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DISPENSE DI STATISTICA MEDICA Italo NOFRONI (1) Anna Rita VESTRI (2) (1) Titolare dell’insegnamento di Statistica Medica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma (2) Titolare dell’insegnamento di Metodologia Epidemiologica Clinica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma Le presenti dispense sono state costituite semplicemente riunendo e, in parte, riorganizzando, una serie di articoli didattici apparsi sulla Rivista Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale (RINPE). Per questo motivo non è possibile individuare in esse un rigoroso processo logico espositivo, ma solo una traccia di alcuni dei principali aspetti metodologici propri di un corso di Statistica rivolto ad operatori della Sanità. 1) LA RACCOLTA DEI DATI: IL FULCRO DI OGNI RICERCA Qualsiasi indagine statistica, in qualunque ambito si svolga, incluso quindi quello clinico, comporta lo svolgimento di diverse operazioni, schematicamente sintetizzabili in sei distinte fasi: 1. Definizione del problema oggetto di studio 2. Valutazione della fattibilità dello studio e stesura del protocollo di ricerca 3. Definizione del piano di rilevazione e raccolta dei dati 4. Controllo, verifica e correzione dei dati raccolti 5. Elaborazione dei dati 6. Interpretazione dei risultati Questa fasi, invero non sempre formalmente distinguibili, rivestono tutte naturalmente una grande importanza; in questa occasione voglio però soffermarmi sulla fase 3, definizione del piano di rilevazione e raccolta dei dati, che costituisce il vero fulcro per la realizzazione di qualunque ricerca statistica. Se infatti la raccolta dei dati viene realizzata in modo corretto ed i dati ottenuti sono funzionali alle finalità che la ricerca si prefigge, questa avrà buone probabilità di essere valida e di portare a conclusioni corrette. In caso contrario sarà grande il rischio di non poterla portare a termine o, peggio ancora, di giungere a conclusioni distorte o errate. Purtroppo molto spesso si pone la massima attenzione alla possibilità di disporre di Personal Computer ultraveloci o di acquisire raffinati software statistici, che quasi sempre vengono poi utilizzati solo per una minima parte delle loro potenzialità, trascurando o ponendo una cura minima alla corretta impostazione del metodo di raccolta dati. Acutamente gli anglosassi citano: " rubbish input, rubbish out", ovverosia, parafrasando il concetto, “se i dati che immetti nel computer sono spazzatura, solo spazzatura il computer ti restituisce”. Lo studioso che si appresta ad avviare una ricerca per dare una risposta ad un determinato problema clinico, si troverà di fronte ad un bivio: effettuare uno studio globale, relativo cioè all’intera popolazione presa in esame, realizzando quindi un censimento, o limitarsi a studiare una piccola parte di tale popolazione, portando quindi a termine un campionamento o, come comunemente si dice, un campione. E’ evidente che il censimento, essendo una raccolta di dati relativa alla totalità delle unità statistiche oggetto di studio, fornirà, a parità di validità della ricerca stessa, risultati sicuramente più attendibili e veritieri. Sarà però in molti casi estremamente arduo da realizzare per molteplici motivi: costi elevati, tempi lunghi, difficoltà nel raggiungere e controllare tutte le unità statistiche. Se, ad esempio, ci riproponessimo di valutare la durata media di accensione senza guasti delle lampadine prodotte da una

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  • DISPENSE DI STATISTICA MEDICA

    Italo NOFRONI (1) Anna Rita VESTRI (2)

    (1) Titolare dellinsegnamento di Statistica Medica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Facolt di Medicina e Chirurgia, Universit La Sapienza, Roma (2) Titolare dellinsegnamento di Metodologia Epidemiologica Clinica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Facolt di Medicina e Chirurgia, Universit La Sapienza, Roma Le presenti dispense sono state costituite semplicemente riunendo e, in parte, riorganizzando, una serie di articoli didattici apparsi sulla Rivista Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale (RINPE). Per questo motivo non possibile individuare in esse un rigoroso processo logico espositivo, ma solo una traccia di alcuni dei principali aspetti metodologici propri di un corso di Statistica rivolto ad operatori della Sanit. 1) LA RACCOLTA DEI DATI: IL FULCRO DI OGNI RICERCA

    Qualsiasi indagine statistica, in qualunque ambito si svolga, incluso quindi quello clinico, comporta lo svolgimento di diverse operazioni, schematicamente sintetizzabili in sei distinte fasi: 1. Definizione del problema oggetto di studio 2. Valutazione della fattibilit dello studio e stesura del protocollo di ricerca 3. Definizione del piano di rilevazione e raccolta dei dati 4. Controllo, verifica e correzione dei dati raccolti 5. Elaborazione dei dati 6. Interpretazione dei risultati

    Questa fasi, invero non sempre formalmente distinguibili, rivestono tutte naturalmente una grande importanza; in questa occasione voglio per soffermarmi sulla fase 3, definizione del piano di rilevazione e raccolta dei dati, che costituisce il vero fulcro per la realizzazione di qualunque ricerca statistica. Se infatti la raccolta dei dati viene realizzata in modo corretto ed i dati ottenuti sono funzionali alle finalit che la ricerca si prefigge, questa avr buone probabilit di essere valida e di portare a conclusioni corrette. In caso contrario sar grande il rischio di non poterla portare a termine o, peggio ancora, di giungere a conclusioni distorte o errate.

    Purtroppo molto spesso si pone la massima attenzione alla possibilit di disporre di Personal Computer ultraveloci o di acquisire raffinati software statistici, che quasi sempre vengono poi utilizzati solo per una minima parte delle loro potenzialit, trascurando o ponendo una cura minima alla corretta impostazione del metodo di raccolta dati. Acutamente gli anglosassi citano: " rubbish input, rubbish out", ovverosia, parafrasando il concetto, se i dati che immetti nel computer sono spazzatura, solo spazzatura il computer ti restituisce.

    Lo studioso che si appresta ad avviare una ricerca per dare una risposta ad un determinato problema clinico, si trover di fronte ad un bivio: effettuare uno studio globale, relativo cio allintera popolazione presa in esame, realizzando quindi un censimento, o limitarsi a studiare una piccola parte di tale popolazione, portando quindi a termine un campionamento o, come comunemente si dice, un campione.

    E evidente che il censimento, essendo una raccolta di dati relativa alla totalit delle unit statistiche oggetto di studio, fornir, a parit di validit della ricerca stessa, risultati sicuramente pi attendibili e veritieri. Sar per in molti casi estremamente arduo da realizzare per molteplici motivi: costi elevati, tempi lunghi, difficolt nel raggiungere e controllare tutte le unit statistiche. Se, ad esempio, ci riproponessimo di valutare la durata media di accensione senza guasti delle lampadine prodotte da una

  • ipotetica ditta X, ed intendessimo avvalerci di un censimento, dovremmo raccogliere tutta le lampadine prodotte in un certo periodo, accenderle ed aspettare che siano tutte fulminate; avremmo quindi portato a termine un censimento distruttivo con il bel risultato di conoscere esattamente la vita media delle lampadine, ma di non poter in alcun modo utilizzare tale informazione perch relativa ad una popolazione ormai estinta, avendo nel frattempo speso svariati miliardi.

    E evidente a questo punto che la seconda soluzione, quella cio del campione, appare decisamente pi fattibile, soprattutto in campo sanitario nel quale il medico non potr mai sperare, ad esempio, di poter studiare tutta la popolazione di pazienti affetti da una certa patologia. Il campione presenter quindi tutti quei vantaggi che appunto mancavano nel censimento: economicit, tempi brevi, facilit di realizzazione. Ma dal campione stesso, in quanto raccolta di dati limitata ad una parte della popolazione oggetto di studio, non si potr pretendere di ottenere risultati del tutto validi ed attendibili per lintera popolazione in esame.

    Ci si pongono quindi le domande: cosa si pu desumere relativamente alle caratteristiche della popolazione sulla base delle informazioni (limitate) ottenute dal campione? e che fiducia si pu avere che quanto desunto sia attendibile?.

    E a questo punto che nella ricerca trova applicazione quella branca della statistica che prende il nome di inferenza, ovverosia quel complesso di tecniche statistiche che consentono di estendere i risultati parziali desunti dal campione lintero collettivo. Questa estensione dalla parte al tutto rientra in un procedimento induttivo proprio della statistica che trova le sue basi logiche e formali nel calcolo delle probabilit. Non sar mai possibile, infatti, utilizzando dati campionari, giungere a risultati certi, ma solo trarre delle conclusioni la cui validit per un collettivo pi ampio sia espressa in termini probabilistici, ovverosia prefissando un determinato rischio di errore o, il che lo stesso, essendone il complemento, un livello di fiducia.

    Naturalmente perch linferenza statistica possa assolvere correttamente i compiti che le sono richiesti, necessario che il campione presenti due fondamentali requisiti: 1) sia rappresentativo, cio le sue caratteristiche strutturali siano simili, per quanto possibile, a quelle della popolazione da cui estratto. Questo perch si pretende che il campione abbia un comportamento simile a quello della popolazione; se cos non fosse il campione sarebbe detto distorto. 2) sia casuale, cio le unit statistiche da inserire nel campione siano selezionate con un procedimento assimilabile ad una estrazione a sorte; si parla infatti di randomizzazione dal termine inglese random (caso). Ladozione dellestrazione casuale fu proposta per primo dallinglese Ronald A. Fisher (1890 1962), padre della statistica moderna e maggiore epistemologo del 1900, mettendone in luce i vantaggi e la maggiore obiettivit dei risultati con numerosi lavori sperimentali.

    Esistono vari tipi di campione casuale: - campione casuale semplice: estrazione diretta delle unit statistiche dalla popolazione; - campione stratificato: si suddivide la popolazione in gruppi omogenei (strati) sulla base di determinate

    caratteristiche (sesso, et, professione ecc.) e da ciascuno di essi si estrarre casualmente un sub campione di numerosit proporzionale allampiezza che lo strato costituisce nella popolazione; viene realizzato per migliorare la rappresentativit;

    - campione a grappolo: si estraggono casualmente grappoli di unit statistiche (famiglia, casse contenenti confezioni alimentari ecc.) e queste ultime vengono utilizzate per la costituzione del campione;

    - campione a pi stadi: si estraggono im un primo tempo le unit di primo stadio (ad es. comuni) e quindi successivamente da ognuna di queste le unit elementari (ad es. abitanti) con cui costituire il campione;

    - campione continuativo: un stesso campione fornisce i dati in pi tempi successivi; tipico esempio ne sono gli studi di follow-up.

    Esiste infine un altro campione che certamente non pu essere definito casuale, ma nondimeno quello pi frequentemente utilizzato nelle ricerche cliniche: il campione empirico o di convenienza. Naturalmente il medico non ha la possibilit di estrarre casualmente dalla ipotetica intera popolazione di malati la casistica di cui ha bisogno, generalmente quindi si limita a prendere in considerazione i pazienti di cui pu disporre in quanto gi presenti in ambulatorio o in reparto.

    Questo modo di procedere non fornisce alcuna garanzia di rappresentativit in quanto i soggetti cos scelti sono certamente autoselezionati sulla base di fattori incontrollabili quali vicinanza dellospedale, consigli di amici, scelte personali ecc. Sarebbe quindi estremamente scorretto fare inferenze su tale gruppo relativamente alle sue caratteristiche strutturali quali et media al ricovero, percentuale di maschi, numero di figli ecc.

    Per poter comunque procedere nello studio, non potendo randomizzare i pazienti, verr comunque scelta casualmente (o almeno, dovrebbe esserlo) la tarapia, il trattamento o il tipo di intervento oggetto di

  • studio. Una procedura comunemente adottata , ad esempio, quella di attribuire casualmente i trattamenti ai pazienti che in modo sequenziale vengono ricoverati in una determinata struttura, purch questi soddisfino i criteri di inclusione nello studio. Naturalmente necessario verificare che i due (o pi) gruppi a confronto cos costituiti risultino omogenei tra di loro; se infatti fra i gruppi si osservassero rilevanti diversit di et, gravit e caratteristiche della patologia, malattie concomitanti ecc., leventuale diversa risposta al trattamento potrebbe essere attribuita a tali fattori.

    Studi di questo tipo, nel quale diversi trattamente sono confrontati e valutati contemporaneamente in altrettanti gruppi di pazienti, vengono detti tra pazienti.

    Esistono anche gli studi cosiddetti entro pazienti, o crossover, nel quali un gruppo di soggetti riceve in successione i trattamenti; in questo caso randomizzata la seguenza con cui i trattamenti stessi vengono somministrati a ciascun paziente. Questultimo tipo di studi possono essere adottati quando si sia sicuri che linterruzione del primo trattamento comporti, entro un adeguato periodo di tempo, che il paziente torni alla situazione in cui era prima del trattamento stesso, non si manifesti cio un effetto di trascinamento, sia farmacologico che psicologico, da un periodo allaltro; si pu adottare, quindi, solo per un numero limitato di patologie. Daltra parte questi studi, rispetto agli studi tra pazienti, presentano il grosso vantaggio di consentire un confronto tra trattamenti eliminando la variabilit che sussiste tra gruppi diversi, essendo unico il gruppo oggetto di studio; infatti per quanto si cerchi di rendere omogenei gruppi diversi una parte della variabilit tra gruppi ineliminabile e potrebbe falsare le conclusioni cui giunge lo studio.

    In conclusione, fondamentale che chi conduce una ricerca clinica sia consapevole dei metodi che ha a disposizione per la raccolta dei dati, sappia impostare (meglio se con la collaborazione dello statistico) un adeguato piano di rilevazione, rendendosi conto che una buona qualit del dato statistico il presupposto irrinunciabile per una ricerca seria e proficua. 2) LE BASI DELLEPIDEMIOLOGIA

    Le profonde modificazioni che si sono verificate in questi ultimi anni nelle scienze mediche e lo sviluppo delle nuove tecnologie, hanno creato i presupposti di una nuova medicina, non pi riconducibile semplicemente alle leggi della fisiologia, alle descrizioni citologiche, ai processi biochimici, ma anche allo studio della diffusione delle patologie, ai metodi di valutazione dei fattori di rischio, allutilizzo di indici sintetici. Si richiede, infatti, al medico il pieno utilizzo dellEpidemiologia quale metodo di studio dei fenomeni sanitari in generale e morbosi in particolare, in stretta interazione con la Statistica che, in questo contesto, fornisce supporto e strumenti metodologici.

    Lapplicazione della metodologia epidemiologica alla ricerca clinica sui fattori di rischio ha consentito, per molte malattie, il rilevante progresso nel campo della prevenzione e della terapia, come pure lapplicazione dei clinical trial nel settore della sperimentazione clinico-farmacologica ha consentito un continuo progresso diagnostico e terapeutico ai vari settori della medicina.

    Lepidemiologia stata definita in molti modi. Il termine deriva dal greco (epi = su, demos = popolazione, logos = studio), quindi studio di fenomeni riguardanti una popolazione; questa etimologia peraltro lacunosa per quanto riguarda il concetto di salute o di sanit che invece caratterizza pienamente questa disciplina.

    In tempi passati lepidemiologia consisteva nello studio delle modalit di diffusione delle malattie infettive, la moderna epidemiologia, invece, si occupa dello studio dei fattori che determinano la frequenza e la distribuzione delle malattie, non solo ad eziologia infettiva, e dei problemi sanitari in una popolazione.

    Poich lepidemiologia studia, in genere, fenomeni che interessano intere popolazioni, sono necessarie misure che abbiano caratteristiche di accuratezza, precisione e sinteticit. La misura fondamentale in epidemiologia la frequenza con la quale gli eventi in studio, generalmente malattie, morti o altri problemi sanitari, si verificano nelle popolazioni da studiare.

    Un tasso la frequenza di una malattia espressa rispetto allammontare di popolazione cui riferita, in relazione al periodo temporale in cui i casi sono osservati. E quindi evidente che, per avere un tasso utile dal punto di vista epidemiologico, sono necessari tre tipi di informazioni: il numeratore (numero delle persone affette), il denominatore (la popolazione di riferimento, cio rispetto alla quale sono osservate le persone affette), la specificazione del tempo. Sia il denominatore che il numeratore di un tasso dovrebbero avere le stesse restrizioni: se, ad esempio, il numeratore limitato a certe classi di et oppure al un solo sesso, anche il denominatore deve avere le stesse caratteristiche.

  • La frequenza pu essere misurata in modi diversi e pu essere relativa a differenti denominatori, in funzione degli obiettivi che ci si fissati e dai dati disponibili. I due indici pi utilizzati e di fondamentale importanza in epidemiologia, sono il tasso di incidenza ed il tasso di prevalenza.

    Il tasso di incidenza la frequenza dei nuovi casi di malattia, (stati morbosi o decessi) che si verificano nellintervallo unitario di tempo, generalmente lanno solare, in rapporto al numero totale della popolazione esposta; non potendo conoscere esattamente questultimo dato, si riporta la media aritmetica fra la popolazione allinizio ed alla fine del periodo. Lincidenza corrisponde al numero dei cambiamenti dallo stato di benessere a quello di malessere, dallo stato di vita a quello di morte, allinterno di una popolazione durante un determinato periodo di osservazione. Nella pratica, non essendo usualmente possibile misurare lincidenza nel preciso momento di insorgenza di una malattia, viene utilizzato come tempo di riferimento iniziale la comparsa del primo sintomo, il tempo della diagnosi, la data di notificazione o quella di ospedalizzazione.

    La densit di incidenza la frequenza di nuovi eventi per persona nellunit di tempo (anni-persona o mesi-persona). Questo indice utile soprattutto quando levento in studio pu verificarsi pi volte sullo stesso individuo durante il periodo di osservazione.

    Il tasso di prevalenza (denominata anche prevalenza di punto) dato dal numero di persone che presentano una malattia (o sono in una particolare condizione sanitaria come vaccinati, in gravidanza ecc.) in un determinato momento, in rapporto alla consistenza della popolazione in quello stesso momento. Alcuni articoli in letteratura utilizzano anche la prevalenza di periodo, riferendosi al numero di persone che risultano malate in un intervallo di tempo specificato, ed rappresentata dalla somma della prevalenza di punto allinizio dellintervallo di tempo, pi lincidenza durante lintervallo. La prevalenza di periodo una misura mista, non del tutto affidabile, pertanto sconsigliato assumerla come ipotesi di partenza per studi successivi.

    Esiste una relazione importante che lega la prevalenza e lincidenza: la prevalenza, infatti, pu essere desunta calcolando il prodotto dellincidenza per la durata media di malattia. Un cambiamento nella prevalenza da un periodo di osservazione ad un altro pu quindi essere la risultante di cambiamenti dellincidenza, della durata di malattia o in entrambe. Per esempio, miglioramenti nella terapia atti ad evitare la morte ma che non producano la completa guarigione, potrebbero dare paradossalmente un incremento della prevalenza di malattia. Una diminuzione della prevalenza pu risultare non solo da un decremento dellincidenza ma anche da una durata della malattia pi breve; questa, a sua volta, potrebbe essere conseguenza di una guarigione pi rapida, ma anche di una morte pi precoce.

    Il dato di prevalenza fornisce informazioni indispensabili per poter effettuare una diagnosi, che, come noto, rappresenta la formulazione di giudizio probabilistico piuttosto che un momento di certezza assoluta. Quindi la conoscenza della prevalenza di una determinata patologia, unitamente alla conoscenza delle caratteristiche anamnestiche e cliniche di un paziente, non solo permette una corretta interpretazione della diagnosi, ma, di fatto, condiziona anche le scelte terapeutiche.

    Lincidenza mettendo in luce tutti i casi di malattia insorti in una popolazione, fornisce di fatto, in maniera diretta, informazioni sulla probabilit che altri soggetti, che si trovino in condizioni simili alla popolazione studiata, sviluppino la stessa patologia. I dati di incidenza servono inoltre a stimare il rischio di insorgenza, a prevedere il decorso di una malattia ed a fornire informazioni attendibili riguardo la sequenza degli eventi, in quanto la malattia viene monitorata in tutta la sua storia naturale. La prevalenza, invece, non consente previsioni attendibili, in quanto descrive solo la situazione sanitaria di un gruppo di individui in un determinato momento.

    I dati di incidenza e di prevalenza, infine, oltre ad avere unutilit intrinseca nella descrizione dei fenomeni sanitari, assumono un ruolo fondamentale come strumento di decisioni cliniche, laddove siano utilizzati per effettuare confronti. E il confronto della frequenza di una malattia tra individui esposti e non esposti ad uno specifico fattore, lelemento di maggior prova di una ipotetica relazione di causalit. I clinici usano le misure di frequenza come elementi comparativi per indagare sulla relazione causa-effetto (cio fattore-malattia-esito).

    Naturalmente, nel caso di confronto di tassi, si rende generalmente necessario standardizzare i tassi stessi, al fine di eliminare linfluenza delle diverse strutture per et delle popolazioni a confronto, utilizzando due metodi alternativi (metodo diretto e metodo indiretto).

    Per poter calcolare tutti gli indici suddetti ovviamente necessaria la disponibilit di attendibili dati statistici. La maggior parte delle nazioni raccoglie e pubblica dati statistici desunti sia dalle statistiche anagrafiche, sia ricavati dai censimenti di popolazione; opportuno ricordare che, purtroppo, la qualit di tali

  • dati varia notevolmente da paese a paese ed quindi necessaria molta prudenza nellutilizzare dati relativi ai Paesi in via di sviluppo nei quali i metodi di relevazione sono poco affidabili.

    I dati epidemiologici correnti sono importanti sia per fini amministrativi che per finalit di ricerca: il loro impiego integrato nella sorveglianza e nella ricerca epidemiologica necessita di particolari requisiti tra i quali i pi importanti sono costituiti da:

    accuratezza tempestivit completezza confrontabilit In Italia le fonti di dati socio-demografici e sanitari si basano su un sistema di rilevazione misto con

    finalit differenti. A livello nazionale le fonti dei dati raccolti con frequenza universale e continua sono rappresentate da:

    a) rilevazione della mortalit tramite le schede ISTAT b) notifica delle malattie infettive c) rilevazione delle malattie professionali ed infortuni sul lavoro.

    La fonte di dati raccolti con frequenza universale e sporadica rappresentata dal censimento della popolazione che viene portato a termine con cadenza decennale.

    A livello regionale le principali fonti sono costituite da: a) registri tumori (coprono circa il 15% della popolazione) b) schede di dimissione ospedaliera c) dati riguardanti la struttura e lattivit degli istituti di cura.

    A livello locale i dati sono raccolti dai diversi servizi delle Aziende Sanitarie Locali, dove avviene una prima elaborazione dei dati.

    Infine si possono ricordare le fonti campionarie e sporadiche, come indagini epidemiologiche ad hoc, condotte da enti di ricerca quali, ad esempio, CNR, Universit, Istituto Superiore di Sanit.

    3) I MODELLI FONDAMENTALI DEGLI STUDI EPIDEMIOLOGICI

    Lobiettivo principale della maggior parte degli studi epidemiologici di individuare modelli esplicativi della distribuzione delle patologie in terminio di fattori causali, cio valutare lassociazione casuale tra malattia ed esposizione ad un determinato fattore di rischio. Per fattore di rischio si intende una variabile che, se presente ed attiva, si presume sia in grado di incrementare in modo rilevante la probabilit che una particolare malattia si sviluppi in un gruppo di persone esposte a questo fattore rispetto ad un altro gruppo, con caratteristiche analoghe, che non subisce lesposizione. Un fattore di rischio tuttavia non n causa necessaria n causa sufficiente di malattia. Il fattore di rischio pu essere una abitudine nutrizionale (dieta ad alto contenuto di grassi), una esposizione ambientale (radioattivit dopo il disastro di Chernobyl), un comportamento voluttuario (tabagismo), una caratteristica fisiologica (alti livelli di colesterolo), un intervento clinico (assunzione di un antibiotico) o una misura di sanit pubblica (vaccino).

    La ricerca dellassociazione causale in epidemiologia richiede due distinzioni fondamentali. La prima tra soggetti esposti o meno ad un fattore di rischio in studio (variabile indipendente), mentre la seconda distinzione quella tra soggetti affetti e non affetti da una malattia (variabile dipendente). Nella realt queste distinzioni risultano raramente semplici, anzi sono soggette a distorsioni ed errori casuali.

    Nellambito del disegno di una ricerca epidemiologica pu emergere lesigenza di dover analizzare contemporaneamente leffetto di diverse variabili indipendenti (possibili cause) e la loro reciproca interazione sul verificarsi di un evento patologico. Ad esempio, la prevalenza dellipertensione legata sia allet che al sesso e queste variabili interagiscono nel modo seguente: prima dei 50 anni gli uomini sono pi spesso ipertesi, mentre dopo i 50 anni la probabilit di essere ipertesi maggiore nel sesso femminile.

    C inoltre la necessit di misurare i diversi gradi di intensit e/o durata di esposizione ad un fattore di rischio. Gli studi epidemiologici valutano sia la forza che la durata dellesposizione; ad esempio, lesposizione al fumo di sigaretta viene studiata in termini di numero di pacchetti fumati allanno, che calcolato come numero medio di pacchetti fumati al giorno per numero di anni di esposizione al fumo. Molte volte per difficile determinare il momento esatto dellinizio dellesposizione ad un fattore di rischio: ci in particolare vero per fattori di rischio legati a stili di vita, come le abitudini sedentarie o leccessivo introito

  • di grassi con la dieta. Ulteriori difficolt possono scaturire dalla necessit di distinguere diversi stadi o livelli di gravit di una malattia.

    Un corretto modello di studio epidemiologico deve rispondere ai seguenti requisiti: 1) consentire il confronto di una variabile tra due o pi gruppi di popolazione in un determinato

    momento, oppure, in alternativa, nello stesso gruppo in tempi diversi, ad esempio prima e dopo un intervento o lesposizione ad un fattore di rischio;

    2) permettere la quantificazione delle differenze sia in termini assoluti (differenze tra rischi e tassi) sia relativi (rischio relativo);

    3) collocare le esposizioni e le malattie nel tempo al fine di verificarne la sequenza temporale; 4) ridurre al minimo errori, confondimenti ed altri problemi che potrebbero complicare o falsare

    linterpretazione dei dati. I disegni di studio trattati in questo paragrafo sono quelli pi frequentemente utilizzati nella ricerca

    epidemiologica. La prima importante distinzione quella tra studi osservazionali (descrittivi, trasversali, ecologici),

    analitici (coorte, caso-controllo) e sperimentali (trial randomizzati). Poich ad alcuni quesiti si pu rispondere attraverso la pianificazione e leffettuazione di pi di un tipo di ricerca epidemiologica, la scelta del tipo di disegno di studio dipende da una serie di considerazioni, non esclusi criteri quali rapidit di esecuzione, controllo dei costi e disponibilit di dati.

    STUDI OSSERVAZIONALI Studi descrittivi Si basano sulla semplice descrizione della distribuzione della patologia in studio nella popolazione, mettendola in relazione a variabili di tipo demografico (et, sesso...), valutate nel tempo e nello spazio (ripartizioni geografiche). Generalmente si basano su statistiche ufficiali di morbosit e/o mortalit. Gli studi descrittivi costituiscono studi preliminari e di base da cui in genere prendono il via studi epidemiologici successivi pi approfonditi quali quelli analitici (v. oltre), i soli in grado di validare i meccanismi causali alla base delleziologia delle patologie e descrivere la storia naturale delle malattie. Studi trasversali

    Unindagine epidemiologica di tipo trasversale uninchiesta (survey per gli Autori anglosassoni) condotta su una popolazione in un determinato momento: tra queste si collocano, ad esempio, le interviste di popolazione ed i programmi di screening di massa.

    Gli studi trasversali presentano il vantaggio di essere veloci e semplici da effettuare; sono utili per stimare la prevalenza di malattia in una definita popolazione. Sono utilizzati anche nellambito di indagini sullo stato di salute della popolazione, per la pianificazione dei servizi sanitari ed inoltre per la selezione di interventi prioritari per il controllo delle malattie.

    Uno dei pi importanti svantaggi delle indagini trasversali costituito dal fatto che i dati, sia sullesposizione ad eventuali fattori di rischio che sulla presenza o assenza della malattia, vengono raccolti simultaneamente, quindi difficile individuare la corretta relazione esistente tra una probabile causa e un presunto effetto. Altro svantaggio considerevole costituto dal fatto che unindagine trasversale risulta selettiva per le patologie croniche e di lunga durata, le quali hanno lunghe sopravvivenze, e quindi hanno maggiori probabilit, rispetto a malattie acute di breve durata, di essere rilevate nel corso dellindagine. Questo fenomeno definito bias di Neyman (bias = errore): pu verificarsi sia quando nellindagine i soggetti con malattia grave hanno meno probabilit di essere selezionati, ad esempio perch deceduti prima dellindagine, sia quando i programmi di screening tendono a selezionare i casi meno gravi di malattia per sottoporli a trattamento.

    Studi trasversali ripetuti possono essere utilizzati per valutare cambiamenti della frequenza di una malattia in una popolazione in differenti intervalli di tempo (ma non la natura della loro reciproca associazione). I risultati di queste indagini possono essere analizzati allo scopo di evidenziare unassociazione e quindi generare ipotesi, ma non sono utilizzabili per verificare lefficacia di interventi.

    Studi ecologici

  • Gli studi ecologici trasversali hanno lobiettivo di evidenziare la relazione tra alcune variabili (ad es. il fumo) ed uno o pi esiti di un certo interesse (ad es. cancro del polmone) in popolazioni residenti nella stessa area geografica.

    Questi studi sono spesso utili per suggerire ipotesi, ma non possono essere utilizzati per trarre conclusioni definitive su rapporti di associazione, poich non sono disponibili dati individuali che indichino, ad esempio, che i soggetti che si ammalano di cancro del polmone sono proprio quelli esposti al fumo di sigaretta. Questa problematica legata agli studi epidemiologici definita con il termine fallacia ecologica.

    Gli studi ecologici longitudinali prevedono la sorveglianza continuativa o leffettuazione di studi trasversali ripetuti e frequenti mirati alla valutazione dellandamento dei tassi di malattia, in lunghi intervalli di tempo, in determinate popolazioni. Confrontando gli andamenti delle malattie con landamento di altri fenomeni sociali, come guerre, migrazioni, introduzione di pratiche preventive o terapeutiche, gli epidemiologici sono in grado di valutare limpatto di tali interventi sui tassi di incidenza e/o di mortalit.

    STUDI ANALITICI Studi di coorte (o longitudinali) Il termine coorte usato per indicare un gruppo di individui che abbiano un qualche elemento in comune; essi vengono identificati come gruppo, seguiti nel tempo e vengono registrati gli eventi patologici che man mano si verificano in essi. La caratteristica comune degli individui appartenenti alla coorte, viene ovviamente identificata sulla base delle finalit dello studio o di ci che si intende ricercare.

    Negli studi di coorte necessario che, allinizio del periodo di osservazione, nessuno degli individui della coorte sia mai stato esposto al fattore di rischio su cui si indaga. Appurato ci, la coorte viene divisa in due sottogruppi che, per un periodo di tempo predefinito, resteranno esposti (e non esposti), al fattore di rischio oggetto di studio. E necessario ovviamente che la coorte dei non esposti il pi possibile omogenea con quella degli esposti per tutte le caratteristiche. I soggetti verranno seguiti nel tempo per vedere quali di essi sviluppano levento-malattia; in questo modo possibile studiare se, e in quale modo, lesposizione al fattore di rischio sia in grado di condizionare il verificarsi degli avvenimenti successivi.

    Gli studi di coorte presentano diversi vantaggi. Il principale rappresentato dal fatto che il ricercatore in grado di controllare di persona la qualit dei dati raccolti nel corso dello studio, sia per quanto riguarda loggettivit e lentit dellesposizione, che per quanto riguarda linsorgenza di eventuali patologie, e di assicurarsi che entrambe siano valutate e classificate correttamente. Un ulteriore vantaggio rappresentato dal fatto che possibile la stima dei tassi di incidenza e quindi il calcolo dei vari indici di rischio, in quanto vengono studiate popolazioni ben definite. Infine possibile studiare anche patologie o effetti dellesposizione diversi da quelli previsti allinizio dello studio, senza che la validit della ricerca ne sia inficiata.

    Tuttavia gli studi di coorte presentano anche svantaggi non trascurabili, il principale dei quali che non possibile studiare fattori di rischio diversi da quelli individuati allinizio dello studio; inoltre gli studi di coorte richiedono generalmente costi elevati e tempi lunghi per la verifica delle ipotesi a causa del lungo periodo di latenza che in genere sussiste tra esposizione e sviluppo della malattia.

    Alcune delle limitazioni relative ai tempi ed ai costi degli studi di coorte possono essere ridotti utilizzando gli studi di coorte retrospettivi. Questo approccio prevede la definizione di gruppi di soggetti esposti nel passato a determinati fattori di rischio (ad esempio i soggetti esposti allesplosione atomica di Hiroshima nellagosto 1945); successivamente i membri della coorte vengono seguiti fino al presente per valutare gli eventuali esiti dellesposizione (malattia, morte). Naturalmente, anche nel caso di uno studio di coorte retrospettivo, necessario prevedere il confronto con una coorte di non esposti, il pi possibile omogenea a quella degli esposti.

    La principale estrinsecazione del rischio il dato di incidenza (v. precedente contributo di questa rubrica); in genere si cerca di confrontare lincidenza di malattia in due o pi coorti che presentano differenti esposizioni ad un eventuale fattore di rischio. E importante ricordare che il rischio di malattia nel gruppo degli esposti sar maggiore a quello dei non esposti se una esposizione realmente dannosa (come nel caso del fumo di sigaretta) oppure minore se unesposizione protettiva ( come nel caso di un vaccino). Per confrontare i rischi sono comunemente usate diverse misure di associazione tra esposizione e malattia, definite misure di effetto. Esse rappresentano differenti concetti di rischio e sono usate per scopi diversi, come riassunto nella tabella seguente:

  • Misure di effetto Quesito cui rispondono Formula

    Rischio attribuibile Qual la quota parte dellincidenza di

    malattia attribuibile al fattore di rischio?

    RA = IE InE

    Rischio relativo Quante volte in pi gli esposti hanno probabilit di sviluppare la malattia

    rispetto ai non esposti?

    RR = IE/InE

    Rischio attribuibile di

    popolazione

    Qual lincidenza di una malattia in una determinata popolazione in cui agisce un

    fattore di rischio?

    Rap = RA x P

    Frazione di rischio

    attribuibile di popolazione

    Qual la quota di malattia in una determinata popolazione attribuibile

    allesposizione ad un fattore di rischio?

    Fap= Rap/Rt

    dove: IE = incidenza negli esposti InE = incidenza nei non esposti P = prevalenza di esposizione al fattore di rischio Rt = incidenza totale di malattia in una popolazione

    La misura di effetto pi utilizzata in questo tipo di studio certamente il rischio relativo (RR): come detto, esso valuta quante volte maggiore la probabilit di ammalarsi fra i soggetti esposti rispetto ai non esposti. Se ad esempio in uno studio sugli effetti dellalcool sullinsorgenza di patologie epatiche risultasse un RR pari a 4, significherebbe che fra gli alcolisti il rischio di patologie epatiche quattro volte superiore rispetto ai non alcolisti. Nel caso risulti un RR < 1, significherebbe che il presunto fattore di rischio , in realt, protettivo per la patologia considerata. Un RR = 1, infine, indicherebbe una non inflenza del presunto fattore di rischio sulla patologia considerata: che lesposizione sia presente o meno sarebbe, quindi, del tutto ininfluente.

    Dopo aver calcolato le misure di effetto importante calcolare anche la stima intervallare delle stesse o, in alternativa, il loro livello di significativit statistica, per valutare la possibilit che le differenze osservate siano attribuibili al caso. Ad esempio, se nello studio precedente il RR = 4 avesse un intervallo di confidenza (al 95 %) compreso tra 0.9 e 8.5, comprendendo il valore 1, che come abbiamo visto corrisponde ad un fattore di rischio ininfluente, non saremmo in grado di affermare che lalcolismo costituisce realmente un fattore di rischio che aumenta la probabilit dellinsorgenza di patologie epatiche.

    Studi caso-controllo In uno studio caso-controllo, il ricercatore seleziona il gruppo dei casi ed il gruppo dei controlli, in

    base alla presenza o meno della malattia o dellevento in studio e confronta i due gruppi in base allesposizione ai fattori di rischio identificati. I controlli possono essere abbinati ai casi come gruppo o appaiati individualmente in modo tale da essere omogenei ai casi per una serie di variabili fondamentali, quali let, il sesso, la razza, etc. che potrebbero costituire potenziali variabili di confondimento. Lappaiamento in genere avviene nel rapporto di 1: 1, 1: 2 o anche 1: 4. In genere, il ricercatore seleziona i controlli dalla stesso ambiente da cui sono stati estratti i casi, al fine di eliminare potenziali fattori di confondimento (ad esempio maggiore probabilit di essere affetti da una malattia in alcuni gruppi della popolazione piuttosto che in altri).

    In questo tipo di studio, dopo la selezione dei casi e dei controlli, viene raccolta lanamnesi attraverso interviste dirette o, in caso di assenza o di decesso dei casi, attraverso interviste ai familiari o ai medici curanti per verificare la passata esposizione ai fattori di rischio in studio. Le relazioni temporali in uno studio caso-controllo sono simili a quelle esistenti in uno studio trasversale, in cui il ricercatore apprende contemporaneamente la presenza o meno della malattia e dei fattori di rischio cui in passato i soggetti sono stati esposti. In termini di selezione dei soggetti, tuttavia, uno studio caso-controllo si differenzia da uno studio trasversale, in quanto i soggetti vengono selezionati in base allessere o meno affetti dalla malattia in studio.

    Gli studi caso-controllo sono particolarmente utili quando necessario che lo studio sia breve ed economico ed in caso di malattie rare. Per lo studio di una patologia rara, infatti uno studio di coorte richiederebbe un consistente numero di soggetti allo scopo di individuare anche pochi casi di malattia; inoltre lo studio potrebbe richiedere tempi molto lunghi e, quindi, anche un notevole dispendio economico.

  • Sebbene in ogni studio caso-controllo pu essere preso in considerazione un solo effetto, si possono studiare contemporaneamente pi fattori di rischio: ci rende gli studi caso controllo utili per la generazione di ipotesi causa-effetto da approfondire eventualmente in studi di coorte o sperimentali. Se viene rispettata una procedura metodologica corretta, la qualit dellinformazione ottenuta negli studi caso-controllo pu considerarsi vicina a quella ottenuta dagli studi clinici randomizzati, che per comportano maggiori difficolt di conduzione e consistenti impegni energetici e temporali.

    Nonostante i considerevoli vantaggi, gli studi caso-controllo presentano anche diversi svantaggi e precisamente: 1) per quanto riguarda laccertamento dei fattori di rischio, il principale problema rappresentato dai

    potenziali errori anamnestici; 2) altro problema costituito dalle difficolt che si incontrano nella selezione di appropriati gruppi di

    controllo; Nel caso degli studi caso-controllo non si pu calcolare il rischio assoluto dellevento in quanto non

    possibile il calcolo dei tassi di incidenza perch in questo caso non si parte da popolazione definite, come negli studi di coorte, ma da un gruppo di malati ed uno di non malati stabiliti aprioristicamente. Conseguentemente non si pu neanche calcolare il rapporto di incidenze (rischio relativo). Tuttavia in uno studio caso-controllo si pu calcolare la frequenza relativa dellesposizione nellambito dei casi e nellambito dei controlli: tale rapporto chiamato Odds ratio (OR), pu essere considerato come una stima del rischio relativo e si interpreta, infatti, allo stesso modo.

    In formula: OR = (a/c)/(b/d) = ad/bc Anche in questo caso valgono le considerazioni statistiche relative alla significativit dei risultati

    ottenuti esposte precedentemente. Infine opportuno ricordare che se le differenze osservate risultassero statisticamente significative,

    ma non clinicamente importanti, il risultato potrebbe essere scarsamente utilizzabile nella pratica. Se invece le differenze non risultassero statisticamente significative, ma esistessero forti evidenze cliniche che indicassero il contrario, potrebbe essere necessario rivedere ladeguatezza delle dimensioni dei collettivi esaminati.

    STUDI SPERIMENTALI (TRIAL CLINICI)

    Nellambito degli studi sperimentali, una particolare importanza rivestono le sperimentazioni cliniche, pi note con la dizione anglosassone di clinical trials. Il termine trial deriva dall'anglo-francese trier che significa provare. In generale si definisce clinical trial ogni test fatto sugli esseri umani al fine di determinare il valore o la validit di un intervento terapeutico.

    I trial clinici non sono altro che degli studi di coorte in cui lesposizione, previo consenso dei soggetti studiati, viene imposta dal ricercatore. Quindi il ricercatore ha la possibilit di isolare il fattore indagato tenendo sotto controllo eventuali altri fattori, in grado di controllare le condizioni in cui lo studio viene condotto e valutarne quindi correttamente gli effetti.

    Nella sua forma pi semplice il clinical trial implica l'applicazione della variabile sperimentale (trattamento farmacologico, tipo di intervento chirurgico, dieta, intervento preventivo...) ad un gruppo di persone e l'osservazione durante l'applicazione del trattamento. Il risultato di questo processo (outcome) pu essere la guarigione, il decesso, il presentarsi di una forma morbosa oppure una variazione delle condizioni generali dei soggetti trattati, come ad esempio una differenza della pressione sanguigna prima del trattamento e ad un certo istante successivo al trattamento stesso.

    Le sperimentazioni cliniche possono essere unicentriche, cio condotte da un unico centro, o policentriche; le seconde offrono maggiori garanzie di oggettivit ed affidabilit, ma hanno il non trascurabile difetto di richiedere una vasta ed efficiente organizzazione e limpiego di notevoli mezzi finanziari.

    FASI DELLA SPERIMENTAZIONE

    Nel caso di sperimentazioni cliniche aventi per oggetto lintroduzione di un nuovo farmaco, prima di

    effettuare prove di tollerabilit ed efficacia terapeutica di una sostanza sugli esseri umani, vengono effettuate un gran numero di prove su animali di laboratorio, al fine di valutarne i principali effetti farmacologici, farmacocinetici e tossicologici. Solo successivamente, se queste prove avranno portato a risultati

  • soddisfacienti, tali nuove sostanze saranno testate nelluomo. Schematicamente vengono distinte quattro fasi, anche se i confini fra di esse non sono sempre ben definiti. Fase I

    Fornisce informazioni sulla dose massima tollerata. Il farmaco, preventivamente testato sugli animali, viene somministrato a volontari sani iniziando da una dose molto piccola, in genere pari ad un centesimo di quella che produce il primo effetto farmacologico evidenziabile sulla specie animale pi sensibile (Cesama & Marubini 1994) e quindi utilizzando dosi crescenti in progressione geometrica con un fattore pari a 1.5 o 2. Il numero dei soggetti trattati usualmente molto piccolo, non pi di 50. Tale fase non fornisce informazioni sull'attivit del farmaco. Fase II

    L'obiettivo primario di questa fase determinare se una nuova terapia abbia la capacit di sviluppare una attivit biologica sufficiente contro la malattia in esame, tale da poter garantire sviluppi futuri. Si effettua su soggetti malati con studi comparativi e non comparativi di limitata numerosit, valutando inoltre eventuali vantaggi rispetto a farmaci preesistenti e la tollerabilit a breve termine. Poich tali trial non sono controllati non si pu determinare l'efficacia del trattamento o il ruolo del farmaco nel trattamento della malattia. Fase III In questa fase si valuta lattinit terapeutica del farmaco nelle condizioni il pi possibile simili alla pratica clinica. Si effettua su campioni di numerosit abbastanza elevata (alcune centinaia) con studi comparativi in confronto a farmaci gi noti e/o placebo. In questa fase si valuta anche la tollerabilit a lungo termine e linsorgenza di eventuali controindicazioni. Fase IV Si valuta il rapporto sicurezza/efficacia nelle condizioni di usuale utilizzazione del trattamento. La commercializzazione del farmaco e quindi la somministrazione ad ampie fasce di popolazione, consentono di valutare, in modo pi generale e completo di quanto fatto in fase III, lefficacia del farmaco e soprattutto linsorgenza di reazioni avverse rare che non sarebbe stato possibile evidenziare con le limitate casistiche utilizzate nelle fasi precedenti. A tal fine viene generalmente attivato un processo di farmacosorveglianza, basato sulla rilevazione da parte dei medici di reazioni dannose non previste e della loro notificazione alle autorit competenti. MODELLI DI SPERIMENTAZIONE La sperimentazione clinica nelluomo pu essere condotta seguendo tre distinti modelli sperimentali. Sperimentazione non controllata

    Il trattamento sperimentale viene assegnato a tutti i pazienti eligibili consecutivamente osservati. Non c' un confronto diretto con un gruppo di controllo costituito con pazienti trattati in altro modo. Gli effetti del trattamento sperimentale sono valutati in base al confronto con il decorso della malattia trattata con terapia standard che si ritiene ben noto.

    Possono avere un ruolo nella ricerca di trattamenti per malattie molto rare che non consentono quindi un trial controllato e randomizzato, neppure multicentrico, oppure se sussistono tutte le seguenti condizioni:

    - malattia a decorso prevedibile ed esito invariabilmente fatale - efficacia terapeutica del nuovo trattamento esplicitamente evidente - assenza di trattamenti alternativi utilizzabili per il confronto in una sperimentazione controllata - presupposti fisopatologici e farmacologici sufficientemente forti, tali da rendere credibili i risultati

    favorevoli della sperimentazione. Sperimentazione controllata, non randomizzata

    Il trattamento sperimentale viene assegnato a tutti o ad una parte dei pazienti eligibili consecutivamente osservati. Esiste un gruppo di pazienti trattati in altro modo, che servono come controlli, arruolati con procedure diverse:

  • - controlli paralleli: esiste un gruppo trattato in modo alternativo, ma lattribuzione dei paziente al gruppo non avviene in modo casuale;

    - controlli storici; - controlli da banche dati.

    La perfetta comparabilit tra i pazienti cui viene somministrato il trattamento sperimentale ed i controlli non pu mai essere del tutto accettata.

    I problemi che nascono da tali tipi di controlli riguardano la combinazione di studi retrospettivi e prospettivi a causa dei quali non in genere possibile eliminare i possibili bias dovuti a fattori variabili nel tempo. L'utilizzazione di controlli storici produce risultati mediamente pi favorevoli rispetto al trial randomizzato (SACKS et al. 1982); l'uso dei controlli storici pu essere giustificato solo in poche situazioni controllate di condizioni relativamente rare, come ad esempio valutazione dei trattamenti per tumori in stadio avanzato.

    Un esempio ben noto di studio non randomizzato quello relativo ai possibili benefici di supplementi di vitamine nel momento del concepimento in donne ad alto rischio di avere un bambino con difetti alle tube neurali (SMITHELLS et al. 1980); i ricercatori trovarono che il gruppo che aveva assunto vitamine ha avuto meno bambini con difetti neurali rispetto al gruppo di controllo con placebo. Il gruppo di controllo includeva sia donne non eligibili per il trial sia donne che avevano rifiutato la partecipazione Sperimentazione controllata e randomizzata (RCT)

    Si tratta della sperimentazione pi frequentemente utilizzata e che fornisce le massime garanzie di oggettivit ed attendibilit. Dopo aver individuato i pazienti eligibili si procede all'assegnazione ai gruppi in modo randomizzato. Un gruppo, definito gruppo trattato, viene sottoposto al trattamento sperimentale; l'altro gruppo, detto di controllo, viene trattato con metodi alternativi (trattamento gi noto o placebo). Al termine di un periodo prestabilito si osserva il decorso clinico di entrambi i gruppi e si testano statisticamente i risultati ottenuti.

    Ladozione di un farmaco di confronto gi noto o di una sostanza farmacologicamente inerte (placebo) dipende dalla natura della patologia studiata; ladozione di un placebo, in particolare, consente di controllare gli effetti positivi dovuti al semplice fatto di effettuare un trattamento, il cosiddetto effetto placebo, e di osservare, in condizioni di studio parallelo, le variazioni spontanee di un fenomeno morboso (FAVILLI, 1988). Il fatto che un gruppo di soggetti malati possa, a causa dellattribuzione casuale ad uno dei gruppi, subire un trattamento con una sostanza inerte, o, comunque, non il migliore trattamento possibile, comporta alcuni evidenti problemi etici. Viene infatti palesemente contraddetto il principio giuridico e deontologico del neminem ledere, secondo il quale il medico non pu in alcun modo ledere lintegrit psicofisica del suo paziente o consentire, con il suo mancato intervento, che ci possa accadere. Daltro canto, la sperimentazione clinica trova origine dallesigenza etica del medico di acquisire nuove conoscienze terapeutiche tali da consentirgli di curare in modo migliore i sui pazienti futuri. La contrapposizione di questi due principi raggiunge una forma di equilibrio privilegiando, nellambito della sperimentazione, una etica collettiva, cio un comportamento tale da consentirgli di apportare notevoli miglioramenti al trattamento dei malati futuri, e, per quanto riguarda i pazienti trattati con placebo, una etica individuale, consistente nellinterrompere il trattamento il pi tempestivamente possibile, ovvero non appena appropriate analisi intermedie facciano comprendere la validit del nuovo trattamento oppure la sua tossicit o non efficacia. Inoltre, nel caso le condizioni cliniche del paziente lo richiedano, il medico sperimentatore in grado, in ogni momento, di venire a conoscienza del tipo di trattamento somministrato e quindi di comportarsi di conseguenza. Naturalmente il paziente deve essere informato di essere entrato a far parte di una sperimentazione clinica; sar perci indispensabile che preventivamente il medico lo renda edotto del tipo di patologia di cui affetto, della sua probabilit di guarigione, del tipo di sperimentazione cui dovr partecipare e quindi di tutti i problemi ed i rischi che questa comporta. Il paziente dovr inoltre essere informato che ha la facolt di interrompere in qualunque momento la sua partecipazione alla sperimentazione avviata. Solo a questo punto il paziente potr, se vorr, firmare il modulo relativo al consenso informato.

    La non conoscenza del tipo di trattamento che somministrato a ciascun paziente viene indicata con il termine di cecit. Pu essere singola, ovvero il paziente ignora il trattamento che gli viene somministrato, doppia, lo ignorano il paziente ed il medico o tripla, lo ignorano paziente, medico e statistico. La cecit utilizzata per eliminare i bias psicologici dovuti alla conoscenza del trattamento e della sua assegnazione ed uno degli indicatori utilizzati per valutare la qualit di un trial. La cecit indispensabile quando gli end-

  • point implicano un certo margine di soggettivit, come nel caso di interpretazione di imaging, oppure l'intensit o la presenza di sintomi come il dolore.

    In fase di progettazione della ricerca, un aspetto importante costituito dalla definizione a priori della numerosit campionaria, stabilita sulla base degli errori di primo e secondo tipo, della risposta che ci si attende e della variabilit. Tale numerosit deve essere stimata tenedo anche conto della necessit di compensare le eventuali perdite al follow-up (drop-out).

    La registrazione e la comunicazione delle sospensioni del trattamento e dei drop-out forniscono informazioni essenziali sulla tollerabilit del trattamento stesso e sulla capacit degli sperimentatori di mantenere la compliance dei pazienti.

    La frequenza dei drop-out un problema importante, perch questi non si distribuiscono casualmente allinterno dei gruppi considerati, ma, al contrario, si concentrano fra i soggetti che trovano meno giovamento dal trattamento ricevuto; la valutazione finale perci, per essere corretta ed oggettiva, opportuno che sia basata su tutti i soggetti che allinizio dello studio ci si era riproposto di trattare (intention to treat principle), eventualmente considerando i drop-out come soggetti con risposta negativa.

    Lesigenza di effettuare la randomizzazione deriva dalla necessit di prevenire bias di selezione dei pazienti. Inoltre questa procedura consente di utilizzare le tecniche proprie dellinferenza statistica per valutare, a fine follow-up, se le differenze osservate fra i risultati ottenuti con i vari trattamenti siano attribuibili al caso o ad una reale diversa efficacia terapeutica.

    Il termine random non significa "per caso" ma indica una precisa tecnica. Per allocazione casuale si intende che ogni paziente ha una probabilit conosciuta, in genere costante ed uguale, di essere assegnato ad un trattamento; ci pu avvenire secondo varie procedure gi in passato sommariamente trattate in questa rubrica (v. NOFRONI 2000). Randomizzazione casuale semplice

    Si determina il trattamento per ogni paziente casualmente senza nessun vincolo (uguale allocazione tra i gruppi). Se i gruppi sono due, tale procedura equivale ad assegnare i soggetti sulla base del lancio di una moneta. E una procedura raramente applicabile, perch presuppone una estrema omogeneit del collettivo campionato. Randomizzazione in blocchi

    Un blocco consiste in un numero specificato a priori di pazienti, tutti arruolati nello stesso tempo e assegnati ai vari trattamenti in studio in modo da soddisfare il rapporto di allocazione prestabilito. Si utilizza quando si vuole assicurare il bilanciamento nel numero di allocazioni fatte per i vari gruppi di trattamenti. Per esempio, se consideriamo i soggetti in blocchi di 4, ci sono solo 6 modi in cui due soggetti potranno venire assegnati al trattamento A e due al trattamento B:

    A A B B A B A B A B B A B B A A B A B A B A A B Si scelgono i blocchi random per creare la sequenza delle allocazioni.

    Il numero nei due gruppi in ogni tempo non pu differire di oltre la met della lunghezza del blocco. La dimensione del blocco in genere un multiplo del numero dei trattamenti. Grandi blocchi dovrebbero essere evitati, in quanto si controlla meno il bilanciamento Randomizzazione stratificata

    I fattori prognostici che verosimilmente condizionano l'esito terapeutico, possono essere bilanciati tra i vari gruppi. Il metodo di produrre una lista randomizzata separata in blocchi per ogni sottogruppo (strato). Per esempio in uno studio per comparare due trattamenti alternativi per il tumore della mammella potrebbe essere importante stratificare secondo lo stato di menopausa.

    Si devono costruire due liste separate di numeri casuali per le donne in premenopausa e postmenopausa. E essenziale che l'allocazione stratificata del trattamento sia basata sulla randomizzazione in blocchi all'interno di ogni strato piuttosto che la randomizzazione semplice, altrimenti non c' controllo del bilanciamento.

    Nellambito degli studi RCT, si possono individuare due grandi categorie di disegni sperimentali. Entro pazienti

    Negli studi entro pazienti (o cross-over) i soggetti trattati fanno parte di un unico gruppo sperimentale e ad ogni paziente vengono somministrati alternativamente tutti i trattamenti. In questo caso randomizzata la sequenza con cui ciascun trattamento viene somministrato a ciascun paziente.

    Questo disegno in genere utilizzato quando la malattia cronica e relativamente stabile, ad esempio asma, ipertensione, disturbi del sonno, angina, diabete, epilessia. Il vantaggio principale di questo disegno di studio la sua efficienza, poich elimina la maggior parte degli errori dipendenti dalla variabilit

  • biologica individuale, infatti ogni soggetto il controllo di s stesso. Conseguenza diretta di questa efficienza, la possibilit di poter utilizzare una numerosit campionaria ridotta rispetto al disegno tra pazienti. Un altro potenziale vantaggio la possibilit di studiare le reazioni individuali al trattamento.

    Le limitazioni di questi studi riguardano limpossibilit di essere utilizzati per processi patologici che evolvono in tempi brevi e la possibile sommazione degli effetti farmacologici (carry-over); a tal fine opportuno prevedere un periodo in cui verosimilmente l'effetto residuo del trattamento viene eliminato, detto periodo di wash out (letteralmente: lavaggio).

    Come conseguenza di tali vantaggi e svantaggi i disegni cross-over vengono usati prevalentemente per studi di fase I e fase II, oppure per studi di bioequivalenza. Tra pazienti

    Il numero di gruppi sperimentali pari al numero dei trattamenti somministrati e ad ogni paziente viene somministrato un solo trattamento.

    Una particolare importanza riveste la definizione degli obiettivi dello studio (end-point) e la scelta della variabile risposta. Lidentificazione della variabile risposta deve essere motivata in funzione delle caratteristiche della patologia studiata, indicando il tipo di variabile, qualitativa o quantitativa, e la pertinente legge di distribuzione.

    Per trattamenti in pazienti con malattia clinicamente misurabile, possono scegliersi come end-point primari alcune manifestazioni oggettive quali, ad esempio, frequenza delle risposte documentate, loro durata ed entit, tempo intercorso tra inizio trattamento ed eventuale decesso, tempo libero da malattia, ecc.

    Per malattie a decorso cronico l'efficacia del trattamento si misurata generalmente su end-point secondari (tossicit, effetti collaterali, qualit della vita, valutazione dello stato di malattia).

    PROTOCOLLO DELLO STUDIO

    La pianificazione di una sperimentazione clinica comporta la stesura di un documento, detto Protocollo dello studio, nel quale devono essere riportati, in dettaglio, tutti gli aspetti caratterizzanti la ricerca che ci si ripropone di intraprendere, al fine di poter comunicare le caratteristiche della stessa ai vari ricercatori e standardizzarne le procedure sperimentali. Per sperimentazioni particolarmente complesse anche consigliabile la stesura di un manuale operativo e la sintesi dellintero processo sperimentale in un diagramma di flusso (flow-chart). Esemplificando, i punti che dovrebbero essere trattati in un protocollo completo e corretto, sono i seguenti:

    - Introduzione - Valutazione dei risultati ottenuti sugli animali - Motivazione clinica - Obiettivi primari e secondari - Criteri di arruolamento dei pazienti - Eticit - Consenso informato - Durata del trattamento - Stima del numero di drop-out - Calcolo a priori della numerosit campionaria - Procedura di randomizzazione - Descrizione del trattamento - Definizione del disegno sperimentale - Definizione dei criteri di valutazione - Cecit - Schede di rilevazione - Gestione dei dati - Esami al tempo basale - Analisi intermedie - Analisi finali - Elaborazioni statistiche - Conclusioni finali

  • - Bibliografia VALUTAZIONE DELLA QUALIT

    La qualit di un trial di ovvia rilevanza sia per lo studio in esame che per le revisioni sistematiche (o metanalisi). Se i dati di base e il razionale scientifico della ricerca non sono consistenti, ne consegue che anche linterpretazione dei risultati risulter distorta. La validit dei risultati generati di uno studio una dimensione importante della qualit. La qualit un concetto multidimensionale che pu riguardare il disegno, la conduzione e l'analisi di un trial oppure la qualit del reporting. Spesso queste fasi non vengono descritte accuratamente dagli Autori dello studio, a tal fine un gruppo internazionale di studiosi ha sviluppato, intorno agli anni 90, una procedura, lo schema CONSORT (Consolidated Standards of Reporting Trial); tale schema comprende una lista di controllo e un diagramma di flusso al quale dovrebbero adattarsi tutti i trial clinici. Questo strumento in evoluzione poich viene sottoposto a continue revisioni, lultima apparsa nel 2001 (MOHER et al.). In sintesi si dovrebbero controllare i seguenti items al fine di poter valutare se lo studio stato condotto in modo adeguato oppure no:

    - buon disegno dello studio con background scientifico e spiegazione del razionale; - determinazione della numerosit campionaria; - schema di randomizzazione; - metodi statisticici; - compliance dei soggetti; - dati basali; - outcome primari e secondari; - eventi avversi; - interpretazione e generalizzazione dei risultati; - interpretazione generale in base alle evidenze correnti: - per malattie a decorso cronico l'efficacia del trattamento misurata su end-point surrogati.

    Campbell (1957) e Campbell & Stanley (1963) proposero una distinzione tra validit interna ed

    esterna. La validit interna riferita alla minimizzazione dei possibili bias di conduzione del trial,

    individuabili nelle quattro seguenti categorie: - bias di selezione: allocazione distorta dei soggetti in fase di randomizzazione; - bias di performance: fruizione di cure non omogenee; - bias di individuazione: valutazione errata dell'outcome; - bias di attrito: deviazioni dal protocollo e perdite al follow-up.

    La validit esterna basata sulla possibilit di generalizzare i risultati di un trial clinico ad altri collettivi diversi da quello in studio. Le caratteristiche da considerare riguardano:

    - i pazienti: et, sesso, gravit della malattia, fattori di rischio, comorbidit; - il regime di trattamento: dosaggio, tempi e modi di somministrazione, tipo di trattamento all'interno

    di una classe di trattamento, trattamenti concomitanti; - il setting: livello delle cure, esperienza e specializzazione medica; - la valutazione del - risultato: tipo di definizione dei risultati e durata del follow-up.

    4) TEORIA E PRATICA DELLINFERENZA STATISTICA

    Nellambito dellinferenza statistica, ovverosia, dell'insieme di tecniche statistiche che consentono di estendere probabilisticamente i risultati parziali desunti dal campione allintera popolazione, si possono individuare due principali problematiche: a) verifica di ipotesi statistiche riguardanti la validit o meno di determinate assunzioni; b) stima dei parametri ignoti di una popolazione. VERIFICA DI POTESI

  • Concettualmente il processo di verifica delle ipotesi consiste nello stabilire se una assunzione fatta possa essere considerata accettabile o meno, sulla base delle informazioni raccolte su una campione, ovvero solo su una parte delle unit statistiche della popolazione oggetto di studio. Essa trova nel test statistico lo strumento basilare intorno al quale ruota tutta la logica di questo tipo di studi. Pu essere utile, schematicamente, individuare quattro distinte fasi operative: 1) DEFINIZIONE DELLE IPOTESI 2) DEFINIZIONE DEL RISCHIO DI ERRORE 3) SCELTA DEL TEST 4) DECISIONE FINALE Analizziamole in dettaglio. 1) DEFINIZIONE DELLE IPOTESI Lo studioso che vuole applicare i test statistici per prima cosa deve formulare lipotesi di partenza su cui lavorare. Ma occorre precisare che tale ipotesi statistica , in genere, ben diversa dallipotesi sperimentale che alla base della ricerca. Lipotesi statistica infatti basata sul presupposto che non ci sia alcuna differenza fra i gruppi messi a confronto per il carattere oggetto di studio; per questo motivo viene appunto indicata come Ipotesi nulla (H0). Se sussisteranno motivi per ritenere tale ipotesi non attendibile, si dovr adottare una seconda ipotesi, alternativa alla prima, che viene appunto definita Ipotesi alternativa (H1), secondo la quale i gruppi messi a confronto sono diversi tra loro per il carattere preso in esame. Se, ad esempio, si volesse valutare quale fra due diverse diete possa dare migliori risultati a livello di accrescimento ponderale, si potrebbero costituire due campioni omogenei cui somministrare le due diete, con il presupposto di valutare, dopo un adeguato periodo di tempo, quale avr avuto migliore esito. Lipotesi nulla di partenza sar che le due diete portano alle stesse variazioni ponderali medie (a meno di differenze dovute a fattori casuali); se ci sar motivo per rifiutare tale ipotesi, si accetter lipotesi alternativa secondo la quale le due variazioni medie sono diverse e quindi una dieta migliore dellaltra. 2) SCELTA DEL RISCHIO DI ERRORE Poich in statistica inferenziale non potranno esserci conclusioni certe, ma solo probabilistiche, sar necessario fissare a priori il rischio di errore che lo studioso disposto ad accettare nel respingere lipotesi nulla quando questa in realt vera. Tale rischio di errore (detto errore di prima specie) viene convenzionalmente indicato con e classicamente posto uguale a 0.05 (o un valore inferiore, come 0.025, 0.01...). In pratica lo studioso disposto a giungere ad una conclusione errata una volta su venti. Definito lerrore di prima specie, in alcune ricerche pu essere necessario definire anche lerrore di seconda specie () cio la probabilit di accettare lipotesi nulla quando questa errata; il valore di generalmente fissato fra 0.10 e 0.20. In realt, essendo gli errori e inversamente proporzionali tra loro, appare evidente che, fissato luno, immediatamente determinato anche laltro. Entrambi per sono funzione della numerosit campionaria e pertanto, laddove opportuno e possibile, si fissano a priori e ed in funzione di questi rischi di errore e di altre informazioni a priori, si calcola con un processo inverso la numerosit campionaria ideale, in grado cio di rendere significativa (v. fase 4) la differenza fra i gruppi che si sono presi in considerazione. 3) SCELTA DEL TEST I test statistici sono molteplici (v. Tab. 1) e al profano che legge una pubblicazione scientifica pu a volte sembrare che lo statistico faccia una specie di slalon fra i test alla ricerca di quelli che meglio supportino le teorie che vuole dimostrare. In realt non cos: la scelta del test basata su una molteplicit di fattori e conoscenze a priori. 1) Tipo di verifica da effettuare: sulla dipendenza tra variabili, sul confronto tra medie, sul confronto tra varianze, sulla simmetria della distribuzione dei dati, ecc.

    E' necessario inoltre distinguere il caso di confronti tra campioni indipendenti (confronto tra gruppi diversi, come nel caso di studi tra pazienti), e tra campioni dipendenti (quando cio un gruppo di soggetti viene seguito e studiato in tempi diversi, come negli studi entro pazienti o crossover). In quest'ultima

  • situazione la variabile oggetto di studio generalmente data dalla differenza fra il valore che si riscontra al tempo basale ed il corrispondente valore al tempo 1, al tempo 2, ecc. (test per dati appaiati).

    2) Conoscenza, o meno, delle caratteristiche della distribuzione che la variabile oggetto di studio presenta nella popolazione. Sono principalmente due le informazioni richieste: la conoscenza della forma della distribuzione, se segue cio la distribuzione normale o meno, e la conoscenza della variabilit della popolazione, calcolata con un opportuno indice detto standard deviation ().

    Disponendo delle informazioni su queste caratteristiche della variabile oggetto di studio si potr decidere quale tipo di test sia opportuno applicare: se tali caratteristiche saranno conformi a determinati assunti, si potranno applicare i cosiddetti test parametrici; in mancanza delle conoscenze a priori, o nel caso queste non soddisfino i suddetti assunti, si potranno applicare i test non parametrici (anche detti distribution free), meno potenti dei precedenti, ma che hanno il pregio di poter essere applicati facilmente e senza il timore di basarsi su ipotesi non sufficientemente verificate. 3) Numerosit del campione.

    A tutti noto che quanto pi il campione grande tanto pi il test fornisce risultati attendibili, nondimeno esistono dei test particolarmente adatti a piccoli campioni come il test esatto di Fisher, il test t di Student ecc. E opportuno precisare che vengono classicamente definiti piccoli campioni quelli che hanno una numerosit inferiore alle 30 unit, ma la numerosit ideale dipende comunque dagli scopi della ricerca e dalle caratteristiche delle tecniche statistiche utilizzate; ad es. applicando metodi statistici multivariati necessaria come minimo una numerosit campionaria di alcune centinaia di unit statistiche. 4) Tipo di scala con cui espressa la variabile oggetto di studio. Le scale pi comunemente utilizzate sono le tre seguenti: a) scala nominale: il carattere qualitativo oggetto di studio si presenta secondo qualit diverse per le quali non previsto un ordine di successione precostituito. Appartengono a questo gruppo ad esempio la nazionalit (pu essere italiana, francese, spagnola), la professione (medico, avvocato, architetto ecc.), il sesso (maschio o femmina), l'esito di un trattamento (guarito e non guarito) e cos via. Utilizzando tale scala lunica relazione che pu essere instaurata tra le unit statistiche di uguaglianza o di diseguaglianza, senza poter precisare n la grandezza n la direzione di tale diseguaglianza. E opportuno precisare che eventuali codici numerici attribuiti convenzionalmente a tali qualit (come ad es. i codici attribuiti dallIstat alle varie forme morbose) hanno solo la funzione di etichette e non possono in alcun modo essere elaborati matematicamente. Per questo tipo di variabili si possono utilizzare solo test che si basano sulle frequenze come ad esempio confronto tra conteggi, confronto tra proporzioni, test chi quadro, test di Mc Nemar ecc. b) scala ordinale: il carattere qualitativo oggetto di studio si presenta secondo modalit per le quali esiste un ordine di successione precostituito; ne sono esempio i mesi dellanno (gennaio, febbraio, marzo), il livello di scolarit (analfabeta, elementari, media inferiore, media superiore, laurea), una graduatoria (primo, secondo, terzo ), il livello sociale (basso, medio, alto). Si possono avere anche caratteri quantitativi che per, per comodit, vengono sintetizzati su scala ordinale: ad es. let, comunemente espressa in anni, pu anche essere espressa come carattere qualitativo: neonato, adolescente, giovane, anziano ecc. Utilizzando tale scala possibile classificare le unit statistiche con concetti di uguale, maggiore o minore, ma anche in questo caso senza poter quantizzare lentit della diversit, infatti due posizioni successive non sono necessariamente equidistanti tra loro; ad es. in una corsa ciclistica il secondo arrivato potr avere il distacco di un minuto dal primo, ma il terzo potrebbe giungere a cinque minuti dal secondo. Con variabili di questo tipo si possono utilizzare sia test che si basano sulle frequenze che sui ranghi (posizione assunta in una graduatoria). c) scala a intervalli: la variabile considerata si presenta con diversi valori numerici; ne sono esempi let, il peso, il reddito, il volume toracico ecc. Tali valori per comodit vengono frequentemente raggruppati in classi (60 70 kg.; 70 80 kg. ecc). Le scale ad intervalli godono di due propriet: esiste un ordinamento naturale delle modalit in quanto queste sono espresse da valori numerici; esiste una unit di misura ed quindi sempre possibile calcolare la distanza tra le unit statistiche, rispetto al carattere considerato, semplicemente effettuando la differenza fra i valori assunti da tali unit. Si tratta in questo caso di variabili che forniscono le maggiori informazioni sui fenomeni oggetto di studio e pi gestibili dal punto di vista matematico formale; su queste pu essere applicato qualunque tipo di test statistico.

  • 4) DECISIONE FINALE Lelaborazione del test statistico porter come risultato un valore del test stesso che a sua volta individuer una probabilit (p): la probabilit che il risultato ottenuto si sia verificato per solo effetto del caso; appare quindi logico pensare che se tale probabilit grande si possa attribuire appunto al caso la diversit che si osservata fra i gruppi messi a confronto (plausibilmente a quanto affermato nell'ipotesi nulla), mentre se molto piccola si possa ritenere che non sia stato il caso a determinare il risultato, ma questo sia stato determinato da qualche altro fattore (come riportato nell'ipotesi alternativa).

    Emerge quindi la necessit di un criterio oggettivo ed univoco per stabilire quando una probabilit possa definirsi piccola o grande; il problema si risolve con il confronto del valore p trovato con la probabilit dellerrore di prima specie ; se risulter p > , dove, come detto, generalmente = 0.05, si sar ottenuto un risultato che probabile si sia verificato per effetto del caso ed quindi plausibile considerare valida lipotesi nulla di eguaglianza. Al contrario, se risulter p < , si sar ottenuto un risultato che appare poco probabile essere dovuto al caso e quindi non coerente con lipotesi nulla prefissata. L'ipotesi nulla verr quindi rifiutata, lo studioso adotter lipotesi alternativa (secondo la quale la diversit tra i gruppi reale) ed il risultato verr definito significativo. Operativamente sar sufficiente, ricorrendo alle tavole relative al test utilizzato, confrontare il il valore del test con il valore che, sulle tavole, individua la probabilit prefissata (valore soglia); se il valore del test sar maggiore del valore soglia individuer una p inferiore ad per cui si respinger lipotesi nulla. Nel caso contrario, ovverosia quando il valore desunto dal test risulter inferiore al valore soglia, la probabilit p sar superiore ad , quindi si sar ottenuto un risultato che probabile sia dovuto al caso, per cui si accetter lipotesi nulla. E' opportuno precisare che il valore del test inversamente proporzionale alla probabilit che il valore stesso individua, ovvero quando il test fornir un valore grande individuer una p piccola e viceversa. APPLICAZIONI Esempio 1 Si vuol valutare se ci sia una diversa propensione al tabagismo nei due sessi; a tale scopo si sono costituiti due gruppi (campioni in linguaggio statistico) di maschi (nM = 44) e di femmine (nF = 38), omogenei tra di loro (se ci fossero rilevanti diversit di et, cultura, livello sociale ecc., leventuale diversa propensione al tabagismo potrebbe essere attribuita a tali fattori).

    Lipotesi nulla di partenza di indipendenza (la propensione al tabagismo non dipende dal sesso) contro una ipotesi alternativa di dipendenza (la propensione al tabagismo dipende dal sesso). Il rischio di errore fissato come di consueto al 5 % (= 0.05). Volendo valutare la dipendenza tra due caratteri qualitativi, il test da adottare il Chi quadro; se la casistica fosse stata poco numerosa (n < 40) o fossero risultate frequenze teoriche molto piccole (< 5), sarebbe stato preferibile il test esatto di Fisher. Il valore del Chi quadro calcolato risulta pari a 4.6; utilizzando le relative tavole si osserva che per = 0.05 e gradi di libert = 1, il Chi quadro teorico pari a 3.841. Il nostro valore supera il valore soglia e di conseguenza individua un risultato che presenta una probabilit di verificarsi inferiore ad . L'ipotesi nulla di partenza non appare plausibile, quindi la respingiamo e adottiamo in sua vece l'ipotesi alternativa: i due sessi sembrano avere una diversa propensione nei confronti del tabagismo; tale affermazione ha una probabilit dello 0.05 di essere errata. Esempio 2 Si vuole valutare se il quoziente di intelligenza (QI) degli studenti con maturit scientifica sia diverso da quello degli studenti con maturit classica. A tale scopo si costituiscono due campioni omogenei, ciascuno di 21 individui, estratti casualmente fra gli studenti che hanno conseguito la maturit nel 1998 nei due tipi di scuola. Viene misurata con un opportuno metodo il QI dei due campioni, ottenendo i seguenti risultati: Maturit scientifica Maturit classica Media (QI) 108 114

  • Varianza (QI) 70 86 E' noto che il QI si distribuisce in modo approssimativamente normale. Il campione piccolo e pertanto il test da adottare per il confronto delle due medie il test t di Student per campioni indipendenti. Per poterlo utilizzare per necessario preliminarmente testare l'omogeneit delle varianze (verificare cio che le varianze non siano significativamente diverse) tramite il test F di Fisher.

    H0: le varianze sono uguali H1: la varianza degli studenti provenienti dal classico maggiore di quella dei provenienti dallo scientifico Si pone inoltre = 0.05 86 Si ottiene F = ---------- = 1.22

    70

    Essendo 1.22 < F = 2.12 (rispettivamente con 20 e 20 gradi di libert), si evince che il nostro risultato cade nell'area di accettazione dell'ipotesi nulla e pertanto si pu concludere che le due varianze sono omogenee tra loro: corretto l'uso del test t. Se cos non fosse stato sarebbe stato necessario effettuare una trasformata della variabile o utilizzare un test non parametrico.

    Si passa quindi al test t di Student per campioni indipendenti. H0: le due medie sono uguali H1: le due medie sono diverse = 0.05 Si ottiene t = 2.201. Poich il valore del t teorico (per 40 gradi di libert) pari a 2.02, il valore da

    noi trovato supera il valore soglia e ci induce a respingere l'ipotesi nulla. Il QI degli studenti con maturit scientifica sembra essere diverso da quello degli studenti con maturit classica. Naturalmente da questi dati non possibile stabilire se sia il tipo di liceo a determinare una modificazione del QI, o ci sia una autoselezione all'origine, per cui i ragazzi con il QI maggiore optano con maggiore frequenza per il liceo classico. Esempio 3

    Il questionario Faces II fu realizzato da Olson, Portner e Bell al fine di studiare le dinamiche familiari; costituito da trenta domande, ciascuna delle quali prevede come risposta un punteggio da 1 a 5 che esprime la frequenza con cui, secondo l'intervistato, accade l'evento enunciato nella domanda (dove 1 = quasi mai, , 5 = quasi sempre).

    Selezionato nell'ambito di una ricerca infermieristica un campione di 200 famiglie, il Faces II fu somministrato comparativamente a due membri di ciascuna famiglia, uno giovane (25 < et < 50) ed uno anziano (> 65), al fine di evidenziare eventuali differenze di giudizio.

    Considerata una singola domanda (ad es. la n. 7: "Nella nostra famiglia si fanno le cose insieme") si pone il problema di come valutare statisticamente le risposte.

    Un primo approccio pu consistere nel calcolare rispettivamente il punteggio medio fornito dai giovani e dagli anziani e di testarne la relativa differenza:

    Media (giovani) = 4.6 Media (anziani) = 5.3

    Per la scelta del test occorre tener conto che: 1) le risposte ottenuti si presentano secondo una distribuzione non conforme alla distribuzione normale (o di Gauss), ma sono anzi vistosamente asimmetriche; il campione comunque molto ampio, il che tende a rendere normale la distribuzione campionaria delle medie. 2) i punteggi forniti non individuano una variabile quantitativa, ma soltanto una scala ordinale; 3) membri della stessa famiglia si pu presumere che forniscano risposte fondamentalmente simili, quindi si sia di fronte a dati dipendenti (detti anche dati appaiati).

  • Alla luce di quanto sopra, si ritiene che il corretto test da adottare per confrontare le due medie sia il test non parametrico di Wilcoxon che utilizza i ranghi (posizione assunta in una graduatoria).

    H0: la media dei punteggi forniti dai giovani non diversa da quella dei punteggi forniti dagli anziani.

    H1: la media dei punteggi forniti dai giovani diversa da quella dei punteggi forniti dagli anziani. = 0.05.

    Poich il test di Wilcoxon fornisce un valore che non supera il valore soglia, si decide di accettare l'ipotesi nulla e di affermare quindi che la media dei punteggi non sembra essere diversa fra giovani ed anziani.

    In alternativa si pu calcolare la Statistica K che calcola il livello di concordanza fra le risposte fornite dai giovani e dagli anziani, con K compreso fra 0 (minimo) e 100 (massimo). Nel nostro caso si trovato un valore pari al 47 % che sta ad indicare un discreto livello di concordanza. Tale risultato pu essere testato utilizzando il test Z.

    H0: K = 0 H1: K > 0 = 0.05. Poich Z = 2.25 > Z = 1.65 si pu respingere l'ipotesi nulla, accettare l'ipotesi alternativa ed

    affermare che il valore della concordanza espressa dalla statistica K non sembra dovuto al caso. LA STIMA DEI PARAMETRI Dopo la verifica di ipotesi, un'importante area dell'inferenza statistica quella relativa alla stima dei parametri ignoti della popolazione. Lo studioso infatti si pone l'obiettivo di ottenere, con i dati parziali ottenuti dal campione, informazioni attendibili in merito alla popolazione da cui il campione stesso stato estratto; il valore che un certo fenomeno assume nella popolazione viene detto parametro e il corrispondente risultato desunto dai dati campionari si pu considerare una sua stima. Definita la variabile di interesse (ad esempio X = pressione arteriosa sistolica) e prendendo in considerazione, a puro scopo esemplificativo, il parametro media aritmetica della popolazione, convenzionalmente indicata con la lettera greca , la corrispondente stima sar fornita dalla media aritmetica campionaria. Questa tipo di stima viene detta stima puntuale, in quanto rappresenta un valore preciso, graficamente identificabile in un punto collocato sull'asse delle ascisse all'interno del range di dispersione dei valori campionari. Questa stima ha per il limite che lo studioso non ha alcun modo di valutarne l'attendibilit: potrebbe infatti trattarsi di una stima molto vicina al valore ignoto , e quindi del tutto attendibile, oppure molto lontana da esso, risultando quindi fuorviante. Per superare questo problema, viene utilizzato un altro tipo di stima, detta stima intervallare (o intervallo di confidenza); questo metodo consente di affermare che la media ignota compresa in un intervallo noto con una probabilit prefissata. Fissata infatti a priori la probabilit di errore , la stessa cha abbiamo visto nell'ambito della verifica di ipotesi essere identificata come probabilit dell'errore di primo tipo, immediatamente definita la probabilit che l'intervallo definito comprenda , pari ad 1 - . Pertanto se = 0.05 sar 1 - = 0.95. Sar quindi

    Prob { M - ES < < M + ES} = 0.95 Dove M = media campionaria

    ES = errore standard (errore medio che si commette stimando con la media campionaria) dato dalla deviazione standard campionaria o della popolazione, se nota) diviso radice di n (n = numerosit campionaria) = valore della distribuzione Z o della distribuzione t (dipende dalle caratteristiche dello studio) che delimita nelle due code della distribuzione un'area totale pari ad

  • Mi accorgo con orrore che ho bruscamente tradito il mio proposito, fin qui rispettato, di divulgare la metodologia statistica senza appesantirla, per quanto possibile, con simboli e formule; credo per di dover fare una eccezione in questo caso, perch la suddetta formula, peraltro non terribile, se ben compresa consente importanti riflessioni. Se ad esempio a seguito di uno studio risultasse che i soggetti trattati con un determinato farmaco presentano, con la probabilit del 95 %, una pressione sistolica compresa tra un minimo 120 ed un massimo di 160 mm di mercurio, lo studioso sarebbe giunto ad una conclusione del tutto ovvia e per nulla conclusiva. Potrebbe riproporsi perci di modificare le caratteristiche dello studio per ottenere un intervallo meno ampio.

    Un intervento potrebbe consistere nell'aumentare , perch cos facendo sarebbe minore (sia che si utilizzi la distribuzione Z che la t) e quindi l'intervallo pi piccolo; questo comporterebbe per un aumento del rischio di errore, appunto identificato da , e quindi si otterrebbe una maggiore precisione a scapito di una minore sicurezza.

    Altra soluzione potrebbe consistere nell'aumentare la numerosit campionaria n: infatti nella formula dell'errore standard aumenterebbe il denominatore con conseguente diminuzione dell'errore standard stesso e quindi della variabilit. E' questa naturalmente la soluzione ottimale, ma opportuno ricordare che un aumento della dimensione del campione comporta quasi sempre costi e/o tempi maggiori. Inoltre nella formula dell'errore standard n si trova sotto radice, quindi ad un eventuale raddoppio della numerosit campionaria non corrisponde un dimezzamento dell'errore standard: se, ad esempio, con un campione di 25 unit si fosse ottenuto un ES = 20, raddoppiando il campione si otterrebbe un ES = 14.14 con una diminuzione quindi di poco superiore al 25 %. Non ritengo opportuno, in questa sede, precisare i passaggi logici e formali che consentono di arrivare alla definizione dell'intervallo di confidenza, giover per ricordare che questa metodica, come anche quella relativa alla verifica di ipotesi, basata sulla conoscenza della distribuzione normale (o di Gauss) che svolge un ruolo fondamentale in gran parte delle tecniche relative all'inferenza statistica. CALCOLO DELLA NUMEROSITA CAMPIONARIA

    Posto che in uno studio clinico tendente a valutare dell'efficacia di un certo trattamento la risposta terapeutica possa essere individuata nella variazione media (ad esempio: prima e dopo la cura) di una certa variabile presa in esame, per poter stabilire a priori la numerosit campionaria necessaria per portare a termine la ricerca in modo soddisfaciente, cio dimostrando la validit del trattamento, necessario disporre di quattro informazioni: errore (o errore di primo tipo): probabilit di ritenere efficace il trattamento mentre in realt la

    variazione osservata solo casuale; errore (o errore di secondo tipo): probabilit di ritenere la variazione dovuta al caso mentre in realt

    conseguenza del trattamento; differenza media clinicamente rilevante (); deviazione standard () delle differenze prima/dopo. Le prime due informazioni sono facilmente disponibili, in quanto le determina, a priori, il ricercatore: l'errore classicamente viene posto pari a 0.05, mentre l'errore oscilla, in genere, tra 0.10 e 0.20. Le ultime due informazioni creano qualche problema in pi perch sarebbero dati desumibili solo dall'esperienza, cio dopo aver portato a termine la ricerca. Nella pratica viene preliminarmente condotto uno studio pilota (cio su un numero limitato di soggetti) e sulla base dei risultati ottenuti vengono stimate le due informazioni mancanti. E' inoltre possibile, in corso di sperimentazione, ritarare la numerosit campionaria sulla base dei dati raccolti in itinere.

    E' opportuno precisare che la differenza media individuata deve necessariamente essere clinicamente rilevante, cio tale da costituire un risultato valido e soddisfacente dal punto di vista clinico, sia in assoluto che in confronto di pratiche terapeutiche similari. Avrebbe poco senso, infatti, proporre una terapia poco efficace o comunque meno valida di altre terapie note, a meno che in essa non si individuino rilevanti vantaggi a livello di tempi e/o costi di produzione, nonch di controindicazioni ed effetti collaterali.

  • Vogliamo infine ricordare, dal punto di vista statistico, che quanto pi la variazione media ottenuta modesta, tanto pi il campione tendente a dimostrare la validit del trattamento deve essere numeroso; la necessit di dover disporre di una casistica particolarmente ampia pu peraltro comportare ulteriori problemi, sia pratici che economici, per chi conduce la ricerca.

    5) INTRODUZIONE ALLA META-ANALISI

    Le revisioni sistematiche delle migliori evidenze disponibili concernenti i rischi e i benefici degli interventi medici possono essere utili per prendere decisioni nella pratica clinica e nella sanit pubblica. Tali revisioni sono, quando possibile, basate sulle meta-analisi. La meta-analisi una tecnica statistica per combinare, o integrare, e quindi valutare complessivamente i risultati di pi studi indipendenti aventi un oggetto comune.

    Il termine meta indica qualcosa che avviene dopo e spesso viene utilizzato come suffisso per una nuova disciplina collegata con una precedente per poterla trattare criticamente. La meta-analisi potrebbe essere vista come uno studio osservazionale dellevidenza. Le fasi sono analoghe a quelle di ogni ricerca statistica: formulazione del problema, raccolta dei dati, analisi, interpretazione e pubblicazione dei risultati. I ricercatori dovrebbero predisporre prioritariamente un protocollo dettagliato di ricerca che formuli chiaramente gli obiettivi, le ipotesi da saggiare, i sottogruppi di interesse, i metodi proposti e i criteri per identificare e selezionare gli studi pi rilevanti (ad esempio si pu decidere di includere, o meno, studi non pubblicati) e per estrarre ed analizzare le informazioni.

    In alcuni settori clinici, in modo particolare nella valutazione dellefficacia di farmaci e trattamenti antitumorali e delle malattie cardiache, consultando la letteratura possibile imbattersi in numerosi trials che cercano di fornire risposte circa lefficacia di determinati trattamenti terapeutici.

    La difficolt per i clinici consiste nellinterpretare una molteplicit di studi che alle volte forniscono risultati discordanti. Accade spesso, ad esempio, che trial clinici forniscano risultati incerti a causa della