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Dott. Massimo · PDF file2 . INTRODUZIONE In ogni gruppo esistono processi che * TENGONO UNITI – forze centripete – * POSSONO SMEMBRARE LA COESIONE INTERNA – forze centrifughe

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Dott. Massimo Monti

GRUPPI

INTRODUZIONE pag. 2

1. QUALCOSA SUI GRUPPI 7

- appartenenza - conflitti di identità - dentro il gruppo

2. IL GRUPPO CHE CRESCE 11

- colonna vertebrale – e altre robe vitali

3. COME SI CAPISCE IL GRUPPO? 18

- dalla parte dell’individuo – dalla parte del collettivo – integrazione individuale sociale

4. GRUPPO DI LAVORO E LAVORO DI GRUPPO 23

- gruppo di lavoro – lavoro di gruppo – emergenza psicologica – i bisogni individuali

– i bisogni del gruppo – il bisogno di equilibrio – l’emergenza sistemica

5. DINAMICA DEI GRUPPI 33

- sulla dinamica dei gruppi – intorno ai fenomeni di gruppo

6. ORGANIZZAZIONE E DINAMICA DEI GRUPPI DI DISCUSSIONE 38

- ruolo, tensione, coesione e dissociazione – strutture formali ed autorità

– morale e demoralizzazione- maturità in un gruppo – sulla decisione di gruppo

7. DINAMICA DEI GRUPPI COME METODO DI AZIONE 47

- ragionando del gruppo T – mutamento personale e sociale – ultima chiacchierata

BIBLIOGRAFIA 53

INDICE

2

INTRODUZIONE

In ogni gruppo esistono processi che * TENGONO UNITI – forze centripete –

* POSSONO SMEMBRARE LA COESIONE INTERNA – forze centrifughe.

La scoperta che il lavoro di gruppo rappresenta un fenomeno complesso si deve a RINGELMANN

TEORIA DEL DEFICIT DI GRUPPO (

, agronomo francese che alla fine dell’800, analizzando dati legati al gioco del tiro alla fune, constatò che l’individuo da solo tende a impegnarsi di più di quando è in gruppo.

Per compiti di tipo motorio, possiamo supporre che siano problemi di COORDINAZIONE a produrre perdite di efficienza; ciò è collegato a perdite di impegno presumibilmente legate a problemi di MOTIVAZIONE.

I. STEINER)1

1. problemi di COORDINAZIONE;

– La produttività potenziale solo molto raramente è raggiunta dalla produttività di gruppo in quanto vi sono perdite dovute a processi imperfetti:

2. problemi di DINAMICHE INTERNE del gruppo dovuti a differenziazione di ruolo, status, importanza dei membri;

3. problemi di MOTIVAZIONE – il soggetto che conta solo su se stesso si impegna molto di più a raggiungere l’obiettivo di quanto lo faccia quando conta sulla collaborazione di compagni – fenomeno dell’INERZIA SOCIALE.2

Altro aspetto del lavoro di gruppo riguarda i PROCESSI DECISIONALI che implicano una presa di rischio nelle scelte. I gruppi tendono infatti a estremizzare, a rendere ancora più marcate le propensioni che li caratterizzano sin dall’inizio; i gruppi in cui i

1 STEINER, I.D., Paradigms and groups, 1986 2 LATANE’, B., The social impact of majorities and minorities, 1981

3

membri sono in media inclini ad essere prudenti proporranno scelte collettive ancora più prudenti – l’opposto nei gruppi che propendono per il rischio.

E’ il fenomeno detto POLARIZZAZIONE:

MOSCOVICI – non tutti i gruppi posti di fronte alla necessità di prendere decisioni arrivano a consensi polarizzati, ma alcuni propendono per il compromesso con membri che rinunciano ad alcuni aspetti delle loro convinzioni per arrivare a un accordo mediano ed evitare il conflitto.3

Tendono altresì maggiormente a polarizzare quei gruppi in cui si discute di più e si hanno conflitti perché tale situazione aumenta l’implicazione dei membri ed in cui più è sentita l’identificazione al proprio gruppo in quanto attraverso consensi decisionali estremizzati di desidera segnalare la propria appartenenza ad un gruppo e la propria differenza dai gruppi esterni.

ATTRAZIONE INTERPERSONALE: le persone diventano gruppo perché provano simpatia reciproca, attrazione le une per le altre, stanno bene insieme.

SENSO DELLA COESIONE

4

E’ evidente che il concetto di coesione si riferisce a qualcosa di più complesso:

TAJFEL

– Teoria dell’IDENTITA’ SOCIALE – se il comportamento interpersonale, caratterizzato dai legami indiretti tra individui, può presupporre una coesione basata sull’attrazione, il comportamento intergruppi è caratterizzato dalla priorità dell’appartenenza di un gruppo ed in questo caso la coesione si basa su di una attrazione sociale che spinge a difendere a spada tratta tutti i componenti del gruppo e a dare all’esterno un’immagine di unione e compattezza.

3 MOSCOVICI, S., On social representation, 1981 4 FESTINGER, L. – SCHACTER, S., Social pressure in informal groups, 1950

4

Dimensione del NOI versus dimensione dell’IO.

CONFORMISMO

E’ fenomeno molto comune e quasi ordinario di influenza sociale. Quando in un gruppo si evidenzia una posizione portata avanti dalla maggioranza o da un leader influente, è possibile che i membri tendano ad aderire a tale posizione anche quando è in contrasto col proprio modo di pensare. E’ fenomeno che mira a tenere il gruppo unito.

ASCH

• per COMPIACENZA - situazione di conformità in cui rispondo “pubblicamente” come gli altri anche se penso divergentemente;

– forse il primo grande psicologo sociale a mettere a prova sperimentale il conformismo:

perché ci si conforma all’influenza del gruppo anche se non si ritiene che la posizione portata avanti sia corretta?

• per ACCETTAZIONE – situazione di conformità dovuta a una forma di sottomissione al giudizio collettivo;

• per CONVERGENZA – a differenza della compiacenza si ha un adeguamento anche interiore alla posizione maggioritaria.5

Esempio estremo:

OBBEDIENZA AD UN’AUTORITA’ CONSIDERATA LEGITTIMA – S. MILGRAM 6

MOSCOVICI

5 ASCH, S.E., - Social Psychology, 1958 6 MILGRAM, S., Obedience to authority, 1974

– Tra individuo e gruppo esistono continui processi di negoziazione e il conformismo è solo uno dei possibili siti di tali processi che portano semmai alla normalizzazione, da non confondere con il conformismo in quanto si tratta di una

5

influenza reciproca tra i membri del gruppo che avvicinano le loro rispettive posizioni evitando il conflitto7.

• Quando il deviante è il singolo individuo: se il gruppo è “aperto”, il dissenso è accolto come un contributo importante, mentre se è “chiuso” è considerato una minaccia di destabilizzazione.

DISSENSO E DEVIANZA

Dissenso e devianza dalle linee maggioritarie sono aspetti continuamente presenti, anche se latenti, nella dinamica dei gruppi sociali.

• Quando il deviante è una minoranza: può avere un potere di influenza molto importante.

MOSCOVICI – Esistono stili di comportamento che rendono influente una minoranza8

1. la consistenza - capacità di mantenere tenacemente le proprie posizioni nel tempo;

:

2. l’investimento - la minoranza è coinvolta e disposta ad affrontare sacrifici e costi personali;

3. l’autonomia - la minoranza appare libera da qualsiasi vincolo; 4. l’equità - capacità della minoranza di guardare con obiettività a posizioni

diverse dalla propria; 5. la rigidità - rifiuto di qualunque tipo di compromesso.

Reazioni della maggioranza nei confronti del dissenso possono essere:

rifiuto esplicito e totale – il deviante è un impostore; rifiuto totale – il deviante forse non ha torto, ma è meglio non dirglielo;

7 MOSCOVICI, S., Notes towards a description of social representation, 1988 8 MOSCOVICI, S., Preconditions for explanation in social psychology, 1988

6

ridicolizzazione – il deviante è un ‘fissato’, un personaggio patetico, su cui fare spirito;

disconferma – il deviante è da trattare con il silenzio e l’indifferenza, come se non ci fosse;

naturalizzazione – si cerca di rovinare la credibilità del dissidente.

Può talvolta accadere che posizioni devianti vengano accolte, anche se gradatamente, dal gruppo, come è nel caso delle minoranze attive. L’influenza minoritaria si manifesterà allora in vari modi, come stimolando la riflessione del gruppo su determinati argomenti o inducendo alcuni membri ad un cambiamento privato.

accesso a risorse limitate

CONFLITTO

Può essere distruttivo – spacca l’equilibrio e la coesione del gruppo; o costruttivo - comporta un arricchimento e un’evoluzione positiva della vita di gruppo.

Perché abbiamo conflitto…

distribuzione ineguale delle opportunità disuguaglianza di idee e opinioni distribuzione ineguale del potere interno

Se il conflitto è una realtà immanente di ogni gruppo, non tutti i gruppi lo affrontano allo stesso modo:

evitamento del conflitto – il conflitto viene evitato sistematicamente per quanto sarebbe comunque necessario affrontarlo;

riduzione del conflitto – il conflitto è già scoppiato e il gruppo prova a ridurne la portata destabilizzante;

7

creazione del conflitto – il gruppo crea intenzionalmente il conflitto o lo acuisce, situazione non necessariamente negativa in quanto può permettere di “sfruttare” produttivamente diversità di posizioni e opinioni.

Uscire dal conflitto: discuterne senza reticenze, accettando l’aspetto “costoso” di tale operazione.

1 -

I gruppi sono alla base della nostra vita sociale; le coordinate attraverso le quali guardiamo il mondo e noi stessi sono nate e si alimentano nei gruppi. Individuo e società devono essere concepiti nelle loro reciproche interrelazioni, per cui se è vero che l’individuo è profondamente influenzato dal contesto in cui vive, è altrettanto vero che egli è in grado di influenzare il proprio ambiente sociale.

I criteri a partire dai quali si può parlare di gruppo:

QUALCOSA SUI GRUPPI

relazioni fra i membri, dirette nel caso dei piccoli gruppi, indiretti nel caso di identità etniche, politiche, religiose, ecc.;

perseguimento di uno scopo comune, che crea interdipendenza tra gli individui;

consapevolezza dei membri di far parte di quel determinato gruppo; appartenenza al dato gruppo recepita anche dagli altri; sentimenti associati all’appartenenza (orgoglio, soddisfazione, ecc.); struttura interna fatta di ruoli, norme, fasce di potere.

A livello di tipologia di gruppo possiamo distinguere per:

numerosità – abbiamo piccoli gruppi (non troppo numerosi, i cui membri interagiscono tra loro) e grandi gruppi (di dimensioni tali da non consentire la conoscenza diretta e l’interazione fra tutti i partecipanti);

8

volontarietà – sulla base della quale distingueremo gruppi volontari (es. gruppi di cacciatori), gruppi di fatto (es. associazione di quartiere) e gruppi imposti (es. gruppo di terapia in una comunità di recupero);

formazione – abbiamo gruppi che nascono spontaneamente – gruppi informali – e gruppi che nascono sotto un’egida istituzionale – gruppi formali;

abbiamo infine gruppi primari (in cui troviamo relazioni intense, dirette e non costrette in limiti formali) e gruppi secondari (più impersonali e definiti esternamente).

Un accenno va dato ai gruppi sperimentali, costruiti dai ricercatori per mettere alla prova ipotesi di ricerca.

1 -1 APPARTENENZA

La vita in gruppo si configura fin dagli esordi della vita di numerose specie animali come una necessità piuttosto che una scelta: da un punto di vista biologico il gruppo dà una base sicura per la sopravvivenza e nel corso dell’evoluzione si sono affinate varie capacità, diverse da specie a specie, per comunicare con i propri simili, per organizzare l’esistenza collettiva dividendo ruoli e funzioni, per resistere alle forze che tendono a disgregare il gruppo di appartenenza. Ma la propensione biologica a una vita di gruppo non implica un’abilità naturale ad interagire facilmente con tutti i membri della propria specie, per cui la crescita dell’essere umano include lo sviluppo di una serie di competenze che facilitano l’integrazione sociale.

Essenziale è il ruolo della cultura: anche l’individuo più isolato e solitario porta i segni della cultura che lo ha prodotto; il nostro vivere nel mondo passa attraverso esperienze di appartenenza diretta a gruppi specifici. La cultura di appartenenza ci rende soggiacenti a ciò che noi siamo come individui – sono le appartenenze che ci designano come membri di una città, di una nazione, come aderenti ad una religione o appartenenti a una razza. La nostra esistenza si svolge nella dinamica a volte conflittuale fra la nostra identità personale, da un lato, e la nostra identità sociale dall’altro che ci identifica come appartenenti a certi gruppi.

9

TAJFEL9

Sempre con Tajfel, decidiamo di identificarci ad un gruppo piuttosto che a un altro in quanto ciò è effetto del meccanismo di categorizzazione sociale per cui gli individui dividono il mondo sociale nelle categorie “noi”(ingroup) e “loro” (outgroup). Tale categorizzazione conduce gli individui ad effettuare confronti che in ogni caso, per bisogno di autostima, svelano la tendenza a favorire il proprio gruppo nella ricerca di una specificità positiva anche quando gli altri paiono superiori.

ha posto al centro della sua opera scientifica proprio lo studio dell’identità sociale, dei suoi rapporti con l’identità personale, delle diverse sfaccettature del comportamento sociale: il nostro comportamento sociale si pone continuamente lungo una linea immaginaria che ha ai propri estremi da un lato il comportamento interpersonale, dall’altro quello intergruppi. Quando siamo verso l’estremo interpersonale, ci comportiamo nei confronti degli altri individui in base alle reciproche appartenenze sociali; l’identità dell’opera è dunque quella sociale.

10

HOGG: l’appartenenza ad un gruppo, oltre che al bisogno di autostima, si deve alla motivazione di ridurre la propria incertezza che è nel bisogno di trovare un significato all’esistenza, cosa che non può essere soddisfatta dal soggetto isolato11.

1 – 2 CONFLITTI DI IDENTITA’

Se la nostra realtà di individui è così permeata di sociale, cosa rimane della nostra essenza individuale?

MEAD

9 TAJFEL, H., Gruppi umani e categorie sociali, 1974 10 TAJFEL, H., Differentiation between social groups, 1978 11 HOGG, G.H., Interpersonal attraction, social identification and psychological groups formation, 1985

sosteneva che all’interno di ciascun Sé personale ci sono un Io e un Me, con l’Io che è la parte più originale e creativa e meno influenzata dalle appartenenze sociali, ed il Me che è la parte più sociale, più “ammaestrata” dalle nostre esperienze di gruppo. Il rapporto tra l’Io e il Me, all’interno di ciascun individuo, è spesso segnato da conflitti e tensioni.

10

Uno stesso individuo potrà, nel corso della vita, risolvere in modi diametralmente opposti lo stesso tipo di conflitto che si ripresenta nel mutare delle condizioni storico-sociali12.

MOSCOVICI definisce la psicologia sociale proprio come la disciplina che si occupa del conflitto tra individuo e società13; tale conflitto è inevitabile in quanto accanto al bisogno di appartenenza ad un gruppo esiste il contrapposto bisogno di differenziarsi e di affermarsi come individui unici e irripetibili.

1 – 3 DENTRO IL GRUPPO

Ogni inizio di appartenenza costituisce una prova cruciale in cui da un lato il gruppo esamina il nuovo membro chiedendosi quali contributi potrà fornire e quali abilità possieda, dall’altro l’individuo cercherà di capire se la nuova appartenenza sarà redditizia in termini di realizzazione di sé e di inserimento sociale.

MORELAND e LEVINE

1. eseguire un accurato esame di ricognizione per scegliere il gruppo giusto;

, psicologi sociali che si occupano di gruppi, hanno individuato quattro tattiche che rendono più facile l’entrata in gruppo:

2. giocare con il proprio ruolo di ‘novellino’ per generare una “captatio benevolentiae”;

3. cercare tra i membri dei referenti, dei tutori che possano aiutare l’inserimento;

4. collaborare con altri nuovi entrati (se ce ne sono)14

12 MEAD, G.H., Mind, self and society, 1934 13 MOSCOVICI, S., op. cit. 14 MORELAND, R.L. – LEVINE, J.M., Progress in small group research, 1990

.

11

Un aspetto importante è rappresentato anche dal momento di sviluppo in cui si trova il gruppo in quanto, se di recente formazione o con un clima di calore interno, vi è più resistenza nei confronti dei nuovi arrivi sentiti come non desiderati. Se invece il gruppo è in una fase di declino il nuovo arrivato è in genere ben accolto in quanto la sua entrata viene vista come una possibilità di risanamento o come l’acquisizione del definitivo sfaldamento del gruppo.

2 – IL GRUPPO CHE CRESCE

La socializzazione è il processo di apprendimento sociale per il quale l’individuo diviene membro di un gruppo. Essa non consiste in un processo unidirezionale di influenza sociale, cioè dal gruppo all’individuo, ma piuttosto un processo interattivo in quanto ogni individuo è un agente attivo che potrà da parte sua influenzare l’ambiente e il gruppo che l’accoglie.

Il nuovo arrivato dovrà immergersi nella “cultura” particolare di quel gruppo che include modi condivisi di vedere la realtà e costumi comuni – routines, gergo usato, rituali e simboli di gruppo.

Secondo LEVINE

I. fase dell’esplorazione – già esaminata in 1 – 3;

, possiamo considerare la socializzazione di un gruppo come un passaggio fra cinque fasi diverse in cui hanno ruolo attivi sia l’individuo che il gruppo che l’accoglie:

II. fase della socializzazione – da una parte abbiamo l’individuo che cerca di entrare nella cultura del gruppo e dall’altra il gruppo che cerca di fare in modo che il nuovo arrivato contribuisca al raggiungimento dei suoi obiettivi;

III. fase del mantenimento – l’individuo e il gruppo si cimentano in varie negoziazioni di ruolo, con l’individuo che prova a trovare un ruolo che realizzi

12

le sue aspettative ed il gruppo che fa in modo che il ruolo dell’individuo corrisponda al meglio al raggiungimento degli scopi di gruppo;

IV. fase della risocializzazione – sono sorte delle divergenze e individuo e gruppo si impegnano a cercare delle strade di mediazione per ripristinare uno stato di equilibrio fra le aspettative dell’uno e dell’altro;

V. fase del ricordo – l’individuo, nella sua qualità di ex membro, può ricordare con sentimenti positivi l’esperienza o conservare una serie di rancori che lo portano a diffondere una cattiva reputazione del gruppo15

L’idea di fondo è che sia l’individuo che il gruppo esercitano influenze l’uno sull’altro, producendo trasformazioni graduali anche profonde.

Con la nozione di sviluppo di gruppo ci si riferisce al semplice fatto che ogni gruppo è soggetto a trasformazioni nel tempo.

.

TUCKMAN16

stadio di formazione (forming): i membri cercano di orientarsi rispetto alle mete che il gruppo si propone di raggiungere e alle modalità con cui operare;

delinea cinque stadi di sviluppo:

stadio di conflitto (storming): i membri si conoscono meglio e sul piano operativo faticano a trovare un modo di operare congiunto e coordinato, mentre sul piano affettivo diventano più assertivi e cercano di modificare il gruppo secondo i propri bisogni;

stadio normativo (norming): c’è un assestamento, con scambi autentici di idee su come migliorare le prestazioni del gruppo mentre, sul piano affettivo, nasce la coesione, il senso di appartenenza;

stadio della prestazione (performing): i partecipanti riescono operativamente a lavorare insieme per risolvere i propri problemi e, affettivamente, ciascun membro assume il ruolo più adatto a rendere il gruppo remunerativo;

stadio della sospensione (adjoiurning): il gruppo ha terminato la sua parabola e i membri cominciano lentamente a ritirarsi sia dalle attività socio-emozionali, sia da quelle operative, centrate sul compito.

15 LEVINE, J.M., op. cit. 16 TUCKMAN, B.W., Development sequence in small groups, 1965

13

2 – 1

crea ordine e prevedibilità all’interno dei gruppi – contribuisce cioè a creare una certa stabilità nella struttura del gruppo;

COLONNA VERTEBRALE

Per ciò che riguarda la struttura dei gruppi fondamentali sono i processi strutturali che caratterizzano tutti i gruppi che abbiano una certa durata nel tempo, processi che si riferiscono alle diverse posizioni di potere (status), ai diversi ruoli dei componenti, alle norme che si precisano nel gruppo, al tipo di comunicazioni che vi vengono svolte.

Il sistema di status – In ogni gruppo esistono gerarchie, posizioni diverse rispetto

al potere. Questo è il sistema di status, che consta nella capacità di qualcuno di prendere iniziative che sono poi seguite dal resto del gruppo e che si rifà alla valutazione consensuale del prestigio per la quale tutti sono all’incirca d’accordo che un certo membro è un personaggio importante nel gruppo mentre l’altro conta poco.

La differenziazione di status in gruppo ha alcune funzioni psicosociali importanti:

coordina le forze dei membri in vista del raggiungimento degli obiettivi, in quanto prevede una distribuzione di compiti e funzioni;

contribuisce all’autovalutazione di ciascun membro che, confrontandosi con gli altri, matura una serie di aspettative riguardanti le proprie capacità e valore.

2 – 2 E ALTRE ROBE VITALI

La leadership - Con il termine di leader ci si riferisce alla persona che occupa nella

gerarchia del gruppo la posizione più elevata, che può influenzare gli altri membri più di quanto sia essa stessa influenzata. Col termine di leadership ci si riferisce altresì al processo che coinvolge non solo il leader, ma anche tutti gli altri membri del gruppo.

14

Le prime teorie, note come l’approccio a tratti, sottendono l’idea che leader si nasce, non si diventa; esistono individui che hanno delle propensioni naturali che li dispongono a funzioni di comando e dunque il leader è presentato come il grande uomo caratterizzato da un insieme di tratti personali – logicamente positivi – quali l’intelligenza, l’intuizione, l’iniziativa, la responsabilità, e così via.

L’approccio situazionista afferma invece che non esistono leader in assoluto poiché ogni gruppo ha esigenze e richieste diverse che incidono sul processo di leadership e vengono dunque enfatizzati fattori legati al contesto (natura del compito, clima affettivo di gruppo, tipo di relazioni gruppali, stadio di sviluppo del gruppo stesso) che permettono o meno a un leader di emergere – c’è da dire che tale approccio presenta un limite proprio nell’aver cancellato la figura del leader, cosicchè diventa inspiegabile come in certe situazioni emerga come leader un individuo anziché un altro.

LEWIN17

Il modello della contingenza di

ha preso in considerazione il comportamento del leader mostrando gli esiti di tre stili di leadership: autocratica, fortemente centralizzata, che dà buoni risultati sulle produttività ma cattivi esiti sul clima di gruppo che diviene competitivo e marcato da scontento; permissiva, che lascia fare ai membri quello che vogliono e dà risultati negativi sia sul clima che sulla produttività; e democratica, che promuove la partecipazione dei componenti del gruppo alla realizzazione degli scopi ed appare più funzionale.

FIEDLER prende in considerazione due stili di leadership, l’uno centrato sulle relazioni con i membri, l’altro centrato sul compito; mentre il leader centrato sul compito è efficace quando la situazione è agli estremi – o molto favorevole, perché egli può dedicarsi agli obiettivi senza impedimenti, o molto sfavorevole, perché il centraggio sul compito può comportare un alleggerimento della negatività della situazione – il leader centrato sulle relazioni funziona meglio nelle situazioni intermedie, in quanto l’abilità relazionale può compensare aspetti disfunzionali della situazione in essere18

Le teorie transazionali o dello scambio considerano la leadership come un processo di negoziazione continua e di scambio di risorse fra leader e membri;

.

HOLLANDER 17 LEWIN, K., I conflitti sociali, 1948 18 FIEDLER, F., A theory of leadership, 1997

sostiene che il leader deve conquistare una credibilità

15

presso i membri – modello del credito idiosincratico – con alcune procedure negoziali: esibire una sorta di conformismo iniziale (mettere in atto gradatamente azioni calibrate per la conquista del primato nella gerarchia del gruppo); mostrare competenza sugli obiettivi specifici del gruppo; fare in modo che la sua leadership appaia come legittima, condizione necessaria per fornire autorità ad un leader; mostrare un alto livello di identificazione col gruppo, dando prova di lealtà e anteponendo gli interessi gruppali ai suoi propri19

Sia, infine, nella teoria trasformazionale che nella teoria carismatica è presente l’idea dello scambio continuo fra leader e sottoposti ma, a differenza delle teorie transazionali, non viene posto l’accento sul carattere strumentale delle negoziazioni ma viene invece enfatizzato un processo di interscambio che produce un alto grado di motivazione e di ‘morale’ sia nei sottoposti che nel leader stesso, che nel corso delle interazioni si trasforma insieme ai partecipanti (un buon esempio può essere quello di Gandhi, un leader che si è identificato completamente con il suo popolo).

.

I ruoli nel gruppo – Il ruolo è un insieme di aspettative condivise sul modo in

cui dovrebbe comportarsi un individuo che occupa una certa posizione nel gruppo; abbiamo dunque un aspetto di condivisione (c’è consenso sociale sul fatto che il ruolo vada svolto in modo specifico) unito ad uno di reciprocità (ci si aspetta che un individuo con un certo ruolo si comporti in un determinato modo).

Il ruolo è dunque una posizione all’interno del gruppo; la differenza con lo status è nel valore attribuito: ad esempio, in una squadra di calcio il ruolo corrisponderà ad essere centravanti o mediano, lo status ad essere il capitano o il panchinaro.

Anche il ruolo, come lo status, assolve le funzioni psicosociali di creare ordine e prevedibilità all’interno di un gruppo, di facilitare il raggiungimento degli obiettivi attraverso una visione dei compiti, di fornire all’individuo delle coordinate di autovalutazione.

19 HOLLANDER, E.P., Conformity, status and idiosyncrasy credit, 1964

16

BALES ha molto insistito sulla differenziazione di status e ruoli lungo la dimensione strutturale-espressiva: i vari membri,nel corso delle interazioni di gruppo, si specializzano o nell’area del compito (sono centrati sul compito) o su quella delle relazioni (centrati sulle relazioni), entrambi importanti per l’equilibrio di un gruppo20

Con

.

Tali “specializzazioni” nei ruoli non sono tanto legate a dotazioni naturali quanto, piuttosto, alle caratteristiche del contesto, che permette di esprimere e anche di costruire abilità e competenze sociali.

Le norme – Sono scale di valori che definiscono ciò che è accettabile e non

accettabile per i membri di un gruppo, di una comunità, di una società.

SHERIF 21

20 BALES, R.E., Interaction process analysis: a metod for the study of small groups, 1950 21 SHERIF, M., The formation of a norm in a group situation, 1966

, le norme sono stabilite a priori da autorità esterne, l’individuo che entra nel gruppo le trova già presenti e sono definite istituzionali, mentre nei gruppi informali sono dette volontarie in quanto sono costruite nell’interazione tra i membri e costituiscono un requisito fondamentale se il gruppo vuole permanere nel tempo. Esse non riguardano solo regole di comportamento cui i membri del gruppo devono attenersi, ma possono estendersi anche a aspetti espressivi particolari, come un gergo interno, l’abbigliamento, il culto di una musica, ecc.

Le norme differenziano enormemente i gruppi sociali, sia per quanto riguarda le regole di comportamento, sia per quanto attiene agli aspetti espressivi, sia per ciò che concerne il loro carattere di obbligatorietà.

Esse possono essere implicite od esplicite: le esplicite si riferiscono a regole ben formalizzate, a volte addirittura scritte in un regolamento di riferimento; le norme implicite, invece, non sono scritte né espresse direttamente, nascono in genere in modo volontario ma hanno ugualmente una forza di impatto e un’influenza importante sul comportamento dei membri.

17

Le norme possono inoltre essere centrali – si riferiscono a regole fondamentali, tali per cui la loro trasgressione mette a repentaglio l’esistenza stessa del gruppo – o periferiche – che si riferiscono a regole più marginali.

I leader sono più vincolati degli altri partecipanti a rispettare le norme centrali, in quanto fungono da riferimento essenziale per la sopravvivenza del gruppo.

Le norme, che sono sempre prodotto collettivo, hanno determinate funzioni:

avanzamento del gruppo – le norme sono necessarie perché il gruppo raggiunga i propri obiettivi;

mantenimento del gruppo – le norme permettono al gruppo di mantenersi unito nel tempo, di riconoscersi in una certa identità, di non estinguersi;

costruzione della realtà sociale – le norme assicurano ai membri del gruppo una concezione comune della realtà, costruzione che è sociale poiché si fonda sul consenso degli altri e viene poi mantenuta da pressioni normative che spingono all’uniformità (in tal modo anche le idee che appaiono assurde per un “esterno” hanno una grande forza coesiva dentro al gruppo che le ha elaborate);

definizione delle relazioni con l’ambiente sociale – le norme permettono di rapportarsi alla realtà esterna, fatta di altri gruppi, in termini di collaborazione, competizione, conflitto, solidarietà.

Quando dunque parliamo di cultura di gruppo ci riferiamo soprattutto proprio alla sua caratterizzazione normativa che stabilisce, come su esposto, una comunanza di visioni della realtà, di obiettivi, di pratiche quotidiane condivise, di ritualità.

La comunicazione nel gruppo – Nessun gruppo potrebbe esistere se non

fosse possibile comunicare, cioè scambiare significati che vengono compresi da tutti. Nella nostra specie la comunicazione ha un codice privilegiato nel linguaggio verbale, anche se non è meno potente il canale della comunicazione non verbale, che arricchisce e a volte contraddice la stessa comunicazione verbale.

Senza comunicazione non esiste gruppo; gli aspetti strutturali (status, ruoli, norme) sono costruiti nel corso di un ininterrotto fluire di comunicazioni, verbali

18

e non. In particolare la discussione non è un semplice scambio di informazioni ma, come sottolineato da MOSCOVICI e DOISE , “la discussione è un rito di comunicazione che riunisce periodicamente i membri di un gruppo… è un canale sociale in cui si mescolano e si aggregano le opinioni individuali in un’opinione collettiva… ha una sua forza sociale ed inconscia”.

Nell’ambito del tema, vi sono due concetti da distinguere:

rete di comunicazione: è l’insieme di canali comunicativi presenti in un gruppo, le condizioni materiali che rendono possibile il passaggio delle informazioni – in sintesi, una rete è un insieme di possibilità materiali di comunicazione;

struttura di comunicazione: è l’insieme di comunicazioni che sono effettivamente scambiate in un gruppo

Possiamo dire che la rete è una possibilità di comunicazione, mentre la struttura è una realtà di comunicazione.

3 –

COME SI CAPISCE IL GRUPPO?

Il gruppo, con AMERIO , “è il perno tra l’individuo anonimo e il sociale indifferenziato”22

22 AMERIO, P., Teorie in psicologia sociale, 1982

.

Abbiamo un punto di vista più ‘psicologico’, legato a processi psichici individuali e che, quindi, guarda al gruppo in ragione dei bisogni, dei valori, delle aspettative individuali di ciascun membro. Il focus dell’interpretazione del gruppo è, in questo caso, l’individuo con gli altri individui.

19

Un punto di vista più ‘sociologico’, fondato sulle variabili sociali e sull’interazione, osserva il gruppo come unità e lo interpreta in relazione alle variabili emergenti dal suo insieme. Il focus dell’interpretazione è lo scambio sociale tra individui.

3 – 1 DALLA PARTE DELL’INDIVIDUO

SANDERSON sottolinea gli aspetti di necessità individuale che portano alla formazione di gruppi: “ogni gruppo esiste come mezzo per soddisfare desideri o interessi”23;

DEUTSCH rimarca l’aspetto delle mete interdipendenti degli individui come condizione di esistenza per il gruppo: “un gruppo esiste nella misura in cui gli individui che lo compongono perseguono mete interdipendenti”24;

CATTEL , pur definendo il gruppo solo come un aggregato, vede nella soddisfazione del bisogno individuale l’elemento determinante per la sua esistenza25; DOISE afferma infine che il gruppo è considerato in base all’interazione e alla percezione reciproca dei membri circa all’appartenenza allo stesso insieme: “un gruppo è composto da un certo numero di persone in reciproca interazione sulla base di strutture precedenti …”26; il riferimento alle ‘strutture precedenti’ può essere interpretato come accenno al sistema personale di rappresentazione e concezione del gruppo antecedente all’ingresso del singolo nel nuovo insieme.

3 - 2

23 SANDERSON, G., Leadership for rural life, 1940 24 DEUTSCH,M., A theory of cooperation and competition, 1949 25 CATTEL, R.B., New concepts for measuring leadership…, 1951 26 DOISE, W., Psicologia sociale e relazioni tra i gruppi, 1976

DALLA PARTE DEL COLLETTIVO

20

SMALL per primo afferma che la caratterizzazione del gruppo è determinata dai rapporti di insieme27;

HOMANS propone una mappa delle interazioni che risulta quantomeno utile a diversificare la qualità dell’interazione nei gruppi e nei gruppi di lavoro28;

BALES sottolinea che le interazioni debbano essere lette senza riferimento alla soggettività ma come risposte alla situazione e agli incontri “nei quali ogni membro riceve, di ogni altro membro, un’impressione o percezione … da permettergli … di reagire a ognuno degli altri come persona singola che pure rievoca la presenza dell’altro” 29

Per

;

NEWCOMB le variabili di strutture del gruppo riguardano il sistema di regole e di ruoli del gruppo:”... gli aspetti distintivi di un gruppo, norme condivise e ruoli collegati, presuppongono rapporti non transitori di interazione”30; OLMSTEAD guarda a pluralità, contatto, coscienza di avere cose in comune come concetti chiave: “… un gruppo si può definire come una pluralità di individui che sono in contatto reciproco, tengono conto gli uni degli altri e hanno coscienza di avere in comune qualcosa di importante”31 .

3 - 3 INTEGRAZIONE INDIVIDUALE – SOCIALE

LEWIN

27 SMALL, A., General sociology, 1905 28 HOMANS, G.C., The human group, 1950 29 BALES, R.E., op. cit. 30 NEWCOMB, T.M., Social psychology at crossroads, 1951 31 OLMSTEAD, M.S., I gruppi sociali elementari, 1959

rimarca la necessità di osservare il gruppo come totalità e lo identifica come soggetto sociale organizzato al pari dell’individuo e dell’ambiente, come unità in grado di esprimere comportamenti, valori culturali propri, differenti da quelli delle singole persone che ne fanno parte – e ciò include sia le espressioni emotive (aspettative, bisogni, desideri), sia il pensiero e l’azione. I fatti che lo determinano sono causa e effetto dei singoli elementi dal gruppo e del gruppo dal suo contesto. Infatti “il gruppo è qualcosa … di diverso dalla somma dei suoi membri: ha struttura

21

propria, fini peculiari, relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile con i vari membri, ma la loro interdipendenza”32.

L’approccio concettuale conduce al superamento della rappresentazione che i singoli hanno del gruppo, rappresentazione che passa da un io e gli altri indifferenziato a un sistema di posizioni nel quale ciascuno occupa uno spazio. Il campo, il gruppo ed i singoli assumono valori differenti in relazione all’interdipendenza che si sviluppa in una situazione specifica, determinando un preciso “clima psicologico”.

BION offre una lettura del gruppo come unità globale interdipendente, che sviluppa pensiero ed emozioni al di là del singolo membro ed insieme individua nella partecipazione psicologica la fonte della costruzione del gruppo stesso: “Ogni gruppo, per quanto casuale, si riunisce per fare qualcosa; nell’esplicare questa attività le persone cooperano ognuna secondo le proprie capacità. Questa cooperazione è volontaria e si basa su un certo grado di abilità intellettuale del singolo”33

Egli propone due livelli di lettura: uno relativo all’attività razionale, l’altro legato agli stati emotivi che egli definisce come assunti di base, manifestazioni di sentimenti forti e primitivi, non dominabili e spesso non elaborati con strategie razionali. E’ il tal senso importante sottolineare il ricorsi di Bion ai concetti fondanti di mentalità di gruppo e di cultura di gruppo: la mentalità di gruppo fa emergere il problema del rapporto tra individuo e gruppo perché da una parte permette di esprimere desideri, speranze e affetti e, dall’altra, limita la possibilità di ricavare soddisfazione individuale e provoca la frustrazione per mancanza di spazio

.

34

.

32 LEWIN, K., Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, 1951 33 BION, W.R., Esperienze nei gruppi, 1961 34 BION, W.R., Attenzione e interpretazione, 1970

22

4 –

Il gruppo non è la somma di fenomeni disparati e occasionali; no è riconducibile al solo dato sociologico (la regola) o al dato psicologico (il bisogno) ma nasce dall’intersezione dei due campi assumendo una configurazione diversa da entrambi. Come già in precedenza accennato, esso è il prodotto dei significati che gli vengono attribuiti dai membri e dall’ambiente e, al tempo stesso, il produttore di significati per chi ne fa parte e per l’ambiente nel quale si costituisce e sviluppa.

GRUPPO DI LAVORO E LAVORO DI GRUPPO

QUAGLINO: ”Si identifica da questo vertice il gruppo come una pluralità in interazione, con un valore di legame, che ne determina l’emergenza psicologica Pluralità, interazione e legame producono a loro volta la sua emergenza sistemica”35

.

L’interazione è l’azione reciproca tra gli individui del gruppo e si definisce a tre livelli: l’influenzamento reciproco degli individui, il ‘fare insieme’ qualcosa di più o meno concertato, l’agire contingente caratterizzato dai vincoli di tempo e di spazio, imposti dal qui e ora.

Il legame è il vincolo che si instaura tra gli individui che compongono un gruppo definendo i sentimenti di appartenenza; esso è profondamente segnato da fatti di ordine psicologico quali bisogni, desideri, rappresentazioni e determina l’emergenza psicologica del soggetto gruppo: conduce il gruppo ad assumere quella configurazione relazionale e affettiva che crea l’interazione.

L’articolazione della vita interna del gruppo, i suoi continui cambiamenti, lo rendono simile a un’organizzazione vivente, determinando la sua emergenza sistemica – la sua esistenza come sistema complesso. Come ogni organizzazione vivente è così influenzato dal mutamento e dalla variabilità sia della realtà esterna che di quella interna.

35 QUAGLINO, G.P., Gruppo di lavoro. Lavoro di gruppo, 1992

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4 – 1 GRUPPO DI LAVORO

Mentre il gruppo è una pluralità in interazione, un gruppo di lavoro è una pluralità in integrazione; è in particolare il transito attraverso l’interdipendenza a trasformare il gruppo in un potenziale gruppo di lavoro.

Nell’interazione un gruppo sviluppa la coesione, fenomeno che consente ai membri di riconoscere il gruppo come proprio; essa rappresenta il legante che sta alla base della formazione del gruppo. Non automaticamente sinonimo di solidarietà o di clima positivo, la coesione può esprimersi anche attraverso un legame sostenuto da sentimenti negativi e conflittualità.

Nella costruzione e l’assemblaggio di un gruppo di lavoro il passaggio successivo all’interazione è, come detto, l’interdipendenza, ossia l’acquisizione della consapevolezza dei membri di dipendere gli uni dagli altri. E’ nell’interdipendenza che comincia a configurarsi il gruppo di lavoro, nella direzione della groupship come rappresentazione di un soggetto diverso dai singoli individui e della leadership come funzione equilibratrice tra di loro.

L’interdipendenza intesa come necessità di legame e opportunità di scambio è il tramite vincolante per la maturazione del gruppo di lavoro verso lo stato dell’integrazione, i cui vantaggi e costi sono distribuiti fra tutti i soggetti coinvolti; in particolare, i costi dell’integrazione sono riassumibili nei costi del cambiamento: gli individui pagano la loro ricollocazione, la rinuncia alla soddisfazione di alcuni bisogni, alla perdita di quote di potere. E’ spesso proprio dovuto alla negativa percezione del rapporto tra costi e benefici (modelli valore-aspettativa) il fallimento del gruppo.

L’integrazione sviluppa a sua volta la collaborazione, che definisce un’area di lavoro comune, di partecipazione attiva di tutti i membri; essa si fonda su relazioni di fiducia tra i membri, sulla continua negoziazione degli obiettivi, metodi, ruoli, leadership, ma anche sulla condivisione delle decisioni e, soprattutto, degli esiti del lavoro.

24

Tale negoziazione è il processo centrale per la collaborazione e il cemento per un lavoro di gruppo; essa si traduce nell’identificare il proprio punto di vista e nel confrontarlo con quello degli altri stavolta seguendo la logica dell’e piuttosto che quella dell’o.

GRUPPO

INTERAZIONE uniformità

coesione

INTERDIPENDENZA

negoziazione differenze

INTEGRAZIONE

GRUPPO DI LAVORO

4 – 2 LAVORO DI GRUPPO

E’ la scena dell’organizzazione a rappresentare il campo di azione del gruppo di lavoro, nel senso che la persistenza della dimensione di gruppo pur all’interno di un contesto organizzativo dichiarato non è di per sé sufficiente a soddisfare quella potenziale reciprocità dello scambio. Il lavoro di gruppo è dunque espressione dell’azione complessa propria del gruppo di lavoro.

25

Il lavoro di gruppo comprende la pianificazione del compito, il suo svolgimento, la gestione delle relazioni: il lavoro di gruppo è fondante il soggetto gruppale nell’organizzazione.

L’operatività è legata alla costruzione dell’azione organizzativa come condizione indispensabile per il conseguimento di un risultato che abbia le caratteristiche di qualità, efficacia ed efficienza che sono richieste al gruppo di lavoro: che soddisfino, cioè, l’aspettativa che il lavoro di gruppo conduca a risultati qualitativamente migliori.

4 – 3

Il legame che gli individui tenderanno ad instaurare con gli altri dipenderà dalla configurazione dei loro bisogni che assumono il significato di unità di misura individuale con la quale si valuta la propria soddisfazione ma anche i risultati del gruppo e le relazioni con gli altri. Dunque ciascun membro usa il gruppo come oggetto per la soddisfazione dei propri bisogni, ma i bisogni individuali sono spesso incompatibili, mutualmente escludentesi e talvolta narcisistici; da ciò il paradosso dell’emergenza psicologica, perché la possibilità di ciascuno di soddisfare i suoi

EMERGENZA PSICOLOGICA

Il rapporto tra singolo e gruppo è caratterizzato dal legame che si instaura nel momento in cui si stabilisce un contatto significativo tra gli individui che vi fanno parte – appunto l’emergenza psicologica.

Gli individui si identificano differenziando le loro regioni interne e differenziandosi dall’ambiente esterno ma, nello stesso tempo, si adattano ad esso conformandosi alla cultura e al sociale. Il gruppo consente ad ogni individuo di misurare la differenza tra le sue abilità, i propri valori e bisogni e desideri, e quelli degli altri membri.

Il fatto psicologico centrale nella relazione soggetto/gruppo è proprio il bisogno; il gruppo è il luogo nel quale si possono esprimere e soffi sfare – così come veder frustrati – l’intera gamma dei bisogni degli individui: il gruppo attrae per le opportunità di soddisfazione che offre e, allo stesso tempo, respinge, per il limite che viene fissato dalla presenza dell’altro.

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bisogni deriva dalla capacità di mediare. Il legame con gli altri membri è inevitabilmente e contemporaneamente la risorsa e il vincolo per trovare soddisfazione alle proprie esigenze.

L’emergenza psicologica pone così il gruppo nella condizione di essere un contenitore di bisogni; il legame può dunque corrispondere a un primo livello di relazione, l’interazione del gruppo. L’attrazione, l’indifferenza o la repulsione giocano liberamente a determinare la qualità del legame: l’uno a molti si presenta come concorrenza nella soddisfazione dei bisogni ed il “fare insieme” si configura come attività dinamica nella quale prevale l’azione come mezzo per soddisfare bisogni.

In questo fare interattivo ciascuno per sé ricerca appunto la soddisfazione dei propri bisogni.

Il legame che corrisponde all’integrazione prevede una diversa collocazione dei bisogni e dell’azione del gruppo. Integrazione significa consapevolezza dei bisogni di tutti, capacità di soddisfazione su un piano diverso da quello individuale; l’uno a molti in questa ottica non è concorrenza ma negoziazione, aggregazione della diversità.

L’interdipendenza è il legame basato sulla conoscenza e l’accettazione della configurazione creata dalla relazione con altre persone, che portano bisogni e ne chiedono la soddisfazione; è il grado di unità di una totalità, la dipendenza che una qualsiasi delle sue parti ha verso un’altra.

Il gruppo, visto come totalità dinamica interdipendente, è quindi influenzato dai bisogni di ogni membro che, a sua volta, è circolarmente influenzato dai bisogni del gruppo.

4 – 4

La configurazione di bisogni e la loro soddisfazione motiva gli individui a far parte di un gruppo, determinando quel legame che è poi all’origine dei fatti psicologici del gruppo.

I BISOGNI INDIVIDUALI

27

MEMBERSHIP è “essere membro”, avere una rappresentazione mentale che permetta di identificare il gruppo come opportunità per le soddisfazioni dei bisogni. Essa è condizione necessaria per l’esistenza del gruppo, ma non sufficiente per la sua costituzione.

I bisogni individuali che il gruppo ragionevolmente può soddisfare sono sostanzialmente quelli connessi alla stima e all’ autostima, all’ identità, alla sicurezza degli individui e al loro bisogno di contribuzione.

Il bisogno di stima e autostima è fortemente correlato al bisogno di identità e all’esigenza di vederla riconosciuta dagli altri; in un gruppo si ha così la presenza del dilemma tra l’essere unico e sentirsi soli o l’essere uguali agli altri e percepirsi anonimi.

Nei momenti in cui prevale il desiderio di differenziazione è chiaramente più complesso integrare i bisogni; nei momenti in cui prevale il desiderio di conformità c’è, al contrario, una tale saturazione di un determinato bisogno da soddisfare che il gruppo può trovarsi a non avere le risorse sufficienti. In entrambi i casi, così, il gruppo non è in grado di funzionare come contenitore.

Il gruppo può soddisfare il bisogno di identità solo se si è capaci di utilizzare il feedback sulla propria immagine che gli altri offrono, se si è in grado, cioè, di superare la paura della perdita parziale dell’immagine di sé, dell’identità che ci si è costruiti, per riavvicinarla al reale attraverso le opinioni e le percezioni che gli altri riferiscono e riflettono parlando di noi.

I bisogni di stima, autostima e identità possono presentare un’elevata complessità sia per la difficoltà di essere riconosciuti da parte degli individui, sia per la difficoltà di vederli emergere nel gruppo. Altre categorie di bisogni hanno invece caratteristiche più esplicite e un valore di concretezza che li rende ben presenti agli individui e ai gruppi.

gruppo protegge, nasconde da occhi indiscreti o da sguardi malevoli, copre dalle responsabilità individuali e permette decisioni altrimenti troppo gravose; questa funzione protettiva è un’aspettativa con cui il singolo approccia il gruppo.

28

Il bisogno di sicurezza può essere rappresentato all’interno del gruppo come un’attività ricettiva, come un prendere da parte degli individui, mentre il bisogno di contribuzione può essere rappresentato come un dare agli altri; esso si denota come una spinta a fare, come necessità di vedere le proprie realizzazioni e il proprio prodotto esplicitato e reso pubblico, di svolgere un’attività il cui esito sia visibile e valorizzato dagli altri.

La soddisfazione del bisogno di contribuire richiama al rapporto che si instaura tra ciò che è interno – io – e ciò che è esterno – gruppo; senza questa fondamentale dimensione sarà impossibile soddisfare e veder soddisfatto il proprio bisogno di contribuzione.

Se si è in grado di riconoscere quello che è proprio e quello che è degli altri, il proprio bisogno e quello degli altri, sarà possibile negoziare un sistema nel quale siano accolti e soddisfatti i bisogni di contribuzione di tutti.

I bisogni di sicurezza e di contribuzione sono dunque complementari, ma sono anche quelli che possono maggiormente creare una contrapposizione tra singolo e gruppo e tra singoli nel gruppo.

4 – 5

Il senso di appartenenza alimenta la vita interna in quanto norme e valori di gruppo generano quell’identificazione necessaria perché gli individui possano riconoscersi nelle azioni del gruppo stesso ma anche perché definisce il confine che lo separa dall’ambiente, conseguendo quella coesione che si manifesta all’interno del continuum “essere per”/”essere contro”. Essere per

I BISOGNI DEL GRUPPO

Il senso di appartenenza è il sentimento comune dei membri di un gruppo – l’essenza della GROUPSHIP; il bisogno di esistere di un gruppo, che viene soddisfatto dagli individui che sentono di appartenervi, svolge almeno tre funzioni: alimenta la vita interna, differenzia il gruppo rispetto ad altri gruppi ed individui, mette il gruppo in contatto con l’esterno.

29

fa sì che gli individui si riconoscano nel gruppo manifestando ed esprimendo coesione; essere contro è la posizione di attacco e di difesa che il gruppo ha verso l’esterno – il gruppo, per esistere, deve detestare e/o essere detestato; la vita interna è dunque alimentata anche dall’antagonismo nei confronti dell’esterno.

Ogni gruppo in cui si struttura il senso di appartenenza svilupperà modi ed azioni che hanno lo scopo di renderlo inconfondibile e originale, con rituali e linguaggi che lo differenzieranno da altri gruppi e che nello stesso tempo legheranno i membri tra loro. Le norme, i valori e la cultura che il gruppo percepisce come propri vengono avvertiti dall’esterno come appartenenti a quel gruppo e contemporaneamente delimitano il campo dell’inclusione e dell’esclusione del gruppo stesso.

Nel momento in cui il gruppo si differenzia dall’ambiente esterno, stabilisce anche le sue modalità relazionali con esso. Il bisogno di comunicare, di scambiare con l’ambiente, garantisce il sostentamento del gruppo: ambiente e gruppo negozieranno l’uso delle risorse reciproche, i canali e la qualità relazionale della loro comunicazione, i valori che sono di mutuo interesse.

La groupship è, in definitiva, la funzione di soddisfazione dei bisogni del gruppo che i membri svolgono attraverso la loro appartenenza.

4 – 6 IL BISOGNO DI EQUILIBRIO

E’ la funzione che bilancia membership e groupship e che garantisce e presidia sia la soddisfazione dei bisogni individuali che di quelli di gruppo: parliamo ovviamente della leadership.

Essa ha una funzione di armonizzazione e mantenimento del gruppo come sistema, in quanto fornisce la risposta capace di integrare il bisogno individuale con il bisogno del gruppo, permettendo alle forze che spingono alla differenziazione e all’omologazione di formare un insieme armonico, una risultante positiva.

30

La leadership costituisce un essere con, avente il significato di integrazione tra individuo – gruppo – ambiente e determina il passaggio dal livello di interazione alla interdipendenza e all’integrazione.

L’interdipendenza è il momento in cui la leadership comincia consapevolmente a essere orientata sia agli individui che al gruppo in quanto ne coglie la relazione; il cammino verso l’integrazione si apre con il riconoscimento del profondo legame tra i due ordini di bisogno e dell’esigenza di un terzo livello capace di comprendere e contenere entrambe.

4 – 7 L’EMERGENZA SISTEMICA

Per quanto l’emergenza psicologica sia fondante per la definizione di un gruppo, essa non è sufficiente per spiegare il “collettivo” che diventa “uno”: è l’espressione di una pluralità in interazione con un legame che identifica l’emergere di un “sistema”.

L’emergenza sistemica è l’auto organizzarsi di un sistema: è l’insieme di quelle relazioni che devono aver luogo perché esso esista come unità. Il gruppo è definito come sistema da quel particolare insieme di relazioni storiche e dinamiche tra i membri che costituiscono tale unità.

La sua struttura si configura in ragione delle componenti e delle relazioni attuali e concrete presenti “qui e ora”; possiede qualità e proprietà distintive, che gli danno una configurazione spazio-temporale distinta dal suo ambiente, del tutto nuova e specifica.

31

4 – 7.1 IL SISTEMA GRUPPO

Un sistema è quel particolare insieme di relazioni storiche, dinamiche, spaziali, fra le componenti che formano una unità globale composta da parti diverse in interrelazione. L’insieme delle relazioni tra le parti tende all’auto-organizzazione attraverso un’articolazione che presenta differenti aspetti:

1. UNITA’ E MOLTEPLICITA’: un gruppo diventa più efficace – nella precedente definizione diventa gruppo di lavoro – se e solo se non c’è una reciproca riduzione degli individui e del gruppo e, in particolare, se possono essere contemporaneamente presenti individualità e gruppo e quindi né la riduzione dei molti all’uno, né la riduzione dell’uno alle sue parti.

2. IDENTITA’ E DIFFERENZIAZIONE: è nel momento in cui c’è contatto, in cui si stabilisce una relazione tra le parti, che si manifestano la tendenza al completamento e all’unione, la ricerca di similarità e il suo reciproco (l’antagonismo) connaturato con la diversità che si impone come elemento di separazione e di esclusione. L’antagonismo richiama all’essere che chiede spazio, che vuole esprimere se stesso; la complementarietà segna l’esigenza e la possibilità di rapporto con altri che si riconoscono avere scopi, desideri, bisogni comuni. La complementarietà determina legami tra i membri consentendo di mettere in comune scopi, vitalizzando l’interazione e il riconoscimento dell’interdipendenza, determinando la costruzione di un linguaggio condiviso; nello stesso tempo si definisce l’antagonismo, la tendenza all’affermazione della differenza individuale: senza antagonismo tutto si confonderebbe e la sua conservazione ha il significato di mantenere le differenze individuali tra i membri.

3. APERTURA E CHIUSURA DEL SISTEMA: l’apertura si riferisce all’attività di scambio con l’ambiente e avviene sostanzialmente per il reperimento di risorse materiali e di informazioni che consentano di svolgere le attività per le quali il gruppo si è costituito; la chiusura si riferisce all’organizzazione che il sistema si dà, e quindi all’insieme di relazioni dinamiche finalizzate all’identità e all’unità – numero, scopo, regole, ruoli che devono rimanere stabili perché il sistema continui ad avere la sua connotazione come entità spazio – temporale. L’organizzazione di un sistema, d’altra parte, deve cambiare

32

continuamente per poter garantire gli aggiustamenti necessari a mantenere la sua identità e ciò rende ovviamente necessaria l’apertura del sistema stesso.

Apertura e chiusura in un gruppo sono contemporanee e alterne; il gruppo troppo chiuso muore per asfissia, quello troppo aperto per anomia: abbiamo a che fare con l’adattamento, risposta del sistema alle esigenze poste dall’ambiente ma anche orientato alla conservazione dell’identità e dell’autonomia del sistema.

L’adattamento di un gruppo mantiene in equilibrio apertura (ricevere) e chiusura (perpetuare l’identità).

4 – 7.2 CONSIDERAZIONI

L’organizzazione di un sistema è l’insieme delle relazioni che gli danno un’identità: essa non può essere prodotta e non si può costruire se non a partire dalla relazione tra ordine e disordine, intesi come forze che governano e determinano un sistema complesso.

Il sistema gruppo si organizza, si struttura, comincia a vivere partendo dalla necessità di darsi un’identità e dall’esigenza dei suoi membri di rimanere diversi partendo proprio dalla combinazione di ordine e disordine. Non è possibile pensare a un sistema complesso senza pensare all’ordine e al disordine che si annullano, concorrono si oppongono, sono complementari e antagonisti: il disordine tende a disorganizzare il sistema, l’ordine a stabilizzare un’organizzazione; l’ordine tende alla chiusura del sistema, il disordine alla sua apertura.

33

5 – DINAMICA DEI GRUPPI

L’espressione “dinamica dei gruppi” viene ufficialmente consacrata nel 1944 da KURT LEWIN

L’inchiesta alla fabbrica di Hawthorne, presso Chicago, appartenente alla Western Electric Company e proposta da Elton

negli Stati Uniti, nazione in cui già dall’ottocento proliferavano associazioni di ogni sorta.

Vi erano condizioni storiche particolari: sul piano industriale l’esigenza, per la recessione, di far studiare da psicologi i fattori di rendimento dei lavoratori; sul piano politico, visto il trionfo del nazional-socialismo, il bisogno di fare ricerche d’analisi dei fenomeni collettivi; sul piano militare l’esigenza di guardare ai fattori di coesione e di “morale” dei piccoli gruppi isolati in operazioni belliche.

Frattanto, nel primo quarto del XX secolo, l’evoluzione della psicologia e della sociologia fece sì che le due scienze andarono a incontrarsi in un piano intermedio, quello proprio dei piccoli gruppi: la psicologia per i problemi dei comportamenti nel gruppo; la sociologia per le “sotto-culture” nelle culture.

Quattro sono le fonti dirette della dinamica dei gruppi:

MAYO

La nascita, all’inizio del novecento, della psicoterapia di gruppo: medici professionisti dimostrarono – anche se al tempo non riuscivano a spiegarne i meccanismi – che la partecipazione a dei gruppi conduceva a modificazioni positive della personalità;

; un piccolo gruppo di 14 operai (9 cablatori, 3 saldatori e 2 collaudatori) fu tenuto sotto controllo per otto mesi in maniera sistematica allo scopo di descrivere la propria vita collettiva, valori e regole interne, interazioni, relazioni, struttura interna;

Gli studi sul teatro terapeutico di MORENO , da cui fiorirono due idee basilari: la dimensione sociale è l’essenza della personalità, che non è più dunque interiorità nascosta ma insieme di ruoli sociali – idea all’origine dello psicodramma, del gioco delle parti e della psicoterapia di gruppo; ogni gruppo umano ha una struttura affettiva informale che determina i comportamenti degli individui del gruppo, gli uni nei confronti degli altri – idea all’origine della

34

“sociometria”, metodo di analisi della struttura delle relazioni affettive informali in un gruppo;

K. LEWIN

La dinamica dei gruppi si pone così all’improvviso in piena luce e propone, alle ricerche di psicologia e sociologia, delle realtà sociali conosciute da sempre e moltiplicatesi.

La suddivisione dei gruppi non corrisponde ad una categoria astratta – ad esempio i fumatori, gli scapoli, ecc. ; ad una categoria demografica – di una professione (es. medici, operai), di un sesso (es. le donne), di un’età (es. gli adolescenti) o di un luogo (es. i montanari); a delle realtà economiche o socio-economiche – il proletariato, la borghesia, ecc.; ad un dato socio-culturale – gli Atzechi o gli Italiani. Essi inoltre rappresentano gruppi limitati nel numero, in cui ciascuno conosce tutti gli altri e con essi può stabilire relazioni personali, con l’esistenza di una “unità psicologica” specifica che salda i membri del gruppo nei confronti dell’ambiente – naturale o sociale.

Prima di passare alla definizione della dinamica dei gruppi, ricordiamo le sette caratteristiche psicologiche fondamentali dei gruppi primari – gruppi che, come descritto in un capitolo precedente, sono caratterizzati da un’associazione o da una cooperazione “faccia-a-faccia”:

e la fondazione del Centro di Ricerche sulla Dinamica dei gruppi; proprio partendo dal “campo psicologico”, il gruppo interessa Lewin come insieme e come “clima psicologico” in cui si determinano le condotte individuali.

INTERAZIONI – gli scambi per i quali ogni membro agisce e reagisce nei confronti di un altro membro o di tutto il gruppo in maniera diretta;

EMERGERE DI NORME – regole di condotta per le quali è considerato come “bene” il rifarsi al “codice dei valori” del gruppo;

ESISTENZA DI SCOPI COLLETTIVI COMUNI – la comunitari età degli scopi rappresenta il “cemento” del gruppo;

FORMAZIONE DI UNA STRUTTURA INFORMALE – posizione dei membri, influenza, leadership, ecc. (informale poiché spesso non ufficiale e non cosciente);

35

ESISTENZA DI UN INCONSCIO COLLETTIVO – la storia comune vissuta dal gruppo ha origine da problemi latenti che, senza essere presenti attualmente alla memoria, fanno parte della vita del gruppo e delle sue reazioni;

FORMAZIONE DI UN EQUILIBRIO INTERNO e di un sistema di relazioni stabili con l’ambiente circostante.

5 – 1

1. l’insieme dei fenomeni psicosociali che si producono nei piccoli gruppi e le leggi naturali che reggono questi fenomeni;

SULLA DINAMICA DEI GRUPPI

La dinamica dei gruppi comprende due grandi insiemi che ne costituiscono le parti:

2. l’insieme dei metodi che permettono di agire sulla personalità per mezzo del gruppo e di quelli che permettono ai piccoli gruppi di agire sulle organizzazioni sociali più vaste.

Il primo insieme è composto da:

le relazioni che si stabiliscono tra i gruppi primari e l’ambiente circostante, cioè azioni e reazioni nell’ambito di un gruppo e l’ambiente sociale nella quale si trova;

l’influenza esercitata da un gruppo primario sul comportamento dei suoi membri – il gruppo esercita tale influenza attraverso il “clima psicologico” (Lewin) e le “pressioni inconsce” (Bion) che si esercitano sui membri;

la vita affettiva dei gruppi, di cui fanno parte gli atteggiamenti degli individui all’interno del gruppo, i ruoli, le relazioni simpatia-antipatia, il genere di “comunicazione”;

i fattori di coesione e di dissociazione dei gruppi primari, l’influenza che tali fattori hanno sul lavoro di gruppo e sul suo “morale” e, conseguentemente, sulle relazioni.

Per ciò che riguarda il secondo insieme, bisogna anzitutto sottolineare che dal punto di vista dell’azione pratica la Dinamica dei gruppi non si occupa di “ciò che

36

avviene” nei gruppi o del significato psico-sociologico dei fenomeni nell’ambito del gruppo stesso, ma piuttosto dei fenomeni di mutamento e del loro dominio36

lo studio dei processi di “mutamento” al livello degli atteggiamenti, dei sentimenti, delle percezioni di sé e degli altri,

.

Il secondo insieme è composto da:

per mezzo del gruppo l’utilizzazione dei metodi di gruppo per curare le turbe della personalità

definita, come precedentemente evidenziato, nella sua essenziale dimensione sociale;

;

lo studio e l’utilizzazione dei mutamenti sociali per mezzo dei piccoli gruppi, cioè utilizzare il gruppo come mezzo per operare dei mutamenti nelle organizzazioni complesse.

L’obiettivo finale, come espresso da LEWIN

1. portare gli individui a una piena padronanza delle loro possibilità e alla piena consapevolezza della loro responsabilità;

, è triplice:

2. condurre gli interessati stessi ad assumere i processi di mutamento in seno al loro gruppo avviandoli verso una più alta maturità sociale ed una maggiore efficacia;

3. indirizzare infine i gruppi efficaci ad assumere tale processo di mutamento nell’ambito di organizzazioni complesse.

5 – 2

Intervenendo come osservatore in un gruppo primario è facile constatare che si creerà una situazione nuova, probabilmente alterata dalla nuova presenza; “l’essere là” interviene come una variabile che trasforma tutta la situazione. La presenza dell’intruso determina, da parte dei membri del gruppo, il loro

INTORNO AI FENOMENI DI GRUPPO

36 MUCCHIELLI, R., La dinamica di gruppo, 1968

37

comportamento nei suoi confronti, i comportamenti condizionati alle sue intenzioni e i comportamenti tra loro.

Per mitigare tali inconvenienti vengono utilizzate tecniche quali la familiarizzazione progressiva con l’ambiente, l’osservazione-partecipazione (l’osservatore è membro del gruppo), l’osservazione invisibile (osservatore nascosto), l’osservazione oggettiva non diretta.

L’osservazione della dinamica di un gruppo esige che si afferri “cosa succede” da un certo punto di vista, cioè selezionare nella massa dei dati visibili ciò che ha un significato al livello appunto della dinamica dei gruppi. Se ad esempio tornando a casa trovo i miei figli con i loro amici in un clima effervescente, mi verrà naturale domandare loro “che succede?” attendendomi una risposta che sia di spiegazione a tale clima nel gruppo. Ciò non interessa, almeno non direttamente, la dinamica dei gruppi, quanto piuttosto cercare di comprendere perché il gruppo di amici sono disposti in un dato modo in salotto, quali sono gli atteggiamenti degli uni nei confronti degli altri, se emerge tra loro un leader, se sta avvenendo un conflitto, ecc.

Cogliere la dinamica dei gruppi esige decentramento e oggettività da parte dell’osservatore e, in tal senso, le regole principali sono:

non lasciarsi afferrare o affascinare dal significato immediato del contenuto;

non essere implicato personalmente – in particolare non prendere posizioni nei conflitti;

non “interpretare” ciò che avviene e non “proiettarsi” (decentrarsi) sul gruppo;

essere vigilanti e sempre presenti a ciò che avviene qui e ora; dar prova di empatia, cioè “comprendere” nel senso umano senza che per

questo lasciarsi trascinare dai movimenti affettivi.

E’ bene qui evidenziare che ciò che avviene in un gruppo dal punto di vista della sua dinamica non è percepito dal gruppo stesso, in quanto i suoi membri sono implicati personalmente e trascinati da tutto ciò contro cui l’osservatore deve lottare.

38

6 – ORGANIZZAZIONE E DINAMICA DEI GRUPPI DI DISCUSSIONE

Per scoprire, al di là della struttura ufficiale o formale, al di là della facciata, la struttura reale

La struttura latente dei gruppi è una realtà sia affettiva che cognitiva e, con

dei gruppi primari, occorrono mezzi quali la sociometria, metodo atto a chiarire la struttura socio-affettiva dei gruppi ed insieme studio della dinamica dei gruppi durevoli.

MORENO, essa è per ogni membro del gruppo il modo in cui egli vede il gruppo e i suoi membri; il modo in cui vede la propria situazione nel gruppo; il modo in cui lui percepisce gli altri; e il modo in cui lui è visto dagli altri37

1. “con chi desidererebbe associarsi per la tale attività specifica” (seguono le attività);

. A ciò bisogna aggiungere la distribuzione dell’affettività nel gruppo, le rappresentazioni che ogni membro ha del gruppo, la stessa attività (obiettivi, bisogni, attese) del gruppo, così come la fiducia o la sfiducia, la solidarietà o la sua mancanza, cioè l’insieme socio-affettivo e socio-cognitivo chiamato da Moreno le tèlè, che appunto esprime la struttura latente del gruppo.

Per cogliere tale struttura latente uno dei mezzi più efficaci è il test sociometrico: dopo aver definito le attività o gli scopi specifici del gruppo considerato, si propone ad ogni membro un questionario a cui si chiede di rispondere con sincerità e spontaneità:

2. “da chi pensa di essere stato scelto per eseguire tali attività” (stesse varianti del punto 1);

3. “da chi non vorrebbe sicuramente essere preso come cooperante per l’attività”;

4. “da chi pensa di essere stato scartato”.

Le risposte a queste domande consentono di compilare la carta sociometrica del gruppo (sociogramma) che permette varie rappresentazioni grafiche:

37 MORENO, J.L., Principi di sociometria, di psicometria di gruppo e sociogramma, 1964

39

le stelle, personaggi popolari del gruppo scelti da molti ai primi posti; le coppie, i terzetti, ecc., sottogruppi i cui membri si scelgono tra loro; gli isolati, i respinti, considerati come marginali nella vita del gruppo.

Prendendo spunto da un test sociometrico si può costruire una sorta di profilo per ogni individuo, guardando sia la “posizione” del soggetto nel suo gruppo di appartenenza, sia il sistema completo dei suoi atteggiamenti sociali verso gli altri membri.

6 – 1 RUOLO,TENSIONE,COESIONE E DISSOCIAZIONE

La parola ruolo ha assunto, nella nostra lingua, un significato che le viene dal teatro o dal cinema, consiste cioè in una “maschera” con la quale noi assumiamo degli atteggiamenti atti ad incarnare un personaggio distinto dalla nostra personalità. Anche nel nostro comportamento spontaneo in gruppo non sfuggiamo ai ruoli e non è l’individuo che sceglie il suo ruolo – o meglio, il ruolo che crede di interpretare, che gli altri si aspettano da lui.

I ruoli si esprimono come detto tramite atteggiamenti che nascono in seno al gruppo e il loro sviluppo e le loro modificazioni costituiscono la dinamica del gruppo, nella misura in cui reagiscono reciprocamente gli uni sugli altri.

Divenire capaci a cambiare ruolo per affrontare nuove esigenze e situazioni diviene sinonimo di adeguamento della personalità alla società e, secondo Moreno, di espansione ed affermazione della personalità stessa; ciò a dire che la nostra personalità è il complesso dei ruoli che possiamo svolgere così come la capacità di assumere il ruolo adatto alla situazione, qui e adesso.

Una tensione nel gruppo è uno stato emozionale latente e collettivo che turba il lavoro e l’armonia del gruppo. Una tensione affettiva latente può esprimersi sotto forma di un conflitto di opinioni, ma del resto il gruppo non può progredire senza che vi siano dei contrasti e dei confronti.

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I più frequenti tipi di tensione latente sono dovuti ad una sensazione generale di insicurezza e si traducono in inibizioni, silenzi pesanti, tentativi di deviazione; ai conflitti di leadership; alle sorde opposizioni del gruppo al suo capo, quando “l’esplosione della rivolta” è bloccata dall’impotenza o repressa per rispetto alle regole formali.

La vera risoluzione può avvenire solo attraverso il passaggio dal latente al manifesto – la presa di coscienza delle cause determinanti la tensione al fine di trattarle con metodo.

La coesione nei gruppi è basata unicamente sulla forza del legame di appartenenza dei suoi membri; la qualità dell’adesione personale è data dalla conoscenza degli altri, dalla fiducia nei loro confronti, dall’implicazione personale negli obiettivi del gruppo, tutti fattori che mettono in luce la stretta interrelazione tra coesione e morale (che implica la fede nell’avvenire del gruppo e può essere rinforzata da successi come penalizzata da fallimenti – e avremo la dissociazione del gruppo).

Altro fattore importante per la coesione del gruppo è dato dalla soddisfacente situazione del gruppo nell’ambito del suo ambiente storico e sociale, così come il soddisfacimento degli interessi individuali attraverso l’assimilazione degli scopi e degli interessi del gruppo.

Un ultimo fattore di coesione è dato infine dall’integrazione da parte del soggetto delle norme, dei valori e delle aspirazioni gruppali.

6 – 2 STRUTTURE FORMALI ED AUTORITA’

Si chiama struttura formale l’organizzazione gerarchica e funzionale del gruppo, con il suo carattere di ufficialità ed obbligatorietà. Quando un gruppo durevole deve sopravvivere nel suo ambiente circostante, tende spontaneamente ad organizzarsi e a formalizzare la sua struttura (ciò accade persino nelle piccole comunità di anarchici o contestatori del sistema).

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La struttura formale è relativa agli obiettivi del gruppo e definisce delle funzioni nei confronti di questi obiettivi; inserendosi in essa un individuo si trova investito necessariamente di una posizione sociale, di uno status ufficiale, di un ruolo. La posizione sociale si definisce, sempre con riferimento alla struttura formale, con un insieme di diritti e di doveri, di poteri e responsabilità; mettere in discussione la posizione significa contestare la sua utilità nei confronti degli obiettivi del gruppo.

Il ruolo e la posizione pongono l’individuo al centro di un sistema di aspirazioni e di esigenze sue proprie nei confronti degli altri e degli altri nei suoi confronti; ruolo e posizione sociale sono dunque vissuti come una morale per il fatto che, pur ammettendo un certo margine di libertà, esigono da noi determinati atteggiamenti nei confronti degli altri e degli altri nei nostri confronti.

Nasce il problema del rapporto tra l’individualità e il ruolo sociale formale, la l’individuo sa che ha più ruoli da interpretare e che può, con la riflessione (l’Io), giudicare sé stesso in tali ruoli e inoltre, con senso critico, riuscire a prescindere da essi.

La posizione e il ruolo formale servono inoltre come sistema di difesa e l’io “trova rifugio” dietro la sua maschera sociale; l’assenza di ruolo e posizione crea una vulnerabilità angosciosa: l’individuazione di essi, permettendo il riconoscimento delle norme di comportamento da una parte e dall’altra, facilita i rapporti sociali perché si sa cosa aspettarsi e come agire nei confronti dell’altro.

L’individualità agisce e opera una ridefinizione del ruolo, “adatta cioè ruolo e posizione affinché essi rispondano ai tratti del carattere.

L’autorità di un capo è funzione di dieci variabili relativamente indipendenti, raggruppabili a due a due in modo da formare cinque categorie:

1. grado di strutturazione formale del gruppo 2. adeguamento di tale struttura formale agli obiettivi del gruppo 3. posizione del capo in questa struttura e definizione del suo ruolo 4. modo in cui il capo svolge il suo compito 5. situazione attuale vissuta dal gruppo e aspettative presenti 6. rapporto tra tale situazione e gli obiettivi generali del gruppo

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7. carattere del capo, il suo stile abituale di comportamento 8. attitudini e potenzialità del capo specie nel comprendere i bisogni 9. livello di coscienza degli obiettivi del gruppo nel gruppo stesso 10. prestigio del capo nell’ambito del gruppo considerato

La distribuzione di queste variabili in cinque categorie mostra che cinque sono le istanze che costituiscono l’autorità:

la struttura formale che delega; la posizione nella struttura le esigenze della situazione attuale del gruppo nel quadro dei suoi obiettivi;

il valore personale dell’individuo e le sue attitudini; la natura del gruppo, il livello di coscienza e la relazione psicologica con il capo.

Il sistema di decisioni e di trasmissione delle informazioni in senso discendente (dal capo alla base) o ascendente (dalla base verso il capo) nasce contemporaneamente alla struttura formale. Queste trasmissioni avvengono secondo canali organizzati, il cui complesso forma lo SCHEMA DELLE COMUNICAZIONI che ha una certa forma (schema circolare, a catena, centralizzato, all cannel).

o Es. schema centralizzato

A

B C

D E F G

Ogni azione del gruppo esige delle comunicazioni e delle informazioni; la forma dello schema definisce per ogni posto il grado di accessibilità delle informazioni.

La centralità, peraltro calcolabile in ogni schema, influisce sul comportamento: un soggetto che può facilmente reperire delle informazioni e servirsene si trova in una situazione psicologica e materiale diversa da colui per il quale tali informazioni sono inaccessibili. L’indice di centralità della posizione occupata è causa , di conseguenza,

di vari effetti sul lavoro: accelerazione nel posto centrale vs rallentamento negli altri posti; meno vs più possibilità di errori; spirito d’iniziativa vs pigrizia; dinamismo vs

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amarezza o aggressività. Di qui la legge di LEAVITT: “Il tipo di schema condiziona il comportamento dei membri che lo compongono, soprattutto per quanto riguarda la precisione, l’attività totale, la soddisfazione e, per quanto riguarda il gruppo, determina l’emergenza di un capo e l’organizzazione del gruppo”.

6 – 3

a) problemi creati dall’assenza o dall’insufficienza di strutturazione nei confronti degli obiettivi del gruppo;

MORALE E DEMORALIZZAZIONE DEI GRUPPI

Fonti di malessere collettivo dovuto alla tensione e conflitti di struttura sono di cinque specie:

b) problemi legati alla sovrapposizione di compiti o a vuoti nella comunicazione; c) interferenze di più strutture formali di diversa origine (ad esempio, essere un

sottoposto in ufficio del mio genero); d) problemi legati alla rigidezza della struttura (che, ad esempio, esclude

l’iniziativa personale); e) conflitti tra l’organigramma e il sociogramma, ossia tra la struttura formale e

quella informale del gruppo.

L’autorità, nei suoi rapporti con il morale del gruppo, è fattore di sicurezza (porta la pace), di fiducia nell’avvenire (è fonte di speranza per il gruppo) e di coordinazione (è responsabile dell’ordine, dell’informazione, del programma e della suddivisione del lavoro).

Da ricerche empiriche è stato dimostrato che sette sono i fattori di un morale alto nel gruppo:

1. buon andamento delle relazioni affettive interpersonali; 2. buon andamento delle relazioni con l’unità formale; 3. fiducia nell’accessibilità degli obiettivi del gruppo; 4. cooperazione e spirito di partecipazione; 5. sopportazione delle costrizioni e delle pressioni esterne – che potrebbero

creare conflitto e dissociazione; 6. ambiente gaio (che faccia del gruppo un centro di attrazione);

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7. maturità del gruppo con capacità di riflessione dei membri.

La conoscenza di questi fattori fornisce quella dei fattori di demoralizzazione:

1. iniettare la diffidenza tra i membri; 2. iniettare la diffidenza verso l’autorità costituita; 3. togliere la speranza di raggiungere gli obiettivi proposti; 4. dissociare il gruppo (creando sottogruppi); 5. intensificare la pressione esterna sul gruppo; 6. perturbare le riunioni di gruppo; 7. insinuare nel gruppo false informazioni, voci, fantasmi, utilizzando come

trampolino la mentalità del gruppo e il sistema delle sue credenze o delle sue motivazioni.

6 – 4

numero di elementi né troppo piccolo (normalmente superiore a cinque) né grande da far sì che esso tenda a suddivisione in sottogruppi; il locale deve essere accogliente, senza disturbi o pressioni esterne sul gruppo di lavoro; anche la

MATURITA’ IN UN GRUPPO

Nei gruppi sperimentali di discussione, laddove debbano essere espresse opinioni su questioni controverse per arrivare a un accordo o a una sintesi, al contrario dei gruppi di lavoro i partecipanti si sentono facilmente nervosi e tesi; più spesso stanchi e scoraggiati che contrariati o ansiosi; risentono dell’assenza di indici certi di vero o falso; provano un bisogno intenso di essere ascoltati e compresi. In questi gruppi il leader potenziale è colui che, pur spingendo il gruppo verso i suoi obiettivi, è maggiormente capace di comprendere le opinioni individuali e di incoraggiare i partecipanti ad esprimere le proprie idee.

Differentemente nei gruppi sperimentali di lavoro il leader (potenziale) è colui che spingendo il gruppo verso i suoi obiettivi si mostra come il più capace a “creare l’atmosfera”, a far nascere l’entusiasmo e il buon umore.

Le condizioni esteriori costituiscono delle variabili sullo svolgimento di una riunione discussione: anzitutto il gruppo , a livello numerico, dovrebbe essere costituito da un

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disposizione spaziale è importante e deve comunque permettere scambi “faccia-a- faccia”.

Centrale è poi lo sviluppo affettivo e di maturità nei piccoli gruppi di discussione: “La maturità del gruppo come tale si realizza nel corso di un lento sviluppo che implica molte sedute con i medesimi partecipanti”38

e si sviluppa in alcune tappe:

creare la sicurezza nella situazione “qui e ora”

• come appartenente al gruppo;

creare la sicurezza nella fiducia interpersonale

(a questo livello i membri, destinati a discutere insieme, tentano di andare al di là delle posizioni sociali di ciascuno per pervenire a un grado di conoscenza interpersonale che consenta di lavorare insieme – è dunque essenziale un minimo di tolleranza reciproca);

sviluppo della partecipazione

(le persone, rassicurate dal tacito accordo di mutua tolleranza, accettano di impegnarsi nella discussione; ci si adegua alle decisioni capaci di mantenere l’accordo, ma è un adeguamento verbale, in cui non ci sono scambi reali. Il salto è dato da una sorta di definizione della partecipazione, che scopre la cooperazione come un atto creatore del valore del gruppo e della sua produttività);

strutturazione del gruppo

(ammesso che il gruppo sia in grado di lavorare, occorre che ciascuno comprenda bene gli altri e regni un certo ordine);

autoregolazione del funzionamento del gruppo

Ciò che avviene in un piccolo gruppo in riunione si suddivide in due livelli diversi: quello del contenuto verbale e intellettuale che è manifesto, e il livello affettivo o socio-emozionale, per il quale bisogna comprendere gli scambi al livello della vita del gruppo “qui e ora” e i loro significati; la dinamica del gruppo, a questo livello, non è cosciente ai suoi membri: essa è vissuta non riflettuta.

(il gruppo è in grado di assumersi le proprie responsabilità manifestando un raggiunto grado di autonomia; sa valutare il suo progresso, controllare il proprio funzionamento, regolare le tensioni negative: il gruppo si controlla, riflette su se stesso e si autogoverna).

38 MUCCHIELLI, R., op. cit.

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6 – 5

il sistema personale degli atteggiamenti e dei valori del soggetto considerato al di fuori del gruppo di cui fa parte qui e ora;

SULLA DECISIONE DI GRUPPO

In primo luogo va sottolineato che l’opinione espressa da un dato partecipante in un

certo momento della discussione è la risultante di alcune influenze:

il livello di informazione personale (più il soggetto sa o sa fare qualcosa, in rapporto agli obiettivi del gruppo, più affermerà la propria opinione);

il livello di informazione del gruppo (quali certezze sono state assorbite tramite l’interpretazione e la selezione dell’informazione);

la pressione di conformità del gruppo; la percezione del rapporto tra la questione da risolvere e la realtà del gruppo; la pressione della struttura formale e del presidente ufficiale; la pressione della struttura informale (che influenza i partecipanti in quanto

simpatia o antipatia ideologicamente li allontanano o avvicinano ad un’opinione;

il livello di maturità del gruppo.

Mentre inizialmente le decisioni avvengono con una procedura formale imposta in cui la pressione di conformità non gioca nessun ruolo mentre interviene con forza l’identificazione con il presidente, con l’identificazione al gruppo abbiamo la decisione sollecitata da correnti affettive che compensano il sacrificio della propria “immagine sociale” e della propria individualità; aumentando la consapevolezza degli scopi di gruppo, la decisione quando richiesta sarà necessariamente maggioritaria. Infine, con il processo di sviluppo delle interazioni che raggiunge i suoi effetti più pieni, la decisione diviene il risultato di un’opera collettiva del gruppo in cui la co-responsabilità è totale e cosciente.

47

7 –

Come precedentemente evidenziato, fu

DINAMICA DEI GRUPPI COME METODO DI AZIONE

LEWIN a gettare le basi della dinamica di gruppo studiando i processi del mutamento di opinione e i “climi sperimentali” e con la messa a punto del “metodo dei casi” sfruttando la riunione-discussione in piccoli gruppi: la ricerca tutti insieme della problematica del “caso”, per effetto della partecipazione e delle interazioni, giungeva non solo a una migliore acquisizione di conoscenze ma anche a una modificazione degli atteggiamenti personali nei partecipanti, nel senso di una maggiore obiettività e di una migliore socializzazione, capacità di comunicare e di cooperare con gli altri39.

Il valore terapeutico della partecipazione a dei gruppi era stato già messo in luce agli inizi del XX secolo da Moreno: nell’interpretazione dei ruoli e nello psicodramma (gruppi di espressione) il mutamento personale, inteso come maggiore adattabilità, era ottenuto sia attraverso la dissoluzione di atteggiamenti personali stereotipati legati ad una falsa percezione del sé, degli altri e delle relazioni interpersonali, sia attraverso lo svilupparsi di una nuova spontaneità.

7 – 1

L’effetto dei partecipanti del sentire la descrizione dei loro comportamenti da parte degli animatori e le relazioni degli osservatori volontari (sollecitate anche stavolta da Lewin), fu elettrico, tanto che le prime sedute dopo il fatto si prolungarono fino a

RAGIONANDO DEL GRUPPO T

Nell’estate del 1946 a New Britain, durante una sessione che mirava a valutare ipotesi riguardanti i comportamenti e i mutamenti di comportamento (tre gruppi di dieci partecipanti più gli animatori ufficiali del gruppo e gli osservatori), per puro caso, durante una riunione con animatori e osservatori, abitanti in loco chiesero di poter partecipare come osservatori volontari, con l’approvazione di Kurt Lewin.

39 LEWIN, K., op. cit.

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giungere a tre ore: i membri di un gruppo, quando vengono obiettivamente messi a confronto con dei dati riguardanti il loro comportamento e i suoi effetti … possono completare in modo assolutamente significativo la loro informazione sulla conoscenza di sé, sugli atteggiamenti di risposta degli altri nei loro confronti, sul comportamento del gruppo e sullo sviluppo dei gruppi in generale (LEWIN 1946).

Nacque allora l’idea dell’analisi del qui e ora che riguarda i comportamenti del gruppo. Concentrarsi sull’hic et nunc significa obbligare i partecipanti a riflettere sui loro comportamenti effettivi nel quadro dell’attuale esperienza comune; il qui e ora è dunque l’esperienza in ciò che essa ha di fatto, di vissuto, di diretto, di non concettualizzato.

L’applicazione del qui e ora obbliga a distogliere l’attenzione dagli oggetti abituali capovolgendo le abitudini della riflessione – esiste una sorta di disgelo, di non condizionamento; costringe a rendersi conto della distanza tra il reale da una parte e l’idea, il concetto, che c’è dall’altra; obbliga a rendersi conto dell’importanza della retroazione, o feedback, ossia il ritorno a noi del nostro messaggio e delle sue conseguenze – se voglio fare lo spiritoso e gli altri vedono il mio comportamento come un’espressione di aggressività, devo considerare il mio modo di scherzare come una forma di aggressività.

Il gruppo T in tal senso realizza le condizioni per un nuovo tirocinio, qualunque esso sia, per il raggiungimento di un obiettivo pedagogico rivoluzionario quale IMPARARE AD IMPARARE: non insegnare autoritariamente qualcosa o ricevere passivamente delle conoscenze.

7 – 2

Come la psicanalisi, la dinamica dei gruppi cerca di operare un mutamento degli individui in vista di una maggiore ad attività – se ci soffermiamo a pensarci, nella nostra vita l’attività di adattamento realista è bloccata così come la possibilità di vera comunicazione. Abbiamo “categorie” a priori di

MUTAMENTO PERSONALE E SOCIALE

49

giudicare, di pensare, di sentire che distorcono e impoveriscono la percezione del presente e condannano il soggetto, a sua insaputa, a vivere una RIPETIZIONE PERMANENTE. Ciò fa sì che il reale sia sostituito con le idee che il soggetto si è fatto. Porre il soggetto in una situazione tale da rendere possibile una sua presa di coscienza è il principio comune della cura psicoanalitica e del gruppo T come applicazione della dinamica dei gruppi.

A differenza della psicoanalisi, la dinamica di gruppo parte da una concezione nuova della personalità andando al di là della persona, rifiutandosi di considerare l’individuo al di fuori del gruppo – la personalità si sviluppa nel gruppo, nei rapporti con gli altri. In tal senso la dinamica di gruppo è portata a contemplare la possibilità di estendere il mutamento a tutta la società. Così, come la psicoanalisi inizialmente inquietava con la sua intenzione di mettere in causa la morale individuale, la dinamica dei gruppi inquieta ancor più intendendo operare una revisione della società.

Nel parlare dei processi di mutamento al livello individuale e al livello delle organizzazioni sociali, bisogna anzitutto menzionare la presa di coscienza, intesa come:

i. confronto tra le nostre categorie di pensiero e i nostri atteggiamenti e la nostra esperienza in ciò che essa ha di immediato, constatato, al livello della vita personale vissuta;

ii. constatazione di ciò che può esservi di falso, di distorto nelle nostre categorie e nei nostri atteggiamenti a priori;

iii. delucidazione di queste categorie, loro presa di coscienza così come quella degli atteggiamenti e sottomissione alla riflessione – rendersi conto di qualcosa di cui fino ad allora non ci si era accorti provoca un immediato mutamento di significati e atteggiamenti;

iv. la scoperta del reale “nuovo”, liberato dalla sua concettualizzazione automatica, a priori e cronica, che ci impediva la percezione al presente (percezione “ingenua”);

v. il mutamento di orientamento della coscienza che, libera dalla schiavitù del passato può, grazie al presente ritrovato, pensare al futuro.

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Questa presa di coscienza avviene nel gruppo e, in particolare, proprio dall’essere – in – gruppo:

I fattori psicologici del mutamento provengono dalla scoperta negli altri di atteggiamenti sociali diversi dai nostri, di cui non avevamo idea o ritenevamo impossibili; dalla scoperta dell’altro come tale, con i suoi problemi soggettivi reali come i nostri ma diversi; dalla scoperta degli scambi e delle idee che essi possono far sorgere; dalla scoperta dell’immagine di sé vista dagli altri, cosa che determina una nuova coscienza di sé; dalla scoperta che si può cooperare senza dover per forza raccontare la nostra vita.

I fattori sociologici del mutamento provengono dal gruppo che esercita tre tipi di influenza: l’influenza delle interazioni; l’influenza della pressione del gruppo – che si esercita nel senso di una integrazione dei suoi membri e che traduce l’esigenza di partecipazione e di co-responsabilità; l’influenza dei ruoli e del tirocinio del mutamento di ruolo.

Ovviamente avremo precise direzioni e ripercussioni del mutamento che possiamo ritrovare al livello dell’”Io”, al livello del “ruolo sociale” e al livello delle “organizzazioni sociali”.

Livello dell’Io:

1) aumento della consapevolezza dei nostri sentimenti e delle nostre reazioni; 2) aumento della consapevolezza dei sentimenti e delle reazioni degli altri e loro

effetti su noi; 3) mutamento di atteggiamenti verso se stessi, verso gli latri, verso il gruppo

come tale; 4) miglioramento del proprio savoir faire nelle relazioni umane, in vista di

stabilire relazioni più efficaci e soddisfacenti.

Livello del ruolo sociale:

1) maggiore consapevolezza del nostro ruolo sociale e della nostra responsabilità nei processi di mutamento a livello personale, di gruppo e dell’organismo sociale in generale;

51

2) mutamento di atteggiamento verso il nostro ruolo, il ruolo degli altri, le relazioni sociali nell’ambito del nostro organismo socio-professionale – per una migliore collaborazione;

3) mutamento di atteggiamento nel metabolizzare ed affrontare le relazioni funzionali con superiori, subordinati, ecc. – dunque, in generale, miglioramento del saper fare.

Livello delle organizzazioni sociali.

1) maggiore consapevolezza del valore della dinamica dei gruppi; 2) maggiore consapevolezza dei problemi di organizzazione negli organismi

sociali in generale; 3) mutamento di atteggiamento nell’affrontare i problemi di organizzazione e

miglioramento del proprio “saper fare” nella risoluzione di tali problemi; 4) miglioramento dell’efficacia degli organismi sociali ad opera dei piccoli gruppi

in seno a tali organismi.

Da quanto sopra espresso, tre sono i valori che emergono della dinamica dei gruppi: conoscenza, libertà, democrazia.

7 – 3 ULTIMA CHIACCHIERATA

La dinamica dei gruppi ha trasformato le tecniche di guida delle riunioni dei piccoli gruppi; in particolare è stato rivisto il ruolo dell’animatore, i cui imperativi fondamentali sono di non mescolare i generi (avere sempre un’idea chiara del tipo di riunione da guidare e dunque poter mutare di ruolo), far progredire il gruppo verso la sua maturità (aiutarlo a superare le varie tappe della sua evoluzione), e far progredire il gruppo verso i suoi obiettivi.

Il suo atteggiamento deve essere di osservatore passivo e muto pur occupando il posto di animatore ufficiale; i suoi interventi devono essere misurati e opportuni e agire dal fondo, senza contribuire al contenuto del dibattito.

52

Tutto questo deve essere precedentemente spiegato ai partecipanti; egli deve essere disinvolto nella guida della riunione il che comporta l’assoluta mancanza di paura davanti al gruppo e fiducia nell’efficacia del gruppo; deve riuscire a percepire la dinamica del gruppo, cioè analizzare e diagnosticare i fenomeni psicologici che si manifestano ma anche le interazioni, gli atteggiamenti, i ruoli; nel caso di tensione negativa, spetta all’animatore osservarla e farla notare al gruppo chiedendo a questo di spiegarsi sull’argomento ma stando attento a scegliere il momento in cui la tensione è sufficientemente estesa o prolungata da essere stata avvertita da tutti i membri del gruppo.

i suoi atteggiamenti, le sue reazioni, il suo ruolo e l’adeguamento del ruolo al tipo di riunione o al momento;

Vigilanza dell’animatore nei confronti de:

i componenti del gruppo, i loro atteggiamenti, il significato dei loro interventi o dei loro silenzi;

la dinamica del gruppo, le interazioni, i fenomeni psicologici, la vita affettiva del gruppo e le sue difficoltà;

gli obiettivi del lavoro e della riunione, scopi dichiarati o meno, osservanza del tema, sintesi;

le condizioni della riunione e del lavoro; valutazione del tempo, dell’orario, dell’influenza delle condizioni di lavoro sul lavoro.

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