fa soggiacere alla stessa sanzione anchel’ipotesi di mancata conservazione dei registri di cuiall’art. 190, c. 1, D.L.vo 152/06.Anche in questa sede è necessario precisare la distin-zione tra le fattispecie prese in considerazione a pro-posito del registro:- omessa tenuta: si tratta dell’ipotesi più semplice,

ovvero quella in cui il soggetto obbligato non tieneil registro di C/S (totale violazione dell’obbligodocumentale);

- tenuta effettuata in modo incompleto: in questosecondo caso, il registro viene tenuto, ma si riscon-trano alcuni errori o mancanze di tipo sostanzialenella sua compilazione e per il Legislatore si trattadi difetti così gravi da permettere che sotto il profi-lo sanzionatorio quest’ipotesi sia parificata alla suaomissione. Per fare un esempio, questo potrebbeessere il caso in cui manchi uno dei requisiti di cuiall’art. 190, c. 2 (origine, quantità, caratteristiche,destinazione specifica dei rifiuti; data del carico,dello scarico e il mezzo di trasporto utilizzato;metodo di trattamento impiegato), posto che la giu-risprudenza della SC ha ritenuto che la violazione dicui all’art. 258 si verifichi qualora venga meno unadelle condizioni indicate dalla legge per la regolari-tà della registrazione stessa6. Si tenga altresì presen-te che secondo Cass. Pen., sez. III, n. 10753, 8marzo 2004, Laverone, nel caso di inserimento neiregistri di dati completamente falsi, mentre l’art.258 (ex art. 52 D.L.vo 22/97) prevede l’ipotesi dellatenuta dei registri in modo incompleto, l’art. 484Cod. Pen. sanziona la falsità in registri, così che, puressendo condotte diverse, la disposizione codicisti-ca permette di completare in modo organico la pre-visione normativa in materia di rifiuti (art. 258, c.2), rendendo il sistema sufficientemente completoed in grado di assicurare una maggior tutela repres-siva nel momento della formazione dei registri;

- tenuta effettuata con indicazioni formalmenteincomplete o inesatte: questo terzo caso consistenella forma più lieve di violazione prevista dall’art.258 e non a caso è prevista una consistente riduzio-ne della sanzione amministrativa pecuniaria, inquanto si tratta di un mero difetto formale del tuttoovviabile. Tale potrebbe essere il caso in cui vieneper sbaglio invertito un numero del codice cer, mala sua descrizione è corretta e dalla verifica delMud, dei registri e dei formulari si conferma l’ipo-tesi di un mero errore formale.

Prima di concludere con la presentazione di un casoconcreto, è utile rammentare che la tempistica diaggiornamento dei registri è estremamente importan-

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6 Cass. Civ., sez. I, n. 24087, 29/12/2004, Texon Italia spa ed altro c. Provincia Ascoli Piceno; Cass. Civ., sez. I, n. 17115, 27/08/2004, Tullio Abbate srl c.Provincia Como, come cit. in RAMACCI L., La nuova disciplina dei rifiuti, Piacenza, 2006, p. 201.

te: infatti, secondo la sentenza della Corte diCassazione, sez. I Civile, n. 4710 del 3 marzo 2006(Angelici c. Amministrazione Provinciale di AscoliPiceno), sul registro di C/S dei rifiuti, la registrazionedella quantità, della natura, della composizione e dellecaratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti deve avveni-re nel momento in cui gli stessi sono – secondo i casi– prodotti, trattati, trasportati o addirittura provviso-riamente detenuti; in caso contrario, si ritiene integra-to l’illecito di cui all’art. 258, c. 2.

Formulario.Le disposizioni dell’art. 258 che riguardano il formu-lario sono il c. 4 e c. 5, cpv 2, ovvero:“4. Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il

formulario di cui all’articolo 193 ovvero indica nelformulario stesso dati incompleti o inesatti è punitocon la sanzione amministrativa pecuniaria da mil-leseicento euro a novemilatrecento euro. Si applicala pena di cui all’articolo 483 del codice penale nelcaso di trasporto di rifiuti pericolosi. Tale ultimapena si applica anche a chi, nella predisposizione diun certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indi-cazioni sulla natura, sulla composizione e sullecaratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fauso di un certificato falso durante il trasporto.

5. La stessa pena si applica se le indicazioni di cui alcomma 4 sono formalmente incomplete o inesattema contengono tutti gli elementi per ricostruire leinformazioni dovute per legge, nonché nei casi dimancato invio alle autorità competenti e di manca-ta conservazione dei registri di cui all’articolo 190,comma 1, o del formulario di cui all’articolo 193”.

In questa sede, l’art. 258, c. 4 richiama direttamentel’art. 193 allo scopo di ricordare l’obbligo sancito inquella sede di accompagnare ogni trasporto di rifiuticon il formulario di identificazione (non c’è, peraltro,una precisa individuazione dei soggetti obbligati, inquanto si tratta di un obbligo generale, le cui unichedue eccezioni sono individuate dall’art. 193, c. 4 rela-tivamente al soggetto gestore del servizio pubblico eai trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal pro-duttore in modo occasionale e saltuario che non ecce-dano la quantità di 30 Kg o 30 l).Le condotte sanzionate dall’art. 258, c. 4 sono di duetipi: il mancato utilizzo del formulario durante il tra-sporto ed il suo utilizzo con l’indicazione di datiincompleti o inesatti sono parimenti punite con unasanzione amministrativa pecuniaria dal 1.600 € a9.300 €. Nel caso in cui si tratti di rifiuti pericolosi siapplica, invece, la sanzione penale di cui all’art. 483Cod. Pen. (falsità ideologica commessa dal privato inatto pubblico – fino a 2 anni di reclusione): a questo

proposito, la dottrina si è interrogata se il rinvio ope-rato dall’art. 258 D.L.vo 152/06 all’art 483 Cod. Pen.riguardi solo la pena o l’intera fattispecie, perché inquesto secondo caso, trattandosi di un delitto, si poneil problema di dimostrare la sussistenza dell’elemen-to soggettivo (il dolo) richiesto dalla fattispecie. Aquesta domanda, anche con l’ausilio delle giurispru-denza, la dottrina ha risposto sostenendo la tesi delrinvio quoad poenam, in quanto più aderente al det-tato letterale della norma e in grado di punire anchele condotte colpose, garantendo così un più ampiomargine repressivo7.Peraltro, proprio perché la ratio del formulario risiedenel permettere la tracciabilità dei rifiuti trasportati, ilLegislatore estende la sopraccitata sanzione penaleanche al diverso caso del certificato di analisi deirifiuti: infatti, la pena di cui all’art. 483 Cod. Pen. siapplica anche a chi, nel predisporre un certificato dianalisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sugli stessi(natura, composizione, caratteristiche fisico-chimi-che), nonché a chi utilizza un certificato falso duranteil trasporto. In altre parole, non solo le condotte san-zionate penalmente sono due, ovvero quella di predi-sposizione di un certificato di analisi con false indica-zioni ( e questo è un reato che prescinde dall’attivitàdi trasporto) e quella di uso di un certificato falso, male stesse sono riferibili (e quindi la pena è ugualmen-te applicabile) sia ai rifiuti non pericolosi, sia ai rifiu-ti pericolosi, in quanto l’art. 258, c. 4, cpv 3, non faalcun cenno alle caratteristiche del rifiuto.Il cpv 2 del c. 5, invece, si segnala per due diversiaspetti: innanzitutto, esordisce con l’espressionescorretta “la stessa pena …”, quando nel capoversoprecedente si trattava della sanzione amministrativapecuniaria ridotta da 260 € a 1.550 €; poi, riproponel’ipotesi del formulario contenente indicazioni for-malmente incomplete o inesatte, ma con una differen-za rispetto ai precedenti casi del Mud e del registroC/S. Infatti, mentre in precedenza gli elementi utiliper ricostruire le informazioni dovute per legge pote-vano essere reperite tramite il Mud, i registri e i for-mulari, nel caso del Fir, lo stesso deve essere autore-ferente ovvero tali elementi devono essere contenutisolo nel formulario, senza poter avvalersi del Mud edei registri (la ratio di una simile previsione non èmanifesta, ma si può ipotizzare che questo particola-re rigore sia dovuto alla particolare ed importantefunzione assolta dal formulario, ovvero quella di per-mettere agli organi di controllo di verificare ogni pas-saggio del rifiuto trasportato)8.Si tenga presente che il c. 5, cpv 2, fa soggiacere allastessa sanzione amministrativa pecuniaria anchel’ipotesi di mancata conservazione dei formulario dicui all’art. 193 D.L.vo 152/06.

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7 RAMACCI L., La nuova disciplina dei rifiuti, Piacenza, 2006, p. 2028 Si veda anche RAMACCI L.., La nuova disciplina dei rifiuti, Piacenza, 2006, p. 203: "In generale, la giurisprudenza riconosce l'applicabilità della violazio-ne amministrativa nel caso in cui l'applicazione di dati incompleti o inesatti consista "in un difetto puramente formale, dovuto a inesattezza o incompletezza diregistrazione comunque ovviabile" (Cass. Sez. III, n. 30903 del 23 maggio 2001, Maio, cit.; nello stesso senso Cass. Sez. III, n. 1040 del 3 marzo 2000, Laezza,cit.) escludendola, però, con riferimento ai rifiuti pericolosi".

Dalla lettura dell’art. 258 emerge in modo sufficientechiaro che lo stesso individua quale soggetto autoredell’illecito colui che effettua il trasporto in assenzadel formulario ovvero colui che lo compila in modoinesatto ovvero incompleto, non richiamando quindiespressamente il soggetto che lo riceve. Tuttavia,occorre tenere presente un principio generale cheanima l’impianto sanzionatorio del D.L.vo 152/06,rappresentato dal dovere di cooperazione fra tutti isoggetti coinvolti nel ciclo di gestione dei rifiuti, alfine di una loro maggiore responsabilizzazione.Questo principio è sancito dall’art. 178, comma 3: “la

gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai prin-cipi di precauzione, di prevenzione, di proporzionali-tà, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti isoggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzio-ne, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui origina-no i rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamentonazionale e comunitario, con particolare riferimentoal principio comunitario chi inquina, paga”.Questo principio generale, che impone oneri di controlloe di diligenza su ogni soggetto coinvolto nella gestionedei rifiuti, sovrintende ad ogni intervento interpretativosulle norme del D.L.vo 152/06 in tema di responsabilità.

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9 Decreto del Ministero dell'Ambiente 3 settembre 1998, n. 370 (Regolamento recante norme concernenti le modalità di prestazione della garanzia finanziariaper il trasporto transfrontaliero di rifiuti - in G.U. n. 250 del 26 ottobre 1998). Art. 1: "le spedizioni di rifiuti comprese nel campo di applicazione del regolamento CEE n. 259/93 e successive modificazioni sono garantite da fidejussionerilasciata a favore dello Stato italiano da aziende di credito o da imprese debitamente autorizzate all'esercizio dei ramo cauzioni, a norma dell'articolo 1, lette-re b) e c), della legge 10 giugno 1982, n. 348. La fidejussione di cui al comma 1 è prestata dal notificatore secondo gli schemi contrattuali e per gli importi di cui agli allegati 1, 2 e 3, e garantisce le spesedi trasporto, compresi i casi di cui agli articoli 25 e 26 del regolamento n. CEE 259193, nonché le spese di smaltimento o di recupero e gli eventuali costi perla bonifica dei siti inquinati connessi alle predette operazioni, sostenute dalle autorità competenti di spedizione o di destinazione e dallo Stato ai sensi dei rego-lamento medesimo". 10 Art. 259, D.Lgs. 152/06: "1. Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell'articolo 26 del regolamento (CEE) 1° febbra-io 1993, n. 259, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell'Allegato II del citato regolamento in violazione dell'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d),del regolamento stesso è punito con la pena dell'ammenda da millecinquecentocinquanta euro a ventiseimila euro e con l'arresto fino a due anni. La pena èaumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi.2. Alla sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma1 o al trasporto illecito di cui agli articoli 256 e 258, comma 4, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto".

In tema di spedizioni di rifiuti, l’Italia è vincolatadalla Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989(concernente il controllo dei movimenti transfronta-lieri di scorie tossiche e della loro eliminazione), poiratificata con la L. 18 agosto 1993, n. 340 e dalRegolamento (CE) del Consiglio del 1 febbraio1993, n. 259 (GUCE L 30 del 6 febbraio 1993), diret-tamente applicabile nel nostro ordinamento senzanecessità di interventi normativi di recepimento. IlRegolamento, in realtà, altro non è che l’applicazionesu base europea dei precetti già espressi nellaConvenzione di Basilea: l’obiettivo comune dientrambi i testi normativi, infatti, non è solo quellodella soppressione dei traffici illeciti di rifiuti, maanche il controllo di quelli leciti, al fine di incentivarel’autosufficienza all’interno degli Stati produttori deirifiuti. A tal fine il Regolamento suddivide i rifiutidestinati al recupero in tre liste (“verde”, “ambra” e“rossa”) in base a caratteristiche crescenti di pericolo-sità, sicché la disciplina comunitaria relativa allamovimentazione dei rifiuti destinati al recupero negliStati dell’Unione non presenta caratteri di uniformità,ma si differenzia in base alla natura dei residui che haad oggetto.Con l’entrata in vigore il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152(GU n. 88 del 14 aprile 2006 – SO n. 96), detto anche“Testo Unico Ambientale”, il quale sostanzialmentericalca la precedente normativa, l’art. 194 si distinguedal precedente art. 16 del D.Lgs. 22/97 per alcuni

aspetti (al c. 3 è stata aggiunta la lettera d) “le moda-lità di verifica dell’applicazione del principio di pros-simità per i rifiuti destinati a smaltimento”; il c. 4recita che “sino all’emanazione del predetto decretocontinuano ad applicarsi le disposizioni di cui aldecreto interministeriale 3 settembre 1998, n. 370”9;il c. 6 è stato ampliato “nonché, entro il 30 settembredi ogni anno, i dati, riferiti all’anno precedente, pre-visti dall’articolo 13, comma 3, della Convenzione diBasilea, ratificata con legge 18 agosto 1993, n. 340”;è stato introdotto il c. 7 “ai rottami ferrosi e non fer-rosi di cui all’articolo 183, comma 1, lettera u), siapplicano le disposizioni di cui all’articolo 212,comma 12”), ma l’impianto normativo della disposi-zione resta il medesimo.L’art. 259 D.Lgs. 152/0610, invece, ricalca esattamen-te l’art. 53 D.Lgs. 22/97, per cui, al riguardo, si posso-no sviluppare le medesime riflessioni nate sotto ilregime previgente. Bisogna innanzitutto sottolinearela particolare struttura della norma, in quanto l’art.259 D.Lgs. 152/06 disciplina l’ipotesi di traffico ille-cito di rifiuti, assoggettandola a sanzione penale,attraverso un rinvio al Reg. 259 per la determinazionedel contenuto della fattispecie sanzionata (ilRegolamento, infatti, nonostante fosse direttamenteapplicabile nel nostro ordinamento, era sfornito dellacorrispondente sanzione). La fattispecie criminosaricorre qualora si proceda a spedizioni senza che lanotifica sia stata inviata a tutte le autorità competenti

Art. 259: il traffico illecito di rifiuti

interessate in conformità alle disposizioni delRegolamento comunitario (articolo 26, lett. a, Reg.259); ovvero quando la spedizione sia effettuata senzail consenso delle autorità competenti interessate oeffettuata con il consenso di tali autorità ottenuto,però, soltanto grazie a falsificazioni, false dichiarazio-ni o frode (articolo 26, lett. b - c); ovvero quando laspedizione sia carente nel documento di accompagna-mento in modo da determinare uno smaltimento orecupero in violazione di norme comunitarie o inter-nazionali (articolo 26, lett. d - e); oppure, infine, quan-do la spedizione sia contraria alle norme sulle impor-tazioni ed esportazioni di rifiuti all’interno degli Statimembri (articolo 26, lett. f). E’ immediato cogliere che si tratta di una norma incri-minatrice estremamente ampia, sulla quale si possonosollevare dubbi in ordine al rispetto dei principi dilegalità, tassatività e determinatezza delle fattispeciepenali: essa, infatti, per l’individuazione della condot-ta penalmente rilevante rimanda all’art. 26 del Reg.259. che, a sua volta, rinvia ad altri articoli del mede-simo regolamento (articoli 14, 16, 19 e 21) nonchéagli allegati che coincidono con le liste verde (allega-to II), ambra (allegato III) e rossa (allegato IV). Ilfatto che l’art. 259 D.Lgs. 152/06, come il precedenteart. 53 D.Lgs. 22/97, citi, nella sua formulazione, “inviolazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) ed), del regolamento”11, esclude le spedizioni di queirifiuti destinati a recupero e riportati nell’allegato II alregolamento stesso: si tratta di un’esclusione immoti-vata, sulla quale si formulano dei dubbi, non fossealtro che per l’incertezza della dimostrazione del recu-pero (come si garantisce che i rifiuti in spedizionesiano oggettivamente destinati al recupero? Qualesoggetto lo garantisce?). In quest’ottica, il TarVeneto, sez. III, sentenza 23 marzo 2006, n. 689 hasentito l’esigenza di precisare che il Regolamento259, in materia di rifiuti destinati al recupero, prevedeche le autorità competenti di destinazione, di spedi-zione e di transito dispongono di trenta giorni dopo laspedizione della conferma (della notifica) per formu-lare obiezioni (in forma scritta e notiziandone le altreautorità) sulla spedizione, ma non precisa cosa succe-de se le autorità competenti non si pronunciano in

modo espresso. Del resto, siccome non è previstadalla disciplina comunitaria alcuna forma di “silen-zio” tipizzato o significativo, tale fattispecie va rac-cordata con l’art. 2 della L. 241/90 che pone in capoall’Amministrazione l’obbligo di concludere ogniprocedimento (sia esso aperto d’ufficio o a istanza diparte) con un provvedimento espresso, da adottarsientro 30 giorni e ciò vale, essendo espressione di unprincipio generale, per qualsivoglia tipo di procedi-mento; in caso contrario (come nella fattispecie), ilcomportamento dell’Amministrazione, omissivo del-l’emanazione dell’atto conclusivo, concreta un illegit-timo silenzio inadempimento.L’importanza della fattispecie de qua viene però miti-gata dal rispettivo sistema sanzionatorio, in quanto lapunibilità è confinata ad una pena contravvenzionale:la funzione di deterrente e la dimensione repressivasono praticamente minime, se si confrontano con lagravità dei fatti. Opportunamente il c. 2 dell’art. 259D.L.vo 152/06 prevede che, sia nella sentenza di con-danna che in quella di patteggiamento per le contrav-venzioni relative al traffico illecito di rifiuti, conseguaobbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto:si tratta di un ottimo deterrente che presuppone ilsequestro del mezzo di trasporto da parte degli organidi polizia giudiziaria e di vigilanza (infatti, non è pos-sibile confiscare un bene che non sia già stato sottopo-sto a sequestro penale allo stato di dibattimento).Ciò detto in riferimento al D.Lgs. 152/06, si tengapresente che il Regolamento (CE) n. 1013 delParlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno2006 (GUCE L 190 del 12 luglio 2006) abroga il Reg.259 con effetto al 12 luglio 2007, per cui i riferimentia tale regolamento abrogato s’intendono fatti a quellonuovo (art. 61). In particolare, si segnala che l’art. 26del Reg. 259 troverà il suo corrispondente nell’art. 2(definizioni), punto 35 (spedizione illegale), del Reg.1013, perché nel nuovo regolamento non si rinvienealcuna norma concernente il traffico illecito di rifiuti(resta inteso, peraltro, che le fattispecie prima inte-granti il traffico illecito, con il nuovo regolamentointegrano la spedizione illegale). In ogni caso, si ricor-da che fino al 12 luglio 2007 si dovranno applicare ilD.Lgs. 152/06 ed il Reg. 259.

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11 Art. 1, c. 3, a), Reg. 259: "Le spedizioni di rifiuti destinati unicamente al recupero e riportati nell'allegato II …".

Il termine “ecomafia”, neologismo ormai entrato nellinguaggio comune da qualche anno, si riferisce a queisettori della criminalità organizzata che hanno fattodel traffico e dello smaltimento illecito dei rifiuti illoro nuovo redditizio business.A far data dal 29 aprile 2006, con l’entrata in vigoredel D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152 (GU n. 88 del 14 apri-le 2006 – SO n. 96), recante “Norme in materiaambientale”, il Decreto Ronchi, e con esso l’art. 53bis sopraccitato, è stato abrogato. La disciplina corri-spondente, però, non è venuta meno, perché la si rin-viene perfettamente identica nell’art. 260:

Art. 260.“Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto,

con più operazioni e attraverso l’allestimento dimezzi e attività continuative organizzate, cede, rice-ve, trasporta, esporta, importa, o comunque gesti-sce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti e’punito con la reclusione da uno a sei anni. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applicala pena della reclusione da tre a otto anni. Alla condanna conseguono le pene accessorie dicui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter del codicepenale, con la limitazione di cui all’articolo 33 delmedesimo codice. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quel-la emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice diprocedura penale, ordina il ripristino dello statodell’ambiente e può subordinare la concessionedella sospensione condizionale della pena all’elimi-nazione del danno o del pericolo per l’ambiente”.

Tale pedissequa corri-spondenza tra l’art. 53bis D.L.vo 22/97 el’art. 260 D.L.vo152/06 permette dimantenere valideanche dopo il 29 apri-le 2006 le riflessionisopra esposte e relati-ve al previgente art.53 bis del DecretoRonchi, nonché diritenere ugualmenteattuali le pronuncegiurisprudenziali inmateria.

Le sentenze della SC hanno il pregio di contribuire ameglio determinare la fattispecie, posto che si tratta diun reato comune: in questo senso, i requisiti dellacondotta12 concernono il compimento di più opera-zioni e l’allestimento di mezzi e attività continuativeorganizzate tra loro strettamente correlate (con riguar-do alle attività, Cass. Pen., Sez. III, 27 maggio 2005,n. 19955 precisa l’aspetto della compartecipazione:“ai fini della realizzazione della compartecipazionecriminosa, non è richiesto il previo concerto fra tuttii partecipanti, ma è indispensabile, invece, un indivi-duale apporto materiale verso l’evento perseguito datutti, con la consapevolezza della partecipazionealtrui. … La redazione di certificati falsi … costituivaun apporto causale penalmente rilevante ai fini dellaconsumazione del reato di traffico illecito di rifiuti, exart. 53 bis D.L.vo 22/97, come addebitato agli altriindagati concorrenti nell’illecito de quo.Sussisteva, pertanto, l’elemento obiettivo del concor-so, poiché non era necessario un rapporto diretto del-l’indagato con gli altri concorrenti nel reato de quo”),posto che il Legislatore fa uso della congiunzione“e”13. Del resto, “le condotte sanzionate … si riferiscono aqualsiasi “gestione” dei rifiuti (anche attraverso atti-vità di intermediazione e commercio) che sia svolta inviolazione della normativa speciale disciplinante lamateria, sicché esse non possono intendersi ristrettedalla definizione di “gestione” delineata dall’art. 6,1° comma – lett. d) del D.Lgs. n. 22/1997, né limitateai soli casi in cui l’attività venga svolta al di fuoridelle prescritte autorizzazioni” (Cass. Pen., Sez. III,10 novembre 2005, n. 40827).

Per ciò che riguarda il bene giuridico pro-tetto, si considera che lo stesso debba essererinvenuto nella tutela della pubblica incolu-mità da interpretarsi alla luce della pro-tezione ambientale (Cass. Pen., Sez. III, 9giugno 2004, n. 25992: “un sostanzialeimplicito riferimento alla lesione o messa inpericolo della pubblica incolumità, che inragione appunto della sua entità e dellaaggressione ambientale connessavi, l’orga-nizzata attività di gestione deve determinareper integrare il delitto”): ciò non toglie, tut-tavia, che il reato in questione riguardi anchel’interesse ad uno svolgimento efficace dellaPA preposta ai controlli e all’esercizio dellefunzioni ad essa spettanti14.

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12 Cfr. sul punto RAMACCI L., Delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: nuovi chiarimenti dalla Corte di Cassazione, in Rivista Penale, n.2/2006, p. 185 ss.13 Cass., sez. III, 17 gennaio 2002, Paggi, come citata in RAMACCI L., Delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: nuovi chiarimenti dallaCorte di Cassazione, in Rivista Penale, n. 2/2006, p. 18814 Cfr. sul punto RAMACCI L., Delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: nuovi chiarimenti dalla Corte di Cassazione, in Rivista Penale,n. 2/2006, p. 186.

Art. 260: Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

Sull’interpretazione dell’avverbio “abusivamente”,la giurisprudenza ha ritenuto che tale termine, “conte-nuto nell’art. 53 bis, lungi dall’avere valore “residua-le” e, quindi alternativo rispetto alla disposizione del-l’art. 51, ne costituisce un esplicito richiamo in quan-to si riferisce alla mancanza di autorizzazione, chedetermina l’illiceità della gestione organizzata ecostituisce l’essenza del traffico illecito di rifiuti”(Cass. Pen., Sez. III, 13 luglio 2004, n. 30373). Un punto cruciale nella comprensione della fattispeciegioca il riferimento ai quantitativi ingenti di rifiuti chedevono essere oggetto dell’attività organizzata per iltraffico illecito: tale importanza è stata avvertita anchedalla S.C., ed infatti secondo Cass. Pen., Sez. III, 16dicembre 2005, n. 45598 è “… essenziale l’estimazio-

ne di un quantitativo ingente di rifiuti (locuzione, que-sta, di contenuti solo di merito, e valutabile nella suachiara locuzione come un cospicuo accumulo di rifiu-ti indipendentemente dall’effettiva e concreta implica-zione dei singoli carichi inquinanti)”.Bisogna prendere in considerazione un altro elementodi estremo rilievo: l’ingiusto profitto. Infatti, Cass.Pen., Sez. III, 10 novembre 2005, n. 40828 ha avutomodo di precisare che “in riferimento alla nozionegiuridica di ingiusto profitto richiesto dall’art. 53bis, 1° comma, DL 22/97, va affermato che detto pro-fitto non deve avere carattere necessariamente patri-moniale, potendo essere costituito anche da vantaggidi altra natura. Nella fattispecie … un rilevanterisparmio dei costi di produzione dell’azienda”.

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RIFIUTI DA ATTIVITA' DI MANUTENZIONE:QUALI GLI ADEMPIMENTI DOCUMENTALIA CARICO DELLE IMPRESE?

a cura di M.V.B.

Il caso

La soluzione.Innanzitutto va premesso che per sanificazione dainquinanti (vapori e particelle) si intende, generica-mente, la pulizia effettuata tramite l’utilizzo del vapo-re acqueo, il quale, unitamente agli inquinanti presen-ti, viene automaticamente aspirato e fatto confluire infusti prontamente sigillati: tali fusto contengono rifiu-ti liquidi (il vapore, infatti, è presente allo stato liqui-di – acqua). Viceversa, la manutenzione di impiantiindustriali ha per oggetto la sostituzione di componen-ti meccanici, elettrici o elettronici, filtri saturi di pro-dotti nocivi, tubature o parte di queste.Dalla disciplina generale relativa alla nozione di pro-duttore ex art. 183, c. 1, lett. b) del D.L.vo 152/06(produttore: colui la cui attività ha prodotto rifiuti),emerge che tendenzialmente il manutentore, la cuiattività di manutenzione ha prodotto rifiuti, è il pro-duttore. L’impresa cliente, casomai, può aver decisodi disfarsi degli stessi, ma ciò non rileva ai fini dell’in-dividuazione del produttore. Il concetto del “disfarsi”,peraltro, è sì richiamato dalle norme in materiaambientale, ma è presente nella nozione di rifiuto (art.183, c. 1, lett. a: “rifiuto: qualsiasi sostanza od ogget-to che rientra nelle categorie riportate nell’Allegato Aalla parte quarta del presente decreto e di cui il deten-tore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfar-si”), non in quella di produttore (art. 183, c. 1, lett. b:“produttore: la persona la cui attività ha prodottorifiuti cioè il produttore iniziale e la persona che haeffettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio oaltre operazioni che hanno mutato la natura o la com-posizione di detti rifiuti”).

In quanto tale, sul manutentore grava l’onere di clas-sificare correttamente i rifiuti prodotti: posto che perquanto rileva in questa sede la legge non prescrivealcun obbligo di effettuare le analisi, ciò dovrà esserepreso in considerazione laddove il produttore non siain grado di attribuire il Cer corretto .Il manutentore, una volta prodotti i rifiuti, classificatie imballati, prosegue con la loro gestione: poichésecondo l’art. 266, c. 4 i rifiuti “si considerano pro-dotti presso la sede o il domicilio del soggetto chesvolge tali attività”, ovvero quella del manutentore,quest’ultimo li trasporterà dalla sede del cliente, luogoeffettivo di produzione, alla sua. Secondo le regolegenerali sul trasporto di rifiuti di cui all’art. 193 delD.L.vo 152/06, ogni trasporto di rifiuti derivanti dal-l’attività di manutenzione dovrà essere accompagnatodal formulario di identificazione (sfuggono a questaregola solo le ipotesi di cui al c. 4 del citato articolo,ovvero il trasporto di rifiuti urbani effettuato dal sog-getto che gestisce il servizio pubblico ed il trasporto dirifiuti non pericolosi effettuato dal produttore stesso,in modo occasionale e saltuario, che non ecceda laquantità di 30 Kg o 30 l, nonché la movimentazionedei rifiuti in aree private). Chi scrive suggerisce diindicare nello spazio riservato alle Annotazione delformulario che il rifiuto è stato prodotto fuori sede.Tale adempimento documentale è poi strettamenteconnesso con un altro: l’art. 212, c. 8 prescrive che “leimprese che esercitano la raccolta e il trasporto deipropri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria eregolare nonché le imprese che trasportano i propririfiuti pericolosi in quantità che non eccedano trentachilogrammi al giorno o trenta litri al giorno nonsono sottoposte alla prestazione delle garanzie finan-ziarie di cui al comma 7 e sono iscritte all’Albo nazio-nale gestori ambientali a seguito di semplice richiestascritta alla sezione dell’Albo regionale territorial-mente competente senza che la richiesta stessa siasoggetta a valutazione relativa alla capacità finanzia-ria e alla idoneità tecnica e senza che vi sia l’obbligodi nomina del responsabile tecnico. Tali imprese sonotenute alla corresponsione di un diritto annuale diiscrizione pari a 50 euro rideterminabile ai sensi del-l’articolo 21 del decreto del Ministro dell’ambiente28 aprile 1998, n. 406 .

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Il caso.Un’impresa che effettua a attività di manutenzione esanificazione di impianti industriali altrui, a qualiadempimenti documentali in tema di rifiuti è tenuta?

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1 Sul punto si segnala che il II D.L.vo di modifica del D.L.vo 152/06 prevede l’esonero da tale adempimento solo per i piccoli imprenditori artigiani di cuiall’art. 2083 Cod. Civ. che non hanno più di tre dipendenti. 2 Approvato in I lettura dal Governo il 13 settembre us.3 Sul punto si segnala che il II D.L.vo di modifica del D.L.vo 152/06 prevede l’esonero da tale adempimento per gli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135Cod. Civ. con un volume di affari annuo non superiore a 8.000 €, le imprese che esercitano la raccolta ed il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi di cuiall’art. 212, c. 8, e le imprese che non hanno più di cinque dipendenti.

Posto che “l’iscrizione all’Albo è requisito per losvolgimento della attività di raccolta e trasporto dirifiuti non pericolosi prodotti da terzi, di raccolta etrasporto di rifiuti pericolosi” (art. 212, c. 5), il rispet-to delle condizioni di cui al sopraccitato c. 8 rendepossibile l’iscrizione all’Albo in via semplificata (inquesto caso, però, spetta al manutentore sapere conesattezza i quantitativi trasportati). Una volta compiuto il trasporto e giunto presso la pro-pria sede, il manutentore dovrà adempiere ad un altroobbligo: la tenuta del registro di carico e scarico di cuiall’art. 1901. Su tale registro, il cui modello è ancoraattualmente previsto nel DM 1 aprile 1998, n. 148,devono essere annotate tutte le informazioni sullecaratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti(origine, quantità, caratteristiche, destinazione, datadel carico, data dello scarico, mezzo di trasporto,metodi di trattamento). Le annotazioni devono essereeffettuate, per il produttore, almeno entro dieci giornilavorativi dall’effettuazione del trasporto e, per effet-to del D.L.vo 152/06, attualmente i registri non devo-no più essere vidimati, ma solo numerati, e non è piùnecessario l’utilizzo del modulo continuo, ma è suffi-ciente la normale carta A4.

Rispettati tali adempimenti, il manutentore-produttorepotrà realizzare presso la sua sede (luogo di produzio-ne dei rifiuti) un deposito temporaneo di rifiuti ex art.183, c. 1, lett. m), con il quale si intende “il raggrup-pamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta,nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenticondizioni: 1) i rifiuti depositati non devono contene-re policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani,policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5parti per milione (ppm), né policlorobifenile e policlo-rotrifenili in quantità superiore a 25 parti per milione(ppm); 2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti edavviati alle operazioni di recupero o di smaltimentosecondo le seguenti modalità alternative, a scelta delproduttore: 2.1) con cadenza almeno bimestrale, indi-pendentemente dalle quantità in deposito; oppure 2.2)quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in depositoraggiunga i 10 metri cubi. In ogni caso, allorché ilquantitativo di rifiuti non superi i 10 metri cubi l’an-no, il deposito temporaneo non può avere duratasuperiore ad un anno; oppure 2.3) limitatamente aldeposito temporaneo effettuato in stabilimenti localiz-zati nelle isole minori, entro il termine di durata mas-sima di un anno, indipendentemente dalle quantità;

3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti edavviati alle operazioni di recupero o di smaltimentosecondo le seguenti modalità alternative, a scelta delproduttore: 3.1) con cadenza almeno trimestrale,indipendentemente dalle quantità in deposito; oppure3.2) quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi indeposito raggiunga i 20 metri cubi. In ogni caso,allorché il quantitativo di rifiuti non superi i 20 metricubi l’anno, il deposito temporaneo non può averedurata superiore ad un anno; oppure3.3) limitata-mente al deposito temporaneo effettuato in stabili-menti localizzati nelle isole minori, entro il termine didurata massima di un anno, indipendentemente dallequantità; 4) il deposito temporaneo deve essere effet-tuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispettodelle relative norme tecniche, nonché, per i rifiutipericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano ildeposito delle sostanze pericolose in essi contenute;5) devono essere rispettate le norme che disciplinanol’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi”.Il deposito temporaneo, in quanto rappresenta un’attivi-tà precedente alla fase di gestione vera e propria deirifiuti, non abbisogna di alcuna autorizzazione, sicchécostituisce deroga espressa, sempre che il produttorerispetti le condizioni prescritte dall’art. 183. Si fa pre-sente che l’alternatività dei limiti temporali o quantitati-vi dei rifiuti in deposito è rimessa alla scelta del produt-tore, ma, in un’ottica garantista, il II D.L.vo correttivo dimodifica del D.L.vo 152/062 prevede che la modalitàscelta venga preventivamente annotata sui registri (e ciòper una maggior tutela in caso di controllo).

Raggiunti tali termini, il produttore intraprenderàuna seconda fase di gestione dei rifiuti, ovvero liavvierà a recupero/smaltimento presso impianti didestinazione a ciò deputati: da lui, dunque, partirà unnuovo ciclo di gestione con conseguente rispetto deiprescritti adempimenti documentali (formulario ditrasporto e registro).Infine, ex art. 189, c. 3, “le imprese e gli enti cheproducono rifiuti pericolosi … comunicano annual-mente alle Camere di commercio, industria, artigia-nato e agricoltura territorialmente competenti, conle modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n.70, le quantità e le caratteristiche qualitative deirifiuti oggetto delle predette attività”. Si tratta delcd. mud, un adempimento documentale che ha rilie-vo solo ai fini statistici3, ma che deve essere obbliga-toriamente assolto, salvo incorrere nelle sanzioni dicui all’art. 258, c. 1.Al riguardo, si tenga presente che sul piano sanzio-natorio, il manutentore, quale produttore dei rifiuti,risponde, in caso di violazione della presente disci-plina, come qualsiasi altro soggetto che se ne rendaresponsabile, secondo le norme previste dalla ParteIV, Titolo VI, D.L.vo 152/06: in particolare, puòincorrere nelle sanzioni per abbandono di rifiuti (art.255), per attività di gestione di rifiuti non autorizza-ta (art. 256), per violazione degli obblighi di comu-nicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei for-mulari (art. 258), di traffico illecito di rifiuti (art.259) e di attività organizzata per il traffico illecito dirifiuti (art. 260).

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PERCHE’ PARLARE DI COMUNICAZIONE IN UNCORSO DI FORMAZIONE SULLA SICUREZZASUL LAVORO?

di Renata Borgato*

La comunicazione è regolata da alcuni principi fon-damentali della comunicazione umana che sono statienunciati da Paul Watzlawick e da altri studiosidella scuola di Paolo Alto fin dagli anni 50 e sonodenominati “ assiomi” in quanto costituiscono dei<<principi così chiari da non aver bisogno di esse-re spiegati>>.Il 1° assioma della comunicazione umana esprimeun concetto che appare quasi lapalissiano: <<Non sipuò non comunicare>>. Il suo significato può sem-brare scontato, ma non sono scontate le implicazioniche esso ha. La prima e più evidente risiede nel fatto che, datoche alla comunicazione si è in qualche modo con-dannati, è un interesse di chi comunica scegliere lemodalità con cui lo fa e, soprattutto, che è utileall’emittente produrre una comunicazione mirata all’obiettivo che si pone.

Ciò vale per qualunque emittente e in qualunquesituazione, pubblica o privata, ma in particolare perchi della comunicazione fa un uso professionale.Per fare un esempio, pensiamo al caso di un RSPP chedebba progettare un intervento formativo finalizzato aindurre i partecipanti a mantenere un atteggiamento diautonoma prevenzione dei rischi, che voglia cioè indi-rizzarli a evitare spontaneamente azioni che possonomettere loro stessi o altri in pericolo. Supponiamo inparticolare che lo scopo specifico del suo interventosia quello di far utilizzare correttamente e costante-mente i dispositivi di protezione individuale (D.P.I). Qualora il RSPP si limitasse a presentare i rischi e aproporre le misure di prevenzione attraverso lezioniteoriche, senza cercare in alcun modo di coinvolgerei partecipanti, si produrrebbe un’aperta contraddizio-ne. Con le parole egli esorterebbe infatti all’assunzio-ne di responsabilità, con i fatti metterebbero i riceven-ti in una condizione passiva. Sarebbe come il messag-gio enunciato fosse << dovete essere protagonistidella prevenzione >> ma quello implicito lo contrad-dicesse sostenendo <<in materia di prevenzione tuttoquello che vi si chiede è di stare ad ascoltare. Sono glialtri che sanno quello che si deve fare. >> Per produrre un atteggiamento attivo è invece oppor-tuno non limitarsi a dare spiegazioni, ma chiederepareri e indicazioni, esaminare le esperienze persona-li, ascoltare quando i lavoratori hanno da dire ecc. Non farlo può addirittura essere controproducente.Infatti, come hanno dimostrato parecchie indagini sulcomportamento, le persone costrette a subire passiva-mente una comunicazione, difficilmente modificanole proprie abitudini in relazione a quanto hanno ascol-tato: il cambiamento avviene più facilmente qualorasi faccia leva su preesistenti convinzioni dell’ascolta-tore e il formatore che non si cura di individuarle sipriva di un utile strumento di persuasione: le argo-mentazioni del tutto estranee non risultano infattimodificanti e vengono frequentemente sottovalutate orimosse. Nel più favorevole dei casi possono generareuno stato di dissonanza cognitiva, cioè un disagio perl’incongruenza tra quanto la persona sa e i comporta-menti che adotta.

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* Formatrice, esperta di Associazione Ambiente e Lavoro.

Anche in un corso di formazione sui temi della sicu-rezza non ci può esimere dal parlare dei principidella comunicazione umana: essi sono infatti unacompetenza trasversale utile in qualunque situazionee in qualunque contesto.Conoscerli e conoscerne le implicazioni costituisceuno strumento di base per qualunque interazionepubblica e privata, aiuta ad acquisire consapevo-lezza degli effetti che essa ha, permette di capiredinamiche che altrimenti sarebbero difficilmentespiegabili e indica modalità utili per produrre i com-portamenti auspicati e per disincentivare quelli nonfunzionali.In un certo senso, << è la comunicazione che crea larealtà1>>. Non a caso l’art. 8 bis del D.lgvo 626/94prescrivere che tra le competenze dei RSPP debbanoesserci anche quelle comunicative e le comprende tragli argomenti da inserire obbligatoriamente nei corsidiretti a questa figura.

Tale disagio può essere superato cancellando l’ele-mento della dissonanza meno resistente. Nel caso specifico, la situazione potrebbe diventare laseguente:1. il lavoratore ha la convinzione che i DPI siano fasti-

diosi e non particolarmente utili << non mi è capi-tato mai nulla eppure non li ho mai usati. Non cono-sco neppure nessuno che abbia avuto un incidenteperché non li adoperava>>

2. il relatore sostiene esattamente il contrario <<èmolto pericoloso non usare i DPI. Le statistichedimostrano … ecc. ecc.>>

3. il lavoratore, dopo aver ascoltato, entra in uno statodi dissonanza cognitiva che lo disturba; il disagiopuò essere superato solo eliminando uno dei dueelementi in contraddizione tra loro. Ma è probabileche le parole del RSPP abbiano una forza moltolimitata, che prevalga la convinzione preesistente eche il lavoratore superi la dissonanza pensando <<sono tutte sciocchezze>>

La comunicazione infatti c’è stata, ma le modalitàattraverso le quali è stata emessa non sono state scel-te strategicamente.Un’oculata scelta strategica avrebbe condotto a sce-gliere metodi attivi, come discussioni, lavori di grup-po, simulazioni e altre modalità di coinvolgimento lacui efficacia è stata ampiamente dimostrata. Un esempio convincente è dato dall’esperimento con-dotto dallo psicologo Kurt Lewin negli USA nelperiodo bellico.L’esperienza aveva l’obiettivo di individuare le moda-lità più efficaci per indurre le massaie statunitensi aconsumare pezzi di carne meno pregiati di quelli cheabitualmente usavano. Furono coinvolti due campionicasuali di donne. Il gruppo A venne invitato a presenziare a conferenzein cui dietologi, esperti di alimentazione, cuochi,medici ecc. illustravano i pregi dei tagli di carne menoapprezzati e le esortavano a farne uso.Le partecipanti del gruppo B invece partecipavano asedute in cui uno psicologo introduceva il problemarelativo all’utilità di mangiare le carni meno pregiatee sollecitava le donne a discutere tra loro gli aspettinegativi e positivi di tale comportamento alimentare. Gli effetti pratici delle due esperienze furono assaidiversi. Nel gruppo A si registrò una modificazionedel comportamento pari al 3 %, nel gruppo B il cam-biamento fu del 32%.Appare quindi evidente che, a parità di contenuto, è lamodalità di comunicazione usata che fa la differenza.Dire che si può non comunicare equivale a dire chetutto è comunicazione. Per questo è necessario tenerconto che, al di là dei messaggi che il formatore mandain aula, ne esistono molti altri che possono contraddire oconfermare quelli espressi nel corso di formazione. Se lepratiche adottate nel posto di lavoro sono coerenti conquanto viene detto in aula ne rafforzeranno gli effetti.

Al contrario, un’eventuale discrepanza tra teoria epratica può comunicare ai partecipanti in modo ine-quivocabile che quanto viene detto in aula sono soloparole, ma che nella “vita vera”, nella “realtà” le cosestanno ben diversamente: quello che si predica è,appunto, solo una predica e nulla di più. Saranno poii lavoratori stessi a trarne le conseguenze.In questo caso, quindi, ben difficilmente un interven-to formativo produrrà effetti sui comportamenti(saper fare) e sugli atteggiamenti (saper essere) di chiascolta. Diventa dubbia persino la sua possibilità diprodurre un nuovo sapere in quanto gli adulti impara-no solo quello che riconoscono come utile per loro ese non è ravvisabile la spendibilità di quanto si inse-gna loro difficilmente avviene l’apprendimento.

Anche il secondo assioma della comunicazione sug-gerisce alcune considerazioni interessanti.Esso dice che in ogni comunicazione c’è una parte direlazione e una parte di contenuto. Chiunque vogliainsegnare qualcosa a un adulto deve tener conto delfatto che si trova di fronte a persone con un’esperien-za che non può e non deve essere disconosciuta, penail deterioramento della relazione. In proposito è necessario tener presente anche un altroassioma della comunicazione, precisamente il quinto.Esso dice che una comunicazione può essere simme-trica cioè tra pari o complementare cioè tra personecon conoscenze (o poteri, o ruoli diversi) diversi.Dare il giusto riconoscimento, promuovere il con-fronto, valorizzare i saperi posseduti, accettare che avolte siano appunto i discenti a insegnare qualcosa alformatore predispone il giusto clima per una collabo-razione costruttiva. È bene ricordare anche che alcunidestinatari reagiscono con insofferenza a un’esposi-zione di informazioni esageratamente semplice e det-tagliata perché essa può far presupporre un livello disubordinazione che essi non riconoscono. Impostare correttamente la relazione permette di pre-venire o attenuare i comportamenti ostili e le contesta-zioni si possono produrre anche di fronte a comunica-zioni il cui contenuto è ineccepibile. Le persone infatti tendono ad attaccare i contenutianche quando la loro critica dovrebbe riguardare lerelazioni.Un partecipante irritato perché il relatore non ricono-sce le sue esperienze, difficilmente ammette che lasua rabbia deriva da ciò e quindi cerca con pervicaciaqualche errore in quello che viene detto e a questoerrore – vero o presunto – si attacca per dare voce allapropria frustrazioneInvece, se la relazione funziona, i contenuti espressidall’altro possono essere condivisi e accettati senzadifficoltà, né si andrà a caccia dei possibili sbagli.Se la relazione funziona, anche il mancato accordo suicontenuti non costituisce un problema, anzi può gene-rare un utile e costruttivo confronto.

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I problemi nascono quando la relazione non è buona:in questo caso, anche se c’è accordo sui contenuti,resta un atteggiamento di diffidenza e il partecipantepuò utilizzare strumentalmente il contenuto per inne-scare la contestazione. Può persino spingersi a con-traddire per il solo gusto di farlo.Questo genera un’altra complicazione: una volta cheabbiano espressa una posizione le persone tendono adifenderla, indipendentemente dal fatto di esserne omeno profondamente convinte.Di fronte a un atteggiamento di questo tipo, sta al for-matore trovare un’onorevole via d’uscita per chi locontesta, in modo che questi possa non persisterenella propria posizione senza perdere la faccia: ancheil rispetto dell’altrui sensibilità è un elemento dellarelazione tra le persone.La situazione più complicata si verifica quando traformatore e partecipante c’è un effettivo disaccordosui contenuti e una cattiva relazione. In situazioni diquesto genere gli atteggiamenti devono essere valuta-ti di volta in volta, ma in alcuni casi può essere utileparlare di cosa sta succedendo. La rilevanza del fattore relazione aumenta ulterior-mente se si pensa al cosiddetto “effetto alone” cioè aquel meccanismo per cui le persone trasportano espe-rienze e relazioni da una situazione all’altra. Peresempio: giudicano una persona appena conosciutapoco affidabile per la sua somiglianza con un’altracon cui si ha fatto un’ esperienza negativa. I rischi ditutto ciò si ampliano se scatta un altro meccanismo,quello “della profezia che si autoadempie” in base alquale le persone mettono in atto strategie che favori-scono il prodursi di quanto si aspettano succeda.Se un RSPP riesce a far acquisire la consapevolezzache a volte quanto non funziona in una comunicazio-ne è proprio la relazione ha già prodotto un risultatoimportante i cui effetti potrebbero influenzare i rap-porti anche fuori dal contesto specifico. Il terzo assioma della comunicazione richiama l’at-tenzione sulle interrelazioni tra le persone: non è pos-sibile stabilire con certezza se quello che ci sembraessere l’effetto di un’azione altrui non sia invececausa di quanto avviene.

Una relazione, infatti, può essere letta diversamente inbase alla punteggiatura che le si dà. Se una comunica-zione comincia con la frase: <<lei brontola>>, conti-nua con la frase <<lui si chiede in se stesso>>, prose-gue con << lei brontola>>, reitera <<lui si chiude inse stesso>> ecc., è probabile che il ricevente conside-ri il brontolio come la causa della chiusura. Bastaperò, punteggiare diversamente: <<lui si chiede in sestesso>> e aggiungere <<lei brontola>>ecc. e il sensocambia completamente.Guardare le cose da questo punto di vista aiuta a inter-rogarsi sulle dinamiche interpersonali.Il formatore potrebbe introdurre anche il concetto diresponsabilità, ben diverso da quello di colpa. Unapersona, indipendentemente dall’aver causato o menouna situazione, può assumersi la responsabilità di cer-care di migliorarla. In questo modo può interromperela spirale di interrelazioni negative e promuovere losvilupparsi di una dinamica virtuosa.

Il quarto assioma della comunicazione spiega che lacomunicazione consta di due canali: il verbale il nonverbale/paraverbale2.La comunicazione verbale serve a veicolare i contenu-ti, a dare delle informazioni, ma da sola non permettedi stabilire una relazione, un rapporto tra chi parla echi ascolta. Sul rapporto invece incide la comunica-zione non verbale. In particolare è importante non emettere messaggicontraddittori tra un canale e l’altro perché ladiscrepanza provoca diffidenza. In questo caso ilmessaggio ritenuto veritiero è quello veicolato dallacomunicazione non verbale che è meno facilmentemistificabile.Del quinto assioma abbiamo già detto.

Un’ultima osservazione: per quanto una comunicazio-ne sia strategicamente progettata occorre verificareattentamente gli effetti che produce. Solo attraversol’analisi di essi è possibile verificare se la progettazio-ne è adeguata agli obiettivi ed eventualmente pratica-re i necessari aggiustamenti.

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2 La comunicazione non verbale è costituita dal linguaggio del corpo, dai gesti, dalle espressioni, quella paraverbale dal tono, dal timbro, dal volume dellavoce.