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BOZZA DI DOCUMENTO PROGRAMMATICO PER ROMA DELLA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA

Documento Programmatico per Roma

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Documento Programmatico per Roma della Federazione della Sinistra

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BOZZA DI DOCUMENTO PROGRAMMATICO PER ROMA

DELLA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA

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Premessa: il valore della politica

La Federazione della Sinistra di Roma ha avviato da quasi un anno un percorso di confronto interno e con diversi interlocutori della sinistra politica e sociale romana. Prima nella tenda “Liberare Roma” a Piazza Sonnino in aprile, poi nella “Festa della città che resiste” al parco Schuster in giugno, infine con il confronto “Un’alternativa per Roma” alla sala di Liegro in dicembre, oltre che in molte sedi di movimento, volto a definire una proposta per un’alternativa per Roma.

Quella che presentiamo è una prima sintesi di questo percorso e, per quanto ci riguarda, una prima bozza delle proposte a sostegno delle quali parteciperemo alle elezioni amministrative del prossimo anno. Offriamo questa bozza alla discussione di tutta la sinistra politica e sociale romana come base per un confronto aperto sul carattere dell’alternativa da costruire alla destra fascista e reazionaria al governo di Roma da cinque anni.

Abbiamo cercato di fare una sintesi coerente delle idee che sono emerse nell’opposizione concreta alle politiche amministrative di questi anni avendo in mente una visione del futuro, piuttosto che un elenco di rivendicazioni.

Molte delle proposte presentate sono parte di un’elaborazione collettiva che la sinistra di alternativa romana ha sviluppato, a partire dalla critica dell’esperienza dell’amministrazione Veltroni e dell'ultima amministrazione Rutelli e dall’opposizione alle politiche di Alemanno. La Federazione della Sinistra si ritiene parte di questo movimento reale, dell’altra Roma che ha le idee e può avere la forza di costruire l’alternativa. Un’alternativa che va costruita nel vivo delle lotte sociali e con le forze vive della città e non nelle stanze chiuse di partiti ed istituzioni.

Presupposto della vita politica democratica, che vede l'articolazione delle forze politiche e la relazione fra i partiti come dinamica essenziale, rende in primo luogo imprescindibile restituire al Consiglio Comunale la funzione d’indirizzo che la Giunta Alemanno ha sterilizzato, sostituendosi ad esso ed impedendo, per questa via, che il confronto di merito sostituisca il sostegno alle lobbies e delle lobbies.

Alemanno e la sua Giunta hanno caratterizzato il governo di Roma nel segno di una destra senza qualità, che ha coltivato i rapporti clientelari con i signori della rendita, ha distribuito favori senza pudore utilizzando risorse economiche e finanziarie pubbliche attraverso le aziende municipalizzate e offrendo consulenze per progetti che si sono rivelati impraticabili (il secondo anello di Raccordo, la Formula 1, le Olimpiadi del 2020), ha ignorato le possibili emergenze stagionali, ha notevolmente peggiorato il clima sociale nella città, permettendo la crescita del senso di insicurezza delle persone a fronte dell'aumento di microcriminalità, non ha operato in alcun modo per arginare la presa della criminalità organizzata, ha lasciato spazio, senza intervenire in alcun modo, ad associazioni ed organizzazioni fasciste dando loro copertura politica e a scorribande nelle strade e nelle Università. Alemanno e la sua Giunta in ogni caso se ne devono andare.

La FdS è la prima forza politica di Roma che avanza con chiarezza una proposta. Invitiamo le forze politiche del Centro sinistra a un confronto franco ed esplicito, così come proponiamo alla sinistra di alternativa romana di lavorare insieme ad una ulteriore definizione. Le nostre proposte non sono conclusive, ma sono, anche per la Federazione della Sinistra, un primo passaggio per discutere, Noi pensiamo che la possibilità di battere la destra a Roma dipenda dalla chiarezza con cui si saprà costruire una proposta che non si risolva

in mera alternanza di potere, ma che abbia il chiaro sapore dell’alternativa e la capacità di mobilitare la

città intorno ad essa.Come FdS riteniamo invece inutile un confronto con i partiti del cosiddetto terzo polo. Il legame di queste formazioni politiche con i poteri che schiacciano la città e dai quali Roma deve liberarsi è troppo forte perché possa essere immaginata un’alternativa che lo includa.

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Un’alternativa per Roma Bene Comune

Roma nella crisi

La crisi economica e le ricette neo-liberiste che attanagliano la vita quotidiana di milioni di persone incidono fortemente sul punto di vista con il quale si guarda all'amministrazione comunale e alle sue politiche. Non è possibile discutere di un futuro per Roma come in un qualsiasi altro periodo storico del passato, recente e meno recente.

Il combinato-disposto delle politiche del governo nazionale con quelle della Giunta Alemanno taglia risorse e servizi e aumenta le tariffe, mentre costruisce sempre nuove occasioni di speculazione per i signori della rendita.

Gli effetti di tale situazione stanno portando a una crisi sociale senza precedenti, che la manovra economico-finanziaria e le riforme strutturali in gestazione accentueranno nel medio periodo. Una famiglia su quattro è sotto la soglia della povertà, il lavoro precario è ormai la regola, la disoccupazione dilaga mentre il Comune lascia sole le persone in difficoltà tagliando asili, servizi sociali, buoni casa.

La crisi si è abbattuta su un tessuto economico e sociale frammentato e multiforme, nel quale coesistevano eccellenze industriali e produttive (dal turismo all’hi-tech, all’audiovisivo, alle utilities), con un processo di terziarizzazione frutto delle esternalizzazioni - nel pubblico come nel privato - e della crescita esponenziale della speculazione immobiliare e finanziaria. Si è determinato perciò uno sviluppo distorto, caratterizzato dalla polverizzazione del tessuto produttivo accanto al più alto tasso di precarietà del Paese, secondo solo all'area partenopea per le caratteristiche della disoccupazione.

La metropoli non è un insieme di persone e cose ma invece l’espressione dei rapporti economici e sociali che la compongono. I milioni di persone di tutte le etnie che lavorano e che l’attraversano ogni giorno dalla provincia al centro, o quelli che la vivono prigionieri nelle desolate periferie sempre più espanse fuori dal raccordo anulare, sono il riferimento principale della nostra proposta.

La crisi sta amplificando il declino in atto da tempo e lo sta accelerando. Chi lavora, in maniera stabile o precaria, chi studia o è in pensione, ormai trova nel disegno della città, nell’erogazione dei servizi, nella propria possibilità economica di abitarla, un ostacolo ancora più grande alla già difficile situazione che impone la fase generale. Prezzi degli immobili e dei loro affitti, servizi sociali al collasso, politiche culturali inesistenti si connettono ad una città: prigioniera del traffico cui l’hanno costretta anni di politiche di resa al dominio del trasporto privato, soffocata dal cemento che, in attuazione o in deroga al piano regolatore, continua inesorabile a colare, sull’orlo della “crisi dei rifiuti” per non aver impostato e condotto coerentemente la raccolta differenziata, che rischia di precipitare in una crisi morale in cui la corruzione, il nepotismo, la ripresa impunita di azioni e proclami fascisti, sono solo il corollario del mercimonio che si intende fare dei beni comuni, dalle aziende comunali, alle caserme dismesse, alle rimesse dell’Atac, allo stesso spazio urbano scambiato secondo una pratica di urbanistica contrattata che ha divelto ogni regola.

La crisi e il declino si annunciano quindi così profonde che non basterà cambiare Sindaco – nonostante sia essenziale - per aprire spazi e respiro a un’alternativa. Occorre cambiare nel profondo le politiche e i riferimenti sociali, abbandonando l’illusione di mettere le briglie alla rendita, e costruire un fronte politico e sociale ampio e duraturo per sostenere questa alternativa.

Ben oltre una “buona amministrazione”, c’è bisogno di un governo fortemente politico della città.

Roma deve raccogliere l’appello lanciato da Napoli per un nuovo protagonismo dei Comuni, rappresentanti delle comunità locali, nell’opporsi alle ricette neoliberiste: nessuna liquidazione dei beni comuni, promuovere l'uscita dalla crisi basata sulla giustizia e sulla solidarietà sociale, sulla compatibilità ambientale e su un diverso modello di sviluppo, anche mettendo in discussione il patto di stabilità con pratiche di “disobbedienza istituzionale”.

Il Comune ai tempi della crisi, per non essere ininfluente gestore di politiche altrui, deve essere un Comune anticrisi. Innanzitutto solidale con la parte della comunità cittadina maggiormente colpita, di cui deve essere riferimento reale e ai cui bisogni deve dare risposte concrete, per garantire le quali occorre una

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politica redistributiva che riequilibri le gravi disuguaglianze che si sono determinate a Roma negli ultimi 20 anni.

Ma deve essere anche in grado di indicare e di mettere in atto un'idea innovativa dello sviluppo, che connetta il progresso economico a quello sociale, ambientale e culturale; che, a partire dalla trasformazione della città secondo gli assi dell’ambiente, della qualità della vita e della cultura, difenda i beni comuni e crei lavoro e benessere. C’è bisogno perciò di una totale discontinuità con il governo della destra in Campidoglio, ma anche con le politiche delle ultime precedenti amministrazioni, che hanno nei fatti continuato ad aprire la strada alla Roma del cemento e delle periferie senza fine e senza prospettive.

Una Capitale è tale se nel Paese costituisce un punto di riferimento e il traino per l'innovazione e la cultura, non se in essa sono presenti i Ministeri.

Non si tratta quindi di “amministrare” Roma , ma di cambiarla. E il cambiamento necessita di una vasta

mobilitazione politica e sociale dal basso, per contrastare i poteri che imprigionano Roma. Per questo è cruciale per l’alternativa un modo di governare che consideri la cittadinanza attiva e le molte forme dell’autorganizzazione sociale come una risorsa per il cambiamento e non un intralcio al governo. Associazioni, comitati di cittadini, sindacati esprimono a Roma una enorme ricchezza di idee e di proposte. Da qui bisogna partire per concepire un cambiamento come un processo partecipato che veda protagonisti i cittadini. Va rilanciata dunque la partecipazione superando il concetto di partecipazione come consultazione, (che è in realtà finalizzata ad acquisire consenso a scelte che non vengono messe in discussione) per individuare le forme della partecipazione come autogoverno e codecisione.

In tal senso vanno innanzitutto assunte le posizioni emerse dal Referendum sull'acqua pubblica del giugno scorso: un orientamento popolare netto, che si è espresso non solo sull'acqua, ma sulla scelta di non privatizzare i Servizi pubblici e di ricondurre le Aziende pubbliche al ruolo di garanzia per la cittadinanza, contrapposta alla dinamica imprenditoriale, che mira ai profitti, non ottimizza i Servizi e scarica sulle finanze pubbliche i costi di produzione. In questa direzione, del resto, l'esperienza che sta conducendo la città di Napoli rappresenta un punto di riferimento. Il riassetto delle Aziende che prevede processi partecipativi diffusi e la risposta positiva delle popolazioni e dei Comuni del suo hinterland sono la conferma del fatto che “si può fare”.

Il “modello Roma”

Roma è dominata dalla rendita fondiaria. Il peso della rendita immobiliare è enorme, nel comune con il maggior numero di abitanti e la più grande espansione territoriale del Paese. Da alcuni studi emerge che la metà del valore complessivo della rendita immobiliare prodotta in Italia è su Roma. La rendita immobiliare a Roma esprime il nodo strutturale della crisi, ovvero il processo di finanziarizzazione dell’economia. A Roma in particolare i processi veri di modernizzazione capitalistica sono stati la finanziarizzazione e la terziarizzazione dell’economia. Un processo di finanziarizzazione il cui motore, proprio per la specifica storia della città, è la rendita fondiaria e il suo “valore” scaturisce esattamente da una scelta pubblica, politica.

Il peso della rendita è infatti cresciuto all’ombra di un modello di sviluppo che vedeva nel settore edilizio il suo motore per la crescita e per l’accumulazione della ricchezza e che ha creato un sistema di alleanze politico-imprenditoriali imperniate su un gruppo di costruttori in grado di determinare le politiche urbanistiche della città, oltre che dominarne il sistema di informazione e comunicativo. È il modello delle grandi opere e del governo per i grandi eventi, in grado apparentemente di sostenere l’occupazione, ma che a lungo termine ha impoverito la città privandola del respiro di altre progettualità sulle quali impegnare professionalità e lavoro. Un modello che ha spinto una parte degli stessi imprenditori nella grande finanza nazionale ad essere oggi protagonisti nella conquista dell’affare del secolo rappresentato dalle aziende pubbliche locali (Caltagirone su tutti).

Questo modello ha fatto sì che il piano regolatore di una città che non cresce più da anni prevedesse l’edificazione di altri settanta milioni di metri cubi di cemento per definire il quale è stato respinto il 95% delle osservazioni. Lo stesso modello che ha creato le condizioni per un impoverimento generale della

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maggioranza della popolazione, attraverso l’aumento esponenziale dei valori immobiliari che hanno drenato reddito dal basso verso l’alto.

Questo modello si è però inceppato. L’edilizia è in crisi e decine di migliaia di alloggi realizzati restano invenduti, mentre affitti alti per compensare l'invenduto o la perdita di margini di reddito rendono improponibile ai più accedere ad una locazione. La situazione di crisi, inoltre, ha favorito l’insediamento delle mafie nella capitale. Mafie che con la grande disponibilità di liquidità si stanno impossessando di ingenti quantità della sua ricchezza. Con la conseguenza che l’economia ristagna e con essa la città.

Un’alternativa per Roma parte da qui: dalla rottura del blocco di potere economico della rendita e dei suoi legami con la politica, riconoscendo che poter cavalcare la rendita era un'illusione e che essa ha aperto la strada alla collusione tra affari e politica. Un’alternativa per Roma è innanzi tutto la costruzione di un altro

riferimento sociale, a partire da chi lavora in maniera “stabile” o precaria nella città, da chi vive le periferie da troppo tempo trascurate, riportandole al centro dell’attenzione, come a i tempi di Petroselli, per rispondere alla richiesta di qualità del vivere urbano che emerge dai ceti medi impoveriti dalla crisi.

l metodo della pianificazione. Una transizione ad un’altra città

Il governo del territorio metropolitano si è viepiù caratterizzato con un modo di governo episodico, scoordinato e affastellato, senza coerenze e senza visione generale dei processi.

Gli strumenti di questo modo di governare sono state le deroghe, diventate prassi consuetudinaria nella attuazione delle previsioni di PRG; i commissari straordinari, in essere per il traffico, i rifiuti, la gestione del debito; l’urbanistica contrattata e il sistema delle compensazioni; le varianti. Ciò ha fatto evaporare ogni intento pianificatorio e trasformato il bene pubblico a semplice conseguenza (quando c’è) dell’esercizio degli interessi privati.

Quando questo modo di governare è stato giustificato con la carenza di risorse e la conseguente necessità di attivare investimenti privati dai quali lucrare qualche vantaggio pubblico, è stato comunque funzionale a cementare un’alleanza tra poteri pubblici e poteri forti, tra politica e affari cui hanno aperto la strada gli ultimi anni dei precedenti governi cittadini e che caratterizzano ora più marcatamente la gestione Alemanno.

Occorre invece riaffermare un metodo di governo fondato sulla pianificazione pubblica e la preminenza dell’interesse pubblico, basato sull'individuazione di obiettivi condivisi con la parte più attiva e consapevole della società, una “visione” del futuro cui riferirsi per misurare l’efficacia delle politiche. Un piano che abbia la capacità di unire la città per tutti e rendendola di tutti.

Proponiamo di condensare questo in un “progetto di transizione a un’altra città”, un piano strategico intorno ad alcuni assi di sviluppo chiaramente individuati. Un programma di transizione a una città sostenibile, e giusta, che orienti le politiche, concentri gli investimenti, mobiliti la popolazione e costituisca nel suo insieme anche un piano per il lavoro.

Gli assi intorno a cui può essere organizzato il programma di transizione sono la redistribuzione del reddito, la difesa ed il rilancio dei beni comuni, il sostegno e lo sviluppo culturale e dell'innovazione, la riconversione ecologica della città, la partecipazione attiva e democratica.

Roma solidale. Tassare i ricchi per garantire i servizi

Nel piano regolatore sociale del Comune di Roma c’è una frase, “compatibilmente con le risorse disponibili”, già presente nella legge 328/2000 sull'assistenza, che però stabiliva anche il riferimento forte alla costruzione di sistemi sociali territoriali, oggi sostanzialmente vanificata, a partire dagli ostacoli concreti al suo sviluppo. Questo è il terreno che va recuperato, con l'azione sociale sul territorio. Se i Livelli Essenziali di Assistenza sono subordinati alle risorse, infatti, si trasferisce l'esigibilità del diritto alla domanda di disponibilità caritatevole, cancellando decenni di battaglie di civiltà per affermare i diritti della persona – costituzionali – per tornare al passato, quando organizzazioni di beneficenza si occupavano dei “poveri” e il punto più avanzato di solidarietà era rappresentato dalle mutue operaie. Una politica redistributiva a

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impatto diretto sui bisogni socio-sanitari è condizione della coesione sociale e presupposto di una politica per la sicurezza eliminando le fasce di bisogni primari non sostenuti. (v. scheda 1)

Il tema del reperimento delle risorse è dunque un tema cruciale nella definizione del segno politico che avrà l’amministrazione.

Il taglio dei trasferimenti statali, l’aumento delle tariffe dei servizi e l’introduzione di tributi locali non progressivi hanno modificato la composizione delle entrate comunali allontanandola dalla progressività prevista dalla Costituzione. La raffica di ulteriori aumenti tariffari previsti nel prossimo periodo (innanzitutto per i trasporti) tenderà a ridurre ulteriormente tale progressività: il bilancio comunale è, dal punto di vista delle entrate, sempre meno solidale.

A fronte delle difficoltà economiche dell'amministrazione capitolina, le scelte di sostenere la rendita al fine di lucrare tangenti pubbliche sulla speculazione privata e di offrire in vendita i beni comuni per risolvere la crisi finanziaria, causata sostanzialmente dalla riduzione della tassazione sulla ricchezza, ha prodotto ulteriori arricchimenti privati con il conseguente impoverimento della collettività. Così si sono depressi altri settori, abbandonati a sé stessi, approfondito le disuguaglianze, generato bisogni irrisolti, immiserito il vivere civile.

La nostra ipotesi è l’esatto opposto: per rilanciare l’economia occorre comprimere la rendita, ridurre le disuguaglianze, difendere i beni comuni, fare investimenti pubblici orientati alla riconversione della città, al soddisfacimento dei bisogni essenziali e alla cultura.

Per questo, la politica tributaria di Roma è di grande importanza. (v. scheda 2)

Altrettanto importanti, e strettamente collegate ad essa, sono la trasparenza, la legalità e la lotta alla corruzione. (v. scheda 3)

La conoscenza come asse del cambiamento

Il declino di Roma non è solo economico. L’imperativo neoliberista e il malgoverno della destra hanno fatto crescere una cultura non solidale e individualista, che ha disgregato il tessuto urbano e permesso la emersione di culture razziste e rigurgiti fascisti. Nello stesso tempo sono state abbandonate le politiche per l’istruzione e di sostegno alla scuola pubblica, mentre la produzione culturale è stata lasciata esclusivamente al mercato.

Occorre invece assumere la diffusione della cultura e della conoscenza, come asse centrale di una politica di cambiamento della città, intesa non come insieme di fabbricati, ma di relazioni, non solo con investimenti pubblici, ma anche con la destinazione di spazi e con il sostegno oltre che alle istituzioni pubbliche alle realtà della produzione culturale di base.

La crescita della cultura e della conoscenza rappresentano inoltre per Roma anche un asse formidabile di sviluppo economico e di opportunità di lavoro che è necessario cogliere. (v. scheda 4)

La riconversione ecologica della città

Un progetto di transizione ad una città più vivibile e sostenibile composto da una serie di azioni e di obiettivi individuati può costituire una reale alternativa all’attuale modello di sviluppo basato sul cemento e sulla rendita. La riconversione ecologica dovrebbe riguardare la gestione dei rifiuti, assumendo l’obiettivo “rifiuti zero”; la mobilità, puntando sul rilancio del trasporto collettivo pubblico; il consumo di energia, impostando una vera a propria riconversione energetica della città; l’agricoltura e il verde, da riscattare dalla condizione di marginalità per riconnetterle pienamente alla città; , l'assetto delle periferie, con un processo di riqualificazione esteso all’hinterland.

La riconversione ecologica della città può essere un grande progetto che migliora la vita, crea ricchezza e benessere e produce lavoro. (V. scheda 5)

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Roma è fuori di se (Il governo di area vasta)

La dimensione amministrativa di Roma Capitale non è più adeguata alla gestione dei processi: Roma è ormai fuori di sé. Oltre 600.000 cittadini romani sono stati costretti ad abbandonare la città per Comuni sempre più lontani e nuove periferie sempre meno servite. Senza politiche condivise e concertate su scala metropolitana lo sviluppo della città è stato caotico, ingiusto e squilibrato, per la perdita di riferimenti e di identità territoriali e perché i confini di Roma sono ormai decisamente al di là di quelli sui quali si esercita la potestà amministrativa comunale.

Nello stesso tempo si è accentuata la tendenza a espellere, insieme alle persone, anche i problemi. Dal piano nomadi, alla gestione dei rifiuti, la politica dell’amministrazione Alemanno ha continuato a scaricare sulla provincia ciò che ritiene un problema che non è in grado di risolvere.

Alcuni ambiti, per i quali la programmazione non può che esercitarsi su scala metropolitana, costituiscono altrettante sfide: la mobilità delle persone e delle merci, il sistema dei servizi sociali, la pianificazione urbanistica, l'esercizio delle attività commerciali, lo sviluppo e l'integrazione delle iniziative culturali, scolastiche e turistiche, la questione dei rifiuti, il sistema agricolo e del verde. (v. scheda 6)

Un governo partecipato (dalla consultazione alla decisione condivisa)

La crisi di rappresentatività della politica a Roma è acuita dal fallimento degli istituti della partecipazione, in un contesto segnato dall’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e dall’irrigidimento ulteriore del patto di stabilità - che impediscono di fatto l’esercizio della democrazia nelle scelte economiche e sociali di fondo – insieme al cambio di senso dei luoghi della rappresentanza (sostituzione delle Provincie con Consigli di amministrazione, riduzione della rappresentanza nei Consigli comunali e municipali, aumento dei poteri dei sindaci e degli esecutivi).

In tale quadro, la nostra richiesta di aumento e ri-articolazione della partecipazione è in controtendenza e riflette la necessità di riaprire un dibattito che a Roma ha visto chiudersi gli spazi dopo alcuni tentativi concreti.

Il problema della democrazia formale negata, di per sé significativo, implica la rinuncia dell'amministrazione ad una risorsa fondamentale per il cambiamento (i cittadini), realizzando una politica di mediazione tra interessi invece che per l'affermazione dei diritti, interesse della cittadinanza. Roma può cambiare solo con

la partecipazione convinta dei suoi abitanti alle scelte, realizzando un processo partecipativo che dia reale potere alla società civile organizzata, con strumenti non solo consultivi, bensì impegnativi, come pratica della democrazia decentrata, partendo dalle articolazioni amministrative che attualmente la caratterizzano: i Municipi. (v. scheda 6)

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Sono questi gli ambiti di intervento e i contenuti che proponiamo alle forze politiche di centro sinistra e di

sinistra della città. Ognuno di essi costituisce opportunità di sviluppo del lavoro e di occupazione, sia come

diretta conseguenza degli investimenti pubblici, sia rivitalizzando i settori produttivi e il terziario, anche con

il sostegno delle politiche pubbliche.

Le proposte concrete, contenute nelle schede allegate, tendono a rendere sistematico e definito il confronto

nel merito, al quale siamo aperti e pronti a riconoscerne l'esito in termini di arricchimento e articolazione dei

punti che per noi costituiscono l'anima del cambiamento, nella convinzione che non esista alternativa per

Roma se non attraverso il mutamento radicale degli obiettivi e delle centralità della politica cittadina.

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Scheda 1

Roma solidale

Quando si parla di sostegno alle persone si pensa subito alle forme dell'assistenza, che purtroppo vengono immediatamente identificate come impegno di risorse economiche, ma mai come grande opportunità di sviluppo e sicurezza sociale e di lavoro, non solo remunerato (uscite), ma anche produttivo di valore aggiunto quantificabile in “pil”. Per ricostruire questo enorme patrimonio di benessere, è necessario in primo luogo restituire centralità al sistema pubblico nella programmazione, gestione e controllo dei servizi. Il terzo settore o ancora di più il volontariato non possono sostituirsi al servizio pubblico, ma possono svolgere un importante lavoro attivo di complemento per rendere l’offerta dei servizi adeguata all’evolversi del quadro sociale di riferimento, secondo il criterio della pianificazione degli interventi. In questo senso va avviato un vasto processo di re-internalizzazione dei servizi, assieme all’abolizione delle gare al massimo ribasso per la fornitura di beni e servizi, definendo costi che permettano il rispetto del contratto nazionale di lavoro e dando stabilità ai servizi affidati al terzo settore. Ovviamente accanto a ciò si deve arrivare a chiudere definitivamente la pagina del precariato con la completa stabilizzazione di tutti i lavoratori del Comune di Roma che svolgano attività permanenti nello stesso.

In sostanza, occorre rovesciare l’impostazione partendo dai bisogni e non dalle risorse per riconoscere le dinamiche dell'assistenza (sociale o sanitaria) come ambiti che producono benessere della cittadinanza e – attraverso vere e proprie economie di scala – un altro Pil. Il primo passo è definire i LEA e i LIVEAS (livelli essenziali di assistenza sociale) – strettamente collegati nei bisogni della persona – a livello metropolitano e reperire le risorse economiche necessarie a garantirli tassando la ricchezza, aprendo contestualmente con la Regione Lazio un tavolo relativo alla valutazione dei “fabbisogni standard”, che attualmente costituiscono il criterio per definire i Livelli essenziali di assistenza sanitaria.

Servizi di qualità necessitano di stabilità e di una maggiore cura della professionalità degli operatori, oggi mortificata sia dal processo di centralizzazione decisionale e gestionale promosso dall’amministrazione, sia dalla diffusa precarietà e dal blocco del turn-over, tutto aggravato dai decreti del 2010-2011 del precedente Governo. I lavoratori, anche quelli del terzo settore, e soprattutto gli utenti, devono avere maggiore voce in

capitolo nella progettazione degli interventi e nello stesso tempo sono necessari maggiori controlli in merito al rispetto dei protocolli sulle procedure e del trattamento dei lavoratori.

Il piano regolatore sociale deve essere perciò strettamente integrato con le politiche sanitarie assieme a quelle per la socialità, la cultura e la formazione. Quando si cita la cosiddetta “flexicurity” per giustificare in nome dell'Unione europea la flessibilità della prestazione lavorativa, si omette che la stessa Ue prevede per sostenerla potenti misure di protezione del lavoro e del non-lavoro, formazione di passaggio professionalizzante, garanzie nelle condizioni di lavoro in essere. In poche parole, più welfare.

Di pari passo con la valorizzazione della multiculturalità della città, occorre superare ogni razzismo

istituzionale che segreghi gli immigrati per estendere pienamente i diritti di cittadinanza a tutti. L’abbandono del fallimentare e costosissimo “piano nomadi”, basato sulla ghettizzazione, in favore di politiche che, a partire dal riconoscimento dalla dignità delle persone e della cultura romanì, operino per la piena integrazione nel tessuto economico e culturale cittadino è punto di riferimento centrale di una necessaria svolta antirazzista.

Un discorso a parte richiedono i servizi socio-educativi (gli asili nido), per i quali è indispensabile invertire la rotta dell’affidamento ai privati e in convenzione del servizio. Non deve essere applicata la legge regionale che restringe gli spazi minimi e aumenta il rapporto bimbi educatori. Al centro del servizio devono rimanere il bimbo e la sua famiglia e non la mera logica contabile. Per fare questo vanno fissati vincoli e criteri che impongano al privato regole ferree. Pur nella consapevolezza che il Comune agisce sotto la tutela della legislazione nazionale e regionale, il piano comunale può essere indirizzato per invertire la tendenza.

Un posto di particolare importanza nelle politiche di welfare ha la politica per la casa. Gli esorbitanti costi delle abitazioni concorrono infatti in maniera fondamentale a determinare l’aumento della povertà e l’espulsione dei ceti meno abbienti dal centro e dalla città. Va quindi rilanciata l’edilizia sovvenzionata, utilizzato lo strumento della requisizione delle case sfitte, ricondotto a uso sociale tutto il patrimonio pubblico, a cominciare da quello delle IPAB, una politica per l’affitto, intervenendo sul costruito e non espandendo ancora la città.

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Scheda 2

Risorse, redistribuzione del reddito e politica tributaria

La riduzione drastica del trasferimento di risorse dallo Stato e, perciò, l'azzeramento pressoché generalizzato di tutte le forme di assistenza e sostegno alle fragilità sociali a carico dei Comuni, sono avvenuti in un periodo in cui la ricchezza si è ulteriormente polarizzata facendo di Roma, con il suo elevato indice di concentrazione della stessa, la città più disuguale d’Italia.

Nel corso degli ultimi venti anni a Roma sono state accumulate enormi fortune anche grazie alla riduzione della tassazione per le fasce più alte di reddito, attraverso le maggiori opportunità di detrazioni e deduzioni ed una sproporzionata minore incidenza delle aliquote per le stesse fasce; ad un utilizzo dell'Isee che considera i carichi familiari, ma non i patrimoni mobiliari e tanto meno, rispetto al lavoro dipendente, la sua “puntualità” in relazione all'anno in corso ed alla perdita frequente di reddito da lavoro; alla rendita fondiaria; all'evasione fiscale e alla corruzione. L’evasione fiscale nella nostra città è valutata intorno a 10 miliardi annui, le risorse assorbite dalla corruzione sono enormi, i capitali esportati e rientrati sotto lo scudo fiscale sono, a Roma, intorno agli 8 miliardi.

Se aggiungiamo che nel loro insieme i servizi pubblici, in particolare quelli indirizzati alle fasce più vulnerabili della popolazione, sono in costante riduzione da anni, ne emerge una situazione di crescente ingiustizia tra chi ha accesso alle opportunità e chi non lo ha, tra chi può pagare e chi no, sollecitando egoismi di ceto sociale e favorendo la perdita di un valore essenziale per ogni comunità: la solidarietà, unica leva, anche, per il progresso, in quanto capace di aggregare le persone intorno a rivendicazioni condivise e di sistema.

Per questo, al primo punto è la lotta all’evasione fiscale, utilizzando fino in fondo la disposizione che prevede che i Comuni possano trattenere il 100% dell'evasione che contribuiscono a individuare.

Proponiamo poi di utilizzare gli spazi dati dal decreto per Roma Capitale per impostare una politica

tributaria locale redistributiva. Elementi di questa politica potrebbero essere la progressività dell'addizionale comunale e dell’ICI, un’imposta di scopo per il finanziamento delle opere pubbliche, una forte tassazione del patrimonio immobiliare sfitto, l’ICI sugli immobili del Vaticano, l’imposta di valorizzazione immobiliare, l'incremento degli oneri concessori, l’estensione delle fasce di esenzione tariffaria per i servizi pubblici.

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Scheda 3

Trasparenza, legalità, lotta alla corruzione

Parentopoli non è un episodio a sé stante. La gestione della cosa pubblica è da tempo asservita a interessi privati. La quota della corruzione in Italia prodotta a Roma non è marginale. Ad essa si sommano proventi e costi sociali legati alle forme che assume la criminalità organizzata, a sé stante o nei suoi rapporti con la cosa pubblica, determinando un tessuto più diffuso di quanto si pensi di illegalità e opacità che diventano sistema, oltre a generare – quando sfocia in azioni criminali di piccola o grande portata – il malessere dell'insicurezza nella popolazione.

l sindaco Alemanno nell’insediarsi aveva fatto della sicurezza il motivo principe del suo programma elettorale. I fatti lo hanno smentito clamorosamente, sia per l’espandersi della microcriminalità legata allo spaccio di droghe, sia per il progressivo insediamento delle cosche criminali organizzate.

Il territorio romano già da tempo è stato scelto dalle organizzazioni criminali per costituirvi articolazioni logistiche per il riciclaggio di capitali illecitamente accumulati e per l’investimento in attività imprenditoriali “pulite”.

Le organizzazioni criminali acquisiscono anche a prezzi fuori mercato, in rialzo, immobili, società ed attività commerciali nelle quali riversano ingenti risorse economiche provenienti dai delitti.

In tal modo, da un lato aumentano la loro presenza ed influenza nel mercato e dall’altro incrementano i loro affari acquisendo fonti di reddito cospicue ed apparentemente lecite.

Roma viene scelta per questo processo illecito d’insediamento perché non è particolarmente caratterizzata – a differenza di altri territori – da uno scontro endemico tra le diverse componenti della criminalità locale ed è più facile per le organizzazioni mafiose infiltrarsi silenziosamente e consolidarsi senza ingenerare particolare tensione.

Prova evidente della presenza di queste organizzazioni è stato l’arresto, avvenuto nel territorio metropolitano, di pericolosi latitanti, che senza una presenza capillare e significativa di accoliti e complici non avrebbero potuto vivere in clandestinità.

Le ramificazioni della n’drangheta e della camorra sono testimoniate dall’arresto di noti esponenti dei clan criminali quali Bellocco, Terracciano, Noviello, Gallico, Tancredi, Alfieri, Pagnozzi, Mallardo, Alvaro, Greco, Defina.

Sono stati sequestrati esercizi commerciali insospettabili rilevati dalle cosche come il Cafè de Paris di Via Veneto, il Ristorante Federico I di via Colonna Antonina, il Bar California di via Bissolati, solo per citare i più conosciuti.

Il settore delle costruzioni, dell’intermediazione finanziaria, del credito, del commercio – in particolare di autovetture – sono anch’essi permeati da questo fenomeno.

La microcriminalità locale legata a gangs territoriali e dedita prevalentemente allo spaccio delle droghe è anch’essa in forte aumento.

Il patto di coesistenza tra le bande territoriali è però stato infranto nell’ultimo anno da tensioni e scontri interni che hanno portato a ben 31 omicidi legati quasi tutti al traffico di stupefacenti ed all’usura.

A fronte di questi fatti, nel constatare il clamoroso fallimento delle politiche di sicurezza portate aventi dal Alemanno, s’impone una riaffermazione dei valori della legalità da ottenere sia con investimenti in strutture ed uomini finalizzati al contrasto e sia con un reinsediamento nei territori e nei luoghi di lavoro di una coalizione di forze politiche, sindacali, associazionistiche che facciano della legalità e della solidarietà un irrinunciabile valore di riferimento, in modo che la grande e la micro criminalità vengano combattute in primo luogo sul versante culturale e di costume, che rompa connivenze ed omertà.

Un capitolo a parte deve essere riservato ai comportamenti delittuosi che colpiscono i cittadini dal punto di vista istituzionale: i reati contro la pubblica amministrazione.

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Roma è al centro di questa particolare branca delittuosa proprio per la sua connotazione di capitale e sede di importanti amministrazioni pubbliche con valenza nazionale e territoriale.

Ministeri, Regione, Comune, aziende ospedaliere, hanno visto nello scorso anno aumentare notevolmente i reati come l’abuso di ufficio, l’omissione di atti di ufficio, la corruzione, il peculato, la concussione.

A 20 anni dall’inchiesta di “mani pulite” la corruzione aumenta in modo sistemico.

Essa, nella nostra città, è diventata una tassa occulta che, calcolata dalla Corte dei Conti in oltre 50 miliardi di euro l’anno su scala nazionale, vede indubbiamente costituirsi una grande fetta proprio a Roma.

Tra i tanti procedimenti penali instaurati nella nostra città, il filone di “parentopoli” è l'esempio più calzante, per le assunzioni illegittime nelle aziende pubbliche di trasporto e di igiene ambientale, che testimoniano proprio a livello istituzionale il fallimento delle politiche di “legalità e trasparenza”, così come portate avanti dal sindaco Alemanno.

La lotta alla corruzione e per la trasparenza è quindi essenziale per recuperare risorse ed efficienza della pubblica amministrazione. Efficienza che va anche perseguita sia con processi di sburocratizzazione, sia con un utilizzo spinto delle tecnologie informatiche, ma soprattutto con la valorizzazione professionale e di funzione con la partecipazione dei dipendenti pubblici.

L’impegno in questo campo è fondamentale per restituire credibilità al sistema pubblico, ma anche nella lotta alla criminalità organizzata, la cui diffusione in città è stata favorita, oltre che dal contesto sociale in disgregazione, dalle troppe aree grigie nella gestione della cosa pubblica. In questo campo occorrono azioni concrete, come l'abolizione delle gare al massimo ribasso, l'istituzione della centrale unica degli appalti, la tracciabilità dei capitali investiti e politiche di trasparenza degli appalti e degli affidamenti volte ad estirpare le occasioni di corruzione e favoritismo

Sono, queste, anche, misure necessarie alla tutela dei lavoratori e delle lavoratrici relativamente alle condizioni di lavoro, soprattutto negli appalti, e contro il lavoro nero e sottopagato.

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Scheda 4

Cultura e conoscenza come assi del cambiamento

La cultura come diritto

La cultura e la conoscenza sono il vero grande patrimonio della città e vanno intese non solo per l'immenso patrimonio archeologico – storico – artistico, ma anche per la capacità di produzione culturale, scientifica e di ricerca, come fondamentale volano di crescita civile, di sviluppo umano, della trasformazione/innovazione e del rilancio anche economico della città, che non può essere lasciato al mercato, ma oggetto di politiche pubbliche.

L’occupazione del teatro Valle, dell’ex cinema Palazzo, del teatro del Lido di Ostia, i tanti centri sociali e culturali, insieme a tante altre iniziative, dimostrano la persistenza di una “questione culturale” nella città, intesa come necessità di salvaguardia e di creazione di spazi, di diritto all’accesso, di ricerca di forme nuove di fruizione da parte di un pubblico maturo e come occasione di lavoro e di espressione delle più varie professionalità.

La diffusione di cultura e conoscenza come diritto inalienabile di ogni cittadino e cittadina romana deve essere uno degli assi fondamentali di un progetto di trasformazione della città che non la consideri un’insieme di case, ma soprattutto una comunità di persone ed un intreccio di relazioni.

Occorre innanzitutto garantire alle periferie la vita culturale che è stata loro negata e dotare l’insieme della città di una rete capillare di luoghi della produzione e della fruizione culturale, della socialità e dell’incontro sia costruendo, riaprendo o potenziando luoghi pubblici, sia proteggendo dal mercato con vincoli di piano regolatore luoghi già privati come gli ex cinema, sia sostenendo le esperienze di base e di autogestione di spazi come i centri sociali, sia sostenendo le istituzioni culturali pubbliche e di qualità, sia infine valorizzando la presenza a Roma della ricchezza culturale costituita dalla presenza di 400.000 immigrati da tutti i continenti .

L’accesso e la fruizione della conoscenza per tutti va garantita anche con politiche dei prezzi che favoriscano i giovani e i ceti a basso reddito e la definizione della politiche culturali, sia cittadine che locali, deve includere luoghi permanenti di confronto, elaborazione e verifica con l’associazionismo e le forze sociali e culturali presenti sul territorio.

C’è un'eredità delle giunte di sinistra, recenti e passate, che ha anche tratti positivi, dall’Estate Romana al rafforzamento di molte istituzioni pubbliche, alla rete delle varie Case, sede di attività che vanno rilanciate, alla costruzione del nuovo Auditorium. Ma tutto questo non basta. Si tratta di passare dalla politica degli

eventi (grandi o piccoli che siano) ad una politica di diffusione e di permanenza su tutto il territorio della

produzione e fruizione culturale

Un progetto per la cultura a Roma deve vedere il riequilibrio, oltre che tra centro e periferie, tra il Nord e il Sud della capitale, dove vivono centinaia di migliaia di persone, che si apre a un hinterland a sua volta popolatissimo e che - se si parte da San Giovanni e si percorrono le consolari, Appia, Tuscolana, ma anche Casilina, Prenestina e Tiburtina più a nord - è completamente, o quasi, privo di strutture, salvo poche eccezioni.

Un punto di partenza può essere la intransigente difesa dalla speculazione edilizia del complesso di

Cinecittà, Molte altre sono le possibilità: dagli interventi sui cosiddetti “teatri di cintura” al pieno recupero del Valle,; dalla creazione del Museo della scienza a quella dell’Antiquarium comunale, abbattendo finalmente il rudere di Via di San Gregorio e recuperando una zona tra le più belle del mondo.

Occorre che le istituzioni culturali sovvenzionate dal pubblico denaro escano dai recinti, per lo più collocati al Centro o al Flaminio, per programmare sistematicamente alcune delle loro attività anche in altre sedi e in altri quartieri. Mostre, spettacoli, concerti, devono svolgersi dovunque ed è un dovere delle istituzioni pubbliche.

Proposte, queste, che sembrano poter rappresentare almeno lo scheletro di una nuova e più ricca fase della vita culturale a Roma, guardando soprattutto al futuro e a un nuovo sviluppo della nostra città.

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Una attenzione specifica deve essere infine dedicata alla scuola pubblica, oggetto di un massiccio attacco sia a livello nazionale che da parte della giunta Alemanno che si è caratterizzata per la più perfetta sintonia con le politiche governative interpretate, se possibile, in chiave più apertamente razzista e classista. La crociata contro i menù “etnici”, l'aumento delle rette, l'attacco alle scuole in prima linea nelle pratiche di integrazione, fino alla recente gestione del piano di dimensionamento della rete scolastica, sono stati i tratti caratteristici delle destre al governo della città.

Anche sulle politiche educative occorre voltare pagina, innanzitutto intervenendo a sostegno delle fasce sociali più deboli attraverso il potenziamento dei fondi per il diritto allo studio e per le politiche sociali destinate alla scuola. Ridurre il costo delle mense a carico delle famiglie ed allargare le fasce di riduzione o esenzione totale; aumentare il contributo per l'acquisto dei libri di testo; abbassare il costo degli abbonamenti ai mezzi pubblici per gli studenti; garantire l'assistenza specialistica (AEC) agli studenti con disabilità grave; estendere il tempo pieno nella scuola per l’infanzia, sono solo alcune delle possibili misure da finanziare utilizzando il cospicuo finanziamento comunale alle scuole dell'infanzia private, inaugurato dalla prima giunta Rutelli e potenziato nel corso di tutte le consigliature successive.

Roma è sempre più città multietnica e multiculturale. In questi anni, la crescita della presenza di cittadini immigrati, in particolare in alcuni quartieri della città, ha posto le scuole romane di fronte alla sfida dell'integrazione. Una sfida raccolta positivamente che ha dato vita in alcune scuole ad esperienze esemplari di integrazione, di riconoscimento e rispetto delle differenze culturali. Sono processi che vanno accompagnati con politiche adeguate, finanziando specifici progetti, di insegnamento della lingua italiana come seconda lingua per gli studenti di recente immigrazione e utilizzando in modo diffuso le figure di mediazione linguistica e culturale.

Per fare delle scuole romane il simbolo di una città aperta ed accogliente.

Roma città da riaprire

Il dominio di una visione liberista, dei poteri forti, della rendita come motore dell’economia, della politica come affare hanno permesso una generale caduta della solidarietà e permesso la diffusione dell’individualismo, del razzismo ed aperto le porte a rigurgiti fascisti. Roma non è più una “città aperta”.

Sono quotidiane le offese che la città medaglia d’oro della resistenza deve ormai subire, dalla proposta di intitolare una strada a un firmatario del manifesto della razza, fino alla ripresa di episodi di violenza ed intimidazione fisica nei confronti attivisti di sinistra. L’ultimo gravissimo episodio, avvenuto ad Ostia, segna un preoccupante salto di qualità, sia nella sua dinamica di aggressione premeditata, sia nella inaccettabile descrizione che ne ha dato parte della stampa.

Ciò è possibile anche perché l’estrema destra sdoganata da Alemanno, fino all’inserimento di suoi esponenti ai vertici delle aziende comunali, gode di coperture istituzionali in Campidoglio e nei Municipi e si è alimentata anche di concessioni di sedi, contributi, finanziamenti, assunzioni illecite garantite da un rapporto diretto con i poteri locali. Occorre spezzare questo legame, ribadire il carattere antifascista della Repubblica anche nelle sue istituzioni locali, recidere ogni copertura e sostegno a cominciare dalla concessione della sede all’organizzazione neofascista Casa Pound.

Il diritto di voto agli immigrati, con il sostegno alle proposte di legge nazionali e con l’introduzione nei referendum e nei processi partecipativi, come atto politico di riconoscimento della piena appartenenza alla comunità cittadina di quasi mezzo milione di migranti, deve andare di pari passo con l ‘abbandono di ogni razzismo istituzionale.

Nello stesso senso va la necessità di ribadire il carattere laico dell’amministrazione anche con la istituzione dei registri delle unioni civili e dei testamenti biologici, così come la tutela della parità di trattamento e di diritti delle diverse comunità religiose e della lotta all’omofobia.

La cultura e la conoscenza come asse di sviluppo economico

Roma è una città unica al mondo, con un immenso patrimonio artistico, frutto di secoli di storia, che la

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percorre dall’antichità classica alla contemporaneità. Nel contempo la città è oggi sede di università e centri di ricerca, pubblici e privati, di settori importanti dell’industria audiovisiva e cinematografica e di grandi istituzioni culturali pubbliche, di una iniziativa privata che rimane importante in tanti settori dello spettacolo e della creatività ed è ricchissima di una produzione culturale diffusa, di una domanda di partecipazione alta, di centri di promozione che dimostrano un'inesauribile vitalità, voglia di sperimentazione, di presenza.

Infatti Cultura è anche occupazione per decine di migliaia di addetti, è risorsa – e non solo finalità – di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla qualità e non solo sulla quantità. Vuol dire opportunità offerte a giovani talenti, a tecnici, a intellettuali, ma anche possibilità di far vivere in modo diverso i nostri quartieri, di sostenere il turismo.

Naturalmente ci sono differenze tra le funzioni e le responsabilità di Governo centrale e Ministeri e quello dell’Ente locale, ma i compiti di Roma sono in questo campo assolutamente precipui, proprio se la città vuole rispettare, insieme al suo passato, un presente pieno di sollecitazioni, che spesso rimangono senza risposta e che Alemanno ha completamente trascurato se non represso. Ma è necessario anche introdurre significative novità ed investire progressivamente risorse. Noi pensiamo che la spesa per la cultura, e per la sua diffusione come diritto, abbia un valore strategico anche per sostenere la funzione di Roma come centro di produzione e per sostenere la sua industria, non per niente c’è chi definisce questa nostra epoca come la società della conoscenza. Implementare qualità dello sviluppo e crescita economica più complessiva sarà un beneficio per tutta la città e per il suo hinterland.

Un progetto culturale all'altezza della Capitale sarebbe anche in grado di innestare modi di proporre il turismo che lo colleghino anche a opzioni di mobilità integrata con Comuni della fascia di cintura, che ne costituiscono un corollario importante. In questo campo, infatti, mancano del tutto le infrastrutture per il turismo giovanile ed economico, a partire dalla vergognosa mancanza di un ostello della gioventù, fino a una limitata offerta di bed and breakfast. Non esiste alcuna progettualità che colleghi il territorio litoraneo (da Anzio fino a Fiumicino e al suo entroterra) a Roma, per implementare un circuito città-mare, del tutto significativo e “appetibile” per le migliaia di turisti che durante tutto l'anno affluiscono a Roma e ai quali sarebbe possibile offrire la continuità territoriale nella sua varietà. Una mobilità dedicata anche ferroviaria, convenzioni alberghiere e di ristoro per permanenze articolate, collegamenti integrati con l'aeroporto di Fiumicino, costituiscono un interessante sbocco all'offerta turistica di Roma. Inoltre i flussi turistici sono in grande parte intercettati da grandi strutture e circuiti. Per questo occorre da un lato la messa a sistema dell’insieme delle risorse turistiche e dall’altro costruire circuiti economici che permettano l’allungamento del periodo medio di permanenza.

Gli Istituti di Ricerca scientifica e sociale e le Università, da connettere più direttamente al processo di trasformazione della città, costituiscono un patrimonio culturale e innovativo la cui concentrazione rappresenta un'incidenza della spesa pubblica – per quanto riguarda ricerca e sviluppo – nella percentuale di 1,1 sul Pil, a fronte di una media nazionale dello 0,5. Si tratta di un investimento, però, mai integrato nell'idea di governo della città e della sua economia. Mettere a valore anche per Roma, in tutti i processi di rinnovamento che devono ricostruirne la fisionomia, questa grande risorsa rappresenta una sfida da cogliere, non solo attraverso la valorizzazione delle attività svolte, che argini la fuga di tanti ottimi giovani e ricostruisca una ragione valida per avanzare negli studi, ma anche per ricostituire quel tessuto di innovazione in grado di avere ricadute importanti sulla città.

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Scheda 5

La riconversione ecologica

Un piano “Rifiuti zero”

Occorre abbandonare l’approccio incentrato sullo smaltimento, in discarica o in inceneritore, in favore di uno basato su riduzione, riuso e riciclo del rifiuto. Un approccio quindi che considera il rifiuto come una risorsa per lo sviluppo economico e per il lavoro, organizzando la raccolta con metodi di differenziazione spinta e considerando lo smaltimento come modalità residua e temporanea fino al suo tendenziale annullamento ove tecnologicamente possibile, chiudendo finalmente Malagrotta, abbandonando i progetti di inceneritori e nuove discariche. Occorre cioè considerare il rifiuto urbano come una grande miniera a cielo aperto di materie prime e di oggetti riutilizzabili e organizzare in prima istanza il loro sfruttamento economico e non lo smaltimento/incenerimento.

L’obiettivo rifiuti zero necessita di uno strumento di gestione del ciclo forte e competente, al quale deve essere riconvertita l’AMA come azienda speciale partecipata, ripensandone le caratteristiche e ponendo in essere strumenti adeguati, nell’ottica della sostenibilità.

Tra le misure in grado di garantire la chiusura del ciclo va perseguito il coinvolgimento di forze imprenditoriali moderne e attive verso i nuovi mercati (materie prime - seconde), garantendo loro il sostegno delle pubbliche amministrazioni nel promuovere la (nuova) domanda e nel sostegno del prodotto.

In questa direzione le precedenti esperienze sono state particolarmente deficitarie, sia sul piano economico che culturale, già nel sostenere aree o quartieri nei quali si sperimentava ad esempio la raccolta differenziata porta a porta (PaP).

Il coinvolgimento diretto (Municipio per Municipio, quartiere per quartiere) di operatori e delle istanze sociali (associazioni ambientaliste, comitati, sindacati di categoria) va realizzato nella fase di produzione (da contenere), della riduzione (da promuovere) e della raccolta PaP (da accompagnare).

L'avvio di questa esperienza dovrà, però, essere necessariamente individuato in azioni virtuose delle stesse amministrazioni, garantendo una progressione di acquisti verdi (“green public procurement”) e di adesione a raccolte differenziate; si potrà così garantire il progetto complessivo, confermare il modello dei consumi e lo stile di vita, stimolare e verificare imprese e mercati di settore.

In questa logica risulta indispensabile invertire la gerarchia degli impegni economici, superando definitivamente modelli statici e obsoleti, creando un percorso politico, economico e culturale in netta discontinuità, attivando risorse commerciali e occasioni di lavoro.

Le azioni prioritarie da mettere in campo in direzione dell'inversione di tendenza sono la rapida individuazione e realizzazione di adeguati centri ecologici, da incentivare per utilità e convenienza (legate all'idea del bonus tariffario) dei cittadini e subito dopo l’ampliamento e l'aumento numerico delle arre di compostaggio.

Evidentemente queste azioni richiamano la necessità di sollecitare siti industriali di trasformazione (impianti di riciclaggio del vetro, materiali inerti, ...) e, per questo, saranno determinanti la definizione e la produzione di norme amministrative dirette alla regolamentazione di specifici consumi e per la formazione delle specifiche tipologie di rifiuto.

La promozione del riuso e dello sviluppo di un settore economico dedicato alla riparazione e riciclo di oggetti usati è anche parte di una strategia di resistenza alla crisi, che permette di ridurre i costi di approvvigionamento delle merci e lo sviluppo di nuove professioni artigiane.

Agricoltura, alimentazione, salute

Oggi le aree non edificate sono considerate “non città”, terreni di risulta in attesa di potenzialità edificatorie, come se la vera vocazione del terreno fosse di essere cementificato e non la produzione agricola. Occorre rovesciare questa visione.

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A Roma, e nella sua area vasta, sono già presenti volumetrie assolutamente sufficienti a ospitare i suoi abitanti e le sue attività. Occorre considerare conclusa la fase dell’edificazione del territorio ponendo fine, definitivamente, all’espansione della città e limitando l’attività edilizia al riuso, recupero e riconversione del costruito e restituendo dignità e vocazione produttiva agricola o di area verde alle aree non edificate.

Da un lato si tratta, infatti,di “mettere in sicurezza” la loro vocazione agricola, ricollegandole con filiere corte alle necessità alimentari e al bisogno di salute della città e trasformandole in un’occasione di reddito e di occupazione. Dalle grandi tenute, agli orti sociali, ai mercati a km zero, ai gruppi di acquisto collettivi, fino all’educazione alimentare, si tratta di immaginare un sistema che dia nuova dignità all’agricoltura pensata come risorsa per il benessere e ad ulteriori professionalità che la concernono. Il sistema agricolo romano, così ripensato, potrebbe svolgere anche un ruolo nello smaltimento dei rifiuti umidi, sia come gestore di un sistema di compostaggio decentralizzato, sia come recettore del compost.

Inoltre le aree verdi, agricole e non, possono essere messe a sistema per ricucire lo spazio urbano, riqualificare il paesaggio e dotarlo di diffusi spazi ricreativi e di socializzazione, permettendo così la creazione di occasioni di integrazione di reddito per gli agricoltori. Ciò anche attraverso rimboschimenti diffusi, che riportino il bosco alla periferia e nel cuore della città. Va in questo senso la proposta di inserire nel PRG l’asse strategico del sistema del verde come ordinatore del tessuto urbano e non più come spazio residuale.

Urbanistica e territorio: la ricucitura urbana, il recupero delle periferie e una nuova politica pubblica per il

diritto all’abitare.

Insieme alla ricucitura verde della città, occorre mettere mano alla riqualificazione urbanistica delle periferie e della cintura, la cui crescita caotica e senza servizi costituisce forse la principale sfida.

La premessa è la moratoria delle concessioni edilizie per nuove edificazioni e la messa in cantiere di una variante generale al PRG di riduzione delle previsioni edificatorie, sospendendo così le attività in deroga e l’uso distorto delle varianti urbanistiche, delle quali ha abusato la giunta Alemanno, ma che trova origine nelle trascorse recenti legislature con le Giunte Rutelli e Veltroni.

Roma possiede già le cubature necessarie alla propria vita. Occorre prenderne atto e localizzare ciò che manca nelle cubature inutilizzate, a cominciare dal bisogno di abitazioni a basso costo che possono essere realizzate con il recupero a scopo abitativo di parte del patrimonio pubblico (caserme dismesse, patrimonio ex-Ipab, edifici Atac) e con la requisizione o acquisizione a costi contenuti dell’invenduto privato. Queste indicazioni possono rappresentare una vera e propria svolta per rilanciare una nuova politica pubblica per il diritto all’abitare che possa partire dall’utilizzo delle risorse stanziate dalla Regione, e dal censimento delle case sfitte, sulla quale aprire una vertenza di carattere nazionale.

Lo stesso patrimonio pubblico, che non deve quindi essere venduto, va socialmente valorizzato per completare l’infrastrutturazione pubblica della città, in materia di servizi, di socialità e di cultura.

In particolare c’è la necessità di proteggere dal mercato – come già si è accennato – gli spazi dedicati ad attività culturali e sociali, con l’introduzione di vincoli di destinazione di PRG.

Questi indirizzi sono orientati a risolvere l’emergenza abitativa per i ceti medio e medio basso, a fermare la frenetica attività edilizia che negli ultimi anni ha riguardato costruzioni destinate quasi unicamente al mercato speculativo e alla sua finanziarizzazione, a limitare fortemente il consumo di suoli liberi che ha marciato (in Italia) al ritmo di 245.000 ettari l’anno (600-700 ha al giorno). L’obiettivo di una riduzione quantitativa dell’occupazione di suolo libero a fini urbani dovrà essere oggetto di una fondamentale discussione politica e sociale e potrebbe produrre uno strumento urbanistico deputato a fissarne una soglia massima. Con questo obiettivo si può rappresentare e confermare il senso di vivibilità, di appartenenza, di sicurezza delle persone, garantendone la partecipazione alle scelte fondamentali per il proprio quartiere, Municipio, Città.

Non consumare territorio non vuol dire non costruire: vuol dire passare dal nuovo palazzo da costruire al recupero, all’efficientamento energetico, alla riqualificazione o infine alla trasformazione del costruito. L’architettura europea e delle grandi capitali ha da tempo adottato questa filosofia.

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In questo quadro emerge come necessità l'intransigenza contro il consumo di agro romano, un patrimonio che rischia di essere distrutto nei suoi caratteri e nella sua funzione di cerniera con la prima fascia di Comuni della provincia. Dei 129.000 ettari di agro romano, ad oggi ne sono stati consumati 58.000, lasciando spazi residui già macchiati di insediamenti (spesso commerciali) che ne sviliscono la funzione e ne compromettono l’estetica.

In questa ottica, individuiamo nella gestione della città e dei suoi territori lo snodo principale e un impegno politico fondamentale, specie in virtù della trasformazione in “città metropolitana”.

Sulla città metropolitana, tuttavia, abbiamo un punto di vista molto preciso, che coinvolge il dibattito in essere sull’area metropolitana. Su di esso incide – e ne definisce la caratterizzazione – il ruolo che ad essa si vuol fare assumere: in quanto infrastruttura economica nazionale (capace di competere sul mercato globale), oppure idea e progetto per risolvere problemi del governo locale e tra enti territoriali. Il progetto Millennium di Alemanno ha rappresentato e imposto una concezione economica e imprenditoriale, prima che urbanistica e sociale. È dunque per noi evidente la necessità di contrastare quella tendenza di città metropolitana che punta a riconfigurare i regimi di accumulazione e gli strumenti di riproduzione del neoliberismo su base urbana (pianificazione strategica), mentre sosteniamo con forza la dimensione di area vasta per proiettare nel suo territorio gli elementi e la progettualità migliori per lo sviluppo urbanistico sostenibile della Capitale integrato con la qualità della vita della cintura romana.

Fermare questa deriva della città, dunque la sua involuzione affaristica in accordo con la proprietà fondiaria, sarà perciò compito oneroso, ma ineliminabile, per innovare l’offerta urbana, per corrispondere alle richieste della comunità, per realizzare servizi di qualità.

Un piano della mobilità sostenibile

Il fallimento della gestione commissariale del traffico è tutto inscritto nell’apparente contraddizione dell’essere Roma la città più motorizzata d’Europa e nello stesso tempo quella che si muove con maggiore difficoltà. La contraddizione è solo apparente. Per liberare Roma dal traffico occorre un deciso passaggio dalla modalità individuale a quella collettiva.

Le recenti vicende legate al maltempo (pioggia lo scorso novembre e neve a febbraio), indipendentemente dal loro carattere di eccezionalità, hanno messo in evidenza non solo la scarsa attenzione ai mutamenti climatici ed all'intensificarsi delle manifestazioni meteorologiche estreme che da più di cinque anni hanno fatto la loro comparsa nelle nostre aree territoriali, ma anche l'inadeguatezza operativa e della catena delle responsabilità per affrontarle, che nulla hanno a che vedere con le dotazioni al 100% di catene o pneumatici da neve e con i tombini, che pure andavano mantenuti all'inizio della stagione autunnale. Si tratta di una inadeguatezza che mette in evidenza la scarsa o nulla attenzione ai problemi della mobilità urbana, periferica e delle arterie che collegano Roma e i Comuni limitrofi - percorse da un quotidiano e massiccio pendolarismo di chi lavora e studia - sia essa pubblica, sia privata, lasciando quotidianamente soli i cittadini nel terno al lotto dei tempi di percorrenza per le attività ordinarie e la città sistematicamente comunque intasata e invivibile.

Fanno parte della strategia per liberare Roma dal traffico e dal maggiore inquinamento: il trasferimento su ferro della mobilità in ingresso e in uscita dalla città, anche per le merci, abbandonando opere come la Roma - Latina; il completamento dell’anello ferroviario; perseguire coerentemente la chiusura al traffico privato del centro storico; la realizzazione di una rete di trasporto pubblico in sede propria (corsie protette, strade riservate, tram, metropolitane di superficie) estesa a tutta la città fino alla periferia, l’abbandono del piano parcheggi, rinunciando a costose metropolitane, magari limitando l'estensione dei lavori per il progetto già in essere.

Proponiamo infatti di finanziare il piano della mobilità collettiva con la rinuncia all’attraversamento del centro storico della linea C, che si attesterebbe a S. Giovanni, e con l’istituzione di un’imposta di scopo sui grandi patrimoni immobiliari.

Il risanamento dell’Atac va perseguito attraverso l’aumento della velocità commerciale realizzabile con la rete di trasporto in sede propria e con l’attivazione di tecnologie di semafori intelligenti e non con la vendita degli immobili o l’aumento del biglietto.

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La riconversione energetica

Il piano della mobilità sostenibile è anche uno degli assi del processo di riconversione energetica della città da mettere in atto come contributo di Roma per la riduzione dell’inquinamento e del gas-serra, passando dall’attuale modello dissipativo di consumo di energia a un modello basato sul risparmio/riconversione energetica.

Il 30% dei consumi energetici della città è assorbito dai trasporti, un altro 40% è assorbito dal riscaldamento degli edifici e dai consumi elettrici degli stessi. La proposta è di avviare un processo di solarizzazione generalizzato dell’insieme del patrimonio immobiliare della città, iniziando dall’utilizzo dei tetti di quello pubblico, come volano di un settore economico che può assorbire occupazione per un decennio ed essere sostanzialmente remunerato dalla produzione di energia.

L’aumento dell’efficienza energetica degli edifici è il secondo obiettivo da individuare, ancora a cominciare dagli edifici pubblici, con il sostegno a investimenti sulla coibentazione senza impatto sulla salute fino all’abbattimento/ricostruzione di edifici fortemente dissipativi.

Il piano di riconversione energetica permetterebbe nella sostanza di recuperare risorse economiche attualmente assorbite nei consumi di carburante e di elettricità importata, mettendole al servizio dello sviluppo di un settore produttivo in grado di impiegare una grande quantità di manodopera e di migliorare sensibilmente la qualità dell’aria nella nostra città.

Partendo dalla considerazione che il miglior risparmio energetico (e la fonte energetica meno inquinante) è l’energia non consumata, ipotizziamo di recuperare ed esaltare il ruolo dell'Agenzia per il risparmio energetico (Roma energia), con il compito di avviare politiche virtuose, favorire l’ottimizzazione dei consumi (domestici, commerciali e industriali) e la loro riduzione. L’evidenza scientifica dell’effetto serra e dei rischi di cambiamenti climatici comporta, per un Comune responsabile, una accorta politica sull’efficienza degli usi finali e la diffusione delle fonti rinnovabili. Il Comune dovrà, pertanto, garantire un ruolo di coordinamento e di supporto tecnico attraverso incontri di formazione e informazione (tecnici comunali e municipali), forum tematici e seminari.

Il sempre più fragile sistema energetico internazionale impone di ridurre i consumi (senza diminuire il benessere, che comunque rappresenta una conquista umana, la cui riduzione generalizzata finirebbe per colpire ancora una volta le persone con maggiori difficoltà, esistenziali ed economiche), di decentralizzare la produzione di energia, di passare ad un nuovo regime energetico, punto di scambio del modello di crescita. Rispetto al tema energia le diverse parti di una città ampia e complessa come Roma esprime molteplici problematiche sulle quali articolare e valorizzare le tecnologie per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili. Un punto particolarmente sensibile è rappresentato dall'illuminazione pubblica: vanno rivisitati e adeguati sia il piano comunale dell’illuminazione pubblica, che i regolamenti edilizi in materia di illuminazione. L’energia rinnovabile prodotta, sia a livello di quartiere che su singoli edifici (solare termico e fotovoltaico), i processi di cogenerazione (che permettono di ottenere energia elettrica e calore), i collettori solari, il perfezionamento degli involucri degli edifici, la geotermia, sono parti di un sistema da declinare in rapporto ai diversi aspetti di una città così estesa, diversificata e importante, ma che possono e devono garantire l’idea di un'evoluzione energetica ed ecologica per Roma nel suo complesso e nella sua complessità.

In questa direzione, la valutazione e gli impatti delle politiche energetiche sul territorio e sui singoli Municipi dovrà assumere caratteri legati alle specificità locali (monumenti, aree archeologiche, istituzioni, aree di interesse particolare, abitazioni....), ma contestualmente garantire uno sviluppo omogeneo e ipotizzare la definizione di obiettivi di “perequazione energetica” tra i territori. Il patrimonio di innovazione e di ricerca, gli strumenti e le tecniche di applicazione di fonti rinnovabili garantiscono dunque il passaggio da una distribuzione centralizzata (e prevaricante) di energia ad una distribuzione decentrata (e perciò locale e democratica, dal punto di vista dell'applicazione e da quello tariffario). Una trasformazione di tale natura è ormai una solida realtà in molte città europee (e non) e consente di realizzare importanti capacità produttive e occupazionali. In questa ottica, il risparmio energetico e la riconversione ecologica della città sono da intendere come strumenti di progettazione urbana: sarà pertanto indispensabile mantenere uno stretto controllo pubblico dei processi di nuova edificazione e di ristrutturazione. In una nuova visione d’assieme che definisca il progetto, questi interventi vanno intrecciati e raccordati con altri aspetti,

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determinanti per un nuovo stile di vita e di relazioni: pensiamo al ciclo delle acque (sistemi di raccolta, depurazione, riuso dell’acqua piovana), alla necessità di garantire un'adeguata permeabilità del suolo, alle dotazioni di verde (verde per l’ambiente, verde da vedere, verde da vivere), alla riqualificazione e ri-naturazione dei corsi idrici (Tevere, Teverone, ma anche i corsi e i canali d’acqua), agli interventi per minimizzare il carico dei troppi inquinanti che minano la salute (polveri sottili, onde elettromagnetiche, CO2, amianto, etc.) Ripensare il sistema energetico significa dunque costruire un progetto di welfare energetico in cui il sistema di infrastrutture si inserisca in un quadro di regole e scenari verso i quali orientare le trasformazioni future. L a complessità di questa inversione di tendenza comporta la redazione di un “piano d’azione per il governo dell’efficienza energetica e le energie rinnovabili”; organizzarne la cornice (regole e protocolli) e avviare il percorso progettuale comporta la condivisione delle priorità e degli obiettivi con le organizzazioni sociali e ambientaliste che rappresentano interessi e dispongono di competenze di settore. L’utopia da inseguire è trasformare la “città - macchina energivora” in una città capace di produrre senza sprechi l’energia che consuma.

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Scheda 6

Democrazia partecipata e decentramento

L'amministrazione comunale ha da tempo abbandonato il confronto diretto con i cittadini e le cittadine nel merito di tutte le decisioni che coinvolgono le condizioni della loro vita sul territorio. Dal momento dell'approvazione del regolamento sulla partecipazione nel 1994 sono state presentate undici delibere d’iniziativa popolare, nessuna delle quali è stata esaminata dal Consiglio comunale. L’istituto del referendum è stato attivato una sola volta. Il “Regolamento per l'attivazione del processo di partecipazione dei cittadini alle scelte di trasformazione urbana” è sostanzialmente inattuato e si riduce, di fatto, a una serie di assemblee consultive senza alcun potere decisionale e senza che le procedure previste vengano seguite ed il più delle volte senza conseguenze. In occasione dell'elaborazione del Piano Regolatore Generale, il 95% delle osservazioni dei cittadini sono state respinte. Le Consulte tematiche cittadine previste dal regolamento non sono state istituite mentre quelle istituite a livello di municipio raramente vengono convocate.

Nello stesso tempo si articolano forme di auto-organizzazione della popolazione romana, centinaia di comitati territoriali, comitati di scopo, comitati d’interesse che animano il panorama politico romano e che si battono per benessere comune, denunciando tutti lo stesso limite: le proposte avanzate dai cittadini non vengono ascoltate. Al più, è possibile modificare aspetti marginali degli interventi proposti dal Comune, ma mai mettere in discussione gli interventi stessi o cambiarne il segno. Nel contempo la pratica di concertazione con i poteri forti, segnatamente con le proprietà e con i costruttori, è diventata la regola. Così le decisioni fondamentali sono prese intorno a tavoli di concertazione informali cui partecipano soggetti economici e politici, mentre gli istituti della partecipazione sono senza poteri reali. Ciò rappresenta l'evidenza del condizionamento esercitato dalle lobbies.

La partecipazione deve perciò partire dal peso che le forme organizzate della cittadinanza possono esercitare nei luoghi preposti alle decisioni. Le aziende pubbliche o partecipate dal sistema pubblico cittadino sono i primi.

Avanziamo alcune ipotesi:

- Ingresso della società civile e dei lavoratori nella gestione delle aziende pubbliche sostituendo i consigli di amministrazione con consigli di indirizzo e controllo nei quali siano presenti loro rappresentanze legittimate, insieme ai tecnici e ai delegati dall'amministrazione di riferimento, evitando in ogni caso presenze pletoriche, che renderebbero improbabili decisioni operative

- Individuazione di procedure che permettano di sottoporre a referendum propositivo le delibere di iniziativa popolare non discusse o respinte con sospetto di pregiudizialità dal Consiglio Comunale

- Introduzione del referendum popolare al termine delle procedure di progettazione partecipata delle trasformazioni urbane nei territori specifici interessati

- Istituzione dei consigli di rione o di quartiere – poiché in molti di essi ancora resistono aree fortemente coese e di insediamento “storico” che salvaguardano caratteristiche culturali e di vicinanza e forme di relazione sociale e produttiva – con potestà propositiva e di codecisione sulle politiche locali più ampie dei Municipi di cui sono parte

- Istituzione in ogni caso di Consulte municipali, cui partecipino tutte le forme organizzate della cittadinanza, con obbligo di incontro mensile da parte della Giunta municipale e bimestrale da parte del Consiglio municipale

- Individuazione degli ambiti sui quali poter esercitare diritti di codecisione delle consulte cittadine comunque rappresentative di Municipio

- Presentazione preventiva del bilancio del Municipio, prevedendo modalità di consultazione che possano consentire l’espressione di pareri e la richiesta di modifiche in direzione della solidarietà sociale e della salvaguardia e miglioramento della qualità della vita dei residenti

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- Diritto di voto amministrativo nei referendum per gli stranieri residenti nella città, per i giovani lavoratori indipendentemente dall'età e per gli studenti dal terzo anno delle scuole medie superiori

- Aggiornamento del Capo II dello Statuto del Comune per rendere le forme di partecipazione indicate patrimonio inalienabile dei cittadini e delle cittadine romane.

Un capitolo nuovo e generalizzato va aperto per quanto attiene alla specificità della partecipazione femminile nelle istanze democratiche, diffuse e istituzionali. L'evidente menefreghismo dimostrato da Alemanno per il ruolo culturale e progressista delle donne (c’è voluta una sentenza per la presenza di due donne all’interno della giunta, ora tre con la sostituzione di un assessore dimessosi) va di pari passo con una generale indifferenza nei confronti dell'innovazione positiva che rappresenterebbe una “lettura” amministrativa e sociale delle scelte che riguardano la città nell'ottica di genere (femminile). La democrazia di genere, infatti, si può concretizzare solo in scelte che coinvolgano i bilanci, l'assetto degli spazi, gli orari della città, gli orientamenti per il sostegno al lavoro di cura. Occorre perciò favorire il radicamento di politiche legate al genere in ogni settore di intervento dell'amministrazione, a partire dall'assessorato al Bilancio, e costituendo un assessorato specifico con portafoglio che ne sia il riferimento, governato da un assessore donna, e con analoghe deleghe nei Municipi. Molto importante è prevedere che all’assessorato faccia capo un centro di assistenza “donne/lavoro”, anch'esso articolato nei Municipi, con lo scopo di elaborare ricerche e percorsi finalizzati a favorire, attraverso le scelte politiche del governo cittadino e i riferimenti territoriali, nuove occasioni di lavoro e spazi di iniziative imprenditoriali per le donne (native e migranti)

Nell'ambito della democrazia partecipata va considerata la necessità di sviluppare una politica di sostegno alle forme di auto-organizzazione dei cittadini e di tutela della loro autonomia. Per cambiare la città serve una società civile forte che, indipendentemente dai ruoli politici e dalle organizzazioni di partito, possa essere attrice del cambiamento.

Il sostegno allo sviluppo dell’auto-organizzazione può concretizzarsi nella istituzione di servizi (sedi, sale, tariffe dedicate, abolizione Irap, affissioni, ecc.) rivolti alla generalità delle forme di organizzazione dal basso che ne permettano e facilitino l’attività, esercitando tuttavia una forte vigilanza perché siano escluse da tale sostegno le aggregazioni fasciste, parafasciste, neonaziste e razziste comunque mascherate (centri sociali, culturali, ...).

Tale sostegno rende indispensabile la trasparenza delle relazioni con le potestà politiche dell'amministrazione comunale, ad esempio con l’abolizione di tutte le forme discrezionali di contributi (manovra d’aula, spese di rappresentanza, patrocini, ecc.), per sostituirle con procedure pubbliche verificabili.

Non va in questa direzione il rafforzamento dei poteri di governo della città delineato dalla istituzione di Roma Capitale, che rimane centralizzato, non esteso ai Municipi e circoscritto nei confini amministrativi del Comune di Roma, rendendo "Roma Capitale" un corpo estraneo al tessuto sociale e produttivo del suo hinterland. È necessario quindi che l’istituzione del comune metropolitano sia contestuale con l’attuazione delle delibere su Roma Capitale.

La dimensione di Roma Capitale è tuttavia nello stesso tempo troppo limitata e troppo vasta.

La dimensione metropolitana, infatti, richiama la necessità di individuare la scala efficace della partecipazione in direzione di quanto già accennato. La ricostruzione di comunità non può evidentemente avvenire in un ambito di milioni di abitanti. Per questo è interessante, come detto, l’ipotesi di individuare ambiti territoriali come i rioni e i quartieri, con loro identità e riconoscibilità in cui si favorisca l'insediamento di un tessuto comunitario, tra le persone e delle attività, con strumenti di autogoverno e partecipazione riconosciuti e condivisi.

Allo stesso tempo, però, la dimensione metropolitana della pianificazione, perché possa essere partecipata e non tecnocratica, necessiterebbe di un riequilibrio istituzionale che assegni ai Municipi, trasformati in comuni metropolitani, autonomia amministrativa e di bilancio e ai Comuni limitrofi poteri di inferenza nelle scelte che hanno conseguenze sul loro territorio. Insomma l’area metropolitana va pensata più come una confederazione di Comuni che come un’entità sovraordinata. Parliamo del nodo economico, politico e amministrativo dell'”Area vasta”.

In ogni caso, anche in assenza dell'istituzione dei comuni metropolitani, riteniamo che si debbano ugualmente impostare politiche che vadano in quel senso. In questa ottica lanciamo l'idea di realizzare

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“Accordi delle consolari”, laddove i Municipi che insistono sulle stesse definiscono progetti e piani di sostenibilità ambientale – paesaggistica e infrastrutturale – del trasporto pubblico, di reti per il lavoro e lo studio, di condivisione di strategie culturali, turistiche e relative al commercio (distribuzione, trasporto, vocazioni agricole) i Comuni della Provincia di Roma che sorgono lungo le consolari e le grandi arterie provinciali (Appia, Ardeatina, Aurelia, Casilina, Cassia,Flaminia, Nomentana, Pontina, Prenestina, Salaria, Tiburtina, Tuscolana). Si tratta di una scelta importante, che sicuramente richiama la necessità di rivedere le relazioni tra le potestà comunali e di statuire attraverso protocolli d'intesa gli ambiti di interesse e di reciprocità, ma che rappresenterebbe un enorme volano per l'economia e la democrazia, per l'affermazione dell'interdipendenza che chiama in causa l'ottimizzazione dell'utilizzo delle risorse e la realizzazione di filiere ed economie di scala per la programmazione di area vasta.

Democrazia e beni comuni. La ri-pubblicizzazione delle aziende comunali

Il primo atto di una nuova amministrazione deve essere la piena attuazione del deliberato referendario in merito alla cancellazione della remunerazione del capitale investito dalla tariffa dell’acqua e la ri-pubblicizzazione del servizio idrico, che proponiamo avvenga con la creazione di un’azienda speciale partecipata, sul modello della ABC napoletana.

Le aziende comunali vanno dunque ri-pubblicizzate, nel senso di sottrarle all’uso privato che la politica ne ha fatto e restituirle alla loro funzione pubblica. Parentopoli, citata, è l’esempio dell’uso privato fatto dalla cattiva politica dei beni pubblici.

Le aziende comunali sono parte importante dell’economia cittadina e strumenti essenziali delle politiche pubbliche. Privatizzarle, oltre ad impoverire la collettività, priverebbe il Comune di strumenti essenziali per perseguire politiche di sviluppo.

La ri-pubblicizzazione deve però avvenire rinunciando alla forma della Spa, che ha dimostrato di non essere in grado di dare risultati in termini di efficienza ed efficacia, e rese funzionali alle politiche di riconversione urbana, in particolare nel settore dei trasporti (ove è necessario andare verso un’azienda unica regionale), della gestione dei rifiuti, della cultura, dell’energia.

Proponiamo dunque la loro trasformazione in aziende speciali partecipate, abolendo i consigli di amministrazione di nomina politica e la loro sostituzione con consigli di indirizzo e controllo partecipati da soggetti di rappresentanza di cittadini e dei lavoratori e non remunerati, individuandone la direzione tramite la formula del concorso pubblico internazionale – e sottraendola così allo spoil system – prevedendo la riduzione, inoltre, degli stipendi del management. Occorre ridefinire lo scopo funzionale delle aziende in relazione ai progetti dell'amministrazione e deve essere condotta una lotta serrata agli sprechi, alla corruzione e ai favoritismi. In quest’ambito occorre procedere al licenziamento delle persone assunte senza concorso pubblico e alla riassunzione secondo criteri trasparenti.

La difesa del dettato referendario, che è questione dirimente di difesa della democrazia, va oltre e si deve intendere come rispetto della volontà dei cittadini di impedire la privatizzazione delle funzioni pubbliche. In questo senso occorre che il Comune, quale rappresentante della collettività cittadina, si erga a difesa della sua volontà anche contro politiche illegittime di privatizzazione imposte dalle banche e interpretate dal governo centrale. Opporsi alla privatizzazione significa infatti difendere i beni e la ricchezza di una comunità, ma anche la democrazia.

Vendere i gioielli di famiglia, quando si è con l’acqua alla gola, non è mai una buona idea. È proprio quanto sta facendo la giunta di destra, rischiando di far perdere alla città per sempre un patrimonio prezioso e non recuperabile, una volta alienato.

Questo insieme di beni, insieme al resto del patrimonio immobiliare pubblico, alle aree a scomputo che vanno recuperate, ai cosiddetti relitti urbani, devono essere socialmente valorizzati per completare l’infrastrutturazione di servizi, cultura, socialità dell’area urbana vasta.

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Focus

Occupazione e condizioni di lavoro

A Roma e nel suo hinterland i morsi della crisi hanno colpito duramente i lavoratori e le fasce sociali più deboli e disagiate.

� I cassintegrati dal 2010 al 2011 sono aumentati del 100%, compresa la cassa in deroga, passando da 25.000 trattamenti a 50.000 nel corso dell’ultimo anno.

� I disoccupati “ufficiali” sono saliti a 232.000; 100.000 sono stati i licenziamenti e 150.000 inoccupati non cercano più lavoro, ritenendo del tutto inutile la propria iscrizione presso i Centri per l’impiego.

� 450.000 sono i precari che vivono con meno di € 800 mensili.

Si arriva a un milione di persone in età lavorativa che attraversano un pesante disagio sociale.

� A questo milione di cittadini in età lavorativa colpiti dalla crisi debbono essere aggiunti oltre 800.000 anziani, il 70% dei pensionati che vivono con meno di 500/550 euro al mese.

L’Ispettorato del lavoro non fornisce più dati ufficiali sul lavoro nero.

� Ogni giorno chiudono tre aziende del settore industriale (in cui sono ricompresi l’edilizia ed il manifatturiero) per un totale di 10.000 imprese nell’ultimo anno.

� Nel terziario (commercio e servizi) sono state chiuse 5.000 imprese nello stesso periodo.

Di conseguenza i consumi sono calati del 12%, la disoccupazione reale sfiora il 10% e la fase economica da stagnante è entrata in piena recessione.

Ma la denuncia non basta più. È urgente intervenire con proposte politiche autonome del governo della città, che ottimizzino le risorse derivanti dalla possibilità per i Comuni di trattenere una quota delle risorse da reperire nella lotta all’evasione fiscale per avviare un piano per il lavoro in grado di dare risposte integrate per l'area vasta di Roma, a cominciare dall'istituzione di un fondo straordinario finanziato per la crescita e l’occupazione che possa favorire gli investimenti in imprese economiche alternative come la green economy, ad esempio, con politiche d’innovazione e sviluppo locale che incrementino investimenti in questo settore; edilizia di conservazione e ristrutturazione ecocompatibile; edilizia economica e popolare; politiche industriali di riconversione produttiva nelle energie alternative per le aziende manifatturiere in crisi, evitando la perdita di ulteriori posti di lavoro.

Irrinunciabile, contestualmente, è un piano straordinario per l’occupazione giovanile basato sull’incentivazione contributiva e fiscale da finanziarsi con la lotta all’evasione contributiva ed al lavoro irregolare per le imprese che assumano i giovani disoccupati ed inoccupati.

Nel suo insieme, la riconversione ecologica della città può favorire la nascita di un polo di ricerca, produzione e innovazione nel campo del risparmio energetico, della bioedilizia, delle tecnologie del riciclo e riuso, nella manutenzione dei mezzi di trasporto pubblici, nell’agricoltura di qualità e nel recupero alla vocazione produttiva di aree agricole dismesse.

Insieme, l’asse di sviluppo ricreativo e culturale deve mirare a fare di Roma un polo di produzione culturale di livello mondiale e far crescere l’attività turistica diffusa.

Le direttrici di sviluppo individuate sono quindi anche i temi su cui sviluppare un grande piano per il lavoro.

In questo contesto, trovano nuova vitalità e occasioni di insediamento le professioni artigiane, il piccolo commercio, gli agricoltori, insieme ai mercati rionali, ai mercatini, al circuito dei prodotti biologici, dell'acquisto equo e solidale, che vanno sostenuti e la cui iniziativa deve essere valorizzata in alternativa alla massiccia invasione di centri commerciali, veri luoghi di estraniazione e raramente di calmiere dei prezzi al consumo.

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Il tema del commercio a Roma è centrale. Una nuova e diversa politica annonaria, la valorizzazione dei mercati in sede fissa – compreso il Car – insieme all'organizzazione dell'intermediazione e del trasporto di merci su ferro anziché su gomma (che libera i produttori e i consumatori finali dall'onere dei costi del carburante), il collegamento del sistema commerciale distributivo ad una politica degli orari articolata sui tempi di vita e dei servizi, incentivata e sostenuta centralmente con meccanismi diversi dalla “semplice” liberalizzazione “per chi può”, ne costituiscono il presupposto. Va chiarito, infatti, che non è la liberalizzazione degli orari dei negozi che sosterrà l’economia commerciale. Su questo, sosteniamo l’opposizione dei lavoratori e dei piccoli commercianti che – laddove difendano la propria condizione lavorativa da misure generalizzate e non collegate ad una complessiva politica degli orari della città, magari strangolati dalle più ampie possibilità di nastro orario della grande distribuzione – rappresentano un argine all’idea totalizzante dell’orario di lavoro che è contenuta in questa misura e che va oltre la stessa attività alla quale viene applicata. In sostanza, la liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura dei negozi indiscriminata cela una regolamentazione senza vincoli della giornata lavorativa per lavoratrici e lavoratori in tutti i settori e l’accettazione senza condizioni dei ritmi infernali dettati da una città che non conosce più distinzione tra tempi di lavoro e tempi delle relazioni sociali e affettive.

La tutela del lavoro deve però, nell'affrontare la questione occupazionale, sviluppare quel lavoro in grado di costruire innovazione in tutti i settori, a partire dal terziario, nelle modalità e nelle forme, per rendere opportuna e stabile la qualificazione dell'occupazione, in direzione della professionalità, che richiama studio e formazione, e della crescita professionale. Occorre dunque assumere una responsabilità pubblica nella lotta al lavoro precario, al lavoro nero e per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, che costituiscono gli elementi in grado di qualificare il lavoro e di professionalizzarlo, ma anche di favorire l'integrazione nella comunità cittadina degli immigrati e delle loro famiglie. Sicuramente ciò vale per la parte di economia che dipende direttamente dalle politiche pubbliche, ma anche con l'esercizio – alla luce delle funzioni che esse hanno in termini di vigilanza e controllo – di significative potestà sulle politiche private del lavoro.

Assume nuova importanza e finalità, in questo quadro, l’Osservatorio sul lavoro che nel Comune di Roma aveva prodotto risultati significativi, sia in termini di controllo che di indirizzo, e che la gestione della destra ha completamente cancellato. Va rimesso in campo un protocollo d’intesa che sul piano della sicurezza del lavoro stabilisca con nettezza i vincoli non derogabili per gli appalti pubblici: dall’eliminazione delle gare al massimo ribasso, agli indici di congruità, i criteri degli appalti devono essere stringenti e senza deroghe.