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La domanda di spazi pubblici tra esclusione ed integrazione a cura di: Claudio Falasca INTERVENTI DEI PARTECIPANTI Introduzione: Claudio Falasca
Relatori: Carla Costanzi – Il recupero fisico e sociale di una piazzetta del centro storico genovese Silvano De la Llata – Accidental Dissidents: Urban Informality as social potential Paolo Testa – Spazio pubblico e nuove tecnologie in Europa
ABSTRACT
Claudio Falasca
Le cronache riportano quotidiani episodi d’intolleranza urbana. Addirittura la sicurezza nelle città è stata
strumentalizzata a fini di consenso. Tuttavia, malgrado la disattenzione politica alla qualità urbana, lo “spazio pubblico”
come “luogo di libero incontro della comunità” è il terreno su cui stanno maturando esperienze significative tese a
riaffermare un’idea di convivenza fondata su forti sentimenti di solidarietà.
In genere se ne sa poco, perché è più facile vedere ciò che non va anziché scoprire pratiche positive. Al centro di
queste esperienze immancabilmente troviamo quelle figure sociali che sono i veri protagonisti della vita urbana:
giovani, donne, anziani, lavoratori, immigrati, rom. Soggetti da cui, in larga misura, dipende la qualità e la vitalità
sociale dello spazio urbano e, non casualmente, sono quelli che risentono più direttamente del suo degradare.
La biennale è stata un’occasione preziosa per raccontare e riflettere su alcune di queste esperienze: possibili germi di
un rinnovato senso civico.
Il risultato del lavori della sessione è stato che lo spazio pubblico, bello o brutto che sia, meglio se bello, o è uno
spazio di diritti e di democrazia o non è. Affermare con forza questo valore è la garanzia per città multietniche inclusive
e democratiche.
Anche per queste ragioni la Biennale deve rimanere un’occasione di confronto rivolta non solo ai tecnici ed agli
amministratori, ma aperta a quelli che sono protagonisti dello spazio pubblico…i cittadini.
Il recupero fisico e sociale di una piazzetta del
centro storico genovese
Carla Costanzi
Il percorso di riqualificazione urbanistica ed
architettonica della parte più antica della città, che si è
avviato a Genova negli ultimi quindici anni, anche con
il sostegno di alcuni finanziamenti straordinari per
eventi nazionali ed internazionali, ha avuto tra i suoi
effetti non secondari quello di produrre una levitazione
dei valori immobiliari di molte aree già risanate o di
imminente recupero.
Avendo presente questo processo, l’Amministrazione
comunale ha progettato una serie di azioni volte a
tutelare la permanenza appunto degli abitanti “storici”,
gli anziani, in questa zona della città di cui
rappresentano il vero e proprio tessuto connettivo,
memoria e risorsa umana fondamentale, ma anche
classe debole esposta al rischio di espulsione in questa
fase di forte accelerazione del cambiamento sociale.
All’interno del contenitore generale degli interventi di
promozione di migliori condizioni abitative per i
cittadini anziani, una rilevanza particolare hanno
assunto i progetti di recupero urbanistico e sociale di
spazi pubblici nel centro storico cittadino. Una politica
della casa per soggetti fragili, quali sono gli anziani,
non può limitarsi, infatti, ad interventi migliorativi
delle condizioni alloggiative in senso stretto, senza
prendere in considerazione anche l’intorno urbano, gli
spazi pubblici in primo luogo che l’anziano deve poter
vivere in condizioni di sicurezza e comfort, luoghi
dove gli sia possibile coltivare le relazioni sociali già in
essere e intrecciarne di nuove, dove vivere momenti
ricreativi ma anche dove “inventare “ altri possibili
scopi e modalità d’impiego del tempo libero.
Ovviamente spazi pubblici recuperati a condizioni di
vivibilità e sicurezza saranno fruibili da tutti, non
essendo auspicabile la destinazione “riservata” di spazi
per quote specifiche di cittadini.
La prima fase del recupero urbano e sociale:
l’affidamento ai cittadini degli spazi recuperati
Il percorso progettuale tracciato dall’Amministrazione
ha previsto, tra gli altri interventi, il recupero materiale
e sociale di alcune piazzette1 situate nella parte più
antica della città e divenute negli anni zone di pesante
degrado.
La concomitanza di un processo di deterioramento
materiale e di dissesto sociale avevano di fatto
1 Gli interventi di recupero delle piazzette, come pure
l’attività di promozione alla cittadinanza attiva, sono
state finanziate dai fondi Urban II.
comportato negli ultimi anni l’abbandono di questi
spazi a varie forme di vita e attività ai limiti della
legalità. Si rammenti la contiguità del centro storico
genovese con l’area portuale, con le conseguenti
eredità circa le modalità di fruizione di aree
storicamente utilizzate come ricettacolo di svariate
forme di trasgressione. In alcuni casi anche il solo
transito per questi luoghi poteva costituire problema.
La scelta dei siti da recuperare è avvenuta
principalmente in base al criterio di gravità del
degrado, ma anche conferendo grande importanza alla
prossimità spaziale e temporale di altri interventi di
risanamento, nell’ottica cioè di un reciproco rinforzo
nei risultati conseguibili.
I progetti di recupero hanno privilegiato destinazioni
d’uso che favorissero attività socializzanti, da quelle
sportive a quelle puramente ricreative. Effetto indotto
dagli interventi di risanamento, negli auspici dei
progettisti, doveva essere comunque anche quello di
restituire dei percorsi praticabili, in zone della città
molto centrali e nell’insieme molto frequentate. La
piazzetta di cui tratta questo intervento ( Piazza
Ragazzi – Vico Indoratori 21 r) si trova infatti nelle
immediate vicinanze del Porto Antico e della
cattedrale.
Piazza Ragazzi nel 2002
Il coinvolgimento dei cittadini nella fase decisionale è
stato già abbozzato in questa prima fase del progetto,
accogliendo e traducendo in indicazioni operative
alcune suggestioni provenienti dai residenti nelle zone
interessate dagli interventi ed esposte all’ufficio che ha
curato l’intervento2 tra la presentazione del progetto di
massima e la consegna dell’esecutivo .
2 Ufficio Terza Età Sicura – Assessorato alla Qualità
Urbana
L’intervento di risanamento non può comunque
limitarsi ai lavori di ripristino: molti esempi ci hanno
purtroppo dimostrato che non è sufficiente il recupero
materiale, se non si prevedono anche modalità di
“accompagnamento” degli interventi realizzati.
L’obiettivo, quindi, che ha mosso l’intervento pubblico
era promuovere e sostenere l’attivo coinvolgimento di
un gruppo di cittadini residenti nelle immediate
vicinanze delle piazzette oggetto di progettazione, nella
convinzione che il successo dei programmi di
riqualificazione urbana è tanto maggiore quanto più
sono costruiti “dal basso”, valorizzando il patrimonio
di conoscenza del territorio custodita da coloro che lo
abitano; una città è tanto più “intelligente” quanto più
si trasforma attraverso strumenti di ascolto, espressione
e connessione in grado di far emergere la miriade di
idee e di fatti, di intenzioni e relazioni che formano il
tessuto vivo del sociale.
La strategia di promozione di nuove modalità di
partecipazione è stata costruita su due livelli, dal
momento che in una fase preliminare al
coinvolgimento dei cittadini si è avviato un confronto
con le Organizzazioni Sindacali e le Associazioni dei
Pensionati a livello cittadino. All’interno di questo
gruppo di lavoro (Gruppo di progetto) si sono discussi i
contenuti del successivo percorso, le modalità
organizzative e più in generale le finalità alla base del
progetto.
Elemento qualificante della strategia avviata
dall’Amministrazione genovese ha riguardato, infatti,
l’attivo coinvolgimento del Terzo Settore, a partire
dalle rappresentanze organizzate più prossime ai temi
trattati, in attività di tipo programmatorio oltre che
nelle fasi attuative.
Il secondo livello è costituito dal percorso che
coinvolge direttamente i residenti.
I risultati attesi da questo percorso di promozione della
cittadinanza attiva hanno riguardato in primo luogo la
promozione di competenze che consentissero di
attuare, con l’aiuto di questi cittadini, azioni di
animazione nelle aree recuperate, spostando di
conseguenza il baricentro della sicurezza pubblica dal
binomio controllo/repressione a quello
controllo/prevenzione.
E’ solo attraverso la restituzione degli spazi pubblici
alla fruizione di tutti gli abitanti che questi luoghi
diventano pienamente vivibili e di conseguenza sicuri;
il degrado, in altre parole, si contrasta recuperando
consapevolezze e ripristinando la cura del territorio da
parte della comunità insediata.
Pur senza escludere la possibilità di ricorrere a misure
d’altra natura ( si veda la decisione di delimitare l’area
con cancelli) per garantire la sicurezza degli spazi, si
conferma il carattere eccezionale di tali interventi, il
dover costituire fatto straordinario e non norma
organizzativa.
Le verande e l’ingresso del locale-biblioteca con
annesso servizio igienico ( 2004)
Le finalità più rilevanti che hanno ispirato il progetto si
collocano, pertanto, nell’area della valorizzazione del
senso di appartenenza territoriale, di promozione di
azioni di progettazione partecipata sino
all’autorganizzazione.
Va detto con grande chiarezza che l’implementazione
di questo processo è stato previsto con un percorso
molto graduale, per dar modo anche
all’Amministrazione di metabolizzare alcuni assunti
non del tutto immediati e consueti nelle prassi
consolidate, come appunto il riconoscimento e la
valorizzazione dell’attivo coinvolgimento della
cittadinanza in funzioni programmatorie e gestionali.
La scelta, poi, di intervenire sulla tipologia specifica
della piazza, seppur di modeste dimensioni, peraltro in
ciò coerenti con il tessuto urbano d’appartenenza, ha un
significato anche simbolico: l’auspicio di recuperare
questa tipologia urbanistica alle sue funzioni originarie
di luogo di interazioni sociali, di comunicazione a tutto
campo, non solo tra i singoli, bensì quasi
rappresentazione viva della peculiarità di un territorio.
In quest’ottica le dimensioni assai contenute delle
piazze del centro storico genovese da limite si
trasformano in elemento di pregio, predisponente un
utilizzo a misura d’uomo, diventando risorsa per la
comunità che risiede in zona, come per chi vi transita o
intenzionalmente vi confluisce per le opportunità lì
presenti.
Avvicinarci a questo obiettivo di cogestione ha
richiesto, allora, di organizzare e attuare un percorso
che preparasse adeguatamente a svolgere queste
funzioni di proposta, coprogettazione, riappropriazione
degli spazi urbani, funzioni desuete nelle comunità
locali contemporanee.
Interlocutori privilegiati in questa fase sono stati i
residenti nelle zone limitrofe alle aree da recuperare.
Il percorso formativo seguito si è articolato nei
seguenti moduli:
La seconda fase: la progettazione partecipata delle
attività
Il recupero fisico di Piazza Ragazzi ha comportato la
realizzazione di un campo da bocce accanto ad uno
spazio utilizzabile per attività varie, due verande
coperte che consentono quindi la frequentazione anche
in caso di pioggia ed un piccolo locale con biblioteca,
dotato di servizio igienico accessibile ai disabili. Si
trattava poi di organizzare il recupero sociale del luogo.
Se la prima tranche del progetto non aveva potuto
conferire molta enfasi al coinvolgimento dei cittadini
nella fase decisionale, dovendo contenere la
progettazione nei limiti temporali imposti dal
Programma Europeo Urban II, i cui fondi hanno
finanziato queste attività, la sua prosecuzione ha
consentito nella seconda fase di estendere l’orizzonte
metodologico includendo un ulteriore tassello logico:
la condivisione del momento progettuale circa la
gestione dello spazio risanato.
Il percorso formativo alla cittadinanza attiva rivolto ai
residenti e sintetizzato nella scheda precedente ha
infatti prodotto un articolato progetto di gestione, che
prevedeva attività promosse dai residenti, dalla
Circoscrizione, da varie associazioni presenti sul
territorio, ma anche iniziative ludiche private (feste di
compleanno, ad esempio).
A questi cittadini, costituitisi in associazione,
l’Amministrazione tramite il Consiglio di
Circoscrizione ha affidato la gestione della piazza.
La notte bianca del 2009
MODULI OBIETTIVI STRUMENTI
• conoscere il territorio aumento delle capacità analisi territoriale
di analisi del territorio impostazione del metodo
di raccolta dei dati
• fare identità ridefinizione dell’identità valutazione dei punti di
territoriale eccellenza e di criticità
del vivere in centro storico
• cos’è la cittadinanza attiva fornire la scatola degli trasmissione di conoscenze
attrezzi concettuali sulla cittadinanza attiva
• progettare il sociale fornire la scatola degli elementi organizzativi per la
attrezzi operativi creazione e realizzazione del
progetto di gestione
Nonostante negli anni si sia verificato un sostanziale
ricambio all’interno dell’associazione, i valori di fondo
che furono oggetto di profonda discussione nel
percorso formativo, sono rimasti invariati e
solidamente alla base delle attività realizzate :
- favorire i rapporti tra cittadini
- favorire la qualità della vita
- favorire la solidarietà delle persone
- favorire la convivenza tra le etnie
- contribuire alla cura dello spazio cittadino.
Una festa in piazza
Indubbiamente questo progetto contiene una
consistente quota d’utopia, dal momento che le logiche
oggi prevalenti nella gestione degli spazi pubblici si
basano sostanzialmente sulle strategie per affrontare le
emergenze più che sulla visione della città che
vorremmo, su indicazioni progettuali provenienti da
“altri” più che sull’esplicitazione delle energie e delle
attese dei vari attori sociali che gravitano su uno
specifico territorio.
In una parola, la sfida sottesa al progetto è stata fare
della città, per ora della città antica, il luogo in cui si
agisce la cittadinanza e questo obiettivo al momento si
configura indubbiamente come anticipazione gravata
da molte incertezze.
I risultati, tuttavia, di questi primi anni (la piazza
risanata è stata inaugurata nel 2004) pur con fasi
alterne, sono complessivamente di grande conforto: la
frequentazione dello spazio va ben oltre la cerchia dei
residenti in zona, le attività organizzate spaziano da
eventi culturali a iniziative di tipo ludico, incontri
formativi, tornei, incontri etnici, cene autogestite…
Festa della comunità filippina
Anche l’aspetto fisico dello spazio testimonia il
consolidato senso di appartenenza dei frequentatori: il
verde e gli arredi sono curatissimi e le migliorie
continue. La sofferta decisione di delimitare lo spazio
con cancellate sembra quindi aver prodotto gli effetti
desiderati.
Accidental Dissidents: Urban Informality as social potential.
Introduction.Public space has been historically conceived as the quintessential place for deliberation, social engagement and artistic expression. In contemporary cities these conditions imply the coexistence of a constellation of different worldviews, lifestyles and paradigms overlapping in the same space. As a consequence, the potential for social action, exchange and encounter appears as infinite. However, this has been increasingly eroded by strategies of hyper-regulation. And although the spaces that arise from this approach appear diverse and spontaneous, in spatial-temporal terms they follow narrow and strict programs.
In the last twenty years, many cities in North America and Europe have leaned towards producing highly regulated and thematicized urban spaces. Therefore, favoring consumption over social and political engagement has become a trend.
These kinds of spaces have been celebrated as spaces of diversity and heterogeneity, but although the space is intensely used, the programs can be grouped within the notions of leisure and consumption, and anything that escapes these categories is heavily controlled.
In New York, this approach was supported by The Initiative for Quality of Life (better known as Zero Tolerance) that imposed heavy regulations and virtual criminalization of informal practices in public spaces. The target of these regulations was a collection of apparently unrelated practices like graffiti, skateboarding, spontaneous performances, protests, panhandling, and awkwardly vague descriptions like loitering, vagrancy and unruly behavior. However, they are grouped together for a reason. They share the characteristic of challenging — even accidentally — a larger socioeconomic and cultural order. These kinds of regulations are signs that different ways of envisioning the city are colliding precisely in the realm of public space. This approach, however, is not new. The vagrancy laws, the policies of social hygiene and the depictions of the bohemian in the Nineteenth Century are a proof that informal urbanites have been historically feared for not sharing the ideals of beauty, safety, order and comfort that dominated modern city planning.
The bourgeois city is the result of the implementation of these ideals. Public space as the place for leisure and encounter (the place for the ultimate bourgeois pleasure of “seeing and being seen”) is the result of the tension that arises
between the workday and free time. Therefore, in the times of deindustrialization, tourism and the consequent increase of free time (for some), the insurance of leisure in public spaces acquires a crucial importance for the “domestication” of the city. Practices that escapes leisure, consumption and circulation are therefore hyper-regulated and even criminalized.
Spatial dissidents. If the city is a machine, as the modernists often described it, then everyday life practice becomes a manifestation of socioeconomic and political energies flowing to sustain the structure of the spatial machinery. The built environment, then, becomes the scenario were these energies are contained, boxed, released or canalized, depending on the case. The public realm is the arena where the machinery reveals its cogs in the shape of an intricate choreography of social flows and exchanges. From that point of view, practices like street vending, squatting, loitering, panhandling, or graffiti are interpreted by city-makers as a “malfunctioning” of the system, something that has to be cleaned out in order to ensure the flows of socioeconomic forces. But if in fact the city were a machine, it would not be one of that kind. The temporal dimension of the city makes urban space work as an overlapping of socioeconomic and cultural realities in fragile coexistence. Thus, public space is like a series of overlapping layers that operate simultaneously, sometimes independent of each other and sometimes closely interrelated.
The strategies to ‘pacify’ the space reveal the misinterpretation of the way the city really works, as it understands urban practices as mutually exclusive within the same spatial structure. The modernists failed in their attempt to conceive the city as a machine because they denied the possibility to think of public spaces in terms of the connection of its overlapping components (Alexander, 1965). To think of public spaces as the points of connection of overlapping realities opens possibilities to conceive the public realm from a completely different perspective.
A Prelude of the Zero Tolerance. In 1988, the attempt to enforce a 1 a. m. curfew for Tompkins Square Park by the City of New York turned into a riot violently suppressed by the police. The implementation of the curfew had been matter of controversy among members of the community of East Village. While one groups defended the idea that the park should remain opened 24 hours, a business owners organization advocated for the curfew.
Historically, East Village was the place of a heterogeneous underground life. The repertoire of
dwellers included homeless, squatters, self-declared anarchists, beatnik poets and punk rockers. As a result, of that the Park was the scenario of spontaneous performances, concerts, boisterous parties and homeless camps. But by the mid 1980s the neighborhood turned increasingly gentrified.
Thus, beyond the issue of the unpopular implementation of the curfew, the riot of 1988 was a genuine manifestation of different perceptions of time and space overlapping. The bohemian way of life prevalent in East Village was now seen as informal and alien to the emerging urban order. Nevertheless, there was an obvious clash of senses of space. The people that had been moving to the neighborhood were attracted by that very same bohemian spirit that were now trying to contain. In The Arcades Project (1982), Walter Benjamin presents the bohemian as a character that because of his uncertain economic and political nature becomes the ‘professional conspirator’. Therefore, the spatial order of consumerism that is encouraged by the Parisian arcades (a primitive version of today’s shopping malls) becomes challenged by the sole presence of this character. His presence is seen as a threat because of the possibilities that it implies. He is a proof that the city can be ‘parasitized’ without having to participate in the choreography of shopping and leisure that Benjamin describes.
In East Village, homeless, squatters, poets, musicians, prostitutes, drunks were the equivalent of the Nineteenth Century Parisian bohemians. Their sense of time and space is flexible and spontaneous, as it is not necessarily linked to the cycles of waged labor and monetary exchange (although they coexists in that realm).
Traditional everyday life in the modern world is distorted by bureaucratization and commodification (Lefebvre, 1974). These processes compartmentalize the space in order to facilitate its control and make profit from it. This mode of space production is strongly linked to the processes of industrialization and urbanization and it creates a realm in which people are separated from the experience of social engagement with each other and with the space itself. The environment is reduced to consumption and a passive experience of being away (Richardson, 2000). However, there are points of rupture for revolutionary possibilities that Lefebvre (1974) calls moments in which people can emancipate themselves from these processes. The moment is an interruption of the state of alienation and represents those windows of opportunity in which the overlapping layers of the city can be connected. It is a point in
which possibilities to connect and engage arise. Thus, the natural consequence of the moment is a shift in the perception and practice of everyday life in space.
The environment that reigned in the Tompkins Square Park before the riot was in a way a manifestation of an alternative interpretation of the public space overlapping the institutional one. The discussion about the curfew revealed the clash of the different interpretations.
The bohemian is considered a dangerous character. They are most of the time unemployed and have remote intentions to engage in the process of mobilization that is required to get a job. In the situationist text The Coming Insurrection (2009), the authors describe how in capitalist societies, unemployed people are expected to be in a constant state of mobilization and “relate to work not as an activity but as a possibility” (The Invisible Committee, 2009). Mobilization implies dressing and acting as if they had an employment, even when you have none. Demobilization is seen as a menace to the capitalist system of production and to the spatial order because it represents a stagnation of the economic and political flows that is canalized through the city fabric, which creates potential for the revolutionary points of rupture that Lefebvre talks about. Thus, the bohemian becomes an ‘accidental dissident’ and a conspirator without even knowing it.
The best example of space regulations that prevents demobilization and interruption of the urban flows are the laws against loitering. The act of loitering is interpreted as a physical manifestation of demobilization, but it is also a symptom of economic crisis, political uneasiness and social discontent. The classification of practices like loitering and vagrancy as crimes is illustrative of the spatial agenda of the bourgeois city.
In that sense, the target of the zero-tolerance-like policies that dominate the planning of public spaces today is not really crime, but demobilization. However, the association of informality with demobilization and the hindering of the urban order also come from the interpretation of the city as a network of mutually exclusive components and unidirectional relations. In that sense, we can think about some informal practices as alternative forms of movement (instead of demobilization), defined by a different set of rhythms, paces and aesthetics.
Conclusion.The limit between formal and informal is being renegotiated everyday as the city becomes more complex. The flows of socioeconomic and cultural energies in public spaces are also describing
-
alternative kinds of movements within the urban order.
The challenge for city-makers it is not just to identify informal practices in order to domesticate them but also to learn how to recognize them as opportunities to connect the different layers of the city in order to activate the social and political potential that public space entails.
Informal practices are often excluded from the program of public spaces and are even considered as anomalies that escape the logics and aesthetics of urban planning. Rather than being considered chaotic leavings of the city fabric, these practices follow an order of their own, and therefore they deserve to be studied in order to produce richer, more diverse and truly public spaces.
The insurance of a broad diversity (not just intensity) of uses and the inclusion of a broad social spectrum is crucial for the creation of a city of spaces of democratic deliberation, political expression and social engagement.
ReferencesALEXANDER, Christopher, “A city is not a tree”, in the magazine Design, London, 1966.BENJAMIN, Walter, The Arcades Project, Harvard
University Press, Cambridge, 1982. The Invisible Committee, The Coming Insurrection, MIT Press, Cambridge, 2006.LEFEBRE, Henri, The Production of Space, Blackwell Publishing, Malden, 1968.RICHARDSON, Miles, “Being-in-the-market vs. being-in-the-plaza”, in Low, Setha/ Lawrence- Zuniga, Denise, The anthropology of space and place: Locating culture, Blackwell, Malden, 2003
Silvano De la Llata.
e-mail: [email protected] PhD Candidate. Department City and Regional Planning. Cornell University
Visiting Professor. Department of Architecture, Design & Urbanism. University of Tamaulipas, Mexico.
Spazio pubblico e nuove tecnologie in EuropaLa riqualificazione degli spazi pubblici urbani passa
attraverso le nuove tecnologie. Le esperienze realizzate nell’ultimo decennio in Europa rappresentano al meglio l’importanza dell’elemento tecnologico nella rinascita di quegli spazi comuni andati in crisi negli ultimi anni con il diffuso sviluppo di zone residenziali lontane dai centri storici. L’evoluzione degli strumenti di telecomunicazione e del loro rapporto con la pianificazione urbana, carico di effetti decisivi per la vivibilità, il risparmio energetico, la sicurezza e la partecipazione dei cittadini si accompagnano al progressivo cambio di funzione degli spazi pubblici che fanno segnare, in Europa come negli Stati Uniti, un graduale ritorno alla loro tradizionale centralità in grado di farne elementi propulsori per la nascita di nuove forme di socialità per i cittadini. Se è vero che da questi ultimi parte la richiesta di adattare vie e piazze agli standard tecnologici più avanzati per favorire una migliore fruizione degli spazi e una più ampia partecipazione dei cittadini alle scelte amministrative, tocca alle autorità pubbliche realizzare strategie e interventi per dare concretezza ad una visione che contribuisce a rimettere i centri storici al centro dei processi urbani e per contrastare l’avanzata delle periferie.
Gli interventi di rigenerazione urbana lanciati negli ultimi anni da città europee come Londra, Barcellona, Parigi, Berlino, Stoccolma e Cracovia mostrano l’importanza degli spazi pubblici nell’affrontare le principali sfide della tutela ambientale,della qualità della vita e della coesione sociale. L’installazione di reti wi-fi pubbliche e gratuite, come realizzato dalla capitale tedesca con antenne impiantate sui semafori nelle zone più centrali, o la realizzazione di centri culturali e di innovazione, sulla scorta di quanto promosso a Stoccolma e a Malmö, rappresentano necessari elementi di completamento all’azione di rilancio dei centri cittadini.
Questa nuovo approccio urbano si fa strada con lentezza anche in Italia ed altri paesi dell’Europa meridionale, soprattutto ad opera di amministratori locali più attenti al tema e in centri urbani che ancora conservano centri storici o spazi tradizionalmente adibiti all’incontro.
L’avanzare dei processi di mondializzazione, che uniformano stili di vita e di consumo, fa da un lato sentire nelle città i suoi effetti negativi, con la diffusione di modelli urbanistici omologati che tengono più conto delle esigenze edilizie e commerciali che di quelle legate alla
vivibilità e alla condivisione degli spazi, ma favorisce anche la condivisione di esperienze positive e di approcci innovativi all’utilizzo urbano delle nuove tecnologie.
Anche in questo campo, la nuova avanzata degli spazi pubblici sui “non luoghi” urbani si avverte in maniera chiara soprattutto nei centri di medie e grandi dimensioni. Mentre in precedenza erano soprattutto aeroporti, centri commerciali e altre strutture tradizionalmente senza identità ad ospitare le prime innovazioni in tema di wi-fi, a uso e consumo di una clientela business, la progressiva espansione di questi sistemi tecnologici ha favorito una democratizzazione degli spazi pubblici, sempre più smart e aperti sul piano partecipativo.
Emblematico è il caso di Barcellona, che ha arricchito il suo percorso di sperimentazione di pratiche di partecipazione con la realizzazione di una rete di accesso
pubblico e gratuito ad internet attraverso il wi-fi che si integra ad innovative azioni di partecipazione, finalizzate ad allargare i processi decisionali a nuovi attori. Sulla scia di quanto realizzato già a fine anni ’80 dal sindaco Pasqual Maragall, che avviò una serie di incontri in tutti i quartieri per preparare gli abitanti ai grandi cambiamenti urbani intervenuti in vista dei Giochi Olimpici del ’92, allo stesso modo la capitale della Catalogna ha accompagnato la predisposizione di 250 hotspot Wi-fi alla realizzazione del progetto Memoria Virtual, che ha favorito un’opera di alfabetizzazione digitale per centinaia di anziani da parte di studenti di scuole secondarie, così da coinvolgere tutte le fasce della popolazione nel piano di innovazione tecnologica urbana.
L’innovazione diventa così strumento di inclusione, capace al contempo di ridurre il digital divide presente tra diversi settori di residenti in uno stesso contesto urbano e di favorire la trasformazione dello spazio pubblico in luogo di identificazione e di contatto fra gli abitanti. Questi nuovi fattori rendono piazze e strade cittadine luoghi polivalenti, da riqualificare attraverso logiche che rendano tali spazi più accessibili e sostenibili sul piano ambientale, economico e sociale.
Paolo Testa - Cittalia