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INTRODUZIONE 1.DIRITTO DEL LAVORO E DIRITTO SINDACALE Il diritto del lavoro, in senso ampio, si caratterizza e presenta una propria autonomia, come disciplina giuridica del lavoro subordinato.Tradizionalmente si distinguono al suo interno la disciplina del rapporto individuale di lavoro (diritto del lavoro in senso stretto), che regola diritti e obblighi del singolo lavoratore contrapposto al singolo datore; il diritto sindacale, che riflette vicende ed interessi collettivi o di gruppo; il diritto della previdenza sociale (o della sicurezza),che disciplina l’erogazione di beni e servizi in favore di coloro che ne hanno bisogno.Tutte queste discipline hanno una comune origine,quella della diffusione del lavoro subordinato in conseguenza della Rivoluzione Industriale.Il processo espansivo del diritto sindacale è però più lento e incompleto rispetto a quello del diritto del lavoro,e della previdenza sociale. L’elemento fondamentale che distingue il diritto sindacale dal resto della disciplina del lavoro,è il riferimento ad aspetti e momenti collettivi dei rapporti di lavoro,infatti gli oggetti della disciplina sono l’organizzazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro,il contratto collettivo di lavoro,il conflitto collettivo (sciopero,serrata).Anche i protagonisti sono collettivi: le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori nelle loro varie forme,e lo Stato con le istituzioni pubbliche,la cui presenza è diventata sempre più rilevante. 2.ORDINAMENTO STATALE E AUTONOMIA COLLETTIVA Il diritto sindacale si presenta come un sistema di norme di diversa matrice: a quelle di origine statale si intrecciano regole prodotte dalle stesse parti collettive, sindacati ed imprenditori,soprattutto attraverso la contrattazione ma anche su base unilaterale (statuti,regolamenti,ecc.).Di queste regole collettive alcune disciplinano situazioni finali (diritti e doveri tra le parti),altre regolano l’attività di produzione di altre norme,hanno quindi carattere strumentale. I processi di osmosi tra ordinamento sindacale e statale sono intesi in entrambe le direzioni: il primo ha esercitato una funzione di stimolo e innovazione rispetto al diritto statale che a sua volta ha svolto compiti di sostegno dell’autonomia collettiva e talora di correzione o integrazione delle norme prodotte da questa. 4.LE FONTI DEL DIRITTO SINDACALE Le fonti del diritto sindacale sono quelle proprie del diritto generale. 4.1.LE FONTI INTERNAZIONALI

diritto sindacale Carinci--Treu

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INTRODUZIONE 4.LE FONTI DEL DIRITTO SINDACALE Le fonti del diritto sindacale sono quelle proprie del diritto generale. 4.1.LE FONTI INTERNAZIONALI CAPITOLO PRIMO

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Page 1: diritto sindacale Carinci--Treu

INTRODUZIONE

1.DIRITTO DEL LAVORO E DIRITTO SINDACALE

Il diritto del lavoro, in senso ampio, si caratterizza e presenta una propria autonomia, come

disciplina giuridica del lavoro subordinato.Tradizionalmente si distinguono al suo interno la

disciplina del rapporto individuale di lavoro (diritto del lavoro in senso stretto), che regola diritti e

obblighi del singolo lavoratore contrapposto al singolo datore; il diritto sindacale, che riflette

vicende ed interessi collettivi o di gruppo; il diritto della previdenza sociale (o della sicurezza),che

disciplina l’erogazione di beni e servizi in favore di coloro che ne hanno bisogno.Tutte queste

discipline hanno una comune origine,quella della diffusione del lavoro subordinato in conseguenza

della Rivoluzione Industriale.Il processo espansivo del diritto sindacale è però più lento e

incompleto rispetto a quello del diritto del lavoro,e della previdenza sociale.

L’elemento fondamentale che distingue il diritto sindacale dal resto della disciplina del lavoro,è il

riferimento ad aspetti e momenti collettivi dei rapporti di lavoro,infatti gli oggetti della disciplina

sono l’organizzazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro,il contratto collettivo di

lavoro,il conflitto collettivo (sciopero,serrata).Anche i protagonisti sono collettivi: le organizzazioni

dei lavoratori e degli imprenditori nelle loro varie forme,e lo Stato con le istituzioni pubbliche,la cui

presenza è diventata sempre più rilevante.

2.ORDINAMENTO STATALE E AUTONOMIA COLLETTIVA

Il diritto sindacale si presenta come un sistema di norme di diversa matrice: a quelle di origine

statale si intrecciano regole prodotte dalle stesse parti collettive, sindacati ed

imprenditori,soprattutto attraverso la contrattazione ma anche su base unilaterale

(statuti,regolamenti,ecc.).Di queste regole collettive alcune disciplinano situazioni finali (diritti e

doveri tra le parti),altre regolano l’attività di produzione di altre norme,hanno quindi carattere

strumentale.

I processi di osmosi tra ordinamento sindacale e statale sono intesi in entrambe le direzioni: il primo

ha esercitato una funzione di stimolo e innovazione rispetto al diritto statale che a sua volta ha

svolto compiti di sostegno dell’autonomia collettiva e talora di correzione o integrazione delle

norme prodotte da questa.

4.LE FONTI DEL DIRITTO SINDACALE

Le fonti del diritto sindacale sono quelle proprie del diritto generale.

4.1.LE FONTI INTERNAZIONALI

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Fanno capo all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),la cui più nota attività consiste

nell’adozione dei testi di convenzioni internazionali e di raccomandazioni in materia di lavoro.

Le convenzioni sono trattati destinati ad essere ratificati dagli stati membri,così da diventare

vincolanti nel diritto interno. L’interpretazione è affidata alla Corte Internazionale di giustizia che

ha sede all’Aja.

Le raccomandazioni non sono destinate alla ratifica ed hanno valore non normativo,ma di modello o

indirizzo rispetto alle politiche nazionali del lavoro.

4.2.LE FONTI COMUNITARIE

L’attività degli organi comunitari appare più incisiva.Infatti l’attività normativa dell’Unione

Europea si attua in due forme prevalenti,ad opera del Consiglio e della Commissione.

I regolamenti sono atti generali obbligatori,di applicazione diretta nel diritto dei paesi membri;le

direttive sono fonti giuridiche che vincolano gli stati membri ad adeguarsi nei risultati,queste

godono di un’efficacia normativa indiretta,cioè condizionata all’emanazione di un apposito atto di

recepimento interno.Le direttive hanno efficacia direttamente nei confronti dello Stato quando

hanno un contenuto chiaro,preciso ed incondizionato;su questo si pronuncia la Corte di giustizia.

4.3.LE FONTI INTERNE

Il primo richiamo va alla Costituzione,i cui articoli direttamente rilevanti in tema di diritto sindacale

sono il 39, sull’organizzazione sindacale e la contrattazione collettiva, il 40, sullo sciopero, il 46

sulla partecipazione dei lavoratori nell’impresa. All’insegna del principio della libertà di

organizzazione sindacale si è affermata l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul sindacato

come associazione non riconosciuta e sul contratto collettivo c.d. di diritto comune.

Il ruolo della legislazione nel diritto sindacale del secondo dopo-guerra è stato a lungo marginale.La

prima tappa legislativa di rilievo è costituita dalla legge 20 Maggio 1970, numero 300,lo Statuto dei

lavoratori,si tratta di una disciplina di sostegno dell’attività sindacale in azienda.

Una seconda tappa significativa l’ha segnata la legge n.146 del 1990 (vd,l.83/2000),intervenuta a

disciplinare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Una terza tappa è rappresentata dal D.Lgs. n.29 del 1993 (ora D.Lgs. n.165 del 2001,Testo Unico

del pubblico impiego).

La contrattazione collettiva riveste un ruolo centrale in ambito lavoristico,in quanto come fonte

sindacale rileva per la parte obbligatoria dei contratti collettivi.

La giurisprudenza riveste in ogni paese occidentale un’importanza decisiva nella fomazione ed

applicazione del diritto sindacale.

CAPITOLO PRIMO

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IL DIRITTO SINDACALE: ATTORI ED EVOLUZIONE STORICA

A)L’EVOLUZIONE STORICA DEI RAPPORTI TRA GLI ATTORI

1.GLI ATTORI DELL’ORDINAMENTO SINDACALE E I LORO RAPPORTI

In ogni ordinamento sindacale operano tre attori: le organizzazioni sindacali dei lavoratori,le

organizzazioni sindacali imprenditoriali (e gli stessi singoli imprenditori), lo Stato (e più in generale

le istituzioni pubbliche).I rapporti tra questi tre attori variano nel tempo e a seconda degli

ordinamenti.

2.LE ORIGINI: LA REPRESSIONE DEL FENOMENO SINDACALE

In Italia,come in gran parte dei paesi occidentali, i rapporti collettivi sono stati caratterizzati

all’origine da forti tensioni conflittuali e da interventi repressivi da parte dello Stato nei confronti

dell’organizzazione sindacale e a maggior ragione dello sciopero.

Quasi tutti i paesi occidentali hanno attraversato una prima fase storica in cui l’ordinamento

giuridico,generalmente il legislatore,negava ai lavoratori e agli imprenditori la possibilità di

organizzarsi collettivamente per motivi di autotutela.

3.IL PERIODO DELLA TOLLERANZA PENALE

Nella fase successiva lo Stato provvide a rimuovere i divieti penali al conflitto e all’organizzazione

sindacale,sancendo la libertà di coalizione.

Il codice Zanardelli del 1889 inaugurò un periodo di tregua che durò fino al fascismo,non puniva lo

sciopero e la serrata ma i comportamenti in contrasto con la libertà di lavoro.

All’inizio del ventesimo secolo in Europa nacquero una serie di istituzioni pubbliche competenti per

le materie di rapporti di lavoro e relazioni industriali.Al consiglio dei probiviri spettava la

competenza sia sulle controversie individuali,sia in seguito su quelle collettive;fu il primo esempio

in Italia di intervento in materia di contrattazione collettiva.

4.IL PERIODO CORPORATIVO

In Italia l’avvento del fascismo interruppe lo sviluppo delle relazioni industriali.Si creò un sistema

sindacale e contrattuale pubblicistico,completamente controllato dallo Stato.La legge 3 Aprile 1926

n.563 ammetteva formalmente la libertà sindacale,ma solo un sindacato di lavoratori e datori per

ogni categoria poteva ottenere il riconoscimento legale dal Governo con attribuzione della

personalità giurdica;era quindi tutto controllato dallo Stato.

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Una volta riconosciuti i sindacati avevano ex lege la rappresentanza di tutti i componenti della

categoria,quindi i contratti collettivi da questi conclusi avevano efficacia erga omnes.Il conflitto era

represso penalmente come reato contro l’economia nazionale.

5.LA FASE TRANSITORIA (1943-1947) E LA COSTITUZIONE

Dopo la caduta del fascismo (25 Luglio 1943) uno dei primi atti del Governo Badoglio fu quello di

abrogare le corporazioni e le istituzioni tipiche della fase corporativa.

Il modello costituzionale si fonda sulla valorizzazione del lavoro come criterio ordinatore generale

dei rapporti tra Stato e società,e come fondamento di una partecipazione dei lavoratori alla vita

produttiva e sociale;questo spiega la serie di diritti riservati esclusivamente ai lavoratori subordinati.

L’articolo 39 sancisce tre principi fondamentali:

a) la libertà sindacale come fondamento delle relazioni industriali (comma 1);

b) la registrazione del sindacato come presupposto per acquisire la capacità di stipulare contratti

collettivi efficaci per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono;

c) l’attribuzione di tale capacità contrattuale a rappresentanze unitarie dei sindacati registrati,in

proporzione dei loro iscritti.

La valorizzazione del sindacato è rafforzata dal riconoscimento dello sciopero (art.40),privilegiato

rispetto alla serrata.

6.LA CRISI DEL MODELLO COSTITUZIONALE

La crisi del modello dell’art. 39 si ha già con la rottura dell’unità sindacale (1948).Comune a tutti i

sindacati è la paura di un controllo pubblico sulla propria organizzazione e sullo sciopero,la

disciplina dell’ordinamento sindacale si sposta così nel diritto privato;il sindacato è quindi

un’associazione non riconosciuta,sottratta a disciplina legislativa.

7.LO STATUTO DEI LAVORATORI

L’impulso decisivo al superamento della prospettiva costituzionale del riconoscimento giuridico

avviene nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori.Il campo di intervento stavolta è l’azienda,all’interno

della quale il sindacato è il centro di contropotere.La legge è limitata alla realtà industriale della

fabbrica,e non si riferisce alle piccole realtà produttive.

8.CONCERTAZIONE SOCIALE E INTERVENTO PUBBLICO.A)LO SCAMBIO

POLITICO NELL’EMERGENZA DEGLI ANNI ‘70

Nel corso degli anni ’70 matura un profondo cambiamento nel ruolo dello stato rispetto alle

relazioni industriali,che diventa infatti elemento fondamentale delle dinamiche delle relazioni

industriali.

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9.B)LE AMBIVALENZE DEGLI ANNI ‘80

La rottura del 1984 (Protocollo di San Valentino) è solo un segnale delle difficoltà di praticare in

Italia lo scambio politico.Si sviluppano tendenze liberiste,superati gli anni delle grosse crisi.

10.C)CONCERTAZIONE SOCIALE E STABILIZZAZIONE ECONOMICA NEGLI ANNI

‘90

Gli anni ’90 sono dominati,anche per i rapporti sindacali, dai problemi del risanamento e della

stabilizzazione economica,aggravati dal peso del debito pubblico ereditato dal passato,e

dall’inflazione.

Con l’accordo del 31 Luglio 1992 i sindacati accettano l’abolizione di un istituto storico come la

scala mobile,che aveva retto per tutto il dopoguerra;ma la tappa più significativa è segnata

dall’accordo del 23 LUGLIO 1993,considerato la prima costituzione delle relazioni industriali

italiane,che sancisce la partecipazione dei sindacati confederali alle decisioni macroeconomiche

dell’esecutivo,e sostituisce il meccanismo automatico della scala mobile con quello della politica

dei redditi.

B) FUNZIONI E ISTITUZIONI PUBBLICHE NEL DIRITTO SINDACALE

1.L’INTERVENTO PUBBLICO NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI

L’intervento dello Stato e dei pubblici poteri nelle relazioni industriali ha avuto storicamente

un’importanza sempre rilevante.Attualmente vi sono varie funzioni dello Stato rilevanti per le

relazioni industriali: la funzione programmatoria e di governo; la funzione legislativa; la funzione

decisoria, che si esplica attraverso la giurisprudenza ordinaria; la funzione conciliativa e mediatoria;

le funzioni assistenziali o di welfare; le funzioni di gestione diretta dei rapporti di

lavoro.Analogamente sono molteplici gli organi di intervento: oltre a governo, parlamento,

magistratura ed enti locali, operano altri organi di rilevanza costituzionale (il CNEL),e organi del

ministero del lavoro

2.LE FUNZIONI DELLO STATO NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI: LA FUNZIONE

MEDIATORIA E CONCILIATIVA

L’esercizio di tale funzione può limitarsi a mettere in contatto le parti,a favorire il chiarimento delle

posizioni reciproche, a esplorare punti di convergenza.Rientra nelle competenze del Ministero del

lavoro e degli organi periferici

3.LA FUNZIONE ASSISTENZIALE (O DI “WELFARE”)

Si esprime in una vasta serie di interventi legislativi,amministrativi e finanziari,relativi all’intera

gamma dei rapporti sociali e impegna una consistente fetta delle risorse nazionali.Sono da segnalare

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tre tipi di intervento: quelli di previdenza, di sicurezza e assistenza sociale in senso stretto: gli aiuti

alle imprese; gli interventi di politica fiscale.

4.LA FUNZIONE DI DATORE DI LAVORO

Tale funzione è svolta direttamente nel pubblico impiego,che a causa dei risultati insoddisfacenti

del settore pubblico ha portato alla privatizzazione,sia nelle aziende pubbliche,sia nel rapporto di

impiego.

5.LA FUNZIONE PROGRAMMATORIA

La programmazione è considerata lo strumento per eccellenza di guida pubblica delle politiche

economiche e sociali: un rilievo particolare lo ha assunto l’intervento dello stato nella dinamica dei

redditi, diretto cioè a predeterminare gli aumenti dei redditi da lavoro e anche dei prezzi,soprattutto

a fini di contenimento dell’inflazione.

6.GLI ORGANI E LE ISTITUZIONI NAZIONALI

a) Il CNEL (Consiglio nazionale dell’ economia e del lavoro),previsto dall’art.99 Cost. e

tutelato da diverse leggi,ha compito di consulenza nei confronti delle camere e del

governo,di iniziativa legislativa e di contributo all’elaborazione della legislazione

economica e sociale.

b) Il Ministero del lavoro ha avuto tradizionalmente competenza amministrativa generale in

materia di lavoro e di sicurezza sociale.Operano diverse commissioni,composte di

rappresentanti dei lavoratori e dei datori.Al ministero restano compiti di indirizzo,di

controllo e vigilanza,esercitati attraverso l’Ispettorato del lavoro.

c) Organismi a composizione tripartita.

d) Il governo,coinvolto nelle relazioni industriali con forme diverse.

8.L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA E GLI ORGANISMI

INTERNAZIONALI

L’internazionalizzazione dell’economia riduca progressivamente il ruolo dello Stato nelle relazioni

industriali;sono state fondate quindi forme di autorità sopranazionale per regolare questi rapporti:

a) L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),del 1919 con sede a Ginevra, è

l’organismo con competenze generali,soprattutto normative e di assistenza in materia di

lavoro,svolte per migliorare le condizioni sociali e del lavoro.

b) Il Consiglio d’Europa,del 1949, che ha elaborato la Convenzione europea dei diritti dell’

uomo e delle libertà fondamentali.Ha elaborato anche la Carta sociale europea che sancisce

diversi principi fondamentali in materia di lavoro: diritto al lavoro,alla retribuzione,ecc.

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9.IL DIRITTO DEL LAVORO E LE ISTITUZIONI EUROPEE

L’Europa è la prima area del mondo sviluppato che si è data organismi e progressivamente un vero

ordinamento sopranazionale,competente anche per i rapporti di lavoro.La Commissione ha il

compito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello comunitario.

CAPITOLO II: L’ORGANIZZAZIONE DEI LAVORATORI E DEGLI

IMPRENDITORI

1. Linee generali: le caratteristiche organizzative dei sindacati dei lavoratori e degli imprenditori risultano

strettamente influenzate dalle vicende storiche e dal contesto generale dei rapporti di lavoro che si realizza

in ciascun sistema. Un dato tipico della situazione italiana è lo sviluppo tardivo dell’organizzazione

sindacale, a causa del ritardo del processo di industrializzazione nel nostro paese, oltre che per la generale

fragilità del nostro sistema economico e la debolezza del mercato del lavoro; un altro carattere è la forte

politicizzazione, intesa sia come connotazione ideologica sia come connessione con gli stessi partiti politici.

Da notare che, nel caso italiano, la struttura delle organizzazioni imprenditoriali si è modellata su quella dei

sindacati dei lavoratori.

2. I modelli organizzativi: esiste una duplice linea organizzativa in ogni centrale sindacale: verticale e

orizzontale. La prima ha quale elemento di aggregazione l’appartenenza dei lavoratori, e delle imprese da

cui dipendono, allo stesso settore o categoria produttiva (es. sindacato dei tessili, dei metalmeccanici,

ecc…); la seconda, invece, comprende tutti i lavoratori e le imprese (nonché gli organismi verticali) dei vari

settori merceologici presenti in un determinato ambito geografico. Entrambe le linee organizzative non solo

coesistono e s’intersecano entro ogni sindacato, ma consistono ciascuna di varie strutture o istanze, di

diversa dimensione, dal luogo di lavoro, alla zona territoriale circoscritta fino all’ambito nazionale.

Le confederazioni rappresentano il vertice sia delle strutture orizzontali (s.o.) che di quelle verticali (s.v.); le

tre maggiori sono: la CGIL, la CISL, la UIL. Eguale importanza le strutture orizzontali hanno

nell’organizzazione degli imprenditori.

3. L’organizzazione sindacale: evoluzione storica: l’evoluzione sindacale nel secondo dopoguerra segue

fasi significative per l’intero assetto delle nostre relazioni industriali: 1)Periodo ’48-58: per oltre un

decennio le condizioni socio-politiche (tensioni sociali, politiche pubbliche di controllo e repressione

sindacale) ed economiche (forte disoccupazione) contribuiscono a mantenere il sindacato in situazione di

debolezza organizzativa e di divisione politica. 2) Anni della crescita: con il boom economico, la crescita

comporta un rafforzamento della posizione dei lavoratori sul mercato del lavoro, in particolar modo nei

settori dell’industria di massa; a ciò contribuisce il mutato quadro politico, l’atteggiamento dei pubblici

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poteri, più favorevole all’organizzazione sindacale, e la modernizzazione sociale. La CGIL, la CISL e la

UIL si avvicinano; vi è più interesse ai temi dell’impresa e della contrattazione aziendale. 3) Decennio ’80:

a causa di una diffusa crisi economica a livello internazionale, che determina fenomeni di ristrutturazione e

innovazione produttiva, questa fase presenta tendenze contrastanti. 4) Decennio ’90: il decennio ’90 eredita

dal passato i fattori di crisi di rappresentatività del sindacato specie confederale, e questo rende più urgente

la modifica delle regole del gioco prevedendo criteri di rappresentatività effettivi dell’organizzazione

sindacale; il tutto è reso ancor più complesso dalla concorrenzialità tra sigle sindacali, sviluppatasi sia

all’esterno delle grandi centrali confederali, sia all’interno delle stesse.

4. L’attuale struttura organizzativa del sindacato: l’attuale struttura organizzativa risulta basata su

quattro livelli: 1)Alla base stanno le strutture presenti nei luoghi di lavoro (delegati nel settore privato,

sezioni sindacali o simili nel settore pubblico). 2) Il secondo livello è quello provinciale o comprensoriale.

Qui sono presenti le s.v., i sindacati provinciali delle varie categorie e le strutture orizzontali, variamente

denominate: Camere del Lavoro per la CGIL, Camera sindacale per la UIL, Unioni sindacali per la CISL. 3)

Il livello regionale, sia orizzontale, sia di categoria, di più recente costituzione, è provvisto di poteri

crescenti anche in corrispondenza del decentramento amministrativo e regionale. 4) In ambito nazionale

operano le strutture di vertice dell’intera organizzazione, le federazioni nazionali di categoria e la

confederazione.

La distinzione tra s.o. e s.v. si basa su una fondamentale divisione di compiti nel sindacato: alle s.o. spetta di

fissare gli indirizzi essenziali di politica sindacale, economica, contrattuale per tutta l’organizzazione, di cui

rappresentano tendenzialmente l’istanza di direzione politica e di rappresentanza nei confronti dei poteri

pubblici. Le s.v. sono competenti per la conduzione dell’attività contrattuale e delle iniziative di rilievo

settoriale.

Per quanto riguarda la tipologia degli organi delle varie strutture, essa riproduce quella usuale delle

associazioni.

Le principali fonti di finanziamento dei sindacati sono: la quota tessera, principale introito delle centrali

confederali, i contributi associativi, e la quota di servizio.

L’elemento distintivo del sindacalismo italiano è la sua organizzazione su basi pluralistiche, vale a dire in

organizzazioni distinte a seconda di concezioni culturali, ideologiche e ascendenze politiche.

CGIL = componenti/ispirazioni legate ai partiti della sinistra italiana (socialista e comunista)

CISL = ispirazione cattolica e a lungo collaterale alla DC, anche lavoratori di aree diverse

UIL = componenti socialiste, repubblicane e socialdemocratiche

Il luglio 1972 vede la nascita della federazione CGIL-CISL-UIL attraverso un Patto federativo, momento

culminante di avvio all’unità organica, da sempre un traguardo di difficile raggiungimento a causa delle

divisioni sul ruolo del sindacato e sui rapporti con i partiti politici; nonostante questo, i contrasti degli anni

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’80, culminanti nella rottura dell’84 fra CGIL, CISL e UIL sull’accordo antinflazione, hanno portato allo

scioglimento della federazione.

5. L’organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro: sviluppo storico: l’espressione degli interessi

collettivi dei lavoratori in azienda è stata, dalle origini fino agli anni ’60, affidata ad una rappresentanza, la

commissione interna (CI), strutturalmente diversa dal sindacato, in quanto costituita non su base associativa

come questo, ma elettivamente da tutti i lavoratori dell’azienda; la CI è una forma rappresentativa unitaria e

necessaria: compito generale di questo organismo era di “mantenere normali rapporti tra i lavoratori e la

direzione dell’azienda per il regolare svolgimento dell’attività produttiva, in uno spirito di collaborazione”.

In risposta all’esigenza di avere una diretta presenza organizzata in azienda, senza il tramite delle CI,

arrivano le sezioni sindacali aziendali; tuttavia queste non riuscirono a diffondersi al di fuori di poche

aziende industriali, anche perché non erano riconosciute come strutture con pieni poteri sindacali. Vi sono

poi i delegati di fabbrica, i cui caratteri principali sono di essere eletti in modo unitario da un gruppo

ristretto di lavoratori collocato nella stessa condizione produttiva; l’insieme dei delegati forma il Consiglio

di fabbrica (CdF).

6. L’attuale organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro: il Protocollo del luglio 1993 definisce i

compiti e le modalità costitutive delle nuove strutture di base, le c.d. Rappresentanze sindacali unitarie

(RSU). Le RSU hanno competenze generali di tutela collettiva dei lavoratori in azienda, compresa la

titolarità contrattuale, nei limiti delle competenze attribuite dal contratto collettivo nazionale a quello

decentrato. Le RSU sono composte da delegati in numero proporzionale ai voti ricevuti da ciascuna lista;

tuttavia, le organizzazioni stipulanti il contratto nazionale si assicurano la designazione di un terzo dei

delegati, in modo da garantirsi il controllo della struttura. La RSU è organo dell’insieme dei lavoratori e

funge al tempo stesso da struttura comune di rappresentanza dei sindacati in azienda; resta tuttavia

confermata la tradizione del c.d. “canale unico” sindacale di rappresentanza, per cui gli organismi

rappresentativi sono controllati dal sindacato ed hanno la totalità delle competenze di autotutela collettiva in

azienda, a differenza della maggioranza dei paesi europei che predilige il canale “doppio” o “plurimo” di

rappresentanza, ove si distingue fra rappresentanze sindacali in senso stretto e organismi eletti da tutti i

lavoratori.

7. L’organizzazione degli imprenditori in generale: l’organizzazione degli imprenditori è un fenomeno

storicamente indotto, o di risposta, rispetto al sindacato dei lavoratori e ne riproduce i tratti organizzativi

generali: doppia linea organizzativa, prevalenza delle strutture orizzontali, tradizionale accentramento.

CONFINDUSTRIA = organizzazione imprenditori industriali

CONFCOMMERCIO = organizzazione imprenditori del commercio

CONFAGRICOLTURA = organizzazione imprenditori dell’agricoltura

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Organizzazioni delle imprese a partecipazione statale = Intersind (imprese del gruppo IRI) – Asap (imprese

del gruppo ENI).

L’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale) ha due scopi: a) sostituire le varie delegazioni di parte

pubblica, politicizzate e precarie, con un’unica controparte, tecnica e stabile; b) contribuire a dare piena

efficacia alla contrattazione collettiva ormai di diritto comune.

8. La Confindustria: la Confindustria è l’organizzazione imprenditoriale più consistente: le imprese

associate operano nell’industria e nel c.d. terziario avanzato (trasporti, comunicazioni, turismo). Più della

metà delle imprese rappresentate impiegano meno di 10 dipendenti. Le strutture portanti (orizzontali) sono

le associazioni territoriali (più o meno una provincia); a queste fanno capo tutte le imprese della provincia,

che spesso non aderiscono alla loro organizzazione (verticale) di categoria. La principale attività svolta dalle

associazioni territoriali è l’assistenza fornita alle aziende in materia di contrattazione, applicazione dei

contratti e delle leggi sul lavoro e composizione delle controversie relative. Le federazioni di categoria (di

cui la Federmeccanica è la più importante) svolgono un ruolo significativo nella preparazione e conduzione

delle tornate contrattuali nazionali, nonché nell’indirizzo della contrattazione decentrata. La struttura

organizzativa della Confindustria (assemblea, giunta, consiglio direttivo e presidente) la rende simile ad una

associazione; sono previsti tre comitati particolari, con funzioni consultive (comitato per le piccole imprese;

comitato per il mezzogiorno; comitato dei giovani industriali). Decisivo è il ruolo della presidenza.

9. Organizzazioni sindacali a livello internazionale e comunitario: la CISL (Confederazione

Internazionale dei Sindacati Liberi) è l’organizzazione sindacale internazionale più rappresentativa dei

lavoratori. A livello verticale si sono sviluppate federazioni internazionali di categoria, con compiti di

coordinamento dell’azione sindacale. La CES (Confederazione Europea dei Sindacati) rappresenta oltre

trenta organizzazioni. Non esistono centrali internazionale degli imprenditori paragonabili a quelle dei

lavoratori: gli imprenditori sono rappresentati all’OIL. L’UNICE (Unione delle Industrie della Comunità

europea) raggruppa le organizzazioni padronali dei paesi membri per settori di attività.

CAPITOLO III: LA LIBERTÀ SINDACALE

1. Norme nazionali ed internazionali: nel nostro ordinamento il riconoscimento della libertà sindacale si

incentra sul sintetico disposto dell’art. 39 Cost, 1° comma (“l’organizzazione sindacale è libera”); a questo

si aggiungono diverse fonti internazionali, tra cui le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del

Lavoro, n° 87 (libertà sindacale e protezione dei fenomeni sindacali in genere) e n° 98 (principio del diritto

di organizzazione e di negoziazione collettiva nei rapporti interprivati e nei confronti dei datori di lavoro);

inoltre la libertà di associazione e di attività sindacale trova spazio nella Convenzione europea per la

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salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e nella Carta sociale europea del

1961.

Di fondamentale importanza sono pure le disposizioni dettate dallo Statuto dei lavoratori in materia

sindacale; in modo particolare il titolo II della legge 300 costituisce una concreta articolazione del principio

costituzionale con riguardo all’ambito endoaziendale [diritto di associazione e di attività sindacale nei

luoghi di lavoro (art. 14), divieto di trattamenti discriminatori in ragione di affiliazione o attività sindacale

(artt. 15 e 16), ecc…].

La libertà garantita a livello costituzionale all’organizzazione sindacale va oltre quella sancita in linea

generale per il fenomeno associativo di cui all’art. 18 Cost. (infatti l’art 39 non considera il sindacato quale

“associazione”, bensì quale “organizzazione”, allargando quindi la sfera d’azione anche a forme

organizzatorie non necessariamente a carattere associativo, come ad esempio le CI e i CdF).

2. I contenuti dell’art. 39, 1° comma, Cost.: il profilo individuale e quello collettivo: l’art. 39, 1° comma

, Cost. garantisce la libertà sindacale tanto ai singoli individui che ai gruppi organizzati.

Profilo individuale: distinzione tra libertà sindacale positiva e libertà sindacale negativa; la prima consiste

nella libertà per il singolo di costituire un sindacato, di aderirvi, di fare opera di proselitismo, di raccogliere

contributi sindacali, di riunirsi in assemblea (Convenzione OIL n° 87 e art. 14 legge 300 1970 per garantirne

l’attuazione nei luoghi di lavoro; a questo si lega l’art. 15 che decreta la nullità dei (p)atti discriminatori

rivolti a colpire un lavoratore in ragione della sua adesione ad un’associazione sindacale). Alla lettera a

dell’art. 15 è rinvenibile l’unico riferimento presente nella legislazione italiana alla libertà sindacale

negativa, ossia la libertà del lavoratore di non aderire o di recedere dal sindacato; questo tipo di libertà non

trova invece spazio nelle fonti internazionali, a causa dell’esistenza, specie su suolo anglosassone, di

pratiche restrittive di tale libertà negativa (v. closed shop).

Profilo collettivo: A) libertà di organizzazione del sindacato garantita sia a livello nazionale che

internazionale, con conseguente libertà di scelta delle forme organizzative e delle regole che disciplinano

l’assetto interno, oltre alla libertà di definire gli obiettivi e gli strumenti dell’attività sindacale, senza alcuna

interferenza esterna; allo stesso modo è garantita la facoltà del sindacato di aderire ad organizzazioni

complesse, sia a livello nazionale che internazionale; B) Libertà di privilegiare, all’interno

dell’organizzazione sindacale, il ruolo e i poteri del vertice o della base, secondo le contingenti valutazioni

di strategia e di opportunità; C) possibilità di valorizzare il ruolo di rappresentanza degli associati o piuttosto

di rappresentanza dell’intera classe dei lavoratori; D) possibilità di privilegiare il confronto o con la

controparte datoriale o con le pubbliche istituzioni, valorizzando all’interno del confronto un modello

conflittuale o invece un modello cooperativo; E) libertà di azione sindacale e, in particolare, dell’azione

contrattuale, come affermato nelle fonti internazionali (Convenzione OIL n° 98).

La libertà sindacale, oltre che come libertà di organizzazione e di azione specie contrattuale, va intesa anche

come libertà di lotta.

Page 12: diritto sindacale Carinci--Treu

3. Il carattere “sindacale” dell’organizzazione protetta: è opportuno ora considerare quali organizzazioni

e attività rientrino nella fattispecie “sindacale” prevista dal 1° comma dell’art. 39, e possano quindi godere

di tutte le garanzie connesse a tale norma, dalla quale può solo desumersi un rinvio alla realtà sociale;

un’attenta analisi del fenomeno sindacale mette in luce, innanzitutto, il c.d. profilo teleologico (o oggettivo),

vale a dire il fine perseguito dalla fattispecie sindacale, che può essere individuato nella funzione di

“autotutela di interessi connessi a relazioni giuridiche in cui sia dedotta l’attività di lavoro”: sotto questo

aspetto la convergenza tra fenomeno sindacale e momento politico-partitico è più che netta, visto e

considerato che entrambe le realtà insistono sugli stessi temi (gli interessi dei lavoratori); ed è qui che

interviene un valido criterio discriminante, ossia le attività e gli strumenti impiegati dal fenomeno sindacale

per il raggiungimento dell’obbiettivo preposto (profilo strumentale = organizzazione, contrattazione,

sciopero). Per quanto riguarda il profilo soggettivo, basta dire che il concetto di “autotutela” implica pur

sempre una gestione degli interessi collettivi posta in essere dagli stessi lavoratori o da espressioni

immediate di loro rappresentanza.

4. La titolarità della libertà sindacale: questione della titolarità della libertà sindacale da parte degli

imprenditori, in merito al fatto se tale attività debba ritenersi riconducibile, come quella dei lavoratori, alla

tutela costituzionale dell’art. 39, 1° comma, o piuttosto se rimanga nell’ambito della libertà di associazione e

di iniziativa economica (artt. 18 e 41 Cost.), con i limiti del caso. È opportuno considerare anzitutto le

diversità tra l’attività sindacale dei lavoratori e degli imprenditori: 1) Sul versante dei lavoratori, l’attività

sindacale è un fenomeno “collettivo”, mentre il datore di lavoro è soggetto sindacale anche come singolo.

2) Il contratto collettivo è inderogabile in peius dai singoli lavoratori, a conferma di una peculiare solidarietà

di classe; è invece derogabile dal singolo datore di lavoro, a conferma di una maggiore autonomia del

singolo rispetto al collettivo.

Libertà sindacale dei lavoratori parasubordinati e autonomi: i primi trovano spiegazione nel processo

espansivo del diritto del lavoro proteso ad estendere le proprie garanzie in direzione di ogni ipotesi di

dipendenza sociale ed economica; per i secondi (i lavoratori autonomi), le istanze di tutela “sindacale” dei

gruppi professionali, prima confluite all’interno degli organismi professionali, hanno successivamente

indotto lo sviluppo collaterale di forme associative di natura privatistici con struttura e finalità

peculiarmente sindacali.

Libertà sindacale dei pubblici dipendenti: il riconoscimento della libertà sindacale ai pubblici dipendenti

non è mai stato messo in discussione, visto che alla incondizionata portata precettiva della norma

costituzionale ha subito fatto riscontro nella pratica il diffuso ingresso del sindacalismo nelle

amministrazioni pubbliche; a completare l’opera è intervenuto il D. Lgs. n° 29/1993 che, nel privatizzare il

rapporto di pubblico impiego, ha sancito la piena tutela della libertà e dell’attività sindacale nel settore

pubblico.

Page 13: diritto sindacale Carinci--Treu

5. La multidirezionalità della tutela dell’art. 39, 1° comma, Cost.: il riconoscimento costituzionale della

libertà sindacale esplica i suoi effetti sia sul piano del diritto pubblico – garantendo l’immunità

dell’organizzazione sindacale nei confronti dello Stato e dei pubblici poteri – sia su quello dei rapporti

privati e soprattutto nei confronti del datore di lavoro. Per quanto riguarda i pubblici poteri, ad essi è quindi

preclusa ogni possibilità di controllo o ingerenza nella sfera organizzativa e nella identità politico-ideologica

dei sindacati; è altresì vietato ogni condizionamento autoritativo, che possa irreggimentare il sindacato e la

sua azione secondo le linee della politica governativa. Il problema della garanzia nei confronti di interventi

dei pubblici poteri si presenta riguardo alla libertà di contrattazione collettiva, ossia riguardo alla possibilità

che iniziative di carattere legislativo o amministrativo modifichino o pongano limiti inderogabili agli

accordi intervenuti tra le parti collettive.

Oltre che nei confronti dei pubblici poteri, la libertà sindacale viene riconosciuta nei confronti dei datori di

lavoro, i quali, in quanto detentori del potere economico e alcune prerogative in tema di organizzazione e

controllo del lavoro, sono in grado di condizionare la presenza e le iniziative del sindacato, specie nel luogo

di lavoro; sotto questo profilo, le manifestazioni della libertà sindacale incontrano un limite nelle esigenze

organizzative dell’impresa: dunque, le istanze dell’imprenditore, antagonistiche rispetto a quelle sindacali,

vengono salvaguardate, nel senso che queste non sono subordinate di diritto all’esercizio delle libertà

sindacali. Non è quindi possibile parlare di lesione dei diritti sindacali da parte dell’imprenditore quando

questi abbia agito nel rispetto di obiettive e razionali esigenze organizzative.

CAPITOLO IV: I SINDACATI E LE ORGANIZZAZIONI IMPRENDITORIALI COME

ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE

1. Fattispecie sindacale e associazione: la mancata attuazione dell’art. 39, 2ª parte, Cost. ha avuto due

conseguenze sulla disciplina delle organizzazioni sindacali sia dei lavoratori che dei datori di lavoro: a) una

accentuazione del loro carattere privatistici; b) la loro appartenenza al genere “associazioni non

riconosciute”.

Pur essendo proprio del sindacato, il carattere associativo non è necessario della fattispecie sindacale, il cui

unico elemento qualificante è l’esercizio in forma organizzata di autotutela collettiva, attività questa che può

essere svolta da coalizioni o gruppi occasionali, privi dei caratteri di stabilità e della strumentazione propri

dell’associazione, oppure da organismi elettivi.

2. La disciplina codicistica delle associazioni: in quanto associazioni non riconosciute, sindacati e

organizzazioni imprenditoriali sono assoggettati alla disciplina degli artt. 36, 37 e 38 del codice civile. Il

principio base è sancito dal 1° comma dell’art. 36, secondo cui l’ordinamento interno e l’amministrazione

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delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, ossia dalle regole interne

dell’associazione, statuti e regolamenti che si ritengono riconducibili al consenso dei soci; le altre norme,

invece, riguardano gli aspetti patrimoniali. Per quanto riguarda la questione del carattere di associazione non

riconosciuta, si è giunti alla conclusione che, anche in assenza di questa, è possibile godere di soggettività

giuridica, come capacità sia pur limitata e relativa di essere centro di imputazione di rapporti giuridici

(l’unica differenza di spicco tra un’associazione riconosciuta ed una non riconosciuta è ravvisabile nella c.d.

autonomia patrimoniale perfetta, propria solo della prima).

L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori riconosce al sindacato la legittimità ad agire in giudizio per la difesa dei

propri interessi.

3. Rapporti interni e democrazia sindacale: l’assenza di una disciplina tipica dell’associazione sindacale

ha un rilievo particolare in ordine ai rapporti interni del sindacato. Scarso rilievo giuridico dei problemi

della tutela dei soci verso l’organizzazione. Il principio della democraticità interna del sindacato richiesto

dall’art. 39 Cost., come condizione per la registrazione, deve ritenersi vigente anche per i sindacati di fatto,

come condizione di qualificazione in quanto tali; in assenza di questo requisito, l’organizzazione non

beneficerebbe della disciplina (in termini di diritti e poteri) riservata dall’ordinamento al sindacato. Tra le

regole democratiche accettate dal sindacalismo, di fondamentale importanza sono: il carattere elettivo delle

cariche sociali, il principio di maggioranza, la necessità che le decisioni generali per la vita

dell’associazione siano di competenza di un organo assembleare, comprendente tutti i soci.

4. La giustizia interna dei sindacati: debole effettività e scarsa affidabilità degli organi giudicanti, la cui

autonomia rispetto agli organi giudicanti, e agli organi c.d. politici del sindacato non è assicurata dalle

scarne norme statutarie sull’incompatibilità. L’orientamento della giurisprudenza è rigorosamente

astensionistico. Altrettanto incerta è pure l’operatività all’interno delle associazioni di alcuni diritti e

garanzie costituzionali.

5. Controversie interne, ammissione al sindacato, rapporti tra associazioni di diverso livello: i rapporti

tra organismi sindacali di diverso livello rilevano sia per la qualificazione della struttura associativa come

tale, sia rispetto all’attività esterna del sindacato, per risolvere il delicato problema dei rapporti tra contratti

collettivi di diversa ampiezza. Sotto il primo profilo si sono avanzate due tesi: una che configura il sindacato

come associazione complessa in senso proprio, ossia come associazione di associazioni (inferiori), l’altra

che ritiene preferibile la configurazione come insieme di associazioni parallele, a cui il singolo socio

appartiene contemporaneamente.

CAPITOLO QUINTO

LA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE

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1.IL SOSTEGNO DEL SINDACATO RAPPRESENTAVIVO: IL SIGNIFICATO

POLITICO, GLI AMBITI OGGETTIVI, LA NOZIONE DI SINDACATO

RAPPRESENTATIVO

La politica di promozione del sindacato contiene in sé la necessità di una delimitazione selettiva dei

soggetti collettivi protetti,necessità questa che è stata a lungo soddisfatta dal richiamo alla figura del

“sindacato maggiormente rappresentativo”,quale unico destinatario del sostegno legislativo e

politico,in quanto capace di influenzare e governare vasti strati di lavoratori.”Maggiormente

rappresentativo” è quel sindacato che presenta in modo sicuro la capacità di esprimere

adeguatamente l’interesse del sottostante gruppo professionale,rispetto ad un ampia massa di

lavoratori.

Nel momento di massima ascesa del versante politico-legislativo,il s.m.r. comincia un lento ma

irreversibile declino,per la sua incapacità di esprimere adeguatamente l’universo sempre più ampio

e complesso degli interessi di lavoro.

Già il Protocollo del 1993 supera il criterio dell’art.19 st.lav. ,che vede però un notevole

cambiamento con il referendum del giugno 1995,con l’abrogazione parziale relativa al settore

privato,e con quella completa nel settore pubblico.Solo per la Corte Costituzionale non scompare

del tutto dal nostro ordinamento la maggiore rappresentatività,che conserva infatti rilevanza a fini

extra-aziendali.

2.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NEL VECCHIO ART.19,LETT.a): LA

MAGGIORE RAPPRESENTATIVITA’ PRESUNTA E I SUOI INDICI DI RILEVAZIONE

L’ elevato numero di iscritti non poteva bastare per conferire una patente di “maggiore

rappresentatività”,senza la chiamata in causa di altri requisiti,che dottrina e giurisprudenza hanno

osì individuato:

1) l’equilibrata presenza in un ampio arco di categorie professionali,non potendosi considerare

m.r. una confederazione concentrata solo in alcuni settori o in una sola categoria;

2) la diffusione su tutto il territorio nazionale;

3) l’esercizio continuativo dell’azione di autotutela con riguardo a diversi livelli e a diversi

interlocutori;

4) la reale capacità di influenza sull’assetto economico e sociale del Paese.

In concreto,la giurisprudenza ha ritenuto maggiormente rappresentative le tre confederazioni

CGIL,CISL e UIL.

La lettera a) dell’art.19 St. lav. è stata quindi abrogata.

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3.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NELL’ART.19 ST.LAV. DOPO IL

REFERENDUM: LA RAPPRESENTATIVITA’ “EFFETTIVA” E I DIRITTI SINDACALI

Dopo l’abrogazione della lettera a) la norma predilige il collegamento esclusivo delle r.s.a. con

associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva,ne emerge

quindi una rappresentatività originaria,empiricamente verificabile;ne usciranno favorite le

confederazioni storiche,poiché sono essenzialmente i grandi sindacati a stipulare contratti collettivi

applicati nelle unità produttive.

4.PROFILI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 19 ST.LAV.

La Corte Costituzionale ha superato tutti i dubbi sull’incostituzionalità dell’art.19 con tre sentenze:

una del ’74,una del ’88 e una del ’90.

Nella sentenza n.54 del 1974,la Corte ha rilevato che l’art.19 e il titolo III St.lav. non interferiscono

con la libertà sindacale,ma aggiungono alle prerogative di libertà ulteriori privilegi e benefici.

Nella sentenza n.334 del 1988 i giudici hanno risolto i dubbi sulla rappresentatività a livello

confederale,confermando la legittimità della disposizione statutaria,e la non lesione del principio di

libertà sindacale.

In seguito alla formulazione da parte della Corte di altre sentenze in materia,nasce l’esigenza di

un’interpretazione rigorosa dell’art.19,tale da farlo coincidere con la capacità del sindacato di

imporsi al datore di lavoro,direttamente o attraverso la sua associazione,come controparte

contrattuale. Occorrerà quindi accertare la partecipazione attiva del sindacato al processo di

formazione del contratto collettivo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro,almeno per un

settore o un istituto importante.

5.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NELLA PIU’ RECENTE LEGISLAZIONE c.d.

DI RINVIO: LA RAPPRESENTATIVITA’ “COMPARATA”

Nella legislazione recente,la nozione di s.m.r. lascia il posto sovente ad una diversa formula,quella

di sindacato comparativamente più rappresentativo.La rappresentatività comparata tenta di

sopperire alla scarsa selettività della maggiore rappresentatività sindacale,ereditandone però le

stesse finalità.

6.LA RAPPRESENTATIVITA’ DEL SETTORE PUBBLICO

Il legislatore adotta una nozione di rappresentatività la cui unità di misura è la media tra dato

associativo e dato elettorale,che rappresentano gli indici quantitativi per eccellenza: testimonianza

della capacità di aggregare iscritti l’uno,e dell’idoneità a raccogliere consensi oltre alla cerchia degli

associati l’altro.

Page 17: diritto sindacale Carinci--Treu

La rappresentatività appare quindi declinata sotto tre accezioni: sufficiente,comparata e

complessiva.

7.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LE PUBBLICHE ISTITUZIONI

Il sindacato magg. o comp. più rappresentativo appare presente anche in una serie di istituzioni o

sedi pubbliche,dove non interviene in rappresentanza del personale occupato.Bisogna distinguere a

riguardo:

a) la presenza di organi di carattere prevalentemente consultivo o di collaborazione rispetto

all’esercizio dei poteri tipici dello Stato;

b) la partecipazione di tipo cogestivo in organi direttivi di enti pubblici destinati a svolgere

attività in favore dei lavoratori;

c) la partecipazione alle politiche di formazione professionale,mediante la costituzione di

organismi paritetici bilaterali;

d) la partecipazione informale del sindacato all’indirizzo politico generale nei due aspetti

dell’attività legislativ e della politica economica e programmatoria.

8.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LA CONTRATTAZIONE

Il nostro ordinamento non riconosce al sindacato rappresentativo una posizione privilegiata in sede

di contrattazione collettiva nel settore privato.Va però chiarito che:

a) le tre maggiori confederazioni CGIL,CISL,UIL, si trovano investite di un monopolio di

fatto,delle trattive con le forze governative sui grandi temi che investono l’economia del

paese,come gli Accordi Interconfederali;

b) alcune leggi conferiscono al sindacato rappresentativo il potere di derogare, in via

contrattuale,ad alcune norme di legge,rimettendo alla valutazione di quest’ultimo

l’opportunità o meno di mantenere certi vincoli garantistici di tutela del singolo dipendente;

c) nel settore pubblico il legislatore ha riconfermato il sindacato rappresentativo nel ruolo di

interlocutore contrattuale esclusivo della p.a.

9.LA CRISI DELLA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE E LE PROPOSTE DI

RIFORMA

Dalla metà degli anni ’80 il sindacalismo confederale registra una grave crisi di

rappresentatività.Tra le prime cause,che sono molteplici,vanno annoverate la rivoluzione

tecnologica,la terziarizzazione crescente dell’economia,l’accesa competitività nazionale.

CAPITOLO VI: I DIRITTI SINDACALI

Page 18: diritto sindacale Carinci--Treu

1. Ratio storico-politica dei diritti sindacali nell’impresa: il titolo II dello Statuto dei lavoratori ribadisce

la poliedrica operatività del principio di libertà sindacale nei luoghi di lavoro, in polemica con concezioni

volte a negare cittadinanza alle libertà costituzionalmente garantite nei rapporti interprivati e segnatamente

nelle unità produttive; ovviamente la libertà di organizzazione sindacale non si esaurisce nel riconoscimento

del momento associativo, ma si espande fino a consentire l’attivazione di ulteriori situazioni strumentali in

grado di dinamicizzare l’azione sindacale.

2. Associazione e attività sindacale in azienda (art. 14): l’art. 14, che apre il titolo II della L. n°

300/1970, sancisce il diritto per tutti il lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere

attività sindacale nei luoghi di lavoro; questo articolo, insieme alla disciplina relativa agli atti e ai

trattamenti economici collettivi discriminatori (artt. 15 e 16) e alla norma che pone il divieto di costituzione

di sindacati di comodo (art. 17), costituisce la concretizzazione a livello aziendale del principio di libertà di

organizzazione sindacale (art 39, 1° comma, Cost.). Comunque i diritti sindacali del tit. III rappresentano

un’aggiunta alla libertà sindacale in azienda: infatti l’art. 14 garantisce pure il diritto di costituire e far

operare in azienda, sia pur senza le garanzie previste dal titolo III, organizzazioni sindacali al di fuori

dell’art. 19, con esclusione, naturalmente, dei sindacati di comodo (v. § 4); inoltre l’art. 14 tutela lo stesso

pluralismo sindacale, garantisce protezione legislativa a forme di dissenso anche in momenti di

organizzazione collettiva spontanea di carattere transitorio (comitati di sciopero, di lotta), nel rispetto però

dei limiti posti dall’art. 18 (liceità dei fini, non segretezza).

3. Il principio di non discriminazione (artt. 15 e 16): l’art. 15 Stat. lav. costituisce la prima ampia

consacrazione legislativa del principio di non discriminazione nel rapporto di lavoro: esso si riferisce alle

discriminazioni per motivi sindacali, insieme a quelle per motivi politici e religiosi, e per ragioni di sesso,

razza e lingua; è opportuno comunque sottolineare la distinzione tra il principio di eguaglianza e il principio

di non discriminazione, poiché mentre il primo mira a realizzare una parificazione generale dei trattamenti

tra i soggetti appartenenti ad un gruppo, il secondo mira a reprimere ipotesi di disparità legate a specifici

motivi vietati. La fattispecie oggetto del divieto di discriminazione nell’art. 15 comprende atti diretti a: a)

subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione

sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di

qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari per le ragioni indicate, nonché ogni

altro atto o patto in grado di recare altrimenti pregiudizio al lavoratore per gli stessi motivi; sono esclusi solo

i meri comportamenti materiali e le semplici manifestazioni di intenzioni, oltretutto per lo più non idonee a

ledere gli interessi protetti.

L’art. 16 vieta la concessione da parte del datore di trattamenti economici collettivi a carattere

discriminatorio, ossia quei trattamenti più favorevoli corrisposti a gruppi di lavoratori in ragione del loro

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comportamento sindacale (sono dunque vietati i “premi” corrisposti a lavoratori che non abbiano scioperato

o la maggiore retribuzione a coloro che non abbiano partecipato ad un’assemblea).

Nel divieto degli artt. 15 e 16 vanno ricompresi anche gli atti c.d. omissivi del datore di lavoro (es. rifiuto di

assumere, di promuovere, di concedere trattamenti economici).

4. Sindacati di comodo (art. 17): l’art 17 vieta a tutti i datori di lavoro, imprenditori e non (anche gli enti

pubblici) nonché alle loro associazioni (sindacali e di altro genere) “di costituire o sostenere, con mezzi

finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. Sono sindacati di comodo quelle

organizzazioni, promosse o sostenute dai datori di lavoro, per avere un interlocutore all’apparenza

antagonistico, ma in realtà addomesticato, con conseguente alterazione della dinamica sindacale. Per quanto

riguarda la sanzionabilità del comportamento antisindacale, è scontato il ricorso all’art. 28, ma è altresì

dubbio se il giudice possa spingersi sino ad una radicale eliminazione del gruppo costituitosi in violazione

dell’art. 17; la tesi contraria si fonda sul riconoscimento che il gruppo sindacalmente non genuino gode pur

sempre della tutela dell’art. 18 Cost., in quanto manifestazione di una più generale libertà di associazione.

5. Rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro (art. 19 St. lav; Protocollo 23 luglio 1993; Accordo

Interconfederale 20 dicembre 1993; D.Lgs. n° 626/1994).

5.1 Le RSA: il tit. III dello Statuto dei lavoratori presenta il riconoscimento alle organizzazioni con taluni

requisiti di rappresentatività di una serie di “diritti sindacali” ulteriori rispetto a quelli spettanti in via

generale ad individui e organizzazioni sindacali. L’art. 19 disciplina il soggetto sindacale beneficiario di tali

diritti – la RSA – che viene dotato di una legittimazione rafforzata ad operare nei luoghi di lavoro e cui

viene conferita una serie di poteri e diritti regolati prevalentemente nel tit. III dello Statuto.

Art. 19 pre-referendum abrogativo: diritto di costituire RSA “nell’ambito”: a) delle associazioni aderenti

alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non

affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di

lavoro applicati nell’unità produttiva.

Art. 19 post-referendum abrogativo (1995): “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad

iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie

di contratti collettivi di lavoro applicati all’unità produttiva”.

Questione dell’ iniziativa dei lavoratori e della costituzione “nell’ambito di”: per quanto riguarda la prima,

è importante notare che l’iniziativa costitutiva spetta ai lavoratori in quanto tali e non ai soli iscritti; in

merito alla seconda condizione, invece, essa delinea l’esigenza di un minimum di istituzionalizzazione delle

nuove realtà organizzative aziendali, esigenza connessa a due ordini di considerazioni: innanzitutto,

l’opportunità di evitare abusi da parte di organismi in ipotesi costituiti allo scopo esclusivo o prevalente di

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usufruire di tutti i vantaggi statutari. In secondo luogo, l’esigenza di promuovere interlocutori stabili con i

quali il datore di lavoro possa proficuamente, e sia pur conflittualmente, dialogare:

Per poter godere dei benefici dello Statuto, la RSA deve venire innanzitutto:

A)“Costituita nell’ambito di una associazione sindacale”: esigenza di vincolare l’organismo aziendale ad

entità sindacali esterne all’azienda dalla struttura rigorosamente associativa.

B) Tale associazione sindacale deve essere “firmataria di contratti collettivi”; criterio di rappresentatività

tecnica ed effettiva; secondo la Corte Cost. deve trattarsi di un contratto normativo che “regoli in modo

organico i rapporti di lavoro, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o

provinciale già applicato nell’unità produttiva”.

C) Questi contratti collettivi devono essere “applicati nell’unità produttiva” di riferimento.

5.2 Le RSU: diversamente dalle RSA dell’art. 19 St. lav., le RSU si configurano quali strutture organizzate

su base unitaria, elette dalla collettività aziendale. La loro costituzione è demandata infatti ad elezioni cui

partecipano tutti i lavoratori (iscritti e non iscritti), con ammissione alla competizione anche di liste

presentate da associazioni non rappresentative ex art. 19 St. lav., purché formalmente costituite con proprio

statuto, nonché aderenti all’AI (Accordo Interconfederale) e forti della firma di almeno il 5% dei lavoratori

dell’unità produttiva aventi diritto al voto. Le RSU sono costituite solo per 2/3 dei seggi da membri eletti a

suffragio universale ed a scrutinio segreto tra liste concorrenti. Il restante terzo viene assegnato alle liste

presentate dalle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato

nell’unità produttiva, in proporzione ai voti ottenuti.

Il carattere unitario e almeno in parte elettivo della RSU rafforza il legame della medesima con la base dei

lavoratori: essa è organo dell’insieme dei lavoratori, e funge al tempo stesso da struttura comune di

rappresentanza e di sindacati nell’azienda, sostitutiva della RSA. La RSU è legittimata a negoziare per la

stipula del contratto collettivo aziendale di lavoro; essa subentra a tutte le funzioni ed i poteri conferiti alle

RSA per effetto delle disposizioni di legge, incluse quelle in tema di informazione e consultazione

sindacale.

5.3 Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza: l’art. 9 St. lav. aveva per la prima volta attribuito a

tutti i dipendenti, in quanto parte della comunità di rischio, un generale diritto di promozione e controllo in

tema di salute e sicurezza. La svolta si è avuta con l’istituzione, obbligatoria e generalizzata, nei settori

privato e pubblico, del rappresentante dei lavoratori: si è stabilito che nelle aziende o unità produttive con

più di 15 dipendenti, esso (il rappresentante) venga eletto o designato dai lavoratori tra i componenti le

rappresentanze sindacali. Tra le prerogative e tutele di cui gode il rappresentante per la sicurezza vanno

annoverate il diritto di informazione e consultazione preventiva sui temi dell’insicurezza, nonché la facoltà

di ricorso alle autorità competenti in caso di inidoneità delle misure di sicurezza apprestate dal datore.

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6. Il diritto di assemblea (art. 20): funzione dell’assemblea – come del referendum – è di permettere ai

lavoratori, anche non appartenenti al sindacato, di partecipare alla elaborazione e decisione delle politiche

contrattuali e sindacali. Ai sensi del 1° comma dell’art. 20 “i lavoratori hanno diritto di riunirsi nell’unità

produttiva”: il potere di convocare l’assemblea è riservato a ciascuna RSA, che così può filtrare le domande

provenienti dalla base, valutando quali di queste appaiano meritevoli di considerazione; anche le RSU

hanno pieno diritto di convocare l’assemblea, una volta però subentrate alle RSA dei sindacati partecipanti

all’elezione.

L’assemblea deve riguardare “materie di interesse sindacale e del lavoro” (può dunque concernere anche

tematiche di carattere non strettamente rivendicativo-aziendale, bensì politico in senso ampio, non invece

aspetti che afferiscono esclusivamente al campo della politica.

L’assemblea può svolgersi durante l’orario di lavoro nei limiti di 10 ore annue per ciascun lavoratore.

7. Il referendum (art. 21): il diritto di referendum serve a far emergere l’opinione dei lavoratori (iscritti e

non) su determinate tematiche, con precise limitazioni: la facoltà di convocazione è riservata alle RSA

(come per l’assemblea), che possono però esercitarla soltanto congiuntamente. I limiti posti alla disciplina

di indizione dei referendum trovano giustificazione: a) nel garantire una qualche stabilità alle strategie ed

opzioni del sindacato, evitando una continua esposizione al rischio di contestazioni da parte di lavoratori

dissenzienti o di sindacati minoritari; b) nell’impedire una eccessiva proliferazione di consultazioni nei

luoghi di lavoro, nell’interesse della parte datoriale.

Oggetto: il referendum deve riguardare materie inerenti all’attività sindacale.

Modalità: l’art. 21 dispone che il referendum debba tenersi in ambito aziendale e fuori dall’orario di lavoro.

Efficacia: il rilievo del referendum è circoscritto al rapporto associativo tra lavoratore e sindacato.

8. Diritto di affissione (art. 25): il diritto di affissione compete alle RSA e si esercita “all’interno dell’unità

produttiva” dove il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre appositi spazi che rendano esercitabile il

diritto. La norma dispone che l’attività di affissione abbia ad oggetto pubblicazioni, testi e comunicati

“inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro”. Resta discussa l’inesistenza di qualsiasi forma di

autotutela da parte del datore di lavoro, soprattutto ove il documento ecceda i limiti stabiliti dalla legge,

ovvero risulti offensivo, diffamatorio per il datore o in generale integri gli estremi di un reato.

9. Proselitismo e collette sindacali nei luoghi di lavoro (art. 26): l’art. 26 riconosce ai singoli lavoratori il

diritto “di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali

all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale”.

L’attività di proselitismo non corrisponde ad una forma qualificata di propaganda, poiché comprende

momenti ed aspetti operativi, volti a concretamente promuovere l’ingresso di nuovi elementi

nell’organizzazione sindacale. Beneficiarie dell’attività di raccolta dei contributi e dell’opera di proselitismo

Page 22: diritto sindacale Carinci--Treu

sono, infatti, tutte le associazioni sindacali dei lavoratori, con la differenza, rispetto ai diritti di assemblea e

di referendum, che la situazione attiva conferita al singolo non è subordinata all’esercizio di un potere da

parte dell’organizzazione sindacale. Il proselitismo, nonché la raccolta di contributi aziendali, incontrano il

limite “espresso” del rispetto del “normale svolgimento dell’attività aziendale”.

10. Locali per le RSA (art. 27): le rappresentanze sindacali hanno diritto ad utilizzare appositi locali per

l’esercizio dell’attività sindacale, messi a disposizione dall’azienda. Da notare tuttavia il fatto che la

disposizione di cui all’art. 27 distingue due ipotesi, la prima delle quali concernente le unità produttive con

almeno 200 dipendenti: in esse è fatto obbligo al datore di lavoro di mettere a disposizione delle RSA

permanentemente un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di

essa. La seconda ipotesi riguarda le unità produttive con meno di 200 dipendenti, nel cui caso viene meno il

requisito della permanente disponibilità, prevedendo invece la concessione di un idoneo locale per le

riunioni che di volta in volta le RSA decideranno di tenere.

11. Permessi per i dirigenti sindacali aziendali (artt. 23 e 24): gli artt. 23 e 24 sono norme che

beneficiano i dirigenti sindacali interni: in base a queste norme, la carica di dirigente sindacale aziendale dà

diritto a permessi retribuiti (art. 23) e a permessi non retribuiti (art. 24). I primi sono concessi ai dirigenti

delle RSA ovvero ai componenti della RSU, ove esistente, “per l’espletamento del loro mandato” (mandato

= complesso delle attività e delle funzioni inerenti alla sfera di competenza delle strutture sindacali

aziendali, quali organismi interni all’unità produttiva). I permessi non retribuiti dell’art. 24 sono, invece,

concessi ai dirigenti di RSA o ai componenti di RSU che vi subentrino, oltre che alle oo.ss. aderenti alle

associazioni stipulanti il CCNL “per la partecipazione a trattative sindacali o congressi e convegni di natura

sindacale”. Le norme prevedono limiti circa i soggetti beneficiari e il numero delle ore di permesso

usufruibili, che variano a seconda delle dimensioni dell’unità produttiva.

12. Permessi e aspettativa per i dirigenti sindacali esterni (artt. 30 e 31): a norma dell’art. 30 St. lav., i

componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali dei sindacati di cui all’art 19 St. lav. hanno diritto a

permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi

suddetti. I lavoratori che ricoprono cariche sindacali provinciali e nazionali, a norma dell’art. 31 1° e 2°

comma, possono essere collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro

mandato.

13. Guarentigie per i dirigenti sindacali aziendali: l’art. 22 e l’art.18 commi 7°, 8°, 9° e 10° prevedono

una tutela speciale a favore dei dirigenti sindacali in materia di licenziamenti e trasferimenti. In ordine al

licenziamento, il lavoratore che riveste qualifica di dirigente sindacale riceve una tutela privilegiata di tipo

processuale (venendo provvisoriamente reintegrato); inoltre, se il datore non ottempera all’ordinanza di

Page 23: diritto sindacale Carinci--Treu

reintegrazione viene condannato, oltre che a versare la normale retribuzione a favore del lavoratore, “anche,

per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del fondo adeguamento pensioni di una somma pari

all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore (art. 18, 10° comma). Il trasferimento, invece, dell’unità

produttiva dei dirigenti delle RSA, dei candidati e dei membri di commissioni interne, ai sensi del 1° comma

dell’art. 22, può essere disposto solo previo nulla-osta delle associazioni sindacali di appartenenza; la

mancanza del nulla-osta rende inefficace (o meglio nullo) il provvedimento.

14. Campo d’applicazione del titolo III dello Statuto (art. 35): per l’art. 35, comma 1°, le disposizioni

del titolo III, rispetto alle imprese industriali e commerciali, “si applicano a ciascuna sede, stabilimento,

filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti”; dette disposizioni si applicano anche

alle imprese agricole che occupano più di 15 dipendenti. Il 2° comma dell’art. 35 precisa che al fine del

raggiungimento della consistenza occupazionale indicata è sufficiente che l’impresa occupi più di 15

dipendenti nello stesso comune “anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non

raggiunge tali limiti”.

15. Rappresentanza, diritti sindacali e partecipazione nel lavoro pubblico: sul versante del lavoro

pubblico, il problema della rappresentanza e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro ha avuto

un’evoluzione storica tormentata e differente rispetto alla disciplina del settore privato; l’art. 42 D.Lgs. n°

165/2001 instaura un inedito sistema di verifica effettiva e democratica del consenso nei luoghi di lavoro. Il

modello poggia su una duplicazione delle strutture base: le rappresentanze sindacali aziendali, da una parte,

e gli organismi di rappresentanza unitaria personale, dall’altra. Per quanto riguarda le RSA del settore

pubblico, esse non nascono ad iniziativa dei lavoratori, ma sono immediata e diretta espressione dei

sindacati in possesso della rappresentatività minima del 5%; in merito ai nuovi organismi di rappresentanza

unitaria del personale, l’art. 42, 3° comma consente la loro istituzione ad iniziativa anche disgiunta dei

sindacati nel medesimo ambito costitutivo delle RSA, mediante elezioni aperte a tutti i lavoratori. Le RSU

sono elette a suffragio universale e voto segreto con apertura del meccanismo elettorale anche ad

organizzazioni sindacali non rappresentative; la ripartizione dei seggi deve avvenire secondo il “metodo

proporzionale”; sul piano delle tutele statutarie, i componenti della RSU sono pienamente equiparati ai

dirigenti di RSA, mentre su quello dei diritti e delle prerogative collettive, tutto è rinviato agli accordi sulla

costituzione ed il funzionamento delle RSU, chiamati altresì a trasferire ai componenti eletti della

rappresentanza unitaria le garanzie spettanti alle rappresentanze aziendali delle organizzazioni stipulanti o

aderenti ai succitati accordi.

16. Diritti di informazione e controllo: al di fuori dello Statuto, uno degli sviluppi più significativi in tema

di diritti sindacali riguarda i c.d. diritti di informazione, di consultazione e di controllo rispetto a scelte

organizzative o a politiche economiche e industriali dell’impresa. Essi possono avere origine diversa e si

Page 24: diritto sindacale Carinci--Treu

legano alla tematica generale della partecipazione del sindacato alle scelte imprenditoriali. Lo sviluppo

maggiore dei diritti in questione si ha nella contrattazione collettiva.

Il diritto sindacale di informazione, consistente nella semplice comunicazione di conoscenze al sindacato; in

taluni contratti collettivi, detto diritto sfocia poi nell’obbligo dell’imprenditore di sottoporre la materia ad

esame congiunto con la controparte, soprattutto in relazione alle conseguenze delle scelte aziendali sulle

condizioni di lavoro e sull’occupazione. L’informazione si articola a diversi livelli – nazionale, regionale,

provinciale, d’impresa o di gruppo di impresa – e coinvolge diversi soggetti: i sindacati nazionali di

categoria che hanno sottoscritto il contratto, le loro articolazioni regionali o provinciali, le RSA o RSU;

oggetto delle informazioni sono, generalmente, le questioni riguardanti l’organizzazione produttiva, il

decentramento, le strategie aziendali.

CAPITOLO SETTIMO

1.L’IMPORTANZA DELL’ART. 28

La protezione legislativa della libertà,dell’attività sindacale in azienda e del diritto di sciopero

si realizza nel modo più ampio,e con la massima effettività,nell’art.28 St.lav.,vera norma di

chiusura della legge,che prevede uno speciale procedimento giurisdizionale repressivo della

condotta antisindacale del datore di lavoro.

2.LA FATTISPECIE E IL SOGGETTO ATTIVO

La condotta antisindacale è identificata dall’art.28 nei “comportamenti del datore di lavoro

diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto

di sciopero”.Soggetto attivo della condotta vietata è quindi il datore di lavoro,a prescindere

che sia o non sia imprenditore,privato o pubblico e indipendentemente dal numero di

lavoratori alle sue dipendenze.La condotta antisindacale è rilevante ex art.28 anche se posta in

essere non personalmente dal datore,ma dai soggetti che secondo l’organizzazione

dell’azienda svolgono attività ad esso imputabile. L’illecito è imputabile solo e direttamente al

datore.

3.IL COMPORTAMENTO

Il comportamento illegittimo è individuato nell’art.28 solo per l’idoneità a ledere i beni protetti:

libertà,attività sindacale,diritto di sciopero,è quindi strutturalmente aperto;infatti i beni protetti

possono essere lesi nella pratica da comportamenti diversi,non tipizzabili a priori.Il termine

comportamento esclude ogni qualificazione giuridica dell’atto,e comprende quindi anche i meri

comportamenti materiali del datore (intimidazioni,minacce,ecc.),a conferma della maggior

Page 25: diritto sindacale Carinci--Treu

ampiezza dell’art.28 rispetto all’art.15.Nel divieto rientrano anche comportamenti

antisindacali,come la serrata,riduzioni o sospensioni di orario,presi nei confronti della generalità dei

dipendenti.

4.I BENI PROTETTI

L’elemento centrale della fattispecie è la lesione della “libertà,attività sindacale e diritto di

sciopero”.

La dottrina e la giurisprudenza hanno rifiutato le prime teorie restrittive secondo cui la norma

tutelerebbe solo i diritti collettivi esplicitamente riconosciuti dalla Legge 300,a causa proprio

dell’ampiezza della formula normativa che si riferisce ai diritti sindacali elementari nella loro forma

più estesa.

Quindi si ha condotta antisindacale non solo quando sono violati diritti sindacali formalmente

riconosciuti dallo Statuto,ma anche quando si colpiscono uno o più lavoratori singoli per l’esercizio

dei diritti della libertà sindacale,e diritto di sciopero di cui sono titolari.

5.I LIMITI DELL’ANTISINDACALITA’. ANTISINDACALITA’ GIURIDICA E DI FATTO

Non tutti i comportamenti antagonistici del sindacato sono antisindacali dal punto di vista

giuridico.

In genere,sono illeciti i comportamenti del datore ostativi di attività sindacale e di scioperi svolti

con modalità riconosciute dall’ordinamento,o di comportamenti che si muovono nella sfera generica

della libertà sindacale,e come tali protetti.

Sono invece esenti da censura i comportamenti motivati da reazioni a comportamenti illeciti o non

protetti dei lavoratori

a) Antisindacalità ed interesse dell’impresa

Nascono delle controversie sui comportamenti del datore attinenti alla gestione dell’impresa,ma

bisogna escludere che basti qualsiasi interesse aziendale a giustificare il comportamento del datore e

ad escludere l’applicabilità dell’art.28.Perché sia così,il comportamento oltre a dover essere

giustificato i n modo conclusivo,si deve escludere che sia diretto a contrastare l’esercizio dei diritti

protetti dalla norma.

b) Reazioni allo sciopero

L’art.28 protegge il diritto di sciopero da ogni comportamento ostativo,ma senza entrare nel merito

dei limiti del suo esercizio.Limiti che sono quelli posti dalla giurisprudenza,sia quanto alle

modalità,sia quanto agli obiettivi.

c) Comportamenti nelle trattative

Si ritiene che il rifiuto di trattare o il comportamento ostruzionistico non costituisce in sé condotta

antisindacale,perché non esiste nel nostro ordinamento un obbligo legale di trattare in capo

Page 26: diritto sindacale Carinci--Treu

all’imprenditore.La condotta del datore è reprimibile ex art.28,solo quando un obbligo a trattare si

desume da specifiche disposizioni di legge,o anche di contratto collettivo.

d) Violazione dei diritti sindacali contrattuali

Una serie di problemi si verifica quando il datore viola diritti riconosciuti al sindacato dalla stessa

contrattazione collettiva,non dalla legge.La norma protegge l’esercizio dei diritti sindacali quali si

configurano e sono riconosciuti dall’ordinamento,in questi rientrano quelli che fanno parte dell’area

protetta di attività sindacale attraverso il tramite di autonomia collettiva,che è riconosciuta dal

nostro sistema costituzionale come fonte di disciplina dei rapporti di lavoro.

La violazione della parte normativa del contratto riguardante la disciplina dei rapporti individuali

non è reprimibile ex art.28.

6.LA IRRILEVANZA DI ELEMENTI SOGGETTIVI

L’art.28 dispone che i comportamenti antisindacali del datore di lavoro devono essere “diretti

a impedire o limitare” l’esercizio dei diritti sindacali protetti;si deve quindi ritenere che sia

sufficiente accertare la obiettiva portata lesiva del comportamento,cioè la sua idoneità a

ostacolare l’esercizio dei diritti,a prescindere dall’esistenza di dolo o colpa.

7.LEGITTIMAZIONE AD AGIRE E INTERESSI PROTETTI DALL’ART.28

a) I soggetti legittimati

Innovazione fondamentale dell’art.28 è il riconoscimento della legittimazione a un soggetto

collettivo,precisamente agli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali,che vi abbiano

interesse”.La specificazione di quali siano gli organismi locali delle associazioni nazionali sembra

doversi desumere dagli statuti interni di queste.In principio si tratterà degli organi territoriali di

categoria e non di quelli orizzontali;inoltre si dovrà decidere quale sia il livello sindacale

legittimato.

b) Questioni di costituzionalità

Il limite della legittimazione attiva agli organismi locali dei sindacati nazionali ha sollevato

problemi di costituzionalità;le obiezioni si sono fondate in vario modo sugli articoli 24; 2; 3 e 39

della Cost.Il nucleo argomentativi comune è che la scelta del legislatore non limita in alcun modo i

diritti individuali e collettivi di libertà sindacale,ma attribuisce a soggetti qualificati uno strumento

di azione giudiziaria di particolare efficacia.

8.IL PROCEDIMENTO

Il procedimento previsto dall’art.28 ha carattere d’urgenza,fondato su un’istruttoria minima

(audizione delle parti) da concludersi in tempi brevi,anche se il termine dei due giorni è

ordinatorio e di fatto è largamente superato.L’ azione si propone con ricorso al Tribunale del

Page 27: diritto sindacale Carinci--Treu

luogo ove è posto in essere il comportamento denunciato;l’ordine del giudice (decreto

motivato) che sanziona l’eventuale condotta antisindacale,è immediatamente esecutivo,e

comporta la “cessazione del comportamento illegittimo” lesivo dei beni protetti e “rimozione

degli effetti” lesivi già realizzati,ripristinando il libero godimento degli stessi beni.Il giudice

però non ha per il nostro ordinamento il potere di creare norme astratte.

9.LE SANZIONI

La sanzione penale posta a carico del datore di lavoro,per l’inosservanza dell’ordine del

giudice,ai sensi dell’art.650 (arresto fino a 3 mesi o ammenda fino a L.400000) è un altro

fattore decisivo di effettività della norma.

La sanzione si può infliggere solo se il giudice penale,riesaminando se il comportamento sia

davvero antisindacale,lo condanna sulla base del provvedimento del giudice civile.

10.L’ART.28 E IL PUBBLICO IMPIEGO

E’ stato a lungo controverso se ed in quali limiti l’art.28 St.lav. sia applicabile nel pubblico

impiego.

Alle soglie del decennio ’90 è intervenuto in materia il legislatore con l’intento di fornire un sistema

certo e razionale in tema di tutela giurisdizionale dei diritti sindacali.

CAPITOLO VIII: LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

1. La contrattazione collettiva in generale: la contrattazione collettiva consiste nel processo di

regolamentazione congiunta (sindacati-padronato) dei rapporti d lavoro; la struttura e i contenuti della

contrattazione collettiva sono strettamente correlati e dipendono largamente da altri aspetti del sistema di

relazioni industriali, quali la struttura del sistema produttivo, la struttura del mercato del lavoro, il ritmo

dello sviluppo economico, i caratteri dell’intervento statale. Si è diffusa nel tempo la tendenza ad adottare

una nozione lata di contrattazione collettiva, fino a ricomprendervi tutto l’insieme dei rapporti, anche non

strettamente negoziali, e più o meno formali, che intercorrono fra i diversi agenti del sistema di relazioni

industriali, in ordine alla regolamentazione dei rapporti di lavoro.

Modalità e procedure della contrattazione sono in Italia scarsamente formalizzate; gli attori sono, per parte

dei lavoratori, le organizzazioni maggiormente (o comparativamente più) rappresentative ai vari livelli; le

trattative vedono frequentemente l’intervento mediatore di organi pubblici. L’accordo raggiunto è

condizionato alla ratifica dei lavoratori nelle aziende. È inoltre diffusa la pratica del referendum per

l’approvazione sia delle piattaforme sia degli accordi.

Page 28: diritto sindacale Carinci--Treu

2. Evoluzione della struttura e dei contenuti della contrattazione: la ricostruzione e gli anni ’50: la

prima fase è caratterizzata da un sistema di relazioni industriali “centralizzato e a predominanza politica”,

cui corrisponde un modello di contrattazione analogamente centralizzata, debole e statica. In seguito

all’accordo interconfederale cosiddetto sul conglobamento dei vari elementi retributivi, viene riconosciuto

alle federazioni di categoria il potere di negoziare autonomamente i livelli retributivi.

3. (Segue): Gli anni ’60: la prima modernizzazione del sistema contrattuale: la fine degli anni ’50 dà

avvio ad un processo di modernizzazione delle relazioni industriali italiane, di cui è parte significativa la

modifica del sistema contrattuale. La dinamica generale della contrattazione cresce ai due livelli di categoria

e aziendale; si realizza di conseguenza un primo decentramento della struttura contrattuale. Il

decentramento è completo rispetto ai contratti nazionali di categoria, che diventano l’asse portante della

struttura, fonte della disciplina di base del rapporto di lavoro.

Sul finire del decennio ’50 la contrattazione aziendale viene riconosciuta ed istituzionalizzata nel sistema di

contrattazione articolata; in base a tale sistema, alla contrattazione aziendale è riservata la competenza a

trattare le materie determinate dallo stesso contratto nazionale.

Il decentramento è parziale sia per le materie che sono delegate, sia per gli agenti contrattuali competenti a

trattare, che sono i sindacati provinciali di categoria di entrambe le parti; al contratto nazionale spetta

dunque di predeterminare, attraverso clausole di rinvio, sia le materie e gli agenti della contrattazione

aziendale, sia le procedure di svolgimento, i tempi e, in qualche caso, i margini contrattuali, e fornire

garanzia di tregua sindacale nelle pause temporali intercorrenti tra un accordo e l’altro, tramite clausole di

tregua.

4. (Segue): Il ciclo 1968-1975: sviluppo e decentramento della contrattazione: la contrattazione

raggiunge il massimo del decentramento, poiché l’elemento trainante nel settore industriale è questa volta la

contrattazione aziendale, che rompe il limiti quantitativi e qualitativi definiti nel ’62, e il minimo di

istituzionalizzazione, in quanto, cadute le norme di coordinamento giuridico tra i livelli contrattuali, ognuno

di questi è formalmente autonomo, non vincolato per oggetti, per procedure né per agenti di contrattazione.

5. (Segue): La centralizzazione e gli accordi triangolari: la seconda metà degli anni ’70 è caratterizzata

dal peso crescente della crisi economica sull’azione sindacale; questa situazione sfavorevole non comporta

un crollo del potere sindacale, ma altera gli equilibri contrattuali. Prevalgono tendenze all’assestamento di

istituti già regolati, nell’area dei diritti sindacali, mentre si ricercano contenuti contrattuali nuovi di controllo

sulle scelte economiche e di impresa, diretti a risolvere i problemi dell’occupazione e della produttività.

Sempre più marcata la pressione da parte degli imprenditori e poi anche del governo per il contenimento del

costo del lavoro e la riduzione della dinamica della scala mobile.

Page 29: diritto sindacale Carinci--Treu

Vi è una tendenza alla ricentralizzazione della struttura contrattuale, tendenza alla quale se ne ricollega

un’altra, quella dell’intervento diretto del potere pubblico nella contrattazione centralizzata, che arriva ad

assumere carattere triangolare e che si collega a tematiche di diretto rilievo politico-economico.

6. (Segue): Gli anni ’80: nuovo decentramento o riequilibrio?: dall’inizio degli anni ’80 anche la struttura

e i contenuti della contrattazione collettiva hanno subito forti sollecitazioni al cambiamento per le seguenti

ragioni: la rinnovata, ancorché fragile, ripresa economica, dopo la ristrutturazione, e soprattutto la

rapidissima innovazione tecnologica.

La spinta più netta in tutti i paesi industrializzati è verso il decentramento della contrattazione, che trova le

proprie motivazioni nelle: 1) crescenti difficoltà della contrattazione interconfederale; 2) perdita di rilievo e

di contenuti innovativi della contrattazione di categoria, con blocchi o gravi ostacoli nei rinnovi contrattuali;

3) (ri)emersione di una contrattazione aziendale o infra-aziendale non coordinata dal centro.

Variazioni nelle altre dimensioni della struttura contrattuale: estensione (= grado di copertura della

contrattazione) – incisività – grado di innovazione dei contenuti contrattuali.

7. Gli anni ’90: riaccentramento e razionalizzazione del sistema contrattuale: negli anni ’90 (periodo

della c.d. “riregolazione del rapporto di lavoro”) il sistema contrattuale è investito dall’urgenza del

risanamento e della stabilizzazione economica: le pressanti esigenze del risanamento convivono peraltro con

le richieste di competitività e flessibilità emerse e tutt’altro che esaurite nel periodo precedente: da qui le

persistenti spinte al decentramento. Lo Stato interviene sul conflitto in modo sempre più massiccio, anche se

ben attento a non espropriare il sindacato delle funzioni protette ai sensi dell’art. 39 Cost., 1° comma. Si

afferma un nuovo ruolo della contrattazione interconfederale: quello di strumento politico di soluzione di

problemi, a cominciare dalla lotta all’inflazione e al controllo del costo del lavoro, che riguardano l’intero

mondo del lavoro ed i suoi rapporti con il mondo dell’economia e della finanza. Il nuovo processo di

riaccentramento, abbandonate le finalità difensive promosse dall’art. 19 St. lav., trova la propria ragion

d’essere nel Protocollo del 23 luglio 1993, ispirato dalla consapevolezza che solo un controllo centrale sulla

contrattazione collettiva congiunto ad un analogo controllo sulla politica salariale è in grado di rendere un

sistema di relazioni industriali responsabile e al tempo stesso efficiente. Soprattutto, questo accordo è il

primo serio tentativo di razionalizzazione del sistema di contrattazione collettiva; nel dettaglio:

A) Sono previsti 2 livelli di contrattazione, quello nazionale di categoria e quello aziendale, tra loro

collegarti in modo tale che gli ambiti, i tempi, le modalità di articolazione, le materie e gli istituti del

secondo sono predeterminati dal primo.

B) Durata dei contratti predeterminata: 4 anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale;

2 anni per la parte retributiva del CCNL.

C) Introduzione di scansioni temporali per l’apertura delle trattative ai fini dei rinnovi dei contratti.

Page 30: diritto sindacale Carinci--Treu

D) Le RSU sono riconosciute come “rappresentanza sindacale aziendale unitaria nelle singole unità

produttive”, e investite della “legittimazione a negoziare al secondo livello le materie oggetto di rinvio da

parte del contratto nazionale di categoria”.

CAPITOLO NONO

IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL LAVORO PRIVATO

1.LA PROBLEMATICA GIURIDICA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO

COMUNE

Il capitolo si concentra sul prodotto della contrattazione collettiva,cioè sul contratto

collettivo,inteso come il contratto con cui i soggetti collettivi (organizzazioni dei lavoratori e

degli imprenditori) predeterminano la disciplina dei rapporti individuali di lavoro (parte

normativa) e regolano anche taluni tratti dei loro rapporti reciproci (parte obbligatoria).

Sono rinvenibili almeno quattro tipi di contratto collettivo: quello corporativo, quello c.d. di diritto

comune, quello prefigurato dal legislatore costituente e quello recepito in decreto legislativo ai sensi

della legge 741/1959.L’unico che continua ad essere prodotto è il contratto collettivo di diritto

comune,a questo quindi va dedicata maggiore attenzione,anche se i suoi problemi giuridici si

colgono in contrapposizione con il contratto corporativo.Il contratto corporativo è un contratto

tipico,elevato a fonte del diritto in senso proprio,anche se subordinata a leggi e regolamenti.La

soppressione dell’ordinamento corporativo e delle organizzazioni sindacali fasciste hanno coinvolto

i contratti corporativi e la loro disciplina legale.

La giurisprudenza si assume il compito di ricostruire man mano le linee fondamentali della sua

disciplina,in parte ricavandola da quella codicistica dei contratti in generale (ed è per questo che si

parla di contratto collettivo di diritto comune) in parte recuperando tratti della disciplina codicistica

del contratto corporativo.Il contratto collettivo di diritto comune finisce così per apparire un istituto

di origine largamente giurisprudenziale.

Le problematiche del contratto collettivo di diritto comune si incentrano sulla efficacia della parte

normativa nei confronti dei rapporti individuali di lavoro,e possono essere accorpate attorno a due

temi di fondo: ambito e tipo dell’efficacia stessa.

2.L’AMBITO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO

Con la caduta del sistema corporativo le associazioni sindacali divengono libere di individuare

l’ambito delle categorie di cui intendono farsi espressione e, correlativamente, l’ambito di

efficacia del contratto collettivo.

Solo il datore di lavoro iscritto all’organizzazione sindacale dei datori di lavoro è tenuto

all’applicazione del contratto collettivo nei confronti dei soli lavoratori sindacalmente associati.

Page 31: diritto sindacale Carinci--Treu

3.OPERAZIONI GIURISPRUDENZIALI SULL’AMBITO DI EFFICACIA

La giurisprudenza si è sforzata di dilatare l’ambito di applicazione del contratto collettivo.

a) Il contratto collettivo è così ritenuto applicabile quando le parti individuale vi abbiano preso

esplicita o implicita adesione.Il primo caso si verifica normalmente quando il contratto

individuale rinvia alla disciplina collettiva;avendo accetto il contratto collettivo come fonte

regolatrice,il datore non si può più liberare unilateralmente dal vincolo.Il secondo caso si

verifica quando il contratto collettivo è spontaneamente applicato,e avviene quando vengono

applicate numerose e significative clausole:il datore di lavoro è allora tenuto ad applicare il

contratto nella sua integralità.

b) La giurisprudenza ritiene inoltre che il datore di lavoro iscritto è tenuto ad applicare il

contratto collettivo anche ai lavoratori non iscritti,non potendo impedire che essi

manifestino la volontà di conformare ad esso il contratto di lavoro individuale.

L’imprenditore che si associa infatti è consapevole del fatto che i contratti collettivi

rivelano la chiara intenzione delle parti contraenti di considerarli come norma generale di

disciplina dei rapporti di lavoro,e in quanto tali aperti alla generalità dei dipendenti.

c) Nell’operazione di recupero dell’art.2070 cod.civ. il datore di lavoro deve applicare il

contratto corrispondente alla propria attività,e se svolge più attività distinti contratti qualora

queste siano autonome tra loro,o il contratto corrispondente all’attività principale se le altre

sono accessorie.L’art.2070 non è vincolato all’ordinamento corporativo,ma risponde a

esigenze dell’azione sindacale e della disciplina di categoria.Agli inizi degli anni ’90 però la

Cassazione dichiarò l’incompatibilità tra il principio di libertà sindacale di cui all’art.39

1°comma Cost. ed il criterio di appartenenza alla categoria imprenditoriale fissato

dall’art.2070 cod.civ.

d) A partire dalla metà degli anni ’50,la giurisprudenza è andata applicando,sia pure

indirettamente i minimi tariffari del contratto collettivo anche ai rapporti di lavoro con

imprenditori non iscritti alle organizzazioni stipulanti. L’orientamento è stato fondato

sull’art.36 Cost. che garantisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla

qualità e alla quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua

famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

4.INTERVENTI LEGISLATIVI SULL’AMBITO DI EFFICACIA

Dalla fine degli anni ’40 si sono succeduti vari interventi legislativi,ad operare una dilatazione

dell’ambito di applicazione dei contratti collettivi di diritto comune.

a) La consacrazione dell’efficacia generalizzata dei contratti collettivi è stata in un primo

momento ravvisata in quelle disposizioni che sanciscono l’obbligo del datore di lavoro di

Page 32: diritto sindacale Carinci--Treu

osservare le norme dei contratti collettivi e di retribuire il prestatore in conformità alle tariffe

in essi contenute.

b) L’intervento più importante è verso la fine degli anni ’50,quando il legislatore,acquisita

l’impraticabilità di una norma attuativa dell’art.39 Cost., tentò di condurre diversamente a

soluzione definitiva il problema dell’efficacia generale dei contratti collettivi.

c) Il legislatore tornò così a sperimentare nuove soluzioni,per pervenire in via diretta alla

dilatazione dell’ambito di efficacia dei contratti collettivi (per es. l’art.36 St.lav.).

d) Tra gli interventi volti a favorire l’estensione dell’ambito di applicazione dei contratti

collettivi,vanno annoverati quelli in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali,che

condizionano la fruizione del relativo beneficio alla circostanza che l’impresa assicuri ai

propri dipendenti trattamenti non inferiori ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali

di categoria,stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

5.L’AMBITO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI LIVELLO

AZIENDALE. IL CONTRATTO COLLETTIVO GESTIONALE E LA TEORIA DELLA

PROCEDIMENTALIZZAZIONE

E’ sul piano della contrattazione aziendale che negli ultimi anni si è registrata una serie di interventi

legislativi,diretti ad attribuire efficacia generale agli atti di autonomia collettiva.Non sembra

comunque fino ad oggi possibile registrare interventi legislativi che abbiano attribuito in modo

diretto efficacia normativa generale ai contrati aziendali,anche se più di una volta ne hanno favorito

l’espansione a tutti i lavoratori dell’azienda.

Vi sono inoltre i contratti di solidarietà,stipulati al fine di evitare,in tutto o in parte,la riduzione o la

dichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo più razionale impiego (del primo

tipo);o diretti a incrementare gli organici (del secondo tipo).

Il contratto aziendale non ha sempre una funzione normativa,anzi spesso assume una funzione

gestionale,nel senso che si occupa di gestire situazioni di crisi in occasione delle quali può farsi

veicolo di distribuzione di sacrifici.

L’effetto erga omnes,quindi, discende pur sempre dall’atto del datore di lavoro che esercita i suoi

poteri imprenditoriali,e non dall’accordo sindacale gestionale che è solo un tramite per l’esercizio di

quei poteri.

La pretesa del datore di lavoro di applicare il contratto collettivo stipulato con alcuni sindacati a

lavoratori iscritti ai sindacati dissenzienti costituisce secondo la giurisprudenza,condotta

antisindacale ai sensi dell’art.28 St.lav.

Page 33: diritto sindacale Carinci--Treu

6.IL TIPO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO:LA PROBLEMATICA

DELL’INDEROGABILITA’

Posto che il contratto collettivo sia applicabile,resta da stabilire quale efficacia esplichi nei

confronti del contratto individuale.Resta da stabilire se il singolo datore di lavoro e il singolo

lavoratore possano o meno pattuire una disciplina del rapporto individuale difforme da quella

predeterminata nel contratto collettivo.

Per diritto comune i rappresentanti,in quanto titolari degli interessi in giuoco,possono sempre di

comune accordo modificare la regolamentazione di quegli interessi disposta in loro nome e per loro

conto dai rappresentanti.

L’art.2077 cod.civ. stabilisce che i contratti individuali devono uniformasi alle disposizioni del

contratto collettivo e le clausole eventualmente difformi sono sostituite di diritto da quelle del

contratto collettivo,salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.

7.L’EFFICACIA NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO E LA

DEROGABILITA’ IN MELIUS

La consacrazione nell’ordinamento dell’autonomo potere sindacale di regolazione dei

rapporti di lavoro ha favorito l’assimilazione,quanto al tipo di efficacia,del contratto collettivo

alla legge e il riconoscimento che,al pari della legge,esso opera nei confronti del contratto

individuale dall’esterno quale fonte eteronoma.

Bisogna fermare l’attenzione sui caratteri dell’inderogabilità,cioè sulle modalità del raffronto

tra disciplina collettiva ed individuale.Anzitutto va precisato che l’inderogabilità non è

assoluta giacchè opera a solo vantaggio,e non a danno,del lavoratore.

Le norme della legislazione in materia di lavoro sono considerate dagli interpreti inderogabili in

peius,perché rivolte a porre una disciplina minimale di protezione del lavoratore,ma per ciò stesso

derogabili in melius.

La medesima funzione di tutela minimale,viene riconosciuta anche al contratto collettivo.La

giurisprudenza del resto ha potuto vedere la regola della derogabilità in melius codificata

nell’art.2077.

Il raffronto tra legge ed autonomia privata è correntemente operato con riferimento a singole

clausole. Le clausole del contratto individuale di contenuto peggiorativo sono sostituite dalla

disciplina legale,e non trovano compensazione con il contenuto eventualmente migliorativo di altre

clausole dello stesso contratto.

Non hanno avuto fortuna i tentativi di operare il raffronto tra l’intera disciplina del contratto

collettivo e l’intera disciplina del contratto individuale;tuttavia la giurisprudenza si è orientata nel

senso di ricondurre ad un unico istituto l’intero trattamento economico.

Page 34: diritto sindacale Carinci--Treu

8.LEGGE E AUTONOMIA COLLETTIVA

Il contratto collettivo,al pari di quello individuale,deve ritenersi gerarchicamente subordinato alla

legge. L’opinione prevalente è però nel senso che il legislatore costituzionale,pur valorizzando

l’autonomia sindacale, ha affidato anzitutto al legislatore ordinario il compito di provvedere alla

tutela (minima) del lavoratore.La legge costituisce per l’autonomia collettiva un limite invalicabile

a sfavore del lavoratore,e valicabile invece a suo vantaggio.

Di regola la norma di legge è inderogabile in peius e derogabile in melius dal contratto collettivo

(come da quello individuale).Questo modello di rapporto tra legge e contrattazione collettiva ha

però subito un’alterazione.Sono oggi numerose le ipotesi in cui il legislatore utilizza la

contrattazione collettiva come veicolo di attenuazione della propria stessa rigidità,attribuendole il

poter di derogare in peius o, forse più propriamente,affidandole il compito di individuare o

modificare il precetto legale.

Con la legislazione sul costo del lavoro è stata sancita l’inderogabilità in melius ad opera

dell’autonomia collettiva di una normativa legale.Il legislatore ha cioè qualificato il proprio

intervento come diretto non già a fissare un minimo ma un massimo di disciplina del rapporto di

lavoro.

Tra interventi deregolativi e interventi limitativi,l’intreccio legge-contratto collettivo si presenta ora

assai complesso ed articolato rispetto al classico schema,che però continua ad essere l’archetipo del

diritto del lavoro,e che vede la legge dettare una disciplina minimale,sempre derogabile in meglio

ma non in peggio dell’autonomia collettiva.

La Corte Costituzionale ha stabilito che al legislatore deve essere riconosciuta la potestà di porre

limiti inderogabili alla contrattazione collettiva nel perseguimento di finalità di carattere

pubblico,trascendenti l’ambito nel quale si colloca per la Costituzione la libertà di organizzazione

sindacale e la corrispondente autonomia negoziale,tutelate dall’art.39 Cost.

Questo potere deve essere riconosciuto al legislatore nel caso di accordi a tre,che vedono il Governo

assumere una serie di impegni politici,spesso rilevanti,e che pur non contrastando la Costituzione

non rientrano nel quadro tipizzato dall’art.39,dal momento che le organizzazioni sindacali non sono

staccate dagli organi del governo ma cooperanti con esso.

9.L’EFFICACIA NEL TEMPO DEL CONTRATTO COLLETTIVO: ULTRATTIVITA’,

RETROATTIVITA’, DIRITTI QUESITI

Le procedure dei contratti collettivi sono state formalizzate solo dal Protocollo del 23 luglio

1993,che prevede relativamente al contratto nazionale di categoria,una durata di quattro anni per la

parte normativa,e di due anni per la parte economica.Tre mesi prima della scadenza,le

organizzazioni dei datori e dei lavoratori si incontrano per avviare le trattative per il rinnovo.

Page 35: diritto sindacale Carinci--Treu

Quando scade il termine apposto dalle parti stipulanti,il contratto perde la sua efficacia e da quel

momento cessa di conformare il contenuto dei rapporti individuali.Questo perché in ragione della

sua natura privatistica la giurisprudenza nega l’applicabilità della teoria dell’ultrattività del contratto

corporativo,dell’art.2074 cod.civ. Sono allora per lo più gli stessi contratti collettivi a correre ai

ripari mediante l’espressa previsione della propria ultrattività.

Altra questione riguarda la possibile retroattività del regolamento collettivo.Così come l’art.2074

cod.civ. la giurisprudenza ritiene inapplicabile al contratto di diritto comune anche il 2°comma

dell’art.11 disp.prel.cod.civ.,secondo cui i “contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro

efficacia una data anteriore alla pubblicazione,purchè non preceda quella della

stipulazione”.Ammette quindi che il contratto collettivo può darsi efficacia retroattiva,e giunge a

ritenere che di tali benefici possono giovarsi anche lavoratori il cui rapporto sia cessato

anteriormente alla stipulazione del contratto collettivo.

Per la giurisprudenza inoltre il contratto collettivo può disporre retroattivamente anche in “malam

partem” cioè a danno del lavoratore.Il contratto collettivo successivo nel tempo,nel sostituirsi

integralmente a quello anteriore (dello stesso tipo e livello),può modificare la precedente disciplina

collettiva anche peggiorativamente per il lavoratore,senza incontrare limite alcuno nei “diritti

quesiti” sulla base del contratto sostituito.Di “diritto quesito” si può propriamente parlare in caso di

successione di leggi,e non in caso di successione di diverse regolamentazioni contrattuali di uno

stesso rapporto.Diritto quesito in sostanza è solo ciò che è già entrato nel patrimonio del lavoratore

per effetto della precedente disciplina.

10.I RAPPORTI TRA CONTRATTI COLLETTIVI PRIVATISTICI DI DIVERSO

LIVELLO

Per un certo tempo,all’inizio degli anni ’60,la giurisprudenza è parsa ancora propensa a ritenere

l’inderogabilità “in peius” del contratto di categoria in forza di motivazioni diverse;sul finire degli

anni settanta il panorama giurisprudenziale è però divenuto assai meno univoco e decifrabile.

Agli inizi degli anni ottanta è andato prendendo piede un orientamento,tutt’affatto diverso,incline ad

attribuire comunque prevalenza alla disciplina (anche meno favorevole) posteriore nel tempo.La

giurisprudenza ha ritenuto di poter trasferire sul piano del rapporto tra contratto di categoria e

contratto aziendale il principio,costantemente utilizzato sul piano del rapporto tra contratti

corporativi e contratti collettivi di diritto comune nonché tra contratti collettivi di diritto comune

dello stesso livello,secondo cui quando ad una regolamentazione di carattere generale ne segue

un’altra di carattere parimenti generale,la seconda si sostituisce alla prima integralmente.E’

divenuta così ricorrente la tesi per cui: un contratto aziendale di lavoro può derogare anche in peius

al trattamento previsto per i lavoratori da un precedente contratto collettivo,e che reciprocamente,le

Page 36: diritto sindacale Carinci--Treu

clausole di un contratto aziendale possono essere derogate da clausole meno favorevoli per i

lavoratori,contenute in contratti collettivi successivi,sia aziendali che di categoria.La prevalenza del

contratto posteriore nel tempo esprime l’assenza,nell’ordinamento,di un criterio affidabile per la

soluzione dei conflitti di disciplina tra contratti collettivi di diverso livello.

11.PROFILI ULTERIORI DI DISCIPLINA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI

DIRITTO COMUNE

Il contratto collettivo di diritto comune,quand’è applicabile,opera nei confronti del contratto

individuale con la stessa efficacia della legge.Esso però resta un atto di autonomia privata.

Dalla sua natura privatistica vengono così fatte discendere una serie di conseguenze:

a) il contratto collettivo deve essere interpretato secondo i criteri ermeneutica previsti per

l’interpretazione dei contratti e non di quelli per l’interpretazione della legge.E’ allora

compito primario dell’interprete ricostruire la comune volontà delle parti contraenti.Se il

dato testuale rimane equivoco,l’interprete deve aiutarsi con la storia del

contratto,desumendo la comune intenzione delle parti sia dai temi dibattuti nella

trattativa,sia dal modo di redazione delle norme,sia dalla effettiva concreta attuazione,sia dal

succedersi dei testi in rispondenza delle esigenze perseguite.

b) Non è ammissibile il ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione del contratto

collettivo.Alla Suprema Corte non si può chiedere di fornire l’esatta interpretazione del

contratto collettivo,bensì di controllare il procedimento ermeneutica seguito dal giudice di

merito.

c) Il contratto collettivo deve essere portato in giudizio dalla parte che lo invoca,non potendo

trovare applicazione il principio secondo cui il giudice ha diretta conoscenza dei testi di

legge.Il giudice però può svolgere una funzione di supplenza,e richiedere alle associazioni

sindacali il testo del contratto,di categoria o aziendale,applicabile al rapporto controverso.

d) Le clausole del contratto collettivo non sono applicabili in via analogica,né al di fuori

dell’ambito di efficacia del contratto stesso,per colmare eventuali lacune del testo

contrattuale che regola il rapporto controverso;né all’interno di ciascun contratto per

estenderne le clausole al di là dei casi previsti espressamente.

e) Secondo la giurisprudenza,il principio di eguaglianza sancito dall’art.3 Cost.,in quanto

inapplicabile ai rapporti tra privati,è inoperante nei confronti dell’autonomia

collettiva.Quindi il contratto collettivo può in linea di massima disciplinare diversamente

posizioni di lavoro uguali o analoghe,salvi naturalmente i limiti derivanti da divieti

espressamente posti dal legislatore.

Page 37: diritto sindacale Carinci--Treu

f) La giurisprudenza ha a lungo negato la possibilità di recedere unilateralmente dal contratto

collettivo,giungendo solo di recente a mutare avviso.Ora la Cassazione prevede,per il

contratto collettivo a tempo indeterminato,che la mancata applicazione del termine non

implica che gli effetti del contratto perdurino nel tempo senza limiti,dovendosi pur sempre

consentire il recesso anche in assenza di esplicita disposizione in tal senso.

g) Per quanto riguarda la forma del contratto collettivo,data l’assenza di qualsiasi disposizione

in proposito,deve ritenersi vigente il principio generale della libertà della forma,come

ribadito dalla Cassazione.

12.L’EFFICACIA “OBBLIGATORIA” DEL CONTRATTO COLLETTIVO

Prima di analizzare gli altri tipi di contratto collettivo,bisogna fermare l’attenzione sulla

problematica dell’efficacia obbligatoria del contratto collettivo nei confronti degli stessi soggetti

che lo stipulano,sindacati,organizzazioni imprenditoriali e imprenditori singoli.

La nostra dottrina,come quella tedesca,fa discendere dalla stipulazione del contratto collettivo il c.d.

dovere di influenza,il dovere cioè di influire sugli associati affinché osservino la parte normativa del

contratto stesso.

Questione diversa è se il sindacato dei lavoratori debba ritenersi vincolato al contratto collettivo per

tutta la sua durata,in dipendenza della stipulazione stessa,con conseguente configurabilità a proprio

carico del c.d. obbligo implicito di pace sindacale;l’obbligo cioè di astenersi dal promuovere

scioperi finalizzati a conseguire una revisione della disciplina concordata.Secondo una tesi diffusa

in dottrina,deve escludersi che stipulando il contratto collettivo il sindacato dei lavoratori intenda

assumere e di fatto assuma impegni per il futuro,anche se parte della dottrina ritiene inaccettabile la

concezione del contratto collettivo come unilateralmente vincolante (cioè impegnativo solo per il

sindacato dei datori di lavoro).

Il dovere di non rimettere in discussione,prima della scadenza del contratto, la disciplina concordata

sarebbe configurabile solo in capo alle organizzazioni sindacali stipulanti.Il problema si pone con

riguardo al c.d. obbligo esplicito di pace sindacale,cioè all’eventuale impegno di tregua pattuito

esplicitamente.In dottrina si è fatta distinzione tra obbligo relativo di tregua,concernente solo le

materie compiutamente regolate dal contratto,e obbligo assoluto di tregua,esteso alle materie

rimaste estranee al contratto.Le clausole comunemente inserite nei contratti di categoria dal ’62-’63

non possono essere lette negli stessi termini.In esse innegabilmente l’impegno di tregua appare

riferito solo al sindacato.Le costanti disapplicazioni delle clausole di pace e le vicende

dell’”autunno caldo” hanno fatto ben presto dubitare che le clausole di pace sindacale siano dotate

di efficacia di tipo obbligatorio.

Page 38: diritto sindacale Carinci--Treu

Rilevante è l’accordo stipulato tra governo e parti sociali con il Protocollo del 23 luglio 1993,che

introduce un obbligo esplicito di tregua per il periodo di rinnovo del contratto (periodo di 4 mesi)

durante il quale le parti non assumeranno iniziative unilaterali né procederanno ad azioni dirette.

L’introduzione di una sanzione economica a presidio di una clausola di tregua rappresenta una

novità per il nostro sistema sindacale.

Accanto all’obbligo di pace ce ne sono altri due:quello correlato alle clausole istitutive dei raccordi

tra il livello contrattuale nazionale e quello aziendale;e quello correlato alla predeterminazione della

durata dei contratti.

13.GLI ALTRI TIPI DI CONTRATTO COLLETTIVO. I CONTRATTI CORPORATIVI

RIMASTI IN VIGORE.

Il D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944,n.369,nell’abrogare il sistema corporativo,dispose la permanenza

“in vigore,salvo le successive modifiche,delle norme contenute nei contratti collettivi” all’epoca

vigenti.

La giurisprudenza ha poi comunemente invocato il principio secondo cui,quando ad una

regolamentazione di carattere generale ne segue un’altra di carattere parimenti generale,questa si

sostituisce alla precedente,ed ha quindi ritenuto che la disciplina del contratto corporativo deve

intendersi completamente sostituita da quella del successivo contratto collettivo di diritto

comune,ogni qualvolta esso è applicabile allo specifico rapporto di lavoro.

14.I CONTRATTI COLLETTIVI “RECEPITI” IN DECRETO.

La legge 14 luglio 1959 n.741 delegò il Governo “ad emanare norme giuridiche,aventi forza di

legge,al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti

di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria” e stabilì che nella emanazione delle norme il

Governo dovrà uniformarsi alle clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi.

La Corte riconobbe che il legislatore con la legge n.741 aveva conferito efficacia generale ai

contratti collettivi con forme e procedimento diverse da quelli previsti dall’art.39.La Corte ritenne

che la legge si sottraesse al contrasto con l’art.39 in ragione del suo significato e funzione di legge

transitoria,provvisoria ed eccezionale,rivolta a regolare una situazione passata e a tutelare

l’interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro.

La legge del ’59 e i decreti emanati in sua attuazione hanno sollevato numerose questioni

interpretative.

a) La Corte Costituzionale ha chiarito che rientra nei compiti del giudice ordinario individuare

i concreti fini della categoria,cui la legge delegata si riferisce,desumendoli dalla

contrattazione collettiva e con riferimento alle associazioni stipulanti.Obiettivo della legge

Page 39: diritto sindacale Carinci--Treu

delega è quello di rendere applicabili i contratti collettivi al di là della cerchia degli

associati,e non quello di allargare l’ambito della categoria di riferimento;e poi perché

risulterebbe violata la regola costituzionale che garantisce la libertà di organizzazione

sindacale.

b) La giurisprudenza,dando prevalenza al dato “sostanziale” del contenuto (un contratto)

rispetto al dato “formale” (un decreto),ha affermato che “l’estensione erga omnes

dell’obbligatorietà del contratto collettivo lascia immutata la natura propria dei patti

contrattuali estesi e non vale come diretta legiferazione”.

c) In seguito si è andata invece manifestando la tendenza a negare,anche sotto questo

profilo,che l’estensione erga omnes abbia mutato la natura precettiva de contratti.

15.CONTRATTO COLLETTIVO E USI AZIENDALI.

Bisogna infine analizzare le correlazioni tra il contratto collettivo e i c.d. usi aziendali,cioè i

comportamenti tenuti di fatto dal datore di lavoro con apprezzabile continuità o reiterazione nei

riguardi dell’intero personale o di settori dello stesso.La giurisprudenza ha dovuto prendere atto che

ben difficilmente una prassi aziendale può rispondere ai requisiti,assai rigorosi,dell’uso

normativo,per il quale si richiede tradizionalmente una pratica uniforme e costante,tenuta per lungo

tempo dalla generalità degli interessati nella convinzione che essa sia obbligatoria in quanto

conforme ad una regola giuridica.La giurisprudenza ha così cominciato ad attribuire i

comportamenti tenuti dal datore di lavoro nei confronti di tutti i propri dipendenti o d’una cerchia di

essi ai c.d. “usi contrattuali” ed a spiegare la loro efficacia sui rapporti di lavoro riguardandoli come

proposte contrattuali ai singoli lavoratori da questi tacitamente accettate.E’ così divenuta ricorrente

la tesi che gli usi si iscrivono nei contratti di lavoro alla stregua dei patti individuali,e quindi per un

verso possono derogare solo in melius ai contratti collettivi.

CAPITOLO DECIMO

IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO

1.DALL’AFFERMAZIONE DEL METODO CONTRATTUALE ALLA C.D.

PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO IMPIEGO

Fino agli inizi degli anni sessanta il trattamento economico e normativo del pubblico impiego era

fissato per legge o per regolamento,in via esclusiva.Il panorama sindacale era contraddistinto dalla

diffusa ed influente presenza dei sindacati “autonomi”,mentre i sindacati aderenti alle grandi

confederazioni apparivano da esse scollati e tra sé divisi.

Page 40: diritto sindacale Carinci--Treu

Al processo di sindacalizzazione il sindacato andrò affidando,con maggior consapevolezza,un

duplice obiettivo:rinnovamento dell’organizzazione pubblica mediante l’intervento sulle condizioni

di lavoro all’interno di essa,e superamento delle sperequazioni.

Alla fine degli anni sessanta prese avvio anche il processo di istituzionalizzazione sul piano

legislativo della contrattazione nei diversi settori del pubblico impiego (Stato,sanità,enti

locali,ecc.),questo processo trovò la sua sistemazione nella legge quadro del 29 marzo 1983,che

forniva un ampio quadro per l’intera disciplina dei rapporti di lavoro pubblico. L’innovazione più

significativa consisteva nell’introduzione di una disciplina della contrattazione collettiva secondo

un modello unitario valido per tutto l’impiego pubblico,al posto delle diversificate discipline del

decennio pecedente.

Diversamente dallo Statuto dei lavoratori,che per il settore privato si limita a promuovere l’attività

sindacale nei luoghi di lavoro senza regolarla e senza disciplinare la contrattazione collettiva,la

legge n.93 riconosceva e insieme regolava i principali assetti sia dell’azione sindacale sia della

contrattazione.Di questa disciplinava gli ambiti (i settori),gli attori,i contenuti,i livelli e l’efficacia.

Sul finire degli anni ’80 però si verifica una progressiva e strisciante ingestibilità della legge

stessa,il fallimento precoce della legge quadro.

Dalla presa d’atto dell’impossibilità di rivitalizzare in qualche modo il precedente sistema,comincia

la storia della c.d. “privatizzazione”, scartata l’ipotesi di una semplice rivisitazione della legge

quadro.

Il decreto legislativo 3 febbraio 1993 n.29,si presenta anzitutto come intervento sulle fonti. Da un

lato viene modificato l’atto posto alla base del rapporto di impiego,che è ora il contratto;dall’altro,al

contratto collettivo viene restituito il ruolo di fonte immediata di disciplina del rapporto,con pieno

superamento della prospettiva per cui l’accordo sindacale non poteva considerarsi niente di più che

una tappa del procedimento di formazione dell’atto amministrativo di recezione.

Il contratto,individuale e collettivo di diritto comune,cosituisce il perno attorno al quale ruota la

trasformazione dal pubblico al privato (per questo si parla anche di contratualizzazione).La

trasformazione dell’assetto delle fonti viene poi realizzata tramite altri due passaggi:il passaggio di

disciplina,che è ora quella contenuta nel codice civil;ed il passaggio di giurisdizione dal giudice

amministrativo a quello ordinario.

2.LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NELLA RIFORMA DEL D.Lgs. n.29 del 1993

(ora D.Lgs. n.165/2001). AMBITI E LIVELLI.

L’estensione dell’area assoggettata alla privatizzazione,sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello

soggettivo, corrisponde a quella in precedenza ricoperta dalla legge quadro n.93 del 1983.

Page 41: diritto sindacale Carinci--Treu

Sotto il profilo oggettivo,rientrano nell’area di applicazione del decreto legislativo “tutte le

amministrazioni dello Stato,ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni

educative,le aziende e le amministrazioni dello stato ad ordinamento autonomo,le regioni,le

province,i comuni,le comunità montane e loro consorzi e associazioni,le istituzioni universitarie,gli

istituti autonomi case popolari,le camere di commercio,industria,artigianato e agricoltura e loro

associazioni,tutti gli enti pubblici non economici nazionali,regionali e locali,le amministrazioni e le

aziende e gli enti del Servizio Sanitario Nazionale”.

Sotto il profilo soggettivo,vengono escluse dall’area della privatizzazione alcune categorie

particolari,che mantengono una disciplina speciale:i magistrati ordinari,amministrativi e

contabili,gli avvocati e procuratori dello Stato,il personale militare e delle forze di polizia,il

personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia.

Bisogna sottolineare come il D.Lgs. n.29 continui la linea accentratrice già fatta propria dalla legge

quadro;la spinta alla centralizzazione del sistema contrattuale rappresenta il prodotto di un

compromesso tra forze che sul piano storico si trovano attualmente a condividere interessi

comuni,tra cui l’interesse al processo rivendicativo:il Governo e le Confederazioni.

3.SOGGETTI

La persistente frammentazione e la scarsa trasparenza dei soggetti negoziali hanno sempre costituito

la causa più evidente di distorsioni del processo di contrattazione collettiva nel pubblico impiego.

L’elemento di maggior rilievo è l’entrata in scena di un protagonista completamente

nuovo,l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) “dotata

di personalità giuridica di diritto pubblico”.Con essa il legislatore ha sostituito alle varie delegazioni

di parte pubblica,un’unica controparte,tecnica e stabile. E ad essa è attribuita la rappresentanza

sindacale di tutte le amministrazioni pubbliche, a livello di contrattazione collettiva nazionale.

L’Agenzia non è sottoposta alla vigilanza della Previdenza del Consiglio e gli unici controlli sulla

sua attività sono effettuati dalla Corte dei Conti,sulla gestione finanziaria. Oggi l’Agenzia si colloca

al centro di un sistema più articolato,nel quale il potere di impartire direttive per l’azione

contrattuale è stato mutato in potere di indirizzo e trasferito dal Governo ai c.d. Comitati di

settore,organi espressi dalle forme associative delle singole amministrazioni e degli enti

rispettivamente interessati.

Sono ora ammesse alla contrattazione di comparto le Confederazioni sindacali,non più in quanto in

sé rappresentative ma solo se affiliano un sindacato rappresentativo nel comparto o nell’area.

4.OGGETTI

Page 42: diritto sindacale Carinci--Treu

La contrattazione collettiva ha oggi una competenza generale,potendosi svolgere su “tutte le materie

relative al rapporto di lavoro e alle relazioni sindacali”.

Il trattamento economico continua ad essere la materia tipica affidata alla contrattazione,fin dalla

legislazione degli anni ’70.

5.PROCEDURA ED EFFICACIA

Gli accordi collettivi nel pubblico impiego hanno sempre acquistato efficacia sui rapporti di lavoro

non direttamente,ma solo per il tramite di un atto di autorità. Anche nel pubblico impiego il

contratto collettivo è destinato ad acquistare efficacia immediata quanto alla disciplina dei rapporti

di lavoro compresi nella sua sfera applicativa.L’iter procedurale si alleggerisce,ma non viene meno:

a) Quanto al livello nazionale vi è una fase preventiva a quella propriamente

contrattuale,costituita dalla deliberazione degli atti di indirizzo da parte dei comitati di

settore delle pubbliche amministrazioni,che vengono trasmessi all’Aran;

b) L’Agenzia entra nella fase della trattativa in ordine alla quale il legislatore serba il più

assoluto silenzio;

c) Il raggiungimento di un’intesa conduce poi direttamente alla terza fase,quella finale,la fase

del perfezionamento del contratto.Oggi non è più richiesta l’autorizzazione del Governo,ma

solo il parere favorevole del Comitato di settore,che deve pervenire entro cinque giorni dalla

ricezione del testo.Il parere è chiaramente vincolante per l’Aran.

Il giorno successivo a quello dell’acquisizione del parere favorevole da parte del comitato di settore

(o del Presidente del Consiglio),l’Aran trasmette la quantificazione dei costi contrattuali,contenuta

in un prospetto allegato,alla Corte dei Conti,la quale ne verifica la compatibilità con gli strumenti di

programmazione e di bilancio. La Corte dei Conti non controlla dunque più la legittimità dell’atto

governativo di autorizzazione,ma solo l’esistenza della copertura finanziaria delle spese previste dal

contratto.

Se la delibera della Corte è positiva oppure se decorre il termine di cinque giorni dalla ricezione

senza che essa si sia pronunciata,il presidente dell’Aran sottoscrive il contratto collettivo.

Se invece la Corte dei Conti si pronuncia negativamente,l’Aran dovrà tentare l’adeguamento della

quantificazione dei costi. L’intera procedura di certificazione deve concludersi entro quaranta giorni

dall’ipotesi di accordo.

6.EFFICACIA: AMBITO E TIPO.

Il contratto pubblico privatizzato,pur se tipico o speciale,non sfugge ai problemi del contratto

collettivo di diritto comune,la cui efficacia è formalmente limitata ai datori e lavoratori

rappresentanti al tavolo delle trattative.

Page 43: diritto sindacale Carinci--Treu

L’erga omnes del contratto collettivo risulta assicurato in forza:

a) della previsione che assegna all’Agenzia la rappresentanza legale di tutte le pubbliche

amministrazioni;

b) della previsione che vincola le pubbliche amministrazioni a garantire ai propri dipendenti

“parità di trattamento contrattuali e comunque trattamenti non inferiori a quelli prescritti dai

contratti collettivi”

c) della previsione che le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i

contratti collettivi nazionali o integrative.

Il contratto collettivo diventa positivamente applicabile a tutti per il tramite della clausola di rinvio

necessariamente contenuta nel contratto individuale che viene sottoscritto al momento della

costituzione del rapporto.

Altro versante problematico è quello che riguarda il rapporto tra contratto collettivo e contratto

individuale. Nel privato tale questione trova soluzione nel senso che il contratto collettivo è

inderogabile in peius dal contratto individuale e le eventuali disposizioni difformi vengono

sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo.Per contro il contratto individuale può derogare

in melius il contratto collettivo.

Nel settore del lavoro pubblico si assiste ad un capovolgimento:il profilo della inderogabilità in

peius non risulta affatto posto in discussione,è tuttora oggetto di dibattito la questione della

derogabilità in melius. Due orientamenti si fronteggiano:l’uno sostiene l’inderogabilità assoluta o

bilaterale del contratto collettivo nei confronti dell’individuale;l’altro riconosce l’esistenza di spazi

d’azione per la contrattazione individuale.

CAPITOLO XI: SCIOPERO E SERRATA

A. LO SCIOPERO: I PROTAGONISTI DELLA SUA REGOLAMENTAZIONE

1. Il caso italiano: dal codice penale sardo al testo costituzionale: lo sciopero rappresenta il punto di

avvio del lungo e travagliato processo formativo del sindacato: è stato prima represso come “reato”, poi

tollerato come “libertà”, infine protetto, fino ad essere riconosciuto, come “diritto”. Come “reato” lo

sciopero fu previsto dal codice penale sardo del 1859, esteso al regno d’Italia, poi sostituito dal codice

Zanardelli, che punisce non più lo sciopero ma solo l’eventuale comportamento violento o minaccioso

diretto verso un lavoratore, per costringerlo ad astenersi dal lavoro; col nuovo codice penale del 1930, la

repressione della libertà di lotta sindacale troverà una più compiuta ed articolata previsione (significativo il

fatto che sia il grande sciopero torinese del 1943 ad anticipare il crollo del fascismo). Il dato di fatto della

non punibilità del fenomeno trova consacrazione nell’art. 40 della Costituzione, con l’espresso e solenne

riconoscimento del diritto di sciopero.

Page 44: diritto sindacale Carinci--Treu

Per quanto riguarda fonti internazionali e comunitarie, la disciplina dello sciopero è tradizionalmente

esclusa dal campo di intervento sia delle convenzioni OIL sia delle direttive comunitarie, anche se l’art. 28

della c.d. Costituzione europea riconosce, in capo ai lavoratori, ai datori e alle rispettive organizzazioni “il

diritto di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei propri interessi,

compreso lo sciopero”.

2. I protagonisti nell’evoluzione della disciplina dello sciopero. Il Parlamento: l’art. 40 Cost. contiene

un rinvio al Parlamento per il varo di un testo legislativo largamente discrezionale circa il tempo d’esercizio;

il fatto che nell’arco di una quarantennio tale testo non abbia visto la luce non può essere considerato un

vero e proprio caso di “inadempimento costituzionale”, ma deve essere spiegato storicamente. Lo sciopero

riceve una forma di tutela indiretta dallo Statuto dei lavoratori, che parla sì dello sciopero, ma non per darne

una regolamentazione, bensì per offrirne una tutela rafforzata. La legge 146/1990, in materia di sciopero nei

servizi pubblici essenziali, attribuisce un rilievo prioritario agli accordi (nel settore pubblico) e ai contratti

collettivi (nel settore privato) come fonte regolativa del conflitto. La legge 83/2000 corregge i principali

punti deboli della disciplina base, conservandone le caratteristiche di fondo: ritocca la strumentazione

negoziale e gli obblighi delle parti, ricalca i poteri della Commissione di garanzia, perfeziona il sistema

sanzionatorio, estende le regole da rispettare in caso di sciopero anche alle astensioni collettive di lavoratori

non subordinati.

3. La dottrina e la giurisprudenza: I distinzione: il diritto di sciopero sarebbe soggetto a limiti circa il

titolare, il comportamento attuativo, il fine perseguito: limiti c.d. coessenziali, perché connaturati al concetto

di sciopero assunto a referente del riconoscimento medesimo all’interno del testo costituzionale e dell’intero

ordinamento; limiti c.d. d’esercizio, perché appunto relativi all’esercizio. II distinzione (radicata nella I):

limiti interni, desumibili dal concetto di sciopero recepito nell’art. 40; limiti esterni, desumibili dal

contemperamento fra diritto di sciopero e altro diritto costituzionalmente tutelato a livello identico o

superiore. Evoluzione del diritto di sciopero in Italia:

a) Sciopero prima inteso come fatto straordinario, poi come strumento di garanzia sociale per

l’ordinamento intersindacale, infine strumento di influenza e partecipazione nella determinazione

della politica nazionale ed aziendale.

b) Diversa attitudine verso l’attività interpretativa svolta.

c) Nuova definizione della fattispecie “sciopero-fatto” (sciopero visto come fenomeno sociale) e

“sciopero-diritto” (lo sciopero visto come diritto).

d) Nuova ricostruzione dogmatica del diritto di sciopero.

e) Nuova disciplina della titolarità e dell’esercizio del diritto di sciopero.

Page 45: diritto sindacale Carinci--Treu

4. La Corte Costituzionale: nella seconda metà degli anni ’50 la Corte Costituzionale entra in attività, e la

situazione che le si presenta non è delle più rosee, a causa soprattutto della perdurante assenza del

Parlamento nel varare una legge attuativa dell’art. 39, comma 2°, e del rinvio di cui all’art. 40. La Corte

Costituzionale, presa in mano la situazione, assume diversi ruoli: di guida rispetto alla magistratura, di

sollecitazione rispetto alla classe politica, di chiarificazione rispetto all’organizzazione sindacale, di

influenza rispetto all’opinione pubblica. Si riapre la questione dei limiti, distinguendo tra quelli desumibili

dallo stesso interprete, ossia dal “concetto stesso di sciopero” (“interni”), oppure “dalla necessità di

contemperare le esigenze dell’autotutela di categoria con altre discendenti da interessi generali i quali

trovano protezione in principi consacrati nella Costituzione (“esterni”).

Sentenza di rigetto pura, che conserva la norma impugnata; sentenza di rigetto interpretativa, che salva la

norma in ragione di una certa interpretazione, peraltro non vincolante; sentenza di accoglimento, totale o

parziale, “pura”, che cancella tutta o parte della disposizione contestata; s. di accoglimento parziale

manipolativa, che estrapola da tale disposizione un’altra meno estesa, destinata a sopravvivere. Con

l’avvento della legge 146/1990, la Corte si vede privata di una grossa porzione della vecchia disciplina

penale.

5. Il Governo e la pubblica amministrazione: altro protagonista assai importate è stato lo stesso potere

esecutivo, nell’influire sul regolamento e soprattutto sull’esercizio effettivo del diritto di sciopero,

assumendo le fattezze di promotore dell’iniziativa legislativa, condizionatore dell’attività giurisprudenziale,

responsabile della politica dell’ordine pubblico, datore di lavoro pubblico; soprattutto l’atteggiamento del

Governo è venuto progressivamente mutando, da apertamente repressivo, a neutrale, a promozionale. Nel

corso del decennio ’90, la legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e la normativa sulla c.d.

privatizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni sanciscono il riconoscimento pieno

del diritto di sciopero nel pubblico impiego.

6. Le organizzazioni sindacali: significativa anche la stessa autoregolamentazione: unilaterale, o

autoregolamentazione in senso stretto, posta dalla sola organizzazione sindacale; bilaterale o

regolamentazione patrizia, convenuta con la contro-parte datoriale; quest’ultima acquista rilevanza in

seguito alla l. 146/1990 e alla privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, poiché

maggiormente indicata per l’individuazione delle prestazioni indispensabili in caso di sciopero effettuato nei

servizi pubblici essenziali.

7. La Commissione di garanzia: organo istituito dalla l. 146/1990, è l’ultimo protagonista della

regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali.

B. IL DIRITTO DI SCIOPERO E LE ALTRE FORME DI LOTTA

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1. Fondamento e natura del diritto di sciopero: non esiste una risposta univoca e definitiva circa nozione

e disciplina del diritto di sciopero: è una constatazione di fatto, dato che non è esistita ieri e non esiste oggi

una dottrina ed una giurisprudenza unanime. Salvo qualche isolato dissenso, l’art. 40 Cost. venne subito

considerato immediatamente precettivo: il che volle dire riformulare e scomporre quel testo, come se

contenesse un duplice disposto: il diritto di sciopero è riconosciuto; il diritto di sciopero deve essere

esercitato nell’ambito delle leggi che lo regolano. Il principale problema interpretativo era rappresentato dal

primo disposto, ossia il riconoscimento del diritto di sciopero, e risolverlo avrebbe comportato trovarne il

fondamento, ossia la ratio: vale a dire il significato “oggettivo”, storicamente aperto, assunto all’interno del

testo costituzionale. Vi sono, a questo proposito, due filoni interpretativi: il primo vede il diritto di sciopero

come mero strumento di autotutela contrattuale ed organizzativa; il secondo come canale di partecipazione

politica.

In merito alla natura del diritto di sciopero, sono state avanzate varie interpretazioni, da quella che lo vede

come un diritto soggettivo in ogni sua sfaccettatura, fino alla tesi della potestà. Si assume, a punto di

partenza, il quadro che vede nel diritto di sciopero riconosciuto dall’art. 40 un vero e proprio diritto

soggettivo, ossia un potere attribuito ad un soggetto per il soddisfacimento di un interesse, solo suo od anche

suo; il diritto di sciopero è anche configurabile come un diritto soggettivo potestativo, nel senso del potere

accordato ad un soggetto di modificare il rapporto di cui è parte. Per quanto riguarda invece il diritto di

sciopero come diritto della personalità, in questo caso viene messo in risalto il coinvolgimento stesso della

persona del lavoratore, e così pure per lo sciopero in quanto libertà fondamentale, e allo stesso sciopero

come diritto politico, dove viene sottolineato il ruolo di partecipazione politica.

2. Titolarità del diritto: il diritto di sciopero viene riconosciuto come un diritto individuale quanto al

titolare, ma collettivo quanto all’esercizio, vale a dire che un abbandono del lavoro assurge ad esercizio del

diritto di sciopero, solo se ed in quanto attuato da un numero più o meno consistente di prestatori per un fine

comune.

3. Ambito del diritto: il significato legale di sciopero, fatto proprio nell’art. 40, coincide con il significato

comune, accreditato nel sociale: sicché è sciopero solo quello consolidato come tale nel sentire e nella prassi

sindacale, cioè un abbandono del lavoro, collettivo nello svolgimento e nel fine. Secondo un giudicato della

Cassazione, il significato attribuibile allo sciopero è “quello che la parola ed il concetto da esso sotteso

hanno nel comune linguaggio adottato nell’ambiente sociale”, vale a dire “nulla più che un’astensione

collettiva dal lavoro, disposta da una pluralità di lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune”. Sorge

a questo proposito la questione dei limiti esterni, determinati dall’impatto potenziale dell’abbandono del

lavoro su qualche altro diritto costituzionale, pari-ordinato o preminente; in proposito si è espressa la Corte

Costituzionale, la quale, mentre liberalizza lo sciopero dei pubblici dipendenti, limita la titolarità e

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l’esercizio dello sciopero degli addetti a funzioni o servizi pubblici essenziali e dei marittimi, in vista della

protezione delle persone e delle cose coinvolte.

4. (Segue) I soggetti titolari: titolari del diritto di sciopero sono: il prestatore subordinato – l’apprendista –

il lavoratore in prova – il lavoratore a tempo determinato – il lavoratore a tempo parziale – il lavoratore a

domicilio – il lavoratore parasubordinato; inoltre, con la legge n° 83/2000 viene estesa l’applicabilità di

alcune regole dello sciopero anche a lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori. Non sono

titolari del diritto di sciopero militari e poliziotti.

5. (Segue): I modi attuativi: innanzitutto c’è una FASE PRELIMINARE, costituita dalla presentazione e

definizione della piattaforma, dalla richiesta e dall’eventuale apertura di una trattativa, dalla deliberazione e

proclamazione delle lotte; non è dunque necessario rispettare sempre e comunque l’obbligo di preavviso

(vale solo se previsto). Segue quello che, in lingua povera, è lo sciopero vero e proprio, ossia “l’abbandono

del lavoro” o “l’astensione dal lavoro”; si tratta di un fenomeno multiforme, variante a seconda della durata,

dell’estensione, dell’articolazione della lotta.

DURATA: distinzione fra sciopero ad oltranza (progettato e proseguito fino al successo o al fallimento

finale) e lo sciopero a tempo (programmato e condotto per un certo tempo). Sciopero breve

(tempo inferiore all’orario giornaliero), sciopero dimostrativo o simbolico (tempo molto

breve, in segno di solidarietà).

ESTENSIONE: sciopero generale (potenzialmente estesa all’esteso all’intero universo del lavoro

subordinato). Sciopero categoriale (nazionale, di gruppo, locale), sciopero aziendale

(d’azienda, di stabilimento, di reparto, e che può essere “totale” o “parziale”).

ARTICOLAZIONE: è la caratteristica più attuale e significativa, per cui l’astensione collettiva viene

programmata, sì da non risolversi in una contemporanea e continua interruzione della

prestazione, ma articolarsi secondo una data combinazione spaziale e/o temporale. Si

distingue tra sciopero a singhiozzo, costituito da un susseguirsi di brevi interruzioni e

riprese del lavoro, da parte di tutti i lavoratori interessati, e sciopero a scacchiera, dato da

un alternarsi di interruzioni del lavoro, volta a volta da parte dei soli lavoratori di

determinati reparti, gruppi, profili professionali.

Evoluzione della valutazione dello sciopero c.d. articolato nella Giurisprudenza della Cassazione:

A) Nel periodo iniziale, che giunge fin quasi a mezzo decennio ’70, lo sciopero c.d. articolato è tenuto al

bando, con un discorso piuttosto vario, ma tutto segnato da un netto apriorismo ideologico e

definitorio. Secondo un primo approccio, si parla dello stesso concetto di sciopero di cui all’art.40,

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distinguendo tra uno sciopero semplice, visto come un abbandono del lavoro contestuale e continuo;

uno più complesso, come un abbandono del lavoro causativo di un “danno ingiusto”. Secondo un

ulteriore approccio, si parte dal rinvio “alle leggi che lo regolano” di cui sempre all’art. 40: in questo

caso, lo sciopero deve essere esercitato nel rispetto dei principi generali di correttezza e di buona fede

in fase di esecuzione del contratto, nonché dei doveri specifici di collaborazione subordinata e di

diligenza nello svolgimento del rapporto di lavoro.

B) Nel periodo successivo, lo sciopero c.d. articolato appare ormai largamente diffuso e relativamente

accettato. Di fronte ad uno sciopero articolato l’accento è posto non più sul modo attuativo, ma sul

rendimento del lavoro offerto dal personale attualmente non scioperante; ugualmente, di fronte ad uno

sciopero in lavorazioni a ciclo continuo od integrato, l’accento è posto sul rendimento del lavoro reso

disponibile dal personale al termine dello stesso, lavoro che deve essere non solo utilizzabile, ma

anche proficuo, secondo lo standard normale (ossia idoneo a conseguire l’intero risultato produttivo

dedotto ed atteso, e, perdippiù, a conseguirlo senza costo od onere aggiuntivo per lo stesso lavoratore).

Altrimenti il datore può ben rifiutarlo e non retribuirlo, come non corrispondente a quanto

contrattualmente dovuto, facendo ricorso all’eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ.), oppure

al rifiuto giustificato delle collaborazione all’adempimento.

C) L’ultimo periodo, che inizia nel decennio ’80, è caratterizzato dall’incontro, grazie all’intervento della

Corte di Cassazione, di concetti: quello legale di sciopero, di cui all’art. 40 Cost., e quello comune di

sciopero, comprensivo dello stesso sciopero articolato. Il significato attribuibile allo sciopero deve

essere quello corrente nel contesto sociale, ossia “nulla più di un’astensione dal lavoro, disposta da una

pluralità di lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune”. Lo stacco, rispetto al periodo

precedente, appare assai più netto, anche per via del duplice aspetto alla base del nuovo indirizzo

giurisprudenziale: innanzitutto viene ridisegnato l’ambito dei limiti esterni, con l’introduzione della

necessità di tutelare l’impresa come “organizzazione istituzionale”; in secondo luogo, sopravvive il

preesistente indirizzo circa il potere del datore di non accettare e retribuire il lavoro offerto negli

intervalli di uno sciopero a singhiozzo, nei reparti volta a volta non coinvolti da uno sciopero a

scacchiera, nei tempi di riavvio dell’impianto di lavorazioni a ciclo continuo od integrale interessate da

uno sciopero.

Il punto di arrivo del cammino intrapreso dalla Corte di Cassazione ripropone il problema dell’ambito del

diritto di sciopero; tale ambito appare circoscritto secondo il duplice criterio dei limiti interni e dei limiti

esterni; per quanto riguarda i primi, essi possono essere individuati nel significato comune di sciopero,

inteso come “astensione dal lavoro”: di conseguenza è esclusa ogni altra forma di lotta, comunque

etichettata, che non si esprima con questa astensione, semplice o articolata.

In merito ai limiti esterni, invece, bisogna procedere secondo un duplice passaggio: in primo luogo c’è da

accertare quale altro diritto costituzionalmente garantito sia sovra-ordinato o pari-ordinato al diritto di

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sciopero, sì da giustificarne un qualche limite; in secondo luogo c’è da verificare quale limite sia

ammissibile, assoluto o relativo, escludente la stessa titolarità od incidente sul solo esercizio, rigido o

flessibile; ma quali diritti costituzionalmente garantiti possono essere considerati sovra-ordinati od almeno

pari-ordinati, tali da imporre sacrifici od almeno contemperamenti con riguardo agli scioperi? Sulla

questione si dipanano numerose opinioni:

A)OPINIONE UNANIME: i diritti inerenti alla vita e all’integrità psico-fisica dell’individuo,

che non possono essere esposti a rischi o a danni da eventuali abbandoni del lavoro.

B)OPINIONE MAGGIORITARIA: i diritti relativi alla libertà del singolo dipendente – non

aderente ad uno sciopero – di raggiungere il posto di lavoro o comunque di svolgere il lavoro,

nonché alla libertà del singolo imprenditore di disporre degli impianti e dei beni aziendali.

C)CORTE COSTITUZIONALE: “i diritti ed i poteri nei quali si esprime direttamente o indirettamente la

sovranità popolare”.

D)CORTE DI CASSAZIONE: l’impresa come “organizzazione istituzionale e non gestionale”, cioè la

“produttività e non la produzione aziendale”.

Nel caso della verifica del sacrificio conseguentemente necessario, è evidente anche qui un certo processo

evolutivo, sia per quanto attiene l’accertamento del rischio o del danno relativo all’altro diritto, sia per

quanto concerne la determinazione del sacrificio richiesto al diritto di sciopero.

6. (Segue) Gli scopi: la Corte Costituzionale ha rivestito un ruolo di fondamentale importanza

nell’individuazione delle finalità perseguite dallo sciopero; sull’argomento, è intervenuta una normativa

secondo una duplice direttiva, struttura, dislocazione: quella principale di cui agli artt. 502 e ss., dettata per

la realtà privata, e quella secondaria, di cui all’art. 303, dettata per la realtà pubblica.

ART. 502 E SS.: la normativa principale ruota intorno ad una distinzione di base: fra divieto dello sciopero

contrattuale, e divieto dello sciopero non contrattuale. La Corte percorrerà una linea evolutiva,

rilegittimando, in una prima fase, solo lo sciopero contrattuale, poi restituendo, in una seconda fase, sempre

maggior vigore anche allo sciopero a scopo non contrattuale. Lo sciopero a fine contrattuale sarebbe stato

quello attuato allo scopo di premere sul datore di lavoro per ottenere un trattamento migliore od evitarne

uno peggiore rispetto a quello pattuito o comunque applicato nel luogo di lavoro; lo sciopero a fine non

contrattuale è quello delineato nel codice penale come “sciopero politico”, di “coazione alla pubblica

autorità”, di “solidarietà” o di “protesta”. Si delinea un’apertura verso una doppia figura di sciopero,

caratterizzata dall’avere il datore quale soggetto passivo dell’astensione, ma non quale destinatario della

pretesa così fatta valere: cioè lo sciopero di imposizione economico-politica e lo sciopero di solidarietà, il

primo sconosciuto al codice penale, inventato dalla dottrina per indicare un abbandono del lavoro diretto

verso il governo e o il parlamento, o per impedire o ottenere un intervento del governo nel mondo del lavoro

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subordinato. La seconda figura è quella dello sciopero di solidarietà, che il codice penale reprime come nel

caso della figura dello sciopero di protesta; si tratta di uno sciopero secondario attuato da alcuni lavoratori a

sostegno di uno sciopero primario eseguito da lavoratori dipendenti da altri datori.

In seguito alla sentenza n° 290/1974, la Corte Costituzionale, per la prima volta, considera lo sciopero come

“un mezzo che necessariamente valutato nel quadro di tutti gli strumenti di pressione usati dai vari gruppi

sociali, è idoneo a favorire il perseguimento dei fini di cui, al comma 2° dell’art.3 Cost..”; riconosce

l’esistenza, oltre ad uno spazio coperto dal diritto di sciopero (come tale lecito penalmente e civilmente,

protetto contro lo stato ed il datore di lavoro), anche uno spazio coperto dalla libertà di sciopero (come tale

lecito penalmente ma non civilmente, garantito rispetto allo stato ma non al datore di lavoro).

7. Sciopero ed effetti legali: in tema di effetti legali dello sciopero, il principale problema è costituito dalle

ricadute sul rapporto di lavoro in essere tra datore e suoi dipendenti. Gli effetti essenziali sui rapporti dei

dipendenti attualmente scioperanti possono essere così riassunti:

A) L’esercizio del diritto di sciopero produce la sospensione dell’obbligazione lavorativa, con correlativa

perdita della retribuzione.

B) L’esercizio del diritto di ciopero produce, però, una sospensione relativa, non assoluta, del rapporto

ristretta al sinallagma obbligazione lavorativa/retribuzione, non estesa oltre anche all’anzianità di

servizio.

C) L’esercizio del diritto di sciopero riesce protetto rispetto a qualsiasi atto o comportamento del datore di

lavoro, precedente, contemporaneo, successivo allo sciopero medesimo, che sia tale da apparire

soggettivamente o anche solo oggettivamente discriminatorio.

Un punto richiede un cenno speciale: IL CRUMIRAGGIO. Il crumiraggio consiste nel non scioperare, ma

è necessaria qualche distinzione: prima fra crumiraggio diretto e indiretto; poi, relativamente a quest’ultimo,

fra crumiraggio interno ed esterno. Il crumiraggio diretto è quello praticato dai dipendenti di un dato

complesso (tipo i Misfits: ahahahah!), che non intendono scendere in sciopero, bensì svolgere il loro

normale lavoro; il crumiraggio indiretto è quello attuato sostituendo gli scioperanti con altri dipendenti

spostati provvisoriamente dal loro normale lavoro (crumiraggio interno) e/o con altri lavoratori assunti

transitoriamente (crumiraggio esterno).

8. Sciopero e altre forme di lotta sindacale: lo sciopero è solo una delle tante espressioni del concetto di

lotta sindacale; esistono, però, tipologie di lotta che costituiscono vero e proprio sciopero, anche se discusse

per questo o quell’aspetto: è il caso del c.d. sciopero bianco, ossia attuato senza un contestuale abbandono

del posto o comunque del luogo di lavoro; esiste poi lo sciopero c.d. dello straordinario, cioè eseguito come

rifiuto collettivo di prestare lo straordinario richiesto dal datore di lavoro ai sensi di contratto collettivo. È

opportuno, ora, considerare una varia tipologia costituita non da un’astensione dal lavoro, semplice o

articolata, ma da una prestazione quantitativamente o qualitativamente diversa da quella pretesa dal datore

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di lavoro etichettata come non collaborazione o ostruzionismo, vale a dire un’attività lavorativa rallentata,

con riduzione dei ritmi od introduzione di pause maggiori o nuove, oppure modificata, con inosservanza dei

criteri direttivi prefissati, o ancora ristretta, con esecuzione di alcune mansioni primarie, ma non di altre

sussidiarie. L’ostruzionismo ha attraversato la fase di maggior sviluppo sul finire del decennio ’70, nel corso

della grande stagione rivendicativa, con il ricorso al c.d. blocco o sciopero delle mansioni (rifiuto collettivo

di eseguire certe mansioni considerate inferiori o superiori alle qualifiche e classificazioni attribuite) e al

c.d. sciopero del rendimento o del cottimo (rifiuto collettivo di osservare determinate cadenze ritenute

eccessive).

Ancora: sciopero pignolo, ossia adempimento del compito prestabilito con un rispetto rigoroso o pedante

del regolamento lavorativo; sciopero alla rovescia, dato dallo svolgimento di un lavoro non richiesto o

addirittura vietato dal proprietario o imprenditore; sciopero virtuale, con destinazione della retribuzione a

scopi solidaristici.

9. (Segue): Picchettaggio, occupazione d’azienda, boicottaggio, sabotaggio: sono forme di lotta sindacale

connesse o alternative allo sciopero.

PICCHETTAGGIO: il p. consiste nel raggruppamento più o meno folto di lavoratori, dipendenti

dell’azienda in sciopero o provenienti da altra azienda, che stazionano vicino o di fronte ai cancelli od agli

ingressi per dissuadere, disturbare, bloccare gli eventuali crumiri; ovviamente i problemi non emergono in

caso di p. pacifico, che può essere considerato alla luce dell’art. 21, c. 1° Cost. (libertà di manifestazione del

pensiero), ma nello sfortunato caso di p. violento, variante da una resistenza passiva ad una vera e propria

attività violenta. Una variante del picchettaggio è costituita dal “blocco delle merci”, in base al quale un

gruppo di lavoratori, stazionante di fronte ai cancelli od agli ingressi, tende ad evitare specie l’uscita delle

merci già prodotte; e tende a far questo perché un’azienda che ne avesse immagazzinate parecchie, in vista

dell’astensione dal lavoro o solo in ragione della congiuntura negativa del mercato, potrebbe continuare a

soddisfare la domanda della clientela.

OCCUPAZIONE AZIENDALE: forma di lotta costituita dall’entrata e/o permanenza nell’azienda di tutta o

parte della forza lavoro ivi occupata, con astensione dall’attività lavorativa, allo scopo di togliere l’iniziativa

alla direzione, allorché voglia procedere ad una serrata o ad una riduzione/liquidazione dell’attività

produttiva; può anche servire a sensibilizzare l’opinione e l’autorità pubblica.

BOICOTTAGGIO: il b. è un mezzo di lotta di carattere generale. L’art. 507 cod. pen. dichiara punibile

chiunque “per uno degli scopi indicati negli articoli 502, 503, 504, 505, mediante propaganda o valendosi

della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni, induce una o più persone a non stipulare patti di lavoro

o a non somministrare materie o strumenti necessari al lavoro, ovvero a non acquistare gli altri prodotti

agricoli o industriali. Secondo la Corte, l’incriminazione del boicottaggio è legittima, salvo il caso in cui

venga attuato come una mera attività di propaganda.

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SABOTAGGIO: art. 508, c. 2°: danneggiamento “qualificato”, sia per il requisito soggettivo del dolo

specifico (d’impedire e turbare il normale svolgimento del lavoro), sia per il requisito oggettivo del

peculiare carattere dei beni. Per la Corte l’art. 508 è legittimo.

D. LA SERRATA

1. Importanza, tipologia, evoluzione della serrata: secondo la nozione corrente, la serrata è costituita da

una chiusura o interruzione temporanea dell’attività aziendale, totale o parziale, nonché dal rifiuto di

accettare e retribuire le prestazioni di lavoro, attuata da una sola o da più imprese, con finalità di pressione e

di lotta. Si distingue tra: serrata individuale o collettiva, eseguita da una sola oppure da più aziende,

concordemente e/o contestualmente fra loro; la serrata sospensiva o risolutiva, realizzata tramite la mera

sospensione oppure, addirittura, la cessazione dei rapporti di lavoro in essere; la serrata offensiva o

difensiva, secondo che costituisca una manovra per anticipare e bruciare l’iniziativa avversaria oppure una

misura per rispondere ad una lotta già intrapresa. Una classica serrata offensiva è quella di solidarietà,

mentre tipicamente difensiva è considerata quella di ritorsione. Il codice penale menziona, all’art. 502, c. 1°

e all’art. 503 rispettivamente la serrata per fini contrattuali e non contrattuali; l’art. 504 è dedicato alla

serrata di coazione alla pubblica autorità, mentre l’art. 505 si occupa della serrata a scopo di solidarietà e di

protesta. Infine l’art. 506 chiude l’elenco con la serrata di esercenti di piccole industrie e commerci.

Nella Costituzione la serrata, a differenza dello sciopero, non trova spazio, e questo ci fa dedurre che essa

non costituisce un diritto, ma rappresenta bensì una semplice “libertà”, in quanto sottratta al pericolo di

incriminabilità penale.

2. La giurisprudenza costituzionale: la rilevanza penale della serrata: ai sensi della sentenza n° 29

1960, lo sciopero è considerato un “diritto”, un comportamento penalmente e civilmente legittimo, mentre la

serrata rimane una “libertà”, un comportamento quindi solo penalmente lecito. Da questa linea intrapresa

dalla Corte Costituzionale deriva l’incostituzionalità dell’art. 502, cc. 1° e 2°, ossia del divieto penale della

serrata e rispettivamente dello sciopero a fini contrattuali, per contrasto con gli artt. 39 e 40 Cost.; ogni altro

divieto, riconducibile agli artt. 503, 504 e 505 cod. pen., rimarrebbe al suo posto.

3. (Segue): La rilevanza civile della serrata. La c.d. serrata di ritorsione: la serrata, quand’anche essa

non sia un illecito penale, resta pur sempre un illecito civile, un comportamento in violazione del contratto

di lavoro; non pare dunque possibile distinguere fra serrata risolutiva e sospensiva: se il datore di lavoro

pensasse di far precedere, accompagnare, seguire la chiusura o interruzione temporanea dell’attività

aziendale dal licenziamento collettivo del personale opererebbe in maniera illecita. Se poi il datore ritenesse

di procedere alla chiusura o interruzione dell’attività aziendale, senza alcun previo, contestuale o successivo

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licenziamento collettivo del personale, allora provocherebbe una sospensione di fatto delle prestazioni

lavorative, ma non una sospensione di diritto dei rapporti di lavoro in essere. La violazione consiste dunque

nel rifiuto esplicito od implicito di ricevere le prestazioni lavorative dei propri dipendenti, a prescindere da

quel che pur normalmente consegue, cioè il mancato pagamento dei relativi stipendi e salari.

Serrata di ritorsione: reazione a forme di lotta particolarmente incisive per le modalità attuative o per le

realtà produttive investite, quali gli scioperi articolati e gli scioperi negli impianti a ciclo continuo, ma anche

come rifiuto del datore di lavoro di accogliere e retribuire il lavoro offerto da personale attualmente non

scioperante, in occasione di uno sciopero pur pienamente legittimo, qualora il lavoro reso disponibile

risultasse non proficuo secondo lo standard normale.

CAPITOLO XII: LO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI

1. Lo sciopero degli addetti a funzioni o servizi pubblici essenziali e dei marittimi nella giurisprudenza

costituzionale: l’astensione dal lavoro attuata da dipendenti incaricati di funzioni o di servizi pubblici

essenziali è una tematica divenuta via via più rilevante con la progressiva estensione della sindacalizzazione

fra i lavoratori espletanti funzioni rispondenti a compiti dello Stato, considerati classicamente prioritari (es.

la sicurezza pubblica), ovvero espletanti servizi soddisfacenti a bisogni dell’individuo e della collettività

ritenuti largamente primari o comunque indifferibili senza gravi disagi e costi (es. l’assistenza sanitaria,

l’erogazione dell’energia elettrica, dei gas, dell’acqua, i trasporti), tematica questa affrontata dalla

giurisprudenza costituzionale (v. il manuale per maggiori dettagli).

2. Lo sciopero nei servizi pubblici fra leggi specifiche ed autoregolamentazione: fino al giugno 1990 la

legge non è mai intervenuta, ad eccezione di qualche norma episodica ed isolata, a disciplinare direttamente

e puntualmente l’intera materia dello sciopero nei servizi pubblici, od anche solo nei servizi pubblici c.d.

essenziali. Dall’altra parte, la debole efficacia giuridica dei codici di autoregolamentazione, richiamati dalla

versione originaria della l. 146/1990, ha operato a vantaggio della contrattazione collettiva.

3. La legge 12 giugno 1990, n° 146 (come modificata dalla legge 11 aprile 2000, n° 83): la peculiarità

propria della legge 146/1990 è quella di essere costruita e gestita con piena collaborazione delle

confederazioni sindacali. Quel che si voleva, poi, era una regolamentazione coerente rispetto alla tradizione

costituzionale e sindacale quale tradotta nella giurisprudenza della Corte e nella vicenda della

autoregolamentazione.

La legge 11 aprile 2000, n° 83, che ha modificato in più punti il testo della l. n° 146/1990, è intervenuta per

ovviare a lacune e difficoltà interpretative emerse nei dieci anni di applicazione della disciplina; in

particolare, rispetto all’impianto originario, risultano rafforzati i poteri della Commissione di garanzia,

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potenziato ed articolato in modo più compiuto il sistema sanzionatorio ed estesa esplicitamente la

regolamentazione in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali alle astensioni dal lavoro poste in essere

da lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori.

Il criterio cardine su cui si basa la legge 146/1990 è quello del contemperamento fra l’esercizio del diritto di

sciopero ed il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati; secondo alcuni, questo

principio rappresenterebbe anche il fine ultimo perseguito dal legislatore; secondo un’altra opinione il

contemperamento non costituirebbe il fine della legge, bensì uno strumento attraverso il quale essa

raggiunge il suo reale obbiettivo, che è quello di garantire l’effettivo esercizio dei diritti della persona nel

loro contenuto essenziale.

Art. 1 comma 1° l. 146/1990 (nozione di servizio pubblico essenziale): “….quelli volti a garantire il

godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà, ed alla

sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di

comunicazione”. Al comma 2°, vengono poi elencati quelli che, in relazione ai vari diritti, debbono essere

ritenuti servizi pubblici essenziali, previa definizione basata sulla lista tassativa dei diritti soddisfatti, e da

una successiva elencazione esemplificativa dei servizi medesimi; di conseguenza, non vi possono essere

servizi essenziali volti al godimento dei diritti che non siano menzionati nella lista (dei diritti); ma ce ne

possono essere che non siano ricompresi nell’elencazione (dei servizi).

Vi è solo un dato oggettivo che qualifica un servizio come essenziale: l’imprescindibilità del servizio per

l’effettività dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.

4. Le regole da rispettare in caso di sciopero. L’individuazione delle prestazioni indispensabili:

obblighi da rispettare qualora lo sciopero investa un servizio pubblico essenziale:

A) Preavviso non inferiore a 10 giorni (art. 2, cc. 1° e 5°).

B) Indicazione, con atto scritto, della durata, delle modalità di attuazione e delle motivazioni dello

sciopero (art. 2, c. 1°).

C) Misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili per garantire le finalità di cui

al c. 2° dell’art. 1.

La l. 146/1990 individua nei “soggetti che proclamano lo sciopero” chi è obbligato ai suddetti adempimenti.

Né il preavviso né l’indicazione della durata sono richiesti “nei casi di astensione dal lavoro in difesa

dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei

lavoratori”. Per quanto riguarda la revoca dello sciopero, in linea con un orientamento della Commissione

di Garanzia, è previsto che essa, qualora sorga spontaneamente dopo che sia stata data informazione

all’utenza circa lo sciopero proclamato, costituisce forma sleale di azione sindacale, e che di conseguenza

venga valutata dalla Commissione di garanzia ai fini dell’applicazione delle sanzioni collettive. Non

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costituisce peraltro revoca spontanea, quindi ingiustificata, quella effettuata per intervenuto accordo fra le

parti o a seguito di richiesta della Commissione di garanzia e dell’autorità competente ad emanare

l’ordinanza di precettazione.

Non sono leciti scioperi ad oltranza, in virtù dell’obbligo di indicazione della durata: anzi, le

amministrazioni e le imprese devono informare gli utenti delle “misure per la riattivazione dei servizi”, con

l’ulteriore obbligo di “garantire la pronta riattivazione del servizio quando l’astensione dal lavoro sia

terminata”.

Intervalli soggettivi: divieti di reiterazione dello sciopero da parte delle associazioni che già vi abbiano fatto

ricorso.

Intervalli oggettivi: tesi ad impedire il ripetersi di scioperi in un certo ambito o settore, a prescindere dal

soggetto proclamante.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2, c. 2°, i contratti e gli accordi collettivi ed i regolamenti di servizio devono

indicare “intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione di un altro”;

procedure di raffreddamento e di conciliazione, previste dai contratti o dai regolamenti di servizio, sono

obbligatorie per entrambe le parti e vanno esperite prima della proclamazione dello sciopero.

L’obbligo di assicurare le prestazioni indispensabili grava sia sulle imprese e amministrazioni che erogano il

servizio, sia sulle organizzazioni sindacali, sia sui lavoratori. L’art. 2, c. 2° l. 146/1990 si limita a prevedere

che (le parti) possono disporre l’astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori

tenuti alle prestazioni ed indicare, in tal caso, le modalità per l’individuazione dei lavoratori interessati,

ovvero possono disporre forme di erogazione periodica; in questo senso l’art. 2, c. 2° fa luce sulla

distinzione fra due grandi famiglie di servizi pubblici essenziali: i servizi che esigono che certe prestazioni

siano comunque continuate rispettando certi standard di funzionamento, ed i servizi che richiedono che

certe prestazioni siano erogate con intervalli periodici.

5. La Commissione di garanzia: l’art. 12 l. n° 146/1990 assegna ai Presidenti delle due Camere il compito

di designare i nove membri che andranno a costituire la Commissione di garanzia, scegliendoli fra “esperti

in materia di diritto costituzionale, di diritto del lavoro e di relazioni industriali”. La Commissione di

garanzia è investita di una pluralità di compiti – potenziati con le modifiche introdotte dalla l. n° 83/2000 –

che attengono così alla fase di fissazione delle regole generali che le parti devono rispettare in caso di

sciopero, della loro interpretazione o consultazione (poteri consultivi). Accanto a questi poteri consultivi le

sono attribuiti poteri compositivi e poteri conformativi, riferiti al singolo conflitto, spesso accompagnati da

poteri di accertamento, poteri sanzionatori e poteri di impulso della procedura di precettazione.

1) La Commissione è investita della competenza a valutare i contratti e gli accordi raggiunti dalle parti

per verificarne l’idoneità rispetto agli obbiettivi perseguiti dal legislatore.

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2) Qualora non valuti idonei i contratti o gli accordi, sulla base di specifica motivazione, la

Commissione sottopone alle parti una proposta sull’insieme delle prestazioni, procedure e misure da

considerare indispensabili; le parti devono pronunciarsi entro 15 giorni dalla notifica. Se non si

pronunciano, verificata nei 20 giorni successivi l’indisponibilità delle parti a raggiungere un accordo,

la Commissione formula una provvisoria regolamentazione delle prestazioni indispensabili, delle

procedure di raffreddamento e di conciliazione e delle altre misure, fino al raggiungimento di un

accordo valutato idoneo, per le parti, per il giudice ed anche, salvi gli adattamenti richiesti dalla

situazione specifica, per l’autorità precettante.

3) Altra attività della commissione è quella di promozione degli accordi.

4) Alla Commissione sono riconosciuti poteri consultivi (pareri su questioni interpretative o applicative

degli accordi).

5) Lodo sul merito della controversia, che può essere emanato solo su richiesta congiunta delle parti.

6) In caso di dissenso tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori su clausole specifiche concernenti

l’individuazione o le modalità di effettuazione delle prestazioni indispensabili, che comunque valuti

idonee, può indire una consultazione (referendum), di propria iniziativa o su richiesta delle

organizzazioni che hanno preso parte alla trattativa o di un numero rilevante di lavoratori interessati.

7) Alla C. spettano pure poteri conformativi, spesso accompagnati da poteri istruttori o di accertamento.

8) La C. è titolare di poteri sanzionatori, cui si accompagnano specifici poteri di accertamento.

9) Ha poteri di impulso in materia di precettazione.

6. Le sanzioni: la l. n° 146/1990 opera una radicale depenalizzazione, coll’abrogare quegli artt. 330 e 333

cod. pen., che avevano costituito la materia prima per l’elaborazione di tutta la giurisprudenza costituzionale

in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali (art. 11). Ai sensi della nuova legge, i lavoratori che si

astengono dal lavoro senza rispettare gli obblighi direttamente sanciti dalla legge o, richiesti della

effettuazione delle prestazioni indispensabili, non prestino la loro consueta attività sono esposti a sanzioni

disciplinari: sanzioni “proporzionate alla gravità dell’inflazione, con esclusione delle misure estintive del

rapporto e di quelle che comportino mutamenti definitivi dello stesso” (art. 4 c. 1°). La loro applicazione

spetta al datore di lavoro. A questo proposito, esistono due interpretazione degli artt. 4 e 13:

A) Secondo la prima interpr., è compito esclusivo della Commissione di garanzia valutare i

comportamenti anche dei singoli lavoratori (oltre che dei soggetti collettivi e dei responsabili

delle amministrazioni e imprese) e di decidere la comminazione delle sanzioni, senza margini di

autonomia per il datore, che dovrebbe limitarsi ad applicarle pena l’irrogazione a suo carico di

sanzioni amministrative.

B) Una seconda corrente di pensiero ritiene che la Commissione, valutati negativamente i

comportamenti dei soggetti collettivi e delle amministrazioni o imprese, si limiti a prescrivere al

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datore di lavoro di aprire a sua volta il procedimento disciplinare nei confronti dei lavoratori che

abbiano eventualmente realizzato comportamenti devianti; ma il datore rimane libero in

concreto, e nel rispetto del principio del contraddittorio posto dall’art. 7 St. lav., di sanzionare o

meno i propri lavoratori.

Inoltre la Commissione riveste un ruolo di primo piano con riguardo alle sanzioni a carico dei

responsabili degli enti gestori e delle organizzazioni sindacali; per quanto riguarda i primi, sono

previste sanzioni amministrative pecuniarie, tenuto conto della gravità della violazione, dell’eventuale

recidiva, del pregiudizio arrecato agli utenti. Per quanto riguarda invece le organizzazioni sindacali che

violino le prescrizioni dell’art. 2 (preavviso, indicazione durata, ecc….), è prevista la sanzione della

sospensione dei permessi sindacali retribuiti, e in alternativa quella dei contributi sindacali; inoltre le

stesse organizzazioni possono essere escluse dalle trattative alle quali eventualmente partecipino per un

periodo di due mesi dalla cessazione del comportamento.

In seguito alle modifiche introdotte dalla l. 83/2000, è stata considerata l’ipotesi in cui la violazione sia

perpetrata da un soggetto collettivo che non sia titolare dei diritti su cui incidono le sanzioni in parola,

oppure non partecipi al tavolo contrattuale; in questo caso ricorre la sanzione amministrativa

pecuniaria sostitutiva.

7. La precettazione speciale: la c.d. “precettazione speciale” può intervenire quando sussista “il

fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente

tutelati, che potrebbe essere cagionato dall’interruzione o dalla alterazione del funzionamento dei

servizi pubblici di cui all’art. 1. E’ necessario, dunque, un fondato pericolo di un pregiudizio grave ed

imminente ai diritti della persona indicati nell’art. 1; è comunque sufficiente che il pregiudizio sia

potenziale: tocca all’autorità competente effettuare una valutazione di probabilità e potenzialità

dell’evento dannoso. Legittimato a precettare è il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da

lui delegato, se il conflitto ha rilevanza nazionale o interregionale, e negli altri casi il Prefetto. Oltre al

potere d’impulso, alla Commissione è riconosciuto anche un potere propositivo.

Il procedimento vede i Presidenti delle regioni invitare le parti a desistere dal comportamento,

nell’esperimento di un tentativo di conciliazione da esaurire nel più breve tempo possibile, quindi, in

caso di esito negativo, si conclude con l’ordinanza di precettazione, che deve essere adottata di norma

48 ore prima dell’inizio dello sciopero e deve specificare il periodo di tempo durante il quale le misure

in essa contenute devono essere rispettate. L’ordinanza ha natura bidirezionale, poiché vincola sia gli

enti gestori, sia i lavoratori. Il mancato rispetto dell’ordinanza di precettazione importa l’applicazione

di sanzioni amministrative, di carattere pecuniario per i lavoratori e le organizzazioni sindacali, alla

sospensione dell’incarico per i preposti al settore nell’ambito delle amministrazioni, degli enti e delle

imprese erogatrici del servizio; i soggetti interessati possono promuovere ricorso contro l’ordinanza.

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8. Le astensioni collettive dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori: la l. n°

83/2000 ha introdotto numerose novità nella disciplina dello sciopero, e tra queste l’estensione dei

principi che regolano l’esercizio del diritto di sciopero alle astensioni collettive dal lavoro di lavoratori

autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che incidano sulla funzionalità dei servizi pubblici; si

tratta di una grossa novità perché la l. n° 146/1990, nella sua originaria formulazione, era pensata e

strutturata con riferimento unicamente allo sciopero dei lavoratori subordinati ed era difficilmente

adattabile in via interpretativa ad astensioni dal lavoro di diversa natura. Non si tratta però di sciopero,

bensì dell’esercizio di un diritto di libertà, riconducibile ad altre norme costituzionali, in particolare al

diritto di associazione di cui all’art. 18 Cost. . Anche in questo caso vanno rispettate le regole poste

dall’art. 2 l. 146/1990 (obbligo di preavviso, indicazione durata, ecc….); diversa è la fonte deputata

all’individuazione di queste ultime: non un contratto collettivo, un codice di autoregolamentazione, che

devono in ogni caso prevedere un termine di preavviso non inferiore a 10 giorni, l’indicazione della

durata e delle motivazioni dell’astensione collettiva ed assicurare un livello di prestazioni compatibile

con le finalità di garanzia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all’art. 1.