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a. ci, a«.#4# a, a. *a. «.4 s.A. i "...3 4 .L.» 4.4 <L» k.lba Non è facile orientarsi nel dedalo delle informazioni - e disin formazioni - sugli organismi geneticamente modificati; questo articolo vuole offrire un contributo a una valutazione scientifica del problema di Francesco Sala A lcuni lo chiamano cibo di Fran- kenstein, e affermano che le piante transgeniche (etichet- tate collettivamente come ogm, ossia organismi geneticamente modificati o, più propriamente, piante gm) sono pe- ricolose per la salute, attentano alla biodiversità del mondo vegetale e ucci- dono insetti come la farfalla monarca. Affermano anche che solo i paesi ricchi ne trarranno vantaggio, mentre i paesi poveri saranno ancor più asserviti alle multinazionali che producono le se- menti. Il dissenso sulle piante gm tocca le amministrazioni comunali (vi sono Comuni che si definiscono «de-inge- gnerizzati»), regionali (alcune Regioni italiane vietano la coltivazione di pian- te ingegnerizzate) e i Governi dell'U- nione Europea (che proibiscono di col- tivarle, ma non di importarle). Ma non è così nel resto del mondo dove vi è una sostanziale accettazione. Tra i paesi più attivi nella ricerca e col- tivazione di piante gm vi sono Stati Uniti, Canada e Sud America. Nel 1999 la coltivazione mondiale di pian- te transgeniche è aumentata del 43,5 per cento rispetto all'anno precedente arrivando a occupare 39,9 milioni di ettari di terreno, una superficie ben più grande dell'Italia intera. E, nei prossi- mi cinque anni queste cifre sono desti- nate ad aumentare vertiginosamente, dal momento che numerose piante transgeniche sono ormai pronte per la coltivazione in Cina e in India. Nell'Unione Europea la ricerca nel settore è stata sinora molto attiva, spe- cie nelle Università e nei centri di ricer- ca pubblici. L'Italia stessa ha sviluppa- to una notevole attività di ricerca ap- plicata alla protezione e alla valorizza- zione dell'agricoltura mediterranea. Tuttavia, in Europa, le licenze di colti- vazione non vengono più accordate, le prove sperimentali controllate sono scoraggiate o addirittura distrutte, la superficie coltivata è ridotta a pochi et- tari, tutti in Spagna e Portogallo. Come si è arrivati alle piante tra nsgeniche Dall'inizio del secolo, due sono stati, essenzialmente, gli approcci al miglio- ramento genetico delle colture: l'incro- cio tra piante sessualmente compatibili e la selezione di mutanti. Dal 1985, la scienza ne ha aggiunto uno nuovo ba- sato sull'integrazione, nel genoma del- la pianta, di geni clonati da altri orga- nismi viventi come piante non sessual- mente compatibili, batteri, animali, funghi o virus. Quest'ultimo approccio è reso possibile dal fatto che il codice genetico è universale: non esistono strutture geniche specifiche per ciascun regno tassonomico. L'uomo è uomo non perché fatto da geni umani, ma perché l'insieme dei suoi geni ne deter- mina il differenziamento in un organi- smo dalle caratteristiche umane. Tut- tavia, un gene donato dal genoma del- l'uomo può essere trasferito ed espres- so in un batterio, in un lievito o in una pianta. Per esempio, tutta l'insulina umana per uso medico è oggi prodotta da lieviti geneticamente modificati. Per capire i vantaggi offerti dalle ap- plicazioni del trasferimento genico nel- le piante coltivate prendiamo per esempio il riso Carnaroli, una delle più apprezzate varietà coltivate in Italia. Spaventapasseri a guardia di un campo di mais in Valsugana. L'agricoltura tradiziona- le e quella biologica hanno molti meriti, ma non potranno da sole sopperire ai fabbiso- gni alimentari della crescente popolazione mondiale. o o 34 LE SCIENZE 386/ ottobre 2000 LE SCIENZE 386/ ottobre 2000 35

di Francesco Sala Come si è arrivati - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2000_386_1.pdf · è reso possibile dal fatto che il codice genetico è

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a. ci, a«.#4# a, a. *a. «.4 s.A. i "...3 4 .L.» 4.4 <L» k.lba

Non è facile orientarsi nel dedalodelle informazioni - e disin formazioni -

sugli organismi geneticamente modificati;questo articolo vuole offrire

un contributo a una valutazionescientifica del problema

di Francesco Sala

A

lcuni lo chiamano cibo di Fran-kenstein, e affermano che le

piante transgeniche (etichet-tate collettivamente come ogm, ossiaorganismi geneticamente modificati o,più propriamente, piante gm) sono pe-ricolose per la salute, attentano allabiodiversità del mondo vegetale e ucci-dono insetti come la farfalla monarca.Affermano anche che solo i paesi ricchine trarranno vantaggio, mentre i paesipoveri saranno ancor più asserviti allemultinazionali che producono le se-menti. Il dissenso sulle piante gm toccale amministrazioni comunali (vi sonoComuni che si definiscono «de-inge-gnerizzati»), regionali (alcune Regioniitaliane vietano la coltivazione di pian-te ingegnerizzate) e i Governi dell'U-nione Europea (che proibiscono di col-tivarle, ma non di importarle).

Ma non è così nel resto del mondodove vi è una sostanziale accettazione.Tra i paesi più attivi nella ricerca e col-tivazione di piante gm vi sono StatiUniti, Canada e Sud America. Nel1999 la coltivazione mondiale di pian-te transgeniche è aumentata del 43,5per cento rispetto all'anno precedentearrivando a occupare 39,9 milioni diettari di terreno, una superficie ben piùgrande dell'Italia intera. E, nei prossi-mi cinque anni queste cifre sono desti-nate ad aumentare vertiginosamente,dal momento che numerose piantetransgeniche sono ormai pronte per lacoltivazione in Cina e in India.

Nell'Unione Europea la ricerca nelsettore è stata sinora molto attiva, spe-cie nelle Università e nei centri di ricer-ca pubblici. L'Italia stessa ha sviluppa-to una notevole attività di ricerca ap-

plicata alla protezione e alla valorizza-zione dell'agricoltura mediterranea.Tuttavia, in Europa, le licenze di colti-vazione non vengono più accordate, leprove sperimentali controllate sonoscoraggiate o addirittura distrutte, lasuperficie coltivata è ridotta a pochi et-tari, tutti in Spagna e Portogallo.

Come si è arrivatialle piante tra nsgeniche

Dall'inizio del secolo, due sono stati,essenzialmente, gli approcci al miglio-ramento genetico delle colture: l'incro-cio tra piante sessualmente compatibilie la selezione di mutanti. Dal 1985, lascienza ne ha aggiunto uno nuovo ba-sato sull'integrazione, nel genoma del-la pianta, di geni clonati da altri orga-nismi viventi come piante non sessual-mente compatibili, batteri, animali,funghi o virus. Quest'ultimo approccioè reso possibile dal fatto che il codicegenetico è universale: non esistonostrutture geniche specifiche per ciascunregno tassonomico. L'uomo è uomonon perché fatto da geni umani, maperché l'insieme dei suoi geni ne deter-mina il differenziamento in un organi-smo dalle caratteristiche umane. Tut-tavia, un gene donato dal genoma del-l'uomo può essere trasferito ed espres-so in un batterio, in un lievito o in unapianta. Per esempio, tutta l'insulinaumana per uso medico è oggi prodottada lieviti geneticamente modificati.

Per capire i vantaggi offerti dalle ap-plicazioni del trasferimento genico nel-le piante coltivate prendiamo peresempio il riso Carnaroli, una delle piùapprezzate varietà coltivate in Italia.

Spaventapasseri a guardia di un campo di mais in Valsugana. L'agricoltura tradiziona-le e quella biologica hanno molti meriti, ma non potranno da sole sopperire ai fabbiso-gni alimentari della crescente popolazione mondiale.

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LE SCIENZE 386/ ottobre 2000

LE SCIENZE 386/ ottobre 2000

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Disponibilitàdi calorie al giorno

meno di 2000

III 2000 - 2299

2300 - 2599

LI 2600 - 2899

i 2900 - 3199

• 3200 e più

2 dati insufficienti

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Benefici derivanti dall'impiegodi piante transgeniche

Per la salute umana:• Eliminazione dai prodotti alimentari dei residui di insetticidi, fungicidi e altrifitofarmaci• Eliminazione di componenti che provocano allergie nel consumatore• Riduzione dei livelli di contaminazione dei cibi con tossine e aflatossine fungine• Sostituzione dei diserbanti attualmente usati nelle grandi colture con diser-banti biodegradabili nel terreno• Salvaguardia delle varietà vegetali di pregio messe a rischio da stress colturali(infezioni da insetti, fungine, virali)

Per l'ambiente:• Più rispetto per la biodiversità della fauna grazie al risparmio di fitofarmaci

• Utilizzo di piante per fabbricare prodotti chimici e farmaceutici attualmente ot-tenuti industrialmente

Per i paesi poveri:• Resa più elevata per unità di superficie• Piante resistenti a stress biotici (parassiti) e abiotici (siccità, salinità, temperatura)• Piante con migliorate capacità nutrizionali (più vitamine, ferro, amminoacidi)

ak

Questo riso ha un difetto: è sensibilissi-mo agli attacchi di un parassita fungi-no, la Pyricularia oryzae. Le perditeproduttive possono raggiungere il 100per cento, a meno che non si interven-ga con prodotti chimici antifungini.L'incrocio del Carnaroli con una va-rietà resistente al fungo potrebbe dareuna progenie con questa proprietà, manon sarebbe più il Carnaroli, così co-me i nostri figli non sono identici a noi.In alternativa, si tenta da anni di sele-zionare mutanti resistenti al fungo, masi è visto che questi favoriscono lo svi-luppo di nuovi ceppi fungini patogeni.

L'ingegneria genetica è in grado dioffrire un approccio più semplice e si-curo: infatti esistono in natura genicon proprietà antifungine. Tra questi ilgene B32 di mais, il gene AFP diAspergillus giganteus e i geni della fa-miglia delle cecrosporine che esplicanoazione fungicida nell'intestino degli in-setti. Il trasferimento nel riso di uno opiù di questi geni potrebbe renderlo re-sistente alla Pyricularia e inoltre impe-direbbe lo sviluppo di nuovi ceppi fun-gini patogeni. Non è fantascienza. Èun progetto dell'Unione Europea at-tualmente sviluppato presso l'Istitutodi cerealicoltura di Bergamo.

Nella tabella a pagina 42 sono rias-sunte le attività di ricerca, i controlli ele analisi necessari per la produzione dipiante transgeniche. È importante no-tare che si tratta del primo caso, nellastoria dell'agricoltura, in cui c'è l'ob-bligo di analizzare tossicità ed effettisull'ambiente delle nuove varietà. An-cora oggi, nell'agricoltura tradizionalee biologica ciò non è richiesto!

ringiensis). Ciò permette di esprimere ilgene con alta efficienza, ma questo avolte non è raccomandabile. Nel casodel mais-Bt stesso, la produzione conti-nua della tossina-Bt potrebbe determi-nare la scomparsa dell'insetto bersa-glio, con conseguenze per la biodiver-sità, oppure potrebbe favorire la se-lezione di insetti resistenti. Ciò è sta-

to documentato pergli insetticidi a basedi spore di B. thurin-giensis in coltivazioni«biologiche '» (ma nonancora in coltivazionidi piante-Bt).

Il prossimo futuro èdunque nei promoto-ri inducibili. Si stan-no isolando promoto-ri che attivano i geni inseguito a infezione daparassiti, in dati stadidi sviluppo della pian-ta o in particolari tes-suti (per esempio, nel

fiore o nella radice).Le metodologie di trasferimento ge-

nico sono già oggi semplici e poco co-stose. Le più usate sono quelle basatesulla infezione con Agrobacterium tu-mefaciens o sul bombardamento conparticelle accelerate. Tuttavia, moltepiante di interesse agrario sono ancorarefrattarie alla trasformazione geneti-ca. È verosimile che in un prossimo fu-turo le metodologie saranno ulterior-mente semplificate con il risultato chepresto qualsiasi laboratorio di biotec-nologie vegetali in qualsiasi paese delmondo sarà in grado di integrare geniin piante di interesse locale.

Abbiamo elencato in tabella alcunidei benefici già attualmente percepibilio promessi per il prossimo futuro dallepiante gm. Come si vede, la produzio-ne di cibo non sarà assolutamente l'u-nico sbocco di questa tecnologia. Anzi,la previsione è che, tra 15-20 anni, lamaggioranza delle applicazioni sarà inaltri settori. In Cina, il pioppo-Bt, resi-stente agli insetti, produrrà legnamegià dal prossimo anno. E vi sarannoapplicazioni in molti altri settori, comequelli connessi alla sintesi di compostidi interesse chimico e farmaceutico. Ègià stato brevettato un riso-Bt capacedi produrre albumina del siero umano,alfa- 1 -antitripsina e antitrombina III,proteine oggi prodotte da cellule uma-ne in coltura. I geni per la loro sintesi,dotati di promotore della alfa-amilasi,permettono la produzione delle protei-ne corrispondenti nell'endosperma deisemi in germinazione. «È come fare labirra» recita il testo del brevetto.

La produzione di vaccini in pianta è

se. Sia la Cina che l'India hanno incre-mentato i finanziamenti pubblici per laricerca di base proprio allo scopo diprodurre nuovi geni per piante gm.

Per quanto riguarda i promotori, os-sia le sequenze di DNA che accendonoil gene così come un interruttore accen-de una lampadina, bisogna distingueretra promotori costitutivi (gene sempre

In Cina l'agricoltura ha sempre avuto ungrande sviluppo e si è costantemente cer-cato di aumentarne la produttività. Il di-pinto in basso, di Wen Chih-chiang, inti-tolato Il giardino della nostra Comune(1975) è un esempio dei risultati rag-giunti con sistemi tradizionali. Ora ilpaese punta molto sulle biotecnologieper migliorare la redditività non solo deiprodotti alimentari, ma anche di quelliper l'industria. Le foglie di pioppo a latomostrano i vantaggi dell'inserimento delgene-Bt per la resistenza agli insetti.

attivato) e inducibili (gene attivato soloin risposta a uno stimolo quale luce,freddo, siccità o lesioni). La maggiorparte dei geni negli organismi superioriè controllata da promotori inducibili.

Le piante gm oggi coltivate hannotransgeni con promotori costitutivi. Peresempio, è costitutivo il promotore 35Sdel mais-Bt (dal nome del Bacillus thu-

Presente e futurodelle piante transgeniche

Per ora sono ancora pochi i geni in-tegrati nelle piante coltivate. Si trattadi geni che conferiscono resistenza ainsetti, virus e diserbanti o che manten-gono i frutti al giusto grado di matura-zione. Ma siamo solo all'infanzia dellebiotecnologie vegetali. Presto disporre-mo di una vasta batteria di promotori

e di geni che, grazie a metodologie ditrasferimento genico semplificate, per-metteranno le più diverse applicazioni.

Restando nel settore riso, già abbia-mo geni che permettono l'accumulo,nel seme, di vitamine, di ferro o dicomposti di notevole interesse farma-ceutico e altri ancora che eliminano leproprietà allergeniche. Nel prossimofuturo ogni nazione sarà in grado didonare e utilizzare geni di suo interes-

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LE SCIENZE 386/ ottobre 2000LE SCIENZE 386/ ottobre 2000

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Stop Geneti-rr Crops

41;ttER1>EACE"

In alto, cristalli di pro-teina Bt prodotta innatura da Bacillus thu-ringiensis. A sinistra,Arpad Pusztai, il ricer-catore britannico chescatenò la polemicasulla tossicità delle pa-tate transgeniche. Adestra, manifestazioneorganizzata da Green-peace per protestare afavore della farfallamonarca la cui soprav-vivenza sembrava mi-nacciata dal polline delmais-Bt. Sotto, disegnodi una fragola conte-nente un gene di pesceartico, emblema di unacampagna della Coop.

un'altra area di enorme interesse per ipaesi poveri. Saranno anche economi-camente vantaggiose le applicazioni al-le piante ornamentali, a cui si potrannoconferire nuove forme e diversi colori.

Quali rischidalle piante gm?

Prima di affrontare lo scottante ar-gomento dobbiamo fare una premessa:agricoltura non è natura. Da quando ènata, ma soprattutto nell'ultimo seco-lo, agricoltura significa distruzione diforeste e di luoghi naturali per far po-

sto ai campi, riduzione della biodiver-sità, sovvertimento degli equilibri bio-logici, inquinamento ambientale.

L'aumentata coscienza di tutto ciò ciporta oggi a cercare di limitare gliaspetti negativi dell'agricoltura intensi-va. Le piante transgeniche non sfuggo-no a questa comune esigenza e posso-no essere progettate per risolvere alcu-ni problemi tradizionali. Tuttavia, ilmessaggio che arriva all'opinione pub-blica europea è che le piante gm sonotroppo pericolose e, quindi, inaccetta-bili. E davvero così?

Dobbiamo ammettere che non esiste

tecnologia esente da rischi. Accettiamoun'innovazione quando riteniamo chei rischi siano inferiori ai benefici. Cosìè per gli aerei e per le automobili, chepure sono causa di migliaia di morti al-l'anno, o per la penicillina che salvamilioni di vite, anche se, qualche volta,uccide per shock anafilattico. Nonsfugge a questa regola l'agricoltura:PUÒ avvelenarci e inquinare l'ambientecon fitofarmaci e fitoregolatori, scate-nare allergie, trasmetterci veleni e tos-sine fungine, ridurre la biodiversità na-turale. L'agricoltura «biologica» è e-sente dal primo di tali pericoli, non

certo dagli altri. Il fatto è che i rischidell'agricoltura sono considerati accet-tabili in rapporto ai benefici.

Perché dunque si pretende che solole piante transgeniche siano assoluta-mente esenti da rischi? Una propostasensata mi sembra quella che stabiliscache il massimo livello di rischio accet-tabile per tale tipo di piante sia lo stes-so delle piante tradizionali. Potremmoanche chiedere alle nuove tecnologie diabbassare questo livello, ma è utopisti-co pretendere che le piante transgeni-che siano assolutamente innocue!

Ma vediamo quali sono le accuse

Il «caso Pusztai» (1998)Arpad Pusztai, del Rowett Research Institute di Aber-

deen, in Scozia, aveva analizzato piante di patata ogm dota-te del gene GNA di bucaneve (Galanthus nivalis) che codifi-ca per una lectina che difende il bulbo della pianta da inset-ti parassiti. Nutrendo alcuni topi con queste patate, Pusztaiaveva osservato rallentamento della crescita e depressionedel sistema immunitario. Questi risultati, molto pubblicizza-ti, indussero il Governo del Regno Unito a bloccare la colti-vazione di tutte le piante geneticamente modificate.

Tuttavia, i risultati di Pusztai possono essere sottoposti acritiche: i topi erano stati alimentati con patate crude, ma ènoto che queste già contengono sostanze antinutritive (lec-tine e solanine) la cui tossicità si annulla solo con la cottura;nella patata ogm sono state trovate modifiche nel contenu-to in proteine, amido, zuccheri e in altri parametri. Per qual-che ragione non approfondita adeguatamente la patatatransgenica non era quindi equivalente a quella usata comecontrollo: la tossicità verificata da Pusztai nella patata ogmpoteva essere dovuta a un maggior contenuto di sostanzeantinutritive endogene.

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Allarme tumori (1999)Sempre nel Regno Unito M. W. Ho e collaboratori della

Open University hanno denunciato il fatto che la sequenzadel promotore 355, clonata dal virus del mosaico del cavol-fiore potrebbe passare dal cibo ogm al genoma umano pro-vocando tumori o altri disastri metabolici. La tesi è stataadottata anche dai sostenitori di Pusztai, i quali, constatatal'incompletezza delle prove sulla tossicità del gene, hannoproposto che non sia il gene stesso a essere nocivo per i topi,bensì il suo promotore 355. Le conclusioni dei ricercatori del-la Open University sono drastiche: raccomandano che sianoritirate dal commercio tutte le piante contenenti promotorivirali, la quasi totalità di quelle coltivate nel mondo!

Ogni giorno mangiamo verdure e frutti infettati da virus.Ingeriamo quindi miliardi di geni virali con il promotore35S. Allora anche mangiare è pericolosissimo? In verità i vi-rus vegetali non sono assolutamente patogeni per gli ani-mali, uomo compreso. Altrimenti gli animali, soprattuttoquelli erbivori, sarebbero estinti da tempo!

La farfalla monarca (maggio 1999)In un articolo apparso su «Nature», i. E. Losey e suoi colla-

boratori della Cornell University affermarono che il pollinedel mais-Br è tossico per la farfalla monarca (Danaus plexip-pus). Secondo gli autori, le farfalle cresciute per quattro gior-ni in presenza di polline-Bt, mangiano meno, crescono piùlentamente e hanno una mortalità maggiore rispetto a quel-le cresciute in presenza di polline normale.

Queste conclusioni sono però messe in serio dubbio dallemodalità della sperimentazione: essa è stata condotta soloin laboratorio; alla farfalla è stata data, come dieta obbligato-ria, un'erba (Asclepias curassavica) su cui era depositato pol-line di mais, ma il dosaggio del polline è stato effettuato conuna spatola, quindi con un largo margine di errore; il maisusato come controllo (non gm) apparteneva a una varietàdiversa da quella del mais-Bt, quindi avrebbe potuto esseredotato di effetti tossici diversi.

Ma non è finita. La parte poco nota di questa storia è che

dati più recenti ottenuti sul campohanno dimostrato che in quella va-sta zona degli Stati Uniti in cui da

più di sei anni si coltiva la mag-gior parte del mais-Bt, la po-

polazione di farfalla monar-ca è aumentata più di sei volte.

L'aumento è stato confermato an-che dal conteggio delle farfalleche ogni autunno migrano verso ilMessico.

In definitiva, non è vero che la far-falla monarca sia a rischio di estinzio-

ne, sta anzi meglio perché nelle colti-vazioni di mais-Br è drasticamente ridot-

to l'uso di insetticidi, ha a disposizioneuna dieta varia e può evitare un cibo non

gradito come il polline di mais. Inoltre, anche

se tossico, il polline-Br perde l'attività insetticida in pochigiorni, a causa dei raggi solari, e nella maggior parte dellezone di coltivazione del mais la larva sfarfalla in un periodosuccessivo alla maturazione del polline. Peccato che questiultimi dati non siano mai assurti all'onore dei mass media.

Tossina-Bt e insetti (dicembre 1999)In un altro articolo apparso su «Nature» D. Saxena e colla-

boratori della New York University hanno affermato che leradici di mais-Bt liberano nel suolo la tossina-Br, mettendo arischio la sopravvivenza degli insetti. Gli autori però hannoprecisato che la tossina permane nel suolo se questo è statosterilizzato, ma che in un suolo non sterile è idrolizzata daproteasi prodotte dai microrganismi del suolo o dalle radicistesse del mais. L'articolo quindi non offre una dimostrazio-ne conclusiva della pericolosità della tossina per gli equilibribiologici del suolo. Comunque, se esiste, questo rischio saràdel tutto evitato con l'uso di promotori inducibili da ferita.

38 LE SCIENZE 386/ ottobre 2000LE SCIENZE 386/ ottobre 2000 39

DNA CON GENE CORREDATO

DI PROMOTORE E TERMINATOREINTRODUZIONE IN UNPLASMIDE DI AGROBACTERIUM

DNA INTEGRATO

PLASMIDE

CROMOSOMA

Un laboratorio per la ricerca di nuove piante transgeniche. A sini-stra, schema di una delle tecniche per ottenere piante geneticamen-te modificate, utilizzando come vettore un plasmide batterico.

Il problema dei brevetti

I I dibattito su questo argomento è certo utile in quanto serve ad assicurareche il brevetto non perda il suo significato, che è quello di agire da volano

dello sviluppo, attraverso la stimolazione dell'inventiva, e si trasformi, invece,in un mezzo per creare monopoli.

Brevettare significa ottenere la protezione intellettuale di una invenzione.Ciò è vero fin dai tempi della Repubblica Veneta, ove i brevetti furono intro-dotti allo scopo di stimolare il commercio, proteggendo economicamente l'in-ventore. In definitiva, il brevetto è l'unico mezzo che il piccolo inventore haper proteggere le sue scoperte. Al limite potremmo dire che le grandi societàmultinazionali non hanno bisogno di brevetti: si proteggono meglio con i mo-nopoli. È dunque opportuno mettere un limite all'inventiva quando si tratti dipiante geneticamente modificate?

È infine fondamentale ricordare che brevetto non vuol dire licenza di colti-, vazione delle piante geneticamente modificate. Questa è una facoltà successi-, va e indipendente che il potere pubblico può concedere o negare. La licenza

dipenderà da mille considerazioni, tra cui una valutazione dei rischi o, piùsemplicemente, dell'opportunità.

TRASFERIMENTONELLA CELLULA

TRASFERIMENTODEL GENE DALBATTERIO A UNACELLULA VEGETALE

PIANTA GM

TRASFERIMENTONEL TERRENO

INTEGRAZIONE DEL GENEIN UN CROMOSOMA

mosse alle piante geneticamente modi-ficate: effetti tossici sull'uomo, danniper l'ambiente, inutilità per i paesi ric-chi, incapacità di risolvere il problemadella fame nel mondo, pericolosa ge-stione commerciale. E evidente chemolti dei rischi loro attribuiti sono co-muni alle altre piante coltivate, però lepiante transgeniche hanno un poten-ziale fattore di rischio in più, il geneesogeno. Qual è la sua pericolosità?

Cominciamo dai dubbi relativi allasalute dell'uomo. Le piante transgeni-che vengono accusate di scatenare al-lergie alimentari. In realtà, già oggi, intutto il mondo, il 2-4 per cento deibambini e 1'1-2 per cento degli adultisoffre di allergie scatenate da proteinecontenute nel cibo, soprattutto soia,latte vaccino, uova, farina, riso, noci,arachidi, pesci e crosta-cei. L'unica cura effica-ce è evitare il cibo cui siè allergici.

Nel caso delle piantetransgeniche, il geneesogeno potrebbe effet-tivamente codificareper una proteina aller-genica, ma le legislazio-ni dei diversi paesi pre-vedono che si analizzi-no preventivamente: lafonte del gene (è deri-vato da un organismoche dà allergie?); i pa-rametri fisico-chimicidella proteina specifica-ta dal gene (somiglian-za con proteine allerge-niche, stabilità alla di-gestione e alla cottura); gli effetti delgene esogeno sulla produzione degli al-lergeni endogeni della pianta ospite; irisultati di saggi in vitro (RAST, ELI-SA) e in vivo (test cutanei, simulazionealimentare).

L'efficacia dei controlli è dimostratadal caso - molto pubblicizzato - di unavarietà di soia in cui era stato integratoun gene di noce brasiliana codificanteper l'albumina 2S. La soia risultavamigliorata dal punto di vista nutrizio-nale, ma aveva acquisito le proprietàallergeniche dell'albumina. In base alleanalisi è stato negato il permesso dicoltivazione.

Al contrario, le piante gm possonoaddirittura essere progettate per ridur-re il potenziale allergenico degli ali-menti. A tale scopo si applica la meto-dologia del «gene antisenso»: scopertoil gene responsabile dell'attività aller-genica di una pianta, lo si costruiscecon la sequenza di basi invertita e lo siintegra nel genoma della pianta. Il geneantisenso annullerà l'attività del gene

senso. Con questo approccio è già sta-to prodotto riso non allergenico.

Per quanto riguarda la resistenzaagli antibiotici, in effetti tutte le piantegm oggi coltivate sono dotate, oltreche del gene di interesse, anche di ungene che conferisce resistenza agli anti-biotici neomicina, kanamicina e deri-vati. La ragione è semplice. Quando siinserisce un gene in una cellula vegeta-le, si ottiene una cellula transgenica inmezzo a migliaia di cellule normali.Occorre rigenerare una pianta proprioa partire dalla cellula che ha acquisitoil gene, il che si ottiene coltivando lecellule in presenza dell'antibiotico chedistrugge le cellule sensibili.

Questa procedura ha fatto pensareche il gene per la resistenza possa tra-sferirsi dalla pianta ai batteri dell'inte-

stino, o peggio al genoma umano, ren-dendo quindi inefficace un'eventualeterapia con quell'antibiotico (oggi co-munque privo di interesse clinico).L'accusa manca di realismo scientifico:il fatto che un gene presente in un ve-getale, e dotato, si badi, di un promo-tore vegetale inattivo nei batteri, possaessere trasferito ai batteri del nostro in-testino, e da questi passare a batteripatogeni, ha la stessa rilevanza che puòavere l'aggiunta di un bicchiere d'ac-qua sul livello del mare. Infatti, esisto-no nel nostro intestino centomila mi-liardi di batteri, mentre la frequenza dimutazione naturale per la resistenza aun antibiotico è di circa uno su diecimilioni. Possiamo quindi calcolare che,in ogni momento, nel nostro intestinovi siano milioni di batteri resistenti allaneomicina. Un altro gene trasferito dalvegetale gm si sommerebbe, semplice-mente, ad essi. Comunque, tutti questigeni prenderebbero il sopravvento nel-la popolazione batterica solo se vi fos-se la spinta selettiva determinata dallasomministrazione dell'antibiotico.

Sappiamo che spesso i medici abusa-no di antibiotici, ma è meno noto il fat-to che il 50 per cento degli antibioticioggi prodotti nel mondo è usato nell'a-limentazione animale. Con tale tratta-mento gli animali crescono meglio, ma

Il pomodoro S. Marzano è minacciato dalvirus CMV. La ricerca italiana ha già ap-prontato un pomodoro gm immune dallamalattia, ma la sua produzione è bloccata.

NUCLEO

CROMOSOMA

DIVISIONE CELLULARE

sono contaminati da una flora batteri-ca selezionata per la resistenza agli an-tibiotici. Tutte le carni crude o insacca-te convogliano nel nostro intestino ibatteri contenenti geni di resistenza.

Comunque, l'uso di antibiotici perla selezione di piante gm è oggi supera-to da approcci più moderni come lacrescita delle cellule transgeniche inzuccheri che esse possono utilizzareselettivamente o altro.

Quanto al rischio che il gene di resi-stenza o altri geni esogeni passino dallapianta gm al genoma umano, bastipensare che ogni giorno il nostro inte-stino è esposto a miliardi di genomi as-sunti con l'alimentazione. Si sa che ilDNA si mantiene integro, ma non atti-vo, nell'intestino per alcune ore prima

PARETEDELLA CELLULAVEGETALE

DIFFERENZIAZIONE: DALLE CELLULESI SVILUPPANO LE PLANTULE

di essere digerito; in effetti, se cerchia-mo un gene di bue o di mela nelle no-stre cellule non lo troviamo.

Le possibilità d'incrocio

Un'altra preoccupazione molto sen-tita riguarda la diffusione del polline edei semi nell'ambiente. In effetti moltepiante in natura sono sessualmentecompatibili con piante transgeniche evi è quindi la possibilità che il loro pol-line possa fecondarle trasferendovi ilgene esogeno. Ciò sarebbe deleterio nelcaso di geni terminator, che causanosterilità o di geni di resistenza agli erbi-cidi. Quest'ultimo è un evento già veri-ficatosi negli Stati Uniti dove è statonecessario ricorrere alla sostituzione

dell'erbicida a causa della comparsa dierbe infestanti resistenti a esso.

Le condizioni per cui piante transge-niche indesiderate possono comparire esopravvivere nell'ambiente naturale oin campi coltivati sono tre e non facilida trovarsi contemporaneamente. In-tanto il polline dev'essere in grado dispostarsi a opportuna distanza. Nel ca-so del mais è documentato che la mag-gior parte del polline cade entro pochimetri, e solo di rado può allontanarsi dialcuni chilometri; nel riso questa di-stanza è sempre di pochi centimetri.Deve poi esistere, nel raggio di distribu-zione del polline, una pianta sessual-mente compatibile che, inoltre, acquisi-sca con il gene un vantaggio selettivo ri-spetto alla popolazione esistente.

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sa la trasformazione di foreste in terre-ni agricoli. Ma quanta colpa di ciò è at-tribuibile alle biotecnologie vegetali?Non vi è nulla nel concetto di piantegm che le renda nemiche della biodi-versità naturale. Al contrario, il fattoche esse promettano un maggior rac-colto per unità di superficie fa ritenereche la loro diffusione possa restituireterreni agricoli alle foreste. Della secon-da biodiversità, quella limitata ai pro-dotti commerciali, ci si rende contoquando, per esempio, si osserva che,mentre una volta si disponeva di più di200 varietà di mele, ora la scelta è ri-dotta a 3 o 4. Ma, anche in questo ca-so, sono esigenze di mercato a minarela diversità, non certo le biotecnologieche, casomai, aumentano le possibilitàdi scelta.

Il problema della qualitàQuesto è un argomento che riguar-

da da vicino il nostro paese che hasempre prodotto vegetali di alta qua-

In alto, campo sperimentale dove sicoltiva mais-Bt (a sinistra) e mais nonBt. Il secondo è stato gravemente dan-neggiato dalla piralide, un insetto lacui larva divora il fusto della pianta.

Ma vi sono strategie per evitare ladiffusione del gene esogeno attraversoil polline. Si può infatti scegliere tra: in-tegrazione del gene esogeno nel DNAdel cloroplasto e non in quello nuclea-re (la maggior parte delle piante colti-vate trasmette i cloroplasti esclusiva-mente per via materna, quindi il polli-ne non sarà gm); l'utilizzo di piante re-se maschio-sterili (l'approccio, ovvia-mente, non è utilizzabile nel caso dipiante da seme, ma sarebbe l'ideale perpiante che si riproducono per talea co-me il pioppo, la canna da zucchero, ilbanano); il rilascio del permesso di col-tivazione solo in zone abbastanza di-stanti da piante sessualmente compati-bili con la pianta gm. Per esempio, si sache vi sono piante sessualmente com-patibili con il mais in alcune zone delSud America, ma non in Europa.

È dunque importante che le conse-guenze della diffusione del pollinetransgenico nell'ambiente vengano at-tentamente valutate, ma sarebbe utileche queste precauzioni venissero preseanche nel caso di piante non transgeni-che. Per esempio, nella Pianura Padanala sopravvivenza del pioppo naturale èmessa in serio pericolo dal pioppo col-tivato che, con il suo polline, sposta gliequilibri naturali verso le piante ibride.

È anche possibile, in via teorica, ladiffusione indesiderata di piante tran-sgeniche nell'ecosistema attraverso ladispersione dei semi. Tuttavia, è docu-mentata la scarsa o nulla capacità dellepiante coltivate di competere conpiante già selezionate in natura.

Esaminiamo ora i rischi in relazionealla biodiversità, senza però confonde-re piante naturali e coltivate. Le primesono messe in pericolo dall'urbanizza-zione e dalle altre attività umane, inclu-

Tutti i controllinecessari

lità. Ma quale tipo di agricoltura puòassicurare sopravvivenza e competiti-vità al prodotto pregiato? L'agricoltu-ra tradizionale, quella biologica o quel-la biotecnologica? La realtà è che nonesiste una strategia che abbia tutte lesoluzioni in tasca. È errato pensare chel'agricoltura biologica possa risolveretutti i problemi, così come è erratopensare che lo facciano le biotecnolo-gie. La cooperazione potrà moltiplica-re i vantaggi. L'agricoltura biologicaintende eliminare la fertilizzazione chi-mica del suolo e gli interventi chimicidi protezione della pianta. Ma rimaneil problema che frequentemente lepiante tradizionali hanno difetti geneti-ci: sono sensibili a insetti, funghi, virus,gelo, siccità, sale. Le biotecnologie pos-sono introdurre un gene che corregga isingoli difetti, mantenendo inalterate lequalità organolettiche del prodotto.Con piante così corrette avremmo ge-notipi ottimali per l'agricoltura biolo-gica. La produttività sarebbe mantenu-ta a livelli accettabili mentre sarebbe ri-dotta la produzione di tossine e afla-tossine da parte dei funghi che parassi-tano le piante sotto stress.

Un esempio di interazione positivatra un prodotto di qualità e biotecno-logie è rappresentato dal pomodoro S.Marzano. Questa vera e propria glorianazionale potrebbe presto sparire dallenostre mense perché un virus, il CMV,distrugge oggi sino al 40 per cento delraccolto. Il problema è già stato af-frontato dalla ricerca italiana integran-do nel DNA del pomodoro, in orienta-mento «antisenso», una sequenza delvirus che codifica per la proteina del-l'involucro. Il S. Marzano esente da in-fezioni virali è già pronto, ma è statobloccato proprio perché transgenico!

Un secondo esempio: la coltivazionedel melo tipico della Valle d'Aosta èmessa a rischio dalle larve di un inset-to, Melolontha melolontha, che, man-giando le giovani radici, impedisce lamessa a dimora di nuovi impianti. An-che in questo caso, entro pochi anni

questa coltivazione, con tradizioni se-colari, diverrà un ricordo. Si può rime-diare sfruttando il fatto che il melo ècostituito da una porzione radicale (ilportainnesto) e da una aerea (la varietàche produce il frutto). Integrando ungene Bt nel portainnesto, preferibil-mente con promotore inducibile da fe-rita, si otterrebbero radici resistenti al-l'insetto, mentre la parte aerea reste-rebbe quella della pianta tradizionale.

Chi teme effetti negativi e inaspetta-ti dalle biotecnologie parla della possi-bilità che il gene esogeno interferiscacon il resto del genoma. In realtà, daun punto di vista scientifico, è senz'al-tro più prevedibile il comportamentodi un gene isolato, caratterizzato e tra-sferito in una pianta, rispetto a un mu-tante ottenuto per mutagenesi chimicao per radiazioni, o a un nuovo ibridoottenuto incrociando due piante.

L'integrazione del gene esogeno av-viene, per ora, in siti apparentementecasuali del genoma vegetale e quindi siteme che ciò possa scatenare inattiva-zione di geni utili o attivazione di tra-sposoni. Ma si dimentica di dire chetali fenomeni avvengono naturalmentee spesso nelle piante, sia in seguito astress biologici, climatici o di altra ori-gine, sia durante le operazioni di mi-glioramento genetico tradizionale.

Quale agricolturaper il futuro del mondo?

La popolazione mondiale aumenta,mentre la terra coltivabile diminuisce acausa delle crescenti siccità, salinità, ur-banizzazione. Dopo il 2030 è previstoil tracollo: anche assumendo una distri-buzione equanime dei prodotti, tutta lasuperficie coltivabile non sarà più ingrado di produrre sufficiente cibo pergli 8-9 miliardi di persone previsti.

Non vi saranno alternative: ogni ap-pezzamento di terreno coltivabile do-vrà produrre il doppio di quanto oggifaccia. E ciò dovrà avvenire nel rispet-to dell'ambiente e con minor ausilio

della chimica (insetticidi, diserbanti,fungicidi, fertilizzanti, fitofarmaci).

Dovremo dotarci di piante capaci dicrescere in suoli aridi e salini, resistentia insetti, funghi e virus patogeni, piùefficaci nello sfruttare i fertilizzanti na-turali e le simbiosi con i microrganismidel suolo. Sappiamo però che il miglio-ramento genetico tradizionale basatosu incroci, mutazioni e uso di ibridi adalta produttività, non può offrire solu-zioni realistiche a breve termine. Que-sta sfida potrà forse essere vinta se aqueste metodologie si affiancherà iltrasferimento genico e se i paesi asiaticie africani saranno in grado di produrree gestire le piante di loro interesse.

È del tutto evidente che, se i rischidelle piante geneticamente modificatesono quelli descritti dalla letteraturascientifica, non vi sono elementi perchiedere una moratoria globale sullasperimentazione in campo e sulla colti-vazione di questo tipo di piante. Certosi dovranno sviluppare strategie di col-tivazione che evitino la diffusione deigeni esogeni e che riducano gli effettisugli equilibri ecologici. Per esempio, lenuove piante gm resistenti agli insettidovranno dare la preferenza a promo-tori inducibili che limitino l'espressionedel gene al momento in cui l'insettointacca i tessuti. Per il mais-Bt sarà au-spicabile l'attuazione, in anni successi-vi, della rotazione di piante-Bt conpiante-non-Bt. Per il pioppo-Bt basteràcoltivare popolazioni miste per ridurrele larve senza farle scomparire.

Ma in verità, nel dibattito sulle pian-te gm, siamo di fronte a una situazionemolto complessa in cui solo una picco-la parte è giocata dalla scienza. Gli ar-gomenti scientifici sono messi troppospesso in secondo piano da problemiculturali, politici e psicologici. Per orasi è già ottenuto l'effetto di bloccare laricerca scientifica in Europa, soprattut-to quella pubblica. Chi dunque si oc-cuperà della ricerca di base sui geni edi biosicurezza? Lasceremo tutto inmano alla ricerca extra-europea?

• 1. Identificazione, isolamento e caratterizzazione del gene e diopportuni segnali di espressione• 2. Costruzione di una molecola di DNA vettore (plasmide oDNA lineare), che contenga il gene con i suoi segnali di espres-sione, e moltiplicazione della molecola stessa nel batterio Esche-richia coli• 3. Integrazione del gene e dei segnali di espressione in unacellula del vegetale prescelto• 4. Selezione di cellule transgeniche, rigenerazione di piantegm e produzione di progenie (per seme o per talea)• 5. Analisi molecolare delle piante gm (integrazione stabile delgene nel DNA cellulare, sua trascrizione in mRNA ed, eventual-

mente, traduzione in una proteina)• 6. Prove sperimentali in serra (espressione del gene e primeverifiche agronomiche)• 7. Prove sperimentali in campi controllati (verifica delle carat-teristiche agronomiche, inclusa quella conferita dal gene esoge-no)• 8. Analisi della tossicità del prodotto, di eventuali proprietà al-lergeniche e del suo impatto ambientale• 9. Coltivazione in campo su larga scala• 10. Commercializzazione del prodotto

In tutto il mondo, i punti dal 7 al 10 sono soggetti ad autoriz-zazione preventiva da parte dei Governi.

FRANCESCO SALA dopo la laureain farmacia e in scienze biologiche al-l'Università di Pavia ha trascorso treanni come ricercatore negli Stati Uniti ein Canada. Tornato in Italia, ha lavora-to alle Università di Pavia, Parma e Mi-lano dove è attualmente ordinario dibotanica e biotecnologie vegetali. Ha incorso varie collaborazioni internazio-nali tra cui programmi per il migliora-mento del riso e del pioppo con la Cinae della canna da zucchero con Cuba.

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