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“Materiali per il veicolo” – a.a. 2008-09 – Lezione 2 1 - Lezione 2 – I materiali polimerici: considerazioni preliminari 2.1 Impieghi dei materiali polimerici Se osserviamo l’andamento della produzione di diversi materiali nel secolo appena concluso (Figura 2.1) possiamo osservare che le materie plastiche sintetiche (prodotte per la prima volta nel 1911) sono cresciute con tassi percentuali assai superiori a quelli di altri materiali di largo impiego. La ragione sta nel fatto che le materie plastiche combinano buone proprietà fisico- meccaniche con facilità di trasformazione che si traducono generalmente in costi relativamente contenuti. Questo insieme di caratteristiche le rende particolarmente adatte ad applicazioni in svariati campi applicativi (vedi Tabella 2.1 ). Gli elevati tassi di crescita che ancora oggi si osservano per questi materiali indicano che le loro potenzialità applicative sono ancora ampie, ma per sfruttarle al meglio è necessario conoscerli a fondo, con i loro pregi e i loro difetti. Figura 2.1

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- Lezione 2 – I materiali polimerici: considerazioni preliminari 2.1 Impieghi dei materiali polimerici Se osserviamo l’andamento della produzione di diversi materiali nel secolo appena concluso (Figura 2.1) possiamo osservare che le materie plastiche sintetiche (prodotte per la prima volta nel 1911) sono cresciute con tassi percentuali assai superiori a quelli di altri materiali di largo impiego. La ragione sta nel fatto che le materie plastiche combinano buone proprietà fisico-meccaniche con facilità di trasformazione che si traducono generalmente in costi relativamente contenuti. Questo insieme di caratteristiche le rende particolarmente adatte ad applicazioni in svariati campi applicativi (vedi Tabella 2.1). Gli elevati tassi di crescita che ancora oggi si osservano per questi materiali indicano che le loro potenzialità applicative sono ancora ampie, ma per sfruttarle al meglio è necessario conoscerli a fondo, con i loro pregi e i loro difetti.

Figura 2.1

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Tabella 2.1

Principali campi di impiego dei polimeri

ADESIVI ARREDAMENTO ARTICOLI CON CARATTERISTICHE ELASTOMERICHE DISPOSITIVI BIOMEDICALI DISPOSITIVI ELETTRICI ED ELETTRONICI FIBRE TESSILI E INDUSTRIALI IMBALLAGGI LUBRIFICANTI MATERIALI STRUTTURALI MEMBRANE PELLI SINTETICHE TRASPORTI TUBI VERNICI ecc.....

Questo corso ha quindi come scopo quello di definire i concetti fondamentali che stanno alla base delle principali caratteristiche del comportamento dei materiali polimerici. In particolare, poiché le proprietà macroscopiche altro non sono che il riflesso di proprietà microscopiche, verranno definite le possibili strutture molecolari e l’organizzazione tridimensionale delle macromolecole. Verranno poi descritte le principali transizioni termiche e proprietà meccaniche, introducendo il concetto di viscoelasticità, così importante per questa classe di materiali. Il corso verrà completato con considerazioni relative alla durabilità, alle tecnologie di lavorazione, alle possibilità di riciclo, oggi un aspetto molto importante nel ciclo di vita di un manufatto, e ad alcune specifiche classi di di materiali plastici (rinforzati e espans). 2.2 Il ciclo di vita delle materie plastiche Per comprendere meglio le caratteristiche di questi materiali è conveniente fare inizialmente l’analisi del ciclo di vita di un manufatto, ovvero una descrizione schematica delle operazioni possibili o necessarie per produrre un manufatto (Figura 2.2). Una materia plastica è essenzialmente costituita da macromolecole (o polimeri) contenenti da decine di migliaia a milioni di atomi (per questo il termine macromolecola, in contrapposizione con le più comuni molecole che appunto contengono poche unità o poche decine di atomi). Questi polimeri vengono ottenuti da monomeri (molecole che contengono poche unità o poche decine di atomi) che attraverso opportune reazioni chimiche (polimerizzazione) si legano tra loro con legami covalenti formando macromolecole (dette anche catene polimeriche). I monomeri più comuni disponibili per reazioni di polimerizzazione, in genere derivati del petrolio per via sintetica, sono qualche centinaio, anche se oltre il 90% delle materie plastiche prodotte viene ottenuta utilizzandone solo una decina. Oggi va anche rilevata la tendenza a sviluppare nuovi materiali plastici derivati da fonti vegetali rinnovabili.

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Figura 2.2

Il numero di molecole di monomero che reagiscono per formare polimeri dipende dalle condizioni di polimerizzazione (temperatura, pressione, catalizzatori, mezzo di reazione), e da queste condizioni dipende anche il modo in cui queste molecole di monomero si legano tra loro. Quindi da uno stesso tipo di monomero si possono ottenere polimeri con strutture molecolari (e quindi proprietà) assai differenti, e poiché la struttura molecolare risultante dal processo di polimerizzazione non è generalmente più modificabile durante le successive operazioni necessarie per ottenere un manufatto, si capisce perchè sul mercato siano presenti diversi tipi di polimeri ottenuti dallo stesso tipo di monomero (un esempio per tutti, polietilene ad alta e bassa densità). Se poi si considera che diversi tipi di monomero possono in certe condizioni reagire tra loro formando macromolecole dette copolimeri, e che queste possono contenere i diversi monomeri in percentuale diversa, e legati tra loro con diverso ordine sequenziale (ad esempio dagli stessi monomeri stirene (S) e butadiene (B) si possono ottenere elastomeri SBR e SBS con caratteristiche assai diverse tra loro, ma anche polistirene antiurto, HIPS), si comprende come il numero dei possibili materiali polimerici sia, almeno in linea di principio, praticamente illimitato. Questa è una prima ragione che spiega una delle caratteristiche fondamentale di questa classe di materiali, la versatilità in termini di proprietà. Si deve poi considerare che la maggior parte dei polimeri prodotti negli impianti di polimerizzazione non possiedono tutte le proprietà richieste per un certo tipo di applicazione ed è per questo che quasi sempre al polimero vengono aggiunti additivi capaci di migliorarne le

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proprietà, sia durante la lavorazione sia durante la vita d’uso. Questa operazione, che consiste nel mescolare gli additivi al polimero fuso (compunding), può essere fatta sia dal produttore di polimeri, immediatamente dopo la polimerizzazione, oppure in specifiche industrie su richiesta del cliente utilizzatore. Va sottolineato che a differenza di altre classi di materiali i polimeri diventano fluidi a temperature generalmente comprese tra 150 e 350 °C, molto inferiori a quelle tipiche dei materiali ceramici e metallici, per cui, oltre a sostanze inorganiche e metalli, si possono utilizzare come additivi un numero molto elevato di sostanze organiche, che non potrebbero invece essere utilizzate con metalli e ceramici in quanto si decomporrebbero alle elevate temperature di lavorazione di questi materiali. La possibilità di aggiungere diversi tipi di additivi ed in diversa quantità, secondo le necessità prestazionali, contribuisce ad ampliare ulteriormente ed in modo rilevante la versatilità, in termini di proprietà, delle materie plastiche . Oggi di fatto sono disponibili in commercio una decina di migliaia di materie plastiche diverse. I materiali polimerici provenienti dallo stabilimento di polimerizzazione o dopo la fase di compounding si presentano in forma di granulo (anche se a volte è preferibile averli in altra forma, come ad esempio un lattice, una soluzione, una polvere) e deve essere trasformato in un manufatto o in un semilavorato (film, fibre, tubi, ecc.). Anche in questo caso le materie plastiche si dimostrano molto versatili in quanto le loro caratteristiche consentono di utilizzare decine di tecnologie di lavorazione diverse. I manufatti si ottengono in genere da tecnologie di stampaggio o da operazioni di lavorazione di semilavorati (ottenuti da tecnologie continue come estrusione, calandratura, ecc.), tuttavia è bene ricordare come in alcuni casi il processo di formatura sia contestuale al processo di polimerizzazione, come accade tipicamente per i poliuretani e per lo stampaggio di materiali termoindurenti. Una volta che il manufatto ha svolto la sua vita d’uso, diventando rifiuto, è soggetto ad una legislazione sempre più stringente che incoraggia o impone il riciclo e può arrivare a condizionare, a monte, il disegno del manufatto, la scelta del materiale e della tecnologia di lavorazione. Il riciclo pertanto diventa sempre più spesso, ed a tutti gli effetti, uno stadio del processo di cui bisogna tenere conto già in fase di progettazione. Da questo punto di vista questi materiali di nuovo si dimostrano molto più versatili delle altre classi di materiali consentendo l’impiego di diverse tecnologie di riciclo con recupero di materiale, polimeri o monomeri, o di energia. Da quanto detto sopra emerge chiaramente la grande versatilità di questi materiali le cui proprietà, almeno in linea di principio, possono essere ‘ritagliate su misura’ per l’applicazione a cui sono destinati, e la cui lavorazione può avvenire scegliendo la tecnologia più conveniente tra un’ampia scelta. Questa versatilità se da un lato è molto positiva perché consente al progettista ampia libertà nella fase di ideazione, da un altro complica le cose in quanto l’ampiezza di offerta comporta un problema di scelta, non sempre facile, soprattutto se non si conosce bene il comportamento complessivo di questi materiali. In Tabella 2.1 è riportato un elenco di applicazioni a testimonianza della grande versatilità applicativa dei materiali polimerici. Quello che cercheremo di fare in questo corso è di fornire i fondamenti relativi alle caratteristiche molecolari, alle proprietà di questa classe di materiali e alle tecnologie di lavorazione e di riciclo, con particolare riferimento agli aspetti che riguardano le applicazioni nel settore del veicolo. 2.3 Principali proprietà delle materie plastiche e confronto con quelli di altri materiali Prima di entrare nel dettaglio di strutture molecolari e comportamento a sollecitazione delle materie plastiche è bene mostrare con esempi cosa significhi versatilità in termini di proprietà e confrontare le proprietà delle materie plastiche con quelle di altre classi di materiali, cercando di evidenziarne i

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punti di forza e di debolezza, al fine di capire come sia possibile sfruttarne in modo ottimale le proprietà. Nelle Tabelle 2.2-2.4 sono riportati valori tipici di alcune tra le principali proprietà fisiche, chimiche e meccaniche. 2.3.1 Proprietà Fisiche In Tabella 2.2 sono riportate le principali proprietà fisiche dei materiali polimerici.

Tabella 2.2

PRINCIPALI PROPRIETA’ FISICHE DEI MATERIALI POLIMERICI

Proprietà Valori tipici senza additivi Valori possibili con additivi Commenti Densità

0,9 – 1,4

(g cm-3)

5 10-3 (*) - > 2(**)

(g cm-3)

(*) espansi, (**) caricati con cariche inorganiche o metalli. Possibile ottenere materiali con gradiente di densità

Conducibilità termica

0,15 - 0,3

(W m-1°C-1)

0,03 (W m-1°C-1) per espansi

385 (W m-1°C-1) per il rame Valori più alti di conducibilità si possono ottenere inglobando nerofumo o cariche conduttrici.

Conducibilità elettrica

10-8- 10-15

(S m-1)

circa 10 5(S m-1) per inglobamento di cariche conduttrici

107 – 108 (S m-1) per metalli Esistono anche polimeri intrinsecamente conduttori con conducibilità 108 (S m-1)

Trasparenza Sì: Polimeri amorfi No: polimeri semicristallini (*)

Generalmente si perde per aggiunta di cariche

(*) I polimeri semicristallini possono essere trasparenti se in spessori sottili e se ottenuti in modo particolare (ad esempio sotto stiro)

Colore Incolori o bianchi o leggermente gialli

Inglobamento in massa del colore Met alli e ceramici possono essere colorati solo in superficie. Anche le plastiche volendo possono essere verniciate

Coefficiente di espansione lineare

50-100 10-6 (°C-1) 20-30 10-6 (°C-1) con 30% di fibra vetro

Diminuisce per aggiunta di cariche, aumenta in presenza di solventi. 10-5 -10-6 (°C-1) per metalli e ceramici

Temperatura di lavorazione

150-350 (°C) (con additivi, a volte indispensabili, si può abbassare di

alcune decine di gradi)

Metalli e ceramici richiedono in genere temperature superiori di diverse centinaia di gradi

Densità In assenza di additivi la densità dei polimeri è generalmente compresa tra 0,9 e 1,4 g/cm3 (con alcune eccezioni come ad esempio il Teflon con densità 2,2 g/cm3), molto inferiore a quella di materiali metallici (acciaio 7,8 g/cm3, rame 8,9 g/cm3, ..) e ceramici (2,5 – 3,5 g/cm3). Questa differenza di densità, che si traduce generalmente in una riduzione di peso dei manufatti, è spesso determinante per la scelta delle materie plastiche in alternativa ad altri materiali, soprattutto in alcuni settori come quello dei mezzi di trasporto e degli imballaggi. Va poi sottolineato che i valori tipici sopra riportati possono essere facilmente ridotti inglobando gas nella matrice polimerica (materiali espansi, detti anche schiume) fino a raggiungere valori di densità di 5 kg/m3 !!. (anche se tipicamente gli espansi strutturali hanno densità di 0,5 g/cm3). Naturalmente, l’inglobamento di cariche inorganiche o metalliche determina un aumento di densità proporzionale alla loro frazione in peso (ad esempio il polipropilene che da solo ha densità 0,9 g/cm3, caricato con 30% di fibre di vetro raggiunge valori di densità di 1,12 g/cm3) e può portare a valori di densità superiori a 2 g/cm3.

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Conducibilità termica Tipicamente le materie plastiche e gli elastomeri sono dei materiali isolanti (vedi valori in Tabella 2.2), e questa loro caratteristica combinata con il basso peso diventa premiante in molte applicazioni. A titolo esemplificativo la tabella 2.2b riporta un confronto tra gli spessori di diversi materiali necessari ad ottenere lo stesso effetto isolante.

Tabella 2.2b: Confronto tra gli spessori necessari per avere lo stesso effetto isolante utilizzando diversi materiali

materiale Spessore (mm)

Mattoni 850 Blocchi di cemento 360 Legno tenero 140 Pannello in truciolare 65 Sughero 50 Lana di roccia 45 Polistirene espanso 40 Poliuretano espanso 25

Anche per questa proprietà si possono ottenere significative variazioni sia in diminuzione che in aumento attraverso l’impiego di additivi; forte riduzione per certi tipi di materiali espansi, oppure aumento, per inglobamento di polveri metalliche o nerofumo nella matrice polimerica. Conducibilità elettrica Vale in gran parte il discorso fatto per la conducibilità termica (valori tipici sono riportati in Tabella 2.2), tuttavia va ricordato che è possibile ottenere polimeri con strutture molecolari tali da renderli intrinsecamente conduttori (con conducibilità sia elettronica che ionica). Sebbene siano molto più costosi dei tradizionali materiali plastici, alcuni di questi sono già oggi utilizzati per produrre batterie leggere ed altri dispositivi. Trasparenza I materiali polimerici amorfi (PS, PVC, PC, PMMA, ecc.) sono tipicamente trasparenti, mentre quelli semicristallini possono esserlo solo in spessori sottili oppure se ottenuti con particolari tecniche di lavorazione (stiro). L’ottima trasparenza alla luce combinata con buone proprietà meccaniche di resistenza rendono alcuni di questi materiali particolarmente adatti all’impiego nella fanaleria del veicolo (es. PMMA e/o PC). L’inglobamento di additivi può comportare la perdita di trasparenza. Colore I più comuni materiali polimerici sono, senza additivi, incolori o bianchi o leggermente gialli. Tuttavia è relativamente semplice colorarli inglobando pigmenti nella matrice polimerica. La bassa temperatura di lavorazione consente l’inglobamento anche di pigmenti organici. Coefficiente di espansione Il coefficiente di espansione dei materiali polimerici è tipicamente di circa due ordini di grandezza superiore a quello dei materiali ceramici o metallici. Può essere ridotto di un fattore 2 o 3 mediante l’aggiunta di cariche inorganiche o di fibre di vetro.

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Temperatura di lavorazione La lavorazione delle materie plastiche presuppone che esse si trovino in uno stato di viscosità ben preciso che può essere raggiunto aumentando la temperatura di diverse decine di gradi al di sopra della temperatura di transizione vetrosa (per i materiali amorfi) o di qualche decina di gradi sopra la temperatura di fusione (per i materiali semicristallini). Tipicamente i valori di temperatura utilizzati per la lavorazione delle materie plastiche sono di 150 – 350 °C, ben al di sotto di quelle richieste per altre classi di materiali (e quindi può avvenire con macchine costruite con materiali tradizionali e quindi meno costose). Per facilitare la lavorazione sono spesso impiegati additivi (lubrificanti, stabilizzanti, ecc.); in alcuni casi, come ad esempio per il PVC l’impiego di additivi è assolutamente necessario. 2.3.2 Proprietà Chimiche In Tabella 2.3 sono riportate le principali proprietà chimiche dei materiali polimerici. Infiammabilità I più comuni materiali polimerici sono principalmente o esclusivamente costituiti da atomi di carbonio ed idrogeno, che ad alta temperatura in presenza di ossigeno danno luogo a reazioni di combustione. Di fatto quindi i materiali polimerici più comuni (se si escludono PVC, PPS, PTFE) sono intrinsecamente infiammabili. Ciò renderebbe problematico o precluderebbe il loro impiego in molte applicazioni se non fosse possibile renderli non infiammabili attraverso l’impiego di additivi; attualmente quasi tutte le materie plastiche possono essere rese non infiammabili con l’aggiunta di ben definite formulazioni di additivi antifiamma.

Tabella 2.3

Resistenza agli agenti atmosferici In molte applicazioni le materie plastiche si trovano a dover svolgere la loro funzione d’uso esposte all’azione degli agenti atmosferici (ossigeno, ozono, radiazioni UV). Contrariamente a quanto si crede, la resistenza di molte materie plastiche all’azione degli agenti atmosferici è bassa e si tradurrebbe in una rapida caduta delle proprietà meccaniche se non fosse possibile contrastare l’effetto degli agenti atmosferici con l’impiego di additivi (stabilizzanti). Accanto a materie plastiche come gomme o polipropilene, particolarmente sensibili all’azione degli agenti atmosferici e che richiedono una particolare protezione, vi sono altre materie plastiche con grado di resistenza più elevato che richiedono minor protezione, od altre eccezionalmente resistenti, come il PTFE (Teflon), per le quali non è necessario ricorrere all’uso di additivi stabilizzanti. Resistenza chimica La reazione delle macromolecole con sostanze chimiche quali acidi, basi, acqua, sostanze ossidanti, solventi, può determinare un forte scadimento delle proprietà fisico-meccaniche delle materie

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plastiche. L’effetto dannoso di una certa sostanza chimica su una certa materia plastica dipende soprattutto dalla loro rispettiva natura chimica, ed in genere aumenta all’aumentare della temperatura. Accanto a plastiche con resistenza chimica eccezionalmente alta rispetto a qualunque sostanza (come il PTFE) vi sono plastiche sensibili all’azione dell’acqua ad alta temperatura e di basi ed acidi anche a temperatura più bassa (poliesteri, poliammidi, policarbonati,…), ed altre sensibili all’azione dei solventi (in particolare polimeri amorfi). Generalmente è difficile prevedere l’effetto dannoso di un certo ambiente di lavoro sulle caratteristiche fisiche-meccaniche di un componente in plastica, ed è quasi sempre impossibile migliorare queste caratteristiche con la semplice aggiunta di additivi (in questi casi è quasi sempre necessario cambiare tipo di materia plastica). 2.3.3 Proprietà meccaniche In Tabella 2.4 a-c sono riportate le principali proprietà meccaniche dei materiali polimerici. Rigidità I valori tipici di modulo per i materiali polimerici che devono svolgere funzione strutturale è di 1 – 5 GPa, di due ordini di grandezza inferio re a quello di metalli e ceramici. Quindi, nel caso delle materie plastiche, la stessa rigidità può essere ottenuta con spessori molto superiori. La tabella 2.4-a mostra a titolo esemplificativo un confronto tra diversi materiali: per avere la stessa rigidità sono necessari spessori diversi e masse diverse a seconda del materiale utilizzato (si è preso 1 come valore di riferimento per il polipropilene solido). Tabella 2.4 a - Confronto nel comportamento a flessione tra diversi tipi di Polipropilene (solido ed

espanso strutturale) con alcuni altri materiali tradizionali

Materiale

Modulo a flessione ( GPa )

Densità

( g/cm3 )

Spessore relativo a

pari rigidità

Massa relativa a

pari rigidità

solido 1.4 0.905 1.00 1.00 Copolimero non caricato espanso 1.2 0.72 1.05 0.84

solido 4.4 1.24 0.68 0.94 PP caricato con 40% talco espanso 2.5 1.0 0.81 0.90

solido 6.7 1.12 0.59 0.74

Polipropilene

PP rinforzato con 30% GF espanso 3.5 0.90 0.74 0.73

Cartone grigio 2.3 0.65 0.85 0.61 Legno di Pino 7.9 0.641 0.56 0.40 Alluminio 70 2.7 0.27 0.81 Acciaio dolce 200 7.83 0.19 1.65 Va poi sottolineato che ai fini della progettazione il modulo deve essere scelto considerando le condizioni di sollecitazione, in quanto il modulo dipende dal tempo e dalla temperatura. Tuttavia è relativamente facile aumentare la rigidità delle materie plastiche attraverso il disegno, con l’introduzione di nervature e/o con l’inglobamento di cariche rinforzanti (comunemente con 30% di fibre di vetro si ha un aumento del modulo elastico di circa 4 volte).

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Tabella 2.4 b

Naturalmente per materie plastiche che devono avere caratteristiche elastomeriche il modulo è molto più basso, tipicamente di 0,001 GPa. Con particolari strutture molecolari è possibile avere materiali con moduli compresi tra 1 e 0,001 GPa. Per alcuni materie plastiche in forma di fibra (con macromolecole fortemente orientate) è possibile avere incrementi di modulo di uno o due ordini di grandezza fino ad arrivare (fibre ad alto modulo in Kevlar) a valori di alcune centinaia di GPa, ben superiori a quelli dell’acciaio. Resistenza meccanica La resistenza meccanica, intesa come carico di snervamento o come massima resistenza del materiale, è tipicamente di 10 – 90 MPa e come per il modulo, può essere aumentata di 2 o 3 volte con l’aggiunta di fibre rinforzanti. La resistenza può avere valori di 0,3 – 4 GPa per fibre ad alto modulo. Allungamento a rottura L’allungamento a rottura può essere molto diverso da materia plastica a materia plastica. Esistono materiali con piccoli allungamenti a rottura (fragili) come PS, PMMA, epossidiche, ecc., ed altri duttili come PE, PP, PA, PVC, PC, … che possono arrivare ad allungamenti a rottura da 100% a 800% e oltre . L’allungamento a rottura si riduce sensibilmente per effetto di rinforzo con cariche. Generalmente i materiali amorfi sono fragili (con significative eccezioni come PC e PVC), mentre quelli semicristallini sono duttili. Resistenza all’urto La resistenza all’urto (in prove IZOD, su provini intagliati) varia da 10 a più di 1000 J/m e dipende in modo rilevante da peso molecolare e temperatura. Per molti tipi di materie plastiche si parla di transizione fragile-duttile all’aumentare della temperatura. Materiali intrinsecamente fragili come

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PS e resine epossid iche, possono essere resi duttili mediante l’inglobamento nella matrice polimerica di una opportuna fase gommosa (tenacizzazione). HDT (Heat Distortion Temperature) E’ una misura della temperatura a cui avviene una prefissata deformazione sotto l’azione di un carico definito. Viene utilizzata per valutare il possibile campo di temperatura in cui il materiale può essere impiegato, ed è uno dei punti più critici nelle proprietà delle materie plastiche. I valori possono essere anche molto bassi per materiali termoplastici (vicini alla temperatura ambiente), ma possono essere aumentati con inglobamento di cariche rinforzanti (con 30% di fibre di vetro molti polimeri hanno HDT > 200°C). Valori superiori di HDT si ottengono in genere con materiali termoindurenti (fenoliche 190°C, epossidiche comuni 130°C), o con polimeri speciali e più costosi come poliimmidi (PI) o polieterechetoni (PEEK) (HDT >> 200°C).

Tabella 2.4 b

Durezza La durezza delle materie plastiche è molto inferiore a quella dei metalli o dei ceramici, e tipicamente si usano scale differenti per la loro misura. E’ una proprie tà particolarmente importante per gli elastomeri, per i quali varia da 30 Shore A (per materiali molto morbidi) a 90 Shore D per elastomeri duri. La si può facilmente modificare con l’impiego di additivi (plastificanti, gomme). Resistenza all’abrasione Generalmente assai più bassa di quella di altre classi di materiali, cresce considerevolmente col peso molecolare e si può migliorare con coating protettivi. Coefficiente di attrito Esistono materie plastiche con coefficiente di attrito variabile da molto basso (es. PTFE) a molto alto (es. EVA, PVC elasticizzato). A volte è possibile ridurlo inglobando polvere di PTFE nella matrice polimerica, o aumentarlo inglobando cariche. 2.4 I principali tipi di materie plastiche E’ intuitivo pensare che le proprietà di un polimero dipendano dalla sua struttura molecolare e, considerando l’elevato numero di monomeri disponibili e le molteplici possibilità delle loro combinazioni che rendono di fatto il numero di polimeri praticamente illimitato (ed in effetti in laboratorio sono stati ottenuti centinaia di migliaia di tipi diversi di polimeri), si potrebbe pensare che anche a livello commerciale i polimeri disponibili siano in numero così elevato. In realtà, il numero di polimeri prodotti a livello industriale sono probabilmente diverse centinaia che diventano

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diverse migliaia se si considerano i diversi ‘gradi’ di uno stesso polimero ottenibili ad esempio con l’aggiunta di additivi. Ma se si considerano i dati di produzione riportati in Tabella 2.5 si vede che di fatto oltre il 90% in peso dei polimeri prodotti sono riconducibili a soli 5 diversi tipi, polietilene (PE), nelle sue diverse strutture molecolari, polipropilene isotattico (PP), polistirene (PS), policloruro di vinile (PVC) e polietilentereftalato (PET).

Tabella 2.5

Ciò non significa che gli altri tipi di materie plastiche possono essere ignorate nella scelta per una certa applicazione, ma semplicemente riflette il fatto che nella maggior parte dei casi le proprietà di questi polimeri, i meno costosi, sono in grado di soddisfare le richieste in termini di prestazioni. Tutti gli altri polimeri trovano impiego in piccoli volumi per applicazioni che richiedono caratteristiche in termini di proprietà che i polimeri sopra elencati non possiedono.

Figur 2.3

E, come si vede in Figura 2.3, la ricerca di nuovi polimeri, iniziata di fatto su larga scala nel 1930, è cresciuta tumultuosamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, ed è continuata e continua tuttora, anche se la possibilità di trovare nuove strutture molecolari interessanti a costi accettabili è sempre più problematica. Negli anni ’60-‘70 dello scorso secolo sono stati trovati e commercializzati polimeri interessanti come policarbonato (PC), polibutilentereftalato (PBT), ......;

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negli anni ’80 la ricerca è stata indirizzata prevalentemente allo studio delle miscele polimeriche (dette anche leghe polimeriche in analogia con le leghe metalliche); negli anni ’90 gli sforzi della ricerca si sono concentrati sui polimeri liquido-cristallini e nella seconda metà degli anni ’90 sullo sviluppo di catalizzatori metalloceni e di polimeri biodegradabili da sintesi batterica; oggi l’interesse prevalente è sullo sviluppo di nanocompositi, di polimeri da fonti rinnovabili (di origine vegetale) e sulla modifica controllata delle proprietà di superficie. Benchè a ciascuna struttura molecolare corrispondano proprietà specifiche ci sono tuttavia alcuni comportamenti comuni a tutti i polimeri in quanto dipendenti dalla natura macromolecolare piuttosto che dalla natura chimica dei monomeri da cui sono stati ottenuti. 2.5 Principali fattori che influenzano le proprietà di un manufatto in materia plastica Le proprietà descritte in 2.3 sono genericamente e mediamente indicative di quelle di un materiale plastico, tuttavia, per sfruttare al meglio le proprietà di questi materiali e, per evitare che il manufatto non soddisfi le proprietà richieste per la funzione d’uso, è necessario chiarire che le proprietà di un manufatto in materia plastica non dipendono solamente dalla sua geometria e dal tipo di materiale con cui esso è realizzato, ma anche dalle condizioni utilizzate durante il processo di trasformazione.

Figura 2.4

La Figura 2.4 cerca di sintetizzare questo concetto indicando che ci sono alcune proprietà caratteristiche del materiale (che derivano dalla sua natura chimica, dalla struttura molecolare, dalle dimensioni delle macromolecole, dagli additivi utilizzati, ecc.), altre definite dal disegno del manufatto (forma geometrica, spessori, nervature, ecc.), ma alcune dipendono da come il materiale è stato trasformato da granulo a manufatto. In altre parole, se uno stesso manufatto è prodotto con lo stesso materiale ma con diverse tecnologie o in diverse condizioni di lavorazione (temperatura, pressione, velocità di riempimento dell’impronta, raffreddamento, …) ci si può aspettare che alcune delle sue proprietà siano anche significativamente diverse. In particolare il ritiro, il grado di critallinità, i tensionamenti residui, controllo degli spessori, possono essere molto diversi utilizzando diverse tecnologie di lavorazione e/o condizioni operative.

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2.5.1 Effetto del peso molecolare sulle proprietà Come già accennato in precedenza, le proprietà di uno stesso tipo di polimero (con stessa composizione chimica e struttura molecolare) possono dipendere in modo rilevante dalla dimensione delle macromolecole, definita all’atto della polimerizzazione nell’impianto dove è stato prodotto. Vedremo più avanti come si possono descrivere quantitativamente le dimensioni delle macromolecole di un materiale polimerico, per il momento possiamo parlare genericamente di peso molecolare più o meno alto. Possiamo schematicamente individuare gli andamenti delle principali proprietà al crescere del peso molecolare come in Figura 2.5.

Figura 2.5

Alcune di queste crescono inizialmente e poi, raggiunto un certo valore di peso molecolare, rimangono costanti (o quasi) per ulteriori aumenti di peso molecolare (curva A). Si tratta ad esempio della temperatura di transizione vetrosa, della temperatura di fusione, del modulo elastico. Altre proprietà crescono esponenzialmente con il peso molecolare, come nella curva B. Proprietà che seguono questo andamento sono: viscosità allo stato fuso, resistenza all’abrasione, …………. Altre non sono influenzate significativamente dal peso molecolare: densità, conducibilità termica ed elettrica, coefficiente di attrito, resistenza chimica, ……. (curva di tipo C). Altre ancora hanno andamento di tipo sigmoide, come ad esempio la resistenza all’impatto (curva di tipo D) 2.5.2 Effetto combinato del peso molecolare e della temperatura sulle proprietà Oltre al peso molecolre, un’altra variabile molto importante nel definire il comportamento delle materie plastiche è la temperatura. In Figura 2.6 a,b sono riportati dei grafici T-PM per rispettivamente polimeri amorfi e semicristallini. In Figura 2.6 a , per i polìmeri amorfi, sono tracciate alcune curve che individuano nello spazio del grafico zone in cui il comportamento del materiale è assai diverso. Vediamo in particolare che, ad alti pesi molecolari, come quelli tipici dei prodotti commerciali, la curva asintotica che difinisce il valore di Tg al variare del PM separa lo spazio in cui il materiale ha comportamento elastomerico da quello in cui ha comportamento rigido. Quindi di fatto la Tg (il cui valore è diverso da polimero

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a polimero) diventa il termine di riferimento per la scelta di un materiale amorfo in relazione alla sua funzione d’uso. Se il materiale deve essere rigido occorre scegliere un materiale la cui Tg sia sempre superiore (almeno 20-30 °C) alla massima temperatura d’uso. Viceversa, se un materiale polimerico amorfo deve essere utilizzato come elastomero è necessario che Tg sia sempre inferiore (di 20-30 °C) alla minima temperatura d’uso. Nella stessa figura possiamo anche individuare una temperatura massima che non deve mai essere superata per un certo materiale in quanto al di sopra diventano troppo veloci le reazioni di

Figura 2.6 a

degradazione che determinano variazioni inaccettabili nelle proprietà fisico-meccaniche. Tale valore ha importanza e pone un limite superiore di temperatura alle condizioni di lavorazione. La zona di transizione divide, al variare del PM, lo spazio in cui il materiale ha le caratteristiche di un liquido da quello in cui ha caratteristiche gommose. In tale zona il materiale ha caratteristiche intermedie tra quelle di un liquido e quelle di un elastomero. Il grafico di Figura 2.6 a consente di fare alcune altre considerazioni interessanti in relazione alle possibili tecnologie di lavorazione. Ad esempio, se si vuole trasformare un polimero in manufatto mediante stampaggio ad iniezione, il polimero deve trovarsi in uno stato liquido, di elevata fluidità, per consentire il riempimento di una cavità caratterizzata da canali lunghi e sottili. Se si prende un polimero di peso molecolare troppo elevato (M1 e M2 in figura), questo raggiungerà la temperatura di degradazione prima di diventare un liquido con caratteristiche di fluidità adeguate. Per lo stampaggio ad iniezione occorrerà quindi scegliere un polimero (M3) con PM più basso. Viceversa, certe tecnologie di lavorazione (ad esempio la termoformatura) richiedono che il materiale si trovi in uno stato come quello definito dalla zona di transizione. Allora, scegliendo il polimero con peso molecolare M3, l’intervallo di temperatura in cui il materiale si trova in questo stato è molto piccolo, rendendo molto critico il processo di lavorazione. Per una tale tecnologia è preferibile utilizzare un peso molecolare M2, essendo assai più ampio l’intervallo di temperatura in cui il materiale ha le caratteristiche adatte senza superare la temperatura massima a cui diventano rilevanti i fenomeni degradativi. Simili considerazioni si possono fare per i polimeri semicristallini (Figura 2.6 b). In tal caso essendo presenti nel materiale domini cristallini, compare una ulteriore curva che descrive l’andamento della temperatura di fusione (Tm) col PM. Questa curva individua uno spazio,

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Figura 2.6 b

intermedio tra quello gommoso e quello rigido vetroso, in cui il materiale ha generalmente comportamento coriaceo (contemporaneamente flessibile e resistente). A differenza dei materiali amorfi, la massima temperatura d’uso per i materiali semicristallini è definita da Tm piuttosto che da Tg (a temperature inferiori a Tg i materiali polimerici semicristallini diventano in genere più fragili). La presenza più o meno elevata di zone cristalline determina anche una variazione in molte altre proprietà come vedremo più avanti.

Figura 2.7

Per quanto riguarda il comportamento alla lavorazione, valgono le stesse considerazioni fatte in precedenza per i materiali amorfi: polimeri di basso peso molecolare sono adatti per stampaggio ad

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iniezione, polimeri di peso molecolare più alto per termoformatura o stampaggio a soffiatura, tecnologie particolari (ad esempio pultrusione) per pesi molecolari ancora più alti. In relazione a quanto detto, è facile capire come mai per uno stesso tipo di polimero (ad esempio polietilene) esistono decine e decine di prodotti commerciali con caratteristiche in termini di proprietà e lavorabilità assai diverse. In Figura 2.7 e 2.8 sono riportati esempi di diverse tipologie e applicazioni per il PE, ed in particolare in ordinata è riportata una grandezza legata alla fluidità del materiale allo stato fuso (Melt Flow Index, che diminuisce all’aumentare del peso molecolare delle catene polimeriche) ed in ascissa la densità a sua volta dipendente dalla struttura molecolare delle catene polimeriche. Qualche cosa di analogo (anche se non in forma così ampia) succede anche per gli altri tipi di polimeri commerciali. Se poi si considera che gli stessi polimeri vengono offerti anche additivati (ad esempio con cariche rinforzanti o con additivi antifiamma), si capisce perchè il bollettino tecnico di un certo materiale polimerico comprenda in realtà una serie di prodotti piuttosto che un unico prodotto.

Figura 2.8