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1 DISPOSIZIONI PROCESSUALI APPLICABILI ALL’ENTE PER GLI ILLECITI DI CUI AL D. LGS. N. 231/01 Stabilisce l’art. 34 D. Lgs. n. 231/2001 che, per il procedimento nei confronti dell’ente, si osservano le norme processuali contenute nello stesso D. Lgs. n. 231/2001 nonché, per quanto compatibili, le disposizioni del Codice di procedura penale.

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DISPOSIZIONI PROCESSUALI

APPLICABILI ALL’ENTE PER GLI ILLECITI

DI CUI AL D. LGS. N. 231/01

Stabilisce l’art. 34 D. Lgs. n. 231/2001 che, per il

procedimento nei confronti dell’ente, si osservano le

norme processuali contenute nello stesso D. Lgs.

n. 231/2001 nonché, per quanto compatibili, le

disposizioni del Codice di procedura penale .

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COMPETENZA

Competente è lo stesso Giudice penale deputato a

trattare i reati dai quali dipende la responsabilità

dell’ente.

Ciò non significa che le due responsabilità ed i relativi

procedimenti siano per forza interdipendenti. A’ sensi

degli artt. 8 e 38 D. Lgs. n. 231/01, la responsabilità

dell’ente va accertata anche quando:

a) l’autore del reato da cui dipende l’illecito sia ignoto

o non sia imputabile;

b) il reato da cui dipende l’illecito dell’ente si estingua

per causa diversa dall’amnistia o dalla prescrizione;

c) sia disposta la sospensione del procedimento per

incapacità dell’imputato;

d) il reo abbia definito il procedimento con giudizio

abbreviato, con patteggiamento o con decreto penale;

e) l’osservanza delle disposizioni processuali lo renda

necessario.

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All’ente sono attribuiti gli stessi diritti

dell’imputato, in quanto compatibili (art. 35).

L’ente compare nel processo attraverso il proprio

rappresentante legale (art. 39).

L’ente che voglia partecipare deve costituirsi mediante

un atto specifico, disciplinato dall’art. 39, senza il

quale si procede in sua contumacia, ex art. 41.

Tuttavia, l’art. 39 esclude che l’ente partecipi al

processo con il proprio rappresentante legale,

quando questi sia imputato del reato da cui

dipende l’illecito amministrativo . L’opzione, quindi,

è lasciata all’ente, che potrà: a) confermare la propria

struttura rappresentativa e non costituirsi nel

procedimento; b) nominare un nuovo rappresentante

legale; c) nominare un rappresentante con poteri

limitati alla gestione del processo.

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DURATA DELLE INDAGINI, ARCHIVIAZIONE O

GIUDIZIO

Il Pubblico Ministero che acquisisce la notizia

dell’illecito dell’ente, annota immediatamente

nell’apposito registro ex art. 335 cod. proc. pen. gli

elementi identificativi dell’ente unitamente, se

possibile, alle generalità del legale rappresentante.

All’ente, nel caso non abbia nominato un difensore di

fiducia, viene assegnato un difensore d’ufficio.

Dal momento dell’annotazione, il Pubblico Ministero

può svolgere indagini nei confronti dell’ente entro gli

stessi limiti di tempo previsti per le indagini preliminari

relative al reato da cui dipende l’illecito (art. 56).

Se entro tale termine ritiene di aver raccolto elementi

idonei a sostenere l’accusa in giudizio, il Pubblico

Ministero contesta l’illecito all’ente, mediante uno degli

atti tipici del Codice di procedura penale (richiesta di

rinvio a giudizio, citazione diretta a giudizio, ecc.).

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In caso contrario, il Pubblico Ministero emette decreto

motivato di archiviazione degli atti, comunicandolo al

procuratore generale presso la Corte d’Appello.

Quest’ultimo può, a sua volta, contestare l’illecito

all’ente entro sei mesi.

Il giudizio ordinario si svolge, come detto, con le

regole del codice di procedura penale.

Prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, il

Giudice può disporre la sospensione del processo se

l’ente chiede di provvedere alle attività di cui all’art. 17

e dimostra di essere stato nell’impossibilità di

effettuarle prima. Se accoglie la richiesta, il Giudice

fissa, altresì, una somma a titolo di cauzione.

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LIMITI ALLA TESTIMONIANZA VERSO L’ENTE

L’art. 44 stabilisce che non può essere assunta

come testimone : a) la persona imputata del reato da

cui dipende l’illecito dell’ente; b) la persona che

rappresenta l’ente nella costituzione ex art. 39 e che

rivestiva tale funzione anche al momento del reato.

Nel primo caso, si vieta ad un soggetto di rendere

testimonianza su fatti per i quali è imputato.

Nella seconda ipotesi, il Legislatore protegge il

rappresentante legale all’epoca dei fatti dal rischio di

autoincriminazione, potendo emergere, nel corso della

sua testimonianza, fatti che potrebbero determinare

elementi di prova a carico suo, oltre che dell’ente.

La persona che rappresenta l’ente può essere

interrogata ed esaminata nelle forme, con i limiti e con

gli effetti previsti per l’interrogatorio e per l’esame

della persona imputata in un procedimento connesso.

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Sulla scorta dell’art. 44 , l’incompatibilità con l’ufficio

di testimone andrebbe estesa anche per il soggetto

divenuto rappresentante legale dell’ente dopo la

commissione del reato e per colui che lo era

quando è stato commesso il reato, ma non è stato

indagato. Diversamente, vi è il rischio che tali

soggetti, testimoniando, coinvolgano la responsabilità

dell’ente.

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MISURE CAUTELARI

A’ sensi dell’art. 45, in presenza di gravi indizi sulla

responsabilità dell’ente e di fondati e specifici elementi

di reiterazione del reato, il Pubblico Ministero può

richiedere l’applicazione in via cautelare di una delle

sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2.

Sulla richiesta, il Giudice provvede con ordinanza,

in cui indica anche le modalità applicative della

misura. Competente a decidere sulle misure cautelari

è il Giudice che procede. Pertanto, nella fase delle

indagini preliminari, tale competenza spetta al G.I.P. e

nel dibattimento al Giudice monocratico.

Se la richiesta è presentata fuori udienza, il Giudice

fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso al P.M.,

all’ente e ai difensori. Si tratta di un contraddittorio

anticipato.

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Nel disporre le misure cautelari, il giudice tiene conto

della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla

natura e al grado delle esigenze cautelari da

soddisfare nel caso concreto. Ogni misura cautelare

deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla

sanzione che si ritiene possa essere applicata

all’ente.

L’interdizione dall’esercizio dell’attività può

essere disposta in via cautelare solo quando ogni

altra misura risulti inadeguata .

In luogo della misura cautelare interdittiva, il Giudice

può nominare un commissario giudiziale a norma

dell’art. 15 per un periodo pari alla durata della misura

che sarebbe stata applicata.

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Le misure cautelari possono essere sospese se

l’ente chiede di realizzare gli adempimenti di cui

all’art. 17, ovvero: a) il risarcimento del danno; b) i

modelli organizzativi; c) la messa a disposizione

del profitto del reato.

Il Giudice, sentito il Pubblico Ministero, se ritiene di

accogliere la richiesta, determina una somma a titolo

di cauzione, dispone la sospensione e fissa un

termine per l’adempimento.

In caso di adempimento, il Giudice revoca la misura

cautelare e ordina la restituzione o la liberazione

della somma depositata o prestata a garanzia.

In caso di inadempimento, la misura cautelare viene

ripristinata e la somma versata o prestata a garanzia

è devoluta alla Cassa delle ammende.

Le misura cautelari sono revocate anche d’ufficio

quando mancano, anche per fatti sopravvenuti, le

condizioni di applicabilità dell’art. 45.

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Il Pubblico Ministero e i difensori dell’ente possono

proporre appello contro tutti i provvedimenti in

tema di misure cautelari . Competente a decidere è il

Tribunale in composizione collegiale del capoluogo

di provincia in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il

provvedimento. Contro il provvedimento del Tribunale,

è ammesso ricorso in Cassazione, per violazione di

legge.

Può essere, altresì, chiesto e disposto il sequestro

conservativo dei beni dell’ente, qualora vi siano

fondate ragioni che manchino o si disperdano le

garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria.

Infine, può essere disposto il sequestro

preventivo del profitto del reato, essendo

quest’ultimo sempre oggetto di confisca in caso

di condanna dell’ente, a’ sensi dell’art. 19.

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PROCEDIMENTI SPECIALI

L’art. 62 offre la possibilità di ricorrere al giudizio

abbreviato. Lo sconto di pena tipico andrà applicato

sia sulla sanzione interdittiva che su quella pecuniaria.

L’art. 63 definisce l’applicazione della pena su

richiesta (cd. patteggiamento ). E’ possibile solo se il

giudizio nei confronti dell’imputato è definito ovvero

definibile anch’esso nelle forme del patteggiamento

oppure in tutti i casi in cui per l’illecito amministrativo è

prevista la sola sanzione pecuniaria. La riduzione di

pena è operata sia sulla sanzione interdittiva che

su quella pecuniaria . Tuttavia, il Giudice, se ritiene di

applicare una sanzione interdittiva definitiva, deve

rigettare la richiesta.

L’art. 64 disciplina il procedimento per decreto . Il

Pubblico Ministero, quando ritenga di applicare la sola

sanzione pecuniaria, può presentare al Giudice per le

indagini preliminari, entro sei mesi dall’inizio delle

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indagini, richiesta motivata di emissione del decreto di

applicazione della sanzione pecuniaria, indicandone

la misura, che può essere diminuita sino alla metà

rispetto al minimo dell’importo applicabile. Il G.I.P. o

accoglie la richiesta ed emette il Decreto penale di

condanna oppure, se dissente, restituisce gli atti al

Pubblico Ministero, salvo che non debba pronunciare

sentenza di esclusione della responsabilità dell’ente.

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Ammissibilità di costituzione di parte

civile contro l’ente.

C’è contrasto sulla costituzione di parte civile nei

confronti dell’ente per il reato commesso da

quest’ultimo.

In giurisprudenza, vi è chi favorevole, sul

presupposto che gli artt. 34 e 35 D. Lgs. n.

231/2001 prevedono il rinvio alle norme del codice

di procedura penale in quanto compatibili e tale

rinvio deve ritenersi esteso anche a quelle in tema

di costituzione di parte civile (cfr. Uff. G.I.P. Napoli,

25.01.2008; Uff. G.I.P. Milano, 24.01.2008, in Guida al

dir., 2008, n. 11, p. 76, con nota di Scalfati; Uff. G.I.P.

Milano, 05.02.2008, in Foro Ambr., 2008, pp. 219 e

ss., con nota di Bellingardi).

Un diverso orientamento ritiene che il Legislatore

abbia optato per l’inammissibilità, considerato che

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non vi è alcun richiamo all’istituto della parte

civile nel D. Lgs. n. 231/2001, sebbene questo

contenga espliciti riferimenti ad altri istituti

processual-penalistici, oltre che un’articolata

disciplina di situazioni in cui l’ente abbia

cagionato un danno patrimoniale a terzi, come gli

artt. 12, 27, 33, 59, 61, 69 (cfr. Uff. G.U.P. Torino,

ord. 02.10.2008, relativa al processo Thyssen-Krupp,

in Riv. Pen., 2009, n. 7, pp. 851 e ss., con nota di

Paiola; Uff. G.I.P. Milano, 18.01.2008, in Foro Ambr.,

2008, pp. 207 e ss., con nota di Bellingardi, cit.).

In dottrina, prevale la tesi dell’inammissibilità d i

tale costituzione, con diversi argomenti: 1) si

sostiene che il D.lvo n. 231/2001 non prevede né

richiama l’istituto della costituzione di parte civile; 2)

l’ente non è mai l’autore del reato da cui sorge

l’azione civile risarcitoria, ma risponde in virtù di una

responsabilità sui generis, non inquadrabile negli

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schemi della tradizionale colpevolezza; 3) il diritto al

risarcimento è regolato dall’art. 185 cod. pen. che non

può considerarsi norma di natura puramente

processuale.

Resta comunque il fatto che il lavoratore che non

abbia ottenuto il risarcimento può costituirsi part e

civile nel processo a carico della persona fisica

ritenuta autrice del reato, chiedendo la citazione

dell’ente quale responsabile civile.

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IMPUGNAZIONI

Contro la sentenza che applica sanzioni pecuniarie,

l’ente può proporre impugnazione nei casi e nei modi

stabiliti per l’imputato del reato da cui dipende l’illecito.

Viceversa, contro la sentenza che applica una o più

sanzioni interdittive, l’ente può sempre proporre

appello anche se questo non è ammesso per

l’imputato del reato dal quale dipende l’illecito.

Il Pubblico Ministero può proporre le stesse

impugnazioni previste per il reato da cui l’illecito

dell’ente dipende.

L’art. 72 prevede che le impugnazioni dell’imputato e

quelle dell’ente producono i loro effetti favorevoli

rispettivamente verso l’ente e l’imputato, purché non

fondate su motivi solamente personali. E’ il cosiddetto

effetto estensivo delle impugnazioni.

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ESECUZIONE DELLE SANZIONI

L’esecuzione delle sanzioni pecuniarie è scandito

dalle medesime regole stabilite per l’esecuzione delle

normali pene pecuniarie, dunque, attraverso il sistema

della riscossione a mezzo dei ruoli esattoriali.

L’esecuzione delle sanzioni interdittive è affidata al

Pubblico Ministero. Quest’ultimo, dopo aver acquisito

l’estratto della sentenza irrevocabile che ha disposto

l’esecuzione di una sanzione interdittiva, provvede a

notificarla direttamente all’ente.

Il rappresentante dell’ente, messo a conoscenza

dell’interdizione, dovrà attenersi immediatamente ai

divieti contenuti in sentenza. L’efficacia e la durata

della sanzione interdittiva, dunque, decorre da tale

notifica.

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IL GIUDICE DELL’ESECUZIONE DELLE SANZIONI

IRROGATE ALL’ENTE

1. Competenza.

Competente a conoscere le questioni relative

all’esecuzione delle sanzioni all’ente è il Giudice che

le ha irrogate.

Quando è stato proposto appello, se il provvedimento

è stato confermato o riformato solo in relazione alla

pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili,

è competente il giudice di primo grado; altrimenti è

competente il giudice di appello.

Se vi è stato ricorso per cassazione e questo è stato

dichiarato inammissibile o rigettato ovvero quando la

Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento

impugnato, è competente il Giudice di primo grado.

Quando è stato pronunciato annullamento con rinvio,

è competente il Giudice di rinvio.

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2. Procedimento.

Nel procedimento di esecuzione si osserva l’art. 666

cod. proc. pen., che disciplina la procedura ordinaria

in camera di consiglio previo contraddittorio.

Il Giudice dell’esecuzione procede a richiesta del

Pubblico Ministero, dell’interessato o del difensore.

Il Giudice dell’esecuzione fissa la data dell’udienza in

camera di consiglio. L’avviso è comunicato o notificato

alle parti e ai difensori almeno dieci giorni prima di tale

data. Fino a cinque giorni prima dell’udienza possono

essere depositate memorie.

Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i

documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se

assume prove, procede in udienza in contraddittorio.

Il giudice decide con ordinanza. Contro tale ordinanza

è ammesso ricorso in Cassazione. Il ricorso non

sospende l’esecuzione dell’ordinanza, a meno che il

Giudice che l’ha emessa disponga diversamente.

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Quando è applicata l’interdizione dall’esercizio

dell’attività, il Giudice, su richiesta dell’ente, può

autorizzare il compimento di atti di gestione ordinaria

che non comportino la prosecuzione dell’attività

interdetta.

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CONVERSIONE DELLE SANZIONI INTERDITTIVE

L’art. 78 concede un’ultima possibilità all’ente per

evitare le sanzioni interdittive. Infatti, l’ente che abbia

posto in essere tardivamente le condotte riparatorie di

cui all’art. 17, entro venti giorni dalla notifica

dell’estratto della sentenza, può richiedere la

conversione della sanzione interdittiva in pecuniaria.

La richiesta va presentata al Giudice dell’esecuzione,

il quale entro dieci giorni fissa l’udienza in camera di

consiglio; se la richiesta non è manifestamente

infondata, il Giudice può, altresì, sospendere

l’esecuzione della sanzione.

Se accoglie la richiesta, il Giudice, con ordinanza,

converte le sanzioni interdittive, fissando l’importo

della sanzione pecuniaria in una somma compresa tra

quella già applicata in sentenza e non superiore al

doppio della stessa, in base alla gravità dell’illecito e

alle ragioni del tardivo adempimento.

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IL COMMISSARIO GIUDIZIALE

Art. 15 D. Lgs. 231/01

Qualora ritenga di applicare una sanzione interdittiva

che determini l’interruzione dell’attività dell’ente, il

Giudice dispone nella sentenza la prosecuzione

dell’attività da parte di un commissario per un

periodo pari alla pena che sarebbe stata applicata, se

ricorre almeno una delle seguenti condizioni :

a) l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio

di pubblica necessità la cui interruzione può

provocare un grave pregiudizio alla collettività ;

b) l’interruzione dell’attività può provocare ,

tenuto conto delle dimensioni e delle condizioni

economiche del territorio in cui è situato l’ente,

rilevanti ripercussioni sull’occupazione .

Compiti e poteri del commissario sono indicati dal

Giudice e tra questi anche l’adozione e l’attuazione

dei modelli (art. 15 e 79).