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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Numero 11 – Gennaio 2016 Concentrato di povertà Investire nella scuola per liberare un Paese Haiti

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE - Caritas Italiana · e altre malattie, ridurre la mortalità materna, garantire la sostenibilità ambientale, promuovere la parità dei sessi e l’autonomia

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Numero 11 – Gennaio 2016

Concentrato di povertà

Investire nella scuola per liberare un Paese

Haiti

INDICE

Introduzione 3

1. Il problema a livello internazionale 5

2. Il problema a livello regionale 7

3. Connessioni con l’Europa 9

4. I dati Caritas 13

5. Interviste 17

6. La questione 21

7. L’impegno di Caritas Italiana 23

Note 26

A cura di: Francesco Soddu | Marta Da Costa | Daniele Febei | Danilo Angelelli | Maurizio Verdi | Paolo Beccegato

Hanno collaborato: Renato Marinaro | Federica De Lauso | Walter Nanni

Testi e foto: Marta Da Costa

Grafica e impaginazione: Danilo Angelelli

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Numero 11 | Gennaio 2016

HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

Investire nella scuola per liberare un Paese

«Non ti dimenticare dei poveri!». È l'invito che il cardi-nale francescano Claudio Hummes fece a Papa Fran-cesco appena eletto. Papa Francesco non l’ha scor-dato, anzi, ne ha fatto una priorità della Chiesa e del-l’umanità.

Tanto negli scritti quanto nei discorsi e nei gesti, ilPapa accende i riflettori sui poveri, troppi e troppospesso dimenticati: «La necessità di risolvere le causestrutturali della povertà non può attendere, non soloper una esigenza pragmatica di ottenere risultati e diordinare la società, ma per guarirla da una malattiache la rende fragile e indegna e che potrà portarla soloa nuove crisi… Finché non si risolveranno radical-mente i problemi dei poveri, rinunciando all’autono-mia assoluta dei mercati e della speculazione finan-ziaria e aggredendo le cause strutturali della iniquità,non si risolveranno i problemi del mondo e in defini-tiva nessun problema. L’iniquità è la radice dei mali so-ciali» 1.

La repubblica haitiana incarna perfettamentel’oscurità del Paese più povero dell’America Latina edella diseguaglianza. Il 10% degli haitiani è estrema-mente ricco e possiede il 70% delle entrate dell’in-tero Paese, mentre due haitiani sutre vivono con meno di due dollarial giorno 2.

È l’isola nera dei Caraibi, che perun momento fu al centro del mondoquando il 12 gennaio del 2010 laterra tremò: il secondo terremotodopo quello di Shaanxi in Cina, pernumero di vittime. Le stime parlano di 230 mila mortiaccertati. Prima di allora non si parlava mai di Haiti. Asei anni dalla tragedia è nuovamente un’isola dimen-ticata. Occupa gli ultimi posti nei diversi indici di svi-luppo, mentre detiene primati in quanto a uragani,epidemie, siccità, ecc.

«Haiti è un pezzetto di mondo che racchiude in séelementi tipici di tanti altri luoghi, ma che al tempostesso è unico e diverso da tutti. È un ambiente di con-trasti, di contraddizioni, di contrapposizioni estreme,come i colori della pittura: ci sono i grandi sorrisi, c’èla gioia di vivere, e c’è la gente che si lava nell’acquaputrida delle fogne…» 3.

C’è tanta miseria ad Haiti e una forte pressione de-mografica, con una popolazione urbana pari al56,13% 4 sul totale, concentrata soprattutto nella ca-pitale, Port-au-Prince; il tutto va di pari passo con l’im-pressionante degrado ecologico che da decennil’accompagna. È un Paese costiero in cui vi è una grave

penuria d’acqua, lo scivolamento della terra coltiva-bile verso il mare, la desertificazione del territorio e undisboscamento selvaggio.

Di ambiente e povertà parla il Papa nell’enciclicaLaudato si’, sottolineando come il mondo costituiscela casa comune di tutti, a maggior ragione oggi: «Nonpossiamo fare a meno di riconoscere che un vero ap-proccio ecologico diventa sempre più un approcciosociale, che deve integrare la giustizia nella discus-sione sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido dellaterra quanto quello dei poveri» 5.

Della Madre Terra, l’enciclica ci invita a rispettare evalorizzare non solo le preziose risorse naturali che cioffre, ma anche chi la abita, in primis gli esclusi, perché

«sono la maggior parte del pianeta,miliardi di persone. Oggi i poverisono menzionati nei dibattiti politicied economici internazionali, ma perlo più sembra che i loro problemi sipongano come un’appendice, comeuna questione che si aggiunge quasiper obbligo o in maniera periferica,

se addirittura non li si considera un mero danno col-laterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta,rimangono frequentemente all’ultimo posto» 6.

La sfida prioritaria è quella di proteggere la nostracasa comune e di unirci per dare impulso ad un cam-biamento che sia favorevole a uno sviluppo sosteni-bile e integrale. La povertà, a maggior ragione quandoè miseria, offende la dignità umana e per questo deveessere vinta senza distinzione di razza, colore, fede re-ligiosa, sesso, nazionalità, cultura. La famiglia umanaè una sola.

Questo Dossier, Concentrato di povertà, nasce conl’idea di fornire una panoramica generale della situa-zione di estrema difficoltà in cui verte Haiti e delle fortidiseguaglianze che la contraddistinguono. Un Paesedimenticato che si sveglia la mattina e cerca comunquedi andare avanti; un Paese dove la maggior parte dellapopolazione vive in una situazione di miseria, degradoe abbandono, e una piccola parte nel lusso sfrenato.

3HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

Di Haiti non si parlavamai prima del terremoto.A sei anni dalla tragediaè nuovamente un’isoladimenticata

Introduzione

1. Il problema a livello

internazionale

A fine 2015 si è determinata la seguente situazione a livello mondiale:

HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ 5

99%1% PIÙ RICCO HA PIÙ DEL TOTALE POSSEDUTO DAL RESTANTE

Povertà e diseguaglianza sono due termini che dasempre si accompagnano: quando si parla di uno,quasi sempre compare l’altro, e viceversa.

Quanto sostenuto da Aristotele nell’antica Greciarisulta di straordinaria attualità: «In tutte le città visono tre parti: i ricchissimi, i poverissimi e quelli chestanno in mezzo tra gli uni e gli altri. Poiché si am-mette che la misura e la medietà sono sempre le cosemigliori, è chiaro che un possesso medio di ricchezzeè la condizione migliore di ogni altra, perché in essa èpiù facile obbedire alla ragione. Infatti è difficile chechi è troppo bello o debole o assolutamente poverodi onore, segua i dettami della ragione» 7.

Se riflettiamo queste parole a livello mondiale, cirendiamo conto di quanto siano attuali, soprattuttose consideriamo che la ricchezza globale si sta semprepiù concentrando in mano a poche persone. La pic-cola élite dell’1% di persone del pianeta particolar-mente benestanti ha visto accrescere la propria quotadi ricchezza mondiale da 44% nel 2009 al 48% nel2014, lasciando il 52% da spartirsi tra il restante 99%di abitanti della terra. Se si considera che la maggio-ranza del 52% è posseduta da persone che rientranonel 20% più benestante, al restante 80% di individuirimane solo il 5,5%. La crescita spropositata a favoredella minoranza dell’1% più ricco, ha determinato unasituazione per cui questo 1% più ricco ha per sé piùdel totale posseduto dal restante 99% delle persone,con una quota di ricchezza della piccola élite che hasuperato il 50% a fine 2015 8.

Livelli così estremi di ineguaglianza generanogrande instabilità sociale e rappresentano una minac-cia per tutti gli impegni presi a livello internazionalenel cercare di ridurre le indigenze.

La comunità internazionale da sempre si impegnanella lotta contro povertà e diseguaglianza; lo ha fatto,e continua tuttora, attraverso innumerevoli docu-menti, campagne e iniziative. Nel 1948, poco dopo lafine della seconda guerra mondiale, per la prima volta

nella storia venne elaborato un documento dalgrande valore morale e sociale: la Dichiarazione Uni-versale dei Diritti dell’Uomo. Nel documento si enun-cia come a ogni singolo individuo venga rico-nosciuto il diritto a una vita dignitosa: accesso all’ac-qua, all’alimentazione, alle cure sanitarie, all’educa-zione, a un alloggio, ad avere un lavoro.

Cinquant’anni più tardi, nel 2000, 193 Paesi di tuttoil mondo riconobbero le molte carenze e mancanze alivello umano presenti nel millennio che stava perchiudersi e proposero una serie di ambiziosi obiettivida raggiungere entro il 2015. La Dichiarazione del Mil-lennio rappresentò una presa di coscienza nel voler ri-durre tanto la miseria quanto la disparità. Otto furonogli impegni presi: sradicare la povertà estrema e lafame, rendere universale l’istruzione primaria, ridurrela mortalità infantile, combattere l’HIV/AIDS, la malariae altre malattie, ridurre la mortalità materna, garantirela sostenibilità ambientale, promuovere la parità deisessi e l’autonomia delle donne e sviluppare un par-tenariato mondiale per lo sviluppo.

Nello stesso anno anche l’Unione Europea, duranteil Consiglio Europeo di Lisbona, sostenne l’esigenzaper il Vecchio Continente di combattere nei propriPaesi aderenti l’esclusione sociale e l’indigenza.

Anche se gli obiettivi non sono stati raggiunti ap-pieno, si sono verificati dei miglioramenti: il numerodi persone che vive in povertà estrema si è ridotto da1,9 miliardi nel 1990 a 836 milioni nel 2015.

La proporzione di persone che soffre di denutri-zione nei Paesi in via di sviluppo è passata dal 23,3%

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negli anni ‘90 all’attuale 12,9% 9; inoltre ci sono statiprogressi per quanto riguarda l’accesso all’istruzionee la lotta all'HIV/AIDS e altre malattie.

A fine settembre 2015, l’ONU ha proposto deinuovi obiettivi da raggiungere entro il 2030 al fine diconseguire uno sviluppo integrale e sostenibile. Ilprimo della lista è lo sradicamento della povertàestrema in tutto il mondo, il decimo è la riduzionedella diseguaglianza tra le nazioni e al loro interno.

Le istituzioni politiche non sono le uniche a portareavanti le cause dei più bisognosi: la Chiesa lo fa dasempre con la presenza di missionari, diocesi , parroc-chie e laici impegnati in organismi di volontariato.

Il 10 dicembre 2013 per la prima volta nella storia,la Caritas ha lanciato una campagna globale: Una solafamiglia umana, cibo per tutti. L’appello fu lanciato daPapa Francesco a tutta l’umanità per «un impegno allamobilitazione, per rimuovere le cause della fame e lefonti di una disuguaglianza sempre più profonda, perporre un freno alle derive di un sistema finanziariofuori controllo, per rispondere alla domanda di giusti-zia e alla necessità di perseguire il bene comune» 10.

L’iniziativa nasce dallo sforzo e dalla collabora-zione di molti enti e organismi del mondo ecclesialeitaliano. L’obiettivo che si pone è quello di «promuo-vere consapevolezza ed impegno sugli squilibri delpianeta, avendo come aspetto centrale l’elementoeducativo» 11. Sembra dunque che tutte le istituzioni,laiche e religiose, sono d’accordo nel mobilitarsi con-tro la miseria, gli squilibri e la violazione della dignitàumana.

Risulta difficile pensare a un’unica soluzione a li-vello globale con la quale risolvere problematiche che,per quanto simili, si sviluppano in contesti completa-mente diversi e toccano pluralità di diritti. Se si riflettesulle cause e le conseguenze della povertà, si nota chesono inevitabilmente intrecciate tra di loro in una spi-rale in cui convergono molti fattori di grandissima im-portanza, in particolare: FAME E MALNUTRIZIONE – Rappresentano le mi-

nacce più gravi alla salute pubblica. La malnutri-zione è la causa principale della mortalità infantile:3,1 milioni di bambini muoiono ogni anno per pro-blemi connessi alla sottoalimentazione 12.

SANITÀ – Con la mancanza di strutture adeguate ipoveri rischiano la vita per malattie che potrebberoessere prevenute e curate: circa 2 milioni di bam-bini all’anno muoiono per polmonite e diarrea 13.

ISTRUZIONE – Una buona istruzione costituisceuna delle strade più efficaci per prevenire fame,malnutrizione ed emarginazione. Inoltre forniscealle persone più possibilità di trovare lavoro e par-tecipare alla vita delle proprie comunità. Si calcolache ancora oggi circa 121 milioni di bambini e ado-lescenti non vadano a scuola in tutto il mondo 14.

ALLOGGIO – La mancanza di un alloggio sano esicuro è uno dei più elementari diritti umani. Avereuna casa è parte di una componente del diritto adavere un adeguato standard di vita, in quanto unapersona senza fissa dimora con più difficoltà puògodere del diritto all’istruzione, alla libertà, alla si-curezza sociale, al diritto di voto, alla privacy, ecc.Nel 2014 quasi 60 milioni di persone per motivi diguerra, conflitti e persecuzioni si sono visti costrettiad abbandonare le loro case 15.

AMBIENTE – I cambiamenti climatici produconosiccità, uragani, terremoti, alluvioni e tempeste tro-picali con impatti devastanti sulle popolazioni piùvulnerabili. Nel 2014 sono state più di 19,3 milionile persone costrette a fuggire dalle loro case acausa di disastri naturali 16.

LAVORO – Le numerose crisi economiche degli ul-timi anni hanno rallentato il cammino verso il mi-glioramento del mercato del lavoro, ancora fragilee instabile, a maggior ragione nei Paesi in via di svi-luppo. Ad oggi le statistiche parlano di 201 milionidi persone senza lavoro nel mondo 17.

Bisogna però fare attenzione perché estirpare lapovertà estrema non sempre equivale a eliminareanche le diseguaglianze. Per esempio: «Una provachiara in tal senso la fornisce proprio la Cina ove allastraordinaria riduzione della povertà si è accompa-gnata una significativa tendenza alla crescita della di-seguaglianza. La maggior creazione di ricchezza hapermesso a un crescente numero di individui di sol-care la rigida linea della povertà estrema, ma ha fattoanche sì che le distanze tra i più ricchi e i più poveri siampliassero» 18.

Si tratta di fenomeni molto complessi. Ci sono Paesii cui abitanti per motivi di guerra, debiti, esperienzecoloniali, regimi politici, catastrofi naturali, malattie eposizione geografica vivono costantemente situazionidrammatiche estreme. Ci sono Paesi i cui abitantiascoltano e vedono ogni giorno le loro tragedie attra-verso telegiornali, radio, internet e le percepisconocome notizie normali, che fanno parte della vita. Cisono troppi poveri, pochi ricchi e tanta diseguaglianzache minaccia la stabilità mondiale.

Le «rivolte, migrazioni illegali, guerre civili, terrori-smo, crisi economiche e sconvolgimenti politici neiPaesi avanzati, con l’emergere di “partiti popolari eanti-sistemici” sono solo alcuni dei più chiari sintomidella crescente disuguaglianza» 19.

Ci sono troppi poveri, pochi ricchi e tantadiseguaglianza che minaccia la stabilitàmondiale

Lesotho, Sudafrica, Sierra Leone, Repubblica Centra-fricana, Namibia, Haiti, Honduras, Zambia, Guatemala,Hong Kong, Colombia, Paraguay, Cile, Panama: è l’or-dine dei 14 Paesi più diseguali del mondo secondo gliultimi dati pubblicati dalla CIA 20. Degli Stati elencati,sette rientrano nell’area geografica dell’America Latinae dei Caraibi, dove il divario tra ricchi e poveri resta dasempre molto elevato.

Nell’ultimo decennio, l’America centromeridionaleha visto una sorprendente crescita a livello econo-mico, basata quasi totalmente sull’esportazione digrandi quantitativi di materie prime di cui è moltoricca e l’importazione di prodotti finiti. Fatta eccezioneper alcune nazioni, in generale i Governi hanno pre-diletto questa tipologia d’investimento, così come l’at-trazione di nuovi capitali nei propri Paesi, tenendoconto della grande disponibilità di manodopera abasso costo.

L’ondata finanziaria positiva di questi ultimi anninon durerà per sempre e «senza investimenti mirati edi lunga durata in infrastrutture, educazione e innova-zione che permettano di realizzare in loco prodotti piùsofisticati e diversificare le esporta-zioni, l’America Latina continueràad essere, come in fondo è semprestata, una regione che esporta so-prattutto materie prime e importaprodotti finiti lavorati altrove. Unaregione che vive alla giornata, checresce o collassa di riflesso, senzamai camminare veramente con leproprie gambe» 21.

Se si considera il momento po-sitivo dell’ultimo periodo, che hapermesso all’America Latina di essere la zona delmondo in cui povertà e ineguaglianza si sono ridottemaggiormente, fa riflettere che, nonostante questo,nelle varie classifiche riguardanti proprio indigenza eineguaglianza tanti Stati di questa regione si trovinotra i primi posti. Si rafforza così l’idea che «la povertàpersiste come un fenomeno strutturale che caratte-rizza la società latinoamericana» 22.

Le statistiche confermano e segnalano che, a frontedi una crescita economica, vi è una stabilizzazionedella penuria. Gli studi recenti mostrano come nelbiennio 2012-2013 il tasso di povertà multidimensio-nale della regione era del 28,1% e nel successivo 2014è rimasto pressappoco uguale, ossia del 28%. Per glianni a seguire, tenendo conto dell’andamento demo-grafico con una natalità molto alta per quanto ri-guarda i ceti meno abbienti, la percentuale sembra

destinata ad aumentare fino a raggiungere 167 mi-lioni di persone bisognose in tutta la zona 23.

Sono dati che fanno riflettere. Quelli relativi alla mi-seria sono ancora più allarmanti e confermano la cre-scita spropositata di ineguaglianza tra ricchi e poveri.Si calcola che nel 2012 le persone in situazione diestrema povertà e indigenza erano pari all’11,3% dellapopolazione, nel 2013 all’11,7% e nel 2014 al 12%. Untotale di 71 milioni di persone, un dato in crescita eche sembra destinato a prosperare ulteriormente 24.

Si tratta di squilibri che minano la stabilità e anzichéunire verso la creazione di una famiglia umana solidaleed equilibrata, portano a divisioni, contrasti e tensioni.

Sono processi di esclusione cheimpediscono la partecipazione at-tiva alla vita sociale, politica edeconomica della fetta più grandeche caratterizza la società moder-na: i poveri.

L’aumento di coloro che si tro-vano in situazione di indigenzaestrema è preoccupante e comeha detto Alicia Bárcena, segretarioesecutivo della Commissione eco-nomica delle Nazioni Unite per

l’America Latina e Caraibi, «non si è sufficientementeapprofittato della ripresa della crisi finanziaria per raf-forzare le politiche sociali in grado di ridurre la vulne-rabilità di fronte ai diversi cicli economici. Adesso, inuno scenario di possibile riduzione delle risorse fiscalidisponibili, si richiede uno sforzo maggiore per rag-giungere tali politiche, le quali rappresentano la baseper adempiere con gli impegni dell’agenda dello svi-luppo post-2015» 25.

La promozione di riforme sociali e inclusive costi-tuisce una priorità per ridurre povertà e disegua-glianza; è bene che esse vengano progettate e attuatequanto prima, in maniera coordinata, in tutti i settori.È certamente un percorso lungo e necessario a livellostrutturale. In America Latina, regione dove vi è unagrande quantità di etnie differenti, vigono meccani-smi di grande discriminazione. Per esempio gli ultimi

2. Il problema a livello regionale

7HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

Nonostante in questi ultimitempi l’America Latina siala zona del mondo in cuipovertà e ineguaglianza sisono ridotte maggiormente,nelle classifiche tanti Statidi questa regione si trovanotra i primi posti

gradini della scala sociale sono continuamente occu-pati da indios, donne e neri che oltre a ricevere salaribassi e svolgere lavori umili spesso non in regola, nonhanno accesso a tutti i servizi di base, o se ce l’hannosi tratta di livelli miseri. I posti di lavoro migliori, cosìcome le migliori scuole e cliniche, sono accessibili aiceti medio-alti. Anche nelle telenovelas i protagonistisono per lo più bianchi mentre il personale di servizioè rappresentato soprattutto da neri, indios e gentepoco colta.

Negli ultimi anni un altro fenomeno correlato al di-scorso economico ha caratterizzato l’America Latina: lamigrazione verso i grandi centri urbani, soprattuttoverso le capitali, dove la microcriminalità ha raggiuntolivelli allarmanti. Delle 50 città più pericolose e violenteal mondo, 43 si trovano nel continente americano, eSan Pedro Sula in Honduras detiene il primato 26.

L’urbanizzazione ha visto crescere e nascere moltiraggruppamenti di persone po-vere ed escluse nelle zone peri-feriche delle città, con alloggisovraffollati (per esempio unastanza con un letto in cui vidorme un’intera famiglia) e forticarenze nella fornitura di servizi(acqua, energia elettrica, man-canza di servizi igienico-sanitari).A fronte di questo vi è invecestato un visibile miglioramentoinfrastrutturale nelle aree citta-dine in cui vivono i gruppi bene-stanti: quartieri puliti, ben tenuti,con un alto livello di sicurezza. Inquesti ambienti la qualità dellavita è notevolmente migliorata negli ultimi anni.

Un altro punto cruciale riguarda l’educazione. Nellamaggior parte dei Paesi dell’America centromeridionaleil problema non riguarda più l’esclusione dal sistemascolastico, bensì un’inclusione differenziata. In linea dimassima coloro che si trovano in situazione di vulnera-bilità hanno la possibilità di andare a scuola, però, acausa delle difficili condizioni di vita, hanno meno pro-babilità di portare a termine il ciclo di studi e il livello dieducazione a cui hanno accesso è molto basso. Al con-trario, chi ha disponibilità economica può accedere ainfrastrutture e scuole i cui servizi e la cui qualità di in-segnamento sono molto elevati, così da permettere uninserimento lavorativo in posti di alto livello.

Dal 2000 ad oggi il 50% dei Paesi di questa regioneha raggiunto l’universalizzazione dell’istruzione pri-maria ma ci sono ancora 3,7 milioni di bambini chenon vi accedono. È curioso che in America Latina lapercentuale di bambini che non vanno a scuola èscesa al 9% mentre nella zona dei Caraibi è salitaall’11% e più di un quinto di studenti degli istituti pri-

mari della regione lascia la scuola prima di aver com-pletato questo ciclo di istruzione 27.

La disparità nell’accesso ai beni pubblici non solocontribuisce ad alimentare differenze: in alcuni casi sitratta di una vera e propria violazione dei diritti umani.La salute in Sud America è una questione molto deli-cata, chi ha redditi alti ha accesso a servizi sanitari diqualità mentre per i più poveri vi sono istituzioni dibassa qualità e vengono forniti servizi scadenti. Altrofattore importante da ricordare è che in quasi tutti iPaesi di questa zona geografica la sanità non è gratuita.Chi lavora con un contratto di lavoro regolare general-mente ha inclusa la copertura sanitaria, così come chiha la possibilità economica di pagarsi l’assicurazione.Chi purtroppo vive in situazione di vulnerabilità nonha possibilità di pagarsi un’assicurazione sanitaria.

L’esclusione in ambito sanitario è molto elevata:circa 276 milioni degli abitanti di America Latina e Ca-

raibi, equivalenti al 46%, nonpossiedono un’assicurazione sa-nitaria; 120 milioni di personenon utilizzano i servizi legati allasalute per ragioni economiche e125 milioni non hanno un ac-cesso costante ai servizi sanitaridi base 28.

È lampante come «una del-le caratteristiche più evidentidell’America Latina è l’enormedivario tra le famiglie ad altoreddito e gli altri. Un fatto moltoallarmante è l’estensione dellapovertà nella regione… Sel’America Latina avesse avuto

una distribuzione del reddito in corrispondenza delsuo generale livello di sviluppo, secondo gli standardinternazionali, la povertà sarebbe la metà di quellache è adesso» 29.

Non è possibile pensare all’ineguaglianza solocome a una diversità di ingresso economico. È impor-tante considerarla nella sua multidimensionalità enegli effetti che produce: mancanza di opportunità,carenza di vincoli tra gruppi e persone che hanno ne-cessità similari o distinte, scarsità di mezzi e cono-scenze di chi si trova in situazione di debolezza permigliorare le proprie condizioni di vita.

Aspettare non è più possibile, urge l’investimento inpolitiche inclusive e partecipative, affinché ogni per-sona, indipendentemente dalla propria condizione edetnia, abbia le medesime opportunità di crescita per vi-vere degnamente e cambiare le parole di Latinoame-rica 30, canzone simbolo di quest’area geografica, da«Sono America Latina un popolo senza gambe checammina» a «Sono America Latina un popolo con legambe e che cammina» per costruire un futuro per tutti.

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Coloro che si trovanoin situazione di vulnerabilitàhanno la possibilità di andarea scuola, ma hanno menoprobabilità di portare a termineil ciclo di studi e il livello dieducazione a cui hanno accessoè molto basso. Al contrario, chiha disponibilità economica puòaccedere a scuole la cui qualitàd’insegnamento è molto elevata

Costruire una nuova Europa nella quale si promuovecontemporaneamente una crescita intelligente, soste-nibile ed inclusiva rappresenta la recente politica dicoesione approvata dalla Commissione e dal Consi-glio Europeo. La Strategia Europa 2020 31 non è unsemplice documento, bensì un impegno preso dalleNazioni che sono membri dell’UE nel perseguire, conmetodi consoni al proprio contesto nazionale, singo-larmente e individualmente, gli obiettivi e gli indica-tori europei decisi insieme.

Le ambiziose mete prefissate toccano cinque am-biti: istruzione, lotta contro la povertà, occupazione,ricerca e innovazione, cambiamento climatico edenergia. Migliorare in questi ambiti significa svilup-pare un’economia basata su conoscenza e novità, pro-muovere un alto tasso di occupazione a favore di unamaggiore coesione economica, sociale e territoriale,incoraggiare un’attività economica più efficiente sottoil profilo delle risorse, più verde e più competitiva.

Tali obiettivi sono in gran parteenunciati, con parole diverse, nell’in-troduzione del Plan Operationnel quin-quennale post-terremoto, propostodal Ministero dell’Educazione Haitia-no. Riprendendo le parole dell’exprimo ministro Jean Max Bellerive:«Condividiamo un sogno: vedere Haiticome un Paese emergente entro il2030, una società semplice, equa, giu-sta e solidale che vive in armonia conil proprio ambiente, la propria culturae una modernità controllata in cui lo Stato di diritto,la libertà associativa d’espressione e la pianificazionedel territorio siano stabili, caratterizzati da un’econo-mia forte, dinamica, competitiva, aperta su ampiabase territoriale, in cui tutte le esigenze primarie dellapopolazione vengono soddisfatte e gestite per unoStato unitario, forte, garante dell’interesse generale,fortemente decentralizzato» 32.

Questi obiettivi di indubbia importanza difficil-mente possono essere raggiunti da una nazione in cuiil tasso di alfabetizzazione della popolazione al di sopradei 15 anni è pari al 48,7%, migliora al 74,4% per i ma-schi e al 70,5% per le femmine se si considera la popo-lazione compresa tra 15-24 anni. Inoltre la percentualedi bambini che frequentano la scuola primaria è del76,7% e del 77,7% per le bambine; dati che crollanovertiginosamente per quanto riguarda gli studi secon-dari: 21,6% per i ragazzi e 29,1% per le ragazze 33.

Istruzione non significa solamente gli anni di stu-dio obbligatori per legge: vuol dire promuovere lo

sviluppo della personalità umana, rafforzare le cono-scenze, le competenze e fornire quelle basi necessa-rie alla crescita dell’individuo per essere attivo,partecipativo e critico tanto nella società quanto nelmondo del lavoro. Fornire alle popolazioni vulnera-bili mezzi basici di sussistenza senza un accompa-gnamento educativo non è sviluppo, è assistenzia-lismo. Lo sa bene tanto il Vecchio Continente quantoHaiti.

Per questo, già prima del sisma, l’UE aveva ritenutoimportante investire risorse nell’educa-zione haitiana attraverso il programmaPARQUE 34, applicato nei dipartimentidel Nord, Centro, Sud e Grande-Ansecon lo scopo di un consolidamento isti-tuzionale, di un incremento di iscrizioniscolastiche e una più alta qualità d’inse-gnamento.

L’UE è presente nelle zone di crisi delmondo e l’impegno per le popolazionipiù vulnerabili costituisce un imperativomorale. Ad Haiti, se si uniscono i fondi

della Commissione europea dei Paesi dell’UE e dellaBanca Europa per gli investimenti, il Vecchio Conti-nente risulta il principale donatore ad Haiti, e continuaa fornire un’assistenza globale per sostenere la rico-struzione del Paese e il suo sviluppo 35.

È interessante notare che per quanto in Europa illivello di istruzione sia ottimo, ci sono ancora dei mi-glioramenti da fare. Per questo il Fondo Sociale Euro-peo 36 tra i suoi programmi operativi include l’inve-stimento nell’istruzione e nella formazione professio-nale per le competenze e l’apprendimento perma-nente, con quattro obiettivi:1. ridurre l’abbandono scolastico precoce e favorire

l’uguaglianza di accesso all’istruzione prescolare,primaria e secondaria di buon livello, inclusi i per-corsi di studio formale, non formale e informale.

2. Migliorare qualità, efficacia e apertura dell’istru-zione superiore o di livello equivalente, e l’accessoalla stessa, al fine di ampliare la partecipazione e itassi di riuscita.

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3. Connessioni con l’Europa

Il Vecchio Continenterisulta il principaledonatore ad Haiti,e continua a fornireun’assistenza globaleper sostenere laricostruzione del Paesee il suo sviluppo

10 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

3. Rafforzare la parità di accesso alla formazione per-manente per tutte le fasce di età nei contesti for-mali, non formali e informali.

4. Migliorare l’aderenza al mercato del lavoro dei si-stemi di insegnamento e di formazione, favorendoil passaggio dall’istruzione al mondo del lavoro.

Anche il Ministero dell’Educazione Haitiano, in con-siderazione delle lacune educative in cui verte il Paese,ha proposto una strategia d’intervento di grande tra-sformazione per il proprio sistema didattico, ispiran-dosi al modello scolastico europeo, in modo partico-lare a quello francese.

Nel Plan Operationnel 2010-2015 37 un’intensa ana-lisi aveva rilevato molte fragilità nel sistema educativodel Paese: la struttura centrale e quelle decentrate inef-ficienti e inefficaci, il numero di scuole insufficiente perfar fronte alla realtà, problematicità comunicative e in-formative, programmi scolastici carenti e poco coordi-nati, personale educativo e amministrativo impre-parato. In virtù di tali criticità si erano ribadite alcunepriorità: rendere la scuola obbligatoria, gratuita e liberaper tutti per quanto riguarda l’istruzione primaria, ap-profondire e potenziare la forma-zione secondaria, professionale esuperiore, migliorare a livello infra-strutturale e di programma l’inclu-sione educativa delle personediversamente abili, per il grandenumero di adulti analfabeti favo-rire corsi di alfabetizzazione.

In questi anni sono stati fattimolti progressi, per esempio è au-mentato il numero di anni di studioobbligatori e tante energie si sonoimpiegate a livello di formazione,miglioramento strutturale e di in-clusione; ma la strada da percorrere è estremamentelunga. Gli interventi fatti in tal senso sono stati eseguitiquasi esclusivamente presso la capitale, Port-au-Prince,e nei principali centri urbani in un numero ridotto di isti-tuti. Nelle zone rurali, in cui mancano i servizi di base(strade, trasporti, ambulatori, acqua, energia elettrica,servizi igienici, ecc.) a livello di istruzione non sono statipercepiti cambi sostanziali, le lacune e le carenze re-stano enormi e continuano a rimanere aree marginali,dimenticate e abbandonate al proprio destino.

Le diseguaglianze interne al Paese a livello scola-stico sono altissime, presso i centri urbani più impor-tanti vi sono un numero assai ridotto di istituti privaticostosi, il cui grado d’istruzione è elevato e la prepa-razione che ricevono gli alunni è molto buona. È ilcaso, ad esempio, dell’Istituto francese presente aPort-au-Prince. Questa realtà è esclusiva solo di unapiccola nicchia di haitiani e stranieri.

La quasi totalità della popolazione che va a scuolaha accesso ad istituti pubblici (pochissimi), privati (lamaggior parte) o comunitari (presenti nelle zone ru-rali), il cui livello di insegnamento è carente, tantonella metodologia quanto nei contenuti.

Ora che il Plan Operationnel si è formalmente con-cluso, un importante accordo tra le autorità haitianee quelle francesi è stato siglato nell’estate 2015 conl’intento di perseguire il miglioramento del settoreeducativo. La collaborazione si basa in modo partico-lare sul sostegno per il potenziamento della qualitàdell’istruzione, il rafforzamento dell’ultimo ciclo diistruzione di base obbligatorio e gli studi secondari at-traverso la revisione dei programmi di studio, la for-mazione degli insegnanti e il supporto educativo.

In aggiunta vi è anche il rinforzo dell’Ispettorato ge-nerale dell’educazione e l’avvio di azioni per fortificareil bilinguismo creolo-francese. Sono inoltre previsti in-terventi nei sottosettori di formazione professionale edell’istruzione superiore, al fine di avviare da un latoun progetto per l’occupazione giovanile attraversol’ammodernamento dell’offerta educativa da partedell’Istituto Nazionale di Formazione Professionale

(INFP) e sviluppare d’altro lato l’of-ferta formativa digitale attraversoun supporto per l’attuazionedell’accordo quadro tra la Confe-renza delle università francesi e ilConsorzio delle Istituzioni hai-tiane per l’istruzione superiore 38.

In tale ambito non vi sono ac-cordi similari con le autorità ita-liane ma nel Paese sono presentitante organizzazioni umanitarieche hanno avviato progetti persostenere l’istruzione dei giovanihaitiani, per permettere loro di

imparare a difendersi senza armi ma con la cono-scenza, per insegnare loro un mestiere e renderli cit-tadini indipendenti. Restituire loro la possibilità dicostruire un futuro dignitoso, avere fiducia in se stessie nelle proprie capacità. Sono stati costruiti istituti,sono sorte iniziative di scuole di strada, sono nati centrieducativi, si sono realizzati programmi di formazione,si è permesso a giovani adolescenti di studiare pressolaboratori professionali, si sono realizzati corsi di alfa-betizzazione per gli adulti e tanti altri interventi chetuttora proseguono nel piccolo Stato caraibico.

Come per gli obiettivi della Strategia 2020 che in qual-che modo sono ripresi nel sogno haitiano, anche a livelloeducativo, tenendo in considerazione i diversi contesti elivelli di sviluppo, le strategie su cui sta lavorando il Mini-stero dell’Educazione haitiano, con un cospicuo soste-gno da parte del governo francese, richiamano gliobiettivi prefissati dal Fondo Sociale Europeo.

In questi anni sono stati fattimolti progressi, per esempioè aumentato il numerodi anni di studio obbligatorie tante energie sono stateimpiegate nella formazione,nel miglioramento strutturalee di inclusione; ma la stradada percorrere è molto lunga

Le intenzioni sono simili ma ci sono enormi diffe-renze per quanto riguarda i mezzi a disposizione, icontesti, le culture e le storie di queste due zone geo-grafiche; motivi per cui si tratta di due livelli di svi-luppo totalmente distinti e diseguali.

La situazione educativa ad Haiti è preoccupante,c’è bisogno di svolgere un lavoro molto profondo chesicuramente richiederà tanto tempo. I buoni propositi

ci sono, purtroppo la loro attuazione non risulta facileperché ad Haiti vi sono tante urgenze e problematicheradicate a livello multidimensionale, per cui le cose piùsemplici risultano complesse. È importante non per-dere di vista gli obiettivi e cercare con costanza, im-pegno e forza di raggiungerli. Per farlo è fonda-mentale che gli haitiani prendano coscienza di essereun popolo.

11HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

L’educazione è un diritto riconosciuto e valorizzato alivello mondiale; costituisce uno dei pilastri affinché iPaesi poveri possano uscire dalle situazioni di emar-ginazione e miseria in cui si trovano. I motivi sono benspiegati da due luminari della storia. Le loro parolenon sono state dimenticate: «Un popolo ignorante èpiù facile da governare» e «l’istruzione è l’arma piùpotente che si possa usare per cambiare il mondo».Parole rispettivamente di Ernesto Che Guevara e Nel-son Mandela.

Caritas Italiana ha deciso di svolgere una piccola in-dagine presso alcune scuole di Haiti, non solo peravere una visione reale del livello d’istruzione del po-polo haitiano (non sono i voti scolastici che ci interes-sano), bensì per cogliere le molte sfumature sociali cheruotano inevitabilmente attorno all’ambito scolastico.

Gli operatori di Caritas Italiana presenti ad Haiti conl’aiuto dei Petits Frères de Saint Thérèse (PFST), l’Insti-tut Haïtien de la Doctrine Sociale Chretienne (IHDO-SOC), l’organizzazione di base Fòs pou Defann DwaPeyizan Aysyen (FDDPA) e l’Òganizasyon SenkièmSeksyon Pewoden (O5PTRA), hanno avuto modo di vi-sitare alcuni istituti, incontrare e parlare con direttori,professori e studenti. Con quest’indagine diamo vocea 405 insegnanti, 57 dirigenti di scuole di livello pri-mario, alcune anche secondario, 28 in area urbana e29 in zone rurali o periferiche.

La prima premessa da fare è che ad Haiti l’offertascolastica è per il 20% pubblica e per l’80% privata 39.Non esiste una scuola uguale per tutti e tanto menoomogenea. Secondo quanto osservato, si possono ci-tare tre tipologie di istituto: le scuole comunitarie per la maggior parte sono

collocate nei contesti contadini, sono organizzatee gestite dalle piccole comunitàcampane, non sempre facili daraggiungere. Abbiamo raccoltol’opinione di 80 professori di 14strutture. Il direttore JosephThomas Batiste ci dice: «Da noivengono i bambini più poveri,coloro che non possono andarein altre scuole, non hanno isoldi per acquistare libri, qua-derni, penne, matite e la mag-gior parte di loro non riescenemmeno a pagare l’iscrizionescolastica che serve a sua voltaper pagare i professori, i qualirestano per mesi senza stipen-dio».

Le scuole pubbliche sono poche, per lo più dislo-cate nei grandi centri urbani. Con la nostra indaginesiamo riusciti a raccogliere il parere di 77 insegnantidi 7 collegi. Mons. Jean Théodule Domond ci dice:«Dovrebbero essere quegli istituti che offrono allacomunità un servizio di istruzione pubblica di buonlivello, gratuito e accessibile a tutti; almeno perquanto riguarda la scuola dell’obbligo. Purtroppol’offerta è insufficiente rispetto alla domanda. Moltigenitori vanno a iscrivere i propri figli alla scuolama non trovano posto; si vedono perciò costretti amandare i propri bambini presso una scuola privatai cui costi sono molto più elevati. La stessa scuolapubblica non è totalmente gratuita, qualcosa biso-gna pagare, anche se si tratta di una cifra minima.È comunque accessibile perché lo Stato intervienefornendo, in alcune strutture e non in tutte, libri ditesto, divise scolastiche (entrambi obbligatori), ali-menti attraverso il PAM (Programma AlimentareMondiale, agenzia delle Nazioni Unite) e il Pro-gramma Nazionale dello Stato haitiano di CantinesScolaires. Inoltre alcuni di questi tre servizi vengonoforniti anche in poche scuole private che sono stateselezionate tra tante altre».

Le scuole private sono quelle maggiormente pre-senti nel Paese; a loro volta si suddividono in con-

gregazioniste (gestite da congrega-zioni religiose) e private (gestite daspecifici enti o persone). Abbiamoraccolto il pensiero di 248 professoridi 36 scuole. Ci dice frère Jean JeuneLozama dei Petits Frères de SaintThérèse: «Ci sono scuole molto co-stose che pochi privilegiati possonopermettersi; sono per lo più dislo-cate nella capitale di Port-au- Princee il livello di educazione che offronoè molto alto. Le scuole della nostracongregazione non hanno lo stessolivello, i primi ad aver bisogno dimaggiore formazione sono gli stessiprofessori. Inoltre, anche se alcune

4. I dati Caritas

100%dei dirigenti scolasticidelle scuole comunitarienon riceve da partedello Stato né libri,né uniformi scolastiche

13HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

famiglie non possono pagare le rette scolastichedei loro bambini, presso i nostri istituti vengonocomunque accolti perché l’istruzione è impor-tante».

Da questa piccola premessa si colgono facilmentele disparità interne al Paese, che fanno del sistemascolastico haitiano un mosaico composto da pezzi di-stinti tra loro, i quali non riescono a combaciare al finedi creare una struttura unita, forte e convincente.

Dalla nostra indagine risulta che il 77% dei direttoridelle scuole comunitarie ha come titolo di studio piùelevato la licenza della scuola primaria o secondaria,mentre il 71% dei dirigenti di istituti pubblici e il 54%di quelli privati sono in possesso di un titolo universi-tario. Si tratta di una diseguaglianza molto forte chesi vede confermata e ampliata nella preparazione deiprofessori: il 91% degli insegnanti che svolge lezionenelle scuole comunitarie ha una preparazione prima-ria o secondaria, mentre il 64% di coloro che inse-gnano nei collegi pub-blici e il 43% di quelliprivati è laureato. Que-sti dati testimonianoche gli haitiani che vi-vono in situazioni estre-mamente disagiatehanno accesso ad unaeducazione povera: c’èinfatti un abisso dalpunto di vista della pre-parazione tra coloro che lavorano nelle aree urbane ecoloro che lavorano in quelle rurali.

Ad Haiti la lingua che si parla e come la si parla èuno dei primi segnali di riconoscimento della situa-zione sociale delle persone. Ufficialmente vi sono duelingue riconosciute: il francese e il creolo. Il francese,memore del percorso storico, è di fatto parlato inmodo fluente da pochi. Il creolo è utilizzato nella quo-tidianità; si è evoluto a partire dal francese, trasfor-mato nell’uso comune dagli schiavi africani. Fariflettere il fatto che nel suo alfabeto non esiste la fa-mosa “r”. La ricerca condotta ci dice che i professoridelle scuole comunitarie da noi contattati svolgonolezioni o esclusivamente o per la maggior parte in lin-gua creola nell’80% dei casi; nel 58% in quelle pubbli-che e 53% nelle private. Solo in alcune di quest’ultimesi parla unicamente in francese.

Risulta quindi che, ad eccezione dell’università e dipochi altri istituti privati in cui le lezioni vengonosvolte solo in francese e alle quali accedono e possonostudiare in pochi, la stragrande maggioranza della di-dattica è svolta in creolo. Considerando che la mag-gior parte dei libri di testo sono in lingua francese eche non in tutte le scuole i bambini possiedono dei

libri per studiare, come possono i ragazzi assimilare leinformazioni dei testi o assimilare le poche lezioni infrancese se si tratta di una lingua che non rientra nelloro utilizzo quotidiano e capiscono poco? Di fatto lamaggior parte degli haitiani si identifica nella linguacreola.

In generale il livello dell’insegnamento è ancoramolto basso e le strutture, soprattutto nelle zone piùisolate e difficili da raggiungere, sono spesso fati-scenti, in pessime condizioni, non totalmente equi-paggiate e sovraffollate. Secondo i direttori da noiinterpellati nel 62% degli istituti comunitari le aulenon sono completamente fornite di banchi, lavagnae sedie. Per esempio ci sono scuole in cui tra le classinon c’è separazione; in una stessa stanza ci sono duelavagne e due professori che insegnano a ragazzi di li-velli diversi, i quali se ne stanno stretti sulle pancheappiccicati l’uno all’altro. Per contro, nel 57% degli isti-tuti pubblici e nel 38% di quelli privati le classi risul-tano tutte fornite di strumenti idonei.

Se si considera inol-tre che per poter stu-diare c’è bisogno di libridi testo, e per accederealla scuola la divisa sco-lastica (la quale cambiaa seconda dell’istituto) èobbligatoria, il percorsoper rendere in questoPaese davvero gratuita e

accessibile a tutti l’educa-zione scolastica è difficile. Gli sforzi da fare sono an-cora innumerevoli. Anche in questo caso coloro chehanno più bisogno sono il fanalino di coda: il 100%dei dirigenti delle scuole comunitarie non riceve daparte dello Stato né libri, né uniformi scolastiche. Iltasso è molto elevato anche per quanto riguarda gliistituti privati, 89%, e per quelli pubblici, 57%.

Durante l’anno vengono organizzate campagnegratuite per vaccinare i bambini, in modo da prevenirealcune malattie. Si tratta di un servizio estremamenteimportante, a maggior ragione in un Paese in cui sonopresenti tante patologie. Le condizione igieniche sonoestreme e le malattie si trasmettono facilmente. Pur-troppo stando ai dati raccolti, nel 54% delle scuole co-munitarie queste campagne non arrivano e nessunone usufruisce. Invece, nell’86% dei collegi pubblici enel 54% di quelli privati tutti i bambini ne usufrui-scono.

A livello paesaggistico, naturalistico e ambientalele zone di montagna sono molto belle, ma difficilida raggiungere. In alcune scuole ci siamo arrivaticon una lunga camminata, faticosa per chi la per-corre tutti i giorni senza un’alternativa. Sono tanti iragazzi che si svegliano la mattina presto e marciano

14 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

AALLAOUCS

dei bambini con disabilitàdelle aree rurali non possono

iscriversi a scuola92%

per ore per riuscire ad arrivare a scuola in orario.Quando poi arrivano sono stanchi e spesso nonhanno la possibilità di fare una piccola merenda ametà mattinata.

È evidente come questa sorta di isolamento chesi vive nelle aree rurali influisca molto sulle condi-zioni di vita degli haitiani, so-prattutto se si pensa che nonsempre sono forniti di luce eacqua. Secondo le scuole danoi contattate solo il 22% hasempre accesso alla correnteelettrica. L’acqua costituisce ungrande problema ad Haiti, è unbene prezioso al quale non tuttipossono accedere con facilità.Nel 43% delle scuole pubblichee nel 54% di quelle private, i di-rigenti dicono di avere acquatutti i giorni. Al contrario, il 54%delle scuole comunitarie non haaccesso all’acqua.

In contesti di questo tipo non sorprende il fattoche nelle zone rurali il 92% dei bambini con disabilitànon possano iscriversi a scuola. Secondo i direttoriscolastici la causa principale è data dalla mancanzada parte degli insegnanti di seguirli. Per questa tema-tica l’ago della bilancia va nella stessa direzione, nelsenso che per le scuole pubbliche la percentuale èdel 71% e del 54% per quelle private; in questo casoperò la motivazione principale viene identificatanella mancanza di infrastrutture in grado di acco-gliere i ragazzi con handicap. Ancora una volta gli ul-timi, coloro che hanno maggiormente bisogno diaccompagnamento e sostegno, sono i più esclusi.

Come si può facilmente cogliere, il sistema scola-stico haitiano, nonostante gli sforzi compiuti e i mi-glioramenti ottenuti negli ultimi anni, è molto fragile,risulta fortemente fratturato e scompensato. Dice pa-dre Jean Julien Ladouceur, segretario generale dellaCommissione Episcopale per l’Educazione Cattolica(CEEC): «I problemi inerenti all’educazione ad Haiti nonsono solo strutturali ma anche legati ai metodi d’inse-gnamento. Agli studenti non viene chiesto di ragio-nare ma di ripetere e imparare a memoria frasi e braniin continuazione; se si chiede loro di rielaborare conparole proprie quel che ripetono a memoria, spessonon riescono a farlo. Inoltre benché le bacchette e lepunizioni forti siano proibite – e su questo punto inmolti istituti si è diventati intransigenti – i bambini chesubiscono punizioni corporali e verbali da parte deiloro insegnanti sono molti e questo ha per loro delleripercussioni incredibili a livello psicologico».

Nella relazione tra insegnante e bambino i ruolisono generalmente ben marcati e non vi è una cono-

scenza approfondita tra le due parti. Il ragazzo va ascuola e impara quel che il professore gli insegna; aldi là di questo raramente vi è un approfondimento co-noscitivo, per esempio della situazione socio-econo-mico-sanitaria del bambino.

Si tratta di un sistema multiforme, con delle dina-miche per noi difficili da com-prendere. Quando si pensa diaver visto il peggio, si scoprepoi che non è così, che esiste ilpeggio del peggio. Quell’inim-maginabile che ci fa capirequante cose per noi scontateabbiano in realtà un valore ine-stimabile. Quando incontri per-sone che vivono in luoghisperduti, immerse nella natura,senza alcun servizio, che si ali-mentano di ciò che coltivano eil loro unico pensiero è riuscirea trovare il cibo per arrivare al

giorno dopo, come fai a spiegar loro che la cono-scenza e l’educazione sono strumenti necessari per losviluppo della persona umana e il miglioramentodelle proprie condizioni di vita? È difficile ma fonda-mentale farlo.

15HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

AALLAOUCS

solo il delle scuole

AALLAOUCS

ha sempre accesso alla corrente elettrica

22%

STORIE IN BREVE

Suor Gloria Inès Gonzalez è la direttrice dellascuola Saint Charles Borromée, che si trova a Croix-des-Bouquets. Da qualche anno nella scuola è statoattivato un programma di inclusione per bambinicon handicap; al momento ci sono 42 ragazzi e i ri-sultati sono sorprendenti.

Samuel Tess Jean vive nel quartiere povero diCamp Corail; un giorno la suora viene contattata dauna giovane mamma per andare a visitare la sua fa-miglia. Quando arriva, incontra Samuel per terra cheinvece di camminare striscia, non parla e ha un de-ficit mentale. Lo prende in braccio e gli chiede sevuole andare a scuola. Samuel inizia a piangere.Sono passati due anni da quel momento: ora Sa-muel ha 8 anni, riesce a camminare ed è stato inse-rito nella classe di prima elementare insieme ad altriragazzi normodotati.

Samuel Macenat ha 8 anni, la suora l’ha conosciutopoco dopo il terremoto. Il bambino camminavatutto curvo e non faceva altro che picchiare la testacontro il muro, tanto che si è reso necessario com-prargli un casco per poterlo proteggere. Da quando ha iniziato a frequentare la scuola è diventato più

sorridente e gioioso, fa ridere tutti, non ha più biso-gno del casco per proteggersi la testa perché nonla sbatte più contro il muro e ha migliorato la cam-minata. È un bambino che ama i colori e suonare iltamburo; tutto contento fa parte della classe deibambini con handicap.

Jolie Juyde ha 16 anni, tre fratelli e due sorelle, è unadolescente che non ha mai vissuto l’infanzia; la suafamiglia è povera e da sempre ha dovuto aiutare isuoi genitori a lavorare nei campi. Vive in una zonadi montagna isolata; solo adesso sta frequentandola scuola comunitaria, è al terzo anno della scuolaprimaria (in un normale percorso di studi tale classesi fa a 9 anni) e tutti i giorni cammina circa due oreper poter frequentare le lezioni.

Elyman Desanné è una bambina di circa 6 anni chevive in un’area rurale. La sua numerosa famiglia èpovera. In totale sono otto fratelli, solo in cinque fre-quentano la scuola; non vanno sempre, soloquando non devono aiutare i genitori a lavorare neicampi. Essi sono agricoltori e i frutti della terra sonol’unico sostentamento per tutta la famiglia.

16 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Fasce deboli: persone con disabilitàMADDALENA BOSCHETTI, missionaria

“Aksyon Gasmy” è un progetto pastorale presente nellaregione nord-ovest di Haiti per aiutare i bambini disabilio affetti da gravi malattie. In che cosa consiste esatta-mente e quali sono le sue finalità principali?

«L’estremo nord-ovest di Haiti è una zona rurale, gliabitanti vivono di agricoltura – coltivano mais, fagioli,patate dolci, banane – e hanno a disposizione solo laforza delle braccia e la pioggia. La priorità giornalieradi ognuno è trovare il cibo sufficiente per arrivare algiorno dopo. La stragrande maggioranza della popo-lazione si reca giornalmente alle sorgenti più vicineper trovare acqua, non c’è corrente elettrica, le stradesono rischiose e spesso impraticabili.

Pochi e costosi rispetto alle possibilità della popo-lazione i punti di riferimento ufficiali per la salute intutta la zona; sono invece utilizzati frequentementenei casi di malattie gravi gli interventi soprannaturalidi boko e mambo, o quelli intermedi dei medsen feyper la maggior parte dei casi.

Qui la durezza della vita abbassa l’eta media, au-menta la percentuale di mortalità infantile e il numerodi portatori di handicap. I figli sono ancora l’unica ric-chezza dei contadini e la loro speranza per il futuro, lebraccia su cui potranno contare quando l’età toglieràloro le forze.

Tutti questi aspetti, quello economico, quello cul-turale e quello relativo alle credenze locali, fanno sìche in questa località i bambini con handicap siano“gli ultimi” e che vivano il più delle volte in condizioniveramente disumane. Da qui la nostra scelta di partireda loro per fare entrare attraverso i valori del Vangelonella nostra vita, per proclamare il valore della vita deibambini con ogni tipo di handicap e per aiutare le fa-miglie a non sentirsi sole nello sforzo di aiutarli a vi-vere.

Negli ultimi 10 anni “Aksyon Gasmy” ha incomin-ciato a sensibilizzare la comunità cristiana e la societàmettendo davanti gli occhi di tutti questi “ultimi” intutte le occasioni possibili. Nelle parrocchie dove i par-roci si sono dimostrati sensibili, i bambini (e adulti)

con disabilità sono fatti sedere durante le celebrazioninelle prime file, posti generalmente riservati alle au-torità. Molti volontari laici haitiani si sono resi dispo-nibili e hanno imparato a tenere sotto controllo lasituazione dei bambini nelle loro aree e a gestire in-contri periodici con i genitori e i bambini riuniti persupporto reciproco e per formazione.

Molte famiglie sono state aiutate per affrontare iproblemi di salute dei loro figli, molte sono state aiu-tate per inserire i loro figli nelle classi “normali” chehanno accettato per la prima volta questi bimbi».

Come viene vissuta e percepita la disabilità dalla popo-lazione haitiana?

«Per la gente comune (e no) le cause dell’handicapsono soprannaturali e sono da ricercarsi in qualchecolpa (la mamma ha visto o fatto qualche cosa chenon doveva vedere o fare durante la gravidanza) o inqualche maledizione, frutto di cattiverie o gelosie. Ilbambino con handicap è quindi di solito da nascon-dere, non è utile, è una bocca in più da sfamare.

In compenso abbiamo dei casi di bimbi cresciuticompensando enormemente i loro handicap grazieallo sforzo continuo per cavarsela nonostante tutto,diventati poi protagonisti di begli esempi di integra-zione nella società».

Ad Haiti le infrastrutture scolastiche sono attrezzate peraccogliere bambini disabili fisici? Nel caso di disabilitàmentali, ci sono scuole o personale preparato per aiutarlinella crescita educativa?

«Nella nostra località le infrastrutture scolastichespesso non sono attrezzate nemmeno per accoglierealunni normodotati. Per esempio in piccole classisenza luce e con pochi banchi possono ammassarsianche 60-80 alunni.

Le scuole speciali sono tutte concentrate nella ca-pitale (Saint Germaine, Saint Vincent, C.E.S. L’Arche...).Nella nostra zona di Port de Paix (Lavoid) c’è un buonistituto per sordomuti fondato dalla Congregazionedelle suore Figlie della Sapienza, che hanno fondatoaltri istituti simili anche in altre zone del Paese.

17HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

5. Interviste

Nella nostra zona abbiamo dato il via ad un’espe-rienza molto semplice nelle scuole parrocchiali diMare Rouge, di Mole e in alcune prescolari gestitedalle suore di Gesù Maria di Jean Rabel, per la gestionedi piccole classi per bimbi con problemi di handicapintellettuale e fisico. Le giovani adulte impegnatecome insegnanti hanno fatto, grazie ad “AksyonGasmy“, un percorso di formazione espressamenteideato, mancando nel Paese corsi accademici che pos-sano preparare a lavorare in questo settore».

Maddalena, da 14 anni sei ad Haiti. In questi anni ci sonostati dei cambiamenti significativi a favore dell’inclu-sione sociale delle persone diversamente abili?

«La mia esperienza, anche in ciò che riguarda la di-sabilità, è che ci sia da tenere in considerazione la pro-fonda differenza fra l’Haiti della capitale e l’Haiti rurale.

In capitale anche per la disabilità la grande svoltadegli ultimi anni è rappresentata dalla catastrofe del12 gennaio 2010. In quell’occasione decine di migliaiadi persone sono rimaste mutilate o in qualche mododisabili per traumi subiti. Per loro nella capitale, grazieall’aiuto internazionale, si sono moltiplicati laboratoridi protesi, forniture di sedie a rotelle e ausili, centri difisioterapia o luoghi dove chi aveva subito lesioni po-teva usufruire di cure specialistiche; tutte queste strut-ture erano praticamente assenti precedentemente(eccezione: Ospedale Saint Vincent). Successivamentegli interventi internazionali hanno aiutato a comin-ciare a mettere a fuoco il problema “handicap” a livellidiversi, anche scolastico o di opportunità lavorative.

In provincia, o meglio nella nostra area, la capitaleè lontana e i cambiamenti che abbiamo visto sono le-gati allo sforzo pastorale fatto; è possibile infatti per noiavvertire una differenza nella mentalità e nelle reazionidella gente davanti ai bimbi che aiutiamo nelle zonein cui questo sforzo e questa sensibilizzazione avven-gono da più tempo (10 anni Mare Rouge, 4 anni Mole)e quelle in cui la nostra presenza è solo all’inizio».

Economia solidalePADRE LISSAINT ANTOINE, gesuita, direttore nazio-nale di SJM (Service Jésuite aux Migrants) ad Haiti

SJM Haiti ha attivi in varie zone del Paese alcuni progetti dieconomia solidale. In cosa consistono e come funzionano?

«I progetti di economia solidale di SJM, che lavoraprincipalmente nelle zone frontaliere con i migrantima anche a Port-au-Prince e in altre zone del Paese,sono divisi in due tipologie: individuali e comunitari.Si tratta di piccoli programmi di microcredito chehanno lo scopo di incentivare la nascita e la crescitadi piccole attività commerciali che possano permet-tere alle famiglie haitiane di sostenersi autonoma-mente a livello economico.

I progetti individuali sono pochi: il credito vienefornito direttamente alla singola persona o famiglia.Quelli comunitari, invece, sono molti: lo scopo è cer-care di costituire una vera e propria comunità allaquale prendono parte più persone e richiedono cre-diti per attività commerciali differenti. Una sorta di or-ganizzazione che possa poi proseguire autonoma-mente, con delle proprie regole, una cassa comune ein grado di autogestirsi, non solo basata sull’econo-mia. Di fatto questi nostri progetti prevedono anchecorsi di alfabetizzazione».

I programmi che proponete prevedono la creazione dipiccole comunità di base i cui partecipanti possono aiu-tarsi e sostenersi a vicenda. Come viene vissuta dagli hai-tiani questa componente solidale e collaborativa?

«Nella società haitiana solidarietà e collaborazionenon sono molto comuni e costituiscono una nuovamentalità. Si percepiscono di più nelle zone rurali esono quasi assenti nelle zone urbane. Quando si aiutaqualcuno, spesso si tratta dei famigliari o di qualcheamico stretto; difficilmente si va oltre i gradi di paren-tela.

Nelle grandi città ciò che ostacola questi tipi di ap-proccio sono l’insicurezza, la delinquenza e la povertà.Questi elementi portano a fidarsi poco degli altri e apensare che se il mio vicino perde il lavoro, c’è un’op-portunità in più per me di trovare lavoro.

Nei nostri programmi di economia solidale comu-nitaria, troviamo molte difficoltà nel far rispettare leregole che il gruppo stesso ha deciso perché, nono-stante parliamo, appunto, di gruppo, generalmenteprevale l’individualismo e la sfiducia verso gli altrimembri».

Quali sono le principali difficoltà che gli haitiani incon-trano per poter avviare una piccola attività?

«Ad Haiti la maggior parte delle persone non la-vora. Purtroppo non ci sono investimenti nell’econo-mia haitiana, manca l’industrializzazione e il processodi trasformazione delle materie prime. Ad esempio incampo agricolo la gente continua a vivere di sussi-stenza senza una commercializzazione, utilizza meto-dologie arretrate e manca delle dovute conoscenze.Nel Paese si produce riso di ottima qualità, purtropposenza macchinari specializzati e investimenti. Il riso

18 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

prodotto qui costa di più di quello importato dal-l’America e dai Paesi vicini.

Così avviene per la maggior parte dei prodotti –l’economia ad Haiti è sostenuta dalle importazioni enon da ciò che viene prodotto internamente – i cuicosti sono molto alti; inoltre le poche imprese haitianesono parte di un circolo chiuso nelle mani di poche fa-miglie».

Lo Stato prevede dei programmi di aiuto per le famiglieche non hanno possibilità di sostenersi economicamente?«Lo Stato è molto debole così come le politiche socialidel Paese, che sono quasi assenti. Ad esempio è pre-vista una cassa per l’assistenza sociale: coloro che la-vorano legalmente pagano una piccola tassa obbli-gatoria proprio per questo fondo sociale. Si tratta diun fondo la cui finalità è di essere impiegato a soste-gno dei più bisognosi. Purtroppo quanto raccolto nonviene redistribuito come si dovrebbe a causa della cor-ruzione, che ad Haiti è notoriamente molto forte».

AmbienteOBNEL LAFORTUNE, segretario generale dell’asso-ciazione locale AFAM

AFAM è una piccola organizzazione locale haitiana im-pegnata dal 2008 in attività ambientali. Quali sono gliobiettivi dell’associazione?

«AFAM è nata con lo spirito di combinare in modopositivo ed efficace le risorse disponibili sul territorioche possono portare ad un processo di sviluppo ecambiamento concreto soprattutto a livello ecologico.Tra i principali obiettivi dell’associazione c’è quello direalizzare lo sviluppo integrale della comunità pre-sente nelle cinque sezioni comunali nella zona Mar-bial, migliorando le condizioni di vita della popo-lazione locale. Le azioni dell’organizzazione si occu-pano in particolare di 5 ambiti: principalmente am-biente ed agricoltura, poi istruzione, vie dicomunicazione e strade, sviluppo del mercato attra-verso l’industria della trasformazione».

Il Papa nell’enciclica Laudato siˊ richiama l’attenzionesul fatto che l’ambiente umano e l’ambiente naturale sidegradano insieme. A Haiti in cosa si può notare questoduplice degrado?

«Questa frase è strettamente correlata alla realtàhaitiana. Nelle città, le cui periferie stanno diventandosempre più popolose a causa della migrazione dallecampagne verso i centri urbani, la gente vive ammas-sata, l’immondizia viene bruciata ad ogni ora delgiorno, manca l’acqua e le condizioni igieniche sonoestreme. In questo contesto i giovani, che sono il sim-bolo del futuro, vivono in una situazione di grande di-sperazione e spesso trovano un facile cammino che limette a contatto con il mondo della delinquenza.

Nelle campagne ci sono meno problemi legati al-l’insicurezza, ma molte difficoltà ambientali legate aldisboscamento selvaggio del Paese, la desertifica-zione del territorio e il cambiamento climatico chestanno rendendo la vita estremamente dura e provo-cano lo spopolamento delle zone rurali».

Quali sono le principali cause del degrado ambientalead Haiti?

«Il degrado ambientale non avviene da solo, è datodalla somma di più fattori. L’ambiente è infatti l’in-sieme di un iter di collegamenti tra l’uomo, la coper-tura della foresta, l’acqua, l’aria, il clima, la cultura,l’educazione, il comportamento, le abitudini, le tradi-zioni, le credenze, ecc. Ad Haiti è principalmente pro-vocato dall’abbattimento irrefrenabile degli alberi perprodurre il carbone; infatti la maggior parte degli hai-tiani utilizza il carbone per poter cucinare, sono po-chissimi coloro che possiedono la bombola del gas euna cucina equipaggiata. A questo si aggiungono imolti terreni improduttivi, le pratiche agricole dei con-tadini che per mancanza di conoscenze e mezzi risul-tano molto arretrate e i danni che arrecano le calamitànaturali, come gli uragani o i periodi di siccità».

La deforestazione rappresenta un grave problema perHaiti. AFAM ha da poco concluso un progetto di rimbo-schimento con il coinvolgimento di alcune scuole e stu-denti. Come percepiscono i bambini haitiani la questioneambientale?

«La storia dice che quando nel 1492 venne sco-perta Haiti, la sua copertura forestale era dell’80%;oggi è inferiore al 2%. Affiancato all’irresponsabilitàstatale, il disboscamento incontrollato e irrefrenabiledell’uomo ha provocato danni enormi; per questo nonsi può più stare a guardare ed è importante creare unacoscienza ambientale che al momento qui è quasi im-percettibile.

Il nostro progetto scuola/giardino è stato molto ap-prezzato dai bambini, i quali sono rimasti sorpresi nelconoscere e vedere con i propri occhi le lunghe fasi ne-cessarie per rimboscare e la velocità per disboscare.Sono inoltre state consegnate loro delle piante chehanno preso in carico, una sorta di primo impegnoverso la natura. I ragazzi sono rimasti molto contenti ed

19HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

entusiasti. Penso che questo tipo di approccio siaquello giusto per cercare di sensibilizzare e raggiungereun buon livello di consapevolezza ecologica da tra-smettere per un futuro più sostenibile e responsabile».

SaluteFRATE GABRIEL, francescano impegnato nella clinicaSan Francesco d’Assisi a Croix-des-Bouquets

I Francescani gestiscono una piccola clinica vicino a Port-au-Prince. Quali sono le malattie più comuni che curatenel vostro centro di salute e da cosa sono causate?

«Nella nostra clinica abbiamo notato che le pato-logie che curiamo maggiormente sono: malnutri-zione, anemia, malattie sessualmente trasmissibili,colera, malaria e ipertensione. A causarle sono princi-palmente i bassissimi livelli di igiene. Sicuramente lapenuria d’acqua incide molto. A questo si aggiunge lacattiva alimentazione che è poco varia. Molte persone,poi, mangiano una sola volta al giorno. Inoltre tantagente non conosce e non ha i mezzi per poter preve-nire certe malattie; non sa come si trasmettono e nonha la possibilità di acquistare i farmaci di cui avrebbebisogno per curarsi».

Nella clinica svolgete anche attività di prevenzione. Qualisono e da come è nata questa esigenza?

«Tutti i giorni svolgiamo attività legate alla preven-zione senza mai stancarci perché ci siamo accorti cheè possibile evitare tante malattie se vengono prese legiuste precauzioni e si trasmette l’importanza di met-terle in pratica quotidianamente.

Questi accorgimenti sono piccoli aiuti per miglio-rare le condizioni di vita delle persone. Organizziamoincontri durante i quali parliamo di come è rilevantel’acqua e come trattarla correttamente, del fatto chemoltissimi microbi si trasmettono tramite le manisporche e per questo è fondamentale lavarle spesso,così come cercare di mantenere la casa pulita e cono-

scere come evitare le malattie trasmissibili. Abbiamoinoltre attivo un programma alimentare perché po-tersi nutrire nel modo giusto è fondamentale per lasalute».

La maggior parte degli haitiani non ha un’assicurazionesanitaria. Che cosa succede quando stanno male e han-no bisogno di cure?

«Purtroppo circa il 90% degli haitiani non ha l’assi-curazione sanitaria; quando qualcuno ha dei problemigravi in molti casi si reca all’ospedale generale che èqui vicino, ma per potersi curare bisogna pagare. Icosti delle cure mediche sono molto alti, in pochi pos-sono permettersi di affrontare tali spese: bisogna spe-rare di stare sempre bene. Sono tanti gli haitiani chemuoiono in silenzio e sofferenti nelle proprie case,anche per banali malattie, o che cercano tramite i ritivudù l’intervento soprannaturale che possa aiutarli aguarire».

Quali sono i problemi del sistema pubblico sanitario hai-tiano e che cosa si potrebbe fare per migliorarlo?

«Penso che i problemi principali siano due: la man-canza di serietà e trasparenza nel sistema sanitario ela mancanza di una stretta relazione con le politichepubbliche del Paese, le quali a loro volta sono moltodeboli, quasi inesistenti. Si parla di sistema pubblicosanitario: se si tratta di un servizio pubblico per il cit-tadino, perché per usufruirne gli haitiani devono pa-gare?

A fronte di un sistema di salute tanto debole e pocoorganizzato che non riesce a rispondere alle esigenzedella popolazione, una delle cose più importanti dafare sarebbe iniziare ad ascoltare le persone che sof-frono per capirne le reali necessità, poter iniziare unpercorso di politiche a loro favore e non lasciarli soli,abbandonati al loro destino».

Le medicine ad Haiti costano care? É facile trovarle?«Haiti è il Paese più povero dell’America Latina, ma

questo non vuol dire che sia anche il più economico:è costoso vivere qui e le medicine sono molto care. Perstrada si vedono venditori ambulanti che vendonomedicine sciolte, pastiglie come se fossero caramellesenza foglietto illustrativo e che restano esposte sottoil sole cocente per ore, giorni e mesi. Purtroppo non ènemmeno facile accedere a tutti i medicinali, anzi, al-cuni sono difficilissimi da trovare».

20 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Haiti è un Paese estremamente povero. Qual è la rea-zione nel leggere tale affermazione? Probabilmentequalcosa di simile: «Ah sì, è dove qualche anno fa c’èstato il terremoto e sono morte tante persone. Pove-rini, sono proprio messi male laggiù!». Dopo questobreve pensiero tutto torna come prima perché “è nor-male” che nel mondo ci siano persone che muoionodi fame, subiscono violenze, sono analfabete, peri-scono per banali infezioni, percorrono lunghe di-stanze per riempire un secchio d’acqua e scappanodalla guerra.

In internet si vedono molte immagini, i telegiornalidanno notizie (non tutte) di quel che succede nei Paesiin via di sviluppo, alla radio se ne parla. La cronaca èparte del quotidiano, è diventato un fatto talmente“normale” che «non ci accorgiamo più che alcuni si tra-scinano in una miseria degradante senza reali possi-bilità di miglioramento, mentre altri non sanno nem-meno che farsene di ciò che possiedono» 40.

La povertà è una cosa seria, nessuno sceglie dovenascere e «rispettando l’indipen-denza e la cultura di ciascuna na-zione, bisogna ricordare sempreche il pianeta è di tutta l’umanitàe per tutta l’umanità e che il solofatto di essere nati in un luogocon minori risorse o minore svi-luppo non giustifica che alcunepersone vivano con minore di-gnità» 41, tantomeno che la mise-ria sia vista come una normaleroutine.

Quando anni fa i mezzi tecno-logici non erano tanto avanzati, lefotografie, le lettere e i raccontidei missionari erano oggetto digrande interesse e dibattiti pro-fondi. Ora che le comunicazioni sono più veloci e ac-cessibili a tutti, la povertà non è altro che una notiziacome un’altra, non fa più rumore.

Haiti è un Paese in cui «la situazione di estremo de-grado, di miseria che osserviamo oggi, non è incomin-ciata ieri, non è neppure il frutto di una congiurasfavorevole maturata in questi ultimi tempi, ma è il ri-sultato di un’oppressione che dura ormai da cinque-cento anni e che si è modellata a partire dalla storia dicoloro che, strappati con violenza dalla terra Africana,hanno abitato l’isola prima come schiavi e poi comecittadini della prima Repubblica delle Americhe» 42.Una popolazione che non è riuscita a uniformarsi, nonha ancora la coscienza di essere un popolo solo, orgo-

glioso di essere stata la prima colonia a raggiungerel’indipendenza in America.

Una nazione eternamente martirizzata da conflittipolitici, interessi internazionali e da immani tragedie.Nel 2004 è stata colpita dall’uragano Jeanne e nel2010 dal terremoto che ha ucciso più di 230 mila per-sone e ha lasciato 1 milione e mezzo di sfollati.

Quando si viaggia nel piccolo Paese delle Antillesi respira la povertà, la si legge nei volti persi, duri esconsolati degli haitiani che indicano un concen-trato estremo di precarietà. Sorprende la resistenza

fisica di donne, bambini e uominiche prima del sorgere del sole sisvegliano per andare a cercareacqua, cibo, per recarsi in città onei campi, raggiungere la scuola ol’ospedale, trasportare ceste enor-mi in testa per recarsi nei mercati epassare giornate intere sotto il solecocente.

Una società che si sposta conti-nuamente da una località all’altra.Generalmente si tratta di lunghispostamenti quotidiani a piedi,mangiando soltanto una volta algiorno. Il cibo spesso consiste inuna porzione di riso e fagioli. Pur-troppo la carne, il pesce e le ver-

dure non costituiscono parte del pasto abituale pertutti gli haitiani.

L’impressione è quella di una collettività ormai abi-tuata a vivere nella sofferenza dell’emergenza, in baliadella microcriminalità; un popolo in cui la maggio-ranza vive in uno stato di sottoalimentazione ma cheha sviluppato una forza fisica e psicologica tali da riu-scire a sopravvivere in condizioni estreme. Tutto è ri-dotto al minimo indispensabile, come il consumo diacqua, che è vitale e spesso difficile da reperire; c’è chicammina chilometri per recarsi alla fonte più vicina.

Questa condizione di povertà ha intensificatol’esodo di chi abita in campagna verso la capitale o iprincipali centri urbani, per poter aver accesso ai prin-

6. La questione

21HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

Una collettività abituataa vivere nella sofferenzadell’emergenza, in baliadella microcriminalità;un popolo in cui lamaggioranza vive in unostato di sottoalimentazionema che ha sviluppatouna forza fisica e psicologicatale da riuscire a sopravviverein condizioni estreme

cipali servizi di base (strade, luce, acqua, ospedali,scuole) e cercare delle opportunità, ingrossando a di-smisura le periferie. Chi invece decide di restare nellezone rurali, vive per lo più di un’economia di sussi-stenza, allevando animali, coltivando la terra, con me-todi fortemente arretrati, in un territorio che, a causadel degrado ambientale, diventa sempre più impro-duttivo. Nelle zone rurali rimangono per lo più gliadulti e spesso sono i genitori stessi, data la dura re-altà, a spingere i propri ragazzi ad andare verso i centriabitati. Tra le famiglie è abbastanza diffusa l’abitudinedi affidare a un famigliare (concetto che ad Haiti èmolto allargato), a un vicino o ad altri nuclei famigliariche vivono in città uno o più figli in giovane età – 6anni o poco più – che in cambio di lavori domesticivengono mantenuti e inseriti a scuola.

Condivisione e solidarietà si tro-vano tra i più poveri e consentono amolte famiglie di riuscire a soprav-vivere, creando però la tendenza ariprodurre continuamente condi-zioni di indigenza e precarietà, met-tendo a repentaglio la possibilità diconquistare condizioni di vita soste-nibili in un futuro a breve termine.Allo stesso modo, tra la borghesia viè invece un sistema di scambio difavori che rafforza i legami trapoche famiglie, garantisce loro lastabilità, la posizione dominante nelPaese e riproduce un vero e propriostatus quo. La superficie di Haiti è poco più grande diquella della Sicilia: stupisce come in un territorio cosìpiccolo ci sia uno spaccato sociale così grande.

La società haitiana è divisa in due: ci sono posti incui possono accedere solo i pochi ricchi, quartieri neiquali i mezzi pubblici (tap tap) non hanno il permessodi entrare, ristoranti costosissimi e supermercati rifor-niti di ogni bene. Per contro esistono luoghi isolatiquasi irraggiungibili, quartieri come Cité Soleil, in cuila polizia ha paura ad entrare perché sono totalmentein mano a delle bande, e il livello di delinquenza è spa-

ventoso, tanto che alcuni bambini girano con le armiper potersi difendere.

Si tratta di uno spaccato che è ben visibile nell’or-ganizzazione sociale haitiana, la quale è molto gerar-chizzata: «C’è sempre qualcuno “al di sopra” al qualesi è sottomessi e qualcuno “al di sotto” che si vuole sot-tomettere. “Tout moun pa moun 43” dice un’espres-sione popolare che ricorda la relazione schiavo-padrone del tempo della colonia.

Abbiamo così la coesistenza di due società estre-mamente distanti: da un lato le tantissime famiglieche vivono in miseria e dall’altro coloro che vivono nellusso e si relazionano con il resto della società se-condo un principio di sottomissione-dominazione.

Il “ba mwen...” (dammi) dei più poveri nei confrontidel “blan“ (bianco) o del borghese haitiano tende a ri-

produrre anch’esso il sistema colo-niale. Il povero dipende dalle bri-ciole del più ricco e così facendo siricreano le condizioni per il suo as-servimento» 44.

I poveri di Haiti e del mondo in-tero gridano tutta la loro indigna-zione, sono stanchi di subireingiustizie che i loro occhi vedonoe i loro cuori sentono.

La loro voce non fa dormire e,come scrisse circa cinquant’anni faPapa Paolo VI, le cui parole sono distraordinaria attualità: «le disu-guaglianze economiche, sociali e

culturali troppo grandi tra popolo e popolo provo-cano tensioni e discordie, mettono in pericolo lapace… la condizione delle popolazioni in via di svi-luppo deve formare l’oggetto della nostra conside-razione; diciamo meglio, la nostra carità per i poveriche si trovano nel mondo – e sono legione infinita –deve divenire più attenta, più attiva, più generosa.Combattere la miseria e lottare contro l’ingiustizia èpromuovere, insieme con il miglioramento delle con-dizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti,e dunque il bene comune dell’umanità» 45.

22 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Abbiamo la coesistenzadi due società distanti:da un lato le tantissimefamiglie che vivonoin miseria e dall’altrocoloro che vivono nellusso e si relazionanocon il resto della societàsecondo un principio didominazione-sottomissione

L’impegno di Caritas Italiana ad Haiti si è intensificatoin seguito al terremoto del 12 gennaio 2010, eventoche ha sconvolto il Paese caraibico, già duramenteprovato dalla povertà. L’emergenza è passata, ma c’èancora moltissimo da fare per cercare di risolvere tuttiquei problemi fortemente radicati nel sistema socialehaitiano riguardanti salute, alimentazione, educa-zione, giustizia, violenza, sovrappopolamento dellecittà, difficile accesso ad acqua e luce, mancanza di co-municazioni.Fin dal primo momento, Caritas Italiana ha orientatola propria azione prioritariamente verso i più povericon un lavoro di partecipazione agli interventi dellarete internazionale Caritas, all’accompagnamento diCaritas Haiti nel rafforzare il proprio sistema, cosìcome le attività comunitarie e pastorali delle 10 Cari-tas diocesane del Paese; infine finanziando progetti eseguendo altri partner, come congregazioni religiose,organizzazioni di base e associazioni.

2010 Inizialmente si è intervenuto per fronteg-giare l’emergenza; in seguito le azioni sono state indi-rizzate in favore delle persone più vulnerabili. Leprime operazioni si sono concentrate nelle zone gra-vemente colpite dal sisma per fronteggiare l’urgenzaimmediata a sostegno degli sfollati che si calcola fos-sero circa 1 milione e mezzo. Sono state fornite tende,distribuiti aiuti alimentari, acqua e kit di cucina. Qual-che mese dopo, a ottobre, nelle aree del nord-est incui si diffuse un’epidemia di colera che provocò circa3.000 vittime, e in quelle a rischio, sono state costruitelatrine, distribuiti kit igienici, fornite cisterne con filtrispecifici per purificare l’acqua e organizzati incontri diformazione alla popolazione.

2011 In considerazione dei moltissimi edifici crol-lati (le zone colpite dal sisma erano un cumulo di ma-cerie), diversi interventi si sono concentrati sullaricostruzione, alcuni di essi iniziati già l’anno prece-dente. Sono state costruite case, un ospedale, cliniche,pozzi, scuole e centri professionali, sia in zone ruraliche urbane, allo scopo di facilitare il rientro degli sfol-lati e il reinserimento sociale dei minori di strada o instato di abbandono, con azioni volte alla scolarizza-zione di base e professionale.

2012 Si è pensato di intensificare le operazioninelle zone di montagna, zone che pochi conoscono,dove si arriva a fatica, a volte dopo ore di cammino.Sono stati avviati molti progetti, accompagnati daspazi di formazione specifici, volti alla crescita agricola,

al sostegno dell’allevamento di bovini e capre, allacreazione di bacini piscicoli, alla riforestazione, allaconservazione del suolo, ad attività di microcredito egeneratrici di reddito, come nel caso di quelle per tra-sformare le materie prime in prodotti finiti (marmel-late, burro d’arachidi, vino, cassave).

2013 In seguito alla linea di interventi dell’annoprecedente, si è avvertita l’esigenza di offrire, alle or-ganizzazioni contadine di base e alle piccole e medieimprese locali, servizi che favorissero il loro rafforza-mento strutturale e operativo. Per questo sono stateorganizzate sessioni formative specifiche e realizzateattività di facilitazione e promozione della salute comeprogrammi nutrizionali, costruzione ed equipaggia-mento di cliniche e dispensari medici. È stato inoltreavviato un primo lavoro di analisi sull’ambito carcera-rio e sulla salute mentale.

2014 Sono state sviluppate le prime azioni direttee concrete nel carcere, con l’obiettivo di contrastaregli effetti negativi della detenzione preventiva prolun-gata e la gestione alternativa dei conflitti, fornendoassistenza legale a diversi detenuti, proponendo corsiprofessionali di falegnameria e sartoria, nonché atti-vità artistiche, ludiche e ricreative, come sport, teatroe musica, religiose e sostegno spirituale. Sono inoltrestati implementati processi di accompagnamento peril reinserimento socio-educativo-famigliare dei bam-bini di strada o in stato di abbandono.

2015 Si è risposto immediatamente alla graveemergenza degli estradati haitiani, che negli anni pre-cedenti erano emigrati nella vicina Repubblica Dome-nicana e poi sono stati forzatamente rimpatriati, inmolti casi infrangendo le leggi internazionali e il di-ritto alla cittadinanza. Si è inoltre rinnovato l’impegnonel settore carcerario ed è continuato l’accompagna-mento a minori e adolescenti di strada. È proseguitoanche l’impegno nelle zone rurali per sostenere e raf-forzare gli interventi delle piccole organizzazioni con-tadine di base.

23HAITI | CONCENTRATO DI POVERTÀ

7. L’impegno di Caritas Italiana

24 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Caritas Italiana continua ancora il proprio impegnoad Haiti – in collaborazione con le Commissioni dellaConferenza Episcopale Haitiana, Caritas Haiti, le diocesie le Congregazioni presenti sul territorio – a sostenerele attività per le fasce deboli e vulnerabili. Le necessitànel Paese caraibico sono infatti ancora tantissime.

I sei anni di presenza ad Haiti hanno visto CaritasItaliana focalizzarsi ogni anno su specifici ambiti a so-stegno della popolazione, garantendo una presenzacontinua in tutte le principali aree di intervento.

Grazie alla generosità del popolo italiano, attra-verso la colletta straordinaria promossa dalla Confe-renza Episcopale Italiana il 24 gennaio 2010, è statopossibile raccogliere 25 milioni di euro per aiutare inostri fratelli haitiani. Ad oggi gli italiani, che con fidu-cia hanno affidato le loro offerte alla Chiesa, insieme

all’aiuto di Caritas Italiana, hanno finanziato 192 pro-getti di solidarietà, per un importo di oltre 23 milionidi euro, pari al 92,6% di quanto raccolto. I destinataridiretti di tali interventi sono stati: oltre 48.000 persone (tra cui quasi 600 bambini)

nell’ambito degli aiuti immediati; circa 24.000 persone nell’ambito della ricostruzione; oltre 36.000 persone nell’ambito socio-economico; oltre 10.000 persone nell’ambito idrico-sanitario; oltre 4.000 persone (di cui 1.900 bambini e giovani)

nell’ambito animazione/formazione/istruzione.

La maggior parte dei progetti sono stati realizzatinelle zone più colpite dal sisma (Dipartimenti Ovest eSud-Est), senza però dimenticare tutti gli altri Diparti-menti in cui è suddiviso il Paese (10 Dip. – 10 diocesi).

Nord-Ovest

NordNord-Est

Artibonite

Centro

Ovest

(Port-au-Prince)

Sud-EstSud

Grand’AnseNippes

INTERVENTI DI CARITAS ITALIANA AD HAITI

Totale risorse impegnate: € 23.176.402,68

Più del 35% degli interventi a carattere idrico/sanitario rappresentanoprogetti volti esclusivamente a far fronte all’epidemia di COLERAdel 2010 e alle recrudescenze di questa epidemia dell’estate 2015

Animazione/FormazioneIstruzione

€ 8.489.866,0036,63%

Sociale/Economico/

Agricolo€ 7.902.306,00

34,10%

IdricoSanitario

€ 2.845.971,0012,28%

Assistenzasfollati

€ 2.792.708,0012,05%

Gestione€ 1.145.551,68

4,94%

PER AMBITI PER DIPARTIMENTI

L’intensità del coloredi ciascun Dipartimento

è direttamente proporzionalealle risorse impiegate

per la realizzazione dei progetti

Per maggiori informazioni e per contribuire ai progetti di Caritas Italiana:

Ufficio America Latina e Caraibi | tel. 06 66177409 | [email protected] | www.caritas.it

NOTE

Introduzione1 Evangelii gaudium, esortazione apostolica, Papa Francesco,

Edizioni San Paolo, cit. pag 216.2 Dati pubblicati da wfp.org/es nella sezione Noticias: 10

datos sobre el hambre en Haiti. Visibile al seguente link :http://es.wfp.org/historias/10-datos-sobre-el-hambre-en-hait%C3%AD

3 L’isola dimenticata. Viaggio a Haiti, Gabriele Gamberini, Edi-zioni di Torino, cit. pag 82.

4 Dato pubblicato nel documento “hdr14_statisticaltables”visibile sulla pagina web di UNDP nella sezione Internatio-nal Human Development Indicators:http://hdr.undp.org/en/countries

5 Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune,Papa Francesco, Edizione Paoline, cit. pag 37.

6 Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune,Papa Francesco, Edizione Paoline, cit. pag 36.

Capitolo 17 Politica. Aristotele, Biblioteca Universale Rizzoli, cit. pagg.

361-363.8 Dati pubblicati in Grandi diseguaglianze crescono e Un’eco-

nomia per l’1%. Rapporti di Oxfam Italia ai meeting diDavos 2015 e 2016.

9 Dati pubblicati da wfp.org/it nella sezione Notizie: GliObiettivi di Sviluppo del Millennio 2015:http://it.wfp.org/storie/gli-obiettivi-di-sviluppo-del-mil-lennio-2015

10 Citazione dalla pagina web della campagna Una sola fa-miglia umana, cibo per tutti: è compito nostro:www.cibopertutti.it/campagna

11 Ibidem.12 Dato pubblicato da wfp.org/it nella sezione Statistiche

sulla fame nel mondo: http://it.wfp.org/la-fame/statistiche 13 Dato raccolto dal Rapporto UNICEF-OMS Ending Preventa-

ble Child Deaths from Pneumonia and Diarrhoea by 2025,anno 2013, pag. 10.

14 Dato pubblicato da UNICEF, articolo Scuola secondaria, nelmondo 63 milioni restano fuori dall’aula:http://www.unicef.it/doc/6035/scuola-secondaria-nel-mondo-63-milioni-restano-fuori-dalla-aula.htm

15 Dato pubblicato dalla rivista El Mundo, articolo 60 milionesde personas sin hogar por los conflictos: www.elmundo.es

16 Dato pubblicato da Idmc nel rapporto Global Estimates2015, pag 8.

17 Dato pubblicato da The Post Internazionale, articolo La di-soccupazione mondiale aumenterà: www.tpi.it

18 Rapporto sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo glo-bale, di Nicola Acocella, Giuseppe Ciccarone, MaurizioFranzini, Luciano Marcello Milone, Felice Roberto Pizzuti eMario Tiberi, cit. pag. 56.

19 Disuguaglianza economica: numeri, cause e conseguenze, 8.Conclusioni, Dario Ruggiero.

Capitolo 220 Dati pubblicati dal Factbook della CIA: web www.cia.gov21 Citazione dal testo America Latina, sviluppo dai piedi d’ar-

gilla, Alessandro Armato: http://www.missionline.org

22 Panorama Social de America Latina, CEPAL, 2014, cit. pag. 11.23 Dati pubblicati nel Report Panorama Social de America La-

tina, CEPAL, 2014, cap 1.24 Ibidem.25 Citazione dall’articolo Pobreza y desigualdad en América La-

tina (1980-2014), pubblicato sul blog della rivista El Pais:http://blogs.elpais.com

26 Dato pubblicato dalla rivista El Confidencial, articolo inti-tolato 43 de las 50 ciudades más peligrosas del mundo estánen América Latina: http://www.elconfidencial.com

27 Dati pubblicati dall’ufficio UNESCO di Santiago nell’arti-colo Educación para Todos 2000-2015: América Latina y elCaribe logran avances, pero necesitan enfocarse fuertementeen los más desfavorecidos: http://www.unesco.org/new/es

28 Dati esposti durante il seminario IAS Desafíos prospectivospara el Sistema de Salud de Chile en el 2025, svoltosi il 14agosto 2014 a Santiago del Cile.

29 1998/1999: América Latina frente a la desigualdad, IPES (In-forme de Progreso Económico y Social), citazioni a partiredalla pagina 18.

30 Latinoamerica, canzone del gruppo Calle13, 2011.

Capitolo 331 Documento Europa 2020, una strategia per una crescita in-

telligente, sostenibile e inclusiva.32 Documento Vers la Refondation du Système Éducatif Haïtien.

Plan Opérationnel 2010-2015 Des Recommandations du Groupede Travail sur l'Éducation et la Formation, cit. introduzione.

33 Dati pubblicati da UNICEF: www.unicef.org, sezione Stati-stics and Monitoring.

34 Documento Evaluation de la coopération de l’Union euro-péenne avec la République d’Haïti.

35 Documento Aiuti umanitari e protezione civile: http://eu-ropa.eu/index_it.htm, sezione L’UE per tema.

36 Documento Regolamento (UE) N. 1304/2013 del Parla-mento Europeo e del Consiglio relativo al Fondo socialeeuropeo: http://eur-lex.europa.eu.

37 Vedere nota 32.38 Notizia visibile sulla pagina web del MENFP:

http://menfp.gouv.ht, sezione Communiqué de Presse, LaFrance et Haïti renforcent leur coopération en éducation.

Capitolo 439 Dato pubblicato in Quando crescere è una sfida. Il caso di

Haiti, a cura di Michela Offredi, Caritas Italiana, 2014.

Capitolo 640 Laudato si’, Lettera enciclica sulla cura della casa comune,

Papa Francesco, Edizione Paoline, cit. pag. 69.41 Evangelii gaudium, esortazione apostolica, Papa Francesco,

Edizioni San Paolo, cit. pag. 204.42 L’isola dimenticata. Viaggio a Haiti, Gabriele Gamberini, edi-

zioni di Torino, cit. pag. 136-137.43 Un detto in creolo che significa «non tutti gli uomini sono

uomini (allo stesso modo)».44 Espressione in creolo che significa «dammi…».45 Parola creola che significa «bianco».44 L’isola dimenticata. Viaggio a Haiti, Gabriele Gamberini, edi-

zioni di Torino, cit. pag. 22.45 Populorum Progressio. Lettera enciclica di Papa Paolo VI, 76,

26 marzo 1967.

26 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Povertà è schiavitù. Essere poveri significa essere schiavi. Spesso senza alcunapossibilità di riscatto.

Liberare un popolo, un Paese è possibile. Ma se non ci sono determinate condi-zioni dalla povertà non ci esce. E si resta schiavi.

Occorre in primo luogo investire in istruzione e formazione per dare un futuro aun Paese come Haiti, dove diseguaglianze e miseria sono particolarmente “con-centrate”.

Proprio ad Haiti, infatti, il 100% delle scuole comunitarie non riceve né testi némateriale dallo Stato e solo il 22% delle scuole rurali ha sempre accesso alla cor-rente elettrica.

La scuola può, invece, diventare un decisivo strumento di liberazione. A patto chevi sia un’azione comune di tutta la società civile e politica, dalla famiglia allo Stato,dal non profit alla Chiesa.

I precedenti dossier (disponibili su www.caritas.it; shortlink alla sezione: http://bit.ly/1LhsU5G):

1. GRECIA: Gioventù ferita – Gennaio 2015

2. SIRIA: Strage di innocenti – Marzo 2015

3. HAITI: Se questo è un detenuto – Aprile 2015

4. BANGLADESH, INDIA, SRI LANKA, THAILANDIA: Lavoro dignitoso per tutti – Maggio 2015

5. BOSNIA ED ERZEGOVINA: Una generazione alla ricerca di pace vera – Giugno 2015

6. GIBUTI: Mari e muri – Giugno 2015

7. IRAQ: Perseguitati – Luglio 2015

8. REPUBBLICA DEL CONGO: «Ecologia integrale» – Settembre 2015

9. SERBIA E MONTENEGRO: Liberi tutti! – Ottobre 2015

10. AFRICA, AMERICA LATINA, ASIA: Un’alleanza tra il pianeta e l'umanità – Dicembre 2015