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1 www.dantonio-consulting.it Diritto Tributario I soggetti passivi BIBLIOGRAFIA: F. Tesauro, “Istituzioni di diritto tributario. Vol. 1: Parte generale”, Roma, Utet, 2012; G. Marongiu e A. Marcheselli, “Lezioni di diritto tributario”, Torino, Giappichelli Editore, 2013;

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Diritto Tributario

I soggetti passivi

BIBLIOGRAFIA:

F. Tesauro, “Istituzioni di diritto tributario. Vol. 1: Parte generale”, Roma, Utet, 2012;

G. Marongiu e A. Marcheselli, “Lezioni di diritto tributario”, Torino, Giappichelli

Editore, 2013;

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I soggetti passivi

Le parti dell’obbligazione tributaria sono essenzialmente due:

a) il creditore, rappresentato dallo Stato o da un ente pubblico;

b) il debitore, ovvero il soggetto passivo.

Focalizzando l’attenzione sul soggetto passivo d’imposta, esso può essere:

una persona fisica una persona giuridica in

senso stretto

S.p.a.

S.r.l.

S.C.

enti non aventi personalità giuridica

ass.ni non riconosciute

partiti politici

sindacati

A ciascun soggetto passivo corrispondono:

un codice fiscale un domicilio fiscale

il cui scopo è individuare:

il luogo in cui notificare gli accertamenti tributari

l’ufficio del entrate locale competente per territorio

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Come stabilire il domicilio fiscale di un soggetto passivo? Dipende. Due sono

gli aspetti da considerare: la residenza e il tipo di soggetto passivo (persona fisica o

giuridica).

La solidarietà tributaria

L’ipotesi statisticamente più frequente è quella in cui il rapporto tributario

coinvolge due soli soggetti, uno dal lato attivo (Stato o altro ente pubblico) e uno dal

lato passivo (il debitore). Talvolta, accade tuttavia che il rapporto presenti una

maggiore complessità, potendovi essere più soggetti dal lato attivo (ipotesi più rara)

o passivo (più frequente) del rapporto.

In quest’ultimo caso potrebbe valere tra i soggetti passivi l’istituto della

solidarietà tributaria passiva.

Vi è solidarietà tributaria passiva quando più soggetti sono obbligati in solido

ad adempiere l’obbligazione tributaria.

Segnatamente, se si tratta di

soggetti residenti in Italia, allora:

nel caso di persona fisica

il domicilio fiscale corrisponde con il luogo

in cui il soggetto è iscritto all’anagrafe

nel caso di persona giuridica

il domicilio fiscale è il luogo in cui il soggetto

ha la sede legale

soggetti non residenti in Italia, allora il domicilio fiscale

corrisponde con il luogo in cui è stato prodotto il reddito.

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Si distinguono due tipi di solidarietà tributaria passiva:

a) paritaria;

b) dipendente.

a. Solidarietà tributaria paritaria

Si ha solidarietà tributaria paritaria quando il presupposto del tributo è

riferibile a una pluralità di soggetti.

Ad esempio, se Tizio vende un immobile a Caio, Tizio e Caio sono ugualmente

obbligati a corrispondere l’imposta di registro stabilita per l’atto di compravendita.

Di regola tale imposta è pagata dal compratore, ma dal punto di vista tributario

compratore e venditore si trovano nella medesima situazione.

b. Solidarietà tributaria dipendente

Si ha solidarietà dipendente quando vi è un obbligato principale, che ha posto

in essere il presupposto del tributo, ed un obbligato dipendente, detto responsabile

d’imposta, che non ha partecipato alla realizzazione del presupposto, ma è tuttavia

obbligato in solido con l’obbligato principale avendo posto in essere una fattispecie

collaterale.

Ritornando all’esempio precedente, al pagamento dell’imposta di registro è

tenuto anche il notaio che ha rogato la compravendita, anche se estraneo al

presupposto.

Solidarietà paritaria vs solidarietà dipendente

Le differenze tra i due tipi di solidarietà non rilevano tanto nei rapporti esterni

con il Fisco, quanto più nei rapporti interni tra i condebitori. Ed infatti, sia l’obbligato

solidale paritetico che il responsabile d’imposta qualora paghino il tributo hanno un

diritto di regresso nei confronti degli altri obbligati, ma mentre l’obbligato solidale

può esercitare il diritto di regresso limitatamente alla quota del tributo dovuta dagli

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altri obbligati, il responsabile d’imposta, in quanto totalmente estraneo al

presupposto, può esercitare azione di regresso per l’intero debito tributario

eventualmente pagato.

La sostituzione tributaria

Il meccanismo della sostituzione si attua mediante la ritenuta: il debitore

(sostituto) è tenuto per legge a decurtare la somma che deve corrispondere al

creditore (sostituto) di un importo (ritenuta) che corrisponde in tutto o in parte

all’imposta dovuta dal sostituto sulla somma da pagare.

ESEMPIO: il datore di lavoro che decurta dal reddito del dipendente l’IRPEF

dovuta all’Amministrazione finanziaria.

Tra sostituto e sostituito intercorre il rapporto di rivalsa, in base al quale il

primo ha il diritto-dovere di effettuare le ritenute. Ne deriva che operare la ritenuta

non è solo un diritto, ma anche un obbligo la cui violazione è punita con sanzione

amministrativa. Oltre all’obbligo di effettuare la ritenuta il sostituto deve altresì

adempiere ai seguenti obblighi:

1. versare la ritenuta;

2. compilare la "dichiarazione dei versamenti" nella quale sono riportati tutti i

soggetti che hanno subito la ritenuta;

3. rilasciare al sostituito una apposita certificazione che attesti l'ammontare

delle ritenute effettuate.

Le ipotesi tipiche della sostituzione sono due, distinte sulla base del tipo di

ritenuta effettuate, e segnatamente:

a) ritenuta a titolo d’imposta;

b) ritenuta a titolo d’acconto.

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a) Ritenuta a titolo d’imposta

Nella ritenuta a titolo d’imposta il rapporto tributario si esaurisce con il

pagamento della ritenuta. Il sostituto, quindi, non ha più l’obbligo di dichiarare il

reddito in questione.

ESEMPIO: gli interessi attivi maturati sui conti correnti. La banca, come

sostituto d’imposta, decurta da tale somma gli interessi dovuti dal correntista il

quale, di conseguenza, non dovrà dichiarare tali redditi da capitale nel proprio

modello 730.

Cosa accade se il sostituto non versa all’AF la ritenuta a titolo d’imposta?

È possibile distinguere due ipotesi:

a) il sostituto non ha eseguito la ritenuta e non l’ha versata al Fisco;

b) il sostituto ha eseguito la ritenuta e non l’ha versata al Fisco.

Nel primo caso, sostituto e sostituito sono obbligati in solido per il pagamento

del tributo, sanzioni e interessi. In realtà, colui che ha commesso la violazione è

stato il sostituto che non ha eseguito la ritenuta. Quindi è a quest’ultimo che verrà

inviato l’eventuale avviso di accertamento. Solo dopo aver iniziato la fase di

riscossione verso il sostituto il Fisco potrà recuperare l’importo anche dal sostituito.

Nel secondo caso, invece, le conseguenze ricadono esclusivamente sul

sostituto in quanto il rapporto tributario tra sostituito e Fisco si è esaurito nel

momento in cui il sostituito ha subito la ritenuta.

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b) Ritenuta a titolo d’acconto

Nella ritenuta a titolo d’acconto la ritenuta rappresenta solo un acconto delle

imposte effettivamente dovute dal sostituito, che poi dovrà calcolare l’imposta

complessiva e corrispondere all’ente impositore la differenza tra tale imposta e la

ritenuta (acconto) già versata dal sostituto.

Se il tributo lordo risultasse inferiore all’acconto allora il sostituito avrà diritto

al rimborso della differenza.

Cosa accade se il sostituto non versa all’AF la ritenuta a titolo d’acconto?

Anche in tal caso è possibile distinguere due ipotesi:

a) il sostituto ha eseguito la ritenuta e non l’ha versata al Fisco;

b) il sostituto non ha eseguito la ritenuta e non l’ha versata al Fisco.

Nella prima ipotesi, il Fisco può agire nei confronti del sostituto, ma non nei

confronti del sostituito, e ciò in quanto il rapporto tributario tra sostituito e Fisco si è

esaurito nel momento in cui il sostituito ha subito la ritenuta. In realtà, su tale

aspetto vi è un elevato dibattito in giurisprudenza. Ed infatti, parte della

giurisprudenza ritiene che in tal caso sostituto e sostituito rispondono in maniera

solidale per l’imposta evasa, sanzioni e interessi1.

Anche con riguardo alla seconda ipotesi prospettata vi è un forte dibattito

giurisprudenziale e un orientamento non unitario.

Tale dibattito nasce dal fatto che, diversamente dal caso della ritenuta a titolo

d’imposta, nel caso della ritenuta a titolo d’acconto non vi è una specifica norma

tributaria che stabilisce la solidarietà tra sostituto e sostituito per le ritenute non

operate e non versate.

1 Sentenza della Corta di Cassazione n. 8504 del 2009

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Pertanto, parte della giurisprudenza ritiene che, in mancanza di una norma

specifica, il Fisco per le ritenute non operate e non versate possa agire soltanto nei

confronti del sostituto il quale, però, potrà poi rifarsi sul sostituito (c.d. rivalsa

successiva).

D’altra parte non si dimentichi che nel caso in specie probabilmente non è

stata evasa soltanto la ritenuta: è plausibile che il compenso in questione non sia

stato dichiarato dal debitore d’imposta e che, quindi, sia stata evasa anche quella

parte del tributo che era a carico del sostituito.

Nell’ipotesi prospettata (ritenute non operate e non versate ed omessa

dichiarazione del compenso da parte del debitore) il Fisco può:

i) emettere nei confronti del sostituto avviso di accertamento per stabilire

se ha omesso di effettuare le ritenute e versarle;

ii) accertare, nei confronti del sostituito, il reddito che gli è stato

corrisposto dal sostituto, e non è stato dichiarato;

iii) richiedere esclusivamente al sostituto l’importo delle ritenute omesse;

iv) richiedere al sostituito la differenza tra la ritenuta d’acconto (che sarà

eventualmente versata dal sostituto) e l’imposta globale dovuta

sull’importo oggetto di ritenuta.

La maggior parte della giurisprudenza, però, ritiene che il Fisco possa non solo

accertare, nei confronti del sostituito, i redditi sui quali è stata omessa la ritenuta

d’acconto, ma può anche riscuotere la relativa imposta.

Cosa accade se il debitore decide comunque di dichiarare il compenso

percepito tra i suoi redditi complessivi pagando la relativa imposta?

In tal caso il sostituito – adempiendo - libera anche il sostituto.

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Traslazione

Per traslazione si intende la pratica di trasferire l’onere di un tributo su un

soggetto diverso dal soggetto passivo.

È possibile distinguere diversi tipi di traslazione:

a) occulta o di fatto

b) di diritto;

c) palese

a) traslazione occulta o di fatto

La traslazione occulta si verifica tutte le volte che il contribuente di diritto

(soggetto passivo individuato dalle norme tributarie) riesca, nella sua attività

economico-giuridica, a inglobare nel compenso o nel corrispettivo dovutogli l’onere

del tributo.

b) traslazione di diritto

La traslazione di diritto si verifica quando una norma tributaria prevede

espressamente che l’imposta venga pagata fa un soggetto diverso dal contribuente

di diritto, ponendo in essere così l’istituto della sostituzione tributaria. Al soggetto

che paga il tributo, detto sostituto d’imposta o responsabile d’imposta a seconda

che partecipi o meno alla realizzazione del presupposto, è riconosciuto però un

diritto di rivalsa nei confronti del soggetto passivo. Lo scopo della rivalsa è proprio

quello di far ricadere l’onere economico del tributo sul soggetto passivo.

ESEMPIO: l’IVA che colpisce il consumo di ricchezza. I soggetti passivi di tale

imposta sono i consumatori, ma l’imposta è versata allo Stato dalle imprese. Per far

ricadere l’onere economico dell’imposta sul consumatore ogni azienda ha un diritto

di rivalsa dell’IVA pagata sugli acquisti nel momento in cui vende i propri prodotti.

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c) traslazione palese

La traslazione palese si attua tramite contratto o altra pattuizione accessoria

espressa con la quale si stabilisce che il tributo sia a carico di un soggetto diverso da

quello previsto dalle norme tributarie.

In tal caso può parlarsi ancora di rivalsa?

Non nel senso inteso dal diritto tributario. Si pongono in atto gli stessi effetti

della rivalsa, e cioè una traslazione economica dell’onere tributario, ma dato che

tale trasferimento è stato stabilito contrattualmente, e non da una norma giuridica,

non si può parlare di traslazione quale istituto di diritto tributario.

Perché è importante tale chiarimento?

Ai fini della deducibilità dal reddito d’impresa degli oneri fiscali per i quali non

è stata esercitata la rivalsa. Se la rivalsa è stata pattuita contrattualmente, ma non

ancora esercitata al momento della determinazione del reddito imponibile, gli oneri

fiscali in questione non saranno deducibili.

Come realizzare la traslazione palese?

Lo strumento utilizzato nella pratica professionale è l’accollo.

L’accollo

L’accollo è il contratto tra un terzo (accollante) e un debitore (accollato) con il

quale il primo assume un debito del secondo nei confronti del terzo (creditore

accollatario).

Sono sempre ammessi i patti di accollo dell’imposta?

No, e ciò in quanto a volte il Legislatore stabilisce espressamente che la rivalsa

è obbligatoria o vietata. Al di fuori di tali casi, i privati sono liberi di stipulare patti di

accollo dell’imposta.

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Sono ammessi tutti i tipi di accollo?

No. L’art. 8 dello Statuto dei diritto del contribuente stabilisce che “è

ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente

originario”.

Sempre a tal riguardo, secondo la giurisprudenza della Cassazione sono

ammessi solo patti di accollo con rilievo “esterno”, e cioè quei patti di accollo che

riconoscono al creditore accollatario (e quindi al Fisco) il diritto di agire verso

l’accollante.

Pertanto, è ammesso l’accollo ma il Fisco deve potersi rifare sul contribuente

originario, ovvero sull’accollante in caso di mancato pagamento.

In realtà, secondo parte della dottrina i patti di accollo sarebbero illegittimi in

quanto contrari all’art. 53 Cost., e segnatamente contrari al principio di capacità

contributiva: il tributo è stato commisurato alla capacità contributiva di un soggetto

diverso da quello sui cui effettivamente ricade l’onere del tributo.

Secondo il Tesauro i patti di accollo non sarebbero incostituzionali e ciò in

quanto l’art. 53 Cost. si rivolge al Legislatore e regola il rapporto (verticale) tra

Legislatore e contribuenti, e non i rapporti (orizzontali) tra contribuenti. I patti di

accollo dell’imposta non sono contrari all’art. 53 Cost., che disciplina solo le leggi

tributarie.

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La successione nel debito d’imposta

La successione ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le

situazioni giuridiche che facevano capo al defunto, implica anche il subentro degli

eredi nelle situazioni giuridiche di natura tributaria.

In particolare, gli eredi rispondo dei debiti tributari degli eredi in proporzione

alle loro quote, e ciò ad eccezione delle imposte sui redditi per le quali è imposta la

solidarietà degli eredi.