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DOSSIER Giovanni Boine IL PECCATO 1

Dossier - Il peccato di Giovanni Boine

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Page 1: Dossier - Il peccato di Giovanni Boine

DOSSIER

Giovanni Boine IL PECCATO

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INDICE

PRE-TESTO

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TESTO

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AUTORE

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CONTESTO

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Boine europeo e moderno

PRE-TESTO

Roberto Mosena

Quando la tisi, nel 1917, tolse dagli occhi di Giovanni Boine quelle nu­vole che teneva per care, specie se gon fiate da vento di bufera, Montale appuntò nel Quaderno genovese:

È morto Boine!!! Questa notizia mi ha fatto molto male. Per l’avanguar­dia (parlo della parte seria di essa) il danno è incalcolabile. Ma che ci siano rapiti tutti quelli che valgono qualche cosa? Era un critico d’oro nella rassegna spicciola dei libri; un poeta che sapeva affascinare con certi moti e certi sospiri di stanchezza che sgorgavano dalle sue pagine tra linea e linea. Più che una promessa, una affermazione. Mi dispiace­rà sempre di non averlo conosciuto. La “Riviera Ligure” ne resta come di minuita.

Secondo Eugenio Montale, Boine era uno “scrittore d’avanguardia”, della parte seria di essa. Con «avan guardia» Montale intendeva di sicuro connotare positi­vamente lo scrittore, affermando che si trovava in una posizione pole­mica e innovatrice rispetto alla tradizione. Ma Montale si riferiva anche a quel complesso moto cultu rale che av­vertì la crisi delle vecchie strutture intellettuali e morali ottocente­sche, proponendo una rivolta contro quel mondo, contro la mediocrità borghese e la cultura del positivismo. Una rivolta connotata anche da speri mentalismo, suggestionata dall’irrazionalismo europeo, dal pragmatismo. La “parte seria di essa”, in Italia, era quella vociana, che innegabilmen­te contribuì a sensibi lizzare le coscienze, la parte meno seria, si può intendere, era forse quella dei Papini, dei Soffici, che contribuirono a rivestire quella rivolta di coloriti velleitari che in parte già conteneva­no in sé il prossimo ritorno all’ordine. Non è questa la sede per una discussione più ampia del pro blema, ma pare chiaro che Montale seppe distinguere subito, e meglio di Croce, le zeppe dalle pagliuzze d’oro, come afferma Arcangelo Leone de Castris:

E il torto, conseguente, fu forse, in quella tenace e anche eroi ca batta­glia del Croce, nel non distinguere i nemici effettivi della ragione dai sofferenti dissacratori di una ragione, i facili iconocla sti dell’avventura dai testimoni angosciati di una frattura storica, i pescatori nel torbi­do da coloro che rifiutavano un ordine perché ne sentivano la reale oppressione, i Papini e i Prezzolini e i D’An nunzio dai Pirandello e dai moralisti vociani.

La generazione vociana, che aveva sperato in Croce, perse così un punto di riferimento, la guerra portò poi a compimento il processo d’esaurimento di quelle forze innovative, così si svilupperà quella ten­denza a dimenti care l’impegno vociano per un appello alla purezza e au tonomia delle lettere o il bisogno di un ritorno all’ordine dopo una stagione d’inquietudini e incertezze.Proprio da qui, affidandoci ancora alle riflessioni di Montale si può in­dovinare il peso di parole come stile, tradizione, innovazione. [...]

Dalla Prefazione

BIOGRAFIA

Roberto Mosena si è formato all’Università di Roma Tor Vergata dove ha conseguito la laurea in Lettere, due corsi di perfezionamento in Lin­gua e letteratura italiana e il dottorato di ricerca in Italianistica.Nella stessa università ha insegnato come professo­re a contratto. Nell’ultimo triennio ha svolto attività di ricerca e conseguito un secondo dottorato in Comunicazione della let­teratura e della tradizio­ne culturale italiana nel mondo all’Università per Stranieri di Perugia.È autore di numerosi vo­lumi e saggi sulla lettera­tura italiana degli ultimi tre secoli.

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TESTO

Giovanni Boine

“I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato.

(I. Calvino)”

Giovanni Boine

Un titolo che ammicca ad atmosfere verghiane per anticipare invece il grande romanzo del Novecento.

Gli elementi topici della narrativa europea – un giovane uomo, una donna, la provincia – sono puro pretesto per una sorprendente antici­pazione delle più raffinate dimensioni espressionistiche dove l’amore atterra nel momento stesso in cui fa volare.

L’opera si muove in un contesto atemporale mentre nel vecchio mon­do si avvicina la più devastante delle guerre.Nel paese in cui il protagonista torna a vivere dopo gli studi, il conflit­to è assente, risucchiato, per così dire, tutto all’interno della tensione all’equilibrio interiore, nella sua esistenza lontana da quella della co­munità in cui vive e di cui rifiuta schemi e pregiudizi.

L’incontro con l’amore sarà la scoperta del bambino interiore, che guarda per la prima volta il mondo piangendo per esso, e insieme dell’adulto che trasforma lo smarrimento in forza e disincanto.

Pubblicato in tre puntate nel 1914 sulla rivista «La Riviera ligure», il testo si avvicina – grazie a una serie di studiate soluzioni narratologi­che­ e spesso anticipa Schnitzler, Svevo, Mann, Joyce.

Si respira l’Europa, infatti, in queste pagine tormentate nella forma e nel contenuto, lo spavento della Grande Guerra alle porte e il presagio della  frattura inevitabile tra l’Uomo e le cose che i “tempi moderni” porteranno.

Il peccato (1914)

ISBN: 978-88-98455-01-0COLLANA: La stanza della LetturaDATA: Settembre 2013FORMATO: 21×14PAG. 117PREZZO: Euro 11,00

CollanaLa stanza della Lettura

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Giovanni Boine (1887­1917) scrittore e critico letterario italiano. Gio­vanissimo, collaborò con le riviste «Il Rinnovamento» e «La Voce» ma sempre con una precisa e polemica impronta originale (celebre il suo attrito “estetico” con Croce).Partecipò attivamente ai movimenti culturali italiani di quegli anni – intrecciando rapporti con Papini, Serra, Aleramo, di cui fu intenso e fugace amante.

Tra i suoi scritti, le acute recensioni di Plausi e botte pubblicate su «La Riviera Ligure» tra il 1914 e il 1916, gli interventisti Discorsi militari (1914) e le prose di Frantumi (1918).Morì a soli 31 anni stroncato dalla tisi e seppure resta nelle sue opere il senso di un destino letterario incompiuto, Montale stesso gli riconobbe, come a Sbarbaro, il debito poetico per quel gusto “scabro e vetrino“ della parola.

Giovanni Boine

AUTORE

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Sibilla Aleramo

CONTESTO

La cultura italiana del primo 900, in quell’arco di tempo a ridosso della Grande Guerra, era davvero un’officina di idee che le riviste accoglie­vano e lanciavano. Un momento delicato: il positivismo non era più in grado di rappre­sentare il fervore dell’epoca percorsa da correnti idealistiche, spiritua­lismi laici, irrazionalismo misticheggiante, pragmatismo sociale.

Un caos meraviglioso che si rifletteva nelle avventure delle riviste che cambiavano rotta in funzione dei diversi direttori o della potenza re­dazionale. 

I temi? Enormi: Mezzogiorno, suffragio universale, analfabetismo e scuola, cultura popolare, “città/campagna”... ma anche una grande at­tenzione a ciò che accadeva oltr’Alpe, lì... in Europa.

Numerose furono le anime femminili: scrittrici e giornaliste che colla­boravano a più giornali e pubblicavano anche autonomamente soprat­tutto nel campo della letteratura per l’infanzia, come Paola Lombroso. La loro carriera iniziava con la pubblicazione di articoli in periodici femminili o giovanili e, successivamente, continuava nelle redazioni di quotidiani anche nazionali (Matilde Serao in «Capitan Fracassa»). 

Così il percorso di Sibilla Aleramo che dirige per qualche tempo «L’I­talia femminile» a Milano e che poi, trasferitasi a Roma, approda alla rivista diretta da Giovanni Cena («La Nuova Antologia») e di lì a poco, nel 1906, pubblica Una donna, il suo capolavoro. 

Nel 1911, trasferitasi a Firenze, diviene collaboratrice de «La Voce» e sono gli anni in cui Boine elabora un testo tipicamente “vociano” (sotto la direzione di Prezzolini): La crisi degli olivi. L’Italia di allora si interrogava sulle identità locali per far conoscere, nel bene e nel male, gli italiani a loro stessi...

Cara Sibilla Aleramo,

Sono balordo di febbre. Ho ricevuto il tuo espresso. Non venire. Proprio non posso dirti null’altro che quello che ho detto. Volevo amarti, ti ho amato. Un assieme di cose che mi stanca ora analizzare han deviata la mia febbre verso un affetto questo da figlio a mamma. Non potrò avere per te che della devozione e della tenerezza.Volevamo essere uomo e donna e non si può”.

Giovanni Boine

[lettera da Porto Maurizio, 4 marzo 1915; citato in Giovanni Boine, Ami­ci de «La Voce», 1904­1917].

Le anime femminili del primo ‘900

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AUTORE

Dino Campana

Ritratto di Giovanni Boine di Mario Novaro (1905)

La riviera di Novaro

Mario Novaro, poeta e filosofo, fratello dello scrittore Angiolo Silvio Novaro, fu uno degli animatori culturali più vivaci d’inizio Novecento. Nel 1912 pubblicò il libriccino di versi Murmuri ed echi, fin dal titolo in piena consonanza con la titolazione riduzionistica degli altri liguri; Il libro dei frammenti, Sillabe ed ombre di Roccatagliata Ceccardi, Pianissimo di Sbarbaro, Frantumi di Boine, Ossi di seppia di Montale, e come questi ha al centro lo stesso paesaggio ligure. Novaro diresse fino al 1919 la rivista «La Riviera Ligure» che ospitò po­eti e scrittori importanti come Pascoli, Roccatagliata Ceccardi, Jahier, Boine, Campana, Sbarbaro. Proprio sulla stessa rivista Boine pubblicò, oltre a Il peccato, le famose recensioni di Plausi e botte, segnalando fra gli altri i tre più straordinari casi della poesia italiana di quegli anni: i versi orfici di Campana, i frammenti lirici di Rebora, le poesie scabre e dimesse di Sbarbaro. Mario Novaro fu stretto amico di Giovanni Boine, ammiratore dei suoi vari interessi culturali, soprattutto di carattere etico.Nel 1938 ne curò un’edizione dell’opera.

Egregio Signor Novaro,

con dispiacere appresi troppo tardi che Boine si trovava a Firenze. Oltre il piacere di conoscerlo mi avrebbe fatto conoscere a Lei: mi riferisco al proverbio: il diavolo non è tanto brutto come si dipinge. [...] Sappia intanto che ho sostenuto e sostengo che Sbarbaro vale più di tutti i vocioni (voci + ani) a piena orchestra.

Dino Campana

[lettera con la quale Campana inviò a Novaro il testo Arabesco­Olimpia, apparso per la prima volta nel 1915 su «Tempra» di Pistoia].

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