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DIRITTO DI FAMIGLIA Crisi familiare e tutela dei minori Dott. Stefano Fanti

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Crisi familiare e tutela dei minori

Dott. Stefano Fanti

«Un uomo può dirsi veramente ricco se i suoi figli corrono tra le sue braccia

anche se le sue mani sono vuote.»

1.1

1.2

1.3

1.4

1.5

2.1

2.2

INDICE

Premessa……………………………………………………………………………………

CAPITOLO PRIMO Separazione e divorzio oggi

L’evoluzione storico – sociale della famiglia………….

Le dimensioni del dramma coniugale e la ricaduta sulla prole………………………………………………………………………………….

La mediazione e i mezzi alternativi alla lite giudiziaria…………………………………………………………………………………

Risoluzione extragiudiziale delle controversie: “La negoziazione assistita nel decreto legge n. 132/2014”………………………………………………………………………………….

Il divorzio breve: le novità normative dopo la legge n. 55/2015…………………………………………………………………….

CAPITOLO SECONDO Aspetti giuridici e sociali per la tutela dei minori

L’autorità giudiziaria per la tutela del minore e della famiglia…………………………………………………………………………..

L’ascolto del minore……………………………………………………………

pag.

1

7

17

28

41

56

76

86

2.3

2.4

3.1

3.2

3.3

3.4

L’affidamento del minore e la responsabilità genitoriale………………………………………………………………………………….

Il minore nei conflitti tra genitori………………………………….

CAPITOLO TERZO Mediare i conflitti

La mediazione familiare ……………………………………………………

Modelli di mediazione familiare …………..………………………

Le funzioni e le fasi della mediazione familiare……

La mediazione nelle questioni finanziarie ……………….

Conclusioni generali …………………………………………………………………..

Bibliografia ………………………………………………………………………………………..

pag.

103

119

133

143

159

171

181

187

Premessa

L’argomento trattato analizza alcuni aspetti della nostra società che hanno giocoforza una ricaduta sociale, psicologica e giuridica. La crisi della famiglia è un concetto di per sé negativo, evoca l’idea di persone emotivamente provate, alle prese quotidianamente con problemi di carattere oggettivo. La famiglia, punto fermo, pilastro da sempre di una società in continua evoluzione, ha subito trasformazioni importanti sia internamente che nel rapporto con altri capi saldi del vivere comune come la scuola, che ci consegna fin da subito gli strumenti per una adeguata vita sociale (educazione, rispetto, cultura); il lavoro, da sempre fonte di sostentamento e serenità psicofisica; lo stato, al quale io demando tutte le certezze di protezione, di senso di appartenenza, di tutela, di rispetto. Se la crisi della famiglia, di suo, gioca un ruolo principale nella trattazione, ancora più centrale è il ruolo del minore, al quale si sono rimandati quasi tutti i paragrafi. Tutelare il minore in una situazione di crisi coniugale, è compito arduo, non solo per i soggetti adulti coinvolti direttamente, ma per tutti quei professionisti come avvocati, psicologi, pedagogisti e insegnanti che possiedono gli strumenti opportuni. Il minore è, nella circostanza, un soggetto fragile, debole, privo di soluzioni e non è in grado di affrontare uno sconvolgimento emotivo, che lui stesso non ha scelto, non ha voluto, non ha desiderato. A maggior ragione, la responsabilità nei suoi confronti, per un suo benessere interiore, è carica d’importanza e palesemente in capo ai genitori, che in tali circostanze troppe volte sono più attenti alle loro dispute e alle loro ripicche.

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Alla luce di quanto scritto e del mio ruolo d’insegnante, quotidianamente a contatto con ragazzi minorenni, alle prese con la gestione degli sbalzi d’umore tipici dell’adolescenza e i tumulti interiori per le paure di perdere la protezione e l’aiuto del genitore a causa dell’imminente separazione dall’altro coniuge, mi domando come e quanto la società lo tuteli, come e quanto la dottrina giuridica agisca in suo favore. Partendo dall’analisi del ruolo della donna all’interno della famiglia e di come è cambiato negli anni, si vuole comprendere quanto influisca nelle cause di separazione e divorzio; parallelamente viene sottolineato come si sia introdotto tardivamente in Italia il concetto di separazione e divorzio; solo nel 1970 si percepisce il riconoscimento di una trasformazione dei rapporti di coppia. Anche l’introduzione della riforma del diritto di famiglia, nel 1975, ha contribuito ad avere un nuovo concetto di unione, non più fondato su di un interesse pubblico superiore, ma sulla libera scelta del singolo. Se la libera scelta della coppia è quella di diventare anche famiglia, con la nascita di un figlio, non può pensare egoisticamente solo a sé stessa in situazioni di rapporti interni critici, perché di fronte alla crisi coniugale il bambino reagisce, in base all’età, in base al rapporto con ogni singolo genitore e in base alla sua capacità di discernimento si esprimerà sfogandosi, liberando i suoi pensieri e farà inconsciamente delle scelte dure nei confronti dell’uno o dell’altro genitore. La disamina delle ADR (Alternative Dispute Resolution) ovvero tecniche alternative per la risoluzione delle vertenze, vuole contrapporsi alle inefficienze della legge praticata nei Tribunali aiutando sia la coppia a superare i conflitti, che tutelare il

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minore chiarendo ed abbassando i tempi di procedura burocratica. La tutela del minore nella crisi coniugale non può oggi sottrarsi da una realtà che vede frammentata la risoluzione delle problematiche familiari tra diversi organi giudiziari. Il Tribunale Ordinario, il Tribunale dei minori, il Giudice tutelare, hanno il compito di risolvere i conflitti tra gli ex coniugi e prendere decisioni nel supremo interesse della prole. Questa frammentarietà di competenze, devolute ad un Tribunale piuttosto che ad un altro, anche se ben definite, talvolta può generare ritardi, sovrapposizioni e incomprensioni che vanno a scapito di una rapida ed efficace risoluzione della disputa. L’evoluzione della disciplina in termini di affidamento del minore sposta al Tribunale ordinario l’esclusiva competenza, questo può far sorgere dubbi sulla reale attenzione che suddetto Tribunale avrà nei confronti del minore, se non altro perché viene ulteriormente caricato di incombenze che necessitano di una visione multidisciplinare. L’affidamento condiviso introdotto con la legge n. 54/2006, ha posto sullo stesso piano tutte e due le figure genitoriali, affidando ad entrambi le decisioni più importanti per la vita del minore (cosiddette di maggior interesse): istruzione, educazione e salute; per tutte le altre questioni che rientrano nella quotidianità familiare il giudice può attribuirle all’uno o l’altro genitore. Si è sancita la bi-genitorialità. E’ incontestabile, in regime di separazione o divorzio, l’importanza del ruolo di genitore. Altro punto, al quale ho voluto dare spazio, strettamente legato al bisogno del giudice di stabilire in sede giudiziale, l’affidamento del minore, è l’ascolto di quest’ultimo. Ho

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puntualizzato il significato della parola “ascoltare” perché questo termine esprime un concetto differente rispetto alla terminologia utilizzata precedentemente nella legge n. 54/2006 (audizione, sentire). Il termine ascoltare, viene interpretato intendendo, lo stare attenti alle esigenze del minore, alle sue idee a quanto è coinvolto nella vicenda familiare e predispone il Giudice ad una eventuale modifica delle proprie opinioni a seguito dell’ascolto. La legge n. 219/2012, propone altri spunti di riflessione sul tema, a causa di una mancata definizione, del legislatore, delle linee guida per quando si deve sfruttare l’opportunità di ascolto del minore e le sue modalità applicative. Nell’ultimo capitolo, si affronta un argomento strettamente connesso alla tutela del minore e della famiglia in regime di separazione e divorzio. La mediazione familiare. Questo Istituto, parallelo al procedimento legale, lo si può definire, in maniera generica, come una metodologia specifica di aiuto alla coppia in fase decisionale. E’ importante ribadire che la mediazione non va a sostituire la consulenza legale, in quanto persegue obiett ivi diversi: r istabil ire un’adeguata comunicazione tra i coniugi, proteggere gli interessi e il benessere dei figli, far si che la coppia si faccia carico della responsabilità genitoriale, promuovere un approccio consensuale, riducendo così il conflitto, nell’interesse di tutti i membri della famiglia e non ultimo, ridurre i costi economici e sociali della separazione e del divorzio. Visti gli obiettivi della mediazione, trattare quindi le problematiche della coppia solo da un punto di vista legale, sembra oltremodo riduttivo.

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La mediazione con le sue antiche origini, sorta in molte comunità di tutto il mondo con lo scopo di trovare un accordo tra due o più parti in modo non conflittuale, la vediamo oggi applicata in svariati settori come ad esempio lo sport, il lavoro, la politica e altro. Non ci si improvvisa mediatori, in quanto l’Istituto è governato da precise regole di conduzione della trattativa, che fanno capo a molti modelli di riferimento come quello strutturato, negoziale, integrato, interdisciplinare, terapeutico, trasformativo e narrativo. Il mediatore, nella mediazione famigliare, è un soggetto terzo, neutrale, chiamato in causa dalla coppia che vuole, anzi desidera trovare le basi di un accordo accettato da entrambi e stabile nel lungo periodo. E’ condizione indispensabile che l’accordo tenga conto dei bisogni di tutti i membri della famiglia e in particolar modo dei figli. La mediazione è un percorso che la coppia fa composto da 10-12 sedute nelle quali il mediatore seguendo uno schema procedurale articolato in più fasi (max 12), li accompagna aiutandoli a ritrovare un proprio equilibrio personale, analizzando anche informazioni scomode come quelle finanziarie, trattate spesso dalle parti, come informazioni molto intime, da nascondere per paura di un qualche sopruso o giudizio altrui. La separazione come s’intuisce non porta certo alcuna ricchezza, non si ferma davanti ad un momento storico in cui la crisi economica mette a dura prova l’intera comunità; le conseguenze del vivere in case diverse, le spese per il mantenimento del figlio e l’eliminazione di tutti i benefit portano inequivocabilmente ad un impoverimento generale. Solo quindi, chi persegue la strada della mediazione, collaborando attivamente, riesce ad elaborare soluzioni più

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stabili, più soddisfacenti e durature, sia in termini di costi sociali che economici, rispetto a quelle definite in sede giudiziale.

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CAPITOLO PRIMO

- Separazione e divorzio oggi -

1.1 L’evoluzione storico – sociale della famiglia

Spesso capita di sentire diverse definizioni del termine famiglia: da quella inserita nella Costituzione: La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare , a quella in senso ampio: 1

Comunità umana, diversamente caratterizzata nelle varie situazioni storiche e geografiche, ma in genere formata da persone legate fra loro da un rapporto di convivenza, di parentela, di affinità, che costituisce l’elemento fondamentale di ogni società, essendo essa finalizzata, nei suoi processi e nelle sue relazioni, alla perpetuazione della specie mediante la riproduzione . 2

Però ai fini di capire il legame che intercorre tra l’evoluzione storica della famiglia e le frequenti separazioni e divorzi oggi, è interessante partire dalla configurazione della famiglia nel lontano medioevo. Tre i criteri di distinzione particolarmente importanti e discriminanti:

SESTA, Nuovo codice della famiglia, Milano, 2014, 81

TRECCANI, Dizionario della lingua italiana, Famiglia, (definizione di), 2

2014

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1. Se la famiglia è urbana c’è una prevalenza delle forme nucleari oppure se è di tipo rurale erano più diffuse le forme estese e multiple. 2. Quale posto la famiglia occupa nella stratificazione sociale: famiglie nobili o signorili, dei ceti medi, corporazioni, famiglie contadine proprietarie, mezzadrili, servili. 3. Quale area geo-politica-culturale viene considerata: nell’Europa mediterranea e orientale è più diffuso il fenomeno delle «grandi famiglie», la cui forza è direttamente proporzionale alla debolezza dello Stato, mentre nelle altre aree (Centro e Nord Europa), la famiglia è già più nuclearizzata e debole, anche perché il potere politico (lo Stato) è già più organizzato. A partire dal ‘500 – ‘600 e in modo decisivo con la rivoluzione industriale del ‘700, si sviluppa un modello del tutto inedito di famiglia: quella che distingue una divisione amministrativa e contabile fra casa e azienda, ponendosi in una sfera privatizzata e puerocentrica centrata sulle cure e l’educazione della propria prole. Nel ‘800 e poi nel ‘900 i cambiamenti organizzativi del mercato e in generale, dell’emergere di una società in cui l’industrializzazione domina come modello di vita e di organizzazione politica ed economica, i modelli familiari giocoforza cambiano: alla famiglia borghese classica, succede una famiglia che potremmo chiamare “manageriale”, fortemente privatistica, privilegiata nell’accesso a beni e servizi. Alla famiglia proletaria tende succedere una forma familiare tipica degli strati tecnici e impiegatizi, avente carattere nucleare, relativamente privatizzata, puericentrica e con uno stile di vita orientato al consumismo. E’ in questa formazione sociale che la famiglia sembra “depotenziarsi" al

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punto di diventare sempre meno significativa per la vita sociale. Settore trainante non è più l’industria, bensì il vasto campo dei servizi terziari avanzati, nel quadro della globalizzazione e dell’esplosione delle tecnologie informative e comunicative. Il precedente welfare state si rileva essere troppo burocratico, rigido e costoso, va ridefinito in termini di un aiuto sociale meno centralistico e statalizzato che vede la famiglia come protagonista. C’è maggior concorrenzialità a tutti i livelli, inclusa la famiglia che risente del nuovo “ambiente” e, sempre meno protetta dallo Stato, diventa preda di un mercato sia produttivo, sia di consumi che segue logiche ostentative, che d’immagine. Negli ultimi trenta-quaranta anni, la famiglia ha subito un processo di trasformazione estremamente rapido seppur diverso nei vari paesi e realtà sociali. A partire dalla metà degli anni settanta si può riscontrare la diminuzione dei matrimoni e delle nascite con un aumento delle separazioni. Tutto ciò in concomitanza con il diffondersi di movimenti politici che hanno sostenuto la liberalizzazione del ruolo della donna, il suo crescente inserimento e coinvolgimento nel mondo lavorativo e il relativo incremento del suo livello professionale; ciò ha condotto di conseguenza a tutta una serie di cambiamenti anche nella suddivisione dei ruoli e delle aspettative all’interno della coppia. La famiglia di oggi rispetto a quella del passato, di tipo patriarcale, è considerata “in crisi” e si configura sempre più come ambito di relazioni complesse o addirittura di “non relazioni”, dove i genitori risultano sempre meno capaci di comunicare adeguatamente con i figli e con se stessi.

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La famiglia contemporanea ha perso parte della sua stabilità a vantaggio di una maggiore fragilità: sembra oggi basarsi maggiormente sulla soddisfazione dei bisogni individuali ed emotivi e meno sulla antica funzione di sicurezza economica e affettiva. Un segnale evidente di questi cambiamenti è presente anche nel linguaggio dove il termine famiglia è sempre più frequentemente accompagnato da un aggettivo che ne qualifica le caratteristiche strutturali: la famiglia nucleare, la famiglia monogenitoriale, la famiglia omosessuale, la famiglia di fatto , 3

la famiglia ricostituita. Mentre un tempo la famiglia era in primo luogo un’entità sociale e politica organizzata gerarchicamente e vincolata da leggi, consuetudini e considerazioni di natura economica, sin dall’approvazione della Costituzione Italiana emerge un nuovo concetto di famiglia, in cui è il consenso a regolare i rapporti familiari sulla base del principio di uguaglianza giuridica e morale dei coniugi. Non più quindi l’istituzione protetta in vista di interessi superiori, ma una formazione sociale orientata allo sviluppo delle personalità individuali. Sul piano giuridico il concetto di matrimonio è legato a quello di famiglia: i due

SESTA, Manuale di diritto di famiglia, Vicenza, 2015, 3 ss.; “L’art. 29 c.c. 3

deve interpolarsi con quanto citato nell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: viene espresso chiaramente il concetto che ad ogni persona è riconosciuto il diritto di sposarsi e costituire una famiglia. Questa visione ampia del concetto di rapporto familiare che considera tale anche un rapporto non per forza legato dal vincolo matrimoniale va ad integrare l’ormai datato art. 29 c.c.”

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coniugi formano un nucleo familiare che può in seguito espandersi con i figli. Il matrimonio, “matri munus", compito della madre, è un atto (concordatario o civile) che ufficializza la relazione diretta tra un uomo e una donna nel loro contesto originario: in questo caso matrimonio eterosessuale e monogamo, proprio della nostra società. Nell'occidente la famiglia nucleare è sempre stata la forma più comune, riconosciuta già nel diritto romano. I coniugi possono avere figli o meno, per scelta o per infertilità. Il matrimonio conferisce diritti e doveri circa la nascita di bambini, le proprietà, i legami di parentela, le relazioni con la società, l’eredità, e anche relazioni più private quali il comportamento sessuale, l'intimità e l’amore. Le motivazioni che portano all'ufficializzazione formale di una relazione sono di vario genere e solitamente non uniche: motivazioni sentimentali e/o sessuali, motivazioni economiche, politiche e religiose. Non vi è dubbio alcuno, dopo aver considerato tutti i cambiamenti della struttura familiare a causa di un forte adeguamento alle trasformazioni della società nell’arco del tempo (dal medioevo ad oggi), ulteriormente legittimato dall’entrata in vigore della Costituzione, che all’interno della famiglia è avvenuta una trasformazione dei ruoli, che ha interessato maggiormente quello delle donne, madri e mogli, sostituendo un ruolo “ancestrale” di “donna di casa”, con quello intraprendente, autonoma, capace di assumere un ruolo sociale fuori dall’ambito familiare, occupando posizioni importanti e svolgendo lavori riservati a soli uomini. Questa “parità” ha occupato spazi sostanziali interni alla famiglia togliendoli ai valori di base, alla comunicazione, all’amore e all’unione incondizionato.

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Il legame familiare scontrandosi con le trasformazioni del costume e soprattutto con l’emancipazione femminile, da luogo ad un nuovo modello di matrimonio: non più di unione (fusione), ma piuttosto negoziale, un rapporto in cui l’autonomia, piuttosto che l’unione, è un valore e la base stessa dell’intimità di coppia. Un fattore che influenza significativamente il destino di un matrimonio è l’equità coniugale . Il matrimonio è un accordo in 4

cui ogni partner dà all’altro qualcosa di utile, qualcosa che l’altro otterrebbe difficilmente da solo . In molti matrimoni 5

moderni l’equità desiderata è quella che comporta la condivisione di compiti simili; ci si aspetta che entrambi facciano contemporaneamente più cose come lavorare e quindi percepire un salario e partecipare attivamente negli impegni domestici. Il matrimonio diventa stabile e felice quando entrambi i partner considerano lo scambio equo. Analogamente, i coniugi si aspettano sensibilità ai loro bisogni ed equità riguardo la dipendenza, al desiderio sessuale, alla condivisione di confidenze e così via. L’equità non è facile da raggiungere o mantenere, molti fattori, tra cui l’arrivo dei figli o se uno dei due partner consegue uno status professionale maggiore, modificano l’equilibrio, rendendo il matrimonio meno paritario e, di solito, meno felice. L’alta percentuale dell’accresciuto tasso di divorzio è il risultato di un mutamento cognitivo che ha portato la maggior parte dei coniugi ad aspettarsi molto di più l’uno dell’altro,

STASSEN, BERGER, Lo sviluppo della persona, 4234

FONZI, Manuale di psicologia dello sviluppo; storia, teoria e metodi. Lo 5

sviluppo cognitivo, affettivo e sociale nel ciclo della vita, Firenze-Milano, 2008, 293

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rispetto a quanto avveniva nel passato . Un tempo l’equità 6

familiare era valutata sulla base di saldi ruoli di genere. Inoltre mariti e mogli del passato di solito non si aspettavano di arrivare a comprendere veramente l’un l’altro: davano generalmente per scontato che mascolinità e femminilità sono opposti e che i sessi sono naturalmente un mistero l’uno per l’altro. Oggi i coniugi hanno una visione molto più flessibile dei ruoli e delle responsabilità all’interno del matrimonio e probabilmente, si aspettano che il coniuge sia un amico, amante e una persona sollecita e amorevole. Globalmente vi è un rallentamento nella propensione al matrimonio, con un evidente innalzamento dell’età nel contrarlo da parte della coppia (anche per il prolungamento della permanenza dei figli adulti nella casa dei propri genitori). Una trasformazione significativa avviene per la separazione tra sessualità e procreazione, tra sessualità e matrimonio e ancora, tra sessualità e status adulto. Tutto questo sconvolge le sequenze che tradizionalmente erano normali e attese. Oggi non è più il matrimonio ad autorizzare la sessualità della coppia, poiché i giovani tendono ad avere rapporti sessuali nella fase di fidanzamento, e inoltre non basta la procreazione per dare luogo al matrimonio. Le profonde trasformazioni sia nel processo di formazione della coppia che nel modo di concepirla avvengono anche per il tendere all’ideale della parità tra i sessi, per l'allargamento delle sfere di azione e delle opportunità aperte alle donne, che non vedono più nel matrimonio un passaggio obbligato per l'esercizio della sessualità.

REALINI, L'evoluzione della famiglia. in Gruppo d'Interesse Oncologia 6

Ticino, Cure alla famiglia del paziente oncologico, Centro Eventi Cadempino, 2012

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Oggi, l'amore o l’innamoramento e il sesso individuano una coppia a prescindere dal matrimonio . Gli attuali rapporti di 7

coppia si caratterizzano per la loro negoziabilità e reversibilità. Inoltre, sempre meno il matrimonio d'amore è inteso come processo di fusione ma spesso si mostra asimmetrico, in cui il benessere e la riuscita dell'uomo diventano l'interesse della donna. Nei matrimoni contemporanei l'obiettivo di ciascun componente della coppia, e della donna in particolare, è di mantenere la dualità; si definisce l'attuale istituzione matrimoniale come matrimonio conversazione, in cui il rapporto di coppia coniugale è continuamente costruito e ricostruito. Il matrimonio odierno non si fonda più sull'ethos del sacrificio e dell'aiuto reciproco, bensì sulla spontaneità degli affetti, sull'idea di un innamoramento che dura nel tempo e soprattutto sulla promozione della parità e simmetria tra i due sessi. Spesso la coppia rifiuta di fare una scelta definitiva e vincolante per tutta la vita, perché ciò annullerebbe quello spazio di flessibilità e autonomia in cui viene simboleggiata la propria soggettività. La qualità del rapporto diviene quindi il criterio fondamentale adottato per decidere di mantenere o sciogliere il vincolo matrimoniale. Solo nel 1970, in Italia, il diritto positivo prende in considerazione concetti come la separazione e il divorzio, forse in maniera tardiva rispetto ad altri paesi europei e lo fa con la

LA ROCCA, L’uomo e dintorni: manuale di antropologia culturale, 7

Roma, 2014, 58

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promulgazione di una nuova legge . Poco dopo nel 1975, viene 8

riformato il diritto di famiglia dove è evidente la mutata 9

concezione della famiglia nella quale il vincolo del matrimonio non è più alimentato dalla comunione materiale e spirituale. L’unità della famiglia non viene più considerata come un interesse pubblico superiore, ma prevale invece il diritto individuale alla libera scelta (art. 122 e 123 c.c.) . 10

A supporto di ciò che è stato detto si può riscontrare nelle indagini ISTAT come in trenta anni (1980 - 2012) la crescita d e l l e s e p a r a z i o n i e d e i d i v o r z i s i a a u m e n t a t a considerevolmente . 11

Senza andare a scomodare ulteriori cifre che confermerebbero nuovamente il pensiero espresso, viene ribadito che tutti i dati ISTAT sottolineano che oggi giorno la durata media del

SESTA, Nuovo codice della famiglia, cit., 557, “L’art. 3 della l. 898/1970 8

prende in considerazione i casi per i quali è possibile chiedere la separazione e pare che tale articolo sia costruito più sul rapporto che uno dei due coniugi ha nei confronti della legge, che non sul rapporto affettivo tra di loro”; SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 6

SESTA, Nuovo codice della famiglia, cit., 5539

SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 1410

ISTAT, Separazioni e divorzi in Italia (2000-2005, 2012), istat.it, Report 11

23 giugno 2014. “In Italia si passa da 29.462 separazioni dell’anno 1980 a 88.288 dell’anno 2012. In poco più di 30 anni si ha avuto un aumento di circa 300%. Per i divorzi la percentuale di aumento è oltremodo maggiore: nel ’80 erano 11.844, poi nell’anno 2012 sono diventati 51.319, la percentuale di aumento è di circa 430%”

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matrimonio è inferiore rispetto a prima, che l’età media di chi si separa o divorzia è aumentata anche perché ora le nozze si celebrano in età più matura rispetto a 20, 30 anni addietro; la tipologia di procedimento delle separazioni o dei divorzi è prevalentemente quella consensuale; l’affido del minore nato durante il matrimonio è di tipo condiviso nella quasi totalità dei casi presi in considerazione. Questa modalità è prevalente in virtù dell’introduzione della legge sull’affidamento condiviso dei figli . 12

Se si vogliono poi analizzare altri dati relativi alle coppie in cui solo uno dei due coniugi è italiano, allora si evincerebbe che la tendenza alla separazione e al divorzio è maggiore, questo perché la coppia deve affrontare ulteriori “problemi” di tipo razziale, culturale, linguistico ed economico. I dati riportati non possono che farci riflettere sulle difficoltà che le unioni oggi incontrano, quindi forse ancor prima della mediazione familiare vi è la necessità della creazione di un nuovo strumento di risoluzione dei conflitti che incontri le specifiche esigenze di queste “nuove famiglie”.

SESTA, Nuovo codice della famiglia, cit., 550, in merito all’affidamento 12

condiviso si v., la l. 8 febbraio 2006, n. 54 (affidamento condiviso dei figli in caso di separazione dei genitori); “Non è il giudice che sceglie liberamente se affidare il minore ad entrambi i genitori o ad uno solamente, ma è il legislatore che ha espresso una chiara preferenza per l’affido condiviso”; DE FILIPPIS, LANDI, LETTIERI, LUCARIELLO, MAURANO, MAZZEI, MUTALIPASSI, PENNA, PIERRO, QUILICI, SAPIA, L’affidamento dei figli nella separazione e nel divorzio, Trento, 2009, 32

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Tenuto conto perciò dell’evoluzione sociale, strettamente connessa agli avvenimenti storici che hanno segnato il nostro territorio nell’arco di cento anni, come le guerre, le malattie, la politica con le sue lotte partitiche, si sottolinea come la separazione, che rimane un evento doloroso in ogni caso, veniva accettata con più leggerezza quando a causarla era la morte e non il rifiuto dell’altro, in quanto la morte è qualcosa di definitivo ed indipendente dalla nostra volontà, mentre essere rifiutati dà la sensazione di fallimento personale, come coniuge e, nel caso, come genitore. Fallisce l’investimento fatto per il proprio futuro e si percepisce l’incapacità di realizzare ciò in cui si è creduto.

1.2 Le dimensioni del dramma coniugale e la ricaduta sulla prole

Un rapporto di coppia può ad un certo punto della sua storia evolutiva incanalarsi verso crisi e conflitti perché le strade dei coniugi divergono o gli eventi possono far scaturire emozioni e tensioni forti nei rapporti interni ed esterni non facilmente gestibili dal singolo e dalla coppia stessa. Quando cadono le certezze che hanno fatto incontrare la coppia, il rapporto s’incrina e svaniscono gli elementi che hanno reso particolare quel legame. La frattura che si crea è insanabile, scompensa e rende fragili. Tutto il sistema famiglia viene coinvolto e spesso i comportamenti che i coniugi tengono, possono non essere equilibrati quindi avere una ricaduta di sofferenze e disagio anche sui i figli. La maggior parte delle separazioni, non nascono come volontà consensuale, spesso accade che sia uno dei due coniugi a voler lasciare l’altro; uno vuole uscire e l’altro vuole continuare la relazione.

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Solo dopo aver contattato il proprio avvocato o altro professionista e stabilito un percorso composto da accordi sui punti importanti della separazione si arriva ad avere un parere consensuale sul provvedimento. La nascita del conflitto non si può considerarlo né positivo né negativo, è insito nel cambiamento, è invece importante gestirlo attentamente e convogliare l’energia che genera in modo cooperativo e costruttivo. La conflittualità che si verifica nella coppia può essere un momento positivo e di richiesta di necessità di cambiamento e di crescita, non necessariamente negativo in termini di lotta e di distruzione dell’altro. Nella separazione, pur dolorosa, il conflitto può essere un’opportunità di trasformazione. Nel gioco relazionale tra i coniugi l’intimità e il potere sono delle componenti importanti che definiscono i confini e le regole per gli spazi interpersonali, i territori psicologici su cui poi governare e negoziare le situazioni di crisi su un piano cooperativo. Qualora la costruzione del patto di condividere gioie e dolori, benessere e malattia diventano una difficile impresa tra i coniugi, il vincolo si presenta fragile e caratterizzato da precarietà e la probabilità che sopravvenga la separazione dipende dal grado e dall'equilibrio di attaccamento tra di loro. La separazione è sempre un evento sconcertante, a volte improvviso anche se vi sono precedenti segnali e fatti premonitori a volte non letti o negati. All’interno della famiglia infatti possono esserci stati ripetuti litigi ed incomprensioni sempre più frequenti che hanno portato evidenti squilibri relazionali e carenze comunicative. La situazione diventa complessa, piena di tensioni, emozioni, turbamenti e

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nonostante sia un evento abbastanza comune al giorno d'oggi essa è sempre difficile da affrontare. Ognuno vive il fatto in modo diverso e come pure l'adattamento ad esso. I sentimenti sono molteplici, si vive la fine di un matrimonio, un senso di perdita, di sconfitta, di colpa e di tradimento. Si perdono il coniuge, i figli, la casa, degli oggetti cari. Si vivono forti sentimenti di perdita di fiducia in se stessi, di sicurezza e di controllo della propria vita. Rabbia, affetto, tristezza sono emozioni che si alternano, ma con diversa intensità a seconda della fase separativa in cui la persona si trova. I sentimenti che si provano rientrano in un processo di lutto a cui è difficile dare un nome. Le controversie e gli scontri che nascono sono tali che molte volte si proiettano sui figli i propri sentimenti, alimentando ulteriormente la conflittualità per il loro affidamento. Le accuse piovono da entrambi i coniugi, il conflitto è puntualizzato nel passato, tuttavia non esistono verità certe, ma un punto di vista sui fatti e sugli eventi nella storia della coppia. Le separazioni e i divorzi, ormai un fenomeno emergente, richiedono riti diversi. Infatti la diversità tra i procedimenti riguardanti la separazione e quelli riguardanti il divorzio si basa sulla diversità delle due situazioni: mentre la separazione è il momento che sancisce la sopravvenuta intollerabilità della convivenza, il divorzio rappresenta la fase, che interviene a distanza di tre anni dalla separazione come riportato nell’art. 3, n. 2, lett. b, comma 2, l.

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n. 898/1970, nella quale ormai il mutamento dei rapporti tra i coniugi si è, per così dire, stabilizzato . 13

Tuttavia l’atto di separazione, sia consensuale che giudiziale, non sancisce di per sé la fine vera e propria di un rapporto di coppia, in quanto il distacco emotivo e affettivo richiede dei tempi molto diversi da quelli stabiliti dai riti giudiziari. Spesso le vie legali sono delle modalità che a volte tengono uniti i coniugi in un gioco al massacro e rivendicativo che mettono in rilievo legami disperati. La separazione giudiziale, nei casi dove emergono grandi interessi finanziari o di gestione della prole, perpetra il conflitto, entrano in gioco avvocati e giudici, a cui la coppia delega le decisioni riguardo la gestione dei figli, della parte economica, della casa coniugale e così via, come se non fosse più in grado di poter decidere in autonomia. Entra nella logica che uno possa essere vincitore e l’altro vinto. La separazione è un’azione che comporta un atto decisionale per lo più di una delle parti. Succede che colui che chiede la separazione abbia già elaborato il distacco e appare più

FANTINI, La mediazione: strumento e risorsa al cambiamento familiare 13

e socio culturale. La gestione del conflitto e superamento della crisi nelle varie situazioni familiari, Centro milanese di terapia della famiglia, Milano, 2009, 29; “Le modifiche alle norme processuali, in tema di separazione e divorzio, sono state apportate dalla Legge n. 80/2005, che è intervenuta ad introdurre cambiamenti in relazione alla prima delle fasi procedimentali, mentre la legge n. 54/2006 è intervenuta a modificare la normativa procedimentale in materia di divorzio e, in particolare, per ciò che riguarda l’affidamento della prole”

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autonomo mentre l’altro rimane emotivamente coinvolto e non riesce a superare il problema del tradimento, dell’affronto e dello scacco. La gestione delle emozioni e il riuscire ad elaborare il “lutto”, può avvenire grazie all’aiuto di validi esperti che conoscono le varie tappe di passaggio dell’animo umano nella rielaborazione del trauma. Indicativamente si considerarono almeno quattro fasi sul piano delle emozioni e ognuna è dipendente dalla precedente che deve essere vissuta e superata in modo positivo dalla persona. 1 - fase della negazione: quando il coniuge lasciato rifiuta la realtà dei fatti e desidera recuperare la relazione, coinvolge i figli come intercessione per il ritorno. L’odio è il sentimento prevalente che lega i due partner. 2 - fase della resistenza: in cui uno prende consapevolezza della fine del rapporto: ricatti, accuse inganni connotano il legame con il partner; 3 - fase della depressione: quando si prende consapevolezza della separazione e aumenta il dolore, lo scoraggiamento e la delusione; 4 - fase dell’accettazione: in cui si elabora il lutto, si spengono i sentimenti dolorosi, si guarda verso il futuro e si elabora un progetto senza il partner. All’interno di queste fasi si osservano dei passaggi processuali importanti e il modello di Bohannan (1970) ne indica sei stati che è necessario attraversare e superare per un cambiamento positivo.

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Bohannan vede i l d ivo rz io come un p rocesso 14

multidimensionale che attraversa sei dimensioni: 1) Il divorzio emotivo: quella particolare situazione di deterioramento del rapporto di coppia: l’incapacità di tollerare la crescita e il cambiamento del coniuge; le accuse vicendevoli; la fase del “ping-pong” tra momenti di avvicinamento e di aggressività sino alla cronicizzazione del conflitto. 2) Il divorzio legale: riguarda l’ufficializzazione della decisione. Il procedimento giuridico può essere affrontato in maniera costruttiva (se si è elaborato il divorzio emotivo) o vendicativa. 3) Il divorzio economico: riguarda la discussione sulla divisione dei beni e sull’assegno familiare. E’ una fase molto delicata in quanto può appesantire difficoltà finanziarie già esistenti e comunque provoca conflitti accesi per interessi e affetti, soprattutto se non si è superato il divorzio emotivo. 4) Il divorzio genitoriale: riguarda l’assunzione di responsabilità nei confronti dei figli. Il divorzio non mette fine al rapporto genitoriale e, in questo senso occorre una rinegoziazione dei rapporti.

GAMBINI, Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico - 14

relazionale, Milano, 2007, 233; GALLI, Pedagogia della famiglia ed educazione degli adulti, Milano, 2002, 227; LEVESQUE, Metodologie della mèdiation familiale, 24, 25-33, “Questi diversi aspetti del divorzio fanno risaltare la complessità della situazione delle persone che vivono il processo di rottura e pongono in luce la prospettiva globale che ha da animare gli interventi”

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Se il divorzio emozionale e il divorzio economico non sono stati affrontati in modo soddisfacente, questa fase può ripercuotersi sui figli che ne possono risultare “triangolati” nei problemi dei genitori. E’ quindi molto importante che i genitori comunichino congiuntamente ai figli la loro decisione di separarsi in modo che nei figli non si crei un senso di colpa. 5) Il divorzio della comunità: riguarda il cambiamento delle relazioni sociali a seguito della separazione. Dalla famiglia dei partner agli amici in comune. Il divorzio può causare un forte senso di solitudine perché comporta l’indebolimento o la perdita di rapporti significativi che verrà attenuato in base alla capacità di ognuno di crearsi nuove relazioni. 6) Il divorzio psichico: corrispondente alla separazione di se stessi dalla personalità e dall’influenza dell’ex coniuge: si deve imparare a vivere senza una persona accanto e divenire emotivamente indipendenti. Non è facile ricominciare a vivere senza dipendere da nessuno, assumersi le proprie responsabilità senza condividerle con l’altro partner. Potrebbe essere necessario un supporto terapeutico, soprattutto per chi subisce la separazione. Chi lascia, invece può avere sensi di colpa. La separazione anche se la divisione è vissuta come liberazione, lascia sempre un senso di perdita. Quando il divorzio psichico non viene portato a termine i due partner rimarranno emotivamente legati nel tempo in modo disfunzionale. Il processo di separazione giunge positivamente alla fine se i due partner hanno accettato la divisione e se hanno preso coscienza sia delle cause che ne sono alla base sia di quanto hanno contribuito personalmente al fallimento della loro unione.

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Quando l’elaborazione della separazione non è completa permangono sentimenti di collera e sensi di colpa, non si smette di sperare in quel legame che diventa disperante. Questa situazione è altamente a rischio e può degenerare in vendette, querele, denunce (mobbing familiare), dove i figli possono essere triangolati o esclusi dalla frequentazione dell’altro genitore con la conseguenza di una possibile “sindrome di alienazione genitoriale”. Valutando l’evento della separazione dei genitori come un fattore di alto rischio psicopatologico qualora i figli vengano coinvolti e “usati”, tuttavia non è possibile ritenere che le conseguenze per i figli delle coppie separate conducano necessariamente ad essere soggetti a rischio. Dipendenti dai genitori anche i bambini dopo una fase critica riescono a trovare un equilibrio; hanno attraversato anch’essi le fasi del dolore e della perdita come i loro genitori, in particolare nel primo anno di separazione che è considerato il più difficile. Per limitare i danni i genitori devono impegnarsi a mantenere una responsabilità condivisa e rassicurali sul piano affettivo, sociale ed economico. I figli possono esprimersi e manifestare comportamenti in modo diverso di fronte la scelta fatta dai genitori; certamente non va trascurata l’influenza delle variabili personali quelle legate all’età, al genere, alle tappe dello sviluppo psicologico e l’abbozzo di personalità, ma si crede comunque vi siano delle risorse anche nei bambini, come negli adulti, nel fronteggiare gli eventi stressanti. I figli di coppie separate hanno un vissuto e una reazione in relazione alla loro fascia d’età. Per un bambino piccolo, diventa difficile distinguere le relazioni che intercorrono tra i genitori, punti di riferimento

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vitale, e tra i genitori e lui; perché non possiede strumenti cognitivi sufficienti per capire ed elaborare la situazione di cambiamento e di perdita di uno dei genitori. Crede di essere la causa della separazione, si sente in colpa e di non essere un oggetto d’amore da impedire la rottura definitiva tra mamma e papà. L’allontanamento di un genitore innesca la paura di abbandono che può verificarsi anche in futuro negli anni. Nei bambini molto piccoli ci sono frequenti regressioni comportamentali: ricerca continua di protezione e di affetto, problemi di sonno, disturbi alimentari, succhiarsi il dito, difficoltà del controllo sfinterico, già a suo tempo acquisito. Nei bambini un po’ più grandi, tra i 3 e i 6 anni, le reazioni sono per lo più reattive con punte di aggressività, manifestano rabbia a volte generalizzata, mordono compagni, distruggono oggetti, maltrattano animali. Tuttavia hanno paura di farsi male e si sentono cattivi, creano un’immagine negativa di sé, e si ritengono responsabili della separazione dei genitori. I bambini tra i 7 e 10 anni hanno maggiore consapevolezza della separazione genitoriale e manifestano sentimenti di tristezza e di dolore; esprimono la rabbia in modo diretto e organizzato verso un oggetto, che può essere nello specifico o il padre o la madre. Inoltre presentano sintomi psicosomatici che vanno dal mal di testa ai dolori di stomaco e all’ asma cronica. I figli adolescenti hanno ancor più consapevolezza e comprensione della separazione dei genitori, anche perché riescono ad averne una distanza psicologica. A volte maturano sul piano psicologico ed emotivo, altre volte possono avere un blocco della autostima. Le reazioni, tuttavia, possono essere di varia natura, come l’ alternanza di fasi depressive e fasi di

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aggressività, fughe da casa oltre alla presenza di sintomi ipocondriaci e di comportamenti antisociali, di abbandono scolastico. Tuttavia il disagio psicologico per un bambino perdura quando le relazioni della coppia genitoriale sono molto conflittuali e disturbanti, al di là del fatto che i genitori siano separati o meno. Infatti un idoneo sviluppo del bambino avviene sulla base di una continuità di compresenza dei genitori nella sua vita. Un figlio deve contare su punti di riferimento solidi, avere prevedibilità degli avvenimenti per il controllo delle situazioni e anche affidabilità di riferimenti emotivi stabili, per mantenere rapporti soddisfacenti e ricchi con le figure più significative. Dopo aver esaminato le diverse dimensioni della separazione e le reazioni dei figli occorre capire come la coppia possa ridefinire il legame per continuare ad essere buoni genitori. La coppia infatti pone fine alla relazione coniugale (patto) ma non a quella genitoriale. Questo implica che i due coniugi non interrompano la loro relazione, per il bene dei figli è necessario che gli ex coniugi sappiano mantenere il proprio legame in modo naturale e costruttivo. Devono essere in grado di valorizzare tutte le parti buone del legame costruite insieme, nonostante la fine del rapporto. Si tratta di un processo dinamico non facile che implica la consapevolezza delle cause che hanno portato al divorzio, valutando le responsabilità personali di entrambi. Tutto ciò comporta un lavoro a livello psicologico di ricostruzione e di revisione delle vicende del rapporto di coppia, delle proprie aspettative verso l'altro, dei propri atteggiamenti e comportamenti sbagliati. Trattandosi di una fase estremamente

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delicata è utile che sia accompagnata con interventi specialistici (mediazione familiare, gruppi di supporto, psicoterapia). Occorre che i partner definiscano senza ambiguità i confini coniugali al fine di collaborare come genitori. Compito decisamente non facile. Nel tentativo di ridefinire la loro relazione gli ex coniugi vanno dal conflitto (tagliare ogni comunicazione con l'ex) al cercare di mantenere un rapporto di amicizia, provando gelosia per l'altro (a volte anche occasionali rapporti sessuali). Per il bene dei figli è importante che non si recida completamente il legame tra i due partner: non perdere ciò che resta dell'essere stati famiglia è una prospettiva pedagogica che, nonostante il dolore della separazione, salvaguarda per i figli il diritto ad un atteggiamento educativo responsabile e duraturo da parte dei genitori. E' necessario che un genitore non parli male dell'altro al proprio figlio. Più saranno corretti l'uno verso l'altro, più la relazione genitoriale sarà salvaguardata. E' necessario, inoltre, che ognuno dei partner legittimi l'altro nel suo ruolo genitoriale (stima e comprensione). Il genitore affidatario avrà in questo un ruolo centrale nel favorire l'accesso del figlio alla relazione dell'altro genitore e alla sua famiglia. La possibilità dei figli di accedere alla stirpe paterna e materna è cruciale per il loro sviluppo mentale. Dopo il divorzio, si possono individuare tre stili co-genitoriali dipendenti da come i partner si sono separati. Lo stile cooperativo: genitori che non si squalificano reciprocamente e si coordinano nei ruoli. Distinguono la propria funzione genitoriale dai conflitti legati alla coppia e mantengono una relazione tra di loro cooperativa.

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Lo stile disimpegnato: genitori che non comunicano tra di loro, pur mantenendo il proprio legame con il figlio. Il figlio è come se vivesse in due mondi separati non comunicanti tra loro. Col passare del tempo questo stile diventa il più comune. Lo stile ostile: genitori che mantengono contatti tra di loro ma in modo ostile. La conflittualità tra di loro influisce anche sulla dimensione genitoriale fino a coinvolgere i figli in conflitti di lealtà. Questi eventi insieme alla libertà di attuare sempre e comunque la separazione hanno importanti conseguenze di carattere demografico e sociale poiché contribuiscono alla diversificazione delle strutture familiari e questo atteggiamento privatistico dei rapporti familiari fa cambiare le traiettorie biografiche degli individui coinvolti, con riflessi sul tenore di vita, sul benessere psicofisico, nonché sui rapporti. La ricaduta è una trasformazione socio culturale importante del modo di vivere di molte famiglie e dei figli, sorretta dal welfare pubblico a scapito delle tradizionali cure alla persona che da sempre sono in capo alla famiglia . 15

1.3 La Mediazione e i mezzi alternativi alla lite giudiziaria

La conflittualità tra due persone è uno stadio del loro rapporto in cui si è oltrepassato il livello di soglia generato anche da

SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 17; SESTA, ARCERI, 15

L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, Milano, 2012, 842; AL MUREDEN, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzio e famiglia destrutturata, IPSOA, 2007, 227

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particolari condizioni di contorno: i coniugi che hanno sempre cercato una gestione costruttiva dei momenti conflittuali, hanno una soglia di sopportazione del conflitto latente bassa, quindi tenderanno a mettere presto le carte in tavola, mostrando rispetto e trasparenza reciproca, mentre coloro che nel rapporto di coppia hanno sempre negato il conflitto, saranno portati, in tutte le circostanze di diverbio, ad attendere più a lungo, correndo il rischio di perpetuare alti stati di tensione paventando successivamente scuse assurde e nascondendo in sostanza la verità. La conflittualità, derivata quindi da posizioni contrastanti, in cui le parti difendono la propria tesi con ragionamenti ben costruiti, non può venire miracolosamente annullata. Però è proprio in tal senso che l’istituto della mediazione interviene cercando di mettere le parti in condizione di uscire da situazioni d’impasse che le vedono bloccate, in stallo, per evitare o ridurre gli effetti di un conflitto distruttivo. L’obiettivo della mediazione non è quello di portare sulle nostre posizioni, chi abbiamo di fronte, ma quello di costruire insieme a lui degli accordi, che consentano una convivenza il più possibile felice e piacevole. In quanto esseri umani si ha la tendenza a percepire l’esistenza di qualcuno o di qualcosa di “diverso” come una minaccia e un pericolo per la nostra integrità. Il pensare o il vedere le cose diversamente non deve essere ispirazione per un possibile conflitto; se la responsabilità della mancata accettazione della diversità altrui, e dunque della possibilità di conflitto, è da attribuire alla dimensione socioculturale, allora sarà necessario operare in modo da influire efficacemente su questo livello, promuovendo

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cioè all’interno della società in senso lato una trasformazione del nostro modo tradizionale di vedere le cose . 16

Negli ultimi decenni, una visione e una gestione della conflittualità diversa collegata ad un più ampio movimento, che, di fronte ai costi, alle lungaggini, alle inefficienze ed alle storture della legge quale viene praticata nei tribunali, ha posto come obiettivo proprio l’individuazione di tecniche alternative per la risoluzione delle vertenze in tutti i campi, civile, commerciale, amministrativo (Alternative Dispute Resolution, spesso abbreviata in ADR) . 17

In altre parole si può dire che, la natura stessa del processo legale, basato sulla logica del “io vinco, tu perdi”, lo rende del tutto incompatibile con le idee di base su cui poggia la mediazione. Non tutti i conflitti possono venire trattati per vie legali, per tutta una serie di ragioni intrinseche: esistono alcuni conflitti, come quelli in caso di separazione e divorzio, che, seppure gravi, non sono gestibili o risolvibili attraverso un trattamento di tipo giudiziario. E’ difficile considerare il matrimonio e la sua rottura solo come fatti in primo luogo legali, da trattarsi, quindi, secondo quelle procedure burocratico-amministrative previste per la rescissione di contratti. La mediazione non è un surrogato del processo

DE CESARE, La mediazione familiare. Come affrontare un conflitto in 16

maniera costruttiva, Greenbooks , 2012, 40

FROSINI, Un diverso paradigma di giustizia: le "Alternative Dispute 17

Resolutions", in En. giur. ec., 2011, 47 ss.; CASSATELLA, Il ricorso alle A.D.R. nelle controversie fra privati e pubblica amministrazione: ammissibilità e limiti, in Dir.e fam., 2004, 1203 ss.

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legale, anche se talvolta lo può opportunamente sostituire: è qualcosa di altro. La mediazione è un istituto parallelo specialmente indicato in talune situazioni conflittuali tra i coniugi. Questo tema è di notevole rilevanza ed attualità; infatti, in questi ultimi anni, è in atto un acceso dibattito attorno al problema della cosiddetta “mediazione coatta”. Si tratterebbe di una forma di mediazione imposta dal giudice in determinati casi di conflitto, in particolare nei casi di separazione e divorzio. Ma, come si è detto, un processo di mediazione prevede che le parti si rivolgano liberamente ad un terzo neutrale; questo, quindi, è in forte contrasto con l’idea di una mediazione coatta, cioè imposta alle parti in conflitto dall’esterno, in questo caso da un giudice. Seguendo tale definizione, si vuole ricordare che la mediazione richiede che non si decida per gli altri: gli antagonisti devono trovare essi stessi la soluzione dei propri conflitti. Contrariamente alla posizione del giudice, che deve decidere in nome della legge, il mediatore non decide al posto di altri. La mediazione, dunque, deve essere capace di aiutare le persone senza utilizzare la minima pressione. Avere chiaro il contrasto tra obbligo e mediazione è fondamentale per conoscere e comprendere a fondo le ragioni e gli obiettivi delle pratiche di mediazione. La motivazione alla mediazione non può essere imposta, ma deve piuttosto essere il frutto di un processo interno ai protagonisti, agevolato dall’esistenza di servizi competenti e facilmente accessibili. Mediatore e parti in conflitto devono sentirsi liberi di impegnarsi nel lavoro di mediazione, ed al tempo stesso liberi di porre termine a questo impegno qualora la motivazione, per qualunque insindacabile ragione, venga a cadere. La

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mediazione non deve essere imposta, bensì accettata e, meglio ancora, desiderata . Naturalmente, il fatto che la mediazione 18

non debba essere obbligatoria non significa che non possa venire prevista per legge come strumento di pace che giudici e avvocati possono consigliare in quelle situazioni che la rendono opportuna e praticabile. Infatti dagli anni ’90, in virtù di una litigiosità crescente, di una insicurezza sociale, di un allargamento della tutela dei diritti e la conseguente maggiore consapevolezza giuridica, sono stati numerosi gli interventi legislativi volti alla cosiddetta degiurisdizionalizzazione. Ci sono mezzi extragiudiziali che partecipano a questo processo e anche la mediazione è uno dei mezzi sostitutivi o alternativi della lite giudiziaria. Quelli oggi conosciuti, perché disciplinati dal legislatore o perché diffusi nella prassi, sono i seguenti. Transazione: è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro; si veda l’art. 1965, comma 1, c.c.

DE CESARE, La mediazione familiare. Come affrontare un conflitto in 18

maniera costruttiva, cit.,43; PINI, BUONADONNA, SCHETTINI, DE FILIPPIS Il mantenimento per il coniuge e per i figli nella separazione e nel divorzio, TRENTO, 2009, 278, “ La mediazione non è una consulenza tecnica per i giudici e non può essere assunta in maniera aprioristica, correndo il rischio di essere controproducente per i coniugi amplificando l’ansia, la tensione e non funzionale all’obiettivo”

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Conciliazione (stragiudiziale e giudiziale): è l'accordo con il quale le parti decidono di definire una controversia, di regola mediante l'intervento di un terzo (il conciliatore). Arbitrato (rituale e irrituale): cosiddetto procedimento speciale mediante il quale le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte come da art. 806, c.p.c. Negoziazione : trattative, di norma mediante un terzo in 19

qualità di negoziatore, per giungere ad un accordo cosiddetto negoziato. La mediazione si distingue dalla transazione per la natura, perché non è un contratto; per l’oggetto, perché non è una lite ma uno stato di conflittualità; per le modalità, in quanto non è finalizzata a reciproche concessioni ma ad un reciproco riconoscimento di diritti e di doveri. La mediazione è una procedura in cui un terzo neutrale assiste le parti nella ricerca di una soluzione al loro conflitto. Il mediatore non decide, ma aiuta le parti a comunicare e, grazie alla competenza in materia e all’uso di determinate tecniche, può ampliare la gamma delle soluzioni che le parti, interagendo da sole, non potrebbero prendere in considerazione senza la visione esterna, oggettiva e creativa del mediatore. Con questa

CONSOLO, Un d.l. processuale in bianco e nero fumo sull’equivoco 19

della “degiurisdizionalizzazione” in Corriere Giur., 2014, 1173 ss.; D’AGOSTO, CRISCUOLO, Prime note sulle “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile, commento al d.l. 12 sett. n° 132, in http:// www.ilcaso.it; CARRATTA, D’ASCOLA, Nuova riforma per il processo civile: n.132/2014, in http: www.treccani.it/magazine/diritto.

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procedura le parti sono coinvolte nella soluzione della controversia. È una procedura che permette di prendere piena coscienza delle eccezioni “dell’altro”, dei suoi interessi e dei suoi bisogni, perché, per arrivare a raggiungere soluzioni creative, è necessario conoscere tutte le motivazioni delle parti e non fermarsi alle prese di posizione iniziali. Infine c’è una differenza etimologica tra mediazione (dal latino mediare, “essere a metà”) e transazione, in quanto quest’ultima deriva dal verbo latino transigere, che significa “spingere oltre”. Per quanto riguarda la mediazione e la conciliazione si sottolinea come i due termini siano strettamente correlati e in alcuni contesti coincidenti, ma hanno significati leggermente diversi: La mediazione è l’attività di chi si pone tra due contendenti per facilitarne l’accordo. La conciliazione è l’auspicabile accordo frutto della mediazione. Due interessanti definizioni, che aiutano a comprendere il significato di conciliazione, sono: 1. Un processo, quasi sempre formale, attraverso il quale una

terza persona neutrale tenta, tramite l’organizzazione di scambi tra le parti, di consentire a queste di confrontare i loro punti di vista e di cercare, con il suo aiuto, una soluzione al conflitto che le oppone . 20

2. L’intervento nell’ambito di una disputa tra due contendenti di una terza persona imparziale e neutrale, gradita a entrambi, che non riveste autorità decisionale, ma li aiuta

PALAZZO, BARTOLI, La mediazione penale nel diritto italiano e 20

internazionale, Firenze, 2011, 17

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affinché essi pervengano ad una soluzione della vertenza che risulti di reciproca soddisfazione soggettiva e di comune vantaggio oggettivo . 21

Inoltre, come è stato affermato dalla Corte costituzionale: la conciliazione tende a soddisfare un interesse generale, perché costituisce non solo un efficace strumento in grado di contenere il proliferare delle controversie giudiziarie, con evidente vantaggio per l’amministrazione della giustizia e quindi della collettività, ma rappresenta anche un veicolo di diffusione di quella cultura della pacificazione, che ha fondamento nell’art. 2 della Carta Costituzionale in relazione agli istituti che riconoscono e garantiscono la solidarietà . 22

La mediazione e la conciliazione si avvicinano per la struttura ternaria e per la logica operativa di fondo, ossia il risultato deve essere condiviso dalle parti, ma i due mezzi differiscono tra loro per la professionalità dell'operatore e per lo scopo. La prima mira alla rielaborazione della comunicazione, la seconda all'accordo. Tra la mediazione e la conciliazione vi è, pertanto, una differenza semantica e ontologica. Il mediatore non mira alla soluzione di conflitti e, tanto meno, ad una conciliazione (dal latino cum calare, “chiamare insieme”), che significa riunire, legare insieme, rendere amici, ma tenta di ridurre gli effetti indesiderabili di un conflitto più o meno grave, in altre parole di favorire una sospensione, almeno temporanea, delle ostilità e quindi una ripresa del dialogo tra persone che pacificamente

GULLOTTA, SANTI, Giurisprudenza di merito, Milano, 2004, 129421

Corte Cost., 6 luglio 2000, n. 276, in infoius.it, 2000, 2.322

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possano riconoscersi differenti (riconoscimento dell'alterità e dell'alienità), al fine di consentire loro di riappropriarsi della propria attiva e responsabile capacità decisionale. Le parti confliggenti devono poter elaborare e proporre esse stesse un progetto costruttivo di regolamentazione concordata del conflitto. Vi è, poi, una differenza deontologica: data la peculiarità della materia, quella relazionale (comunque si tratta di persone che devono continuare a condividere qualcosa o qualcuno, come nel caso della genitorialità), il mediatore è ancor più del conciliatore tenuto al dovere di segretezza. La mediazione e l'arbitrato hanno origini antiche e sono caratterizzate dalla volontarietà, nel senso che le parti volontariamente si sottopongono all'uno o all'altro meccanismo, ma si differenziano sociologicamente e giuridicamente. Sociologicamente perché l'arbitro, in qualità di giudice privato, era ed è considerato con più autorità, mentre il mediatore, in qualità di paciere o moderatore, era ed è considerato con minore autorità. Giuridicamente perché l'arbitrato si fonda sul compromesso come si evince dagli artt. 807 ss. c.p.c. (o clausola compromissoria o convenzione), non ha per oggetto la materia relazionale ma la controversia ed è finalizzato alla soluzione di quest’ultima. Mentre l’arbitro decide per le parti , 23

il mediatore accompagna le parti a riappropriarsi della capacità

BONELLI, EREDE, PAPPALARDO, Arbitrato, IACOVIELLO (a cura 23

di), l’arbitrato in generale, Milano, 2012, 7, “Dal punto di vista del criterio di giudizio al quale gli arbitri si devono tenere, l’art. 822 c.p.c., stabilisce che gli arbitri sono tenuti a decidere la controversia, secondo le norme di diritto”

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di decidere (self-empowerment). Inoltre la terzietà dell’arbitro si traduce in equidistanza dalle parti, invece quella del mediatore deve intendersi più opportunamente come equi-vicinanza alle parti. Ci si concentra ora su un altro concetto, quello di negoziato, che spesso viene utilizzato erroneamente come sinonimo di mediazione, proprio per capirne l’esatto significato e da qui la sua differenza con la pratica della mediazione. Il negoziato è fra i modi più diffusi per assicurare un esito soddisfacente, economico e rapido, ad una controversia. In particolare, nel campo del lavoro ed all’interno delle grandi organizzazioni, il negoziato continuo fra i protagonisti è diventato un vero e proprio metodo di gestione, che pervade diffusamente ogni attività, sebbene solo di recente si sia giunti ad una compiuta tematizzazione dell’argomento. Il negoziato è un processo in cui due o più controparti, nessuna delle quali sia in grado di prevalere sull’altra, tentano di raggiungere un accordo che rappresenti una soluzione soddisfacente per tutti, e che risolva le differenze di preferenza riguardo ad un problema di comune interesse . E’ un processo, cioè una situazione che si svolge in 24

maniera dinamica lungo un certo periodo di tempo, al centro del quale sta un problema che aggrega ed accomuna parti altrimenti lontane fra loro. E’ chiaro che l’idea di fondo è quella di trovare una soluzione che, se si trova, deve essere tale da soddisfare le esigenze di tutti. Si noti anche che l’etimologia della parola “negoziato” è ricollegabile al concetto di negazione dell’ozio, quindi, rimanda all’idea di un lavorio

BORGATO, VERGNANI, Il pomo della concordia. Scena e retroscena 24

dei negoziati sindacali, Milano, 2006, 17

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continuo dei vari protagonisti che si danno attivamente da fare per risolvere una questione complessa. I negoziatori che operano nei conflitti di lavoro, o nell’ambito della diplomazia internazionale, sono dei veri e propri professionisti, che lavorano per committenti ben precisi. La grande differenza tra negoziato e mediazione, sta nel diverso modo di gestire il tempo: si può aspettare per innervosire l’avversario, bluffare tenendo coperte le proprie carte, si può far precipitare le situazioni. I negoziatori, proprio perché operano sulla base di un mandato ricevuto, per raggiungere l’obiettivo prefissato sono disposti ad usare il tempo come più a loro conviene. La logica alla base del negoziato è contrattualistica, e, quindi, è l’analisi di costi e benefici che la caratterizza. Nel caso dei conflitti oggetto di mediazione, che non sono di natura economica, in cui non possono esistere deleghe e mandati, ma ognuno deve giocare in prima persona, la logica non può essere quella di usare il tempo a proprio piacimento. I costi maggiori si pagano in termini di sofferenza psicologica. In questa prospettiva, trattative di lunga durata portano solo ad un aumento del livello complessivo di sofferenza, e non appaiono perciò particolarmente raccomandabili. Nella negoziazione con arbitrio, lo schema prevede un messaggero; però l’arbitro dispone di un potere assai maggiore e la sua funzione è diversa: non porta messaggi da una parte all’altra, bensì interroga, ascolta, cerca di farsi una propria opinione per poi parlare, e dare un verdetto. L’arbitraggio è un processo volontario nel quale le parti in conflitto domandano e demandano ad una terza persona, che si suppone neutra ed imparziale, di prendere una decisione al loro posto. In casi del genere, le parti in conflitto delegano ad altri l’esercizio della

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propria decisionalità, e vi abdicano volontariamente. Cessano di essere attori, con il carico di diritti e responsabilità che ciò comporta, per diventare obbedienti ed “irresponsabili” esecutori di decisioni prese da altri. Non più soggetti, ma oggetti. Si noti infine che, inevitabilmente, ogni arbitro inviato a decidere su una situazione potrà conoscerla solo in maniera superficiale ed indiretta, come imprecisa sarà la sua conoscenza della storia che l’ha generata: non potrà, dunque, possedere gli elementi essenziali per giungere ad un giudizio corretto. In definitiva, quella della negoziazione con arbitro è una pratica di applicazione molto limitata, quando manchino strumenti legislativi utili a fare sì che l’arbitraggio non sia ulteriormente impugnabile di fronte ad un giudice “vero”. Non è una consulenza legale, finanziaria, psicopedagogica o comunque “tecnica”. L’attività del mediatore non è un’attività di consulenza. I problemi possono essere di varia natura, affettivi, legali o finanziari, e talvolta tutti questi aspetti possono essere intrecciati. Il mediatore, lavorando con le parti attorno ad uno o più di questi problemi, ha come obiettivo quello di ristabilire la comunicazione che si è interrotta tra le parti in conflitto. Il mediatore non si sostituisce in alcun modo a magistrati, avvocati, commercialisti, medici o a tutte le molte altre figure professionali a cui potrà risultare opportuno fare ricorso per risolvere aspetti particolari di un problema. La mediazione mira innanzitutto a responsabilizzare le parti, aiutandole ad avere sempre chiari quali sono gli interessi comuni, per non far prevalere sentimenti di rabbia o di vendetta. Dopo aver analizzato le differenze tra la mediazione e gli altri mezzi stragiudiziali per la risoluzione dei conflitti, si può affermare che le peculiarità della mediazione, che ne costituiscono la

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portata innovativa (o meglio, la portata creativa) rispetto agli altri mezzi, è il ruolo che riveste il mediatore (od operatore della mediazione), il quale funge da “conflict coach” (il coach letteralmente è il cocchiere); la prospettiva della parte confliggente che non è un avversario né un nemico, ma uno “sparring-partner” (espressione mutuata dal pugilato in cui è l’allenatore; nel linguaggio comune è l’interlocutore); l’ambiente in cui si svolge (in gergo “setting”), la cosiddetta stanza della mediazione. Tecnicamente ed etimologicamente la mediazione è un intervento per interpretare un conflitto, su un interesse non necessariamente opposto ma il più delle volte comune (un esempio per tutti, l’affidamento dei figli in caso di separazione dei coniugi). La mediazione, a differenza degli altri mezzi stragiudiziali, cerca di evitare la strumentalizzazione della giustizia e l’esacerbazione degli animi che si verifica in alcuni casi. C o n i m e z z i e x t r a g i u d i z i a l i s i c o n t r i b u i s c e “all’umanizzazione” del sistema della giustizia, o meglio alla 25

promozione di una forma di giustizia variamente detta “giustizia emozionale, dei sentimenti, del quotidiano, della prossimità”, che tiene conto non solo dei diritti sanciti legislativamente ma anche dei bisogni affettivi e relazionali, dei reali interessi delle parti e non degli pseudo-interessi spesso rappresentati nel processo.

MARZARIO, La giustizia delle emozioni: differenza tra la mediazione e 25

altre forme di giustizia alternativa, in Dir. proc. Civ., 26 marzo 2009, diritto.it

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1.4 Il nuovo istituto di risoluzione stragiudiziale delle controversie: “La negoziazione assistita nel d.l. 132/2014”

Con il d.l. 132/2014, è sorto un nuovo Istituto di risoluzione stragiudiziale delle controversie denominato “procedura di negoziazione assistita da un avvocato” . A ben vedere, in 26

realtà, non si tratta nella sostanza di uno strumento di una novità assoluta, dato che la recente disciplina ha piuttosto inteso attribuire una sorta di investitura ufficiale e di legittimazione, oltre che effetti peculiari per l’ordinamento (ad esempio valore di titolo esecutivo dell’accordo) a quella che deve ritenersi la forma primitiva e più naturale di gestione di qualsiasi situazione conflittuale, ossia quella negoziale, che richiede la diretta interazione delle parti in essa coinvolte. I soggetti interessati alla disputa, non sono però lasciati soli a condurre la trattativa tra di loro, ma viene prevista l’assistenza degli avvocati, con una funzione di supporto nell’ambito del percorso negoziale, che spesso risulta lungo, complesso ed insidioso e che, se non correttamente affrontato, rischia di fallire anche in quei casi in cui sussistono invece tutti i presupposti per un esito potenzialmente positivo dello stesso. La nuova normativa ha l’intento di alleggerire il carico giudiziario con lo scopo di fare confluire il maggior numero di controversie possibili verso tale strumento alternativo. L’autonomia privata delle parti viene inoltre valorizzata attraverso il riconoscimento della possibilità di definire

MOTTOLA, d.l. 12 settembre 2014, n. 132 e le modifiche in tema di 26

separazione e divorzio procedura semplificata e negoziazione, Frosinone, 2014, 19 ss., “conversione in legge il 10 novembre 2014, n. 162”

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mediante la negoziazione assistita anche i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, in assenza o presenza di figli minori, o di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti . 27

L’introduzione di tale istituto di A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) accanto alla mediazione di cui al d.l. n. 28/2010 28

ed all’arbitrato, da tempo esistente, disciplinato dal codice di procedura civile, va a configurare quel sistema stragiudiziale progressivo che dovrebbe consentire una trattazione e definizione della lite al di fuori delle aule giudiziarie, lasciando all’interno di queste ultime solamente quelle vicende che richiedono imprescindibilmente l’intervento del giudice statale.

SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 170 ss. “E’ quindi consentito 27

ai coniugi, nei limiti e con le modalità previste dalla richiamata legge, di raggiungere fuori dal processo e in forza di un atto di autonomia privata la separazione personale, la cessazione degli effetti civili del matrimonio”; MAZZOLI, La negoziazione assistita nel d.l. 132/2014, Rimini, 2014, 20

CHIARLONI, Prime riflessioni sullo schema di decreto legislativo della 28

delega in materia di mediazione ex art. 60 legge 69/2009, in mondoadr.it; CASTAGNOLA, DELFINI, (a cura di), La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Padova, 2010; SASSANI, SANTAGADA, (a cura di), Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, Roma, 2010; CAPONI, ARMONE, PORRECA, DELFINO, La giustizia civile alla prova della mediazione, in foro.it, 2010, V, 95 ss.; SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, in judicium.it;

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La novella legislativa coinvolge direttamente gli avvocati, che vengono formalmente investiti di un ruolo negoziale, di fatto già esistente, ma che oggi viene senza dubbio incentivato ed anche professionalizzato, che richiederà un perfezionamento delle tecniche di negoziazione al fine di trasformare il consueto atteggiamento antagonistico, orientato alla gestione del cliente ed alla preparazione della disputa in vista del giudizio, in uno più collaborativo e volto alla risoluzione dei problemi insieme all’altra parte, che renda produttiva la trattativa e che tuttavia non esponga il proprio cliente al rischio di essere sfruttato o di subire soluzioni che non condivida ovvero che non tengano conto degli interessi e delle esigenze dello stesso. L’art. 2 d.l. n. 132/2014 delinea la natura ed il contenuto della convenzione di negoziazione assistita da un avvocato che si configura quale presupposto di avvio della procedura negoziale disciplinata dalla relativa normativa. Questa formalità lascia intendere che si è di fronte ad una sorta di “negoziato di diritto speciale”, se così si può dire, dato che mentre l’ordinaria attività negoziale attiene all’ambito squisitamente privatistico e non necessita invero di alcuna formalità particolare né di atti scritti, in questo caso, sia in considerazione del particolare valore che l’ordinamento riconosce all’accordo eventualmente raggiunto dalle parti in termini di esecutività e trascrivibilità dello stesso, che degli effetti anche processuali della procedura, in alcune ipotesi condizione di procedibilità e comunque interruttiva della prescrizione ed impeditiva della decadenza, il legislatore ha inteso fornirne una regolamentazione specifica. Tutto ciò probabilmente nell’ottica di assicurare la migliore tutela per le

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parti che decidano di avvalersene al fine di tentare di comporre la loro disputa. La convenzione di negoziazione assistita da un avvocato, è infatti, un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati e pertanto proprio il rimando ai concetti di “buona fede” e “lealtà” sembra richiamare un impegno qualificato di chi decida di sedere al tavolo negoziale al fine di creare le condizioni ottimali per il raggiungimento di una soluzione stragiudiziale. I predetti obblighi di buona fede e lealtà incombono naturalmente anche sugli avvocati che necessariamente devono assistere i soggetti coinvolti nel negoziato, sia nell’ambito del rapporto con il proprio cliente, dato che anche i professionisti sono portatori di interessi personali che a volte potrebbero non essere perfettamente allineati con quelli dei clienti, sia nel confronto con il collega e la controparte. Si tratta in ogni caso di doveri già prescritti dal codice deontologico forense, in particolare dagli art. 9 “Doveri di probità, dignità, decoro, e indipendenza. 1. L’avvocato deve svolgere la propria attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”. L’art. 10 “Dovere di fedeltà. L’avvocato deve adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell’interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa.”

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L’art. 12 “Dovere di diligenza. L’avvocato deve svolgere la propria attività con coscienza e diligenza, assicurando la qualità della prestazione professionale.” L’art. 13 L’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali. 29

Le regole di condotta professionale devono pertanto tracciare le direttive etiche e deontologiche di base da seguire nella negoziazione e dovranno essere adattate caso per caso al fine di contemperare l’obbligo di difesa del cliente con quello di condurre correttamente la trattativa. La norma precisa che gli avvocati chiamati ad assistere le parti siano quelli iscritti all’albo e anche quelli stabiliti dall’art. 6 d.l. n. 96/2001 . Il comma 2 dell’art. 2 30

indica il contenuto e la forma della convenzione che deve essere redatta per iscritto, a pena di nullità e conclusa con l’assistenza di un avvocato. Gli elementi che vanno necessariamente indicati nella convenzione sono:

artt. 9 ss., Codice deontologico forense, Cons. Naz. forense, 2014; 29

GRIMALDI, Crisi della famiglia, tutela dei minori, codice deontologico forense, in Riv., La previdenza forense, 2/2014, 59 ss.

art. 6, d.l. 2 febbraio 2001, n. 96 (Attuazione della direttiva 98/5/CE volta 30

a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui e' stata acquisita la qualifica professionale)

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- il termine entro cui le parti concordino di espletare la procedura negoziale, che comunque non può essere inferiore ad un mese (termine che delimita quindi il periodo di validità della convenzione, che deve tuttavia ritenersi prorogabile su concorde volontà delle parti: la commissione giustizia del Senato ha approvato una modifica del testo prevedendo un termine massimo di durata di tre mesi); - la descrizione dell’oggetto della controversia, che naturalmente non può riguardare diritti indisponibili dato che ogni privata pattuizione relativa agli stessi sarebbe nulla per l’ordinamento. Agli avvocati che sono chiamati ad assistere i clienti già nella fase di stipula della predetta convenzione, spetta poi l’onere di certificare l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla stessa dalle parti, con ogni conseguente responsabilità professionale in caso di falsità. Nel d.l. n. 132/2014 sono disciplinate due forme di negoziazione, quella volontaria e quella obbligatoria. La prima, come già visto, può essere liberamente avviata dalle parti mediante la stipula di una convenzione avente le caratteristiche di cui all’art. 2. Oggetto della negoziazione volontaria può essere qualsiasi controversia in materia civile e commerciale relativa a diritti disponibili, ma anche le procedure di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, nonché le liti aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro, prima escluse dalla conciliazione tra privati come riportato dall’art. 2113, c.c.). La tipologia di dispute che possono essere oggetto della procedura di negoziazione assistita volontaria,

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coincide quasi integralmente con quelle che si prestano ad essere oggetto di mediazione, ad eccezione delle menzionate fattispecie di separazione e divorzio e di lavoro, generalmente sottratte al procedimento di mediazione in quanto rispettivamente attinenti allo stato delle persone ed ai loro diritti indisponibili. Viene perciò da chiedersi quale sia il rapporto tra le due procedure e quali debbano essere i criteri da prendere in considerazione al momento in cui ci si trovi a decidere se la via stragiudiziale possa essere utilmente percorribile al fine di tutelare al meglio gli interessi delle parti ed eventualmente di quale degli strumenti di tal fatta sia più conveniente avvalersi per gestire in maniera il più efficace possibile il conflitto e pervenire auspicabilmente alla sua risoluzione. Nel raffronto tra negoziato assistito e mediazione sono diverse le considerazioni da fare nel caso concreto e tale compito è certamente affidato in primis all’avvocato, che insieme al cliente deve esaminare benefici e costi dell’una o dell’altra procedura. Un elemento da considerare può essere il costo che per la negoziazione risulta inferiore alla mediazione, posto che nel primo caso le parti devono farsi carico solo delle competenze professionali dei legali e non anche di quelle dell’organismo di mediazione. In mediazione, infatti, il dover versare le relative spese in via anticipata, pure a prescindere dall’esito del procedimento, a volte costituisce un ostacolo insormontabile per lo sviluppo della effettiva attività oltre la cosiddetta fase preliminare del primo incontro, proprio per la ritrosia delle parti a farsi carico di costi, che per controversie di valori elevati assumono

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comunque una certa rilevanza, seppure non siano paragonabili in ogni caso a quelli giudiziali. Naturalmente in caso di componimento della controversia all’esito dell’una o dell’altra procedura, anche la previsione di un rimborso delle spese di assistenza e/o di mediazione, potrebbe essere parte delle pattuizioni concordate. Il fattore economico non pare comunque debba avere valenza esclusiva, dato che dal punto di vista sostanziale occorre piuttosto prendere in considerazione limiti e vantaggi di una trattativa diretta tra le parti, tenendo conto anche della tipologia di rapporto che lega il cliente ed il proprio avvocato, gli avvocati tra loro, le parti tra loro e del condizionamento positivo o negativo che tali rapporti rischiano di esercitare nella trattativa, oltre che di possibili limiti intrinseci del negoziato diretto, che potrebbe essere condotto in modo esclusivamente antagonistico e perciò poco proficuo. Nulla impedisce peraltro che si tenti un negoziato, stipulando a tal fine la relativa convenzione per poi rendersi conto, durante le trattative, che per uscire dall’impasse venutasi a creare sia utile la presenza del terzo e perciò del mediatore che possa aiutare tutti coloro che siano seduti al tavolo negoziale a depotenziare il conflitto, a far emergere la maggiore quantità possibile di informazioni utili per addivenire ad un accordo di ampia portata e che tenga conto degli interessi reciproci, a ricercare e far vedere soluzioni ulteriori rispetto a quelle già considerate, a ristabilire un clima sereno, di fiducia, di corretta e proficua dialettica negoziale, fungendo anche da filtro delle emozioni negative delle parti, che siano in qualche modo assorbite dal mediatore, decantate e restituite in modo più

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neutrale, così da divenire meno distruttive e più accettabili per ciascun interlocutore. Se invece si preferisce avvalersi della presenza di un terzo fin dall’inizio, perché magari sia stato già infruttuosamente tentato un componimento stragiudiziale da parte degli avvocati, anche al di fuori della procedura di negoziazione di cui al d.l. n. 132/2014, o comunque perché si reputi opportuno in ogni caso farsi coadiuvare nelle trattative da un terzo esperto al fine di incrementare fin da subito la possibilità di componimento, la mediazione è certamente il metodo migliore di cui avvalersi. Il legislatore ha sentito la necessità di escludere che l’obbligo di esperire una negoziazione possa applicarsi laddove sussistano forme di tutela giurisdizionale che siano in grado, anche in forme sommarie, di assicurare una celere soddisfazione degli interessi delle parti: • Procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione

Procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite da art. 696-bis, c.p.c.

• Procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata.

• Procedimenti di camera di consiglio ed azione civile esercitata nel processo penale. Viene inoltre escluso l’obbligo di negoziazione assistita per quelle controversie rispetto alle quali la parte possa stare in giudizio personalmente, senza doversi necessariamente avvalere di alcuna assistenza legale, e cioè nelle cause avanti al giudice di pace, il cui valore non ecceda € 1.100,00. Una previsione particolarmente innovativa contenuta nel decreto legge n. 132/2014 è quella dell’art. 6, che ha introdotto la possibilità per i coniugi di concludere una convenzione di

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negoziazione assistita da un avvocato al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Ciò significa che i coniugi possono decidere di provare a negoziare per raggiungere un accordo che produca gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti sopra menzionati, evitando così di dover avviare il relativo percorso giudiziale ed anche di dover comparire davanti al Presidente del Tribunale o al Collegio. Vale precisare che con le modifiche apportate nella conversione in legge n. 162/2014 del d.l. n. 132/2014, la via negoziale può essere perseguita anche in presenza di figli minori o presenza di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti come scritto nell’art. 6, d.l. 132/2014; in siffatte ipotesi l’accordo raggiunto in negoziazione dovrà essere trasmesso entro dieci giorni al procuratore della Repubblica. Laddove non siano presenti figli minori o comunque ci siano solo maggiorenni capaci, senza handicap gravi ed autosufficienti si può procedere alla stipula della convenzione di negoziazione assistita, che deve avere le caratteristiche ed i requisiti nel rispetto dell’art. 2 del decreto. Si può ipotizzare che entrambi i coniugi decidano di farsi assistere da un solo avvocato ed in tal caso lo stesso si occuperà della formalizzazione della convenzione, certificando anche la firma dei sottoscrittori e assisterà pure nella fase negoziale, salvo che poi si renda necessario l’intervento di altro legale per una delle parti, magari a causa di tensioni insorte nel corso

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della trattativa o perché uno dei coniugi non si senta più rappresentato da quello stesso avvocato. In siffatta evenienza sembra possibile l’adesione del nuovo difensore alla convenzione o meglio ancora la stipula di una nuova convenzione che regolamenti la successiva attività negoziale. Laddove l’accordo non dovesse essere raggiunto nel termine previsto in convenzione (certamente prorogabile su volontà delle parti), ciascuno dei coniugi potrà presentare il ricorso giudiziale e se del caso trasformare poi in consensuale il giudizio medesimo. Se invece a seguito della convenzione le parti raggiungono un accordo, le condizioni pattuite vanno formalizzate per iscritto e detto accordo sostituisce ad ogni effetto il provvedimento giudiziale corrispondente. Un problema si pone però per le disposizioni di natura patrimoniale ed i trasferimenti immobiliari che non pare possano in tal caso godere di alcun beneficio fiscale e perciò se siffatti trasferimenti siano parte delle condizioni concordate sarebbe più conveniente avvalersi del procedimento giudiziale che comporterebbe in più l’esborso per il contributo unificato e per l’assistenza giudiziale (anche se il costo sarebbe pressoché analogo all’assistenza negoziale), ma di contro consentirebbe sicuramente di avvalersi dell’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa prevista per i divorzi come da art. 19 legge n. 74/1987 ed estesa anche alle separazioni (confermata peraltro tale esenzione, per quanto riguarda i

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trasferimenti immobiliari , sia per i procedimenti in materia di 31

separazione e di divorzio, che nell’ambito della mediazione civile e commerciale o per la conciliazione giudiziale). Non può certo darsi per scontato che, ad esempio, un procedimento solamente negoziale di separazione possa essere equiparato a quello tipico giudiziale consensuale al fine delle esenzioni e agevolazioni tributarie, in difetto di espressa previsione in tal senso. L’accordo raggiunto a seguito della convenzione, naturalmente sottoscritto dalle parti e dagli avvocati (o dall’avvocato) che certificano l’autografia delle firme riportate in calce ai documenti, deve poi essere trasmesso dall’avvocato, entro 10 giorni dalla sottoscrizione, in copia autenticata dal medesimo professionista, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, a pena di incorrere in una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 10.000, irrogata dal Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni nell’atto di matrimonio . 32

L’ufficiale di stato civile deve in particolare procedere alla registrazione dei provvedimenti di cui trattasi e alla conseguente annotazione a margine dell’atto di matrimonio e di

AGENZIA DELLE ENTRATE, Modifiche alla tassazione applicabile, ai 31

fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, agli atti di trasferimento o di costituzione a titolo oneroso di diritti reali immobiliari - Articolo 10 del D.lgs.14 marzo 2011, n. 23, circ. 21 febbraio 2014, 2/E

art. 69, d.p.r., 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la 32

semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127)

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nascita di entrambi i coniugi ed alla comunicazione in anagrafe per i conseguenti aggiornamenti. Naturalmente viene precisato che non compete affatto all’avvocato, in sede di trasmissione dell’accordo, di formulare apposita istanza all’ufficio di stato civile per l’ulteriore seguito, ma sia detto ufficiale del comune in cui il matrimonio fu iscritto (quello celebrato con rito civile, la cui iscrizione avviene nel comune di celebrazione) o trascritto (quello celebrato con rito religioso, concordatario o di altri culti, la cui trascrizione avviene nel comune di celebrazione o quello celebrato all’estero la cui trascrizione avviene nel comune di residenza o di iscrizione AIRE) a dover curare l’esatta esecuzione degli adempimenti che discendono dal ricevimento dell’accordo. Al fine di semplificare ulteriormente i procedimenti di separazione personale e di divorzio, i coniugi possono concludere un accordo di separazione personale, ovvero di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza di uno di essi o del Comune presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio (art. 12, comma 2, d.l. n. 132/2014). Presupposti per poter accedere a tale procedura sono: - sussistenza di un accordo tra i coniugi in ordine alle condizioni da formalizzare; - assenza di figli minori; - assenza di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap gravi ovvero economicamente non autosufficienti; - assenza di patti di trasferimento patrimoniale nell’accordo.

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Come si vede, dunque, essa si differenzia dalla procedura negoziale sia perché presuppone che le condizioni siano state già concordate tra i coniugi, sia in quanto non è prevista alcuna assistenza legale obbligatoria, sia perché il contenuto dell’accordo trova una limitazione quanto ai patti di trasferimento patrimoniale; con la circolare del Ministero degli Interni n. 19/2014, che vincola l’ufficiale di Stato Civile ad escludere qualunque accordo con clausole aventi carattere dispositivo sul piano patrimoniale, diventa discutibile l’interpretazione del legislatore che forse voleva vietare solo i trasferimenti immobiliari ovvero tutti gli atti e i contratti soggetti a trascrizione . 33

Per il resto la procedura è molto semplice, in quanto basta recarsi insieme con il coniuge dall’ufficiale dello stato civile e rendere a questi, ciascuno personalmente, la dichiarazione di volersi separare, ovvero far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento alle condizioni già definite, o ancora di voler modificare le condizioni di separazione o di divorzio come concordato. Immediatamente dopo la ricezione delle suddette dichiarazioni da parte dell’ufficiale dello stato civile, deve essere compilato e sottoscritto l’atto contenente l’accordo, il quale tiene luogo ed ha gli stessi effetti dei relativi provvedimenti giudiziali. Per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni

SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 172. “Una rilevante differenza 33

rispetto alle intese raggiunte a seguito della negoziazione assistita ex art. 6 d.l. è che l’accordo innanzi al sindaco, non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. (art. 12, comma 3, d.l.)”.

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devono essersi protratte ininterrottamente da almeno tre anni dalla comparizione dei coniugi avanti al Presidente del Tribunale ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo si separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. Il costo dell’accordo avanti all’ufficiale dello stato civile, è un diritto fisso che esige il Comune e non può essere superiore all’imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio e cioè euro 20 per foglio . Ora, dopo una disamina 34

oggettiva di ciò che il nuovo Istituto permette, si può affermare che il legiferare sulla scorta della urgenza e del prevalente intento deflativo non aiuta a garantire una buona qualità ed efficacia delle soluzioni. Sarebbe ad esempio stato più utile migliorare il procedimento di mediazione di cui al decreto legislativo n. 28/2010 ed incentivarne l’utilizzo, nonché lo sviluppo, attraverso anche la previsione di ulteriori benefici fiscali ed economici per le parti, trattandosi peraltro, come già evidenziato, di una forma di A.D.R. più evoluta della negoziazione diretta e sicuramente più efficace. Certamente da salutare con favore è invece la scelta di attribuire una più pregnante efficacia all’ordinamento, tramite gli atti sorti dall’autonomia negoziale privata, consentendo di ottenere un titolo esecutivo sulla scorta della sola sottoscrizione delle parti e degli avvocati agli atti negoziali, anche in materia di separazione e divorzio.

art. 4, d.p.r., 26 ottobre 1972, n. 642, (Disciplina dell'imposta di bollo), 34

Tabella A

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La scelta del legislatore, non poteva prescindere dall’acquisizione di una diversa mentalità di gestione delle liti, che passasse attraverso forme di collaborazione dirette o etero dirette, in cui le parti abbiano avuto un ruolo attivo, siano responsabili delle loro scelte e s’impegnino nel raggiungimento di un risultato compositivo, opportunamente informate, guidate, assistite e consigliate dai propri avvocati, in funzione di tutela dei reali interessi e non solo dei diritti ritenuti spettanti ai propri clienti. In tale ottica il giudizio dovrebbe essere davvero la estrema ratio, da mettere in campo in caso di fallimento di ogni altro tentativo di trovare una soluzione accettabile per ciascuno, ma proprio in quanto non più abusato ed inflazionato, dovrebbe fornire una risposta rapida e certa alle effettive esigenze di giustizia e di tutela.

1.5 Il divorzio breve: le novità normative dopo la legge n. 55/2015

Le prime formulazioni e riforme inerenti la materia matrimoniale operate con il d.l n. 132/2014, successivamente convertito nella legge n. 162/2014, ha cristallizzato l’attenzione degli utenti del servizio giustizia ancor prima di quella degli studiosi e degli operatori pratici. Le coppie il cui matrimonio versava in uno stato di crisi hanno intravisto una nuova e concreta prospettiva per formalizzare la scelta di rottura del vincolo matrimoniale celermente nell’ambito del territorio italiano. Attraverso il menzionato intervento, invece, il legislatore ha inciso sulla materia della separazione personale, dello

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scioglimento e della cessazione degli effetti civili del matrimonio, introducendo nel sistema italiano due nuovi procedimenti diretti al conseguimento della separazione e del divorzio come accennato nell’art. 6, d.l. n. 132/2014 , nonché le modificazioni delle condizioni stabilite nelle stesse art. 12, d.l. n. 132/20142; nello specifico il primo procedimento riguarda, la convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio mentre il secondo procedimento riguarda la separazione consensuale e richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, innanzi all’ufficiale dello stato civile. Ambedue i procedimenti sono stati concepiti affinché la soluzione consensuale di separazione o di divorzio oppure le modificazioni delle relative condizioni, operi fuori dalla sfera giurisdizionale e pertanto siano esperibili esclusivamente con l’accordo pieno tra i coniugi sulla modifica del proprio status, oppure sulle condizioni di separazione o divorzio, o eventuali modifiche, nonché in ordine alla scelta del modello procedimentale. Inoltre essi sono stati predisposti per l’evenienza in cui le coppie non hanno figli minorenni, maggiorenni non autosufficienti, maggiorenni incapaci o portatori di handicap. Per il secondo procedimento si è limitato l’utilizzo alla mancanza di patti di trasferimento patrimoniale tra coniugi. Con la legge di conversione il primo procedimento è stato significativamente innovato:

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a) è stato ampliato il suo ambito applicativo anche alle coppie con figli minorenni o bisognosi di tutela; b) è stata fissata la necessaria assistenza di due avvocati; c) è stato introdotto il controllo del pubblico ministero sull’intesa raggiunta dai coniugi attraverso gli avvocati, controllo d’intensità variabile in base all’assenza di figli minori o bisognosi di tutela (nulla osta – vaglio della regolarità formale dell’accordo) o alla loro presenza (autorizzazione – vaglio della regolarità formale dell’accordo e della rispondenza di essa all’interesse dei figli); d) è stata prevista la trasmissione degli atti al presidente del tribunale (recte la conversione della procedura da stragiudiziale in giudiziale) nell’ipotesi in cui il p.m. ravvisi la non conformità degli accordi all’interesse delle prole. Diversamente l’originario testo del procedimento è stato ritoccato dalla legge di conversione che ha chiarito che l’accordo va recepito dal Sindaco; ha introdotto la facoltà per le parti di farsi assistere da un avvocato e ha stabilito che nei procedimenti di separazione e divorzio (non anche in quelli di modifica delle relative condizioni) l’ufficiale di stato civile, ricevuto l’accordo delle parti, fissa un termine a comparire di fronte a sé oltre i trenta giorni dalla ricezione dello stesso per la conferma dell’accordo. Va però aggiunto che l’ambito applicativo di questo modello

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procedimentale è stato ristretto dall’indicazione interpretativa fornita dalla circolare del Ministero dell’Interno . 35

La restrizione avrebbe reso la procedura applicabile solo nei casi di esclusiva modifica dello status di coniuge e completamente inapplicabile per la modifica delle condizioni di separazione e di divorzio. Così, sulla spinta della dottrina, il Ministero dell’Interno ha emesso una nuova circolare, la n. 6 del 2015, in cui ha affermato che non rientra, invece, nel divieto della norma la previsione, nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile). Le parti possono inoltre richiedere, sempre congiuntamente, la modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio già stabilite ed in particolare possono chiedere l’attribuzione di un assegno periodico (di separazione o di divorzio) o la sua revoca o ancora la sua revisione quantitativa . 36

C i r c . n . 1 9 , 2 8 n o v e m b r e 2 0 1 4 , M i n . I n t e r n i , i n 35

servizidemografici.interno.it, 24 maggio 2015 “Qualunque clausola avente carattere dispositivo sul piano patrimoniale, come l’uso della casa coniugale, l’assegno di mantenimento, in altre parole qualunque altra utilità economica tra i coniugi dichiaranti”

LOMBARDI, in Trattato della separazione e divorzio, Lupoi (a cura di), 36

II, Bologna, 2015, t. II, I procedimenti fondati sull’accordo tra le parti, 523 ss.

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Al di là delle incongruità in ordine ai delineati emendamenti, che la dottrina ha prontamente segnalato, e delle interpretazioni applicative divergenti suggerite dalle circolari ministeriali, l’introduzione dei due nuovi procedimenti indubbiamente ha segnato una netta rottura rispetto al passato, allorquando la modificazione dello status di coniuge rientrava nell’ambito della giurisdizione costitutiva necessaria, anche se tra i coniugi vi era pieno accordo. Segnatamente prima del d.l. n. 132/2014 le coppie potevano separarsi o divorziare esclusivamente attraverso il ricorso ai procedimenti speciali dinanzi all’autorità giudiziaria, ossia attraverso un provvedimento del giudice, a prescindere dalla presenza o meno della prole . La regolamentazione di tali 37

procedimenti, quindi, dispone ancora del codice di rito e della legge sul divorzio. Attraverso la nuova riforma, il legislatore ha inteso aggiungere nuove soluzioni consensuali alternative a quelle giudiziali tradizionali. La conclusione del matrimonio è stata arricchita di due nuovi modelli procedimentali alternativi, non sostitutivi, al ricorso al giudice, utilizzabili esclusivamente in mancanza di conflittualità tra i coniugi i cui esiti, ha puntualizzato il legislatore, producono gli effetti e tengono luogo dei provvedimenti giudiziali.

La circolare ministeriale n. 6/2015 al punto n. 4 ha ribadito che il dato 37

letterale dell’art. 6 secondo cui: in materia di separazione e di divorzio, la convenzione di negoziazione è conclusa con l’assistenza di almeno un avvocato per parte, preclude l’interpretazione tesa a consentire alle parti di

avvalersi di un unico avvocato.

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Così in ragione dell’introduzione dei due nuovi modelli di separazione consensuale e divorzio consensuale il legislatore ha modificato la legge n. 898/1970, stabilendo che il termine di tre anni di separazione ininterrotta decorre altresì dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile (art. 3, n. 2, lett. b, l. n. 898/1970). E’ quindi chiaro che l’opera di riforma del 2014 ha determinato il seguente quadro e cioè che: a) la separazione personale è propedeutica al divorzio; b) la separazione personale può essere sia giudiziale che consensuale; c) la separazione per accordo inter partes può essere chiesta sia dinanzi al giudice che, in presenza dei relativi presupposti, attraverso il procedimento di negoziazione assistita dagli avvocati ovvero attraverso il procedimento innanzi al Sindaco; d) il termine d’ininterrotta separazione per avanzare la domanda di divorzio, consensuale o giudiziale, è di tre anni; e) non sussiste alcun vincolo rispetto alla via procedimentale intrapresa tra la fase di separazione e quella di divorzio. Mentre gli operatori pratici e la dottrina erano intenti a riflettere sui numerosi problemi applicativi creati dall’introduzione nel nostro ordinamento dei nuovi Istituti, problemi determinati anche dalle eccessive modifiche apportate in sede di conversione nonché dall’emanazione delle circolari interpretative del Ministero dell’Interno , si è concluso, 38

FINOCCHIARO, Divorzio sprint: prassi e tribunali in aiuto della 38

riforma, in Guida Dir., 2015, 13 ss

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sorprendentemente, il distinto, lungo e tormentato percorso del divorzio breve. Il 18 marzo 2015 il Senato ha approvato il disegno di legge: disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi, apportando diversi emendamenti al testo che il 29 maggio 2014 era votato a larga maggioranza dalla Camera dei 39

deputati e sopprimendo la proposta di introduzione del c.d. divorzio diretto, ossia senza previa separazione tra i coniugi, che era stata inserita nel passaggio in commissione Giustizia del Senato. L’iter si è concluso il 22 aprile 2015 con la definitiva approvazione ad opera della Camera dei deputati dinanzi alla quale il d.d.l., in ragione dei menzionati emendamenti, aveva fatto ritorno. Il testo, che diviene legge dello Stato dopo quindici giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, si compone di tre articoli. Il primo dispone che le parole tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, sono sostituite dalle seguenti: dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e di sei

LOMBARDI, Novità (imminenti) in materia di separazione e divorzio: il 39

c.d. divorzio breve; l’individuazione del momento in cui si scioglie la comunione legale tra coniugi, in Gazz. forense, 2014, n. 4, 254

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mesi nel caso di separazione consensuale , anche quando il 40

giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale. Il secondo aggiunge all’art. 191 c.c, dopo il primo comma, le seguenti parole: nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione. Il terzo stabilisce che: le menzionate disposizioni si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data. Il legislatore con la legge sul divorzio breve interviene, quindi sulla disciplina dello scioglimento del matrimonio civile e della cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso allo scopo di ridurre i tempi necessari per conseguire il divorzio. La nuova disciplina tocca la fattispecie di divorzio statisticamente prevalente, quella in cui il divorzio è chiesto per la separazione.

MOTTOLA, Divorzio breve L. 6 marzo 2015, n. 55, (Disposizioni in 40

materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi.), Frosinone, 2015, 13, “ si veda l’art. 1 della legge citata”

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Segnatamente s’incide sul tempo di ininterrotta separazione tra i coniugi ai fini del divorzio anticipando il momento in cui diviene proponibile la domanda di divorzio. La modifica dispone che i tre anni d’ininterrotta separazione dei coniugi siano ridotti a dodici mesi, decorrenti dalla comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale se alla separazione si perviene attraverso il giudizio contenzioso, e a sei mesi, egualmente decorrenti dalla comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale, se alla separazione si perviene in via consensuale, in altre parole se l’iter contenzioso si trasforma in consensuale. Constatando che in tale lasso di tempo (3 anni), la conflittualità tra coniugi ormai separati tende ad accentuarsi coinvolgendo 41

gli eventuali figli minori, le ipotesi di riconciliazione sono ridotte, nonché aumenta il fenomeno del c.d. turismo divorzile (le coppie cercano la soluzione consensuale alla loro crisi matrimoniale in altri stati, cioè negli ordinamenti in cui il divorzio può essere conseguito con il decorso di un più breve periodo di separazione o addirittura senza separazione, eludendo l’applicazione della legge italiana (si pensi alla Romania, la Spagna)), il legislatore ha dato un taglio netto alla tempistica burocratica, passando dai tre anni ai dodici o sei mesi: individua un doppio termine e segna così un’inedita distinzione tra separazione giudiziale e separazione consensuale.

PALOMBA, VACCARO, (a cura di), Divorzio breve e negoziazione 41

assistita, Garofalo, (a cura di), Dalla separazione alla domanda di divorzio con un tragitto che dura al massimo un anno, in il Sole 24 ore, giuda al diritto, 2015, 6

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Propriamente si stabilisce che la domanda di divorzio in entrambe le soluzioni (giudiziale, consensuale) ha una più celere via se la separazione è stata conseguita in via consensuale: contenuta nell’intervallo di sei mesi. E’ evidente che l’intento del legislatore è d’incoraggiare fortemente le separazioni consensuali che diventano per i coniugi la via più rapida alla definitiva elisione del rapporto matrimoniale. Si evidenzia poi, che nel nuovo testo di legge n. 55/2015, per proporre la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, non si fa riferimento alla proposta della domanda di separazione, ma alla comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale, ossia all’atto in cui i coniugi sono autorizzati a vivere separatamente; nella versione approvata dal Senato, l’attenzione ricade sugli esiti del giudizio di separazione: se la separazione ha avuto avvio in modo conflittuale la successiva trasformazione in consensuale consente l’utilizzo del termine breve di sei mesi. Al riguardo va segnalato che la dottrina non rileva, ai fini 42

della decorrenza del termine per proporre la domanda di divorzio, che uno dei coniugi non sia comparso senza giustificato motivo, attenendosi siffatta decorrenza al momento in cui la comparizione sarebbe dovuta avvenire, a prescindere dall’autorizzazione del presidente a una vita separata, ciò purché risulti cessata la convivenza tra coniugi. In sintesi a seguito del nuovo intervento normativo il termine di tre anni è ridotto a dodici o a sei mesi e il passaggio dalla fase

SANTOSUOSSO, Scioglimento del matrimonio, in Enc. Dir., XLI, 42

Milano, 1989, 661

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di separazione a quella di divorzio viene articolato come segue , se: 43

1. la separazione è conseguita in via giudiziale, la domanda di divorzio è proponibile decorso un tempo minimo di dodici mesi di separazione ininterrotta tra i coniugi, termine che decorre, come già previsto dall’attuale formulazione, dalla comparsa dei coniugi dinanzi al presidente del tribunale nel procedimento di separazione;

2. la separazione è conseguita in via consensuale la domanda di divorzio è proponibile decorso un tempo minimo di sei mesi di separazione ininterrotta tra i coniugi, termine che egualmente decorre dalla comparsa dei coniugi dinanzi al presidente del tribunale nel procedimento di separazione;

3. la separazione è avviata in forma contenziosa ma successivamente si trasforma in consensuale, la domanda di divorzio è proponibile decorso un tempo minimo di sei mesi di separazione ininterrotta tra i coniugi, termine che egualmente decorre dalla comparsa dei coniugi dinanzi al presidente del tribunale nel procedimento di separazione.

La nuova legge detta una norma specifica di diritto transitorio, la cui formulazione, appare poco chiara. Propriamente l’art. 3 dispone l’anticipazione dei tempi per la proposizione della domanda di divorzio rispetto ai procedimenti in corso e al procedimento di separazione ancora

PALOMBA, VACCARO, (a cura di), Divorzio breve e negoziazione 43

assistita, Garofalo, (a cura di), La mini riforma del divorzio breve, cit., 2015, 7; “Il passaggio dai 3 anni ai 12 mesi o 6 mesi non rende più fragile il matrimonio, ma consente di ridurre i tempi di litigio tra i coniugi a favore di una minor sofferenza per i figli”.

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pendente alla data di entrata in vigore della legge. Essa difatti recita: le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data. Invero il suo contenuto si delinea se si considera la versione approvata dalla Camera dei deputati il 29 maggio 2014 la quale regolava il regime transitorio esclusivamente rispetto alla contrazione del tempo di separazione (non anche rispetto allo scioglimento della comunione legale tra coniugi) . 44

Dunque si può ritenere che i nuovi termini fissati dall’art. 1 della nuova legge si applicheranno sia nel caso in cui la separazione è stata conseguita anteriormente all’entrata in vigore della legge sul divorzio breve, ossia vigente la disciplina che richiedeva il decorso di tre anni; sia nel caso in cui il procedimento di separazione è ancora in corso al momento dell’entrata in vigore della stessa, e ciò sia se esso è stato avviato in via consensuale che in via giudiziale.

art. 4, ddl. 29 maggio 2014, n. 1504, (Disposizioni in materia di 44

scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi); “Le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano alle domande di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposte dopo la data di entrata in vigore della presente legge, anche se il procedimento di separazione, che costituisce il presupposto della domanda, risulti ancora pendente alla medesima data”.

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Anche in tali evenienze il termine di dodici o sei mesi, a seconda del tipo di separazione, andrà calcolato dalla comparsa dei coniugi dinanzi al presidente del tribunale. Quanto al coordinamento tra la disposizione transitoria e i modelli di cui al d.l. n. 132/2014 successivamente convertito in legge, l’emanata nuova disciplina per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio abbrevia esclusivamente il lasso temporale destinato ad intercorrere tra la separazione e il divorzio ma lascia sopravvivere la separazione (consensuale o giudiziale), quale presupposto imprescindibile per conseguire il divorzio (congiunto o giudiziale). Il legislatore lo ribadisce in modo esplicito proprio all’art. 3 della legge sul divorzio breve allorché individua nel procedimento di separazione, il presupposto per l’applicazione degli artt. 1 e 2 del medesimo testo. Difatti in sede di definitiva approvazione del disegno di legge da parte del Senato è stato espunto il secondo comma dell’art. 1 a mente del quale lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può altresì essere richiesto da entrambi i coniugi, con ricorso congiunto presentato esclusivamente all’autorità giudiziaria competente, anche in assenza di separazione legale, quando non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero figli di età inferiore ai ventisei anni economicamente non autosufficienti. In virtù di tale previsione il divorzio poteva essere chiesto senza il decorso di un tempo di separazione tra i coniugi purché ciò avvenisse con domanda congiunta all’autorità giudiziaria.

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Si delineava il c.d. divorzio diretto, denominato altresì divorzio lampo o divorzio immediato, esso rappresentava il punctum dolens del testo all’esame del Senato e tale contrasto aveva posto il disegno di legge in una situazione di stallo. Così per conseguire un primo risultato, atteso da molti da tempo, si è lasciata cadere siffatta prospettiva. In ogni caso si reputa che le possibilità di utilizzo di tale strumento sia estremamente limitato, non solo perché era rivolto alle coppie senza figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o con meno di ventisei anni economicamente non auto-sufficienti ma soprattutto perché la formulazione della disposizione rinviava esplicitamente al ricorso congiunto presentato esclusivamente all’autorità giudiziaria competente, il che avrebbe impedito una interpretazione che ne favoriva l’utilizzo attraverso le opzioni di cui alla legge n. 162/2014. Effettivamente, una volta contratto il tempo di separazione necessario per proporre la domanda di divorzio a sei mesi, se la separazione è consensuale, pare superfluo e diseconomico, almeno per tale evenienza, il doppio procedimento. La lettura del testo di legge sul divorzio breve evidenzia con immediatezza un difetto di coordinamento con il più recente intervento operato con il d.l. n. 132/2014 convertito dalla legge n. 162/2014, il quale, come si è visto innanzi, ha appena modificato il dettato dell’art. 3, n. 2, lett. b, della legge n. 898/1970 riferendo il termine di tre anni di ininterrotta separazione tra i coniugi anche ai due nuovi modelli di separazione per accordo fra le parti.

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L’interprete deve operare il coordinamento tra le due ultime novità in materia, la legge n. 162/2014 e quella sul divorzio breve . 45

Combinando la formulazione dell’art. 3, n. 2, lett. b, della legge n. 898/1970 come modificata dalla legge n. 162/2014 con la modifica operata sulla medesima norma dalla legge sul divorzio breve si ricava che il nuovo termine di sei mesi di ininterrotta separazione, se del caso, è destinato ad operare in rapporto a ciascuna delle tre forme di separazione consensuale alle quali i coniugi, in presenza dei relativi presupposti, possono attualmente accedere: ovvero in rapporto al procedimento dinanzi al giudice con omologazione dell’accordo tra i coniugi disciplinato dall’art. 711 c.p.c.; in rapporto alla negoziazione assistita da avvocati con necessario controllo del pubblico ministero come riportato nell’art. 6, comma 2, l. n. 162/2014; in rapporto al procedimento per accordo reso dinanzi al Sindaco come da art. 12, d.l. 132/2014. Viceversa la parte della modifica operata con la legge sul divorzio breve che prevede il termine di dodici mesi non viene presa in considerazione alcuna, dal momento che riguarda la separazione giudiziale. Non sorge alcun dubbio sul fatto che i coniugi, attraverso qualsiasi procedimento, separati consensualmente, decorso il termine di sei mesi possano, senza alcun vincolo rispetto alla scelta effettuata in precedenza, optare tra divorzio giudiziale e

PALOMBO, VACCARO, (a cura di), Divorzio breve e negoziazione 45

assistita, Finocchiaro, (a cura di), abbreviazione del termine per chiedere il divorzio (artt. 707 ss, c.p.c., art. 3 della l. n. 898/1970; artt. 6 e 12 d.l. 132 /2014 convertito in l. n. 162/2014); cit., 11;

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divorzio congiunto e in tale ultima evenienza utilizzare anche le soluzioni procedimentali di nuovo conio. Parimenti se la separazione è avvenuta in via giudiziale le parti potranno procedere al divorzio congiunto, grazie a uno dei tre procedimenti previsti dalla legge, ma in tale evenienza dovranno rispettare il termine di dodici mesi. Come si è osservato in precedenza, il legislatore ha altresì regolamentato specificamente l’ipotesi in cui i coniugi si sono rivolti all’autorità giudiziaria per dar luogo ad una separazione giudiziale ma in corso di causa hanno trovato un’intesa sulle varie condizioni determinando la trasformazione della separazione da giudiziale in consensuale. A riguardo di tale caso, trova applicazione il termine breve di sei mesi e non quello di dodici mesi, rilevando esclusivamente che la separazione si sia conclusa consensualmente (art. 1, l. n. 55/2015). In sintesi: la via giudiziale e quella stragiudiziale sono individuate di volta in volta dalle parti e percorribili in presenza dei relativi presupposti per ciascuna di esse fissati dalla legge ed è in relazione alla conclusione della via intrapresa per la separazione che si determina il tempo per avanzare la domanda di divorzio. Questo implica che venga effettuato un controllo sui tempi intercorrenti tra separazione e divorzio, dal momento che essi sono distinti in base al tipo di separazione, controllo che viene rimesso a soggetti diversi, in ragione del tipo di divorzio prescelto dai separati. Infatti allo stato attuale vivono nel sistema quattro tipi di procedimento di divorzio: quello giudiziale, quello su domanda congiunta, quello attraverso la negoziazione assistita dinanzi

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agli avvocati con controllo del pubblico ministero quello per accordo avanti al sindaco. Per ciascuno di essi vanno individuati i soggetti deputati al controllo (di tipo formale) sul maturato tempo di separazione, giudiziale o su accordo dei coniugi (nelle sue varianti). Se la domanda di divorzio è rivolta all’autorità giudiziaria in via congiunta o giudiziale il controllo è rimesso al giudice, il quale se si avvede che se si è attivato il procedimento decorsi sei mesi sebbene la separazione sia giudiziale, dichiara l’inammissibilità della domanda. Se invece i coniugi separati si rivolgono agli avvocati per una convenzione di negoziazione assistita, per la soluzione consensuale di divorzio, il controllo pare demandato a più soggetti. Propriamente il primo controllo andrebbe effettuato dall’avvocato che in virtù dell’art. 2 della l. 164/2014, formula l’invito all’altro coniuge a stipulare la convenzione. Un secondo controllo andrebbe effettuato dall’avvocato del coniuge convocato alla stipula della convenzione matrimoniale il quale potrebbe segnalare la carenza di siffatto presupposto. Si tratta così di un compito affidato ai due professionisti che assolvono alla funzione di garantire le parti nel superamento del vaglio del pubblico ministero. Quest’ultimo difatti nel ruolo di garante dei garanti o controllore dei garanti, è tenuto a rilasciare il nulla osta nell’evenienza in cui non ci sono figli o l’autorizzazione nell’evenienza in cui ci sono i figli e in ambedue i casi, sulla base dei documenti allegati dalle parti, dovrà effettuare anche un controllo circa il rispetto del tempo minimo di ininterrotta separazione.

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Se invece i coniugi separati intendono, in presenza dei relativi presupposti, divorziare attraverso il procedimento municipale, è l’ufficiale dello stato civile a dover effettuare anche detto controllo, il che implica che le parti evidenzino di quale tipo di separazione hanno usufruito ed altresì che ciò sia attestato nell’atto che recepisce l’intesa siglata dai coniugi. In tale evenienza il termine decorre dal secondo incontro dinanzi al Sindaco giacché l’accordo si perfeziona solo a seguito del secondo passaggio, e solo dopo la conferma da parte dei coniugi (separandi o separati) e la relativa seconda sottoscrizione, l’ufficiale di stato civile provvede ai necessari adempimenti, come dalla circolare n. 19/2014. Da ultimo il coordinamento tra la disciplina transitoria di cui all’art. 3 della legge in commento e il d.l. n. 132/2014 convertito poi in legge, consente alle parti di usufruire delle riduzioni temporali introdotte sia se gli accordi sono stati siglati anteriormente all’entrata in vigore della nuova legge, sia se in tale data le relative procedure pur avviate non sono giunte a conclusione. La riduzione del tempo di separazione per chiedere il divorzio non porrà problemi di raccordo tra il procedimento di separazione e quello di divorzio ove la separazione sia consensuale. Se i coniugi vi pervengono mediante una delle nuove procedure non potranno domandare il divorzio prima della loro conclusione giacché l’art. 3 della l. div. come modificato dal d.l. n. 132/2014 prevede che il termine di ininterrotta separazione minimo decorre dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data

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dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile . 46

Parimenti se la coppia ha seguito il procedimento di cui all’art. 711 c.p.c. giacché il medesimo l’art. 3 l. div. richiede il decreto di omologazione dell’accordo tra i coniugi. L’unica evenienza rispetto alla quale può prospettarsi una sovrapposizione di fasi (e dunque una possibile alterazione del rapporto di successione cronologica tra separazione e divorzio) è quella in cui la separazione e il divorzio seguono il binario giudiziale. Con la l. n. 55/2015 non sarà più necessario attendere tre anni dall’avvenuta comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale: grazie alla nuova normativa, saranno sufficienti 12 mesi dalla comparizione davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale o 6 mesi nell’ipotesi di separazione consensuale, anche qualora il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale. La norma interviene anche sull’art. 191 c.c., aggiungendo un nuovo comma nell’ipotesi di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglierà nel momento in cui il tribunale autorizzerà i coniugi a vivere separati , oppure alla 47

data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché

D’ALESSANDRO, La fase decisoria, in Trattato della separazione e 46

divorzio, cit., Cap. VII, par. 1

PALOMBO, VACCARO, (a cura di), Divorzio breve e negoziazione 47

assistita, Arceri, (a cura di), Per lo scioglimento della comunione legale sentenza di separazione senza più rilievo, cit., 14

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omologato. In più, l’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione. Inoltre l’art. 3 l. n. 55/2015 prevede l’applicabilità di queste nuove disposizioni anche ai procedimenti in corso al 26 maggio 2015, data di entrata in vigore della legge, compresi i casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla stessa data.

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CAPITOLO SECONDO

- Aspetti giuridici e sociali per la tutela dei minori -

2.1 L’autorità giudiziaria per la tutela del minore e della famiglia

Con l’entrata in vigore il 1 gennaio 2013 della legge n. 219/2012 sul riconoscimento dei figli naturali, il legislatore non ha soltanto provveduto in linea generale a parificare i figli nati al di fuori del matrimonio con quelli nati all’interno del matrimonio colmando in questo modo una grande lacuna culturale e giuridica, ma è andato ben oltre, prevedendo una serie di norme sostanziali e processuali, la più significativa delle quali prevede lo spostamento dal Tribunale per i minorenni al Tribunale ordinario, della competenza in merito ai procedimenti relativi ai rapporti fra genitori conviventi e figli, e di tutti i procedimenti civili relativi allo stato delle persone. A seguito della riforma, spettano al Tribunale ordinario tutte le procedure concernenti, l'affidamento e il mantenimento dei figli in ipotesi di separazione dei genitori, siano essi nati all’interno o fuori dal matrimonio (art. 155, 317 bis c.c.), nonché i provvedimenti, concernenti la limitazione della potestà genitoriale se è incorso, tra i genitori, giudizio di separazione o divorzio (art. 333 c.c.) o di regolamentazione dell'esercizio della potestà (art. 317 c.c.). I Tribunali ordinari sono stati dunque investiti di tutta una serie di competenze civili relative ai minori e alla famiglia, senza avere, nella maggior parte dei casi, la possibilità di garantire l’esclusività delle funzioni e la specializzazione dei magistrati;

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contrariamente il Tribunale per i minorenni che nell’assicurare un’adeguata trattazione di materie particolarmente delicate riguardanti i minori e la famiglia, si avvale di magistrati onorari appartenenti al campo della pedagogia, pediatria, psicologia, psichiatria e assistenza sociale. Se il nuovo assetto normativo rappresenta, specialmente con l’equiparazione dello status di figlio naturale a quello legittimo, un fondamentale passo in avanti nella tutela del minore e della famiglia, continuano tuttavia a permanere nel sistema generale di tutela dei minori, evidenti disfunzioni, alcune delle quali derivano dal fatto che per lo stato, la tutela del minore in campo civile è affidata nell'ordinamento italiano a tre diverse autorità giudiziarie: il Tribunale ordinario, il Tribunale per i minorenni e il Giudice tutelare presso il Tribunale ordinario. A seguito della riforma, la distribuzione delle competenze tra il Tribunale ordinario e il Tribunale dei minorenni è stata completamente ridisegnata . 48

La legge sul riconoscimento dei figli naturali definendo l'equiparazione dello status dei figli naturali a quello dei figli 49

PICARO, Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto, 48

Torino, 2013, 270 ss.; ARGESE, Figli: ripartizione di competenza fra Tribunale per i Minorenni e Tribunale Ordinario, 2013, altalex.com, 10 marzo 2015

SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 230 “Concetto di status: 49

rapporto che lega giuridicamente la persona ad una comunità, nella specie quella familiare. Quindi dopo che il bambino ha acquisito lo stato di figlio o nato nel matrimonio o fuori da esso, o contro esso, il concetto di famiglia matrimoniale e non matrimoniale assume caratteristiche identiche”.

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legittimi, ed eliminando le disparità di trattamento che persistevano nell'ordinamento verso i figli nati dentro e fuori dal matrimonio, ha corretto il dualismo della tutela che sino a oggi aveva caratterizzato il nostro ordinamento il quale, in tema di affidamento e mantenimento della prole, prevedeva la competenza del Tribunale per i minorenni per i figli naturali e del Tribunale ordinario per i figli legittimi . 50

Se, dunque, l'Italia ha dato piena attuazione ai principi più volte affermati dalla Corte costituzionale e dalle normative sovranazionali in tema di giustizia, però è innegabile che la recente riforma presenta un aspetto controverso, rappresentato dallo spostamento di competenze a favore del Tribunale ordinario per tutti procedimenti relativi all'affidamento di minore, sottratti alla competenza del tribunale per i minorenni. La modifica delle competenze, pur essendo giustificata dall'esigenza di coerenza giuridica e culturale della riforma, posto che l'effettiva equiparazione della filiazione naturale a quella legittima imponeva un'equiparazione non solo sul piano sostanziale, ma anche su quello processuale, rappresenta tuttavia un pericoloso arretramento nel sistema di tutela del minore. Se è evidente, infatti, che i problemi della famiglia si ripercuotono sul minore e viceversa, in una interconnessione inestricabile, è altrettanto evidente che scindere l'intervento sui problemi del minore dall'intervento sui problemi della famiglia

SESTA, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni 50

famigliari, in AA.VV., La riforma della filiazione. Le nuove disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, 2013, 231

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significa rinunciare a garantire strumenti autenticamente efficaci. Questa controversa distribuzione di competenze non tiene conto del fatto che il rapporto familiare è unico e mal tollera di essere frazionato in compartimenti stagni; inoltre, è innegabile che il Tribunale ordinario deve occuparsi anche di tante altre materie diverse e a causa dell'eccessivo carico di lavoro, certamente non può dedicare ai temi della famiglia e all'ascolto del minore quell’attenzione che, invece, viene garantita dal Tribunale per i minorenni il quale, come organo specializzato che si avvale della collaborazione di esperti, assicura un approccio necessariamente multidisciplinare ai delicati temi familiari. Nonostante le competenze tra le diverse autorità giudiziarie che intervengono a tutela del minore siano, in teoria, ripartite in maniera precisa, di fatto accade frequentemente che sia il Tribunale ordinario che il Tribunale per i minorenni si occupino contemporaneamente della stessa questione attinente l'affidamento dei figli. Capita che le parti non soddisfatte dal tenore del provvedimento emesso dal Tribunale ordinario in tema di affidamento dei figli, adiscano il giudice minorile prospettando un comportamento dell'altro genitore tale da configurare un'ipotesi di decadenza dalla potestà e chiedendo, per tale verso, una radicale modifica del regime di affidamento dei figli, già disposta dal Giudice ordinario. Altro esempio tipico di interferenza tra i due organi giudiziari è l’ipotesi dell'inosservanza, da parte di uno dei genitori, delle prescrizioni concernenti la prole emesse dal giudice della

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separazione o del divorzio inerenti l'affidamento dei figli e la facoltà di visita. Accade infatti frequentemente che uno dei genitori, normalmente il cosiddetto genitore affidatario o collocatario, non consente o di fatto inibisce, spesso con le motivazioni più pretestuose, qualsiasi frequentazione tra il minore e l'altro genitore. Poiché si tratta senza dubbio di una condotta ingiustificabile che, oltre a porsi in contrasto con una decisione giudiziaria, appare lesiva dell'interesse del minore, è evidente che la stessa, ove accennata, può dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla potestà, di esclusiva competenza del Tribunale per i minorenni. Si assiste così a una strumentalizzazione del ricorso per la decadenza della potestà genitoriale, utilizzato da uno dei genitori contro l’altro in maniera palesemente pretestuosa, per ragioni che non attengono tanto al rapporto genitore-figlio quanto piuttosto ai rapporti e conflitti tra gli ex coniugi. Il genitore che si è già rivolto al Tribunale ordinario senza ottenere una modifica a sé favorevole della disciplina dell'affidamento, si rivolge al Tribunale per i minorenni invocando pretestuosamente la decadenza dalla potestà genitoriale dell'altro genitore, per ottenere ciò che non ha ottenuto nella competente sede giudiziaria . 51

Da molti anni, è avvertita la problematica delle interferenze tra le decisioni del Giudice ordinario circa l’affidamento dei figli

BISCIONE, PINGITORE, Separazione, divorzio e affidamento. Linee 51

guida per la tutela e il supporto dei figli nella famiglia divisa, Chiodo, (a cura di), Affidamento condiviso: risorse, limiti e problematiche, Milano, 2013, 26

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minori nei procedimenti di separazione personale tra coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le decisioni eventualmente assunte, nei confronti degli stessi soggetti, dal Giudice minorile in materia di potestà genitoriale. La vigente distribuzione delle competenze non assicura la tutela del minore, e che in particolare la stessa appare di difficile comprensione nei casi in cui si realizzi un pregiudizio per il minore nell’esercizio della potestà genitoriale. La distribuzione di competenze attualmente vigente tra i vari organi giudiziari è alquanto eccessiva. Per non avere interferenze tra il Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, nei procedimenti di separazione o divorzio, le decisioni prese dal Tribunale ordinario non dovranno essere modificate dal Tribunale per i minorenni. Solo così si evita il meccanismo della corsa al giudice diverso per ottenere una decisione diversa e il rischio di moltiplicare le sedi del conflitto, con conseguente contraddittorietà di decisioni che nuoce alla certezza del diritto, alla tutela del minore il quale, al contrario, ha bisogno di una decisione chiara, definitiva e adottata in tempi brevi. Deve inoltre rimanere intatto, anche in favore del figlio di separati o divorziati, il sistema di protezione che fa capo al Tribunale per i minorenni, in quanto organo specializzato, contro i comportamenti pregiudizievoli dei genitori. La dispersione delle competenze tra Tribunale minorile e Tribunale Ordinario ha finora costituito un grave pregiudizio per la giurisdizione civile in materia di stato e capacità della persona e della famiglia, determinando numerosi e rilevanti inconvenienti, sovrapposizioni, contraddizioni, o quantomeno

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disagi e allungamenti, in pregiudizio dell’interesse degli utenti a ottenere provvedimenti univoci in tempi congrui. E’ auspicabile una razionalizzazione del sistema, unificando tutte le competenze in materia familiare in un unico organo giudiziario specializzato. Ci sono state varie proposte di riforma ordinamentale della giustizia minorile , mediante l’unificazione delle competenze 52

nel Tribunale per la famiglia e i minori, specializzato, con funzioni esclusive e dislocato in ogni circondario, che unifichi le competenze relative ai diversi e plurimi procedimenti riguardanti i minori, i procedimenti riguardanti l’affidamento dei figli nella separazione coniugale e nella cessazione della convivenza nelle coppie di fatto e relative questioni economiche. La costituzione di un organo unico, da tempo invocato, dovrebbe trattare i problemi legati alla famiglia a 360°,

d.d.l. 14 marzo 2002, n. 2517, (Misure urgenti e delega in materia di 52

diritto di famiglia e dei minori), senato.it, 2 aprile 2015; “Nella relazione che accompagna questo disegno di legge, presentato il 14 marzo dello scorso anno dai ministri Castelli e Tremonti, si legge che l'esigenza di riformare il diritto della famiglia e dei minori nasce dalle "disfunzioni" che traggono origine dalla suddivisione delle competenze tra il tribunale ordinario, il tribunale per i minorenni ed il giudice tutelare. L'unificazione delle competenze presso le istituende sezioni specializzate per la famiglia e per i minori, si legge nel testo della relazione, raggiunge l'obiettivo sia di porre termine ai contrasti ed alla parcellizzazione delle competenze, sia di garantire una specializzazione del giudice in una materia vasta e delicata come quella in esame”.

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sanando tutte le disfunzioni tra i relativi Tribunali in questione e assicurando al minore interventi realmente utili e tempestivi. Il Tribunale della famiglia e dei diritti della persona ha come principale obiettivo di procedere a una definitiva unificazione delle competenze in materia di famiglia, di minori, adozioni, separazioni e divorzi in un'unica struttura organizzativa, nella quale far confluire le professionalità di un pool di giudici specifici formatisi anche dall'esperienza del tribunale dei minorenni, per un settore complesso che merita una particolare attenzione a livello giuridico e psicologico. L’istituzione di un Tribunale unico sul diritto di famiglia potrebbe dare un’immagine di chiarezza e trasparenza al cittadino che in un momento di grande difficoltà della propria vita si trova catapultato in un sistema normativo sostanziale e processuale confuso e frammentario. L’istituzione di tale organismo unitario risolverebbe alla radice il problema della dispersione delle competenze perché si eviterebbero inutili duplicazioni di giudizi e rischi di contrasti interpretativi, si permetterebbe una migliore razionalizzazione delle risorse e si creerebbe una specifica competenza in materia di diritto di famiglia; in particolare, farebbe venir meno la dubbia scissione delle competenze sull’affidamento dei figli minori in caso di separazione o divorzio, da quelle relative all’affidamento dei figli di genitori non coniugati e verrebbero risolti i problemi di competenza, come quello sulle conseguenze dell'attribuzione al Giudice ordinario anche dei provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale. Parallelamente alle proposte presentate nelle ultime legislature in merito ad un unico organismo giudiziario per la relativa tutela del minore e della famiglia, presentando idee per

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eliminare i Tribunali dei minori e conseguentemente creando sezioni specializzate presso i Tribunali e le Corti d’appello è valutabile tanto quanto propendere per una certa coesistenza con i Tribunali dei minori dove quest’ultimi, in ragione dell’attribuzione di competenze s’interessano solo del settore penale. Elenco dei princìpi e criteri direttivi generali per l’istituzione delle sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia presso i tribunali e le Corti d’appello : 53

a) istituire una sezione specializzata in materia di persone e di famiglia presso ogni tribunale e presso ogni Corte d’appello, tenuto conto della nuova distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari ; 54

b) trasferire alle sezioni specializzate di cui alla lettera a) le competenze giurisdizionali civili e le competenze amministrative in materia di famiglia, di minori, di stato e capacità della persona, e di stato civile attualmente attribuite al tribunale per i minorenni, al giudice tutelare e ai tribunali ordinari;

art. 2, d.d.l. 29 maggio 2012, n. 3323, (Delega al Governo per 53

l’istituzione presso i Tribunali e le Corti d’appello delle sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia)

art. 2 ss., l. 14 settembre 2011, n. 148, (Conversione in legge, con 54

modificazioni, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari), normattiva.it, 3 aprile 2015

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c) prevedere che i magistrati assegnati alle sezioni specializzate di cui alla lettera a) siano incaricati della trattazione dei soli affari di cui alla lettera b); d) prevedere che le sezioni specializzate di cui alla lettera a) siano composte esclusivamente da giudici togati e che ai fini dell’individuazione dei magistrati da designare per comporre le sezioni specializzate sia riconosciuta preferenza ai magistrati che abbiano svolto per almeno due anni funzioni di presidente o di giudice nei procedimenti in materia di famiglia, di giudice tutelare o funzioni di presidente o di giudice del tribunale per i minorenni; f) prevedere l’istituzione di un gruppo di lavoro specializzato per la famiglia e le persone presso le procure della Repubblica; Sarebbe auspicabile entro un breve periodo l’istituzione di un Tribunale unico sul diritto di famiglia, un unico centro giudiziario che possa decidere su separazioni, divorzi, adozioni, affidi, coppie miste, reinserimento di minori che hanno commesso crimini, perché negli ultimi anni, il quadro sociale della famiglia si è trasformato, si è evoluto, in termini di unioni e di scelta del partner, a fronte però di un'organizzazione giudiziaria che è rimasta ancora oggi troppo frammentata . In conclusione l’istituzione di un Tribunale unico per la famiglia non è che il primo passo verso il riconoscimento di una materia che è sempre più un universo a sé stante in quanto coinvolge la persona nel suo complesso patrimoniale e psicologico e che, quindi, va trattata da giudici specializzati togati o onorari e da avvocati consapevoli anche della propria funzione sociale in tale settore.

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2.2 L’ascolto del minore

Uno dei comportamenti più frequenti riguarda il rifiuto e/o la difficoltà del figlio ad incontrarsi con il genitore non affidatario, talvolta a seguito di azioni di convincimento da parte del genitore affidatario volte a dimostrare l’incapacità dell’altro genitore a prendersi cura del figlio. Le conseguenze di tali accuse sono particolarmente gravi, in quanto il riconoscimento ufficiale del disinteresse e delle trascuratezze di un genitore comporta per il figlio un’ingente perdita di autostima. Autostima costruita sulla consapevolezza di essere amato dal genitore e sulla necessità di identificarsi con lui. Se poi il conflitto si manifesta in famiglie separate con figli adolescenti, è necessario ricordare che l’adolescente, ancor più del bambino, non è un soggetto che percepisce passivamente le iniziative altrui, bensì è capace di tattiche e strategie autonome ampiamente correlate al “gioco familiare”. Una relazione positiva dopo il divorzio, improntata alla cooperazione parentale e all’esercizio congiunto delle funzioni genitoriali, tende a ridurre la probabilità per i figli di essere in balia di una frustrazione psicologica dei propri sentimenti con ambedue le figure genitoriali.

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Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea , 55

l’art. 24 afferma che “i bambini hanno diritto alla protezione ed alle cure necessarie per il loro benessere...” e che “in tutti gli atti... l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente...” . 56

Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000/C 364/01), 55

Nizza, 7 dicembre 2000, in G.U. Comunità Europee, 18 dicembre 2000; “La Carta dei diritti fondamentali riconosce una serie di diritti personali, civili, politici, economici e sociali dei cittadini e dei residenti dell’UE, fissandoli nella legislazione dell’UE. Nel dicembre 2009, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, è stato conferito alla Carta lo stesso effetto giuridico vincolante dei trattati. La Carta riunisce in un unico documento i diritti che prima erano dispersi in vari strumenti legislativi, quali le legislazioni nazionali e dell’UE, nonché le convenzioni internazionali del Consiglio d'Europa, delle Nazioni Unite (ONU) e dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Grazie alla visibilità e alla chiarezza che la Carta conferisce ai diritti fondamentali, essa contribuisce a creare la certezza del diritto nell’UE”.

art. 24, Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, cit. “1. I 56

bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. 3. Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”.

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Per questo motivo è importante agire nei confronti dei figli dando loro la possibilità di esprimersi, di spiegare i loro pensieri allentando la paura di abbandono o di scarsa protezione che fanno di loro persone fragili e indifese. La Convenzione di New York ha riconosciuto al minore il diritto 57

all’ascolto ed alla completa partecipazione nei processi che lo riguardano, a seconda della capacità di discernimento dello stesso; la portata normativa di tale Convenzione è stata dichiarata immediatamente precett iva dalla Corte Costituzionale . Questa Convenzione ha direttamente 58

influenzato le modifiche previste dalla normativa nelle procedure di adozione nazionale e internazionale, soprattutto alla luce del suo carattere self – executing, ovvero dell’immediata efficacia nel diritto interno, affermata dalla citata sentenza della Corte Costituzionale che ha integrato, in via esegetica, la disciplina dell’art. 336, comma 2, c.c., nel senso di individuare il minore come parte sostanziale del procedimento azionato contro uno dei due genitori. La stessa Convenzione di Strasburgo prevede che al minore 59

vanno riconosciuti il diritto di ricevere tutte le informazioni, il diritto ad essere consultato e ad esprimere la propria opinione nel corso della procedura, di essere informato sulle possibili

art. 12, l. 27 maggio 1991, n.176 (Ratifica ed esecuzione della 57

convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989)

Corte Cost., 16 gennaio 2002, n. 1, in infoius.it, 8 aprile 201558

legge 20 marzo 2003, n. 77, (Ratifica ed esecuzione della Convenzione 59

europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996), camera.it, 8 aprile 2015

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conseguenze delle aspirazioni manifestate e delle sue decisioni e il diritto di chiedere la designazione di un rappresentante speciale nei procedimenti che lo riguardano, ogni qualvolta sussiste un conflitto d’interessi con i genitori; La Convenzione prevede poi, un vero e proprio “ascolto informato” del minore , con la specificazione di dettagliati criteri guida di 60

esaustività dell’ascolto: più precisamente, il giudice deve informare in maniera preventiva il minore delle istanze dei genitori nei suoi riguardi e, dopo averlo consultato personalmente sulle eventuali statuizioni da emettere, deve indicare nella propria decisione le fonti delle informazioni, sulla base delle quali è pervenuto alle conclusioni che hanno giustificato il provvedimento adottato, anche in forma di decreto, tenendo conto dell’opinione espressa dal minore, salvo che l’ascolto o l’audizione siano dannosi per i suo interesse superiore. L’importanza dell’audizione è stata, peraltro, ribadita nelle “Linee guida del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di bambino”, rimarcando il diritto del minore ad avere la possibilità di esprimere la propria opinione nell’ambito dei procedimenti che lo riguardano. Viene poi ribadito in modo cogente, il diritto del minore di essere ascoltato: i giudici

art. 6, Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, cit.60

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dovrebbero rispettare il diritto dei minori ad essere ascoltati in tutte le questioni che li riguardano . 61

L’ascolto del minore affonda le sue radici nei principi costituzionali espressi dall’art. 2 della Costituzione (sotto il profilo dell’affermazione del primato della dignità della persona) ed in quelli in tema di relazioni familiari e tutela della filiazione riportati negli artt. 29-30, Cost. Antecedentemente alla legge che ha istituito l’affidamento condiviso l’audizione dei figli minori era prevista in termini di “possibilità” e comunque sottoposta alla valutazione del giudice secondo quanto scritto nell’art. 6, comma 9, l. n. 898/1970. L’art. 155 sexies c.c., rappresenta il primo passo di codificazione nel diritto sostanziale della partecipazione del minore nei procedimenti che lo vedono coinvolto: prima dell’emanazione anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’art.155 c.c., il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto dodici anni e anche di età

SESTA, manuale di diritto di famiglia cit., 255; “L’Italia ha ratificato con 61

la l. n. 176/1991, l’art 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo (New York - 1989); con la l. n. 77/2003 ha ratificato la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, firmata a Strasburgo nel 1996; con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona divenuta vincolante la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, firmata a Nizza nel 2000. Il diritto d’ascolto è anche riconosciuto dall’art. 337 octies c.c. che sostituisce l’art. 155 sexies c.c. introdotto dalla legge 54/2006, oggi abrogato”; Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 17 novembre 2010, Linee Guida per una Giustizia a misura di bambino, 2010, sez. III, A - IV, D, 3

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inferiore ove capace di discernimento. Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 c.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli. Con la legge n. 219/2012 è stato introdotto nel codice civile l’art. 315 bis il quale al comma 3, ha stabilito che: il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano (art. 315 bis, comma 3, c.c.). Con questo articolo si è introdotto nel tessuto codicistico, in materia di filiazione, una norma che riconosce una maggiore “centralità” al ruolo del minore sia all’interno del processo, estendendo le possibilità di ascolto del minore a tutti i procedimenti che lo riguardano, sia nella relazione con i genitori, introducendo e, nel contempo, rafforzando il concetto di “responsabilità genitoriale. Questo articolo rappresenta, in qualche modo, il grimaldello normativo teso a scardinare definitivamente l’idea, assai diffusa purtroppo tra molte coppie di genitori italiani, di sentirsi padroni dei figli; una rivoluzione culturale necessaria perché proprio nella fase patologica e conflittuale della loro unione, coniugale o di fatto che sia, i figli diventano meri oggetti da contendersi e perfino da espropriare, un bottino di guerra da conquistare, l’escamotage per ottenere l’assegnazione della casa coniugale o l’assegno di mantenimento o, comunque, per acquisire maggiore potere nel conflitto in atto, o da usare, perfino, come armi di belligeranza occulta nell’ambito di una separazione consensuale o di un divorzio congiunto. Oggi, il nuovo art. 315

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bis c.c. estende l’ascolto del minore ad ogni procedimento che riguarda la prole minorenne, a prescindere dall’oggetto. L’articolo ha dunque, una valenza generale, con l’effetto di rendere di fatto superflue, quindi tacitamente abrogate, le disposizioni preesistenti, nonché un ambito di applicazione trasversale, operando anche nei casi in cui l’ascolto del minore non sia espressamente previsto, ancorché si controverta dei suoi diritti e dei suoi interessi. Va sottolineato il valore del contenuto dell’art. 315 bis c.c. in cui, diversamente dall’art. 155 sexies c.c. in cui si parla di dovere del giudice a disporre l’audizione, si afferma il diritto sostanziale del minore ad essere ascoltato, riconoscendo con forza un vero e proprio diritto: il figlio minore che abbia compiuto dodici anni, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Corre l’obbligo di rilevare, peraltro, che il legislatore non a caso abbia fatto riferimento per la prima volta “all’ascolto” del minore e non alla mera “audizione” del minore o all’atto processuale del “sentire” il minore. E’ questa una differenza

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terminologica non trascurabile, poiché sottende una differenza di significato importante . 62

Ed invero, il termine “audizione” richiama l’idea di un atto processuale ben preciso, in cui il minore si presenta al giudice che lo interroga liberamente, prendendo nota di ciò che egli spontaneamente afferma e traendo, quindi, le proprie conclusioni. Il “sentire” è un recepire asettico, funzionale alla raccolta di informazioni utili per il procedimento e utilizzabili in esso e sottolinea, per l’appunto, l’aspetto tecnico-processuale.

SESTA, ARCERI, (a cura di), L'affidamento dei figli nella crisi della 62

famiglia, in Nuova Giurisprudenza di diritto civile e commerciale, Collana fondata da W. Bigiavi, Torino, 2012; 833; Cass. civ, sez I, 27 luglio 2007, n. 16753, in Dir e Giust., 2007; “l’audizione del minore riceve una consacrazione normativa indiscutibile nell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo e la sua esclusione, oltre che per la valutazione di non idoneità del minore a renderla (per età o stati psichici particolari), deve essere correlata soltanto al rischio che la stessa audizione, per quanto protetta, rechi danni gravi alla serenità del destinatario (…) pur involgendo l’aspetto delle modalità dell’ascolto del minore profili inevitabilmente rimessi alla discrezionalità del giudice del merito procedente (Cass., sez I, 4 aprile 2007, n. 8481) l’audizione, intesa come strumento per raccogliere le opinioni del minore avente un discernimento sufficiente e per dare forma al diritto dello steso di partecipare alla sua tutela attraverso un interlocutore che lo ascolta e che lo considera in ciò che di ce, postula che il minore riceva le informazioni pertinenti ed appropriate con riferimento alla sua età e al suo grado di sviluppo, a meno che tali informazioni cuociano al suo benessere”.

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“Ascoltare” significa prestare attenzione alle esigenze del minore, alle sue idee, ai suoi desiderata ed all’interesse partecipativo che questi ha alla vicenda dei genitori, identifica la disponibilità del Giudice a modificare le proprie opinioni a seguito dell’ascolto e tutto questo deve poter avvenire in un contesto adeguato. Si può anche ascoltare il silenzio, poiché anche il silenzio consente di recepire un messaggio ben preciso che con tale comportamento il minore vuole trasmettere ovvero un disagio interiore. L’ascolto, non è dunque, un mezzo istruttorio, poiché attraverso di esso si realizza il diritto del minore a far sentire la propria voce, consentendo al Giudice di conoscere il destinatario delle proprie decisioni e di modulare tali decisioni, tenendo conto delle sue opinioni. L’ascolto, pertanto, si differenzia anche dalla testimonianza, in quanto non è rivolto all’accertamento dei fatti, bensì alla persona del minore, costituendo una manifestazione di opinioni e di emozioni, estrinsecandosi in una attività con finalità di comprensione partecipe. Sulle modalità dell’ascolto la legge n. 219/2012 non prevede nulla: si è limitata a delegare il Governo a disciplinare, con un decreto legislativo da emanare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, le modalità di esercizio del diritto all’ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento, precisando che, ove l’ascolto sia previsto nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, ad esso provvede il Presidente del Tribunale o il Giudice Delegato. L’ascolto del minore è un momento determinante per la vita dello stesso e dei suoi genitori sia nei procedimenti civili minorili (adozione e responsabilità genitoriale, salve le

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attribuzioni di competenza al Tribunale Ordinario), sia nei procedimenti di separazione e di divorzio che in quelli relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli di genitori non coniugati, oggi di competenza del Tribunale Ordinario. Dunque è la tutela del supremo interesse del minore a dover guidare i Giudici nel valutare l’opportunità del suo ascolto; una valutazione di opportunità che tiene conto dell’età, della capacità di discernimento e della valutazione del presumibile pregiudizio derivante dal coinvolgimento emotivo del minore nella controversia tra i genitori . La legge n. 219/2012, che 63

resta sempre fondamentale ai fini della codificazione del diritto all’ascolto del minore, ha perso l’occasione per stabilire in maniera chiara e univoca quali sono i criteri che il giudice deve seguire ai fini, del suo giudizio in ordine all’opportunità dell’ascolto del minore, nonché delle modalità di ascolto, obbligando i Tribunali a dotarsi di protocolli d’intesa ispirati al principio della minima “offensività”. L’assenza di criteri condivisi, la diversità delle prassi, l’incertezza se realizzare una

LOVATI, Affidamento condiviso dei figli: luci ed ombre della nuova 63

legge, in Riv. critica dir. priv. 2006, 165 ss.; TOMMASEO, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, in Fam. e Dir., 2007, 412; GRAZIOSI, Profili processuali della l. 54/2006 sul c.d. affidamento condiviso dei figli, in Dir. Fam., 2006, 1856 ss; Cass., 15 marzo 2013, n. 6645, in Dir. Giust., 2013, I°; DOSI, Le nuove norme sull’affidamento e mantenimento dei figli, in Dir. e Giust., 2006, Suppl., 23, 96; “volendo dare alla orma una interpretazione ragionevole, non vi è motivo di ritenere che ove l’audizione non si presenti necessario per esempio in assenza di un contenzioso sul punto dei genitori il giudice possa anche ometterla”.

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modalità di audizione diretta o indiretta, l’opportunità o meno della presenza dei genitori o dei difensori, la necessità di valutare procedure differenziate in base all’età dei bambini e/o della gravità del conflitto a cui si aggiungono problemi concreti connessi al funzionamento dei tribunali, quali il sovraccarico di procedimenti, la mancanza di ambienti appropriati all’ascolto nonché la consapevole necessità di competenze specifiche da perfezionarsi e costruirsi nella collaborazione interpersonale, danno l’idea di una scarsa interconnessione tra i vari organismi giurisprudenziali. L’orientamento che si sta profilando nei Tribunali Ordinari è che l’ascolto del minore viene disposto in base al livello di conflittualità e alla età del fanciullo per decidere se procedere autonomamente all’audizione ovvero affidare l’incarico a terzi . 64

Presso i Tribunali per i minori sono consueti certi procedimenti di valutazione dell’ascolto del minore che nel tempo hanno sempre visto l’intreccio di figure specialistiche, anche il filtro del Giudice onorario costituisce un elemento strutturale che si inserisce in un sistema in cui l’ascolto del minore è “familiare” agli operatori processuali ma in realtà non è familiare ai magistrati presso i Tribunali ordinari che si trovano a dover fare i conti con incombenze procedurali “nuove” rispetto all’audizione del minore. Non si può negare che l’ascolto dei figli minori nelle controversie separative può costituire un’esperienza emotivamente complessa e difficile non solo per loro stessi ma anche per i Giudici ai quali si richiede un’attitudine relazionale

LEGATI, L’ascolto del minore nella crisi coniugale, seminario 30 64

settembre 2013, 8

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e una capacità di decodifica dei messaggi verbali e non verbali che percorrono una comunicazione capace di accogliere emotivamente il minore. Si tratta quindi di un percorso rischioso in cui sono necessarie competenze tecniche di comunicazione. A ciò si aggiungono le difficoltà logistiche in cui operano, con grandi sforzi, i Tribunali, il sovraffollamento delle aule destinate alle udienze, la mancanza di locali adeguati ad accogliere un minore senza perturbarlo minimamente. Il primo e il secondo aspetto sono strettamente collegati. Dopo l’introduzione nel codice civile del citato art. 155 sexies, la Corte di Cassazione , ha affermato che si deve ritenere 65

necessaria l’audizione del minore del cui affidamento deve disporsi, salvo che tale ascolto possa essere in contrasto con i suoi interessi fondamentali e dovendosi motivare l’eventuale assenza di discernimento dei minori che possa giustificarne l’omesso ascolto. Nella fattispecie oggetto dell’intervento delle Sezioni Unite, la Suprema Corte ha affermato che l’audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori è divenuta obbligatoria con l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla giurisprudenza di legittimità. In cosa dovrà consistere l’ascolto del minore. Nel contesto giuridico, soprattutto nel caso di dispute genitoriali più o meno accese, chi ascolta il bambino deve tenere in considerazione la

Cass. civ., sez. un., 21 ottobre 2009 n. 22238, in Dir. Giust., 2009, 1065

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possibilità che alcune risposte fornite dallo stesso riflettano non tanto i vissuti o le sue idee o le sue opinioni, ma piuttosto, quelle di uno o di entrambi i genitori. Il condizionamento genitoriale può avvenire a vari livelli ed essere operato in modo più o meno intenzionale. E’ importante dunque, capire per chi ascolta il livello di autenticità di quanto raccolto, quanto del ricordo o del racconto del bambino sia intriso di convinzioni dettate dalla fervida fantasia, quanto del suo pensiero sia manipolato dalla tensione esistente fra i genitori, quanto sia deviato dal suo intrinseco e vero bisogno di protezione. A tal fine sarebbe necessario fare un salto logico: ovvero passare dall’ascolto del bambino minore all’ascolto del figlio, al fine di focalizzare l’attenzione sull’aspetto relazionale, sul vissuto, sul senso di continuità della trama di relazioni intrafamiliari in cui si inserisce ciascun figlio. Per capire bene quando il minore può essere ascoltato, è doveroso soffermarsi su cosa significa “capacità di discernimento”. In via generale, la capacità di discernimento si considera acquisita dopo i 12 anni, ma non è certo escluso che minori ben più piccoli, anche di 6-8 anni, possano rappresentare validamente la propria idea rispetto al loro mondo affettivo ed al genitore con il quale preferiscono stare più vicini. La configurazione di tale categoria è complessa e obbliga a restringere in categorie giuridiche ciò che per sua natura non ha confini prestabiliti. Mentre il concetto di maturità viene correlato alla capacità del minore di comprendere il significato anche morale dei propri atti delittuosi e di autodeterminarsi, il concetto di discernimento dovrà essere ancorato ai vissuti ed ai bisogni

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affettivi ed emotivi del minore ed alla sua capacità di comprenderli e di rappresentarli. Per tentare di dare una definizione della capacità di discernimento, rilevante ai fini giuridici, potrei identificarla con la capacità del minore di comprendere ciò che è utile per lui medesimo, ma anche come la capacità di operare delle scelte autonome senza subire l’influenza della volontà di altri soggetti; capacità che va valutata in tale duplice aspetto, avendo come parametri di riferimento la sua età e la sua maturità. Naturalmente, la difficoltà di riassumere in una categoria giuridica la capacità di discernimento del minore, dipende anche dal fatto che quando si assumono decisioni che concernono i minori ci si muove in un ambito multidisciplinare, in cui s’intrecciano principi della psicologia dello sviluppo, della psicologia clinica e relazionale e principi del diritto, secondo una trama non sempre chiara e ben definita. Non è peraltro agevole come possa il Giudice, prima di procedere all’ascolto del minore, accertare caso per caso la sua capacità di discernimento, senza aver avuto previamente alcun contatto con il minore medesimo. Una soluzione potrebbe essere quella di delegare i Servizi Sociali affinché redigano apposita relazione sul punto, previo accesso ai luoghi in cui il minore svolge la propria vita quotidiana. L’audizione del minore può essere esclusa ove costui non goda di capacità di discernimento ovvero laddove l’audizione stessa possa recargli nocumento, tenuto conto del caso concreto e di ogni altro elemento ricavabile dal procedimento. Ove la capacità di discernimento non sia desumibile dall’allegazione delle parti ovvero sia controversa la sussistenza del rischio di

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danni al minore in conseguenza dell’ascolto, il Giudice dovrà, in via anticipata, delegare i servizi sociali territorialmente competenti, affinché redigano apposita relazione sul punto, previo accesso ai luoghi in cui il minore stesso svolge la propria vita quotidiana. Il Giudice nell’ascolto del minore è chiamato ad un compito molto delicato che richiede capacità comunicative psicologiche e garantistiche. Il primo compito spettante al giudice è dare informazioni al minore sulla vicenda che lo riguarda, delle possibili conseguenze della sua opinione e della natura e del contenuto delle decisioni che verranno adottate; dovrebbe poi riportare fedelmente a verbale ogni parola pronunciata dal minore ivi compreso il gergo, le espressioni incorrette, colorite, dialettali o figurate senza alterarne il contenuto o la letteralità; inoltre deve farsi assistere da esperti di una determinata professione o arte e in generale da persona idonea al compimento di atti che egli non è in grado di compiere da solo (art. 68 c.p.c.). E’ estremamente necessario che il minore sia messo nella condizione d’interagire con spontaneità

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nell’ascolto da parte del giudice : dal punto di vista 66

processuale l’ascolto del minore non può essere assimilato a mezzo di prova, non essendo finalizzato ad acquisire mezzi istruttori, bensì a garantire il diritto del minore a esprimere i propri bisogni e desideri e nel contempo ad essere informato correttamente dal Giudice sui termini della controversia che lo riguarda, lontano da eventuali conclusioni ingenerate da parziali e soggettive informazioni somministrate dai genitori. Oltre alla modalità diretta di ascolto del minore, ci può essere anche un ascolto di tipo indiretto. Per ascolto indiretto, si intende l’ascolto delegato totalmente ad un ausiliario, anche nell’ambito di una Consulenza tecnica d’ufficio. In tal caso, l’ascolto del minore sarà inserito in un processo di valutazione più ampio e complesso, teso a valutare anche le competenze genitoriali; la consulenza si articolerà, infatti, in colloqui, sia individuali che congiunti, con entrambi i genitori, al fine di comprendere l’entità e le modalità attraverso cui si esprime il conflitto; in una indagine ambientale, relativa al contesto fisico

SESTA, ARCERI, L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, cit., 66

835; SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 258 “presenza in numerosi tribunali di aule d’ascolto, dotate di mezzi tecnici idonei alla salvaguardia dell’ascolto del minore: es. vetro specchio collegato ad impianto audio (art. 38 bis. disp. att. c.c.). I difensori delle parti, il P.M., e l’eventuale curatore del minore possono ascoltare ciò che il ragazzo racconta al Giudice, senza richiesta d’autorizzazione allo stesso, mentre i genitori non vengono menzionati. Questo protegge la libertà psicologica del figlio nel rispondere alle domande del Giudice, in quanto quest’ultimo ha l’obbligo d’informare il ragazzo che la conversazione non è segreta ed altri possono ascoltarla.”

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e relazionale in cui il minore è inserito, che comprende l’abitazione, la scuola che frequenta ed altri ambienti con cui egli è eventualmente a contatto, in particolare quello dei nonni; nel colloquio con gli insegnanti, al fine di comprendere il rapporto del minore con i propri compagni ed appurare se i comportamenti dello stesso sono cambiati o meno dopo la separazione dei genitori e se le problematiche familiari hanno inciso o stanno incidendo sul rendimento scolastico. Un’indagine, dunque, che consente una “lettura multiforme” della vita del minore nella famiglia, nel contesto scolastico e nel tempo libero, che culmina nell’ascolto del minore, teso ad esplorare i suoi desideri, i suoi bisogni ed i suoi vissuti rispetto alla separazione dei genitori, cogliendo non solo “cosa” dice e “come” lo dice, ma anche i messaggi impliciti, che possono derivare anche da un comportamento silente. In assenza di norme processuali che regolamentino in modo unitario ed uniforme le modalità dell’ascolto, da realizzarsi senza ledere in alcun modo il benessere del minore, si è assistito al proliferare di protocolli elaborati dai rappresentanti delle Magistrature con la collaborazione di professionisti ed esperti nel settore. Essi, pur senza assumere alcuna valenza precettiva, codificano prassi virtuose, per far sì che l’audizione nel processo costituisca per il minore un’effettiva opportunità di esprimere propri bisogni e desideri. Quello di Milano o di Vicenza ad esempio raccolgono una verbalizzazione sommaria dell’incontro con il minore, altri come quello di Roma, di Venezia, di Varese, considerano la verbalizzazione integrale e fedele dell’audizione, possibilmente video o audio-registrata,

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riportando anche le manifestazioni non verbali del minore . Di 67

regola viene garantito un contraddittorio anticipato e uno posticipato. In una apposita udienza, o comunque in un momento anteriore all’ascolto, il Giudice invita le parti a focalizzare le tematiche sulle quali il minore dovrà essere ascoltato, definendo le modalità di ascolto, in modo che possa essere individuata una procedura il più possibile condivisa e adattata alla peculiarità del caso specifico. Successivamente all’audizione, viene garantito un contraddittorio posticipato delle parti, mettendo tempestivamente a disposizione dei relativi difensori la documentazione del contenuto dell’audizione e a ciascuna parte va riconosciuto il diritto di formulare deduzioni, osservazioni e richieste istruttorie al riguardo. 2.3 L’affidamento del minore e la responsabilità genitoriale Quando vi è la rottura della coppia, uno dei principali problemi che sorgono riguarda l’affidamento dei figli minori. A tale proposito la legge prevede: 1) l’affidamento esclusivo 2) l’affidamento condiviso Nonostante la chiara preferenza accordata dalla legge all'affidamento condiviso, è comunque sopravvissuto anche l'affidamento esclusivo o mono-genitoriale, al quale il giudice può, in via eccezionale, ricorrere con provvedimento motivato

PALAMA’, Le nuove competenze del tribunale ordinario alla luce 67

dell’equiparazione tra figli legittimi e figli naturali, Le novità dell’art. 315 bis c.c.: l’ascolto del minore, (Relazione su), AMI-avvocati.it

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qualora ritenga che l'affidamento all'altro genitore sia contrario all'interesse del minore . 68

Sarà certamente applicabile l'affidamento esclusivo nei casi in cui uno dei due genitori realizzi dei comportamenti di abuso della potestà genitoriale o quando viola o trascura i relativi doveri, con conseguente pregiudizio del figlio minore, suscettibili di determinare la limitazione o, nei casi più gravi, la decadenza della potestà genitoriale. Parimenti, l'affidamento esclusivo rappresenterà una scelta obbligata nell'ipotesi in cui uno dei genitori, a prescindere da una sua responsabilità, versi in una condizione di oggettiva difficoltà che non gli consente di prestare al minore adeguato accudimento morale e materiale, come nel caso del genitore affetto da patologie psichiatriche o da dipendenza da droghe. A tale proposito, la cassazione ritiene che sulla regola 69

dell'affidamento condiviso dei figli può essere interpellata solo

BISCIONE-PINGITORE, Separazione, divorzio e affidamento. Linee 68

guida per la tutela e il supporto dei figli nella famiglia divisa, Chiodo, (a cura di), Affidamento condiviso: risorse, limiti e problematiche, cit., 19; SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 297; “E’ il Giudice a decidere quale condotta è contraria all’interesse del minore; condotta che non consentirebbe una condizione di vita equilibrata”; AA.VV., La nuova disciplina della filiazione, Clarizia (a cura di), La disciplina delle responsabilità genitoriali, 2015, 153; “Nell’affidamento monogenitoriale, anche se la responsabilità esclusiva è in capo al genitore affidatario, ciò non toglie che anche l’altro genitore partecipi alle scelte di maggior interesse per i figli (art. 337 quater c.c.)”

Cass., civ., 18 giugno 2008 n. 16593, in Fam. e Dir., 2008, I,12, 110669

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ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l'interesse del minore con la conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sull'idoneità del minore affidatario, ma anche in negativo sull'inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore. Altro motivo che, risolvendosi in un'ipotesi di sostanziale incapacità genitoriale, preclude, a giudizio dei magistrati, l'affidamento condiviso, riguarda il caso in cui il genitore non affidatario si sia reso totalmente inadempiente all'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento in favore dei figli minori o che abbia esercitato in modo discontinuo il suo diritto di visita, in quanto tali comportamenti sono sintomatici della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l'affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente. Inoltre, in seguito alle richieste di uno dei genitori formulate in qualsiasi momento, il giudice può disporre l'affidamento esclusivo al genitore che ne fa domanda qualora sempre con provvedimento motivato riscontri che l'affidamento condiviso è contrario all'interesse del minore facendo salve comunque i diritti del minore a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori (art. 337-quater, c.c.). Se tuttavia, la domanda di affidamento esclusivo dovesse risultare manifestamente infondata, il giudice può valutare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli. Il giudice prevederà che la parte che ha agito in giudizio con mala fede o colpa grave proponendo una domanda temeraria non accolta dal giudice su istanza di controparte, possa essere condannata al risarcimento

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dei danni come da art. 96, c.p.c. L'introduzione di tale norma appare quanto mai opportuna, valendo a contrastare una prassi inaccettabile, che è quella di instaurare una serie infinita di giudizi anche davanti a diverse autorità giudiziarie, quali il Tribunale Ordinario, il Tribunale per i Minorenni, il Giudice Tutelare, sulla scorta del fatto che, in materia di volontaria giurisdizione, non si forma mai il giudicato sostanziale, sicché è sempre possibile riproporre le medesime istanze sulla base di fatti sopravvenuti, e spesso pretestuosi con la grave conseguenza di moltiplicare le sedi del conflitto e il rischio di decisioni contrastanti sullo sfondo di un incremento esponenziale della conflittualità familiare. Per quanto riguarda l’affidamento condiviso, la legge non specifica gli elementi che lo caratterizzano in concreto e quindi devono essere individuati in via di interpretazione sistematica. E’ vero, inoltre, che la condivisione dell'affidamento non comporta necessariamente una equivalenza dei tempi di permanenza del minore presso ciascun genitore ne identiche modalità di svolgimento della relazione genitore-figlio . 70

L'elemento essenziale dell'affidamento condiviso consiste nell'assunzione della medesima responsabilità educativa e di cura da parte di entrambe le figure parentali e nel conseguente esercizio comune della potestà.

BISCIONE-PINGITORE, Separazione, divorzio e affidamento. Linee 70

guida per la tutela e il supporto dei figli nella famiglia divisa, Chiodo, (a cura di), Affidamento condiviso: risorse, limiti e problematiche, cit., 21; Cass. civ., sez. I, 26 luglio 2013 n. 18131 Pres. Salmè; Rel. Dogliotti. in Divorzio breve e negoziazione assistita, Guida al Diritto, 2015, 98

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L'attuazione di un progetto educativo unico e condiviso, al quale concorrono in maniera paritaria entrambi i genitori, comporta la definitiva archiviazione di quella sorta di gerarchia nei ruoli genitoriali che è sita nella vecchia formulazione del diritto di visita. In concreto, proprio a cagione della sua indeterminatezza normativa, al fine di evitare fraintendimenti e contrasti interpretativi, il regime di affidamento deve essere integrato di volta in volta dal giudice, avuto riguardo alla specificità della situazione, con le necessarie indicazioni relative alla residenza del minore, ai tempi di frequentazioni di quest'ultimo con ciascun genitore, al concorso di entrambi i genitori al mantenimento del figlio. L'applicazione concreta del modello di partecipazione paritaria al progetto educativo, comporta necessariamente la condivisione delle decisioni più importanti per la vita del minore (cosiddette di maggior interesse), relative all'istruzione, all'educazione e alla salute, mentre tutte le altre questioni che rientrano nella quotidianità familiare possono essere rimesse dal giudice, ed è preferibile che lo siano sempre, a ciascun genitore il quale potrà decidere in maniera indipendente dall'altro, avendo cura ovviamente di evitare interferenze nei tempi e negli spazi della relazione che ciascun genitore costruisce autonomamente con i propri figli. Questo comporta che l'affidamento condiviso non può essere escluso per il semplice fatto della tenera età del minore o per la circostanza che i genitori vivono a distanza e o addirittura in paesi diversi. In tal senso si è pronunciata la cassazione, affermando che: l’affidamento condiviso può essere applicato

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anche in queste condizioni, a patto che da parte di entrambi genitori vi sia la necessaria collaborazione . 71

Poiché nella prassi è ancora molto frequente l'uso promiscuo dei termini di congiunto e condiviso, occorre precisare che l'affidamento condiviso, nato con la legge n. 54 del 2006, non è sinonimo del vecchio affidamento congiunto, introdotto con la legge sul divorzio n. 898 del 1970, ed esteso dalla

ARCERI, Questioni in tema di affidamento condiviso. Tribunale di 71

Potenza, 7 novembre 2007; Corte d’Appello di Venezia 17 settembre 2007, in Fam. e Dir., 2008, fasc. 11, 1034 - 1045; Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2015, n. 6132, Pres. Forte, Rel. Lamorgese, in Divorzio breve e negoziazione assistita, Guida al Diritto, 2015, 93; Cass. civ, sez. I, 2 dicembre 2010 n. 24526, in altalex.com, 2010, VI, con nota di BAGNATO, Affidamento condiviso anche se un genitore è all’estero; sulle connotazioni dell’affidamento condiviso, v. Cass. civ., sez, I, 20 giugno 2012 n. 10174 pres. Luccioli, I genitori devono previamente condividere la scelta delle spese straordinarie per i figli, “Ribadisce la prima sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 20 giugno 2012, n. 10174, che la nuova formulazione dell'art. 155 cod. civ. nel ribadire la necessità che le decisioni di maggior interesse siano prese di comune accordo tra i genitori, inquadra tale esigenza in una disciplina improntata alla riaffermazione dei principio di pari responsabilità di questi ultimi nella cura, nell'educazione e nell'istruzione dei figli. Tale principio, valido anche per l'ipotesi in cui il giudice ritenga preferibile l 'affidamento esclusivo, non può non ricevere un'applicazione particolarmente rigorosa nel caso di affidamento congiunto o condiviso, riducendosi altrimenti l'apporto di uno dei genitori ad una mera erogazione di denaro”

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giurisprudenza anche in caso di separazione, il quale, prevedendo il consenso unanime dei genitori su tutte le decisioni riguardanti figli, sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione, presupponeva un totale accordo tra madre e padre e un'ampia flessibilità nel gestire il rapporto con i figli pertanto, è applicabile solo in assenza di conflittualità della coppia genitoriale. Ciò ne aveva determinato una reazione molto ridotta, essendo del tutto irrealistico pretendere l'assenza di conflittualità in una coppia che, a causa del venir meno dell'affetto coniugale, decide di separarsi. Diversamente dalla vecchia formula dell'affidamento congiunto, il nuovo concetto dell'affidamento e della potestà esercitata da entrambi, chiama in causa l'esigenza della condivisione, che non significa affatto co-decidere tutto, ma che postula invece l'esigenza di dividere in maniera pressoché uguale la responsabilità genitoriale e il dovere di cura e accudimento della prole, tenendo nella debita considerazione le decisioni dell'altro. La condivisione consente di prevedere tanto un esercizio congiunto, la potestà, tanto un'organizzazione dei rapporti familiari orientata alla distribuzione di compiti distinti ai genitori i quali avranno, in ragione dello specifico ambito loro assegnato (per esempio scuola, sport, ecc.), uno spazio di esclusiva assunzione delle responsabilità genitoriali sempre che ovviamente le scelte riguardino questioni di ordinaria amministrazione. Quindi rispetto ad anni passati i genitori non si sentiranno tali soltanto durante la visita settimanale o bisettimanale del minore, oppure mentre sottoscrivono l’assegno di mantenimento, ma ciascuno dei genitori può stare con il minore quando meglio crede, compatibilmente con l’esigenze del

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minore stesso e con quelle (naturalmente) dell'ex-partner con cui eventualmente il minore convive. In questo panorama di nuovi assetti relazionali all’interno della famiglia si parla sempre più spesso di genitorialità. Questo termine è il punto di arrivo di una rapida trasformazione culturale che ha trovato anche nel linguaggio giuridico la sua recente collocazione. Infatti si è passati dal concetto di “patria potestà” a quella di “responsabilità genitoriale” , nel senso che 72

la potestà non è una sfera che appartiene ai genitori in quanto singoli ma afferisce alla genitorialità in quanto “relazione” con altri soggetti. Non è possibile confinare la genitorialità solo nell’evento biologico della nascita, in quanto essa produce significativi cambiamenti individuali e relazionali che saranno presenti ed in

La legge di riforma del diritto di famiglia, l. n. 151/1975, nel dare 72

attuazione al dettato costituzionale di cui agli artt. 3, 29 e 30, ha eliminato la patria potestà, incentrata sulla sola figura paterna, sostituendola con la potestà di entrambe i genitori, v., art. 316 e 320 c.c., dovendo la parità sussistere anche relativamente ai doveri di cura personale e patrimoniale verso i figli minori; SESTA, (a cura di), Nuovo codice della famiglia, Milano, 2014, 266; La parola “responsabilità” ha sostituito la parola “potestà” nell’art. 100, comma 1, lett. a, del d.ls. 28 dicembre 2013, n. 154. Il legislatore ha rimodellato il concetto di potestà adeguandolo al lessico psicologico e giuridico moderno, anche europeo e internazionale, delineando la nozione di “responsabilità genitoriale”, nozione che mette più l’accento sulle funzioni di cura rispetto alla tradizionale connotazione di potere sui figli che quel termine ha sempre avuto anche nella cultura giuridica.

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continua evoluzione lungo tutto il resto della vita. Non si può essere genitori sempre allo stesso modo perché sarà necessario comportarsi in maniera differente a seconda delle età e delle caratteristiche dei figli. La nascita del primo figlio segna la transizione da coppia di coniugi a famiglia e sarà la riuscita o il fallimento di questo matrimonio. Qualora la famiglia si separi si troverà ad affrontare la riorganizzazione delle relazioni familiari. Per poter gestire il conflitto emergente dalla separazione, a livello coniugale, la coppia deve elaborare il fallimento del proprio legame. Può succedere che uno dei due, in genere quello che richiede la separazione, elabori prima dell’altro il distacco ed è quindi più autonomo, mentre l’altro rimane emotivamente coinvolto e non riesce a superare quest’esperienza vissuta, nella maggior parte dei casi, come un fallimento personale. Molte coppie, sebbene incompatibili, continuano invece a restare insieme soltanto “per il bene dei figli”, almeno fino alla loro maggiore età, addossando in questo modo una notevole responsabilità sui figli stessi che si possono così sentire in una situazione in cui “crescere in fretta” può liberare i genitori da un’unione “forzata”, oppure, viceversa, credono di dovere rimanere piccoli per continuare ad avere i genitori uniti. Contemporaneamente a livello genitoriale è necessario che gli ex coniugi continuino a svolgere i ruoli di padre e madre, a riconoscersi come tali ed instaurare un rapporto di collaborazione e cooperazione per tutti gli aspetti che riguardano l’esercizio della genitorialità. Molto spesso però questo non accade e la battaglia esce e si protrae fuori dalle porte del Tribunale innescando nel bambino una suddivisione dei propri genitori in un “genitore buono” e in un “genitore

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cattivo”. La conflittualità che molto spesso accompagna le separazioni coniugali rende ciechi i genitori rispetto ai bisogni effettivi ed affettivi dei propri figli. Spesso il legame irrisolto tra gli ex coniugi con i suoi aspetti di conflitto cronico intacca l’esercizio della funzione genitoriale. E’ fondamentale garantire al figlio il rapporto anche con il genitore non affidatario o non convivente, favorendo il congiungimento con le sue radici e con la sua storia familiare, salvo i casi estremi. Questo tuttavia può risultare molto difficile in alcuni casi in cui il genitore (più spesso la madre) convivente o affidataria ingloba a sé il figlio e allontana con varie strategie l’altro genitore (il padre) come colpevole di aver procurato tutto il male e la sofferenza. Per evitare questo è indispensabile che tra gli ex coniugi sia presente almeno un minimo di stima e comprensione dell’altro come genitore, altrimenti entrano obbligatoriamente in gioco altre figure come avvocati e consulenti di parte, facendo aumentare, spesso, le accuse reciproche, le vendette, le querele, le denunce, che rappresentano lo scenario principale in cui si gioca la conflittualità e in tutto questo caos i figli, con i loro bisogni di legami, di sicurezza e di sostegno, spariscono sullo sfondo della scena. Diverse variabili influenzano le reazioni dei figli nel momento della separazione e nei tempi successivi: il grado di conflittualità tra i genitori e il modo di svolgere il loro ruolo genitoriale, gli aspetti socio-economici e culturali, il tipo di abitazione, il reddito a disposizione, il numero di componenti della famiglia, l’organizzazione familiare, ossia la gestione dei ruoli all’interno della famiglia e il grado di affettività espressa, i legami con parenti, amici e i servizi sociali e sanitari ed infine

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l’immagine di sé, le fantasie inespresse, la propria autostima e il livello di benessere personale. Tutti questi fattori hanno notevole importanza nello sviluppo psicofisico dei figli, sia che questi abbiano genitori separati, sia che i genitori ancora coabitino. Questa è la ragione per cui non tutti i figli di genitori separati subiscono danni dalla separazione, così come non tutti i bambini che continuano ad avere i genitori uniti ne traggono un vantaggio o comunque un buon esempio. E’ giusto che i figli vengano informati circa la separazione dei genitori, ed è giusto dare loro delle spiegazioni tenendo pur sempre presente la loro età e quindi ciò che per loro è accettabile. Il bambino vuole sapere cosa cambierà per lui. Non gli interessano le relazioni nuove dei genitori, torti e ragioni di ognuno, tutto questo è solo un peso per lui. Per il figlio è fondamentale la lealtà dei genitori: spiegargli che si stanno prendendo accordi per fare continuare tutto al meglio per lui. E’ necessario affrontare le ansie, le paure del bambino circa ciò che gli succederà. Non è opportuno invece, che i figli vengano a conoscenza dei dettagli della separazione. E’ bene ricordare che loro sono i figli e che ciò che li riguarda è il rapporto della coppia in quanto coppia genitoriale e non come coppia coniugale, dalla quale è salutare che rimangano fuori. Spiegare ai figli il perché della separazione serve a evitare tensioni; serve a evitare che la situazione venga considerata più grave di quello che effettivamente è, e soprattutto, a non infondere probabili sensi di colpa (es: “si separano perché sono stato cattivo”) tipici in particolare dei bambini piccoli, che nella loro onnipotenza, si illudono di riuscire a riunificare i genitori e

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di conseguenza, se ciò non avviene, a vivere un enorme senso di frustrazione e fallimento. La legge richiama ad una responsabilità genitoriale forte, più che ad una patria potestà sul minore. I genitori devono quindi mettere in campo tutta la loro responsabilità per creare insieme al giudice un progetto di affidamento condiviso sui propri figli, dove padre e madre avranno gli stessi diritti e doveri. I cambiamenti riguardano anche la procedura degli alimenti, spesso fonte di litigiosità fra madri e padri separati: non sarà più soltanto il genitore non affidatario a dover provvedere con l'assegno di mantenimento al sostentamento dei figli, ma entrambi gli ex coniugi saranno chiamati a contribuire, in base alla propria disponibilità . Occorre molta attenzione 73

nell’attribuire la responsabilità genitoriale perché i bambini hanno un profondo senso della giustizia e si impegnano a fondo per essere leali nei confronti di entrambi i genitori. Alcuni figli sacrificherebbero i propri stessi bisogni. Potrebbero anche

ARCERI, Onere di mantenimento della prole e tempi di permanenza 73

presso ciascun genitore nell’affidamento alternato e nell’affidamento condiviso. Tribunale di La Spezia, ordinanza 14 marzo 2007, in Fam. e Dir., 2008, fasc. 4, 389 - 395; SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 299 ss. “I criteri per l’attribuzione dell’assegno periodico in maniera proporzionale tra i coniugi, per il mantenimento del figlio, rilevano come importanti le esigenze del momento del figlio, il tenore di vita del figlio nel periodo di convivenza con i genitori, i tempi di permanenza da ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.”

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portare il peso di accordi pesanti per la felicità di uno o entrambi i genitori, certamente a proprie spese. Alcuni genitori, e anche alcuni figli, vorrebbero che il tempo fosse diviso equamente tra le abitazioni dei genitori, ma una responsabilità genitoriale condivisa non dovrebbe implicare che il figlio trascorra obbligatoriamente metà settimana in un appartamento e l’altra metà a casa con l’altro genitore. Quando la famiglia è in crisi e la coppia genitoriale si separa, sia che si tratti di una coppia unita in matrimonio sia che si tratti di una coppia di fatto, si pone il problema di individuare, a tutela del minore, il regime di affidamento che sia maggiormente in grado di favorirne il difficile percorso evolutivo. L'ordinamento giuridico come riporta l’art. 1, comma 3, l. 54/2006, attribuisce sempre al giudice la funzione di decidere sull'affidamento dei figli minori, non solo nell'ipotesi in cui tra genitori vi sia un contrasto ma anche nel caso in cui gli stessi abbiano autonomamente raggiunto un accordo sull'assegnazione della prole e la conseguente regolamentazione degli obblighi e dei diritti. Infatti poiché nell'accordo dei genitori possono entrare in gioco motivazioni e scopi assai diversi dai reali interessi del minore, a tutela della posizione di quest'ultimo, in quanto soggetto debole della crisi familiare, è prescritto un pregnante controllo sulla decisione di affidamento anche in sede di omologazione della separazione consensuale. L'intervento della legge sull'affidamento condiviso dei figli, ha realizzato una vera e propria rivoluzione culturale nel sistema di regolamentazione, introducendo quale regime ordinario applicabile, in caso di separazione dei genitori, l'affidamento condiviso, il quale garantisce il diritto del figlio minore di mantenere un rapporto equilibrato e

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continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Nel sistema precedente, la prassi giudiziaria privilegiava l'affidamento esclusivo del minore al genitore, cosiddetto affidatario, che era nella stragrande maggioranza dei casi la madre, alla quale spettava in via esclusiva l'esercizio della potestà, mentre il genitore non affidatario restava solo una generica possibilità di vigilare sull'istruzione ed educazione dei figli e di concorrere ad adottare le decisioni di maggiore interesse. Tale regime di affidamento, che riconosceva di solito il genitore non affidatario un diritto di visita assai limitato, non solo determinava un evidente sperequazione all'interno della coppia genitoriale, con conseguente deresponsabilizzazione del genitore non affidatario rispetto al progetto educativo del figlio, ma appariva poco tutelante dell'interesse del minore, al quale veniva sostanzialmente preclusa la possibilità di instaurare relazioni affettivamente significative con il genitore non affidatario, essendo evidente che il legame genitore-figlio si alimentava di una frequentazione assidua e di una continuità di cure e di affetto. La legge sull'affidamento condiviso, oltre a sancire definitivamente il principio della bi-genitorialità, a tutela del diritto del minore di godere dell'apporto insostituibile di entrambe le figure genitoriali, ha realizzato al contempo un importante passo avanti nel processo di equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi, obiettivo completamente raggiunto con la legge n. 219/2012, la quale ha definitivamente eliminato

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le disparità di contrattempo che persistevano nel nostro ordinamento tra i figli nati all'interno o fuori del matrimonio. Garantire il diritto del minore alla compresenza di entrambe le figure parentali, nell'ipotesi di separazione dei genitori, elemento imprescindibile del sistema di tutela dell'infanzia è innegabile perché la disgregazione dell'unità familiare ha, sempre e comunque, un effetto traumatico e devastante sulla vita dei figli, in quanto rappresenta la negazione del bisogno di protezione del bambino e provoca nel suo animo una ferita profonda che ne influenzerà il carattere da adulto. La separazione dei genitori crea, inoltre, un effetto psicologico perverso sui figli, i quali spesso cominciano a colpevolizzarsi per il fallimento familiare, convincendosi che: se papà è andato via perché non sono stato abbastanza buono. Detto questo, è chiaro che la legge deve farsi carico del problema di ridurre per quanto possibile il danno che deriva ai figli dalla rottura dell'unità familiare, facendo in modo che il minore, una volta persa la famiglia, non sia costretto a subire, la sofferenza interiore e ancora più devastante l'abbandono affettivo da parte di uno dei genitori. L'affidamento condiviso, in quanto finalizzato a ridurre al minimo il danno della separazione facendo in modo che il genitore, se non più uniti come coppia rimangano uniti come padre e madre, comporta un nuovo modo di intendere la genitorialità, in senso più moderno e partecipativo, e pone un modello culturale d'avanguardia fondato sull'indiscussa

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centralità del minore nella relazione educativa, al quale 74

dovranno uniformarsi i genitori e tutti gli utenti del diritto, giudici e avvocati compresi. La realizzazione del diritto naturale prima che positivo del minore alla bi-genitorialità, si realizza compiutamente attraverso l'affidamento condiviso, il quale diviene oggi la regola alla quale il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi deve, in via prioritaria attenersi nell'adottare i provvedimenti relativi alla prole. Pertanto, il giudice valuterà prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori, fissando la misura di modalità della loro presenza presso ciascun genitore nonché la misura il modo nel quale ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione della parole. Il giudice, prende atto, degli accordi intervenuti tra i genitori; nell'adottare tali provvedimenti, il giudice dovrà tenere conto esclusivamente dell'interesse morale e materiale dei figli, riconoscendo loro, sia a livello formale sia sostanziale, una priorità assoluta inviolabile.

BISCIONE-PINGITORE, Separazione, divorzio e affidamento. Linee 74

guida per la tutela e il supporto dei figli nella famiglia divisa, Chiodo, (a cura di), Affidamento condiviso: risorse, limiti e problematiche, cit., 15; SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 290; “Due punti importanti: il figlio deve avere un intenso rapporto con i genitori e un ampio rapporto con tutti i membri delle famiglie, anche in situazioni negative in cui il genitore è deceduto, v., Cass. civ., sez. I, 5 marzo 2014, n. 5097, Pres. Carnevale, Rel. Bisogni, in Divorzio breve e negoziazione assistita, Guida al Diritto, 2015, 98

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2.4 Il minore nei conflitti tra genitori Il mondo dei conflitti è sempre difficilmente prevedibile e fonte di dubbi e ambiguità. Alle origini di ogni mediazione vi è un conflitto, una contesa, una contrapposizione. Se il conflitto assume la forma esplicita di una guerra combattuta, o rimane a stadi meno cruenti, nella nostra cultura la parola “conflitto” evoca comunque immagini dolorose e sgradevoli, fa pensare allo scontro, al combattimento, al disagio, allo spreco di tempo e di energie nella lotta. Sono immagini che gettano un’ombra cupa sull’intero processo e fanno distogliere lo sguardo. Tenuto conto tuttavia dell’esistenza dei conflitti, intrinseci a qualunque persona vivente, se non è una sua perversione bensì una normale esperienza della vita, allora negare la natura del conflitto significa rendere difficile il suo studio in quanto fenomeno degno di analisi, relegandolo nella sfera patologica. Per parlare di conflitto, deve essere possibile individuare nel mondo almeno due o più entità, di qualsiasi tipo esse siano (organizzazioni, gruppi, singole persone). I modi attraverso i quali un sistema sociale regola i conflitti che nascono all’interno della società sono tanti, tutti diversi, cambiano nel tempo, nello spazio e a seconda dei particolari contesti. Il modo in cui si litiga e si confligge dipende dal numero di soluzioni del conflitto e quali rimedi sono predisposti culturalmente e socialmente. I conflitti aumentano progressivamente e si attribuisce tutto questo all’inefficienza dovuta alla mancanza di risorse; si chiedono così aumenti consistenti di mezzi, pensando che in tal modo i conflitti possano diminuire. All’aumento delle risorse dell’apparato giudiziario, corrisponde purtroppo, soltanto

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l’illusione che questo faccia diminuire i conflitti. Il rimedio agisce sugli effetti, ma non ha nessuna diretta incidenza su cause, dimensioni, effetti della litigiosità che determinano i conflitti. La litigiosità, da cui muovono i conflitti, sembra essere un complesso sistema in cui “si agitano ragioni e passioni” che non sempre è facile decifrare e regolare. Il mondo del conflitto, quindi, è molto vasto, e si espande dal campo delle risorse economiche a quello simbolico delle motivazioni, delle preferenze e dei desideri. A partire da questo, si afferma la consapevolezza che il conflitto è un meccanismo complesso, che deriva da una molteplicità di fattori: tra una continuità dei micro conflitti inter-individuali e i macro conflitti sociali (siano essi culturali, economici, inter-etnici o altro); esso è rottura, ma anche riaffermazione del legame sociale e dei suoi meccanismi comunicativi. Il conflitto deve trovare all’interno del sistema sociale un luogo autonomo di regolazione e di decisione. Che sia il diritto enunciato da un giudice, piuttosto che altro, il risolvere il conflitto dipende dal modo in cui l’intero sistema sociale intende contenuti e modalità del conflitto stesso. I conflitti continui tra genitori sembrano un indicatore affidabile dell'aumento di problemi psicologici per i figli di coppie separate come per i figli di coppie conviventi. La presenza di un continuo e duro conflitto tra genitori, mostra legami significativi con problemi di comportamento dei figli, sintomi somatici o psicosomatici, basso rendimento scolastico e scarsa autostima. Il conflitto è una parte normale della vita di una famiglia: la cosa importante è il modo in cui i genitori si

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affrontano . Alcuni ricercatori americani scoprirono che in 75 76

una coppia di genitori in cui il padre era verbalmente più aggressivo nei confronti della madre, i loro figli mostravano più problemi di comportamento e una minor autostima, mentre le madri verbalmente aggressive nei confronti del padre tendevano ad avere relazioni più povere con i figli, che di solito erano solitari e giocavano da soli. Quando invece i genitori erano capaci di collaborare, i figli mostravano un adattamento psicologico migliore e bassi livelli di aggressività. Normalmente, il conflitto diminuisce nel giro di pochi anni dalla separazione ma quando persiste, i figli spesso continuano a vivere in un campo di battaglia. Spesso gli adulti sottovalutano la capacità dei figli di comprendere sentimenti e relazioni. Genitori convinti che un figlio sia troppo piccolo per comprendere cosa stia succedendo, di fatto, cercano spesso di proteggere se stessi piuttosto che il bambino. Non sempre i figli reagiscono alla separazione in modi che corrispondono alla loro età anagrafica. L’importante è che gli operatori che lavorano con i genitori conoscano lo sviluppo del bambino e dell’adolescente; è altrettanto importante considerare la personalità individuale del bambino, nonché la cura, la storia, le circostanze familiari. Molti figli si allontanano non

DE CESARE, La mediazione famigliare. Come affrontare un conflitto in 75

maniera costruttiva, cit., 15

CAMARA, RESNICK, Styles of conflict resolution and cooperation 76

between divorced parents. Effects on child behavior and adjustment, in American Journal of Orthopsychiatry, 59, 1989, 3-4, 560-575

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ricevendo sufficiente appoggio morale dai genitori e spesso 77

esprimono il loro stato d'animo con il comportamento più che con le parole. Il modo in cui mostrano i propri sentimenti può causare ulteriori difficoltà, poiché il loro atteggiamento viene spesso interpretato in modo diverso da ciascuno dei genitori, i quali si accusano a vicenda di essere la causa del problema. I dissapori dei genitori possono determinare una sofferenza nei figli: in generale hanno prospettive peggiori quei figli che per lungo tempo hanno sperimentato il cattivo funzionamento dei genitori stessi. I bambini che sono stati correttamente fatti partecipi dai genitori delle loro difficoltà e rassicurati garantendo la presenza e protezione dell’adulto, superano abbastanza bene l'evento separatorio. Al contrario, nelle situazioni in cui i genitori hanno interagito con disapprovazione e aggressività reciproca, o peggio, hanno coinvolto i figli già molto tempo prima, ci saranno più facilmente conseguenze negative. Sarà certamente complesso per la coppia, nella fase tumultuosa in cui il processo si determina, mantenere una chiara percezione del loro ruolo genitoriale: è fondamentale che mantengano intatta la loro funzione. Durante le crisi, i bambini possono essere triangolati nella conflittualità e manifestare reazioni acute. Temono fortemente la perdita della coppia genitoriale intesa come garanzia. I valori affettivi e in modo variabile la contabilità, hanno vacillato di fronte al pericolo. Un bambino nel momento della separazione, ha l'oggettivo bisogno

SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 241; “Il termine “morale” 77

inserito nell’art. 315 bis c.c., assume oggi un’importanza notevole, sottintendendo non più il semplice mantenimento ma una premura intensa per i bisogni del figlio.

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del sostegno mentre la coppia genitoriale sarà occupata a gestire i processi d’identificazione e l'immagine di sé. Potrà sentirsi perduto, specie se piccolo, quando vede concretizzarsi nella realtà certe sue fantasie di scomparsa dei genitori. Questa perdita nella percezione dei bambini è una delle cause principali di sofferenza. Mentre gli adulti sono in grado allo stesso tempo di prendere decisioni nel campo del lavoro e delle abitudini, compensando il peso di quanto sta loro accadendo, i bambini questo non sono in grado di farlo e sono in balia di quello che i grandi e persino un giudice stanno decidendo su di loro. Per un adulto la fine del legame è un evento relativamente recente della sua vita in quanto egli dispone di un passato e in qualche modo è in grado di prevedere un futuro; per un bambino la famiglia è l'unica cosa che ha posseduto e sperimentato: essa rappresenta l'intero suo mondo, dove sono contenute le sue più profonde e originarie memorie. A quelli che erano i disagi in precedenza descritti si aggiunge l'esperienza della reale privazione dell'allontanamento da casa di uno dei due genitori, che è il modello più ricorrente e costituisce forse l'evento più drammatico. I figli avranno reazioni diverse in rapporto all'età, al sesso, al livello di maturità. Ci sono situazioni, quelle più gravi, dove una madre elegge suo figlio confidente e protettore. Il bambino, accettando l'alleanza, si troverà nemico proprio dell'oggetto desiderato e perduto: il papà. Non potrà opporsi però alle sollecitazioni materne. Certi figli di separati ricevono messaggi affettuosi da parte di un padre e nello stesso momento lui stesso afferma che la mamma è cattiva e del tutto inadeguata. Essi non sono in grado di rifiutare questo contatto gratificante, ma neppure di accettare le critiche all'indirizzo della madre. È

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relativamente frequente il caso di un genitore che chiede al figlio di tenerlo al corrente sui comportamenti dell'ex coniuge. In questo caso avremo un incremento delle difficoltà del minore: questo incarico, difficilmente rifiutabile, porterà anche al peggioramento dei rapporti dei genitori con il bambino stesso. Il genitore sorvegliato si sentirà sempre meno naturale e spontaneo, dal momento che ben presto anche il bambino trasporta e consegna continuamente informazioni sul suo conto. Intanto l’altro genitore vive in funzione delle notizie che il piccolo informatore deve riportare e fatalmente tende a disinteressarsi e distaccarsi dai suoi bisogni. Queste strutture poco funzionali se non sono transitorie, diventeranno fattori di controindicazione alla mediazione familiare. Nel riprendere brevemente il concetto già sovraesposto (cap. 1, par. 1.2), occorre oltremodo puntualizzare l’aspetto decisamente importante della relazione che intercorre tra il momento in cui avviene la separazione e l’età del bambino/ragazzo. Una prima grossolana distinzione è tra i più piccoli e quelli più grandi, in fase di adolescenza. Tanto minore è l'età quanto maggiore è il bisogno di protezione. L'attaccamento si esprime attraverso la garanzia del nutrimento, delle cure, dell'offerta di calore umano e di un rifugio dalle paure. Nell'infanzia si osservano alcuni quadri ricorrenti, dominati da manifestazioni di ansia, depressione, fantasie magiche di ricomposizione della famiglia che accompagnano l'angoscia di rimanere abbandonati e soli, questi sono i bambini che non dispongono di sufficienti capacità di elaborazione del proprio dolore, subendone in modo completo la perversione. Talvolta uno dei genitori scompare mentre il figlio dorme; in altre circostanze arriva improvvisamente un famigliare a prelevarlo

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per qualche giorno: al suo ritorno non troverà più la madre. Egli si troverà allora a dover controllare il proprio dolore e la propria disperazione. I bambini più piccoli a differenza degli adulti sono carenti di modelli di pensiero, e ancora meno di strumenti verbali, per esprimere quanto loro sta accadendo. Essi sono spesso in balia di quest'esperienza, senza la capacità di raccontare o dare una spiegazione. Così li vedremo semplicemente irritabili o disubbidienti, aggressivi e violenti. Talora sono tormentati da incubi terribili, centrati su uccisioni, o animali feroci che divorano loro o uno dei genitori e nei più piccoli sembrano prevalere disagi e somatizzazioni di tipo aggressivo, con distacco emotivo e rifiuto del gioco, perdita del controllo sfinterico, caduta dei capelli, irritabilità, pianto irrefrenabile, balbuzie e mal di pancia. Verso i cinque anni il bambino avverte maggiormente la distruzione del suo mondo relazionale. Le conseguenze portano ad esperienze di smarrimento, disturbi del linguaggio, ritiri. Crescendo la comprensione della situazione, è la ferita più grave. Egli si considera pertanto un derubato… addirittura della propria famiglia . 78

BOGLIOLO, BACHERINI, Manuale di mediazione familiare. 78

Proteggere i figli nella separazione, cit., 85

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Anche la reazione dei preadolescenti alla separazione è 79

dominata dai vissuti di perdita e da una forte sofferenza con componenti depressive. Inizialmente essi manifestano profondo disagio, connesso all'acquisita capacità di comprendere quanto accade: a quest'età è molto più difficile attuare risposte di negazione, come invece accade ad età inferiori. Dominano peraltro ancora le fantasie su una riconciliazione dei genitori. Gli stati d'animo verso i genitori sono notevoli: possono avere palese ostilità nei confronti del padre che ha lasciato la famiglia, oppure legarsi a lui in modo intenso, sviluppando sentimenti ambivalenti verso la madre, ritenuta in qualche modo responsabile della scissione. Queste situazioni possono accompagnare a pesanti conflitti di lealtà nei confronti dell'uno o dell'altro genitore; la separazione può inoltre portare a tentativi di sostegno rivolti al genitore in maggiore difficoltà. Sovente questi minori assumono un atteggiamento apparentemente normale ma iper controllato: ad esso corrisponde invece un profondo senso di disorientamento. Ma è più difficile in questi casi che essi lascino emergere, come nei più piccoli, risposte elementari di aggressività, ed uno sconforto interiore. In questi bambini possono comparire come nei più piccoli reazioni compensatrici, come l’iperfagia,

BISCIONE-PINGITORE, Separazione, divorzio e affidamento. Linee 79

guida per la tutela e il supporto dei figli nella famiglia divisa, cit., 149; DE FILIPPIS, CHIARITO, DE LA VILLE SUR ILLON, LETTIERI, MANZO, MENCARINI, RAUTY, SADDI, La solidarietà post coniugale, Trento, 2012, 232-233, “Si confida troppo, ancora oggi, alla totale capacità e discrezionalità del magistrato per individuare l’interesse del minore”;

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l'enuresi notturna, cefalee persistenti, gastriti, asma bronchiale. Man mano che il giovane cresce, ma sempre prima della pubertà, sembrano dominare i tentativi di entrare nella vicenda genitoriale e di correggerne il decorso. Entrando nell'adolescenza il ragazzo sarà chiamato a sostenere emotivamente l'impatto con il mondo esterno. In questa fase della sua vita dovrà saper sostenere sia la perdita della sua infanzia che la sperimentazione di nuovi rapporti. Diventerà così assai più difficile la ricerca della propria identità, attraverso l’acuirsi delle differenze tra sé e le figure parentali. Quando l'adolescente è coinvolto in un conflitto genitoriale, i suoi comportamenti anche leggermente trasgressivi vengono sistematicamente ridefiniti. Tutto sarà stravolto in caso di separazione. In questa situazione assume molta importanza per il suo sviluppo, l'opposizione, la sfida, le trasgressioni. Questo accade perché quel genitore lo sta anticipando in materia di trasmigrazione, assumendo un comportamento che lo blocca, per contrasto, in una posizione corretta e proprio in queste circostanze si può riscontrare un rapporto di dipendenza con l’altro genitore. Esiste però una differenza sostanziale tra il bambino piccolo e il ragazzo adolescente: quest'ultimo difficilmente subirà lo choc improvviso della separazione dei genitori in quanto prima della rottura definitiva, potrebbero aver vissuto direttamente esperienze di cattivo esempio chiamati da uno o entrambi i genitori all’interno della discussione animata, oppure talvolta intervenuti fisicamente a frenare le risse. L'adolescente può avere reazioni più o meno intense all'evento separazione: ad esempio la pretesa di vivere con uno dei due genitori da lui prescelto. In certi casi l'adolescente chiede di vivere con il

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genitore che si è allontanato cercando di verificare la sua capacità di accoglimento e lo sfida a continuare il rapporto. In altre occasioni si riscontra l'avvio precoce di comportamenti devianti come l'uso di sostanze o l'abbandono della scuola. I figli di separati sono a rischio di un basso rendimento scolastico, di momenti d'apatia, ansia, aggressività e depressione. Nel timore di emarginazione o di squalifica, i più grandi hanno paura di non essere accettati dai compagni e affrontano male il confronto tra pari. Non sempre gli insegnanti dispongono di validi strumenti di protezione per questi minori, anche perché, con le dovute eccezioni, nella letteratura per l'infanzia le tematiche riguardanti le famiglie separate sono sempre state attentamente evitate, mentre si promuoveva uno stereotipo di famiglia centrato sulla solidità del nucleo. In realtà molti insegnanti svolgono una funzione di sostegno anche verso i genitori, per esempio quando si presentano da soli a prendere un bambino o per chiedere notizie. Esiste a volte il rischio che certi docenti siano coinvolti nella controversia genitoriale e anche strumentalizzati da uno dei due, così che il genitore li ritiene un appoggio importante. L’aiuto migliore che il professionista può dare, però, si ha solo nel momento in cui si considerano primariamente le esigenze del ragazzo. Se volessimo analizzare il conflitto genitoriale in relazione all’affidamento condiviso sarebbe opportuno considerare le varie forme conflittuali che si presentano davanti all’autorità giudiziaria preposta nel decidere il regime di affidamento dei figli. Le forme nelle quali si declina la conflittualità genitoriale che di frequente accompagna la separazione sono diverse; costituiscono motivo prevalente di disaccordo: la residenza

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principale dei figli presso l'uno o l'altro genitore, le modalità di visita del figlio con il genitore “non collocatario”, l’assegnazione della casa familiare e la questione patrimoniale. A tale ultimo proposito, i contrasti concernenti il regime di affidamento o il diritto di visita sono sovente pretestuosamente utilizzati come mezzo di ritorsione e/o di pressione in relazione ad aspettative di natura economica non soddisfatte. La questione economica costituisce spesso una delle ragione di contrasto della coppia genitoriale, ed è facilmente intuibile laddove si consideri che la disgregazione famigliare derivi da questo fattore. Le accresciute esigenze che pone la separazione e, in primo luogo, la necessità di reperire un'altra abitazione, con tutto quello che ne consegue, fa spesso sprofondare sotto la soglia di povertà un nucleo familiare che prima riusciva a far fronte a tutte le spese. Nelle aule giudiziarie spesso si assiste allo spettacolo penoso di genitori che cercano con ogni mezzo di eludere le pretese del partner e dei figli riguardo al mantenimento, di coniugi che si licenziano in prossimità dell'udienza di separazione o che cedono beni o quote societarie per apparire nullatenenti. Oggi la legge offre strumenti adeguati per soddisfare le giuste aspettative concernenti il mantenimento, consentendo accertamenti da parte della polizia tributaria sia sui redditi della persona in questione che sui suoi beni anche se intestati a soggetti diversi.

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È inoltre prevista la facoltà di investigare a tutto campo sulle capacità reddituali dell'ex partner presso gli uffici competenti . 80

Ad ogni modo, è pacifico in giurisprudenza che l'affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi, poiché avrebbe altrimenti un’applicazione solo residuale, finendo di fatto con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto . 81

In buona sostanza, la conflittualità tra i genitori non costituisce di per sé una buona ragione per escludere l'interesse del minore dall 'affidamento condiviso; d'altronde risulterebbe irragionevole pretendere che lo stesso debba fondarsi sulla concordia totale tra genitori che si stanno separando, essendo un certo grado di conflittualità fisiologica tra una coppia che si sta lasciando. Tuttavia, una cosa molto importante: l'affidamento condiviso presuppone che i genitori si riconoscono come figure entrambe necessarie; se invece si denigrano a vicenda, se fanno di tutto per generare nella prole sentimenti non di stima ma di sfiducia verso l'altro genitore, se strumentalizzano i figli oltre il limite di tolleranza, allora l'affidamento condiviso sarà di difficile attuazione. Una pronuncia della Corte di Cassazione, ha ulteriormente precisato le essenziali connotazioni dell'affidamento condiviso, specificando che esso comporta:

BISCIONE, PINGITORE, Separazione, divorzio e affidamento. Linee 80

guida per la tutela e il supporto dei figli nella famiglia divisa, Chiodo, (a cura di), Affidamento condiviso: risorse, limiti e problematiche, cit., 21

Cass. civ, sez. I, 19 giugno 2008, n. 16593, in Altalex.com, 2008, 5, 281

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La soluzione di uguale potere e responsabilità da parte dei genitori, hai fini di uno sviluppo psicofisico del figlio e della sua formazione morale e culturale, richiedendo a ciascuno di essi un personale impegno nella realizzazione di un progetto educativo comune, la cui elaborazione non può risolversi nella passiva acquiescenza di un genitore alle scelte unilateralmente compiute dall’altro , ma esige una costante e preventiva 82

consultazione reciproca, volta a una sollecita percezione delle necessità del minore e dell'identificazione dei mezzi più convenienti per farvi fronte. Visto la complessità dell'impegno richiesto a ciascun genitore, l'affidamento condiviso non può risolversi in una semplice imposizione del giudice, il quale non ha purtroppo la capacità taumaturgica di assicurare il buon esito del regime disposto. Viceversa, ogni provvedimento che dispone l'affidamento condiviso deve porsi al termine di un processo di educazione dei genitori e ciò anche nell'ipotesi in cui l'assenza di conflittualità appare scontata come accade per esempio nelle separazioni consensuali. In teoria, la separazione consensuale sembra, nella forma, preferibile, perché elimina le conflittualità giudiziarie e dovrebbe escludere ogni litigiosità successiva però spesso capita che la maggior parte delle controversie concernenti l'affidamento dei figli riguardino proprio le separazioni consensuali, celando effetti collaterali in un secondo frangente, all’applicazione del provvedimento.

Cass. civ., sez. I, 20 giugno 2012, n. 10174, in Il caso, 2012, 4; Cass. civ., 82

sez. VI, ord. 18 settembre 2013 n. 21273, Pres. Di Palma, Rel. Alciero, in Divorzio breve e negoziazione assistita, Guida al Diritto, 2015, 88.

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Questo dimostra che non sempre un vero accordo è stato raggiunto, che non c'è stata da parte di ciascun genitore una reale accettazione psicologica della separazione; accade soltanto che gli aspetti legali hanno trovato un accordo qualsiasi. In realtà, solo se alla base della separazione consensuale vi è un’attività di mediazione, questa forma di scioglimento della convivenza fa prevenire futuri conflitti e assicura la piena accettazione del provvedimento giudiziario.

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CAPITOLO TERZO

- Mediare i conflitti -

3.1 La mediazione familiare

Quando si confrontano mediazione e processo si tende a dipingere la mediazione come buona e il processo come cattivo. Un semplice giudizio di valore però non rende giustizia a nessuno dei due sistemi. La mediazione non è sempre una soluzione adatta e non porta sempre a definire un accordo. Ci sono situazioni in cui sono necessarie decisioni del tribunale al posto della mediazione. Le persone sul punto di intraprendere un procedimento legale di contestazione devono conoscere le differenze tra processo e mediazione, così da poter compiere una scelta informata, consapevoli che un processo comporta dei costi emotivi, oltre che finanziari. Nelle separazioni e nei divorzi gli interventi legali non facilitano in maniera positiva il “contratto” che i coniugi hanno tra loro e tantomeno invertono la spirale negativa in cui è entrato il rapporto. Le risorse devono essere indirizzate verso un lavoro più creativo, per migliorare i rapporti tra i genitori e tra genitore e figlio, piuttosto che verso tentativi ripetuti di imporre una soluzione. La mediazione familiare è un lavoro creativo, che cerca di aiutare i partecipanti a scomporre una controversia soprattutto quando ci sono dei minori, a incoraggiare la cooperazione e

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mantenere delle relazioni educative tra genitori e figli . La 83

mediazione non sostituisce la consulenza legale, i mediatori forniscono informazioni legali generali, ma non consigliano i loro utenti su posizioni da prendere e sulle possibilità, o su come i principi legali saranno applicati dal giudice nella loro situazione specifica. Spesso è utile che i mediatori spieghino la terminologia giuridica in parole semplici, ma è importante che i partecipanti cerchino una consulenza legale prima di concludere un accordo che ha conseguenze legali ed economiche. La mediazione è uno dei numerosi procedimenti finalizzati alla ricerca di un accordo, al pari dell'arbitrato, della conciliazione, del negoziato. Questi procedimenti sono stati raggruppati sotto la definizione collettiva di risoluzione alternativa delle controversie, sono finalizzati alla ricerca di un accordo, possono essere usati congiuntamente ai procedimenti legali, piuttosto che come loro sostituti. La mediazione familiare si rivolge alla coppia genitoriale per supportarla a fronte di una separazione o divorzio e cerca di riorganizzare le relazioni genitoriali. E’ possibile definirla

ALLEGRI, DEFILIPPI, Mediazione familiare: temi e ricerche, Roma, 83

2004, 77, “riorganizzazione delle relazioni che risulti il più soddisfacente possibile per tutti”; sul riappropriarsi della capacità decisionale v., SIRIGNANO, Ricerca educativa e pluralismo familiare: itinerari e prospettive per una nuova pedagogia delle famiglie, Roma, 2005, 151; CAGNAZZO, La mediazione familiare, Torino, 2012, “la definizione fa riferimento a quella proposta dalla SI.ME.F. (Documento fondato e codice deontologico, 1995, sito www.simef.net)

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come una metodologia specifica di aiuto alla coppia in fase decisionale del rapporto; essa consiste in un setting ben preciso di incontri con finalità e metodi specifici e può essere utilizzata nei diversi momenti del processo di crisi della separazione coniugale, nella quale i genitori, separati o in via di separazione, si rivolgono liberamente ad un terzo neutrale, appunto il mediatore, per ridurre gli effetti distruttivi di un conflitto, in genere grave, che interrompe o disturba la comunicazione tra loro. La prima finalità quindi della mediazione è ristabilire la comunicazione tra le parti per poter 84

raggiungere un obiettivo concreto: la pianificazione e l’attuazione di un progetto di riorganizzazione delle relazioni in gioco. Più specificamente l’obiettivo finale della mediazione familiare corrisponde al riappropriarsi, da parte del padre e della madre, nel primario interesse dei loro figli e anche delle loro proprie esigenze, della comune responsabilità genitoriale. La ragion d’essere della mediazione familiare sta nel fatto che il nostro ordinamento giuridico, nonostante la riforma del diritto famiglia e le ultime novità relative alla negoziazione assistita e il divorzio breve, non sempre è esaustivo ed efficace per la risoluzione delle controversie coniugali. L’iter processuale a volte lungo e tortuoso può portare alla competitività tra i coniugi a scapito della cooperazione e solo

DE CESARE, La mediazione familiare come affrontare un conflitto in 84

maniera costruttiva, cit., 6; BRIGANTI, La mediazione problem soling e trasformata nelle controversie civili e familiari, anche in ambito telematico, youcanprint, 2014, 6, “si vuole sottolineare l’importanza dei rapporti verso i figli e verso gli aspetti economici”; CAGNAZZO, La mediazione familiare, cit., 263

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dal 2014 con l’introduzione del nuovo Istituto di negoziazione assista da avvocato emanato con la legge n. 162/2014 e subito dopo con l’entrata in vigore della legge n. 55/2015 inerente le disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi, l’iter ha subito un accorciamento burocratico. Nella maggioranza dei casi, la coppia ha la rappresentazione del processo come di un luogo in cui un giudice, in ultima istanza, dovrà sancire un perdente e un vincente della causa e dove ad un guadagno dell’uno corrisponderà la perdita dell’altro. Un procedimento così connotato e impostato trova espressione concreta in lunghe e logoranti battaglie legali che hanno per oggetto beni materiali, ma soprattutto i figli che spesso ne divengono le vittime più oltraggiate. Nella mediazione, il rivolgersi a professionisti come avvocati, terapeuti, esperti finanziari, assicuratori, agenzie di supporto e di controllo che cercano di affrontare le problematiche legate alla separazione in un’ottica interdisciplinare, porta a utilizzare tutte le competenze per ottenere il miglior risultato possibile nella controversia. Se da un lato tale eterogeneità professionale rappresenta una sfida per le inevitabili difficoltà di confronto e di comunicazione, dall’altro penso porti un vantaggio alla società nel suo complesso, diminuendo i tempi e i costi di procedimenti talvolta molto lunghi, un vantaggio alle famiglie già toccate dalla traumatica esperienza della fine di un matrimonio, ai singoli che in questa nuova progettualità,

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passano da una deresponsabilizzazione con la delega al 85

giudice, ad una riappropriazione di responsabilità nel processo di separazione, aiutati in un contesto di forte tensione emotiva mettendo in pratica un atteggiamento più cooperativo e meno competitivo. La mediazione è un fenomeno complesso che difficilmente si presta ad una rigorosa ed univoca definizione. Fra tutte le numerose definizioni delle pratiche di mediazione, riporto la seguente: “La mediazione è un processo attraverso il quale due o più parti si rivolgono liberamente a un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti indesiderati di un grave conflitto” . 86

Ribadendo ulteriormente il concetto fondamentale, potremmo dire che la mediazione mira a ristabilire il dialogo tra le parti per poter raggiungere un obiettivo concreto: la realizzazione di un progetto di riorganizzazione delle relazioni che risulti il più possibile soddisfacente per tutti. L’obiettivo finale della mediazione si realizza una volta che le parti si sono creativamente riappropriate, nell’interesse proprio e di tutti i soggetti coinvolti, dell’attiva e responsabile capacità decisionale. Diviene importante l’ambito educativo all’interno del quale la mediazione si svolge utilizzando i propri approcci per risolvere dispute, non solo tra individui, ma anche tra gruppi. Approcci, inoltre, che possono prevedere programmi

DE CESARE, LA mediazione familiare come affrontare un conflitto in 85

maniera costruttiva, cit., 19; CAGNAZZO, La mediazione familiare, cit., 54; URSO, La mediazione familiare, modelli, principi, obiettivi, Firenze, 2012, 143;

CASTELLI, La mediazione: teorie e tecniche, Milano, 1999, 586

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per i giovani e le loro famiglie, orientati a migliorare i rapporti ed a diminuire la violenza; tra questi si può ricordare la mediazione genitori/adolescenti. Se è vero che le società hanno da sempre provveduto ad inventare mezzi per gestire gli inevitabili conflitti fra i propri membri, è altrettanto vero che la pratica della mediazione, con le sue irrinunciabili premesse di libertà, di libera assunzione di responsabilità da parte dei soggetti coinvolti, di completa indipendenza dalle pratiche già regolamentate, rappresenta qualcosa di sconosciuto alle culture tradizionali. Ancora oggi è aperto un dibattito privo di una soluzione condivisa, un vivace dibattito tra le “teorie pluraliste” e quelle “moniste” ; ovvero, 87

alcuni sostengono che la mediazione possiede una propria irriducibile caratterizzazione, indipendentemente da chi viene coinvolto e dal campo entro cui viene applicata; mentre altri ritengono che non si possa parlare della mediazione come di una modalità unica che mantiene la sua specificità nonostante venga applicata a campi radicalmente differenti. Le pratiche di mediazione, variano a seconda dei differenti problemi che devono affrontare e dei diversi contesti socio-culturali in cui vengono implementati . La mediazione è legata a discipline 88

diverse e ciò significa che il mediatore opera in aree diverse e

DE CESARE, La mediazione familiare. Come affrontare un conflitto in 87

maniera costruttiva, cit.,21

LUISON, La mediazione come strumento di intervento sociale. Problemi 88

e prospettive internazionali, prefazione Scatolero D. (a cura di ), Milano, 2006, 12

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può avere formazioni culturali differenti. I mediatori, infatti, hanno approcci teorici diversi l’uno dall’altro. Il mediatore opera spesso in campi diversi e possiede formazioni diverse. Questo significa che tali professionisti hanno approcci teorici molto diversi l’uno dall’altro e alla base dei programmi di mediazione, infatti, ci sono sempre determinati approcci. Il più diffuso negli Stati Uniti è il Facilitativo/Centrato sui partecipanti: cioè la mediazione è incentrata sui partecipanti per aumentarne la consapevolezza ed il rispetto. L’approccio fa riferimento alla psicoterapia ed alla socioterapia. Altri approcci sono collegati ad altre teorie: quella direttivo/orientato alla soluzione è connessa all’utilitarismo; l’approccio trasformativo, quello narrativo e quello umanistico/integrato sono collegati alla teoria umanista. Tra i modelli più usati dai mediatori vi è quello “a stadi” : composto dalle affermazioni 89

di apertura, dalla fase durante la quale ciascuna persona può esprimersi senza interruzioni, poi viene la fase dell’interazione, la definizione dei punti da risolvere, la progettazione della soluzione, la stesura della soluzione e la chiusura . 90

BRAMANTI, Sociologia della mediazione, teorie e pratiche della 89

mediazione di comunità, Milano 2005, 74, “Il modello sistemico, in ambito familiare, sistemico - relazionale, si configura come un processo finalizzato a comprendere il sistema creato dal conflitto. Si fa riferimento al modello adottato dall’A.I.M.S. (associazione internazionale mediatori sistemici, fondata nel 1995).

LUISON, La mediazione come strumento di intervento sociale, cit., 3290

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Nel caso in cui il lavoro con la coppia non sia possibile, si possono prendere in esame e proporre alternative quali: il sostegno genitoriale individuale o di gruppo . Si cerca sempre 91

comunque di incrementare la co-genitorialità. L’orientamento e il sostegno alla genitorialità hanno come fine la necessità di entrare in empatia con il figlio e quindi con i suoi bisogni e possono essere svolti attraverso colloqui individuali o di gruppo. Il mediatore deve accogliere i differenti punti di vista per poi permetterne il confronto. Non svolge un’attività investigativa, ma si pone come ascoltatore attivo. Per quanto riguarda il concetto di tempo è opportuno considerare che è interesse di tutti, esperti chiamati in causa e persone vicine al soggetto, rispettare i tempi fisiologici di elaborazione del trauma che la persona vive in quel momento. Nella realtà i tempi possono essere molto differenti da persona a persona e solitamente c’è molta fretta nel volere risolvere il conflitto. Il mediatore familiare deve lavorare per far riprendere il flusso della comunicazione tra gli ex coniugi che ormai si relazionano soltanto sulle questioni legate alla rottura del loro rapporto, altre volte deve occuparsi della riorganizzazione delle relazioni genitoriali dove l’obiettivo è raggiungere accordi condivisi e duraturi che definiscano il nuovo assetto familiare. Per questo il

MONTANARI, Separazione e genitorialità esperienze europee a 91

confronto, Vita e Pensiero, 2007, 47, “ L’esistenze di gruppi di parola per i genitori separati, fa si che ciascuno di loro possa raccontare ciò che ha vissuto e sentirsi meno solo”.

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mediatore deve riprendere la storia della coppia e della famiglia per ciò che di positivo c’è stato, per il bene del figlio, per gli adulti che tra loro devono tenere aperta una relazione. Nelle discussioni è fondamentale essere coerenti in quanto il figlio elabora, tiene conto di quello che viene detto e si fida. Ne segue che una mezza verità scoperta come tale può essere vissuta dal figlio come un imbroglio o un inganno. Obiettivo importante resta quindi mantenere una continuità di rapporto tra il figlio ed entrambi i genitori ed evitare l’inutile disputa coniugale per l’amore esclusivo dei figli estromettendo definitivamente l’ex-coniuge dalla vita affettiva di quest’ultimi.

Tabella 1. “Regole fondamentali del mediatore”

Terminata la mediazione, il giudice nella fase giudiziale può far richiesta di una relazione, nella quale verranno riportate per iscritto solo le conclusioni e non ciò che si è detto nei colloqui. Tali conclusioni saranno riferite, dai clienti, e non dal mediatore che è vincolato dal segreto professionale, al giudice

l. Trasparenza 6. Argina e contiene l’emotività non produttiva

2. Imparzialità 7. Rispetta i tempi del contratto (10/12 sedute)

3. Non tornare troppo nel passato

8. Rende protagonisti le parti e ne valorizza le proposte, i punti in comune e le piccole mete di volta in volta raggiunte

4. Autonomia dall’autorità giudiziaria

9. Lavora sul presente e sul futuro

5. Facilita la comunicazione l0. Si concentra sulle tematiche genitoriali

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o agli avvocati. Da ricordare inoltre, che gli accordi raggiunti in mediazione non vincolano giuridicamente la coppia , la quale 92

può decidere di riorganizzare la propria vita in modo autonomo e di sottoporli in un secondo momento al proprio avvocato perché li trasformi in un atto giuridico, il quale può fornire consigli e pareri motivati al cliente, elaborati in base alle proprie capacità professionali. Parere personale è che gli accordi presi in fase di mediazione potrebbero assumere l’aspetto di un documento ufficiale con valore legale, sottoscritto dalle parti e dallo stesso mediatore, da consegnare al proprio avvocato. Le competenze messe in campo dal mediatore sarebbero ulteriormente certificate e il documento proposto avrebbe grande rilevanza, proprio perché sorto dopo ragionamenti multidisciplinari. Aspetto più importante, e che dà il significato professionale a questo lavoro, è che la mediazione familiare non si risolve con la semplice adozione di nuovi comportamenti. Il rapporto che si è creato tra i due genitori e il tecnico, ha una sua precisa collocazione: in esso si sono verificati accadimenti e si sono mossi molte componenti emotive. I cambiamenti non investono solo gli aspetti comportamentali: essi non sono semplici adattamenti a disposizioni ingiunte. Di solito avviene una rimessa in gioco delle emozioni, degli stati d’animo, degli atteggiamenti reciproci e infine il rapporto evolve. Fedele alla sua definizione, il processo di mediazione può concludersi con un

CHIARAVALLOTI, SPADARO, L’interesse del minore nella mediazione 92

familiare, Milano, 2012, 210, “Esso non vincola giuridicamente la coppia fino a quando il documento non diventa parte integrante del ricorso di separazione sottoposto al controllo di conformità da parte del giudice”

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maggior livello di comprensione e in particolare di tolleranza, talvolta con il riuscire a prendere coscienza dei propri schemi irrigiditi, rinunciare ad attese impossibili e a inutili rancori. Concludere positivamente il processo non significa far pace, nemmeno che mai riconciliarsi: indica semplicemente acquisire la capacità di agire con una migliore tutela dei figli nel rispetto reciproco. Il mediatore non è una sorta di taumaturgo e sotto le sue spoglie non si nasconde uno psicoterapeuta, anche se possono essersi instaurati dei legami emotivi: l'assenza di problematiche gravi, e la relativa brevità del processo, di solito rendono questo momento abbastanza facile. A volte si rende opportuno un intervento rituale, conclusivo, da parte del mediatore. Egli con una connotazione positiva attribuisce principalmente ai genitori il merito del successo.

3.2 Modelli di mediazione familiare

La mediazione familiare, in materia di divorzio o di separazione, è un processo di risoluzione dei conflitti familiari e le coppie, coniugate o no, richiedono o accettano l'intervento confidenziale di una terza persona, neutrale e qualificata, chiamata mediatore familiare. Il ruolo di mediatore familiare è quello di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e mutuamente accettabile, tenendo conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia e particolarmente di quelli dei figli in uno spirito di corresponsabilità e uguaglianza dei ruoli genitoriali. Riporto alcuni dei modelli “storici” più noti delle scuole internazionali di mediazione, prescelti, rielaborati e adottati dalle varie scuole italiane.

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Il modello strutturato è un intervento di tipo sistemico che 93

impone il rispetto di una serie d’impegni, anzitutto l'accordo sulla cura e sull’educazione dei figli, ma anche come affrontare la situazione patrimoniale. È dunque un processo globale. Il mediatore si pone in una posizione neutrale, ma ha una funzione direttiva e controlla le possibili simmetrie tra le parti; ha anche il compito di valorizzare l'importanza di ciascuno, imporre il reciproco rispetto, distanziando il conflitto ritenuto inutile, a vantaggio del lavoro in comune cooperando. Non sono concessi i colloqui individuali: altrettanto la consultazione degli avvocati. I due genitori sono incaricati di informare i figli di quanto accade in mediazione, e questi potranno talora partecipare a un incontro. Il processo segue uno schema di risoluzione del problema, lungo una serie di passaggi:

AUTORINO, Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. 93

La separazione, il divorzio, l’affidamento condiviso, Torino, 2011, 548, “Storicamente, la mediazione familiare è nata negli Stati Uniti. Nel 1974, O. J. Coogler, avvocato e consulente matrimoniale, aprì ad Atlanta il primo servizio privato di mediazione familiare. Il modello strutturato proposto da Coogler si ispirava alla tecniche di negoziazione utilizzate in precedenza nell’ambito delle controversie commerciali. Nel 1975, nasceva, sempre su iniziativa di Coogler, la Family Mediation Association (FMA)”; CAGNAZZO, La mediazione familiare, cit., 110-117; CORSI, SIRIGNANO, La mediazione familiare, problemi, prospettive, esperienze, Milano, 2007, 50 ss.; URSO, La mediazione familiare, modelli, principi, obiettivi, cit., 28, “ modello basato su un proprio schema di risoluzione del problema, meno rigido, razionale”.

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• Anzitutto si procede alla definizione del problema, rispettando la posizione di ciascuna delle parti;

• Successivamente si raccolgono le informazioni, ma anche le preoccupazioni relative all'insieme della situazione;

• Viene dato quindi uno schema di accordo temporaneo che distingue i problemi a breve termine da quelli a lungo termine;

• Si esaminano le proposte che ogni separato espone e si discute sulle conseguenze positive o negative di ogni ipotesi;

• Si sceglie l'opzione che offre la migliore soluzione al problema e si ristabilisce la modalità attuativa;

• Infine si stende un documento con gli accordi raggiunti, la cui sintonia con la legge potrà essere esaminata dal legale.

Il modello Coogler spinge verso l'autodeterminazione delle parti e contiene un forte indirizzo verso la soluzione dei problemi: in pratica trascurando le componenti emozionali, si ricorre a tecniche di problem-solving.

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Il modello negoziale , con il suo maggior esponente, J.M. 94

Haynes (1982) prende vita dalle trattative di lavoro. Nell'applicazione familiare si propone una definizione unificata del problema e l'individuazione delle soluzioni più utili in un’atmosfera di cooperazione. Le linee guida del processo prevedono che la controversia tra i due ex partner sia considerata un evento sano e non patologico. Si parte dal presupposto che i genitori devono essere pienamente capaci di individuare quale sarebbe la soluzione migliore per i figli: essi dispongono di una quantità di informazioni superiori rispetto a quanto sembra emergere dalla trattativa. Di conseguenza si cerca di chiamare in causa le loro risorse positive evitando al massimo lo scontro con la direttività, in vista di un accordo. Per evitare di essere coinvolti nei giochi relazionali, Haynes suggerisce di individuare un'area in comune su cui lavorare. Questo può essere fatto invitando ciascuno a definire le prospettive di quanto è stato richiesto definendole possibili, difficili, impossibili, e su questa base esaminare insieme la

OBERTO, Gli aspetti di separazione e divorzio nella famiglia. Profili 94

sostanziali, processuali, di mediazione, di previdenza, di tutele con riferimento al coniuge debole ai minori, le nuove frontiere del risarcimento del danno, Trento, 2012, 186. “John Haynes, psicologo statunitense, affermò che anche gli assistenti sociali ed i consulenti famigliari e matrimoniali potevano fare mediazione e così, nel 1982, fondò la Accademy Family Conciliation Council”;DE FILIPPIS, MASCIA, MANZIONE, RAMPOLLA, La mediazione familiare e la soluzione delle controversie indotte tra genitori separati (nuovo art. 709 ter c.p.c.), Trento, 2009, 22;

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praticabilità dell’idea e dei costi delle stesse. Il metodo si propone di circoscrivere il problema della relazione in un ambito operativo quanto mai ridotto. Poiché la questione a monte spesso poggia su una competizione simmetrica, sul timore di poter essere sopraffatti, o di perdere la posizione di supremazia, il trovare un accordo su una questione minore verrà più facilmente vissuto dalle parti in maniera positiva. In realtà questo accordo minimale rappresenta la possibilità che ci si avvii verso un cambiamento più globale, come abbandono delle posizioni rigide. Questo tipo di operazione è tanto più possibile quanto più la vertenza non è grave. Si lavora per il futuro temendo che il richiamo al passato possa fare attivare problemi interpersonali. Non sono previsti colloqui individuali, mentre i figli possono essere ammessi a partecipare, ma solo in modo occasionale e a giudizio del tecnico. Si discute solo sugli aspetti pragmatici della separazione e del divorzio, sulle questioni riguardanti l'affidamento il mantenimento dei figli, sia su quelle patrimoniali: è anche questo un processo di mediazione globale. Si conclude con la stesura scritta degli accordi. Il modello integrato viene condotto da due professionisti, un 95

mediatore e un legale, che operano in modo integrato anche se in sedi diverse. I separati sono consultati l’uno in un ambito riservato alle componenti emotive e l’altro connesso agli aspetti pratici. Si affrontano così i problemi dai diversi punti di vista,

BOGLIOLO, BACHERINI, Manuale di mediazione familiare, 95

Proteggere i figli nella separazione, cit., 114 ss.; HAYNES, BUZZI, Introduzione alla mediazione familiare. Principi fondamentali e sua applicazione, 2° ed., Milano, 2012, 29 ss.

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avendo in comune la finalità di normalizzare il disaccordo. Nella funzione affidata al mediatore il processo è centrato sull'intenzione di risolvere la relazione. I clienti sono invitati a non discutere sui temi di negoziato, ma a capire quanto sono pronti a condividere l'uno con l'altro i problemi. In questo modo viene ribaltato il significato della controversia e facilitato il compito della successiva consulenza legale. A questo proposito, non è il chiarimento legale a dare equilibrio ai c o n i u g i , m a l ’ a u m e n t o d e l l a l o r o c a p a c i t à d i autodeterminazione come risultato di una rivalutazione di sé. Il modello interdisciplinare , riprende il modello precedente, 96

ma questa volta propone un intervento con la co-presenza dei due esperti, cooperanti e in sintonia, pur presentandosi con formazione e schemi di pensiero diversi. Si pratica molto in Germania, dove i mediatori prospettano di esaminare sia gli aspetti concernenti il diritto di famiglia, sia le ipotesi per l'analisi di una riproposizione delle loro relazioni. Mentre l'avvocato porta avanti le questioni pratiche il mediatore si fa carico dello scambio comunicativo e cerca di contenere le aree conflittuali. Si prevede che queste quattro persone siano impegnate su una creatività collettiva dove, oltre alla soluzione della controversia, si prosegue anche una migliore intesa nei separati. Esiste solo una certa analogia con le co-terapia della psicoterapia familiare, ma in questo caso i due rispondono durante gli incontri secondo le rispettive competenze,

HAYNES, BUZZI, Introduzione alla mediazione familiare. Principi 96

fondamentali e sua applicazione, ed 2, Milano, 2012, 32, “Il modello interdisciplinare viene fatto risalire a Sauber, Gold e in Italia ad Andolfi, a Calabrese e al centro Se.Ra. (Senza Rancore) dell’Aquila”.

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presentandosi come una unità professionale. E’ perciò improprio parlare di co-mediazione, vista la distanza culturale e differenti obiettivi dottrinali. Questa corrisponde meglio a un intervento condotto insieme da due mediatori. Il modello terapeutico di Irving e Benjamin (1994), si basa 97

sulla premessa che sia opportuno, prima di avviare un processo migratorio, intervenire direttamente sui soggetti in casa. In questo senso si introduce la mediazione. Si tratta di una fase preliminare, destinata a migliorare i rapporti, in modo da facilitare l'analisi dei problemi oggetto della controversia. Ci si propone di riflettere sulla vicenda separazione, correggendone se possibile le componenti disfunzionali. Inizialmente si valuta la disponibilità, la situazione psicologica, la presenza di una conflittualità e il grado di questa, oltre che i problemi relativi ai figli. Il processo prevede non solo motivazione, ma anche consapevolezza e disponibilità. Vengono anche effettuate alcune sessioni individuali, due o tre, più una ultima congiunta: qui si valuta il possibile inizio del processo. In pratica l'obiettivo è di superare disfunzioni di vario tipo, interne ed esterne, comprese le intromissioni delle famiglie d'origine, gli amici, e così via, che potrebbero interferire o vanificare il

PASTORE, L’amore e il conflitto, Roma, 2008, 36, “Modello fatto risalire 97

allo psicoterapeuta Irving e al sociologo Benjamin nel 1994”; URSO, La mediazione familiare, modelli, principi, obiettivi, cit., 29, “ vi è la convinzione che i soggetti coinvolti nel conflitto debbano procedere a un cambiamento prima di poter giungere a un accordo che aspiri ad avere una lunga durata”

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processo. Con l'inizio della mediazione propriamente detta, il tecnico fissa gli argomenti, iniziando dai problemi minori. In sostanza si tratta di un percorso centrato sul sostegno emotivo. Ci si rifà anche qui alle tecniche di problem solving, ma alla luce delle componenti emozionali. È concesso contattare i propri avvocati ma non di far assistere i figli alle sedute. Dopo circa due mesi dalla conclusione del processo è previsto un follow-up per verificare e controllare i progressi nonché il rispetto degli accordi raggiunti. Il modello trasformativo si basa sul concetto che la 98

mediazione familiare ha le potenzialità per generare effetti trasformativi altamente benefici per le parti e per la società. Tale potenzialità si attua quando il mediatore porta una disposizione d'animo e metodi di intervento che contribuiscano

LUISON, La mediazione come strumento di intervento sociale. Problemi 98

e prospettive internazionali, cit., 43. “Il modello ha due ricercatori e mediatori di rilievo: Baruch Bush e Joseph Folger (1994)”; BRIGANTI, La mediazione problem solving e trasformata nelle controversie civili e familiari, anche in ambito telematico, cit., 40, “ due obiettivi importanti: l’empowerment che significa il ristabilimento negli individui della percezione del proprio valore, della propria forza, della propria capacità di prendere decisioni e di gestire i problemi della vita” e il riconoscimento che è l’evocazione di una conferma, di comprensione o di empatia nei confronti dell’altro e del suo punto di vista. Se entrambe le dinamiche assumono un ruolo centrale nel processo, le parti possono trovare aiuto per trasformare la relazione conflittuale da distruttiva a costruttiva e sperimentare personalmente gli effetti di una tale trasformazione”.

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alla realizzazione di due obiettivi chiave: empowerment e il r i c o n o s c i m e n t o . L ' e m p o w e r m e n t i n c o r a g g i a l’autodeterminazione, l'autonomia, rafforzando la capacità delle persone a vedere con chiarezza la loro situazione e di prendere decisioni per loro stesse; il riconoscimento coinvolge i partecipanti nella capacità di riconoscere l'uno i sentimenti e il punto di vista dell'altro inoltre di essere più sensibili ai suoi bisogni. L'empowerment e il riconoscimento sono connaturati alla mediazione. Folger e Bush identificano dieci tratti essenziali della mediazione trasformativa: 1. Impegno per l'empowerment e il riconoscimento reciproco,

come fine principale del processo e come caratteristica principale del ruolo del mediatore.

2. Rinuncia alla responsabilità rispetto all'esito del processo dei confronti delle parti: “sono loro che scelgono”.

3. Rifiuto cosciente di giudicare i punti di vista e le decisioni delle parti.

4. Visione ottimistica delle competenze e delle motivazioni delle parti. Non viene messa nessuna etichetta alle parti e quindi intrinsecamente giudicate indifferenti, deboli o manipolatrici.

5. Libertà d'espressione delle emozioni: concedere alle parti momenti di sfogo congrui ai loro sentimenti; incoraggiare le parti a descrivere le loro emozioni e gli eventi che le hanno fatte sorgere, per promuovere comprensione e prospettive comuni.

6. Disponibilità a riconoscere le incertezze delle parti: se i mediatori presumono di capire la situazione e i bisogni delle parti in una prima fase della mediazione, rischiano di bloccare una fase importante del la f luidi tà e

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dell'ambivalenza. Piuttosto che sviluppare un'ipotesi che conduca in una particolare direzione, è preferibile per i mediatori mantenere un sano senso di incertezza, in modo da continuare a porre domande invece di trarre conclusioni.

7. Focalizzazione sul qui e ora dell'interazione conflittuale: invece di tentare di risolvere i problemi, il mediatore si concentra su affermazioni specifiche, quando esse vengono fatte, cercando di individuare i punti precisi in cui le parti mancano di chiarezza, si sentono incompresi o possono essersi fraintesi a vicenda. Quando i mediatori individuano tali punti, rallentano la discussione e dedicano del tempo al chiarimento, alla comunicazione e al riconoscimento.

8. Sensibilità verso le affermazioni delle parti a proposito di eventi passati: la discussione sul passato ha valore per il presente. Il mediatore generalmente incoraggia le parti a concentrarsi sul futuro non sul passato; Folger e Bush, al contrario, sostengono che se la storia del conflitto viene vista come un male su cui non bisogna indugiare, si perderanno delle opportunità importanti di empowerment e riconoscimento. Rivedere il passato può rivelare scelte che sono state fatte, opzioni che erano disponibili e momenti di svolta; di conseguenza, rivedere il passato può condurre a una nuova valutazione del presente.

9. Visione dell'intervento come un punto in una sequenza più ampia di interazioni conflittuali; il contesto spesso si svolge per cicli poiché le parti in lotta hanno dubbi e incertezze. Se i mediatori sono preparati al fatto che un ciclo progredisca per poi allontanarsi dall'accordo, è meno probabile che si lascino prendere dal panico quando il movimento progressivo verso l'accordo si ferma o rallenta.

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I mediatori possono perfino accogliere positivamente questi cicli, considerandoli come parte del flusso e reflusso naturale del processo di mediazione.

10. Senso di successo quando si producono empowerment e riconoscimento, anche in misura minima. La mediazione è sempre una sfida, e spesso difficile. Permettere a noi stessi di percepire e godere dei piccoli successi è molto importante per alimentare la nostra energia e motivazione. Invece di definire il successo solo in termini di accordo finale raggiunto, il mediatore trasformativo da valore a ogni piccolo passo che contribuisce alla forza personale, alla comprensione e compassione interpersonale.

Molte persone però ricorrono alla mediazione proprio perché hanno dei problemi da risolvere: non necessariamente perché chiedono di essere trasformate. L’espressione, mediazione trasformativa, può far pensare che i mediatori siano operatori in grado di fare miracoli, capaci di trasformare le persone o i loro conflitti nel corso di un processo relativamente breve. Anche una terapia a lungo termine potrebbe non produrre un cambiamento fondamentale della persona. Il conflitto potenzialmente può essere trasformato, se viene capito e gestito in modo nuovo, ma tentare di trasformare le persone è un'altra questione, che va molto al di fuori del ruolo del mediatore e può rivelarsi pericolosa. Le persone non si rivolgono alla mediazione per essere trasformati; i mediatori non dovrebbero imporre di loro iniziativa un processo, benché creativo è fantasioso. Se i partecipanti vogliono aiuto per raggiungere un accordo concreto, sembra però che ci si aspetti da loro un cambiamento delle reciproche visioni negative, ma hanno il diritto di ricevere il tipo di aiuto richiesto. I mediatori che

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sentono la missione di trasformare i loro clienti, operano al di fuori dei limiti etici della mediazione. Eppure, è provato che prendere parte a una mediazione per alcune persone può essere un'esperienza catartica, che le conduce a dei cambiamenti nel loro modo di reagire e perfino nella percezione di loro stessi. Se questa catarsi nasce spontaneamente, senza essere forzata da parte del mediatore, il ruolo del mediatore stesso rimane genuino e trasformativo e la mediazione può ottenere effetti terapeutici, senza diventare una terapia. L'importanza del contributo dei due mediatori (Folger e Bush) consiste nell'enfasi posta sugli aspetti di empatia, immaginazione e umanità della mediazione, in contrasto con l'approccio strutturato, che può risultare eccessivamente freddo, logico e limitato nell'affrontare le relazioni interpersonali. Si deve comunque ricordare che i principi fondamentali del riconoscimento e dell'accettazione non sono stati introdotti nella mediazione da Bush e Folger, ma erano stati usati fin dall'inizio da molti mediatori, in particolare da chi aveva una formazione in campo terapeutico. Il modello narrativo è basato sull'idea che i mediatori e 99

disputanti esercitano influenza reciproca continua, attraverso il nuovo dialogo. I teorici di questo approccio alla mediazione lo concepiscono appunto come un processo narrativo in cui i partecipanti sono invitati a raccontare la loro storia, con il doppio proposito di coinvolgerli in eguale misura e di aiutarli, attraverso una comprensione condivisa. Riconoscere la

CALLEGARI, Gestione dei conflitti e mediazione, in Diritto e questioni 99

pubbliche, Palermo, 2013, 481, v., COBB, Empowerment and Mediation: A Narrative Perspective, in «Negotiation Journal», 9(3), 1993, 245-259

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continua influenza reciproca che i mediatori e i disputanti esercitano gli uni sugli altri è, secondo Cobb, una sfida al modello della mediazione diretta all'accordo, in cui i disputanti vengono guidati dal mediatore come in una serie di passaggi o livelli. I modelli strutturati per gradi forniscono un utile struttura per il processo di mediazione, ma non spiegano le dinamiche, ne utilizzano un'ampia gamma di strategie di comunicazione. Un concetto centrale per il modello di mediazione narrativo comunicativo è l'idea del framing. La cornice è un mezzo psicologico per delineare messaggi. Le cornici operano includendo certi messaggi ed escludendone altri, proprio come la cornice di un quadro contiene l'immagine che deve essere vista ed esclude i soggetti esterni. Le cornici suggeriscono anche una chiave di lettura del messaggio che contengono. Si può attribuire a un messaggio narrativo una forma comune e statica benché la mediazione abbia fatto proprio il termine di reframing, più adatto all'idea di processo, per rappresentare uno scambio interattivo di messaggi. Il reframing è considerato da molti come uno degli strumenti principali usati dai mediatori per aiutare i partecipanti a progredire verso un accordo. In gran parte della letteratura sulla mediazione il reframing è visto come una funzione unilaterale condotta dal mediatore, in quanto strategia pianificata. Invece i modelli comunicativi hanno l'influenza congiunta, poca costruzione di cornice o frame, in cui tutte le parti, formulano e riformulano continuamente opinioni nei confronti degli altri. Secondo

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Cobb , la strada di ogni conflitto tende a essere notoriamente 100

rigida ripetuta incessantemente recalcitrante al cambiamento. Il ruolo dei personaggi nella storia di ogni disputa vengono contestati e riformulati nella versione opposta e i valori sostenuti dell’una vengono designati dall'altra; l'immagine del caleidoscopio rimane sempre fissa e uguale a se stessa. Inoltre, tutto ciò conduce allo sviluppo di nuove tecniche, per mediatori che cercano di trasformare le storie dei disputanti o semplicemente di incoraggiare una maggiore congruenza. Dopo aver considerato e preso coscienza di alcune delle tecniche maggiormente utilizzate in Italia, pare riduttivo trattare le problematiche di una coppia in via di separazione o di divorzio solo da un punto di vista legale; i soggetti coinvolti hanno bisogno di un sostegno specifico, che abbia come obiettivo principale quello di valorizzare le relazioni difficoltose, per giungere poi a soluzioni condivise, nell’interesse loro e dei figli. Solo in un secondo tempo si possono affrontare adempimenti burocratici che vanno a consolidare e legalizzare le decisioni maturate insieme. Voglio ora, spendere poche righe per accennare che accanto alla mediazione familiare negli ultimi anni sono sorte iniziative molto interessanti che promuovo l’auto-mutuo-aiuto in varie forme e tra tipologie diverse di soggetti: i “Gruppi di parola”, a cui partecipano i figli o i genitori con i figli e in alcuni casi anche i nonni; oppure “gruppi di mutuo-aiuto” per genitori separati o nella fase della separazione.

COBB, Empowerment and Mediation: A Narrative Perspective, in 100

«Negotiation Journal», cit., 245-259

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E’ interessante sapere che i “Gruppi di parola” , una 101

metodologia innovativa finalizzata ad accompagnare le famiglie rese fragili dall’evento inatteso del divorzio, è una risorsa da poco presente in Italia. L’interesse specifico di quest’esperienza risiede nel paradigma teorico di riferimento, in cui viene pr ivi legiata la cura del le relazioni intergenerazionali e la dimensione simbolica dei legami familiari tra generi diversi e tra stirpi diverse. Inoltre, la scelta di un aiuto in gruppo per attraversare la fase del divorzio, piuttosto che un lavoro individuale con colloqui con il singolo bambino, è fondato sul riconoscimento esplicito del bisogno di rinforzare l’appartenenza di questi soggetti al corpo familiare: nel momento in cui l’unitarietà del gruppo d’origine è intaccata e sta attraversando un mare in tempesta, sembra più opportuno lavorare in piccoli gruppi. Il vantaggio del lavoro in gruppo è riscontrabile anche nel fatto che i figli di separati non sono costretti a un’osservazione introspettiva, ma all’interno dello spazio intersoggettivo possono parlare (con diversi linguaggi) delle emozioni, delle paure, dei conflitti in modo meno pericoloso che nel rapporto uno ad uno e al tempo stesso possono osservare i cambiamenti e le reazioni dei coetanei per arrivare a loro volta a porsi degli interrogativi su di sé e sulla propria famiglia, attraverso la funzione cosiddetta “di rispecchiamento”. Inoltre a differenza

MARZOTTO, Il lavoro di gruppo con bambini appartenenti a famiglie 101

divise, Politiche sociali e servizi, 2000, 2, 387-403; MONTANARI, Separazione e genitorialità, esperienze europee a confronto, Vita e Pensiero, 2007; MARZOTTO, Gruppi di parola per la cura dei legami familiari, Milano, 2015, 17

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dell’ascolto del minore o di altri interventi propri dell’area cosiddetta di “tutela minori”, in cui il singolo figlio viene fatto parlare in presenza del giudice o di un esperto, nel gruppo di parola i contenuti sono confidenziali e la parola del minore non si sovraccarica di un potere eccessivo e forse “pericoloso” per sé e per la sua famiglia. Un “Gruppo di parola” è inteso come un luogo neutro di scambio, di parole e di aiuto con altri figli che vivono la medesima situazione della separazione dei genitori. È altresì un luogo “per prendersi un tempo” per esprimere le diverse emozioni relative alla separazione e condividerle. I figli sono considerati degli “esperti” e attraverso varie attività sono invitati ad aiutarsi a trovare soluzioni. Questi programmi mirano ad incoraggiare la formazione di un clima di gruppo che sia d’aiuto per il singolo partecipante, facilitare l’identificazione e l’espressione di sentimenti ed emozioni collegati al divorzio per arrivare ad una maggiore fiducia in sé stessi, chiarire dubbi e sfatare pregiudizi, raggiungendo così una visione più realistica del divorzio, attivare la capacità di problem solving, favorita dalla condivisione di informazioni e procedure ed ancora aumentare la percezione positiva di sé e della famiglia. Per raggiungere questi obiettivi vengono usate tecniche verbali, espressive e pratiche come la discussione di gruppo con la guida di un adulto esperto, lo psicodramma, il disegno libero, la lettura di storie e libri sul divorzio, varie attività artistiche e manuali, la visione di video. Queste tecniche aiutano a vivere il momento con più serenità, con più condivisione, allontanando quella sensazione di solitudine che l’evento traumatico personale può sollevare.

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3.3 Le funzioni e le fasi della mediazione familiare

Dall’esperienza dei vari paesi in cui si è sviluppata la mediazione familiare è possibile isolare tra le molteplici funzioni riconosciute una specifica dimensione preventiva, sia per gli attori coniugi che vi partecipano che per la comunità sociale in senso più ampio. Nelle circostanze della separazione, infatti, spesso i coniugi coinvolti sono spinti a prendere soluzioni affrettate, talvolta drammatiche. La mediazione può rappresentare una pausa di riflessione e di elaborazione che evita gli agiti e le ripetizioni coatte. I tempi del conflitto vengono accorciati anche dal processo di degiuridicazione (sospensione del giudizio giuridico) con l’evidente risparmio di energie da reinvestire nella famiglia e nelle relazioni più significative, sia da parte degli adulti che dei bambini coinvolti; in termini di denaro, è evidente che quello che non verrà speso per gli avvocati potrà essere meglio utilizzato per le spese della nuova riorganizzazione familiare. Un’altra dimensione da considerare, è quella dell’elevato livello di soddisfazione sperimentato da coloro che hanno usufruito della mediazione familiare rispetto a quelli che non ne hanno usufruito. I dati sperimentali derivati dagli studi sulle conseguenze del divorzio condotti a livello mondiale rivelano che la durata degli 102

accordi è direttamente proporzionale al grado di soddisfazione che questi procurano a chi è tenuto a rispettarli. Ne deriva che soltanto un accordo che rispetti gli interessi di entrambi i coniugi avrà la possibilità di resistere nel tempo. Queste

CUZZOLA, DANISE, DE ROSE, La mediazione familiare, Atti del 102

convegno Vibo Valentia - 11 gennaio 2013, 2013, 30

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ricerche, avviate negli Stati Uniti, in Canada ma anche in Europa, dimostrano con evidenza che in percentuale gli accordi raggiunti in sede di mediazione familiare presentano un numero considerevolmente più basso di successivi ricorsi in tribunale rispetto agli accordi imposti dal giudice in sede giudiziaria. Alcuni dati statistici riportano che negli Stati Uniti i padri, notoriamente i più penalizzati dai giudici, sono più soddisfatti degli accordi raggiunti dopo aver usufruito della mediazione familiare. Ancora una volta l’esperienza positiva della cooperazione con l’ex coniuge crea i presupposti di una possibile intesa anche nel futuro in relazione all’educazione dei figli. Secondo l’Istituto di Statistica canadese la maggioranza 103

delle coppie rispettano con globale soddisfazione gli impegni presi sia da un punto di vista economico che delle visite ai figli. I risultati positivi potrebbero essere migliori se l’offerta della mediazione familiare fosse accettata maggiormente dalle coppie in procinto di separarsi. Molti rifiuti arrivano dalle famiglie allargate o residenti in zone in cui l’iniziativa è poco conosciuta. Altra funzione importante è quella della riservatezza garantita dalla totale confidenzialità della mediazione. La sincerità delle opinioni e dei fatti che vengono richiesti alle parti, necessaria alla stesura del documento di intesa tra i due ex coniugi, non viene mai resa di pubblico dominio e a tal fine il mediatore garantisce l’assoluta riservatezza sulle informazioni, messe in

LAMONTAGNE, Essere genitori in un mondo impazzito, Roma 2002, 103

14-17

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comune, non potendo infatti né essere chiamato a testimoniare in giudizio, né a riferire agli avvocati . 104

La funzione più discussa nella mediazione è quella terapeutica. Tale valenza presente nella mediazione è riconoscibile nel fatto che questa può essere intesa come “una mediazione tra due” a vari livelli: tra due organizzazioni intrapsichiche, tra due modalità di organizzazione sociale o tra due sistemi di valori. Proprio in virtù del fatto che si è in un contesto di mediazione, espressione di una incapacità a comunicare in maniera produttiva, è necessario affrontare nel miglior modo possibile lo spazio vuoto e senza tempo che si interpone tra i soggetti.

DE CESARE, La mediazione familiare: come affrontare un conflitto in 104

maniera costruttiva, cit., 26; BELLUARDO, I soggetti della mediazione, 2° ed., Modena, 2013, 42 “L’obbligo di riservatezza è ritenuto talmente importante che già era stato espressamente previsto dall’art. 7 della Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008. Tale direttiva fornisce le indicazioni generiche e programmatiche da recepire, come è stato fatto in Italia, dai Paesi membri, attraverso normative ad hoc, ma una delle cose che prevede espressamente ed abbastanza dettagliatamente è l’obbligo di riservatezza”; in tema di reperibilità istruttoria, v., art. 9 - 10 d.lgs n. 28/2010, “ai sensi dell’art. 9 il mediatore deve mantenere assoluta riservatezza sia sulle dichiarazioni rese dalle parti sia sulle informazioni assunte”; CASSANO, DI GIANDOMENICO, DE FRACISCIS, DE LUCA, GIANNONE, La mediazione. Domande e risposte per i dubbi dell’avvocato (mediatore e non). Problematica processuali di introduzione del giudizio, Padova, 2012, 191

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Tale spazio è caratterizzato sia da una confusione categoriale che di disordine e per tale motivo scatena forti angosce. E’ fondamentale nel processo di mediazione, come in ogni altro processo terapeutico, affrontare tale confusione e angoscia, al fine di poter accedere ad una nuova attribuzione di significati che permetta ai due sistemi di comunicare in modo proficuo dandosi degli obiettivi comuni e condivisi, relativi alla loro funzione genitoriale. Sarà così inevitabile, talvolta, l’irrompere di sentimenti conflittuali che possono avere a che fare con il tradimento, l’umiliazione, i drammi e le ferite che tutte le coppie in fase di separazione acutizzano. E’ allora evidente come nella mediazione se da un lato sono presenti elementi di razionalità, riflessione ed organizzazione, dall’altro vi trovano spazio, inevitabilmente, le emozioni, i desideri, le aspirazioni e le delusioni. A tal proposito non si può immaginare la mediazione come una gabbia, dove rinforzare semplicemente i meccanismi di difesa dell’Io ai fini di un buon adattamento organizzativo, ma essa è sempre anche un’area transizionale 105

in cui andranno gestite le crisi che volta per volta potranno accadere considerandole anche per i loro aspetti positivi, come occasioni di passaggio e possibile cambiamento sia interno che esterno all’individuo. E’ importante, quindi, tener presente che

ALLEGRI, DEFILIPPI, Mediazione familiare, temi e ricerche, Roma, 105

2004, 82; “L’individuo ha bisogno tra il Me e il non Me, tra il soggettivo e l’oggettivo di fenomeni di transizione di ogni genere, come di un territorio neutro”; DE CESARE, La mediazione familiare: come affrontare un conflitto in maniera costruttiva, cit., 27

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nella mediazione appaiono compresenti entrambi i registri: quello affettivo e quello più razionale, di controllo. La capacità del mediatore è proprio quella di saper gestire nel clima di lavoro che si viene a creare in seduta, entrambe le dimensioni, che corrispondono poi al compito che si è posto la mediazione familiare, ossia quello di tenere compresenti e integrati i duplici aspetti prima divisi in competenze di settore, gli avvocati che si occupano delle cose e gli psicologi che si occupano dei sentimenti. La proposta che viene fatta con questo strumento è quella di gestire in un unico spazio e tempo definito, sia la rielaborazione di un inevitabile lutto legato alla relazione che si è conclusa ma che condivide ancora la funzione genitoriale, sia la diversa organizzazione dei compiti di padre e di madre. Riconosciuta la funzione terapeutica alla mediazione familiare è lecito allora chiedersi quali siano i punti di contatto e le divergenze tra la mediazione familiare e la psicoterapia. Considerato il chiaro riferimento da parte dei mediatori familiari ai modelli sistemico-relazionali è importante soffermarsi sulle differenze significative tra un vero e proprio processo terapeutico e la mediazione familiare, che, avendo certamente una dimensione curativa, non si esaurisce con essa. Un fattore in comune che voglio sottolineare tra i due tipi di intervento è che entrambi si fondano sul presupposto di far sperimentare nel “qui ed ora” con un terzo neutrale l’esperienza della collaborazione costruttiva, della decisione comune e condivisa con l’obiettivo di permettere in un “là e allora” la possibilità di utilizzare questo stile relazionale. Anche la relazione tra mediatore e coppia, come tutte le relazioni significative, definisce uno spazio transizionale e generatore di creatività. Se in mediazione si giunge con una forte spinta da

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parte del giudice, sarà, in tali casi, compito del mediatore nella fase iniziale, riuscire a trasformare il contesto coatto in uno spazio dove sia maggiormente in gioco la soggettività e la motivazione personale. Oggi vengono valorizzati quei contesti organizzativi che offrono alla coppia il servizio di mediazione all’interno di un tessuto di servizi per la famiglia che costituiscono una risorsa nel territorio, radicati nei luoghi di vita quotidiana delle persone, ai quali ci si può rivolgere spontaneamente o che altri professionisti possono consigliare con facilità. Queste sedi non specialistiche, come potrebbero essere i consultori familiari, presentano uno stile di lavoro che prende in considerazione l’intero gruppo familiare e non operano solo sul singolo paziente, come avviene invece in altri servizi più settoriali. Per quanto riguarda la formazione del mediatore, oggi esiste una formazione ampia, approfondita e permanente, con un apprendimento in itinere grazie alla supervisione di altri mediatori. Tutti i professionisti devono avere una formazione di base come psicologi, consulenti familiari, assistenti sociali o avvocati, ai quali aggiungere scuole di formazione di circa due anni per acquisire metodologie specifiche. E’ molto importante per coloro che si occupano di conflitto coniugale operare il lutto della coppia genitoriale immaginaria per passare poi così ad aiutare le coppie in mediazione, senza schierarsi inconsciamente con l’uno o con l’altro genitore. La complessità di questa professione sta nel saper affiancare ad un’istanza paterna strutturante un’istanza materna contenitiva. La mediazione è un processo strutturato con un numero prefissato, anche se non rigidamente, di sedute, 10-12 incontri quindicinali, di un’ora o un’ora e mezza-due al massimo,

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distribuite su un arco di tempo variabile da sei mesi a un anno circa . E’ richiesto che durante il lavoro di mediazione sia 106

sospeso il tempo giuridico, ovvero il procedimento giudiziario, per permettere ai partner di funzionare secondo la nuova logica della negoziazione. La mediazione può essere suddivisa in due modalità di lavoro: la prima è la mediazione globale, che come tale si fa carico di tutti gli aspetti relativi ai figli e ai beni: patrimoniali, economici, organizzativi e relazionali; la seconda è la mediazione parziale, in cui i beni non vengono considerati e l’obiettivo è ristretto solo alla gestione della funzione genitoriale nei confronti dei figli. L’obiettivo è sempre quello di incrementare la capacità di negoziazione tra le parti pur proponendo alle coppie itinerari diversi. Rispetto alle condizioni di mediabilità, che in un certo senso corrispondono anche ai principi etici che vanno mantenuti all’interno del contesto della mediazione familiare, va ricordato che nella mediazione ci sono sempre un padre, una madre, ma soprattutto, realmente o virtualmente, il o i figli; senza di essi

DE CESARE, La mediazione familiare: come affrontare un conflitto in 106

maniera costruttiva, cit., 30; GIANNELLA, PALUMBO, VIGLIAR, Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, Roma, 2007, 106, “ Le sedute non si stabiliscono secondo una regola precisa, anche in virtù del fatto che i bisogni della coppia sono diversi gli uni dagli altri”; CORSI, SIRIGNANO, La mediazione familiare, problemi, prospettive,esperienze, cit., 59, “ Prima della mediazione occorre valutare la coppia sentendoli singolarmente uno alla volta e poi la terza seduta insieme. Solo dopo si passa alla pre-mediazione e mediazione”

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verrebbe a mancare la funzione principale della mediazione, ossia sostenere la genitorialità. E’ importante che la coppia che richiede l’intervento non sia una coppia in crisi, ma una coppia di separati. E’ assolutamente fondamentale che il mediatore mantenga un equilibrio di potere tra i due genitori, escludendo ogni tipo di sbilanciamento e assumendo così un atteggiamento di imparzialità verso le parti e gli obiettivi (ad es. un affidatario e un non affidatario). Assieme all’imparzialità è inoltre importante l’assunzione da parte del mediatore di un atteggiamento di assoluta riservatezza di ciò che si va facendo in modo tale da dare alla coppia la possibilità di fidarsi e lavorare su temi così delicati. Inoltre la sospensione del giudizio giuridico è fondamentale al fine di far sì che i due membri della coppia si riapproprino della competenza a decidere insieme sugli aspetti della loro vita relativi al ruolo genitoriale. Tale processo di responsabilizzazione rientra negli obiettivi fondamentali della prima fase di mediazione, definibile nei termini di una restituzione della delega per le decisioni riguardanti il loro ruolo genitoriale. Altro aspetto importante è la partecipazione volontaria e nel caso così non

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sia, ad esempio con un invio coatto del giudice , sarà 107

necessario insistere sugli incontri affinché si sviluppi una motivazione intrinseca a lavorare. Infine una flessibilità procedurale, consistente in un atteggiamento morbido, senza rigide letture lineari di causa-effetto e attribuzioni di colpe è alla base della funzione di costruzione di un percorso di lavoro contenitivo, che dia la possibilità di creare una riorganizzazione attraverso una ristrutturazione cognitiva. Dopo aver trattato le funzioni della mediazione, è utile capire come il mediatore interviene per raggiungere i suoi obiettivi. Il lavoro del professionista viene suddiviso in fasi e ci possono essere diversi modelli composti dal un numero di fasi variabili. Si può partire da un modello base composto da quattro fasi fino ad arrivare ad uno composto da dodici fasi. Ogni fase richiede l'empatia e viabilità associate agli approcci trasformativo e orientato sulla famiglia. Nel modello a dodici fasi, dalla quinta

HAYNES, BUZZI, Introduzione alla mediazione familiare. Principi 107

fondamentali e sua applicazione, cit., 559, “ l’A.I.Me.F. ritiene che l’art. 155 sexies c.c., si riferisca all’esperto mediatore familiare quale nuova figura tipica, extraprocessuale e che, in ragione di ciò, sia opportuno regolare l’accesso alle sue specifiche prestazioni in base a linee guida operative: il giudice non dovrebbe obbligare i coniugi alla mediazione familiare, ma sensibilizzarli, il giudice dovrebbe sospendere l’iter giudiziario durante la fase di mediazione, il giudice dovrebbe tener distinte le figure del CTU, di cui agli artt. 61 ss. c.p.c. da quella del mediatore”; MAZZAMUTO, La mediazione nella tutela della famiglia, Torino, 2013, 8, “nella l. n. 54/2006, si prevede la facoltà del Giudice di invitare le parti ad avvalersi di esperti mediatori familiari”

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in poi possono cambiare o essere ristrutturate per venire incontro ai bisogni dei partecipanti, evitando così di mantenere una struttura rigida che potrebbe non corrispondere alle loro priorità.

Tabella 2. “Le fasi della mediazione”

La prima fase, dopo aver salutato e accolto i partecipanti, prevede di completare il consenso alla mediazione e invitarli a firmarlo. I partecipanti devono capire i termini e le condizioni di base della mediazione accettando l’accordo prima di iniziare. Tali termini e condizioni dovrebbero essere già stati in gran parte spiegati durante l'incontro iniziale di formazione e

SCHEMA DELLE FASI

1 Spiegare la mediazione e valutare l'opportunità

2 Ottenere un assenso volontario e informato

3 Definire e chiarire i problemi

4 Concordare un programma di mediazione

5 Definire le priorità e pianificare

6 Raccogliere e condividere informazioni

7 Esaminare bisogni e opzioni

8 Consultare direttamente/indirettamente i figli

9 Negoziare sulle opzioni preferite

10 Definire i termini dell’accordo

11 Redigere il memorandum d’intesa

12 Concludere la mediazione

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valutazione, essere messi per iscritto nel consenso alla mediazione, e venire firmati dai partecipanti prima di procedere. Il documento di consenso dovrebbe spiegare con parole chiare l'obiettivo della mediazione e il ruolo del mediatore, l'impegno a rivelare in modo pieno e aperto la propria situazione finanziaria, la natura e i limiti della riservatezza che si garantisce, la necessità di richiedere una consulenza legale indipendentemente dall'onorario del mediatore. Dopo essersi assicurati che i partecipanti hanno capito il consenso alla mediazione e abbiano espresso la volontà di aderirvi, il mediatore li invita a firmarlo e ne da una copia sottoscritta ad entrambe le parti. Questa copia firmata potrebbe rivelarsi necessaria nell'eventualità di violazioni della stessa o di lamentele contro il mediatore. Si definisce e chiarisce quali sono i problemi da discutere nella mediazione e quali dovrebbero essere stati individuati e chiariti in qualche misura già negli incontri iniziali di informazione e valutazione, ma è necessario fissarli o riformularli assieme ai partecipanti anche nel primo incontro di mediazione, soprattutto se la situazione è cambiata. I mediatori dovrebbero iniziare chiedendo a ogni partecipante di spiegare che cosa si vuole risolvere con la mediazione. L’idea, è dar loro la possibilità di parlare e di spiegare la propria posizione, questo li aiuterà a sentirsi ascoltati, a esprimere sentimenti repressi, a permettere al mediatore di capire i problemi dal punto di vista di ciascuna delle parti. In pratica spesso non funziona così perché se il mediatore dicesse nel suo modo più caloroso: ”…allora, Morena, vorrei che mi spiegasse cosa la porta qui oggi e poi chiederò a lei, Marco, la stessa cosa”, Morena potrebbe cogliere l'occasione

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per dire che il problema è Marco il quale è scappato con Sara e che ora non le sta dando neanche un soldo, non può pagare l'affitto e i bambini sono così sconvolti che non vogliono vederlo, che solo la scorsa settimana lui ha detto… allora lei ha risposto… insomma, Morena ha avuto l’occasione per dare sfogo ai suoi sentimenti, il mediatore ha permesso che lei accusasse Marco, è probabile quindi che lui si arrabbi sempre di più. Questa potrebbe essere la fine della mediazione, ancora prima del suo vero inizio. Piuttosto di permettere che una delle parti prenda la parola, il mediatore può preferire lavorare all'interno di una struttura di domande mirate, rivolte a turno a ciascun partecipante. Le domande contribuiscono a raccogliere informazioni sui problemi da risolvere e a chiarire il loro grado di urgenza o priorità. Spesso le coppie separate sono così attente ai loro dissapori che dimenticano su quante cose invece vanno d'accordo. È importante affrontare sistematicamente le domande sui problemi principali, per verificare su quale si è già raggiunto un accordo e per individuare quelli non ancora definiti. La fase 4 e 5 riprende l'ordine del giorno, le priorità e la pianificazione. L’ordine del giorno si può concordare velocemente, se entrambe le parti condividono gli stessi problemi. Le loro priorità, però, potrebbero essere diverse. Una madre che vive con i figli nella casa di famiglia può avere problemi urgenti legati alla manutenzione, mentre la priorità del padre, il contatto con i suoi figli. Ogni genitore vorrebbe dedicare del tempo, nel primo incontro, per affrontare le sue priorità, in contrasto con quelle dell'altro: in questo caso, il tempo da dedicare a ognuna poteva essere suddiviso equamente, lasciando del tempo per riassumere e per

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pianificare passi e compiti successivi; eppure si potrebbe decidere di discutere alcuni problemi al primo incontro e altri durante il seguente, quando saranno disponibili maggiori informazioni di ordine finanziario. Si possono prevenire discussioni sterili dicendo: “….riguardo al mantenimento dei figli, ho già alcune informazioni ma credo che qualche dettaglio in più sulle vostre entrate e le vostre spese medie mensili aiuterebbe a capire come ciascuno di voi sta gestendo la situazione. Poi possiamo vedere come il reddito familiare può essere impiegato per il mantenimento dei figli”. È utile elencare le questioni principali su una lavagna, poiché questo dimostra ai partecipanti che le loro parole, ascoltate e riferite sono un punto focale comune. Può capitare che la lista degli argomenti già concordati sia più lunga di quella degli argomenti non ancora convenuti, questo contribuisce in maniera sostanziale a collocare le divergenze in una prospettiva più ampia. È necessario prendere in considerazione il grado di urgenza delle priorità aiutandosi ad esempio con colori diversi e asterischi riportando poi tutte le informazioni su una lavagna.

3.4 La mediazione nelle questioni finanziarie

Le preoccupazioni finanziarie contribuiscono alla rottura dei matrimoni e anche altri tipi di rapporto. La recessione economica degli ultimi periodi, ha colpito duramente le famiglie, che hanno dovuto far fronte ad alcuni problemi lavorativi, organizzativi e finanziari come la disoccupazione, i tagli del sistema assistenziale, l’aumento del costo del carburante e altro ancora. Le coppie che non riescono più a pagare il mutuo della casa potrebbero venire sommerse dai

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debiti difronte ad una separazione. Lontano dal risolvere i loro problemi, la separazione o il divorzio di solito peggiorano le cose, perché due case costano più di una e le spese fioriscono. Due produttori di reddito, che godevano di un livello di vita relativamente buono, al momento della separazione possono scoprire di avere poco capitale da dividere ed entrate troppo basse per vivere da soli. Un padre che se ne va può scoprire che l'affitto di un piccolo appartamento può ridurlo sul lastrico, mentre per una madre che rimane nella casa di famiglia può essere un trauma rendersi conto di non avere un tetto sicuro sulla testa. Il futuro è davvero cupo. Inquilini che non riescono più a pagare il mutuo si troverebbero costretti a dover restituire la proprietà. Genitori che dopo la rottura di una relazione si trovano senza una casa sono costretti a rientrare nella famiglia di origine, tornando a esserne dipendenti, senza volerlo, e perdendo la loro privacy e la loro autonomia. Un genitore che lascia la propria abitazione ha bisogno di un alloggio adatto per quando i figli pernottano da lui, ma non sempre può permetterselo. I figli che crescono in una famiglia separata, in particolare in una famiglia con la madre da sola, tendono a vivere in un ambiente domestico caratterizzato da un minor reddito, un alloggio più povero e maggiori difficoltà finanziarie, rispetto a chi cresce in una famiglia intatta. Anche bassi risultati scolastici vengono associati da una limitata condizione economica. Il denaro significa sicurezza e per molte persone vuol dire essere proprietari della propria casa e poter comprare le cose di cui si ha bisogno o desiderio. La disponibilità di denaro è fonte di potere e mezzo di controllo. Quando una coppia decide di andare a vivere insieme e di comprar casa, il suo è molto più

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che un investimento finanziario: è un investimento sulle relazioni e sulla felicità futura, sulla costruzione di un nido dove poter crescere dei figli e sul lavoro, impegnativo e divertente, di arredarlo e decorarlo in modo che piace a tutti e due. Se in seguito, la relazione si rompe, l'occupazione o la vendita della casa sarà probabilmente una questione ad alto impatto emotivo per entrambi. Chiedere una stima della proprietà durante la mediazione può causare molta sofferenza, perché fa capire che la casa sarà inevitabilmente venduta. L'idea di restare senza alloggio può instillare una paura paralizzante, avere un tetto sopra alla testa offre sicurezza, intimità, un rifugio in cui ritirarsi dalla confusione della vita, in cui ci si sente liberi di vivere come si vuole, senza estranei indesiderati. Vivere nella propria casa vuole anche dire avere una posizione nella società ed essere parte di una comunità, con i vicini, amici e parenti che vivono in zona o facili da raggiungere. In termini di emozioni, la casa contiene ricordi del passato, sfide della vita quotidiana, sogni per il futuro e tra i ricordi c'è anche il duro lavoro fatto per mantenere e migliorare l'abitazione. Se ci sono i figli, è anche la loro casa: il genitore ricorda la nascita, crescita, le gioie e dolori di ogni fase. Ma oltre alle associazioni piacevoli e positive, ci sono anche quelle negative: nella relazione di coppia possono esserci state delle crepe, molto prima della rottura definitiva. Se il clima domestico è pesante e i genitori non parlano tra loro ma litigano in continuazione, o se ci sono stati episodi di violenza e/o abusi psicologici incessanti, la casa non è più un rifugio, ma una prigione in cui la violenza è continua, inascoltata e fuori controllo. In mediazione, perciò, è molto importante capire non soltanto lo status legale e il valore finanziario di una proprietà,

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ma anche i significati che essa incarna per i due partner in termini emotivi e simbolici. Succede spesso che le discussioni sui figli siano portate avanti assieme alle discussioni sulle questioni finanziarie, perché spesso i due problemi sono strettamente connessi. Se i genitori non hanno una casa di proprietà e non hanno entrate economiche oltre al sussidio statale, la discussione potrà vertere soltanto sul contatto dei figli con il genitore non residente. Più spesso, però, gli accordi sui figli s’intrecciano con altre questioni, come la decisione di vendere la casa di famiglia creando problemi legati alla residenza del genitore non affidatario. Le rate del mutuo, i costi di affitto per un appartamento alternativo, prestiti, limiti e spese di manutenzione, sono tutti fattori importanti da tenere presente quando si decide se vendere o no la casa di famiglia. Alcuni padri chiedono perché dovrebbero pagare gli assegni di mantenimento, se la madre impedisce il contatto con il figlio; alcune madri sostengono che il padre non ha nessun diritto di vedere un figlio, se non l'aiuta economicamente. Discussioni e preoccupazioni che riguardano il denaro si traducono in discussioni sui figli. Molti genitori ritengono che pagare gli alimenti e garantire un tetto ai figli sia un elemento

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fondamentale della responsabilità genitoriale inseparabile 108

dalle responsabilità quotidiane; tuttavia, dal punto di vista giuridico, le questioni finanziarie e patrimoniali sono trattate in procedimenti legali diversi da quelli che riguardano i figli: il sistema legale, non affronta le connessioni tra tutte le questioni, sia in termini emotivi che concreti. Per i genitori, comunque, potrebbe essere impossibile arrivare a un accordo sui figli finché non sanno dove abiteranno e come pagheranno le loro spese. La mediazione offre uno spazio di discussione in cui tutti questi problemi possono essere esaminati. In alcuni paesi ci sono dei principi standard che rendono più facile risolvere le questioni finanziarie, perché la quota da pagare per il sostegno dei figli è fissata dalla legge. In Norvegia ad esempio, ogni partner conserva tutto quello che 109

ZATTI, Famiglia e matrimonio, vol 1, in Tratt. di diritto di famiglia, 108

Ferrando, Ruscello, Fortino, (a cura di), Milano, 2011, 237; SESTA, Manuale di diritto di famiglia, cit., 442, “Si faccia riferimento all’art. 433 c.c. per i soggetti tenuti all’obbligo alimentare; alcune disposizioni particolari, sono riportate negli art. 156, comma 3, c.c., art. 129 bis c.c., art. 51 c.c.; ROLANDO, Alimenti e mantenimento nel diritto di famiglia, tutela civile, penale, internazionale. Milano, 2006, 74 - 80; “al coniuge al quale non è addebitabile la separazione o il divorzio, ha diritto a ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al proprio mantenimento, sempre che non abbia redditi propri adeguati”

SERVIZI STUDI DEL SENATO, Coppie di fatto, unioni registrate e 109

matrimonio tra persone dello stesso sesso in Europa, Marci (a cura di), XV legis., n. 99, gennaio 2007, 4 ss

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ha portato con sé al momento del legame coniugale, mentre i beni acquistati insieme nel corso del matrimonio vengono divisi equamente. Nel Regno Unito, si applica una formula per calcolare quanto deve pagare un genitore non residente: nella mediazione, i genitori possono valutare se applicare volontariamente questa formula, o calcolare una quota che li soddisfa di più. I mediatori forniscono informazioni neutrali, senza dare suggerimenti sugli esiti, nel caso in cui la controversia sia portata in tribunale. I partecipanti sono invitati a prendere in considerazione le opzioni disponibili e incoraggiati a trovare una soluzione che ritengono realistica ed equa. Per raggiungere un accordo definitivo sul divorzio, ratificato dal tribunale con un ordine consensuale, è necessario disporre d’informazioni finanziarie documentate. I mediatori usano questionari finanziari simili a quelli utilizzati dagli avvocati di famiglia. È importante che i partecipanti capiscano che se le informazioni finanziarie che hanno dato non sono complete, il tribunale potrebbe rifiutarsi di approvare l'accordo. Il primo passo consiste nell'aiutare le parti a pianificare il modo in cui raccogliere le informazioni: come le discussioni sui figli devono essere fondate su una conoscenza condivisa dei loro bisogni, così una coppia non può negoziare in modo proficuo su questioni finanziarie finché non sono stati stabiliti il valore dei loro beni e l'ammontare delle passività. Alcuni arrivano al primo incontro di mediazione con tutte le informazioni; altri non sanno a quanto ammontano i loro beni, o quanto guadagna il partner. I mediatori devono usare le loro abilità di gestione del processo, oltre che le loro abilità di relazione interpersonale

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anche utilizzando la modalità del problem solving. Per alcune persone, riempire il modulo proposto relativo alle entrate e alle uscite è un'attività che intimorisce. Il mediatore deve vedere i segnali di ansia o di resistenza che lanciano il padre e la madre, assicurarsi che entrambe le parti abbiano la volontà di riempire il modulo. Le persone ansiose o confuse devono essere rassicurate e guidate passo passo nella raccolta delle informazioni. Il ritmo della mediazione deve essere misurato sul partner che di solito si trova in fase diversa di adattamento alla separazione o al divorzio. Spesso, uno di loro è molto più esperto dell'altro delle questioni finanziarie, e si deve riuscire a gestire lo squilibrio di potere che si crea. Quando si esaminano le spese di mantenimento e di sostegno per i figli, il mediatore deve discutere con i partecipanti per definire la quota che ciascuno verserà ragionando sulle spese mensili correnti e il bilancio futuro. Come base per definire le necessità eventuali, si devono annotare inizialmente le uscite quotidiane. Se il mediatore è passivo e lascia che ciascuno critichi le uscite dell'altro, la discussione s’infiamma velocemente. Generalmente le spese superano le entrate e l’ammanco può essere segnato in rosso sulla lavagna. Si può provare a far pensare ai genitori dei modi per ridurre le spese o aumentare le loro entrate e invitarli a tornare in un altro incontro con dei dati rivisti. Tuttavia un genitore a basso reddito che cresce dei figli potrebbe non essere in grado di fare dei tagli al bilancio già limitato; se gli si chiedono delle riduzioni ulteriori, la rabbia e il risentimento sono reazioni comprensibili: è importante che il mediatore dimostri tutta la sua sensibilità nell'uso del linguaggio. Stabilire delle priorità fra spese essenziali è più utile che esaminare quanto spende

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ogni parte in vacanze e tempo libero. Talvolta i genitori sono talmente preoccupati dei debiti che si rivelano riluttanti ad ammettere quanto denaro posseggono; tuttavia, è essenziale riuscire a disegnare un quadro completo della loro posizione finanziaria. Se gli arretrati si accumulano, i mediatori incoraggiano le parti a chiedere un consiglio affidabile per la gestione dei loro debiti. Spesso ci sono anche omissioni ed errori involontari: i mediatori sanno che sbagliarsi è facile, ma devono anche stare attenti e saper riconoscere i segni di disonestà e malafede. Alcune persone potrebbero sperare di tenere nascosta una parte dei loro risparmi. I mediatori devono cogliere gli indizi di sincerità, come un tenore di vita che non può essere giustificato sulla base del reddito dichiarato. Quando una delle parti e più informata o più astuta dell'altra, come succede spesso, i mediatori devono utilizzare delle tecniche per ristabilire l'equilibrio di potere, oltre alle altre abilità di mediazione. L'utilizzo ad esempio di una lavagna luminosa o un cartellone, costituisce il modo migliore per confrontare e disporre le informazioni raccolte nei moduli finanziari inoltre con i documenti di entrambe le parti, può essere utilizzata per evidenziare questioni e priorità ed esplorare le possibilità di scelta in modo sistematico. La lavagna può venire aggiornata man mano che la mediazione procede, ritoccando i dati stimati, dopo che si è ottenuto e concordato una valutazione. L’applicazione pratica di questo metodo, che rende evidente la forza economica di ciascuna parte, deve essere precisa, chiara e creativa, in quanto il supporto visivo rende meglio comprensibile le posizioni economiche dei coniugi.

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Il mediatore che affronta questioni finanziarie deve sapere riconoscere sentimenti come la rabbia, la paura, la confusione. È importante motivare i partecipanti ad assumersi dei compiti realizzabili. Deve inoltre fornire in maniera equilibrata informazioni chiare e verificabili. Nella mediazione è possibile contenere alti livelli di conflittualità, se la coppia comprende e accetta il piano di lavoro e il modo in cui i suoi problemi verranno affrontati. I mediatori devono indagare sulle priorità di ognuna delle parti e concordare l'ordine del giorno all'inizio di ogni seduta, dal momento che le circostanze possono cambiare tra un incontro e l'altro. Alla fine è necessario identificare, se possibile, la questione principale da trattare durante la seduta successiva, in modo che i partecipanti si rechino all'incontro avendo raccolto le informazioni necessarie e avendo riflettuto sulle possibili opzioni. Avere del tempo per riflettere nell'intervallo fra un incontro di mediazione e l'altro può essere molto utile. Dopo aver raccolto e capito tutte le informazioni, il passo successivo consiste nell’identificare e nel valutare le opzioni possibili, prendendo in considerazione ciò che è fattibile ed esaminando i vantaggi e gli svantaggi dal punto di vista di ognuna delle parti e dei figli. Le opzioni relative ai problemi principali possono dividersi in varie sotto opzioni. Le necessità di alloggio per il futuro sono, solitamente, una preoccupazione dominante e uno dei punti di partenza per identificare le possibili opzioni. Le possibilità di scelta per l'alloggio possono essere elencate in ampie sezioni; in seguito, un'opzione o più opzioni preferite possono essere esaminate più in dettaglio in termini di bisogni principali, bisogni di reddito, priorità per i figli, come esempio il non dover cambiare scuola, è priorità per i genitori ad

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esempio la zona nella quale preferirebbero vivere. Considerare le necessità di alloggio a grandi linee fornisce una cornice utile per prendere in esame le entrate e le spese mensili di entrambe le parti. Dopo aver lavorato sul reddito, le spese e i bilanci futuri, può risultare necessario rivedere e ridurre i programmi riguardanti l'alloggio. Alcune opzioni potrebbero venire rifiutate da entrambi, ma è meglio non eliminarle definitivamente: è possibile che la coppia le riesamini. I mediatori non dovrebbero escludere quella che a loro può sembrare un'idea irrealistica, perché potrebbe rivelarsi meno bizzarra di quello che sembrava a prima vista. Se si ha la sensazione che i partecipanti si siano bloccati, suggerire delle possibilità stravaganti potrebbe incoraggiare un brain-storming e aiutarli ad ampliare i loro punti di vista. Questa analisi può essere condotta visivamente sulla lavagna a fogli. Sinteticamente si ribadisce che la mediazione è un modo nel quale si permette alle coppie di elaborare soluzioni più facilmente rispetto a quanto è possibile fare in un processo legale tradizionale.

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CONCLUSIONI GENERALI

Il lavoro sviluppato ha messo in evidenza come la dottrina giuridica affronta il tema delicato della tutela dei minori nella crisi di coppia attraverso lo snellimento e il cambiamento delle procedure che portano i coniugi alla separazione e al divorzio. E’ palese che negli ultimi decenni la crisi dello stato sociale, il declino delle ideologie e lo sviluppo di nuove configurazioni familiari ci abbiano spinti a guardare la famiglia con occhi diversi. Da una aggregazione di tipo patriarcale, regolata da rigide regole interne, si è passati a famiglie mono genitoriali, dove anche le differenze di genere sono passate in secondo piano. La parità dei sessi nella coppia, il controllare e contribuire al progetto familiare comune in egual maniera, ha portato ad avere più aspettative l’uno nei confronti dell’altro, più richieste di attenzioni e più rispetto per la propria individualità. Così che la donna emancipandosi maggiormente è stata fonte diretta involontaria, di una crescita esponenziale delle separazioni e dei divorzi. In Italia nell’arco di 30 anni le separazioni si sono triplicate e i divorzi più che quadruplicati. Con questo dramma sociale i figli di separati sono diventati un problema. Non solo, essi subiscono personalmente interiorizzando, tutte le preoccupazioni e le paure che la separazione porta, ma, cosa più grave, in loro matura il concetto che vivere tale condizione rispecchia la normalità. Ecco allora che la dottrina giuridica è intervenuta, a partire dal 1975 con la riforma del diritto di famiglia, fino ad arrivare ad oggi con il nuovo Istituto di risoluzione stragiudiziale delle controversie: la negoziazione assistita (d.l.132/2014), modificando, trasformando,

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semplificando le procedure che portano alla separazione e al divorzio, tenendo sempre presente la componente figlio. In ultimo la promulgazione della legge n. 55/2015 in materia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha ridotto di molto il tempo intercorrente tra il momento della separazione e la richiesta di divorzio. Da ritenere favorevole alla tutela del minore, che quasi la totalità delle separazioni oggi sono prevalentemente consensuali, cioè sorte da un accordo delle parti; il tribunale deve solo omologare l’accordo verificando che siano stati rispettati i diritti di ciascun coniuge e della prole. Grazie alla legge n. 54/2006 che ha realizzato una vera e propria rivoluzione culturale nel sistema di regolamentazione dell’affidamento dei figli nella quasi totalità dei casi, l’affido è di tipo condiviso. Questo fattore è estremamente importante per il minore, in quanto gli permette di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, i quali possono esercitare pienamente la responsabili tà genitoriale occupandosi della cura, dell’educazione e dell’istruzione del figlio congiuntamente. Risulta chiaro che per la tutela del minore nei percorsi di separazione della coppia, è fondamentale la rapidità con la quale gli organi giudiziari concludono il procedimento. Una nuova normativa oggi consente alle parti che hanno deciso di separarsi di raggiungere una soluzione più celere per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dello stesso, senza dover adire l’autorità giudiziaria, affidando, all’avvocato il ruolo di negoziatore, dall’altra, il legislatore consente alla coppia senza figli minori, di coinvolgere direttamente l’Ufficio Comunale.

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Con la negoziazione assistita regolata dal decreto legge n. 132/2014 convertito in legge con modifiche il 10 novembre 2014 dalla legge n. 162, la coppia che consensualmente vuole separarsi o divorziare non dovrà necessariamente rivolgersi al giudice, ma avrà la possibilità di scegliere tre diverse soluzioni, e cioè: presentare un ricorso congiunto al Tribunale e ottenere l’omologa della separazione, oppure scegliere tra due possibilità, che riducono notevolmente i tempi della procedura: la negoziazione assistita tramite avvocati (art. 6, d.l. 132/2014) e la conclusione di un accordo presso l’ufficio dello Stato Civile, alla presenza di determinate condizioni, la procedura si applica solo in assenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap gravi ovvero economicamente non autosufficienti e in assenza di trasferimenti patrimoniali. Il legislatore, inoltre, ha voluto convogliare molte pratiche aperte di separazione e divorzio verso una rapida risoluzione, snellendo di fatto il lavoro degli organi giudiziari da tempo sommersi di casi; contestualmente ha portato dei vantaggi indiretti anche ai minori che fino ad oggi sono state vittime indiscusse e silenti prigionieri di una burocrazia troppo lenta. Altro punto fondamentale per la tutela del minore, lo si può trovare leggendo il nuovo art. 315 bis c.c., introdotto dalla legge n. 219/2012, quando si sottolinea che il minore che ha compiuto dodici anni o anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. L’aver utilizzato questo termine, ha portato ad una interpretazione completamente diversa rispetto alla terminologia utilizzata in precedenza (audizione). L’ascolto sottintende lo stare attenti alle esigenze

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del minore, alle sue idee e il Giudice ascoltandolo può cambiare le sue opinioni. Nella stessa legge n. 219/2012, contenente le “disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, si è tolta la dicitura, figli naturali e figli legittimi, equiparandoli tutti allo status di figlio, così si è corretta l’incertezza che vedeva competente, il Tribunale dei minori sull’affidamento e il mantenimento della prole solo verso i figli naturali, mentre dei figli legittimi se ne occupava il Tribunale ordinario. Se l’equiparazione dei figli ha colmato una lacuna culturale, e tutelato maggiormente il minore, rimane controversa in dottrina, il frazionamento delle competenze relative alle questioni familiari, suddivise tra alcuni organi giuridici: il Tribunale ordinario, il Tribunale per i minori e il Giudice tutelare. Al Tribunale ordinario sono stati affidati la gestione di temi inerenti l'affidamento e il mantenimento dei figli in ipotesi di separazione dei genitori (siano essi nati all’interno o fuori dal matrimonio) nonché i provvedimenti, ai sensi dell’art. 333 c.c., concernenti la limitazione della potestà genitoriale se è in corso, tra i genitori, giudizio di separazione o divorzio o di regolamentazione dell'esercizio della potestà ai sensi dell’art. 317 c.c.. Il Tribunale ordinario deve quindi far fronte a materie per le quali non può garantire la specializzazione dei magistrati. Al contrario, al Tribunale dei minori, sono state tolte delle competenze nonostante il supporto di Giudici onorari specializzati in campi diversi: pedagogia, psicologia, pediatria, assistenza sociale. Togliere competenze al Tribunale dei minori a favore del Tribunale ordinar io , e mantenere questo t ipo di

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frammentazione, rappresenta un arretramento nel sistema di tutela del minore. Questa frammentarietà può far nascere ritardi, incomprensioni, sovrapposizioni di competenze, che non giovano certo al diritto. Personalmente credo che il consolidamento nei vari Tribunali di prassi differenti, più o meno codificate, in tema di ascolto del minore e, più in generale, nella regolamentazione concreta di una materia così delicata come quella della tutela della famiglia e dei minori, debba far riflettere sull’esigenza di un intervento di razionalizzazione della giurisdizione, mediante l’auspicata istituzione del Tribunale Unico per la Famiglia, altamente specializzato e strutturato sulle peculiarità, complessità ed importanza degli interessi coinvolti. In ultimo voglio soffermarmi sull’importanza della mediazione familiare, strumento d’aiuto per quelle coppie che desiderano riaprire il loro canale della comunicazione. In presenza di figli, è doveroso per le parti coinvolte non interrompere il loro legame mantenendolo sempre ad un livello naturale e costruttivo. Se viene a mancare il rapporto di coppia, non significa automaticamente che finisce anche il rapporto genitoriale. La presa di coscienza dei propri errori, delle proprie aspettative verso l’altro e le mancanze che hanno portato e tale drastica soluzione, porta ad un’analisi complessa che non sempre da soli si riesce ad eseguire, per questo vengono a supporto, altri Istituti come ad esempio quello della mediazione familiare. Questo Istituto contribuisce efficacemente nell’accorciamento delle tempistiche burocratiche, inoltre porta la coppia a collaborare pacificamente diminuendo quelle tensioni che in sede giudiziale sarebbero esplose con richieste assurde,

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inefficaci e capricciose. L’utilizzo sempre più ricercato di questo Istituto, tutela il minore che necessita di superare il momento critico il più rapidamente possibile con informazioni chiare e certezze rassicurative da parte dei genitori.

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