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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Numero 41 – Ottobre 2018 Kenya Democrazia in cammino Partecipazione responsabile e inclusiva per la lotta alla fame e alla povertà

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE · Cosa è successo a quel sogno? L’Africa è diventata più democratica e prospera? ... continente, il potere esecutivo è pas-sato dalle mani

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 41 – Ottobre 2018

Kenya

Democrazia in camminoPartecipazione responsabile e inclusiva per la lotta alla fame e alla povertà

INDICE

Introduzione 3

1. Il problema a livello internazionale 4

2. Il problema a livello nazionale 10

3. Le cause e le connessioni con l’Italia e l’Europa 16

4. Testimonianze 19

5. La questione 21

6. Le proposte 23

Note 26

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 41 | Ottobre 2018

KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINOPartecipazione responsabile e inclusiva perla lotta alla fame e alla povertà

A cura di: Francesco Soddu | Fabrizio Cavalletti | Paolo Beccegato

Testi: Nicoletta Sabbetti | Flaminia Tumino | Fabrizio Cavalletti

Hanno collaborato: Father Joseph Turay (Università di Makeni − Guinea Conakry)

Foto: Nicoletta Sabbetti | Caritas Internationalis

Grafica e impaginazione: Danilo Angelelli

«La partecipazione è un dovere da esercitare consa-pevolmente da parte di tutti, in modo responsabilee in vista del bene comune» Compendio della dot-trina sociale della Chiesa, 189

I processi democratici in Africa sono oggi un argo-mento di grande attualità, caratterizzati da una fortemobilitazione e partecipazione sociale, ma spesso fo-riere di violenze. L’appartenenza tribale è ancora unelemento tanto forte da far appiglio sulla popolazionelocale e punto di forza di molti leader per condizio-nare non solo le campagne elettorali e il voto, maanche eventuali rivendicazioni, proteste e l’uso dellaviolenza.

Visto l’avvicendarsi, negli ultimi anni, di elezioni po-litiche in tanti Paesi del continente e il loro eco a livellolocale e internazionale, questo Dossier vuole appro-fondire il fenomeno interrogandosi sulle dinamichedella partecipazione che ogni processo democraticoimplica e analizzando i dati raccolti sul territorio.

Come scriveva già Papa Giovanni XXIII nell’enciclicaPacem in Terris 1, l’uomo ha il diritto di partecipare allavita pubblica perché egli non è un oggetto passivonella vita sociale, bensì «soggetto, fondamento e fine»chiamato a dare il suo personale contributo all’attua-zione del bene comune.

Anche nel compendio della dottrina sociale dellaChiesa 2 viene ribadita l’importanza della partecipa-zione di tutti i cittadini, dai più svantaggiati sino allaclasse politica. Questo per evitare i privilegi e contri-buire alla costruzione della polis a livello locale e glo-bale e al bene comune. La partecipazione è dunqueuno dei pilastri di ogni ordinamento democratico, taleper cui il singolo è chiamato ad attribuire poteri e fun-zioni a coloro i quali elegge come suoi rappresentantinella comunità perché agiscano “a suo nome, per suoconto e a suo favore”. Così, ne deriva che la vita politicanon può rimanere in una sfera a sé stante, ma viveanche delle influenze e delle conseguenze sociali, cul-turali, economiche e giuridiche.

Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium,papa Francesco ci ricorda che ogni popolo si costrui-sce raggiungendo quella pluriforme armonia, fruttodi una cultura dell’incontro, in cui le differenze si ar-monizzano in un progetto comune. Per far questo,ogni cittadino deve essere un attore libero e respon-sabile della vita politica, tanto che la sua partecipa-zione ad essa diventa “un’obbligazione morale”, conlo scopo di riconoscere e promuovere lo sviluppo in-tegrale di tutti, non di un’élite 3. La Chiesa africana, inparticolare, ha più volte ribadito, non solo a parole,

un forte richiamo ai leader politici perché si facciano«garanti del bene comune denunciando la corru-zione e l’impoverimento delle masse come strategiaper mantenere o conquistare il potere» 4. In un conti-nente dove ancora le divisioni tribali sono rilevanti, ènecessario che «lo spirito del dialogo e dell’incontrosiano guida per valorizzare la tradizione lavorandoinsieme per l’integrazione e l’armonizzazione tra rap-presentanze diverse senza lasciarsi andare alla vio-lenza» 5.

L’analisi dei processi democratici in Africa, allaluce di questi principi, riporta in auge alcuni interro-gativi di fondo. Dopo la caduta del muro di Berlino,frasi come “rinascita africana”, “ascesa dell’Africa”, “se-conda liberazione”, “meccanismi di revisione tra pari”,“decennio africano” riempivano l’aria degli anni ’90con aspettative di una nuova alba. Cosa è successoa quel sogno? L’Africa è diventata più democratica eprospera? Democrazia e sviluppo sono buoni com-pagni di viaggio? La democrazia è compatibile conla povertà? Il modello cinese, con i suoi ingenti inve-stimenti nel continente, è la via da seguire perl’Africa?

Quale risonanza nei processi di democratizzazionedei molteplici, ampi e crescenti interessi economici in-ternazionali? Quali le influenze che l’appartenenza et-nica e più in generale la variopinta morfologia socio-culturale del continente hanno sui processi di svi-luppo democratico? Quale ruolo per le chiese afri-cane, i leader politici, la società civile, la comunitàinternazionale in una nuova alba per un’Africa mi-gliore? 6

Alla base di tutto sarà importante una riflessionesull’importanza dell’educazione, della formazione edell’informazione come strumento di partecipa-zione.

Questo dossier ha un focus sul Kenya, che ha do-minato le cronache africane dopo la storica sentenzadel settembre 2017. La Corte Suprema, infatti, ha di-chiarato nulle le elezioni tenutesi il mese precedentein un clima teso e violento e riportato alle urne unapopolazione stanca, ma fiduciosa.

3KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

Introduzione

Mondo e decolonizzazioneIl dominio coloniale europeo nei diversi continenti

è cessato in una serie di ondate a cavallo tra 1800 e1900. Gli imperi coloniali spagnolo e portoghese, cheavevano i loro possedimenti soprattutto nelle Ameri-che, hanno visto il loro tramonto in favore di stati indi-pendenti a partire dai primi decenni del 1800. Proprioin quegli stessi anni ci fu un periodo di forte espan-sione territoriale sia della Francia che della Gran Breta-gna in tre continenti: Asia, Africa e Oceania. L’egemoniadegli stati europei durerà fino alla fine della SecondaGuerra Mondiale. Infatti, a partire dalla seconda metàdegli anni ’40 del secolo scorso, vari stati, a seguito diguerre di liberazione o movimenti per l’indipendenzadi durata variabile, riusciranno a ottenere l’autonomia.

L’epoca della decolonizzazione storicamente iniziacon l’indipendenza dalla corona inglese dell’India nel1947 e termina con la restituzione di Macao alla Cinada parte dei portoghesi nel 1999. In estrema sintesipossiamo tracciare tre grandi ondate: una nei tardianni ‘40 che ha visto gli stati asiatici diventare indipen-denti, negli anni ’50 è stata la volta degli stati del nordAfrica e infine gli anni ’60 hanno avuto come protago-nisti gli stati dell’Africa sub-sahariana. Questi ultimi,dunque, si presentano come stati“giovani” e il suffragio universale inmolti casi è una conquista relativa-mente recente (similmente all’Italia,dove è stato raggiunto solo nel1946). Nella quasi totalità del sub-continente, il potere esecutivo è pas-sato dalle mani delle potenze colo-niali direttamente a esponenti delleresistenze o delle formazioni che ave-vano partecipato alle lotte di libera-zione dal dominio europeo.

Un elemento di complicazionedei processi di indipendenza deglistati dell’Africa sub-sahariana è cer-tamente stata la Guerra Fredda. In-fatti, negli anni ’60 sia Stati Uniti cheURSS non hanno risparmiato ingentiinvestimenti di varia tipologia, com-presa la fornitura di armi, per appog-giare le fazioni inclini al proprioschieramento. Entrambe le potenzehanno agito sia per ragioni squisita-mente politiche, affinché i nuovistati si unissero all’uno o all’altroblocco, sia per ragioni economiche,

al fine di intrattenere relazioni commerciali privilegiatespecialmente nelle aree ricche di risorse naturali.

Infine, un ulteriore elemento di complessità pro-viene dalla geografia delle popolazioni del continente.In buona parte dei casi, gli attuali confini politici deglistati riflettono le divisioni territoriali del periodo colo-niale, e sono stati determinati da un intricato connu-bio tra dinamiche di competizione tra imperi colonialie capacità di conquista dei territori delle varie po-tenze. La geografia amministrativa odierna rispecchiapoco o nulla la distribuzione o le suddivisioni politichedelle popolazioni africane in essere prima dell’arrivodegli europei. Molti stati si trovano oggi all’interno deipropri confini, comunità che hanno storie, tradizionie culture molto diverse e che si trovano per la primavolta a condividere il governo del Paese.

1. Il problema a livellointernazionale

4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Il quadro attuale delle forme di governo dei 54stati che compongono il continente africano è com-plesso e in evoluzione: secondo l’indice Polity IV 1,che misura le caratteristiche delle autorità degli statinel sistema mondiale, in Africa vi è stato un nettocambiamento nel periodo dal 1985 al 2009. L’indicePolity IV è costruito con più di 60 variabili e divide iPaesi in quattro categorie principali: democrazie(piene o incompiute), “democrature” (nel rapporto

definite come anocracy aperte o chiuse), autocrazie,stati falliti o occupati. La categoria della “democra-tura” racchiude tutti quei regimi traballanti che me-scolano sia i tratti democratici che quelli autoritari, ein ragione della loro inefficienza, generano solleva-zioni 2. Nelle “democrature” chiuse la competizioneper il potere avviene all’interno delle élite del Paese,mentre in quelle aperte, anche altri attori vi parteci-pano.

Trend democrazie, democrature, autocrazie nel mondo

AutocrazieDemocrazieDemocrature

Num

ero

di P

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500

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nel

201

6)

Fonte: Center for Systemic Peace, Global Report 2017

5KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

Un’ondata di democratizzazione3 ha investito il con-tinente africano: nel 1985 40 stati ricadevano sotto ladefinizione di autocrazia e solo 2 sotto quella di demo-

crazia. Nel 2009 l’indice Polity IV classificava 12 staticome democratici e solo 3 come autocratici, con la mag-gioranza degli stati sotto la categoria della democratura.

Democrazia e fragilità in Africa

Fonte: elaborazioni Caritas Italiana su dati Center for Systemic Peace

* Stati con fragilità seriao superiore secondo ilCenter for Systemic Peacein Global Report 2017

** In questa categoriasono compresi anchegli stati considerati falliti,in transizione o occupati

Il progresso, seppur a ritmi meno sostenuti, è prose-guito negli anni successivi (figura sopra) in linea con iltrend globale di democratizzazione dei sistemi di go-

vernance (figura pagina 5). In trent’anni vi è stato unsignificativo miglioramento in quasi tutti i Paesi afri-cani (figura sotto).

6 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Regimi democratici e autocratici in Africa 1985 v/s 2017

Fonte: elaborazioni Caritas Italiana su dati Center for Systemic Peace

Nel 2017, tra gli stati con più di 500 mila abitanti, 3risultavano autocratici (Eritrea, Swaziland e GuineaEquatoriale), 21 quelli democratici, 25 erano le demo-crature e 3 gli stati falliti/occupati. Da notare tuttaviache, tolte le isole Mauritius e Capo Verde, non vi è an-cora nessun Paese che può definirsi pienamente de-mocratico. Ciò è utile da rimarcare anche per indagaremeglio il nesso tra democrazia e sviluppo. Alcune fontimostrano come nei Paesi più poveri vi sia una corre-lazione tra livello di democrazia e miglioramento delreddito pro-capite e aspettativa di vita così come a pa-rità di livello di sviluppo, la mortalità infantile è infe-riore nelle democrazie che nei regimi dittatoriali 4. In

altre fonti si riscontrano correlazioni con l’accesso al-l’istruzione o la mortalità 5. D’altro canto, però, anchealcuni regimi autocratici mostrano ritmi di crescita al-trettanto importanti di quelli delle democrazie. Que-sto può essere in parte spiegato dalla necessità ditaluni regimi di garantire un minimo di redistribuzionedella ricchezza per evitare l’insorgere di malcontentodiffuso e il conseguente rischio di disordini sociali.

Tuttavia, tali correlazioni non spiegano in modoesaustivo il legame tra democrazia e sviluppo, che auno sguardo con angolatura mondiale, appare avereuna netta demarcazione tra Paesi pienamente demo-cratici e il resto.

Democrazie, democrature, autocrazie

Piena democrazia (10)

Democrazia (6 a 9)

Democratura aperta(1 a 5)

Democratura chiusa (-5 a 0)

Autocrazia (-10 a -6)

Fallito/Occupato Non incluso

Il nesso tra democrazia e sviluppo è inconfutabile perle democrazie compiute (in blu scuro nella figura sopra),come ad esempio Europa, Giappone, America del Nord,Australia: in questi casi, alti livelli di democrazia corri-spondono ad alti livelli di sviluppo umano 6 e di reddito.Laddove invece il tasso di democrazia scende al di sottodei suoi massimi, allora il legame con lo sviluppo divienepiù sfumato e alquanto incerto. Gli esempi India e Cinaevidenziano tale complessità: entrambi Paesi emer-genti, hanno traghettato milioni di persone fuori dallapovertà, ma in un caso attraverso processi democraticie nell’altro attraverso un’autocrazia.

Se da un lato la democrazia conta, ed è un dato difatto che i Paesi in cui la democrazia rappresentativaè funzionante, sono anche quelli dove vi è maggiorbenessere; dall’altro la presenza di un sistema multi-partitico che garantisca l’alternanza al potere non ècondizione sufficiente per lo sviluppo. Alcuni Paesiprogrediscono verso livelli medio-alti di sviluppoumano senza che questo sia accompagnato da unprocesso di democratizzazione delle istituzioni comeil caso delle autocrazie asiatiche (il caso più noto è si-curamente quello della Cina, ma anche le cosiddette“Tigri Asiatiche”: Singapore, Corea del Sud e Taiwan).

7KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

Fonte: Center for SystemicPeace, Global Report2017

Fonte: OCSE (2016)

Fragilità politica nel mondo 2016

Estrema fragilità politica Alta fragilità politica Fragilità dei regimi di stato centralizzati

Moderata fragilità politica Bassa fragilità politica

Viceversa, Paesi più democratici, ancorché non com-piutamente, permangono in condizioni di sottosvi-luppo. In Africa, in particolare, dove, come già sotto-lineato, si nota una netta prevalenza delle cosiddette“democrature”, regimi sostanzialmente caratterizzatida alcune forme di alternanza al potere, quando soloall’interno delle élite quando anche con un avvicen-damento tra élite, è evidente come a più alti livelli didemocrazia non corrispondono necessariamente piùalti livelli di sviluppo umano e viceversa.

Per cercare di decifrare meglio questo aspetto, ecomprendere la complessità dei processi politici cheinvestono il continente, è utile avvalersi del concettodi fragilità politica. In un corposo rapporto pubblicatonel 2016, l’OCSE elabora e analizza la fragilità riferitaagli stati utilizzando cinque categorie: economica, am-bientale, politica, di sicurezza e sociale. L’ indice chemisura la fragilità politica tiene conto di una serie difattori di rischio come la durata e l'instabilità di un re-gime, la presenza di violenza da parte delle autoritàstatali, la presenza di un clima politico basato sul ter-rore e il livello di corruzione. Questi rischi sono valutatiin relazione al rispetto dei diritti umani includendo ilriconoscimento e la protezione dei diritti delle donne.La combinazione di questi fattori può aumentare l'in-stabilità dei processi politici e influenzare la capacitàdelle istituzioni di adattarsi al cambiamento senza ri-correre alla repressione degli oppositori. La fragilitàpolitica è un indicatore da un lato dei principali fattorialla base di episodi di violenza, e dall’altro del quadro

legale che dovrebbe aiutare a prevenire l’emergeredella violenza e mitigarne le conseguenze. Da questopunto di vista l’Africa presenta alti livelli di fragilità po-litica, al contrario di altri continenti, come l’Asia, carat-terizzati da regimi autocratici tuttavia più stabili.

È dunque incrociando queste due dimensioni dianalisi dei sistemi politici che possiamo tracciare la pe-culiarità del caso africano. Da un lato l’Africa è il conti-nente con i più alti livelli di fragilità politica al mondo,causata da processi elettorali che creano governi in-stabili e alti livelli di corruzione e di violenza in campopolitico. Dall’altro, l’indice Polity IV spiega che tale in-stabilità, oltre ad ostacolare riforme strutturali coe-renti e durature non garantisce l’accesso al potere daparte di chi non fa parte del ristretto cerchio delle élitedel Paese. Dunque, forme di governo a geometria va-riabile ma che mantengono saldamente il potere con-centrato nelle mani di pochi non garantiscono le con-dizioni necessarie a far decollare il progresso socialeed economico di questi Paesi. La riduzione della fra-gilità, che pure c’è stata, non ha seguito lo stessopasso dell’aumento della democrazia soprattutto sulpiano economico e della sicurezza ostacolando i pro-cessi di sviluppo e a sua volta un progresso più deci-sivo sul piano della democratizzazione.

Un esempio è la Somalia, che secondo l’indice Po-lity IV, dal 2012, a seguito dell’istituzione della Repub-blica Federale Somala, risulta come “democraturaaperta”, malgrado mantenga livelli di fragilità politicatra i più alti al mondo.

8 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Tuttavia, nonostante la complessità e le contraddi-zioni sul nesso tra democrazia, fragilità politica e svi-luppo, resta il fatto di progressi significativi soprat-tutto se si assume una prospettiva dinamica che con-sidera la democratizzazione come un processo dandoenfasi ai modi in cui le istituzioni e le pratiche demo-cratiche sono costruite o indebolite, e alle norme e aivalori attraverso i quali tali azioni sono legittimate.Questo pone l'accento sulle traiettorie ed evita la con-cezione statica implicita nell’analisi dei risultati in undato momento 7. Da questo punto di vista, passi inavanti importanti sono stati compiuti nella creazionedi sistemi multipartitici stabili e responsabili: controogni previsione, una parte significativa del continenteha intrapreso il cammino verso la democrazia.

L’Africa, pur nella sua fragilità, ha molto da inse-gnare sui diversi percorsi attraverso i quali anche iPaesi più poveri e instabili possono liberarsi dal domi-nio autoritario 8. In alcuni casi i “giovani” stati sem-brano aver trovato il loro percorso democratico intempi relativamente brevi (come ad esempio Senegal,Ghana, Botswana); in altri, dopo disordini e avvicen-damenti al potere più o meno segnati dalla violenza,al governo vige l’alternanza (come nel caso dell’Etio-pia e il Burkina Faso); in altri casi ancora i Paesi sem-brano alla ricerca di un proprio equilibrio e una pro-pria identità post-coloniale (come la Repubblica De-mocratica del Congo e il Mali).

Il ruolo della società civileNel quadro di tali progressi le società civili di molti

Paesi che hanno dimostrato grande dinamismo e ca-pacità di mobilitazione dalla decolonizzazione in poi,hanno giocato e giocano un ruolo di opposizione im-portante contro i regimi o le élite al potere. Le orga-nizzazioni della società civile sono state determinantinei momenti di transizione politica in Africa negli anni‘90 e anche successivamente. Non solo, ma essehanno avuto un peso importante per il successo deiprocessi di rafforzamento delle istituzioni democrati-che seguiti alle fasi di transizione 9. Esempi recentisono il Burkina Faso nel 2014 dove la popolazione si èopposta con successo alla modifica della Costituzione

voluta dal presidente per prolungare il suo mandato,nonostante la dura repressione; il Kenya con la storicasentenza della Corte Suprema che ha annullato i risul-tati elettorali per irregolarità; la Repubblica Democra-tica del Congo con la popolazione che come in Burki-na Faso è scesa in piazza per chiedere al presidente ilrispetto della Costituzione.

In molti Paesi, le Chiese locali hanno avuto un ruoloimportante di stimolo alla società civile e nel prendereposizione all’interno di essa. Hanno appoggiato a vol-te richieste di maggiore trasparenza verso i governinazionali, altre il rispetto delle regole costituzionali,altre ancora gli appelli alle autorità al rispetto della li-bertà di espressione. Molte Chiese da anni sono im-pegnate in processi di monitoraggio elettorale, nellasensibilizzazione e nella formazione al voto e sui prin-cipi dello stato di diritto. Impegno che caratterizza lapastorale della Chiesa africana come in pochi altri con-testi e per il quale sta pagando un prezzo molto altocon il sacrificio, a volte della vita, di molti religiosi e re-ligiose, sacerdoti, laici impegnati. Un esempio perL’Europa e per il mondo intero.

Molte democrazie africane sono a un momento disvolta rispetto a una generazione di leader (e/o ai lorofigli) che devono lasciare il potere per limiti di età operché hanno raggiunto il numero massimo di man-dati previsti dalle Costituzioni nazionali. In Paesi qualila Repubblica Democratica del Congo, il Kenya, il Bu-rundi, lo Zimbabwe, la Sierra Leone, il Mali, il Camerun,le popolazioni stanno affrontando o hanno affrontatodi recente tornate elettorali importanti per il futurodei loro Paesi, che segneranno il tramonto delle pre-cedenti élite oppure confermeranno personalità cheagiranno in continuità con quanto fatto in passato.

In tutti questi Paesi, ma non solo, i cittadini stannocompiendo sforzi notevoli per spingere i loro leaderall’assunzione di responsabilità verso il bene comune.Una delle maggiori sfide che la società civile ha difronte è proprio la ricerca di modalità per poter gio-care un ruolo più incisivo nei processi di decisione po-litica, economica e sociale dando voce alle fasce dipopolazione più escluse e vulnerabili, lottando controla fame e l’esclusione sociale.

In Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Burundi, Zimbabwe, Sierra Leone, Mali,Camerun ma non solo, i cittadini stanno compiendo sforzi notevoli per spingere i loroleader all’assunzione di responsabilità verso il bene comune. Una delle maggiori sfideche la società civile ha di fronte attualmente è proprio la ricerca di modalità per potergiocare un ruolo più incisivo nei processi di decisione politica, economica e sociale dandovoce alle fasce di popolazione più escluse e vulnerabili, lottando contro la fame e l’esclu-sione sociale

9KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

L’Economist 1 ha recentemente affermato che la demo-crazia sta perdendo terreno, ma non dove è più ma-tura con controlli ed equilibri forti. Le società vera-mente a rischio sono quelle in cui le istituzioni sonopiù deboli e le abitudini democratiche meno radicate.Lo studioso John Dewey ha giustamente ammonitoriguardo alle minacce alla democrazia se le abitudinidemocratiche non sono radicate. Per Dewey, la so-pravvivenza della democrazia dipende da un insiemedi abitudini e disposizioni 2. In altre parole, serve unacultura per sostenerla. Così come le condizioni demo-cratiche non si mantengono automaticamente, allostesso modo la sola esistenza di una Costituzione nonsalvaguarda la democrazia.

La democrazia è forte tanto quanto gli uomini e ledonne che la vivono. Quindi è necessario porsi le se-guenti domande: quale cultura può promuovere o fa-vorire la democrazia in Africa? Quali stili di leadershippossono promuovere la democrazia? La sindromedell’”uomo forte” è ancora pervasiva nel tessuto so-ciale africano ? Le donne sono prese sul serio nello svi-luppo e nella discussione democratica in Africa? C’èun minimo consenso politico delle élite sulle regoledel gioco e sui vincoli della democrazia? In che modo

le diverse identità etniche e nazionali possono contri-buire al bene comune? Concentrandoci sulla cultura,bisogna integrare tolleranza, parità dei diritti, dignitàumana e religione nel concetto stesso di cittadinanza 3.

Il Kenya ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bre-tagna nel dicembre 1963. Nell’agosto 2017 si sono te-nute per la sesta volta le elezioni generali dopo larestaurazione del sistema multipartitico avvenuta nel1991. Sono anche state le seconde elezioni dopo lapromulgazione della Costituzione del 2010, le primepresidenziali in tutto il Continente, annullate con unasentenza della Corte Suprema dopo il ricorso presen-tato dal partito d’opposizione. Ad ottobre 2017, ilnuovo voto ha confermato la vittoria di Uhuru Ke-nyatta come quarto presidente della Repubblica delKenya.

2. Il problema a livellonazionale

PRESIDENTI DEL KENYA: CRONOLOGIA

Mzee Jomo Kenyatta | Primo presidente: 1964-1978Presidente dall’indipendenza nel 1963 alla sua morte nel 1978, prestando servizio comeprimo ministro (1963-64) e poi come presidente (1964-78). Ricordato come un panafrica-nista. È anche il padre del quarto e attuale presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta.

Daniel Toroitich Arap Moi | Secondo presidente: 1978-2002Presidente dal 1978 al 2002. È stato anche il terzo vicepresidente, dal 1967 al 1978. Moi eranoto ai keniani come “Nyayo”, una parola swahili che significa “orme”, poiché spesso dicevadi seguire le orme del primo presidente. Si è anche guadagnato il soprannome di “profes-sore di politica”.

Mwai Kibaki | Terzo presidente: 2002-2013Presidente dal dicembre 2002 all’aprile 2013. Precedentemente era stato vicepresi-dente per dieci anni, dal 1978 al 1988, sotto la presidenza di Daniel Toroitich Arap Moi.Ha anche ricoperto cariche ministeriali nei governi Kenyatta e Moi.

10 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

L’8 agosto 2017, esattamente 19.611.423 cittadinikenyani hanno espresso la loro preferenza per il pre-sidente della Repubblica, i membri del Parlamento, igovernatori e i rappresentanti presso le assemblee ditutte le 47 Contee.

Sin dai mesi precedenti si è temuto il ripetersi delleviolenze che durante le elezioni del 2007 causarono1.200 morti, mezzo milione di sfollati interni e più di42.000 case distrutte 4, un ricordo che ancora spaventala popolazione del Kenya. Alle elezioni presidenzialihanno visto contendersi la carica di presidente dellaRepubblica i due rivali che già si affrontarono nel2013: il presidente uscente Uhuru Kenyatta insieme aWilliam Ruto per il partito Jubilee e l’onorevole RailaOdinga insieme a Kalionzo Musyoka per il NationalSuper Alliance (NASA).

Grazie alla Costituzione del 2010 e alla ratifica deimaggiori Trattati internazionali che tutelano il dirittodi voto, compreso l’African Charter on Democracy, ilKenya risponde genericamente aglistandard internazionali in materia didiritto di voto. Purtroppo, alcune li-mitazioni e difficoltà nella completaimplementazione degli obblighi in-ternazionali hanno favorito forti ten-sioni. Dopo le elezioni di agosto,come denuncia il rapporto dellamissione elettorale dell’Unione Eu-ropea, il partito di maggioranza (Ju-bilee) ha apportato modifiche alleleggi elettorali senza rispettare leprocedure previste dalla Costituzione.

L’articolo 88 della Costituzione istituisce la crea-zione di un organismo indipendente, IndependentElectoral and Boundaries Commission (IEBC), con ilcompito di garantire che il procedimento di voto siaamministrato in modo imparziale e trasparente. Comespecificato anche dalla sezione 55 dell’Elections Act(2016-17) le sue mansioni più significative sono: la re-gistrazione dei cittadini aventi diritto al voto, la regi-strazione dei candidati e le valutazioni sulla loroidoneità etica, l’educazione della popolazione all’eser-cizio del voto, la risoluzione delle controversie eletto-rali e la facilitazione di missioni di osservatori elet-torali.

Il registro dei votanti prima delle elezioni di ago-sto, contava circa l’82% dei cittadini aventi diritto e ilsistema biometrico introdotto nel 2016 dall’ElectionsAct doveva garantire una maggiore trasparenza. Pur-troppo, però, i report ufficiali e un audit compiuto daun organismo esterno 5 denunciavano molte irrego-larità. Anzitutto, nel registro erano riportati circa unmilione di cittadini già deceduti, molte duplicazionie, infine, molti neo-aventi diritto al voto e apparte-nenti a etnie minoritarie hanno denunciato inspiega-

bili ritardi nell’ottenere i documenti di riconosci-mento necessari per partecipare al voto. Solo durantela ripetizione delle elezioni in ottobre si è notato unmiglioramento, in quanto il 96,2% dei votanti è statoregistrato grazie al sistema biometrico. Dunque, unodei problemi principali è stato sicuramente il malfun-zionamento del sistema elettronico sia per la registra-zione che per l’invio dei risultati. Molti organismi han-no però osservato che un’adeguata preparazione einformazione dei cittadini aventi diritto al voto, avreb-be sicuramente contribuito a rendere il procedimen-to più trasparente, responsabile e indipendente. Se-condo molti, anche la morte del responsabile dellecomunicazioni dell’IEBC a pochi giorni dal voto ha in-fluito negativamente.

La giornata dell’8 agosto, la prima tornata eletto-rale poi invalidata, è trascorsa generalmente in tran-quillità con la denuncia di qualche tensione nelle zonedegli slum dove convivono etnie diverse. Si è votato

dalle 7 alle 17, con lunghe code di attesa. Si conta chealmeno 180 mila poliziotti siano stati dislocati in tuttoil Paese, diversi organismi hanno riportato che in quasitutte le sezioni elettorali è stata garantita sia la pre-senza delle rappresentanze politiche sia degli osser-vatori elettorali nazionali e internazionali. Se ne sonocontati più di 8.000.

Il 9 agosto, mentre le prime proiezioni davanoUhuru Kenyatta avviato verso il secondo mandato, ilsuo rivale, l’Onorevole Raila Odinga, denunciò broglielettorali per hackeraggio e manomissione del si-stema informatico. La tensione si alzò e scoppiaronoi primi tafferugli, soprattutto nello slum di Mathare aNairobi e a Kisumu, causando i primi cinque morti.Nonostante ripetuti inviti alla calma dall’IEBC e da di-verse rappresentanze politiche e religiose, il partitoNASA continuò a denunciare i brogli, ma la tensionescoppiò definitivamente nella giornata dell’11 agostodopo che Uhuru Kenyatta venne rieletto presidentedella Repubblica del Kenya con il 54,2% dei consensi.Le stime ufficiali parlano di 24 morti, ma il partito diopposizione ne denunciò quasi un centinaio, dovutoanche a una risposta brutale delle forze dell’ordine in-caricate di riportare la calma.

La legge kenyana prevede che entro sette giorni dalla di-chiarazione dei risultati elettorali, i cittadini hanno di-ritto ad appellarsi alla Corte Suprema. Così è stato e, perla prima volta nella storia del continente africano, laCorte ha stabilito che le numerose irregolarità denun-ciate dall’opposizione e provate durante il dibattimentoin aula, hanno influenzato le elezioni, rendendole nulle

11KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

La questione sui brogli elettorali si concentra sullatrasmissione dei moduli 34A e 34B che raccolgono lepreferenze di voto per il presidente della Repubblica edevono essere trasmessi in via telematica all’ufficiocentrale. I report degli osservatori internazionali hannorilevato anomalie relative a questi moduli in particolare:errori di trascrizione dei dati, scarsa qualità della scan-sione, firme illeggibili o mancanti, ritardi non giustificatinella trasmissione telematica per l’aggiornamento deirisultati di voto (in alcuni casi i moduli sono arrivatidopo la nomina del presidente) e 4 sezioni elettoralisenza i moduli obbligatori, 1 con i moduli duplicati.

La legge kenyana prevede che entro un termine disette giorni dalla dichiarazione dei risultati elettorali, icittadini hanno diritto ad appellarsi alla Corte Suprema.Così è stato e, per la prima volta nella storia del conti-nente africano, la Corte (con la mag-gioranza di 4 giudici a favore, 2contrari e 1 assente per gravi motividi salute) ha stabilito che le nume-rose irregolarità denunciate dall’op-posizione e provate durante il dibat-timento in aula, hanno influenzatol’integrità delle elezioni, rendendolenulle e richiamando i cittadini al votoentro 60 giorni. Le colpe non sono ri-cadute sul partito vincitore, ma sul-l’IEBC, ritenuto responsabile di nonaver assolto il compito costituzionaledi garantire elezioni «semplici, sicure,libere, trasparenti e verificabili». Ilprocedimento ha tenuto il Paese conil fiato sospeso per giorni, pur nel ri-spetto dei termini temporali datidalla Costituzione. La storica sen-tenza della Corte Suprema, venerdì1 settembre 2017, ha ridato spe-ranza ai tanti cittadini kenyani che sierano sentiti traditi per le discrimina-zioni e violenze legate alla loro ap-partenenza tribale. Allo stessotempo ha rafforzato l’indipendenzadell’apparato giudiziario, pur conti-nuando ad essere oggetto di attac-chi anche dopo le elezioni di ottobre.

Le nuove elezioni si sono svolteil 26 ottobre in un clima molto piùteso rispetto a quelle di agosto.Mentre l’IEBC è stato in grado di ga-rantire un sistema di registrazionee trasmissione del voto più respon-sabile, l’affluenza è calata dellametà. Ha contribuito molto il boi-cottaggio apertamente dichiaratodal partito dell’onorevole Odinga. Il

giorno delle elezioni è stato segnato da violente pro-teste nelle regioni occidentali e nelle baraccopoli diNairobi, roccaforte della NASA. Le strade bloccate e ilrifiuto di molti impiegati IEBC a presentarsi presso lesezioni elettorali per le intimidazioni ricevute, hannoreso impossibile consegnare il materiale di voto in al-cune aree. In 4 contee, Kisimu, Homa Bay, Siaya e Mi-gori, l’IEBC ha dapprima rinviato di due giorni il voto,poi a tempo indeterminato per ragioni di sicurezza.Tutti i sei candidati avevano facoltà di candidarsi, mail già annunciato boicottaggio da parte del NASA hainficiato molto la genuinità della competizione elet-torale. Il 30 ottobre 2017 l’IEBC ha dichiarato nuova-mente vincitore Uhuru Kenyatta con 7.483.895 voti (il90% di quelli ottenuti ad agosto), contro i circa140.000 raccolti da tutti gli altri candidati insieme.

Fonte: Rapporto finale della missione di monitoraggio elettoraledell’Unione Europea

Tasso di affluenza alle urne di agosto 2017

Affluenza alle urne

12 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

I periodi pre e post elettoraliLa presenza di molti candidati indipendenti è con-

siderata un chiaro effetto di una campagna elettoralecaotica. Entrambi i periodi che hanno preceduto ilvoto si sono caratterizzati per un clima poco rispet-toso, provocatorio, carico di discorsi d’odio (273 pro-cedimenti in due mesi presso gli organi giudiziari), diincitamento alla violenza e di attacchi agli apparatistatali. Come hanno evidenziato molti osservatorielettorali, anche i programmi politici non avevano so-stanziali differenze tra loro. Ancora una volta la di-sputa si è incardinata sul tribalismo. Seppur la gior-nata elettorale di agosto è stata generalmente paci-fica, si è assistito a una generale crescita di proteste edimostrazioni in strada, blocco di alcune aree come lebaraccopoli dove la tensione era più alta. Episodi dicriminalità in aumento, battaglie per strada con vio-lenze documentate delle forze di sicurezza in azionecon metodi eccessivamente cruenti. Molti hanno de-nunciato danni e distruzioni a edifici privati. Moltissimii casi di denuncia da parte di gruppi vulnerabili, im-piegati statali e militanti politici per intimidazioni ver-bali e fisiche. Nello stesso periodo sono stati riportaticasi di violenza sessuale su donne e giovani, in parti-colare nelle aree periferiche.

Il periodo pre-elettorale, avve-nuto in coincidenza con un graveperiodo di siccità che ha messo in gi-nocchio diverse popolazioni in tuttala regione, ha visto anche un arrestodell’economia. Per diversi mesi moltibeni ad alto consumo di tutte lefasce della popolazione non sonostati disponibili sul mercato. La man-canza di burro, il razionamento e lacorsa all’approvvigionamento di più farina possibile,il cambio di alcune abitudini alimentari sono state og-getto di discussione su molti quotidiani nazionali.

Anche gli organi di stampa hanno rilevato un ge-nerale atteggiamento intimidatorio in tutto il periodoelettorale, tanto che alcuni giornalisti hanno denun-ciato di autocensurarsi affrontando il tema della poli-tica. Attraverso gli organi di stampa è stato peròpossibile denunciare e riaprire la questione sull’abusodi violenza perpetrato da polizia ed esercito. A seguitodelle accuse di diverse ONG il capo della polizia ha af-fermato che la «violenza mortale» è stata usata solo incasi «assolutamente necessari». Sul numero delle vit-time c’è ancora discordanza tra i rapporti ufficiali equanto riportato dai gruppi locali e dai media nazio-nali e internazionali.

Di fatto la sentenza di annullamento delle primeelezioni, ha aperto una crisi istituzionale che si è ag-gravata dopo le elezioni di ottobre con il boicottaggioda parte del partito dell’onorevole Raila Odinga e dei

suoi. Proprio lui, mercoledì 25 ottobre, aveva annun-ciato la trasformazione della coalizione di opposizione(NASA) in un movimento di resistenza pacifica, purcon scarso seguito anche se con molti disordini nellezone di Kibera e Kawangware a Nairobi. La situazioneè lentamente tornata alla normalità solo dopo il fa-moso incontro “pacificatore” del marzo 2018, in cui ilpresidente Uhuru Kenyatta e l’onorevole Raila Odingasi sono stretti la mano a Nairobi.

Tra i circa 8.300 osservatori elettorali nazionali e in-ternazionali, si contano anche gli osservatori di lungotermine del gruppo ELOG (Elections ObservationGroup), al quale hanno collaborato la commissioneGiustizia e Pace della Conferenza Episcopale del Kenyae diversi esponenti della Chiesa locale.

Ai vari rapporti ufficiali pubblicati si affiancano i nu-merosi interventi e messaggi della Conferenza Episco-pale kenyana che insieme agli altri leader religiosi si èspesa per costruire il dialogo tra le parti e richiamarealla pace e alla nonviolenza.

Già nel periodo pre-elettorale, la commissione Giu-stizia e Pace insieme ad altri partner internazionali hadiffuso un breve manuale che aveva come obiettivodi promuovere l’educazione al diritto di voto. Il docu-mento raccoglie, organizza e spiega in modo semplice

e accessibile il funzionamento del sistema elettoralee degli organismi competenti alla tutela di elezioni li-bere, garantite e indipendenti, così come sancito dallaCostituzione.

I messaggi della Chiesa locale hanno riportato al-l’attenzione dell’opinione pubblica le condizioni ge-nerali del Paese. Le dichiarazioni dei vescovi e irapporti degli osservatori elettorali hanno fatto emer-gere molteplici altri elementi del tessuto socio-eco-nomico del Paese che si sono interrelati con le ele-zioni. Infatti, dopo mesi di incertezza e raccogliendola paura di molti per le tensioni del periodo tra l’an-nullamento delle elezioni di agosto e la nuova tornataelettorale di ottobre 2017, i vescovi denunciavano che«l’ininterrotto disordine elettorale ha peggiorato lecondizioni economiche e sociali della popolazione. Ilnostro Paese è sempre più diviso in termini politici edetnici; i nostri studenti vivono nell’ansia costante perlo svolgimento o meno dei loro esami; si ha paura dimettersi in viaggio a causa delle dimostrazioni. Du-

I messaggi della Chiesa locale hanno riportato all’atten-zione dell’opinione pubblica le condizioni generali delPaese. Le dichiarazioni dei vescovi e i rapporti degli os-servatori elettorali hanno fatto emergere molteplici altrielementi del tessuto socio-economico del Paese che sisono interrelati con le elezioni

13KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

rante le dimostrazioni di massa lungo le strade, i cit-tadini vivono nella paura di soffrire le conseguenzedei gas lacrimogeni o di essere colpiti o violentati edi subire il saccheggio delle proprietà. Milioni di ke-nyani soffrono a causa della prolungata siccità in al-cune zone del nostro Paese. I nostri infermieri e glioperatori sanitari sono ancora in sciopero e i pazientisoffrono in tutta la nazione, lo stato dell'economia stapeggiorando e rimane ingovernata» 6.

Ancora forte il ricordo delle pesanti violenze acca-dute per molti mesi durante le elezioni del 2007, conmigliaia di morti e molte centinaia di sfollati che pa-ralizzarono il Paese, tagliando le principali vie di co-municazione. Nel 2017, ancora per la paura del ripe-tersi di questi fatti, molte attività commerciali hannosubito un arresto. Molti programmi di aiuto allo svi-

luppo e di gestione dell’emergenza siccità hanno do-vuto rallentare se non fermarsi. Principalmente due lemotivazioni: la sicurezza e il tentativo di permettereallo staff locale di raggiungere le aree d’origine eser-citando il proprio diritto/dovere di voto. Motivazionilegate entrambe alla difficoltà di accesso a molte viedi comunicazione.

A elezioni concluse, con un Paese sull’orlo dellacrisi per mesi, i vescovi hanno espresso la forte pre-occupazione per una leadership politica «già osses-sionata dalle prossime elezioni nel 2022 invece difocalizzare il loro impegno nel risolvere i problemidei kenyani» e ripetuti inviti a partecipare a una «ta-vola rotonda inclusiva di tutte le parti in causa, perspianare tutte le divergenze che separano i ke-nyani».

PRINCIPALI DICHIARAZIONI DEI VESCOVI DEL KENYA A SEGUITO DELLE ELEZIONI(Agenzia FIDES)

«Si rischia il collasso economicoe il conflitto aperto se le forzepolitiche non dialogano»Settembre 2017

«La crisi politica può essereun’opportunità di dialogo peraffrontare i problemi del Paese»Ottobre 2017

«Confermata la vittoriadi Kenyatta: i Vescoviinvitano alla nonviolenza»Novembre 2017

«La disoccupazione è una bomba a orologeriache può esplodere in qualsiasi momento»Aprile 2018

«La corruzione è un cancroche va sradicato con urgenza»Luglio 2018

Tra i problemi cui si faceva riferimento, ci sono sicu-ramente la corruzione, il nepotismo e il tribalismo cheaffliggono l’esercizio della pubblica amministrazionesia a livello locale, nelle contee, sia ai vertici istituzio-nali. Soprattutto la corruzione grava pesantementesull’economia del Paese tanto che,secondo le stime di Transparency In-ternational, nel 2018 il Kenya si è col-locato al 143° posto su 180 dell’indi-ce di corruzione percepita. Altri datiraccolti sulla corruzione, riportanoche il settore pubblico è tra i più af-fetti 7. Infatti, si parla di 9 miliardi discellini truffati al National Youth Ser-vice, 1,9 miliardi di fondi per lo svi-luppo delle imprese giovanili, 2miliardi per il programma di pianta-gione National Tree e 647 milioni allaKenya Pipeline Company.

Tra gli effetti dello stallo econo-mico, al quale ha contribuito la lungabattaglia elettorale, più volte è statoposto l’accento sul forte tasso di di-soccupazione giovanile, definita dai

vescovi «una bomba a orologeria che può esploderein qualsiasi momento» 8. La moneta ha subito oscilla-zioni e svalutazione rilevanti e l’inflazione ha raggiuntopicchi di oltre il 10% con rincari di alcuni beni alimen-tari come il mais e lo zucchero di oltre il 20%.

Fonte: elaborazioni Caritas Italiana su dati Inforeuro

Media mensile tasso di cambio euro/scellino keniota

«Sarete miei testimoni»Kenya Conference

of Catholic Bishops(KCCB)

14 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Molte testimonianze dal campo e in particolare dallearee periferiche dove sorgono le baraccopoli, ripor-tano che per la disperazione i giovani più emarginatisi danno ad alcol e droga, si uniscono a bande, milizie

e gruppi terroristici e, durante il periodo elettorale, sisono fatti autori di violenze, proteste e scontri sucommissione di leader politici di tutte le rappresen-tanze.

Gli slum di Nairobi con uccisioni documentate da parte delle forze di polizia

Fonte: Amnesty International, “Kill Those Criminals” Security ForcesViolations in Kenya’s August 2017 Elections

Le baraccopoli ospitano 3,1 milioni di abitanti diNairobi, di cui 2,5 milioni vivono in condizioni tra lepeggiori a livello mondiale. Si tratta degli agglomeratidi Mathare, Kibera, Kariobangi, Korogocho, Kawan-gware e Dandora dove vivono principalmente personedi etnia Luo e Luhya. Il tasso di disoccupazione si ag-gira intorno al 50%; tifo e colera sono frequenti, altis-simi i tassi di mortalità infantile e la gravidanza adole-scenziale, l’accesso ad alloggio, acqua e servizi socio-sanitari totalmente inadeguato. La popolazione che

vive qui è anche particolarmente colpita da maltratta-menti ed esecuzioni extragiudiziali da parte di varieunità di polizia. Violenza acuitasi durante le elezioni 9.

Non secondario il problema della giusta redistribu-zione delle risorse. Infatti, più volte ci si è appellati per-ché la classe politica agevolasse gli agricoltori perlavorare la terra e produrre cibo, valorizzando la na-tura prettamente agricola del Paese e senza incorrerenella frustrazione di dover abbassare i prezzi per potercompetere con gli importatori stranieri.

15KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

Un rapporto sbilanciatoBuona parte della storia moderna e contempora-

nea dei rapporti tra l’Europa e l’Africa è una storia diegemonia e dominio della prima sulla seconda. I rap-porti tra i due continenti negli ultimi tre secoli sonostati sicuramente in favore del continente europeo.

Non si può evitare di notare che il nostro modo divedere la politica nazionale degli stati africani e più ingenerale l’esercizio della democrazia in questi Paesi èfortemente condizionato da due secoli di retorica co-loniale in cui storici, filosofi, esploratori, geografi e in-tellettuali si sono cimentati nell’interpretazione delleinclinazioni, tendenze e credo politico dei popoli afri-cani.

Come ci ricorda il filosofo Nicolao Merker nel suolibro Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà(2006), il principio di potenza fu camuffato da mis-sione di civiltà. Motore ideologico dell’espansionismocoloniale fu l’assioma della civiltà che le nazioni euro-pee, ognuna secondo i propri criteri, avrebbero do-vuto portare oltremare. Da un lato laparticolare “ideologia nazionale” diognuno degli Stati si riverberò sullesue imprese coloniali. Dall’altro iconquistatori soffrirono privazionispesso drammatiche, in ambientilontani e ostili. Per sopravvivere bi-sognava attribuire un segno posi-tivo universale alle proprie fatiche,identificare la conquista con la “civi-lizzazione”, immaginare di lavorare per l’”umanità” 1.

La storia della nostra visione della partecipazionepolitica nelle ex-colonie passa per autori celebri emeno celebri, come Darwin e Kipling. Edward Said, in-tellettuale di origini arabe e professore alla ColumbiaUniversity di New York, in un grande lavoro di ricercae raccolta dal titolo Orientalismo 2, ha ricostruito la sto-ria della nostra visione e giustificazione, da parte dellepotenze coloniali, della sottomissione dei popoli aldominio europeo. In una commistione di pregiudizi,ignoranza e propaganda, gli asiatici e gli africani sonostati a più riprese etichettati come persone caratteriz-zate da «tendenza al dispotismo, uno stile di pensierosempre impreciso e illogico, il rifiuto del progresso».Said identifica il capostipite di tali premesse in Gu-stave Le Bon, che nel 1894 pubblica un corposo vo-lume, Lois psycologiques de l’evoluzione des peuples(Leggi psicologiche sull’evoluzione dei popoli), testo incui identifica in un misto di caratteristiche dipendentidall’appartenenza etnica, l’incapacità o l’impossibilità

degli abitanti asiatici e africani di esercitare l’auto-go-verno.

La produzione di trattati, volumi, articoli, romanzie saggistica in cui le popolazioni africane saranno eti-chettate come incapaci di badare a sé stesse o di or-ganizzarsi in forme statali è lunghissima e si spingefino a tempi recenti. Nel 1972 P.J. Vatikiotis scriverà illibro Revolution in the Middle East and other case stu-dies, in cui si legge che per i popoli africani non è pos-sibile portare a compimento le proprie esperienzerivoluzionarie. Questa grande produzione letterariaveicola in qualche modo l’idea dell’identità europea

radicata in una superiorità rispetto agli altri popoli ealle altre culture, dottrine razziste e un’immagine deipopoli colonizzati immutabile, ancorati alle proprietradizioni e divisioni tribali.

Dunque, nel farci un’idea oggi di cosa succede sulpiano politico in territorio africano, è importante es-sere consapevoli di questa ingombrante eredità teo-rico-filosofica-storica che l’esperienza coloniale euro-pea ci ha lasciato e che in qualche modo segna sia ilnostro modo di vedere tali vicende, sia le popolazioniche hanno subito il dominio.

Interessi economici ancora in giocoLa crescente influenza cinese in Africa

Inoltre, sul piano economico, le relazioni tra l’Eu-ropa e l’Africa presentano ancora molteplici criticità.Oggi molti stati europei e nordamericani manten-gono relazioni economiche privilegiate con gli statiafricani, attraverso concessioni sullo sfruttamentodelle risorse naturali da parte di compagnie petrolifere

3. Le cause e le connessionicon l’Italia e l’Europa

Nel farci un’idea oggi di cosa succede sul piano politicoin territorio africano, è importante essere consapevoli diun’ingombrante eredità teorico-filosofica-storica chel’esperienza coloniale europea ci ha lasciato e che inqualche modo segna sia il nostro modo di vedere tali vi-cende, sia le popolazioni che hanno subito il dominio

16 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

e minerarie e hanno un grosso peso per quanto ri-guarda la disponibilità di capitali da investire in settorichiave dell’economia, quali quello energetico e delleinfrastrutture. Neanche il settore degli aiuti allo svi-luppo si salva, come ad esempio nel caso del Niger. Lostato dipende per il 45% del proprio PIL da aiuti inter-nazionali. L’Europa e il Nord America, malgrado la finedel loro dominio coloniale sulle terre africane, conser-vano un’elevata capacità di influenza sulle economiedel continente nero. Con buona pace di alcuni leadereuropei che hanno espresso scetticismo verso lescelte geopolitiche di alcuni stati africani (come adesempio il presidente francese Macron), il quadrodegli interessi geopolitici in Africa è in veloce evolu-zione, con un aumento notevole del peso di alcunistati del Medio Oriente e dell’Asia, in particolare dellaCina.

Il settimo incontro FOCAC (Forum on China-AfricaCooperation) si è svolto a Pechino il 3 e 4 settembre2018. Il primo meeting si svolse a Johannesburg nel2000, e successivamente i leader cinese e africani sisono incontrati regolarmente ogni tre anni. Il pros-simo meeting, nel 2021, si terrà a Dakar. Erano presentitutti i 54 stati africani tranne uno, lo Swaziland, proba-bilmente in ragione dei forti legamieconomici con Taiwan. Alla presenzadel segretario generale delle NazioniUnite Antonio Guterres, i cinesi han-no promesso al continente 60 mi-liardi di dollari di investimenti. Dalcanto loro, i Paesi africani si sono re-cati a Pechino con progetti infra-strutturali che necessitano di finan-ziamenti.

Secondo il Financial Times 3, nel2016 il 39% degli investimenti esteridiretti proveniva dalla Cina; il secondo Paese per am-montare di investimenti in Africa sono gli Emirati ArabiUniti, con il 12%, l’Italia è al 4%. Volendo calcolare perregione, l’Asia è a quota 55% contro un magro 13%dell’Europa Occidentale. La maggior parte dei prestiticinesi all’Africa vanno verso progetti infrastrutturali 4.I cinesi hanno prestato almeno 74 miliardi di dollaritra il 2000 e il 2016 per sviluppare il settore dei tra-sporti (strade, ferrovie, aeroporti e porti) e la rete di di-stribuzione di energia elettrica. Tra questi progettisono degni di nota il grande aeroporto internazionaledi Ndola in Zambia e l’allargamento di quello di Hararein Zimbabwe, nonché lo sviluppo di una centrale perl’energia solare nello stato di Garissa, in Kenya. Si po-

trebbe pensare che gli stati africani corrano il rischiodi indebitarsi ulteriormente con la Cina, rischiandouna crisi debitoria. In realtà, risulta che una ventina distati abbiano contratto debito con la Cina per menodel 2%. Gli stati che sono stati investiti da crisi debito-rie recenti come Repubblica Centrafricana, Burundi eSud Sudan, lo sono stati a causa del collasso delle eco-nomie nazionali dovute ai conflitti interni in corso enel caso di Ciad e Mauritania i responsabili sono statil’aumento esorbitante del prezzo del carburante, lamancanza di interventi tempestivi da parte dei go-verni e fenomeni di deprezzamento avvenuti nell’eco-nomia reale.

In sei Paesi i debiti contratti verso creditori cinesisembrano essere rilevanti, ma tali debiti rimangonotuttavia esigui rispetto al totale: l’Etiopia ha contrattodebiti per un totale di 29 miliardi di dollari; di questi,solo 12 sono con enti cinesi. Similmente il Ghana, cheha un debito totale di 25 miliardi di dollari, con la Cinaha contratto 4 miliardi. In Zimbabwe, Camerun e Mo-zambico, la Cina ha prestato cifre importanti ma tuttesotto il 30% rispetto al totale dei debiti contratti daquesti Paesi. Dunque, rimangono tre stati dove i debiticon la Cina sono prevalenti rispetto al totale e dove

quindi rischiano di portare stress sulle economie fi-nanziarie: Zambia (73,5%), Gibuti (77%) e Repubblicadel Congo. Per quest’ultimo, non è chiaro a quantoesattamente ammontino i debiti contratti con credi-tori provenienti dal Paese di Mezzo; pare che il presi-dente si sia recato a Pechino nel mese di luglio perchiarire proprio questo punto. Si stima che il valore siaintorno ai 7 miliardi di dollari.

Dunque il debito africano rimane saldamente inmani europee e nordamericane e delle agenzie inter-nazionali come Banca Mondiale e Fondo MonetarioInternazionale, i cui consigli di direzione sono control-lati dalle potenze occidentali, ma non è detto che lafotografia odierna rimanga tale nel futuro.

Secondo il Financial Times, nel 2016 il 39% degli investi-menti esteri diretti proveniva dalla Cina; il secondo Paeseper ammontare di investimenti in Africa sono gli EmiratiArabi Uniti, con il 12%, l’Italia è al 4%. Volendo calcolareper regione, l’Asia è a quota 55% contro un magro 13%dell’Europa Occidentale. La maggior parte dei prestiti ci-nesi all’Africa vanno verso progetti infrastrutturali

17KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Da un punto di vista più strettamente politico, i vari stati europei, dalla decolonizzazione in poi, hanno tentatoin vari modi di favorire leader e fazioni politiche desiderose di stringere relazioni commerciali. Un esempioemblematico di come l’interesse economico abbia condizionato fortemente le scelte in politica esteradi alcuni stati europei è il caso della Repubblica Democratica del Congo (ex-Zaire), ex-colonia belga.

Gli anni ’60 del Novecento hanno visto la crescita di un movimento per l’indipendenza guidato da Patrice Lu-mumba che diventerà il primo primo ministro del neo-stato, di simpatie comuniste e dunque filo-russe. Lu-mumba fu rimosso dalle forze di Joseph Mobutu, appoggiato da Stati Uniti e Belgio, e fu assassinato pocodopo, nel 1961. Mubutu si mise alla testa del Paese nello stesso anno e godette del supporto delle potenzeoccidentali in chiave anti-URSS fino al crollo del blocco sovietico nel 1990. Una serie di guerre interne investi-rono la Repubblica Democratica del Congo e gli stati limitrofi nei primi anni ’90, tra cui il genocidio rwandese.Mobutu fu costretto all’esilio e gli succedette un suo oppositore politico, Laurent Desiré Kabila, assassinatoanche lui da fazioni avverse nel 2000. Il potere passò a suo figlio Joseph Kabila, da allora alla guida del Paese.Formalmente Joseph Kabila avrebbe terminato il suo secondo e ultimo mandato, come previsto dalla Costi-tuzione congolese, nel dicembre 2016, ma si è rifiutato di indire elezioni per tutto il 2017. A partire già dal2015, ai primi segnali della riluttanza di Kabila ad andare ad elezioni, imponenti manifestazioni di piazza, avolte sfociate in violenti scontri con le forze di polizia, avevano chiesto il voto e un impegno formale di Kabilaa non correre per il terzo mandato. La situazione si è fatta incandescente verso la fine del 2016. La Conferenzaepiscopale congolese (CENCO) è intervenuta come mediatrice tra Kabila e i principali partiti di opposizione,cercando di ricondurre le parti al dialogo.

Da questa iniziativa è nato l’accordo di San Silvestro, poiché firmato il 31 dicembre 2016, in cui le parti sisono impegnate reciprocamente a percorrere la strada verso le elezioni ognuna facendo delle concessioni al-l’altra. Da un lato l’opposizione rinunciava a un “presidente di transizione” (la richiesta iniziale era che Kabilalasciasse immediatamente il potere), dall’altro Kabila rimaneva al potere fino all’elezione del successore, marinunciava formalmente a ripresentarsi per un terzo mandato. Tuttavia, nei mesi successivi Kabila ha mostratopoca volontà di rispettare l’accordo in particolare mostrandosi piuttosto vago sulla sua rinuncia a correre perla presidenza, scatenando la reazione della società civile le cui manifestazioni in piazza sono state duramenterepresse dalla polizia. Le stime di Human Rights Watch 5 parlano di almeno 300 morti dall’inizio dei disordinilegati alla mancata organizzazione delle elezioni. Alcuni Paesi europei hanno cospicui interessi nel Paese:in particolare Spagna e Francia. Nello specifico, tra gli interessi francesi ci sarebbe la concessione allo sfrutta-mento di alcuni giacimenti petroliferi nel lago Albert, al confine con l’Uganda, da parte della compagnia pe-trolifera francese Total e un contratto ad un passo dalla firma per l’affidamento dei mastodontici lavori direalizzazione della diga di Inga sul fiume Congo in favore di un consorzio spagnolo. Questo è quello cheavrebbe portato i due Paesi europei nel gennaio 2018 a bloccare in sede di Commissione Europea una dichia-razione proposta dal Belgio e approvata dagli altri 25 Paesi membri che condannava le violenze ad opera delleforze governative avvenute nei mesipassati contro i manifestanti che chiede-vano l’applicazione degli accordi di SanSilvestro e dunque la rinuncia formale diKabila a ripresentarsi alle elezioni.

Il caso della Repubblica Democratica delCongo è emblematico del comporta-mento contraddittorio degli stati oc-cidentali teoricamente in prima lineanella promozione della democrazia sal-vo poi mostrare reticenza verso l’appog-gio di legittime richieste di alternanza alpotere o elezioni trasparenti laddove gliinteressi economici sono garantiti daipresidenti in carica.

18 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Padre Maurizio Binaghi, missionario combo-niano a Kariobangi, NairobiPadre Maurizio è da tre anni a Kariobangi, periferia

di Nairobi. È superiore della comunità Comboniana diKariobangi e si occupa della riabilitazione dei ragazzidi strada che fanno abuso di alcol e droghe, e di pro-grammi educativi negli slum di Nairobi.

Racconta che il periodo delle elezioni è stato vis-suto in un clima teso, dal momento che le tensioni tri-bali sono riemerse dopo anni di pace. Il ricordo delleviolenze vissute nella medesima area durante la pre-cedente tornata elettorale, l’alto numero di incidenticon molti feriti e morti, ha suscitato paura e preoccu-pazione.

Sin dal gennaio 2017, grazie al supporto della Con-ferenza Episcopale Kenyana (KCCB), è stata fatta unacampagna diffusa per richiamare tutti alla pace e aldialogo. Ogni occasione e ogni luogo di incontro sonostati sfruttati per diffondere un messaggio di pace, perricordare che la violenza non è utile a nessuno, soprat-tutto in un contesto povero come quello della perife-ria di Nairobi. Si è cercato di focalizzare l’attenzionesul fatto che «i vicini con i quali abbiamo coabitato alungo, non smettono di essere persone vicine a noi eparte della nostra comunità solo perché in un parti-colare frangente storico ci ricordiamo che apparten-gono a un’altra tribù».

Sono stati organizzati diversi forum ai quali sonostati invitati tutti i candidati sia a livello locale sia di-strettuale e nazionale. L’obiettivo era quello di non farpropaganda ma dialogare con gli abitanti della zona,rendendosi disponibili a rispondere alle loro domande.Indicativo il fatto che solo i candidati a livello locale ab-biano partecipato. Ad agosto, poi, le elezioni si sonosvolte in un clima abbastanza disteso. A ottobre, invece,quando si è tornati alle urne, la rabbia e il malcontentohanno rischiato di far esplodere la violenza. Qualcheepisodio sporadico, comunque, è stato registrato e pur-troppo si sono contati feriti e qualche morto.

È stato fondamentale, racconta ancora padre Mau-rizio, tornare in strada a parlare con la gente, ricordareil cammino fatto insieme nei mesi precedenti. Piùvolte richiamando alla nonviolenza, padre Maurizio haricordato che «la variegata popolazione del Kenya èmigliore dei politici che la dovrebbero rappresentare».Infatti è stato subito chiaro che se da una parte c’erachi lavorava per la pace e la convivenza, dall’altra, i po-litici hanno strumentalizzato l’appartenenza tribaleper aizzare la violenza così da usare la divisione tra lapopolazione per distogliere lo sguardo dai veri pro-blemi che il Paese vive.

Br. John Mwangi Wambugu, direttore della Ca-ritas di MombasaL’arcidiocesi di Mombasa comprende diverse con-

tee sulla costa del Kenya e la sua popolazione è moltovariegata sia per appartenenza tribale sia per credo re-ligioso. Già durante le elezioni del 2007, Mombasacontò moltissimi scontri con morti e feriti, tant’è cheancora oggi è considerata un hot-spot ed è monito-rata. Nel periodo pre-elettorale la situazione è semprestata tesa anche per altri fattori: la siccità che ha colpitoduramente molte contee e la storica tensione tra il go-vernatore in carica, poi rieletto, e il Governo nazionale.La siccità è stata usata come scusa per avvicinare lefasce più deboli della popolazione locale e comprarevoti in cambio di aiuti. Allo stesso tempo, però, è statausata come strumento da varie organizzazioni comeCaritas e CRS (Catholic Relief Service), che erano impe-gnate sul campo nella distribuzione di generi di primanecessità per monitorare la situazione e attivare pro-cessi di dialogo e campagne sulla nonviolenza. Le con-tee più colpite sono state Kwale e Kilifi.

Considerando tutti questi fattori di alto rischio, Ca-ritas Mombasa con altri uffici dell’arcidiocesi ha ini-ziato a lavorare con largo anticipo alla preparazionedel periodo elettorale. Si è rivelato fondamentale la-vorare insieme agli altri leader religiosi che fannoparte del programma IRD (Inter-Religious Dialogue) eutilizzare strumenti di comunicazione come la radio,che potessero raggiungere la popolazione anche nellearee più remote. È stata creata una rete di comunica-zione a livello capillare sul territorio, con commissioniincaricate di monitorare la situazione in contatto con-tinuo con la popolazione. Ogni commissione era stra-tegicamente composta rispettando le appartenenzetribali con la presenza dei leader religiosi locali e ope-ratori della diocesi. Nei giorni delle elezioni, soprat-tutto quando si è ripetuto il voto a ottobre, si è resanecessaria una presenza fisica per sedare le tensioni erichiamare al dialogo. Le elezioni di ottobre si sonosvolte in un clima molto più teso di quelle di agosto,la gente era stanca. Molti seggi elettorali non eranoaccessibili ai votanti.

4. Testimonianze

19KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

Caritas Mombasa, grazie al suo impegno capillaresul territorio e godendo della fiducia della popola-zione, fa parte di un team di emergenza con altre or-ganizzazioni religiose, della società civile, le NazioniUnite e la Croce Rossa. È stato predisposto un pianodi sicurezza e primo soccorso, anche se, per fortuna,non è stato necessario attivarlo.

Mikke – Radio Pamoja FMMikke è un giovane giornalista e attivista che vivea Kibera, uno degli slum di Nairobi. Proprio lì segue

diverse attività, tra le quali un programma di tutorag-gio con i giovani nello slum e conduce un programmaradiofonico presso l’emittente locale Radio Pamoja FM(www.radio.or.ke/pamoja/). L’emittente è nata a Kiberadurante le elezioni del 2007, come strumento comu-nitario con il preciso scopo di intrattenere, educare einformare per favorire l’empowerment giovanile. Haun grande seguito, soprattutto tra i giovani, perché èradicata sul territorio, cerca di non prendere posizioniconcentrandosi su messaggi di pace e convivenza edà voce a tutte le tribù che abitano Kibera.

Mikke racconta la sua testimonianza sulle elezioniin Kenya del 2017, passeggiando per le strade, i vicolie i mercati di Kibera, mostrando i luoghi toccati dai di-sordini di agosto e ottobre. Lo slum di Kibera è il piùgrande del Kenya, tra i più grandi al mondo. Vi convi-vono persone appartenenti a diverse tribù. Le mag-giori sono: Luo, Kikuyu, Luhya, Kamba, Kisii. Oggi, unanno dopo le elezioni, il clima a Kibera è tornato paci-fico anche se chi è stato vittima dei disordini duranteil periodo elettorale fa ancora fatica a riprendersi. Moltiedifici, perlopiù piccole attività commerciali, sonostate distrutte per rivalità tribali e i proprietari hannoperso tutto; molti di loro hanno lasciato Nairobi.

Ciò che ha colpito di più in quei giorni, è stato pro-prio vedere come persone che hanno sempre convis-suto pacificamente, di colpo, animati da una radicataappartenenza tribale, si siano lasciati andare alla vio-lenza. Semplicemente, ci si è dimenticati chi fossero ipropri vicini e si è preferito vendicare i torti subiti dallatribù. La paura in quei giorni era tanta, la tensione altis-sima. La polizia ha fatto uso di lacrimogeni e i proiettiliraccolti per strada dagli abitanti sono la prova della vio-lenza che molti ancora negano. Dei circa 50 morti soloa Nairobi, se ne contano almeno 4 a Kibera. Proprio que-ste strade così affollate e rumorose, in quei giorni eranotravolte da un silenzio surreale, interrotto dai proiettili.

Mikke spiega che e a un anno dalle elezioni, nullaè cambiato per chi vive a Kibera. I poveri sono rimastipoveri, anzi forse oggi fanno ancora più fatica a causadegli sgomberi forzati e l’aumento dei prezzi comequello del petrolio. Racconta che molti politici, neglianni, sono partiti da Kibera per poi arrivare a posizionisociali benestanti e di rilievo, ma a Kibera non sono

più tornati. Li si incontra solo nel periodo della cam-pagna elettorale. A questo proposito cita un proverbioswahili che dice: «Il duro lavoro di un uomo povero èuna minaccia per l’uomo ricco», e ricorda che le divi-sioni tribali sono state lo strumento usato dalla classepolitica per distogliere lo sguardo dalle questioni im-portanti facendo in modo che tutti i gruppi minoritarinon unissero le forze per protestare. Alla fine del rac-conto fa un ultimo giro per il mercato affollato, con ungran numero di persone in continuo movimento, a te-stimoniare che la vita a Kibera è comunque ripresa. Ilsua saluto è con il motto di radio Pamoja FM: «Uniscitialla nostra tribù, la tribù della pace».

Testimonianza raccolta da Caritas Mali durantela missione di osservazione elettorale nel Paese«Vado a votare domani, è un dovere. L’appello che

faccio ai maliani è di avere amore per il Paese». AloysDiawara, insegnante in Mali, racconta i suoi sentimentiper il secondo turno delle elezioni presidenziali del 12agosto 2018.

Lei è un insegnante, un cittadino del Mali; quali sonole sue osservazioni sull’atmosfera generale del secondoturno delle elezioni presidenziali di domani? «Come cit-tadino, spero che le persone siano più sagge e sincere,mettendo il Paese al di sopra di tutto. Le imperfezioninelle questioni elettorali esistono in tutti i Paesi delmondo, ma rispetto al primo turno in termini di orga-nizzazione, vedo che ci sono stati sforzi, progressi. Ilvoto è stato ben organizzato, francamente. Il migliora-mento del tasso di partecipazione è un’altra questione.Questo è lo sforzo che deve essere fatto da tutti i partiti,non solo dal partito di maggioranza. Penso che la primatornata elettorale sia stata ben organizzata perché c'erafluidità. È stata la qualità dell’organizzazione a far sì chela gente non stesse in coda per molto tempo. Graziealle schede biometriche degli elettori, conosci qual è iltuo ufficio di appartenenza, ma dipende dai centri. Inogni caso, io vengo da Kalaban-Coura e c’era affluenza.Si è votato in tranquillità e serenità».

Quale appello faresti ai maliani per il voto di domani?«L’appello che faccio ai maliani è di avere amore per ilPaese e che gli intellettuali imparino a essere sinceri.Possiamo perdere una, due volte, ma siamo sinceri. Laricerca della democrazia in Mali non dovrebbe turbarela popolazione. Che tutti siano responsabili. Che i po-litici siano più responsabili e che possiamo formarecittadini politicamente attivi. La formazione politicadeve essere una priorità dei partiti politici. C’è una no-toria insufficienza a questo livello. Che si tratti dellamaggioranza o dell’opposizione. La formazione è im-portante, ma qui c’è un deficit. Un grosso deficit».

Quindi, qualunque cosa accada, sei pronto a votaredomani. «Ho votato la prima volta e voterò domani. Èun dovere. E so in coscienza per chi voterò».

20 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Ogni contesto nazionale è in qualche modo uncaso a sé. Il bagaglio storico, gli orientamenti tradizio-nali dei gruppi, le questioni economico-politiche checaratterizzano i territori, inclusa la dipendenza dagliaiuti internazionali e le realtà geopolitiche, influen-zano il modo in cui si declinano i processi di democra-tizzazione nei diversi Paesi.

Ciononostante, il Kenya rappresenta un esempioparadigmatico di alcune delle questioni focali checontrassegnano molti dei contesti africani. In partico-lare le istituzioni democratiche kenyane convivonocon squilibri politici, economici e sociali profondi checorrono lungo le divisioni etniche della popolazione.Disuguaglianze che hanno innescato e acuito il con-flitto politico durante il periodo elettorale e rischianodi delegittimare il processo democratico agli occhidelle fasce meno abbienti e dei gruppi etnici esclusi orimasti ai margini della competizione elettorale. In unsistema dove l’appartenenza e i privilegi su basi etni-che sono utilizzati dalle élite per acquisire consensiche altrimenti difficilmente avrebbero. Alla base di talidisuguaglianze vi è il connubio tra élite politica, eco-nomica ed etnica del Paese (entrambe le famiglie alcentro della disputa politica e appartenenti alle etnieprevalenti, sono tra le più ricche in Africa e avversariesul piano economico), il loro legame con gli interessieconomici esterni (ad esempio multinazionali agroa-limentari) e la forbice tra queste e ampie sacche di po-polazione povera costituita da piccoli agricoltori,pastori nomadi, migranti urbani che vivono neglislum.

Ampliando lo sguardo al continente si possonodunque isolare due questioni di fondo: il nesso tra de-mocrazia, sviluppo e giustizia sociale e il nesso tra de-mocrazia e tribalismo.

Democrazia, sviluppo, giustizia socialeMalgrado nel resto del mondo e in particolare in

Asia, lo sviluppo socio-economico e il miglioramentodelle condizioni di vita non siano andate necessaria-mente nella direzione di maggiori diritti politici per lepopolazioni, sono in molti a sperare che allo sviluppodel continente africano sul piano economico, possanocorrispondere avanzamenti sul piano democratico. Inrealtà, in Africa, si è visto un percorso inverso in cui iprogressi sul versante della democrazia non hannouna chiara corrispondenza con miglioramenti sulpiano economico e sociale. Il pericolo oggi in moltiPaesi africani è che lo scarso (o mancato) migliora-mento delle condizioni di vita di porzioni ampie di po-polazione in stati che hanno intrapreso processi di

democratizzazione, porti a una diminuzione della fi-ducia pubblica nelle istituzioni democratiche. Non sitratta di dare priorità allo sviluppo anziché alla demo-crazia, piuttosto di tendere verso una democrazia chepromuova lo sviluppo umano e viceversa e che con-senta un progresso economico equo.

Se le democrazie non saranno in grado di ottenererisultati significativi sul fronte della lotta alla povertàe dell’equa distribuzione della ricchezza, i processi didemocratizzazione in corso nel continente rischianodi essere delegittimati proprio da coloro che li hannosostenuti nella speranza di benefici per il proprio be-nessere. Quest’ultimo elemento è fondamentale eporta con sé la sfida di rendere le istituzioni, le regolee i processi decisionali permeabili alle istanze di tuttigli strati sociali e dei diversi gruppi etnici. Regole e isti-tuzioni che consentano l’accesso al potere a tutte lecomponenti della società e in particolare alle più svan-taggiate, sono fondamentali per il perseguimento diobiettivi di giustizia sociale e di conseguenza per le-gittimare e consolidare il cammino verso la democra-zia.

Il legame stretto tra democrazia ed equità assumeun particolare rilievo per quanto concerne il temadella sicurezza alimentare essendo l’Africa il conti-nente che detiene da sempre il primato mondiale deltasso di denutrizione: nel 2017 pari ad oltre il 20% conun trend negativo negli ultimi anni 1. In particolare viè l’esigenza che le riforme democratiche restituiscanoalle comunità la possibilità di scegliere i sistemi ali-mentari da cui dipendere e come rimodellarli 2. In altreparole, che coniughino sicurezza e sovranità alimen-tare limitando e diversificando la dipendenza dal-l’esterno e riducendo la vulnerabilità alla variabilitàclimatica.

Anche su questo versante il caso del Kenya è piut-tosto emblematico. Da un lato i pastori nomadi e i pic-coli agricoltori che producono gran parte del cibocoltivato e consumato nelle aree rurali del Paese,estremamente vulnerabili alla irregolarità climatica,sono fuori dai radar delle attenzioni della politica.Dall’altro gli interessi delle grandi proprietà terriere

5. La questione

21KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

dedite a coltivazioni intensive per l’esportazione, spes-so oggetto di forme di accaparramento da parte distati e compagnie estere (land grabbing), hanno go-duto di investimenti e politiche oligarchiche a lorovantaggio. Ciò ha condotto a sistemi alimentari estre-mamente vulnerabili e dipendenti dalle importazionidi cibo. Un paradosso che si è manifestato in tutta lasua evidenza, proprio nel 2017, quando in concomi-tanza con la tornata elettorale, una grave siccità haprovocato una severa crisi alimentare tra la popola-zione rurale e nomade. Ciò ha innescato conflitti con-tro la grande proprietà terriera, con violenze e ten-tativi di occupazione delle terre dove le colture inten-sive non risentivano della carenza pluviometrica aven-do sistemi irrigui e risorse adatte a fronteggiare leavversità climatiche. Conflitti che si sono sovrappostia quelli a sfondo politico ed etnico in un mix spessoindistinto di fattori che contrapponevano i gruppiesclusi sul piano politico, etnico ed economico, agruppi di potere protetti dal governo con le forze dipolizia macchiatesi di atti di violenza e uccisioni.

Democrazia e tribalismoCome affermano autorevoli voci 3, la sfida di creare

società coese all’interno di stati indipendenti da rela-tivamente poco tempo e i cui con-fini discendono dalla spartizionedelle potenze coloniali dei territoripiuttosto che da omogeneità cultu-rali, religiose o etniche, rimane untema attuale e complesso nel conte-sto africano. In molti casi, la situa-zione è resa ancora più complicatada un uso strumentale dell’apparte-nenza etnica e religiosa a scopo politico che ha acuitole disuguaglianze e la conflittualità tra i diversi gruppi.La particolare ricchezza etnica e la cultura tribale dif-fusa nel continente ha rappresentato sin dall’epocacoloniale (spesso i colonizzatori hanno adottato poli-tiche “divide et impera” fomentando conflitti interet-nici per diminuire il rischio di rivolte della popola-zione) uno strumento su cui hanno fatto leva oligar-chie e gruppi di potere per accrescere la propria legit-timazione e il consenso alimentando dinamiche diesclusione e di conflitto interetnico. Gruppi di poteresostenuti o quantomeno tollerati da potentati stra-nieri (stati e multinazionali straniere) che vedono inessi e nel mantenimento di condizioni di democraziaincompiuta e fragilità politica, un ambiente favorevoleall’esercizio del potere a tutela dei propri interessi eco-nomici.

Dunque, l’identificazione del tribalismo come ele-mento culturale di ostacolo per la democrazia inAfrica, è argomento contradditorio in quanto è pro-prio sull’appartenenza tribale che le élite locali fanno

leva per mantenere il proprio potere tenendo in scac-co processi di democratizzazione in crescita, ma che,per ora, non hanno oltrepassato la soglia della “demo-cratura” 4. Questo nonostante le richieste di molte so-cietà civili di essere coinvolte attivamente nella vitapolitica e il richiamo, da parte di esse, al rispetto delleregole costituzionali, mostrino istanze forti del tessutosociale per forme di democrazia più mature, inclusivee giuste.

Dal punto di vista della Chiesa, la Conferenza Epi-scopale del Kenya e molti missionari impegnati nellearee più periferiche, hanno sempre richiamato la po-polazione a guardare alle differenze etniche come ri-sorsa e non come motivo di scontro. Molte conferenzeepiscopali di Paesi dell’Africa sub-sahariana si sonoschierate al fianco di movimenti che chiedono il ri-spetto delle costituzioni ed elezioni libere e soprat-tutto sono state fortemente critiche verso quelle éliteche hanno tentato di soffocare nel sangue i portatoridi queste istanze. Oltre al caso del Kenya e della Re-pubblica Democratica del Congo è bene ricordare lapresa di posizione dell’agosto 2018 della Commis-sione Giustizia e Pace dello Zimbabwe e come questa,sebbene non si sia schierata apertamente con i mani-festanti, abbia ribadito il loro diritto di manifestare

come da Costituzione e abbia condannato la violenzadelle forze di polizia per aver sparato sui civili inermisostenendo l’importanza di un processo democraticoaperto, trasparente e pacifico per il futuro dello Zim-babwe.

In conclusione possiamo far nostra l’affermazioneche la democrazia conta in Africa, come altrove 5. Tut-tavia i processi per raggiungerla dovrebbero mirarenon solo a garantire i diritti civili e politici, ma anche idiritti sociali ed economici, la sicurezza dei cittadini,la promozione di condizioni eque, valorizzando, anzi-ché strumentalizzando, le differenze culturali e tribaliche caratterizzano il continente 6.

Gli africani lottano e soffrono per questo con co-raggio, perseveranza e spesso creatività nelle formedi rivendicazione. Sarebbe dunque importante che gliattori internazionali, sia pubblici che privati, adottas-sero un atteggiamento rispettoso e di sostegno versole istanze democratiche delle società civili evitando dipiegarsi agli interessi economici, geopolitici o di poli-tica interna in quei Paesi.

La sfida di creare società coese all’interno di stati indipen-denti da relativamente poco tempo e i cui confini discen-dono dalla spartizione delle potenze coloniali dei territoripiuttosto che da omogeneità culturali, religiose o etniche,rimane un tema attuale e complesso nel contesto africano

22 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Il quadro tracciato nei capitoli precedenti di questodossier evidenzia che democrazia e sviluppo umanosono elementi necessari e interconnessi, che si raf-forzano mutualmente. Come accaduto in molti Pae-si del mondo ciò è possibile per il continente afri-cano, considerando positivamente la creazione di si-stemi multipartitici stabili e responsabili in già di-verse aree 2. Le democrazie elettorali da sole, però,non sono sufficienti per lo sviluppo sostenibile. C’èbisogno di una democrazia che sia inclusiva e a fa-vore anche dei poveri, promuovendo lo sviluppo in-tegrale di tutti 3. La democrazia non può continuarea coesistere con la povertà. Le persone possono ri-tirare il proprio sostegno alle istituzioni democrati-che se identificano erroneamente la democrazia conil declino economico.

Stabilità e pace sono condizioni necessarie per losviluppo umano. Non ci si può aspettare che i Paesiche non hanno ancora un ordine politico e condizionidi pace precarie producano progressi economici e so-ciali. Ogni Paese deve trovare la propria formula perla pace e la coesione sociale. Gli ingredienti necessariper un ordine politico stabile e pacifico sono i mede-simi che favorirebbero uno stato democratico dellosviluppo, ovvero una crescita economica accompa-gnata da una diminuzione delle ineguaglianze socialied economiche, che si configura come la migliore ga-ranzia per allontanare conflitti interni e sostenere iprocessi di democratizzazione.

Tuttavia, l’acquisizione di tali ingredienti è al cuoredi molti dei problemi di nation-building e di gover-nance degli stati africani. Essi possono riassumersi inalcune delle sfide che hanno dinnanzi i sistemi di go-vernance degli stati africani, tra cui 4: stabilire un contratto sociale per il funzionamento

dell’ordinamento politico; istituzionalizzare una cultura della responsabilità

democratica a tutti i livelli di governo e in tutti gliaspetti della cosa pubblica;

costruire e/o consolidare una cultura di pace nel si-stema politico;

promuovere una maggiore equità nel processoelettorale per ottenere un migliore sistema di rap-presentatività;

ampliare la partecipazione della cittadinanza alprocesso politico;

assicurare che i gruppi emarginati, in particolare ledonne e i giovani, siano meglio rappresentati;

difendere i diritti umani e civili della cittadinanza; perseguire miglioramenti concreti nelle condizioni

di vita della popolazione.

A tal fine, è necessario poter contare su uno Statosolido, cioè disciplinato, trasparente e governato daregole impersonali nell’utilizzare le risorse a sua dispo-sizione. È dunque necessario rafforzare le istituzioniformali della democrazia compresi i partiti, gli organilegislativi e il sistema giudiziario. I partiti politici, chein Africa sono tra le istituzioni più antiche, sono ancoraafflitti da un’organizzazione fragile, bassi livelli di le-gami istituzionalizzati e deboli legami con la societàche dovrebbero rappresentare. Lo stesso vale per al-cuni organi legislativi come il Parlamento. Uno statocon organi rappresentativi e burocrazia funzionanteavrebbe anche meno difficoltà a giustificare un si-stema di tassazione efficiente e giusto nei Paesi, cheinvece attualmente faticano a “fare cassa” presso i pro-pri cittadini, mantenendo così un’alta dipendenza da-gli aiuti internazionali.

Per favorire la trasparenza, soprattutto in Africa, loStato ha l’imperativo di frenare e sradicare la corru-zione. La corruzione è tossica sia per la democrazia siaper lo sviluppo. La corruzione deve essere resa ri-schiosa. I costi per impegnarsi nella corruzione de-vono superare i benefici. Sul piano amministrativo,manca in molti stati una “burocrazia utilizzabile” 5 ov-vero una burocrazia che contenga tecnocrati alta-mente qualificati e professionisti ben pagati perevitare la corruzione. Ciò potrebbe vedere per esem-pio un maggiore impegno della comunità internazio-nale per aiutare i Paesi in via di sviluppo a costruire leloro istituzioni. Sono necessari investimenti economicie azioni politiche per costruire stati efficienti ed effi-caci.

Lo Stato deve essere sostenuto da una forte vo-lontà politica nell’istituzionalizzare strutture di super-visione e responsabilità garanti del “bene comune”, maè improbabile che tale volontà provenga dai soli lea-der politici. Essa dovrebbe essere favorita da una pres-sione internazionale combinata con la spinta internadelle società civili.

Nel contesto africano possiamo identificare due at-tori con un grande potenziale per esercitare pressioneinterna sui leader politici e le istituzioni: la società ci-

6. Le proposte 1

23KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

vile e le diverse confessioni religiose tra cui la Chiesacattolica.

Infatti, i gruppi religiosi, le associazioni e i gruppiper i diritti umani, i media, svolgono ruoli intermeditra lo Stato e il cittadino, forniscono spazi pubblici perla partecipazione politica e promuovono la responsa-bilità della classe politica. Le Chiese e le organizzazioniper i diritti umani hanno buone probabilità di difen-dere l’ordine democratico in sé e di servire quale co-scienza della nazione pur dovendo fare i conti con ladifficoltà di assumere posizioni politiche perché la lorolegittimità deriva da una reputazione di imparzialità.

In particolare, il ruolo della Chiesa africana si sta ri-velando centrale soprattutto in alcuni processi di de-mocratizzazione. In base all’esperienza, la Chiesa puòsvolgere un ruolo triplice all’interno delle società afri-cane in lotta per maggiori diritti politici: di media-zione, di monitoraggio e di educazione.

Sul ruolo della mediazione gli esempi sono molte-plici, i più recenti sono quelli della Repubblica Demo-cratica del Congo e dello Zimbabwe. Nel primo Paesela Conferenza Episcopale Congolese svolge anche unimportante ruolo di monitoraggio, soprattutto perquanto riguarda il rispetto degli ac-cordi firmati dai vari partiti politici(al potere e all’opposizione). Inoltre,le Chiese della Sierra Leone e delMali si sono spese molto nelle ul-time tornate elettorali (marzo e lu-glio 2018) per controllare la rego-larità delle operazioni di voto e han-no fatto pressione perché a tuttifosse garantita la possibilità di vo-tare (anche nelle aree remote delPaese) nonché la segretezza del vo-to. Sul piano dell’educazione possiamo citare le nume-rose Commissioni Giustizia e Pace attive a livello dio-cesano e nazionale che si occupano di sensibilizzareed educare ai temi dei diritti umani, della partecipa-zione civile e della giustizia sociale, svolgendo dunqueun ruolo fondamentale nel formare le coscienze deicittadini.

In Kenya, in particolare, la Conferenza Episcopalein collaborazione con altri rappresentanti religiosi eorganizzazioni della società civile è stata un attore cru-ciale durante le elezioni del 2017. Ripercorrendo i fattistorici sin dal periodo pre-elettorale, non è mai man-cato un messaggio da parte dei vescovi che instanca-bilmente hanno richiamato alla pace, al dialogo, allapromozione dell’esercizio del voto libero e indipen-dente, al rispetto delle minoranze e all’impegno perpromuovere il bene comune. In particolare, vogliamoricordare il messaggio divulgato dopo le prime ele-zioni dell’agosto 2017: un appello urgente al Governoe a tutti i politici per «guarire una nazione divisa dopo

un periodo elettorale emotivo», usando un «linguag-gio che promuova unità, pace e riconciliazione» senzaricorrere alla forza e rispettando la dignità di tutte levite umane senza emarginazioni ed esclusioni, ma av-valendosi di tutti «i mezzi legali offerti dalla Costitu-zione per risolvere i problemi» 6.

Molti osservatori elettorali impiegati in entrambele tornate elettorali, provenivano dalle CommissioniGiustizia e Pace diocesane e i dati raccolti sono statielaborati per la pubblicazione del report internazio-nale ELOG 7, pubblicato recentemente e utilizzato an-che per la stesura di questo documento. Molti ope-ratori delle Caritas locali hanno partecipato ai piani diemergenza insieme alla Croce Rossa 8, molti volontaria livello parrocchiale e diocesano hanno partecipatoa percorsi di educazione sul diritto/dovere di votocoinvolgendo soprattutto le fasce più deboli 9. Ancora,tanti i missionari e membri del clero che durante leviolenze e le proteste sono scesi per le strade per ri-chiamare alla pace una popolazione delusa e istigataalla violenza dalle élite. La presenza della Chiesa localesi è contraddistinta per la sua capillarità sul territorioche ha facilitato anche il rispetto delle diversità cultu-

rali, linguistiche e tribali, potendo contare sulla fiduciadelle comunità locali.

A conclusione di questo dossier, si vuole ribadirel’invito di Papa Francesco, contenuto nell’EvangeliiGaudium, che interpella tutti ad essere cittadini, cioèattori liberi e responsabili della vita politica, con“un’obbligazione morale”, che ha lo scopo di ricono-scere e promuovere lo sviluppo integrale di tutti, nonsolo di un’élite. Per far questo è necessaria una culturadell’incontro che tenda a una “pluriforme armonia” 10.

Ciò è particolarmente vero per i contesti, comequello africano, ricchissimi da un punto di vista cultu-rale, umano e ambientale, ma feriti e impoveriti dallabrama di potere e profitto. Questa pluriforme armonial’Africa dovrà cercarla non all’esterno ma nei suoi valoripiù profondi di amore per i colori della vita, i bambini,il creato, gli anziani, di rispetto per il Creatore, di vita-lità e resilienza di fronte alle avversità. Tutto questopuò tradursi nell’organizzazione di società africane mi-gliori e trovare una via africana alla democrazia.

Per promuovere lo sviluppo integrale di tutti è necessariauna cultura dell’incontro che tenda a una “pluriforme ar-monia”. L’Africa dovrà cercarla non all’esterno ma neisuoi valori piò profondi di amore per i colori della vita, ibambini, il creato, gli anziani, di rispetto per il Creatore,di vitalità e resilienza di fronte alle avversità. Tutto que-sto può tradursi nell'organizzazione di società africanemigliori e trovare una via africana alla democrazia

24 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

GLI INTERVENTI DI CARITAS ITALIANA IN KENYA

Caritas Italiana è presente in Kenya da diversi anni. Collabora e supporta sia la Caritas nazionale che leCaritas diocesane in vari ambiti e ha in atto un rapporto di collaborazione con le Suore della Consolata di Nai-robi nell’ambito del sostegno ai minori con precedenti penali.

A partire dal 2011, anno della grande crisi alimentare che ha colpito il Corno d’Africa, Caritas ha supportatoun vasto programma di aiuti alle popolazioni con interventi di urgenza e riabilitazione/ripristino delle attivitàproduttive. Inoltre, negli anni successivi ha continuato a sostenere interventi di sviluppo rurale e approvvigio-namento idrico in varie diocesi del Paese nonché,nella diocesi di Lodwar, un programma per favorire larisoluzione pacifica dei conflitti intercomunitari.

Si sono avviati anche rapporti di gemellaggio tradiocesi kenyane e italiane, in particolare la diocesi diMombasa e di Nyeri rispettivamente con Milano e Fo-ligno nell’ambito dei quali sono stati realizzati inter-venti di approvvigionamento idrico, di sostegno allasalute, di promozione del dialogo interreligioso non-ché scambi e iniziative di volontariato giovanile e pro-getti di servizio civile.

Inoltre attualmente è in atto un progetto a Nairobi,finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, promosso in sinergia da Caritas Italiana, dal-l’Organizzazione Non Governativa CELIM Milano e da Caritas Nairobi. L’intervento punta a contrastare le causedella povertà e innescare dinamiche di sviluppo locale sostenibile attraverso lo sviluppo della filiera lattiero-casearia e il potenziamento di 2.000 microimprese locali.

Nel resto del continente, riguardo al tema della democrazia e più in generale della coesione sociale, CaritasItaliana ha supportato le Chiese locali di vari Paesi nei loro sforzi di promozione di una cultura della parteci-

pazione e della responsabilità civica, particolarmente in corrispondenzadelle tornate elettorali o a seguito di crisi politiche. Le iniziative più im-portanti sono state in Sierra Leone in collaborazione con la diocesi diMakeni, dove la Chiesa locale svolge da anni una capillare opera di sen-sibilizzazione delle comunità su diritti e doveri civici e politici e sui dirittiumani, con particolare attenzione alle categorie più escluse (esempio ledonne). Altri interventi sono stati in Burkina Faso dove Caritas Italianaha supportato un progetto di educazione alla pace rivolto ai giovani pro-mosso dalla Caritas Burkina Faso a seguito della crisi politica del 2014 ein Burundi in appoggio alle iniziative di educazione alla pace del Centroper giovani di Kamenge, situato nella zona nord della capitale Bujum-bura, in un’area spesso teatro di scontri tra giovani di differenti etnie.

Oltre a programmi specifici, il tema della promozione del dialogo edella risoluzione pacifica dei conflitti è trasversale all’interno di micro-progetti e programmi multi-settore di risposta ad emergenze e di svi-luppo. Un esempio è costituito da alcuni interventi in Sud Sudan, cheoltre a portare sollievo alle persone rimaste nel Paese durante il conflitto,hanno promosso attività sul terreno sul tema della tolleranza interetnicae della riconciliazione.

Infine, Caritas Italiana promuove da anni la presenza di giovani in servizio civile all’estero in Sierra Leone,Senegal, Gibuti, Kenya in progetti aventi come obiettivo la promozione della coesione sociale e la tutela deidiritti umani delle fasce più svantaggiate.

Info sui progetti: Ufficio Africa, [email protected]

25KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

Introduzione1 Cfr. Pacem in Terris, 132 Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio

della dottrina sociale della Chiesa, 189-190-191. 3 Cfr. Evangelii Gaudium, 220-221-239-240.4 «Organising the service of charity in Africa: the role of the

Bishops», Dakar, settembre 2017.5 S.E. Vescovo Cornelius Kipng’eno Arap Korir, Messaggio in-

troduttivo della Conferenza Episcopale del Kenya nell’opu-scolo Civic, Voter and Peace Education Handbook.

6 Fr. Joseph Turay, Università di Makeni, Democracy and de-velopment in Africa: African characteristics?

1. Il problema a livello internazionale1 Center for Systemic Peace https://www.systemicpeace.org2 https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/mi-

niere-cina-libia-e-al-quaeda-che-cosa-porta-litalia-in-niger/

3 Devarajan, S., Khemani, S., &Walton, M., Civil society, publicaction and accountability in Africa, The World Bank, 2011.

4 Fr. Joseph Turay, Università di Makeni, Democracy and De-veloppement in Africa, 2018.

5 Nello studio di Harding, R., & Stasavage, D. (2013), Whatdemocracy does (and doesn’t do) for basic services: Schoolfees, school inputs, and African elections. The Journal of Po-litics, 76(1), 229-245) si mostra come alla transizione da unregime autocratico a un regime con libere elezioni è asso-ciata l’abolizione delle tasse per accedere alla scuola del-l’obbligo, che a sua volta corrisponde a livelli maggiori difrequentazione scolastica. In Kudamatsu, M. (2012), Hasdemocratization reduced infant mortality in sub-SaharanAfrica? Evidence from micro data. Journal of the EuropeanEconomic Association, 10(6), 1294-1317, si mette in luce ,suun campione di 28 stati africani, un abbassamento deltasso di mortalità medio dell’1,2% nei Paesi che hanno vis-suto un cambio di leadership ai vertici attraverso un pro-cesso elettorale competitivo multi-partitico. Nello stessostudio si evidenzia inoltre come la riduzione della morta-lità infantile non è riscontrabile in quei Paesi autocratici incui il processo elettorale è stato formalmente multi-parti-tico ma le elezioni sono state vinte da colui che era già alpotere.

6 Con il termine “sviluppo umano” ci si riferisce al concettodi Sviluppo Umano adottato dall’UNDP e misurato conl’Indice di Sviluppo Umano (ISU).

7 Crawford, G., & Lynch, G. (Eds.), Democratization in Africa:Challenges and prospects, Routledge, 2013.

8 Cheeseman, N., Democracy in Africa: Successes, failures, andthe struggle for political reform (Vol. 9), Cambridge Univer-sity Press, 2015.

9 Bratton, M., & Van de Walle, N., Democratic experiments inAfrica: Regime transitions in comparative perspective, Cam-bridge University Press, 1997.

2. Il problema a livello nazionale1 https://www.economist.com/international/2018/06/

14/after-decades-of-triumph-democracy-is-losing-ground2 Dewey, John, Democracy and Education, DOVER Publica-

tions, Mineola, New York, 2004.3 Fr. Joseph Turay, University of Makeni, Democracy and de-

velopment in Africa: African characteristics.4 Report OHCHR Fact-finding Mission to Kenya, 6-28 Fe-

bruary 2008.5 KPMG audit.6 Si rischia il collasso economico e il conflitto aperto se le forze

politiche non dialogano: l’allarme dei Vescovi, Fides settem-bre 2017.

7 Fonte Misereor e CJPC.8 Fides aprile 2018.9 Atti ampiamente documentati nel rapporto di Amnesty

International Kill Those Criminals, Security Forces Violationsin Kenya’s August 2017 Elections.

3. Le cause e le connessioni con l’Italia e l’Europa1 Merker, N., Europa oltre i mari: il mito della missione di civiltà,

Editori riuniti, 2006.2 Said, E.W., Orientalismo (vol. 279), Feltrinelli Editore, 1999.3 http://itemsweb.esade.edu/wi/Prensa/TheAfricaInve-

stmentReport2017.pdf4 https://static1.squarespace.com/static/5652847de4b033f

6d2bdc29/t/5b84311caa4a998051e685e3/153538998023/Briefing+Paper+1+-+August+2018+-+Final.pdf

5 https://www.hrw.org/fr/blog-feed/la-rd-congo-en-crise

5. La questione1 FAO, State of Food Security and Nutrition 2018

http://www.fao.org/3/I9553EN/i9553en.pdf2 De Schutter Oliver, The transformative potential of the right

to food, 2014.3 Olukoshi, A. O., Governance Trends in West Africa 2006: A

Synthesis Report: A Synthesis Report, African Books Collec-tive, 2008.

4 Per la definizione di “democratura” si veda il capitolo 1 delpresente dossier.

5 Whitehead, L., Losing ‘the force’? The “dark side” of democra-tization after Iraq. Democratization, 16(2), 215-242, 2009.

6 Fr. Joseph Turay, University of Makeni, Democracy and de-velopment in Africa: African characteristics, Ibidem.

6. Le proposte1 I contenuti portanti del capitolo sono tratti dall’articolo

Democracy and development in Africa: African characteri-stics, Fr. Joseph Turay, University of Makeni.

26 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

NOTE

2 Cheeseman, N., Democracy in Africa: Successes, failures, andthe struggle for political reform (Vol. 9), Cambridge Univer-sity Press, 2015.

3 Per far questo, ogni cittadino deve essere un attore liberoe responsabile della vita politica, tanto che la sua parteci-pazione ad essa diventa “un’obbligazione morale”, con loscopo di riconoscere e promuovere lo sviluppo integraledi tutti, non di un’élite, Cfr. Evangelii Gaudium, Ibidem.

4 Diamond, L., Lipset, S. M., & Linz, J., Building and sustainingdemocratic government in developing countries: Some ten-tative findings, World Affairs, 150(1), 5-19, 1987.

5 Ibidem.

6 Su www.fides.org si trova una raccolta di tutti i messaggidella Conferenza Episcopale del Kenya.

7 One country, two elections, many voices! Observation report.The Kenya 2017 general elections and the historic fresh pre-sidential election, Elections Observation Group (ELOG),2018.

8 Si veda a tal proposito la testimonianza di Caritas Mom-basa nel capitolo Testimonianze di questo dossier.

9 Civic, Voter and Peace Education Handbook, promosso dallaConferenza Episcopale in collaborazione con Misereor.

10 Cfr. Introduzione e Evangelii Gaudium, 220-221-239-240.

27KENYA | DEMOCRAZIA IN CAMMINO

Dagli anni Ottanta il continente africano ha visto l’avvio di numerosi processi didemocratizzazione con progressi importanti soprattutto sul piano dei diritti po-litici. Oggi vi sono 21 Paesi definiti democratici: erano 2 nel 1985. Tuttavia, salvole Isole Mauritius e Capo Verde, in nessuno si è giunti a una democrazia compiuta.

Determinante il ruolo delle società civili africane e con esse delle chiese: sono gliafricani i primi a chiedere e a lottare per la democrazia, spesso a caro prezzo.

Il cosiddetto “tribalismo”, a volte menzionato come ostacolo culturale alla demo-crazia in Africa, è in realtà oggetto di strumentalizzazione da parte delle élite alpotere per acquisire consensi. Le medesime contraddizioni risiedono tra gli attoriesterni portatori di interessi economici e geopolitici che spesso finiscono per osta-colare, anziché favorire, i processi di democratizzazione.

Democrazia e sviluppo sono interconnessi e si rafforzano a vicenda. Eppure nonsempre ai progressi della democrazia sono corrisposti avanzamenti economici esociali. Se le democrazie non saranno in grado di ottenere risultati significativi sulfronte dell’equa distribuzione della ricchezza, i processi di democratizzazione ri-schiano di essere delegittimati. La democrazia non può coesistere con la povertà.

Quanto accaduto in Kenya nel 2017 e gli squilibri politici, economici e sociali delPaese sono paradigmatici delle questioni e delle sfide in atto alla ricerca di unavia africana alla democrazia.

www.caritas.it

Tutti i dossier sono disponibili su www.caritas.it; shortlink alla sezione: http://bit.ly/1LhsU5G):

1. GRECIA: Gioventù ferita – Gen 20152. SIRIA: Strage di innocenti – Mar 20153. HAITI: Se questo è un detenuto – Apr 20154. BANGLADESH, INDIA, SRI LANKA, THAILANDIA: Lavoro

dignitoso per tutti – Mag 20155. BOSNIA ED ERZEGOVINA: Una generazione alla ricerca di pace

vera – Giu 20156. GIBUTI: Mari e muri – Giu 20157. IRAQ: Perseguitati – Lug 20158. REPUBBLICA DEL CONGO: «Ecologia integrale» – Sett 20159. SERBIA E MONTENEGRO: Liberi tutti! – Ott 201510. AFRICA, AMERICA LATINA, ASIA: Un’alleanza tra il pianeta e

l'umanità – Dic 201511. HAITI: Concentrato di povertà – Gen 201612. AFRICA SUB-SAHARIANA: Salute negata – Feb 201613. SIRIA: Cacciati e rifiutati – Mar 201614. NEPAL: Tratta di esseri umani. Disumana e globale – Apr 201615. GRECIA: Paradosso europeo – Mag 201616. HAITI: Rimpatri forzati – Giu 201617. ASIA: Per un’ecologia umana integrale – Sett 201618. ARGENTINA: Il narcotraffico come una metastasi – Sett 201619. ASIA: Diversa da chi? – Ott 201620. EUROPA: Generatori di risorse – Nov 2016

21. AFRICA OCCIDENTALE: Divieto di accesso – Dic 201622. HAITI: Ripartire dalla terra – Gen 201723. ALGERIA: Purgatorio dimenticato – Feb 201724. SIRIA: Come fiori tra le macerie – Mar 201725. NEPAL: Il terremoto dentro – Apr 201726. Un mondo in bilico – Mag 201727. VENEZUELA: Inascoltati – Lug 201728. FILIPPINE: Il futuro è adesso – Sett 201729. TERRA SANTA: All’ombra del muro – Sett 201730. ASIA: Per un lavoro dignitoso – Ott 201731. KOSOVO: Minoranze da includere – Nov 201732. AFRICA: Fame di pace – Gen 201833. BALCANI: Futuro minato – Feb 201834. SIRIA: Sulla loro pelle – Mar 201835. HAITI: Una scuola per tutti – Mar 201836. NEPAL: In cerca di dignità – Apr 201837. La rivoluzione dei piccoli passi – Mag 201838. GIORDANIA: Rifugiati: la sfida dell'accoglienza – Giu 201839. MAROCCO: «Partire era l'unica scelta» – Lug 201840. FILIPPINE: Indigeni, diritti, cura del creato – Ago 2018