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Università degli Studi di Firenze Scuola di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali CdL Scienze e Tecnologie Geologiche Corso di Geomorfologia Applicata Prof. Filippo CATANI Dispensa del Seminario: DINAMICA FLUVIALE A cura di: Massimo RINALDI Stefano DAPPORTO Anno Accademico 2014-15

Dinamica fluviale approfondimento

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Università degli Studi di Firenze Scuola di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

CdL Scienze e Tecnologie Geologiche

Corso di Geomorfologia Applicata Prof. Filippo CATANI

Dispensa del Seminario: DINAMICA FLUVIALE

A cura di: Massimo RINALDI

Stefano DAPPORTO

Anno Accademico 2014-15

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INDICE

1. PROCESSI FLUVIALI ......................................................................................................................... 1 1.1 Erosione ................................................................................................................................................. 1 1.2 Trasporto solido ...................................................................................................................................... 2 1.2.1 Misura del trasporto solido ................................................................................................................... 3 1.3 Sedimentazione....................................................................................................................................... 5 2. FORME FLUVIALI .............................................................................................................................. 6 2.1 Forme fluviali in alvei a fondo mobile....................................................................................................... 6 2.2 Sezioni trasversali ................................................................................................................................... 7 2.3 Portata dominante ................................................................................................................................... 8 2.4 Tipi di alvei fluviali................................................................................................................................. 8 3. VARIAZIONI MORFOLOGICHE DI ALVEI FLUVIALI................................................................ 11 3.1 Tipi di modificazione del fondo.............................................................................................................. 12 3.2 Effetti di alcuni tipi di interventi antropici ............................................................................................... 13 3.2.1 Sistemazioni idrauliche generali .......................................................................................................... 13 3.2.2Erosione a valle di una diga ................................................................................................................. 13 3.2.3Estrazione di inerti .............................................................................................................................. 14 4. PROCESSI DI EROSIONE DI SPONDE FLUVIALI........................................................................ 15 4.1 Tipi di sponde fluviali............................................................................................................................ 15 4.2 Processi di erosione e meccanismi di instabilità ....................................................................................... 15 4.2.1 Fattori di indebolimento...................................................................................................................... 15 4.2.2 Processi di erosione............................................................................................................................ 16 4.2.3 Movimenti di massa ............................................................................................................................ 17 4.2.4 Interazione tra movimenti di massa e processi fluviali ........................................................................... 19 4.3 Effetti della vegetazione sulla stabilità di una sponda fluviale ................................................................... 20 4.4 Il ruolo della suzione ............................................................................................................................. 21 4.5 Metodi di misura dell’arretramento di sponde fluviali............................................................................... 22 5. ANALISI DI STABILITÀ DELLE SPONDE FLUVIALI ................................................................. 26 5.1 Caratterizzazione geotecnica dei materiali ............................................................................................... 26 5.1.1 Prove di laboratorio ........................................................................................................................... 26 5.1.2 Prove in sito....................................................................................................................................... 27 5.2 Metodi di analisi di stabilità ................................................................................................................... 29 6. INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE ............................................................................................ 32 6.1 Interventi di stabilizzazione del fondo..................................................................................................... 32 6.1.1 Tratti in abbassamento........................................................................................................................ 32 6.1.2 Tratti in sedimentazione ...................................................................................................................... 33 6.2 Interventi di stabilizzazione di sponde fluviali ......................................................................................... 35 6.2.1 Protezione dall’erosione fluviale ......................................................................................................... 35 6.2.2 Stabilizzazione dei movimenti di massa ................................................................................................ 45 BIBLIOGRAFIA PRINCIPALE ............................................................................................................. 52

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Cap. 1 – Processi fluviali

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1. PROCESSI FLUVIALI

L’espressione “dinamica fluviale” identifica l’insieme dei processi naturali che si manifestano lungo un corso d’acqua per interazione tra la corrente fluviale ed i sedimenti in cui l’alveo è inciso. Tali processi si traducono in una continua trasformazione della morfologia dell’alveo, le cui variazioni possono essere di modesta entità ed avvenire in modo graduale o essere radicali e concentrate in un breve intervallo di tempo.

Il movimento dell’acqua in alvei fluviali induce complessi fenomeni di rimozione e trasporto del materiale solido che hanno diretto interesse nel campo della progettazione e gestione di opere di ingegneria fluviale. La conoscenza di tali processi costituisce una base teorica indispensabile per una corretta comprensione degli importanti fenomeni di evoluzione territoriale, quali la morfologia e l’evoluzione di alvei fluviali.

I processi che agiscono lungo gli alvei fluviali possono essere distinti in tre principali categorie: erosione, trasporto solido e sedimentazione. Un sistema fluviale può essere idealmente suddiviso in tre parti (Fig. 1.1): o la zona 1 rappresenta la parte più a monte del bacino, in cui la produzione di sedimenti è maggiore; o la zona 2 è caratterizzata dal trasporto verso valle dei sedimenti prodotti; si può immaginare che vi sia una

condizione di equilibrio tra materiale proveniente da monte e materiale trasportato verso valle, quindi tra capacità di trasporto della corrente e portata solida;

o la zona 3 è invece caratterizzata da prevalente sedimentazione. Questa suddivisione è in realtà artificiosa poiché i sedimenti sono soggetti ad erosione, trasporto e

sedimentazione in tutte e tre le zone. Tuttavia, in ognuna di esse si avrà la prevalenza di un processo rispetto agli altri: potremo quindi pensare alla 1 come zona di prevalente produzione di sedimenti, alla 2 come zona di trasferimento e alla 3 come zona di prevalente sedimentazione.

Fig. 1.1 – Sistema fluviale idealizzato (Schumm, 1977).

1.1 Erosione I processi di erosione sono determinati dalla rimozione da parte della corrente fluviale di particelle presenti sul

fondo o sulle sponde di un alveo. Per determinate condizioni idrauliche e sedimentologiche, il flusso della corrente liquida non è in grado di muovere i sedimenti del fondo. Modificando tali condizioni, si può verificare una situazione

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in cui una certa quantità di materiale comincia a muoversi sotto l’azione della corrente. Tale condizione è definita come inizio del moto o condizione critica per quei sedimenti. Il problema principale per caratterizzare la condizione critica di inizio del moto consiste nel trovare una variabile, o un gruppo di variabili, che assuma un valore critico nel momento in cui le particelle solide cominciano a muoversi.

Il parametro che meglio descrive l’azione della massa fluida sui sedimenti è lo sforzo di taglio τ della corrente: τ = γwRS

dove γw è il peso di volume dell’acqua, R il raggio idraulico, S la pendenza. Per determinare le condizioni di inizio del moto dei sedimenti è necessario conoscere il valore dello sforzo di

taglio critico τc per particelle di un dato diametro D o, viceversa, il diametro dei sedimenti che si mettono in movimento per determinate condizioni idrauliche della corrente. Nella pratica applicativa viene normalmente utilizzato il diagramma di Shields (1936) (Fig. 1.2), ricavato tramite esperimenti su sedimenti di varie dimensioni e peso specifico, che mette in relazione il numero di Reynolds al fondo (Re*) con un parametro adimensionale τ* dato dal rapporto tra sforzo di taglio al fondo (τ0 = γwRS) e peso immerso di una singola particella (γ-γw)D. Per una trattazione più approfondita dell’argomento si rimanda al corso di Geomorfologia Applicata. In questa sede si vuole però evidenziare il fatto che nel caso di materiale con dimensioni superiori ai 2 mm (limite sabbie-ghiaie) il parametro adimensionale τ* assume un valore costante pari a 0.056. Lo sforzo di taglio critico in alvei con fondo ghiaioso è quindi indipendente dal numero di Reynolds al fondo e dipende solo dalle dimensioni del materiale:

τc = 0.056(γ-γw)D

Fig. 1.2 - Diagramma di Shields. Re*: Numero di Reynolds al fondo; τ*: sforzo di taglio adimensionale.

1.2 Trasporto solido La conoscenza del trasporto solido di un fiume è di grande interesse per alcuni problemi di ingegneria quali ad

esempio l’irrigazione, la produzione di energia, la navigabilità e per problemi territoriali come la sistemazione dei bacini idrografici e i piani di bacino.

Il trasporto solido di un corso d’acqua naturale può essere schematicamente suddiviso in: 1) trasporto solido in soluzione: può rappresentare una porzione importante in corsi d’acqua che drenano rocce solubili. 2) trasporto solido per fluitazione (o flottazione): è formato in prevalenza da materiali vegetali galleggianti, a seguito dello sradicamento di arbusti e di tronchi da parte della corrente. In particolari condizioni climatiche possono essere trasportati anche blocchi di ghiaccio. I materiali vegetali vanno spesso ad ostruire parzialmente o totalmente le luci dei ponti o di altri manufatti, causando un innalzamento del pelo libero a monte dell’ostruzione e un aumento del rischio di esondazione. 3) trasporto solido in sospensione: costituisce la frazione più importante del trasporto solido totale di molti fiumi. Può essere suddiviso in due porzioni: il wash load e il trasporto in sospensione vero e proprio. Il primo è formato dalla porzione più fine del trasporto in sospensione (limo e argilla), che si muove direttamente fino alle zone di sedimentazione (laghi, zone palustri o mare), senza intervenire nella dinamica dell’alveo. Il trasporto in sospensione

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vero e proprio al contrario può essere sedimentato nell’alveo stesso in zone o periodi di minore capacità di trasporto della corrente. 4) trasporto solido al fondo: è costituito dai sedimenti più grossolani, che si muovono sul fondo o a bassa distanza da questo per saltazione, rotolamento o trascinamento.

1.2.1 Misura del trasporto solido Trasporto solido in sospensione

La portata solida in un determinato istante non è uniformemente distribuita nella sezione, ma varia da punto a

punto. Le variazioni di concentrazione sono generalmente più accentuate sulla verticale che in senso trasversale, a causa della diversa distribuzione delle varie granulometrie lungo la verticale: le particelle più fini, dalle argille ai limi, hanno infatti una concentrazione quasi uniforme mentre quelle più grossolane presentano concentrazioni crescenti verso il fondo.

Per la misura del trasporto solido in sospensione si utilizzano in genere campionatori costituiti da bottiglie di forma opportuna, posizionate a diverse altezze in corrispondenza di diverse verticali della sezione liquida. Misurata la concentrazione C delle particelle solide contenute in ogni campione raccolto, si può poi calcolare per integrazione la portata solida trasportata in sospensione, ipotizzando che l’acqua e le particelle solide si muovano alla medesima velocità. Ciò non è sempre vero, in particolare in prossimità del fondo. In Fig. 1.3 è riportato uno schema della distribuzione della velocità della corrente, della concentrazione del materiale in sospensione e della portata solida. Per ottenere valutazioni attendibili, la presenza del campionatore non deve alterare significativamente la configurazione della corrente e deve altresì consentire una misura prolungata per un tempo idoneo ad ottenere una media significativa tra i valori istantanei. Si definisce efficienza del campionamento il rapporto tra quantità di materiale campionato e quantità di materiale che sarebbe transitato in assenza dello strumento campionatore. Tale efficienza deve mantenersi prossima a 1.

Fig. 1.3 – Variazioni della velocità della corrente, della concentrazione dei sedimenti

e della portata solida in una generica sezione.

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Cap. 1 – Processi fluviali

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I principali tipi di campionatori sono:

a) campionatori a bottiglia: sono costituiti da un boccaglio di presa d’acqua collegato con un contenitore per il prelevamento del campione (Fig. 1.4). È necessario che la velocità di entrata della corrente nel boccaglio si mantenga molto vicina a quella che ci sarebbe in quel punto in assenza di campionatore. Tali strumenti variano per dimensioni e metodi di misura e richiedono in tutti i casi uno o più operatori. b) campionatori separatori: hanno un campo di utilizzo simile ai precedenti ma sono basati sulla separazione diretta del materiale sospeso dall’acqua nel momento stesso del campionamento. Il funzionamento consiste nel convogliare attraverso un boccaglio acqua e sedimenti in una camera di sedimentazione o in un recipiente filtrante dai quali l’acqua fuoriesce priva di sedimenti, che rimangono intrappolati all’interno nello strumento. c) campionatori autonomi: sono campionatori capaci di recuperare il campione in assenza dell’operatore. Possono essere fissati ad una determinata altezza dal fondo in condizioni di magra ed effettuare il campionamento durante la fase di piena. Usati in batteria su di una verticale permettono un campionamento per diverse altezze d’acqua. Esistono inoltre campionatori aspiranti, basati su un sistema di aspirazione costituito da una pompa o da recipienti sotto vuoto, da un boccaglio di prelevamento generalmente mantenuto fisso in un punto della sezione, da una serie di bottiglie per il campionamento di ogni singolo campione. d) misuratori indiretti: un altro approccio per la misura del trasporto solido in sospensione consiste nella misura della attenuazione di uno o più segnali dovuta alla presenza dei sedimenti nell’acqua interposti tra la sorgente e il ricevitore del segnale. Si possono basare sull’attenuazione di una sorgente di luce, di ultrasuoni o di raggi γ.

Fig. 1.4 – Campionatore a bottiglia per la misura del trasporto solido in sospensione.

Trasporto solido al fondo

Per la misura del trasporto solido al fondo vengono generalmente usati campionatori composti da contenitori nei

quali si accumula il sedimento, collegati ad un timone destinato ad orientare la bocca d’ingresso controcorrente. Misurando la quantità di materiale entrata nel contenitore in un tempo prefissato, si ricava il valore medio della portata solida nel punto di misura. Ripetendo l’operazione in punti diversi del fondo della sezione, si può risalire alla valutazione dell’intera portata solida al fondo.

Numerosi sono i problemi relativi a questo tipo di misura: alle difficoltà comuni al campionamento del trasporto in sospensione, si aggiunge il fatto che lo strumento può interferire con il fondo stesso causando un disturbo localizzato che falsa sostanzialmente il dato misurato. Le difficoltà aumentano con le dimensioni dei sedimenti dell’alveo.

Gli strumenti comunemente usati per il trasporto solido al fondo sono: a) campionatori a canestro (Fig. 1.5): con efficienza pari al 40-50% in funzione del grado di riempimento del contenitore. b) campionatori a trappola con setti (Fig. 1.5): consistono in una piastra rigida tipo vassoio fornito di setti trasversali tra i quali sedimenta il materiale che si muove sul fondo.

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Cap. 1 – Processi fluviali

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Fig. 1.5 – Campionatori per il trasporto solido al fondo. c) campionatori a pressione differenziale: sono progettati con la bocca di presa tale che la velocità di entrata si mantenga approssimativamente uguale alla velocità della corrente, pertanto hanno un’efficienza maggiore rispetto agli altri tipi. Il campionatore Helley-Smith è quello più largamente utilizzato (Fig. 1.5). d) misuratori indiretti: anche per il trasporto al fondo esistono metodi basati sull’attenuazione di uno o più segnali dovuta alla presenza dei sedimenti.

Infine esistono stazioni di misura fisse, consistenti in trappole o strutture fisse inserite nell’alveo per recuperare una parte o tutto il materiale trasportato durante un evento.

1.3 Sedimentazione Si possono schematicamente distinguere processi di sedimentazione laterale e di sedimentazione verticale, anche

se spesso agiscono in combinazione. La sedimentazione laterale è quella legata alla migrazione delle barre nei canali attivi, nei sistemi a canali

intrecciati, o al tipico processo di accrescimento della barra di meandro nei sistemi meandriformi. La sedimentazione verticale è quella dovuta a tracimazione (overbank) e determina la progressiva accrezione

verticale del prisma alluvionale, il cui tasso dipende da numerosi fattori quali la produzione di sedimenti nel bacino, il tasso di subsidenza, le variazioni climatiche e del livello marino.

All’interno della pianura alluvionale si possono distinguere vari sottoambienti, caratterizzati da diversi processi di tracimazione che originano tipi differenti di depositi fluviali: a) depositi di argine naturale: sono corpi sedimentari formati prevalentemente da sabbie fini o limi sabbiosi, con sezione triangolare asimmetrica, con pendenza forte verso l’interno del canale e più dolce verso la pianura; b) depositi di rotta o crevasse: sono originati da tracimazione nella pianura e presentano in genere forma di lobo, lingua o ventaglio, come un piccolo delta o una conoide; c) depositi di piana inondabile: sono i materiali più fini del sistema (limo e argilla di decantazione, con rare intercalazioni più sabbiose); d) depositi di canale abbandonato: sono dovuti all’abbandono ed al riempimento di canali e sono formati in prevalenza da limo e argilla ricchi di sostanze organiche, con rare intercalazioni sabbiose.

Campionatore a trappola con setti

Campionatori a canestro

Campionatore a pressione differenziale Tipo Helley-Smith

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Cap. 2 – Forme fluviali

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2. FORME FLUVIALI Gli alvei naturali possono essere schematicamente suddivisi in:

1) alvei a fondo fisso, incisi in roccia massiva, pressoché privi di sedimenti, esclusi grandi blocchi che invadono l’alveo; 2) alvei a fondo mobile, incisi in sedimenti incoerenti o poco coerenti, con sponde dello stesso materiale o roccia massiva.

Il primo gruppo comprende generalmente gli alvei delle zone montane, dove le forti pendenze permettono lo smaltimento di tutti i sedimenti che raggiungono il corso d’acqua e favoriscono processi di erosione del fondo più o meno accentuati a seconda delle caratteristiche geomorfologiche, climatologiche e litologiche.

Gli alvei principali di un bacino idrografico rientrano invece nel secondo gruppo. In questi, i sedimenti presenti in alveo o nella pianura alluvionale possono essere trasportati costituendo essi stessi una sorgente di sedimenti che si somma a quella dei versanti; inoltre, all’interno dell’alveo si può depositare materiale proveniente da monte. La mobilità dei materiali costituenti l’alveo consente a questo una maggiore variabilità planimetrica ed altimetrica.

2.1 Forme fluviali in alvei a fondo mobile È possibile distinguere varie superfici geomorfologiche, poste a quote topografiche differenti in relazione alla

frequenza con cui esse sono soggette all’azione della corrente (Fig. 2.1).

Fig. 2.1 – Blocco diagramma rappresentante le principali forme fluviali. 1: Substrato roccioso; 2:depositi alluvionali; CB: canale (channel bed); DB: barra deposizionale (depositional bar); AB: sponda di channel shelf; AS: channel shelf; FB: sponda di pianura inondabile (flood plain bank); FP: pianura inondabile (flood plain); Tl: terrazzo inferiore (lower terrace); Tu: terrazzo superiore (upper terrace); HL: versanti (hillslopes).

a) Canale (channel bed): in un fiume perenne è quella superficie che rimane totalmente o parzialmente ricoperta da livelli idrometrici corrispondenti a portate inferiori alla media. La linea di massima profondità del canale è detta linea di thalweg e generalmente presenta oltre ad una sinuosità planimetrica anche una “sinuosità” in senso altimetrico: infatti, in alvei a fondo ghiaioso di granulometria eterogenea, vi possono essere tratti meno profondi (riffles), dove predominano sedimenti più grossolani, alternati a tratti più profondi (pools), dove il fuso granulometrico è più ampio. b) Barre (channel bars): sono le superfici fluviali topograficamente più basse, leggermente al di sopra del canale. Le barre sono formate da sedimenti sabbiosi o ghiaiosi e possono essere distinte in diverse tipologie (Fig. 2.2). c) Pianura inondabile (flood plain): è una superficie pianeggiante che viene inondata in media ogni 1-3 anni. Il livello idrometrico in grado di raggiungere la pianura inondabile è definito livello ad alveo pieno (bankfull stage), a cui corrisponde la cosiddetta portata ad alveo pieno (bankfull discharge). In alcuni alvei possono essere presenti forme di transizione tra barre e pianura inondabile (channel shelf).

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Cap. 2 – Forme fluviali

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d) Terrazzo (terrace): è una superficie pianeggiante, rappresentante un’antica pianura inondabile, che si trova a livelli superiori rispetto alla pianura inondabile attuale. Può essere inondato solo da piene con elevati tempi di ritorno (superiori ai 3 anni). e) Sponde (banks): sono costituite da superfici con una certa inclinazione o da vere e proprie scarpate che separano tra loro due delle forme definite prima. Possono essere schematicamente suddivise in sponde basse e sponde alte, a seconde del dislivello tra le due superfici che separano. Le prime sono caratteristiche di situazioni in accrescimento, come sulla parte interna di un meandro; le seconde sono invece tipiche di situazioni di erosione, come nel lato esterno del meandro.

Fig. 2.2 – Tipi di barre: 1. barre laterali; 2. barre di meandro; 3. barre di giunzione o di confluenza; 4. barre longitudinali; 5. barre a losanga; 6. barre diagonali; 7. onde di sabbia, barre linguoidi o dune.

2.2 Sezioni trasversali La descrizione delle sezioni trasversali attraverso una serie di parametri di interesse e l’analisi delle loro

variazioni spaziali consentono di definire più accuratamente e anche da un punto di vista quantitativo la forma di un alveo. Per la definizione dei suddetti parametri, si considerano i livelli idrici relativi ad un dato tempo di ritorno, facendo generalmente riferimento ai livelli ad alveo pieno e assumendo che le portate ad essi associate occorrano approssimativamente con la stessa frequenza lungo il fiume.

Di seguito vengono definiti i principali parametri che caratterizzano la geometria di un alveo (Fig. 2.3). 1) Area bagnata (A): è l’area della sezione liquida corrispondente al livello ad alveo pieno. 2) Perimetro bagnato (P): nel caso di correnti a pelo libero, coincide con quella parte del perimetro della sezione liquida costituita dalla parete solida dell’alveo. 3) Raggio idraulico (R): è definito dal rapporto tra area e perimetro bagnato. 4) Larghezza (L): coincide con la larghezza del pelo libero.

Fig. 2.3 – Parametri geometrici di una sezione fluviale. Fig. 2.4 – Profondità media della corrente.

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Cap. 2 – Forme fluviali

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5) Profondità media (hm): è data dal rapporto tra area bagnata e larghezza della sezione. Coincide pertanto con la profondità della sezione rettangolare avente uguale larghezza e area bagnata (Fig. 2.4). Per alvei sufficientemente larghi (dove il rapporto tra larghezza e profondità è maggiore di 20), il raggio idraulico è comunemente sostituito dalla profondità media hm. 6) Rapporto di forma (Rf): è definito come il rapporto tra larghezza e profondità media. Il rapporto di forma cresce da monte verso valle nella maggior parte dei fiumi.

2.3 Portata dominante Il concetto di portata dominante (dominant discharge) è largamente usato nel campo dell’Idraulica Fluviale. Tale

portata è spesso impiegata in equazioni empiriche per predire la geometria idraulica di alvei fluviali stabili. Esistono varie definizioni di portata dominante:

o è quel valore della portata che, sostituito all’intero regime delle portate per uno stesso periodo di tempo, sarebbe in grado di produrre la stessa forma e le stesse caratteristiche geometriche (Inglis, 1949);

o è quella portata a cui è associato il massimo trasporto solido (Wolman & Miller, 1960) ed è indicata anche come ‘most effective’ discharge (Fig. 2.5);

o corrisponde alla portata ad alveo pieno (bankfull discharge), cioè a quella portata che riempie completamente l’alveo senza dar luogo ad esondazione, spesso considerata come la portata formativa in alvei naturali; tale portata è in genere associata ad un tempo di ritorno di 1.5-2 anni, sulla base di dati relativi ad una larga varietà di fiumi.

Fig. 2.5 – Portata dominante (Qd) in base alla definizione di Wolman & Miller (1960). A: portate solide; B: curva di frequenza delle portate liquide; C: prodotto delle curve A e B.

2.4 Tipi di alvei fluviali La tipologia di un alveo fluviale viene generalmente definita in base alle caratteristiche planimetriche dello

stesso. Leopold & Wolman (1957) individuarono tre tipi principali di alvei mobili: rettilinei (straight), a canali intrecciati (braided) e meandriformi (meandering). Gli alvei rettilinei sono piuttosto rari in natura e hanno lunghezza limitata (in genere inferiore a 10 volte la larghezza). I fiumi a canali intrecciati sono definiti come quelli in cui l’alveo è frequentemente suddiviso da barre in due o più canali. I fiumi meandriformi sono quelli aventi una sinuosità (definita come il rapporto tra lunghezza misurata lungo l’alveo e lunghezza misurata lungo la valle) convenzionalmente maggiore o uguale a 1.5.

Schumm (1963), basandosi anche su risultati ricavati da prove di laboratorio, ha proposto una classificazione basata sul tipo di trasporto solido prevalente (Fig. 2.6). Vengono definiti cinque tipi di alveo, prendendo in

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Cap. 2 – Forme fluviali

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considerazione oltre al trasporto solido anche le condizioni di stabilità e i processi dominanti. Alvei a canale di magra rettilineo (1) sono associabili ai minimi valori di pendenza ed a condizioni di bassa energia. Aumentando la pendenza, aumenta progressivamente la sinuosità del canale. Si passa inizialmente ad alvei rettilinei con canale di magra sinuoso (2) e poi ad alvei meandriformi (3). Questi ultimi sono suddivisi nei sottogruppi 3a e 3b, corrispondenti rispettivamente ad alvei meandriformi con larghezza uniforme e piccole barre di meandro e ad alvei meandriformi con larghezza maggiore nelle curve e larghe barre di meandro. Un ulteriore aumento di pendenza e trasporto solido al fondo determina il passaggio ad alvei di transizione tra meandriforme e a canali intrecciati (4), con larghe barre di meandro e frequenti canali di taglio. Al di sopra di un certo valore soglia della pendenza, si verifica una brusca caduta della sinuosità che segna il passaggio ad alvei a canali intrecciati (5), caratterizzati dalle più alte condizioni energetiche della corrente, in cui le sponde esterne assumono nuovamente un andamento quasi rettilineo. Mentre in alvei di tipo rettilineo il canale si identifica all’incirca con l’alveo di piena ed è in una situazione di relativa stabilità, in alvei a trasporto misto o con trasporto di fondo prevalente il canale di magra ha una larghezza decisamente inferiore rispetto all’alveo di piena, una sinuosità maggiore ed una stabilità minore. In alvei a canali intrecciati la stabilità dei canali, delle barre e delle sponde è ancora più bassa e la forma dei canali varia anche in modo rilevante in un unico evento di piena.

Fig. 2.6 – Classificazione di alvei fluviali proposta da Schumm (1963). A: Limite dell’alveo; B: direzione della

corrente; C: barre. Una tipologia di alveo fluviale che ha ricevuto molta minore attenzione, essendo piuttosto rara in natura, è quella

dei fiumi anastomizzati. Si tratta di alvei multicanali, nei quali ogni singolo canale presenta una sinuosità medio-alta. I canali sono separati tra loro da porzioni di pianura inondabile, formate da isole stabilizzate da vegetazione, piuttosto che da barre attive come avviene normalmente nel caso di alvei a canali intrecciati.

Negli anni successivi, in particolare nell’ultimo decennio, la classica suddivisione proposta da Leopold & Wolman si è rivelata spesso inadeguata per descrivere le diverse morfologie fluviali. Si è quindi progressivamente affermato il concetto secondo il quale il passaggio da una forma morfologica all’altra è continuo, piuttosto che fissato da limiti precisi. Si possono osservare cioè numerose forme intermedie in cui i caratteri di sinuosità e intrecciamento coesistono in diversa misura.

Un’ultima classificazione molto recente è quella proposta da Rosgen (1994), sviluppata adoperando dati provenienti da 450 fiumi di Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda (Fig. 2.7). In questa, i fiumi naturali, sia quelli a fondo fisso che a fondo mobile, vengono distinti in 9 categorie principali (Aa+, A, B, C, D, DA, E, F, G) sulla base dei seguenti parametri: rapporto di confinamento (entrenchment ratio) (definito come rapporto tra larghezza dell’area inondabile e larghezza dell’alveo pieno), rapporto tra larghezza e profondità, sinuosità, pendenza.

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Cap. 2 – Forme fluviali

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Fig. 2.7 – Classificazione di Rosgen (1994).

Aa+: A forte pendenza, profondamente confinati. A: Pendenti, confinati, con sequenze step-pool. B: Moderatamente confinati, con moderata pendenza, canale con riffles dominanti e infrequenti pools. C: A basso gradiente, meandriformi, con barre di meandro, sequenze riffle-pool, alveo alluvionale con ben definita pianura inondabile. D: A canali intrecciati con barre trasversali e longitudinali, alveo molto largo e sponde erodibili. DA: Anastomizzato con canali stretti e profondi e ben vegetata pianura inondabile. E: A basso gradiente, meandriformi con sequenze riffle-pool, con basso rapporto larghezza-profondità e poca deposizione. F: Meandriformi confinati con sequenze riffle-pool, bassi gradienti, alto rapporto larghezza-profondità. G: Gully confinato, con sequenze step-pool, basso rapporto larghezza-profondità, moderati gradienti.

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Cap. 3 – Variazioni morfologiche di alvei fluviali

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3. VARIAZIONI MORFOLOGICHE DI ALVEI FLUVIALI Durante un lungo intervallo di tempo, un bacino idrografico è soggetto ad un progressivo abbassamento del

fondo; considerando invece un intervallo di tempo più breve, dell’ordine delle decine o al massimo delle centinaia di anni, le componenti del sistema possono essere considerate in una condizione di equilibrio dinamico. Prendendo in considerazione un intervallo di tempo ancora più breve, può esistere una condizione stazionaria. Pertanto, il concetto di equilibrio varia secondo la scala temporale di riferimento: in funzione dell’intervallo di tempo preso in considerazione, le forme fluviali possono essere considerate come appartenenti ad uno stadio di un lungo ciclo di erosione o ad una condizione di equilibrio dinamico. La scala temporale cui si fa comunemente riferimento nel campo della geomorfologia fluviale applicata, in particolare nello studio delle variazioni altimetriche indotte da disturbi antropici, è la media scala temporale (decine-centinaia di anni).

Una proprietà fondamentale che caratterizza la morfologia e la dinamica di un alveo fluviale a fondo mobile è

quella di variare continuamente la propria forma nello spazio e nel tempo, in base al rapporto tra due grandezze fondamentali: - portata solida (Qs) che transita realmente attraverso un determinato tratto di alveo; - capacità di trasporto della corrente (CT), definibile come la portata solida che potenzialmente il corso d’acqua è in grado di trasportare in un determinato tratto in base alle sue caratteristiche idrauliche, morfologiche e sedimentologiche. La capacità di trasporto è direttamente proporzionale a grandezze quali la portata liquida, la profondità, la pendenza, la velocità e lo sforzo di taglio della corrente, mentre risulta inversamente proporzionale al diametro dei sedimenti presenti sul fondo.

Come schema interpretativo bidimensionale delle condizioni evolutive altimetriche di un tratto di alveo, si può

far riferimento all’equazione di continuità dei sedimenti (Fig. 3.1):

0)(

=∂

∂+

∂∂

xQs

ktz

dove z = elevazione del fondo del canale rispetto ad un piano di riferimento, t = tempo, k = coefficiente che dipende dalla porosità del materiale del fondo, Qs = portata solida, x = distanza lungo l’alveo. In sostanza, l’equazione esprime il fatto che la differenza tra portata entrante e portata uscente dal volume di controllo nell’unità di tempo si traduce in una variazione di quota del fondo (nell’ipotesi semplificativa che non vari la concentrazione di materiale in sospensione nella corrente).

Fig. 3.1 – Schema del bilancio sedimentario in un tratto finito d’alveo fluviale.

Page 14: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 3 – Variazioni morfologiche di alvei fluviali

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Si possono avere le tre condizioni seguenti:

1) Condizione di equilibrio: Qs2 = Qs1 0)(

=∂

∂x

Qs da cui 0=

∂∂

tz

2) Condizione di erosione (abbassamento del fondo): Qs2 > Qs1 0)(

>∂

∂x

Qs da cui 0<

∂∂

tz

3) Condizione di sedimentazione (innalzamento del fondo): Qs2 < Qs1 0)(

<∂

∂x

Qs da cui 0>

∂∂

tz

Nella condizione 1, il bilancio sedimentario del tratto è in equilibrio e la morfologia dell’alveo rimane pressoché immutata. Come è stato già accennato, questa situazione è caratteristica dei tratti intermedi dei corsi d’acqua, dove comunque vi possono essere fenomeni di erosione e sedimentazione, attraverso processi di erosione laterale e migrazione dell’alveo.

Nella condizione 2, tipica dei tratti montani del sistema idrografico, l’alveo tende ad acquisire un’ulteriore portata solida attraverso processi di erosione prevalentemente verticale che determinano un abbassamento del fondo e una conseguente riduzione della pendenza media, che porta alla progressiva riduzione del fenomeno.

Nei tratti terminali, l’alveo principale del sistema fluviale tende ad una situazione in cui la portata solida è superiore alla potenza disponibile per il trasporto della stessa (condizione 3): il processo dominante diventa perciò la sedimentazione attraverso la quale l’alveo, aumentando la sua pendenza media, tende ad incrementare la sua stessa potenza.

Una relazione qualitativa che esprime il bilancio tra portate liquide e solide è quella proposta da Lane (1955):

Q S ≈ Qs D dove Q è la portata liquida, S la pendenza dell’alveo, Qs la portata solida e D il diametro del materiale presente sul fondo. Se una delle quattro variabili si modifica, le altre tre varieranno tendendo a ristabilire il bilancio espresso dall’equazione (Fig. 3.2).

Fig. 3.2 – Schema delle interazioni tra portate liquide e solide, pendenza, dimensione dei sedimenti, degradazione e

aggradazione.

3.1 Tipi di modificazione del fondo Nell’ambito dei processi erosivi si distingue la degradazione o erosione distribuita (degradation o general

scour), che consiste in un generale abbassamento del fondo di un alveo per un tratto di considerevole lunghezza, dall’erosione localizzata (local scour), che interessa solo tratti limitati di alveo ed è legata a variazioni locali delle

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Cap. 3 – Variazioni morfologiche di alvei fluviali

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caratteristiche della corrente. Tipico caso di erosione localizzata è quello che si verifica alla pila di un ponte o al piede di una soglia o di una briglia.

Le conseguenze dell’abbassamento del fondo sono molteplici. Tra queste, le principali sono: - esposizione delle fondazioni di pile di ponti o di altre strutture; - instabilità delle sponde; - innesco di erosione regressiva negli affluenti; - abbassamento dei livelli freatici nelle zone adiacenti.

L’aggradazione o sedimentazione o alluvionamento (aggradation) consiste al contrario in un innalzamento generalizzato del fondo di un fiume per un tratto sufficientemente lungo (tipico è quello che si manifesta a monte di una diga). Anche in questo caso può essere distinta dalla sedimentazione localizzata (fill o local deposition), che si verifica ad esempio a monte di una briglia o in corrispondenza di un affluente con forte trasporto solido.

3.2 Effetti di alcuni tipi di interventi antropici Vengono esaminati di seguito i tre principali casi di fenomeni di erosione distribuita associati ad interventi o

attività antropiche.

3.2.1 Sistemazioni idrauliche generali Con questo termine si indicano una serie di interventi in alveo, quali canalizzazioni, restringimenti di sezione,

rettifiche o tagli di meandro, che comportano una riduzione della larghezza e/o della lunghezza del fiume.

Fig. 3.3 – Effetti morfologici di un taglio di meandro. T: tratto soggetto al taglio di meandro; M: tratto a monte; V: tratto a valle; d: degradazione; a: aggradazione.

Dal punto di vista idraulico, tutti questi interventi determinano un aumento della capacità di trasporto della

corrente. Un restringimento dell’alveo provoca infatti un incremento delle portate liquide per unità di larghezza, mentre un taglio di meandro o in generale una rettifica genera una riduzione di lunghezza e un aumento della pendenza del fondo nel tratto rettificato. Il risultato sarà in ogni caso l’innesco di una fase di abbassamento del fondo, in migrazione progressiva verso monte, mentre a valle del tratto modificato si può instaurare una condizione di sedimentazione favorita dal materiale proveniente dalle zone in erosione a monte (Fig. 3.3).

3.2.2Erosione a valle di una diga La costruzione di un invaso incide su due fattori che influiscono in senso opposto sul bilancio sedimentario

dell’alveo a valle della diga: l’annullamento del trasporto solido al fondo e la laminazione delle onde di piena. In letteratura è ampiamente dimostrato come il primo fattore prevalga sul secondo, causando quindi una fase erosiva almeno immediatamente a valle della diga.

Facendo riferimento al bilancio sedimentario a valle della diga (Fig. 3.4), la portata solida al fondo immediatamente a valle dello sbarramento può essere considerata pressoché nulla, pertanto l’eccesso di capacità di trasporto causa un abbassamento del fondo e una conseguente riduzione di pendenza fino ad una certa distanza dalla diga (B), dove, dopo un certo periodo di tempo, vengono ristabilite le condizioni iniziali di equilibrio.

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Cap. 3 – Variazioni morfologiche di alvei fluviali

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Fig. 3.4 – Erosione a valle di una diga. Qs: portata solida; CT: capacità di trasporto della corrente; AB: tratto soggetto a degradazione.

3.2.3Estrazione di inerti Le conseguenze di una estrazione di inerti possono essere molto complesse, con effetti che si manifestano sia

verso monte che verso valle (Fig. 3.5). Si può avere infatti una erosione regressiva per la migrazione verso monte della discontinuità lungo il profilo longitudinale originata dallo scavo. Nello stesso tempo, la portata solida a valle del punto di escavazione viene ad essere privata della quantità di materiale estratto, mentre la portata liquida rimane invariata. Questo comporta un eccesso di capacità di trasporto e l’innesco di una fase erosiva che si protrae verso valle fino a che il bilancio non torna in equilibrio. A lungo termine il fondo degrada e acquista una pendenza minore a valle del punto di estrazione.

Fig. 3.5 – Degradazione dovuta ad estrazione di inerti.

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Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

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4. PROCESSI DI EROSIONE DI SPONDE FLUVIALI

L’arretramento di sponde fluviali rappresenta quel meccanismo attraverso il quale un alveo si muove lateralmente o varia la sua larghezza. Le conseguenze dell’erosione di sponda sono sintetizzabili in: a) danni ingenti a strutture ed infrastrutture adiacenti l’alveo (strade, ponti, difese di sponda, rilevati arginali, ecc.); b) perdita di terreni ad elevata produttività agricola; c) fenomeni di sedimentazione nei tratti di fiume a valle, con conseguente riduzione della capacità di contenimento

delle piene da parte dell’alveo; d) alterazione della dinamica costiera.

4.1 Tipi di sponde fluviali Dal punto di vista composizionale, si possono distinguere le seguenti tipologie principali di sponde (Thorne,

1998): a) sponde costituite da materiale granulare (sabbia, ghiaia) (non-cohesive); b) sponde costituite da materiale coesivo (limo, argilla) (cohesive); c) sponde composite (composite), costituite da un livello basale di materiale granulare e da un livello sovrastante di

materiale coesivo; d) sponde stratificate (layered), costituite da un’alternanza di livelli coesivi e non coesivi;

Nella categoria delle sponde coesive si fanno generalmente rientrare anche sponde costituite da materiale con caratteristiche intermedie tra granulare e coesivo (sabbia limosa o limo sabbioso).

4.2 Processi di erosione e meccanismi di instabilità L’arretramento di una sponda può risultare da una larga varietà di processi e meccanismi di instabilità. Esso

raramente deriva da un singolo processo, ma è piuttosto il risultato di una complessa interazione tra vari processi e meccanismi che spesso agiscono sulla sponda simultaneamente. Questi sono raggruppati in due principali categorie:

(1) Processi di erosione, attraverso i quali si ha rimozione e trasporto di particelle individuali o aggregati di particelle dalla superficie esterna della sponda in arretramento;

(2) Movimenti di massa, caratterizzati da movimenti di masse di materiale costituente la sponda in seguito all'azione della gravità.

Oltre a queste due principali categorie, responsabili di una effettiva perdita di materiale della sponda, esiste una varietà di processi (generalmente rientranti nella categoria dei processi di degradazione meteorica) che comportano un progressivo indebolimento nel tempo della sponda o una perdita di resistenza di materiale. Tali processi sono indicati come fattori di indebolimento e agiscono come possibili cause dei processi di erosione e/o dei movimenti di massa.

4.2.1 Fattori di indebolimento

Tra i processi di degradazione meteorica si ricordano in particolare: o Fenomeni di disseccamento (dessication), fessurazione, dilavamento (leaching) e idratazione nelle argille, con conseguente perdita di coesione. In particolare la presenza di acqua in argille sovraconsolidate può favorire un processo di decadimento delle caratteristiche meccaniche noto come rammollimento (softening). o Variazioni chimiche di minerali argillosi o dissoluzione di minerali cementanti a causa delle acque circolanti. o Processi di degradazione fisica (crio e termoclastismo), con disgregazione del materiale e conseguente perdita di resistenza.

Tra gli altri possibili fattori di indebolimento per decadimento delle caratteristiche meccaniche del materiale possono essere ricordati: o Calpestìo ad opera di animali (sovrapascolamento), persone o mezzi, che indebolisce la sponda attraverso un possibile danneggiamento della struttura del terreno. o Distruzione della vegetazione riparia, da parte di una varietà di fattori naturali ed azioni antropiche, con conseguente perdita dell’incremento di coesione legato alle radici.

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Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

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4.2.2 Processi di erosione Si riportano di seguito i principali processi di erosione che possono riguardare sponde fluviali: a) Erosione fluviale da parte di corrente parallela (fluvial entrainment by parallel flow): le particelle (o

aggregati) vengono asportate per azione della corrente che agisce parallelamente alla sponda. Rappresenta in genere una causa primaria di arretramento.

b) Erosione fluviale da parte di corrente incidente (fluvial entrainment by impinging flow): le particelle (o aggregati) vengono asportate per azione di corrente incidente. Rappresenta in genere una causa primaria di arretramento.

c) Erosione per rigagnoli e fossi (rill and gully erosion): consiste nell’erosione da parte di acque di ruscellamento concentrato. Può essere causa di erosioni localizzate.

d) Sifonamento (piping/sapping): si tratta della rimozione di singole particelle ad opera della filtrazione all’interno della sponda. Si verifica generalmente in corrispondenza di livelli più permeabili (sabbie) compresi tra materiale meno permeabile (argille, limi) (Fig.48). Può creare seri ed estesi arretramenti.

e) Gelo/disgelo (freeze/thaw): le particelle (o aggregati) vengono rimosse dall’alternanza gelo/disgelo. Si tratta in genere di un processo significativo solo in sponde prive di vegetazione.

f) Onde dovute al vento (wind waves) : le particelle (o aggregati) vengono distaccate dall’azione di onde generate dal vento. Raramente sono una causa primaria di arretramento.

L’erosione operata dalla corrente fluviale è senza dubbio il processo più importante. L'innesco del processo di

erosione fluviale può essere ricondotto alla condizione in cui lo sforzo di taglio esercitato dalla corrente supera lo sforzo di taglio critico di inizio del moto per il materiale costituente la sponda. Nel caso di materiale granulare sciolto, un granulo posto su di una sponda è soggetto, oltre alla forza di trascinamento della corrente, anche alla componente parallela al pendio della forza peso, quindi le condizioni di inizio del moto sono raggiunte prima rispetto allo stesso granulo posto sul fondo.

Fig. 4.1 – Forze agenti su un granulo posto su di una sponda.

Facendo riferimento alla Fig. 4.1, un granulo di peso immerso W posto in un punto A su di una sponda di

inclinazione β è soggetto ad una forza di trascinamento FD da parte della corrente ed alla forza peso W, scomponibile nelle due componenti normale (Wcosβ) e parallela (Wsinβ) alla sponda. La risultante delle forze destabilizzanti è quindi data da: FD

2 + (W sinβ)2 , mentre la forza stabilizzante è espressa da: W cosβ tanφ , dove φ è l’angolo di attrito del materiale.

Alle condizioni di equilibrio limite si avrà quindi: W cosβ tanφ = FD

2 + (W sinβ)2 da cui è possibile ricavare (FD )s = W cosβ tanφ 1-(tanβ / tanφ)2 dove (FD )s è la forza di trascinamento limite sulla sponda.

La condizione all’equilibrio limite di un granulo posto sul fondo (dove β=0) può essere invece espressa dalla condizione:

FD = W tanφ LANE (1955) ha quindi ricavato un fattore di riduzione K, minore di 1, così espresso:

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Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

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K = (FD)s (FD ) =

τsc τc

= cosβ 1-(tanβ / tanφ)2 = 1-(sin2β /sin2φ)

Per ottenere lo sforzo di taglio critico τsc di un granulo posto sulla sponda, si moltiplica quindi tale coefficiente per lo sforzo di taglio critico τc per lo stesso granulo posto sul fondo.

Una delle limitazioni della formula precedente è che essa è applicabile solo nel caso di materiale sciolto, cioè quando l’inclinazione della sponda è inferiore dell’angolo di riposo del materiale. Nel caso di sponde in materiale coesivo, le condizioni di inizio del moto delle particelle a causa della corrente fluviale sono meno conosciute in quanto dipendono, oltre che le caratteristiche idrauliche della corrente, da numerosi altri fattori quali le proprietà composizionali e geotecniche del materiale e le proprietà dei fluidi interstiziali. Tuttavia si può dire che gli sforzi di taglio critici in materiali dotati di coesione sono superiori a quelli delle stesse particelle sciolte, e sono direttamente proporzionali alla resistenza al taglio del materiale.

L’altro processo che in determinate condizioni può causare una perdita notevole di materiale e costituire pertanto

una seria minaccia alla stabilità di una sponda è il sifonamento. Il sifonamento (piping) è legato a fenomeni di filtrazione all’interno della sponda. Il processo si innesca sostanzialmente quando la velocità del flusso di filtrazione supera la velocità critica delle particelle (o, in altri termini, quando viene superato un gradiente idraulico critico). La causa principale è quindi sostanzialmente riconducibile ad un aumento della velocità di filtrazione, in seguito a forti precipitazioni ed in particolare durante e dopo la fase di svaso della piena, quando si instaura un moto di filtrazione dalla sponda verso il fiume. La natura del processo tuttavia dipende, oltre che dalla pressione di filtrazione, anche dalla composizione chimica dell’acqua interstiziale e dalla mineralogia del terreno. E’ maggiormente prevalente dove la filtrazione nella sponda è concentrata, come nel caso di un livello sabbioso compreso tra livelli argillosi impermeabili, o dove esistono protezioni di sponda in cui è impedito un libero drenaggio. A ciò può essere aggiunto, come fattore predisponente, la presenza di radici o di percorsi sotterranei creati da animali, che possono costituire corsie preferenziali di flusso.

Il sifonamento, seppure inserito tra i processi di erosione in quanto l’acqua di filtrazione distacca e rimuove particelle di terreno, può costituire anche un importante fattore di indebolimento e di decadimento delle caratteristiche meccaniche del materiale a causa delle cavità all’interno della sponda che a loro volta aumentano nel tempo la possibilità di circolazione di acqua interstiziale.

4.2.3 Movimenti di massa I principali tipi di movimenti di massa che interessano sponde fluviali sono sintetizzati in Fig. 4.2. In sponde

formate da materiale granulare, il meccanismo di rottura più frequente è lo scivolamento superficiale (shallow slide) lungo una superficie planare o leggermente curva (Fig. 4.2a), mentre superfici di scorrimento profonde sono improbabili. Un altro meccanismo frequente è il crollo di singoli granuli o di blocchi di terra (soil fall) (Fig. 4.2b), laddove il fiume incide il piede di una sponda sabbiosa molto ripida.

L’eccesso di pressioni interstiziali è alla base di un tipo di sifonamento, definito pop out, che si origina generalmente quando l’accumulo di acqua sopra un livello impermeabile determina delle forze di filtrazione che, una volta superato il peso del materiale, portano al sollevamento del materiale alla base della sponda (Fig. 4.2c).

In sponde coesive, il meccanismo di rottura è fortemente condizionato dall’altezza e dalla pendenza della sponda. Scivolamenti planari con superficie passante per il piede del pendio (planar failure) (Fig. 4.2d) si verificano raramente. Infatti, in sponde coesive molto inclinate, la porzione superiore del terreno è interessata da sforzi di trazione che generano delle fratture verticali parallele alla superficie. Se la sponda non è molto alta, la frattura di trazione può raggiungere una profondità elevata relativamente all’altezza della sponda; in queste condizioni, il meccanismo di rottura più probabile è il distacco della fetta di terreno racchiuso dalla frattura e il suo successivo scivolamento o ribaltamento lungo una superficie inclinata piana o leggermente curva (Fig. 4.2e). Frane di questo tipo, denominate slab failure, sono le più frequenti in sponde coesive molto inclinate. Al contrario, in sponde alte e poco acclivi, l’orientazione dei piani principali di sforzo cambia significativamente con la profondità, favorendo rotture per scivolamento rotazionale (rotational failure) (Fig. 4.2f).

Fiumi ghiaiosi che attraversano una pianura alluvionale presentano molto spesso sponde composite formate da un livello basale di ghiaia addensata ed embriciata con sabbia interstiziale, corrispondente a depositi di barra o canale, e da un livello superiore di materiale sabbioso-limoso, corrispondente a depositi di esondazione, di barra emergente o di canale abbandonato. I processi di erosione riflettono la natura composita del materiale e consistono in una combinazione di processi fluviali e di degradazione, prevalenti nella parte basale, e di movimenti di massa, dominanti nella porzione superiore coesiva. I processi di degradazione meteorica agiscono nel livello basale riducendo il grado di addensamento del deposito e provocando il crollo di singoli ciottoli alla base; la corrente fluviale asporta la frazione sabbiosa e ridistribuisce quella più grossolana, formando un caratteristico cuneo basale composto da ghiaia e ciottoli sciolti, con angolo di attrito molto inferiore rispetto al livello addensato. Il livello coesivo oppone una resistenza maggiore all’erosione fluviale, sia per le caratteristiche geotecniche del materiale, sia

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Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

18

perché, essendo posto più in alto, è soggetto a contatti meno frequenti e prolungati con la corrente, che, per di più, presenta gli sforzi di taglio maggiori nella parte bassa della sezione. Il risultato di questo arretramento differenziato è uno scalzamento alla base che induce crolli frequenti nel livello coesivo aggettante (cantilever failure) (Fig. 4.2g). Vi sono tre possibili meccanismi di crollo: 1. per ribaltamento attorno ad un asse di rotazione (Fig. 4.2g1); 2. per taglio lungo un piano verticale (Fig. 4.2g2); 3. per trazione della porzione inferiore della massa in aggetto attraverso un piano orizzontale (Fig. 4.2g3).

Fig. 4.2 – Principali movimenti di massa di sponde fluviali.

I movimenti di massa avvengono quando le forze destabilizzanti superano quelle resistenti lungo la superficie di

rottura potenziale. Le cause di innesco del movimento possono essere ricondotte ai due seguenti gruppi: 1. aumento degli sforzi di taglio, dovuto allo scalzamento al piede o all’abbassamento del fondo per opera dell’erosione fluviale, con conseguente incremento di pendenza e altezza della sponda, all’aumento del peso di volume per infiltrazione, ai sovraccarichi sulla sommità della sponda causati da costruzioni o dalla vegetazione, alle sollecitazioni transitorie (terremoti, veicoli in transito, ecc.); 2. diminuzione della resistenza al taglio, dovuta essenzialmente ad una riduzione degli sforzi efficaci o dei parametri di resistenza al taglio del terreno. Il primo caso è riconducibile ad un aumento delle pressioni interstiziali per l’innalzamento della superficie freatica o per filtrazione verso il basso dell’acqua di precipitazione. Il secondo caso è invece originato dai fattori di indebolimento visti in precedenza, che vanno a ridurre la coesione e l’angolo di attrito interno del materiale.

g) Crollo di masse aggettanti ( )cantilever failure

e) Scivolamento planare o ribaltamento con frattura di trazione ( )slab failure

f) Scivolamento rotazionale ( )rotational failure

d) Scivolamento planare ( )planar failure

a) Scivolamento superficiale ( )shallow slide

b) Crollo di terra ( )soil fall

c) Sifonamento ( )pop-out failure

1. per ribaltamento ( )beam fail.

2. per taglio ( .)shear fail

3. per trazione ( .)tensile fail

Page 21: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

19

Le piene rappresentano le fasi più critiche per la stabilità di una sponda fluviale. Mentre rispetto ai processi di

erosione fluviale le condizioni più critiche sono generalmente raggiunte nella fase di picco, durante la quale le altezze idrometriche e quindi gli sforzi di taglio della corrente sono massimi, rispetto ai movimenti di massa le condizioni di massima instabilità si raggiungono in genere durante la fase discendente o di esaurimento (o svaso) della piena (Fig. 4.3). Infatti, durante la fase di picco è importante il ruolo stabilizzante svolto dalla pressione di confinamento esercitata dall’acqua all’interno del fiume sulla sponda, nonostante l’aumento di pressioni interstiziali all’interno della sponda per innalzamento della superficie freatica. Durante lo svaso della piena, l’abbassamento del livello idrometrico avviene generalmente in maniera più rapida relativamente all’abbassamento dei livelli freatici, almeno nel caso di terreni poco permeabili, pertanto viene a mancare il sovraccarico stabilizzante dell’acqua nel fiume mentre persistono per un certo tempo le elevate pressioni interstiziali nella sponda.

Fig. 4.3 - Forze agenti su una sponda fluviale durante la fase di picco e la fase di svaso di una piena.

4.2.4 Interazione tra movimenti di massa e processi fluviali Il materiale derivante dai vari meccanismi di rottura che non viene trasportato direttamente dalla corrente,

unitamente a quello prodotto dai vari processi fluviali o di degradazione, tende a restare almeno per un certo tempo alla base della sponda. La rimozione o la stabilizzazione di tale materiale dipende principalmente dal bilancio tra tasso di alimentazione da parte dei processi che agiscono sulla sponda e tasso di asportazione ad opera della corrente, secondo un meccanismo noto come “controllo del punto basale” (basal endpoint control, Thorne, 1982). Si possono schematicamente distinguere tre situazioni (Fig. 4.4): a) Condizioni di accumulo (accumulation condition o impeded removal): se i movimenti di massa apportano materiale alla base della sponda con una velocità maggiore rispetto al tasso di rimozione. Si forma un accumulo di materiale alla base che riduce l’altezza e la pendenza della sponda e, di conseguenza, comporta una progressiva stabilizzazione della stessa. b) Condizione di equilibrio (equilibrium condition o unimpeded removal): se i processi di apporto e rimozione si bilanciano tra loro. La sponda è in equilibrio dinamico, l’altezza e la pendenza rimangono mediamente costanti e l’evoluzione avviene per arretramento parallelo. c) Condizioni di erosione (scour condition o excess basal capacity): se l’erosione è tale da comportare una rimozione completa del detrito alla base della sponda ed è inoltre in grado di produrre un abbassamento del fondo. In tal caso si verifica un incremento dell’altezza e della pendenza della sponda e, di conseguenza, aumenta l’instabilità della sponda che continua ad arretrare.

Il concetto di controllo del punto basale mette in evidenza come il tasso di arretramento non dipenda esclusivamente dall’entità dei processi che agiscono direttamente sulla sponda, ma anche dal rapporto tra capacità di trasporto della corrente e alimentazione complessiva di materiale solido, quest’ultimo corrispondente alla somma della portata solida proveniente da monte e di quella derivante dalla sponda. Facendo riferimento ad un tratto finito di alveo, l’equazione di continuità dei sedimenti utilizzata in genere come schema interpretativo bidimensionale per

PRESSIONEDELL'ACQUA

PRESSIONIINTERSTIZIALI

PESO DELLA MASSA(INCLUSA ACQUA)

PRESSIONEDELL'ACQUA

PRESSIONIINTERSTIZIALI

PESO DELLA MASSA(INCLUSA ACQUA)

PRESSIONEDELL'ACQUA

PRESSIONIINTERSTIZIALI

PESO DELLA MASSA(INCLUSA ACQUA)

PRESSIONEDELL'ACQUA

PRESSIONIINTERSTIZIALI

PESO DELLA MASSA(INCLUSA ACQUA)

Page 22: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

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le variazioni altimetriche del fondo, può essere estese in senso tridimensionale includendo un termine (QSBANK) che rappresenta il rifornimento di sedimenti da parte dei processi di erosione delle sponde ed un termine (QSLAT) che rappresenta i trasferimenti laterali di sedimenti (Fig. 4.5).

Da quanto detto, è evidente come l’evoluzione a lungo termine di una sponda sia regolata principalmente dall’attività fluviale, indipendentemente dalla composizione della sponda, dai processi di erosione e dai movimenti di massa in atto.

a b c

Fig. 4.4 - Controllo del punto basale. a) condizioni di accumulo; b) condizioni di equilibrio; c) condizioni di erosione.

QsQs

Qs

INLAT

OUT

BANKQs= ++--∆S QsIN QsLATQs OUT BANKQs

S∆

Fig. 4.5 - Bilancio sedimentologico alla base della sponda.

4.3 Effetti della vegetazione sulla stabilità di una sponda fluviale I meccanismi attraverso i quali la vegetazione influenza la stabilità di una sponda e più in generale di un pendio

possono essere suddivisi in meccanismi di tipo idrologico e meccanico (Fig. 4.6). I fattori meccanici derivano dalle interazioni fisiche della pianta con il pendio, mentre i meccanismi idrologici sono legati agli effetti prodotti dalla vegetazione sul ciclo idrologico. In Fig. 4.6 sono elencati i diversi meccanismi che entrano in gioco; tra parentesi è indicato l’effetto del meccanismo sulla stabilità: il segno + rappresenta un effetto che incrementa la stabilità, mentre il segno – identifica un effetto negativo per la stabilità.

In sintesi, nei confronti dei processi di erosione agenti su una sponda fluviale gli effetti della vegetazione possono essere ricondotti ai seguenti: (a) riduzione degli sforzi di taglio della corrente a seguito della riduzione di velocità; (b) possibilità di erosioni localizzate, soprattutto intorno a tronchi isolati; (c) possibilità di creazione di percorsi preferenziali di filtrazione lungo le radici, con possibile innesco di fenomeni di sifonamento; (d) riduzione dell’efficacia dei processi di erosione per rigagnoli e per fossi e dei processi di degradazione meteorica. Nei confronti dei movimenti di massa, la vegetazione può influire sulle condizioni di stabilità della sponda attraverso: (a) sovraccarico; (b) incremento di resistenza al taglio dovuto al rinforzo ad opera dell’apparato radicale; (c) riduzione dell’infiltrazione di acque di precipitazione per intercettazione e/o riduzione delle pressioni interstiziali all’interno della sponda per la funzione evapotraspirativa degli apparati radicali. Vanno inoltre considerate le sollecitazioni indotte sulla sponda dal vento, che possono talora innescare fenomeni prevalentemente di ribaltamento.

In definitiva, non è semplice valutare l’effetto complessivo della vegetazione sulla stabilità di una sponda fluviale. In linea generale, si può però considerare favorevole alla stabilità se l’apparato radicale si spinge al di sotto della potenziale superficie di rottura, sfavorevole nel caso opposto.

Page 23: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

21

Fig. 4.6 – Effetti della vegetazione sulla stabilità di un pendio.

4.4 Il ruolo della suzione Il materiale che costituisce le sponde fluviali è, almeno per gran parte dell’anno, non saturo. All’interno della

sponda (in particolare di quelle costituite da materiale fine) è comunemente presente una frangia di risalita capillare, la quale ha importanti effetti in termini di stabilità. Più precisamente è possibile distinguere tre zone al di sopra della falda caratterizzate da un grado di saturazione differente (Fig. 4.7): a) una zona completamente satura; b) una zona di parziale saturazione, con filetti d’acqua continui; c) una zona con fenomeni di capillarità locali che si può estendere fino al piano di campagna. L’altezza di saturazione e l’altezza massima di risalita capillare dipendono principalmente dalle dimensioni del materiale e dalle sue vicissitudini idrauliche (grado di saturazione iniziale del terreno, abbassamento o innalzamento della falda, ecc.).

Fig. 4.7 - Fenomeni di capillarità e distribuzione delle pressioni interstiziali con la profondità.

MECCANISMI IDROLOGICI

1) Intercettazione precipitazione (+)2) Aumento di permeabilità del suolo (-)3) Traspirazione (+)4) Maggior disseccamento del suolo (-)

MECCANISMI MECCANICI

5) Rinforzo ad opera delle radici (+)6) Ancoraggio al substrato roccioso (-)7) Sovraccarico dovuto al peso (-/+)8) Trasmissione delle forze dinamiche

causate dal vento (-)9) Riduzione erosione (+)

Page 24: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

22

Nella zona non satura i pori sono riempiti solo parzialmente d’acqua, la quale forma una sottile pellicola, cioè si dispone in un modo caratteristico formando cunei ed anelli sospesi entro la matrice solida (acqua capillare). Tale acqua è attratta dalla matrice solida da forze di natura essenzialmente elettrostatica; tale forza attrattiva fa sì che l’acqua si venga a trovare ad una pressione inferiore alla pressione dell’aria nei pori (ua ), cioè negativa (assumendo, come si fa convenzionalmente, la pressione dell’aria pari a zero). Tale pressione negativa corrisponde ad una tensione capillare positiva o suzione, indicata con:

Ψ = ua -uw . L’esistenza di tale suzione comporta la presenza di una coesione apparente, che conferisce maggiore stabilità alla

sponda. Più precisamente, la resistenza al taglio di un materiale non saturo è espressa dal seguente criterio di rottura (Fredlund et al., 1978) (Fig. 4.8):

τ = c’ + (ua - uw ) tanφb + (σ - ua ) tanφ’ dove c’ è la coesione efficace, (ua - uw ) è la suzione, φb l’angolo di resistenza al taglio in termini di suzione, φ’

l’angolo di resistenza al taglio in termini di sforzi efficaci.

Fig. 4.8 - Criterio di rottura per materiale non saturo.

Nel caso piuttosto comune di sponde costituite da terreni granulari (sabbia come principale componente), tali

materiali assumono un comportamento coesivo in condizioni non sature a causa della presenza di coesione apparente, sebbene la coesione efficace sia in realtà molto bassa o nulla. La resistenza al taglio dovuta alla suzione permette la stabilità di sponde molto inclinate, con angoli di inclinazione molto maggiori dell’angolo di attrito efficace, durante i periodi di magra, mentre durante forti precipitazioni e piene la coesione apparente si riduce fino a scomparire nel caso in cui il materiale diventi completamente saturo. Infatti, a seguito di eventi meteorici (infiltrazione verticale dell’acqua di precipitazione, infiltrazione laterale dell’acqua del fiume durante la piena), il terreno si avvicina o raggiunge condizioni di saturazione e il termine addizionale di resistenza dovuto alla suzione tende a ridursi o a scomparire del tutto (da cui il termine di coesione apparente). In questo caso, la resistenza al taglio è esprimibile tramite il criterio di Mohr-Coulomb:

τ = (σ - uw ) tanφ' + c'

4.5 Metodi di misura dell’arretramento di sponde fluviali Nell’ambito delle varie scale temporali di applicazione (Fig. 4.9), si possono identificare 8 principali metodi

suddivisi in tre categorie (Lawler, 1993): a) Tecniche applicabili su lunga scala temporale (evidenze sedimentologiche, evidenze botaniche, risorse storiche); b) Tecniche sulla media scala temporale (rilevamento planimetrico ripetuto e profili topografici ripetuti); c) Tecniche sulla breve scala temporale (picchetti metallici, fotogrammetria terrestre, sensori fotoelettronici).

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Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

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Fig. 4.9 - Metodi di misura dell’arretramento di sponde fluviali e scale temporali di applicazione.

A) Tecniche applicabili sulla lunga scala temporale Evidenze sedimentologiche. Si basano sulla determinazione della cronologia dei sedimenti alluvionali e possono

permettere di ricostruire la storia evolutiva dei depositi di fondovalle nell’ambito di un lungo periodo di tempo (in genere dai 50 ai 15.000 anni), fornendo indicazioni (prevalentemente di tipo qualitativo) sull’attività laterale del fiume e sulle eventuali variazioni di morfologia d’alveo.

Evidenze botaniche. Si basano sulla datazione di superfici fluviali (pianura inondabile) tramite dendrocronologia. E’ possibile in alcuni casi ottenere (in particolare in corrispondenza di meandri) delle isocrone di avanzamento della pianura inondabile in modo da ricostruire le migrazioni laterali del fiume e stimare dei tassi di arretramento della sponda opposta in arretramento (Fig. 4.10).

Risorse storiche. Consistono nell’utilizzazione di cartografie o foto aeree di anni differenti, in base alle quali si possono individuare variazioni di tracciato di un fiume e ricavare l’arretramento della linea di sponda (Fig. 4.11).

Fig. 4.10 - Evidenze botaniche: ricostruzione

dell’evoluzione di un meandro tramite isocrone. Fig. 4.11 - Risorse storiche: esempio di sovrapposizione

di cartografie di anni differenti. B) Tecniche applicabili sulla media scala temporale Rilevamento planimetrico ripetuto. Può essere condotto attraverso rilevamenti topografici tradizionali

(distanziometro e teodolite o stazione totale) ripetuti nel tempo della posizione della linea di sponda e appoggiati a capisaldi fissi (Fig. 4.12). Alternativamente, si può stabilire più semplicemente una spezzata mediante una serie di

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Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

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punti fissi (linea A-E in Fig. 4.12), posti ad una certa distanza dalla sponda, ed effettuare delle misure periodiche ortogonali ai segmenti della spezzata e con una scansione spaziale predefinita.

Profili topografici ripetuti. Da condurre mediante rilievo topografico tradizionale o, nel caso di corsi d’acqua di piccole dimensioni, è sufficiente uno stendimento orizzontale congiungente alle estremità due punti permanenti, e misurare lungo la verticale la distanza della superficie topografica con una scansione spaziale predefinita (Fig. 4.13). A differenza dei rilievi planimetrici ripetuti, che permettono di ricostruire l’arretramento solo della sommità della sponda, i profili ripetuti permettono di ricostruire in dettaglio le variazioni della sponda. Di solito i due metodi vanno usati in combinazione.

Fig. 4.12 - Metodi di rilievo topografico planimetrico per la misura dell’arretramento di una sponda fluviale.

A

B Fig. 4.13 - Rilievi topografici del profilo di sponda ripetuti nel tempo. A: Metodi di rilievo; B: risultati. C) Tecniche applicabili sulla breve scala temporale Picchetti metallici (Erosion pins). Si tratta di picchetti orizzontali infissi direttamente nella scarpata della sponda,

lasciandone l’estremità esposta e misurandone la progressiva esposizione nel tempo. Si usano talora anche picchetti o pali verticali infissi nel terreno retrostante la sponda misurandone periodicamente la distanza dalla stessa.

Fotogrammetria terrestre. Può risultare molto più vantaggiosa rispetto ai metodi topografici tradizionali, soprattutto quando i punti da determinare sono molto numerosi. Il metodo comporta, in ogni caso, la determinazione topografica di alcuni punti, detti d’appoggio (targets) ed il rilievo fotogrammetrico condotto attraverso una serie di riprese in corrispondenza di una linea di presa lungo la sponda opposta (Fig. 4.14). La recente diffusione di appositi programmi di calcolo per l’elaborazione delle immagini tramite utilizzo di stereorestitutore digitale rende tale metodo particolarmente indicato nel caso di misure di dettaglio dell’arretramento di una sponda fluviale.

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Cap. 4 – Processi di erosione di sponde fluviali

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Fig. 4.14 - Fotogrammetria terrestre applicata alla misura dell’arretramento di sponde fluviali.

Sensori fotoelettronici (PEEP: Photo Electronic Erosion Pins). Permettono un monitoraggio in continuo

dell’arretramento di una sponda in corrispondenza del punto dove lo strumento è installato (a differenza di tutti i precedenti metodi dai quali è possibile ricavare l’arretramento netto nell’intervallo compreso tra due rilievi successivi). Si tratta di sensori sensibili alla luce, che quindi registrano un segnale una volta esposti per l’arretramento della sponda (Fig. 4.15).

Fig. 4.15 - Sensori PEEP (Photo Electronic Erosion Pins).

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Cap. 5 – Analisi di stabilità delle sponde fluviali

26

5. ANALISI DI STABILITÀ DELLE SPONDE FLUVIALI L’analisi di stabilità è applicata alle sponde fluviali per determinare il loro grado di stabilità e il meccanismo di

rottura più critico. Per realizzare tale analisi, è necessaria la conoscenza delle caratteristiche geotecniche dei materiali presenti, unita a quella delle caratteristiche geometriche e dei processi in atto che è possibile ricavare da una campagna di rilevamento. Si ricorre pertanto ad una serie di prove geotecniche effettuate in laboratorio o direttamente sulle sponde.

5.1 Caratterizzazione geotecnica dei materiali Nel par. 4.1 è stato evidenziato come i materiali che costituiscono le sponde fluviali siano classificabili in due

tipologie principali: granulari (sabbia, ghiaia, ciottoli) e coesivi (miscele di sabbia, limo e argilla). Dal punto di vista geotecnico, i primi sono soggetti all’erosione della corrente fluviale, mentre difficilmente permettono lo sviluppo di movimenti di massa. Questi sono invece predominanti nei materiali coesivi. Per questo motivo, e anche per l’impossibilità di effettuare alcuni tipi di prove nei depositi granulari, la maggior parte delle prove geotecniche descritte di seguito vengono di solito effettuate nei materiali coesivi.

Dovendo effettuare uno studio a grande scala, concernente la stabilità di un numero rilevante di sponde di uno stesso fiume o di più fiumi diversi, è necessario affiancare alle classiche prove di laboratorio, delle prove effettuabili in sito, più rapide ed economiche, anche se a volte meno precise delle altre.

Di seguito vengono brevemente descritte le principali prove utilizzate per determinare le proprietà geotecniche dei materiali che costituiscono le sponde fluviali, rimandando al corso di Geologia Tecnica per un approfondimento della materia.

5.1.1 Prove di laboratorio In laboratorio si effettuano le analisi per la classificazione dei materiali (granulometrie e limiti di Atterberg), la

determinazione delle proprietà indici (peso di volume, peso specifico dei grani, indice dei vuoti) e dei parametri di resistenza al taglio (prove di taglio diretto e triassiale).

La granulometria di un materiale viene effettuata tramite setacciatura e sedimentazione su campioni rimaneggiati. I risultati sono presentati nel diagramma semilogaritmico delle curve granulometriche (Fig. 5.1), che mostra le percentuali relative delle varie frazioni. In Fig. 5.1 sono inseriti i risultati di prove effettuate sui depositi di esondazione di alcune sponde dell’Arno; è evidente come generalmente i materiali siano composti da miscele in parti pressoché uguali di sabbia e limo.

0,06 0,002 argillalimosabbia

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0,0010,010,11mm

% p

assa

nte

Fig. 5.1 – Granulometrie di alcune sponde del Fiume Arno.

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Cap. 5 – Analisi di stabilità delle sponde fluviali

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Per determinare le proprietà meccaniche dei terreni si utilizzano le prove di taglio diretto e triassiale. Nelle prime il campione viene portato a rottura lungo un piano predefinito, senza misurare i valori delle pressioni interstiziali durante la prova.

La prova triassiale è più complessa della precedente, ma permette di ottenere dei risultati più precisi. I suoi pregi principali consistono nel controllo delle condizioni di drenaggio e nella misura della pressione interstiziale del campione. In questa prova si riproduce lo stato tensionale su un provino cilindrico e si segue l’evoluzione delle tensioni efficaci fino alle condizioni di rottura.

La resistenza al taglio di un terreno saturo è espressa dal criterio di Mohr-Coulomb, che, tenendo conto del principio degli sforzi efficaci di Terzaghi, possiamo sintetizzare nel modo seguente:

τ = c’ + (σ - uw)tgφ’ dove c’ rappresenta la coesione efficace, σ la pressione normale totale sul piano di rottura, uw l’aliquota di

pressione totale sopportata dal fluido nei pori (pressione neutra) e φ’ l’angolo di attrito interno efficace del materiale, che quantifica l’incremento di resistenza al taglio prodotto dalla pressione normale efficace (σ’= σ - uw).

Nella prova triassiale i parametri di resistenza al taglio (c’ e φ’) si ottengono dall’inviluppo dei cerchi di Mohr rappresentanti le condizioni a rottura di tre provini consolidati a pressioni diverse (Fig. 5.2). Nella figura τ’f e σ’f rappresentano rispettivamente i valori dello sforzo di taglio e della pressione normale agenti sul piano di rottura al momento della rottura.

φ’φ’

c’σ3’ σ1’ σ’

τ’

C

P

τ’f

σ’f

Fig. 5.2 – Rappresentazione grafica dei parametri di resistenza al taglio In base alle condizioni di drenaggio si distinguono tre tipi di prove:

• non consolidate-non drenate (UU), in cui viene impedito il drenaggio sia durante l’applicazione della pressione isotropa che del carico assiale; • consolidate-non drenate (CU), in cui si permette la dissipazione delle pressioni interstiziali durante la fase di consolidazione e si impedisce il drenaggio durante la rottura, misurando le pressioni neutre generate; • consolidate-drenate (CD), in cui si effettua la consolidazione come per le prove CU e si permette il drenaggio anche durante la rottura, misurando la variazione di volume.

Il tipo di prova da adottare viene scelto in base al problema geotecnico ed alla permeabilità del campione. Le sponde fluviali rimangono sempre in condizioni drenate poiché le sollecitazioni cui sono sottoposte non raggiungono una velocità tale da creare un eccesso di pressioni interstiziali nel materiale che le caratterizza. Per questo motivo vengono generalmente eseguite prove consolidate-drenate (CD).

5.1.2 Prove in sito Le prove in sito presentano alcuni vantaggi tipici rispetto a quelle di laboratorio (Lancellotta, 1987):

• rapidità ed economicità; • possibilità di investigare un volume maggiore di terreno a profondità diverse; • possibilità di investigare le proprietà meccaniche del terreno sotto condizioni al contorno esistenti sul posto; • eliminazione del disturbo provocato dal campionamento.

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Cap. 5 – Analisi di stabilità delle sponde fluviali

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Una prova che si adatta particolarmente bene allo studio delle sponde fluviali è la prova di taglio in foro di sondaggio (Borehole Shear Test, o BST) (Luttenegger & Hallberg, 1981). Mentre all’estero ha trovato amplia applicazione, in ambito nazionale è ancora poco diffusa.

La prova consiste nell'inserire nel terreno alla profondità di indagine (previa perforazione con trivella) due piastre dentate coassiali che vengono sollecitate a compressione contro la parete del foro e successivamente fatte scorrere verso l'alto per misurare la resistenza al taglio offerta dal terreno. Le piastre dentate hanno forma semicircolare e diametro complessivo uguale al diametro della perforazione (75 mm).

La compressione delle piastre verso il terreno viene esercitata da un piccolo martinetto idraulico, mentre la sollecitazione a taglio è trasmessa da un’asta collegata ad una corona dentata manovrata manualmente. Sia le pressioni delle piastre dentate contro il suolo che le resistenze al taglio sono misurate con manometri. In Fig. 5.3 è mostrato uno schema dell'apparecchiatura.

Fig. 5.3 – Borehole Shear Test. Schema dell’apparecchiatura.

La prova è del tutto simile ad una prova di taglio in laboratorio. In una prima fase si procede alla consolidazione

sollecitando le piastre contro il terreno. Per materiali sabbioso-limosi come quelli presenti nelle sponde fluviali è sufficiente un tempo di consolidazione di 10 minuti. Anche la fase successiva relativa al taglio deve essere sufficientemente lenta per ottenere risultati corrispondenti a condizioni drenate: si applica generalmente una velocità di prova di 0,05 mm/sec.

La prova di taglio consiste nel rilevare la resistenza man mano che procedono le deformazioni fino al valore massimo oltre il quale non si hanno ulteriori aumenti di resistenza.

Ottenuta la resistenza relativa alla pressione applicata, il terreno viene consolidato ad una pressione superiore; viene poi ripetuta la prova di taglio, secondo le stesse procedure sopra descritte. I tempi di consolidazione per gli incrementi di carico successivi a quello iniziale, per materiali di alta-media permeabilità, possono essere ridotti a 5 minuti, tenendo contro che un’aliquota del processo di consolidazione è già avvenuta per il carico precedente.

Al termine della prova, le resistenze al taglio vengono diagrammate in funzione delle pressioni normali trasmesse al terreno, ottenendo in questo modo la retta di Coulomb.

Le prove BST, essendo effettuate sulla porzione non satura di una sponda, hanno il vantaggio di poter permettere una stima della coesione totale del materiale, incluso quindi il termine di resistenza dovuto alle pressioni interstiziali negative. A questo scopo, per l’interpretazione dei risultati della prova viene utilizzato il criterio di rottura di Fredlund et al. (1978), che rappresenta un’estensione ai terreni non saturi del classico criterio di Mohr-Coulomb valido per terreni saturi, dove la resistenza al taglio (τ) è espressa dalla relazione:

τ = c’ + (σ-ua)tgφ’ + (ua-uw)tgφb dove c’ è la coesione efficace, (σ-ua) è la tensione netta sul piano di rottura, φ’ è l’angolo di resistenza al taglio efficace, (ua-uw) è la suzione, pari alla differenza tra la pressione dell'aria e la pressione dell'acqua, e φb è l’angolo che indica il grado di incremento di resistenza al taglio prodotto dalla suzione.

Page 31: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 5 – Analisi di stabilità delle sponde fluviali

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Con questo criterio la resistenza del terreno non saturo rispetto alle condizioni di saturazione viene incrementata di una aliquota (coesione apparente, capp) che dipende dalla suzione:

capp = (ua-uw)tgφb Il confronto tra risultati di prove triassiali effettuate su provini saturi e prove BST effettuate in situ sullo stesso

materiale, evidenzia come l’angolo di resistenza al taglio efficace (φ’), sia è praticamente coincidente (Fig. 5.4). La coesione risulta invece maggiore nella prova BST, per l’incremento di resistenza fornito dalla suzione che produce una traslazione verso l’alto sul piano (σ-ua):τ dell’inviluppo a rottura del materiale; al contrario, nelle prove triassiali, condotte su campioni saturi, tale incremento scompare e l’intercetta sull’asse τ individua il valore della sola coesione efficace (c’).

BST: φ' = 34,0° c = 8,5 kPaTriassiale: φ' = 34,2° c' = 2,8 kPa

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

110

120

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220 240 260 280 300 320

σ (kPa)

τ(kPa) φ'BST = 34,0°

φ' = 34,2°

Fig. 5.4 – Confronto tra risultati ottenuti da prove triassiali e BST.

5.2 Metodi di analisi di stabilità La verifica delle condizioni di stabilità delle sponde viene normalmente effettuata con il metodo dell’equilibrio

limite. Il metodo è basato sulla definizione a priori della geometria della superficie di rottura, sulla base di evidenze visive, e sull’assunzione di un criterio di rottura per la superficie di scivolamento (ad es. il criterio di Mohr-Coulomb); la massa all’interno della superficie di rottura viene considerata indeformabile, cosicché si considerano solo gli sforzi lungo tale superficie e non la loro distribuzione all’interno della massa; a questo punto, si risolvono le equazioni di equilibrio statico per la massa compresa fra la superficie di rottura e la superficie topografica e si giunge alla definizione di un fattore di sicurezza (F), che esprime il rapporto tra la risultante delle forze (o dei momenti) resistenti e di quelle destabilizzanti: se F>1 la sponda è stabile, se F=1 è in condizioni di equilibrio limite, se F<1 è instabile.

In letteratura esistono alcune soluzioni in forma chiusa per scivolamenti planari ricavate appositamente per sponde fluviali, basate su una geometria realistica di una sponda naturale con erosione al piede. L’analisi proposta da Osman & Thorne (1988) non considera gli effetti delle pressioni interstiziali e in più prevede che la superficie di rottura passi per il piede della sponda (Fig. 5.5).

Darby & Thorne (1996) hanno fornito una soluzione basata sulla stessa geometria precedente che tiene però conto anche del livello del fiume e del livello della falda nella sponda, una volta che essi sono specificati (Fig. 5.6). Inoltre, la superficie di rottura può avere un andamento qualsiasi all’interno della sponda, non essendo costretta a passare per il piede della stessa.

Un problema cruciale nell’applicazione di tali metodi di analisi è rappresentato dalla definizione delle condizioni di pressioni interstiziali all’interno della sponda, essendo queste estremamente variabili durante gli eventi di piena (quelli più critici per la stabilità della sponda) in quanto risentono degli effetti delle precipitazioni e delle variazioni del livello del fiume. Un’analisi di stabilità rigorosa che tenga in conto delle variazioni delle pressioni interstiziali durante l’evento di piena è possibile attraverso: a) monitoraggio delle pressioni interstiziali a diverse profondità della sponda; b) applicazione di un modello numerico di filtrazione.

In questo secondo caso la filtrazione all’interno della sponda viene modellata usando un codice agli elementi finiti per l’analisi del flusso saturo/non saturo, il quale ricostruisce l’andamento delle pressioni interstiziali positive e

Page 32: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 5 – Analisi di stabilità delle sponde fluviali

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negative in condizioni stazionarie o transitorie utilizzando l’equazione del moto (RICHARDS, 1931) e l’equazione di continuità del flusso. A tal fine, la sponda in esame va discretizzata in una serie di elementi quadrilateri e/o triangolari (Fig. 5.7) e per ognuno dei materiali che la costituisce vanno specificate le caratteristiche geotecniche, la curva caratteristica e la curva di permeabilità. In generale il modello può essere applicato in regime permanente o transitorio, specificando opportunamente una serie di condizioni iniziali e, nel caso di moto transitorio, di condizioni al contorno. Nel caso di applicazione del modello ad un problema in moto transitorio, quale quello di una piena fluviale, le condizioni al contorno sono rappresentate dall’idrogramma di piena e dalle precipitazioni. Per ogni passo temporale in cui è suddiviso l’evento si può ricavare la distribuzione delle pressioni interstiziali all’interno della sponda, da impiegare poi per effettuare l’analisi di stabilità.

Fig. 5.6 – Analisi di Darby & Thorne (1996).

II

II II

Fig. 5.5 – Geometria di sponde fluviali secondo l’analisi di Osman & Thorne (1988). a) Rottura iniziale della sponda; b) arretramento parallelo della sponda;

I) prima dell’erosione fluviale al piede; II) dopo l’erosione fluviale.

a) b)

Page 33: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 5 – Analisi di stabilità delle sponde fluviali

31

e

d

cb

g rav e l

sand

a

silt

0

2 0

4 0

6 0

8 0

1 0 0

0 ,0 0 10 ,0 10 ,111 01 0 0d (m m )

a

bd,e

c

0

5

1 0

1 5

2 0

2 5

3 0

3 5

4 0

4 5

-1 0 001 0 02 0 03 0 04 0 05 0 0u a-u w (hP a )

Vo l.W.C .(%)

abcde

1 E-1 2

1 E-1 1

1 E-1 0

1 E-0 9

1 E-0 8

1 E-0 7

1 E-0 6

1 E-0 5

1 E-0 4

1 E-0 3

-1 0 001 0 02 0 03 0 04 0 05 0 0u a-u w (hP a )

k w

(m /s )

Fig. 5.7 - Analisi agli elementi finiti: geometria del problema, proprietà geotecniche dei terreni, granulometrie, curve caratteristiche e curve-k.

Page 34: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

32

6. INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE

6.1 Interventi di stabilizzazione del fondo Facendo riferimento ai tipi di variazioni morfologiche altimetriche di alvei fluviali, si distingue di seguito tra

interventi di stabilizzazione del fondo in tratti in abbassamento ed in tratti in sedimentazione. Nell’ambito degli schemi classificativi degli interventi di stabilizzazione, sia per quanto riguarda il fondo che le

sponde, verranno anche riportati, per ognuna delle categorie, i principali interventi dell’INGEGNERIA NATURALISTICA. Quest’ultima è una disciplina tecnica che utilizza piante vive in genere in abbinamento con altri materiali (legno, pietrame, reti zincate, geotessili, biostuoie, ecc.). Va precisato che molti interventi dell’ingegneria naturalistica possono avere una funzione molteplice, pertanto in tali casi verranno classificate in base alla loro funzione dominante. Si indicheranno come TECNICHE COMBINATE invece quei casi in cui l’uso di vegetazione è combinato con tecniche di stabilizzazione tradizionali.

6.1.1 Tratti in abbassamento L’abbassamento del fondo, come detto precedentemente, è dovuto ad un eccesso di capacità di trasporto della

corrente rispetto all’apporto solido proveniente dal tratto di alveo a monte di quello considerato. L’effetto ottenuto dagli interventi di stabilizzazione del fondo è sostanzialmente riconducibile ad una riduzione della capacità di trasporto della corrente, attraverso le due seguenti possibili strategie:

a) riduzione della pendenza del fondo (briglie); b) riduzione dell’erodibilità del materiale dell’alveo (rivestimenti, stabilizzazione del fondo con soglie), quindi

riduzione della mobilità del materiale solido costituente l’alveo. Si riportano di seguito i principali tipi di interventi. a) Briglie. E’ l’intervento più comune soprattutto nel caso di torrenti montani in incisione. Esse hanno

principalmente la funzione di ridurre la pendenza quindi la velocità della corrente, ma anche di proteggere indirettamente il fondo tramite il materiale alluvionale che si deposita a monte. Possono essere in calcestruzzo, in muratura di pietrame a secco o legata con malta, in gabbioni metallici. Nel primo caso si tratta di strutture meno flessibili che quindi si adattano meno a variazioni delle condizioni al contorno, mentre le briglie in pietrame o in gabbioni risultano più flessibili.

Dal punto di vista statico le briglie sono generalmente a gravità, cioè si oppongono col proprio peso alle forze destabilizzanti. Esistono tuttavia anche esempi di briglie ad arco (o ad arco-gravità), che scaricano una parte delle azioni destabilizzanti sulle sponde, o a mensola, costituite da una soletta verticale incastrata in una platea di fondazione.

Per quanto riguarda le briglie in gabbioni, si possono distinguere briglie a parete verticale o briglie a gradoni (Fig. 6.1). Un vantaggio offerto da questi tipi di briglie è che in entrambi i casi è possibile sopraelevare la briglia stessa semplicemente modificandone la sezione, senza dover manomettere la vecchia struttura.

Per fronteggiare l’erosione al piede della briglia si possono usare principalmente due criteri (Fig. 6.2): (1) controbriglia di valle: produce un innalzamento del pelo libero quindi riduce il dislivello tra monte e valle della briglia, riducendo anche l’erosione che è generalmente proporzionale a tale dislivello; (2) bacino di dissipazione: impedisce l’erosione proteggendo il fondo a valle della briglia; spesso i due metodi si usano in combinazione.

Fig. 6.1 - Briglie in gabbioni a parete verticale e a gradoni, con esempio di sopraelevazione.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Fig. 6.2 - Briglia con protezione dell’erosione al piede tramite controbriglia di valle (a) e bacino di dissipazione (b).

b) Traverse. Si tratta di opere che trovano applicazione nella stabilizzazione di alvei fluviali di maggiori

dimensioni, nel loro tratto di pianura, oltre che nella realizzazione di piccoli invasi artificiali o di opere di derivazione. Sono generalmente realizzate in calcestruzzo o in gabbionate, in questo caso con parete di valle inclinata, in modo che la vena tracimante durante le piene vi resti aderente.

c) Soglie di fondo. Sono opere che non sporgono sensibilmente dal fondo dell’alveo, che quindi servono per fissarne il profilo altimetrico senza comportare una sedimentazione a monte. La loro azione quindi è quella di arrestare la mobilità dei sedimenti del fondo, senza produrre effetti sulla pendenza del fondo.

d) Rampe in massi. Nei torrenti montani dotati di forte pendenza, un ulteriore metodo per limitare l’erosione del fondo è quello di eseguire una pavimentazione dello stesso, utilizzando pietrame posto su malta di cemento oppure piastre in calcestruzzo. Più frequentemente tale pavimentazione viene effettuata utilizzando massi di notevoli dimensioni, formando una protezione a scogliera. Tale tipo di protezione prende anche il nome di rampa in massi, in particolare impiegata per pavimentare un tratto in cui si verifica salto di quota, raccordando i due punti posti alle estremità del salto. I massi sono talora collegati tra di loro e/o ancorati al subalveo.

INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA a) Briglie in legname e pietrame. Nella parte alta dei torrenti montani e negli impluvi laterali, le briglie sono di

piccole dimensioni e solitamente vengono realizzate in legname, se si tratta di opere di altezza molto limitata, o in legname e pietrame per dimensioni maggiori (Fig. 6.3). La durata del legname è limitata rispetto ad altri materiali tradizionali (massi, gabbioni) ed il suo utilizzo è pertanto giustificato solo in presenza di impossibilità logistica di trasporto di massi sul posto ovvero in presenza di legname in vicinanza dell’alveo. Possono essere applicate per corsi d’acqua con limitato trasporto solido e con deflusso minimo costante che possa evitare cicli di disseccamento/imbibizione del legname che ne ridurrebbero la durabilità.

6.1.2 Tratti in sedimentazione Nel caso di torrenti montani, o anche nei tratti vallivi e di pianura, si possono avere problemi opposti a quelli visti

finora: l’alveo può avere una tendenza all’innalzamento del fondo, almeno in alcuni tratti, a causa di una insufficiente capacità di trasporto della corrente rispetto al rilevante apporto solido da monte.

Page 36: Dinamica fluviale approfondimento

Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

34

Fig. 6.3 - Briglia in legname e pietrame.

I maggiori livelli idrici possono arrivare a minacciare gli insediamenti adiacenti o la stabilità di sponde

precedentemente esenti da pericolo. In questo caso si possono avere le due seguenti strategie di intervento: a) aumento della capacità di trasporto, tramite la riduzione della larghezza e la creazione quindi di una sezione

ristretta; b) riduzione della portata solida da monte, mediante interventi estensivi sui versanti di stabilizzazione

dell’erosione e dei fenomeni franosi, o intensivi sull’alveo fluviale di contenimento del trasporto solido (briglie di trattenuta o briglie selettive).

Si riportano di seguito i principali tipi di interventi. a) Briglie selettive (filtranti) o briglie aperte (Fig. 6.4). Si è visto come le briglie abbiano normalmente la

funzione sia di arrestare l’abbassamento del fondo sia di trattenere in alveo i materiali. Questa seconda funzione, nel caso di torrenti con forte trasporto solido, viene ad esaurirsi in tempi molto brevi, una volta completato il riempimento a monte dell’opera. Per evitare tale inconveniente si usano le briglie selettive, atte a trattenere il materiale più grossolano e a lasciar passare le frazioni più piccole. Tali interventi sono realizzati anche per prevenire e limitare i danni dovuti a colate detritiche e di fango (debris flow e mud flow), che spesso si manifestano allo sbocco di torrenti montani nel fondovalle in zone spesso urbanizzate. La funzione di tali opere è quella di intercettare quella parte del trasporto solido che può provocare danni, cioè la parte più grossolana. In prima approssimazione, si possono distinguere due principali tipologie di briglie selettive: (1) briglie a travi o a griglia (a finestra, a reticolato o a pettine), con ampie aperture per non restringere la sezione del torrente, il cui scopo è quello di selezionare sia il materiale detritico che la vegetazione trasportata (tronchi); (2) briglie a fessura, le quali presentano una o più aperture verticali di norma profonde fino al fondo originale del torrente, la cui funzione è essenzialmente quella di dosare (modulare) la portata solida per mezzo del rigurgito a monte che riduce la velocità e consente accumulo a monte quindi riduzione della portata solida. Quindi, in relazione al modo in cui determinano l’arresto del materiale solido, le briglie filtranti o aperte hanno un funzionamento meccanico (quelle a travi o a griglia) o un funzionamento idraulico (quelle a fessura).

Fig. 6.4 - Briglie selettive o aperte.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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b) Debris flow breakers. Quando ci si aspetta che la colata detritica impatti direttamente l’opera di controllo, è spesso necessario prevedere strutture assai resistenti capaci di assorbire l’impatto. In questo caso si costruiscono i cosiddetti debris flow breakers. Queste strutture possono essere: (1) una serie di contrafforti affiancati e collegati tra loro da strutture orizzontali; (2) una struttura posta anteriormente alla briglia (a forma di sperone); (3) uno sperone posto al centro della apertura verticale della briglia a fessura. La funzione di queste strutture non è tanto quella di indurre il deposito della colata quanto piuttosto quella di rallentarla favorendone il deposito in altri punti più idonei.

c) Cunettoni. Spesso non sono a disposizione spazi sufficienti a consentire il deposito di tutta la colata a monte dei centri abitati. In questo caso è più facile reperire spazi più idonei e più pianeggianti a valle delle conoidi. Si è spesso costretti a consentire alla colata l’attraversamento di centri abitati. In questo caso si costruiscono opportuni canaloni in grado di consentire il passaggio della colata senza provocarne l’esondazione e il deposito. Questi cunettoni devono essere dotati di pendenze sufficienti e non devono presentare riduzione di pendenza, devono essere rivestiti in modo da impedire possibili erosioni e, se necessario, devono essere muniti di argini di sicurezza.

6.2 Interventi di stabilizzazione di sponde fluviali Essendo l’arretramento di una sponda fluviale determinato dalla combinazione di processi di erosione e

meccanismi di instabilità, è opportuno suddividere anche i possibili interventi di stabilizzazione in due categorie differenti.

Per quanto riguarda i processi di erosione, identificandoli per semplicità solo con quelli strettamente determinati dalla corrente fluviale, in genere dominanti rispetto agli altri, e facendo riferimento al concetto precedentemente adoperato secondo il quale l’erosione si innesca quando lo sforzo di taglio esercitato dalla corrente supera lo sforzo di taglio critico del materiale, la stabilizzazione di una sponda rispetto a tali processi può essere ottenuta in due modi:

1) aumento degli sforzi di taglio critici; 2) riduzione degli sforzi di taglio della corrente. Per quanto riguarda invece la stabilizzazione della sponda rispetto ai movimenti di massa, si fa riferimento agli

schemi comunemente adoperati per i movimenti franosi su di un pendio, distinguendo i tre principali sottogruppi: 1) riduzione delle forze destabilizzanti; 2) aumento delle forze resistenti; 3) applicazione di forze esterne e realizzazione di opere di sostegno. Anche in questo caso, oltre agli interventi di stabilizzazione strutturali più “tradizionali”, verranno riportati, per

ognuna delle categorie, i principali interventi dell’INGEGNERIA NATURALISTICA e le eventuali TECNICHE COMBINATE, nelle quali l’uso di vegetazione è combinato con interventi strutturali.

6.2.1 Protezione dall’erosione fluviale

6.2.1.1 Aumento degli sforzi di taglio critici Si tratta di interventi di protezione attraverso i quali la sponda viene rivestita o ricoperta da altri tipi di materiali

che presentano una resistenza all’erosione fluviale notevolmente maggiore. A. MASSI Si effettua un rivestimento della sponda tramite gettate di massi naturali di adeguate dimensioni, posti alla rinfusa

sulla superficie della sponda. Queste opere possono seguire gli assestamenti del terreno di fondazione e delle sponde. In genere i massi utilizzati ricoprono un campo abbastanza ampio di dimensioni, con i massi più grandi adatti a resistere agli sforzi di taglio della corrente e quelli più piccoli adatti a prevenire la perdita di materiale attraverso i vuoti lasciati dai più grandi. I massi possono essere soggetti ad ancoraggio, tra i massi che compongono il manufatto e tra questi e le sponde in roccia. I punti di ancoraggio si realizzano tramite la perforazione e la posa di tasselli o barre con occhiello ed il successivo collegamento con funi d’acciaio.

Il rivestimento al piede può avvenire in due modi: a) Si estende la protezione fino alla massima profondità di erosione stimata. Ciò può risultare difficoltoso e

costoso se è richiesta una escavazione al di sotto del livello dell’acqua. b) Si pongono dei massi “di lancio“. Questi ultimi sono massi posizionati ad una quota al di sopra della zona di

maggiore azione erosiva da parte della corrente in modo tale che, quando si verifica erosione, essi scivolano o rotolano. E’ una tecnica estremamente utile soprattutto nei casi in cui il livello dell’acqua rende proibitiva l’escavazione al piede. Si possono distinguere due diverse configurazioni della protezione al piede tramite massi di lancio (Fig. 6.5):

1) Massi con trincea: la protezione al piede è costituita da massi posti in una trincea; 2) Ingrossatura al piede: i massi di lancio sono direttamente posti alla base del rivestimento della sponda.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Fig. 6.5 - Rivestimento in massi. A: con ingrossatura al piede; B: con trincea al piede.

Vantaggi. I rivestimenti tramite massi possono adattarsi a molti tipi di problemi di erosione. Rappresentano una protezione

flessibile, in quanto i massi si conformano alle variazioni che può subire la sponda. Spesso possono essere messi in posto senza necessità di un materiale di sottostrato, poichè essi sono permeabili e nello stesso tempo non espongono il materiale sottostante.

Svantaggi. I massi possono essere a volte più costosi di altri materiali, in funzione della disponibilità nell’area. Richiedono un pesante equipaggiamento per la messa in posto. Tra gli altri svantaggi si ha la forte influenza sulla scabrezza e la scarsa accessibilità che offrono al fiume. Possono talora essere considerati antiestetici e possono essere considerati poco favorevoli rispetto ad altri metodi per applicazioni ambientali.

B. ALTRE PROTEZIONI FLESSIBILI Esistono altri tipi di protezioni flessibili nelle quali si fa uso di vari tipi di materiali quali: blocchi in calcestruzzo

prefabbricato, rivestimenti con sacchi, blocchi di terra cementata. In diversa misura, questi materiali hanno il vantaggio, in comune con i massi, di conformarsi alle irregolarità e di mantenere sempre il contatto diretto con il materiale della sponda. Tuttavia la maggiore uniformità del materiale spesso richiede un sottostrato di protezione o filtro, non sempre necessario invece nel caso di massi.

a) Blocchi in calcestruzzo prefabbricati. Vengono inclusi qui quegli interventi in cui vari tipi di blocchi prefabbricati agiscono come elementi individuali, analogamente ai massi, mentre non sono inclusi quegli interventi in cui vari tipi di blocchi sono tenuti insieme in vari modi, i quali sono discussi nella categoria dei materassi.

Vantaggi. Qualche volta rappresentano l’alternativa meno costosa tra le protezioni flessibili. Questo avviene generalmente in aree dove i massi devono essere trasportati per lunghe distanze, o per casi in cui le velocità relativamente basse della corrente possono consentire di sostituire ad un dato spessore di massi un minor spessore di blocchi. Sono durevoli, resistenti al gelo/disgelo. Consentono il drenaggio in quanto permeabili, sono adatti per un trattamento complementare vegetativo. Possono consentire un più facile accesso (rispetto ai massi) alla sponda; possono essere esteticamente più accettabili; influiscono di meno sulla scabrezza.

Svantaggi. E’ generalmente richiesto un filtro. Tipiche applicazioni. Possono essere usati efficacemente nel caso di opere speciali, quali canali scolmatori o canali artificiali

in genere, oppure in sponde da essere vegetate esposte a severe forze erosive. b) Rivestimenti con sacchi (Fig. 6.6). Si tratta di sacchi, generalmente in materiali sintetici, riempiti con terra o

aggregati di vario tipo, o con cemento, calcestruzzo o malta. Vantaggi. Possono essere posti su sponde a maggiore inclinazione rispetto al caso dei massi; si può adoperare materiale in

posto; non si crea una forte alterazione della scabrezza. Esteticamente possono essere più accettabili di altri materiali. Svantaggi. L’intervento richiede molto lavoro ed è perciò abbastanza costoso. Inoltre i sacchi non sono molto efficaci contro

erosione e dilavamento come massi ben assortiti granulometricamente, pertanto è più probabile che l’intervento richieda un filtro. La protezione al piede può essere effettuata con gli stessi criteri come nel caso di massi, cioè con l’uso di materiale extra collocato alla base della sponda, in modo da andare a proteggere la base della sponda nel caso in cui si verifichi erosione.

Tipiche applicazioni. Possono adattarsi su sponde ad elevate pendenze. c) Blocchi di terra cementata. La terra è mescolata con una quantità di cemento sufficiente per ottenere un

durevole legame tra le particelle; il miscuglio ottenuto viene poi frammentato in blocchi di varie dimensioni e posto sulla sponda in maniera analoga a massi. Generalmente si ottengono dei blocchi orizzontali larghi da 2 a 3 m, con spessore tra 15 e 20 cm.

Vantaggi. Si tratta di un metodo con prestazioni generali simili alla protezione con massi, ma per alcuni aspetti la resa è inferiore, pertanto è preferibile ad essi solo nel caso in cui sia meno costoso.

Svantaggi. I blocchi in terra cementata hanno minor peso specifico dei massi e minor assortimento e durabilità. Le operazioni di costruzione possono risentire in maniera negativa delle condizioni climatiche.

Tipiche applicazioni. Sono comunemente usati quando i massi sono molto costosi, quando è utilizzabile terra sul posto e quando è disponibile personale specializzato.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Fig. 6.6 - Rivestimento di sponda con sacchi. C. PROTEZIONI RIGIDE Si tratta di materiali o sostanze che induriscono dopo essere state poste direttamente sulla superficie della sponda

in uno stato fluido o chimicamente reattivo. Esempi di tale tipo di materiali sono: calcestruzzo, asfalto, massi con malta, terra cementata, stabilizzazione chimica, argilla.

Vantaggi. La maggior parte di questi materiali sono in grado di sopportare alte velocità della corrente; inoltre l’alterazione della scabrezza è limitata. Quest’ultimo fattore può essere imporante in piccoli alvei, o dove il controllo delle piene è cruciale. La maggior parte di essi impedisce l’infiltrazione di acqua nella sponda; tale effetto può essere desiderabile nel caso ad esempio di canali per uso irriguo. I materiali impiegati possono essere meno costosi rispetto ad altri. Sono abbastanza resistenti agli agenti atmosferici.

Svantaggi. Le protezioni rigide hanno poca o nessuna flessibilità a conformarsi alle irregolarità della sponda che possono crearsi successivamente alla realizzazione dell’opera, e sono pertanto suscettibili a rottura. Devono essere in genere prese misure per favorire il drenaggio. La maggior parte delle protezioni rigide sono difficoltose o impossibili da costruire sotto il livello dell’acqua. Sono poco raccomandabili da un punto di vista ambientale.

Tipiche applicazioni. Le protezioni rigide potrebbero essere usate dove esistono una o più delle seguenti condizioni: (a) alte velocità o estrema turbolenza, in zone adiacenti a strutture idrauliche o in canali artificiali con sponde molto inclinate; (b) in canali artificiali per il controllo delle piene o per l’irrigazione, dove sono richiesti una bassa scabrezza o la prevenzione dell’infiltrazione; (c) dove rappresentano l’alternativa meno costosa. Le prime due condizioni valgono maggiormente per il caso di calcestruzzo, asfalto o massi con malta. La terza condizione vale soprattutto per la stabilizzazione chimica e l’argilla. La terra cementata può adattarsi alle tre condizioni, in quanto è resistente a velocità relativamente elevate ed è relativamente piu economica rispetto alle prime tre soluzioni.

a) Calcestruzzo. Su sponde al di sopra del livello idrometrico, può essere usato un rivestimento di calcestruzzo gettato in opera.

b) Sistemi bituminosi. Si tratta di asfalto puro o mastice bituminoso mescolato con un composto di aggregati e sparso sulla sponda. Viene sparso direttamente sulla sponda nel caso di applicazioni sopra il livello dell’acqua. Nel caso di un’alta percentuale di aggregati (dell’ordine dell’80%), si ottiene un manto bituminoso a struttura aperta con una elevata percentuale di vuoti (dell’ordine del 25%) che permette un buon rinverdimento e drenaggio.

c) Massi cementati. Massi cementati con calcestruzzo o malta sopportano maggiori velocità rispetto ai massi sciolti, e presentano anche un certo grado di stabilità su sponde acclivi. In alcune condizioni, può essere usato un diametro dei massi più piccolo, permettendo di adoperare uno spessore di protezione inferiore rispetto a massi sciolti ed un certo risparmio.

d) Terra cementata. Si tratta di una mistura altamente compattata di terra, cemento portland e acqua. Non appena il cemento idrata, esso si indurisce in un materiale forte, durevole e poco permeabile. Questo permette di usarlo su sponde acclivi, e fornisce uno strato protettivo che resiste ad alte velocità e all’abrasione dovuta al trasporto solido.

e) Stabilizzazione chimica. Un certo numero di prodotti disponibili in commercio possono essere usati per aumentare la coesione delle particelle e fornire una pellicola dura e resistente sulla superficie della sponda. Alcuni prodotti sono usati per proteggere la sponda fin quando non si stabilisce vegetazione.

f) Argilla. Quando la porzione superiore di una sponda è poco esposta ad agenti erosivi ma il materiale esistente ha una scarsa resistenza all’erosione, viene usato talvolta porre uno strato di argilla per fornire una maggiore resistenza all’erosione e sfruttare le sue proprietà di alta ritenzione idrica per favorire lo sviluppo di vegetazione. Questo metodo, economicamente vantaggioso rispetto ad altri, è però indicato solo nei casi in cui un

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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eventuale insuccesso per condizioni particolarmente sfavorevoli ha limitate conseguenze, o dove è assicurata una adeguata manutenzione e, se richiesto, un successivo rinforzo.

D. MATERASSI FLESSIBILI Un materasso è un rivestimento flessibile, che quindi si adatta alle irregolarità della sponda o del fondo, sia se

esse sono presenti al momento della messa in opera sia se intervengono successivamente a causa dello spostamento del materiale sottostante. Il concetto fondamentale alla base dell’utilizzo di materassi di vario tipo è che un materiale che non è in grado di per sè di resistere agli sforzi della corrente può essere posto in un contenitore flessibile in modo da ottenere una adeguata resistenza, mantenendo comunque almeno parzialmente le caratteristiche di flessibilità.

Vantaggi. La flessibilità rappresenta il vantaggio più ovvio. Inoltre i materassi sono disponibili in varie configurazioni, che possono essere adattabili ad una larga varietà di situazioni. Possono essere posti sotto il livello idrometrico; se vengono adeguatamente ancorati possono essere posti su sponde relativamente acclivi. Possono essere facilmente percorsi, rendendo facile l’accessibilità al fiume. Possono essere a volte una soluzione relativamente meno costosa di altre.

Svantaggi. I materassi possono essere soggetti a deterioramento, comunque entro limiti accettabili. a) Materassi in blocchi di calcestruzzo prefabbricati (Fig. 6.7). Si tratta di blocchi prefabbricati collegati

insieme in vario modo (cavi sintetici, perni o legature), o aventi forme particolari tali da poter essere interconnessi ad incastro. Possono presentare fori verticali nella loro struttura tali da alloggiare la vegetazione. Un esempio di questo tipo di tecnica è rappresentato dai materassi articolati in calcestruzzo, sviluppati dall’U.S.Army Corps od Engineers (USA) e largamente utilizzati in molte zone nella parte inferiore del bacino del Mississippi (Fig. 6.8).

Fig. 6.7 - Elementi di calcestruzzo prefabbricati interconnessi.

Fig. 6.8 - Materassi articolati in calcestruzzo.

b) Materassi in gabbioni (Fig. 6.9). Consistono in contenitori a rete riempiti con pietrame. Si tratta di

rivestimenti relativamente sottili, adatti alla protezione di sponde a debole inclinazione, oppure a zone della sponda a minor pendenza e profondità quando sono usati in combinazione, come spesso avviene, con strutture di sostegno in gabbioni alla base della sponda. Tipici materassi in gabbioni sono i Materassi Reno®.

I gabbioni in generale possono essere fabbricati in tre differenti forme (Fig. 6.10): a scatola, a materasso, a sacco. I gabbioni a scatola sono usati per strutture di sostegno, per pennelli (trasversali o longitudinali), per briglie di

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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fondo. I materassi hanno forma larga e relativamente sottile e sono tipicamente adoperati per rivestimenti. I gabbioni a sacco hanno forma cilindrica ed hanno un uso molto più limitato rispetto agli altri due tipi.

Fig. 6.9 - Materassi in gabbioni. a) Rivestimento di sponda a debole pendenza;

b) rivestimento abbinato con struttura a gravità in gabbioni. I materiali impiegati per la rete metallica sono zinco pesante o acciaio. Recentemente si fa uso di una rete

metallica a doppia torsione in filo a forte zincatura compenetrata con georete tridimensionale in polipropilene. Per quanto riguarda il materiale di riempimento, visto il largo uso di queste strutture si adopera generalmente pietrame ricavato da frantumazione di roccia, adeguatamente assortito, con un campo di dimensioni granulometriche che è funzione dello spessore e delle dimensioni del gabbione, ma che in generale varia tra circa 70 a 250 mm. Le alte velocità della corrente, l’azione delle onde e soprattutto la filtrazione sono tutte azioni che tendono a dilavare il materiale della sponda che può quindi passare attraverso i pori tra il pietrame. Pertanto in genere sono usati filtri, costituiti da ghiaia assortita o da geotessili, posti tra i gabbioni ed il materiale naturale della sponda.

Fig. 6.10 - Tipiche disposizioni di materassi in gabbioni combinati con gabbioni a scatola.

Vantaggi. Gli effetti sulla scabrezza sono piuttosto limitati. L’apparenza è piu naturale di altri materiali; favoriscono la

crescita di vegetazione. Sono spesso usati in congiunzione con pennelli in gabbioni o muri di contenimento (gabbionate), dal momento che viene usata la stessa tecnica costruttiva, ed i materassi possono essere confezionati su forme irregolari in aree di transizione tra un tipo di protezione ed un altro, o intorno a drenaggi o altri particolari strutturali.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Svantaggi. Il materiale può presentare una certa tendenza al deterioramento. Tipiche applicazioni. In sponde a basse pendenze o nella porzione inferiore della sponda in prossimità del livello di magra. c) Materassi iniettati e tubi di sabbia. Si tratta di strutture costituite da un materasso in materiale sintetico

riempito con calcestruzzo, sabbia o altri materiali. La maggior parte di questi prodotti fa uso di un contenitore costituito da geotessile, di varie forme e dimensioni, all’interno del quale viene iniettato un aggregato fine in calcestruzzo che va a formare un materasso che si conforma alla superficie della sponda (Fig. 6.11 e 6.12). Un altro tipo è rappresentato da contenitori di geotessili a forma tubolare (Fig. 6.13) che vengono riempiti generalmente di sabbia e posti parallelamente alla sponda, o talora perpendicolarmente (tipo pennelli), o ammassati in modo da riempire solchi o cavità dovuti all’erosione.

Vantaggi. Sono relativamente semplici da mettere in posto ed il materiale di riempimento è spesso disponibile localmente. Presentano in genere una bassa scabrezza.

Svantaggi. Per alcuni tipi (quelli riempiti in cls o malta) la flessibilità è limitata; si tratta in realtà di strutture semirigide, pertanto sono esposti al rischio di rottura.

Fig. 6.11 - Materasso di geotessile iniettato con calcestruzzo o malta.

Fig. 6.13 - Tubi di geotessile riempiti di sabbia.

Fig. 6.12 - Vari tipi di materassi iniettati. d) Materassi di geogriglie o geocelle. Si tratta di geogriglie tridimensionali a nido d’ape (o simili), usate come

contenitore flessibile di terra o di altro materiale. Sono spesso utilizzati in combinazione con altri tipi di interventi, andando a rivestire alcune zone della sponda a più debole inclinazione e meno esposte all’azione diretta della corrente.

Vantaggi. Sono indicati nel caso di forti processi di erosione superficiale, ma possono rappresentare una soluzione vantaggiosa nel caso di erosione da parte della corrente moderata. Favoriscono la crescita di vegetazione. Talora vengono usati come base per riempimento con materiali bituminosi su sponde acclivi, nel qual caso possono conferire maggiore flessibilità al rivestimento.

Svantaggi. Quando riempiti con materiale non coesivo, non sopportano elevate velocità della corrente. Se riempiti con asfalto o calcestruzzo, assumono alcuni degli svantaggi delle protezioni rigide.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Fig. 6.14 - Materassi di gomme usate.

e) Materassi di gomme usate (Fig. 6.14). Si tratta di un tipo di intervento sperimentato soprattutto

dall’U.S.Army Corps of Engineers (USA) e consiste nell’utilizzo di gomme usate collegate tra di loro per mezzo di cavi o corde.

Vantaggi. Le gomme usate costituiscono un materiale facilmente disponibile e che può essere ottenuto a costi relativamente bassi. Tra i vantaggi vi è anche la flessibilità dei materassi ed il fatto che favoriscono la crescita di vegetazione arborea.

Svantaggi. Non sono adattabili a severe condizioni di erosione, a meno che non siano usati strati multipli, vanificando però in tal caso i vantaggi economici. Sono particolarmente vulnerabili immediatamente dopo la costruzione, prima che l’area esposta diventi vegetata. Un altro svantaggio è il notevole lavoro richiesto, che quindi ne rende meno vantaggiosi gli aspetti economici. Possono apparire negativi da un punto di vista ambientale, seppure c’è da considerare l’aspetto positivo di riciclaggio di materiale per scopi utili. Non sono estetici, seppure l’apparenza migliora quando si instaura la vegetazione.

INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA I principali interventi applicati a sponde fluviali come protezione dall’erosione fluviale sono i seguenti (Fig.

6.15): a) Cotici erbosi: si tratta di rivestimenti erbosi ottenuti in genere tramite semina o idrosemina o tramite la

messa in posto di rulli di tappeto erboso preconfezionato. b) Messa a dimora di talee, impianto di arbusti: consiste nella piantagione di piantine a radice nuda e/o con

pane di terra. c) Copertura diffusa: consiste nel rivestimento di sponde fluviali con ramaglia di specie a moltiplicazione

vegetativa, con funzione di protezione dall’erosione fluviale e di drenaggio. Di solito è abbinata ad una protezione al piede tramite massi.

d) Viminata: composta da un intreccio di rami con capacità vegetative, fissato al terreno mediante paletti di legno.

e) Ribalta viva: si tratta di una tecnica costruttiva mista, consistente nella posa di strati alterni di fascinate e gradonate vive di specie legnose con capacità di riproduzione vegetativa. Anche in questo caso di solito è abbinata ad una protezione al piede tramite massi.

Vantaggi: presentano costi di solito inferiori rispetto ad altri interventi e materiali; presentano inoltre vantaggi da un punto di vista ecologico, estetico ed ambientale.

Svantaggi: sono applicabili nel caso di velocità della corrente e sforzi di taglio non troppo elevati (velocità in genere inferiori ai 3 m/s). Sono da evitare nel caso di intenso arretramento di una sponda causato da un forte attacco da parte di corrente parallela o incidente. Per alcuni interventi le oscillazioni del livello dell’acqua devono essere limitate in quanto alcune specie si devono trovare fuori dall’acqua durante il periodo vegetativo. L’uso di vegetazione viva può comportare un aumento della scabrezza, quindi è in genere da evitare in piccoli alvei o nei casi in cui la riduzione del rischio di esondazione è un obiettivo primario.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Fig. 6.15 - Principali interventi di I.N. applicati a sponde fluviali come protezione dall’erosione.

TECNICHE COMBINATE Recentemente si sono andati diffondendo sempre di più interventi che utilizzano una combinazione tra interventi

strutturali e materiali o tecniche tipici dell’ingegneria naturalistica. a) Massi con talee (Fig. 6.16). Consistono nell’inserimento di talee e piantine tra il pietrame, ed hanno lo scopo

di migliorare l’ancoraggio nel terreno, proteggere dal dilavamento i materiali fini presenti negli interstizi tra i massi e contribuire al drenaggio

Fig. 6.16 - Massi con talee.

b) Rivestimenti combinati. Si abbinano fascinate alla base della sponda con rivestimento del resto della sponda per mezzo di copertura vegetativa abbinata talora all’uso di geotessili o stuoie. Talora si usano geocompositi costituiti da due reti compenetrate tra loro: una georete tridimensionale in polipropilene rinforzata da una rete metallica a doppia torsione in filo a forte zincatura (Fig. 6.17). Per la protezione al piede la fascinata può essere sostituita da una platea di materassi in gabbioni (Fig. 6.18) se si prevede la possibilità di una più forte erosione alla base.

In situazioni in cui sono possibili sforzi di taglio della corrente più elevati, sono possibili rivestimenti in materassi con vari accorgimento per permettere uno sviluppo vegetativo quali (Fig. 6.19): materassi in gabbioni con inserimento di tasche vegetative foderate in geotessile; materassi in gabbioni con pietrame intasato con terreno, tale da permettere un trattamento di semina superficiale; uso di materassi di terreno vegetale foderati internamente da un geotessile che viene riempito di terreno e ricoperti esternamente con georete tridimensionale e rete a doppia torsione.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Fig. 6.17 - Rivestimento con fascinata alla base,

geocomposito e messa a dimora di talee. Fig. 6.18 - Rivestimento con materasso in gabbioni

alla base, geocomposito e messa a dimora di talee.

Fig. 6.19 - Rivestimento con materassi in gabbioni abbinati a tasche vegetative o con pietrame intasato con

terreno, o rivestimento vegetativo con materassi di terreno foderato e ricoperto con geocomposito.

6.2.1.2 Riduzione degli sforzi di taglio della corrente Si usano in questo caso delle protezioni indirette, che hanno sostanzialmente lo scopo di deviare la corrente

fluviale, in modo da impedirne l’impatto diretto con il tratto di sponda in erosione o comunque di ridurne la velocità. Rientrano in questa categoria i pennelli o altri deflettori della corrente. Si sintetizzano di seguito i vantaggi e svantaggi comuni ai vari tipi di intervento che fanno parte di questo gruppo.

Vantaggi. E’ necessaria poca o nessuna preparazione della sponda; ciò riduce i costi e gli impatti ambientali sulla fascia ripariale ed elimina i problemi legati ai materiali di scarto. E’ possibile modificare l’allineamento delle sponde e la geometria dell’alveo, seppure le successive variazioni morfologiche possono essere inattese e controproducenti. In genere gli interventi indiretti aumentano la stabilità della sponda favorendo i processi di deposizione alla base, sebbene quest’ultima non è sempre immediata e sufficiente. Da un punto di vista ecologico ed ambientale tali metodi possono migliorare gli habitat acquatici e ripariali aumentandone le diversità.

Svantaggi. Nei casi in cui i principali meccanismi di instabilità sono i movimenti di massa, le protezioni indirette possono non risolvere a breve termine il problema. A causa delle variazioni significative dell’andamento planimetrico, della geometria della sezione e di altri fattori idraulici indotte dai metodi indiretti, particolare attenzione deve essere posta nei riguardi delle possibili modificazioni dell’alveo. Spesso tali interventi comportano una riduzione di sezione, quindi della capacità di contenimento delle piene. Dal momento che i metodi indiretti si estendono all’interno dell’alveo, la loro realizzazione può risultare difficoltosa, specialmente durante livelli idrometrici relativamente alti.

A. PENNELLI I pennelli, trasversali o longitudinali, rappresentano i tipi più comuni di metodi indiretti. Hanno entrambi la

funzione di impedire l’impatto diretto o comunque di allontanare la corrente dalla zona da proteggere e di favorire una progressiva sedimentazione nello spazio compreso tra pennelli successivi, o tra pennelli longitudinali e la linea di sponda. Attualmente i pennelli sono quasi sempre costruiti tramite gabbioni, più raramente in calcestruzzo o in pietrame.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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a) Pennelli o repellenti. Sono definiti come un sistema di strutture individuali che sporgono all’interno dell’alveo, generalmente disposte trasversalmente alla corrente (Fig. 6.20). Per quanto concerne la forma dei singoli pennelli, si possono distinguere tre tipi principali (Fig. 6.21): ad asta semplice, a martello, a baionetta.

Vantaggi. Permettono una modifica dell’allineamento delle sponde, se questo è uno degli obiettivi dell’intervento. Nel caso di pennelli in gabbioni, si hanno i vantaggi legati alla flessibilità di tale tipo di struttura, che può sopportare deformazioni del fondo senza arrivare ad una completa rottura (Fig. 6.22).

Svantaggi. Dal momento che si estendono all’interno dell’alveo di piena, essi sono altamente esposti all’attacco da parte della corrente; spesso sono quindi soggetti a deterioramento o a danni causati da trasporto di detriti. La capacità di contenimento delle portate viene ridotta. Ciò vale almeno inizialmente, in quanto l’alveo generalmente tende a modificarsi per formare una sezione più stretta e profonda, quindi l’effetto a lungo termine può essere anche di un aumento di capacità. Tuttavia le variazioni morfologiche del fondo e la loro estensione non sono prevedibili in maniera affidabile, quindi l’uso di pennelli deve essere introdotto con cautela in progetti riguardanti tratti di fiumi ad alta pericolosità di esondazione dal momento che almeno nel breve termine si ha una tendenza alla sedimentazione ed alla crescita di vegetazione.

Tipiche applicazioni. I pennelli possono essere applicati ad una larga varietà di condizioni. Tuttavia la più comune utilizzazione è su alvei larghi e poco profondi, con trasporto in sospensione da moderato ad elevato in modo da favorire la sedimentazione. Pennelli longitudinali e trasversali sono spesso usati nel caso di grandi fiumi per aumentare la profondità al fine di migliorarne la navigabilità.

Fig. 6.20 - Tipica disposizione di pennelli. Fig. 6.21 - Tipi di pennelli. A: ad asta semplice; B: a

martello; C: a baionetta.

Fig. 6.22 - Scalzamento alla testata di un pennello in gabbioni.

c) Pennelli longitudinali. Si tratta di strutture continue, generalmente disposte parallelamente rispetto alla

corrente (Fig. 6.23). Possono essere costituiti da una singola struttura o da due o più strutture adiacenti e parallele, nel qual caso lo spazio tra l’una e l’altra può essere riempito con vario materiale. Molti pennelli longitudinali presentano dei tratti di collegamento con la sponda (tiebacks), i quali hanno l’aspetto di pennelli trasversali. La funzione di un pennello longitudinale è quella di decrescere la velocità dietro la struttura, eliminare le correnti secondarie, quindi indurre condizioni di deposizione e di crescita di vegetazione. Per quanto riguarda i materiali impiegati, oltre ai gabbioni possono essere usati pali di legno o calcestruzzo. Per la protezione al piede si usano generalmente massi. Talora lo spazio tra pennelli e sponda viene parzialmente riempito tramite terra, massi, vegetazione, ecc.

Vantaggi. In generale si hanno gli stessi vantaggi elencati per i pennelli trasversali. Rispetto a questi ultimi, il vantaggio di quelli longitudinali è quello di fornire un più alto grado di protezione e di essere meno vulnerabili al trasporto di detriti.

Svantaggi. In generale presentano gli stessi svantaggi dei pennelli trasversali. Uno svantaggio rispetto a questi ultimi è che, una volta l’alveo ha assunto la configurazione planimetrica fissata dai pennelli, diventa molto costoso alterarla se è sopraggiunto qualche effetto negativo imprevisto.

Tipiche applicazioni. I pennelli longitudinali sono usati dove è previsto un riallineamento delle sponde. Una tipica applicazione è la stabilizzazione della sponda esterna di un meandro.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Fig. 6.23 - Tipica disposizione di pennelli longitudinali.

6.2.2 Stabilizzazione dei movimenti di massa I metodi di stabilizzazione dei movimenti di massa su sponde fluviali sono riconducibili a quelli applicati in

generale per la stabilizzazione di pendii.

6.2.2.1 Riduzione delle forze destabilizzanti La riduzione delle forze destabilizzanti si può realizzare attraverso riprofilature, gradonature ed appesantimento

al piede. Vantaggi. Tra i metodi in cui la stabilizzazione dei movimenti di massa è l’obiettivo primario hanno generalmente mostrato di

essere quelli più convenienti da un punto di vista economico. Implicano in genere un aumento della sezione, quindi della capacità di contenimento delle portate.

Svantaggi. E’ necessarioin genere uno spazio sufficiente nella zona adiacente alla sommità della sponda per la loro realizzazione.

a) Riduzione della pendenza. Consiste in una escavazione per ridurre l’angolo di inclinazione della sponda. Questo metodo è in genere preferito quando è disponibile uno spazio adeguato nella zona adiacente alla sponda (Fig. 6.24A). Dove non c’è spazio sufficiente, il pendio può essere reso meno inclinato attraverso riempimento (Fig. 6.24B) o scavo e riempimento (Fig. 6.24C).

b) Gradonatura. Differisce dai precedenti metodi solo per la forma finale della sezione. Il metodo consiste nell’escavazione di terra dal pendio per produrre una o più superfici suborizzontali. L’effetto finale è quello di una riduzione della pendenza media della sponda. Il metodo è applicabile quando esiste sufficiente spazio adiacente alla sponda. Anche in questo caso la gradonatura puo avvenire solo per escavazione (Fig. 6.25A), oppure attraverso operazioni di scavo e riempimento (Fig. 6.25B).

c) Appesantimento al piede. Quando lo spazio è limitato per l’uso dei precedenti metodi, è preferibile il sostegno al piede della sponda, consistente nel porre terreno al piede ricoperto da massi a protezione dall’erosione, in modo da aumentare la massa quindi contrastare le forze destabilizzanti (Fig. 6.25C).

TECNICHE COMBINATE Gli interventi di riprofilatura sono spesso combinati con altre tecniche di rivestimento, protezione al piede, così

come talvolta si fa uso di vegetazione per ricoprire porzioni della nuova superficie della sponda. Un esempio di questo tipo di tecniche è quello riportato in Fig. 6.26.

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Cap. 6 – Interventi di stabilizzazione

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Fig. 6.24 - Metodi di riduzione della pendenza. Fig. 6.25 - Metodi di gradonatura

ed appesantimento al piede.

Fig. 6.26 - Gradonatura con riduzione della pendenza e rivestimento composito, con messa a dimora di vegetazione nella parte alta della sponda.

6.2.2.2 Aumento delle forze resistenti

Le applicazioni di metodi che producono un aumento delle forze resistenti sono piuttosto rare nel caso di sponde

fluviali. Esse si possono far rientrare esclusivamente nel gruppo dei metodi attraverso i quali si ha una diminuzione delle pressioni interstiziali, consistenti in diversi tipi di drenaggi sub-superficiali. Spesso la realizzazione di vari tipi di strutture di stabilizzazione ostruisce il normale flusso dell’acqua di sottosuolo, risultando in condizioni avverse alla stabilità, particolarmente nel caso di opere di sostegno. In tali casi nel progetto sono in genere previste anche misure di drenaggio, in genere sottoforma di materiale drenante di ricoprimento al di sotto del sostegno o di dreni al piede della sponda.

L’uso di drenaggi per la stabilizzazione di sponde fluviali, non abbinati ad altri tipi di interventi, non è diffuso, a causa dei costi elevati per ottenere risultati significativi. Seppure si tratta di interventi raramente realizzati su sponde fluviali, esistono alcuni esempi di applicazione in USA soprattutto a livello di sperimentazione.

Vantaggi. Drenaggi sub-superficiali possono essere efficaci nella stabilizzazione della porzione superiore di sponde in fiumi profondamente incisi, al di sopra dei livelli idrometrici raggiunti normalmente, e nel caso di livelli sabbiosi soggetti a sifonamento.

Svantaggi. La grande spesa di installazione, che implicherebbe la rimozione ed il successivo riempimento di materiale, fa sì che raramente possano costituire un metodo economicamente conveniente di stabilizzazione di sponde fluviali.

a) Dreni orizzontali: la Fig. 6.27A mostra una idealizzazione di applicazione di dreni orizzontali per la stabilizzazione di una sponda fluviale.

b) Dreni verticali: la Fig. 6.27B mostra uno schema concettuale di un dreno verticale che potrebbe essere utilizzato nella stabilizzazione di sponde fluviali. La principale funzione è quella di intercettare la falda che si muove verso la sponda e perciò ridurre le pressioni interstiziali che altrimenti si svilupperebbero nel materiale saturo. I dreni verticali potrebbero essere installati come dreni individuali o possibilmente come un dreno continuo.

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c) Trincee drenanti (Fig. 6.27C): la loro funzione è simile a quella di un dreno verticale continuo. Sul fondo della trincea si pone un tubo per drenare l’acqua intercettata. Come per i dreni verticali, questo metodo potrebbe essere efficace solo dove i livelli freatici sono posti al di sopra della altezza idrometrica raggiunta normalmente dal fiume.

Fig. 6.27 - Drenaggi sub-superficiali.

INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA In generale la maggior parte degli interventi di I.N., o almeno quelli che fanno uso di vegetazione vivente,

possono essere inseriti anche nella categoria del drenaggio in quanto le piante impiegate determinano una minore infiltrazione da parte delle acque superficiali e possono produrre la sottrazione di acqua dal terreno. C’è tuttavia da osservare che l’effetto drenante è a volte di limitata efficacia in quanto l’assorbimento massimo di acqua avviene in estate, proprio quando ne viene meno l’esigenza.

6.2.2.3 Applicazione di forze esterne e realizzazione di opere di sostegno

Tra i metodi di stabilizzazione dei movimenti di massa, ci sono situazioni normalmente derivanti da una

disponibilità limitata di spazio dove è necessario avere una sponda verticale o sub-verticale. Diventa allora necessario realizzare strutture di di contenimento e fornire una elevata stabilità alla sponda. Strutture di questo tipo sono generalmente riferite come muri di contenimento o di sostegno. Possono essere costruiti in diversi materiali: in calcestruzzo, muratura o cemento armato; con terre armate o rinforzate; in gabbioni. A seconda del materiale utilizzato possono sensibilmente cambiare il loro comportamento: si tratterà di strutture tipicamente rigide nel primo caso, e tipicamente flessibili nel terzo, pertanto variano sensibilmente le loro caratteristiche e campi di applicazione.

Vantaggi. Consentono di ottenere sponde verticali o sub-verticali. I gabbioni, a differenza dei muri in calcestruzzo, muratura o cemento armato, sono delle strutture flessibili, che possono quindi adattarsi ai cedimenti e sopportare anche elevate deformazioni senza subire la totale distruzione. Inoltre si tratta di strutture permeabili che quindi attenuano, se non eliminano, le sottopressioni ed il pericolo di sifonamento. Da un punto di vista ambientale le strutture di sostegno in gabbioni tendono ad adattarsi meglio attraverso il ricoprimento da parte di vegetazione.

Svantaggi. I muri a gravità in muratura o calcestruzzo invece, a differenza dei gabbioni, sono strutture rigide, pertanto non ammettono movimenti e sono sensibili ai cedimenti provocati dallo scalzamento e dalla scarsa resistenza del terreno di fondazione. Per eliminare questi pericoli, occorrono quasi sempre lavori complessi e costosi quali fondazioni profonde, palancolate, ecc. Un altro difetto è dato dal fatto che essi sono praticamente impermeabili, quindi soggetti a spinte dovute all’acqua interstiziale piu elevate rispetto alle opere permeabili, per questo richiedono sempre interventi di drenaggio abbinati. L’impatto sull’ambiente ripariale è negativo, in quanto si verifica un annullamento di ogni legame con la sponda retrostante.

Tipiche applicazioni. Muri verticali di fiumi o canali in tratti urbani. Esiste una estrema varietà di muri di sostegno: a) Muri a gravità: sono quelli in cui l’azione di contenimento è dovuta principalmente al peso del muro. Oltre

ai tipi più tradizionali di muri a gravità (Fig. 6.28a), una variante è costituita da muri a cassone riempiti con calcestruzzo, pietre, pietrisco o terra compattata (Fig. 6.28b).

b) Muri cellulari a gabbia o crib walls (Fig. 6.28c): costituiti da elementi di calcestruzzo rinforzato, metallo o legno trattato. Sono adatti all’inserimento vegetativo.

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Fig. 6.28 - Muri a gravità e crib walls. Fig. 6.29 - Muri a mensola e contrafforte.

c) Muri in cemento armato a mensola o a contrafforte (Fig. 6.29): sono muri in cui la resistenza è assicurata,

oltre che dal peso del muro, anche dal peso del terreno che insiste alla sua base. d) Muri in celle d’acciaio (Fig. 6.30a): un’altra variante è rappresentata da celle circolari o rettangolari

costituite da fogli di acciaio impilati e riempiti con sabbia o pietrame. e) Terre armate e/o rinforzate (Fig. 6.30b e 6.31): si tratta di muri a gravità composti da terra rinforzata per

mezzo di reti metalliche o con geotessili.

Fig. 6.30 - Muri a celle in acciaio, terre rinforzate, gabbioni. Fig. 6.31 - Terre rinforzate.

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Fig. 6.32 - Tipiche disposizioni di gabbioni.

f) Gabbioni (Fig. 6.30c e 6.32): si possono considerare anch’essi un tipo speciale di muri a gravità. Opere di

sostegno in gabbioni sono utilizzate per sponde alte in erosione, dove si riesce a proteggere la vegetazione ad alto fusto presente sulla sommità, o sono spesso usati in combinazione con materassi in gabbioni.

g) Paratie (Fig. 6.33): sono strutture verticali infisse nel terreno, per le quali la stabilità è assicurata dalla resistenza passiva del terreno sulla parte di struttura infissa. Esse possono essere inoltre ancorate e tirantate.

Fig. 6.33 - Paratie.

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INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA a) Palificate in legname: anche nel caso di sponde fluviali si possono usare palificate a parete semplice o a

doppia parete. Una variante è costituita dalla palificata viva a doppia parete armata al piede, cioè protetta alla base tramite massi (Fig. 6.34).

b) Fascinata viva di sponda (Fig. 6.35): si realizza mediante la posa di fascine viventi realizzate con specie arbustive in grado di riprodursi per via vegetativa.

Fig. 6.34 - Palificata in legname. Fig. 6.35 - Fascinata viva di sponda.

TECNICHE COMBINATE Anche per questa categoria di interventi recentemente si tendono spesso a proporre tecniche miste. Si riportano i

seguenti esempi. a) Gabbionate rinverdite (Fig. 6.36): si tratta di gabbioni con inserimento di talee ad elevata capacità

vegetativa. Il rinverdimento può avvenire con tecniche diverse, o dopo il riempimento. Nel primo caso le talee vengono deposte a strati alternate al pietrame. Nel secondo caso il rinverdimento avviene mediante la costruzione di sacche esterne o tasche interne al gabbione, nelle quali si possono inserire talee oppure ramaglia in senso longitudinale.

Fig. 6.36 - Gabbionate rinverdite.

b) Terre rinforzate rinverdite (Fig. 6.37): si tratta di terre rinforzate con inserimento di talee. Talora si

realizzano opere in terra rinforzata con paramento esterno adatto all’inerbimento e all’inserimento di talee. Tale tipo

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di terra rinforzata può presentare inoltre il paramento esterno in pietrame, a gradoni o a parete verticale, anche in questo caso con inserimento di talee.

Fig. 6.37 - Terre rinforzate rinverdite e con paramento esterno in pietrame.

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Bibliografia principale

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BIBLIOGRAFIA PRINCIPALE Lane E.W. (1955). Design of stable channels. Am.Soc.Civ.Engs, 120, 1-34. Lawler, D.M. (1993). The measurement of river bank erosion and lateral change: a review. Earth Surface Processes

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Prof. Paper 282-B, 39-85. Rosgen (1994). A classification of natural rivers. Catena, 22, 169-199. Schumm A.S. (1963). A tentative classification of alluvial river channels. U.S. geological Survey Circular 477.

Washington, DC. Schumm A.S. (1977). The Fluvial System. John Wiley & Sons. Thorne C.R. (1998). Stream Reconnaissance Handbook. Geomorphological investigation and analysis of river

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