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1 DIOCESI DI Livorno Bollettino ufficiale n. 3 anno 2009

DIOCESI DI Livorno...- "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" ( Gv 15, 16). La seconda parola

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DIOCESI DI Livorno Bollettino ufficiale n. 3 anno 2009

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BOLLETTINO DELLA DIOCESI DI LIVORNO N.3 2009 Responsabile: Chiara Domenici

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LE OMELIE

DEL VESCOVO

MONSIGNOR SIMONE GIUSTI

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8 luglio 2009 – funerale monsignor Ricciardiello

Seguimi

La sedia vuota

“Un prete era andato a visitare un ammalato a casa sua. Avendo notato una sedia vuota a fianco del letto del paziente, gli domandò che cosa ci stava a fare. Il paziente rispose: «Immagino che ci sia Gesù su quella sedia e prima che tu arrivassi gli stavo appunto parlando... Per anni e anni avevo trovato estremamente difficile la preghiera, finché un amico mi spiegò che la preghiera consiste nel parlare con Gesù. Così ora immagino Gesù seduto su una sedia di fronte a me e gli parlo e ascolto cosa egli mi dice. Da allora non ho avuto difficoltà nel pregare». Qualche giorno dopo, la figlia del paziente andò alla canonica per informare il prete che suo padre era morto. Disse: «L'ho lasciato solo per un paio d'ore. Quando sono tornata nella stanza l'ho trovato morto con la testa appoggiata sulla sedia che era accanto al suo letto».1

Questo aneddoto fotografa bene la vita di Mons. Uguccione Ricciardiello negli ultimi anni della sua vita: una casa, una stanza, una poltrona dove era adagiato per gran parte del giorno, una sedia vuota davanti a lui. Una sedia occupata spesso da amici, sempre da Gesù, la ragione e il senso profondo della sua vita. "Seguimi" dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. "Seguimi" – questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Mons. Uguccione Ricciardiello, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità – il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine. Molte volte mi ha parlato del suo sacerdozio, lo interpretava a partire da tre parole: - "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15, 16). La seconda parola è: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (Gv 10, 11). E finalmente: "Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Gv 15, 9). In queste tre parole vediamo tutta l’anima del nostro Mons. Ricciardiello. È realmente andato ovunque ed instancabilmente per portare frutto, un frutto che rimane.

Don Ugo è stato poi sacerdote fino in fondo, perché ha offerto la sua vita a Dio per le sue pecore e per l’intera famiglia umana, in una donazione quotidiana al servizio della Chiesa e soprattutto nelle difficili prove degli ultimi anni. Così è diventato una sola cosa con Cristo, il buon pastore che ama le sue pecore. E infine "rimanete nel mio amore": don Ugo ha cercato l’incontro con tutti, ha avuto una capacità di perdono e di apertura del cuore per tutti, ci dice, anche oggi, con queste parole del Signore: Dimorando nell’amore di Cristo impariamo, alla scuola di Cristo, l’arte del vero amore.

Il nostro don Ugo – lo sappiamo tutti – non ha mai voluto salvare la propria vita, tenerla per sé; ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi. Proprio in tal modo ha potuto sperimentare come tutto quanto aveva consegnato nelle mani del Signore è ritornato in modo nuovo: l’amore alla parola, alle lettere fu una parte essenziale della

1 A. De Mello, Sàdhana, un cammino verso Dio

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sua missione pastorale e ha dato nuova freschezza, nuova attualità, nuova attrazione all’annuncio del Vangelo, proprio anche quando esso è segno di contraddizione.

L’amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato don Ugo; chi lo ha visto pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radicamento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre le forze puramente umane: Essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa .

Ed ora non lo affidiamo nelle tenere e paterne mani di Dio:

Ultimo a Dio

“Sei stato immerso nella morte di Cristo. La morte di Cristo ti riporti al Padre. E nella sua casa noi ti rivedremo. Sei stato segnato dalla croce di Cristo. La croce di Cristo ti riporti al Padre. Sei stato piantato sulla vite, che è Cristo. La vite, che è Cristo, ti riporti al Padre. Sei stato bruciato dallo Spirito, in Cristo. Lo Spirito, in Cristo ti riporti al Padre.

Sei stato lavato dal sangue di Cristo. Il sangue di Cristo ti riporti al Padre. Sei stato nutrito dal corpo di Cristo. Il corpo di Cristo ti riporti al Padre. Hai voluto servire per amore di Cristo. L'amore di Cristo ti riporti al Padre. E nella sua casa noi ti rivedremo. “2

+ Simone Giusti, Vescovo di Livorno

2 D. Rimaud,Gli alberi nel mare, Elledici 1977, p. 57.

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OMELIE IN TERRA SANTA

1° giorno - giovedì 16 luglio Monte Carmelo

L’Amore ti cerca

L'uomo, per rendere immortale e eterna la sua felicità, doveva con un volo libero fissarsi in Dio, e chiudere così il cerchio che l'Amore divino, creando, aveva tracciato fuori della sua eternità. Invece geloso di sé, infedele amante, nel suo folle sogno di misurarsi pari a pari con Dio, spezza il cerchio e cade, peso morto, sopra di sé. Quello che l'amore dell'uomo non aveva saputo raggiungere, l'amore di Dio lo consegue. L'amore vuole abbandono, umiltà, confidenza, fede. Il primo uomo aveva diffidato di Dio. Dio allora scende verso l'uomo. (..) L'amore rischia tutto, nulla teme, non pericoli, non fatiche, non umiliazioni, non pene. L'uomo, che è debole, per amore tenta cose impossibili. Dio che è onnipotente, per amore nulla opererà di straordinario? Da un amore infinito si possono attendere ardimenti infiniti. Tutto è permesso all'amore.(..) Dio si fa viandante e bussa alla porta del cuore dell’uomo. Francesco Thompson descrive nel suo poema maggiore “Il veltro del cielo”, questa fuga dell'anima e il divino inseguimento. L'anima fugge attraverso le notti e i lunghi giorni, per gli archi che segnano gli anni, attraverso i labirinti della sua mente, in mezzo alle lacrime e alle frali gioiose risate, e si nasconde da Lui. Ascende sulle vette più eccelse, si precipita nell'ombra di titanici spaventi per fuggire quei piedi possenti che inseguivano, inseguivano. E una voce, ancora più insistente del calpestio dei piedi, ripete: «Ogni cosa tradisce te, perchè tu mi tradisci». L'uomo sulla terra, che era sua, non trova più rifugio; nulla può contentarlo, tutte le cose gli diventano infedeli, e l'Amore insistentemente ripete: «Chi vuoi che ami un essere così ignobile se non io, se non io solo! Tutto ciò che ti tolsi non lo feci per castigo ma perchè tu, tutto ricercassi nelle mie braccia tutto ciò che ti figuri sia perduto! (Illusione infantile) tutto io ti serbai: ora prendi la mia mano e seguimi! Ah! Anima così cieca, debole e amante, io sono Colui che tu cerchi; da te scacciasti l'amore quando mi discacciasti». Dio, cerca dovunque la sua creatura, dovunque « fora la parete» (Ez. 8,8) e apre una porta. Per le vie dei secoli come per quelle dei continenti Dio passa a ripetere la sua parola d'amore. Le religioni sono i rifugi provvisori, porti di fortuna dove gli uomini, pecore sparse sulle strade del mondo, possono ascoltarla. Ogni popolo possiede un frammento isolato di questa Carità che non cessa di sollecitare nelle anime aspirazioni verso l'Eterno. I Padri greci riunivano tutti i frammenti di verità, di bene dispersi nella notte del paganesimo al suo principio: il Verbo, al Verbo che spira l'amore che produce l'unità delle tre divine persone prima di concentrarsi nel Cristo.

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L'Amore prima di dare «l'acqua che zampilla in vita eterna» aveva già suscitato qua e là sorgenti dove gli uomini, assetati, potessero abbeverarsi. Socrate e Eraclito, profeti del mondo pagano, vittime della verità, sono i martiri anticipati dell'amore crocifisso. Nel Teeteto si accenna al nativo desiderio dell'anima di uscire dalle angustie del male, «dalle bassure », e di tentare una «evasione per farci simili a Dio nella misura del possibile», «di divenire cioè giusto e santo per mezzo della chiarezza dello spirito » L'Amore non dà pace all'amante infedele, l'agita, lo stimola perchè non si quieti e s'appaghi in altri amori. Scava nel suo cuore un vuoto profondo e accende nell'anima insoffocabili desideri. «Oh se i cieli potessero aprirsi» aveva detto Platone fissando. in termini ben definiti questa insoddisfatta tensione dello spirito e l'aspirazione di riacquistare l'amicizia con la divinità. I richiami dell'Amore tradito si fanno più ardenti verso quel popolo che Dio aveva prediletto . L'invocazione è dolce, così tenera che il pensiero si vela di immagini per non forzare il tono della voce l'accento della parola: «Il mio diletto aveva una vigna sopra un colle ubertoso. E la circondò di una siepe e la sgombrò dalle pietre; e la piantò con viti scelte; costruì nel mezzo una torre e vi collocò uno strettoio, sperava che facesse dell'uva, e fece delle lambrusche ».( Is. 5) . Di fronte alla freddezza dell'amante che non ascolta, che si allontana, l'Amore sospira: «Popolo mio che cosa ho fatto e in qual cosa ti ho disgustato? Rispondimi» (Michea 6,3). La risposta non viene, e la voce si alza in segno di condanna. Ma l'Amore non sa condannare, e nelle parole vibra un giudizio paterno e amoroso: Tu hai molti amatori ti sei dato in braccio, ma pure torna a me, e io ti riceverò. L'amore perdona, l'amore dimentica perchè all'amore è sufficiente l'amore. L'adultera nel mezzo, della piazza sarà perdonata e difesa. La peccatrice nel convito sarà giustificata, e lodata. Non c'è amore più acceso di quello che si è creduto soffocare. L'amore che ha pianto corre sulle pendici del calvario, e stende le sue braccia, al martirio. Ma l'amore rinnegato, l'amore disprezzato s'afferra alla giustizia e grida sdegnato. Alza gli occhi in ogni direzione, e guarda se vi è luogo dove non ti sia coricata: sulle strade aspettandoli, come fa il ladro, e hai con le tue fornicazioni e le tue malvagità contaminata la terra ».(GEREMIA, 3) Poi l'Amore geloso si quieta, e nella sua incomprensibile fedeltà ripete in dolci e ancor potenti richiami: Non temere per nulla, tu non sarai confuso, perchè il tuo sposo è il tuo Creatore ». (Is, 54); «Io ti sposerò nella giustizia e nel giudizio, nella grazia e nella tenerezza». (Os, 2, 9). Il veltro divino insegue, incalza, ma riottosa, violenta nella sua infedeltà, e su vie deserte e scoscese, dove l'Amore a lei nelle sue disperazioni ripete: « Ogni valle sarà colmata, e ogni monte e ogni colle sarà abbassato; ciò che è curvo diventerà diritto e le strade scoscese diventeranno piane». (Is, 40). Ma il richiamo più potente dell'Amore ogni uomo lo porta in sé, come una croce che apre le sue braccia al volo mancato ad Adamo: la sofferenza. Paradossalmente il dolore ci accompagna nel mondo per supplire alle deficienze dell'amore. Nel paradiso terrestre non esisteva che l'amore, e l'amore bastava. Ciò che il dolore fa oggi, l'amore faceva allora, e meglio assai. Dio sa scrivere anche diritto per vie storte (Claudel). Il dolore può illuminare, il dolore può purificare, può staccare dalle cose terrene e sollevare il cuore a quelle celesti: compiere cioè quello che l'amore fa, con più pronta efficacia e proporzioni più grandi. L'amore è la via diritta, il dolore la via storta. La sofferenza esiste come espiazione. Nell'istante della nostra perdizione Dio ci dette un'ala che ci potesse sollevare a misura che c'immergiamo in Dio. L'uomo che soffre è uno schiavo che può essere affrancato solo dall'amore.

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La sofferenza vissuta nell’amore di Dio, ridona la libertà, e restituisce un'armonia interrotta e un ordine infranto. Nel dolore c'è la presenza di un Dio che si nasconde. Gli dèi ridono lontani dall'umanità nell'Olimpo fastoso e beato, l'Amore increato piange con l'uomo nella sua solitudine e nelle sue disperazioni. A questo richiamo intimo, personale, un altro se ne aggiunge universale (..): cioè l'umanità simile a una carovana dolorante alla ricerca del luogo del suo riposo, bagna di lacrime cocenti ogni pietra del suo cammino. Una indicibile nostalgia della divinità e una pungente malinconia di un paradiso perduto è nel fondo della letteratura, dei miti, e della filosofia religiosa universale. La voce dei lirici greci e romani tradisce l'amarezza dell'anima che nessun amore creato può appagare. Mentre il mondo esteriormente sembrava vigoreggiare, dilatarsi, nei cuori era già appassito. “Siamo corrotti e tristi dalla nostra stessa felicità” diceva Tacito. E Virgilio ripeteva in nome di tutto il mondo pagano: “ Tra l'uomo e il Fatum c'è un mare di lacrime.” Le cose hanno le loro lacrime che si riversano, come in un pozzo fondo, nell'anima umana. (..) Clemente d'Alessandria, sulla fine del Protreptico, rivolge questo invito al cieco indovino Tiresia che rappresenta la notte pagana anelante a salvezza nei misteri della filosofia e della religione misterica: «Vieni, o insano, non appoggiarti al tirso, non redimerti di edera, getta via la mitra, getta via la nebride, torna in senno; ti mostrerò il Verbo e i misteri del Verbo. Vieni a me, o vecchio, anche tu; lascia Tèbe e metti da parte la tua arte profetica e l'insania bacchica e lasciati guidare dalla mia mano verso la verità. Ecco io ti do il legno per appoggiarti. Affrettati, Tiresia, abbi fede, riavrai la vista. Cristo, per il quale gli occhi dei ciechi tornano a vedere, splende su te più luminosamente del sole. La notte fuggirà da te, il fuoco avrà paura di te, la morte andrà via da te. Vedrai i cieli, o vecchio, tu che non riesci a vedere Tebe ». I cieli che Platone desiderava aperti si schiudono, e l'Amore eterno, suprema follia di un Amante infinito, scende uomo sulla terra e attenda fra noi.

2° giorno – venerdì 17 luglio Nazareth

L'AMORE SERVO Dio, abbandonato dall'uomo, non poteva rimanerne eternamente lontano. L'amore chiede vicinanza, chiede unione. Dio vuole unirsi alla sua creatura con una unione suprema, vuole innalzarla fino a sé, chiudere e saldare il cerchio spezzato che va dal Creatore alle creature e ritorna dalle creature al Creatore. L'amore che non aveva abbandonato l'uomo, ma ne era rimasto presente con la sua essenza, con la sua potenza, con la sua provvidenza e con le sollecitazioni della sua grazia, ora, per innalzarlo, discende egli stesso, e s'incarna nella natura umana, riunendo cioè la natura umana e la natura divina in una persona divina. L’infinito e il finito, che si cercano a vicenda, s'incontrano, e quest'incontro doveva farsi nel Verbo, creatore di tutte le cose. (..) L'Incarnazione è l'ultimo termine della serie ascendente dei termini della creazione. L'uomo ha qualcosa di ciascuna creatura: con le pietre ha comune l'essere, con gli alberi la vita, con gli animali la sensazione, con gli angeli l'intelligenza; è quindi in certo modo l'intera creatura.

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Il Verbo unendosi non solo all'anima ma anche al corpo in cui si trovano riuniti gli elementi costituenti la materia mondana, si unisce a tutto il creato che eleva e nobilita, mettendolo in contatto con Dio. Per l'Incarnazione Dio salda un punto delicato dove la, materia e lo spirito si ricongiungono: si fa uomo. Il Cristo eterno, immenso, onnipotente, creatore e sovrano Signore di tutte le, cose, per amore, nasce, cresce nel tempo, unisce i suoi passi ai nostri, intreccia le sue vie alle nostre, abbandona il cuore ai nostri dolori, gusta la nostra sorte. Per amore Dio è uomo, un uomo è Dio, Uomo-Dio senza diminuzione di Dio, senza alterazione dell'uomo. Non vi è un essere nuovo, una persona nuova ma l'essere stesso di Dio diventa l'essere di un uomo per l'assunzione in lui, l'adesione in lui di un corpo e di un'anima naturalmente congiunti. L'Incarnazione non è che un fatto particolare di relazione ascendente, di relazione della creazione a Dio. Nella Trinità le persone divine, unite nell'amore, possono nella loro eternità ripetere: Noi siamo uno. Nell'Uomo-Dio, nel tempo, la natura umana unita alla natura divina in connubio d'amore, può ripetere le stesse parole: noi siamo uno. La legge suprema dell'amore è compiuta: « Filippo, chi vede me, vede il Padre mio ». Noi, dice Giovanni, abbiamo creduto all'amore che Dio ha per noi, perchè Dio è l'Amore. Niente è impossibile all'amore. Se Dio poté creare l'universo e produrre questo termine finito, conservarlo e reggerlo perchè non potrà unirsi anche personalmente a un punto di questo universo, che è l'umanità assunta? Chi ha potuto creare, potrà pur trovare un modo di unione che non importi assurdo, e contraddizione.(..) Dio scende sulla terra . In un altro paradiso terrestre nasce il secondo Adamo che in sé raduna tempo ed eternità, cielo e terra, amore creato e amore increato, uomo e Dio. Il paradiso dell'Incarnazione è Maria: paradiso verginale chiuso al peccato, preparato, come l'antico, per la consumazione delle nozze d'amore. La promessa di Satana: « Sarete come dèi» viene attuata dal Cristo. L'angelo, posto dall'Amore irato a guardia del paradiso, è rimosso nel medesimo istante che un altro angelo riceve l'assenso della nuova Eva, che Dio sceglie per suo aiuto nell'opera d'amore. L'ingresso non è più minacciato dalla spada fiammeggiante e roteante, perchè l'albero della vita germoglia sulla radice di Jesse. Quello che l'amore di sé fino al disprezzo di Dio aveva perduto, l'amore di Dio fino al disprezzo di sé, restituisce.

3° giorno – sabato 18 luglio

Lago di Galilea

UNIONE MISTICA Adamo, nel paradiso terrestre, aveva detto alla sposa nata dal suo costato: «Ecco l'osso delle mie: ossa, la carne della mia carne, questa si chiamerà come me perchè da me fu tratta ». Cristo sulla croce ripete le stesse parole, e dà alla sposa un nome tratto, dalle mistiche nozze celebrate nel sangue: Corpo mistico. La Chiesa, sposa di Cristo, è dunque lo stesso Cristo Gesù, ma Cristo Gesù diffuso e comunicato.

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Nell'equazione e nella convertibilità dei due termini, il Cristo e la Chiesa, consiste tutto il mistero della Chiesa. Il principio: il Cristo nella Chiesa e la Chiesa nel Cristo s'invera a Nazareth nel fatto stesso dell'Incarnazione prima di essere manifestato sul Calvario nell'Amore crocifisso. Il fatto d'amore, compiuto fisicamente nel seno della Vergine Madre, doveva ripetersi misticamente nel cuore della Vergine Sposa. Il corpo che l'Amore aveva animato e cresciuto, l'Amore doveva di nuovo animare, crescere. Sulla croce si prolunga l'Incarnazione iniziatasi nel seno verginale, e il cenacolo pubblicamente rivela il mistero occultato a Nazareth. La sposa giovane e immortale dà vita a nuovi viventi per l'eternità. L'angelo annunziando a Maria la sua divina maternità, aveva ripetuto il nome, annunciato da Isaia, del Verbo fatto carne, e l'aveva detto Emmanuele, cioè Dio con noi. Dio resta con noi . È venuto nel mondo, e non parte più. Vi rimane continuando, misticamente, l'Incarnazione. Come il Verbo unisce la natura umana e la natura divina distinte, indivise, nella sua persona, così nel Cristo mistico, la Chiesa, lo Spirito Santo unisce e compie la sposa, cioè l'umanità, lo sposo, cioè il Cristo nell'amore del Padre. La Trinità così dopo aver riflessa la sua immagine nella creazione, continua la sua opera amorosa nel Cristo mistico per lo Spirito Santo. La Chiesa è quindi il fine ultimo e il compimento della creazione e della redenzione, la più gloriosa e piena manifestazione dell'Amore uno e trino all'umanità e insieme la più perfetta glorificazione dell'Amore uno e trino mediante l'umanità. Il mistero della creazione s'intreccia col mistero della Trinità e dell'Incarnazione, e tutti e tre nel mistero del Cristo mistico. L'Amore divino che aveva reso testimonianza in cielo, ora rende testimonianza in terra, e la rende per Colui che è venuto con l'acqua e col sangue, Gesù Cristo. L'amore vuole continuità. Gesù Cristo doveva esser continuato. Il Cristo fisico, risorto da morte, illuminato di gloria, sale al cielo nel trionfo dell'Ascensione e siede alla destra del Padre, ma rimane sulla terra il Cristo mistico tra gli uomini, negli uomini, a rinnovare il mistero della Famiglia divina. L'amore crea l'unità. «Cristo è uno, dice Sant'Agostino, e noi siamo molti, ma noi molti in Lui diveniamo una sola cosa Il Cristo" mistico dunque è amore dilatato, organizzato, splendente. Fuori del Cristo, fuori della Chiesa, nessuna salvezza. Fuori dell'Amore è morte. UN SOLO CORPO Il fine ultimo dell'amore è l'unione, formare cioè una sola cosa dell'amante con l'amato. « Che siano una cosa sola con noi come noi siamo uno» chiedeva il secondo Adamo al Padre suo come il primo Adamo contemplando la Sposa aveva detto: «L'uomo lascerà il padre e la madre e si stringerà a sua moglie, e saranno due in una sola carne ». Lo sposo che si unisce alla sposa forma dunque una sola carne, costituisce un solo corpo. Lo Sposo divino unendosi sulla croce alla sua Sposa formò una sola carne, costituì un solo corpo, la Chiesa. L'Amore crocifisso ha ancora, dopo venti secoli, sulla terra un corpo reale nel quale vive, una voce con la quale parla. La similitudine non è nuova. La società era già stata assomigliata a un organismo del corpo umano nel famoso apologo di Menenio Agrippa riferito da Tito Livio, ma l'analogia di San Paolo è di altra natura: la Chiesa si unisce a Cristo sulla croce, e forma un corpo solo, come l'umanità si unì al Verbo nel seno di Maria. L'Amore servo nell'Incarnazione aveva assunto un corpo per compiere la sua missione di salvezza, l'Amore sposo sulla croce assume un altro corpo per completare l'opera della sua redenzione.

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L'unione tra il Cristo e la Chiesa in un sol corpo è unione reale, soprannaturale, non fisica, ma mistica. Cristo trasforma sé nella Chiesa e la Chiesa in sé: è questo il «mistero occultato ai secoli e alle generazioni che ora è stato rivelato ai santi» (Col. 1, 26). Il Vangelo è la narrazione di una vita passata, la Chiesa è un Vangelo vivente. Nella Chiesa, dice Benson, il Cristo è visibile «attraverso i cancelli », è visibile a tutti coloro che hanno gli occhi; nella Chiesa Egli riproduce, secolo per secolo, regione per regione, i fatti, le vicende della vita spirituale in Giudea. Nella Chiesa egli finisce, compie, sulla trama della storia del mondo, l'abbozzo tracciato duemila anni addietro. Egli nasce, vive, soffre e muore, eternamente risorge il terzo giorno. Gesù è lo stesso ieri, oggi, sempre. Il miracolo dell'amore si compie. L'amante vive nell'amato e l'amato gioisce della vita dell'amante. Nell'amore profano l'uomo e la donna rimangono pur sempre due, e il corpo, anche se l'unione è piena, resta un ostacolo che si vorrebbe superare, abbattere perchè l'unione sia completa. Nel corpo mistico questa parete è abbattuta e l'unione dell'amante con l'amato è totale. La varietà e la diversità degli organi nel corpo non toglie nulla a questa unita: è anzi elemento di bellezza e condizione di vita. L'amore eterno non distrugge, ma supera gli amori transitori; non ammette donazioni parziali: ogni altro amore deve essere mezzo, scala, al supremo amore. Quest'amore renderà la vergine sposa Madre, e una progenie di viventi uscirà dal suo seno come le stelle escono da Oriente. «Esci dalla tua terra, dalla tua gente, dalla casa del padre tuo, aveva detto Dio ad Abramo, e vieni nella terra che io ti additerò. Farò uscire dà te una grande nazione, ti benedirò, farò grande il tuo nome, e sarai benedetto. Benedirò chi ti benedirà, maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le genti della terra» (Gen. 12, 1-3). Non dal seme, ma dalla fede di Abramo sarebbe nata la grande famiglia che l'Amore sposo ha stretto a sé, nella sua carne, nel suo corpo, come una sposa lungamente attesa e trepidamente desiderata.

4° giorno – domenica 19 luglio Gerico

MISTERO D'AMORE: LA CHIESA L'Amore divino era disceso la prima volta a chiudere il suo cerchio d'amore in un paradiso di piacere, un'altra volta discende, ma in un paradiso di dolore, a compiere la sua ineffabile avventura d'amante persecutore e fedele. Sul Calvario l'albero della vita ha steso i suoi rami e vi pende, sconfitto, il secondo Adamo. Dal suo cuore aperto, come dal lato destro del tempio di cui parla Ezechiele, è sgorgato un fiume di acqua viva. Ai piedi della croce ha messo i suoi germogli la vite trapiantata in Canaan . « La sua ombra copriva le montagne i suoi tralci somigliavano ai cedri di Dio; essa spingeva i suoi rampolli fino al mare e le propaggini sino al grande fiume ». (Ps. 79, 11-12). L'Amore servo, nell'Incarnazione, aveva radunato i «dispersi figli di Dio» nella sua persona e le cose, che erano lontane da Dio e fra loro, aveva riunite in un solo corpo cioè nel suo corpo; ora l'Amore crocifisso prende sopra di sé e in sé l'errante famiglia e la riunisce a sé al suo Padre celeste.

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Dio per amore aveva inviato l'unigenito all'umanità, e l'unigenito Figlio nell'amore riconduce l'umanità al Padre. Un ponte, viene gettato tra l'infinito e il finito, e nella Chiesa, carne del crocifisso, s'invera la preghiera sacerdotale dell'Amore: «Padre, che siano una cosa sola! Come tu sei in me e io in te, fa ,che essi siano una sola cosa in noi». Una cosa, sola siamo tutti dal costato del Salvatore, afferma il Crisostomo . Sin dal principio il regno di Dio è «assimilato a un re che celebra le nozze per il figlio suo », per il suo figlio naturale che è il Verbo, per il suo figlio adottivo che è l'uomo. La Chiesa, primo pensiero del Verbo, primo amore dello Spirito, è la sposa preparata dall'eternità, attesa dai profeti, vista discendere da Giovanni nella nuova Gerusalemme, ornata « di bisso splendente e nitido» (Apoc. 19, 7 - 8), e pronta per le nozze con l'Agnello. La teologia ha intravisto su questi motivi mistici la sua meravigliosa mistica nuziale. La storia terrestre di Dio è una biografia d'amore, il racconto strano e incredibile di un Dio che s'innamora della sua creatura e la elegge a sua sposa. Il divino innamorato una volta disceso sulla terra non si dà pace, cerca dovunque il suo amore. Ma la sposa fugge, si nasconde, Giovanni Battista è l'araldo che il gran Re manda agli invitati, amici dello Sposo, perchè vengano a festeggiare le nozze dell'unigenito figlio. Gli invitati rifiutano, e lo Sposo rimane solo, pellegrino, a gettare richiami, da Betlemme a Cafarnao. Ma il gran giorno s'avvicina, e una sera lo Sposo raccoglie i suoi intimi, ripete il suo invito, dice la sua preghiera, apre la sua lettera d'amore: «Padre, è venuta la mia ora»: L'ora delle nozze. L'Amore irreducibile si darà, vittima, alla sua creatura infedele. L'uomo non ha voluto, sposare Dio nell'amore, Dio sposerà l'uomo nel sangue. La follia dell'amore divino s'esaurisce nel Cristo che bacia la sua sposa in Giuda che lo tradisce, fissa con sguardo amante la sua sposa in Pietro che lo rinnega, riconosce la sua sposa nel ladro che impreca e in quello che domanda di entrare nel suo regno. Viene l'ora in cui lo Sposo sarà glorificato. Viene la passione. Consumazione di gloria è l'ora della passione. La croce è il letto dove lo Sposo divino si distende, apre le sue braccia, accoglie la sposa pura e immacolata, lavata nel sangue, giovane e bella come nel paradiso terrestre. Essa nasce, come la prima sposa, in un giardino. Nel paradiso del piacere il primo Adamo, nella sua vita, sembrava solitario e triste, senza una creatura che fosse simile a lui. Nel paradiso del dolore il secondo Adamo, nella sua morte, grida per l'abbandono del Padre e s'attrista nella solitudine della sua anima angosciata. Ma l'Amore invisibile e creatore è presente. Sul Calvario, come Adamo nell'Eden, inclinato il capo, Gesù s'addormenta. Adamo riposa in dolce sonno all'ombra dell'albero della vita, Cristo agonizza sui tronchi di un albero dove il corpo è stato fermato con chiodi nelle mani e nei piedi. Terminata l'opera della creazione, dal costato di Adamo, Dio creatore forma la prima Madre: Eva . Consumata l'opera della redenzione, dal cuore aperto del secondo Adamo, Dio Redentore, forma la seconda Madre : la Chiesa . Eva genera nella vita figli che muoiono; madre dei viventi, diventa madre di morti. La Chiesa genera nella morte figli che vivono; madre di morti, diventa madre dei viventi. L'Amore aprì il petto del primo uomo perchè la prima donna riempisse la sua solitudine di essere vivente in un mondo di viventi, l'Amore ha forato il costato del Figlio dell'uomo perchè uscisse dalla croce, come da un talamo insanguinato, la Sposa a colmare la solitudine di un Dio vivente nella terra dei morti. Uscito dal sonno profondo, nell'alba nuova, Adamo contempla la compagna che Dio gli presenta in aiuto di felicità; uscita dalla morte dolorosa, nella tenebra calata sul colle, Gesù vede davanti sé gloriosa, la Chiesa a complemento di passione, e come Adamo ripete: «Ecco, l'osso delle mie ossa, la carne , della mia carne, questa sarà chiamata come me, perchè da me fu tratta». La tristezza di Adamo che non trovava nelle creature della terra e del cielo a lui soggette un aiuto simile a lui, si perde nella gioia di essere un sol corpo con la sposa sua.

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La tristezza del secondo Adamo, crocifisso dalle creature infedeli, s'acquieta finalmente nel mistero del suo corpo che rimane, mistica sposa, di un eterno amore. Cristo sposa la Chiesa universale salendo sulla croce. Esaltato da terra tutto trae a sé. Il giorno della passione è il giorno della letizia del suo cuore. L'amante pellegrino ha trovato finalmente la sposa e celebra nel sangue le sue nozze. La missione d'amore è compiuta. L'Amore fedele sana nella morte tutte le infedeltà e dona se stesso, vittima eterna, anello di unione che salda la chiusura del cerchio tra il finito e l'infinito, dono regale nella sua Carne e nel suo Sangue. La promessa dell'Amante: «Io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e glielo farò conoscere ancora, affinché l'amore con il quale mi ha amato sia in essi e io in loro» è compiuta. Le nozze iniziate nel silenzio di Nazareth, pregustate in vigilia di tradimenti nell'ultima cena, si celebrano nell'ora dell'odio sull'altare della croce. La sposa infedele, la sposa fuggitiva, la sposa deicida è presa di forza, nella violenza di un amore onnipotente. Lo Sposo divino l'attrae a sé, in nozze di sangue, mentre cielo e terra sono sconvolti. Un soldato romano griderà nel buio dell'ora nona: «Questi veramente è Figlio di Dio ». Passeranno cinquanta giorni, e lo Sposo raggiante di gloria, in una sala chiusa, con pochi amici, con il discepolo fedele, con la Madre già prima resa feconda dall'Amore increato, rinnoverà nel fuoco le sue nozze ardenti.

5° giorno – lunedì 20 luglio Betlemme

CIRCOLAZIONE D'AMORE Quando l'uomo 1ascia il padre e la madre e aderisce alla sua donna, i due formano una sola carne, e un solo amore li unisce e li completa. Quando i credenti, membra sparse, si uniscono tra loro e al capo, che è il Cristo, un solo amore ne comunica e partecipa la vita. L'amore è l'atto vitale organico che salda e chiude tra loro le varie membra che altrimenti resterebbero morte e imperfette. Dio è amore e chi rimane nell'amore, rimane in Dio, e Dio in lui» ( 1Giov. 4, 16). Da Dio parte il movimento che anima gli organi, che vivifica i tessuti, che dà alle arterie il flusso della vita. La porta che la lancia con impazienza d'amore, ha aperto nel costato dell'Amore crocifisso, non si chiude e sangue sgorga ancora. «Io sono colui, dice l'Amore, che è venuto con l'acqua e col sangue, non con l'acqua solo, ma con l'acqua e col sangue ». E l'Amore viene sempre a rigenerare nell'acqua, e invita ad attingere con gioia sangue dalle sue vene aperte. Noi nasciamo, noi cresciamo, noi ci rinnoviamo nel sangue, consanguinei di Gesù, consanguinei di Dio. Col sangue siamo lavati nel battesimo, col sangue siamo dissetati nell'Eucarestia. «In quel dì vi sarà una fonte aperta nella casa di David e agli abitanti di Gerusalemme» dice Isaia. Dal cuore ferito dell'Amore fluisce nelle arterie e nelle vene del corpo mistico il sangue di un sacrificio consumato per l'eternità. Nel corpo mistico che l'Amore ha generato; l'Amore creante continua la sua opera vitale. Tutto nella Chiesa nasce dall'Amore e all'Amore ritorna.

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I credenti, membra di questo organismo divino, ricevono l'amore che affluisce da Dio e lo trasformano in amore rivolto in Dio, amando Dio con quell'amore col quale egli ci ha, amato per primo (1 Giov. 4, 19). Il corpo mistico nato nell'amore, nell'amore cresce e si dilata: nell'amore discendente da Dio agli uomini, nell'amore ascendente dagli uomini a Dio. Il precetto dell'amore del prossimo, misura e condizione dell'amore di Dio, fa parte di questa circolazione d'amore. Non si può risalire a Dio da soli, tutti insieme dobbiamo ritornare, perchè tutti un solo amore è disceso a salvare, a redimere e purificare e perchè tutti i peccati un solo amore trascina con sé, elimina e distrugge. «O dolcissimo amore di Dio mal conosciuto, ripeteva Giovanni della Croce, chi trovò le sue vene, riposò ». Chi vive fuori dell'amore, non ha pace, non trova riposo. L'amante lontano dal suo amato è sofferente, inquieto. Niente lo appaga, di nulla egli ha gusto e sapore. Assente ai piaceri e alla bellezza, si consuma nella sua tristezza. È un solitario che nessuna cosa può rallegrare, un assetato che nessuna bevanda può dissetare. L'amante è un esiliato che piange, un prigioniero che vuol liberarsi delle sue catene, un pellegrino stanco che cerca un rifugio. L'amore ha aperto il suo rifugio, ha apprestato la sua bevanda. L'Amore crocifisso per tutti quelli che sono stanchi, per quanti hanno sete ha aperto il suo cuore, ha squarciato le sue vene. VITA D'AMORE Il corpo umano ha un suo movimento, una sua attività personale interna ed esterna, che è la vita. La vita si manifesta attraverso i sensi: il pensiero per la parola e il gesto, il piacere nel sorriso, il dolore nel pianto, la potenza fisica negli atti utili e necessari alla conservazione, allo sviluppo e al prolungamento dell' esistenza. Quando manchi questa energia, il corpo diventa inoperoso, perde la vita, muore. Così la Chiesa, corpo mistico del Cristo, ha un suo movimento, una sua attività personale. La vita si manifesta in lei attraverso i credenti che operano, agiscono secondo una legge, in atti che determinano potenze, dette virtù, necessarie alla conservazione, allo sviluppo, al prolungamento, della nuova forma di esistenza ricevuta per la Fede. Se mancasse questa energia vitale, la famiglia dei fedeli diventerebbe un aggregato di membra abbandonate al disfacimento della morte. La natura di Dio è amore e le potenze intellettuali, volitive, affettive dell'uomo rigenerato si muoveranno quindi e opereranno nell'amore. L'amore, pegno dell'esistenza, veicolo della vita, anima della carne del Crocifisso mistico, è quindi la seconda creazione, la vita stessa di Dio vivente in noi. L'amore, legge eterna che ha creato e governa, l'universo, ha creato e crea continuamente il corpo mistico, la sua Chiesa. Per amore tutti gli esseri sono stati creati in peso, numero e misura (Sap.11,21) e niente esiste senza amore, fuori dell'amore. Nella creazione l'Amore ha donato me a me stesso, nella redenzione ha donato se stesso a me, e dando se stesso, ha così restituito me a me stesso. Noi non viviamo più è l'Amore che vive in noi. L'amato si perde nell'amante, ma tutto quel che sembra perduto è un guadagno (Fil. 3,8) quando l'Amante è l'Amore stesso. Gli schemi, le idee, le vanità dell'uomo terrestre debbono essere ripudiate, perchè l'amore celeste sia libero e operante. L'Amore vuole scendere in noi come scese nella creazione, ripetere nella Chiesa in ordine soprannaturale quello che operò nell’universo in ordine naturale, rinnovare il miracolo di una rivelazione amore. La beata Angiola da Foligno si sentì dire un giorno dal Cristo: « Non t'ho amato per inganno, io non ti ho servita per simulazione, io non ti ho conosciuta da lontano ».

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Il Cristo che non ci ha amato per inganno, esige, da noi, dalla sua Chiesa, un amore pieno, accogliente, totale. Non si è reso servo per simulazione, ma tutti ha adunato in sé, sopra la sua carne, divino Samaritano sulle vie del mondo, Egli è venuto vicino a noi, e resta con noi, e bussa: alla nostra porta. Quando l'Amore si presenta è necessario, come Pietro sul lago, «gettarsi in mare» (Giov. 21,7). L'anima che si perde nell'amore, si ritrova, perché trova nell'amore la pienezza della legge, la ragione suprema della vita.

6° giorno – martedì 21 luglio Gerusalemme - Getsemani

L'AMORE PERSEGUITATO

L'Amore non è amato. La sorte dell'amore nel mondo è quella triste di un amante che tutto dona, tutto prova, tutto sopporta, ma nessuno comprende. L'Amore, sceso nel tempo, a Betlemme inizia la sua vita di amante servo e perseguitato. Va dai suoi, nella casa di David, e i suoi non lo ricevono. Le porte dei parenti si chiudono e nasce in una stalla, lontano da Gerusalemme, sua città regale. Un vecchio nel tempio, lo rivelerà al padre e alla madre: rovina e resurrezione per molti, segno di contraddizione. Poi da Gerusalemme il re come omaggio della patria, lo circonderà di una primavera di sangue. L'Amore servo non grida, non spezza la canna incrinata, non spegne il lucignolo che fuma (Isaia, 42,2 ss), e «in Rama si ode una voce, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i figli suoi, e non vuol esser consolata perchè non son più» (Ger. 31,15) . Poi l'Amore si occulta: la Madre tesse la tunica, mentre il Padre gli prepara la croce. La tunica sarà tirata a sorte, e sulla croce, portata in spirito trentatre anni, nudo, stenderà le sue mani e i suoi piedi. Tentato da Satana nel deserto: soffre fame e solitudine. La patria lo rinnega, la sinagoga lo scomunica. A Nazareth vogliono gettarlo giù dalla rupe, a Gerusalemme si nasconde per non esser lapidato. Come figlio del carpentiere è deriso, come figlio di Dio è bestemmiato. Le folle che si avvicinano a Lui, ignorano Dio che parla, e vedono il rivoluzionario trionfante. Vorrebbero far re il demagogo che egli rinnega, crocifiggono Dio che egli afferma. Amante insostenibile non ammette inganni e ipocrisie. Gli Scribi e i Farisei lo incalzano con odio implacabile. Avvicina, per salvezza, le case dei pubblicani e dei peccatori, ed è accusata di complicità. Non c'è né silenzio né pace intorno alla sua persona. Le sue mani che hanno benedetto sono maledette, le sue parole che hanno santificata sono profanate. Nella reggia di Erode è re da burla; nel pretorio di Pilato l'ignota verità; nel sinedrio di Caifas il seduttore inutile e il perturbatore dannato. Per la folla incosciente il benefattore dimenticato sul quale si può impunemente gettare la prima pietra. Se ripete una parola di misericordia sulla via davanti a Zaccheo, sulla piazza davanti all’adultera, nel convito davanti alla Maddalena si mormora e si condanna.

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Anche i fanciulli, che egli raccoglie, anticipazione eterna del regno dei cieli, domani lo abbandoneranno. Non gli rimane intorno che uno scarso gruppo di anime che il mondo ignora e disprezza. Ed egli spesso, nella sua solitudine prega. Una profonda tristezza l'assale. Neppure si riguarda in lui la sua umanità. La sua ombra è l'ombra di un crocifisso. Quella tunica lunga che lo ricopre non lascia libere che le mani e il volto. Gli occhi per contemplare la sua terrestre perdizione, le mani nelle quali cielo e terra s'incrociano come le due assi sulla croce del Calvario. Egli sconta sul suo corpo una universale agonia, e soffre perchè le sue sofferenze trasformino il pianto degli uomini in incommutabile letizia. L'Amore non è compreso. Erode vede nel bambino un re che abbatte il trono, i dottori vedono nel maestro il pervertitore della Legge, i discepoli attendono nel Figlio di Dio il messia che restituisca il regno dell'uomo. Non sanno che l'Amore dona potenze celesti, non toglie imperi mortali; perfeziona, non abolisce la Legge, e stabilisce nel tempo un regno eterno e nel mondo un impero che non è di questo mondo. L'Amore è solo e povero. Non ha tetto, non ha mensa, non ha letto. È sfuggito, ripete di sé: «Gli uccelli dell’aria hanno il loro nido, le volpi le loro tane, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare, il capo». Sfama due volte cinquemila persone, e lo accusano di beone e di mangiatore. Resuscita morti, e sarà dannato alla pena di morte. Annunzia la pace e lo denunzieranno come sedizioso. Anche i discepoli che egli ha radunato intorno, non lo comprendono, lo rinnegano. L'Amore fedele ha intorno a sé amanti infedeli: uno lo vende per trenta denari, tutti lo tradiranno nell'ora della prova. Non riesce a convincere il mondo. L'Amore non è ascoltato. A Cafarnao quando annunzia la grande promessa, la sinagoga rimane deserta. La sua missione d'amante appare come un fallimento: un trionfo che fallisce, un fallimento che trionfa. Soffre sete, e le anime sono inaridite; è stanco presso il pozzo di Giacobbe e la Samaritana non intende il suo scoramento. Si ritira nella notte sul monte. Solo il Padre può consolarlo nell'abbandono. L'amore si ritrova pregando. Dal Padre ridiscende l'amore, che egli riversa sui discepoli, amanti tiepidi, incerti, assonnati. Cammina per loro sulle acque del lago e Pietro non ha fede in Lui. Ha pietà per tutti quelli che sona stanchi e oppressi da molti pesi; per gli umili, per i peccatori, e questi si raduneranno nell'ora della testimonianza a gridare la sua condanna. S'assomiglia al pastore che cerca la pecora perduta, al Padre che attende il figlio dissipato, e la pecora non ascolta la sua voce, e il figlio non riconosce la sua paternità. Alla cena grande che il Padre gli prepara, gli invitati rifiutano di partecipare, e l'Amore è festeggiato da gente straniera. Gli operai uccidono in Lui il figlio che il Re manda alla sua vigna. Amante addolorato piange. L'Amore non si è vergognato di piangere, non ha tentato di simulare il proprio dolore. Si è turbato e ha pianto davanti alla tomba di un amico e davanti alle rovine di una città. Il pianto di Dio innamorato cambia la morte in vita e Lazzaro risuscita il terzo giorno, ma è impotente davanti all'ostinazione della città adultera: «Anche se una donna potesse dimenticare il frutto delle sue viscere, io non potrei dimenticarmi di te». (Is. 39, 1). Egli dice rivolto a Gerusalemme infedele: «Gerusalemme, Gerusalemme... quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina i suoi pulcini sotto le ali e tu non hai voluto». (Mt.33,37).

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«Oh se tu conoscessi, e proprio in questo giorno ciò che porta alla tua pace; ma ora questo è ai tuoi occhi celato». (Lc. 19, 41) Quando viene la notte l'amante è inquieto, non dorme, non pensa a se stesso, il sua pensiero è l'amato. Per lui soffre, per lui piange, per lui prega. Avvicinandosi alla morte l'Amore ripete: «Do la mia vita spontaneamente ». Tutto dono e rimane solo nella sua passione: «Cerco se c'è qualcuno che voglia soffrire con me, ma non trovo nessuno; qualcuno che voglia confortarmi, e non lo trovo». (Ps. 65,21). Il romanzo dell'amore ha il suo epilogo nella morte. Chi ama non ha paura della morte. La morte è un premio, la morte è un guadagno. La morte salda la fedeltà dell'amore. L'amore servo si spoglia per essere libero e nudo, egli allontana da sé anche quell'unica cosa che gli poteva rendere la vita tollerabile: «Mio Dio, mio Dio! Perchè mi hai abbandonato?» (Mt: 27, 46). Non c'è amore quieto, ora che l'Amore è stato perseguitato. Paolo, l'anatema, l'abortivo, sarà un giorno bruciato da questo Amore persecutore e perseguitato, e griderà esultante: «Egli mi ha amato, ha amato me, e donò tutto se stesso per me ». (Gal. 3, 20) Poi l’apostolo delle genti affermerà: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”3

7° giorno – mercoledì 22 luglio

Gerusalemme – Cenacolo

CUORE CHE BATTE IN CROCE

La circolazione e la vita d'amore si diffondono e operano nella Chiesa dalle arterie aperte del cuore di Cristo. L'Eucarestia è il cuore che batte in croce e versa sangue, è il sacramento della nostra vita mistica, sacramento delle nostre relazioni intime con la divinità, sacramento d'amore. Liberato dai chiodi della croce, l'Amore rimane prigioniero delle apparenze del pane: Dio con noi. L'Eucarestia è il compimento di quanto l'uomo desidera nell'ordine del cuore.

3 1Cor.13,1-13

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L'Amante, prima di partire, lascia all'amato un ricordo di sé. L'Amore crocifisso che aveva in sé incoronato tutti gli ideali e le aspirazioni del cuore umano, prendendo ardimento dall'amore, volle nella sua morte sorpassarli. Prenderà un segno, un divino ricordo, dove si è tutto chiuso, e lo introdurrà nelle profondità del nostro essere. L'amore reale è una continua immolazione di sé sull'altare dell'amato. La passione e il piacere desiderano possedere e godere; l'amore desidera esser posseduto e goduto. L'Eucarestia è Amore che si immola e si dona, è Amore vittima posseduta e goduta. Chi raccogliesse tutti i sentimenti del cuore umano, e li unisse e li fondesse insième, avrebbe questo sacramento d'amore. L'Amante divino li esaurisce in questo mistero della permanenza eterna con l’amato nella realtà di quel corpo che fu amato nel tempo della sua mortalità. La presenza è diversa: fisica nella vita mortale, sacramentale nella vita mistica, ma lo scopo è raggiunto: l'Amore non si allontana più dalla terra. Per l'Eucarestia i fedeli non si amano prima in Cristo e poi costituiscono la Chiesa, ma obbediscono alla legge di questo organismo spirituale, che è legge di amore, formando una sola Chiesa in Cristo. L'Eucarestia stringe insieme e vivifica tutti i fedeli della Chiesa come il cuore unisce e vivifica nel sangue tutte le membra del corpo, suggella cioè e completa l'unione reale del Figlio di Dio con tutti gli uomini, incorporandoli in lui nella maniera più intima e più reale con la partecipazione della sua stessa vita. L'Eucarestia è la seconda creazione che l'Amore rinnova nel suo corpo. L'Amore divino nel farsi servo s'era scelto e formato la sua umanità, cioè un corpo vivente come strumento per compiere il sacrificio richiesto dalla giustizia; lo stesso Amore nel farsi sposo si sceglie e si forma l'umanità credente cioè il corpo mistico per ripetere e applicare il sacrificio richiesto dalla misericordia. Il sacrificio che l'Amore servo aveva una volta cruentemente offerto sul Calvario, l'Amore sposo offre incruentemente nella Chiesa al Padre suo. Il corpo mistico viene così innalzato a tale identità col Cristo da poter offrire di nuovo, per l'eternità, il medesimo sacrificio che Cristo stesso aveva offerto un giorno sul Teschio. Il sacrificio dello sposo diventa sacrificio della sposa, il sacrificio del Cristo fisico, diventa sacrificio del Cristo mistico. Sulla croce Gesù offriva se stesso e con sé l'intera umanità, sull'altare la Chiesa intera si offre con Cristo con quella stessa oblazione che fu la sua e che diviene realmente nostra. L'Eucarestia crea il corpo mistico nella sua unità reale e attuale, è il «Cristo totale» come asserisce Sant'Agostino. Un sacrificio affidato al corpo mistico in partecipazione attiva, non poteva essere che un sacrificio sotto forma nuova, un sacrificio sacramentale. L'Amore l'istituisce nel cenacolo quando offre se stesso ai discepoli nel pane e nel vino. 4 Ogni vita organica ha bisogno per non perire, di un cibo omogeneo. Il corpo mistico, organismo soprannaturale, che è e che vive nel Cristo, aveva bisogno di un cibo soprannaturale, non diverso dal Cristo: «Se non mangiate la carne del Figlio dell'Uomo e non bevete il sangue, non avrete la vita in voi» (Giov. 6, 54). Vita e cibo sono coordinati reciprocamente: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda» (Giov. 6, 55). La vita, frutto di questo cibo eucaristico, è la vita in Cristo e di Cristo in noi: « Egli rimane in me e io in lui,» (Giov. 5,57). L'Eucarestia è dunque fonte di vita e di forza vitale per lo sviluppo in Cristo.

4 Lc. 23, 19; 1Cor. 11, 24-26

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Il battesimo stabilisce l'appartenenza al corpo mistico, sacramento dell'incorporazione in Cristo; l'Eucarestia la compie perchè offre ai fedeli tutto quanto il Cristo. Il corpo eucaristico di Cristo si presenta come il solo pane che tutti mangiano e opera in modo che tutti formino un corpo mistico nella comunione dell'unico Cristo. Il pane è fatto dalla moltitudine dei grani che la farina mescola e il fuoco unisce; il vino dalla moltitudine degli acini che il tino raccoglie e la cui fermentazione non ne forma più che una cosa sola. La doppia comunione col corpo mistico di Cristo, prima dei membri con Cristo, poi dei membri fra loro in Cristo, si realizza compiutamente: «Non siamo che un solo pane noi tutti che partecipiamo allo stesso pane e allo stesso calice» (I Col. 10,17). L'unione più intima che si possa immaginare fra due vite naturalmente separate da abissi,( quella di Dio e quella dell’uomo) che il peccato rese più larghi e profondi, si realizza. Gesù Cristo si unisce a noi nel modo più reale per darci la forza di divenire figli di Dio . L'Amore incarnandosi prende un corpo individuale, comunicandosi prende la carne di tutti noi e se l'appropria: si fa uomo per noi. La comunione crea una unità incomparabile del corpo col Cristo, unità che, a sua volta, produce unità incomparabile di vita col Cristo.

8° giorno - giovedì 23 luglio Gerusalemme – S.Sepolcro

La morte non è il termine ma il principio dell'amore

Da Dio l'uomo era caduto in se stesso, dal divino amore nel proprio amore. Ma l'amore di sé non sale, discende. E l'uomo scese ancora, dallo spirito verso la carne, dall'intelligenza verso i sensi, dai sensi al piacere sensuale, e cadendo così di piacere in piacere sempre più in basso, l'uomo era rimasto immerso nella materia. La vita degli uomini e la vita dei popoli disegna questa curva discendente, letterature e storie religiose ne cercano la causa in una caduta originale e universale. Era necessario risalire. L'anima umana, abbandonata, si sentiva nella materia come in un carcere, immortalmente stanca. «Mentre bevi alla fontana del piacere, senti stillar dentro non so che di amaro che ti inquieta anche in un letto di rose» aveva osservato tristemente Lucrezio, il poeta più convinto della verità della dottrina epicurea. Per risalire nella natura come, nella sopranatura non vi è altro mezzo che la sofferenza. Le parole di San Paolo « Senza effusione di sangue non c'è remissione» tracciano nella geografia delle anime la linea di displuvio dove passato e presente riuniscono nell'espiazione tutti gli uomini, e segnano di sangue la via verso l'Eterno. La gioia discende, la sofferenza sale. Il chicco di grano in terra, morendo, dà la sua spiga. La farfalla si tormenta in lancinanti spire prima di slanciarsi, inebriata, nel sole. E l'Amore ha detto: «Quando io sarò innalzato da terra, attirerò tutto a me ». L'attrazione dalla materia allo spirito, dal finito verso l'infinito è opera dell'amore che soffre. Per riconciliare l'uomo con Dio l'Amore che si era fatto nella carne servo avrebbe dovuto sperimentare in sé la servitù del dolore.

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L'Amore creante, l'Amore incarnato doveva diventare Amore sofferente. La continuità è una legge d'amore. Alla beata Angiola da Foligno l'Amore apparve in una continuità interminabile: «Ed ecco aprirmisi gli occhi dell'anima, e vidi l'amore che veniva verso di me; una cosa di cui vedeva il principio, ma non la fine: una continuità interminabile, di cui non saprei specificare il colore ». Il colore dell'Amore sofferente è il colore sangue dell’Agnello che gli ebrei uccidevano in espiazione nella grande Pasqua. Allora l'Amore cui apparteneva la forma di Dio, al di fuori di ogni sfera d'azione creata: «non volle tuttavia ritenere gelosamente la sua eguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assunse forma di servo, e divenne simile all'uomo spogliò se stesso fatto obbediente fino alla morte, fino alla morte in croce». (Fil, 2, 6). « Lui stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno, affinché noi, liberi dai peccati, viviamo nella giustizia. Per le sue ferite foste salvati ». ( 1 Pt, 2, 24). Si compie l'indicibile pazzia della croce annunziata da Paolo ai Romani e presentita dal profeta pagano Politia quando parla del giusto 5 «sia denudato di tutto, salvo che di giustizia....non avendo commessa ingiustizia alcuna, sia in fama di commettitore della massima ingiustizia e duri immutato sino alla morte, per tutta la vita parendo essere ingiusto, egli giusto essendo così il giusto, ei sarà flagellato, torturato, legato, gli si bruceranno gli occhi, da ultimo, dopo aver sofferto ogni male, sarà crocifisso». I profeti, sopra tutti Isaia, con visioni più reali avevano già descritto la desolazione profonda dell' Amore servo, ripudiato, maledetto, colpito da Dio, portato come un agnello al mattatoio (Is. 53, 4 - 7) : “Hanno forato le mie mani e i miei piedi, hanno contato le mie ossa si sono divisi tra loro le mie vesti e hanno messo a sorte la mia tunica» ( cfr Ps. 21). L'Amore, sulla croce, è denudato di tutto, salvo che di amore. La destra inchiodata sul legno è la destra dell'Onnipotente; i piedi legati al tronco: i piedi dell'Onnipresente. L'Amore ha fissato, con quattro chiodi, Dio sulla terra, ha detto Claudel . È fermato e non può fuggire. Per le mani e per i piedi l'Amore l'ha incatenato. L'Amore l'ha fatto a nostra misura: il nostro santo, il nostro caritatevole, il nostro misericordioso colpevole soltanto nella sua follia d'amore ha superato le nostre misure. Dio per amore s'è messo nella mani della sua creatura. Chi non ama getta sopra gli altri colpe e dolori, chi ama li prende sopra di sé. Noi non amiamo che noi stessi contro tutti gli altri, l'Amore non amerà che gli altri contro di sé. Noi odiamo i patimenti, l'Amore li accetta. La morte ci fa orrore, l'Amore la chiama suo calice che ha fretta di bere sino all'ultima feccia. Tutto volle provare l'Amore, di tutto si spogliò, anche dell'assistenza del Padre e della consolazione dello Spirito. Volle sentirsi solo, perchè tutti in lui si ritrovassero, nella sua morte e nel suo abbandono; e si turba nella notte del Getsemani e getta un grido di desolazione e di angoscia nell'agonia della croce. Cristo sulla croce non riproduce l'ideale della bellezza carnale caro ai sapienti della Grecia, ne rivela un altro: la bellezza del martirio d'amore. Tutta la vita di Gesù è un sacrificio: «Padre mio, dice entrando nel mondo, tu non hai voluto né vittime, né oblazioni, ma mi hai formato un corpo, non hai gradito né olocausti, né sacrifici espiatori. Ecco, io vengo per eseguire, o Padre, la tua volontà » (Ebr, 10, 5). La Redenzione s'inizia nel medesimo istante dell'Incarnazione. Già nel seno verginale della Madre l'Amore s'è fatto vittima. L'Amore vittima trema e piange bambino nella notte di Betlemme e versa nel tempio le prime gocce di sangue, sacerdote di un rito espiatorio. Poi l'Amore si occulta, si nasconde. Nell'umiliazione e nel lavoro si offre e si immola ogni giorno in una croce, sulla quale in tanti anni distende la sua vita, prima di fissare per poche ore il corpo nella sua morte.

5 Politia, II, 361

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L'Amore si fa pellegrino, si fa apostolo, e Giovanni lo preconizza: «Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo ». La vittima attesa, preparata per essere immolata, cresce L'immolazione è continua. Tutta la vita di Cristo è una croce e un martirio: a Nazareth come nel Pretorio, a Cafarnao come nel Getsemani. Ma sul Calvario dove l'Amore sale incoronato di spine si compie il mistero della redenzione. «Che qualcuno mi dia a bere l'acqua della cisterna di Betlemme» (2 Re. 22, 15) aveva gridato David nel fervore della battaglia. Anche il Figlio di David ha sete, l'Amore è assetato. Per quanti non possono ripetere: «La mia anima è assetata del Dio vivente», il Dio vivente grida: «La mia anima è assetata di te ». I soldati non intendono, e la sua sete non si estingue, e ancora l'Amore riarso grida interiormente: «Ho sete ». Non gli basta l'amore di Maria e di Giovanni «una cosa sola» ai piedi della croce. Per tutti gli assetati che gridano sul Calvario e ripetono il grido nella storia, Isaia mostra le piaghe aperte: «Attingete l'acqua con gioia dalle fonti del Salvatore ». L'Amore servo, l'Amore abbandonato, l'Amore tradito, l'Amore crocifisso, disteso e inchiodato sul legno, sente che tutto è finito, che tutto è consumato. Sembra davvero che tutto sia compiuto. Eppure c'è ancora qualcosa da donare. La morte non è il termine, ma il principio dell'amore. Racconta Giovanni: «Uno dei soldati gli aperse il fianco con una lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Il mistero è rivelato, il sigillo della Trinità spezzato, il cerchio d'amore saldato. Non rimane che un Cuore, e un Cuore aperto. Un colpo di lancia ha aperto per l'eternità il Cuore di Dio. L'antica, irreconciliabile inimicizia tra il Creatore e la creatura è annullata, il muro di separazione abbattuto. L'Amore ha veramente forato la parete, aperto una porta. Il profeta Zaccaria, volgendo da lontano lo sguardo, esclamerà: «Vedranno chi hanno trafitto»6 Non molti giorni dopo la morte lo vedrà Tommaso, infedele con i fori nelle mani e nei piedi e il costato squarciato, raggiante di gloria e dirà, «Signore mio e Dio mio ». Lo vedranno i discepoli di Emmaus nel pane spezzato dal pellegrino misterioso sulla via di Gerusalemme e mormoreranno a Lui che scompare sotto i veli del pane: «Rimani con noi, o Signore, perchè si fa sera ». Lo vedrà Saulo in agguato sulla via di Damasco, e abbagliato dalla sua luce, chiederà: «Signore, che cosa vuoi che io faccia». E lo contempleranno tutti gli amanti fedeli nei cieli aperti, vittima gloriosa e trionfante, e ripeteranno con i quattro viventi e i ventiquattro vegliardi: «Tu sei stato immolato, e ci hai redento a Dio, nel sangue tuo, d'ogni tribù e lingua e popolo e nazione: e ci hai fatto per Iddio nostro un regno di sacerdoti; e regneranno sopra la terra».7

+ Simone Giusti, Vescovo di Livorno

6 (Zaccaria, 12, l0). 7 Ap. 5, 9

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8 settembre 2009

Un Pellegrinaggio alla Casa di Maria custode della fede del popolo livornese

Cari Fratelli e Sorelle, innanzi tutto, un cordiale saluto a voi tutti. Per me è una grande gioia celebrare la Messa nel giorno della natività di Maria in questo Santuario a noi tutti così caro. Grazie per la vostra presenza. La festa della natività di Maria è un giorno di gioia. L’amore ha vinto. Ha vinto la vita. Ecco il nuovo fiore di cui Dio si compiace Nella natività di Maria è mostrato che l’amore è più forte del peccato e della morte. La natività di Maria ci mostra l’attuarsi nella storia delle promesse di Dio. Perché Dio si ricorda di noi ? Qual è il suo guadagno ? Cosa ottiene così facendo ? Egli attua i suoi progetti per una sua utilità ? Sceglie Maria in vista della gloria del suo Figlio, ma l’esaltazione dell’unigenito è la Croce non il potere, è l’umiliazione non la potenza, il dolore offerto per amore non la sopraffazione dell’altro. Il Signore sceglie Maria, la chiama alla vita per adempiere il suo disegno d’amore e in questa adesione al progetto di Dio, Maria è grande . Ha guardato all’umiltà della sua serva ed ha fatto grandi cose in lei e con lei. Non c’è donna nella storia più grande di lei. La nostra vita come quella di Maria, nell’agire di Dio non viene oppressa, ma viene elevata e allargata: proprio allora diventa grande nello splendore di Dio. Il fatto che i nostri progenitori pensassero il contrario fu il nucleo del peccato originale. Temevano che, se Dio fosse stato troppo grande, avrebbe tolto qualcosa alla loro vita. Pensavano di dover accantonare Dio per avere spazio per loro stessi. Questa è stata anche la grande tentazione dell’epoca moderna. Sempre più si è pensato ed anche si è detto: “Ma questo Dio non ci lascia la nostra libertà, rende stretto lo spazio della nostra vita con tutti i suoi comandamenti. Dio deve dunque scomparire; vogliamo essere autonomi, indipendenti. Senza questo Dio noi stessi saremo dei, facendo quel che vogliamo noi". Farsi norma a se stessi, essere soggetto e non oggetto del proprio destino, questo appare il progetto da perseguire. L’ebbrezza di questo sogno contagia gli spiriti più diversi, in forme borghesi o rivoluzionarie, di progresso o di conservazione, di freddo calcolo o di passioni emotive. Ben presto, tuttavia, la coscienza dell’impossibilità di un’etica tutta soggettiva si impone alla riflessione dei moderni: che bene sarebbe il bene che fosse tale solo per me? E in nome di quale criterio valido per tutti sarebbe da evitare il male? Non è il confine fra la mia libertà e l’altrui anche il limite di ogni autonomia? Era questo il pensiero anche del figlio prodigo, il quale non capì che, proprio per il fatto di conoscere l’amore, il bene rendeva vera e possibile la sua libertà.

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Andò via in paesi lontani e consumò la sostanza della sua vita. Alla fine capì che, proprio per essersi allontanato dal padre, invece che libero, era divenuto schiavo dei propri e altrui capricci, del relativismo delle sue e altrui idee; capì che solo ritornando all’Amore, alla conoscenza del bene e del male, alla casa del padre suo, avrebbe potuto essere libero davvero, in tutta la bellezza della vita. La libertà non è un valore vuoto e assoluto ma le ali per la ricerca del bene ma se non sai cosa sia il bene, cos’è l’Amore come potrai volare verso di esso ? È così anche nell’epoca moderna. Prima si pensava e si credeva che, accantonando Dio ed essendo noi autonomi, seguendo solo le nostre idee, la nostra volontà, saremmo divenuti realmente liberi, potendo fare quanto volevamo senza che nessun altro potesse darci alcun ordine. Ma dove scompare Dio, l’uomo non diventa più grande; perde anzi la sua dignità inviolabile e la sua propria originalità dinanzi a tutto il resto del creato . Diviene come affermano alcuni contemporanei, animale fra gli animali, bestia fra le bestie. (Èun dato di fatto che ormai molti filosofi parlino di postumanesimo ), Perde la sua liberta e diviene oggetto, vittima della “dittatura del relativismo”. Alla fine risulta solo il prodotto di un’evoluzione cieca e, come tale, può essere usato e abusato dalle nuove e potenti oligarchie che sempre più detengono il potere . È proprio quanto l'esperienza di questa nostra epoca ha confermato. Solo se Dio è grande, anche l’uomo è grande. Con Maria dobbiamo cominciare a capire che è così. Non dobbiamo allontanarci da Dio, ma rendere presente Dio; far sì che Egli sia grande nella nostra vita; così anche noi diventiamo divini; tutto lo splendore della dignità divina è allora nostro. Applichiamo questo alla nostra vita. È importante che Dio sia grande tra di noi, nella vita pubblica e nella vita privata. Nella vita pubblica, è importante che Dio sia rispettato ovunque e non è lecito a nessuno offenderlo. C’è libertà di espressione ma non esiste la libertà di offesa a chicchessia. Quando uno spettacolo diventa turpiloquio cessa di essere arte per rimanere soltanto volgarità. Quando il giornalismo diventa aggressione alla persona ( tanto più quando ciò è compiuto attingendo a falsità, secondo metodi ben conosciuti nelle ideologie totalitarie) e non critica legittima delle idee altrui, cessa di essere informazione per essere soltanto violenza, violenza verbale ma violenza . Esiste il diritto all’informazione, alla cronaca non alla menzogna, alla calunnia, all’annientamento morale dell’altro. Rendiamo Dio grande nella vita pubblica e nella vita privata. Ciò vuol dire fare spazio ogni giorno a Dio nella nostra vita, cominciando dal mattino con la preghiera, e poi dando tempo a Dio, dando la domenica a Dio. Non perdiamo il nostro tempo libero se lo offriamo a Dio. Se Dio entra nel nostro tempo, tutto il tempo diventa più grande, più ampio, più ricco. Maria era, per così dire, “a casa” nella parola di Dio, viveva della parola di Dio, era penetrata dalla parola di Dio. Nella misura in cui parlava con le parole di Dio, pensava con le parole di Dio, i suoi pensieri erano i pensieri di Dio, le sue parole le parole di Dio. Era penetrata dalla luce divina e perciò era così splendida, così buona, così raggiante di amore e di bontà. Maria vive della parola di Dio, è pervasa dalla parola di Dio.

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E questo essere immersa nella parola di Dio, questo essere totalmente familiare con la parola di Dio le dà poi anche la luce interiore della sapienza. Chi pensa con Dio pensa bene, e chi parla con Dio parla bene. Ha criteri di giudizio validi per tutte le cose del mondo. Diventa sapiente, saggio e, nello stesso tempo, buono; diventa anche forte e coraggioso, con la forza di Dio che resiste al male e promuove il bene nel mondo. E, così, Maria parla con noi, parla a noi, ci invita a conoscere la parola di Dio, ad amare la parola di Dio, a vivere con la parola di Dio, a pensare con la parola di Dio. E possiamo farlo in diversissimi modi: leggendo la Sacra Scrittura, soprattutto partecipando alla Liturgia, nella quale nel corso dell’anno la Santa Chiesa ci apre dinanzi tutto il libro della Sacra Scrittura. Lo apre alla nostra vita e lo rende presente nella nostra vita. Maria essendo in Dio, che è vicino a noi, anzi che è “interiore” a noi tutti, Maria partecipa a questa vicinanza di Dio. Essendo in Dio e con Dio, è vicina ad ognuno di noi, conosce il nostro cuore, può sentire le nostre preghiere, può aiutarci con la sua bontà materna e ci è data – come è detto dal Signore – proprio come “madre”, alla quale possiamo rivolgerci in ogni momento. Ella ci ascolta sempre, ci è sempre vicina, ed essendo Madre del Figlio, partecipa del potere del Figlio, della sua bontà. Possiamo sempre affidare tutta la nostra vita a questa Madre, che non è lontana da nessuno di noi. Ringraziamo, in questo giorno di festa, il Signore per il dono della Madre e preghiamo Maria, perché ci aiuti a trovare la giusta strada ogni giorno. Amen.

+ Simone Giusti, Vescovo di Livorno

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24 settembre 2009

Messa per i caduti della Folgore a Kabul

Londra, Madrid.......quante vite spezzate, dilaniate in autobus, in metrò. Quanto dolore. Questa processione di sangue purtroppo non è finita. Ancora percorre tante città e villaggi. Essa vorrebbe colpire ovunque senza rispetto alcuno, bambini o anziani, mussulmani o cristiani. Chiunque è esposto, tutti possono divenire bersagli e vittime come una settimana fa a Kabul. Unico è il disegno: imporre con il terrore il loro disegno politico, conquistare il potere in intere regioni del globo e imporre con la forza sopraffazione e costumi di vita. E' una nuova forma di nazismo. Sin tanto che vi saranno centrali del terrore nessuno può dirsi al sicuro. Questa è la tragica realtà che ha portato i nostri parà della Folgore a Kabul; la volontà di sventare all'origine disegni criminosi, li ha portati in una terra così lontana. Grande deve essere la nostra gratitudine ai nostri soldati e soprattutto a coloro che per la difesa della Patria hanno perso la vita . Stringiamoci ai familiari delle vittime e manifestiamogli tutto il nostro riconoscimento. Se in Italia non abbiamo avuto attentati e vittime lo dobbiamo anche a loro e alle forze dell'ordine che vigilano sulla nostra sicurezza. Questa non è il momento né l'occasione per domandarci se la strategia sin qui seguita va migliorata, è evidente a tutti, ai militari per primi, che accanto alla forza militare occorre quella della promozione sociale e soprattutto della politica, del paziente negoziato fra le parti. Questo è il tempo del dolore, della preghiera di suffragi, del pianto, della solidarietà. Il sapere che l'esistenza terrena non è il tutto della nostra vita ci rasserena ma il dolore rimane. E' evidente come non essendo solo materiali ma soprattutto spirituali, soprattutto amore, l'esistenza fisica non è l'unica forma della nostra vita. Cristo è risorto e vive. Anche per noi la morte non è l'ultima parola della nostra vita. I santi vivono e continuamente rispondendo alle nostre preghiere ci aprono squarci di speranza sulla vita oltre la porta nera della morte. Essi vivono e ci sono vicini. Anche noi, attraversata, la porta non ci allontaniamo dalla vita e dai nostri cari. I cristiani dopo la morte sono dov'é Dio, ovvero in cielo, in terra e in ogni luogo. Il Paradiso non è chissà dove. E' dov'è Dio ovvero qui accanto a noi. Carissimo Parà, siete morti per noi rimaneteci vicini, rimanete nel nostro cuore e continuate a vegliare sui Vostri cari.

+ Simone Giusti, Vescovo di Livorno

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LETTERE E COMUNICAZIONI

ALLA DIOCESI

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Livorno, 30 luglio 2009

Alla Chiesa che è in Livorno

Carissimi, Vengo a presentarvi il percorso di formazione per operatori pastorali che la nostra diocesi

promuove, in attuazione di uno dei punti degli orientamenti pastorali 2009-2011. Al n. 10 si parla, infatti, de La formazione di operatori pastorali per l’evangelizzazione, e si

dice:

È questo un punto rilevante del progetto pastorale, in quanto l’attuazione di questi orientamenti passa in gran parte attraverso la passione e la competenza degli operatori pastorali. Prioritaria diventa allora la formazione specifica e globale di quanti sono chiamati ad essere educatori nei vari settori (catechesi, liturgia, carità).

Due sono i luoghi della formazione: il vicariato, attraverso percorsi aperti a tutti gli operatori pastorali per attrezzarli al servizio nella parrocchia; la scuola diocesana di formazione teologica quale centro educativo al servizio della pastorale, per una conoscenza della fede che sia organica, che cioè preveda una presentazione completa del mistero rivelato che si raccoglie intorno a quel centro vivo che è Gesù Cristo. L’intero percorso che si articolerà in 4 anni abiliterà, previo discernimento fatto dal parroco, a ricevere il mandato di “didaskalos”, formatore dei formatori. Naturalmente, la scuola diocesana di formazione teologica rimane aperta a quanti intendono approfondire l’incontro con Gesù Cristo e, insieme, conoscere i contenuti legati alla sua persona; a quanti si sentono interpellati dalla fede stessa, oltre che dal confronto con il proprio tempo, ad essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi (cfr. 1Pt 3, 13).

La scuola di teologia, in collaborazione con gli uffici pastorali interessati, ha elaborato un progetto

di formazione che si articola in 4 anni. I primi due sono di base e si rivolgono a catechisti, operatori caritas e liturgici. Si svolgono il giovedì a partire da ottobre fino a maggio, con un ritmo quindicinale e una duplice

possibilità di partecipazione: nella fascia pomeridiana (16.00-17.30) e nella fascia serale (21.00-22.30). La sede è vicariale, in quanto da quest’anno sperimentiamo la modalità delle lezioni in video-

conferenza. Così, il 1° e il 2° vicariato si ritroveranno nel salone di curia; il 3° nella parrocchia della s. Seton; il 4° nella parrocchia di s. Lucia; il 5° nella parrocchia di s. Croce; il 6° nella parrocchia di s. Luca a Stagno.

Questa formazione di base, ogni anno vuole offrire due percorsi: uno teologico con riferimento al catechismo degli adulti della CEI, La verità vi farà liberi; e uno specifico per settori (catechesi, liturgia, carità) al fine di offrire una base motivazionale e metodologica. Il livello base è necessario e inderogabile per coloro che sono chiamati a svolgere un servizio ecclesiale nella nostra diocesi riguardante gli ambiti della catechesi, liturgia e carità.

Gli altri due anni, il terzo e il quarto, sono di approfondimento teologico-pastorale per chi è chiamato a diventare didaskalos (formatore dei formatori) e per chi vuole conoscere meglio i contenuti della nostra fede.

Le lezioni si svolgono il venerdì con orario unico (18.00 – 20.00), a partire da novembre fino a maggio, con sede unica nel salone della curia.

Oltre questi momenti, sono previste anche giornate di spiritualità (15.00-19.30) ogni due mesi: in

Avvento (domenica 6/12), Quaresima (domenica 28/2), Tempo pasquale (domenica 25/4), Tempo ordinario (domenica 13/6). Questi appuntamenti non sono in alternativa a quelli che eventualmente ogni parrocchia potrà programmare, ma nel rispetto del principio di sussidiarietà, sono occasioni offerte liberamente per completare la formazione e approfondire sempre più il significato del servizio nella Chiesa.

Un parola sull’identità e la formazione dei didaskalos. Essa riguarda coloro che, scelti dal parroco,

diventeranno responsabili di uno dei settori pastorali della comunità parrocchiale di appartenenza. Per cui si avranno didaskalos della catechesi, della liturgia e della carità. Il loro compito sarà quello di garantire una certa continuità nella vita di una parrocchia, aldilà dell’avvicendamento dei presbiteri. È per questo

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che è domandato loro un “di più” di formazione, oltre le qualità di relazionalità e disponibilità, essenziali per svolgere questo servizio ecclesiale.

Se un parroco, ritiene ci siano persone già pronte per questo servizio, perché hanno maturato un’adeguata esperienza nella vita parrocchiale, è tenuto a certificare ciò sulla base dei seguenti criteri di ammissione diretta al terzo e quarto anno:

1. cinque anni di servizio ecclesiale 2. aver frequentato la scuola di teologia 3. aver frequentato uno dei corsi di formazione specifica (catechesi, liturgia, carità)

Quest’anno vengono attivati il 1° e il 3° anno. Il prossimo (2010-2011) il 2° e il 4° anno. Per cui,

l’immissione di nuovi partecipanti avverrà dopo due anni. Questo per permettere un adeguato collaudo e conseguente verifica alla formula scelta per la formazione.

Qui di seguito potete trovare lo sviluppo dell’intero percorso con il calendario per il prossimo anno pastorale. 1 anno 2009-2010 ottobre - febbraio formazione teologica di base I

Come leggere l’AT e il NT? Chi è Gesù Cristo? Quale volto di Dio mostra Gesù? Quale uomo in Cristo?

marzo – maggio formazione specifica I per catechisti - operatori caritas - liturgia

(motivazionale e metodologica)

calendario: formazione teologica di base I ottobre 8-22; novembre 5-19; dicembre 3 -17; gennaio 7 -21; febbraio 11-25 formazione specifica I marzo 11 - 25 (CAT); aprile 15-29 (CAT); maggio 13-27 (CAT) marzo 4-18 (LIT); aprile 8-22 (LIT); maggio 6-20 (LIT) sono previste giornate di spiritualità (pomeriggio) ogni due mesi: in Avvento (domenica 6/12), Quaresima (domenica 28/2), Tempo pasquale (domenica 25/4), Tempo ordinario (domenica 13/6).

2 anno 2010-2011 ottobre - febbraio formazione teologica di base II

Che cosa è la Chiesa? Quali sono le radici della Chiesa?

A che servono i sacramenti? Perché celebrare l’Eucaristia?

Quali criteri per discernere?

marzo – maggio formazione specifica II per catechisti - operatori caritas - liturgia (motivazionale e metodologica)

3 anno novembre – maggio specifico per chi è chiamato a ricevere il mandato di didaskalos, formatore dei

formatori e comunque aperto per chi vuole approfondire temi teologici Postmodernità e fede I Vangeli: storicità ed interpretazione Modelli interpretativi della salvezza in Cristo La vita cristiana: dalla conversione alla perseveranza Storia della Chiesa in Livorno L’anno liturgico Corresponsabilità e partecipazione: la funzione di governare, santificare e insegnare del fedele laico

4 anno novembre – maggio specifico per chi è chiamato a ricevere il mandato di didaskalos, formatore dei

formatori e comunque aperto per chi vuole approfondire temi teologici

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Pastorale missionaria estroversa e integrata Questioni di escatologia Ecumenismo e dialogo interreligioso Comunicazioni sociali Amministrazione giuridica Cenni di dottrina sociale della Chiesa Temi di bioetica

Al termine di ogni anno sono previste delle verifiche (esami, elaborati) per aiutare i partecipanti a sintetizzare e interiorizzare quanto appreso durante gli incontri. Al momento dell’iscrizione è richiesta una quota di euro 15,00 comprensiva del testo base, il catechismo degli adulti della CEI, La verità vi farà liberi. Le iscrizioni sono aperte dal 15 settembre ogni martedì e giovedì dalle 10.00 alle 12.00 presso la curia vescovile.

Spero che questa presentazione possa essere esauriente così da aiutarvi a coinvolgere gli operatori pastorali delle vostre comunità, al fine di promuovere sempre più uno stile formativo fatto di competenza e di passione, al servizio dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo.

Vi saluto nel Signore + Simone, Vescovo

8 settembre 2009, natività di Maria

Al Clero della Diocesi

Incontro con il Clero per preparare la Visita Pastorale 2009-2010

in attuazione degli Orientamenti Pastorali

Il Vescovo, come concordato con i Vicari Foranei si incontra con il Clero secondo il seguente calendario: Vicariato VI il 23 settembre ore 9.30 - Chiesa San Luca – Stagno (a seguire pranzo insieme) Vicariato II il 25 settembre ore 9.30 – Chiesa S. Pio X Vicariato I il 30 settembre ore 9.30 – Chiesa La Madonna Vicariato V il 14 ottobre ore 9,30 – (luogo da comunicare) Vicariato III il 15 ottobre ore 9,30 - Chiesa Sette Santi Vicariato IV il 28 ottobre ore 9,30 - Santuario Montenero (a seguire pranzo insieme) L'icona biblica dell’anno Il risorto, incontrato nell’Eucarestia, ci invita ad annunciare il Vangelo. Leggiamo nel Vangelo di Luca( Lc. 24,31-35 ): “Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto".

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Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?". Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!". Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.” L’Obiettivo che intendiamo perseguire in questo nuovo anno pastorale è il seguente: “l'evangelizzazione richiede il concorso di tutto il popolo di Dio” Per il raggiungimento di questo obiettivo questo abbiamo necessità di una :

- una chiesa ricca di ministeri; - della promozione della ministerialità nella Chiesa; - della promozione dei ministeri laicali alla luce dei documenti magisteriali (cfr. Ad Gentes, Ap.Act., CEI - Evang. e Ministeri, CEI - Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, CEI - Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo); - dei ministeri di fatto e dei ministeri istituiti (in particolare della singolare ministerialità dell'AC) - delle aggregazioni laicali, dono e ricchezza a servizio della Chiesa.

Iniziative della Visita Pastorale pastorali da concordare nell’incontro vicariale dei presbiteri Il Vescovo incontra e/o promuove per vicariati o a livello cittadino un incontro con:

1 - i consigli pastorali parrocchiali sul tema dell'unità pastorali e dei ministeri per andare verso presidenze di comunione e per promuovere il Consiglio Pastorale Vicariale. 2 - laici sensibili a nuove ministerialità a servizio della liturgia nel Giorno del Signore. (Il ministero del lettorato, il ministero dell'accolitato, i ministri straordinari dell'eucarestia e la pastorale degli anziani). 3 - laici aperti a nuove vocazioni a servizio della Chiesa quali il diaconato, l'ordo virginum, l'ordo vedove. 4 - laici disponibili a nuove vocazioni laicali a servizio di tutta la pastorale della Chiesa locale o universale, per un anno (un volontariato ecclesiale per le comunità più povere in diocesi o fuori diocesi con un mandato missionario per un anno, rinnovabile). 5 - laici sensibili alla vocazione all'AC nel desiderio di promuovere la spiritualità dell' AC alla luce dell'insegnamento magisteriale sia del Santo Padre che dei Vescovi Italiani . Un AC presente in ogni Comunità Parrocchiale per offrire ad ogni parrocchia Cammini Formativi apostolici e un valido sistema educativo per ogni età e condizione. 6. Con il clero Oltre agli incontri di tutto il clero, i ritiri mensili del clero, gli esercizi spirituali annuali, una volta al mese il Vescovo incontra i sacerdoti a piccoli gruppi, per classi di età, per una giornata intera (max 10-15 sacerdoti ). Nell’augurio di incontrarci presto, vi saluto. + Simone, Vescovo

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8 settembre 2009, natività di Maria

Il risorto, incontrato nell’Eucaristia, ci invita ad annunciare il Vangelo

Lettera alle famiglie

Scrivo a voi che avete incontrato il Signore e avendolo conosciuto lo amate e credete in Lui. L’incontro con Gesù quando avviene afferra l’intelligenza ed il cuore e trasforma colui che la vive in una persona che non può più tacere ed essendo troppo bello, desidera che coloro che egli ama, vivano la medesima esperienza. Leggiamo nel Vangelo di Luca: “Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto". Egli entrò per rimanere con loro.

Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?". Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!". Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.” 8 Avete anche voi vissuto una esperienza simile a quella dei discepoli di Emmaus? Avete in un momento della vostra vita incontrato il Signore? Se potete rispondere affermativamente allora potete capire le cose che vi sto scrivendo. Altrimenti avete la percezione della vita cristiana e delle sue esigenze, come il racconto di un luogo splendido fatto da qualcuno che ci è stato, ma che voi non conoscete: essa rischia di essere solo una storia entusiasmante solo per chi lo narra, l’altro difficilmente proverà lo stesso coinvolgimento e chissà se vorrà intraprendere la fatica del cammino. Ma se lo avete incontrato…allora si che ne potete comprendere la bellezza! Avete incontrato il Signore? Avete incontrato la pienezza dell’Amore? Lo sapete riconoscere fra i mille volti che vi circondano, fra le tante voci che udite, è Lui l’Amore che vi scalda il cuore e vi dona speranza? Se avete almeno iniziato a gustare quanto è buono e bello il Signore, allora desiderate sempre più stare con Lui e per voi l’Eucaristia domenicale, la Messa, è una necessità propria di chi desidera incontrare e stare con l’Amato e volete condividere con i vostri figli questa esperienza. L’amor non sente pena né conosce obbligo, ma solo desiderio e, se necessario, volontà di sacrificio per l’altro. L’esperienza dell’Amore di Dio ci sospinge a creare in tutte le parrocchie della Diocesi luoghi di incontro con il Signore e pertanto occorrerà che in Livorno, come in tutto il resto d’Italia, il catechismo copra tutta l’età della fanciullezza e della prima preadolescenza (6-14 anni) e comunque, al di là di quando si ritenga opportuno iniziare il cammino catechistico, quattro sono gli anni per la preparazione alla Messa di prima Comunione e almeno altri due, per la preparazione al sacramento della Confermazione. L’educazione richiede tempo Perno di tutto questo cammino è l’Eucaristia domenicale, principale luogo educativo parrocchiale. Se si possono comprendere alcune eventuali assenze alle riunione catechistiche ben più difficile da giustificare sono le assenze alla Messa domenicale, perché siamo dinanzi ad una necessità spirituale ineludibile indicataci nei dieci comandamenti “ricordati di santificare i giorni di festa” e ribaditaci dallo stesso nostro Signore Gesù Cristo .

8 Lc. 24,29-35

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Accanto all’Eucaristia domenicale e alle riunioni catechistiche periodiche, è opportuno che vi siano altre esperienze, di servizio ai più poveri, di comunità e comunione come i campeggi o campi scuola. È difficile comprendere e aderire di tutto cuore a quanto vi scrivo? Sembra eccessivo? Ma cosa non si farebbe per i figli! Oggi affinché ogni ragazzo sia generato alla vita adulta occorre non solo dargli il dono della vita, ma accettare la fatica di educarlo. Noi vogliamo essere al vostro fianco affinché ogni fanciullo arrivi a vent’anni sano, libero e forte. Può darsi che alcune vostre perplessità rimangano ed allora affinché la vostra adesione non sia dettata da un obbligo, ma sia frutto di una profonda convinzione, vediamoci, incontriamoci e alla luce delle Sacre Scritture comprendiamo il santo Vangelo e le parole di Gesù. Per questo motivo ogni parrocchia promuove la Catechesi Familiare, ovvero incontri per genitori e figli affinché il cammino sia comune e compreso nelle sue profonde ragioni evangeliche e giammai subito. Invitatemi e verrò a trovarvi e potremo parlare di queste e altre cose serenamente e fattivamente. Con tanti di voi mi in questi ultimi due anni mi sono già incontrato ma sarò lieto di vedervi ancora. A presto. Di cuore impartisco su di voi e sulla vostra famiglia la benedizione del Signore.

+ Simone, il vostro Vescovo

8 settembre 2009, natività di Maria

Ai presbiteri della Diocesi

Essere un cuor solo e una anima sola perché il mondo creda

Il Vescovo si ritrova in preghiera con i presbiteri

Carissimo Confratello sono ormai due anni che camminiamo insieme ed è giunto il momento di crescere nel dialogo spirituale al fine di essere sempre più un unico presbiterio. Desidero incontrarti per vivere una giornata di preghiera con te. Solo crescendo nella comunione potremo vivere l’unità e saper operare insieme. Il Vescovo ha bisogno della preghiera continua del suo popolo e dei suoi sacerdoti, ha bisogno anche del loro discernimento e dei loro consigli. Indispensabile in una diocesi la totale consonanza pastorale per non correre invano. Ma come può realizzarsi tutto ciò se non nella continua e ricercata e voluta conversione personale? Sappiamo bene come il Maligno cerchi in ogni modo di divertirci e di creare incomprensioni fra di noi, egli è il “demonio”, è il divisore sin da principio. Come essere un cuor solo ed un’anima sola perché il mondi creda: convertendoci, ascoltando il Signore e accettando la sua Signoria sulla nostra vita. Ci incontreremo per metterci alla scuola di Gesù, pregheremo, celebreremo la liturgia delle Ore, mediteremo la Scrittura e condivideremo quanto lo Spirito di donerà di comprendere. Non ho da farvi prediche, non parleremo di questioni ne pastorali ne economiche. Lasceremo l’iniziativa al Signore, all’unico Maestro di tutti noi. Sarà un incontro di preghiera e di dialogo della fede. Saremo un piccolo gruppo (circa dieci - quindici) ritrovandoci per anni di ordinazione. Avrà il seguente programma di massima: ore 9.30 Ufficio delle Letture; lectio divina con il Vescovo; tempo per la preghiera personale e per dialoghi spirituali con il Vescovo ore 13.00 pranzo e riposo ore 15.00 Celebrazione dell’Ora media; Collatio e revisione di vita Ore 16,30 Celebrazione del Vespro e conclusione. Ringraziandovi per tutto il bene che è la vostra vita, vi aspetto.

+ Simone Vescovo

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Livorno, lì 17 settembre 2009 Ai Presbiteri

Ai Diaconi Alle Comunità Religiose

Carissimi, un semplice pensiero per accompagnare le lettere di don Francesco e quella del Diacono Franco, sono presentate due occasioni di confronto e di crescita per meglio essere al servizio della Chiesa: la preghiera e la formazione sono elementi essenziali perché i nostri cuori e le nostre menti siano sempre più aperte e docili al Suo messaggio. Sono certo della vostra accoglienza e dell’impegno a diffondere, queste proposte, nelle tante realtà con cui siete in contatto, in modo che molti si possano sentire convocati a partecipare. Ringraziandovi per la collaborazione, nel reciproco ricordo nella preghiera.

Vi benedico + Simone, Vescovo

DIOCESI DI LIVORNO Centro pastorale per l’evangelizzazione e la catechesi “Vangelo senza confini”

Convegno diocesano per una pastorale missionaria Il mese di ottobre segna l’inizio delle attività pastorali nelle comunità parrocchiali e nelle varie realtà ecclesiali, è il mese in cui si cominciano i vari incontri, si riprendono le attività e si programma il nuovo anno pastorale. Ma il mese di Ottobre è anche il mese che la chiesa ci invita a dedicare alla preghiera e alla riflessione sulla dimensione missionaria della comunità cristiana. Per questo motivo il centro pastorale per l’evangelizzazione e la catechesi organizza, per la nostra chiesa Diocesana, il convegno di pastorale missionaria per tutti gli operatori pastorali. Quando? DOMENICA 4 OTTOBRE dalle ore 15.30 in cattedrale Perché? Per pregare insieme con le sollecitazioni che ci vengono offerte dall’ufficio missionario diocesano. Per confrontarci su come costruire una pastorale missionaria, cioè un modo di essere comunità cristiana che ha voglia di rendere un po’ più bello questo mondo annunciando la bellezza del vangelo. Per provare a immaginare per una volta un missione che non ha come scena l’Africa o l’Asia ma che interessa il nostro territorio, le nostre strade, i nostri condomini Perché la comunità cristiana, la sua pastorale o è missionaria o non è! Cosa facciamo? Alle 15.30 ci ritroviamo in cattedrale con il Vescovo per un’ora di preghiera insieme Al termine della preghiera poi ci divideremo per vicariati e faremo un’attività che ci darà la possibilità di confrontarci su come costruire una pastorale missionaria. Alle 18.30 ci sarà la preghiera conclusiva. A chi è rivolto? Il convegno diocesano è rivolto a tutti coloro che operano nelle comunità parrocchiali e nelle realtà ecclesiali. Vorremo far incontrare tutti gli operatori di ogni ambito, dalla catechesi all’amministrazione, dalla carità alla pulizia, perché a tutti sta a cuore l’annuncio del vangelo e ciascuno ha bisogno di confrontarsi con gli altri per rendere più efficace l’annuncio stesso. Per questo motivo vi aspettiamo tutti: laici e laiche innamorate di Gesù e della sua Chiesa, religiose e religiosi, diaconi e presbiteri, per vivere e godere un pomeriggio di ottobre pregando e sognando insieme! Per il centro pastorale per l’evangelizzazione e a catechesi, Il Direttore, don Francesco Fiordaliso

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Livorno, lì 17 settembre 2009

Ai M. R. Diaconi e p.c. Ai Sacerdoti

Carissimi,

vi ringrazio per le preziose indicazioni che mi avete offerto per il rinnovo del Delegato Vescovile per il

Diaconato e per il percorso che la Comunità Diaconale della Diocesi dovrà compiere.

Una équipe di presidenza

Ho voluto costituire una équipe di presidenza della Comunità Diaconale (CD), non solo un sacerdote e un

diacono ma alcuni diaconi e un sacerdote.

Credo nel valore della collegialità e nell’importanza del confronto e pertanto ho nominato come già

pubblicato sulla “Settimana”, quale sacerdote assistente della Comunità Diaconale, Mons. Paolo Razzauti

e quale Delegato Vescovile per il Diaconato il diacono Franco Caccavale.

Accanto ad essi formeranno l’équipe di presidenza della CD i diaconi Enrico Sassano, Renato Rossi e Fulvio

Falleni (la scelta è caduta su di essi perché sono stati fra i confratelli più segnalati).

Proposte per il nuovo anno pastorale

Invito l’équipe a ritrovarsi quanto prima per elaborare delle proposte riguardanti la vita spirituale,

l’aggiornamento teologico-pastorale (non solo su tematiche contingenti la Chiesa di Livorno ma anche e

soprattutto sul diaconato permanente il quale è ancora una realtà molto giovane nella Chiesa e lo studio e

la ricerca su di esso è bene che si consolidi), la definizione del Direttorio e quanto altro si ritenga

opportuno.

Tutto ciò dovrà essere vagliato quanto prima dall’intera CD per poi essermi presentato e darmi

l’opportunità di essere il più possibile in mezzo a voi.

Nel ringraziarvi per il vostro esserci, esso è già di per se un dono alla Chiesa, vi auguro ogni bene per

l’esercizio del vostro servizio pastorale.

+ Simone, Vescovo

Livorno, lì 21 settembre 2009

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Ai parroci della Diocesi p.c. Agli Istituti Religiosi della diocesi

Una informazione vera e completa

per un corretto giudizio personale sui fatti Carissimi, i recenti avvenimenti di cronaca i quali hanno coinvolto diverse testate giornalistiche con un attacco al quotidiano della CEI “Avvenire” (nella persona del suo Direttore) e ai vertici stessi della Conferenza Episcopale Italiana, ci mostrano quanto sia necessario rafforzare la presenza dei media cattolici. Sono pertanto a scrivervi per invitarvi a diffondere ancor di più il quotidiano “Avvenire” e il nostro settimanale “Toscana Oggi- La Settimana”. Raccomando che ogni parrocchia sia abbonata ad “Avvenire” ed autorizzo sin d’ora la possibilità di caricare detta spesa sul bilancio parrocchiale affinché esso sia presente in tutti gli Oratori. Sollecito la diffusione di “Toscana Oggi - la Settimana”. Ad ogni iscritto alla Scuola di Formazione per Operatori Pastorali sarà offerto un abbonamento gratuito al Settimanale per i mesi di ottobre e novembre con la speranza che una volta conosciuta e apprezzata la rivista, si proceda a dicembre a fare l’abbonamento oppure l’acquisto settimanale in Chiesa. Ad ogni parroco l’abbonamento annuale rientrerà nella quota versata per il Bollettino Diocesano il quale essendo stato semplificato nella sua versione grafica consente un risparmio tale da poter coprire (con un piccolo ritocco alla quota per parrocchia, portata per l’anno pastorale 2009-2010 a € 50) anche l’abbonamento al settimanale “Toscana Oggi- la Settimana”. Su “Avvenire” occasionalmente sono riportate notizie sulla nostra Chiesa Locale, sulla “Settimana” sempre; un parroco non può non avere il Settimanale della Diocesi. Inoltre invito ogni parroco far trovare “Toscana Oggi- la Settimana” ogni fine settimana in Chiesa. È un esperimento per tre mesi, da ottobre a fine dicembre. Ogni parrocchia (nessuna esclusa) indichi le copie che pensa di poter tentare di diffondere, la Curia si impegna a ritirare le eventuali rese. A fine dicembre ogni parroco farà sapere in Curia le copie che effettivamente vende e dalla prima settimana di gennaio, riceverà (come è attualmente) solo le copie che riesce realmente a diffondere. Ringraziandovi per la vostra attenzione e collaborazione vi saluto.

+ Simone, Vescovo

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NOMINE E DECRETI VESCOVILI

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NOMINE Il Vescovo ha nominato, in data 28 luglio 2009

* don Piotr Grajper, presbitero incardinato nella Diocesi di Livorno

8 settembre 2009

* mons. Paolo Razzauti, vicario episcopale per la città di Livorno

* mons. Paolo Razzauti, direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale familiare per un quinquennio

* mons. Paolo Razzauti, delegato vescovile per il diaconato permanente

* diacono Franco Caccavale, delegato vescovile per il diaconato permanente

21 settembre 2009

* don Andrea Brutto, assistente ecclesiastico diocesano generale dell’Azione Cattolica con particolare

attenzione verso il settore giovani, per un quinquennio

* padre Gabriele Bezzi, assistente ecclesiastico diocesano dell’Azione Cattolica con particolare

attenzione verso il settore adulti, per un quinquennio

* don Federico Locatelli, assistente ecclesiastico diocesano dell’Azione Cattolica con particolare

attenzione verso il settore ragazzi, per un quinquennio

* don Flavio Rosa, assistente ecclesiastico diocesano del Movimento Studentesco dell’Azione Cattolica

dell’Azione Cattolica, per un quinquennio

* don Luca Bernardo Giustarini, presbitero della Congregazione Religiosa Monaci Benedettini

Vallombrosano, cappellano della Croce Rossa Italiana sezione di Livorno

28 settembre 2009

* padre Maurizio De Sanctis, presbitero della Congregazione Religiosa Padri Passionisti, vicario

parrocchiale della parrocchia Sant’Andrea e Immacolata Concezione in Castiglioncello

* diacono Valfredo Zolesi, collaboratore pastorale della parrocchia S. Michele Arcangelo al Gabbro