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1 A A c c c c a a d d e e m m i i a a A A m m b b r r o o s s i i a a n n a a - - D D i i e e s s A A c c a a d d e e m m i i c c u u s s - - M M i i l l a a n n o o , , 1 1 9 9 o o t t t t o o b b r r e e 2 2 0 0 1 1 2 2 P P r r o o l l u u s s i i o o n n e e d d i i P P a a d d r r e e M M a a r r i i n n o o R R i i g g o o n n s s . . x x . . * * s s o o c c i i e e t t à à x x a a v v e e r r i i a a n n a a Padre Marino all’investitura di Accademico in ramo asiatico, attorniato dal Parroco Don Silvio Borsin della Parrocchia di San Domenico di Guzman (Villaverla) e dal Sindaco del Comune di Villaverla (VI), Signor Ruggero Gonzo (presente in sala anche il Vicesindaco, Signor Manuel Fabris). *In calce a questa relazione è riportato un suo breve profilo.

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La prolusione di p. Marino Rigon in occasione della sua investitura di Accademico in ramo asiatico, ed un suo breve profilo.

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Padre Marino all’investitura di Accademico in ramo asiatico, attorniato dal Parroco Don Silvio Borsin della Parrocchia di San Domenico di Guzman (Villaverla) e dal Sindaco del Comune di Villaverla (VI), Signor Ruggero Gonzo (presente in sala anche il Vicesindaco, Signor Manuel Fabris).

*In calce a questa relazione è riportato un suo breve profilo.

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PPPrrrooollluuusssiiiooonnneee dddiii PPPaaadddrrreee MMMaaarrriiinnnooo RRRiiigggooonnn È doveroso innanzitutto che io ringrazi la Presidenza e la Direzione della Accademia Ambrosiana per avermi accolto tra i suoi soci in classe asiatica ed esprimere il convincimento che ciò si sia potuto realizzare, sia per i meriti da me acquisiti in ormai sessant’anni di lavoro quale missionario cattolico in Bangladesh, soprattutto nel delta del Gange, ai margini della foresta del Sundorbon, patrimonio dell’umanità e regno incontrastato della tigre reale del Bengala (Bangladesh che, come ben noto è per quasi il 90% musulmano), sia per aver svolto, sin dagli inizi della mia Missione, una intensa attività di conoscenza e approfondimento della cultura e della letteratura locale, con la traduzione dal bengali in italiano dei vari poeti locali e, tra tutti, Rabindranath Tagore, conosciuto in Occidente dopo il Premio Nobel per la letteratura nel 1913, primo tra gli autori orientali. Queste le motivazioni della mia presenza qui, questa sera, anche se sono rimaste nascoste alla mia curiosità le persone che si sono fatte promotrici, che hanno lavorato per farmi conseguire il suddetto riconoscimento, persone che pure qui ringrazio. Voglio allacciarmi a quanto detto dal Presidente Franco Buzzi, proprio riferendosi a Tagore, poeta che ha avuto parte importante nella mia vita, tanto in quella missionaria, quanto in quella culturale. Tagore mi ha fatto scoprire - sin dai primi anni della mia attività - il valore della ispirazione, della meditazione, della maturazione. Il poeta quando scriveva una poesia, la metteva subito da parte e solo in un successivo momento vi “ritornava sopra”. In questo modo si accorgeva che nei suoi scritti c’erano dei pensieri e dei sentimenti che egli non ricordava più di aver espresso e che non aveva ben “fissato” nella sua mente. E allora si chiedeva: “Perché trovo nella mia poesia quello che non “ricordavo” di aver mai immaginato? Come è possibile che ci siano questi pensieri?”

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In un primo momento pensava che l'ispirazione venisse da un “Testimone Interiore” , dentro di sé, ma poi si accorgeva che tale “Testimone” evadeva, da un mondo finito per entrare in un mondo infinito ed allora lo chiamò: “Il Dio della Vita”. È una affermazione che mi ha esaltato perché mi ha riportato alla Sacra Scrittura, e precisamente alla Genesi, là dove Mosè chiede a Dio: “Chi sei?” E dove Dio risponde: “Io sono Colui che sono!” - “Io sono la Vita!”. È stata una scoperta che mi ha veramente entusiasmato e che mi ha spinto a conoscere più profondamente l’opera letteraria di Tagore. In seguito ho scoperto anche dell’altro e in particolare i cantori analfabeti del Bangladesh, chiamati Baul e cioè “Pazzi”, pazzi – sorprendentemente - per il cosiddetto “uomo del cuore”. “Uomo del cuore”? Sì! “Uomo del cuore” è lo “Spirito Divino”, secondo uno scrittore indiano, forse il più grande conoscitore dei Baul. Meravigliosa scoperta: da un lato il Dio della vita che noi troviamo nella Bibbia e dall’altro lo Spirito divino, cioè lo Spirito Santo che troviamo nei Vangeli. Come non trovare in questo una spinta per la propria fede cristiana? Mi sono così reso conto che c’è qualcuno che, al di fuori del cristianesimo, parla di Dio, del Dio della Vita, e altri, non di fede cristiana, che parlano dello Spirito Divino, dello Spirito Santo. Questi ultimi, come detto sopra, sono i Baul, cantori analfabeti e che quindi non sanno né leggere, né scrivere, ma cantano ed improvvisando, ma – come sono anche soprannominati – “Pazzi di Dio”. Era stato Tagore a soffermarsi, per primo, su questi poeti che giravano per i villaggi ed a rimanere sorpreso dai loro canti, dalle loro melodie, che parlavano dell’uomo del cuore ed in effetti dello Spirito divino. Potete immaginare come io abbia fortificato la mia fede e la mia vita spirituale cristiana, quando in Tagore ho trovato - come nella Bibbia - che Dio è il Dio della Vita. Ed altrettanto è avvenuto nel ritrovare nei canti dei predetti “Cantori”, analfabeti: l’ “Uomo del cuore”, lo “Spirito della vita”, lo “Spirito divino” che non è altro che, come nella Bibbia, lo “Spirito Santo”.

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Tagore compose un libro, il“Citra” (Variopinta), ripubblicato qualche giorno fa, per le edizioni Paoline, raccolta di poesie, scritte nel 1884, tra le più elevate del “nostro poeta” e che ci presentano proprio il “Dio della vita”. In particolare, la composizione “Al chiaro di Luna”, che rimanda ad omonima sonata di Ludwig Van Beethoven. In Tagore troviamo tutto quello che Beethoven trasmette attraverso la musica: un vero inno alla bellezza! Oso aggiungere che percepiamo qui lo stesso ritmo, lo stesso significato del Canto dei cantici della Bibbia di Re Salomone. Ed in Citra Tagore vuole infatti rappresentare il Dio della Vita con l’immagine di una donna e parla di Bellezza con la B maiuscola e quindi legittima la domanda: Bellezza, Donna o Divinità? Sempre da Citra desidero ricordare due poesie: “Richiesta” e “Oltre l’Oceano” Nella prima composizione il nostro poeta parla di una regina che riceve un povero cantore in cerca di lavoro: “Io sono qui in cerca di lavoro!” dice il questuante. E la Regina risponde “Ma che vuoi? Io ho mandato via tutti i miei lavoratori: i soldati a combattere, i contadini a lavorare la terra, i commercianti a trafficare. Che vuoi tu?” Ed il povero: “Quello che resta dopo tutto quello che si è fatto” - “Quello che dopo tutto rimane!” Che cosa è questo che dopo tutto rimane? La risposta è senz’altro sorprendente: “L’amore!” Ed il povero soggiunge ancora: “Io riposerò davanti a te nei momenti di ozio, raccoglierò dal tuo giardino i fiori e ti incoronerò di ghirlande”. E scopriamo il vero senso dell’amore. La seconda poesia, che io amo molto, è l’ultimo canto del Citra: “Oltre l’Oceano”. Qui Tagore parla del Dio della vita e si domanda : “Ma io, qui in terra, ho trovato il Dio della Vita? Ed ancora: “Quando io andrò in Paradiso, chi troverò?”.

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Nella poesia Tagore si immagina in una notte invernale, mentre, avvolto nelle coperte, sta dormendo, sente battere alla porta. Si alza, apre e vede un cavallo nero e sopra una donna velata; a fianco altro cavallo nero. La donna fa cenno di salire. Il poeta sale e i due partono di corsa, in grande velocità. È fuori di dubbio rappresentata la vita che corre, che scorre. È la vera metafora della vita. Il poeta descrive tutti i paesi e le città che incontra ed arriva dall’altra parte, oltre l’oceano. Entra nel palazzo reale, pieno di luci, entra nella stanza nuziale, e la donna, sempre velata, si siede in un fianco del letto matrimoniale ed il poeta si impaurisce: “Ma che succede adesso?” Si mette in ginocchio ed esclama: “Ho visto tutto, solo non ho visto te!” È un pensiero che mi ha sempre colpito e ferito il cuore. Il poeta ha fatto la corsa della vita con questa donna velata, va fino all’altro mondo e non l’ha conosciuta ed automatica la domanda: “Ma tu chi sei? Ho visto tutto, solo non ho visto te!” La donna alza il velo: era il Dio della Vita! Ed il poeta prorompe nella esclamazione: “Tu, Dio della Vita? Io con te ho camminato, con te ho vissuto e non ti ho riconosciuto!” Nella vita noi veramente abbiamo incontrato Dio, sappiamo che è con noi, ma potremmo anche affermare: “Ho visto tutto, solo non ho visto te!”. Desidero fare un cenno anche ad altro importante autore del Bangladesh: Lalon, vissuto nel secolo XIX, morto nel 1890, analfabeta, principale esponente dei poeti Baul, cui ho accennato più sopra, i cosiddetti “Pazzi di Dio”; Poeti della foresta indiana ed ancora: Poeti del fiume. Tagore proprio in quell’anno era passato nei luoghi dove viveva Lalon; non si sa se lo abbia incontrato, ma certamente aveva sentito i suoi canti dalla voce di altri Baul. Ne era rimasto tanto sorpreso da trascriverne, senza indugi, i vari testi. Di questi canti ne è tradotto un centinaio e li ho raccolti nel volume LALON KITI “I Canti di Lalon”. Sono canti cui ricorro sempre; tutte le mattine inizio la Santa Messa citando due o tre righe di questi canti di Lalon, perché sono inni spirituali. Cantano lo Spirito di Vita, lo Spirito Santo.

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È interessante notare come presentino questo Spirito:“Chi vive in questa casa?” Quale casa? Il mio corpo! “Ma chi è? Che cos’è? È acqua? È terra? È vento? È fuoco?” Leggo spesso la poesia: “Ma chi vive dentro di me?” E si risponde: “ Io ho capito tutto, ma non ho capito una sola cosa”. E, finalmente, si chiede: "Ma che cos’è acqua? Che cos’è fuoco, che cos’è aria, che cos’è vento? Che cos’è?” Quando presento questo canto ai miei cristiani ripeto: “Che cosa vediamo in questo fuoco, acqua, terra e vento?” E rispondo: “I sacramenti!” “Che cosa sono i sacramenti: sono vento o no? Sono fuoco o no? Sono terra o no? Sono acqua o no? Mi piace riportare queste parole ai miei cristiani, e anche ad altri, e sento così di penetrare più profondamente nello Spirito Cristiano. Specialmente dove vivo ora, nella diocesi di Khulna, scopro che lo spirito delle persone e i loro pensieri sono gli stessi dei Baul. Questo l’ho capito subito appena giunto in Missione , poi confermatomi studiando i Baul . Ascoltando i loro discorsi mi sono detto: “Questi sono canti spirituali per la vita spirituale! Un canto che leggo spesso è il seguente: “Hai mai visto i piedi dei serpenti?” Una composizione con la quale il poeta prende in giro quelli che non vivono una vita secondo lo Spirito Divino. “Hai visto i piedi dei serpenti? Guarda quante navi ci sono e tu dove vivi? Tu stai tremando su una barca squassata, guarda quanti bei palazzi ci sono in giro per il mondo e tu vivi in una capanna fracassata!” Sono cose che danno spirito … che coinvolgono … Amo molto le poesie in cui Lalon parla di perdono. Ascolta: “Tu mi devi perdonare, tutti dicono che tu perdoni i poveri, i peccatori, tutti” e vengono a dirmi: “Mi devi perdonare. Perché? Perché se non mi perdoni io dico che … Tu sei capace di fare un amore che muore vivo? Questo è importante per la nostra meditazione. Si può fare un’ascetica, una vita spirituale su un amore che muore vivo, potete fare una predica su questo? Ho tradotto anche i canti di Lalon di questo genere; ne ho tradotti 350-400: parole semplici che toccano il cuore.

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I Baul sono nati per l’Imperatore dei Baul, soprattutto Lalon; noi dovremmo essere orgogliosi di questi canti. Dovremmo studiarli, sono per lo più canti morali-spirtituali, dove è presente lo Spirito Divino. Di Tagore vorrei ricordare una poesia particolare della raccolta “Noibeddo” (Offerta). Nel 1969 ero a Dacca, in una casa di Suore e lì era entrato l’Arcivescovo della città-capitale, il quale mi ha subito invitato in Vescovado, dove ho trascorso alcuni giorni. La mattina osservavo che l’Arcivescovo aveva un testo che usava per meditare, dopo la Santa Messa. Incuriosito, una mattina sono riuscito a leggere il titolo di copertina: “Noibeddo” e mi sono subito proposto di tradurlo. È una raccolta di poesie scritte da Tagore nel 1900 e pubblicate nel 1901e che uguagliano o superano il valore del Ghitangioli, testo per il quale gli era stato conferito il Premio Nobel per la letteratura nel 1913, come già sopra rammentato. Thompson, poeta e scrittore inglese, ha affermato che se c’è stato una persona che all’inizio del secolo XX ha reso un favore all’umanità è stato Tagore, che aveva predetto un secolo di sangue, così come poi accaduto. In Noibeddo c’è una poesia che Vi leggo, a conclusione di questo mio intervento: è un inno pasquale che ha avuto ispirazione dalle Upanishad, trattati spirituali, nati all’inizio dell’era cristiana e la cui coincidenza mi fa entusiasmare!

C’è solo Lui (Noibeddo n° 60)

“Un giorno dalle foreste dell’India (1) - Chi sei tu, o grande anima?-

In un’onda di gioia hai levato alta la voce:

Ascoltate, voi tutti abitanti dell’universo, ascoltate, figli dell’eternità,

voi tutte, o divinità

abitanti delle dimore eterne: io ho conosciuto Lui, il Grande Uomo, luce

sulle rive delle tenebre. Conoscendo Lui, guardando Lui, potete passare

attraverso la morte: non c’è altra via!”

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Ora e ancora in questo mondo, chi porterà questa formula

grande, gioiosa, magica, il meraviglioso messaggio

di risurrezione, la suprema proclamazione

di vittoria sulla morte in cielo e in terra

il grido senza incertezza di immortalità senza fine?

O morta India, c’è Lui solo e solo Lui,

non c’è altra via.

(1) nel testo è scritto India e traduco come è scritto, ma al posto di India possiamo scrivere mondo, terra.

Al Chiaro di luna

(Stralcio da Citra – Ed. Paoline, Traduzione Padre Marino Rigon)

Calma, calma

questo cuore agitato, o notte tranquilla di luna piena.

Troppo gravi preoccupazioni più volte e più volte colpiscono l’animo.

Versa le tue tenere lacrime sopra le scottanti pene.

Con i tuoi raggi argentati, pieni di magia e di sogno,

morbidi come petali di loto, o notte,

vieni ad accarezzare tutto il mio essere

e fammi dimenticare tutte le mie pene.

.... O notte tranquilla,

dal pallido cielo piano, piano

scendi tra i morbidi raggi al chiaro di luna:

vieni e fermati al capezzale solitario e fammi dono del tuo mite sorriso,

dei tuoi umili occhi. ....

Guarda alla terra addormenta, in ogni casa le finestre chiuse!

Io solo veglio, e tu, sola, fatti vedere

in mezzo a questo universo addormentato: o infinitamente bella,

o immagine della triade celeste.

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... Sulle rive dei desideri,

seduto, solo, costruisco infiniti castelli,

... … scendi

dal tuo infinito mistero, o misteriosa.

... e, come candida ninfa,

appari davanti agli occhi. ...

E fa vedere l’irresistibile splendore della tua bellezza.

Leva i neri capelli che ti nascondono il volto

e fammi vedere quella eterna immagine

che nessun mortale ha mai visto. Per questa notte d’amore,

o immortale, fammi immortale! Prendetemi...

dentro il festival della Bellezza! In un giaciglio di fiori:

vi è seduta... sola,

in mezzo a luci e gioielli,

sempre vigile, la Bellezza,

adorata dall’universo, figlia della luce.

Io, poeta, sono venuto a incoronarla di fiori!

È un’estasi d’amore più che una semplice poesia. Il poeta vi mette dentro tutto il suo ardente desiderio di vedere la Bellezza che abita nella parte più segreta della notte, illuminata dal chiaro di luna. Egli soffre per le inevitabili preoccupazioni della vita di ogni giorno; chiama allora l’eterna amata perché gli mostri almeno per un istante il suo volto e ciò sarà sufficiente per riempirlo di gioia. E da qui la supplica del poeta che ha il ritmo, la dolcezza della omonima composizione musicale dell’adagio sostenuto e dell’allegretto del secondo movimento in Re bemolle maggiore della “quasi sonata” di Ludwig Van Beethoven , del “Claire de lune” di Claude Debussy della Suite Bergamasca o de Il notturno n° 2 Op. 9 di Frederic Chopin. O, ancora, il brano: Gymnopédie n° 1 di Eric Satie. Tagore parla di Bellezza con la B maiuscola e cioè: Bellezza, Donna o Divinità?

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Richiesta (Stralcio da Citra) Servo: Vittoria, o Grande Regina!

Regina delle regine, pietà del misero servo.

Regina: Finita l’assemblea, tutti i miei servi sono andati ai loro lavori nel regno dell’universo; portando in luoghi nobili i miei comandi e il mio nome, suonano, con orgoglio la conchiglia della vittoria. Alla fine della assemblea Tu sei venuto come la luna Alla fine della notte.

Servo: Il mio posto sia l’ultimo di tutti, o Gloriosissima, io sono il più vile dei Tuoi servi. Quando tutti con giubilo tornano a casa con le speranze appagate, io, allora, seduto presso il Tuo trono solitario, ai Tuoi piedi, verrò a chiederTi l’elemosina di quel poco

che dopo tutto è rimasto di tutti.

Regina: O mendicante stolto, che trovi fuori tempo?

Servo: Me ne andrò mirando il volto sorridente. O dea, c’è ancora qualche cosa! Tanta gente si prese da Te diversi lavori, diversi compiti: facendo grazia al Tuo servo, dammi quel lavoro che nessuno ha mai chiesto: diventerò giardiniere del Tuo giardino!

Regina: Giardiniere?

Servo: Spregevole giardiniere! Oh, solitaria, io diventerò il giardiniere del Tuo giardino!

Regina: O servo ozioso, schivo della fatica, a quale lavoro Ti dedicherai?

Servo: A tutti i lavori di nessun valore; ai mille guadagni dell’ozio, ai mille allestimenti di gioia. Terrò sempre rinnovate le file dei fiori per i sentieri del bosco,

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per i quali passeggerai d’autunno e di primavera di buon mattino al sorgere del sole con lo stelo dei gigli colorerò d’oro le vesti Tutti i giorni con sandalo e zaffiro Dipingerò immagini di fantasia. Passeggiando nella serra diventerò Giardiniere del Tuo giardino.

Regina: Che ricompensa vuoi?

Servo: Ogni giorno all’alba, preparata con i petali di loto una ghirlanda di fiori, cingerò io stesso le Tue braccia. Questa sarà la mia ricompensa

Regina: Servo! Accolgo la tua richiesta. Io ho molti ministri, molti guerrieri, molti generali e fanti dediti al lavoro e alla guerra. Tu rimarrai qui, sempre schiavo, prigioniero volontario, senza lavoro e senza fama. La tua dimora sarà nella casa del re: sarai giardiniere del mio giardino.

Oltre l’Oceano (Stralcio da Citra)

C’erano là luci e fiori di vari colori,

stesi molti tappeti ricamati d’oro, di perle e d’argento.

Su un altare di preziosi un letto di fiori come un sogno

Posando i piedi sui cuscini la sposa si sedette sul giaciglio.

Io le dissi: “Ho visto tutto: solo non ho visto Te!”

Da tutte le parti si levarono centinaia di risa gioconde,

come zampilli di cento fontane, come una valanga di derisioni.

Lentamente con le due mani la donna alzò il velo:

tenutolo levato, senza parole, sorrise dolcemente.

Con gli occhi estasiati fissai il volto

e caddi a terra ai suoi piedi: “Anche qui, Tu, o Dio della vita!” gridai con le lacrime agli occhi. Quel dolce sorriso, quel tenero

sguardo,

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quegli occhi pieni di grazia, tutti i giorni mi hanno fatto piangere,

mi hanno fatto ridere, sempre mi hanno sedotto. Giorno e notte ho giocato

in tutte le mie gioie e dolori: e in questa sconosciuta città,

ancora mi ha fatto vedere la sua faccia sconosciuta!

Con una stretta al cuore, baciai i teneri ed immacolati piedi di loto.

Senza ritegno cominciarono a cadere abbondanti lacrime con ineffabili toni, un flauto

penetrò toccante dentro il cuore. Nel deserto ed immenso palazzo

risuonò il riso della Donna.

Robindronath Tagore Citra. La scoperta del Dio della vita • Editore: Paoline Editoriale Libri • Collana: La parola e le parole • Pubblicazione: 01/06/2012 • Pagine: 240 • Formato: Libro • ISBN: 9788831541763

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BBBRRREEEVVVEEE PPPRRROOOFFFIIILLLOOO DDDIII PPPAAADDDRRREEE MMMAAARRRIIINNNOOO RRRIIIGGGOOONNN SSS...XXX... Padre Marino Rigon è nato il 5 febbraio 1925 a Villaverla, nell’alto vicentino; nel ’38 è entrato nel Seminario dei Missionari Saveriani a Vicenza; è stato ordinato sacerdote a Piacenza il 10 marzo 1951 ed è partito per il Bangladesh (all’epoca Pakistan Orientale) nel gennaio 1953. Dopo le prime esperienze missionarie, un periodo da segretario del Vescovo di Khulna, un periodo di promozione missionaria in Italia ed il conseguimento della laurea in scienze sociali ad Antigonis (Canada), pone le sue definitive radici nel 1979 nella Missione di Shelabunia, a ridosso della foresta del Sundorbon (considerata dall’Unesco patrimonio dell’umanità e regno della famosa tigre reale del Bengala), dove promuove tutta una serie di attività proprie del missionario, tra le quali l’avvio di nuove scuole al centro della Missione e nei vari villaggi, sparsi nel vasto delta del Gange; laboratori di artigianato (recuperando vecchie tradizioni , soprattutto dei villaggi indù); il rilancio del piccolo ospedale; l’avvio di corsi di teatro, canto e danza (in allegato la struttura attuale della Missione). Contemporaneamente, rubando tempo al riposo e al sonno, si dedica con vero, indefesso impegno, allo studio della lingua e alla traduzione dei poeti locali, tra cui principalmente l’opera di Rabindranath Tagore (al quale qualcuno ha voluto legarlo persino nella derivazione e affinità del cognome: Tagore, takur, ricco/riccone; Rigon, ricco/riccone), divenendone il primo traduttore (e forse rimasto unico) in italiano dalla lingua originale, il bengali, e principale studioso. Quello che appare più evidente nella Missione di Shelabunia è la costruzione, nel tempo, al Centro della stessa Missione e nei principali villaggi, in un territorio vasto quanto il Veneto, di chiese e cappelle, erette sulla base della esperienza derivatagli dal suo percorso di studi classici in Italia e con ispirazione alla cultura locale, nelle varie componenti sia sociali, sia religiose.

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Ciò, è doveroso rammentarlo, è stato possibile grazie al generoso contributo dell’Arcidiocesi di Firenze (Cardinal Silvano Piovanelli) e di soci delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli. Le suddette realizzazioni appaiono ancor più sorprendenti se si tiene presente che Padre Marino, missionario cattolico, si trova ad operare in un Paese per la quasi totalità di religione musulmana (250.000 cristiani e 161 milioni di aderenti all’islam e ad altre credenze). Fatto straordinario, infine, la recente scoperta da parte dei Bengalesi della protezione offerta da Padre Marino agli insorti nella guerra di indipendenza del 1971 tanto da farlo proclamare “eroe nazionale” e da fargli conferire, oltreché per le opere compiute nel Paese, il non comune conferimento della cittadinanza onoraria del Bangladesh, con decreto del Governo militare, provvisorio, musulmano, del 1° novembre 2008 (*).

P.S.

Nei primi giorni di febbraio 2012 è stato invitato a parlare alla Fiera del Libro di lingua bengali, organizzata in collaborazione con il Consolato d’Italia a Calcutta.

Padre Marino è cittadino onorario della città di Vicenza dal 25 giugno 1997. È socio corrispondente della ACCADEMIA OLIMPICA di Vicenza dall’autunno 1998.

Dal 19 ottobre 2012 è membro della ACCADEMIA AMBROSIANA di MILANO. Trascrizione e rielaborazione a cura di: Annunziata Rigon Bagarella, Alessandra Zanin Munari -Villaverla (VI) e Francesco Rigon, Lido di Venezia - Natale 2012

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(*) Nella Library del Munda Education Centre è consultabile l’articolo "Padre Marino Rigon, cittadino onorario del Bangladesh" pubblicato dalla rivista "Missionari Vicentini"

http://issuu.com/munda.education.centre.bd/docs/cittadino_onorario