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Mario Appelius Asia gialla: Giava, Borneo, Indocina, Annam, Cambodge, Laos, Tonkino, Macao www.liberliber.it Mario Appelius Asia gialla: Giava, Borneo, Indocina, Annam, Cambodge, Laos, Tonkino, Macao www.liberliber.it

E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

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Page 1: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Mario AppeliusAsia gialla:

Giava, Borneo, Indocina, Annam,Cambodge, Laos, Tonkino, Macao

www.liberliber.it

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Giava, Borneo, Indocina, Annam,Cambodge, Laos, Tonkino, Macao

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Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Asia gialla : Giava, Borneo, Indocina, An-nam, Cambodge, Laos, Tonkino, MacaoAUTORE: Appelius, MarioTRADUTTORE: CURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA:

TRATTO DA: Asia gialla : Giava, Borneo, Indocina,Annam, Cambodge, Laos, Tonkino, Macao / Mario Appe-lius. - Milano : Alpes, 1926. - 490 p., [48] c. ditav. : ill. ; 20 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 19 settembre 2017

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TITOLO: Asia gialla : Giava, Borneo, Indocina, An-nam, Cambodge, Laos, Tonkino, MacaoAUTORE: Appelius, MarioTRADUTTORE: CURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

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COPERTINA:

TRATTO DA: Asia gialla : Giava, Borneo, Indocina,Annam, Cambodge, Laos, Tonkino, Macao / Mario Appe-lius. - Milano : Alpes, 1926. - 490 p., [48] c. ditav. : ill. ; 20 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 19 settembre 2017

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:TRV003060 VIAGGI / Asia / Sud-Est

DIGITALIZZAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

REVISIONE:Paolo Oliva, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

Informazioni sul "progetto Manuzio"Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associa-zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque vo-glia collaborare, si pone come scopo la pubblicazio-ne e la diffusione gratuita di opere letterarie informato elettronico. Ulteriori informazioni sono di-sponibili sul sito Internet:http://www.liberliber.it/

Aiuta anche tu il "progetto Manuzio"Se questo "libro elettronico" è stato di tuo gradi-mento, o se condividi le finalità del "progetto Ma-nuzio", invia una donazione a Liber Liber. Il tuosostegno ci aiuterà a far crescere ulteriormente lanostra biblioteca. Qui le istruzioni:http://www.liberliber.it/online/aiuta/

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SOGGETTO:TRV003060 VIAGGI / Asia / Sud-Est

DIGITALIZZAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

REVISIONE:Paolo Oliva, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

Informazioni sul "progetto Manuzio"Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associa-zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque vo-glia collaborare, si pone come scopo la pubblicazio-ne e la diffusione gratuita di opere letterarie informato elettronico. Ulteriori informazioni sono di-sponibili sul sito Internet:http://www.liberliber.it/

Aiuta anche tu il "progetto Manuzio"Se questo "libro elettronico" è stato di tuo gradi-mento, o se condividi le finalità del "progetto Ma-nuzio", invia una donazione a Liber Liber. Il tuosostegno ci aiuterà a far crescere ulteriormente lanostra biblioteca. Qui le istruzioni:http://www.liberliber.it/online/aiuta/

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Indice generale

Batavia............................................................................8Aristocrazia coloniale...................................................25Tra i vulcani..................................................................44Il "Lago bianco"............................................................52Il tempio di Borobodor.................................................61Alla Corte di Soerakarta...............................................76Danze e amori d'Asia....................................................94Vita di piantatori.........................................................106Montanari Teng...........................................................120Fantasmi d'una notte equatoriale................................134Un tifone fra Borneo e Celebes..................................150In un villaggio "Daiak"...............................................163Caccia all'Orang-Utang...............................................178Dal Borneo a Saigon...................................................190Una porta dell'Asia: Saigon........................................206Il "Pericolo giallo"......................................................221Fumerie d'oppio..........................................................237Confidenze di fumatori...............................................253Mi-Bhà........................................................................268La pianura degli specchi.............................................283Alla Corte del re del Camboge...................................295Angkor-Vat.................................................................308Prima iniziazione ai misteri della politica cinese.......322Le danzatrici di re Sisovat..........................................345Piccole considerazioni spiacevoli...............................362

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Indice generale

Batavia............................................................................8Aristocrazia coloniale...................................................25Tra i vulcani..................................................................44Il "Lago bianco"............................................................52Il tempio di Borobodor.................................................61Alla Corte di Soerakarta...............................................76Danze e amori d'Asia....................................................94Vita di piantatori.........................................................106Montanari Teng...........................................................120Fantasmi d'una notte equatoriale................................134Un tifone fra Borneo e Celebes..................................150In un villaggio "Daiak"...............................................163Caccia all'Orang-Utang...............................................178Dal Borneo a Saigon...................................................190Una porta dell'Asia: Saigon........................................206Il "Pericolo giallo"......................................................221Fumerie d'oppio..........................................................237Confidenze di fumatori...............................................253Mi-Bhà........................................................................268La pianura degli specchi.............................................283Alla Corte del re del Camboge...................................295Angkor-Vat.................................................................308Prima iniziazione ai misteri della politica cinese.......322Le danzatrici di re Sisovat..........................................345Piccole considerazioni spiacevoli...............................362

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Le bianche steppe.......................................................380Il "signor Kop"............................................................396La tragedia d'una razza...............................................409Nel decrepito Annam..................................................424La pianura dei morti...................................................441Grandezza e miseria di un Imperatore d'Asia.............456Da Haifong ad Hanoi..................................................471Nella baia d'Along......................................................486Discendenti di pirati....................................................500Le caverne nere d'Honghai.........................................516Politica coloniale........................................................533Macao.........................................................................546INDICE.......................................................................563

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Le bianche steppe.......................................................380Il "signor Kop"............................................................396La tragedia d'una razza...............................................409Nel decrepito Annam..................................................424La pianura dei morti...................................................441Grandezza e miseria di un Imperatore d'Asia.............456Da Haifong ad Hanoi..................................................471Nella baia d'Along......................................................486Discendenti di pirati....................................................500Le caverne nere d'Honghai.........................................516Politica coloniale........................................................533Macao.........................................................................546INDICE.......................................................................563

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MARIO APPELIUS

ASIA GIALLA

GIAVA – BORNEO – INDOCINA – ANNAM –CAMBODGE – LAOS – TONKINO – MACAO

con 60 illustrazioni

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MARIO APPELIUS

ASIA GIALLA

GIAVA – BORNEO – INDOCINA – ANNAM –CAMBODGE – LAOS – TONKINO – MACAO

con 60 illustrazioni

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Page 7: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

ALLA MEMORIA DELLE CAMI-CE NERE, CADUTE NEL SOLCODELLA GLORIA DELLA RIVO-LUZIONE FASCISTA PER FAREGRANDE L'ITALIA, CON PRO-FONDA UMILTÀ.

L'Autore.

Saigon, Gennaio 1926

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ALLA MEMORIA DELLE CAMI-CE NERE, CADUTE NEL SOLCODELLA GLORIA DELLA RIVO-LUZIONE FASCISTA PER FAREGRANDE L'ITALIA, CON PRO-FONDA UMILTÀ.

L'Autore.

Saigon, Gennaio 1926

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Batavia

WELTEVREDEN, 14 gennaio.

Il lavaggio della «passeggiata» mi sveglia con unospruzzo di pulviscolo fresco nella sedia a sdraio, in cuimi sono addormentato senza volerlo stanotte, dopo averammirato per ore ed ore una indescrivibile notte di fo-sforescenza nel mar della Sonda.

Benché sia appena mattino, il sole è già alto sull'oriz-zonte ed ha incominciato il quotidiano, silenzioso bom-bardamento dell'Equatore. Mare calmo, piatto, incande-scente; cielo di cristallo, quasi incolore per la troppaluce; aria tiepida, dolcissima, piena di carezze e di pro-fumi.

Ancora deserti i ponti di classe; quattro inglesi in pi-giama di seta cruda che vanno avanti indietro a passo diginnastica; tutto sveglio invece il ponte di coperta conun formicolio di malesi e di celesti. Sulla soglia dellacambusa il nostromo sorseggia il caffè. Due sguatterispennano galline.

Un gran barbaglio d'argento tremola sull'acqua chiarain direzione del sole. Uccellacci bianchi svolazzano sul-

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Batavia

WELTEVREDEN, 14 gennaio.

Il lavaggio della «passeggiata» mi sveglia con unospruzzo di pulviscolo fresco nella sedia a sdraio, in cuimi sono addormentato senza volerlo stanotte, dopo averammirato per ore ed ore una indescrivibile notte di fo-sforescenza nel mar della Sonda.

Benché sia appena mattino, il sole è già alto sull'oriz-zonte ed ha incominciato il quotidiano, silenzioso bom-bardamento dell'Equatore. Mare calmo, piatto, incande-scente; cielo di cristallo, quasi incolore per la troppaluce; aria tiepida, dolcissima, piena di carezze e di pro-fumi.

Ancora deserti i ponti di classe; quattro inglesi in pi-giama di seta cruda che vanno avanti indietro a passo diginnastica; tutto sveglio invece il ponte di coperta conun formicolio di malesi e di celesti. Sulla soglia dellacambusa il nostromo sorseggia il caffè. Due sguatterispennano galline.

Un gran barbaglio d'argento tremola sull'acqua chiarain direzione del sole. Uccellacci bianchi svolazzano sul-

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lo smeraldo pallido del mare. Un salvagente galleggian-te fa pensare a tante cose....

Dove stanno guardando gli ufficiali coi binocoli mipar d'intravedere ad occhio nudo una macchia scura,come una pennellata opaca sul cristallo.

— Cos'è? — chiedo ad un marinaio che passa coipennelli ed un bidone di pittura.

— Giava!La parola magica empie per me di fascino esotico

l'orizzonte acceso. Quante volte ho desiderato questogiorno! Quante volte ho sognato d'arrivare così, in unmattino di sole, all'isola incantata! Quante volte, leggen-do un libro di Kipling, di Conrad, o di Coscience, hosocchiuso gli occhi per ascoltare dentro di me il sussur-ro immaginario della lontanissima jungla!

The air most sweet, fertile the isle....Pian piano, dov'era la macchia opaca, due monti pre-

cisano la loro sagoma violetta, due monti impennacchia-ti, con un non so che di Vesuvio nella forma conica etronca delle cime.

— Giava? — ridomando ad un ufficiale, pel piaceredi sentir ripetere la bella parola.

— Sì, ecco il Sàlak ed il Ghede, i primi vulcanidell'isola. Fra due ore s'è in porto.

I due monti sono come campati in aria, coi coni netta-mente delineati nel grande ardore del cielo, scuri, preci-si, come intagliati nel bagliore, mentre le basi non si ve-dono, nascoste dai vapori rosati del mattino. E questidue cappucci di montagna, sospesi nello spazio, col mi-

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lo smeraldo pallido del mare. Un salvagente galleggian-te fa pensare a tante cose....

Dove stanno guardando gli ufficiali coi binocoli mipar d'intravedere ad occhio nudo una macchia scura,come una pennellata opaca sul cristallo.

— Cos'è? — chiedo ad un marinaio che passa coipennelli ed un bidone di pittura.

— Giava!La parola magica empie per me di fascino esotico

l'orizzonte acceso. Quante volte ho desiderato questogiorno! Quante volte ho sognato d'arrivare così, in unmattino di sole, all'isola incantata! Quante volte, leggen-do un libro di Kipling, di Conrad, o di Coscience, hosocchiuso gli occhi per ascoltare dentro di me il sussur-ro immaginario della lontanissima jungla!

The air most sweet, fertile the isle....Pian piano, dov'era la macchia opaca, due monti pre-

cisano la loro sagoma violetta, due monti impennacchia-ti, con un non so che di Vesuvio nella forma conica etronca delle cime.

— Giava? — ridomando ad un ufficiale, pel piaceredi sentir ripetere la bella parola.

— Sì, ecco il Sàlak ed il Ghede, i primi vulcanidell'isola. Fra due ore s'è in porto.

I due monti sono come campati in aria, coi coni netta-mente delineati nel grande ardore del cielo, scuri, preci-si, come intagliati nel bagliore, mentre le basi non si ve-dono, nascoste dai vapori rosati del mattino. E questidue cappucci di montagna, sospesi nello spazio, col mi-

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Page 10: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

stero dell'isola invisibile, sembrano un fantastico bal-dacchino sotto il quale si nascondano mille promesse.

Il tempo di scendere in cabina per chiudere alla sveltale valigie e rieccomi sul ponte. La sirena saluta la terradi Giava che s'avvicina... una fuga di palme-cocco suuna spiaggia bassa, quasi a fior d'acqua, due giganteschibracci di scogliera artificiali che s'inoltrano in mare oltreun chilometro dalla costa. Ed imbocchiamo l'avamportodi Batavia, formidabile opera dell'ingegneria olandese,alla quale valenti tecnici italiani e magnifici operai no-stri apportarono, per poco pane, il contributo della loroinsuperabile maestria, come ad Alessandria, come a Riode Janeiro, come a Capo di Buona Speranza, come aSidney, come in tanti e tanti altri porti dei cinque conti-nenti.

Veramente la Patria dovrebbe illustrare in un'operamonumentale tutte le maggiori affermazioni del lavoroitaliano nel mondo, prima che il tempo ne cancelli il ri-cordo. Un volume di così alto interesse nazionale, editodallo Stato, in una veste tipografica degna delle tradizio-ni italiche, dovrebbe essere regalato dall'Italia imperialea tutte le maggiori biblioteche del mondo, affinchè restiimmortalata ed inoppugnabilmente documentata per glistudi storici dell'avvenire, la nazionalità degli ingegneriche hanno concepito e degli artefici che hanno eseguito,in tutte le terre ed in tutti i mari, tanti ciclopici monu-menti della civiltà moderna. È probabile altrimenti che iposteri ricorderanno solamente l'ardua fatica di chi hadato ad una Banca l'ordine di pagare!

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stero dell'isola invisibile, sembrano un fantastico bal-dacchino sotto il quale si nascondano mille promesse.

Il tempo di scendere in cabina per chiudere alla sveltale valigie e rieccomi sul ponte. La sirena saluta la terradi Giava che s'avvicina... una fuga di palme-cocco suuna spiaggia bassa, quasi a fior d'acqua, due giganteschibracci di scogliera artificiali che s'inoltrano in mare oltreun chilometro dalla costa. Ed imbocchiamo l'avamportodi Batavia, formidabile opera dell'ingegneria olandese,alla quale valenti tecnici italiani e magnifici operai no-stri apportarono, per poco pane, il contributo della loroinsuperabile maestria, come ad Alessandria, come a Riode Janeiro, come a Capo di Buona Speranza, come aSidney, come in tanti e tanti altri porti dei cinque conti-nenti.

Veramente la Patria dovrebbe illustrare in un'operamonumentale tutte le maggiori affermazioni del lavoroitaliano nel mondo, prima che il tempo ne cancelli il ri-cordo. Un volume di così alto interesse nazionale, editodallo Stato, in una veste tipografica degna delle tradizio-ni italiche, dovrebbe essere regalato dall'Italia imperialea tutte le maggiori biblioteche del mondo, affinchè restiimmortalata ed inoppugnabilmente documentata per glistudi storici dell'avvenire, la nazionalità degli ingegneriche hanno concepito e degli artefici che hanno eseguito,in tutte le terre ed in tutti i mari, tanti ciclopici monu-menti della civiltà moderna. È probabile altrimenti che iposteri ricorderanno solamente l'ardua fatica di chi hadato ad una Banca l'ordine di pagare!

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VECCHIA BATAVIA – Un canale.

NUOVA BATAVIA – Una strada.

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VECCHIA BATAVIA – Un canale.

NUOVA BATAVIA – Una strada.

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BUITENZORG – Una strada centrale.

GIAVA – Vulcano e lago Klakak.

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BUITENZORG – Una strada centrale.

GIAVA – Vulcano e lago Klakak.

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Il vecchio porto di Batavia, costruito dagli olandesinel 1600, è ora riservato alle giunche celesti ed alle bar-che indigene, a causa del continuo interro dei fondaliper i forti detriti alluvionali dell'isola. La stessa Batavia,che era stata edificata in origine sul mare, ne dista, at-tualmente circa un chilometro e la terra continua adavanzare sensibilmente d'anno in anno. Dal nuovo porto– il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe.Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario disimpegnano il traffico intenso fra imoli e la capitale.

Dogana cortesissima e spicciativa, la più compita delmondo.

Ancora non si sono perse di vista dal finestrino deltreno le alberature delle navi, che già l'isola magnificaoffre al viaggiatore un piccolo saggio della sua equato-riale opulenza. Il convoglio corre per tre chilometri inmezzo ad una meravigliosa serra di palme, di fenici, dicocchi, di guttaperche, di banani, tutta una gran magni-ficenza verde da far impallidire il ricordo di Ceylan.Fiori e fiori, a mazzi, a cespi, a ciuffi, a pergolati, a tap-peti. E nel fogliame trasvolano svelti colonnati di veran-de, occhieggiano villette nane, sorridono tetti ricurvi, fa-sciati di porcellana. È un incanto, ma s'ha appena il tem-po di guardare, che già il vagone è sotto la tettoia di Ri-skiw.

Quando s'è fuori della stazione, si cerca la città chenon c'è. Verde e verde. Ancora piante, aiuole e giardini.L'automobile del Grand Hôtel des Indes fila in mezzo

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Il vecchio porto di Batavia, costruito dagli olandesinel 1600, è ora riservato alle giunche celesti ed alle bar-che indigene, a causa del continuo interro dei fondaliper i forti detriti alluvionali dell'isola. La stessa Batavia,che era stata edificata in origine sul mare, ne dista, at-tualmente circa un chilometro e la terra continua adavanzare sensibilmente d'anno in anno. Dal nuovo porto– il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe.Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario disimpegnano il traffico intenso fra imoli e la capitale.

Dogana cortesissima e spicciativa, la più compita delmondo.

Ancora non si sono perse di vista dal finestrino deltreno le alberature delle navi, che già l'isola magnificaoffre al viaggiatore un piccolo saggio della sua equato-riale opulenza. Il convoglio corre per tre chilometri inmezzo ad una meravigliosa serra di palme, di fenici, dicocchi, di guttaperche, di banani, tutta una gran magni-ficenza verde da far impallidire il ricordo di Ceylan.Fiori e fiori, a mazzi, a cespi, a ciuffi, a pergolati, a tap-peti. E nel fogliame trasvolano svelti colonnati di veran-de, occhieggiano villette nane, sorridono tetti ricurvi, fa-sciati di porcellana. È un incanto, ma s'ha appena il tem-po di guardare, che già il vagone è sotto la tettoia di Ri-skiw.

Quando s'è fuori della stazione, si cerca la città chenon c'è. Verde e verde. Ancora piante, aiuole e giardini.L'automobile del Grand Hôtel des Indes fila in mezzo

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ad un altro parco. Invece di case, alberi; invece di stra-de, vialoni; invece di magazzini, chioschi di foglie. Madov'è Batavia?

Il mio vicino – scialbo biondone biancovestito – mirisponde con un sorriso dei denti d'oro:

— Diesen ist Batavia, Konigin van het Osten!Questa è Batavia, regina dell'Oriente!E si frega le mani, evidentemente divertito della no-

stra meraviglia.Table d'hôte equatoriale: uomini vestiti di tela bianca,

signore.... svestite, con un minimo di mussola trasparen-te. Fa caldo a Batavia ed il bel sesso ne approfitta per ri-durre il metraggio dei tessuti. Servi malesi che non capi-scono nessuna lingua, eccettuata la loro, femminei, scal-zi, con un sorrisetto a molla meccanica che continua-mente scatta sotto il naso appiattito; direttore di sala eu-ropeo che ha l'aria di conoscere tutte le lingue, ma chetradisce l'idioma fondamentale con un «accidenti!» cheè uno schiocco di Trastevere.

Seduto al mio posto, aspetto che arrivino gli imman-cabili antipasti di tutti gli alberghi dell'universo. Il menuin olando-giavanese è muto per me come un geroglificofaraonico. Però leggo in caratteri a macchina tanto diRistaffel e traduco per conto mio «antipasti», a menoche non voglia dire «buon appetito».

Quando tutti sono a tavola il maestro batte con digni-tà due volte le mani e pronunzia solennemente: – Ristaf-fel, come dicesse: Arriva il Re! Ancora l'elle finale tre-mola su le sue labbra rasate d'olandese di Roma, che da

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ad un altro parco. Invece di case, alberi; invece di stra-de, vialoni; invece di magazzini, chioschi di foglie. Madov'è Batavia?

Il mio vicino – scialbo biondone biancovestito – mirisponde con un sorriso dei denti d'oro:

— Diesen ist Batavia, Konigin van het Osten!Questa è Batavia, regina dell'Oriente!E si frega le mani, evidentemente divertito della no-

stra meraviglia.Table d'hôte equatoriale: uomini vestiti di tela bianca,

signore.... svestite, con un minimo di mussola trasparen-te. Fa caldo a Batavia ed il bel sesso ne approfitta per ri-durre il metraggio dei tessuti. Servi malesi che non capi-scono nessuna lingua, eccettuata la loro, femminei, scal-zi, con un sorrisetto a molla meccanica che continua-mente scatta sotto il naso appiattito; direttore di sala eu-ropeo che ha l'aria di conoscere tutte le lingue, ma chetradisce l'idioma fondamentale con un «accidenti!» cheè uno schiocco di Trastevere.

Seduto al mio posto, aspetto che arrivino gli imman-cabili antipasti di tutti gli alberghi dell'universo. Il menuin olando-giavanese è muto per me come un geroglificofaraonico. Però leggo in caratteri a macchina tanto diRistaffel e traduco per conto mio «antipasti», a menoche non voglia dire «buon appetito».

Quando tutti sono a tavola il maestro batte con digni-tà due volte le mani e pronunzia solennemente: – Ristaf-fel, come dicesse: Arriva il Re! Ancora l'elle finale tre-mola su le sue labbra rasate d'olandese di Roma, che da

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una porta laterale sbucano di volata, uno dietro l'altro, adir poco una trentina di malesi in tunica bianca, ognunocon un'enorme ciotola di riso fumante, che depongonoinnanzi ad ogni convitato. Poi scompaiono, per riappari-re un secondo dopo, con una dozzina di piattelli, e via dinuovo di corsa, e dentro di nuovo con altri piattelli, ecosì cinque o sei volte, a passo di bersagliere, finché tut-ta la mia porzione di tovaglia e quella dei miei compa-gni di ristaffel è tappezzata da una moltitudine di piatti-ni e tazzerelle che fanno cerchio intorno al monumentodel riso, come microscopiche pagode intorno al cupolo-ne d'un gran tempio buddista.

Faccio così conoscenza col ristaffel, piatto fortedell'isola di Giava.

Osservo dinanzi a me una non languida matrona cheha l'aria d'essere esperta in materia e faccio come lei. In-cominciamo col riempire il piatto di riso, poi s'inizia lapizzicatura dei piattelli. Dio, che pasticcio! Giù un'ala dipollo, due sottaceti, un radicchio, diverse conserve difrutta, mezzo uovo sodo, banane fritte, fegatini di chissàche provenienza, polpette non meglio identificate, foglieverdi, cetrioli, una fetta di limone, due di cocomero, unasalsa grigia, un impiastro rosso, una broda gialla, un ce-rotto nero, due pescetti salati, un altro pescetto che èmorto di convulsione, un cucchiaio di farina e ancora,ancora... poi una gran rimescolata e s'assaggia. Micacattiva, come porcheria!

Dopo il ristaffel, frutta e v'assicuro che ce n'è d'avan-zo. Non pere, nè mele, nè aranci; tutto un cesto di grazia

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una porta laterale sbucano di volata, uno dietro l'altro, adir poco una trentina di malesi in tunica bianca, ognunocon un'enorme ciotola di riso fumante, che depongonoinnanzi ad ogni convitato. Poi scompaiono, per riappari-re un secondo dopo, con una dozzina di piattelli, e via dinuovo di corsa, e dentro di nuovo con altri piattelli, ecosì cinque o sei volte, a passo di bersagliere, finché tut-ta la mia porzione di tovaglia e quella dei miei compa-gni di ristaffel è tappezzata da una moltitudine di piatti-ni e tazzerelle che fanno cerchio intorno al monumentodel riso, come microscopiche pagode intorno al cupolo-ne d'un gran tempio buddista.

Faccio così conoscenza col ristaffel, piatto fortedell'isola di Giava.

Osservo dinanzi a me una non languida matrona cheha l'aria d'essere esperta in materia e faccio come lei. In-cominciamo col riempire il piatto di riso, poi s'inizia lapizzicatura dei piattelli. Dio, che pasticcio! Giù un'ala dipollo, due sottaceti, un radicchio, diverse conserve difrutta, mezzo uovo sodo, banane fritte, fegatini di chissàche provenienza, polpette non meglio identificate, foglieverdi, cetrioli, una fetta di limone, due di cocomero, unasalsa grigia, un impiastro rosso, una broda gialla, un ce-rotto nero, due pescetti salati, un altro pescetto che èmorto di convulsione, un cucchiaio di farina e ancora,ancora... poi una gran rimescolata e s'assaggia. Micacattiva, come porcheria!

Dopo il ristaffel, frutta e v'assicuro che ce n'è d'avan-zo. Non pere, nè mele, nè aranci; tutto un cesto di grazia

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di Dio equatoriale: ananas, lamunte, che sono cocomeri-ni scarlatti con la polpa fitta e la buccia spinosa, dukù,che hanno l'aria di susine e sapore d'aranci, manghi allatrementina, mangostani alla china Migone, rambotani aldentifricio, viringhe, con un profumo acutissimo di gel-somini ed un saporino acidulo di nespola, papaje, cac-ciari, pamplemusy d'un bel violetto carnoso, sàggli, chesanno di patata ed altre varietà esotiche, tutte più omeno mangiabili, alcune anche gustose, ma senza peri-colo di concorrenza per l'incontestabile primato d'unanostra pesca maturata a puntino dal bel sole d'Italia.

Anche il caffè è discutibile: tre cucchiaini d'essenzaconcentrata, in una mezza chicchera di panna. Buono,ma preferisco il moka alla turca.

Fatta così amicizia con l'alimentazione olando-giava-nese, s'esce alla ricerca della città. Il pus-pus a trazioneumana non esiste a Giava. Benché gli indigeni disimpe-gnino l'ufficio di uomo-cavallo in tutte le colonie euro-pee d'Estremo Oriente, gli olandesi hanno proibito, neiloro possedimenti, questo sistema di locomozione, giu-dicandolo troppo degradante pel genere umano. Per es-sere in un paese colonizzato da una razza germanica –les barbares – la constatazione non è priva d'un certopiccante!

Il veicolo giavanese è il sado, parola che, tradotta let-teralmente, significa «dorso contro dorso». Sì tratta in-fatti d'un biroccio tirato da piccoli poney con due sedio-lini messi schiena contro schiena. Quando s'è in due, ci

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di Dio equatoriale: ananas, lamunte, che sono cocomeri-ni scarlatti con la polpa fitta e la buccia spinosa, dukù,che hanno l'aria di susine e sapore d'aranci, manghi allatrementina, mangostani alla china Migone, rambotani aldentifricio, viringhe, con un profumo acutissimo di gel-somini ed un saporino acidulo di nespola, papaje, cac-ciari, pamplemusy d'un bel violetto carnoso, sàggli, chesanno di patata ed altre varietà esotiche, tutte più omeno mangiabili, alcune anche gustose, ma senza peri-colo di concorrenza per l'incontestabile primato d'unanostra pesca maturata a puntino dal bel sole d'Italia.

Anche il caffè è discutibile: tre cucchiaini d'essenzaconcentrata, in una mezza chicchera di panna. Buono,ma preferisco il moka alla turca.

Fatta così amicizia con l'alimentazione olando-giava-nese, s'esce alla ricerca della città. Il pus-pus a trazioneumana non esiste a Giava. Benché gli indigeni disimpe-gnino l'ufficio di uomo-cavallo in tutte le colonie euro-pee d'Estremo Oriente, gli olandesi hanno proibito, neiloro possedimenti, questo sistema di locomozione, giu-dicandolo troppo degradante pel genere umano. Per es-sere in un paese colonizzato da una razza germanica –les barbares – la constatazione non è priva d'un certopiccante!

Il veicolo giavanese è il sado, parola che, tradotta let-teralmente, significa «dorso contro dorso». Sì tratta in-fatti d'un biroccio tirato da piccoli poney con due sedio-lini messi schiena contro schiena. Quando s'è in due, ci

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si dà le spalle e s'ammortiscono fraternamente gli scos-soni.

Il romano di Batavia mi schizza una carta topograficaall'italiana, che vale tutte le guide:

— Veda, di qua si va alla vecchia Batavia, di là allanuova; questo è il centro della città e si chiama Welte-vreden. Té alle quattro, pranzo alle nove. Le farò dareuna delle camere verso nord, che sono più fresche. Stiatranquillo, penserò io a tutto, doccia, ventilatore, la mo-glie....

— Come sarebbe a dire la, moglie?— Sì, sì, vedrà stasera, sarà contentissimo.— Dica.... è compresa nel prezzo?— Naturalmente. Buona passeggiata!Mentre il sado infila al trotto serrato dei piccoli ca-

valli malesi, un bel viale di tamarindi, non posso tratte-nermi dal pensare un istante alla «moglie» giavaneseche stasera aspetterà nella mia stanza il ritorno del suosignore. C'è da avere delle brutte sorprese! In ogni modonon m'aspettavo dagli olandesi, protestanti, non confor-misti, puritani, la trovata parigina della pensione com-pleta.

Il quartiere di Weltevreden (la pace del mondo) è ilcentro di Batavia, ma non vi sono nè strade nè palazzi.È una foresta equatoriale di palme, di banani e di tama-rindi, intersecata da placidi canali e da lunghi viali pienid'ombra, con qua e là un padiglione rannicchiato inmezzo al verde, un pezzo di casa che fa capolino tra glialberi, un tetto a punta che si vede e non si vede nel fo-

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si dà le spalle e s'ammortiscono fraternamente gli scos-soni.

Il romano di Batavia mi schizza una carta topograficaall'italiana, che vale tutte le guide:

— Veda, di qua si va alla vecchia Batavia, di là allanuova; questo è il centro della città e si chiama Welte-vreden. Té alle quattro, pranzo alle nove. Le farò dareuna delle camere verso nord, che sono più fresche. Stiatranquillo, penserò io a tutto, doccia, ventilatore, la mo-glie....

— Come sarebbe a dire la, moglie?— Sì, sì, vedrà stasera, sarà contentissimo.— Dica.... è compresa nel prezzo?— Naturalmente. Buona passeggiata!Mentre il sado infila al trotto serrato dei piccoli ca-

valli malesi, un bel viale di tamarindi, non posso tratte-nermi dal pensare un istante alla «moglie» giavaneseche stasera aspetterà nella mia stanza il ritorno del suosignore. C'è da avere delle brutte sorprese! In ogni modonon m'aspettavo dagli olandesi, protestanti, non confor-misti, puritani, la trovata parigina della pensione com-pleta.

Il quartiere di Weltevreden (la pace del mondo) è ilcentro di Batavia, ma non vi sono nè strade nè palazzi.È una foresta equatoriale di palme, di banani e di tama-rindi, intersecata da placidi canali e da lunghi viali pienid'ombra, con qua e là un padiglione rannicchiato inmezzo al verde, un pezzo di casa che fa capolino tra glialberi, un tetto a punta che si vede e non si vede nel fo-

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gliame. La piazza reale, Konigsplein, è un immenso pra-to di cento ettari, bordato di giganteschi varinghi d'altofusto, i quali danno l'impressione d'un giardino pensilecostruito su alberi di piroscafo.

Tutte le abitazioni della capitale sono a pian terreno,precauzione utilissima per il caldo, ma ancor più per iterremoti che scuotono con frequenza il sottosuolo diGiava. Centocinquantamila abitanti popolano Batavia,ma non si vedono. Col sistema d'una piccola casa fornitadi un grande giardino, le distanze sono naturalmenteenormi. Dalla vecchia Batavia al quartiere signorile diCornelis, vi sono ben diciotto chilometri.

Nella piazza di Waterloo, altro gigantesco prato, sor-ge il palazzo del Governo, costruito da un architetto ve-neziano all'epoca del famoso maresciallo Daendel, che ècome il lord Kitchener degli olandesi. Una colonna, conun modesto leone, ricorda ai malesi di Giava il crollodel grande Italiano che fu imperatore dei francesi.

Un tram elettrico a carrozze distinte per nazionalità(bianchi, cinesi ed indigeni), conduce in mezz'ora daWeltevreden alla vecchia Batavia, il che è come diredall'Equatore al Mare del Nord. La magnificenza delparco equinoziale di Weltevreden, lo splendore tropicaledelle avenues fiancheggiate d'alte palme e di maestosifichi babilonici, con ogni tanto la mole gigantesca d'unavaringa dai cento tronchi, la grazia suggestiva, dellestrade minori incassate in mezzo al verde ed ai fiori, tut-ta la spettacolosa opulenza di questo giardino incantatodell'Asia ardente, nel quale letteralmente scompare la

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gliame. La piazza reale, Konigsplein, è un immenso pra-to di cento ettari, bordato di giganteschi varinghi d'altofusto, i quali danno l'impressione d'un giardino pensilecostruito su alberi di piroscafo.

Tutte le abitazioni della capitale sono a pian terreno,precauzione utilissima per il caldo, ma ancor più per iterremoti che scuotono con frequenza il sottosuolo diGiava. Centocinquantamila abitanti popolano Batavia,ma non si vedono. Col sistema d'una piccola casa fornitadi un grande giardino, le distanze sono naturalmenteenormi. Dalla vecchia Batavia al quartiere signorile diCornelis, vi sono ben diciotto chilometri.

Nella piazza di Waterloo, altro gigantesco prato, sor-ge il palazzo del Governo, costruito da un architetto ve-neziano all'epoca del famoso maresciallo Daendel, che ècome il lord Kitchener degli olandesi. Una colonna, conun modesto leone, ricorda ai malesi di Giava il crollodel grande Italiano che fu imperatore dei francesi.

Un tram elettrico a carrozze distinte per nazionalità(bianchi, cinesi ed indigeni), conduce in mezz'ora daWeltevreden alla vecchia Batavia, il che è come diredall'Equatore al Mare del Nord. La magnificenza delparco equinoziale di Weltevreden, lo splendore tropicaledelle avenues fiancheggiate d'alte palme e di maestosifichi babilonici, con ogni tanto la mole gigantesca d'unavaringa dai cento tronchi, la grazia suggestiva, dellestrade minori incassate in mezzo al verde ed ai fiori, tut-ta la spettacolosa opulenza di questo giardino incantatodell'Asia ardente, nel quale letteralmente scompare la

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capitale dell'impero olandese delle Indie coi suoi cento-cinquantamila abitanti, fanno parere ancor più triste epiù nordica la vecchia Batavia del 1600.

Quando il tram arriva all'Herengracht, l'occhio noncrede a sé stesso, tanto è fuori posto questa piccola Am-sterdam dell'Equatore, con le sue case olandesi addossa-te una all'altra, colla sua fisonomia di ghetto, coi palaz-zotti settecenteschi, le mura feudali, i ponti levatoi, ifossati, i merli, la torre dell'orologio e la porta del ca-stello. Melanconici canali specchiano, nella loro chia-rezza senz'ombra, questo paradossale scenario di unmondo lontano. Certe strade fanno pensare ad una Vene-zia di cartapesta, costruita da gente di cattivo gusto perun'esposizione europea di macchine agricole in EstremoOriente.

Intorno agli avanzi secolari del castello stanno umil-mente accovacciati vecchi cannoni portoghesi e britan-nici, conquistati dai soldati della Compagnia delle Indiein lontane battaglie. Palazzi, che furono splendide dimo-re di capitani e d'ammiragli, sono ora adibiti ad uffici odepositi della Handelmatchappy. L'occhio rileva suimuri traccie di stemmi e scudi gentilizi, avanzi di dora-ture, impronte di bassorilievi, mezz'aquila, un giglio,una barbuta da cavaliere, un rostro di galeone, un'inse-gna di scabino: grandezza e decadenza delle cose! Inquesti ambienti, nei quali un tempo brillava il fasto co-loniale degli statolder, sono ora ammucchiati i sacchi diriso, di zucchero e di tè dei cresi internazionali di Welte-vreden.

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capitale dell'impero olandese delle Indie coi suoi cento-cinquantamila abitanti, fanno parere ancor più triste epiù nordica la vecchia Batavia del 1600.

Quando il tram arriva all'Herengracht, l'occhio noncrede a sé stesso, tanto è fuori posto questa piccola Am-sterdam dell'Equatore, con le sue case olandesi addossa-te una all'altra, colla sua fisonomia di ghetto, coi palaz-zotti settecenteschi, le mura feudali, i ponti levatoi, ifossati, i merli, la torre dell'orologio e la porta del ca-stello. Melanconici canali specchiano, nella loro chia-rezza senz'ombra, questo paradossale scenario di unmondo lontano. Certe strade fanno pensare ad una Vene-zia di cartapesta, costruita da gente di cattivo gusto perun'esposizione europea di macchine agricole in EstremoOriente.

Intorno agli avanzi secolari del castello stanno umil-mente accovacciati vecchi cannoni portoghesi e britan-nici, conquistati dai soldati della Compagnia delle Indiein lontane battaglie. Palazzi, che furono splendide dimo-re di capitani e d'ammiragli, sono ora adibiti ad uffici odepositi della Handelmatchappy. L'occhio rileva suimuri traccie di stemmi e scudi gentilizi, avanzi di dora-ture, impronte di bassorilievi, mezz'aquila, un giglio,una barbuta da cavaliere, un rostro di galeone, un'inse-gna di scabino: grandezza e decadenza delle cose! Inquesti ambienti, nei quali un tempo brillava il fasto co-loniale degli statolder, sono ora ammucchiati i sacchi diriso, di zucchero e di tè dei cresi internazionali di Welte-vreden.

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Una cancellata di ferro circonda la microscopica chie-sa dello Stadskerk, quasi a proteggerla dall'ingiuria ine-sorabile degli anni, la prima chiesa di Batavia, tutta pie-na di trofei guerreschi e di voti di mare come un reli-quiario di battaglie e di naufragi.

Poco distante, un'epigrafe di marmo, sormontata dauna testa mozza, ricorda il tradimento di Pietro Eber-feld, olandese, che, d'accordo coi mussulmani fanaticidell'isola, complottò nel 1722 una specie di notte di SanBartolomeo, nella quale dovevano essere trucidati tuttigli europei. Ma una fanciulla giavanese che amava unufficiale del castello, avvertì il suo amante. Il piccologesto d'amore, degno d'un canto pucciniano, salvòl'impero olandese delle Indie. Eberfeld fu torturato pertre giorni e per tre notti sulla pubblica piazza, le sue car-

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IL BOROBODOR – Porzione di muraglia

Una cancellata di ferro circonda la microscopica chie-sa dello Stadskerk, quasi a proteggerla dall'ingiuria ine-sorabile degli anni, la prima chiesa di Batavia, tutta pie-na di trofei guerreschi e di voti di mare come un reli-quiario di battaglie e di naufragi.

Poco distante, un'epigrafe di marmo, sormontata dauna testa mozza, ricorda il tradimento di Pietro Eber-feld, olandese, che, d'accordo coi mussulmani fanaticidell'isola, complottò nel 1722 una specie di notte di SanBartolomeo, nella quale dovevano essere trucidati tuttigli europei. Ma una fanciulla giavanese che amava unufficiale del castello, avvertì il suo amante. Il piccologesto d'amore, degno d'un canto pucciniano, salvòl'impero olandese delle Indie. Eberfeld fu torturato pertre giorni e per tre notti sulla pubblica piazza, le sue car-

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IL BOROBODOR – Porzione di muraglia

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ni furono strappate a brandelli con tenaglie infuocate ela testa, inchiodata sul frontone della chiesa, fu lasciatain ludibrio ai falchi del mare perchè «il cervello cheaveva concepito il tradimento contro la Patria, non po-tesse dissolversi nel grembo della madre terra».

Il guardiano meticcio che rievoca per me il fosco epi-sodio di storia coloniale, ha imparato evidentemente amemoria la filastrocca e la chiusa. Io penso alla mesco-lanza del sangue ed all'ironia del destino che affida aquesto vecchio malese la quotidiana condanna della ri-volta con cui i suoi padri tentarono assicurargli la liber-tà.

Subito dopo la vecchia città olandese, incomincia il«Kampong Tin» quartiere cinese, nel quale sono agglo-merati quarantamila sudditi della Repubblica Celeste.Cambiamento di scenario a vista. Siamo a Canton: ma-gazzini dorati, draghi, Buddha, facciate di porcellana,tetti a gondola, brulichìo chiassoso di gialli, birocci evenditori ambulanti, parasoli, ventagli, marionette dicartapecora, bambole di cera, la Cina!

Quando dagli arroyo cinesi s'entra nel quartiere male-se, altro cambiamento di scenario: palizzate di stuoie,caserelle di bambù col tetto di stoppia, banani, tamarin-di, palme-cocco, una folla silenziosa, umile e seminuda,nella quale sono mescolate tutte le razze dell'isola edell'arcipelago: forse tutte le stirpi dell'Asia calda.

In mezzo alla grande miseria dei corpi umani ed agliaborti dell'incrocio equatoriale, ogni tanto una porta digraticci incornicia una bellezza superba, magnifico fiore

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ni furono strappate a brandelli con tenaglie infuocate ela testa, inchiodata sul frontone della chiesa, fu lasciatain ludibrio ai falchi del mare perchè «il cervello cheaveva concepito il tradimento contro la Patria, non po-tesse dissolversi nel grembo della madre terra».

Il guardiano meticcio che rievoca per me il fosco epi-sodio di storia coloniale, ha imparato evidentemente amemoria la filastrocca e la chiusa. Io penso alla mesco-lanza del sangue ed all'ironia del destino che affida aquesto vecchio malese la quotidiana condanna della ri-volta con cui i suoi padri tentarono assicurargli la liber-tà.

Subito dopo la vecchia città olandese, incomincia il«Kampong Tin» quartiere cinese, nel quale sono agglo-merati quarantamila sudditi della Repubblica Celeste.Cambiamento di scenario a vista. Siamo a Canton: ma-gazzini dorati, draghi, Buddha, facciate di porcellana,tetti a gondola, brulichìo chiassoso di gialli, birocci evenditori ambulanti, parasoli, ventagli, marionette dicartapecora, bambole di cera, la Cina!

Quando dagli arroyo cinesi s'entra nel quartiere male-se, altro cambiamento di scenario: palizzate di stuoie,caserelle di bambù col tetto di stoppia, banani, tamarin-di, palme-cocco, una folla silenziosa, umile e seminuda,nella quale sono mescolate tutte le razze dell'isola edell'arcipelago: forse tutte le stirpi dell'Asia calda.

In mezzo alla grande miseria dei corpi umani ed agliaborti dell'incrocio equatoriale, ogni tanto una porta digraticci incornicia una bellezza superba, magnifico fiore

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di chissà quali complicati innesti. Il «sarrong» a colorivivaci serrato alla vita, modella un corpo felino, unamussola bianca inguanta il torso, lascia nude le spalle,comprime l'impeto del seno. L'opaco della pelle ricordail velluto di certe pesche. Negli occhi neri, grandi, cer-chiati di malva, la mansueta dolcezza dell'antilope sifonde stranamente col tagliente metallico delle iridi del-la tigre.

In fondo al villaggio malese un intraprendente suddi-to del mikado ha sfruttato un rialzo del terreno per untea-room ad uso dei touristes. Sui pavimenti di porcella-na rossa le stuoie di cocco mettono una nota di freschez-za. L'occhio spazia sul mare di Giava indorato dal tra-monto. I lunghi moli dell'avamporto sembrano tentacolid'un grande polipo grigio protesi verso l'infinito marino,a ghermire le navi che passano.

Solo la vecchia Batavia del 1600 profila la sua carto-lina illustrata di piccola Amsterdam nello sfondo lumi-noso. La nuova Batavia, Weltevreden, Riskiw, Norwik,Cornelis, il quartiere cinese, il «kampong» malese, tuttoil resto insomma della capitale, è invisibile, nascostodall'immenso tappeto verde. Piazza del Re e Piazza diWaterloo, coi loro prati, paiono, di lontano, le rovine didue incendi nella foresta vergine.

Il vento che spira dal largo a soffi placidi e regolari,agita l'immensità verde. È tutto un ondular di cimieri edi piumaggi vegetali. Quando il soffio è più forte, unprincipio di rivoluzione sconvolge il mondo delle foglie,

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di chissà quali complicati innesti. Il «sarrong» a colorivivaci serrato alla vita, modella un corpo felino, unamussola bianca inguanta il torso, lascia nude le spalle,comprime l'impeto del seno. L'opaco della pelle ricordail velluto di certe pesche. Negli occhi neri, grandi, cer-chiati di malva, la mansueta dolcezza dell'antilope sifonde stranamente col tagliente metallico delle iridi del-la tigre.

In fondo al villaggio malese un intraprendente suddi-to del mikado ha sfruttato un rialzo del terreno per untea-room ad uso dei touristes. Sui pavimenti di porcella-na rossa le stuoie di cocco mettono una nota di freschez-za. L'occhio spazia sul mare di Giava indorato dal tra-monto. I lunghi moli dell'avamporto sembrano tentacolid'un grande polipo grigio protesi verso l'infinito marino,a ghermire le navi che passano.

Solo la vecchia Batavia del 1600 profila la sua carto-lina illustrata di piccola Amsterdam nello sfondo lumi-noso. La nuova Batavia, Weltevreden, Riskiw, Norwik,Cornelis, il quartiere cinese, il «kampong» malese, tuttoil resto insomma della capitale, è invisibile, nascostodall'immenso tappeto verde. Piazza del Re e Piazza diWaterloo, coi loro prati, paiono, di lontano, le rovine didue incendi nella foresta vergine.

Il vento che spira dal largo a soffi placidi e regolari,agita l'immensità verde. È tutto un ondular di cimieri edi piumaggi vegetali. Quando il soffio è più forte, unprincipio di rivoluzione sconvolge il mondo delle foglie,

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poi il grande fremito s'acqueta ed il ritmo ondeggianteriprende la sua maestosa cadenza.

L'atmosfera è velata dai vapori che salgono dalla terraumida e potente, quotidianamente fecondata da violentitemporali, perennemente bruciata da un sole d'inferno,arsa nelle sue viscere profonde dal fuoco misterioso dicinquanta vulcani attivi e di cento crateri spenti.

Il sole, morendo, mitraglia il mare, la città-foresta, imonti, i coni tragici del Sàlak e del Ghede.

Non s'ha coraggio di andar via, tanto l'agonia delgiorno equatoriale è piena d'incanto. Si segue il lento in-fittirsi del crepuscolo che pian piano appanna la visione,il progressivo venir della notte che avanza dalle lonta-nanze del mare e scende dalle voragini del cielo,l'accensione magica del firmamento con la Gran Crocedel Sud, l'apparire dei lumi di Batavia che si accendonoin mezzo agli alberi celati dal fogliame come palloni ve-neziani di carta e lampade cinesi di seta.

L'aria è dolce assai, tiepida, profumata, tutta carez-ze....

Sono le dieci quando ritorno all'albergo. Il boy malesem'attende sulla soglia della stanza. Cerco subito con gliocchi la compagna della notte, ma oltre al letto e la zan-zariera, non vedo altro.

Domando notizie di mia «moglie» al giallo, in ingle-se, in francese. Il boy non capisce. Ricorro al dizionarioolandese tascabile. È tempo perso, il ragazzo non sa cheil malese.

Corro nell'atrio in cerca dell'amico romano.

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poi il grande fremito s'acqueta ed il ritmo ondeggianteriprende la sua maestosa cadenza.

L'atmosfera è velata dai vapori che salgono dalla terraumida e potente, quotidianamente fecondata da violentitemporali, perennemente bruciata da un sole d'inferno,arsa nelle sue viscere profonde dal fuoco misterioso dicinquanta vulcani attivi e di cento crateri spenti.

Il sole, morendo, mitraglia il mare, la città-foresta, imonti, i coni tragici del Sàlak e del Ghede.

Non s'ha coraggio di andar via, tanto l'agonia delgiorno equatoriale è piena d'incanto. Si segue il lento in-fittirsi del crepuscolo che pian piano appanna la visione,il progressivo venir della notte che avanza dalle lonta-nanze del mare e scende dalle voragini del cielo,l'accensione magica del firmamento con la Gran Crocedel Sud, l'apparire dei lumi di Batavia che si accendonoin mezzo agli alberi celati dal fogliame come palloni ve-neziani di carta e lampade cinesi di seta.

L'aria è dolce assai, tiepida, profumata, tutta carez-ze....

Sono le dieci quando ritorno all'albergo. Il boy malesem'attende sulla soglia della stanza. Cerco subito con gliocchi la compagna della notte, ma oltre al letto e la zan-zariera, non vedo altro.

Domando notizie di mia «moglie» al giallo, in ingle-se, in francese. Il boy non capisce. Ricorro al dizionarioolandese tascabile. È tempo perso, il ragazzo non sa cheil malese.

Corro nell'atrio in cerca dell'amico romano.

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— Dica, non trovo la «moglie».— Impossibile, l'ho vista mettere io stesso a letto!— Allora è scappata....Due minuti dopo l'incidente è chiuso. Sapete un po'

che cosa intendono per dutch wife (moglie olandese)questi burloni di Nederlandia? Un lungo cuscino, confe-zionato come un budello, col quale a Batavia ed in tuttele città della Sonda si dorme abbracciati per evitare allebraccia e alle gambe il contatto della pelle madida di su-dore e relative complicazioni dell'epidermide.

Anch'io mi rassegno a stringere fra le braccia questomaterasso-burattino, ma sono sicuro che durante la nottemi perseguiteranno in sogno i grandi occhi cerchiati dimalva delle belle giavanesi del «Kampong-malà».

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— Dica, non trovo la «moglie».— Impossibile, l'ho vista mettere io stesso a letto!— Allora è scappata....Due minuti dopo l'incidente è chiuso. Sapete un po'

che cosa intendono per dutch wife (moglie olandese)questi burloni di Nederlandia? Un lungo cuscino, confe-zionato come un budello, col quale a Batavia ed in tuttele città della Sonda si dorme abbracciati per evitare allebraccia e alle gambe il contatto della pelle madida di su-dore e relative complicazioni dell'epidermide.

Anch'io mi rassegno a stringere fra le braccia questomaterasso-burattino, ma sono sicuro che durante la nottemi perseguiteranno in sogno i grandi occhi cerchiati dimalva delle belle giavanesi del «Kampong-malà».

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Aristocrazia coloniale

BUITENZORG, 22 gennaio.

Cinquanta chilometri di strada ferrata separano Bata-via da Buitenzorg, dove risiede il Governatore Generaledelle Indie Olandesi, il quale esercita la sua sovranitànon solamente sull'isola di Giava, ma anche su Sumatra,su tre quarti di Borneo, Celebes, Sumbava, Kupang, leMolucche, l'arcipelago di Banda, le isole di Sud-Owest,Tenimber, tutto un blocco d'importanti e ricchissimi pos-sedimenti coloniali di cui Giava è il centro burocratico,economico e politico.

Gli olandesi sono giustamente orgogliosi del loro do-minio d'oltre mare che la piccola madre patria seppecrearsi nel periodo delle prime avventurose conquistecoloniali e che ha saputo poi difendere con tenace ac-cortezza in mezzo alle burrasche europee contro gli ap-petiti britannici, francesi e tedeschi.

Giava stessa, strappata all'Olanda nel 1811 dagli in-glesi, le fu restituita dopo Waterloo in segno di ricono-scenza per l'aiuto contro Napoleone. Erano quelli glianni tragici dell'implacabile duello fra il gigante di

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Aristocrazia coloniale

BUITENZORG, 22 gennaio.

Cinquanta chilometri di strada ferrata separano Bata-via da Buitenzorg, dove risiede il Governatore Generaledelle Indie Olandesi, il quale esercita la sua sovranitànon solamente sull'isola di Giava, ma anche su Sumatra,su tre quarti di Borneo, Celebes, Sumbava, Kupang, leMolucche, l'arcipelago di Banda, le isole di Sud-Owest,Tenimber, tutto un blocco d'importanti e ricchissimi pos-sedimenti coloniali di cui Giava è il centro burocratico,economico e politico.

Gli olandesi sono giustamente orgogliosi del loro do-minio d'oltre mare che la piccola madre patria seppecrearsi nel periodo delle prime avventurose conquistecoloniali e che ha saputo poi difendere con tenace ac-cortezza in mezzo alle burrasche europee contro gli ap-petiti britannici, francesi e tedeschi.

Giava stessa, strappata all'Olanda nel 1811 dagli in-glesi, le fu restituita dopo Waterloo in segno di ricono-scenza per l'aiuto contro Napoleone. Erano quelli glianni tragici dell'implacabile duello fra il gigante di

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Ajaccio ed il leone britannico. Londra, assorbita dallevicende del titanico scontro, non s'era resa conto, duran-te i cinque anni di permanenza a Giava, del reale valoreeconomico e politico della grande isola australe che re-stava all'Olanda. Solo più tardi gli economisti inglesi ri-conobbero lo sbaglio di aver ceduto senza necessità «lapiù bella colonia del mondo». Per una volta che gli in-glesi sono stati generosi, hanno dovuto poi pentirsene!

In Italia molti non si rendono esattamente conto dellavastità territoriale e della potenza economica dell'imperocoloniale neerlandese, grande sessantasette volte l'Olan-da, che coi suoi cinquanta milioni di sudditi in continuoaumento e le sue formidabili ricchezze pone l'Olanda alterzo posto fra le grandi potenze coloniali, subito dopol'Inghilterra e la Francia, prima dell'Italia, del Portogalloe del Giappone. Le statistiche fissano a ben sedici mi-liardi il commercio delle Indie Olandesi ed a oltre cin-que miliardi il bilancio interno della colonia.

Durante la conflagrazione europea l'Olanda, presa fradue fuochi, sollecitata ad entrare nella mischiadall'Inghilterra e dalla Germania che mal celavano en-trambe la loro ingordigia per la perla dell'Insulinda, sep-pe barcamenarsi, con l'abituale abilità batava, fra i duegruppi belligeranti, dando un colpo alla botte ed uno alcerchio. Se noi italiani, impegnati a fondo nella ciclopi-ca partita senza riserve con tutte le nostre risorse spiri-tuali e materiali, abbiamo subito le conseguenze indiret-te dell'attività commerciale olandese, non possiamo farea meno di riconoscere che la situazione dell'Olanda era

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Ajaccio ed il leone britannico. Londra, assorbita dallevicende del titanico scontro, non s'era resa conto, duran-te i cinque anni di permanenza a Giava, del reale valoreeconomico e politico della grande isola australe che re-stava all'Olanda. Solo più tardi gli economisti inglesi ri-conobbero lo sbaglio di aver ceduto senza necessità «lapiù bella colonia del mondo». Per una volta che gli in-glesi sono stati generosi, hanno dovuto poi pentirsene!

In Italia molti non si rendono esattamente conto dellavastità territoriale e della potenza economica dell'imperocoloniale neerlandese, grande sessantasette volte l'Olan-da, che coi suoi cinquanta milioni di sudditi in continuoaumento e le sue formidabili ricchezze pone l'Olanda alterzo posto fra le grandi potenze coloniali, subito dopol'Inghilterra e la Francia, prima dell'Italia, del Portogalloe del Giappone. Le statistiche fissano a ben sedici mi-liardi il commercio delle Indie Olandesi ed a oltre cin-que miliardi il bilancio interno della colonia.

Durante la conflagrazione europea l'Olanda, presa fradue fuochi, sollecitata ad entrare nella mischiadall'Inghilterra e dalla Germania che mal celavano en-trambe la loro ingordigia per la perla dell'Insulinda, sep-pe barcamenarsi, con l'abituale abilità batava, fra i duegruppi belligeranti, dando un colpo alla botte ed uno alcerchio. Se noi italiani, impegnati a fondo nella ciclopi-ca partita senza riserve con tutte le nostre risorse spiri-tuali e materiali, abbiamo subito le conseguenze indiret-te dell'attività commerciale olandese, non possiamo farea meno di riconoscere che la situazione dell'Olanda era

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straordinariamente difficile, fra l'Inghilterra che ne do-minava le colonie e la Germania che poteva invaderne ilterritorio nazionale. Certi retroscena del contrabbandoolandese di guerra sono straordinariamente romanzeschied istruttivi. L'intervento degli Stati Uniti a fianco degliAlleati, costituì per l'Olanda una buona garanzia controeventuali complicazioni dell'appetito britannico, inquanto fino alla dichiarazione di guerra della Casa Bian-ca, il contrabbando via Olanda fu in notevole parte eser-citato appunto dai cittadini e dai capitali nord-americani,con la protezione ufficiale del Governo di Washington.Sono note in proposito le lunghe e complicate vertenzeanglo-americane sull'interpretazione della libertà deimari, sull'applicazione del blocco e sul diritto di poliziaoceanica.

Un nababbo armeno di Giava, uno dei colossi delcommercio mondiale dello zucchero, m'ha fornito giustoieri sul fantastico arricchimento degli Stati Uniti durantela guerra, particolari interessantissimi.

Il Governatore Generale delle Indie Olandesi ha scel-to per residenza un orto botanico. Infatti il Palazzo delGoverno sorge in mezzo al famoso S' Lands Plantetium,meraviglia delle meraviglie, che fa impallidire lo stessoricordo del Perademja Garden di Ceylon. Se il palazzodi Sua Eccellenza, costretto dal regolamento contro iterremoti a contentarsi del solo pian terreno, non ha unaspetto molto imponente, nonostante un colonnato dori-co e lo strappo d'un cupolotto centrale che ha l'aria d'uncappello d'arlecchino, la medesima Eccellenza può van-

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straordinariamente difficile, fra l'Inghilterra che ne do-minava le colonie e la Germania che poteva invaderne ilterritorio nazionale. Certi retroscena del contrabbandoolandese di guerra sono straordinariamente romanzeschied istruttivi. L'intervento degli Stati Uniti a fianco degliAlleati, costituì per l'Olanda una buona garanzia controeventuali complicazioni dell'appetito britannico, inquanto fino alla dichiarazione di guerra della Casa Bian-ca, il contrabbando via Olanda fu in notevole parte eser-citato appunto dai cittadini e dai capitali nord-americani,con la protezione ufficiale del Governo di Washington.Sono note in proposito le lunghe e complicate vertenzeanglo-americane sull'interpretazione della libertà deimari, sull'applicazione del blocco e sul diritto di poliziaoceanica.

Un nababbo armeno di Giava, uno dei colossi delcommercio mondiale dello zucchero, m'ha fornito giustoieri sul fantastico arricchimento degli Stati Uniti durantela guerra, particolari interessantissimi.

Il Governatore Generale delle Indie Olandesi ha scel-to per residenza un orto botanico. Infatti il Palazzo delGoverno sorge in mezzo al famoso S' Lands Plantetium,meraviglia delle meraviglie, che fa impallidire lo stessoricordo del Perademja Garden di Ceylon. Se il palazzodi Sua Eccellenza, costretto dal regolamento contro iterremoti a contentarsi del solo pian terreno, non ha unaspetto molto imponente, nonostante un colonnato dori-co e lo strappo d'un cupolotto centrale che ha l'aria d'uncappello d'arlecchino, la medesima Eccellenza può van-

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tarsi d'avere un parco quale nessun re al mondo possie-de.

Cortesemente invitato per stasera dall'Ufficio politicocome giornalista italiano di passaggio ad un ricevimentoufficiale del Governo, sono venuto a Buitenzorg di buo-na mattina per poter visitare il Plantetium in pieno gior-no.

Son arrivato alla stazione sotto un furibondo tempora-le, scoppiato a mezza strada, quando nessuno se loaspettava, com'è consuetudine in questi paraggi. Buiten-zorg, che è considerato uno dei luoghi più salubri diGiava, deve questa sua caratteristica un po' allo splendi-do giardino, un po' alla sua situazione elevata (250 metrisul mare) e molto ai suoi temporali, che durante tuttol'anno, scrosciano regolarmente due o tre volte al gior-no, con pioggia a cateratte. S'ha l'impressione del fini-mondo tanto piove a rovesci, con abbondanza di lampi,di tuoni e di saette, poi, d'un tratto, l'acqua cessa comese lassù abbiano cessato di vuotare i catini dell'infinito,le nubi si lacerano, il sole irrompe nello squarcio a colpidi mitraglia, quattro sbuffi di vento spazzano le nubi edil più limpido degli azzurri equatoriali incanta l'orizzon-te. Il potente sole dell'Equinozio asciuga rapidamente laterra e ricomincia a pompare furiosamente i vapori delsuolo, preparando il materiale liquido e pirotecnico delsuccessivo cataclisma. Frattanto l'aria s'è rinfrescata, lestrade si sono lavate e s'ha l'impressione d'essere sugliAppennini in uno scorcio di primavera.

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tarsi d'avere un parco quale nessun re al mondo possie-de.

Cortesemente invitato per stasera dall'Ufficio politicocome giornalista italiano di passaggio ad un ricevimentoufficiale del Governo, sono venuto a Buitenzorg di buo-na mattina per poter visitare il Plantetium in pieno gior-no.

Son arrivato alla stazione sotto un furibondo tempora-le, scoppiato a mezza strada, quando nessuno se loaspettava, com'è consuetudine in questi paraggi. Buiten-zorg, che è considerato uno dei luoghi più salubri diGiava, deve questa sua caratteristica un po' allo splendi-do giardino, un po' alla sua situazione elevata (250 metrisul mare) e molto ai suoi temporali, che durante tuttol'anno, scrosciano regolarmente due o tre volte al gior-no, con pioggia a cateratte. S'ha l'impressione del fini-mondo tanto piove a rovesci, con abbondanza di lampi,di tuoni e di saette, poi, d'un tratto, l'acqua cessa comese lassù abbiano cessato di vuotare i catini dell'infinito,le nubi si lacerano, il sole irrompe nello squarcio a colpidi mitraglia, quattro sbuffi di vento spazzano le nubi edil più limpido degli azzurri equatoriali incanta l'orizzon-te. Il potente sole dell'Equinozio asciuga rapidamente laterra e ricomincia a pompare furiosamente i vapori delsuolo, preparando il materiale liquido e pirotecnico delsuccessivo cataclisma. Frattanto l'aria s'è rinfrescata, lestrade si sono lavate e s'ha l'impressione d'essere sugliAppennini in uno scorcio di primavera.

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Il secondo temporale della giornata m'ha sorpreso nelPlantetium. Ho avuto appena il tempo di rifugiarmi sot-to un chiosco di proprietà dei giardinieri, che è subitoincominciata la grande sinfonia equatoriale degli ele-menti: prima due, tre colpi secchi sul fogliame comebattute d'attacco d'una magica bacchetta direttoriale, poiil tambureggiamento delle goccie grosse e pesanti chevia via s'infittisce, incalza, tempesta sullo sterminatomondo delle foglie, cadenzato dai tamburi maggiori deituoni che rombano senza requie; ogni tanto lo scroscioformidabile d'una saetta come una tonante gran cassa di«gong».

Sotto la violenza delle cateratte celesti, i grandi albericurvano i loro caschi piumati, le palme annaspano conle braccia nel vento, pare che le varinghe dai cento tron-chi puntino contro terra tutti i loro sostegni per resisterealla collera della bufera, i bambù giganti si piegano e sidrizzano con schiocchi di frustata, mille briciole vegeta-li battagliano vertiginosamente nell'aria sconvolta, irampicanti strappati dai tronchi roteano nel vuoto, sispiumano con un frullo di farfalloni verdi, scudiscianorabbiosamente i viali, finché s'incappiano ad un ramo,s'annodano, spariscono nell'ammasso vegetale. I lampiempiono di bagliori l'oceano di verdura.

Quando i tamburi hanno preso un'andatura frenetica,e tutti gli strumenti suonano la carica, quando le rafficheinvestono a tromba i viali e acciuffano i tronchi per lechiome, scuotendoli con furia dannata, e le saette folgo-rano, una dietro l'altra, con fragore di terremoto, la solita

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Il secondo temporale della giornata m'ha sorpreso nelPlantetium. Ho avuto appena il tempo di rifugiarmi sot-to un chiosco di proprietà dei giardinieri, che è subitoincominciata la grande sinfonia equatoriale degli ele-menti: prima due, tre colpi secchi sul fogliame comebattute d'attacco d'una magica bacchetta direttoriale, poiil tambureggiamento delle goccie grosse e pesanti chevia via s'infittisce, incalza, tempesta sullo sterminatomondo delle foglie, cadenzato dai tamburi maggiori deituoni che rombano senza requie; ogni tanto lo scroscioformidabile d'una saetta come una tonante gran cassa di«gong».

Sotto la violenza delle cateratte celesti, i grandi albericurvano i loro caschi piumati, le palme annaspano conle braccia nel vento, pare che le varinghe dai cento tron-chi puntino contro terra tutti i loro sostegni per resisterealla collera della bufera, i bambù giganti si piegano e sidrizzano con schiocchi di frustata, mille briciole vegeta-li battagliano vertiginosamente nell'aria sconvolta, irampicanti strappati dai tronchi roteano nel vuoto, sispiumano con un frullo di farfalloni verdi, scudiscianorabbiosamente i viali, finché s'incappiano ad un ramo,s'annodano, spariscono nell'ammasso vegetale. I lampiempiono di bagliori l'oceano di verdura.

Quando i tamburi hanno preso un'andatura frenetica,e tutti gli strumenti suonano la carica, quando le rafficheinvestono a tromba i viali e acciuffano i tronchi per lechiome, scuotendoli con furia dannata, e le saette folgo-rano, una dietro l'altra, con fragore di terremoto, la solita

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bacchetta magica dà il segnale della fine. Il crescendoaustrale si spezza. I venti scompaiono. Ed esce il sole aliquidare l'orchestra!

Il Plantetium si mostra allora in tutta la sua magnifi-cenza, irrorato di diamanti. Nel cielo l'arcobaleno sorri-de allo sgomento degli animali e degli uomini. Il mareritira i tendoni grigi che nascondevano il suo immensosmeraldo. Il sereno dopo la tempesta è una festa dell'ani-ma.

Il giardino di Buitenzorg ha il vantaggio, su tutti glialtri orti botanici del mondo, compresi i celeberrimi diCeylon, di Singapore e di Cuba, di non essere troppopettinato dalla mano dell'uomo. Se intorno al Palazzodel Governo le aiuole geometriche, i bossi squadrati, ipraterelli tosati, gli alberi agghindati pel garden-party, irampicanti sforbiciati come cartoni scenici, i rami co-stretti a far da ombrelli e le palme obbligate ad esserenane, forniscono alla foresta equatoriale di Buitenzorg ilmaquillage d'ordinanza di tutte le esposizioni botanichedel globo, appena ci si allontana cinquecento metri dalpadiglione di Sua Eccellenza, la Natura riprende la sualibertà d'azione e sfoggia con prodigalità sovrana la suaopulenza.

La feracità eccezionale di questa terra bruciatadall'ardore di cento vulcani, il formidabile mitraglia-mento del sole, le potenti inaffiate dell'Equinozio, dannovita ad una vegetazione di magnificenza superiore allastessa flora spettacolosa delle foreste vergini del Mada-gascar. Non si sa se più ammirare le dimensioni degli al-

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bacchetta magica dà il segnale della fine. Il crescendoaustrale si spezza. I venti scompaiono. Ed esce il sole aliquidare l'orchestra!

Il Plantetium si mostra allora in tutta la sua magnifi-cenza, irrorato di diamanti. Nel cielo l'arcobaleno sorri-de allo sgomento degli animali e degli uomini. Il mareritira i tendoni grigi che nascondevano il suo immensosmeraldo. Il sereno dopo la tempesta è una festa dell'ani-ma.

Il giardino di Buitenzorg ha il vantaggio, su tutti glialtri orti botanici del mondo, compresi i celeberrimi diCeylon, di Singapore e di Cuba, di non essere troppopettinato dalla mano dell'uomo. Se intorno al Palazzodel Governo le aiuole geometriche, i bossi squadrati, ipraterelli tosati, gli alberi agghindati pel garden-party, irampicanti sforbiciati come cartoni scenici, i rami co-stretti a far da ombrelli e le palme obbligate ad esserenane, forniscono alla foresta equatoriale di Buitenzorg ilmaquillage d'ordinanza di tutte le esposizioni botanichedel globo, appena ci si allontana cinquecento metri dalpadiglione di Sua Eccellenza, la Natura riprende la sualibertà d'azione e sfoggia con prodigalità sovrana la suaopulenza.

La feracità eccezionale di questa terra bruciatadall'ardore di cento vulcani, il formidabile mitraglia-mento del sole, le potenti inaffiate dell'Equinozio, dannovita ad una vegetazione di magnificenza superiore allastessa flora spettacolosa delle foreste vergini del Mada-gascar. Non si sa se più ammirare le dimensioni degli al-

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Page 31: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

beri o l'arditezza dei fusti o l'intensità decorativa delverde o la colorazione magnifica dei fiori, il grovigliomastodontico delle liane, il rosso sanguigno del suolo, laforza espansiva dei parassiti, gli arabeschi mirabili dellemuffe sulle corteccie e sui muschi, i ricami delle resinee delle gomme che sprizzano dalle scorze a smaltare irami e le foglie, il lavorìo immane delle radici che sfo-racchiano la terra e popolano certi tratti di foresta, di po-lipi, di mostri e di serpi.

Ho la fortuna d'essere accompagnato da un funziona-rio del Servizio Botanico il quale è certamente dottissi-mo, ma limita l'intervento della sua sapienza a zero, la-sciandomi ammirare e godere. Non speravo tanto quan-do ho visto il suo naso a polpetta e gli occhiali con lestanghette di tartaruga! Solo di quando in quando, di-nanzi ad un gigante che sembra sostenere con le sue tra-vate massiccie tutto un pezzo di bosco, o dinanzi ad ungrande fiore di porcellana screziato coi colori dell'iride,faccio involontariamente appello alla scienza pel deside-rio di dare un nome a quella bellezza, l'uomo mi rispon-de con due parole latine che carezzano dolcemente lamia anima italiana, quasi che la Natura, per bocca d'unodei suoi sacerdoti, voglia dire che solo il linguaggio im-mortale di Roma è degno di tanta maestà!

Abbondano soprattutto le palme: fusti lisci, fusti no-dosi, fusti a scaglie, a squame, a bitorzoli: palmizi altis-simi, completamente spogli, che si slanciano adusti edritti come antenne d'acciaio e poi sbocciano in una co-rolla verde sotto la quale i grappoli scarlatti dei datteri

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beri o l'arditezza dei fusti o l'intensità decorativa delverde o la colorazione magnifica dei fiori, il grovigliomastodontico delle liane, il rosso sanguigno del suolo, laforza espansiva dei parassiti, gli arabeschi mirabili dellemuffe sulle corteccie e sui muschi, i ricami delle resinee delle gomme che sprizzano dalle scorze a smaltare irami e le foglie, il lavorìo immane delle radici che sfo-racchiano la terra e popolano certi tratti di foresta, di po-lipi, di mostri e di serpi.

Ho la fortuna d'essere accompagnato da un funziona-rio del Servizio Botanico il quale è certamente dottissi-mo, ma limita l'intervento della sua sapienza a zero, la-sciandomi ammirare e godere. Non speravo tanto quan-do ho visto il suo naso a polpetta e gli occhiali con lestanghette di tartaruga! Solo di quando in quando, di-nanzi ad un gigante che sembra sostenere con le sue tra-vate massiccie tutto un pezzo di bosco, o dinanzi ad ungrande fiore di porcellana screziato coi colori dell'iride,faccio involontariamente appello alla scienza pel deside-rio di dare un nome a quella bellezza, l'uomo mi rispon-de con due parole latine che carezzano dolcemente lamia anima italiana, quasi che la Natura, per bocca d'unodei suoi sacerdoti, voglia dire che solo il linguaggio im-mortale di Roma è degno di tanta maestà!

Abbondano soprattutto le palme: fusti lisci, fusti no-dosi, fusti a scaglie, a squame, a bitorzoli: palmizi altis-simi, completamente spogli, che si slanciano adusti edritti come antenne d'acciaio e poi sbocciano in una co-rolla verde sotto la quale i grappoli scarlatti dei datteri

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sembrano mammelle sanguinolente, palme-fenici, colfusto scalettato e le fronde spioventi a giuoco d'acqua,palme di Cuba, palme nane del Giappone, palme a rag-giera delle Filippine, palmizi smilzi delle Molucche colfusto largo verso la cima e affusolato alla base, palme-cocco, palme-sago, elais della Guinea, maurizie del Bra-sile, palme spinose, rampicanti, serpentine, tutte a nodi elegacci, palme-aeree coi mazzi delle noci, palme-spigacon le foglie a pannocchia ed una gran piuma biancasulla punta, tutto un fantastico scenario di ventagli e pa-rasoli equatoriali che ondeggia maestosamente al soffioplacido del vento, con un ritmo sonante di risacca.

Le canne giavanesi, riunite a covoni dal capriccio del-le liane, punteggiano di strani fasci littorii l'immensitàverde. I bambù, allineati a filari paralleli con le lunghefoglie svolazzanti, sembrano formazioni di lancieri inagguato nella foresta. Qua e là il blocco vegetale s'allar-ga per lasciar posto ad una colossale varinga o adun'enorme bania. Dove due giganti delle Canarie sonovicini, il tetto della foresta s'alza a cattedrale e la vegeta-zione lascia libero il vuoto di un tempio. Dai rami mas-sicci precipitano agglomerazioni paurose di biscie, capi-gliature assalonniche di draghi, mandibole e tentacoli dimedusa, a volte come un rovesciamento d'ossame mar-cio che resta sospeso nel vuoto con strane propaggini difuliggine. Sono gli scherzi delle liane e delle muffe po-tenti dell'Insulinda.

La grandiosità della foresta di Buitenzorg superaqualsiasi descrizione, là dove venti bania moltiplicatori

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sembrano mammelle sanguinolente, palme-fenici, colfusto scalettato e le fronde spioventi a giuoco d'acqua,palme di Cuba, palme nane del Giappone, palme a rag-giera delle Filippine, palmizi smilzi delle Molucche colfusto largo verso la cima e affusolato alla base, palme-cocco, palme-sago, elais della Guinea, maurizie del Bra-sile, palme spinose, rampicanti, serpentine, tutte a nodi elegacci, palme-aeree coi mazzi delle noci, palme-spigacon le foglie a pannocchia ed una gran piuma biancasulla punta, tutto un fantastico scenario di ventagli e pa-rasoli equatoriali che ondeggia maestosamente al soffioplacido del vento, con un ritmo sonante di risacca.

Le canne giavanesi, riunite a covoni dal capriccio del-le liane, punteggiano di strani fasci littorii l'immensitàverde. I bambù, allineati a filari paralleli con le lunghefoglie svolazzanti, sembrano formazioni di lancieri inagguato nella foresta. Qua e là il blocco vegetale s'allar-ga per lasciar posto ad una colossale varinga o adun'enorme bania. Dove due giganti delle Canarie sonovicini, il tetto della foresta s'alza a cattedrale e la vegeta-zione lascia libero il vuoto di un tempio. Dai rami mas-sicci precipitano agglomerazioni paurose di biscie, capi-gliature assalonniche di draghi, mandibole e tentacoli dimedusa, a volte come un rovesciamento d'ossame mar-cio che resta sospeso nel vuoto con strane propaggini difuliggine. Sono gli scherzi delle liane e delle muffe po-tenti dell'Insulinda.

La grandiosità della foresta di Buitenzorg superaqualsiasi descrizione, là dove venti bania moltiplicatori

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del Bengala (ficus religiosa) si sono sviluppati uno ac-canto all'altro. I loro rami-radice giunti al suolo vi sisono affondati e, trasformati così in tronchi, hanno ge-nerato altri rami, i quali, compiendo il medesimo ciclo,sono diventati anch'essi fusti, per cui ogni albero ha cin-quanta tronchi e venti alberi messi insieme formano unmausoleo babilonico di colonne, di piloni, di travate.

Tutta la parte bassa di questa basilica vegetale è nuda,scheletrica, senza foglie, con un non so che di metallogreggio nella rudezza delle scorze. In cima alle colonnesta l'ammasso del fogliame, carico d'ombra, come unbosco aereo sostenuto da un'impalcatura di ciclopichepalafitte.

Fra tronco e tronco i rotanghi parassiti hanno gettatofasci di corde, i solonghi di Giava hanno teso i loro ca-napi marini.

Sotto, invece, i muschi hanno tessuto uno sfarzosotappeto di verdi cupi e di velluti profondi, sul quale i di-segni dei funghi hanno l'aria di decorazioni di terracotta.

Una fila di globi elettrici guida le automobili e le vet-ture degli invitati attraverso i cento ettari del Plante-tium, fino al Palazzo del Governo. I fari dei veicoli vio-lano il segreto notturno del bosco incantato e frugano trai rami negli amori delle foglie. I saloni arredati con ele-ganza severa, sono aperti sul giardino. Le verande, pie-ne di palme ornamentali e di fiori, sembrano una conti-nuazione del Plantetium.

Sulle pareti del grande vestibolo, sono allineati i ri-tratti ad olio di tutti i Governatori Generali, burocratica-

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del Bengala (ficus religiosa) si sono sviluppati uno ac-canto all'altro. I loro rami-radice giunti al suolo vi sisono affondati e, trasformati così in tronchi, hanno ge-nerato altri rami, i quali, compiendo il medesimo ciclo,sono diventati anch'essi fusti, per cui ogni albero ha cin-quanta tronchi e venti alberi messi insieme formano unmausoleo babilonico di colonne, di piloni, di travate.

Tutta la parte bassa di questa basilica vegetale è nuda,scheletrica, senza foglie, con un non so che di metallogreggio nella rudezza delle scorze. In cima alle colonnesta l'ammasso del fogliame, carico d'ombra, come unbosco aereo sostenuto da un'impalcatura di ciclopichepalafitte.

Fra tronco e tronco i rotanghi parassiti hanno gettatofasci di corde, i solonghi di Giava hanno teso i loro ca-napi marini.

Sotto, invece, i muschi hanno tessuto uno sfarzosotappeto di verdi cupi e di velluti profondi, sul quale i di-segni dei funghi hanno l'aria di decorazioni di terracotta.

Una fila di globi elettrici guida le automobili e le vet-ture degli invitati attraverso i cento ettari del Plante-tium, fino al Palazzo del Governo. I fari dei veicoli vio-lano il segreto notturno del bosco incantato e frugano trai rami negli amori delle foglie. I saloni arredati con ele-ganza severa, sono aperti sul giardino. Le verande, pie-ne di palme ornamentali e di fiori, sembrano una conti-nuazione del Plantetium.

Sulle pareti del grande vestibolo, sono allineati i ri-tratti ad olio di tutti i Governatori Generali, burocratica-

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mente dotati di una identica cornice. Solo l'effige diDaendel – il maresciallo di ferro – più grande delle al-tre, ha una larga cornice di bronzo. La testa maschiadell'impeccabile proconsole napoleonico è trattata conrara potenza nel riflesso rossastro d'una lucerna, secon-do la tecnica di Rembrandt. Pare che gli occhi taglientidel maresciallo, fissino sullo scalone i funzionari ed imercanti che si affollano verso la sala da ballo, quasi aricordar loro che se egli non avesse impiccato senza mi-sericordia, non sarebbero qui carichi di galloni e di com-mende.

I funzionari in «smoking» ed in «frac», hanno qual-che cosa di militaresco nei gesti e nel portamento. Il col-po dei tacchi nell'inchino, ricorda, a chi lo dimenticasse,che siamo in una società mondana di razza germanica.Gli ufficiali di terra e di mare indossano la grande uni-forme, con decorazioni e spalline. In marsina ad arabe-schi d'argento i direttori generali, in marsina ad arabe-schi d'oro i Residenti delle provincie. Due principi indi-geni, uno della casa di Vesterlanden, l'altro della fami-glia imperiale di Soerakarta, sembrano mannequinsd'una ditta di galloni e dorature tanto sono carichi difronzoli dalla punta del colletto ai risvolti dei pantaloni.Le signore seguono i capricci onnipotenti di Parigi, conquel tanto d'indipendenza che permette la distanza. Nel-lo chic coloniale c'è sempre qualche lacuna!

La burocrazia è l'ossatura della dominazione olande-se. Trenta mila bianchi amministrano cinquanta milionid'indigeni. Il Governatore Generale è il vero re delle In-

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mente dotati di una identica cornice. Solo l'effige diDaendel – il maresciallo di ferro – più grande delle al-tre, ha una larga cornice di bronzo. La testa maschiadell'impeccabile proconsole napoleonico è trattata conrara potenza nel riflesso rossastro d'una lucerna, secon-do la tecnica di Rembrandt. Pare che gli occhi taglientidel maresciallo, fissino sullo scalone i funzionari ed imercanti che si affollano verso la sala da ballo, quasi aricordar loro che se egli non avesse impiccato senza mi-sericordia, non sarebbero qui carichi di galloni e di com-mende.

I funzionari in «smoking» ed in «frac», hanno qual-che cosa di militaresco nei gesti e nel portamento. Il col-po dei tacchi nell'inchino, ricorda, a chi lo dimenticasse,che siamo in una società mondana di razza germanica.Gli ufficiali di terra e di mare indossano la grande uni-forme, con decorazioni e spalline. In marsina ad arabe-schi d'argento i direttori generali, in marsina ad arabe-schi d'oro i Residenti delle provincie. Due principi indi-geni, uno della casa di Vesterlanden, l'altro della fami-glia imperiale di Soerakarta, sembrano mannequinsd'una ditta di galloni e dorature tanto sono carichi difronzoli dalla punta del colletto ai risvolti dei pantaloni.Le signore seguono i capricci onnipotenti di Parigi, conquel tanto d'indipendenza che permette la distanza. Nel-lo chic coloniale c'è sempre qualche lacuna!

La burocrazia è l'ossatura della dominazione olande-se. Trenta mila bianchi amministrano cinquanta milionid'indigeni. Il Governatore Generale è il vero re delle In-

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die, capo gerarchico delle forze di terra e di mare e ditutte le Amministrazioni, investito di diritto sovrano digrazia e di amnistia, libero nel territorio coloniale di farela guerra, di concludere la pace, di firmare trattati coiprincipati indigeni, senza dover rendere conto a nessu-no. Il Gran Consiglio delle Indie che lo assiste, ha unafunzione puramente consultiva. Il Governatore ha allesue dipendenze nove Direzioni generali (Interni, Finan-ze, Guerra, Marina, Istruzione pubblica, Culti, Industriae Commerci, Giustizia e Lavori pubblici) che sono verie propri ministeri.

Giava è divisa in ventidue provincie, ognuna dellequali è amministrata da un Residente che nella propriagiurisdizione gode i medesimi diritti sovrani del Gover-natore Generale. Il Residente ha ai suoi ordini tutta unagerarchia di Assistenti-residenti (funzionari fissi) e diControllori (funzionari ambulanti incaricati d'ispeziona-re).

I funzionari sono un corpo sceltissimo, formato inOlanda alla scuola coloniale di Delft ed all'Universitàcoloniale di Leida, suddiviso in due categorie distinte: igrandi ed i piccoli funzionarii. Due esami di Stato a di-stanza di ventiquattro mesi uno dall'altro, garantisconola preparazione degli aspiranti alla carriera. È obbligato-ria la conoscenza di due lingue indigene: il giavanese edil malese; particolare questo unico in tutte le burocraziecoloniali compresa la britannica. Ogni funzionario deveparlare correntemente i dialetti dei suoi amministrati. Il

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die, capo gerarchico delle forze di terra e di mare e ditutte le Amministrazioni, investito di diritto sovrano digrazia e di amnistia, libero nel territorio coloniale di farela guerra, di concludere la pace, di firmare trattati coiprincipati indigeni, senza dover rendere conto a nessu-no. Il Gran Consiglio delle Indie che lo assiste, ha unafunzione puramente consultiva. Il Governatore ha allesue dipendenze nove Direzioni generali (Interni, Finan-ze, Guerra, Marina, Istruzione pubblica, Culti, Industriae Commerci, Giustizia e Lavori pubblici) che sono verie propri ministeri.

Giava è divisa in ventidue provincie, ognuna dellequali è amministrata da un Residente che nella propriagiurisdizione gode i medesimi diritti sovrani del Gover-natore Generale. Il Residente ha ai suoi ordini tutta unagerarchia di Assistenti-residenti (funzionari fissi) e diControllori (funzionari ambulanti incaricati d'ispeziona-re).

I funzionari sono un corpo sceltissimo, formato inOlanda alla scuola coloniale di Delft ed all'Universitàcoloniale di Leida, suddiviso in due categorie distinte: igrandi ed i piccoli funzionarii. Due esami di Stato a di-stanza di ventiquattro mesi uno dall'altro, garantisconola preparazione degli aspiranti alla carriera. È obbligato-ria la conoscenza di due lingue indigene: il giavanese edil malese; particolare questo unico in tutte le burocraziecoloniali compresa la britannica. Ogni funzionario deveparlare correntemente i dialetti dei suoi amministrati. Il

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metodo coloniale olandese è, fra i diversi sistemi euro-pei, il più scientifico, forse il più logico.

I cresi internazionali di Cornelis e di Weltevredensono largamente rappresentati al ballo del Governo. Ilritmo scandido ed un po' gutturale dell'olandese si me-scola al parlottar masticato dei britannici, i quali sono,naturalmente, numerosi nella plutocrazia di Giava. Fre-quenti dialoghi in greco, in armeno, in bulgaro, in spa-gnuolo, dicono, allo straniero di passaggio, come l'altafinanza ebraica e balcanica abbia trovato nell'isola unbuon terreno per la sua attività. La Repubblica Celeste el'Impero del Sol Levante hanno una rappresentanza dimultimilionari più o meno gialli secondo il riflesso dellelampade, in costume nazionale i primi, collo «smoking»europeo i secondi. Anche le Molucche hanno un cosetti-no saltellante color buccia di limone, il quale coi suoidollari detta legge sui mercati equatoriali del betel; unaspecie di marionetta asiatica che continuamente trottaalle calcagna di Sua Eccellenza.

La figura alta e quadrata degli olandesi fa parere an-cora più piccoli e più ingombranti questi gialli. Ve netrovate sempre uno fra i piedi, che appena guardato sor-ride con un tic degli zigomi, ricomponendo subito dopola sua maschera di dignità. L'invadenza cino-giapponesenon si limita alle sale del Palazzo, ma è uno dei grandiproblemi della colonia. Ci sono centocinquantamila ci-nesi nella residenza di Batavia e prolificano come i gat-ti. Vasta e complessa è l'attività dei giapponesi, i qualidedicano speciale attenzione a questo grande impero co-

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metodo coloniale olandese è, fra i diversi sistemi euro-pei, il più scientifico, forse il più logico.

I cresi internazionali di Cornelis e di Weltevredensono largamente rappresentati al ballo del Governo. Ilritmo scandido ed un po' gutturale dell'olandese si me-scola al parlottar masticato dei britannici, i quali sono,naturalmente, numerosi nella plutocrazia di Giava. Fre-quenti dialoghi in greco, in armeno, in bulgaro, in spa-gnuolo, dicono, allo straniero di passaggio, come l'altafinanza ebraica e balcanica abbia trovato nell'isola unbuon terreno per la sua attività. La Repubblica Celeste el'Impero del Sol Levante hanno una rappresentanza dimultimilionari più o meno gialli secondo il riflesso dellelampade, in costume nazionale i primi, collo «smoking»europeo i secondi. Anche le Molucche hanno un cosetti-no saltellante color buccia di limone, il quale coi suoidollari detta legge sui mercati equatoriali del betel; unaspecie di marionetta asiatica che continuamente trottaalle calcagna di Sua Eccellenza.

La figura alta e quadrata degli olandesi fa parere an-cora più piccoli e più ingombranti questi gialli. Ve netrovate sempre uno fra i piedi, che appena guardato sor-ride con un tic degli zigomi, ricomponendo subito dopola sua maschera di dignità. L'invadenza cino-giapponesenon si limita alle sale del Palazzo, ma è uno dei grandiproblemi della colonia. Ci sono centocinquantamila ci-nesi nella residenza di Batavia e prolificano come i gat-ti. Vasta e complessa è l'attività dei giapponesi, i qualidedicano speciale attenzione a questo grande impero co-

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loniale amministrato da una piccola Potenza europeasulle soglie del Pacifico, nel quale sta misteriosamentematurando uno dei più grandi drammi dell'umanità.

Gli uomini parlano d'affari, di tè, di pepe, di cacao, digomma, di zucchero, di piantagioni. Ci si crederebbequasi nell'emiciclo di una Borsa dieci minuti primadell'apertura dei corsi.

Parecchi di questi multimilionari di Batavia hanno in-cominciato la loro fortunosa e fortunata carriera negliacquitrini di Soerakarta o nella jungla di Borneo comepiccoli piantatori o come negozianti ambulanti. Pianpiano hanno accumulato un patrimonio che ora permetteloro di abitare una delle sontuose ville di Weltevreden.Un passato di miseria, di rischi e di battaglie nobilita laloro attuale opulenza. Questi sono in genere gli olande-si, i belgi, i britannici, qualche italiano, qualche porto-

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ALTA GIAVA – Villaggio di pastori Teng.

loniale amministrato da una piccola Potenza europeasulle soglie del Pacifico, nel quale sta misteriosamentematurando uno dei più grandi drammi dell'umanità.

Gli uomini parlano d'affari, di tè, di pepe, di cacao, digomma, di zucchero, di piantagioni. Ci si crederebbequasi nell'emiciclo di una Borsa dieci minuti primadell'apertura dei corsi.

Parecchi di questi multimilionari di Batavia hanno in-cominciato la loro fortunosa e fortunata carriera negliacquitrini di Soerakarta o nella jungla di Borneo comepiccoli piantatori o come negozianti ambulanti. Pianpiano hanno accumulato un patrimonio che ora permetteloro di abitare una delle sontuose ville di Weltevreden.Un passato di miseria, di rischi e di battaglie nobilita laloro attuale opulenza. Questi sono in genere gli olande-si, i belgi, i britannici, qualche italiano, qualche porto-

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ALTA GIAVA – Villaggio di pastori Teng.

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ghese di Macao. Altri, invece, giunti trent'anni fa a Ba-tavia o a Surabaya, senza un soldo, hanno saputo de-streggiarsi con abilità e tenacia nell'ambiente difficile etalvolta equivoco dei traffici d'oltre mare, fino a raggra-nellare, come mediatori o sorveglianti, una piccola som-ma che hanno poi audacemente investita in affari sem-pre più grossi, di carattere più che altro speculativo,conquistando alla fine la ricchezza. Sono in prevalenzagli ebrei ed i balcanici.

Vi sono poi i grandi amministratori olandesi, inglesi etedeschi, delle Compagnie, delle Limited, delle Mat-chappy, venuti qui dall'Europa o dalle Indie, alla testa diformidabili capitali, quasi tutti self made man, che deb-bono il loro posto di comando a capacità tecniche ocommerciali; i grandi appaltatori – fra cui parecchi ita-

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GIAVA – Il vulcano Salak.

ghese di Macao. Altri, invece, giunti trent'anni fa a Ba-tavia o a Surabaya, senza un soldo, hanno saputo de-streggiarsi con abilità e tenacia nell'ambiente difficile etalvolta equivoco dei traffici d'oltre mare, fino a raggra-nellare, come mediatori o sorveglianti, una piccola som-ma che hanno poi audacemente investita in affari sem-pre più grossi, di carattere più che altro speculativo,conquistando alla fine la ricchezza. Sono in prevalenzagli ebrei ed i balcanici.

Vi sono poi i grandi amministratori olandesi, inglesi etedeschi, delle Compagnie, delle Limited, delle Mat-chappy, venuti qui dall'Europa o dalle Indie, alla testa diformidabili capitali, quasi tutti self made man, che deb-bono il loro posto di comando a capacità tecniche ocommerciali; i grandi appaltatori – fra cui parecchi ita-

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GIAVA – Il vulcano Salak.

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liani – che hanno la loro fortuna legata al mirabile svi-luppo economico ed edilizio della colonia, i direttoridelle piantagioni private e di Stato che hanno spesso ini-ziato la loro carriera come semplici assistenti, e sonogiunti fino al vertice della gerarchia, o altissimi funzio-nari politici che hanno percorso nelle regioni equatorialitutta la scala delle promozioni in condizioni eccezionalidi responsabilità.

Questa aristocrazia burocratica, tutta scintillante digradi e di decorazioni, è passata attraverso il setaccio dicento prove e di cento pericoli ed ha sovente esercitato,

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GIAVA – Un meticcio e due indigeni di Kadiri.

liani – che hanno la loro fortuna legata al mirabile svi-luppo economico ed edilizio della colonia, i direttoridelle piantagioni private e di Stato che hanno spesso ini-ziato la loro carriera come semplici assistenti, e sonogiunti fino al vertice della gerarchia, o altissimi funzio-nari politici che hanno percorso nelle regioni equatorialitutta la scala delle promozioni in condizioni eccezionalidi responsabilità.

Questa aristocrazia burocratica, tutta scintillante digradi e di decorazioni, è passata attraverso il setaccio dicento prove e di cento pericoli ed ha sovente esercitato,

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GIAVA – Un meticcio e due indigeni di Kadiri.

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nell'ambito delle proprie attribuzioni, un'autorità quasisovrana. Come il clima ha temprato la loro resistenza fi-sica, così la responsabilità ha collaudato il carattere. In-torno a molte fronti le incipienti canizie si aureolano dinobiltà. Anche i plutocrati che in fondo debbono sola-mente ai loro milioni il privilegio di sfarfallare nei salo-ni di Sua Eccellenza, sono assai diversi dalla noblessedorée delle grandi città d'Europa: più rozzi, più «nuoviricchi», pochissimo colti, spesso digiuni di qualsiasi no-zione, ma nel loro insieme più simpatici, uomini di co-raggio e di lavoro, acciai umani d'alta potenza. Un pas-sato difficile d'ardimento, di lotta e di tenacia, giustificae quasi consacra la loro eccessiva ricchezza. Possono,quando vogliano, fare abbassare gli occhi ad un dema-gogo colla cruda esposizione del prezzo che hanno pa-gato per diventare capitalisti. V'è del napoleonico nellavita di molti di questi milionari d'oltre mare che in altritempi sarebbero stati forse pirati, capitani di ventura,aspiranti ad un trono, che oggi regnano fra i sacchi e lecasse di Batavia con la corona di re del pepe, del tè odella cannella. C'è fra loro chi ha rischiato o meritato lagalera, c'è chi, in un episodio della sua vita di battaglia,ha toccato le più alte vette dell'eroismo personale e delsacrifizio.

Chi può penetrare i piccoli segreti di questa gente disacco e di corda, di resistenza e d'audacia, il passato deiquali, ad un certo punto, si perde nel più grande segretodella jungla di Sumatra, o delle montagne di Borneo?

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nell'ambito delle proprie attribuzioni, un'autorità quasisovrana. Come il clima ha temprato la loro resistenza fi-sica, così la responsabilità ha collaudato il carattere. In-torno a molte fronti le incipienti canizie si aureolano dinobiltà. Anche i plutocrati che in fondo debbono sola-mente ai loro milioni il privilegio di sfarfallare nei salo-ni di Sua Eccellenza, sono assai diversi dalla noblessedorée delle grandi città d'Europa: più rozzi, più «nuoviricchi», pochissimo colti, spesso digiuni di qualsiasi no-zione, ma nel loro insieme più simpatici, uomini di co-raggio e di lavoro, acciai umani d'alta potenza. Un pas-sato difficile d'ardimento, di lotta e di tenacia, giustificae quasi consacra la loro eccessiva ricchezza. Possono,quando vogliano, fare abbassare gli occhi ad un dema-gogo colla cruda esposizione del prezzo che hanno pa-gato per diventare capitalisti. V'è del napoleonico nellavita di molti di questi milionari d'oltre mare che in altritempi sarebbero stati forse pirati, capitani di ventura,aspiranti ad un trono, che oggi regnano fra i sacchi e lecasse di Batavia con la corona di re del pepe, del tè odella cannella. C'è fra loro chi ha rischiato o meritato lagalera, c'è chi, in un episodio della sua vita di battaglia,ha toccato le più alte vette dell'eroismo personale e delsacrifizio.

Chi può penetrare i piccoli segreti di questa gente disacco e di corda, di resistenza e d'audacia, il passato deiquali, ad un certo punto, si perde nel più grande segretodella jungla di Sumatra, o delle montagne di Borneo?

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Coi loro milioni di fiorini potrebbero ritirarsi oggi inEuropa e chiudere la vita nel turbinìo della mondanitàfastosa d'Occidente. Molti restano invece sulla brecciafino alla morte, incatenati dall'Equatore al suo carro difuoco, figli e schiavi della loro opera, incapaci ormai diriabituarsi ai costumi ed alla mentalità del paese d'origi-ne. Certe scrivanie di Batavia sono veramente piccolitroni d'autocrati moderni, dai quali si comandano a colpid'ukase Borse e mercati.

Tutto sommato, l'opulenza non ha sfogo in questa ter-ra coloniale, nella quale il massimo lusso è una villa apian terreno, l'arte e la politica non offrono investimentodi capitali e d'ambizioni, la stessa mondanità ha un cam-po d'azione assai limitato. I patrimonii s'ingrossano. Ilsupremo sfarzo è nei gioielli. In nessun luogo ed in nes-suna occasione ho visto tanta ricchezza di diamanti e diperle quanto in questo ballo di Buitenzorg. Certe signoresono vere vetrine d'orefici. Il fasto di Deauville e diOstenda in piena stagione, quando lo snobismo e gli al-bergatori raccolgono in una serata di gala nei saloni do-rati dei Casino, i più bei gioielli ed i più famosi ladri delvecchio e del nuovo continente, è ben povera cosa difronte ai fantastici tesori che sfolgorano sulle nudità del-la plutocrazia femminile di Batavia in un ricevimentoufficiale.

Altere bellezze nordiche, che l'anemia equatoriale ag-grazia di un indefinibile languore, superbe creole sboc-ciate al sole ardente di Giava o di Pondichery, mezze an-daluse di Manilla, con negli occhi d'onice tutto il fascino

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Coi loro milioni di fiorini potrebbero ritirarsi oggi inEuropa e chiudere la vita nel turbinìo della mondanitàfastosa d'Occidente. Molti restano invece sulla brecciafino alla morte, incatenati dall'Equatore al suo carro difuoco, figli e schiavi della loro opera, incapaci ormai diriabituarsi ai costumi ed alla mentalità del paese d'origi-ne. Certe scrivanie di Batavia sono veramente piccolitroni d'autocrati moderni, dai quali si comandano a colpid'ukase Borse e mercati.

Tutto sommato, l'opulenza non ha sfogo in questa ter-ra coloniale, nella quale il massimo lusso è una villa apian terreno, l'arte e la politica non offrono investimentodi capitali e d'ambizioni, la stessa mondanità ha un cam-po d'azione assai limitato. I patrimonii s'ingrossano. Ilsupremo sfarzo è nei gioielli. In nessun luogo ed in nes-suna occasione ho visto tanta ricchezza di diamanti e diperle quanto in questo ballo di Buitenzorg. Certe signoresono vere vetrine d'orefici. Il fasto di Deauville e diOstenda in piena stagione, quando lo snobismo e gli al-bergatori raccolgono in una serata di gala nei saloni do-rati dei Casino, i più bei gioielli ed i più famosi ladri delvecchio e del nuovo continente, è ben povera cosa difronte ai fantastici tesori che sfolgorano sulle nudità del-la plutocrazia femminile di Batavia in un ricevimentoufficiale.

Altere bellezze nordiche, che l'anemia equatoriale ag-grazia di un indefinibile languore, superbe creole sboc-ciate al sole ardente di Giava o di Pondichery, mezze an-daluse di Manilla, con negli occhi d'onice tutto il fascino

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dell'Estremo Oriente, olando-malesi coi capelli d'oro diVan Dyk e la pelle ambrata dall'equinozio, sfoggianocon prodigalità da Cleopatre, al collo, alle braccia, alledita, fino intorno alle caviglie, un visibilio di solitarii, dismeraldi, di rubini, collane imperiali di perle, vezzi dizaffiri grossi come nocciuole, diademi di topazi degnid'un patriarca, gioielli preziosissimi di scrigno regale. Equesta sovrabbondanza, che altrove sarebbe di cattivogusto, finisce qui coll'armonizzarsi coll'ambiente equa-toriale, coll'aria troppo tiepida, col vento troppo profu-mato, colle pompe del sole e della natura, colla stessaessenza psichica di questa plutocrazia d'oltre mare.

Che cosa hanno cercato e che cosa cercano, in fondo,tutti questi uomini di commercio e d'affari della lontanaEuropa trapiantati a pochi gradi dall'Equatore? La ric-chezza! Arte, coltura, scienza, politica, tutto passa perloro in seconda linea, di fronte alla conquista dell'oro,che fu il miraggio affascinante della loro avventurosagiovinezza, che è il supremo conforto della vecchiaiavittoriosa.

Mentre le coppie ondeggiano alla cadenza d'un tango,mettendo senza volerlo nel passo ritmato tutta la mollez-za dell'Equatore che intorbida le loro vene coloniali emeticce, mentre nella vertigine della luce i brillantisprizzano i formidabili bagliori delle loro microscopichefaccette, e le perle irradiano la loro infinita evanescenza,che pare voluttà spersa nell'aria, penso a tutto il male e atutto il bene che sono stati necessarii per concentrare inpoche mani tanta ricchezza, alle vite che hanno pagato

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dell'Estremo Oriente, olando-malesi coi capelli d'oro diVan Dyk e la pelle ambrata dall'equinozio, sfoggianocon prodigalità da Cleopatre, al collo, alle braccia, alledita, fino intorno alle caviglie, un visibilio di solitarii, dismeraldi, di rubini, collane imperiali di perle, vezzi dizaffiri grossi come nocciuole, diademi di topazi degnid'un patriarca, gioielli preziosissimi di scrigno regale. Equesta sovrabbondanza, che altrove sarebbe di cattivogusto, finisce qui coll'armonizzarsi coll'ambiente equa-toriale, coll'aria troppo tiepida, col vento troppo profu-mato, colle pompe del sole e della natura, colla stessaessenza psichica di questa plutocrazia d'oltre mare.

Che cosa hanno cercato e che cosa cercano, in fondo,tutti questi uomini di commercio e d'affari della lontanaEuropa trapiantati a pochi gradi dall'Equatore? La ric-chezza! Arte, coltura, scienza, politica, tutto passa perloro in seconda linea, di fronte alla conquista dell'oro,che fu il miraggio affascinante della loro avventurosagiovinezza, che è il supremo conforto della vecchiaiavittoriosa.

Mentre le coppie ondeggiano alla cadenza d'un tango,mettendo senza volerlo nel passo ritmato tutta la mollez-za dell'Equatore che intorbida le loro vene coloniali emeticce, mentre nella vertigine della luce i brillantisprizzano i formidabili bagliori delle loro microscopichefaccette, e le perle irradiano la loro infinita evanescenza,che pare voluttà spersa nell'aria, penso a tutto il male e atutto il bene che sono stati necessarii per concentrare inpoche mani tanta ricchezza, alle vite che hanno pagato

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con l'estremo soffio dell'esistenza questi raggi cristalliz-zati di sole, queste iridescenze madreporizzate di mare...

Bassezze, miserie, eroismi, audacie, fatiche nobilissi-me, furti, tradimenti, scherzi del Caso, capricci dellaFortuna, tutte le bellezze e le viltà dell'avventura, ridda-no anch'esse insieme con le coppie consapevoli od igna-re.... Sono rubini di sangue, diamanti di lagrime conden-sate, zaffiri, smeraldi, perle, i grandi nonnulla dell'uma-no desiderio.... Ed ardono nella luce, sulle carni giovani,sulle carni mature, sulle carni già baciate dal soffio im-puro della morte, al ritmo dolce e lento del tangod'Argentina....

Per le verande aperte e per le porte spalancate, entra ilprofumo della foresta, Il wisky e la soda si sposano neicalici di cristallo. Manghi e banane si macerano nel vinoeffervescente di Francia. Quando il jazz-band sospendeun momento il ciottolio dei suoi cocci, si sente il rombosovrano delle palme che ondeggiano nella notte di Gia-va, al vento dell'Equatore.

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con l'estremo soffio dell'esistenza questi raggi cristalliz-zati di sole, queste iridescenze madreporizzate di mare...

Bassezze, miserie, eroismi, audacie, fatiche nobilissi-me, furti, tradimenti, scherzi del Caso, capricci dellaFortuna, tutte le bellezze e le viltà dell'avventura, ridda-no anch'esse insieme con le coppie consapevoli od igna-re.... Sono rubini di sangue, diamanti di lagrime conden-sate, zaffiri, smeraldi, perle, i grandi nonnulla dell'uma-no desiderio.... Ed ardono nella luce, sulle carni giovani,sulle carni mature, sulle carni già baciate dal soffio im-puro della morte, al ritmo dolce e lento del tangod'Argentina....

Per le verande aperte e per le porte spalancate, entra ilprofumo della foresta, Il wisky e la soda si sposano neicalici di cristallo. Manghi e banane si macerano nel vinoeffervescente di Francia. Quando il jazz-band sospendeun momento il ciottolio dei suoi cocci, si sente il rombosovrano delle palme che ondeggiano nella notte di Gia-va, al vento dell'Equatore.

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Tra i vulcani

GAROET, 28 gennaio.

Il diretto di Batavia lascia Tathalunga, mentre imper-versa un furibondo acquazzone. Quando il convoglioesce dalla stazione, slanciandosi attraverso la campagna,sembra che la locomotiva apra, con la sua violenza, unfantastico traforo in un mondo fatto d'acqua, tanto fitta èla pioggia! È un diluvio, ma ormai siamo abituati aitemporali dell'Insulinda. Sappiamo che fra venti minutiil grande re dell'Equatore riaffermerà il suo fiammeg-giante dominio sull'isola ardente.

La linea è tutta in salita. Verso Nagrek, in un percorsod'appena otto chilometri, la strada ferrata sale ben cento-settanta metri. Quando fu costruita l'audace ferrovia Ba-tavia-Garoet, questo tratto, giudicato quasi irrealizzabileper la difficoltà delle opere d'arte e l'ardimento dei ca-valcavia, fu dato in appalto ad un intraprenditore asti-giano, certo Gatti, il quale, con un piccolo gruppo d'ita-liani e la mano d'opera obbligatoria indigena, fornita dalgoverno della colonia, condusse a termine la difficilissi-ma impresa.

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Tra i vulcani

GAROET, 28 gennaio.

Il diretto di Batavia lascia Tathalunga, mentre imper-versa un furibondo acquazzone. Quando il convoglioesce dalla stazione, slanciandosi attraverso la campagna,sembra che la locomotiva apra, con la sua violenza, unfantastico traforo in un mondo fatto d'acqua, tanto fitta èla pioggia! È un diluvio, ma ormai siamo abituati aitemporali dell'Insulinda. Sappiamo che fra venti minutiil grande re dell'Equatore riaffermerà il suo fiammeg-giante dominio sull'isola ardente.

La linea è tutta in salita. Verso Nagrek, in un percorsod'appena otto chilometri, la strada ferrata sale ben cento-settanta metri. Quando fu costruita l'audace ferrovia Ba-tavia-Garoet, questo tratto, giudicato quasi irrealizzabileper la difficoltà delle opere d'arte e l'ardimento dei ca-valcavia, fu dato in appalto ad un intraprenditore asti-giano, certo Gatti, il quale, con un piccolo gruppo d'ita-liani e la mano d'opera obbligatoria indigena, fornita dalgoverno della colonia, condusse a termine la difficilissi-ma impresa.

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Il Gatti fu naturalmente pagato ed ormai il suo nomeè sepolto nel dimenticatoio. I viaggiatori che con un pic-colo bàttito di cuore seguono, in mezzo alla collera deglielementi la corsa del diretto sugli abissi, ed ogni tanto sivoltano indietro a rimirare i nastri di cemento buttati acavaliere delle voragini, sui quali è passato il giocattolofurente, sono pieni di ammirazione per l'ingegneria...olandese! Anch'io avrei ignorato l'oscuro geometrad'Asti, che chissà dove dorme a quest'ora l'ultimo sonno,se un elettrotecnico italiano – un pugliese – che ci ac-compagna fino a Garoet, non avesse fieramente rivendi-cato, con l'accento di Barletta, la nazionalità del mode-sto artefice piemontese, dinanzi alla bocca aperta di duemisses britanniche e d'un professore universitario tede-sco.

In mezzo allo scenario ciclopico delle roccie e dellegole giavanesi, fra le pareti a picco ed i salti a strapiom-bo, la mia fantasia evoca l'uomo semplice e forte di no-stra terra, che con occhio sicuro, saggiò i macigni e gliabissi prima d'osare, poi misurò con l'anima grandel'audacia dell'impresa, ardì, fece, riuscì. Chissà com'erail conquistatore dei valichi di Nagrek? Io lo immaginosimile ai tanti altri suoi fratelli che ho incontrato nelmondo, sulle trincee dell'umana fatica, col feltro asghembo ed il toscano fra i denti, un po' schizzettati dicalce, rozzi quanto capaci, energici quanto buoni, mae-stri dell'arte muraria, che ovunque lasciano le impronteromane del loro lavoro potente.

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Il Gatti fu naturalmente pagato ed ormai il suo nomeè sepolto nel dimenticatoio. I viaggiatori che con un pic-colo bàttito di cuore seguono, in mezzo alla collera deglielementi la corsa del diretto sugli abissi, ed ogni tanto sivoltano indietro a rimirare i nastri di cemento buttati acavaliere delle voragini, sui quali è passato il giocattolofurente, sono pieni di ammirazione per l'ingegneria...olandese! Anch'io avrei ignorato l'oscuro geometrad'Asti, che chissà dove dorme a quest'ora l'ultimo sonno,se un elettrotecnico italiano – un pugliese – che ci ac-compagna fino a Garoet, non avesse fieramente rivendi-cato, con l'accento di Barletta, la nazionalità del mode-sto artefice piemontese, dinanzi alla bocca aperta di duemisses britanniche e d'un professore universitario tede-sco.

In mezzo allo scenario ciclopico delle roccie e dellegole giavanesi, fra le pareti a picco ed i salti a strapiom-bo, la mia fantasia evoca l'uomo semplice e forte di no-stra terra, che con occhio sicuro, saggiò i macigni e gliabissi prima d'osare, poi misurò con l'anima grandel'audacia dell'impresa, ardì, fece, riuscì. Chissà com'erail conquistatore dei valichi di Nagrek? Io lo immaginosimile ai tanti altri suoi fratelli che ho incontrato nelmondo, sulle trincee dell'umana fatica, col feltro asghembo ed il toscano fra i denti, un po' schizzettati dicalce, rozzi quanto capaci, energici quanto buoni, mae-stri dell'arte muraria, che ovunque lasciano le impronteromane del loro lavoro potente.

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Page 46: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Partono di solito dal paese manovali o garzonid'impalcatura, e quando non s'imbarcano a Napoli od aGenova per le Americhe, varcano la frontiera a Modaneod a Ventimiglia, coi calzoni di fustagno, le scarpe gros-se, la valigia piccina, il cuore un po' dolente, la giovi-nezza piena di speranze. Oh, quelle stazioni terribili diconfine, attraverso le quali ogni giorno trabocca, comesotto gli archi d'un ponte, la piena del grande fiume ita-lico che va a fecondare delle sue linfe generose le terreed i beni degli altri! Qual poeta canterà un giorno la for-midabile tragedia umana e nazionale di quegli andronidoganali di frontiera, dove, sotto gli occhi di pochi sol-dati e funzionari, fatti insensibili dall'abitudine, ognigiorno che passa si rinnova uno spettacolo di grandezzae di miseria, al quale dovrebbero assistere sovente tutticoloro che in Italia s'occupano di politica e di questionisociali? I ministri ed i demagoghi si servono invece ingenere dei treni di lusso, pei quali la visita doganale èfatta in vagone.

C'è voluta l'Italia fascista, nata nelle trincee e negliospedali dalla tragica mescolanza, per concepire e rea-lizzare quell'Istituto di Credito del lavoro italianoall'estero che è una delle più utili e geniali iniziative diquesto fecondo periodo di storia nazionale. Solo un Pre-sidente del Consiglio che avesse battuto da emigrante lestrade della nostra emigrazione, coll'inconsapevole ba-gaglio del suo grande destino, vivendo le lotte, le diffi-coltà e le speranze dei nostri fratelli, poteva sentire lanecessità improrogabile d'un Ente finanziario che ap-

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Partono di solito dal paese manovali o garzonid'impalcatura, e quando non s'imbarcano a Napoli od aGenova per le Americhe, varcano la frontiera a Modaneod a Ventimiglia, coi calzoni di fustagno, le scarpe gros-se, la valigia piccina, il cuore un po' dolente, la giovi-nezza piena di speranze. Oh, quelle stazioni terribili diconfine, attraverso le quali ogni giorno trabocca, comesotto gli archi d'un ponte, la piena del grande fiume ita-lico che va a fecondare delle sue linfe generose le terreed i beni degli altri! Qual poeta canterà un giorno la for-midabile tragedia umana e nazionale di quegli andronidoganali di frontiera, dove, sotto gli occhi di pochi sol-dati e funzionari, fatti insensibili dall'abitudine, ognigiorno che passa si rinnova uno spettacolo di grandezzae di miseria, al quale dovrebbero assistere sovente tutticoloro che in Italia s'occupano di politica e di questionisociali? I ministri ed i demagoghi si servono invece ingenere dei treni di lusso, pei quali la visita doganale èfatta in vagone.

C'è voluta l'Italia fascista, nata nelle trincee e negliospedali dalla tragica mescolanza, per concepire e rea-lizzare quell'Istituto di Credito del lavoro italianoall'estero che è una delle più utili e geniali iniziative diquesto fecondo periodo di storia nazionale. Solo un Pre-sidente del Consiglio che avesse battuto da emigrante lestrade della nostra emigrazione, coll'inconsapevole ba-gaglio del suo grande destino, vivendo le lotte, le diffi-coltà e le speranze dei nostri fratelli, poteva sentire lanecessità improrogabile d'un Ente finanziario che ap-

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poggiasse le legioni della Proletaria nelle battaglie mon-diali del lavoro. E se la nuova Banca sarà amministratacon lo stesso spirito con cui è stata ideata, quanti italianiche oggi nel mondo sono sfruttati dal capitale straniero,benediranno il grande Capo che in mezzo alle quotidia-ne lotte della politica ed al faticoso discernimentodell'avvenire, ha pensato con affetto d'italiano e conchiaroveggenza di statista ai fratelli d'oltre monte ed'oltre mare, ai quali spesso solo il denaro fa difetto, permettere in valore le loro splendide virtù di lavoratori edi tecnici!

Mentre il diretto di Batavia rugge nelle trincee grani-tiche del dimenticato astigiano a me sorride l'idea che inun giorno non lontano questa grande Banca del lavoroitaliano, alimentata dall'operosità degli emigranti e dallafiducia del risparmio nazionale, possa essere presenteovunque italiani combattono la dura battaglia della vita.Allora tante opere d'ingegno e di coraggio che oggi han-no il sigillo straniero sol perchè stranieri sono gli azioni-sti che forniscono il vile denaro, saranno riconosciuteaffermazioni del nostro genio e del nostro lavoro anchedalle statistiche internazionali, per le quali conta solo ilpassaporto dei bailleurs de fonds. Ed i giusti guadagnidel sacrifizio e dell'abilità andranno veramente allementi che hanno concepito ed alle braccia che hannoeseguito le quali oggi debbono disgraziatamente conten-tarsi spesso delle sole briciole.

Indipendentemente dalle considerazioni politiche edeconomiche che hanno ispirato Benito Mussolini, v'è

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poggiasse le legioni della Proletaria nelle battaglie mon-diali del lavoro. E se la nuova Banca sarà amministratacon lo stesso spirito con cui è stata ideata, quanti italianiche oggi nel mondo sono sfruttati dal capitale straniero,benediranno il grande Capo che in mezzo alle quotidia-ne lotte della politica ed al faticoso discernimentodell'avvenire, ha pensato con affetto d'italiano e conchiaroveggenza di statista ai fratelli d'oltre monte ed'oltre mare, ai quali spesso solo il denaro fa difetto, permettere in valore le loro splendide virtù di lavoratori edi tecnici!

Mentre il diretto di Batavia rugge nelle trincee grani-tiche del dimenticato astigiano a me sorride l'idea che inun giorno non lontano questa grande Banca del lavoroitaliano, alimentata dall'operosità degli emigranti e dallafiducia del risparmio nazionale, possa essere presenteovunque italiani combattono la dura battaglia della vita.Allora tante opere d'ingegno e di coraggio che oggi han-no il sigillo straniero sol perchè stranieri sono gli azioni-sti che forniscono il vile denaro, saranno riconosciuteaffermazioni del nostro genio e del nostro lavoro anchedalle statistiche internazionali, per le quali conta solo ilpassaporto dei bailleurs de fonds. Ed i giusti guadagnidel sacrifizio e dell'abilità andranno veramente allementi che hanno concepito ed alle braccia che hannoeseguito le quali oggi debbono disgraziatamente conten-tarsi spesso delle sole briciole.

Indipendentemente dalle considerazioni politiche edeconomiche che hanno ispirato Benito Mussolini, v'è

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Page 48: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

una grande bellezza di poesia italiana ed umana in que-sto Ente che si propone di seguire coi suoi milioni lerotte della miseria e della speranza.

Quando il convoglio sbocca dall'ultimo tunnel delNagrek e con un lungo fischio si butta giù per la discesaverso la vallata del Leles, lo scenario equatoriale è d'unaindescrivibile magnificenza. Il sole ha squarciato le nubie mitraglia la valle. I venti sfilacciano impetuosamentele nubi trasformando il cielo in una vertigine di mostri edi draghi fuggenti. La pianura di Leles è un immensoscacchiere nel quale i quadratini verdi dei boschi, i tra-pezi marroni dei campi arati, i rettangoli argentati dellerisaie s'aggraziano di villaggetti e di borghi. Intornoall'orizzonte le montano di guardia i giganti del fuoco; ilGontor, la «Montagna del tuono», l'Haroman, e più in-dietro dozzine di vulcani, alti comignoli fumanti, tuttauna fila di pennacchi bigi allineati nello spazio ognunodei quali è il respiro d'una officina del globo.

In mezzo all'anfiteatro Garoet sorride con le sue casebianche.

Lo stelo fragilissimo della moschea giavanese sembraun braccio teso ad implorare pietà dai mostri minaccio-si.

Diversi ordini concentrici di montagne chiudono lavallata di Leles. E sono tutti vulcani, attivi o spenti. Ilpiù modesto ha duemila metri d'altezza.

Incolte in genere le falde, con bastioni di macigni escarpate di roccia scarna, qua e là un mantellaccio mefi-stofelico di lava raffreddata. Ad una data altezza alla

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una grande bellezza di poesia italiana ed umana in que-sto Ente che si propone di seguire coi suoi milioni lerotte della miseria e della speranza.

Quando il convoglio sbocca dall'ultimo tunnel delNagrek e con un lungo fischio si butta giù per la discesaverso la vallata del Leles, lo scenario equatoriale è d'unaindescrivibile magnificenza. Il sole ha squarciato le nubie mitraglia la valle. I venti sfilacciano impetuosamentele nubi trasformando il cielo in una vertigine di mostri edi draghi fuggenti. La pianura di Leles è un immensoscacchiere nel quale i quadratini verdi dei boschi, i tra-pezi marroni dei campi arati, i rettangoli argentati dellerisaie s'aggraziano di villaggetti e di borghi. Intornoall'orizzonte le montano di guardia i giganti del fuoco; ilGontor, la «Montagna del tuono», l'Haroman, e più in-dietro dozzine di vulcani, alti comignoli fumanti, tuttauna fila di pennacchi bigi allineati nello spazio ognunodei quali è il respiro d'una officina del globo.

In mezzo all'anfiteatro Garoet sorride con le sue casebianche.

Lo stelo fragilissimo della moschea giavanese sembraun braccio teso ad implorare pietà dai mostri minaccio-si.

Diversi ordini concentrici di montagne chiudono lavallata di Leles. E sono tutti vulcani, attivi o spenti. Ilpiù modesto ha duemila metri d'altezza.

Incolte in genere le falde, con bastioni di macigni escarpate di roccia scarna, qua e là un mantellaccio mefi-stofelico di lava raffreddata. Ad una data altezza alla

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quale d'abitudine in Europa la vegetazione diventa rara,strane foreste equatoriali formano grandi collari verdiintorno ai cocuzzoli dei monti. Ed emergono i coni vul-canici, nudi, segaligni, sinistri. Solo la «Montagna deltuono» è tutta spoglia dalle basi alla cima, grigia, lucen-te, senz'alberi e senz'erba, mausoleo di desolazione e dimorte librato nell'aria sul sorriso della valle. Gli uominisi sono vendicati conquistando all'agricoltura fino alcratere un altro vulcano, il Papangian, l'hanno vestitod'arlecchino con rombi e quadrati d'ogni colore, l'hannofestonato di stradini bianchi e v'hanno agganciato i vil-laggi, come bottoni, fin sotto il cono che fumacchia pi-gramente, quasi fosse la cucina economica di tutte legenti e le case della montagna.

Agli uomini piace scherzare con le collere della terra!Giava è terra vulcanica per eccellenza. Più di un cen-

tinaio sono i crateri attivi, semi attivi o spenti che si sus-seguono da est ad ovest parallelamente alla lineadell'Equatore con ramificazioni secondarie che muoionoa mare. Fra tutti il più tristamente celebre è il Krakatannello stretto della Sonda che il 27 agosto 1883, dopoduecento anni di letargo, sterminò settantamila persone.Lo stesso Papangian, che sembra tutto un giardino, hasulla coscienza quaranta villaggi. L'Ufficio Scientificodi Batavia segnala cinquantasette vulcani in attività deiquali dieci superano i tremila metri. Il Semiroe è altotremila settecento. Tutta la spina dorsale di Giava è for-mata da una specie di lisca di coni fumanti sui quali gi-

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quale d'abitudine in Europa la vegetazione diventa rara,strane foreste equatoriali formano grandi collari verdiintorno ai cocuzzoli dei monti. Ed emergono i coni vul-canici, nudi, segaligni, sinistri. Solo la «Montagna deltuono» è tutta spoglia dalle basi alla cima, grigia, lucen-te, senz'alberi e senz'erba, mausoleo di desolazione e dimorte librato nell'aria sul sorriso della valle. Gli uominisi sono vendicati conquistando all'agricoltura fino alcratere un altro vulcano, il Papangian, l'hanno vestitod'arlecchino con rombi e quadrati d'ogni colore, l'hannofestonato di stradini bianchi e v'hanno agganciato i vil-laggi, come bottoni, fin sotto il cono che fumacchia pi-gramente, quasi fosse la cucina economica di tutte legenti e le case della montagna.

Agli uomini piace scherzare con le collere della terra!Giava è terra vulcanica per eccellenza. Più di un cen-

tinaio sono i crateri attivi, semi attivi o spenti che si sus-seguono da est ad ovest parallelamente alla lineadell'Equatore con ramificazioni secondarie che muoionoa mare. Fra tutti il più tristamente celebre è il Krakatannello stretto della Sonda che il 27 agosto 1883, dopoduecento anni di letargo, sterminò settantamila persone.Lo stesso Papangian, che sembra tutto un giardino, hasulla coscienza quaranta villaggi. L'Ufficio Scientificodi Batavia segnala cinquantasette vulcani in attività deiquali dieci superano i tremila metri. Il Semiroe è altotremila settecento. Tutta la spina dorsale di Giava è for-mata da una specie di lisca di coni fumanti sui quali gi-

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ganteggiano il Salak, il Ghede, il Sombing, lo Slama, ilMerbaboc, il Lavoe, l'Jang, il Tenger il Lamongan.

Solo l'Islanda può sostenere il confronto di Giavacome quantità di vulcani in proporzione della superficieterritoriale. La mente non può fare a meno di riunirequeste due ciclopiche fucine della terra così lontane ecosì diverse, quella così arida e scalza, chiusa per moltimesi dell'anno in un rigore di gelo, questa agghindatadalla vegetazione spettacolosa dell'Equatore che durantegli ultimi trecento anni solo due volte ha avuto sulle piùalte cime un'effimera incipriata di neve.

Garoet è il centro del sistema vulcanico giavanese.Intorno alla feracissima vallata di Leles s'ammassano adanfiteatro, i coni ed i crateri. Le fumate perenni che de-corano l'emiciclo danno al grandioso blocco delle mon-tagne una paurosa maestà. Ed i cocuzzoli senza pennac-chio sono più tetri degli altri in quanto non si sa checosa i secoli addensino nel cavo delle loro polveriere.

La natura del luogo costringe lo spirito a pensare alleviscere ardenti della terra e lo orienta verso i misteri del-la creazione. Si diventa filosofi a Garoet. Si ha vera-mente la sensazione che la vita è nulla. Basta il rantolod'uno di questi mostri per distruggere milioni di esisten-ze. Ciò non ci impedisce di far gaiamente colazione nelvagone ristorante e di fare osservazione al cameriereperchè il manzo è troppo pepato. Il «cittadino che prote-sta» è più forte dell'homo sapiens!

La cintura ciclopica dei vulcani chiude d'ogni latol'orizzonte. Il vento piega tutti d'un verso i sinistri pen-

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ganteggiano il Salak, il Ghede, il Sombing, lo Slama, ilMerbaboc, il Lavoe, l'Jang, il Tenger il Lamongan.

Solo l'Islanda può sostenere il confronto di Giavacome quantità di vulcani in proporzione della superficieterritoriale. La mente non può fare a meno di riunirequeste due ciclopiche fucine della terra così lontane ecosì diverse, quella così arida e scalza, chiusa per moltimesi dell'anno in un rigore di gelo, questa agghindatadalla vegetazione spettacolosa dell'Equatore che durantegli ultimi trecento anni solo due volte ha avuto sulle piùalte cime un'effimera incipriata di neve.

Garoet è il centro del sistema vulcanico giavanese.Intorno alla feracissima vallata di Leles s'ammassano adanfiteatro, i coni ed i crateri. Le fumate perenni che de-corano l'emiciclo danno al grandioso blocco delle mon-tagne una paurosa maestà. Ed i cocuzzoli senza pennac-chio sono più tetri degli altri in quanto non si sa checosa i secoli addensino nel cavo delle loro polveriere.

La natura del luogo costringe lo spirito a pensare alleviscere ardenti della terra e lo orienta verso i misteri del-la creazione. Si diventa filosofi a Garoet. Si ha vera-mente la sensazione che la vita è nulla. Basta il rantolod'uno di questi mostri per distruggere milioni di esisten-ze. Ciò non ci impedisce di far gaiamente colazione nelvagone ristorante e di fare osservazione al cameriereperchè il manzo è troppo pepato. Il «cittadino che prote-sta» è più forte dell'homo sapiens!

La cintura ciclopica dei vulcani chiude d'ogni latol'orizzonte. Il vento piega tutti d'un verso i sinistri pen-

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nacchi. Dal cratere dentato del Gontor il fumo s'innalzasu tre colonne, nero, spesso, oleoso e quando il ventosubito non lo sfiocca s'allarga a formare un baldacchinoinfernale, come le ali spiegate d'un gigantesco pipistrel-lo che stia sospeso nel vuoto a contemplare la bolgia.

L'occhio va dai coni fumanti allineati in altezzaall'orgiastica esuberanza della valle. Dove la zappa gia-vanese non ha tappezzato il suolo di scacchi variopinti,intere foreste di china-china dai tronchi grigio perla agi-tano il loro immenso fogliame verde striato di ruggine,macchie di caffè selvaggio s'alternano a forre di lek od aselve semivergini d'alberi equatoriali.

I vilaggi giavanesi con le loro casupole di paglia ed iserbatoi del riso costruiti su palafitte fanno pensare aduna umanità di passaggio, ad un grande bivacco di gentepronta, al primo allarme, a smontare le case e rimettersiin cammino.

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nacchi. Dal cratere dentato del Gontor il fumo s'innalzasu tre colonne, nero, spesso, oleoso e quando il ventosubito non lo sfiocca s'allarga a formare un baldacchinoinfernale, come le ali spiegate d'un gigantesco pipistrel-lo che stia sospeso nel vuoto a contemplare la bolgia.

L'occhio va dai coni fumanti allineati in altezzaall'orgiastica esuberanza della valle. Dove la zappa gia-vanese non ha tappezzato il suolo di scacchi variopinti,intere foreste di china-china dai tronchi grigio perla agi-tano il loro immenso fogliame verde striato di ruggine,macchie di caffè selvaggio s'alternano a forre di lek od aselve semivergini d'alberi equatoriali.

I vilaggi giavanesi con le loro casupole di paglia ed iserbatoi del riso costruiti su palafitte fanno pensare aduna umanità di passaggio, ad un grande bivacco di gentepronta, al primo allarme, a smontare le case e rimettersiin cammino.

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Il "Lago bianco"

...29 gennaio.

Sono le cinque del mattino quando partiamo da Ga-roet in automobile diretti ai Telaga-Bodas, cratere spen-to a mille metri di altezza su Garoet e mille ottocentosul livello del mare. Il luogo ci è stato consigliato da unvulcanologo di Buitenzorg per gettare un colpo d'occhiosul pittoresco insieme del massiccio. Gli scienziati sonosovente grandi poeti.

La macchina fila per due ore sulle belle strade di Gia-va – nessuna colonia ha un così perfetto sistema di retestradale – fra campi di tabacco e boschi di palme di coc-co. Dove la strada è bordeggiata d'alti bambù giavanesi,pare che l'automobile entri in un'atmosfera musicale,tanto sonora è la vibrazione delle canne e delle foglienel vento. I birocci indigeni che si recano al mercato diGaroet sfoggiano un aristocratico ombrello-padiglione,rosso o giallo, sotto il quale cavoli ed insalate vanno im-perialmente verso il loro destino che è indubbiamenteuna pentola.

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Il "Lago bianco"

...29 gennaio.

Sono le cinque del mattino quando partiamo da Ga-roet in automobile diretti ai Telaga-Bodas, cratere spen-to a mille metri di altezza su Garoet e mille ottocentosul livello del mare. Il luogo ci è stato consigliato da unvulcanologo di Buitenzorg per gettare un colpo d'occhiosul pittoresco insieme del massiccio. Gli scienziati sonosovente grandi poeti.

La macchina fila per due ore sulle belle strade di Gia-va – nessuna colonia ha un così perfetto sistema di retestradale – fra campi di tabacco e boschi di palme di coc-co. Dove la strada è bordeggiata d'alti bambù giavanesi,pare che l'automobile entri in un'atmosfera musicale,tanto sonora è la vibrazione delle canne e delle foglienel vento. I birocci indigeni che si recano al mercato diGaroet sfoggiano un aristocratico ombrello-padiglione,rosso o giallo, sotto il quale cavoli ed insalate vanno im-perialmente verso il loro destino che è indubbiamenteuna pentola.

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Di mano in mano che si sale, lo scenario dei montis'allarga. Il cielo mattutino è tutto pennellato di laccherosa che si diluiscono soavemente nella luminositàdell'aria mentre il grande sole dell'Equatore s'innalza sulcerchio della montagna, ostia dardeggiante di fuoco.

La vallata di Garoet e la pianura di Leles stendono aperdita d'occhio la loro immensità. Le risaie costruite aterrapieni sovrapposti, come usano i liguri per la colti-vazione dei fiori sulla riviera di Ponente, s'innalzanofino ad altezze inverosimili sui fianchi dei monti, e dilontano, nella magnificenza solare, sembrano fantasti-che gradinate di cristallo costruite da un popolo fatatoper dar la scalata ai giganti del fuoco.

A Vanargia lasciamo l'automobile e proseguiamo apiedi per i zig-zag del bastione vulcanico. Tra il conodel Tikorai ed il cratere del Gontor, i vapori solforosi delPapangian stendono un bucato giallo che il sole irradiadi lucentezze.

A mille metri la vegetazione sparisce. Il sentiero ser-peggia in mezzo a schisti neri ed a roccie ferrigne su unsuolo di bitume. Ogni tanto uno sterpo, una pianticellaspinosa, un fiore isolato di montagna. In certi tratti ilnero diventa improvvisamente bianco, un bianco mine-rale, opaco e sidereo, fatto di scorie e di pietre pomici,detriti di lontane eruzioni. Brontolii di caldaie indicanodi quando in quando l'avvicinarsi d'una solfatara o d'unasorgente d'acqua calda. Dall'orifizio d'una caverna esceun rumore di mantice d'officina. La forgia deve essere

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Di mano in mano che si sale, lo scenario dei montis'allarga. Il cielo mattutino è tutto pennellato di laccherosa che si diluiscono soavemente nella luminositàdell'aria mentre il grande sole dell'Equatore s'innalza sulcerchio della montagna, ostia dardeggiante di fuoco.

La vallata di Garoet e la pianura di Leles stendono aperdita d'occhio la loro immensità. Le risaie costruite aterrapieni sovrapposti, come usano i liguri per la colti-vazione dei fiori sulla riviera di Ponente, s'innalzanofino ad altezze inverosimili sui fianchi dei monti, e dilontano, nella magnificenza solare, sembrano fantasti-che gradinate di cristallo costruite da un popolo fatatoper dar la scalata ai giganti del fuoco.

A Vanargia lasciamo l'automobile e proseguiamo apiedi per i zig-zag del bastione vulcanico. Tra il conodel Tikorai ed il cratere del Gontor, i vapori solforosi delPapangian stendono un bucato giallo che il sole irradiadi lucentezze.

A mille metri la vegetazione sparisce. Il sentiero ser-peggia in mezzo a schisti neri ed a roccie ferrigne su unsuolo di bitume. Ogni tanto uno sterpo, una pianticellaspinosa, un fiore isolato di montagna. In certi tratti ilnero diventa improvvisamente bianco, un bianco mine-rale, opaco e sidereo, fatto di scorie e di pietre pomici,detriti di lontane eruzioni. Brontolii di caldaie indicanodi quando in quando l'avvicinarsi d'una solfatara o d'unasorgente d'acqua calda. Dall'orifizio d'una caverna esceun rumore di mantice d'officina. La forgia deve essere

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Page 54: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

lontana e profonda. Noi ci attardiamo ad ascoltare conrispetto il misterioso respiro della terra.

L'ascesa è lenta e faticosa.A mille e trecento metri il sentiero, valicando un col-

le, entra subitamente in una paradossale foresta di felcigiganti dell'Equatore coi tronchi grandi come palme. Apochi passi dal deserto delle pietre pomici, la natura tro-picale riserva la sorpresa d'una selva vergine del centroAfrica. Il sole non riesce a filtrare attraverso lo spessoredel fogliame. Dall'acciecante bagliore delle scorie sipassa così nell'ombra umida e folta d'una galleria vege-tale.

Avanziamo circa un'ora entro i camminamenti dellefelci. La guida giavanese deve spesso ricorrere all'accet-ta per aprirsi il passo in mezzo alle liane che ogni notterifabbricano celermente le loro reti. Verso le undici ladensità del bosco è bruscamente spezzata da un alito in-visibile di morte. L'esuberanza strapotente dei tronchi edelle foglie è paralizzata all'improvviso, da un principiodi calcinazione, stranissimo a vedersi, come la cauteriz-zazione violenta di un cancro in una carne giovane esana. Dieci metri più innanzi il «Lago bianco» mostra ilsuo grande catino di latte. È la cima del Telaga Bodas esiamo sugli orli del cratere spento.

La foresta fascia nella sua ombra l'imbuto maledetto,ma dall'alto del cielo il formidabile sole di Giava mitra-glia perpendicolarmente l'acqua morta. Nel castone ver-de la grande opale luccica satanicamente.

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lontana e profonda. Noi ci attardiamo ad ascoltare conrispetto il misterioso respiro della terra.

L'ascesa è lenta e faticosa.A mille e trecento metri il sentiero, valicando un col-

le, entra subitamente in una paradossale foresta di felcigiganti dell'Equatore coi tronchi grandi come palme. Apochi passi dal deserto delle pietre pomici, la natura tro-picale riserva la sorpresa d'una selva vergine del centroAfrica. Il sole non riesce a filtrare attraverso lo spessoredel fogliame. Dall'acciecante bagliore delle scorie sipassa così nell'ombra umida e folta d'una galleria vege-tale.

Avanziamo circa un'ora entro i camminamenti dellefelci. La guida giavanese deve spesso ricorrere all'accet-ta per aprirsi il passo in mezzo alle liane che ogni notterifabbricano celermente le loro reti. Verso le undici ladensità del bosco è bruscamente spezzata da un alito in-visibile di morte. L'esuberanza strapotente dei tronchi edelle foglie è paralizzata all'improvviso, da un principiodi calcinazione, stranissimo a vedersi, come la cauteriz-zazione violenta di un cancro in una carne giovane esana. Dieci metri più innanzi il «Lago bianco» mostra ilsuo grande catino di latte. È la cima del Telaga Bodas esiamo sugli orli del cratere spento.

La foresta fascia nella sua ombra l'imbuto maledetto,ma dall'alto del cielo il formidabile sole di Giava mitra-glia perpendicolarmente l'acqua morta. Nel castone ver-de la grande opale luccica satanicamente.

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Non un uccello, non una farfalla, non un ronzìod'insetto, nulla, un silenzio da sepolcro. Si è fuori delmondo e della vita. Così la fantasia immagina siano fattii paesaggi lunari quando s'attarda a contemplare, in unanotte di melanconia, la grande lampada dell'universo.Ogni tanto l'acqua ha un brivido, poi riprende la sua im-mobilità. Sono le bollicine dei gas idrosolforici che sal-gono alla superficie. Par d'ascoltare denti di morti chedigrignano nel cavo dei teschi.

Il lago, che deve avere all'incirca un migliaio di metridi diametro, è orlato su tre lati da una merlatura di roc-cioni a punta, alcuni dei quali superano i cento metrid'altezza, tutti impellicciati esteriormente dalla foresta,nudi invece verso l'acqua, irregolari, torvi, spalmati d'unbitume secolare che li fa parere di carbon fossile. Leroccie non si riflettono nell'acqua opaca. Solo v'arde ilsole terribilmenie. Sui bordi i solfati d'alluminio forma-no una schiuma pesante d'argento, come limatura di me-tallo impastata con una gomma luminosa.

Il cratere dorme dall'82, epoca in cui distrusse due-cento villaggi con un improvviso vomito di lapilli e discorie.

La guida s'avvia verso uno dei roccioni che è aperto aterrazzo sugli abissi. È quasi mezzogiorno quando arri-viamo in cima del belvedere diabolico. Mezzogiornodell'Equatore, l'ora pazza del sole! Ai piedi del macignogiacciono alla rinfusa i ruderi d'un antichissimo tempioindù, edificato dalle genti scomparse della montagna di-nanzi al circo massimo dei crateri per adorare la potenza

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Non un uccello, non una farfalla, non un ronzìod'insetto, nulla, un silenzio da sepolcro. Si è fuori delmondo e della vita. Così la fantasia immagina siano fattii paesaggi lunari quando s'attarda a contemplare, in unanotte di melanconia, la grande lampada dell'universo.Ogni tanto l'acqua ha un brivido, poi riprende la sua im-mobilità. Sono le bollicine dei gas idrosolforici che sal-gono alla superficie. Par d'ascoltare denti di morti chedigrignano nel cavo dei teschi.

Il lago, che deve avere all'incirca un migliaio di metridi diametro, è orlato su tre lati da una merlatura di roc-cioni a punta, alcuni dei quali superano i cento metrid'altezza, tutti impellicciati esteriormente dalla foresta,nudi invece verso l'acqua, irregolari, torvi, spalmati d'unbitume secolare che li fa parere di carbon fossile. Leroccie non si riflettono nell'acqua opaca. Solo v'arde ilsole terribilmenie. Sui bordi i solfati d'alluminio forma-no una schiuma pesante d'argento, come limatura di me-tallo impastata con una gomma luminosa.

Il cratere dorme dall'82, epoca in cui distrusse due-cento villaggi con un improvviso vomito di lapilli e discorie.

La guida s'avvia verso uno dei roccioni che è aperto aterrazzo sugli abissi. È quasi mezzogiorno quando arri-viamo in cima del belvedere diabolico. Mezzogiornodell'Equatore, l'ora pazza del sole! Ai piedi del macignogiacciono alla rinfusa i ruderi d'un antichissimo tempioindù, edificato dalle genti scomparse della montagna di-nanzi al circo massimo dei crateri per adorare la potenza

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di Dio nel regno delle sue collere. E veramente quei lon-tani uomini primitivi dovevano sentire la presenza im-manente della divinità quando in cima ai vulcani vede-vano accendersi i fuochi del globo ed il silenzio delle al-titudini era dominato dal rombo dei magli che fucinava-no metalli ed incandescenze nelle misteriose profonditàdella terra.

L'occhio domina la galoppata delle montagne, bizzar-ro oceano pietrificato nel diapason dello spasimo ance-strale dalla volontà dell'Infinito. Undici grandi vulcaniin attività ergono i loro coni impennacchiati sulla biz-zarra irregolarità del bastione, il Gontor, l'Haroman, ilTikoray, il Kalandong, il Papangian, il Seda Klung, ilGong, il Ktatiak, il Pengiakai, il Bodas. Altri pennacchis'allineano in lontananza, altri ancora chiudono comequinte l'immenso scenario del «Lago bianco».

Più alto di tutti, il Tikoray (2800 metri) domina colsuo picco di pece la cerchia delle montagne. Una casca-ta d'acqua, accesa dal sole, spicca come un diamantesulla crosta nera della vetta.

La mescolanza delle foreste coi campi di lava è di uneffetto teatrale. Dov'è passato il vomito satanico la vege-tazione è morta ed il sole folgora su pendici di carbonfossile.

Ma sugli orli stessi dell'eruzione la vegetazione indo-mabile dell'Equatore afferma la sua vitalità potente cheil fuoco stesso e le ceneri non riescono a distruggere persempre. Solo là dove i mostri hanno sbavato la loro bileinfernale la vita è sopraffatta per l'eternità.

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di Dio nel regno delle sue collere. E veramente quei lon-tani uomini primitivi dovevano sentire la presenza im-manente della divinità quando in cima ai vulcani vede-vano accendersi i fuochi del globo ed il silenzio delle al-titudini era dominato dal rombo dei magli che fucinava-no metalli ed incandescenze nelle misteriose profonditàdella terra.

L'occhio domina la galoppata delle montagne, bizzar-ro oceano pietrificato nel diapason dello spasimo ance-strale dalla volontà dell'Infinito. Undici grandi vulcaniin attività ergono i loro coni impennacchiati sulla biz-zarra irregolarità del bastione, il Gontor, l'Haroman, ilTikoray, il Kalandong, il Papangian, il Seda Klung, ilGong, il Ktatiak, il Pengiakai, il Bodas. Altri pennacchis'allineano in lontananza, altri ancora chiudono comequinte l'immenso scenario del «Lago bianco».

Più alto di tutti, il Tikoray (2800 metri) domina colsuo picco di pece la cerchia delle montagne. Una casca-ta d'acqua, accesa dal sole, spicca come un diamantesulla crosta nera della vetta.

La mescolanza delle foreste coi campi di lava è di uneffetto teatrale. Dov'è passato il vomito satanico la vege-tazione è morta ed il sole folgora su pendici di carbonfossile.

Ma sugli orli stessi dell'eruzione la vegetazione indo-mabile dell'Equatore afferma la sua vitalità potente cheil fuoco stesso e le ceneri non riescono a distruggere persempre. Solo là dove i mostri hanno sbavato la loro bileinfernale la vita è sopraffatta per l'eternità.

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ALTA GIAVA – Capanna di bambù di un indigeno dacoti.

GIAVA – Villaggio nella jungla.

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ALTA GIAVA – Capanna di bambù di un indigeno dacoti.

GIAVA – Villaggio nella jungla.

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Il sole è al culmine della sua possanza. Posto nel cen-tro dello spazio visibile lo domina e lo empie. È il Re! Iprimitivi della montagna dicevano: è Dio!

Nemmeno in pieno Sahara m'è parso così terribile. Ifumanti bracieri della terra stabiliscono un fantasticorapporto fra l'astro ed il pianeta. Fuoco giù, fuoco su. Laforesta equatoriale con la sua immagine d'ombra è uncontrosenso. L'uomo soggiogato dal gran mistero delprincipio e della fine che incombe sullo spirito sentequasi una certa solidarietà col mondo vivo ed umidodelle foglie.

Investito dalla mitraglia solare il massiccio rivela tuttii suoi orrori: gole, spacchi, rovine, fortezze di tufo, pruedi vascelli, teschi e scheletri di mostri favolosi, immensemammelle, qua e là una lavagna nera rigata da geroglifi-ci di cabala, un bastione color zafferano ingiallito dalleemanazioni sulfuree, una scarpata metallica illividitadalle evaporazioni d'alluminio, ogni tanto il vuoto pau-roso d'una profondità indefinibile che non si sa che cosasia e dove finisca.

L'aria è un unico immenso bagliore. Gli occhi cerca-no con voluttà il verde degli alberi per riposare un po' lepupille nelle quali pare s'accenda una magica fiammarossa.

Sotto la silenziosa mitraglia le lavagne di pece bale-nano d'infinite lucentezze, le roccie vulcaniche fiam-meggiano, le colate di lava fredda sembrano fiumi vetri-ficati di carbone liquido, rupi e macigni saettano, le pe-traie s'illuminano di fosforescenza fossile, i crateri bassi

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Il sole è al culmine della sua possanza. Posto nel cen-tro dello spazio visibile lo domina e lo empie. È il Re! Iprimitivi della montagna dicevano: è Dio!

Nemmeno in pieno Sahara m'è parso così terribile. Ifumanti bracieri della terra stabiliscono un fantasticorapporto fra l'astro ed il pianeta. Fuoco giù, fuoco su. Laforesta equatoriale con la sua immagine d'ombra è uncontrosenso. L'uomo soggiogato dal gran mistero delprincipio e della fine che incombe sullo spirito sentequasi una certa solidarietà col mondo vivo ed umidodelle foglie.

Investito dalla mitraglia solare il massiccio rivela tuttii suoi orrori: gole, spacchi, rovine, fortezze di tufo, pruedi vascelli, teschi e scheletri di mostri favolosi, immensemammelle, qua e là una lavagna nera rigata da geroglifi-ci di cabala, un bastione color zafferano ingiallito dalleemanazioni sulfuree, una scarpata metallica illividitadalle evaporazioni d'alluminio, ogni tanto il vuoto pau-roso d'una profondità indefinibile che non si sa che cosasia e dove finisca.

L'aria è un unico immenso bagliore. Gli occhi cerca-no con voluttà il verde degli alberi per riposare un po' lepupille nelle quali pare s'accenda una magica fiammarossa.

Sotto la silenziosa mitraglia le lavagne di pece bale-nano d'infinite lucentezze, le roccie vulcaniche fiam-meggiano, le colate di lava fredda sembrano fiumi vetri-ficati di carbone liquido, rupi e macigni saettano, le pe-traie s'illuminano di fosforescenza fossile, i crateri bassi

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mostrano gli impasti incandescenti delle loro caldaie,quelli più alti dardeggiano, venti laghi vulcanici d'acquamorta sparpagliati pei valichi e le gole punteggiano diraggere sinistre l'anfiteatro. Fumano i campi di fango.Qua e là una vampa s'accende. Ed i turiboli degli abissicontinuamente innalzano i loro incensi verso l'infinito.

Dov'è il Gontor, un pianoro desolato fa pensare ai de-serti della Sirte, ma è un deserto nero, fosco, truce deco-rato da una potenza malefica per incutere spavento. Legrandi sabbie dell'Africa hanno un non so che di sofficebellezza, invece queste ceneri impastate dalle pioggiesono dure, contorte, bitorzolute. Le arene magnetichefolgorano come detriti di diamanti. Ogni tanto il ventone accartoccia una tromba e la spolverizza nel vuoto.

Nella frenesia solare l'emiciclo dei vulcani assumel'infernale magnificenza della visione dantesca. Se inquest'istante un rombo squarciasse la giogaia, e gli scar-latti mantelli di Satana coprissero i fianchi delle monta-gne, lo spirito non se ne meraviglierebbe, tanto è sentitala presenza sovrana del fuoco, tanto irreale sembra que-sta rupe lucente sospesa sulle fornaci della terra.

Come paiono piccole e lontane le città degli uomini...le passioni degli uomini... i pontificati degli uomini, vi-sti di quassù nel regno delle forze brute che con unoschianto possono tutto distruggere!

Come paiono grandi le stesse cose e passioni degliuomini, tutto il ciclopico travaglio delle genti umaneche di fronte alle oscure ininaccie dell'universo sospese

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mostrano gli impasti incandescenti delle loro caldaie,quelli più alti dardeggiano, venti laghi vulcanici d'acquamorta sparpagliati pei valichi e le gole punteggiano diraggere sinistre l'anfiteatro. Fumano i campi di fango.Qua e là una vampa s'accende. Ed i turiboli degli abissicontinuamente innalzano i loro incensi verso l'infinito.

Dov'è il Gontor, un pianoro desolato fa pensare ai de-serti della Sirte, ma è un deserto nero, fosco, truce deco-rato da una potenza malefica per incutere spavento. Legrandi sabbie dell'Africa hanno un non so che di sofficebellezza, invece queste ceneri impastate dalle pioggiesono dure, contorte, bitorzolute. Le arene magnetichefolgorano come detriti di diamanti. Ogni tanto il ventone accartoccia una tromba e la spolverizza nel vuoto.

Nella frenesia solare l'emiciclo dei vulcani assumel'infernale magnificenza della visione dantesca. Se inquest'istante un rombo squarciasse la giogaia, e gli scar-latti mantelli di Satana coprissero i fianchi delle monta-gne, lo spirito non se ne meraviglierebbe, tanto è sentitala presenza sovrana del fuoco, tanto irreale sembra que-sta rupe lucente sospesa sulle fornaci della terra.

Come paiono piccole e lontane le città degli uomini...le passioni degli uomini... i pontificati degli uomini, vi-sti di quassù nel regno delle forze brute che con unoschianto possono tutto distruggere!

Come paiono grandi le stesse cose e passioni degliuomini, tutto il ciclopico travaglio delle genti umaneche di fronte alle oscure ininaccie dell'universo sospese

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sul loro cammino procedono indomite, da Prometeo aMarconi, nella progressiva conquista dell'Ignoto!

Dal cratere del Gontor rigurgitano due sbuffi di vapo-re nero, più densi e gonfi degli altri, che impeciano ipicchi.

Strani rumori animano il silenzio..., soffi di mantici,gemiti brevi e soffocati, fruscii di petrame smosso,brontolii, lontani di motori in movimento...

Nelle fucine profonde il fuoco lavora.

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sul loro cammino procedono indomite, da Prometeo aMarconi, nella progressiva conquista dell'Ignoto!

Dal cratere del Gontor rigurgitano due sbuffi di vapo-re nero, più densi e gonfi degli altri, che impeciano ipicchi.

Strani rumori animano il silenzio..., soffi di mantici,gemiti brevi e soffocati, fruscii di petrame smosso,brontolii, lontani di motori in movimento...

Nelle fucine profonde il fuoco lavora.

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Il tempio di Borobodor

JOKAKARTA, 9 febbraio.

Siamo arrivati a Borobodor ieri sera ad ora tarda esiamo andati subito a letto per essere svegli stanotte alledue.

A Batavia chi ci aveva consigliato di visitare le grandirovine al chiaro di luna, chi in pieno sole. E gli uni era-no altrettanto categorici degli altri.

«Senza luna il Borobodor è una disillusione» avevasentenziato un grosso mercante olandese che si picca dimecenatismo perchè ha ereditato da una zia di Utrechtuna galleria di brutti quadri e di belle cornici!

«Soprattutto che sia una giornata di sole!» aveva rac-comandato un francese di Pondichery che ha un cognatoall'Accademia delle Belle Arti! Avevamo la suprema ri-sorsa del pari o dispari, infallibile in simili frangenti, manon volevamo scrupoli di coscienza. D'altra parte nonpotevamo dedicare più di dieci ore, contate contate, aimonumenti di Borobodor.

Alla fine abbiamo preso una decisione salomonica:trovarci sul luogo alle tre del mattino e restarvi fino

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Il tempio di Borobodor

JOKAKARTA, 9 febbraio.

Siamo arrivati a Borobodor ieri sera ad ora tarda esiamo andati subito a letto per essere svegli stanotte alledue.

A Batavia chi ci aveva consigliato di visitare le grandirovine al chiaro di luna, chi in pieno sole. E gli uni era-no altrettanto categorici degli altri.

«Senza luna il Borobodor è una disillusione» avevasentenziato un grosso mercante olandese che si picca dimecenatismo perchè ha ereditato da una zia di Utrechtuna galleria di brutti quadri e di belle cornici!

«Soprattutto che sia una giornata di sole!» aveva rac-comandato un francese di Pondichery che ha un cognatoall'Accademia delle Belle Arti! Avevamo la suprema ri-sorsa del pari o dispari, infallibile in simili frangenti, manon volevamo scrupoli di coscienza. D'altra parte nonpotevamo dedicare più di dieci ore, contate contate, aimonumenti di Borobodor.

Alla fine abbiamo preso una decisione salomonica:trovarci sul luogo alle tre del mattino e restarvi fino

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all'ora del sole, filare poi in automobile a Jokakarta inmodo d'essere puntuali a mezzogiorno alla colazione of-ferta dal Presidente olandese; ripartire nel pomeriggio inferrovia per la città rivale Soerakarta dove siamo invitatiad un ricevimento indigeno della casa imperiale – unvero terno al lotto – con probabile intervento di S. M.graziosissima l'imperatore di Giava. Udienza col monar-ca l'indomani mattina alle dieci e rivista militare a mez-zogiorno nella piazza del Kraton per la fortunata coinci-denza d'una cerimonia nazionale.

Due belle giornate piene nelle quali il sonno sarà unpo' strapazzato, ma quando s'è nel cuore dell'Insulinda esi può in quarantott'ore mettere nella bilancia i milleBuddha di Borobodor, il sole, la luna, una colazioneolandese, un ricevimento principesco, una udienza im-periale e, per giunta, una rivista di soldati scalzi col pa-rasole, non si deve essere troppo difficili in materia diriposo. Non capitano sovente nella vita programmi diquesto genere e chissà quante volte, ritornati ai domesti-ci lari, toccherà contentarsi d'assai meno, per esempiod'un forbito discorso del segretario comunale, d'un rice-vimento della sindachessa durante il concerto della filar-monica in piazza del Municipio, la sera fuochi d'artifizioo rappresentazione del Padrone delle Ferriere con «dueparole» dell'assessore anziano all'inclito pubblico e gen-tili signore!

Approfittiamo, approfittiamo. Il destino è così dispet-toso coi giramondo che un giorno si diverte ad impe-ciarli in un appartamento di tre stanze con le finestre sul

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all'ora del sole, filare poi in automobile a Jokakarta inmodo d'essere puntuali a mezzogiorno alla colazione of-ferta dal Presidente olandese; ripartire nel pomeriggio inferrovia per la città rivale Soerakarta dove siamo invitatiad un ricevimento indigeno della casa imperiale – unvero terno al lotto – con probabile intervento di S. M.graziosissima l'imperatore di Giava. Udienza col monar-ca l'indomani mattina alle dieci e rivista militare a mez-zogiorno nella piazza del Kraton per la fortunata coinci-denza d'una cerimonia nazionale.

Due belle giornate piene nelle quali il sonno sarà unpo' strapazzato, ma quando s'è nel cuore dell'Insulinda esi può in quarantott'ore mettere nella bilancia i milleBuddha di Borobodor, il sole, la luna, una colazioneolandese, un ricevimento principesco, una udienza im-periale e, per giunta, una rivista di soldati scalzi col pa-rasole, non si deve essere troppo difficili in materia diriposo. Non capitano sovente nella vita programmi diquesto genere e chissà quante volte, ritornati ai domesti-ci lari, toccherà contentarsi d'assai meno, per esempiod'un forbito discorso del segretario comunale, d'un rice-vimento della sindachessa durante il concerto della filar-monica in piazza del Municipio, la sera fuochi d'artifizioo rappresentazione del Padrone delle Ferriere con «dueparole» dell'assessore anziano all'inclito pubblico e gen-tili signore!

Approfittiamo, approfittiamo. Il destino è così dispet-toso coi giramondo che un giorno si diverte ad impe-ciarli in un appartamento di tre stanze con le finestre sul

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cortile, magari fra moglie e suocera, e la condanna per-petua di restar lì fino agli ultimi reumatismi.

Avremo tempo in ogni modo di dormire a Kadikadove ci fermeremo una settimana ospiti d'un ricchissimopiantatore, a studiare le scorze e le foglie dei guttaperka.Un'idea come un'altra di chi paga le spese del nostroviaggio ed ha a sua disposizione un telegrafo in quel diSan Francisco.

La grande lampada imbianca la notte equatorialequando arriviamo dinanzi ai centoventi gradini del tem-pio di Borobodor. Due leoni montano la guardia ai piedidello scalone. La luna allunga smisuratamente le loroombre. E s'incomincia a salire verso la cima.

Il grande tempio indo-giavanese contemporaneo diCarlo Magno, fu edificato, secondo gli archeologi, dauna dinastia indù che fu poi detronizzata dai principimaomettani del Sultanato indigeno di Mataram,anch'esso scomparso.

Delle splendide città di quell'epoca, nulla resta: tuttoè stato distrutto dai secoli, dai terremoti, dalle eruzionidel Merapi, dalla inesorabile sovrapposizione della fore-sta equatoriale; solo rimane questo tempio di ciclopi cheha resistito alle ingiurie degli anni, degli uomini, dei la-pilli e della jungla.

Forse per questo le foreste di Giava hanno un curiosoodore di roba morta.

Il tempo ha fatto cadere in rovina torri e muraglie, iterremoti hanno schiantato i macigni, il Merapi ha se-

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cortile, magari fra moglie e suocera, e la condanna per-petua di restar lì fino agli ultimi reumatismi.

Avremo tempo in ogni modo di dormire a Kadikadove ci fermeremo una settimana ospiti d'un ricchissimopiantatore, a studiare le scorze e le foglie dei guttaperka.Un'idea come un'altra di chi paga le spese del nostroviaggio ed ha a sua disposizione un telegrafo in quel diSan Francisco.

La grande lampada imbianca la notte equatorialequando arriviamo dinanzi ai centoventi gradini del tem-pio di Borobodor. Due leoni montano la guardia ai piedidello scalone. La luna allunga smisuratamente le loroombre. E s'incomincia a salire verso la cima.

Il grande tempio indo-giavanese contemporaneo diCarlo Magno, fu edificato, secondo gli archeologi, dauna dinastia indù che fu poi detronizzata dai principimaomettani del Sultanato indigeno di Mataram,anch'esso scomparso.

Delle splendide città di quell'epoca, nulla resta: tuttoè stato distrutto dai secoli, dai terremoti, dalle eruzionidel Merapi, dalla inesorabile sovrapposizione della fore-sta equatoriale; solo rimane questo tempio di ciclopi cheha resistito alle ingiurie degli anni, degli uomini, dei la-pilli e della jungla.

Forse per questo le foreste di Giava hanno un curiosoodore di roba morta.

Il tempo ha fatto cadere in rovina torri e muraglie, iterremoti hanno schiantato i macigni, il Merapi ha se-

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polto sotto le sue scorie infuocate chioschi e pagode, ilvandalismo mussulmano ha mutilato i Buddha e le scul-ture, le erbe potenti dell'Equatore si sono intrufolatesenza rispetto dappertutto, fino a sotterrare statue e cap-pelle, anche il fuoco e le saette si sono accaniti contro ilmausoleo, ma l'edificio resta in piedi. Costruito per sfi-dare i secoli e le lave, ha assolto il suo compito. I molte-plici scempi non sono riusciti a deturpare il solenne in-sieme delle sue linee. Così com'è attualmente, tutto inpezzi, è ancora uno dei massimi monumenti innalzatidalle folle umane alla Divinità.

Lo hanno edificato con sangue e sudore di plebi queiformidabili creatori di templi che sono gli indiani; toz-zo, pesante, massiccio e, secondo la loro consuetudine,ne hanno intonato l'architettura alla fisonomia del pae-saggio. Quando si osservano le fiancate del monumento,la sua cima mozza ed appiattita, la sua struttura di pira-mide tronca, che pare schiacciata dal peso d'un invisibi-le fardello, è evidente il rapporto d'armonia fra la sago-ma del mausoleo e la forma del vulcano Merapi che do-mina paurosamente l'orizzonte, accigliato gigante dellavallata.

Mentre le chiese cristiane e le stesse moschee mussul-mane danno in genere una sensazione di slancio, quasivogliano figurare l'aspirazione dell'anima verso l'Infini-to, con le cupole aeree ed i campanili librati arditamentenel vuoto che fanno pensare all'ascesa degli incensi ver-so le incommensurabili altezze del mistero, i monumentibuddisti danno l'impressione diametralmente opposta di

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polto sotto le sue scorie infuocate chioschi e pagode, ilvandalismo mussulmano ha mutilato i Buddha e le scul-ture, le erbe potenti dell'Equatore si sono intrufolatesenza rispetto dappertutto, fino a sotterrare statue e cap-pelle, anche il fuoco e le saette si sono accaniti contro ilmausoleo, ma l'edificio resta in piedi. Costruito per sfi-dare i secoli e le lave, ha assolto il suo compito. I molte-plici scempi non sono riusciti a deturpare il solenne in-sieme delle sue linee. Così com'è attualmente, tutto inpezzi, è ancora uno dei massimi monumenti innalzatidalle folle umane alla Divinità.

Lo hanno edificato con sangue e sudore di plebi queiformidabili creatori di templi che sono gli indiani; toz-zo, pesante, massiccio e, secondo la loro consuetudine,ne hanno intonato l'architettura alla fisonomia del pae-saggio. Quando si osservano le fiancate del monumento,la sua cima mozza ed appiattita, la sua struttura di pira-mide tronca, che pare schiacciata dal peso d'un invisibi-le fardello, è evidente il rapporto d'armonia fra la sago-ma del mausoleo e la forma del vulcano Merapi che do-mina paurosamente l'orizzonte, accigliato gigante dellavallata.

Mentre le chiese cristiane e le stesse moschee mussul-mane danno in genere una sensazione di slancio, quasivogliano figurare l'aspirazione dell'anima verso l'Infini-to, con le cupole aeree ed i campanili librati arditamentenel vuoto che fanno pensare all'ascesa degli incensi ver-so le incommensurabili altezze del mistero, i monumentibuddisti danno l'impressione diametralmente opposta di

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rassegnazione e di annientamento. Sono i mausolei della«rinunzia» di Cakia-Muni.

La filosofia buddista soffoca gli impeti dell'arditezzaumana, tarpa le ali ai voli d'Icaro, fa consistere la perfe-zione non nel mistico balzo sempre più in alto, ma nellaumiliata discesa in profondità fino all'immedesimazionenegativa dello spirito col Gran Niente. Tutti i monumen-ti buddisti cercano di rendere nella loro struttura archi-tettonica questa visione caratteristica dell'esistenza, nes-suno vi riesce quanto il tempio dei Mille Buddha di Bo-robodor, che sotto questo aspetto supera, a mio parere,lo stesso prodigioso Angkor Wat del Camboge.

I viaggiatori occidentali, abituati alla fisonomia diver-sa dei colossi del cristianesimo e del paganesimo medi-terraneo, rimangono, di primo acchito, un po' sconcertatidalla monca pesantezza di questa mole che, innalzatasidal suolo con le assise potenti di una piramide faraonica,par debba arrivare chissà dove, ed è invece bruscamentespezzata a metà. Eppure la suprema bellezza del Boro-bodor è appunto questa sua pesante incertezza che cosìbene s'inquadra nello scenario delle montagne vulcani-che troncate dai crateri, soprattutto se si pensa all'ispira-zione fondamentale del mirabile architetto, il quale volleda una parte edificare un tempio che potesse sfidare iterremoti di Giava, dall'altra contrapporre alle misticheangoscie del brahmanesimo ed ai suoi templi paurosi,zeppi di divinità terribili, un monumento raccolto emaestoso, che rivaleggiasse con quelli per mole e ric-chezza e nello stesso tempo esprimesse la grande pace

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rassegnazione e di annientamento. Sono i mausolei della«rinunzia» di Cakia-Muni.

La filosofia buddista soffoca gli impeti dell'arditezzaumana, tarpa le ali ai voli d'Icaro, fa consistere la perfe-zione non nel mistico balzo sempre più in alto, ma nellaumiliata discesa in profondità fino all'immedesimazionenegativa dello spirito col Gran Niente. Tutti i monumen-ti buddisti cercano di rendere nella loro struttura archi-tettonica questa visione caratteristica dell'esistenza, nes-suno vi riesce quanto il tempio dei Mille Buddha di Bo-robodor, che sotto questo aspetto supera, a mio parere,lo stesso prodigioso Angkor Wat del Camboge.

I viaggiatori occidentali, abituati alla fisonomia diver-sa dei colossi del cristianesimo e del paganesimo medi-terraneo, rimangono, di primo acchito, un po' sconcertatidalla monca pesantezza di questa mole che, innalzatasidal suolo con le assise potenti di una piramide faraonica,par debba arrivare chissà dove, ed è invece bruscamentespezzata a metà. Eppure la suprema bellezza del Boro-bodor è appunto questa sua pesante incertezza che cosìbene s'inquadra nello scenario delle montagne vulcani-che troncate dai crateri, soprattutto se si pensa all'ispira-zione fondamentale del mirabile architetto, il quale volleda una parte edificare un tempio che potesse sfidare iterremoti di Giava, dall'altra contrapporre alle misticheangoscie del brahmanesimo ed ai suoi templi paurosi,zeppi di divinità terribili, un monumento raccolto emaestoso, che rivaleggiasse con quelli per mole e ric-chezza e nello stesso tempo esprimesse la grande pace

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nella rinunzia buddista che annulla il tormento degli uo-mini, annientando l'umanità nel Niente donde è uscita edove ritornerà.

Allo stato attuale dei ruderi nessuna fotografia puòdare un'impressione esatta del Borobodor, perchè i terre-moti e la vegetazione hanno infranto la simmetria dellelinee. Solo il chiarore lunare, attenuando le rovine el'invasione delle foglie, mostra il monumento nella suamaestà originaria quale doveva essere nel periodo delsuo splendore.

Immaginatevi una collina vulcanica che gli uomini,con immane fatica, hanno trasformata artificialmente inuna piramide regolare, livellandone i fianchi e squadran-done le falde. Nove grandi terrazze sovrapposte scalanola montagna: le prime sei, poligonali, con trentasei an-goli ognuna; le ultime tre, circolari, con in cima all'ulti-mo cerchio la pagoda principale a cupola schiacciata.

Il materiale adoperato è una pietra vulcanica, plum-bea, porosa, che sembra cenere impastata con lieviti dimetallo. I massi sono sovrapposti senza cemento comenelle costruzioni pelasgiche.

Lungo ogni terrazza corre un largo cornicione di pie-tra addossato alla muraglia del terrazzo superiore. Quan-do il luogo era frequentato da milioni di pellegrini, quel-le erano le strade seguite dai fedeli per salire di piano inpiano fino al vertice del tempio. Le alte muraglie sonominuziosamente scolpite a scene ed episodii della vita diBuddha. L'immagine del maestro, dall'eterno sorriso, èripetuta uniformemente quattrocentotrenta volte in al-

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nella rinunzia buddista che annulla il tormento degli uo-mini, annientando l'umanità nel Niente donde è uscita edove ritornerà.

Allo stato attuale dei ruderi nessuna fotografia puòdare un'impressione esatta del Borobodor, perchè i terre-moti e la vegetazione hanno infranto la simmetria dellelinee. Solo il chiarore lunare, attenuando le rovine el'invasione delle foglie, mostra il monumento nella suamaestà originaria quale doveva essere nel periodo delsuo splendore.

Immaginatevi una collina vulcanica che gli uomini,con immane fatica, hanno trasformata artificialmente inuna piramide regolare, livellandone i fianchi e squadran-done le falde. Nove grandi terrazze sovrapposte scalanola montagna: le prime sei, poligonali, con trentasei an-goli ognuna; le ultime tre, circolari, con in cima all'ulti-mo cerchio la pagoda principale a cupola schiacciata.

Il materiale adoperato è una pietra vulcanica, plum-bea, porosa, che sembra cenere impastata con lieviti dimetallo. I massi sono sovrapposti senza cemento comenelle costruzioni pelasgiche.

Lungo ogni terrazza corre un largo cornicione di pie-tra addossato alla muraglia del terrazzo superiore. Quan-do il luogo era frequentato da milioni di pellegrini, quel-le erano le strade seguite dai fedeli per salire di piano inpiano fino al vertice del tempio. Le alte muraglie sonominuziosamente scolpite a scene ed episodii della vita diBuddha. L'immagine del maestro, dall'eterno sorriso, èripetuta uniformemente quattrocentotrenta volte in al-

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trettante nicchie, nelle quattro pose simboliche dellacontemplazione, dell'insegnamento, della preghiera edella rinunzia. Ed ai piedi d'ogni Buddha sono modella-te a migliaia figure di animali e di uomini che ascoltanole parole del Saggio dei Saggi.

Le settantadue nicchie dell'ultimo girone sono sor-montate da un cupolotto a forma di campana, sotto ilquale i Buddha, imprigionati dentro una specie di gab-bia di pietra, erano in origine quasi invisibili, ma i ventisi sono divertiti, durante i secoli, a suonare le campanedi granito, frantumandone una buona metà. Ora dallecelle scoperchiate emerge la grande testa del Maestrosorridente e dove lo scampanìo del vento è stato troppobrutale, anche la statua del filosofo è ghigliottinata, qua-si ad affermare che il Nulla è la fine inesorabile d'ognicosa, comprese le più preziose e le più sante.

Nel centro dell'ultimo cerchio, che è anche il puntopiù alto del monumento, sotto una campana più grandedelle altre, v'è un blocco informe di sasso, nel qualel'artista ha appena accennato l'effige di Buddha per raffi-gurare nell'abbozzata imprecisione delle linee, il supre-mo annientamento del Maestro nel mondo senza forme,nel grande Nada dell'empireo Buddista. Secondo la leg-genda, sotto questo macigno sono conservate una partedelle ceneri di Buddha.

Quando arriviamo in cima all'edifizio, dentro la pago-da mortuaria, il Filosofo ci accoglie col suo tragico sor-riso che dura da un millennio, terribile smorfia che haassistito, nell'impassibilità della pietra, alle collere del

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trettante nicchie, nelle quattro pose simboliche dellacontemplazione, dell'insegnamento, della preghiera edella rinunzia. Ed ai piedi d'ogni Buddha sono modella-te a migliaia figure di animali e di uomini che ascoltanole parole del Saggio dei Saggi.

Le settantadue nicchie dell'ultimo girone sono sor-montate da un cupolotto a forma di campana, sotto ilquale i Buddha, imprigionati dentro una specie di gab-bia di pietra, erano in origine quasi invisibili, ma i ventisi sono divertiti, durante i secoli, a suonare le campanedi granito, frantumandone una buona metà. Ora dallecelle scoperchiate emerge la grande testa del Maestrosorridente e dove lo scampanìo del vento è stato troppobrutale, anche la statua del filosofo è ghigliottinata, qua-si ad affermare che il Nulla è la fine inesorabile d'ognicosa, comprese le più preziose e le più sante.

Nel centro dell'ultimo cerchio, che è anche il puntopiù alto del monumento, sotto una campana più grandedelle altre, v'è un blocco informe di sasso, nel qualel'artista ha appena accennato l'effige di Buddha per raffi-gurare nell'abbozzata imprecisione delle linee, il supre-mo annientamento del Maestro nel mondo senza forme,nel grande Nada dell'empireo Buddista. Secondo la leg-genda, sotto questo macigno sono conservate una partedelle ceneri di Buddha.

Quando arriviamo in cima all'edifizio, dentro la pago-da mortuaria, il Filosofo ci accoglie col suo tragico sor-riso che dura da un millennio, terribile smorfia che haassistito, nell'impassibilità della pietra, alle collere del

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Sombing e del Merapi, alla distruzione dei villaggi, allasepoltura delle genti addormentate, alla fuga pazza dellefolle e degli animali attraverso la jungla arrossata daibagliori delle lave, alla scomparsa di razze e di civiltà,alla fine stessa del buddismo. I raggi lividi che investo-no il macigno fanno risaltare il gran testone beato delFilosofo, il suo grosso ventre di priore asiatico, le enor-mi coscie, le gambaccie incrociate che si confondonoincertamente nel sasso, col pollice consunto dai baci digenerazioni e generazioni. È lui, proprio Lui, il Buddhadel Tibet, di Ceylon e di Singapore! E più di tutti i Brah-ma dell'India incarna potentemente il mistero dell'Asia.

Moltitudini venute d'ogni parte dell'isola e dell'arcipe-lago australe, dalla Malacca, dalla Birmania, si proster-navano riverenti dinanzi al Profeta dell'idulgenza e bru-ciavano le «cartine della preghiera senza fatica» mentresulla vetta del Merapi ardevano i fuochi dei cataclismi.Ed il Maestro insegnava agli uomini a sorridere dinanziai boati ed ai rigurgiti minacciosi del vulcano, alla mise-ria, alla morte, alla schiavitù, all'ingiustizia, a tutte le in-cognite dell'Enigma che incombono sul cammino dellegenti, a contentarsi d'un pugno di riso cotto e d'un po' disogni, i sogni dell'oppio che ingannano i bisogni e sod-disfano i desiderii...

Piccole piante dell'Equatore sono nate negli interstiziidelle pietre vulcaniche e tengono compagnia al Solita-rio; pianticelle che la luna inargenta, che il vento agitacon dolcezza. Sostituiscono col loro omaggio le moltitu-dini che hanno cambiato strada.

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Sombing e del Merapi, alla distruzione dei villaggi, allasepoltura delle genti addormentate, alla fuga pazza dellefolle e degli animali attraverso la jungla arrossata daibagliori delle lave, alla scomparsa di razze e di civiltà,alla fine stessa del buddismo. I raggi lividi che investo-no il macigno fanno risaltare il gran testone beato delFilosofo, il suo grosso ventre di priore asiatico, le enor-mi coscie, le gambaccie incrociate che si confondonoincertamente nel sasso, col pollice consunto dai baci digenerazioni e generazioni. È lui, proprio Lui, il Buddhadel Tibet, di Ceylon e di Singapore! E più di tutti i Brah-ma dell'India incarna potentemente il mistero dell'Asia.

Moltitudini venute d'ogni parte dell'isola e dell'arcipe-lago australe, dalla Malacca, dalla Birmania, si proster-navano riverenti dinanzi al Profeta dell'idulgenza e bru-ciavano le «cartine della preghiera senza fatica» mentresulla vetta del Merapi ardevano i fuochi dei cataclismi.Ed il Maestro insegnava agli uomini a sorridere dinanziai boati ed ai rigurgiti minacciosi del vulcano, alla mise-ria, alla morte, alla schiavitù, all'ingiustizia, a tutte le in-cognite dell'Enigma che incombono sul cammino dellegenti, a contentarsi d'un pugno di riso cotto e d'un po' disogni, i sogni dell'oppio che ingannano i bisogni e sod-disfano i desiderii...

Piccole piante dell'Equatore sono nate negli interstiziidelle pietre vulcaniche e tengono compagnia al Solita-rio; pianticelle che la luna inargenta, che il vento agitacon dolcezza. Sostituiscono col loro omaggio le moltitu-dini che hanno cambiato strada.

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Colgo una foglia, così, senza motivo, per conservarlainsieme a tante altre che raccolgo, chissà perchè, in unavecchia scatola da sigari – stupida collezione da gira-mondo – e dal gambo reciso sprizzano poche gocce d'unlatte gommoso, quasi per dire che accanto all'altare del«supremamente buono» anche il pianto delle foglie feri-te è una grande dolcezza!

Dal vertice della piramide l'occhio abbraccia tutta lamole. La luna metallizza le pietre. Bastioni e gradinisembrano scavati in un fantastico aerolite. Quando dallebasi all'apice del mausoleo le scalinate ed i gironi eranocarichi di draghi, di leoni e di elefanti di granito, secon-do la descrizione del viaggiatore cinese Fu-Hien che vi-sitò il Borobodor nel 1400, ed i pellegrini pavesavano inove cerchi dei loro cenci e dei loro parasoli, e fumava-no i tripodi delle settantadue nicchie, e le pancie deibonzi contemplatori decoravano i merli della pagoda su-periore, e tutt'intorno templi e città fiammeggiavano nelsole di Giava, questo luogo doveva essere uno dei piùgrandiosi scenarii del mondo di allora. Ora è lugubre efreddo. È il sepolcro di tutto un passato.

Che cosa resta della dominazione indiana su Giava?Qualche servo bengali a Batavia e qualche facchino ma-labar a Surabaya. Resta anche una placca di rame colnome del maradjià Sri Mataram che le guide mostranodentro una vetrina del museo di Batavia alle coppie an-glo-sassoni di passaggio!

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Colgo una foglia, così, senza motivo, per conservarlainsieme a tante altre che raccolgo, chissà perchè, in unavecchia scatola da sigari – stupida collezione da gira-mondo – e dal gambo reciso sprizzano poche gocce d'unlatte gommoso, quasi per dire che accanto all'altare del«supremamente buono» anche il pianto delle foglie feri-te è una grande dolcezza!

Dal vertice della piramide l'occhio abbraccia tutta lamole. La luna metallizza le pietre. Bastioni e gradinisembrano scavati in un fantastico aerolite. Quando dallebasi all'apice del mausoleo le scalinate ed i gironi eranocarichi di draghi, di leoni e di elefanti di granito, secon-do la descrizione del viaggiatore cinese Fu-Hien che vi-sitò il Borobodor nel 1400, ed i pellegrini pavesavano inove cerchi dei loro cenci e dei loro parasoli, e fumava-no i tripodi delle settantadue nicchie, e le pancie deibonzi contemplatori decoravano i merli della pagoda su-periore, e tutt'intorno templi e città fiammeggiavano nelsole di Giava, questo luogo doveva essere uno dei piùgrandiosi scenarii del mondo di allora. Ora è lugubre efreddo. È il sepolcro di tutto un passato.

Che cosa resta della dominazione indiana su Giava?Qualche servo bengali a Batavia e qualche facchino ma-labar a Surabaya. Resta anche una placca di rame colnome del maradjià Sri Mataram che le guide mostranodentro una vetrina del museo di Batavia alle coppie an-glo-sassoni di passaggio!

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Per avere un'idea della colossale fatica che è stata ne-cessaria per condurre a compimento il Borobodor, biso-gna seguire la strada dei pellegrini lungo l'immensa spi-rale della muraglia. Per una lunghezza di un chilometroe mezzo la parete è tutta scolpita a bassorilievo. Se siaggiungono le gallerie interne e i pannelli ornamentali,l'area scolpita è, secondo l'archeologo Groneman, di ol-tre tre chilometri quadrati. E le mille e mille figure nonsono trattate superficialmente, ma cesellate con infinitaminuzia nella lava trachitica in ogni loro particolare finoai disegni delle vesti ed ai ricami delle selle.

Lo spirito evoca l'immane pena delle plebi chel'implacabile ambizione di pochi principi indiani con-dannò alla mola. Quante migliaia e migliaia di schiavi eper quanti anni? Quanto sudore, quanto pianto e quantosangue hanno bevuto le pietre grigie per soddisfarel'orgoglio d'un sol uomo il quale volle in piena junglagiavanese sorgesse un monumento più grande e piùsplendido dei templi stessi della madre India?

Ancora la notte è fonda e nessuna lucentezza nuovaimbianca l'orizzonte. Solo la luna inonda il creato delsuo biancore. E s'abbassa sull'orizzonte.

La foresta preme intorno al mausoleo, aspettando ilmomento di poter seppellire sotto l'oceano delle sue fo-glie la gigantesca piramide. Intanto ha mandato innanzile sue avanguardie, i terribili «fichi delle rovine» che siinsinuano in tutti gli intagli ovunque un fremito di terraha schiantato i macigni od un muro s'è incrinato sotto ilpeso dei secoli. Distruttore inesorabile il fico continua

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Per avere un'idea della colossale fatica che è stata ne-cessaria per condurre a compimento il Borobodor, biso-gna seguire la strada dei pellegrini lungo l'immensa spi-rale della muraglia. Per una lunghezza di un chilometroe mezzo la parete è tutta scolpita a bassorilievo. Se siaggiungono le gallerie interne e i pannelli ornamentali,l'area scolpita è, secondo l'archeologo Groneman, di ol-tre tre chilometri quadrati. E le mille e mille figure nonsono trattate superficialmente, ma cesellate con infinitaminuzia nella lava trachitica in ogni loro particolare finoai disegni delle vesti ed ai ricami delle selle.

Lo spirito evoca l'immane pena delle plebi chel'implacabile ambizione di pochi principi indiani con-dannò alla mola. Quante migliaia e migliaia di schiavi eper quanti anni? Quanto sudore, quanto pianto e quantosangue hanno bevuto le pietre grigie per soddisfarel'orgoglio d'un sol uomo il quale volle in piena junglagiavanese sorgesse un monumento più grande e piùsplendido dei templi stessi della madre India?

Ancora la notte è fonda e nessuna lucentezza nuovaimbianca l'orizzonte. Solo la luna inonda il creato delsuo biancore. E s'abbassa sull'orizzonte.

La foresta preme intorno al mausoleo, aspettando ilmomento di poter seppellire sotto l'oceano delle sue fo-glie la gigantesca piramide. Intanto ha mandato innanzile sue avanguardie, i terribili «fichi delle rovine» che siinsinuano in tutti gli intagli ovunque un fremito di terraha schiantato i macigni od un muro s'è incrinato sotto ilpeso dei secoli. Distruttore inesorabile il fico continua

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silenziosamente l'opera di morte, allarga le crepe, aggra-va le fenditure, scalza, slabbra, trivella, finché i maci-gni, messi fuori d'equilibrio, non precipitano provocan-do altre rotture ed altre rovine od i muri, spostati dallaformidabile leva che completa l'opera dei terremoti, noncrollano fragorosamente.

Il vento, complice compiacente, si diverte a sparpa-gliare un po' dappertutto i semi della dinamite vegetalefino in alto sui terrazzi e sulle cupole delle pagode. Ne-gli interstizii dei massi vulcanici i minuscoli grani trova-no sufficiente terriccio ed umidità per mettere al mondoun ciuffetto di foglie, poi lavorano in profondità con fi-lamenti sottili che sanno trovare la strada fra le pietre,strisciano, s'attorcigliano, si allungano, raggiungono laterra grassa e bagnata. Allora ingrossano rapidamente intutta la lunghezza e finiscono collo sventrare le piùgrandi muraglie. Tutti i templi e le città dell'epoca indo-giavanese sono finiti così, sepolti dalla jungla nei suoisudari verdi.

La notte è torbida, piena di languori e di profumi.Notte dell'Equatore, notte di Giava! La grande Orsa deicieli d'Italia è tutta inclinata a levante, quasi rasente allalinea dell'orizzonte. Splende invece la Gran Croce delSud, celeste regina dell'Equinozio.

I raggi della luna incipriano di polvere di perla la fol-ta oscurità della foresta. Il fogliame li spegne nella suaombra. Dardeggiano invece sulle pietre e le lave del Bo-robodor con ombre lunghe e più lunghi riflessi. La pira-mide par fatta d'un metallo vergine e grezzo che fa pen-

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silenziosamente l'opera di morte, allarga le crepe, aggra-va le fenditure, scalza, slabbra, trivella, finché i maci-gni, messi fuori d'equilibrio, non precipitano provocan-do altre rotture ed altre rovine od i muri, spostati dallaformidabile leva che completa l'opera dei terremoti, noncrollano fragorosamente.

Il vento, complice compiacente, si diverte a sparpa-gliare un po' dappertutto i semi della dinamite vegetalefino in alto sui terrazzi e sulle cupole delle pagode. Ne-gli interstizii dei massi vulcanici i minuscoli grani trova-no sufficiente terriccio ed umidità per mettere al mondoun ciuffetto di foglie, poi lavorano in profondità con fi-lamenti sottili che sanno trovare la strada fra le pietre,strisciano, s'attorcigliano, si allungano, raggiungono laterra grassa e bagnata. Allora ingrossano rapidamente intutta la lunghezza e finiscono collo sventrare le piùgrandi muraglie. Tutti i templi e le città dell'epoca indo-giavanese sono finiti così, sepolti dalla jungla nei suoisudari verdi.

La notte è torbida, piena di languori e di profumi.Notte dell'Equatore, notte di Giava! La grande Orsa deicieli d'Italia è tutta inclinata a levante, quasi rasente allalinea dell'orizzonte. Splende invece la Gran Croce delSud, celeste regina dell'Equinozio.

I raggi della luna incipriano di polvere di perla la fol-ta oscurità della foresta. Il fogliame li spegne nella suaombra. Dardeggiano invece sulle pietre e le lave del Bo-robodor con ombre lunghe e più lunghi riflessi. La pira-mide par fatta d'un metallo vergine e grezzo che fa pen-

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sare alle profondità del globo. Il lividore attenua i dise-gni ed annebbia gli intagli. Solo i settantadue faccioni,dalla smorfia statica, sono avviluppati in un bagliore dilatte. Sorridono, sorridono... Dominano la notte e le ro-vine.

Ed il tempo passa. Pian piano la luna trascolora comecolta da un'improvvisa anemia. Il suo disco d'argento lu-minoso si trasforma gradatamente in un globo di vetroopaco.

E s'attenua il bagliore delle stelle.E dagli angoli lontani dell'orizzonte si sprigionano

sbuffi d'una bianchezza diversa, più calda, con un nonso che d'oro nel suo pallore.

Sul mausoleo fa meno chiaro, quasi si direbbe che lapenombra è diventata più smorta, che stia per incomin-ciare una più profonda notte, ma dagli spazi una grandechiarezza s'avanza e s'avvicina.

Appare uno scenario inaspettato di montagne. Il Me-rapi precisa la sua ossatura potente. Come evocati dauna forza medianica compaiono ai suoi fianchi i fratellifinora invisibili, il Merbaboc ed il Sombing, feroci di-struttori di campagne e di villaggi.

Verso la vallata il cielo si colora dolcemente di rosacon fiocchi di garza verdolina e sfilacciature di porpora.

Verso i vulcani, dov'è addensata una coda di tempora-le, prevalgono le tinte cupe, l'acciaio, il nero-pece, il gri-gio granitico, il violetto carico dei velluti, tutto un fanta-stico caos di forme mostruose, intassate, sovrapposte,

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sare alle profondità del globo. Il lividore attenua i dise-gni ed annebbia gli intagli. Solo i settantadue faccioni,dalla smorfia statica, sono avviluppati in un bagliore dilatte. Sorridono, sorridono... Dominano la notte e le ro-vine.

Ed il tempo passa. Pian piano la luna trascolora comecolta da un'improvvisa anemia. Il suo disco d'argento lu-minoso si trasforma gradatamente in un globo di vetroopaco.

E s'attenua il bagliore delle stelle.E dagli angoli lontani dell'orizzonte si sprigionano

sbuffi d'una bianchezza diversa, più calda, con un nonso che d'oro nel suo pallore.

Sul mausoleo fa meno chiaro, quasi si direbbe che lapenombra è diventata più smorta, che stia per incomin-ciare una più profonda notte, ma dagli spazi una grandechiarezza s'avanza e s'avvicina.

Appare uno scenario inaspettato di montagne. Il Me-rapi precisa la sua ossatura potente. Come evocati dauna forza medianica compaiono ai suoi fianchi i fratellifinora invisibili, il Merbaboc ed il Sombing, feroci di-struttori di campagne e di villaggi.

Verso la vallata il cielo si colora dolcemente di rosacon fiocchi di garza verdolina e sfilacciature di porpora.

Verso i vulcani, dov'è addensata una coda di tempora-le, prevalgono le tinte cupe, l'acciaio, il nero-pece, il gri-gio granitico, il violetto carico dei velluti, tutto un fanta-stico caos di forme mostruose, intassate, sovrapposte,

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Page 73: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

come montagne di minerale e di carbone sospese nelvuoto che stiano lì per precipitare sulla terra e subissar-la.

La lunga alba equatoriale s'attarda ad illuminare i duequadri. Il vertice della piramide è un fantastico belvede-re aperto sulla grandiosità del mattino.

Nessun uccello saluta il giorno che nasce.Forse nella foresta s'aprono le case degli uomini, ma

le foglie nascondono i risvegli. S'ha la sensazioned'essere soli, soli fra i ruderi e soli nell'orizzonte, testi-moni tutt'occhi e senza fiato.

Dov'è lo sfondo fosco, s'abbassa una piccola luna distagno, sinistra come la faccia della morte. Dove sono iveli e le frangie d'oro, s'innalza un disco smisuratamentegrande, giallo, opaco, indefinibile. C'è una paratia di va-pori tra la terra e il sole. Per un momento i due astrisono entrambi senza luce, lontani lontani, poi i primidardi solari forano il velario, lo stracciano, lo sfioccano,precipitano vittoriosi alla conquista dell'infinito, avvi-luppano la foresta, snidano i villaggi, investono il Boro-bodor che s'indora, incoronano i quattrocentotrentadueBuddha della piramide, svegliano le mille figure deibassorilievi, irrompono all'assalto dello scenario fosco elo mitragliano di saette.

I preti buddisti sapevano scegliere i luoghi per i lorotempli!

Il pellegrino antico che durante le ultime ore dellaluna saliva di terrazza in terrazza fino alla cima del Bo-robodor soffermandosi a bruciare i sacri incensi dinanzi

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come montagne di minerale e di carbone sospese nelvuoto che stiano lì per precipitare sulla terra e subissar-la.

La lunga alba equatoriale s'attarda ad illuminare i duequadri. Il vertice della piramide è un fantastico belvede-re aperto sulla grandiosità del mattino.

Nessun uccello saluta il giorno che nasce.Forse nella foresta s'aprono le case degli uomini, ma

le foglie nascondono i risvegli. S'ha la sensazioned'essere soli, soli fra i ruderi e soli nell'orizzonte, testi-moni tutt'occhi e senza fiato.

Dov'è lo sfondo fosco, s'abbassa una piccola luna distagno, sinistra come la faccia della morte. Dove sono iveli e le frangie d'oro, s'innalza un disco smisuratamentegrande, giallo, opaco, indefinibile. C'è una paratia di va-pori tra la terra e il sole. Per un momento i due astrisono entrambi senza luce, lontani lontani, poi i primidardi solari forano il velario, lo stracciano, lo sfioccano,precipitano vittoriosi alla conquista dell'infinito, avvi-luppano la foresta, snidano i villaggi, investono il Boro-bodor che s'indora, incoronano i quattrocentotrentadueBuddha della piramide, svegliano le mille figure deibassorilievi, irrompono all'assalto dello scenario fosco elo mitragliano di saette.

I preti buddisti sapevano scegliere i luoghi per i lorotempli!

Il pellegrino antico che durante le ultime ore dellaluna saliva di terrazza in terrazza fino alla cima del Bo-robodor soffermandosi a bruciare i sacri incensi dinanzi

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ad ognuna delle quattrocentotrentadue stazioni, che arri-vava così colle prime evanescenze dell'alba ai tre cerchisuperiori dove di girone in girone il sorriso dei settanta-due Buddha gli appariva sempre più splendente, e chegiunto al vertice della piramide, dinanzi alle ceneri delSaggio dei Saggi, si volgeva intorno a contemplare lemagnificenze dell'Equatore, doveva veramente sentirel'annientamento della propria piccolezza nella grandiosi-tà del creato!

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ad ognuna delle quattrocentotrentadue stazioni, che arri-vava così colle prime evanescenze dell'alba ai tre cerchisuperiori dove di girone in girone il sorriso dei settanta-due Buddha gli appariva sempre più splendente, e chegiunto al vertice della piramide, dinanzi alle ceneri delSaggio dei Saggi, si volgeva intorno a contemplare lemagnificenze dell'Equatore, doveva veramente sentirel'annientamento della propria piccolezza nella grandiosi-tà del creato!

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GIAVA – Indigeni nella jungla.

GIAVA – Mercato di villaggio.

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GIAVA – Indigeni nella jungla.

GIAVA – Mercato di villaggio.

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Alla Corte di Soerakarta

SOERAKARTA, 20 febbraio.

Benché l'udienza sia alle dieci, le zanzare mi costrin-gono già alle sette a gironzolare intorno al palazzo degliimperatori di Giava.

Una capanna di bambù m'offre l'ospitalità ed una pan-ca. È un caffeuccio indigeno, frequentato dai soldati del-la Guardia e dal personale di Palazzo. Cinque armigeriammazzano il tempo giuocando al «bacàn» con un pu-gno di fagiuoli ed un bicchiere di latta. A pochi passi unmessere, che a giudicare dai galloni dev'essere un pezzogrosso della Corte, succhia con dignità un metro e qua-ranta di canna da zucchero, seminando il terreno dibioccoli di legno masticato che le labbra esperte irradia-no con tiro rapido all'intorno. Un fiocchetto è quasi fini-to sui miei pantaloni bianchi fiammanti, tirati fuori dalbaule proprio per l'udienza, ma siamo a Giava e non sifa caso a certe sciocchezze. I masticatori di betel hannosputi ben più pericolosi! Accanto al dignitario un colle-ga di pari grado è già arrivato a venti centimetri di can-

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Alla Corte di Soerakarta

SOERAKARTA, 20 febbraio.

Benché l'udienza sia alle dieci, le zanzare mi costrin-gono già alle sette a gironzolare intorno al palazzo degliimperatori di Giava.

Una capanna di bambù m'offre l'ospitalità ed una pan-ca. È un caffeuccio indigeno, frequentato dai soldati del-la Guardia e dal personale di Palazzo. Cinque armigeriammazzano il tempo giuocando al «bacàn» con un pu-gno di fagiuoli ed un bicchiere di latta. A pochi passi unmessere, che a giudicare dai galloni dev'essere un pezzogrosso della Corte, succhia con dignità un metro e qua-ranta di canna da zucchero, seminando il terreno dibioccoli di legno masticato che le labbra esperte irradia-no con tiro rapido all'intorno. Un fiocchetto è quasi fini-to sui miei pantaloni bianchi fiammanti, tirati fuori dalbaule proprio per l'udienza, ma siamo a Giava e non sifa caso a certe sciocchezze. I masticatori di betel hannosputi ben più pericolosi! Accanto al dignitario un colle-ga di pari grado è già arrivato a venti centimetri di can-

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na e s'affretta a masticare voluttuosamente i resti delmozzicone.

In una pentola all'aria aperta bolle una broda verda-stra destinata alla clientela di passaggio. Ogni tanto unabisavola dal muso appuntito e dalla faccia di cartapeco-ra, dà una mescolatina all'intruglio, lecca diligentementeil mestolo, poi riprende la sua occupazione principaleche è quella d'intrecciare una stuoia di paglia.

I girasoli aprono lentamente le loro corolle al baciotiepido del mattino.

Per la strada passa una donna con un branco di bufali.Un animale si ferma a far colazione con le foglie d'unramo. La donna continua il suo cammino, poi quand'ègià un pezzetto avanti, si volta indietro a sollecitare il ri-tardatario con un lungo trillo squillante. Par che chiami:Gennarì, Gennarì... e il bufalo docile raggiunge al ga-loppo la comitiva.

In un canale pieno di sole, diguazzano donne e bam-bini in costume adamitico. Nessun passante è incuriositodalla carne giovane e sgocciolante. Ognuno tira drittoper la sua via senza degnare i gruppi nemmeno di unosguardo. L'indigeno è abituato al nudo e non vi fa caso.

Altri canali brillano fra gli alberi, strade d'argento chesi perdono nel verde.

Il sole è già alto sull'orizzonte ed avviluppa la junglanella sua fiamma calda. Molte mosche e zanzare fre-quentano il mio caffè.

Soerakarta è una capitale di duecentomila abitanti,sparpagliata in un perimetro di circa trenta chilometri,

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na e s'affretta a masticare voluttuosamente i resti delmozzicone.

In una pentola all'aria aperta bolle una broda verda-stra destinata alla clientela di passaggio. Ogni tanto unabisavola dal muso appuntito e dalla faccia di cartapeco-ra, dà una mescolatina all'intruglio, lecca diligentementeil mestolo, poi riprende la sua occupazione principaleche è quella d'intrecciare una stuoia di paglia.

I girasoli aprono lentamente le loro corolle al baciotiepido del mattino.

Per la strada passa una donna con un branco di bufali.Un animale si ferma a far colazione con le foglie d'unramo. La donna continua il suo cammino, poi quand'ègià un pezzetto avanti, si volta indietro a sollecitare il ri-tardatario con un lungo trillo squillante. Par che chiami:Gennarì, Gennarì... e il bufalo docile raggiunge al ga-loppo la comitiva.

In un canale pieno di sole, diguazzano donne e bam-bini in costume adamitico. Nessun passante è incuriositodalla carne giovane e sgocciolante. Ognuno tira drittoper la sua via senza degnare i gruppi nemmeno di unosguardo. L'indigeno è abituato al nudo e non vi fa caso.

Altri canali brillano fra gli alberi, strade d'argento chesi perdono nel verde.

Il sole è già alto sull'orizzonte ed avviluppa la junglanella sua fiamma calda. Molte mosche e zanzare fre-quentano il mio caffè.

Soerakarta è una capitale di duecentomila abitanti,sparpagliata in un perimetro di circa trenta chilometri,

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ma bisogna aver fede nelle statistiche per crederci, giac-ché non si vedono più di centocinquanta case. Veramen-te dovrei dire capanne! Tutto il resto è invisibile, nasco-sto nella folta jungla equatoriale che stende a perditad'occhio l'ondulamento delle palme-cocco con qua e làun mausoleo di varinghi giganti od una cattedrale di fi-chi-bania.

A cento metri un soldato con la picca passeggia avan-ti, indietro, lungo un muro di fango battuto che, ad unacerta altezza, sparisce sotto le abbondanti ramaglie d'unafuga d'alberi piangenti. È il muro di cinta del Kraton, ilquartiere imperiale dentro il quale sono riuniti il palazzoprivato dell'imperatore, la reggia del Seshenàn, i dalemdei principi, il Krapokten o grande harem, i geladàg coni cavalli, cervi e le bestie feroci del monarca, il parcodelle scimmie, le abitazioni dei ministri e dei dignitarii.Ventimila persone abitano il Kraton, tutto un piccolomondo di cortigiani, di soldati e di servi, sulle soglie delquale si fermano la civiltà occidentale e la dominazioneolandese.

La sentinella, compresa della sua importanza, batte lapicca con fragore sul selciato spaventando ogni tanto unuccello.

Civiltà e dominazione sono rappresentati nello scena-rio da una fortezza di mattoni con quattro pezzi di arti-glieria cortesemente puntati in direzione del Kraton. Aipiedi della fortezza è il palazzo del Residente Generale.Il Residente di Soerakarta è uno dei più alti funzionaridella colonia. Infatti il posto richiede oltre a notevoli

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ma bisogna aver fede nelle statistiche per crederci, giac-ché non si vedono più di centocinquanta case. Veramen-te dovrei dire capanne! Tutto il resto è invisibile, nasco-sto nella folta jungla equatoriale che stende a perditad'occhio l'ondulamento delle palme-cocco con qua e làun mausoleo di varinghi giganti od una cattedrale di fi-chi-bania.

A cento metri un soldato con la picca passeggia avan-ti, indietro, lungo un muro di fango battuto che, ad unacerta altezza, sparisce sotto le abbondanti ramaglie d'unafuga d'alberi piangenti. È il muro di cinta del Kraton, ilquartiere imperiale dentro il quale sono riuniti il palazzoprivato dell'imperatore, la reggia del Seshenàn, i dalemdei principi, il Krapokten o grande harem, i geladàg coni cavalli, cervi e le bestie feroci del monarca, il parcodelle scimmie, le abitazioni dei ministri e dei dignitarii.Ventimila persone abitano il Kraton, tutto un piccolomondo di cortigiani, di soldati e di servi, sulle soglie delquale si fermano la civiltà occidentale e la dominazioneolandese.

La sentinella, compresa della sua importanza, batte lapicca con fragore sul selciato spaventando ogni tanto unuccello.

Civiltà e dominazione sono rappresentati nello scena-rio da una fortezza di mattoni con quattro pezzi di arti-glieria cortesemente puntati in direzione del Kraton. Aipiedi della fortezza è il palazzo del Residente Generale.Il Residente di Soerakarta è uno dei più alti funzionaridella colonia. Infatti il posto richiede oltre a notevoli

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doti di vigilanza e di diplomazia, una perfetta conoscen-za della mentalità indigena per poter fronteggiare le infi-nite risorse del sovrano asiatico e dei suoi consiglieri.

Il Seshenàn di Soerakarta – questo è il titolo ufficialedell'imperatore – ha, cinquanta chilometri più lontano,un rivale in potenza nel sultano di Jokakarta. Entrambirappresentano gli ultimi resti del grande reame di Mata-ram che un tempo estendeva il suo dominio su tuttal'isola.

Con fine senso politico gli olandesi hanno lasciato aidue sovrani l'apparato esteriore della loro potenza. Lostesso Residente olandese non è che il «fratello maggio-re» del monarca, al quale fraternamente assicura i lumidei suoi consigli. È un genere d'illuminazione che costaparecchio, in quanto il Residente s'occupa della succes-sione al trono, della nomina e della revoca dei ministri,nonché dei loro stipendii, dell'amministrazione dellagiustizia civile e penale, della polizia, delle imposte edelle forze armate. Al sovrano restano insomma l'hareme i parasoli!

Lo stesso sistema è applicato nelle altre provincie, lequali, agli occhi degli isolani, sono governate dal Reg-gente che è sempre un indigeno di famiglia principescao nobile del luogo. In realtà il potere è in mano del Resi-dente o «fratello maggiore» che è sempre un olandese.Lo stipendio del Reggente indigeno è più forte di quellodel Residente europeo, tutte le spese di rappresentanza egli attributi esteriori dell'autorità essendo prerogativa delfunzionario di colore. Il rappresentante della regina Gu-

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doti di vigilanza e di diplomazia, una perfetta conoscen-za della mentalità indigena per poter fronteggiare le infi-nite risorse del sovrano asiatico e dei suoi consiglieri.

Il Seshenàn di Soerakarta – questo è il titolo ufficialedell'imperatore – ha, cinquanta chilometri più lontano,un rivale in potenza nel sultano di Jokakarta. Entrambirappresentano gli ultimi resti del grande reame di Mata-ram che un tempo estendeva il suo dominio su tuttal'isola.

Con fine senso politico gli olandesi hanno lasciato aidue sovrani l'apparato esteriore della loro potenza. Lostesso Residente olandese non è che il «fratello maggio-re» del monarca, al quale fraternamente assicura i lumidei suoi consigli. È un genere d'illuminazione che costaparecchio, in quanto il Residente s'occupa della succes-sione al trono, della nomina e della revoca dei ministri,nonché dei loro stipendii, dell'amministrazione dellagiustizia civile e penale, della polizia, delle imposte edelle forze armate. Al sovrano restano insomma l'hareme i parasoli!

Lo stesso sistema è applicato nelle altre provincie, lequali, agli occhi degli isolani, sono governate dal Reg-gente che è sempre un indigeno di famiglia principescao nobile del luogo. In realtà il potere è in mano del Resi-dente o «fratello maggiore» che è sempre un olandese.Lo stipendio del Reggente indigeno è più forte di quellodel Residente europeo, tutte le spese di rappresentanza egli attributi esteriori dell'autorità essendo prerogativa delfunzionario di colore. Il rappresentante della regina Gu-

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glielmina è, in genere, un uomo di costumi semplici,alieno dal fasto e dalle cerimonie, che vive appartato nelsuo bungalow. Gli ordini del Residente ai principi edall'imperatore sono dati sotto forma di raccomandazio-ni, le quali però hanno forza di legge secondo il buon di-ritto del «fratello maggiore», cui spetta nella famigliagiavanese l'esercizio onnipotente della patria potestas inmancanza del padre.

Gli olandesi non hanno fatto altro che rispettarel'organizzazione feudale dell'isola, lasciando ai principiindigeni l'illusione di continuare a governare ed ai sud-diti il conforto d'essere tiranneggiati da uno della lororazza; viceversa hanno provveduto in maniera da avereovunque alla testa delle provincie un fedele e docile ser-vitore. Ad un osservatore attento non sfugge l'affinitàesistente fra l'ordinamento di Giava e gli antichissimistatuti del Giappone, ai quali il governo dell'Aia si èispirato per governare senza grattacapi cinquanta milio-ni di asiatici, adattando abilmente le necessità e gli orga-nismi della colonia alla psicologia della popolazione,con maggiore finezza di quanto abbiano fatto gli stessiinglesi nell'India e negli Straits Setllements.

Di tutti i potentati indigeni, il più importante è preci-samente il Seshenàn di Soerakarta, il quale gerarchica-mente viene prima anche del Sultano di Jokakarta, ben-ché la questione complicatissima della precedenza nonsia stata risolta ufficialmente dall'abile governo di Bata-via che conosce i suoi polli. Il Seshenàn ha il rispettabi-le stipendio di tre milioni di fiorini all'anno, (col cambio

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glielmina è, in genere, un uomo di costumi semplici,alieno dal fasto e dalle cerimonie, che vive appartato nelsuo bungalow. Gli ordini del Residente ai principi edall'imperatore sono dati sotto forma di raccomandazio-ni, le quali però hanno forza di legge secondo il buon di-ritto del «fratello maggiore», cui spetta nella famigliagiavanese l'esercizio onnipotente della patria potestas inmancanza del padre.

Gli olandesi non hanno fatto altro che rispettarel'organizzazione feudale dell'isola, lasciando ai principiindigeni l'illusione di continuare a governare ed ai sud-diti il conforto d'essere tiranneggiati da uno della lororazza; viceversa hanno provveduto in maniera da avereovunque alla testa delle provincie un fedele e docile ser-vitore. Ad un osservatore attento non sfugge l'affinitàesistente fra l'ordinamento di Giava e gli antichissimistatuti del Giappone, ai quali il governo dell'Aia si èispirato per governare senza grattacapi cinquanta milio-ni di asiatici, adattando abilmente le necessità e gli orga-nismi della colonia alla psicologia della popolazione,con maggiore finezza di quanto abbiano fatto gli stessiinglesi nell'India e negli Straits Setllements.

Di tutti i potentati indigeni, il più importante è preci-samente il Seshenàn di Soerakarta, il quale gerarchica-mente viene prima anche del Sultano di Jokakarta, ben-ché la questione complicatissima della precedenza nonsia stata risolta ufficialmente dall'abile governo di Bata-via che conosce i suoi polli. Il Seshenàn ha il rispettabi-le stipendio di tre milioni di fiorini all'anno, (col cambio

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s'arriva quasi agli appannaggi del Re d'Italia!) i quali glipermettono di mantenere una Corte fastosa, d'assicurareriso ed oppio a tutti gli abitanti del Kraton, d'avere alcu-ne migliaia di servi, diverse centinaia di consorti ed unainnocua quanto pomposa Guardia imperiale. L'autoritàtemporale dell'imperatore è ristretta alla sola provinciadi Soerakarta, ma la influenza religiosa si estende a buo-na parte di Giava ed è probabilmente questa che gliolandesi pagano così profumatamente.

Alle nove e mezzo lascio le mosche, le zanzare, gliarmigeri ed i dignitarii alle loro canne da zucchero eprofondamente ossequiato dalla megera del mestolo,raggiungo i miei compagni dinanzi all'albergo Vari Slier,donde, accompagnati da un funzionario olandese dellaResidenza, ci avviamo verso il Kraton.

All'ingresso della Reggia la sentinella ci presenta learmi alla giavanese, sollevando cioè la gamba destra edattorcigliandola intorno all'asta inclinata della lancia.Due ufficiali di Palazzo scambiano con la nostra guidauna lunga mimica di saluti militari imposti dal protocol-lo. Rullano diversi tamburi. La scena sarebbe quasi so-lenne se l'ufficialità dell'impero non fosse scalza e nonsi grattasse ininterrottamente tutte le parti del corpo. Fi-nalmente, preceduti da un picchetto di armigeri e seguitida un altro codazzo di guerrieri, ci avviamo in pompamagna attraverso le strade del quartiere reale verso il ca-stello degli Seshenàn.

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s'arriva quasi agli appannaggi del Re d'Italia!) i quali glipermettono di mantenere una Corte fastosa, d'assicurareriso ed oppio a tutti gli abitanti del Kraton, d'avere alcu-ne migliaia di servi, diverse centinaia di consorti ed unainnocua quanto pomposa Guardia imperiale. L'autoritàtemporale dell'imperatore è ristretta alla sola provinciadi Soerakarta, ma la influenza religiosa si estende a buo-na parte di Giava ed è probabilmente questa che gliolandesi pagano così profumatamente.

Alle nove e mezzo lascio le mosche, le zanzare, gliarmigeri ed i dignitarii alle loro canne da zucchero eprofondamente ossequiato dalla megera del mestolo,raggiungo i miei compagni dinanzi all'albergo Vari Slier,donde, accompagnati da un funzionario olandese dellaResidenza, ci avviamo verso il Kraton.

All'ingresso della Reggia la sentinella ci presenta learmi alla giavanese, sollevando cioè la gamba destra edattorcigliandola intorno all'asta inclinata della lancia.Due ufficiali di Palazzo scambiano con la nostra guidauna lunga mimica di saluti militari imposti dal protocol-lo. Rullano diversi tamburi. La scena sarebbe quasi so-lenne se l'ufficialità dell'impero non fosse scalza e nonsi grattasse ininterrottamente tutte le parti del corpo. Fi-nalmente, preceduti da un picchetto di armigeri e seguitida un altro codazzo di guerrieri, ci avviamo in pompamagna attraverso le strade del quartiere reale verso il ca-stello degli Seshenàn.

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Oggi non solamente è giorno d'udienza pubblica, maè anche una grossa festa indigena, per cui le vie del Kra-ton sono animate di cortei che vanno e vengono dal Pa-lazzo con sfarzo d'armati, di parasoli e di pennacchi. Ledonne del Kraton s'affacciano sulle soglie delle case adammirare l'andirivieni della festa. Peccato che le levatri-ci abbiano dato indistintamente a tutte un colpetto sulnasino, altrimenti sarebbero graziose coi grandi occhi amandorla cerchiati di lilla e la pelle bruna ambrata dalsole dell'Equatore.

Le abitazioni dei sudditi di S. M. Graziosissima nonsono eccessivamente eleganti. Come genere edilizio sa-rebbero da classificare nella categoria stamberghe!Qualche caseggiato più grande ricorda le stalle di certemasserie lombarde. V'abita in genere un pezzo grosso,un Raden od un Pangeram nobile di corte. Molte bichee pagliai fanno pensare ad un abbondante raccolto. Sonoinvece le dimore dei liberti. Se non ci fossero gli alberi,il Kraton rassomiglierebbe ad un paesone indigenodell'Uganda o ad un accampamento colonico sul lagoNyanza, ma la lussureggiante foresta equatoriale decorapomposamente i truogoli dell'imperatore.

Intorno alle miserabili bicocche, i giganti delle Cana-rie formano maestosi baldacchini di verde spiovente, daiquali precipitano i rampicanti a cestire di principeschemantiglie i muretti, mentre le orchidee si incaricano distendere dappertutto superbi tappeti. La Natura coprecolle sue meravigliose bellezze il sudiciume e la miseria

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Oggi non solamente è giorno d'udienza pubblica, maè anche una grossa festa indigena, per cui le vie del Kra-ton sono animate di cortei che vanno e vengono dal Pa-lazzo con sfarzo d'armati, di parasoli e di pennacchi. Ledonne del Kraton s'affacciano sulle soglie delle case adammirare l'andirivieni della festa. Peccato che le levatri-ci abbiano dato indistintamente a tutte un colpetto sulnasino, altrimenti sarebbero graziose coi grandi occhi amandorla cerchiati di lilla e la pelle bruna ambrata dalsole dell'Equatore.

Le abitazioni dei sudditi di S. M. Graziosissima nonsono eccessivamente eleganti. Come genere edilizio sa-rebbero da classificare nella categoria stamberghe!Qualche caseggiato più grande ricorda le stalle di certemasserie lombarde. V'abita in genere un pezzo grosso,un Raden od un Pangeram nobile di corte. Molte bichee pagliai fanno pensare ad un abbondante raccolto. Sonoinvece le dimore dei liberti. Se non ci fossero gli alberi,il Kraton rassomiglierebbe ad un paesone indigenodell'Uganda o ad un accampamento colonico sul lagoNyanza, ma la lussureggiante foresta equatoriale decorapomposamente i truogoli dell'imperatore.

Intorno alle miserabili bicocche, i giganti delle Cana-rie formano maestosi baldacchini di verde spiovente, daiquali precipitano i rampicanti a cestire di principeschemantiglie i muretti, mentre le orchidee si incaricano distendere dappertutto superbi tappeti. La Natura coprecolle sue meravigliose bellezze il sudiciume e la miseria

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degli uomini. Ed il sole profonde il suo pulviscolo d'oroche imporpora i cenci e la mola.

Non vi meravigliate, dunque, se v'assicuro che incomplesso il Kraton è bellissimo, superiore assai al pes-simo albergo nel quale siamo alloggiati, tra due canalipopolati di rane che hanno sempre qualche cosa da dirsi,fra alberi carichi di cicale che resistono a tutti gli acci-denti e poderosi eserciti di zanzare che sono in periododi grandi manovre.

Se i dignitari del Kraton sono scalzi od in ciabattesdruscite, i loro parasoli sono in compenso di seta rossaed azzurrina, con ciondoli, con frangie, con campanelli;se i soldati sono pezzenti dalla cintola in giù, splendonodi galloni e di fregi dalla vita in su, con un pennacchiosul cappello, un altro sulla lancia, un terzo in cima ad untappo nella bocca dei fucilacci preistorici; se le mandrieed i cavalli di S. M. lasciano abbondanti traccie del loropassaggio sulle strade che conducono alla Reggia, anchegli alberi vi lasciano cadere le loro foglie ed i loro fiori;se da certe porte socchiuse esce un tanfo d'ovile mal go-vernato, sono stemperati nell'aria tutti gli effluvii soavis-simi della foresta. Come vedete c'è la... contropartita.

La popolazione mi sembra diversa da quella di Bui-tenzorg e di Batavia. Infatti il funzionario olandese cispiega che nel Kraton sono rigorosamente proibite lemescolanze coi cinesi, coi malesi, con le genti stessedell'arcipelago della Sonda. I ventimila abitanti delquartiere sono tutti giavanesi puri, figli della jungla, di-retti discendenti dei primi abitatori dell'isola.

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degli uomini. Ed il sole profonde il suo pulviscolo d'oroche imporpora i cenci e la mola.

Non vi meravigliate, dunque, se v'assicuro che incomplesso il Kraton è bellissimo, superiore assai al pes-simo albergo nel quale siamo alloggiati, tra due canalipopolati di rane che hanno sempre qualche cosa da dirsi,fra alberi carichi di cicale che resistono a tutti gli acci-denti e poderosi eserciti di zanzare che sono in periododi grandi manovre.

Se i dignitari del Kraton sono scalzi od in ciabattesdruscite, i loro parasoli sono in compenso di seta rossaed azzurrina, con ciondoli, con frangie, con campanelli;se i soldati sono pezzenti dalla cintola in giù, splendonodi galloni e di fregi dalla vita in su, con un pennacchiosul cappello, un altro sulla lancia, un terzo in cima ad untappo nella bocca dei fucilacci preistorici; se le mandrieed i cavalli di S. M. lasciano abbondanti traccie del loropassaggio sulle strade che conducono alla Reggia, anchegli alberi vi lasciano cadere le loro foglie ed i loro fiori;se da certe porte socchiuse esce un tanfo d'ovile mal go-vernato, sono stemperati nell'aria tutti gli effluvii soavis-simi della foresta. Come vedete c'è la... contropartita.

La popolazione mi sembra diversa da quella di Bui-tenzorg e di Batavia. Infatti il funzionario olandese cispiega che nel Kraton sono rigorosamente proibite lemescolanze coi cinesi, coi malesi, con le genti stessedell'arcipelago della Sonda. I ventimila abitanti delquartiere sono tutti giavanesi puri, figli della jungla, di-retti discendenti dei primi abitatori dell'isola.

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Slanciati gli uomini, magri, nervosi, con molti trattiche li fanno rassomigliare agli indiani del Travancore.Piccole le donne, ben fatte, fornite, coll'ovale delle giap-ponesi e le reni falcate delle arabe. Viste di profilo sonoin genere belle: di fronte ci rimettono per lo scherzettodelle levatrici e diventano discretamente brutte ai nostriocchi quando aprono la bocca, per la disgraziata abitudi-ne d'annerirsi i denti con una pasta di tabacco, calce escorza d'arec. Insomma sono donne che... ciccano e spu-tano nero. Pel nostro stomaco europeo è un tantino trop-po! Ma la Moda cammina e chissà che un giorno, dopo itessuti cinesi e la musica dei pellirosse, la grande Pariginon prenda l'iniziativa dei denti d'onice e della cicca auparfum d'Orient.

Una fanfara di casseruole e di catini ci annunzia cheormai ci avviciniamo. Il viale dei varinghi è spezzato daun pretenzioso muretto tutto merli, al di là del quale in-comincia la Reggia.

Entriamo per la porta bassa, attraversiamo un cortilefra due ali di soldati, passiamo una seconda porta, un se-condo cortile, poi un terzo, un quarto, un quinto, tuttauna fuga d'ingressi e di cortili, sempre fra due filed'armati che di mano in mano sfoggiano uniformi sem-pre più scintillanti come nelle Riviste dei music-hall,quando ci s'avvicina al quadro finale. La Guardia impe-riale ha il copricapo giavanese di paglia intrecciata, ilkelok, che ha una stridente rassomiglianza con certi ar-nesi che in Europa si nascondono di solito nei comodini.

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Slanciati gli uomini, magri, nervosi, con molti trattiche li fanno rassomigliare agli indiani del Travancore.Piccole le donne, ben fatte, fornite, coll'ovale delle giap-ponesi e le reni falcate delle arabe. Viste di profilo sonoin genere belle: di fronte ci rimettono per lo scherzettodelle levatrici e diventano discretamente brutte ai nostriocchi quando aprono la bocca, per la disgraziata abitudi-ne d'annerirsi i denti con una pasta di tabacco, calce escorza d'arec. Insomma sono donne che... ciccano e spu-tano nero. Pel nostro stomaco europeo è un tantino trop-po! Ma la Moda cammina e chissà che un giorno, dopo itessuti cinesi e la musica dei pellirosse, la grande Pariginon prenda l'iniziativa dei denti d'onice e della cicca auparfum d'Orient.

Una fanfara di casseruole e di catini ci annunzia cheormai ci avviciniamo. Il viale dei varinghi è spezzato daun pretenzioso muretto tutto merli, al di là del quale in-comincia la Reggia.

Entriamo per la porta bassa, attraversiamo un cortilefra due ali di soldati, passiamo una seconda porta, un se-condo cortile, poi un terzo, un quarto, un quinto, tuttauna fuga d'ingressi e di cortili, sempre fra due filed'armati che di mano in mano sfoggiano uniformi sem-pre più scintillanti come nelle Riviste dei music-hall,quando ci s'avvicina al quadro finale. La Guardia impe-riale ha il copricapo giavanese di paglia intrecciata, ilkelok, che ha una stridente rassomiglianza con certi ar-nesi che in Europa si nascondono di solito nei comodini.

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Piccole musiche di pentole, di pifferi e di tamburi, ralle-grano la marcia.

Infine arriviamo in una grande corte quadrata domi-nata da una torre cinese di quattro barche rovesciate conla cocca in aria. In alto al torrione sventola la bandieraimperiale di Soerakarta. Il luogo è gremito di personag-gi e di parasoli che aspettano il loro turno per entrare nelsalone delle udienze.

S. M. riceve oggi i notabili indigeni e le personalitàeuropee. Il sottoscritto è l'unico rappresentante del quar-to potere alla corte degli eredi di Mataram. E S. M. losa!

Dopo cinque minuti un cerimoniere vestito di rosso ciintroduce al cospetto dell'imperatore di Giava, re di Soe-rakarta, «chiodo del mondo», «primo servitore del Mi-sericordioso», comandante in capo degli eserciti e dellaflotta (!), gran maestro dei culti, custode del Merapi edel Sombing...

Non mi aspettavo un salone così degno. Un magnifi-co soffitto di lacche celesti e oro è sostenuto da un du-plice ordine di colonnine azzurre, intorno alle quali sonoscolpiti fiori, uccelli e scimmiotti dorati. Il monarca èseduto alla giavanese sopra una specie di dado azzurrosenza spalliera, sotto un imponente baldacchino d'oro,formato da sei ombrelli sovrapposti a lunga frangia. S.M. veste l'uniforme da generale olandese del '600 col fa-moso kelok nazionale aggraziato da una spilla di brillan-ti. Intorno al trono sono disposte venti poltrone di salad'aspetto di prima classe, riservate ai personaggi euro-

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Piccole musiche di pentole, di pifferi e di tamburi, ralle-grano la marcia.

Infine arriviamo in una grande corte quadrata domi-nata da una torre cinese di quattro barche rovesciate conla cocca in aria. In alto al torrione sventola la bandieraimperiale di Soerakarta. Il luogo è gremito di personag-gi e di parasoli che aspettano il loro turno per entrare nelsalone delle udienze.

S. M. riceve oggi i notabili indigeni e le personalitàeuropee. Il sottoscritto è l'unico rappresentante del quar-to potere alla corte degli eredi di Mataram. E S. M. losa!

Dopo cinque minuti un cerimoniere vestito di rosso ciintroduce al cospetto dell'imperatore di Giava, re di Soe-rakarta, «chiodo del mondo», «primo servitore del Mi-sericordioso», comandante in capo degli eserciti e dellaflotta (!), gran maestro dei culti, custode del Merapi edel Sombing...

Non mi aspettavo un salone così degno. Un magnifi-co soffitto di lacche celesti e oro è sostenuto da un du-plice ordine di colonnine azzurre, intorno alle quali sonoscolpiti fiori, uccelli e scimmiotti dorati. Il monarca èseduto alla giavanese sopra una specie di dado azzurrosenza spalliera, sotto un imponente baldacchino d'oro,formato da sei ombrelli sovrapposti a lunga frangia. S.M. veste l'uniforme da generale olandese del '600 col fa-moso kelok nazionale aggraziato da una spilla di brillan-ti. Intorno al trono sono disposte venti poltrone di salad'aspetto di prima classe, riservate ai personaggi euro-

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pei. Il Residente ha il privilegio d'un baldacchino con treombrelli.

I dignitari indigeni sono seduti per terra su stuoie dicocco, con le gambe incrociate, le mani raccolte sulventre, il capo basso in segno di profondo rispetto, i pie-di scalzi e... puliti. Qualunque sia il loro rango il ceri-moniale impone a tutti un'uniforme d'udienza che lascianude le spalle ed il petto, in modo che S. M. possa vede-re battere i cuori dei suoi fedelissimi sudditi.

Il sovrano, che dimostra una quarantina d'anni, è pit-turato come una bambola di porcellana. Ha il naso ap-piattito ed i denti neri dei suoi sudditi. Mastica continua-mente pallottole di betel ed ogni tanto si degna di sputa-re. Ogni volta che sua maestà ha bisogno di compierequesta graziosa operazione, quattro cortigiani, i quali se-guono attentamente, direi quasi spasmodicamente, i mo-vimenti del gorgozzule e delle labbra del beneamatomonarca, si precipitano ad offrirgli una sputacchierad'oro.

Dietro il trono è, bellamente allineata, una rappresen-tanza dell'harem. Conto trentasette capi di bestiame. Unciuffo di penne di pavone è l'insegna del loro grado.Due, quasi bambine, sono proprio ai lati del re. Nude lespalle, nude le braccia, il piccolo seno compresso da unapiccola striscia di batista trasparente, i capezzoli acerbibucano la seta. Il resto del corpo è infagottato nel «sar-rong» nazionale che nasconde gelosamente i piedi suiquali non deve mai posarsi sguardo d'uomo, tale privile-

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pei. Il Residente ha il privilegio d'un baldacchino con treombrelli.

I dignitari indigeni sono seduti per terra su stuoie dicocco, con le gambe incrociate, le mani raccolte sulventre, il capo basso in segno di profondo rispetto, i pie-di scalzi e... puliti. Qualunque sia il loro rango il ceri-moniale impone a tutti un'uniforme d'udienza che lascianude le spalle ed il petto, in modo che S. M. possa vede-re battere i cuori dei suoi fedelissimi sudditi.

Il sovrano, che dimostra una quarantina d'anni, è pit-turato come una bambola di porcellana. Ha il naso ap-piattito ed i denti neri dei suoi sudditi. Mastica continua-mente pallottole di betel ed ogni tanto si degna di sputa-re. Ogni volta che sua maestà ha bisogno di compierequesta graziosa operazione, quattro cortigiani, i quali se-guono attentamente, direi quasi spasmodicamente, i mo-vimenti del gorgozzule e delle labbra del beneamatomonarca, si precipitano ad offrirgli una sputacchierad'oro.

Dietro il trono è, bellamente allineata, una rappresen-tanza dell'harem. Conto trentasette capi di bestiame. Unciuffo di penne di pavone è l'insegna del loro grado.Due, quasi bambine, sono proprio ai lati del re. Nude lespalle, nude le braccia, il piccolo seno compresso da unapiccola striscia di batista trasparente, i capezzoli acerbibucano la seta. Il resto del corpo è infagottato nel «sar-rong» nazionale che nasconde gelosamente i piedi suiquali non deve mai posarsi sguardo d'uomo, tale privile-

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gio essendo prerogativa esclusiva del «chiodo del mon-do» e dei suoi eunuchi.

Pian piano il salone si riempie di personaggi indigeniche si presentano curvati e, giunti a pochi passi dal tro-no, si buttano in ginocchio prosternandosi con la frontecontro terra. Quando sono stati un pochino così il ceri-moniere agita un campanello. La udienza è finita ed i di-gnitari si ritirano rinculando fino al loro posto. Per glieuropei il protocollo è più spicciativo: un inchino, unsorriso-smorfia di S. M., secondo inchino senza la smor-fia, e la poltrona. Il Residente olandese fa finta di nonconoscerci secondo le regole dell'etichetta. È maestosoil Residente: un metro ed ottanta di altezza, con un pettoda lottatore. Si vede che è il fratello maggiore! Visti unoaccanto all'altro l'olandese e S. M. sembrano veramenteil burattinaio e la marionetta. Pei meticci detta legge ilcognome: se il Cognome è indigeno, i meticci seguonola sorte degli isolani, se è europeo possono fare a menodi prosternarsi ed hanno diritto ad una rapida contrazio-ne delle narici imperiali in segno di risposta.

Tutte queste sciocchezze sono importantissime per latranquillità della colonia.

Fra i diversi dignitari v'è anche una deputazione dimandarini cinesi in costume nazionale, col parasole ed ilventaglio. Avanzano con passetti corti e prima d'ingi-nocchiarsi eseguono sveltamente due piroette che fannosorridere di disprezzo l'assemblea. Sono i sindaci delquartiere cinese di Soerakarta e dei villaggi «celesti»della provincia. I cinesi sono un po' gli ebrei dell'Asia

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gio essendo prerogativa esclusiva del «chiodo del mon-do» e dei suoi eunuchi.

Pian piano il salone si riempie di personaggi indigeniche si presentano curvati e, giunti a pochi passi dal tro-no, si buttano in ginocchio prosternandosi con la frontecontro terra. Quando sono stati un pochino così il ceri-moniere agita un campanello. La udienza è finita ed i di-gnitari si ritirano rinculando fino al loro posto. Per glieuropei il protocollo è più spicciativo: un inchino, unsorriso-smorfia di S. M., secondo inchino senza la smor-fia, e la poltrona. Il Residente olandese fa finta di nonconoscerci secondo le regole dell'etichetta. È maestosoil Residente: un metro ed ottanta di altezza, con un pettoda lottatore. Si vede che è il fratello maggiore! Visti unoaccanto all'altro l'olandese e S. M. sembrano veramenteil burattinaio e la marionetta. Pei meticci detta legge ilcognome: se il Cognome è indigeno, i meticci seguonola sorte degli isolani, se è europeo possono fare a menodi prosternarsi ed hanno diritto ad una rapida contrazio-ne delle narici imperiali in segno di risposta.

Tutte queste sciocchezze sono importantissime per latranquillità della colonia.

Fra i diversi dignitari v'è anche una deputazione dimandarini cinesi in costume nazionale, col parasole ed ilventaglio. Avanzano con passetti corti e prima d'ingi-nocchiarsi eseguono sveltamente due piroette che fannosorridere di disprezzo l'assemblea. Sono i sindaci delquartiere cinese di Soerakarta e dei villaggi «celesti»della provincia. I cinesi sono un po' gli ebrei dell'Asia

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equatoriale. Malvisti dagli indigeni e dagli europei, mo-nopolizzano quasi interamente il commercio minuto edesercitano su larga scala l'usura. Laboriosi, attivissimi,intelligenti, potentemente organizzati e solidali fra loro,costituiscono una delle maggiori forze economiche dellacolonia, ed il maggior pericolo politico del suo avvenire.

Quando tutte le razze, le cariche e le confraternitedell'impero di Soerakarta hanno deposto l'omaggio dellaloro fedeltà ai piedi del trono, varie bande ed orchestre,le quali finora hanno avuto l'eccellente idea di non farsivive, si svegliano di soprassalto intonando ognuna perconto suo, marcie militari e sinfonie di guerra. Primeg-gia la banda reggimentale olandese che ha un manipoloinfernale di pifferi.

Il momento deve essere solenne. Me ne accorgo dallaprecipitazione degli indigeni nel buttarsi bocconi controterra. Il ministro della Guerra ed il comandante dellaGuardia imperiale, che fino adesso sono rimasti in piediaccanto al trono con le sciabole sguainate, si lascianoletteralmente cadere con la faccia sulle stuoie. Che dia-volo succede? Il rappresentante dell'Olanda s'irrigidiscein una posa napoleonica. S. M. rivela la propria emozio-ne con un tiro accelerato nelle quattro sputacchiered'oro.

E sfila il grande harem: le trecentocinquanta mogliufficiali, le centocinquanta principesse del sangue, lecentotrenta principesse di mezzo sangue, i terzi, i quartied i quinti, le dodici favorite, le non so quante madri dei

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equatoriale. Malvisti dagli indigeni e dagli europei, mo-nopolizzano quasi interamente il commercio minuto edesercitano su larga scala l'usura. Laboriosi, attivissimi,intelligenti, potentemente organizzati e solidali fra loro,costituiscono una delle maggiori forze economiche dellacolonia, ed il maggior pericolo politico del suo avvenire.

Quando tutte le razze, le cariche e le confraternitedell'impero di Soerakarta hanno deposto l'omaggio dellaloro fedeltà ai piedi del trono, varie bande ed orchestre,le quali finora hanno avuto l'eccellente idea di non farsivive, si svegliano di soprassalto intonando ognuna perconto suo, marcie militari e sinfonie di guerra. Primeg-gia la banda reggimentale olandese che ha un manipoloinfernale di pifferi.

Il momento deve essere solenne. Me ne accorgo dallaprecipitazione degli indigeni nel buttarsi bocconi controterra. Il ministro della Guerra ed il comandante dellaGuardia imperiale, che fino adesso sono rimasti in piediaccanto al trono con le sciabole sguainate, si lascianoletteralmente cadere con la faccia sulle stuoie. Che dia-volo succede? Il rappresentante dell'Olanda s'irrigidiscein una posa napoleonica. S. M. rivela la propria emozio-ne con un tiro accelerato nelle quattro sputacchiered'oro.

E sfila il grande harem: le trecentocinquanta mogliufficiali, le centocinquanta principesse del sangue, lecentotrenta principesse di mezzo sangue, i terzi, i quartied i quinti, le dodici favorite, le non so quante madri dei

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figli legittimi. Chiude il corteo la prediletta dell'ora, re-gina dell'alcova imperiale di Soerakarta.

Tutte le sacerdotesse dell'harem hanno in mano unflabello di piume di struzzo. Lo spettacolo è pittorescoquanto mai. I «sarrong» a colori vivaci sono finementericamati con incrostazioni di coralli e di pietre. Molteprincipesse inalberano fieramente un diadema scintillan-te o una piuma paradiso o una coda di fagiano azzurro.Nude tutte le braccia, nude le spalle, quasi nudi i seni,ben falcate le schiene, le anche inguantate dai «sar-rong», agili le movenze, felino il passo che fa pensareall'incedere vellutato dei giaguari sui tappeti di foglie, èuna sfilata di bellezze asiatiche che appartengono per in-tero a S. M. È veramente il terreno della sua potenza,l'unico del quale non deve rendere conto al «fratellomaggiore». L'Olanda non ha diritto di ficcare il nasonelle gonnelle di corte.

Dinanzi al trono i flabelli s'inchinano, le fronti si cur-vano con rispetto, le collane di giada scintillano, i piu-maggi frusciano, i braccialetti birichini dicono tantecose. Nello scatto delle riverenze piccoli seni scappanofuori dai «sarrong» troppo stretti e le proprietarie li ri-cacciano giù con un buffetto. Peccato che le labbra sor-ridano tutte scoprendo i denti neri!

Passa la guardia femminile dell'imperatore: cento ver-gini aspiranti all'harem. Diane equatoriali della jungla,armate d'archi, di freccie, di spade, di tagàn e di pugnalikris: in capo un elmo di bambù con la coda di pelo discimmia.

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figli legittimi. Chiude il corteo la prediletta dell'ora, re-gina dell'alcova imperiale di Soerakarta.

Tutte le sacerdotesse dell'harem hanno in mano unflabello di piume di struzzo. Lo spettacolo è pittorescoquanto mai. I «sarrong» a colori vivaci sono finementericamati con incrostazioni di coralli e di pietre. Molteprincipesse inalberano fieramente un diadema scintillan-te o una piuma paradiso o una coda di fagiano azzurro.Nude tutte le braccia, nude le spalle, quasi nudi i seni,ben falcate le schiene, le anche inguantate dai «sar-rong», agili le movenze, felino il passo che fa pensareall'incedere vellutato dei giaguari sui tappeti di foglie, èuna sfilata di bellezze asiatiche che appartengono per in-tero a S. M. È veramente il terreno della sua potenza,l'unico del quale non deve rendere conto al «fratellomaggiore». L'Olanda non ha diritto di ficcare il nasonelle gonnelle di corte.

Dinanzi al trono i flabelli s'inchinano, le fronti si cur-vano con rispetto, le collane di giada scintillano, i piu-maggi frusciano, i braccialetti birichini dicono tantecose. Nello scatto delle riverenze piccoli seni scappanofuori dai «sarrong» troppo stretti e le proprietarie li ri-cacciano giù con un buffetto. Peccato che le labbra sor-ridano tutte scoprendo i denti neri!

Passa la guardia femminile dell'imperatore: cento ver-gini aspiranti all'harem. Diane equatoriali della jungla,armate d'archi, di freccie, di spade, di tagàn e di pugnalikris: in capo un elmo di bambù con la coda di pelo discimmia.

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I tripodi che bruciano intorno al trono avvolgono ilmonarca in un velario grigio-azzurro. Rigido, immobile,compreso della sua maestà, idolo asiatico dalle guanciedipinte e dalle dita scintillanti di gioie, l'imperatore diSoerakarta dimentica la realtà e immagina d'essere comei suoi antenati: l'onnipotente signore di Giava, padronedella vita e della morte di tutti i suoi sudditi, rappresen-tante di Dio ed egli stesso investito dal soffio sovruma-no della divinità, il «chiodo del mondo», il fior di lotodella jungla, così come cantano le canzoni della forestanelle notti di luna sulle soglie delle capanne....

Quando sotto un parasole color ciclamino tintinnantedi sonagli compare la prediletta, nuda dalla vita in su,senza un velo, senza un gioiello, senza un fiore, altroche la sua turgida bellezza meticcia, con un «sarrong» dipiume di struzzo che la fa parere una fantastica libellula,vien voglia di battere le mani.

Quante migliaia di fiorini ha ricevuto il ministro degliInterni per aver saputo scovare nelle serre dell'Equino-zio questa superba corolla?

L'idolo s'alza accompagnato dal «fratello maggiore»per assistere dalla veranda del Kraton alla rivistadell'esercito.

Nella grande piazza in fondo alla quale sono allineatii reggimenti delle palme-cocco, sfilano le forze armatedell'imperatore: un battaglione olandese con la bandieradella lontana Regina, un battaglione misto di indo-gia-vanesi, la Guardia a cavallo, le amazzoni, i cervi del Re,i cacciatori, i buffoni, i nani, gli aborti ed i pazzi di Cor-

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I tripodi che bruciano intorno al trono avvolgono ilmonarca in un velario grigio-azzurro. Rigido, immobile,compreso della sua maestà, idolo asiatico dalle guanciedipinte e dalle dita scintillanti di gioie, l'imperatore diSoerakarta dimentica la realtà e immagina d'essere comei suoi antenati: l'onnipotente signore di Giava, padronedella vita e della morte di tutti i suoi sudditi, rappresen-tante di Dio ed egli stesso investito dal soffio sovruma-no della divinità, il «chiodo del mondo», il fior di lotodella jungla, così come cantano le canzoni della forestanelle notti di luna sulle soglie delle capanne....

Quando sotto un parasole color ciclamino tintinnantedi sonagli compare la prediletta, nuda dalla vita in su,senza un velo, senza un gioiello, senza un fiore, altroche la sua turgida bellezza meticcia, con un «sarrong» dipiume di struzzo che la fa parere una fantastica libellula,vien voglia di battere le mani.

Quante migliaia di fiorini ha ricevuto il ministro degliInterni per aver saputo scovare nelle serre dell'Equino-zio questa superba corolla?

L'idolo s'alza accompagnato dal «fratello maggiore»per assistere dalla veranda del Kraton alla rivistadell'esercito.

Nella grande piazza in fondo alla quale sono allineatii reggimenti delle palme-cocco, sfilano le forze armatedell'imperatore: un battaglione olandese con la bandieradella lontana Regina, un battaglione misto di indo-gia-vanesi, la Guardia a cavallo, le amazzoni, i cervi del Re,i cacciatori, i buffoni, i nani, gli aborti ed i pazzi di Cor-

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te; le insegne della sovranità, un gruppo di mascherecolla testa di tigre e d'elefante, le pipe del Re sotto para-soli verdi, le sputacchiere, i ventagli, i pugnali, i mini-stri, i dignitari, i servi, le truppe scalze, ombrelli d'oro,d'argento, rossi, violetti, gialli, verdolini, bandiere, laba-ri, oriflamme, stendardi, musiche, musiche. Ultima laplebe, tutti i ventimila abitanti del Kraton ognuno conun ramo di palma.

Per un istante anche noi dimentichiamo il «fratellomaggiore», i cannoni dell'Olanda, i milionari di Bataviae Surabaya, l'infinita miseria di questo imperatore che èpiù schiavo dei suoi schiavi, la bassezza di questa plebesuperstiziosa e codarda, tutto l'immenso ridicolo dellospettacolo e dei suoi personaggi, per evocare la reale po-tenza degli Antenati quando i despoti innalzavano colleglebe dell'isola i mausolei del Borobodor.

L'uniforme di generale olandese diminuisce la solen-nità dell'idolo, ma il volto dipinto secondo la tradizionesecolare e gli occhi trasfigurati dall'orgoglio, ricostrui-scono l'antica maschera imperiale. È ieratico l'imperato-re di Soerakarta e non stonerebbe sull'altare di una pa-goda fra gli incensi dei bonzi in uno sfondo di porcella-ne e di lacche. Veramente egli è il discendente di quegliuomini-dio che nel lontano passato decidevano col lorocapriccio le sorti dell'umanità asiatica ed il camminostesso della storia.

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te; le insegne della sovranità, un gruppo di mascherecolla testa di tigre e d'elefante, le pipe del Re sotto para-soli verdi, le sputacchiere, i ventagli, i pugnali, i mini-stri, i dignitari, i servi, le truppe scalze, ombrelli d'oro,d'argento, rossi, violetti, gialli, verdolini, bandiere, laba-ri, oriflamme, stendardi, musiche, musiche. Ultima laplebe, tutti i ventimila abitanti del Kraton ognuno conun ramo di palma.

Per un istante anche noi dimentichiamo il «fratellomaggiore», i cannoni dell'Olanda, i milionari di Bataviae Surabaya, l'infinita miseria di questo imperatore che èpiù schiavo dei suoi schiavi, la bassezza di questa plebesuperstiziosa e codarda, tutto l'immenso ridicolo dellospettacolo e dei suoi personaggi, per evocare la reale po-tenza degli Antenati quando i despoti innalzavano colleglebe dell'isola i mausolei del Borobodor.

L'uniforme di generale olandese diminuisce la solen-nità dell'idolo, ma il volto dipinto secondo la tradizionesecolare e gli occhi trasfigurati dall'orgoglio, ricostrui-scono l'antica maschera imperiale. È ieratico l'imperato-re di Soerakarta e non stonerebbe sull'altare di una pa-goda fra gli incensi dei bonzi in uno sfondo di porcella-ne e di lacche. Veramente egli è il discendente di quegliuomini-dio che nel lontano passato decidevano col lorocapriccio le sorti dell'umanità asiatica ed il camminostesso della storia.

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Quando tutta la mandria umana è sfilata, la folla si or-dina in formazione di piramide con la cavalleria allabase e la prediletta sul vertice della figura. Un comando,un urlo simultaneo delle ventimila bocche, e l'intera pi-ramide si prosterna nella polvere ad adorare il Re.

La banda reggimentale olandese che non prende parteall'esercizio, intona l'inno nazionale di Nederlandia.Rombano i cannoni del forte. Il Residente olandese si ir-rigidisce germanicamente sull'attenti, con la mano allavisiera.

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Giava – La festa del kris in un villaggio.

Quando tutta la mandria umana è sfilata, la folla si or-dina in formazione di piramide con la cavalleria allabase e la prediletta sul vertice della figura. Un comando,un urlo simultaneo delle ventimila bocche, e l'intera pi-ramide si prosterna nella polvere ad adorare il Re.

La banda reggimentale olandese che non prende parteall'esercizio, intona l'inno nazionale di Nederlandia.Rombano i cannoni del forte. Il Residente olandese si ir-rigidisce germanicamente sull'attenti, con la mano allavisiera.

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Giava – La festa del kris in un villaggio.

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E per un istante il fantoccio incoronato ha l'illusioned'essere veramente imperatore!

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GIAVA – Donna della montagna.

E per un istante il fantoccio incoronato ha l'illusioned'essere veramente imperatore!

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GIAVA – Donna della montagna.

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Danze e amori d'Asia

SOERAKARTA, 24 febbraio.

La Corte Imperiale di Soerakarta ci ha mostrato colricevimento pubblico di S. M. e colla festa militare delKraton, la grande società indigena ufficiale di Giava cheè rimasta fedele alla mentalità ed alle costumanze degliantenati, nascondendo sotto i parasoli d'oro e dietro i pa-raventi di lacca la sua attuale servitù politica e la suamiseria economica.

I saloni giavanesi del principe milionario di Kaporo-Pendopo ci mostrano stasera in tutto il suo fasto unagrande famiglia asiatica, la quale invece di raccogliersifra gli stracci di porpora, nel ricordo dello splendorepassato, ha scaltramente sposato da secoli la causa deiconquistatori olandesi, ha venduto al governo di Bataviala propria influenza politica, ha rindorato, coi fiorinidella Regina Guglielmina, il vecchio blasone di Mata-ram, ha fatto educare le giovani generazioni in Europa,addestrandole ai traffici ed alla malizia dell'Occidente.Mentre quasi tutte le famiglie nobili di Giava sono finitenell'indigenza e debbono mendicare a Batavia un mode-

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Danze e amori d'Asia

SOERAKARTA, 24 febbraio.

La Corte Imperiale di Soerakarta ci ha mostrato colricevimento pubblico di S. M. e colla festa militare delKraton, la grande società indigena ufficiale di Giava cheè rimasta fedele alla mentalità ed alle costumanze degliantenati, nascondendo sotto i parasoli d'oro e dietro i pa-raventi di lacca la sua attuale servitù politica e la suamiseria economica.

I saloni giavanesi del principe milionario di Kaporo-Pendopo ci mostrano stasera in tutto il suo fasto unagrande famiglia asiatica, la quale invece di raccogliersifra gli stracci di porpora, nel ricordo dello splendorepassato, ha scaltramente sposato da secoli la causa deiconquistatori olandesi, ha venduto al governo di Bataviala propria influenza politica, ha rindorato, coi fiorinidella Regina Guglielmina, il vecchio blasone di Mata-ram, ha fatto educare le giovani generazioni in Europa,addestrandole ai traffici ed alla malizia dell'Occidente.Mentre quasi tutte le famiglie nobili di Giava sono finitenell'indigenza e debbono mendicare a Batavia un mode-

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Page 95: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

sto impiego di Reggente, i principi di Kaporo-Pendoposono multimilionari di fiorini, hanno piantagioni di zuc-chero e raffinerie, piroscafi di cabotaggio, azioni dellediverse «Matchappy», e colle rendite favolose dei loropossedimenti possono permettersi il lusso d'offuscare lapovera Corte imperiale con ricevimenti di straordinariaopulenza, nei quali rivivono i fastigi dell'antico reame diMataram.

Quando la nostra automobile si ferma dinanzi al pa-lazzo dei Kaporo-Pendopo sono quasi pentito d'aver ac-cettato l'invito, tanto è terribilmente olandese l'atrio del-la villa e più olandese ancora il salotto nel quale un do-mestico bianco ci introduce con la classica alterigia deilacchè di grande casata: poltrone e divani di cuoio coloravana, marina d'Amsterdam, e canali d'Utrecht alle pa-reti, v'è perfino un monumentale camino di «polder» ba-tavo con una collezione di vecchie pipe del Bramante.Ci si crederebbe a Leida in casa d'uno scabino della Co-rona. Bei tulipani completano il quadro facendo pompadei loro velluti in vecchi vasi di porcellana del Limbur-go. S'aspetta di vedere entrare una forosetta dalla cuffiainamidata e gli zoccoli di legno ad annunciare un perso-naggio di Rembrandt. Entra invece S. A. imperiale ilprincipe di Kaporo-Pendopo, piccolino, giallognolo, in-cartapecorito, cerimoniosissimo. Lo «smoking» europeolo fa rassomigliare a quei giapponesi che s'incontrano a«table d'hôte» degli alberghi di Milano e di Roma, colpassaporto sul viso, impacciati, timidi, che stanno a di-sagio dentro il colletto duro e lo sparato bianco, abituati

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sto impiego di Reggente, i principi di Kaporo-Pendoposono multimilionari di fiorini, hanno piantagioni di zuc-chero e raffinerie, piroscafi di cabotaggio, azioni dellediverse «Matchappy», e colle rendite favolose dei loropossedimenti possono permettersi il lusso d'offuscare lapovera Corte imperiale con ricevimenti di straordinariaopulenza, nei quali rivivono i fastigi dell'antico reame diMataram.

Quando la nostra automobile si ferma dinanzi al pa-lazzo dei Kaporo-Pendopo sono quasi pentito d'aver ac-cettato l'invito, tanto è terribilmente olandese l'atrio del-la villa e più olandese ancora il salotto nel quale un do-mestico bianco ci introduce con la classica alterigia deilacchè di grande casata: poltrone e divani di cuoio coloravana, marina d'Amsterdam, e canali d'Utrecht alle pa-reti, v'è perfino un monumentale camino di «polder» ba-tavo con una collezione di vecchie pipe del Bramante.Ci si crederebbe a Leida in casa d'uno scabino della Co-rona. Bei tulipani completano il quadro facendo pompadei loro velluti in vecchi vasi di porcellana del Limbur-go. S'aspetta di vedere entrare una forosetta dalla cuffiainamidata e gli zoccoli di legno ad annunciare un perso-naggio di Rembrandt. Entra invece S. A. imperiale ilprincipe di Kaporo-Pendopo, piccolino, giallognolo, in-cartapecorito, cerimoniosissimo. Lo «smoking» europeolo fa rassomigliare a quei giapponesi che s'incontrano a«table d'hôte» degli alberghi di Milano e di Roma, colpassaporto sul viso, impacciati, timidi, che stanno a di-sagio dentro il colletto duro e lo sparato bianco, abituati

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come sono alla libertà dei pigiama ed alla larghezza flo-scia dei «kimono».

Il wisky è servito da un cameriere meticcio in «frac» epantaloni corti. Cristalli ed argenteria hanno lo stemmadei Kaporo, testa di tigre su tondo di jungla. Il listino diBorsa ed i prezzi della guttaperka forniscono abbondan-te materia di conversazione. Temo d'aver sciupato la se-rata come tante volte in India in casa d'un asiatico euro-peizzato, d'uno di quei neofiti della civiltà occidentaleche si fanno in quattro per scimmiottare alla perfezioneil modo di fare e di ricevere dei bianchi senza riuscire,dopo venti anni d'esercizio, ad accomodarsi convenien-temente un nodo di cravatta. Li vedete entrare in salacome figurini di Parigi, ma cinque minuti dopo le mem-bra ribelli mandano lo sparato di sghimbescio, il cravat-tino s'allenta, un pantalone trova sempre verso d'infagot-tarsi al ginocchio ed i polsini escono come lumache dalfodero. Sotto le rovine dello «smoking» compare il Pi-nocchio asiatico a rivendicare i suoi diritti millenarii.

Mentre centellino il mio wisky accanto al camino nor-dico che coi suoi alari di bronzo lucente ed i suoi alti sti-piti di porcellana dà quasi una sensazione di freddo, nonposso trattenermi dal pensare con rimpianto alla festadel kris che stanotte impazza nel quartiere malese diSoerakarta, agli stradini del Kampong indigeno dove leragazze di Giava ballano la vecchia «serimpé» degli an-tenati al suono delle chitarre «dacòte» e gli uomini siubbriacano ai bancherelli di sugo di palma, e tutte ledonne vestite a festa coi «sarrong» ricamati aspettano

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come sono alla libertà dei pigiama ed alla larghezza flo-scia dei «kimono».

Il wisky è servito da un cameriere meticcio in «frac» epantaloni corti. Cristalli ed argenteria hanno lo stemmadei Kaporo, testa di tigre su tondo di jungla. Il listino diBorsa ed i prezzi della guttaperka forniscono abbondan-te materia di conversazione. Temo d'aver sciupato la se-rata come tante volte in India in casa d'un asiatico euro-peizzato, d'uno di quei neofiti della civiltà occidentaleche si fanno in quattro per scimmiottare alla perfezioneil modo di fare e di ricevere dei bianchi senza riuscire,dopo venti anni d'esercizio, ad accomodarsi convenien-temente un nodo di cravatta. Li vedete entrare in salacome figurini di Parigi, ma cinque minuti dopo le mem-bra ribelli mandano lo sparato di sghimbescio, il cravat-tino s'allenta, un pantalone trova sempre verso d'infagot-tarsi al ginocchio ed i polsini escono come lumache dalfodero. Sotto le rovine dello «smoking» compare il Pi-nocchio asiatico a rivendicare i suoi diritti millenarii.

Mentre centellino il mio wisky accanto al camino nor-dico che coi suoi alari di bronzo lucente ed i suoi alti sti-piti di porcellana dà quasi una sensazione di freddo, nonposso trattenermi dal pensare con rimpianto alla festadel kris che stanotte impazza nel quartiere malese diSoerakarta, agli stradini del Kampong indigeno dove leragazze di Giava ballano la vecchia «serimpé» degli an-tenati al suono delle chitarre «dacòte» e gli uomini siubbriacano ai bancherelli di sugo di palma, e tutte ledonne vestite a festa coi «sarrong» ricamati aspettano

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sulle stuoie, fuori degli usci, che annotti per vedere bal-lare la danza terribile del kris, che a volta s'arrossa disangue, ma che accende nelle vene anche delle più vec-chie i torbidi fuochi dell'Equatore.

M'avevano parlato di questo principe come d'un gran-de raffinato e d'un grande signore d'Oriente. Mi aspetta-vo quindi un palazzo sontuoso di nababbo, un giardinoincantato, lacchè, ori, ventagli, sirene australi...invece.....

— Le notizie da Borneo sono pessimiste, raccoltoscadente e tutte piante giovani.

— Anche Liverpool fa poche domande...— A Celebes i prezzi sono in rialzo!— Tutto dipende in ogni modo dalle richieste di San

Francisco.— A quanto le «Sugar Matchappy»?— Dodici e tre ottavi.Stanotte è gran festa in tutta l'isola, anzi in tutta la

Sonda, a Borneo, a Celebes, nelle Molucche. Gli uominie le donne di Giava non si occupano dei tè e della gutta-perca, hanno lasciato le piantagioni per raccogliersi neivillaggi, indossano i «sarrong» più belli e tutte le colla-ne di vetro. Le ragazze da marito, coi denti di lacca nerae gli zigomi rosso fuoco, aspettano il tripudio del krisper scambiare il primo bacio, quello che lega per la vita.Notte di danze, d'amori e di pazzie.

Nella jungla del Borneo dove il controllo dell'Olandaè relativo, il kris si balla ancora coi pugnali avvelenati

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sulle stuoie, fuori degli usci, che annotti per vedere bal-lare la danza terribile del kris, che a volta s'arrossa disangue, ma che accende nelle vene anche delle più vec-chie i torbidi fuochi dell'Equatore.

M'avevano parlato di questo principe come d'un gran-de raffinato e d'un grande signore d'Oriente. Mi aspetta-vo quindi un palazzo sontuoso di nababbo, un giardinoincantato, lacchè, ori, ventagli, sirene australi...invece.....

— Le notizie da Borneo sono pessimiste, raccoltoscadente e tutte piante giovani.

— Anche Liverpool fa poche domande...— A Celebes i prezzi sono in rialzo!— Tutto dipende in ogni modo dalle richieste di San

Francisco.— A quanto le «Sugar Matchappy»?— Dodici e tre ottavi.Stanotte è gran festa in tutta l'isola, anzi in tutta la

Sonda, a Borneo, a Celebes, nelle Molucche. Gli uominie le donne di Giava non si occupano dei tè e della gutta-perca, hanno lasciato le piantagioni per raccogliersi neivillaggi, indossano i «sarrong» più belli e tutte le colla-ne di vetro. Le ragazze da marito, coi denti di lacca nerae gli zigomi rosso fuoco, aspettano il tripudio del krisper scambiare il primo bacio, quello che lega per la vita.Notte di danze, d'amori e di pazzie.

Nella jungla del Borneo dove il controllo dell'Olandaè relativo, il kris si balla ancora coi pugnali avvelenati

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sotto i grandi ombrelli della foresta. Le zuffe degli uo-mini si confondono per una notte con le battaglie degliorang-utang e cogli amori dei gatti selvatici, come nelleepoche primitive della specie. Il fuoco dell'Equatorebrucia le vene degli umani, dei quadrumani e dei felini.S'ama e s'ammazza. La terra umida offre alle coppie im-pazzite la soffice alcova delle sue putrescenze. A Soera-karta, zona già conquistata dalla civiltà, i gendarmi tol-gono dalla cintola dei danzatori e dai «sarrong» delleballerine le lame di Surabaya e gli stiletti di Macao.

Anche qui si spalancano le porte ed il principe ci invi-ta con un sorriso alla festa del pugnale.

Come in una fantasmagorica cinematografia il salottoolandese col camino d'Amsterdam scompare dagli occhie dalla memoria. I saloni della festa sono una serra sfol-gorante dell'Equatore. Le orchidee strane e carnicineprendono il posto dei tulipani del settentrione.

Solo il principe e noi abbiamo la stonatura dello«smoking». Tutti gli altri invitati europei indossanol'abito coloniale da sera, di tela bianca, col petto floscioe il colletto morbido. La nobiltà indigena è in costumenazionale col «sarrong» colorato, il corpetto di rasobianco a ricami di lacca, in capo un gran fazzoletto diseta nera artisticamente annodato a turbante con unaspilla di brillanti, un fiore, una «aigrette», un ciuffo ar-dito di cacatoa. Gli invitati sono tutti uomini secondo laconsuetudine mussulmana, ma ben presto le ballerineanimeranno la sala dei loro frulli di farfalla.

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sotto i grandi ombrelli della foresta. Le zuffe degli uo-mini si confondono per una notte con le battaglie degliorang-utang e cogli amori dei gatti selvatici, come nelleepoche primitive della specie. Il fuoco dell'Equatorebrucia le vene degli umani, dei quadrumani e dei felini.S'ama e s'ammazza. La terra umida offre alle coppie im-pazzite la soffice alcova delle sue putrescenze. A Soera-karta, zona già conquistata dalla civiltà, i gendarmi tol-gono dalla cintola dei danzatori e dai «sarrong» delleballerine le lame di Surabaya e gli stiletti di Macao.

Anche qui si spalancano le porte ed il principe ci invi-ta con un sorriso alla festa del pugnale.

Come in una fantasmagorica cinematografia il salottoolandese col camino d'Amsterdam scompare dagli occhie dalla memoria. I saloni della festa sono una serra sfol-gorante dell'Equatore. Le orchidee strane e carnicineprendono il posto dei tulipani del settentrione.

Solo il principe e noi abbiamo la stonatura dello«smoking». Tutti gli altri invitati europei indossanol'abito coloniale da sera, di tela bianca, col petto floscioe il colletto morbido. La nobiltà indigena è in costumenazionale col «sarrong» colorato, il corpetto di rasobianco a ricami di lacca, in capo un gran fazzoletto diseta nera artisticamente annodato a turbante con unaspilla di brillanti, un fiore, una «aigrette», un ciuffo ar-dito di cacatoa. Gli invitati sono tutti uomini secondo laconsuetudine mussulmana, ma ben presto le ballerineanimeranno la sala dei loro frulli di farfalla.

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Con la stessa cura meticolosa con cui nel salotto olan-dese era stato eliminato qualsiasi oggetto che comunqueparlasse di Giava e dell'Equatore, così nei saloni del«salemlik», aperti sul giardino, non v'è nulla che co-munque ricordi l'Occidente. Il principe è pari alla suafama. Tutto è asiatico, e dove la produzione giavanesenon offriva il necessario, S. A. è ricorsa agli inesauribilitesori della Cina e del Siam. Il Kraton dell'imperatore diSoerakarta è una stamberga in confronto alla villa deiKaporo-Pendopo, veri eredi degli Sri Mataram.

Lampade d'alabastro s'alternano a doppieri siamesi,con prismi e decorazioni di cristallo: qua e là grandilampade cinesi di seta dipinta in mezzo a piccole lucer-ne del Camboge con intorno tanti dondolini di vetro co-lorato che tintinnano dolcemente al vento con una musi-ca argentina di campanelli. Non sedie, nè poltrone, madadi di velluto giallo o rosa secondo l'usanza di Giava, osgabelli di lacca, di quelli che usano i fumatori d'oppioper addormentarsi e sognare. Paraventi, stuoie, tavolinidi lacca, chioschi di vetro fatti per isolarsi dalla festa,tripodi carichi d'incensi, vasche, zampilli d'acqua, tor-cieri di bengala, tabernacoli di pagoda, Buddha e ninnolid'Oriente, tutto è di materia preziosa e di fattura artisticasenza orpello e senza finta ricchezza.

Domestici scalzi e taciturni offrono in grandi vassoidi Canton bibite misteriose, dolciastre, profumatissime,che al primo sorso non piacciono, quasi ripugnano, mapoi vi conquistano come le bocche di certe donne e viobbligano ad andare fino in fondo al bicchiere per sco-

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Con la stessa cura meticolosa con cui nel salotto olan-dese era stato eliminato qualsiasi oggetto che comunqueparlasse di Giava e dell'Equatore, così nei saloni del«salemlik», aperti sul giardino, non v'è nulla che co-munque ricordi l'Occidente. Il principe è pari alla suafama. Tutto è asiatico, e dove la produzione giavanesenon offriva il necessario, S. A. è ricorsa agli inesauribilitesori della Cina e del Siam. Il Kraton dell'imperatore diSoerakarta è una stamberga in confronto alla villa deiKaporo-Pendopo, veri eredi degli Sri Mataram.

Lampade d'alabastro s'alternano a doppieri siamesi,con prismi e decorazioni di cristallo: qua e là grandilampade cinesi di seta dipinta in mezzo a piccole lucer-ne del Camboge con intorno tanti dondolini di vetro co-lorato che tintinnano dolcemente al vento con una musi-ca argentina di campanelli. Non sedie, nè poltrone, madadi di velluto giallo o rosa secondo l'usanza di Giava, osgabelli di lacca, di quelli che usano i fumatori d'oppioper addormentarsi e sognare. Paraventi, stuoie, tavolinidi lacca, chioschi di vetro fatti per isolarsi dalla festa,tripodi carichi d'incensi, vasche, zampilli d'acqua, tor-cieri di bengala, tabernacoli di pagoda, Buddha e ninnolid'Oriente, tutto è di materia preziosa e di fattura artisticasenza orpello e senza finta ricchezza.

Domestici scalzi e taciturni offrono in grandi vassoidi Canton bibite misteriose, dolciastre, profumatissime,che al primo sorso non piacciono, quasi ripugnano, mapoi vi conquistano come le bocche di certe donne e viobbligano ad andare fino in fondo al bicchiere per sco-

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prire il segreto della loro mistura. Lasciano nel palatouna strana sensazione di bruciore e di sete, come d'unfiore masticato fino all'amarezza. È acqua? Pare! Se netracannano giù tre o quattro bicchieri, poi i misteriosi al-cool equatoriali della foresta avvinghiano d'un tratto atradimento con un cerchio sottile intorno alle tempie esugli occhi scende un velo che stempera i contorni. Tut-to si vede in una sfumatura di sogno. Gli incensi gettanouna nota mistica nel baccanale dell'Equatore.

Ragazze quasi nude offrono, in grandi piatti di cocco,i manghi del Merapi, duri, diacci, asprigni, le «mellàn-ghe» dalla polpa elettrica che stringono le gengive in unbacio viperino, le «roseàde» che ingommano i denti col-la loro dolcezza vischiosa, tanti altri frutti senza nome emai visti che non si trovano neppure sui mercati di Bata-via e di Surabaya, qualità ormai scomparse dalla circo-lazione, prodotti dell'alta jungla, condannati a scompari-re dalla civiltà trionfante che conquista la foresta allecoltivazioni lucrose del tè e della guttaperka. Solo pochimilionari indigeni possono permettersi il lusso di grandipossedimenti incolti nei quali i servi vanno di tanto intanto a raccogliere le leccornie dell'Equatore.

I principi di Kaporo-Pendopo posseggono la più gran-de «gamalanga» di Giava, l'unica orchestra dell'isolache ancora comprenda tutti gli strumenti antichidell'arcipelago della Sonda. I musicanti sono circa unacinquantina. Accoccolati sulle stuoie agli ordini d'unavecchia ermafrodita della Corte di Soerakarta che è il...Toscanini di Giava, provano i loro strani strumenti, certe

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prire il segreto della loro mistura. Lasciano nel palatouna strana sensazione di bruciore e di sete, come d'unfiore masticato fino all'amarezza. È acqua? Pare! Se netracannano giù tre o quattro bicchieri, poi i misteriosi al-cool equatoriali della foresta avvinghiano d'un tratto atradimento con un cerchio sottile intorno alle tempie esugli occhi scende un velo che stempera i contorni. Tut-to si vede in una sfumatura di sogno. Gli incensi gettanouna nota mistica nel baccanale dell'Equatore.

Ragazze quasi nude offrono, in grandi piatti di cocco,i manghi del Merapi, duri, diacci, asprigni, le «mellàn-ghe» dalla polpa elettrica che stringono le gengive in unbacio viperino, le «roseàde» che ingommano i denti col-la loro dolcezza vischiosa, tanti altri frutti senza nome emai visti che non si trovano neppure sui mercati di Bata-via e di Surabaya, qualità ormai scomparse dalla circo-lazione, prodotti dell'alta jungla, condannati a scompari-re dalla civiltà trionfante che conquista la foresta allecoltivazioni lucrose del tè e della guttaperka. Solo pochimilionari indigeni possono permettersi il lusso di grandipossedimenti incolti nei quali i servi vanno di tanto intanto a raccogliere le leccornie dell'Equatore.

I principi di Kaporo-Pendopo posseggono la più gran-de «gamalanga» di Giava, l'unica orchestra dell'isolache ancora comprenda tutti gli strumenti antichidell'arcipelago della Sonda. I musicanti sono circa unacinquantina. Accoccolati sulle stuoie agli ordini d'unavecchia ermafrodita della Corte di Soerakarta che è il...Toscanini di Giava, provano i loro strani strumenti, certe

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chitarre fisse che per suonarle s'incastrano in un bucodel pavimento e poi ci si strofina su una sega di cordevegetali, viole ad una sola corda, casseruole armoniche,arpe orizzontali che si martellano con canne di sambu-co, zucche vuote di tutte le dimensioni, zufoli, flauti,triangoli, pifferi, palle che si lasciano correre in un cati-no d'argento, curiosi tempietti fatti di pezzettini di vetroingommati a tanti piccoli spaghi, in mezzo ai quali ilmusicante soffia in una data maniera, estraendone comeuno sciacquìo d'acqua corrente.

S'aspetta chissà che fracasso di stoviglie e di tamburi.Si è sorpresi invece da una musica dolce, ovattata, lan-guida, che par venga di lontano sulle ali del vento,un'armonia non priva di fàscino che il nostro orecchioeuropeo non capisce, ma sente non barbara, prodotto de-licato di un'arte delicata e difficile che è inaccessibileper noi.

Ho sentito qualche cosa di simile nella jungla quandoil bacio potente dell'Equatore solletica i miliardi di fo-glie della foresta, ed il vento porta appena l'eco di lonta-ne canzoni di capanna, e le gomme schiantano le scorzedei tronchi secolari, e le scimmie si dicono sugli alberile loro confidenze... Musica della jungla, dialogo dellecose con le cose nelle notti di zeffiro e di luna...

Le zucche imitano magicamente i boati sommessi eprofondi dei vulcani. Certi «a solo» fanno pensareall'agonia dolorosa d'un uccello.

Entrano nel giardino con passetti corti e moine dibimbe le danzatrici. Vengono dall'ombra degli alberi e

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chitarre fisse che per suonarle s'incastrano in un bucodel pavimento e poi ci si strofina su una sega di cordevegetali, viole ad una sola corda, casseruole armoniche,arpe orizzontali che si martellano con canne di sambu-co, zucche vuote di tutte le dimensioni, zufoli, flauti,triangoli, pifferi, palle che si lasciano correre in un cati-no d'argento, curiosi tempietti fatti di pezzettini di vetroingommati a tanti piccoli spaghi, in mezzo ai quali ilmusicante soffia in una data maniera, estraendone comeuno sciacquìo d'acqua corrente.

S'aspetta chissà che fracasso di stoviglie e di tamburi.Si è sorpresi invece da una musica dolce, ovattata, lan-guida, che par venga di lontano sulle ali del vento,un'armonia non priva di fàscino che il nostro orecchioeuropeo non capisce, ma sente non barbara, prodotto de-licato di un'arte delicata e difficile che è inaccessibileper noi.

Ho sentito qualche cosa di simile nella jungla quandoil bacio potente dell'Equatore solletica i miliardi di fo-glie della foresta, ed il vento porta appena l'eco di lonta-ne canzoni di capanna, e le gomme schiantano le scorzedei tronchi secolari, e le scimmie si dicono sugli alberile loro confidenze... Musica della jungla, dialogo dellecose con le cose nelle notti di zeffiro e di luna...

Le zucche imitano magicamente i boati sommessi eprofondi dei vulcani. Certi «a solo» fanno pensareall'agonia dolorosa d'un uccello.

Entrano nel giardino con passetti corti e moine dibimbe le danzatrici. Vengono dall'ombra degli alberi e

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pare portino con loro il fremito delle palme-cocco. Le«bedaye», ballerine di corte, sono quarantacinque, etrentadue le «roàme», che sono danzatrici di professionescritturate per le feste. I nasetti un po' schiacciati ed identi d'ebano lucente danno alla loro bellezza australeuna impronta indefinibile, come d'un mostruoso incro-cio fra una bellissima gente umana ed una razza animaledella foresta.

Accartocciate dalla vita in giù nei «sarrong» di pagliaintrecciata, il torso inguantato da una mussola bianca,nudo mezzo seno, nude le spalle, i capelli acconciati apagoda con forcine e campanelli d'oro, gli occhi a man-dorla cerchiati di malva, tre piccoli nei sulla guancia si-nistra, debbono rappresentare per gli indigeni il non plusultra della femminilità. A noi non piacciono per la lorostranezza, fiori d'una flora esotica che sgomentano unpo' per la profonda diversità coi prodotti delle nostreserre.

Dall'orchestra-gamalanga si sprigiona un gran frusciodi vento ed incomincia la danza.

Immaginate una «giava» di «jazz-band», ma lentissi-ma, così lenta che fra un passo e l'altro corrano quarantasecondi, a volte un intero minuto. I movimenti sono pri-ma eseguiti dalle gambe, poi dai torsi, per ultimo dallebraccia. Quando, progressivamente, anche le mani han-no raggiunto la posizione della figura, le danzatrici re-stano un istante immobili prima di incominciare lentissi-mamente la plastica della seconda figura. E siccome i«sarrong» dalla cintola in giù sono rigidi, mentre i torsi

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pare portino con loro il fremito delle palme-cocco. Le«bedaye», ballerine di corte, sono quarantacinque, etrentadue le «roàme», che sono danzatrici di professionescritturate per le feste. I nasetti un po' schiacciati ed identi d'ebano lucente danno alla loro bellezza australeuna impronta indefinibile, come d'un mostruoso incro-cio fra una bellissima gente umana ed una razza animaledella foresta.

Accartocciate dalla vita in giù nei «sarrong» di pagliaintrecciata, il torso inguantato da una mussola bianca,nudo mezzo seno, nude le spalle, i capelli acconciati apagoda con forcine e campanelli d'oro, gli occhi a man-dorla cerchiati di malva, tre piccoli nei sulla guancia si-nistra, debbono rappresentare per gli indigeni il non plusultra della femminilità. A noi non piacciono per la lorostranezza, fiori d'una flora esotica che sgomentano unpo' per la profonda diversità coi prodotti delle nostreserre.

Dall'orchestra-gamalanga si sprigiona un gran frusciodi vento ed incomincia la danza.

Immaginate una «giava» di «jazz-band», ma lentissi-ma, così lenta che fra un passo e l'altro corrano quarantasecondi, a volte un intero minuto. I movimenti sono pri-ma eseguiti dalle gambe, poi dai torsi, per ultimo dallebraccia. Quando, progressivamente, anche le mani han-no raggiunto la posizione della figura, le danzatrici re-stano un istante immobili prima di incominciare lentissi-mamente la plastica della seconda figura. E siccome i«sarrong» dalla cintola in giù sono rigidi, mentre i torsi

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sono quasi nudi, si ha l'impressione d'un ballo eseguitodentro giarre di terracotta.

Incomincia la danza del kris, la terribile danza dellajungla che, proibita dal governo olandese in tutto il terri-torio della colonia, si balla esclusivamente a corte e nel-le ville principesche con le dovute precauzioni. Ma neivillaggi appollaiati sulle montagne e nei «kampong»sperduti nella foresta, le genti nell'isola trovano ancoramodo di ballare il kris al chiar di luna secondo l'uso de-gli antenati, col corpo nudo ed i pugnali avvelenati nelvischio della raya. Basta una scalfittura per avvelenarsied è così facile scalfirsi, mentre si danza! Vi sono sem-pre vecchie vendette da eseguire secondo la legge dellajungla, giovani affronti da lavare col sangue prima chela morte obblighi ad affidare ai discendenti l'indispensa-bile rivalsa per la pace dello spirito. Durante l'anno èdifficile compiere il proprio dovere. Gli avversarii stan-no in guardia, poi una vendetta eseguita ne trae un'altrada eseguirsi e non si finisce mai, mentre quando gli uo-mini hanno bevuto il sugo di palma e s'inebbriano con ladanza del kris, dimenticano pericoli e precauzioni ed of-frono sorridendo il petto ai pugnali che danno la mortecon una sola puntura. Le donne hanno tante piccole ge-losie di capanna, tanti rancori inesausti di giovinezza! Ela morte per veleno di raya non avvinghia subito la suapreda, aspetta che siano finite le danze per non turbarela festa, poi, quando si dorme, ferma pian piano i bàttitidel cuore.

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sono quasi nudi, si ha l'impressione d'un ballo eseguitodentro giarre di terracotta.

Incomincia la danza del kris, la terribile danza dellajungla che, proibita dal governo olandese in tutto il terri-torio della colonia, si balla esclusivamente a corte e nel-le ville principesche con le dovute precauzioni. Ma neivillaggi appollaiati sulle montagne e nei «kampong»sperduti nella foresta, le genti nell'isola trovano ancoramodo di ballare il kris al chiar di luna secondo l'uso de-gli antenati, col corpo nudo ed i pugnali avvelenati nelvischio della raya. Basta una scalfittura per avvelenarsied è così facile scalfirsi, mentre si danza! Vi sono sem-pre vecchie vendette da eseguire secondo la legge dellajungla, giovani affronti da lavare col sangue prima chela morte obblighi ad affidare ai discendenti l'indispensa-bile rivalsa per la pace dello spirito. Durante l'anno èdifficile compiere il proprio dovere. Gli avversarii stan-no in guardia, poi una vendetta eseguita ne trae un'altrada eseguirsi e non si finisce mai, mentre quando gli uo-mini hanno bevuto il sugo di palma e s'inebbriano con ladanza del kris, dimenticano pericoli e precauzioni ed of-frono sorridendo il petto ai pugnali che danno la mortecon una sola puntura. Le donne hanno tante piccole ge-losie di capanna, tanti rancori inesausti di giovinezza! Ela morte per veleno di raya non avvinghia subito la suapreda, aspetta che siano finite le danze per non turbarela festa, poi, quando si dorme, ferma pian piano i bàttitidel cuore.

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Le quarantacinque «bedaye» e le trentadue «roàme»tirano fuori dal «sarrong» i piccoli pugnali della foresta.La musica è lacrimosa, ma ogni tanto ha un sussulto chefa pensare ai tremiti della carne quando l'agonia agguan-ta a tradimento una forte giovinezza.

In casa del principe di Kaporo-Pendopo si balla il krissenza vendette, per amore dell'arte e della tradizione. Lacarne è sostituita dalle mussole bianche che imprigiona-no i seni fiorenti delle danzatrici. Gli stiletti hanno lapunta smussata ed il filo ottuso. Al ritmo cadenzato del-la «giava» ogni ballerina cerca di stracciare il corpettodell'avversaria per mettere a nudo il seno, come un tem-po si squarciava la carne per mettere a nudo il cuore. Lepunte non sono avvelenate, ma le movenze sono istinti-vamente feline e gli occhi ridono di gioia selvaggiaquando la punta intacca la seta strettissima che si squar-cia da sola con uno zirlo. Ed i seni empiono lo strappodella loro turgida floridezza. Allora la danzatrice si la-scia cadere sui ginocchi e finge una lenta agonia, finchépian piano s'immobilizza come morta. Ed anche la mu-sica s'abbassa di tono fino a spegnersi in un soffio quan-do la superstite straccia col pugnale il suo «sarrong» dipaglia colorata ed offre agli applausi degli uomini lasnellezza ambrata della sua nudità tropicale.

Si spengono tutte le luci. Solo restano accese le gran-di lampade cinesi di seta dipinta che diffondono una lu-centezza smorta di lacca fosforescente...

Il nostro spirito occidentale non riesce ad afferrare ilsignificato recondito dell'allegoria, come in fondo non

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Le quarantacinque «bedaye» e le trentadue «roàme»tirano fuori dal «sarrong» i piccoli pugnali della foresta.La musica è lacrimosa, ma ogni tanto ha un sussulto chefa pensare ai tremiti della carne quando l'agonia agguan-ta a tradimento una forte giovinezza.

In casa del principe di Kaporo-Pendopo si balla il krissenza vendette, per amore dell'arte e della tradizione. Lacarne è sostituita dalle mussole bianche che imprigiona-no i seni fiorenti delle danzatrici. Gli stiletti hanno lapunta smussata ed il filo ottuso. Al ritmo cadenzato del-la «giava» ogni ballerina cerca di stracciare il corpettodell'avversaria per mettere a nudo il seno, come un tem-po si squarciava la carne per mettere a nudo il cuore. Lepunte non sono avvelenate, ma le movenze sono istinti-vamente feline e gli occhi ridono di gioia selvaggiaquando la punta intacca la seta strettissima che si squar-cia da sola con uno zirlo. Ed i seni empiono lo strappodella loro turgida floridezza. Allora la danzatrice si la-scia cadere sui ginocchi e finge una lenta agonia, finchépian piano s'immobilizza come morta. Ed anche la mu-sica s'abbassa di tono fino a spegnersi in un soffio quan-do la superstite straccia col pugnale il suo «sarrong» dipaglia colorata ed offre agli applausi degli uomini lasnellezza ambrata della sua nudità tropicale.

Si spengono tutte le luci. Solo restano accese le gran-di lampade cinesi di seta dipinta che diffondono una lu-centezza smorta di lacca fosforescente...

Il nostro spirito occidentale non riesce ad afferrare ilsignificato recondito dell'allegoria, come in fondo non

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capisce queste danze e la loro illustrazione musicale. Seè arte, è arte d'un'altra razza umana. Non possiamo chia-marla barbara perchè è tutta impregnata di raffinatezzanell'armonia dei colori e nella grazia delle movenze. Lefeste e le danze indiane anche se stranissime, sono piùchiare per noi. Le medesime orgie falliche del Kama-Sutra rispondono ad un modo speciale di concepire lavita e l'amore. Questa danza del kris ci lascia inveceperplessi. Non riusciamo a comprenderla. Un po' ci an-noia, un po' ci ripugna; però dai tipi, dai suoni e dalle fi-gure, si sprigiona un fascino perfido e sottile che non sisa che cosa sia, ma che rassomiglia a quello che emanadalla jungla incantatrice nelle notti di torpore e di profu-mo quando la foresta australe avvince i bianchi nella suacarezza tiepida ed avvelenata.

È forse il male dell'Equatore?La festa principesca si prolunga nel giardino fino ai

chiarori dell'alba senza un programma.Nella penombra delle lampade cinesi di seta dipinta,

le «bedaye» e le «roàme» cercano i loro amanti. La not-te del kris è grande notte d'amore per l'isola equatoriale.

Dal «kampong» indigeno giungono le urla delle gentiubbriache che ballano il kris nelle strade e nelle aie. Do-mattina la polizia olandese raccoglierà i morti, uccisi dalsugo di palma e dalle punte avvelenate.

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capisce queste danze e la loro illustrazione musicale. Seè arte, è arte d'un'altra razza umana. Non possiamo chia-marla barbara perchè è tutta impregnata di raffinatezzanell'armonia dei colori e nella grazia delle movenze. Lefeste e le danze indiane anche se stranissime, sono piùchiare per noi. Le medesime orgie falliche del Kama-Sutra rispondono ad un modo speciale di concepire lavita e l'amore. Questa danza del kris ci lascia inveceperplessi. Non riusciamo a comprenderla. Un po' ci an-noia, un po' ci ripugna; però dai tipi, dai suoni e dalle fi-gure, si sprigiona un fascino perfido e sottile che non sisa che cosa sia, ma che rassomiglia a quello che emanadalla jungla incantatrice nelle notti di torpore e di profu-mo quando la foresta australe avvince i bianchi nella suacarezza tiepida ed avvelenata.

È forse il male dell'Equatore?La festa principesca si prolunga nel giardino fino ai

chiarori dell'alba senza un programma.Nella penombra delle lampade cinesi di seta dipinta,

le «bedaye» e le «roàme» cercano i loro amanti. La not-te del kris è grande notte d'amore per l'isola equatoriale.

Dal «kampong» indigeno giungono le urla delle gentiubbriache che ballano il kris nelle strade e nelle aie. Do-mattina la polizia olandese raccoglierà i morti, uccisi dalsugo di palma e dalle punte avvelenate.

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Vita di piantatori

KADIRI, 3 marzo.

Il diretto Batavia-Surabaya si ferma alla stazione diKadiri dopo una lunga corsa attraverso le risaie ed i bo-schi di tek. Un uomo vestito di tela bianca con un gran-de sombrero spagnuolo di feltro grigio si precipita al no-stro sportello gridando a squarciagola:

— Van der Selder! Van der Selder!I Van der Selder siamo noi, cioè... per essere più pre-

cisi, Van der Selder è il ricco piantatore che ci ha invitatiper una settimana nella sua tenuta di Kadiri. Fra me, peresempio, ed il signor Van der Selder c'è tra le altre diffe-renze la bazzecola di parecchi milioni di fiorini, ma pelbravo meticcio, il quale si fida alle apparenze, anch'iosono Van der Selder!

Tre vetture equatoriali aspettano fuori dalla stazionegli ospiti ed i bagagli. L'uomo del sombrero apre il cor-teo in sella ad un poney indiavolato dell'arcipelago e viaa trotto serrato attraverso canne di zucchero e palme-cocco.

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Vita di piantatori

KADIRI, 3 marzo.

Il diretto Batavia-Surabaya si ferma alla stazione diKadiri dopo una lunga corsa attraverso le risaie ed i bo-schi di tek. Un uomo vestito di tela bianca con un gran-de sombrero spagnuolo di feltro grigio si precipita al no-stro sportello gridando a squarciagola:

— Van der Selder! Van der Selder!I Van der Selder siamo noi, cioè... per essere più pre-

cisi, Van der Selder è il ricco piantatore che ci ha invitatiper una settimana nella sua tenuta di Kadiri. Fra me, peresempio, ed il signor Van der Selder c'è tra le altre diffe-renze la bazzecola di parecchi milioni di fiorini, ma pelbravo meticcio, il quale si fida alle apparenze, anch'iosono Van der Selder!

Tre vetture equatoriali aspettano fuori dalla stazionegli ospiti ed i bagagli. L'uomo del sombrero apre il cor-teo in sella ad un poney indiavolato dell'arcipelago e viaa trotto serrato attraverso canne di zucchero e palme-cocco.

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Ogni tanto una villa bianca sporge in avanti una ve-randa di colonnine sulla cima d'un poggio. Sulle casedegli europei è innalzata la grande asta della bandiera enei giorni di festa ogni proprietario spiega ai ventidell'Equatore il vessillo nazionale. I villaggetti malesi,nascosti nelle foglie, sembrano alveari d'api. Il solefiammeggia sui canali. Le ali d'un mulino fanno pensareall'Olanda.

Dopo due ore di trotto cambiamo i cavalli. Il meticcioci informa che entriamo nella tenuta Van der Selder, maci vogliono altre due ore prima d'arrivare in vista dellavilla.

Il grande feudatario coloniale ci riceve all'ingressodella sua abitazione in stivaloni ed in maniche di cami-cia. È il tipo classico dell'olandese, alto, tarchiato, un po'altero. Da trentacinque anni abita la colonia, da diecinon è più ritornato in Europa, da quando la sua unica fi-glia sedicenne morì stritolata da un albero della jungla.

Gli indigeni attribuiscono la disgrazia agli spiriti dellaforesta vergine che s'erano vendicati sull'innocente fan-ciulla di tutta la dinastia dei Van der Selder, colpevolid'aver spianato la jungla fino alle falde dei vulcani, di-sturbando le «forze» millenarie che abitano nei tronchi enel cavo delle foglie. Il meticcio ci racconta che dopo lamorte della padroncina nessun boscaiolo malese volevaavvicinarsi alla foresta. I lavori furono sospesi per tremesi. Van der Selder in persona dovette accendere lemine dinanzi alla popolazione riunita dei villaggi secon-do l'antico rito della jungla per sfatare la leggenda che

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Ogni tanto una villa bianca sporge in avanti una ve-randa di colonnine sulla cima d'un poggio. Sulle casedegli europei è innalzata la grande asta della bandiera enei giorni di festa ogni proprietario spiega ai ventidell'Equatore il vessillo nazionale. I villaggetti malesi,nascosti nelle foglie, sembrano alveari d'api. Il solefiammeggia sui canali. Le ali d'un mulino fanno pensareall'Olanda.

Dopo due ore di trotto cambiamo i cavalli. Il meticcioci informa che entriamo nella tenuta Van der Selder, maci vogliono altre due ore prima d'arrivare in vista dellavilla.

Il grande feudatario coloniale ci riceve all'ingressodella sua abitazione in stivaloni ed in maniche di cami-cia. È il tipo classico dell'olandese, alto, tarchiato, un po'altero. Da trentacinque anni abita la colonia, da diecinon è più ritornato in Europa, da quando la sua unica fi-glia sedicenne morì stritolata da un albero della jungla.

Gli indigeni attribuiscono la disgrazia agli spiriti dellaforesta vergine che s'erano vendicati sull'innocente fan-ciulla di tutta la dinastia dei Van der Selder, colpevolid'aver spianato la jungla fino alle falde dei vulcani, di-sturbando le «forze» millenarie che abitano nei tronchi enel cavo delle foglie. Il meticcio ci racconta che dopo lamorte della padroncina nessun boscaiolo malese volevaavvicinarsi alla foresta. I lavori furono sospesi per tremesi. Van der Selder in persona dovette accendere lemine dinanzi alla popolazione riunita dei villaggi secon-do l'antico rito della jungla per sfatare la leggenda che

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metteva in pericolo le sorti della piantagione. Alla primadetonazione tutti gli indigeni fuggirono terrorizzatiaspettando un cataclisma. Solo quando constatarono chei tronchi non si erano trasformati nè in draghi, nè invampiri, tornarono pian piano alle loro occupazioni.

V'è indiscutibilmente un grande soffio di poesia inquesta superstizione giavanese che spiritualizza la seco-lare battaglia dei bianchi contro la foresta equatoriale.La bionda fanciulla olandese uccisa da un gigante d'altofusto nel misterioso silenzio della foresta dopo centoanni di duello fra i suoi antenati e la boscaglia, offrireb-be ad un grande maestro della sinfonia un soggetto diwagneriana potenza per celebrare la lotta ciclopicadell'uomo contro la Natura. L'Equatore offrirebbeall'artista le languide canzoni delle capanne, i dialoghiancestrali del vento con la jungla, la tragica orchestra-zione delle collere tropicali e vulcaniche, tutto il fàscinomusicale dell'Asia ardente, della Sonda perennementecullata dal respiro dell'oceano e dal soffio dei monsoni!

I Van der Selder posseggono da oltre un secolo la te-nuta di Kadiri e, di padre in figlio, durante quattro gene-razioni hanno battagliato con indomabile tenacia controla foresta vergine perseguitandola fino nelle viscere pro-fonde della terra.

L'ultimo discendente che avrebbe dovuto ereditare,secondo la legge degli uomini, l'immensa fortuna, dor-me il suo sonno eterno sul campo di battaglia. Quattrodadap ombreggiano il tumulo bianco. Dieci anni fa ilpiccolo sepolcro si trovava sui margini stessi della jun-

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metteva in pericolo le sorti della piantagione. Alla primadetonazione tutti gli indigeni fuggirono terrorizzatiaspettando un cataclisma. Solo quando constatarono chei tronchi non si erano trasformati nè in draghi, nè invampiri, tornarono pian piano alle loro occupazioni.

V'è indiscutibilmente un grande soffio di poesia inquesta superstizione giavanese che spiritualizza la seco-lare battaglia dei bianchi contro la foresta equatoriale.La bionda fanciulla olandese uccisa da un gigante d'altofusto nel misterioso silenzio della foresta dopo centoanni di duello fra i suoi antenati e la boscaglia, offrireb-be ad un grande maestro della sinfonia un soggetto diwagneriana potenza per celebrare la lotta ciclopicadell'uomo contro la Natura. L'Equatore offrirebbeall'artista le languide canzoni delle capanne, i dialoghiancestrali del vento con la jungla, la tragica orchestra-zione delle collere tropicali e vulcaniche, tutto il fàscinomusicale dell'Asia ardente, della Sonda perennementecullata dal respiro dell'oceano e dal soffio dei monsoni!

I Van der Selder posseggono da oltre un secolo la te-nuta di Kadiri e, di padre in figlio, durante quattro gene-razioni hanno battagliato con indomabile tenacia controla foresta vergine perseguitandola fino nelle viscere pro-fonde della terra.

L'ultimo discendente che avrebbe dovuto ereditare,secondo la legge degli uomini, l'immensa fortuna, dor-me il suo sonno eterno sul campo di battaglia. Quattrodadap ombreggiano il tumulo bianco. Dieci anni fa ilpiccolo sepolcro si trovava sui margini stessi della jun-

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gla omicida che ritmava col suo murmure oceanicol'estremo riposo della vergine bionda.

Quando il bisnonno Van der Selder comperò dal go-verno di Batavia per novemila fiorini la tenuta di Kadiri,questa estensione di terra era foresta vergine abitata so-lamente dalle serpi e dai gatti selvatici. Ora le canne dazucchero sciolgono al vento dell'Equatore le lunghe ca-pigliature, gli alti fusti dei dadap proteggono coi loroombrelli lucenti cinquecento mila arbusti di caffè arabi-co, rosseggiano a centinaia di migliaia i caffè più vigo-rosi della Liberia, le guttaperche innalzano a perditad'occhio, i loro tronchi gagliardi.

Le sirene della raffineria, della distilleria e delle se-gherie annunziano la fine del lavoro. I bufali tornano amandrie folte dai pascoli. Qualche macchina agricola ci-gola sugli stradoni e sembra fuori posto in mezzo allepalme. Rombano in lontananza le ultime mine cheschiantano al di là delle lave i trinceramenti della jungla.

Cinquemila persone vivono e prolificano dove s'ama-vano solo i pitoni e s'azzuffavano rabbiosamente i felini.Sul volto maschio dell'ultimo Van der Selder trentacin-que anni di Equatore hanno stampato la loro impronta.Le rughe s'irradiano dagli angoli degli occhi verso lafronte ed il mento. Il portamento è altero, quale si con-viene ad un uomo nato pel comando che deve spesso farindietreggiare anche la morte. Ma negli occhi v'è unagrande dolcezza. Questo ras d'oltre mare deve esserecertamente un buono ed un leale uomo.

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gla omicida che ritmava col suo murmure oceanicol'estremo riposo della vergine bionda.

Quando il bisnonno Van der Selder comperò dal go-verno di Batavia per novemila fiorini la tenuta di Kadiri,questa estensione di terra era foresta vergine abitata so-lamente dalle serpi e dai gatti selvatici. Ora le canne dazucchero sciolgono al vento dell'Equatore le lunghe ca-pigliature, gli alti fusti dei dadap proteggono coi loroombrelli lucenti cinquecento mila arbusti di caffè arabi-co, rosseggiano a centinaia di migliaia i caffè più vigo-rosi della Liberia, le guttaperche innalzano a perditad'occhio, i loro tronchi gagliardi.

Le sirene della raffineria, della distilleria e delle se-gherie annunziano la fine del lavoro. I bufali tornano amandrie folte dai pascoli. Qualche macchina agricola ci-gola sugli stradoni e sembra fuori posto in mezzo allepalme. Rombano in lontananza le ultime mine cheschiantano al di là delle lave i trinceramenti della jungla.

Cinquemila persone vivono e prolificano dove s'ama-vano solo i pitoni e s'azzuffavano rabbiosamente i felini.Sul volto maschio dell'ultimo Van der Selder trentacin-que anni di Equatore hanno stampato la loro impronta.Le rughe s'irradiano dagli angoli degli occhi verso lafronte ed il mento. Il portamento è altero, quale si con-viene ad un uomo nato pel comando che deve spesso farindietreggiare anche la morte. Ma negli occhi v'è unagrande dolcezza. Questo ras d'oltre mare deve esserecertamente un buono ed un leale uomo.

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La vita d'un grande piantatore della Sonda incominciala mattina col primo sole, quando i coltivatori indigeniescono coi bufali dai villaggetti nascosti sotto le palme-cocco e si sparpagliano pel possedimento. Lunghe teoriedi donne s'avviano pei canali coi cenci del bucato e laminutaglia dei figli. Le sirene delle fabbriche chiamanoa raccolta gli uomini delle capanne. Le scimmie dellaforesta vergine scappano all'avvicinarsi dei boscaioliche adoperano il fuoco e la mitraglia per aprire nellajungla le strade della civiltà.

Prima che la gente incominci il lavoro del giorno ilpadrone è già a cavallo nei campi. V'è sempre per lui

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SURABAYA – Villaggio malese nelle risaie.

La vita d'un grande piantatore della Sonda incominciala mattina col primo sole, quando i coltivatori indigeniescono coi bufali dai villaggetti nascosti sotto le palme-cocco e si sparpagliano pel possedimento. Lunghe teoriedi donne s'avviano pei canali coi cenci del bucato e laminutaglia dei figli. Le sirene delle fabbriche chiamanoa raccolta gli uomini delle capanne. Le scimmie dellaforesta vergine scappano all'avvicinarsi dei boscaioliche adoperano il fuoco e la mitraglia per aprire nellajungla le strade della civiltà.

Prima che la gente incominci il lavoro del giorno ilpadrone è già a cavallo nei campi. V'è sempre per lui

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SURABAYA – Villaggio malese nelle risaie.

Page 111: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

qualche cosa di importante da controllare nelle pianta-gioni, negli opifici, nella foresta. Vi sono fattorie lonta-ne da visitare, nuovi canali da tracciare, irrigazioni, po-tature, semine, raccolti; nel pomeriggio l'amministrazio-ne coi suoi formidabili amminicoli, poi le vendite e letransazioni commerciali. Il feudo è un piccolo mondo dagovernare e dirigere. Il sole ed il vento sono spesso ne-mici. Anche Maometto e gli Antenati si mettono soven-te d'accordo per dar del filo da torcere al piantatore. Imeticci sono buona gente, ma bisogna saperli prendere.

Alle dieci di sera il piantatore è sopraffatto dalla stan-chezza. Il giorno dopo ricomincia. Così per mesi, peranni! Chissà se Lenine si è mai posto il caso di coscien-za delle ricchezze d'un piantatore!

Quando ogni tanto il colono ritorna in Europa, attrattodal fàscino della Civiltà che rivendica il suo figlio stre-gato dall'Equatore, s'accorge che gli altri uomini sonodiversi, che la loro vita è tutta ingombra di piccole coseche non hanno senso per lui. La nostalgia della jungla loavvinghia infallibilmente nei dancing e nel Palace: lecanne da zucchero lo richiamano in mezzo alle loro ca-rezze: i lontani dadap lo invitano, con misteriose lusin-ghe, a riposarsi all'ombra dei loro baldacchini. Il colonotorna senza rimpianto alla sua solitudine riempitad'immensità. Abituato ai grandi orizzonti ed alle grandibattaglie dell'umanità originaria, intisichisce nelle serredelle metropoli. Il vero colono è un soldato che muoreal suo posto.

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qualche cosa di importante da controllare nelle pianta-gioni, negli opifici, nella foresta. Vi sono fattorie lonta-ne da visitare, nuovi canali da tracciare, irrigazioni, po-tature, semine, raccolti; nel pomeriggio l'amministrazio-ne coi suoi formidabili amminicoli, poi le vendite e letransazioni commerciali. Il feudo è un piccolo mondo dagovernare e dirigere. Il sole ed il vento sono spesso ne-mici. Anche Maometto e gli Antenati si mettono soven-te d'accordo per dar del filo da torcere al piantatore. Imeticci sono buona gente, ma bisogna saperli prendere.

Alle dieci di sera il piantatore è sopraffatto dalla stan-chezza. Il giorno dopo ricomincia. Così per mesi, peranni! Chissà se Lenine si è mai posto il caso di coscien-za delle ricchezze d'un piantatore!

Quando ogni tanto il colono ritorna in Europa, attrattodal fàscino della Civiltà che rivendica il suo figlio stre-gato dall'Equatore, s'accorge che gli altri uomini sonodiversi, che la loro vita è tutta ingombra di piccole coseche non hanno senso per lui. La nostalgia della jungla loavvinghia infallibilmente nei dancing e nel Palace: lecanne da zucchero lo richiamano in mezzo alle loro ca-rezze: i lontani dadap lo invitano, con misteriose lusin-ghe, a riposarsi all'ombra dei loro baldacchini. Il colonotorna senza rimpianto alla sua solitudine riempitad'immensità. Abituato ai grandi orizzonti ed alle grandibattaglie dell'umanità originaria, intisichisce nelle serredelle metropoli. Il vero colono è un soldato che muoreal suo posto.

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Mentre questa sera m'attardo sulla veranda di Kadiri acontemplare i giuochi della luna coi canali, dinanzi alvasto silenzio dell'Equatore addormentato, sotto i vellutidell'Equinozio fiammeggianti di solitarii, la mia animavagabonda sente la poesia dell'esistenza di questo milio-nario, il quale potrebbe chiudere i suoi giorni fastosa-mente nel tripudio d'una qualsiasi Parigi, soddisfacendotutti quei capricci che a noi sembrano tanto importanti;che resta invece qui, senza famiglia, senza figli, a lavo-rare pel governo di Batavia che sarà il suo erede; cheogni mattina alla cinque è a cavallo in mezzo alle canneda zucchero ed alle piante di caffè; che da sette lustri,ogni anno, caccia indietro la jungla di cinquanta ettariverso le lave del vulcano Lavoe!

4 marzo. – La piantagione di caffè di Kadiri conta cir-ca un milione e mezzo di piante, metà della specie ara-bica, che è un arbusto, metà della specie africana, che èun albero. Il risultato è sempre lo stesso: sacchi di caffè.

L'ardore equatoriale favorisce lo sviluppo della pre-ziosa bacca, ma i raggi del sole l'anemizzano, per cuiogni tante unità è piantato un grosso albero di dadap ilquale ha l'incarico di setacciare l'oro del sole pei suoiprotetti. In capo a pochi anni i dadap finiscono col con-giungere i loro grandi ombrelli formando una unica ten-da verde-lucente, sotto la quale sono allineate come sol-dati, a gruppi di cinquemila, le piante del caffè.

Non potete immaginarvi quanto sia suggestivo il bi-ghellonare fra le bacche rosse sotto la tettoia dei dadap,

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Mentre questa sera m'attardo sulla veranda di Kadiri acontemplare i giuochi della luna coi canali, dinanzi alvasto silenzio dell'Equatore addormentato, sotto i vellutidell'Equinozio fiammeggianti di solitarii, la mia animavagabonda sente la poesia dell'esistenza di questo milio-nario, il quale potrebbe chiudere i suoi giorni fastosa-mente nel tripudio d'una qualsiasi Parigi, soddisfacendotutti quei capricci che a noi sembrano tanto importanti;che resta invece qui, senza famiglia, senza figli, a lavo-rare pel governo di Batavia che sarà il suo erede; cheogni mattina alla cinque è a cavallo in mezzo alle canneda zucchero ed alle piante di caffè; che da sette lustri,ogni anno, caccia indietro la jungla di cinquanta ettariverso le lave del vulcano Lavoe!

4 marzo. – La piantagione di caffè di Kadiri conta cir-ca un milione e mezzo di piante, metà della specie ara-bica, che è un arbusto, metà della specie africana, che èun albero. Il risultato è sempre lo stesso: sacchi di caffè.

L'ardore equatoriale favorisce lo sviluppo della pre-ziosa bacca, ma i raggi del sole l'anemizzano, per cuiogni tante unità è piantato un grosso albero di dadap ilquale ha l'incarico di setacciare l'oro del sole pei suoiprotetti. In capo a pochi anni i dadap finiscono col con-giungere i loro grandi ombrelli formando una unica ten-da verde-lucente, sotto la quale sono allineate come sol-dati, a gruppi di cinquemila, le piante del caffè.

Non potete immaginarvi quanto sia suggestivo il bi-ghellonare fra le bacche rosse sotto la tettoia dei dadap,

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Page 113: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

mentre il vento porta l'eco dei canti dei malesi dispersiper le lontananze. I canali fiammeggiano come lastronidi diamante. L'Equatore vi sbuffa in faccia il suo alitotiepido e profumato e vi parla misteriosamente col fru-scio delle grandi foglie, col lento ondeggiare delle pal-me, col fermento della terra umida e grassa, col fischiostrano d'un uccello, col guizzo furtivo d'una biscia. Ré-sine ed essenze imbalsamano l'aria. Le bacche rosse delcaffè tintinnano dolcemente ai brividi dell'atmosfera,come se una mano frugasse in mezzo a grani di corallo.

I coltivatori indigeni abitano agli estremi della pianta-gione due villaggetti: capanne di bambù, col tetto di te-gola rossa. Ogni villaggio ha una piccola moschea conun mozzicone di minareto ed un baraccone che il giornoserve da mercato e la sera si trasforma in bettola o tea-tro.

Al calar del sole Don Alonzo, che è precisamente ad-detto al caffè, ci fa assistere ad una paga. Quando il di-sco d'oro si rimpiatta dietro il cono del Lavoe, gli indi-geni abbandonano i campi e s'ammassano coi capocciadinanzi al baraccone per riscuotere il salano della gior-nata. Accanto a Don Alonzo è il gerente del mercato –un cinese – coi debiti d'ogni operaio, che debbono esse-re liquidati giorno per giorno. Il pagamento settimanalesarebbe certo più spicciativo, ma è impossibile nellaSonda perchè gli isolani non si presenterebbero al lavo-ro che dopo aver consumato la paga fino all'ultimo cen-tesimo. Manca completamente agli indigeni il senso delrisparmio. La parola domani è per loro quasi un contro-

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mentre il vento porta l'eco dei canti dei malesi dispersiper le lontananze. I canali fiammeggiano come lastronidi diamante. L'Equatore vi sbuffa in faccia il suo alitotiepido e profumato e vi parla misteriosamente col fru-scio delle grandi foglie, col lento ondeggiare delle pal-me, col fermento della terra umida e grassa, col fischiostrano d'un uccello, col guizzo furtivo d'una biscia. Ré-sine ed essenze imbalsamano l'aria. Le bacche rosse delcaffè tintinnano dolcemente ai brividi dell'atmosfera,come se una mano frugasse in mezzo a grani di corallo.

I coltivatori indigeni abitano agli estremi della pianta-gione due villaggetti: capanne di bambù, col tetto di te-gola rossa. Ogni villaggio ha una piccola moschea conun mozzicone di minareto ed un baraccone che il giornoserve da mercato e la sera si trasforma in bettola o tea-tro.

Al calar del sole Don Alonzo, che è precisamente ad-detto al caffè, ci fa assistere ad una paga. Quando il di-sco d'oro si rimpiatta dietro il cono del Lavoe, gli indi-geni abbandonano i campi e s'ammassano coi capocciadinanzi al baraccone per riscuotere il salano della gior-nata. Accanto a Don Alonzo è il gerente del mercato –un cinese – coi debiti d'ogni operaio, che debbono esse-re liquidati giorno per giorno. Il pagamento settimanalesarebbe certo più spicciativo, ma è impossibile nellaSonda perchè gli isolani non si presenterebbero al lavo-ro che dopo aver consumato la paga fino all'ultimo cen-tesimo. Manca completamente agli indigeni il senso delrisparmio. La parola domani è per loro quasi un contro-

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Page 114: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

senso. Il mercato interno è organizzato in tutte le pianta-gioni appunto per anticipare agli operai ed alle loro fa-miglie gli alimenti della giornata, altrimenti i disgraziatilavorerebbero tutta la giornata collo stomaco vuoto e, ri-scossa la paga, la consumerebbero in alcool e in oppio.

Nel pomeriggio abbiamo visitato le piantagioni diguttaperca ed abbiamo assistito al raccolto della resinache è fatto barbaramente abbattendo il grande albero.

Un albero di trent'anni fornisce mezzo chilo di guttapura che è mescolata sul posto con resine inferiori fino aformare un pane di tre chili. È venduto così a Surabayaai primi intermediari i quali s'incaricano di aumentarneil peso aggiungendo altre resine. A quanto ho potuto ca-pire il traffico della guttaperca è pieno d'imbrogli, percui le grandi fabbriche europee ed americane, compresala nostra Pirelli, hanno finito per comperare le pianta-gioni e pasticciano le resine per conto loro!

5 marzo. – Stamane con Van der Selder siamo partitia cavallo per la jungla, cioè per quella zona del possedi-mento che è ancora allo stato di foresta vergine e che èconquistato all'agricoltura in ragione di cinquanta ettariall'anno.

Quando giungiamo sul luogo, dopo tre ore di cavalca-ta fra le canne da zucchero, il sole è già alto e bombardafuriosamente la vallata di Lavoe. I bambù che cresconoabbondantemente fra le canne zuccherine ci hanno riem-pito la biancheria dei loro peletti neri che pizzicano ter-ribilmente. Sembra d'essere il campo di manovra d'un

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senso. Il mercato interno è organizzato in tutte le pianta-gioni appunto per anticipare agli operai ed alle loro fa-miglie gli alimenti della giornata, altrimenti i disgraziatilavorerebbero tutta la giornata collo stomaco vuoto e, ri-scossa la paga, la consumerebbero in alcool e in oppio.

Nel pomeriggio abbiamo visitato le piantagioni diguttaperca ed abbiamo assistito al raccolto della resinache è fatto barbaramente abbattendo il grande albero.

Un albero di trent'anni fornisce mezzo chilo di guttapura che è mescolata sul posto con resine inferiori fino aformare un pane di tre chili. È venduto così a Surabayaai primi intermediari i quali s'incaricano di aumentarneil peso aggiungendo altre resine. A quanto ho potuto ca-pire il traffico della guttaperca è pieno d'imbrogli, percui le grandi fabbriche europee ed americane, compresala nostra Pirelli, hanno finito per comperare le pianta-gioni e pasticciano le resine per conto loro!

5 marzo. – Stamane con Van der Selder siamo partitia cavallo per la jungla, cioè per quella zona del possedi-mento che è ancora allo stato di foresta vergine e che èconquistato all'agricoltura in ragione di cinquanta ettariall'anno.

Quando giungiamo sul luogo, dopo tre ore di cavalca-ta fra le canne da zucchero, il sole è già alto e bombardafuriosamente la vallata di Lavoe. I bambù che cresconoabbondantemente fra le canne zuccherine ci hanno riem-pito la biancheria dei loro peletti neri che pizzicano ter-ribilmente. Sembra d'essere il campo di manovra d'un

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corpo d'armata di... pulci, ma guai a grattarsi! I peli dibambù giavanese hanno la specialità di conficcarsi nellaepidermide e di trasformarsi in spine di fichi d'India.Van der Selder ci raccomanda di cambiarci completa-mente prima di far colazione perchè i minuscoli aghi dibambù mescolati agli alimenti ed introdotti nel tubo di-gestivo possono forare impercettibilmente gli intestini.La morte è allora lenta, ma sicura. Per conto mio rinun-zio alla colazione fino al ritorno in villa.

I boscaioli hanno scavato a colpi d'ascia nell'ammassovegetale un largo corridoio a forma di ferro di cavalloche isola dal resto della jungla mille metri di foresta. Èla superficie condannata. Quando i nostri cavalli entranonella galleria verde abbiamo realmente l'impressione diche cosa sia la ciclopica potenza d'una foresta equatoria-le.

Vista in condizioni normali la jungla è dominata perl'occhio dal fattore verde, cioè dall'immensità del foglia-me, per cui nonostante il formidabile numero dei tronchis'ha sempre l'impressione d'uno sbarramento formato,più che d'altro, di foglie. Non si riesce quasi a concepireperchè si debba ricorrere alla dinamite. Vista invece disezione, nella scavatura d'un traforo, le foglie diventanoun accessorio. Si vede la mastodontica ossatura d'unaroccaforte di pali e di travate, rinforzata con miliardi ditraversine ferroviarie ed altri miliardi di graticciate, iltutto riempito di zavorra e solidamente legato con chilo-metri e chilometri di funi che vanno dallo spessore dellegomene di transatlantico alle cordicelle dei pasticcieri,

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corpo d'armata di... pulci, ma guai a grattarsi! I peli dibambù giavanese hanno la specialità di conficcarsi nellaepidermide e di trasformarsi in spine di fichi d'India.Van der Selder ci raccomanda di cambiarci completa-mente prima di far colazione perchè i minuscoli aghi dibambù mescolati agli alimenti ed introdotti nel tubo di-gestivo possono forare impercettibilmente gli intestini.La morte è allora lenta, ma sicura. Per conto mio rinun-zio alla colazione fino al ritorno in villa.

I boscaioli hanno scavato a colpi d'ascia nell'ammassovegetale un largo corridoio a forma di ferro di cavalloche isola dal resto della jungla mille metri di foresta. Èla superficie condannata. Quando i nostri cavalli entranonella galleria verde abbiamo realmente l'impressione diche cosa sia la ciclopica potenza d'una foresta equatoria-le.

Vista in condizioni normali la jungla è dominata perl'occhio dal fattore verde, cioè dall'immensità del foglia-me, per cui nonostante il formidabile numero dei tronchis'ha sempre l'impressione d'uno sbarramento formato,più che d'altro, di foglie. Non si riesce quasi a concepireperchè si debba ricorrere alla dinamite. Vista invece disezione, nella scavatura d'un traforo, le foglie diventanoun accessorio. Si vede la mastodontica ossatura d'unaroccaforte di pali e di travate, rinforzata con miliardi ditraversine ferroviarie ed altri miliardi di graticciate, iltutto riempito di zavorra e solidamente legato con chilo-metri e chilometri di funi che vanno dallo spessore dellegomene di transatlantico alle cordicelle dei pasticcieri,

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Page 116: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

ma così fitte, così aggrovigliate, così zeppe di nodi e dicavicchi che si comprende come una scarica di melinitevi debba fare meno danni che dentro una roccia.

Mentre i boscaioli meticci dispongono le mine, in nu-mero d'oltre duecento, gli indigeni appiccano fuocotutt'intorno ad un centinaio d'alberi. Quando i braceri ar-dono bene e le fiamme favorite dalle resine incomincia-no a salire dai tronchi verso l'intreccio dei rami, un tam-buro ordina a tutti d'allontanarsi a considerevole distan-za.

Aspettiamo. Il rullo fa pensare ad un attacco immi-nente ed è infatti una battaglia. Il vento soffia sullefiamme, ma l'umidità e la compattezza della foresta sioppongono alla sua avanzata. Il fumo nero e denso in-cappuccia sinistramente la colossale catasta. Le minesono appunto destinate ad aprire le strade al fuoco ebrilleranno quando le torcie periferiche avranno avvi-luppato intorno al blocco vegetale una cortina di vampe.

Il cratere fumante del Lavoe pare irridere la debolez-za degli uomini che con cento bracieri non riescono adistruggere mille metri di jungla.

Le lave balenano al sole. Nell'ardore del riverberoequatoriale le fiamme sembrano bianche. L'occhio sten-ta a seguirne il cammino. Il sepolcro dell'ultima Van derSelder domina l'orizzonte col suo memento.

Una detonazione secca, seguita da un tiro rapido dimitragliatrice, annunzia l'accendersi dei primi tubi di ge-latina, poi l'alto silenzio è squassato da una scarica vio-

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ma così fitte, così aggrovigliate, così zeppe di nodi e dicavicchi che si comprende come una scarica di melinitevi debba fare meno danni che dentro una roccia.

Mentre i boscaioli meticci dispongono le mine, in nu-mero d'oltre duecento, gli indigeni appiccano fuocotutt'intorno ad un centinaio d'alberi. Quando i braceri ar-dono bene e le fiamme favorite dalle resine incomincia-no a salire dai tronchi verso l'intreccio dei rami, un tam-buro ordina a tutti d'allontanarsi a considerevole distan-za.

Aspettiamo. Il rullo fa pensare ad un attacco immi-nente ed è infatti una battaglia. Il vento soffia sullefiamme, ma l'umidità e la compattezza della foresta sioppongono alla sua avanzata. Il fumo nero e denso in-cappuccia sinistramente la colossale catasta. Le minesono appunto destinate ad aprire le strade al fuoco ebrilleranno quando le torcie periferiche avranno avvi-luppato intorno al blocco vegetale una cortina di vampe.

Il cratere fumante del Lavoe pare irridere la debolez-za degli uomini che con cento bracieri non riescono adistruggere mille metri di jungla.

Le lave balenano al sole. Nell'ardore del riverberoequatoriale le fiamme sembrano bianche. L'occhio sten-ta a seguirne il cammino. Il sepolcro dell'ultima Van derSelder domina l'orizzonte col suo memento.

Una detonazione secca, seguita da un tiro rapido dimitragliatrice, annunzia l'accendersi dei primi tubi di ge-latina, poi l'alto silenzio è squassato da una scarica vio-

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lenta ed un po' sorda, come lo schianto d'una caldaia didreadnought nelle profondità marine.

Per un istante nulla è cambiato nella foresta. Vediamoun uccello partire freneticamente verso l'azzurro, un cor-rere di scimmie in alto alle ultime foglie... poi è un crol-lo di scenarii. Folti ammassi di fogliame si inclinano tut-ti d'un verso, restano un momento in bilico, sostenutidalle impalcature interne, s'abbassano a strattoni, frana-no, rovinano. Certi tronchi s'innalzano verticalmentecome cocche di vascelli silurati. La foresta fa pensareall'oceano. Il fumo assume la tragica maestà d'una nuvo-la che sia scesa fino al livello della terra. Il fuoco s'intru-fola negli spazi vuoti ad attaccare i cordami. Le resinediffondono uno strano odore d'incenso.

L'incendio durerà trenta giorni, forse sessanta, poi civorranno ancora tre mesi per incenerire sistematicamen-te tutti i residui. Altre mine scalzeranno in profondità leradici. I temporali s'incaricheranno d'impastare le cenericol terriccio. Duecento uomini lavoreranno ogni giornodi zappa e di vomere per preparare il suolo ad una primasemina di parassiti.

Van der Selder dirige personalmente l'operazione cheil suo bisavolo incominciò centoventi anni fa e che nonè ancora finita. Alle nostre spalle ondeggiano le canneda zucchero che erano foresta, tremolano le piantagionidi caffè e di cassia che erano foresta, i giganti della gut-taperca fanno corona ai comignoli delle tre fabbricheche erano foresta...

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lenta ed un po' sorda, come lo schianto d'una caldaia didreadnought nelle profondità marine.

Per un istante nulla è cambiato nella foresta. Vediamoun uccello partire freneticamente verso l'azzurro, un cor-rere di scimmie in alto alle ultime foglie... poi è un crol-lo di scenarii. Folti ammassi di fogliame si inclinano tut-ti d'un verso, restano un momento in bilico, sostenutidalle impalcature interne, s'abbassano a strattoni, frana-no, rovinano. Certi tronchi s'innalzano verticalmentecome cocche di vascelli silurati. La foresta fa pensareall'oceano. Il fumo assume la tragica maestà d'una nuvo-la che sia scesa fino al livello della terra. Il fuoco s'intru-fola negli spazi vuoti ad attaccare i cordami. Le resinediffondono uno strano odore d'incenso.

L'incendio durerà trenta giorni, forse sessanta, poi civorranno ancora tre mesi per incenerire sistematicamen-te tutti i residui. Altre mine scalzeranno in profondità leradici. I temporali s'incaricheranno d'impastare le cenericol terriccio. Duecento uomini lavoreranno ogni giornodi zappa e di vomere per preparare il suolo ad una primasemina di parassiti.

Van der Selder dirige personalmente l'operazione cheil suo bisavolo incominciò centoventi anni fa e che nonè ancora finita. Alle nostre spalle ondeggiano le canneda zucchero che erano foresta, tremolano le piantagionidi caffè e di cassia che erano foresta, i giganti della gut-taperca fanno corona ai comignoli delle tre fabbricheche erano foresta...

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Una fanciulla dorme coi suoi capelli biondi sotto unalastra bianca. Il rombo delle mine dev'essere dolce alcuore del padre come un canto di vendetta...

Gli scoppi hanno messo a nudo un gigantesco ficusindica. Intorno al tronco centrale, di dieci metri di dia-metro, cento altri tronchi secondarli, generati dalla me-desima radice, intrecciano le loro travate, quasi per dire:di qui non si passa. Il vecchio ordina di far saltare la cat-tedrale. Rughe cattive oscurano la sua fronte di lottatore.

Un colono colloca nello spacco d'un tronco un grossotubo di fulmicotone che agisce a comando elettrico, maquando la saetta scocca con un fragore d'inferno facendostrage dei piloni, la colonna centrale resta al suo posto.Solo le foglie hanno subito lo scempio sfrondandosicome pel sopraggiungere d'un istantaneo inverno. Le ra-dici non hanno mollato la stretta secolare ed il tronco,abituato forse alle più terribili saette del cielo, resta alsuo posto. Bisogna ricominciare.

Nello splendore del meriggio equatoriale la piccolascena evoca le battaglie dell'uomo delle epoche primiti-ve.

Il fumo avviluppa l'alta statura dei coloni in nembi dipece. Il vento sfiocca le foglie bruciate. Le orchidee sel-vaggie scompaiono nei bracieri come farfalle.

Un sorriso caparbio illumina il volto maschio del Vander Selder. Veggo il medesimo sorriso sulle labbra deicoloni bianchi. Meticci ed indigeni seguono invece congli occhi imbambolati la resistenza della foresta. Hannopaura. Le due espressioni classificano le due razze.

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Una fanciulla dorme coi suoi capelli biondi sotto unalastra bianca. Il rombo delle mine dev'essere dolce alcuore del padre come un canto di vendetta...

Gli scoppi hanno messo a nudo un gigantesco ficusindica. Intorno al tronco centrale, di dieci metri di dia-metro, cento altri tronchi secondarli, generati dalla me-desima radice, intrecciano le loro travate, quasi per dire:di qui non si passa. Il vecchio ordina di far saltare la cat-tedrale. Rughe cattive oscurano la sua fronte di lottatore.

Un colono colloca nello spacco d'un tronco un grossotubo di fulmicotone che agisce a comando elettrico, maquando la saetta scocca con un fragore d'inferno facendostrage dei piloni, la colonna centrale resta al suo posto.Solo le foglie hanno subito lo scempio sfrondandosicome pel sopraggiungere d'un istantaneo inverno. Le ra-dici non hanno mollato la stretta secolare ed il tronco,abituato forse alle più terribili saette del cielo, resta alsuo posto. Bisogna ricominciare.

Nello splendore del meriggio equatoriale la piccolascena evoca le battaglie dell'uomo delle epoche primiti-ve.

Il fumo avviluppa l'alta statura dei coloni in nembi dipece. Il vento sfiocca le foglie bruciate. Le orchidee sel-vaggie scompaiono nei bracieri come farfalle.

Un sorriso caparbio illumina il volto maschio del Vander Selder. Veggo il medesimo sorriso sulle labbra deicoloni bianchi. Meticci ed indigeni seguono invece congli occhi imbambolati la resistenza della foresta. Hannopaura. Le due espressioni classificano le due razze.

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Forse i poveri malesi pensano agli spiriti cattivi edalle potenze invincibili della jungla, alle canzoni dellaforesta, ai racconti delle capanne. La loro anima sempli-ce aspetta che i genii della terra rispondano al fulmico-tone di Van der Selder con le lave del Lavoe.

Sulla foresta in fiamme le sirene della distilleria lan-ciano il consueto segnale di mezzogiorno. È l'ora delriso. Il vento porta per le lontananze dell'Equatore l'urlogioioso della civiltà conquistatrice.

Chissà se arriva fin dentro al bianco sepolcretodell'ultima Van der Selder?

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Forse i poveri malesi pensano agli spiriti cattivi edalle potenze invincibili della jungla, alle canzoni dellaforesta, ai racconti delle capanne. La loro anima sempli-ce aspetta che i genii della terra rispondano al fulmico-tone di Van der Selder con le lave del Lavoe.

Sulla foresta in fiamme le sirene della distilleria lan-ciano il consueto segnale di mezzogiorno. È l'ora delriso. Il vento porta per le lontananze dell'Equatore l'urlogioioso della civiltà conquistatrice.

Chissà se arriva fin dentro al bianco sepolcretodell'ultima Van der Selder?

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Montanari Teng

TOSARI, 15 marzo.

Arrivati ieri sera a Poespo, villaggio incassato fra duemontagne, abbiamo avuto la sgradita sorpresa di trovareil piccolo albergo olandese zeppo fino ai classici bigliar-di, sui quali due disgraziati col mal di fegato, univanofraternamente i gemiti ed i moccoli di una colica epati-ca.

O dormire alla bella stella od accettare l'offerta di unindigeno addetto all'albergo che ci offriva la sua capan-na. In mancanza di meglio, abbiamo accettato di passarela notte su una stuoia di cocco, dentro una casa di bam-bù.

La stuoia non era a contatto diretto della terra, ma ste-sa all'uso giavanese sopra una specie di telaio di canne,che per gli indigeni supera in mollezza tutti i nostri ma-terassi. Noi, svegliati stamane dai galli, con le ossa pestee le membra ammaccate, non siamo del medesimo pare-re, ma deve essere evidentemente questione di abitudi-ne.

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Montanari Teng

TOSARI, 15 marzo.

Arrivati ieri sera a Poespo, villaggio incassato fra duemontagne, abbiamo avuto la sgradita sorpresa di trovareil piccolo albergo olandese zeppo fino ai classici bigliar-di, sui quali due disgraziati col mal di fegato, univanofraternamente i gemiti ed i moccoli di una colica epati-ca.

O dormire alla bella stella od accettare l'offerta di unindigeno addetto all'albergo che ci offriva la sua capan-na. In mancanza di meglio, abbiamo accettato di passarela notte su una stuoia di cocco, dentro una casa di bam-bù.

La stuoia non era a contatto diretto della terra, ma ste-sa all'uso giavanese sopra una specie di telaio di canne,che per gli indigeni supera in mollezza tutti i nostri ma-terassi. Noi, svegliati stamane dai galli, con le ossa pestee le membra ammaccate, non siamo del medesimo pare-re, ma deve essere evidentemente questione di abitudi-ne.

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La prima colazione è servita fuori dalla capanna dalletre mogli dell'anfitrione, il quale, per essere da diecianni cameriere del primo ed unico albergo di Poespo, hatenuto a trattarci con tutte le regole del perfetto alberga-tore. Sopra un'altra stuoia di cocco che funge da sala dapranzo, sono i vassoi carichi d'ogni ben dell'Equatore.Ci sono perfino delle frittelle fumanti, ma rinunziamoad esplorarne il mistero contentandoci di latte, banane,manghi e focaccie di riso.

Le tre donne ci guardano mangiare sorridendo coidenti neri: tre età, venti, trenta e quarant'anni, tre tappedella vita coniugale del comune signore. I loro «sar-rong» ricamati sono nuovi e graziosi, abiti di festa tiratifuori per l'occasione dal baule a placche di rame madein Germania che è la immancabile dote d'ogni ragazzamalese. Sotto la mussola bianca i rilievi del seno indica-no la data dei tre matrimoni senza bisogno d'interrogarei visi. I fiori di Giava avvizziscono presto ma nella pri-mavera le corolle erette hanno tutta la grazia e la poten-za dell'Equatore.

Invece di vasellame abbiamo piattini di palma e fo-glie d'albero, invece di cucchiai e coltelli, un pacco diferretti, di quelli che adoperavano le nostre nonne perscalzettare.

Diversi bufali ed un cane si riuniscono ad ammirarel'insolita riunione. Il sole si alza lentamente dietro i con-trafforti del Paserpan ad indorare i monti e le valli. Ilquadro non è privo di georgica bellezza e senza l'incon-venienza del telaio di canne indurrebbe a tener compa-

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La prima colazione è servita fuori dalla capanna dalletre mogli dell'anfitrione, il quale, per essere da diecianni cameriere del primo ed unico albergo di Poespo, hatenuto a trattarci con tutte le regole del perfetto alberga-tore. Sopra un'altra stuoia di cocco che funge da sala dapranzo, sono i vassoi carichi d'ogni ben dell'Equatore.Ci sono perfino delle frittelle fumanti, ma rinunziamoad esplorarne il mistero contentandoci di latte, banane,manghi e focaccie di riso.

Le tre donne ci guardano mangiare sorridendo coidenti neri: tre età, venti, trenta e quarant'anni, tre tappedella vita coniugale del comune signore. I loro «sar-rong» ricamati sono nuovi e graziosi, abiti di festa tiratifuori per l'occasione dal baule a placche di rame madein Germania che è la immancabile dote d'ogni ragazzamalese. Sotto la mussola bianca i rilievi del seno indica-no la data dei tre matrimoni senza bisogno d'interrogarei visi. I fiori di Giava avvizziscono presto ma nella pri-mavera le corolle erette hanno tutta la grazia e la poten-za dell'Equatore.

Invece di vasellame abbiamo piattini di palma e fo-glie d'albero, invece di cucchiai e coltelli, un pacco diferretti, di quelli che adoperavano le nostre nonne perscalzettare.

Diversi bufali ed un cane si riuniscono ad ammirarel'insolita riunione. Il sole si alza lentamente dietro i con-trafforti del Paserpan ad indorare i monti e le valli. Ilquadro non è privo di georgica bellezza e senza l'incon-venienza del telaio di canne indurrebbe a tener compa-

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Page 122: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

gnia all'harem tutta la giornata, rinviando a domani lapartenza per Tosari.

Invece partiamo. Le tre donne sorridono nel lasciarci.Un bufalo tiene ad accompagnarci un pezzo di strada,fin quasi in vista dell'albergo.

Stiamo per montare in automobile, quando il proprie-tario della locanda, un belga di razza fiamminga, si pre-cipita dinnanzi alle ruote con una misteriosa bottiglia.

— Un bicchiere del mio liquore, fatto con le erbe del-la jungla.

— Vada pel cicchetto!È di buon umore il signor Tawaer, pardon, Van Ta-

waer. Fra parentesi tutti gli olandesi che ho conosciuto aGiava sono Van. Deve essere una malattia coloniale. Gliaffari prosperano all'albergo di Poespo che è tappa ob-bligatoria per tutti i disgraziati che si recano al sanatoriodi Tosari, clientela di tisici, di anemici, di epatici, didiarroici, di malarici, di mezz'ammazzati, che si ferma-no una notte soltanto senza far troppo caso al conto.

— Ho clienti che tornano ogni stagione da dieci anni.Accorre un cameriere ad informare che il numero

nove si sente molto male e non può proseguire il viag-gio.

— Un bicchierino del mio liquore lo rimetterà in pie-di, assicura il sor Tawaer, il quale deve essere abituatoad avere morti in albergo.

Sono le sette quando la nostra piccola auto, che parcostruita apposta per gli stradini delle montagne di Gia-

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gnia all'harem tutta la giornata, rinviando a domani lapartenza per Tosari.

Invece partiamo. Le tre donne sorridono nel lasciarci.Un bufalo tiene ad accompagnarci un pezzo di strada,fin quasi in vista dell'albergo.

Stiamo per montare in automobile, quando il proprie-tario della locanda, un belga di razza fiamminga, si pre-cipita dinnanzi alle ruote con una misteriosa bottiglia.

— Un bicchiere del mio liquore, fatto con le erbe del-la jungla.

— Vada pel cicchetto!È di buon umore il signor Tawaer, pardon, Van Ta-

waer. Fra parentesi tutti gli olandesi che ho conosciuto aGiava sono Van. Deve essere una malattia coloniale. Gliaffari prosperano all'albergo di Poespo che è tappa ob-bligatoria per tutti i disgraziati che si recano al sanatoriodi Tosari, clientela di tisici, di anemici, di epatici, didiarroici, di malarici, di mezz'ammazzati, che si ferma-no una notte soltanto senza far troppo caso al conto.

— Ho clienti che tornano ogni stagione da dieci anni.Accorre un cameriere ad informare che il numero

nove si sente molto male e non può proseguire il viag-gio.

— Un bicchierino del mio liquore lo rimetterà in pie-di, assicura il sor Tawaer, il quale deve essere abituatoad avere morti in albergo.

Sono le sette quando la nostra piccola auto, che parcostruita apposta per gli stradini delle montagne di Gia-

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Page 123: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

va, lascia Poespo. Attraversato il paesotto indigeno, laforesta equatoriale ci accoglie nella sua grande ombra.

I «sanatorii» in Asia sono dei luoghi in alta montagnanei quali un bianco, ridotto mal in arnese dal clima dellapianura e della costa, trova la temperatura d'Europa cheo l'ammazza subito, o con quattro scudisciate, lo rimettein gamba.

Più s'è vicini alla linea infernale dell'Equatore, più bi-sogna salire in alto. Il sanatorio di Tosari, per esempio, èa duemila metri, ma ve ne sono fino ai tremila. A tale al-tezza clima e vegetazione corrispondono agli ottocentodell'Appennino. A zero gradi sull'Equatore tutto è inproporzione. La neve avrebbe bisogno di seimila metriper consolidarsi, quindi le incipriate che di tanto in tantoaggraziano le alte vette del Tenger non resistono piùd'una settimana al bombardamento del sole. A mille ecinquecento i banani smettono d'arrampicarsi pei costo-ni della montagna e fanno apparizione le abetine d'Italia.Solo le felci conservano a qualunque altezza le fantasti-che dimensioni della zona equatoriale.

Alle stazioni climatiche dell'Asia torrida tocca la stes-sa sorte delle consorelle d'Europa. Vi sono luoghi i qualiper la simpatia di un lord o per la protezione di una ban-ca acquistano rapidamente una celebrità mondana cheaumenta il costo dei terreni ed il prezzo al metro cubod'aria fornito dagli albergatori; altri invece i quali con-servano modeste le tariffe e le dimensioni delle case. Aiprimi appartengono, per esempio, Simla e Dajerling,

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va, lascia Poespo. Attraversato il paesotto indigeno, laforesta equatoriale ci accoglie nella sua grande ombra.

I «sanatorii» in Asia sono dei luoghi in alta montagnanei quali un bianco, ridotto mal in arnese dal clima dellapianura e della costa, trova la temperatura d'Europa cheo l'ammazza subito, o con quattro scudisciate, lo rimettein gamba.

Più s'è vicini alla linea infernale dell'Equatore, più bi-sogna salire in alto. Il sanatorio di Tosari, per esempio, èa duemila metri, ma ve ne sono fino ai tremila. A tale al-tezza clima e vegetazione corrispondono agli ottocentodell'Appennino. A zero gradi sull'Equatore tutto è inproporzione. La neve avrebbe bisogno di seimila metriper consolidarsi, quindi le incipriate che di tanto in tantoaggraziano le alte vette del Tenger non resistono piùd'una settimana al bombardamento del sole. A mille ecinquecento i banani smettono d'arrampicarsi pei costo-ni della montagna e fanno apparizione le abetine d'Italia.Solo le felci conservano a qualunque altezza le fantasti-che dimensioni della zona equatoriale.

Alle stazioni climatiche dell'Asia torrida tocca la stes-sa sorte delle consorelle d'Europa. Vi sono luoghi i qualiper la simpatia di un lord o per la protezione di una ban-ca acquistano rapidamente una celebrità mondana cheaumenta il costo dei terreni ed il prezzo al metro cubod'aria fornito dagli albergatori; altri invece i quali con-servano modeste le tariffe e le dimensioni delle case. Aiprimi appartengono, per esempio, Simla e Dajerling,

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Page 124: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

dove per tre mesi all'anno stabiliscono le loro tende tuttii flirt rispettabili delle Indie britanniche; ai secondi lagiavanese Tosari, la quale non ha che tre alberghi di se-cond'ordine, benché, a mezza giornata appena da Bata-via e Surabaya, offra, in piena canicola equatoriale, latemperatura del Kreuzberg e di Val d'Agordo. Si aggiun-ga che il panorama di Simla sta a quello di Tosari comeuna cartolina illustrata ad un paesaggio vero; ma Simlaè Simla!

— Siete stata in Europa, quest'anno? Ad Ostenda? AScheveningen?

— No, ma sono andata a Simla,Una signora di Batavia che dicesse alle sue amiche

del Nederlandia Golf Club d'aver passato l'estate a Tosa-ri, si sentirebbe degradata al livello d'un coolye cinese.

Io che non sono socio del Nederlandia Golf Club,sono entusiasta di Tosari. Immaginate che dalla fornacedi Jokakarta si giunge comodamente con poche ored'automobile in un nitido albergo d'alta montagna dovesi rivedono, fra le altre vecchie conoscenze, le copertedi lana sul letto, dove soffia una brezza montanina chevi mette a nuovo i polmoni, vi sferza il sangue, vi risve-glia la giovinezza, vi fa istantaneamente desiderare unpiatto di pasta asciutta ed una bistecca sanguinolente.

Solo chi da lungo tempo si stempera nella perenneumidità giavanese, coi panni addosso sempre sudati edappiccicosi, con un peso sul petto che non si sa che cosasia, ma che comprime, con un cerchio alle tempie checontinua a stringere nonostante il piramidone, con una

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dove per tre mesi all'anno stabiliscono le loro tende tuttii flirt rispettabili delle Indie britanniche; ai secondi lagiavanese Tosari, la quale non ha che tre alberghi di se-cond'ordine, benché, a mezza giornata appena da Bata-via e Surabaya, offra, in piena canicola equatoriale, latemperatura del Kreuzberg e di Val d'Agordo. Si aggiun-ga che il panorama di Simla sta a quello di Tosari comeuna cartolina illustrata ad un paesaggio vero; ma Simlaè Simla!

— Siete stata in Europa, quest'anno? Ad Ostenda? AScheveningen?

— No, ma sono andata a Simla,Una signora di Batavia che dicesse alle sue amiche

del Nederlandia Golf Club d'aver passato l'estate a Tosa-ri, si sentirebbe degradata al livello d'un coolye cinese.

Io che non sono socio del Nederlandia Golf Club,sono entusiasta di Tosari. Immaginate che dalla fornacedi Jokakarta si giunge comodamente con poche ored'automobile in un nitido albergo d'alta montagna dovesi rivedono, fra le altre vecchie conoscenze, le copertedi lana sul letto, dove soffia una brezza montanina chevi mette a nuovo i polmoni, vi sferza il sangue, vi risve-glia la giovinezza, vi fa istantaneamente desiderare unpiatto di pasta asciutta ed una bistecca sanguinolente.

Solo chi da lungo tempo si stempera nella perenneumidità giavanese, coi panni addosso sempre sudati edappiccicosi, con un peso sul petto che non si sa che cosasia, ma che comprime, con un cerchio alle tempie checontinua a stringere nonostante il piramidone, con una

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voglia quasi rabbiosa di sentire una ventata diaccia sullapelle accaldata, col desiderio ossessionante d'un suicidioper congelamento, solo uno di questi disgraziati puòcomprendere la nostra felicità quando, giunti a Tosari edentrati nell'atrio del primo albergo, vediamo nel caminoun allegro fuoco di legna che ci saluta col cigolìo solen-ne d'un ceppo e collo scoppiettìo birichino d'un pugno disarmenti.

Dedichiamo la giornata a Tosari che ci compensa coninfinite cortesie. La Provvidenza, nella sua immensabontà, ha condotto fin quassù un grossetano che esercitala nobile professione del cuoco proprio nel nostro alber-go.

— Avete spaghetti?— No, ma vi condisco una polenta da leccarsi le dita.C'è dunque ancora della polenta al mondo?Tosari è in vena di follie. Dopo la polenta ci offre fra-

gole, lamponi ed uva spina, una pineta selvaggia, un fio-re d'edelweiss, pascoli d'Alpe con mandrie di vacche,una sfarinata di neve sulla vetta più alta del Tenger(3800 metri), macchie di mirtilli, ciuffi di valeriane, cer-ti sfondi di boschi sotto un costone di roccia rossa chefanno pensare alla strada delle Dolomiti.

A quest'altezza le piante riprendono le proporzionidella flora europea; i tronchi si raccorciano, le foglierimpiccioliscono, il verde perde la lucentezza oleosa deiverdi equatoriali, tutta la vegetazione assume un aspettopiù modesto che per noi è pieno di grazia famigliare. Ri-conosciamo le nostre piante, le nostre foglie, e ci fa pia-

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voglia quasi rabbiosa di sentire una ventata diaccia sullapelle accaldata, col desiderio ossessionante d'un suicidioper congelamento, solo uno di questi disgraziati puòcomprendere la nostra felicità quando, giunti a Tosari edentrati nell'atrio del primo albergo, vediamo nel caminoun allegro fuoco di legna che ci saluta col cigolìo solen-ne d'un ceppo e collo scoppiettìo birichino d'un pugno disarmenti.

Dedichiamo la giornata a Tosari che ci compensa coninfinite cortesie. La Provvidenza, nella sua immensabontà, ha condotto fin quassù un grossetano che esercitala nobile professione del cuoco proprio nel nostro alber-go.

— Avete spaghetti?— No, ma vi condisco una polenta da leccarsi le dita.C'è dunque ancora della polenta al mondo?Tosari è in vena di follie. Dopo la polenta ci offre fra-

gole, lamponi ed uva spina, una pineta selvaggia, un fio-re d'edelweiss, pascoli d'Alpe con mandrie di vacche,una sfarinata di neve sulla vetta più alta del Tenger(3800 metri), macchie di mirtilli, ciuffi di valeriane, cer-ti sfondi di boschi sotto un costone di roccia rossa chefanno pensare alla strada delle Dolomiti.

A quest'altezza le piante riprendono le proporzionidella flora europea; i tronchi si raccorciano, le foglierimpiccioliscono, il verde perde la lucentezza oleosa deiverdi equatoriali, tutta la vegetazione assume un aspettopiù modesto che per noi è pieno di grazia famigliare. Ri-conosciamo le nostre piante, le nostre foglie, e ci fa pia-

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Page 126: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

cere come se in una fantasia cinematografica ricono-scessimo la strada che di tutte è la più cara perchèl'abbiamo guardata da bambini col naso appoggiato aivetri quando la vita incominciava...

A sera, mentre pian piano il sole spegne le sue fiacco-le sulle coste dei monti per concentrare tutto l'oro nellevalli, ed il mare sfuma in lontananza la sua azzurra im-mensità, le montagne di Giava organizzano per noi unmeraviglioso concerto. Le vacche e le pecore tornanodai pascoli alti alle stalle di Tosari. Certo i mandrianihanno sul volto il marchio dell'Asia ardente, ma noi nonli vediamo. Ascoltiamo solo la musica dei campanacci, ifischi dei pastori, i latrati dei cani, il belato tremulo de-gli armenti, il mugghio di qualche toro ribelle. A chiu-dere gli occhi ci si crederebbe sui mammelloni dellaValle d'Aosta, quando il sole d'Italia si rimpiatta tra duefiancate del Monte Bianco e le bestie scendono dai mag-gesi guidate dai cani sapienti che sono nati per fare icapi-popolo.

La nostalgia delle Alpi invade inavvertitamente lospirito con singolare potenza, avvinghia l'anima e lastringe fino a farle male.

Se i rintocchi d'una pieve trasvolassero per le lonta-nanze, la sinfonia delle montagne sarebbe troppo dolo-rosa pel vagabondo che non ha dimenticata la patria, mail cristianesimo è rappresentato a Tosali solo da unachiesetta presbiteriana senza campana.

Lente le ombre scendono dai picchi alle valli. Dimano in mano che la porpora si ritira, il cerchio dei

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cere come se in una fantasia cinematografica ricono-scessimo la strada che di tutte è la più cara perchèl'abbiamo guardata da bambini col naso appoggiato aivetri quando la vita incominciava...

A sera, mentre pian piano il sole spegne le sue fiacco-le sulle coste dei monti per concentrare tutto l'oro nellevalli, ed il mare sfuma in lontananza la sua azzurra im-mensità, le montagne di Giava organizzano per noi unmeraviglioso concerto. Le vacche e le pecore tornanodai pascoli alti alle stalle di Tosari. Certo i mandrianihanno sul volto il marchio dell'Asia ardente, ma noi nonli vediamo. Ascoltiamo solo la musica dei campanacci, ifischi dei pastori, i latrati dei cani, il belato tremulo de-gli armenti, il mugghio di qualche toro ribelle. A chiu-dere gli occhi ci si crederebbe sui mammelloni dellaValle d'Aosta, quando il sole d'Italia si rimpiatta tra duefiancate del Monte Bianco e le bestie scendono dai mag-gesi guidate dai cani sapienti che sono nati per fare icapi-popolo.

La nostalgia delle Alpi invade inavvertitamente lospirito con singolare potenza, avvinghia l'anima e lastringe fino a farle male.

Se i rintocchi d'una pieve trasvolassero per le lonta-nanze, la sinfonia delle montagne sarebbe troppo dolo-rosa pel vagabondo che non ha dimenticata la patria, mail cristianesimo è rappresentato a Tosali solo da unachiesetta presbiteriana senza campana.

Lente le ombre scendono dai picchi alle valli. Dimano in mano che la porpora si ritira, il cerchio dei

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monti diventa cupo, nordico, alpestre. L'Equatore è lon-tano assai. La musica delle campanelle digrada, si smor-za, si esaurisce. Pare che le mandrie siano partite lonta-no, verso i luoghi cari evocati dalla nostalgia. Il crepu-scolo è pieno di fascino alpino. Il vento porta un odoredi pini e d'abeti al quale non siamo più abituati. L'animasdrucciola verso i ricordi. Una acquata si avvicina. Latristezza affiora alla superficie....

Fortunatamente ci avvertono... che la polenta è pron-ta.

La moderna Tosari è formata di tre alberghi europei,d'una ventina di case e di un centinaio di casupole, tutteabitate da gente bianca, meticcia o nera che, in un sensoo nell'altro, ha da fare col Sanatorio.

La vecchia Tosari è sdegnosamente appartata in cimaad un greppo. Si tratta di una cinquantina di capanne dilegno. Uno steccato di bambù, che da lontano assumel'importanza d'un muro di cinta, protegge il villaggiodalle bestie della montagna e dalla curiosità dei viaggia-tori. Il paese è abitato dai Teng, interessantissima tribùdella montagna giavanese, disseminata nell'altipiano.Secondo le statistiche olandesi i Teng sarebbero dieci-mila, ma i rapporti fra i montanari e i funzionari dellaRegina Guglielmina sono così superficiali che non so suquali dati si basino le statistiche.

I Teng non sono nè giavanesi, nè dacota, nè cinesi, nèindiani. Assai probabilmente sono gli ultimi discendentid'una razza aborigena della Sonda, distrutta dalle inva-

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monti diventa cupo, nordico, alpestre. L'Equatore è lon-tano assai. La musica delle campanelle digrada, si smor-za, si esaurisce. Pare che le mandrie siano partite lonta-no, verso i luoghi cari evocati dalla nostalgia. Il crepu-scolo è pieno di fascino alpino. Il vento porta un odoredi pini e d'abeti al quale non siamo più abituati. L'animasdrucciola verso i ricordi. Una acquata si avvicina. Latristezza affiora alla superficie....

Fortunatamente ci avvertono... che la polenta è pron-ta.

La moderna Tosari è formata di tre alberghi europei,d'una ventina di case e di un centinaio di casupole, tutteabitate da gente bianca, meticcia o nera che, in un sensoo nell'altro, ha da fare col Sanatorio.

La vecchia Tosari è sdegnosamente appartata in cimaad un greppo. Si tratta di una cinquantina di capanne dilegno. Uno steccato di bambù, che da lontano assumel'importanza d'un muro di cinta, protegge il villaggiodalle bestie della montagna e dalla curiosità dei viaggia-tori. Il paese è abitato dai Teng, interessantissima tribùdella montagna giavanese, disseminata nell'altipiano.Secondo le statistiche olandesi i Teng sarebbero dieci-mila, ma i rapporti fra i montanari e i funzionari dellaRegina Guglielmina sono così superficiali che non so suquali dati si basino le statistiche.

I Teng non sono nè giavanesi, nè dacota, nè cinesi, nèindiani. Assai probabilmente sono gli ultimi discendentid'una razza aborigena della Sonda, distrutta dalle inva-

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sioni storiche di Giava. i quali si sono salvati ritirandosinell'alta jungla al di sopra dei duemila metri. Di carna-gione scura, molto più scura dei giavanesi, ricordano,anche pel vigore delle membra e per l'alta statura, imontanari del Tibet. Non conoscono però nè Buddha, nèMaometto. La loro religione è un misto di brahmanesi-mo e di feticismo con una accentuata adorazione delfuoco che fa pensare a Zoroastro. Il loro Dio principaleè il Siva delle Indie, ma ignorano gli altri due personag-gi della Trimurti. Invece di Brahma e di Visnù, veneranouna serie di divinità femminili, le dewas, la cui profes-sione è di tener compagnia a Siva nei crateri dei vulcanied un certo numero di «eroi» non meglio identificati chesarebbero gli antenati dei Teng.

Ogni villaggio è amministrato patriarcalmente da unCapo che è anche il prete ed il medico della comunità.All'inizio di ogni stagione tutti i Capi, accompagnati dauna rappresentanza del villaggio, si riuniscono in unaspecie di grande assemblea – lo Slamatam – nel crateredel Dasar.

Il dialetto teng non è capito nè dai giavanesi, nè daidacota. Un professore olandese che è quassù a curarsiuna enterocolite buscata in quel di Borneo, m'assicurache la lingua dei Teng rassomiglia ai dialetti delle tribùinterne delle Molucche. Non ho difficoltà a credergli,però, per conto mio, stamane ho sentito un teng litigaree m'ha fatto l'impressione che miagolasse, anzi ogni tan-to, nel colmo dell'indignazione, ho visto che soffiava tre

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sioni storiche di Giava. i quali si sono salvati ritirandosinell'alta jungla al di sopra dei duemila metri. Di carna-gione scura, molto più scura dei giavanesi, ricordano,anche pel vigore delle membra e per l'alta statura, imontanari del Tibet. Non conoscono però nè Buddha, nèMaometto. La loro religione è un misto di brahmanesi-mo e di feticismo con una accentuata adorazione delfuoco che fa pensare a Zoroastro. Il loro Dio principaleè il Siva delle Indie, ma ignorano gli altri due personag-gi della Trimurti. Invece di Brahma e di Visnù, veneranouna serie di divinità femminili, le dewas, la cui profes-sione è di tener compagnia a Siva nei crateri dei vulcanied un certo numero di «eroi» non meglio identificati chesarebbero gli antenati dei Teng.

Ogni villaggio è amministrato patriarcalmente da unCapo che è anche il prete ed il medico della comunità.All'inizio di ogni stagione tutti i Capi, accompagnati dauna rappresentanza del villaggio, si riuniscono in unaspecie di grande assemblea – lo Slamatam – nel crateredel Dasar.

Il dialetto teng non è capito nè dai giavanesi, nè daidacota. Un professore olandese che è quassù a curarsiuna enterocolite buscata in quel di Borneo, m'assicurache la lingua dei Teng rassomiglia ai dialetti delle tribùinterne delle Molucche. Non ho difficoltà a credergli,però, per conto mio, stamane ho sentito un teng litigaree m'ha fatto l'impressione che miagolasse, anzi ogni tan-to, nel colmo dell'indignazione, ho visto che soffiava tre

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o quattro volte di seguito contro l'avversario, propriocome fanno i micioni quando sono fuori dei gangheri.

I Teng hanno fama di gente onesta, mite, coraggiosa.Il furto è per loro un delitto e l'adulterio sarebbe a quan-to mi dicono, sconosciuto! Naturalmente lascio la re-sponsabilità di quest'ultima gravissima affermazione almio autorevole informatore, professor Van den Mulder.

Il nostro albergatore, il quale per essere un forte con-sumatore di latte e d'altri prodotti dei Teng, è in eccel-lenti rapporti con la tribù, ha organizzato per stanotte

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SURABAYA – La passeggiata di Simpang.

o quattro volte di seguito contro l'avversario, propriocome fanno i micioni quando sono fuori dei gangheri.

I Teng hanno fama di gente onesta, mite, coraggiosa.Il furto è per loro un delitto e l'adulterio sarebbe a quan-to mi dicono, sconosciuto! Naturalmente lascio la re-sponsabilità di quest'ultima gravissima affermazione almio autorevole informatore, professor Van den Mulder.

Il nostro albergatore, il quale per essere un forte con-sumatore di latte e d'altri prodotti dei Teng, è in eccel-lenti rapporti con la tribù, ha organizzato per stanotte

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SURABAYA – La passeggiata di Simpang.

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una gita in massa della clientela nel cratere del Dasarper assistere ad uno Slamatam.

Non starò a descrivervi nè il viaggetto notturno finoal cratere, nè le precauzioni prese per raggiungere unpoggetto senza destare i sospetti dei bravi Teng, i quali,quando sono in Slamatam, non vogliono spettatori. Fraparentesi credo che i Teng e l'albergatore siano d'accor-do su questa messa in scena che giustifica il prezzo diquaranta fiorini, altrimenti solo le pietre che abbiamofatto rotolare a valle avrebbero dato l'allarme a una po-polazione di sordomuti!

Lo Slamatam dei Teng è certo una delle cose più stra-ne che abbia visto nella mia vita di vagabondo, ma nellaquasi totale mia ignoranza sui Teng e sulle loro abitudi-ni, non saprei come illustrarvi questo antichissimo ritoequatoriale. L'emerito professore olandese sul qualeavevo fatto assegnamento per fare bella figura ha l'ariadi... saperne quanto me. Dell'albergatore non c'è da fi-darsi perchè tira a sparare.

In fondo ciò che m'ha colpito è il quadro. Eccovelo:Il Dasar è il più grande cratere del mondo. Qualsiasi

trattato di vulcanologia ve ne darà quindi i caratteriscientifici. Al chiar di luna io lo vedo sotto l'aspettod'una gigantesca vallata di carbon fossile nella qualesorgono diversi alti castelli di pece, in cima ad uno deiquali è acceso un faro. L'emerito professore m'insegnache quel faro è il Bromo, cratere attivo. I castelli sono lebocche spente del Dasar.

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una gita in massa della clientela nel cratere del Dasarper assistere ad uno Slamatam.

Non starò a descrivervi nè il viaggetto notturno finoal cratere, nè le precauzioni prese per raggiungere unpoggetto senza destare i sospetti dei bravi Teng, i quali,quando sono in Slamatam, non vogliono spettatori. Fraparentesi credo che i Teng e l'albergatore siano d'accor-do su questa messa in scena che giustifica il prezzo diquaranta fiorini, altrimenti solo le pietre che abbiamofatto rotolare a valle avrebbero dato l'allarme a una po-polazione di sordomuti!

Lo Slamatam dei Teng è certo una delle cose più stra-ne che abbia visto nella mia vita di vagabondo, ma nellaquasi totale mia ignoranza sui Teng e sulle loro abitudi-ni, non saprei come illustrarvi questo antichissimo ritoequatoriale. L'emerito professore olandese sul qualeavevo fatto assegnamento per fare bella figura ha l'ariadi... saperne quanto me. Dell'albergatore non c'è da fi-darsi perchè tira a sparare.

In fondo ciò che m'ha colpito è il quadro. Eccovelo:Il Dasar è il più grande cratere del mondo. Qualsiasi

trattato di vulcanologia ve ne darà quindi i caratteriscientifici. Al chiar di luna io lo vedo sotto l'aspettod'una gigantesca vallata di carbon fossile nella qualesorgono diversi alti castelli di pece, in cima ad uno deiquali è acceso un faro. L'emerito professore m'insegnache quel faro è il Bromo, cratere attivo. I castelli sono lebocche spente del Dasar.

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Secondo i Teng invece quel fuoco è lo spirito di Siva,il quale abita nel cratere in compagnia delle famosedewa, perciò essi chiamano la montagna «Dio» parolache, nella loro lingua, si pronunzia «Bromo».

Nel cielo sono accesi tutti i globi e le luci dell'Equa-tore, ed è notte di gala. Forse lassù è ancora carnevale, agiudicare almeno dalle stelle filanti e dalle serpentineche sgaiano nello spazio. La luna che sale dal mare, frail vulcano Ardiòno ed il vulcano Kàwi, è velata da unasfilacciatura di nuvolaglie, ma quando, fra uno strappo el'altro, appare per intero la sua livida maschera di pa-gliaccia, tutta la valle di carbon fossile ha un magicobrivido d'argento.

Allora in fondo si mostra quale essa è realmente,mare di sabbia formato dalla millenaria agglomerazionedelle ceneri vulcaniche.

A duemila duecento metri d'altezza sul livellodell'oceano, questo fondo di mare spaventa per la suaparadossale esistenza.

Il nostro poggio è la garitta avanzata di una ciclopicaterrazza la quale circonda tutto il cratere e termina bru-scamente a strapiombo, senza parapetto, con un salto ditrecento metri.

Pare d'essere in un teatro, in un teatro della luna!Sulle pareti verticali i vulcani si sono divertiti a dise-

gnare con pece e mercurio una farragine d'epigrafi caba-listiche.

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Secondo i Teng invece quel fuoco è lo spirito di Siva,il quale abita nel cratere in compagnia delle famosedewa, perciò essi chiamano la montagna «Dio» parolache, nella loro lingua, si pronunzia «Bromo».

Nel cielo sono accesi tutti i globi e le luci dell'Equa-tore, ed è notte di gala. Forse lassù è ancora carnevale, agiudicare almeno dalle stelle filanti e dalle serpentineche sgaiano nello spazio. La luna che sale dal mare, frail vulcano Ardiòno ed il vulcano Kàwi, è velata da unasfilacciatura di nuvolaglie, ma quando, fra uno strappo el'altro, appare per intero la sua livida maschera di pa-gliaccia, tutta la valle di carbon fossile ha un magicobrivido d'argento.

Allora in fondo si mostra quale essa è realmente,mare di sabbia formato dalla millenaria agglomerazionedelle ceneri vulcaniche.

A duemila duecento metri d'altezza sul livellodell'oceano, questo fondo di mare spaventa per la suaparadossale esistenza.

Il nostro poggio è la garitta avanzata di una ciclopicaterrazza la quale circonda tutto il cratere e termina bru-scamente a strapiombo, senza parapetto, con un salto ditrecento metri.

Pare d'essere in un teatro, in un teatro della luna!Sulle pareti verticali i vulcani si sono divertiti a dise-

gnare con pece e mercurio una farragine d'epigrafi caba-listiche.

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L'orizzonte è chiuso all'intorno da alte montagne chefanno cerchio. Il cono del Semiroe (3700 metri) dominal'emiciclo col suo cratere che ogni tanto s'arrossa...

Nel chiarore lunare il «Bromo» sembra di cristallonero, il Semiroe di ferro arrugginito.

Si sente il respiro asmatico d'una zolfatara, ogni tantouno sbadiglio. Qualcuno, che non è animale e non èuomo, brontola. L'alto silenzio è turbato solo dai soffimisteriosi della terra.

Poi una processione di spettri bianchi si snoda sul ci-glione della terrazza titanica. Ogni fantasma ha una tor-cia accesa. Vengono alla mente certe lontane istoriedell'infanzia...

Sono i Teng che dopo la grande Assemblea fanno ilgiro dell'anfiteatro fin dove il bastione dirupa verso ilBromo. V'è là una strada pei caprai che conduce fino aipiedi dell'idolo e le fiaccole vi si spiegano a zig-zag. Ifantasmi sono molti, certo più di mille. Quando la testadella processione è già alle falde del Bromo ancora l'altaterrazza è tutta punteggiata di torcie camminanti.

Pian piano l'esercito degli spettri si raccoglie intornoal mostro dal sorriso di fuoco. Siamo troppo lontani perseguire le vicende della cerimonia: vediamo le fiaccolealzarsi, abbassarsi, roteare, saltellare ad un passo chedeve essere certamente di danza. Siva risponde ai suoiadoratori con un muggito cupo che l'eco sperde di golain gola nelle viscere dei monti. Si sente la respirazionefaticosa dell'idolo, ogni tanto un tonfo di sassi, uno

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L'orizzonte è chiuso all'intorno da alte montagne chefanno cerchio. Il cono del Semiroe (3700 metri) dominal'emiciclo col suo cratere che ogni tanto s'arrossa...

Nel chiarore lunare il «Bromo» sembra di cristallonero, il Semiroe di ferro arrugginito.

Si sente il respiro asmatico d'una zolfatara, ogni tantouno sbadiglio. Qualcuno, che non è animale e non èuomo, brontola. L'alto silenzio è turbato solo dai soffimisteriosi della terra.

Poi una processione di spettri bianchi si snoda sul ci-glione della terrazza titanica. Ogni fantasma ha una tor-cia accesa. Vengono alla mente certe lontane istoriedell'infanzia...

Sono i Teng che dopo la grande Assemblea fanno ilgiro dell'anfiteatro fin dove il bastione dirupa verso ilBromo. V'è là una strada pei caprai che conduce fino aipiedi dell'idolo e le fiaccole vi si spiegano a zig-zag. Ifantasmi sono molti, certo più di mille. Quando la testadella processione è già alle falde del Bromo ancora l'altaterrazza è tutta punteggiata di torcie camminanti.

Pian piano l'esercito degli spettri si raccoglie intornoal mostro dal sorriso di fuoco. Siamo troppo lontani perseguire le vicende della cerimonia: vediamo le fiaccolealzarsi, abbassarsi, roteare, saltellare ad un passo chedeve essere certamente di danza. Siva risponde ai suoiadoratori con un muggito cupo che l'eco sperde di golain gola nelle viscere dei monti. Si sente la respirazionefaticosa dell'idolo, ogni tanto un tonfo di sassi, uno

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Page 133: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

sciacquio d'acqua sbattuta, il rotolar d'una botte, lo stri-dio d'una chiave dentro una toppa...

Un lume s'inerpica su per le falde del cratere verso lacima. «Bromo» coi suoi mugghi ha indicato la vittimache preferisce ed il Grande Sacerdote dei Teng sale finoalla bocca dell'imbuto ad esaudire la sua volontà. Unavolta la vittima era un Teng, oggi l'uomo designato dallospirito di Siva dà invece la sua capra. Così assicura ilprofessore olandese che tiene a garantire dinanzi aglistranieri che il suo governo è in regola con la Civiltà!

La cappa meravigliosa del firmamento equatorialebrulicante d'atomi d'oro e la desolata valle vulcanica fol-gorante d'arene magnetiche formano un quadro che nonha nulla della nostra terra. È una visione del cosmo.Così la fantasia immagina gli orizzonti dei lontani pia-neti camminanti per l'infinito senza sole...

Quasi non meraviglia la religione dei Teng. Fra sab-bie e stelle, Dio parla agli uomini della montagna colrombo dei crateri e col rigurgito delle lave. La coreogra-fia del Sinai è inutile. «Bromo» scrive col mercurio suilastroni di carbon fossile il suo decalogo.

Adesso capisco perchè i Teng non conoscono il furtoe l'adulterio. Con un Dio così terribile e così vicino nonvien voglia di scherzare. Facilis descensus Averni!

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sciacquio d'acqua sbattuta, il rotolar d'una botte, lo stri-dio d'una chiave dentro una toppa...

Un lume s'inerpica su per le falde del cratere verso lacima. «Bromo» coi suoi mugghi ha indicato la vittimache preferisce ed il Grande Sacerdote dei Teng sale finoalla bocca dell'imbuto ad esaudire la sua volontà. Unavolta la vittima era un Teng, oggi l'uomo designato dallospirito di Siva dà invece la sua capra. Così assicura ilprofessore olandese che tiene a garantire dinanzi aglistranieri che il suo governo è in regola con la Civiltà!

La cappa meravigliosa del firmamento equatorialebrulicante d'atomi d'oro e la desolata valle vulcanica fol-gorante d'arene magnetiche formano un quadro che nonha nulla della nostra terra. È una visione del cosmo.Così la fantasia immagina gli orizzonti dei lontani pia-neti camminanti per l'infinito senza sole...

Quasi non meraviglia la religione dei Teng. Fra sab-bie e stelle, Dio parla agli uomini della montagna colrombo dei crateri e col rigurgito delle lave. La coreogra-fia del Sinai è inutile. «Bromo» scrive col mercurio suilastroni di carbon fossile il suo decalogo.

Adesso capisco perchè i Teng non conoscono il furtoe l'adulterio. Con un Dio così terribile e così vicino nonvien voglia di scherzare. Facilis descensus Averni!

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Fantasmi d'una notte equatoriale

SURABAYA, 22 marzo.

Un viaggio non è rappresentato solamente dalle cittàche si visitano, dai tipi che s'incontrano, dalle genti chesi studiano, dai personaggi che s'intervistano, dai monu-menti che si ammirano o si finge d'ammirare, dalle catti-ve colazioni che si pagano salate, dalle buone cene chenon si digeriscono, dalle chiacchiere che si dimenticano,dalle altre chiacchiere che si ricordano, dai panoramache stupiscono, dalle mancie che non contentano mai ilcameriere, dai bauli che si fanno e si disfano, dalle vali-gie che passano la dogana...

Un viaggio è anche pieno di tante cose indefinibili lequali nascono e muoiono in fondo all'anima... fantasmi,nonnulla, povere mammole che lasciano un po' di profu-mo.

E col tempo, quando gli anni passano, inesorabilmen-te, la spugna sulle visioni e sui ricordi, sono forse unica-mente le povere mammole quelle che restano!

Ieri dopo un pomeriggio dell'Equatore, afoso, pesan-te, ardente, carico di luce e di calore, nel quale pareva

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Fantasmi d'una notte equatoriale

SURABAYA, 22 marzo.

Un viaggio non è rappresentato solamente dalle cittàche si visitano, dai tipi che s'incontrano, dalle genti chesi studiano, dai personaggi che s'intervistano, dai monu-menti che si ammirano o si finge d'ammirare, dalle catti-ve colazioni che si pagano salate, dalle buone cene chenon si digeriscono, dalle chiacchiere che si dimenticano,dalle altre chiacchiere che si ricordano, dai panoramache stupiscono, dalle mancie che non contentano mai ilcameriere, dai bauli che si fanno e si disfano, dalle vali-gie che passano la dogana...

Un viaggio è anche pieno di tante cose indefinibili lequali nascono e muoiono in fondo all'anima... fantasmi,nonnulla, povere mammole che lasciano un po' di profu-mo.

E col tempo, quando gli anni passano, inesorabilmen-te, la spugna sulle visioni e sui ricordi, sono forse unica-mente le povere mammole quelle che restano!

Ieri dopo un pomeriggio dell'Equatore, afoso, pesan-te, ardente, carico di luce e di calore, nel quale pareva

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che tutte le cose abbrustolissero e che tutti gli esseri vi-venti fossero condannati a liquefarsi in sudore, s'era al-zato verso le cinque il solito vento del mare a soffiar tie-pido sulle case di Surabaya.

Allora dalle abitazioni, dagli uffici, dagli alberghi, daifondaci, dagli innumerevoli nascondigli della città, lagente s'era riversata nelle strade lungo il lido. I caffès'erano riempiti d'umanità vestita di chiaro, uomini, don-ne, bianchi, meticci, gialli, indigeni, tutti avidi di unaboccata d'aria dopo dieci ore di fornace.

Surabaya, per chi non lo sapesse, è la città più torridadi Giava, una delle più terribili dell'Asia ardente. L'isoladi Maura posta di fronte alla baia, intercetta tutti i ventidel largo meno uno, quello che s'alza regolarmente allecinque e muore alle sette. Le notti sono torbide e calde.Durante tutto il giorno il sole formidabile della Sondapompa violentemente dal «fiume d'oro», dai mille cana-li, dalle immense risaie, i fermenti della terra equatorialeche s'addensano, sotto forma di vapori, sui tetti di Sura-baya. Sono così fitti che al tramonto la città sembra av-volta in una zanzariera. Poi, quando il vento del crepu-scolo abbandona il litorale, i vapori s'abbassano, pene-trano nelle case e nelle ossa, macerano i colletti e le esi-stenze, accendono nelle vene accaldate tutti gli ardori.Perciò Surabaya è città d'amore!

Siccome però il caro-vita ha aumentato in tutte le lati-tudini il costo dell'amore, tanto di quello domestico ri-conosciuto dalla legge, quanto di quello avventizio di-sciplinato dalla polizia dei costumi, Surabaya è anche

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che tutte le cose abbrustolissero e che tutti gli esseri vi-venti fossero condannati a liquefarsi in sudore, s'era al-zato verso le cinque il solito vento del mare a soffiar tie-pido sulle case di Surabaya.

Allora dalle abitazioni, dagli uffici, dagli alberghi, daifondaci, dagli innumerevoli nascondigli della città, lagente s'era riversata nelle strade lungo il lido. I caffès'erano riempiti d'umanità vestita di chiaro, uomini, don-ne, bianchi, meticci, gialli, indigeni, tutti avidi di unaboccata d'aria dopo dieci ore di fornace.

Surabaya, per chi non lo sapesse, è la città più torridadi Giava, una delle più terribili dell'Asia ardente. L'isoladi Maura posta di fronte alla baia, intercetta tutti i ventidel largo meno uno, quello che s'alza regolarmente allecinque e muore alle sette. Le notti sono torbide e calde.Durante tutto il giorno il sole formidabile della Sondapompa violentemente dal «fiume d'oro», dai mille cana-li, dalle immense risaie, i fermenti della terra equatorialeche s'addensano, sotto forma di vapori, sui tetti di Sura-baya. Sono così fitti che al tramonto la città sembra av-volta in una zanzariera. Poi, quando il vento del crepu-scolo abbandona il litorale, i vapori s'abbassano, pene-trano nelle case e nelle ossa, macerano i colletti e le esi-stenze, accendono nelle vene accaldate tutti gli ardori.Perciò Surabaya è città d'amore!

Siccome però il caro-vita ha aumentato in tutte le lati-tudini il costo dell'amore, tanto di quello domestico ri-conosciuto dalla legge, quanto di quello avventizio di-sciplinato dalla polizia dei costumi, Surabaya è anche

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città di lavoro e di fatica. I giavanesi ed i dacota, chenell'interno si lasciano cullare dal dondolìo della jungla,paghi di condire l'amore con un pugno di riso cotto edue banane profumate dal respiro dell'isola, quandoemigrano in città s'ammazzano a sfacchinare nel porto enelle fabbriche per soddisfare i capricci delle loro belle,le quali hanno appreso dalla Civiltà a desiderare il brac-cialetto di corallo e lo straccetto di seta.

Moli e dogane brulicano di movimento. La periferia èirta di comignoli. Anche nelle ore tremende del sole ivinchs dei piroscafi continuano a stridere sulle calate esui boccaporti. E vi sono disgraziati che montano escendono dai pontili delle navi con sacchi di zucchero ecassette di tè sui dorsi nudi e sgocciolanti. Durantel'orgia solare il rombo dei doks ed il martellamento deibacini fanno pensare al canto d'Israele nei deserti d'Egit-to.

Il sudore delle genti ed il marciume degli specchid'acqua ammorbano l'aria senza vento. L'oppio, la can-nella, la vaniglia, i manghi, le banane stemperano nelgran fetore di Surabaya gli effluvi delle loro essenze. Lacittà ha l'odore d'un cadavere imperiale mal imbalsama-to. Il colera e la diarrea amebica nicchiano nei polvero-ni. Molto più si morrebbe se alla lunga il sangue nons'immunizzasse da solo contro i lieviti della morte.

Surabaya sta a Batavia come Milano sta a Roma. Ba-tavia è la capitale politica e burocratica, Surabaya il cen-tro dei traffici, dei commerci d'oltre mare, delle banche,delle industrie, del lusso, della speculazione. Ci sono

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città di lavoro e di fatica. I giavanesi ed i dacota, chenell'interno si lasciano cullare dal dondolìo della jungla,paghi di condire l'amore con un pugno di riso cotto edue banane profumate dal respiro dell'isola, quandoemigrano in città s'ammazzano a sfacchinare nel porto enelle fabbriche per soddisfare i capricci delle loro belle,le quali hanno appreso dalla Civiltà a desiderare il brac-cialetto di corallo e lo straccetto di seta.

Moli e dogane brulicano di movimento. La periferia èirta di comignoli. Anche nelle ore tremende del sole ivinchs dei piroscafi continuano a stridere sulle calate esui boccaporti. E vi sono disgraziati che montano escendono dai pontili delle navi con sacchi di zucchero ecassette di tè sui dorsi nudi e sgocciolanti. Durantel'orgia solare il rombo dei doks ed il martellamento deibacini fanno pensare al canto d'Israele nei deserti d'Egit-to.

Il sudore delle genti ed il marciume degli specchid'acqua ammorbano l'aria senza vento. L'oppio, la can-nella, la vaniglia, i manghi, le banane stemperano nelgran fetore di Surabaya gli effluvi delle loro essenze. Lacittà ha l'odore d'un cadavere imperiale mal imbalsama-to. Il colera e la diarrea amebica nicchiano nei polvero-ni. Molto più si morrebbe se alla lunga il sangue nons'immunizzasse da solo contro i lieviti della morte.

Surabaya sta a Batavia come Milano sta a Roma. Ba-tavia è la capitale politica e burocratica, Surabaya il cen-tro dei traffici, dei commerci d'oltre mare, delle banche,delle industrie, del lusso, della speculazione. Ci sono

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molti ricchi a Surabaya e molti poveri che sperano di di-ventarlo. Chi non riesce a Batavia tenta la fortuna a Su-rabaya che è di manica più larga. Greci, armeni e levan-tini ne hanno fatto una stazione di partenza!

Trecentomila abitanti, fra i quali sono rappresentatequasi tutte le razze e le nazionalità del globo, si riparti-scono lo spazio abitabile nella vecchia città olandeseche sembra un angolo di Rotterdam, nel quartiere cineseche pare un pezzo trapiantato di Canton, nella contradaaraba che è ricalcata sui vicoli di Bagdad, nel grande«campong» indigeno che ha l'aria d'un concentramentodi villaggi della jungla, nel quartiere aristocratico diSimpang che rivaleggia per splendore di palme e di villecon Colombo e Buitenzorg.

Ieri il pomeriggio era stato caldo, caldo assai ancheper la gente del paese che trova discreti i trentasei gradi!

Alle cinque tutti coloro che non erano incatenati aduna mola avevano preso posto nei caffè dinanzi ad unabibita diaccia per non perdere quel po' di carezza chevagolava nell'aria. Ed erano uscite le carrozze per lapasseggiata.

Voi non conoscete la «passeggiata» di Surabaya!Carrozze antiche, carrozze moderne, faitongs, cabrio-

lets, vittorie, panieri, birocci colle tendine a righe rosse,automobili da sport, da passeggio, da città, tutti i veicolidella creazione passavano e ripassavano dinanzi allamia aranciata...

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molti ricchi a Surabaya e molti poveri che sperano di di-ventarlo. Chi non riesce a Batavia tenta la fortuna a Su-rabaya che è di manica più larga. Greci, armeni e levan-tini ne hanno fatto una stazione di partenza!

Trecentomila abitanti, fra i quali sono rappresentatequasi tutte le razze e le nazionalità del globo, si riparti-scono lo spazio abitabile nella vecchia città olandeseche sembra un angolo di Rotterdam, nel quartiere cineseche pare un pezzo trapiantato di Canton, nella contradaaraba che è ricalcata sui vicoli di Bagdad, nel grande«campong» indigeno che ha l'aria d'un concentramentodi villaggi della jungla, nel quartiere aristocratico diSimpang che rivaleggia per splendore di palme e di villecon Colombo e Buitenzorg.

Ieri il pomeriggio era stato caldo, caldo assai ancheper la gente del paese che trova discreti i trentasei gradi!

Alle cinque tutti coloro che non erano incatenati aduna mola avevano preso posto nei caffè dinanzi ad unabibita diaccia per non perdere quel po' di carezza chevagolava nell'aria. Ed erano uscite le carrozze per lapasseggiata.

Voi non conoscete la «passeggiata» di Surabaya!Carrozze antiche, carrozze moderne, faitongs, cabrio-

lets, vittorie, panieri, birocci colle tendine a righe rosse,automobili da sport, da passeggio, da città, tutti i veicolidella creazione passavano e ripassavano dinanzi allamia aranciata...

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E colle carrozze passavano donne d'Europa coll'ulti-mo figurino di Parigi, donne di Cina con l'ultimo model-lo di Canton, donne del Sole Levante col «kimono» diNagasaki, donne dell'Oriente mussulmano con la velettadi Mohammed, donne di Manila con grandi paglie vapo-rose, donne del Laoi con la maschera di porcellana, don-ne di Bangock coi denti neri ed i capelli a pagoda: fac-cie scure, visi pallidi, ovali di vecchio avorio, occhi ditempesta, occhi di mattino, fiori del Nord, frutti del Sud,bambole del Levante, baccanti dell'Equatore, piccoleButterfly di oltre mare: grande svolazzar di nastri, sfar-fallio di veli, giostra di ventagli, vecchiezze dipinte chenon vogliono morire, giovinezze precoci maturate dalsole troppo ardente, braccia nude, scollature tropicali,trasparenze assassine, gonnelle corte, gambe accavalla-te, qualche sigaretta... molti sguardi soprattutto e moltecarezze d'occhi che mi facevano dimenticare l'arancia-ta...

Sul ponte Rosso, gettato a cavaliere del «fiume d'oro»a congiungere il quartiere europeo con quello cinese, ipedoni alimentavano un flutto incessante d'umanità incammino: mandarini, samuraij, emiri, principi ed arlec-chini, gente troppo vestita, gente quasi nuda, le grandirazze dei cinque continenti, le piccole mescolanzedell'alcova equatoriale, indigeni di Giava e della Sonda,cosette saltellanti dell'Arcipelago, daiàki del Borneo,baiala di Sumatra, figurine incerte del Lombok e di Ce-lebes, uomini di maiolica delle Molucche, prodotti inde-finibili della bassa Malacca, cinematografia di rasi, di

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E colle carrozze passavano donne d'Europa coll'ulti-mo figurino di Parigi, donne di Cina con l'ultimo model-lo di Canton, donne del Sole Levante col «kimono» diNagasaki, donne dell'Oriente mussulmano con la velettadi Mohammed, donne di Manila con grandi paglie vapo-rose, donne del Laoi con la maschera di porcellana, don-ne di Bangock coi denti neri ed i capelli a pagoda: fac-cie scure, visi pallidi, ovali di vecchio avorio, occhi ditempesta, occhi di mattino, fiori del Nord, frutti del Sud,bambole del Levante, baccanti dell'Equatore, piccoleButterfly di oltre mare: grande svolazzar di nastri, sfar-fallio di veli, giostra di ventagli, vecchiezze dipinte chenon vogliono morire, giovinezze precoci maturate dalsole troppo ardente, braccia nude, scollature tropicali,trasparenze assassine, gonnelle corte, gambe accavalla-te, qualche sigaretta... molti sguardi soprattutto e moltecarezze d'occhi che mi facevano dimenticare l'arancia-ta...

Sul ponte Rosso, gettato a cavaliere del «fiume d'oro»a congiungere il quartiere europeo con quello cinese, ipedoni alimentavano un flutto incessante d'umanità incammino: mandarini, samuraij, emiri, principi ed arlec-chini, gente troppo vestita, gente quasi nuda, le grandirazze dei cinque continenti, le piccole mescolanzedell'alcova equatoriale, indigeni di Giava e della Sonda,cosette saltellanti dell'Arcipelago, daiàki del Borneo,baiala di Sumatra, figurine incerte del Lombok e di Ce-lebes, uomini di maiolica delle Molucche, prodotti inde-finibili della bassa Malacca, cinematografia di rasi, di

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cenci e di parasoli, tutti gli aborti, e gli enigmi della spe-cie...

Il sole s'abbassava sull'orizzonte in un'orgia di porpo-ra, di lacche e di fiamme.

La zanzariera di Surabaya era un tessuto di garzed'oro e di argenti diafani.

Ed essa passò in una vettura di piazza che aveva ilcocchiere vestito di bianco ed i cavalli col cappuccio dipaglia. I suoi occhi neri, carichi d'ogni fàscino e d'ognimalìa dell'Equatore s'incontrarono con quelli dello stra-niero e forse ebbero pietà della sua solitudine perchè visi fermarono.

La carrozza passò e ripassò parecchie volte. La «pas-seggiata» è lunga a Surabaya e dura fino al calar delsole. Ed il sole tardava ieri sera. Pareva avesse penad'abbandonare il quadro di bellezza che aveva creatocon le sue magnificenze. Pareva che le guglie accese deicampanili cristiani, che le mezzelune ardenti delle mo-schee mussulmane, che le cuspidi fiammeggianti dellepagode buddiste, che i pinnacoli luminosi dei templibrahamini, pregassero il sole di prolungare la magìa deltramonto e l'incanto della «passeggiata».

Così sembrava allo straniero!Poi il sole s'immerse pian piano nell'infinito, fu un

atomo di fuoco, una scìa di rubino, nulla... E le vetturediventarono più rade. I caffè si vuotarono. Si spopolaro-no le strade ed il ponte Rosso. Anche la sua carrozzanon tornò più. Surabaya aveva inghiottito la maga dagli

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cenci e di parasoli, tutti gli aborti, e gli enigmi della spe-cie...

Il sole s'abbassava sull'orizzonte in un'orgia di porpo-ra, di lacche e di fiamme.

La zanzariera di Surabaya era un tessuto di garzed'oro e di argenti diafani.

Ed essa passò in una vettura di piazza che aveva ilcocchiere vestito di bianco ed i cavalli col cappuccio dipaglia. I suoi occhi neri, carichi d'ogni fàscino e d'ognimalìa dell'Equatore s'incontrarono con quelli dello stra-niero e forse ebbero pietà della sua solitudine perchè visi fermarono.

La carrozza passò e ripassò parecchie volte. La «pas-seggiata» è lunga a Surabaya e dura fino al calar delsole. Ed il sole tardava ieri sera. Pareva avesse penad'abbandonare il quadro di bellezza che aveva creatocon le sue magnificenze. Pareva che le guglie accese deicampanili cristiani, che le mezzelune ardenti delle mo-schee mussulmane, che le cuspidi fiammeggianti dellepagode buddiste, che i pinnacoli luminosi dei templibrahamini, pregassero il sole di prolungare la magìa deltramonto e l'incanto della «passeggiata».

Così sembrava allo straniero!Poi il sole s'immerse pian piano nell'infinito, fu un

atomo di fuoco, una scìa di rubino, nulla... E le vetturediventarono più rade. I caffè si vuotarono. Si spopolaro-no le strade ed il ponte Rosso. Anche la sua carrozzanon tornò più. Surabaya aveva inghiottito la maga dagli

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occhi di promessa nel mistero delle sue case e dei suoigiardini.

Allora lo straniero si sentì solo nella città, nella sera enella vita...

Rimanevo lì senza scopo, senza la forza fisica d'andarvia, intorpidito dal tepore dell'aria, inchiodato dalla pe-santezza del sangue. Guardavo la città ed il mare affon-darsi gradatamente nell'acquosità del crepuscolo, i lumiaccendersi lungo la costa, il faro aprire e chiudere la suapalpebra verde, le giunche dalle ali di farfalla entrare inporto, le navi andarsene verso il loro destino.

Non avevo voglia di rientrare all'albergo per prendereil mio posto di collegiale alla table d'hôte fra la vecchiabritannica che mi domanda invariabilmente ad ogni pa-sto notizie del barometro ed il grosso alsaziano chequando ride fa glu-glu come i tacchini del suo paese.

No, proprio non ne avevo voglia, ieri sera!La canicola del giorno, il torpore del crepuscolo, un

po' di febbre che incominciava, le troppe donne che era-no passate, le troppe banane che imputridivano nell'aria,le sirene stesse delle navi che svegliavano gli echi dellelontananze, una campana che si accaniva a far don don,tante cose concorrevano a creare quello stato indefinibi-le di melanconia, anzi di miseria, che di quando in quan-do sorprende coloro i quali, perchè viaggiano molto eparlano con molta gente, finiscono coll'essere anchemolto soli nel mondo e nella vita.

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occhi di promessa nel mistero delle sue case e dei suoigiardini.

Allora lo straniero si sentì solo nella città, nella sera enella vita...

Rimanevo lì senza scopo, senza la forza fisica d'andarvia, intorpidito dal tepore dell'aria, inchiodato dalla pe-santezza del sangue. Guardavo la città ed il mare affon-darsi gradatamente nell'acquosità del crepuscolo, i lumiaccendersi lungo la costa, il faro aprire e chiudere la suapalpebra verde, le giunche dalle ali di farfalla entrare inporto, le navi andarsene verso il loro destino.

Non avevo voglia di rientrare all'albergo per prendereil mio posto di collegiale alla table d'hôte fra la vecchiabritannica che mi domanda invariabilmente ad ogni pa-sto notizie del barometro ed il grosso alsaziano chequando ride fa glu-glu come i tacchini del suo paese.

No, proprio non ne avevo voglia, ieri sera!La canicola del giorno, il torpore del crepuscolo, un

po' di febbre che incominciava, le troppe donne che era-no passate, le troppe banane che imputridivano nell'aria,le sirene stesse delle navi che svegliavano gli echi dellelontananze, una campana che si accaniva a far don don,tante cose concorrevano a creare quello stato indefinibi-le di melanconia, anzi di miseria, che di quando in quan-do sorprende coloro i quali, perchè viaggiano molto eparlano con molta gente, finiscono coll'essere anchemolto soli nel mondo e nella vita.

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È uno stato d'animo difficile ad analizzare, più diffici-le ancora a far capire; come un senso d'isolamento, conun pizzico di sconforto, con una sfumatura di tristezza,con mille desideri del sangue e dello spirito. Sotto la suapressione potente il cuore s'apre come una corolla avidadi sboccio che cerchi un bacio di sole.

Ma la gente passa, non sa, non s'accorge. Se le donneintuissero, lascerebbero forse cadere un sorriso per pietàdi mamma, per affetto di sorella, per consapevolezzad'amante. In genere il malato ha l'aria stupida e gli occhimelensi, due cose che non sono fatte per attirare l'atten-zione delle donne che passano.

Coloro che hanno un'amante vicina, una sposa, unamadre, una sorella, magari un'amica, anche solo una co-noscente, con cui scambiare due parole innocenti, untantino affettuose, una donna, insomma, la donna a por-tata di mano con l'attrazione magnetica della sua multi-forme e insostituibile femminilità, non possono rendersiconto della somma infelicità nella quale certe volte an-negano i camminanti pel mondo, quelli che vanno sem-pre per paesi nuovi, fra gente estranea, in un'atmosferasenza risonanze, e non possono quindi comprenderecome in certi momenti una qualsiasi donna, turca, maga-ri giapponese, annamita, non importa, possa impersona-re pel malato, nella sua grazia fragile e nella sua venalegentilezza, tutto l'amore e tutto il rispetto dell'uomo perl'Eva del paradiso terrestre!

In genere quando un poveretto sente, come sentivo ioieri, incombere pian piano la cattiva nebbia, cerca una

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È uno stato d'animo difficile ad analizzare, più diffici-le ancora a far capire; come un senso d'isolamento, conun pizzico di sconforto, con una sfumatura di tristezza,con mille desideri del sangue e dello spirito. Sotto la suapressione potente il cuore s'apre come una corolla avidadi sboccio che cerchi un bacio di sole.

Ma la gente passa, non sa, non s'accorge. Se le donneintuissero, lascerebbero forse cadere un sorriso per pietàdi mamma, per affetto di sorella, per consapevolezzad'amante. In genere il malato ha l'aria stupida e gli occhimelensi, due cose che non sono fatte per attirare l'atten-zione delle donne che passano.

Coloro che hanno un'amante vicina, una sposa, unamadre, una sorella, magari un'amica, anche solo una co-noscente, con cui scambiare due parole innocenti, untantino affettuose, una donna, insomma, la donna a por-tata di mano con l'attrazione magnetica della sua multi-forme e insostituibile femminilità, non possono rendersiconto della somma infelicità nella quale certe volte an-negano i camminanti pel mondo, quelli che vanno sem-pre per paesi nuovi, fra gente estranea, in un'atmosferasenza risonanze, e non possono quindi comprenderecome in certi momenti una qualsiasi donna, turca, maga-ri giapponese, annamita, non importa, possa impersona-re pel malato, nella sua grazia fragile e nella sua venalegentilezza, tutto l'amore e tutto il rispetto dell'uomo perl'Eva del paradiso terrestre!

In genere quando un poveretto sente, come sentivo ioieri, incombere pian piano la cattiva nebbia, cerca una

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distrazione nel giornale, ma la politica batte a vuoto nelcavo dell'anima; tenta allora di buttar giù una letteraall'amico, ma la penna s'impunta sulla carta. La sigarettaè amara. Tutto irrita e non riesce. S'è troppo stracchi percamminare ed a rimaner seduti par d'essere in gabbia.

L'occhio segue le donne che passano, le fruga, le spo-glia, le carezza. E vengono alla mente tanti ricordi!

Lo spirito rammenta tutte quelle che hanno occupatoun anno od un giorno della vita, quel po' di sole cheognuno ha avuto nella sua esistenza dal bacio inimitabi-le della mamma all'inimitabile bacio della vera amante.Quelle che non si sono sapute amare si vendicano ac-cendendo il desiderio ed il rimpianto, le altre che si sonotroppo amate stuzzicano le ferite chiuse dai balsami deltempo...

Si vorrebbe gridare il proprio tormento, far qualchecosa per rompere il cerchio e vincere il male. In genereil cameriere vi guarda di sottecchi con l'aria di doman-darvi: Che ha costui? Se per caso in quel momento la si-rena d'un vapore sveglia i silenzi del mare, il cuore hauna stretta brutale che gela la fronte.

Quando la crisi è giunta al diapason, vi sono diverserisorse che caratterizzano le razze: gli anglosassoni van-no in genere al bar ad annegare lo spleen nel wisky finoall'ubriachezza, i latini si lasciano tentare dalla primaavventura, gli slavi – non so che cosa facciano gli slavidi Lenine, ma quelli dello Zar attaccavano lite col primovenuto e finivano al posto di guardia.

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distrazione nel giornale, ma la politica batte a vuoto nelcavo dell'anima; tenta allora di buttar giù una letteraall'amico, ma la penna s'impunta sulla carta. La sigarettaè amara. Tutto irrita e non riesce. S'è troppo stracchi percamminare ed a rimaner seduti par d'essere in gabbia.

L'occhio segue le donne che passano, le fruga, le spo-glia, le carezza. E vengono alla mente tanti ricordi!

Lo spirito rammenta tutte quelle che hanno occupatoun anno od un giorno della vita, quel po' di sole cheognuno ha avuto nella sua esistenza dal bacio inimitabi-le della mamma all'inimitabile bacio della vera amante.Quelle che non si sono sapute amare si vendicano ac-cendendo il desiderio ed il rimpianto, le altre che si sonotroppo amate stuzzicano le ferite chiuse dai balsami deltempo...

Si vorrebbe gridare il proprio tormento, far qualchecosa per rompere il cerchio e vincere il male. In genereil cameriere vi guarda di sottecchi con l'aria di doman-darvi: Che ha costui? Se per caso in quel momento la si-rena d'un vapore sveglia i silenzi del mare, il cuore hauna stretta brutale che gela la fronte.

Quando la crisi è giunta al diapason, vi sono diverserisorse che caratterizzano le razze: gli anglosassoni van-no in genere al bar ad annegare lo spleen nel wisky finoall'ubriachezza, i latini si lasciano tentare dalla primaavventura, gli slavi – non so che cosa facciano gli slavidi Lenine, ma quelli dello Zar attaccavano lite col primovenuto e finivano al posto di guardia.

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Page 143: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Una vecchia gialla, sdentata, scheletrica, infagottatain un cencio senza colore, s'era fermata contro un lam-pione a fissarmi con gli occhietti di smalto che era l'uni-ca cosa terribilmente viva in quel corpo terribilmentemorto.

Poi s'avvicinò e mi sorrise.Le posi mezzo fiorino della regina Guglielmina, per

amore del mio e del suo Dio che confondono le fisiono-mie delle razze quando la vecchiaia incalza, ma non al-lungò la mano di cartapecora.

Le sue labbra dissero invece: – Ma-rasi! (vieni).Io che avevo imparato a Batavia il dialoghetto, rispo-

si:— Gia-sà? (dove?).— Ma-rasi!La bisavola lasciò il mare, prese pel ponte Rosso get-

tato sul «fiume d'oro», entrò nel quartiere cinese, infilòuna strada con le botteghe accese, tutte piene di specchi,di dorature e di mandarini che si facevano vento, poiun'altra strada più scura, una terza quasi nera, su perscale e scalette, dentro vicoli, lungo muri di giardini, finche le case finirono e cominciarono le palme del quar-tiere di Simpang.

Io la seguiva, senza pensare alla stranezza della pas-seggiata ed agli incerti dell'avventura, già mezzo guaritodel mio male dal fascino dell'ignoto, occupato a guarda-re negli spazi chiari, fra palma e palma, le nostre dueombre che s'inseguivano.

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Una vecchia gialla, sdentata, scheletrica, infagottatain un cencio senza colore, s'era fermata contro un lam-pione a fissarmi con gli occhietti di smalto che era l'uni-ca cosa terribilmente viva in quel corpo terribilmentemorto.

Poi s'avvicinò e mi sorrise.Le posi mezzo fiorino della regina Guglielmina, per

amore del mio e del suo Dio che confondono le fisiono-mie delle razze quando la vecchiaia incalza, ma non al-lungò la mano di cartapecora.

Le sue labbra dissero invece: – Ma-rasi! (vieni).Io che avevo imparato a Batavia il dialoghetto, rispo-

si:— Gia-sà? (dove?).— Ma-rasi!La bisavola lasciò il mare, prese pel ponte Rosso get-

tato sul «fiume d'oro», entrò nel quartiere cinese, infilòuna strada con le botteghe accese, tutte piene di specchi,di dorature e di mandarini che si facevano vento, poiun'altra strada più scura, una terza quasi nera, su perscale e scalette, dentro vicoli, lungo muri di giardini, finche le case finirono e cominciarono le palme del quar-tiere di Simpang.

Io la seguiva, senza pensare alla stranezza della pas-seggiata ed agli incerti dell'avventura, già mezzo guaritodel mio male dal fascino dell'ignoto, occupato a guarda-re negli spazi chiari, fra palma e palma, le nostre dueombre che s'inseguivano.

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S'era alzata la luna, la grande luna d'argentodell'Equatore, che ingentiliva la notte di Giava. Le pal-me sussurravano le loro confidenze.

SURABAYA – La costa e l’isola Madoera.

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S'era alzata la luna, la grande luna d'argentodell'Equatore, che ingentiliva la notte di Giava. Le pal-me sussurravano le loro confidenze.

SURABAYA – La costa e l’isola Madoera.

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SOERAKARTA – Abitazione d’una principessa dell’harem.

La vecchia si fermò dinanzi ad un cancello che s'aprìcon una lieve spinta, traversò un giardino folto, entrò inuna casa, salì per una scaletta di legno che scricchiola-va, poi mi lasciò in una stanza dopo avermi salutato conuna di quelle riverenze profonde che si fanno agli altari.

Sentii i suoi passi furtivi che rifacevano piangere lascaletta.

Il fruscio d'una portiera mi fece volgere gli occhi.

— Come ti chiami?— Maia-dà.— Cosa vuol dire Maia-dà?— Vuol dire «fiore d'acqua».— Di dove sei?

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SOERAKARTA – Abitazione d’una principessa dell’harem.

La vecchia si fermò dinanzi ad un cancello che s'aprìcon una lieve spinta, traversò un giardino folto, entrò inuna casa, salì per una scaletta di legno che scricchiola-va, poi mi lasciò in una stanza dopo avermi salutato conuna di quelle riverenze profonde che si fanno agli altari.

Sentii i suoi passi furtivi che rifacevano piangere lascaletta.

Il fruscio d'una portiera mi fece volgere gli occhi.

— Come ti chiami?— Maia-dà.— Cosa vuol dire Maia-dà?— Vuol dire «fiore d'acqua».— Di dove sei?

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— Del Pangerman, ma sono figlia di bianco. Mammaera di Sumatra.

Era bella Maia-dà, come si è belle nell'Equatorequando l'incrocio di due razze, invece di mettere allaluce un aborto, crea un capolavoro. Aveva la snellezzadella donna d'Occidente e la grazia della donna d'Orien-te. Non chiara la carnagione nè scura, un po' ambrata,con l'opaco caldo della pelle meticcia, con un non soche nella carne che faceva pensare al velluto della pescamatura quando manca poco che si stacchi dall'albero pertroppo sugo.

Era bella Maia-dà!Molta gente aveva certo fatto la medesima constata-

zione prima di me, ma che mi importava se nell'infinitamiseria del mio isolamento essa mi offriva l'eterna ca-rezza d'una voce di donna! Che m'importavano il suopovero passato ed il suo avvenire se nel grande giardinodi Surabaya, dove era proibito toccare tutti i fiori, essam'offriva la sua olezzante corolla di primavera, coloritae profumata dalla magìa dell'Equatore?

Nei suoi occhi neri, appena obliqui, smisuratamenteallungati dall'henne e fantasticamente sfumati di lilla,erano raccolte tutte le seduzioni dell'oltre mare che fa-scinano i naviganti ed i vagabondi, occhi di EstremoOriente, occhi del lontano maliardo, dolci, smaltati, pro-fondi.

Forse non v'era niente dietro quegli occhi, altro cheuna piccola anima di mezzo selvaggia, ma davano l'illu-

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— Del Pangerman, ma sono figlia di bianco. Mammaera di Sumatra.

Era bella Maia-dà, come si è belle nell'Equatorequando l'incrocio di due razze, invece di mettere allaluce un aborto, crea un capolavoro. Aveva la snellezzadella donna d'Occidente e la grazia della donna d'Orien-te. Non chiara la carnagione nè scura, un po' ambrata,con l'opaco caldo della pelle meticcia, con un non soche nella carne che faceva pensare al velluto della pescamatura quando manca poco che si stacchi dall'albero pertroppo sugo.

Era bella Maia-dà!Molta gente aveva certo fatto la medesima constata-

zione prima di me, ma che mi importava se nell'infinitamiseria del mio isolamento essa mi offriva l'eterna ca-rezza d'una voce di donna! Che m'importavano il suopovero passato ed il suo avvenire se nel grande giardinodi Surabaya, dove era proibito toccare tutti i fiori, essam'offriva la sua olezzante corolla di primavera, coloritae profumata dalla magìa dell'Equatore?

Nei suoi occhi neri, appena obliqui, smisuratamenteallungati dall'henne e fantasticamente sfumati di lilla,erano raccolte tutte le seduzioni dell'oltre mare che fa-scinano i naviganti ed i vagabondi, occhi di EstremoOriente, occhi del lontano maliardo, dolci, smaltati, pro-fondi.

Forse non v'era niente dietro quegli occhi, altro cheuna piccola anima di mezzo selvaggia, ma davano l'illu-

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sione di contenere tutte le dolcezze e di possedere tuttele profondità.

Essa mi parlava come fossimo amici di molti anni,così come io volevo. Nei capelli neri – in mezzo alleforcine d'oro che richiamavano alla memoria le divinitàdelle pagode – era puntato un fiore scarlatto, più scarlat-to della sua bocca dipinta. Ed aveva intorno al collo unvezzo di pietruzze lucenti che facevano pensare al rifles-so delle ghiaie marine nelle notti di luna.

Era una bimba, ma una di quelle terribili bimbe che lerazze dell'Equatore addestrano all'amore come per unsacerdozio, senza che conoscano altro della vita perchèdestinate ad essere solo le Clarisse della Voluttà e dellaConcupiscenza.

Mentre le sue mani manipolavano le foglie dell'aree edel betel, le pipe dell'oppio, le misteriose bevande chedanno l'oblìo nelle notti equatoriali d'abbandono, mi pa-reva di veder balenare nei suoi grandi occhi tante fiam-me, quelle che lucevano nelle pupille ardenti della sco-nosciuta della passeggiata di Surabaya, altre fiamme an-cora che in paesi ed epoche diverse avevano arso in oc-chi indimenticabili, tutte, tutte, fino alla prima luce chem'abbagliò accanto ad un pozzo della Bergamasca quan-do la vita appena sbocciava...

Ballò per me come danzano le donne di Sumatra sullasoglia delle capanne nella foresta millenaria.

Cantò per me con una vocetta dolce e melodiosa certecanzoni d'amore della jungla che paiono ninne-nanne dimamme accanto ad una culla.

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sione di contenere tutte le dolcezze e di possedere tuttele profondità.

Essa mi parlava come fossimo amici di molti anni,così come io volevo. Nei capelli neri – in mezzo alleforcine d'oro che richiamavano alla memoria le divinitàdelle pagode – era puntato un fiore scarlatto, più scarlat-to della sua bocca dipinta. Ed aveva intorno al collo unvezzo di pietruzze lucenti che facevano pensare al rifles-so delle ghiaie marine nelle notti di luna.

Era una bimba, ma una di quelle terribili bimbe che lerazze dell'Equatore addestrano all'amore come per unsacerdozio, senza che conoscano altro della vita perchèdestinate ad essere solo le Clarisse della Voluttà e dellaConcupiscenza.

Mentre le sue mani manipolavano le foglie dell'aree edel betel, le pipe dell'oppio, le misteriose bevande chedanno l'oblìo nelle notti equatoriali d'abbandono, mi pa-reva di veder balenare nei suoi grandi occhi tante fiam-me, quelle che lucevano nelle pupille ardenti della sco-nosciuta della passeggiata di Surabaya, altre fiamme an-cora che in paesi ed epoche diverse avevano arso in oc-chi indimenticabili, tutte, tutte, fino alla prima luce chem'abbagliò accanto ad un pozzo della Bergamasca quan-do la vita appena sbocciava...

Ballò per me come danzano le donne di Sumatra sullasoglia delle capanne nella foresta millenaria.

Cantò per me con una vocetta dolce e melodiosa certecanzoni d'amore della jungla che paiono ninne-nanne dimamme accanto ad una culla.

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La lampada rosa dell'oppio stemperava nella stanzauna luce strana, strana come Maia-dà, un misto d'aurorae di crepuscolo che dava un valore prezioso alle stoffebanali ed alle cose insignificanti. E nella penombra gliocchi sembravano grandi, smisuratamente grandi, trop-po grandi per me.

Per la finestra aperta entrava l'alito caldo della notte.La luna, alta nel cielo, guardava dentro la stanza.

La sapienza infame degli allevatori aveva certo rottoil suo corpo di adolescente a tutte le ignominie, ma l'ani-ma inconsapevole era rimasta candida e puerile. Maia-dà aveva la convinzione di compiere un dovere impostodagli Antenati, d'essere nel suo destino. I nostri scrupolinon avevano presa sulla sua incoscienza.

Nella piccola stanza illuminata dalla lampada rosa,fra i tappeti d'Oriente ed i tendaggi della Cina, fra unplacido Buddha sorridente che indulgeva a tutte le paz-zie ed una poupée-chiffon di Parigi che rappresentavaMontmartre, «Fiore d'acqua» impersonava per me inquel momento tutta la femminilità dell'universo. Era unidolo, un piccolo idolo equatoriale della religione uni-versale degli uomini che, dopo Dio, adorano nella donnala suprema quintessenza del creato.

Allora per quella stupida sensitività che hanno a voltei marinai, i vagabondi ed i solitari, coloro cioè che, vi-vendo tanto diversamente dagli altri, finiscono col con-cepire in modo diverso la vita e le sue cose, col conser-vare, anche coi capelli bianchi, certe «ingenuità»

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La lampada rosa dell'oppio stemperava nella stanzauna luce strana, strana come Maia-dà, un misto d'aurorae di crepuscolo che dava un valore prezioso alle stoffebanali ed alle cose insignificanti. E nella penombra gliocchi sembravano grandi, smisuratamente grandi, trop-po grandi per me.

Per la finestra aperta entrava l'alito caldo della notte.La luna, alta nel cielo, guardava dentro la stanza.

La sapienza infame degli allevatori aveva certo rottoil suo corpo di adolescente a tutte le ignominie, ma l'ani-ma inconsapevole era rimasta candida e puerile. Maia-dà aveva la convinzione di compiere un dovere impostodagli Antenati, d'essere nel suo destino. I nostri scrupolinon avevano presa sulla sua incoscienza.

Nella piccola stanza illuminata dalla lampada rosa,fra i tappeti d'Oriente ed i tendaggi della Cina, fra unplacido Buddha sorridente che indulgeva a tutte le paz-zie ed una poupée-chiffon di Parigi che rappresentavaMontmartre, «Fiore d'acqua» impersonava per me inquel momento tutta la femminilità dell'universo. Era unidolo, un piccolo idolo equatoriale della religione uni-versale degli uomini che, dopo Dio, adorano nella donnala suprema quintessenza del creato.

Allora per quella stupida sensitività che hanno a voltei marinai, i vagabondi ed i solitari, coloro cioè che, vi-vendo tanto diversamente dagli altri, finiscono col con-cepire in modo diverso la vita e le sue cose, col conser-vare, anche coi capelli bianchi, certe «ingenuità»

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dell'adolescenza, io non chiesi alla femmina equatorialeche il suo canto e le sue danze.

E siccome l'anima di ogni donna anche primitiva haun intuito che cento psicologi maschi presi insieme nonriusciranno mai ad eguagliare, «Fiore d'acqua» capì.

— Sahib, tu sei uomo di mare.— Perchè, «Fiore d'acqua», questa domanda?— Io so, sahib, quelli che come te vogliono solamen-

te canzoni, sono quelli che abitano sul grande azzurrodove dorme la luna.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Per la finestra aperta entrava l'alito caldo dell'Equato-re profumato dai manghi acerbi e dalle banane putrefat-te.

La donna sentì il bisogno di velare la sua nudità inuti-le con un cencio di seta. Il suo istinto le faceva com-prendere che gli uomini i quali abitano «il grande azzur-ro dove dorme la luna» chiedono a lei ed alle sue picco-le sorelle di peccato un po' d'illusione, un soffio di pro-fumo, uno di quei tenui fantasmi d'oltre mare che li se-dussero fanciulli quando la vita incominciava, che pertutta l'esistenza continueranno ad affascinare la loro ani-ma vagabonda.

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dell'adolescenza, io non chiesi alla femmina equatorialeche il suo canto e le sue danze.

E siccome l'anima di ogni donna anche primitiva haun intuito che cento psicologi maschi presi insieme nonriusciranno mai ad eguagliare, «Fiore d'acqua» capì.

— Sahib, tu sei uomo di mare.— Perchè, «Fiore d'acqua», questa domanda?— Io so, sahib, quelli che come te vogliono solamen-

te canzoni, sono quelli che abitano sul grande azzurrodove dorme la luna.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Per la finestra aperta entrava l'alito caldo dell'Equato-re profumato dai manghi acerbi e dalle banane putrefat-te.

La donna sentì il bisogno di velare la sua nudità inuti-le con un cencio di seta. Il suo istinto le faceva com-prendere che gli uomini i quali abitano «il grande azzur-ro dove dorme la luna» chiedono a lei ed alle sue picco-le sorelle di peccato un po' d'illusione, un soffio di pro-fumo, uno di quei tenui fantasmi d'oltre mare che li se-dussero fanciulli quando la vita incominciava, che pertutta l'esistenza continueranno ad affascinare la loro ani-ma vagabonda.

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Un tifone fra Borneo e Celebes

PONTIANAK (Borneo olandese), 28 marzo.

L'Alting, grosso vapore di cabotaggio della Konin-klike-Paketvart-Matchappy, giunto ieri mattina a Pontia-nak con un carico di duecento malesi e ottocento maiali,dopo aver caricato non so quante centinaia di sacchi dinoci-cocco ed una turba di nativi di Celebes che tornanoin patria, ha lasciato stamane lo scenario d'operettanippo-fiamminga di Pontianak per riprendere il mare.

Il frate cappuccino italiano che amministra la chieset-ta cattolica di Pontianak m'ha urlato dal molo all'ultimomomento un «mi saluti la patria» nel quale era tutta lanostalgia della sua fiera anima lombarda provata da ottoanni d'esilio. Solo ogni dieci anni le superiori gerarchieconsentono sei mesi di riposo in patria agli apostoli mo-derni del cattolicesimo, i quali insegnano ai daiàki diBorneo ad adorare un Dio che non permette si taglino leteste del prossimo. Le divinità locali sono invece di ma-nica larga in materia, tanto che gli abitanti sono indicaticol grazioso nomignolo di «koppen snellers», che inolandese vuol dire tagliatori di teste. Non è raro il caso

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Un tifone fra Borneo e Celebes

PONTIANAK (Borneo olandese), 28 marzo.

L'Alting, grosso vapore di cabotaggio della Konin-klike-Paketvart-Matchappy, giunto ieri mattina a Pontia-nak con un carico di duecento malesi e ottocento maiali,dopo aver caricato non so quante centinaia di sacchi dinoci-cocco ed una turba di nativi di Celebes che tornanoin patria, ha lasciato stamane lo scenario d'operettanippo-fiamminga di Pontianak per riprendere il mare.

Il frate cappuccino italiano che amministra la chieset-ta cattolica di Pontianak m'ha urlato dal molo all'ultimomomento un «mi saluti la patria» nel quale era tutta lanostalgia della sua fiera anima lombarda provata da ottoanni d'esilio. Solo ogni dieci anni le superiori gerarchieconsentono sei mesi di riposo in patria agli apostoli mo-derni del cattolicesimo, i quali insegnano ai daiàki diBorneo ad adorare un Dio che non permette si taglino leteste del prossimo. Le divinità locali sono invece di ma-nica larga in materia, tanto che gli abitanti sono indicaticol grazioso nomignolo di «koppen snellers», che inolandese vuol dire tagliatori di teste. Non è raro il caso

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di trovare ancora nell'interno della jungla capanne dibambù decorate da una fila di zucche affumicate che, adosservarle bene, sono semplicemente teschi collezionatidagli avi.

Il governo olandese, che a Giava protegge le missionipresbiteriane ed evangeliche, favorisce invece a Borneo,a Celebes, nelle Molucche e nel resto dell'Arcipelago, imissionari cattolici, l'esperienza avendo dimostrato chesoltanto essi riescono, senza tanti fronzoli e senza tanticapitali, a cattivarsi la fiducia degli indigeni. Vivono inmezzo a loro, adottano le stesse forme esteriori dellaloro povera vita, vanno a trovarli nella foresta fin dentroi «kampong» isolati ed i villaggetti di fango, col baga-glio della loro fede e una cassetta di medicinali, senzaaltre armi che un piccolo crocefisso ed un grande sorri-so, pattuglie avanzate della civiltà che alla lunga addo-mesticherebbero totalmente le barbarie dell'Equatore, sela loro opera di persuasione non fosse in seguito fatal-mente compromessa dai funzionari del fisco, dai piazzi-sti dell'alcool e dalle necessità politico-economiche delpotere civile.

Povero padre Vito! Ieri gli ho sacrificato Pontianak,le sue palme-cocco ed i suoi quartieri d'operetta, tantoera visibile e commovente la sua gioia di poter parlareitaliano con uno della sua terra. Ogni tanto l'eccellenteuomo non s'accorgeva d'intercalare nella bella linguad'Italia un termine sensa senso che doveva certo essereuna parola daiàk! È nel Borneo da ventiquattro anni, in-terrotti solo da tre brevissimi soggiorni in Europa.

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di trovare ancora nell'interno della jungla capanne dibambù decorate da una fila di zucche affumicate che, adosservarle bene, sono semplicemente teschi collezionatidagli avi.

Il governo olandese, che a Giava protegge le missionipresbiteriane ed evangeliche, favorisce invece a Borneo,a Celebes, nelle Molucche e nel resto dell'Arcipelago, imissionari cattolici, l'esperienza avendo dimostrato chesoltanto essi riescono, senza tanti fronzoli e senza tanticapitali, a cattivarsi la fiducia degli indigeni. Vivono inmezzo a loro, adottano le stesse forme esteriori dellaloro povera vita, vanno a trovarli nella foresta fin dentroi «kampong» isolati ed i villaggetti di fango, col baga-glio della loro fede e una cassetta di medicinali, senzaaltre armi che un piccolo crocefisso ed un grande sorri-so, pattuglie avanzate della civiltà che alla lunga addo-mesticherebbero totalmente le barbarie dell'Equatore, sela loro opera di persuasione non fosse in seguito fatal-mente compromessa dai funzionari del fisco, dai piazzi-sti dell'alcool e dalle necessità politico-economiche delpotere civile.

Povero padre Vito! Ieri gli ho sacrificato Pontianak,le sue palme-cocco ed i suoi quartieri d'operetta, tantoera visibile e commovente la sua gioia di poter parlareitaliano con uno della sua terra. Ogni tanto l'eccellenteuomo non s'accorgeva d'intercalare nella bella linguad'Italia un termine sensa senso che doveva certo essereuna parola daiàk! È nel Borneo da ventiquattro anni, in-terrotti solo da tre brevissimi soggiorni in Europa.

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Buon frate e buon italiano, due qualità che in generesi trovano riunite nei nostri missionari del Levante ed'oltre mare. Sotto la umile tonaca di San Francesco ilcuore batte per Dio e per la Patria. Nella solitudine dellajungla, a contatto della natura primordiale, rivivono isanti del primo cristianesimo ed i patriotti dell'epopea.Le superbe virtù della stirpe che fanno dell'emigranteitaliano il primo colonizzatore del mondo, fanno anchedel frate italiano il miglior missionario del Cattolicesi-mo.

Un belga di fede valdese che col medesimo piroscafolascia Pontianak dopo aver venduto ad un cinese le suetenute di caucciù m'ha detto sul ponte: «Celui-là, voyez,c'est un brave!». E l'omaggio era pieno di significatosulle labbra d'uno, non italiano e non cattolico.

La macchia avana di padre Vito sullo spiazzo chiarodella banchina assolata è l'ultima cosa di Pontianak chesi vede all'orizzonte. Poi la jungla che bordeggia dalledue parti il fiume ci chiude nel suo scrigno verde.

Pontianak, capoluogo del Borneo olandese, è adagiatasul fiume Kapuas che si getta nel piccolo Koboe, il qua-le a sua volta s'immette nel grande Koboe che finalmen-te sfocia in mare. I piroscafi debbono scendere successi-vamente i tre corsi d'acqua per raggiungere l'oceano.

Il piccolo Koboe è tutto seminato d'isolotti a fiord'acqua dai quali alte palme-nibonghe ergono nell'incan-descenza equatoriale i loro tronchi smilzi ed i grandiventagli delle foglie. Da una parte e dall'altra della riva

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Buon frate e buon italiano, due qualità che in generesi trovano riunite nei nostri missionari del Levante ed'oltre mare. Sotto la umile tonaca di San Francesco ilcuore batte per Dio e per la Patria. Nella solitudine dellajungla, a contatto della natura primordiale, rivivono isanti del primo cristianesimo ed i patriotti dell'epopea.Le superbe virtù della stirpe che fanno dell'emigranteitaliano il primo colonizzatore del mondo, fanno anchedel frate italiano il miglior missionario del Cattolicesi-mo.

Un belga di fede valdese che col medesimo piroscafolascia Pontianak dopo aver venduto ad un cinese le suetenute di caucciù m'ha detto sul ponte: «Celui-là, voyez,c'est un brave!». E l'omaggio era pieno di significatosulle labbra d'uno, non italiano e non cattolico.

La macchia avana di padre Vito sullo spiazzo chiarodella banchina assolata è l'ultima cosa di Pontianak chesi vede all'orizzonte. Poi la jungla che bordeggia dalledue parti il fiume ci chiude nel suo scrigno verde.

Pontianak, capoluogo del Borneo olandese, è adagiatasul fiume Kapuas che si getta nel piccolo Koboe, il qua-le a sua volta s'immette nel grande Koboe che finalmen-te sfocia in mare. I piroscafi debbono scendere successi-vamente i tre corsi d'acqua per raggiungere l'oceano.

Il piccolo Koboe è tutto seminato d'isolotti a fiord'acqua dai quali alte palme-nibonghe ergono nell'incan-descenza equatoriale i loro tronchi smilzi ed i grandiventagli delle foglie. Da una parte e dall'altra della riva

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Page 153: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

trabocca la vegetazione strapotente della jungla. Dovebatte il sole, l'acqua è tutta una luce, dove arriva l'ombradella foresta, il fiume ha l'austerità dei laghi d'alta mon-tagna. I cocuzzoli dei monti Ambavanghi dominanol'orizzonte.

Sugli isolotti più vicini alla rotta delle navi montanola guardia malesi seminudi con un casco di foglie ed uncorno da caccia, i quali guidano a suon di tromba le ma-novre di bordo nei passaggi difficili. E fa un effetto stra-no di sentire la grossa nave moderna guidata dai tritoniequatoriali col cimiero di foglie. V'è una sproporzionequasi inconcepibile fra i motori a turbina dell'Alting ed ipiloti nudi degli isolotti!

A Koboe il fiume s'allarga e la navigazione diventapiù spedita, sempre però in mezzo ad un fantastico pae-saggio di palme che stendono, a perdita d'occhio,l'ondeggiamento dei loro ventagli. Il profumo meravi-glioso della jungla imbalsama l'aria ardente. Giganteschililla dei tropici, agglomerati qua e là a cespi folti, fannopensare a civettuole pagode di lacca cinese disseminatein un grande tempio.

La jungla, con la sua solennità ed il suo silenzio, dàsoprattutto la sensazione di un tempio, immenso tempioinnalzato dalla Natura equatoriale alla maestà di Dio.

Quando la nave s'accosta ad una delle sponde, l'ance-strale basilica mostra la magnificenza delle sue decora-zioni di fronte alle quali sono povere le pareti di SanPietro. A volte il meraviglioso soffitto verde è sostenutoda blocchi di colonne levigate e cupe che ricordano la

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trabocca la vegetazione strapotente della jungla. Dovebatte il sole, l'acqua è tutta una luce, dove arriva l'ombradella foresta, il fiume ha l'austerità dei laghi d'alta mon-tagna. I cocuzzoli dei monti Ambavanghi dominanol'orizzonte.

Sugli isolotti più vicini alla rotta delle navi montanola guardia malesi seminudi con un casco di foglie ed uncorno da caccia, i quali guidano a suon di tromba le ma-novre di bordo nei passaggi difficili. E fa un effetto stra-no di sentire la grossa nave moderna guidata dai tritoniequatoriali col cimiero di foglie. V'è una sproporzionequasi inconcepibile fra i motori a turbina dell'Alting ed ipiloti nudi degli isolotti!

A Koboe il fiume s'allarga e la navigazione diventapiù spedita, sempre però in mezzo ad un fantastico pae-saggio di palme che stendono, a perdita d'occhio,l'ondeggiamento dei loro ventagli. Il profumo meravi-glioso della jungla imbalsama l'aria ardente. Giganteschililla dei tropici, agglomerati qua e là a cespi folti, fannopensare a civettuole pagode di lacca cinese disseminatein un grande tempio.

La jungla, con la sua solennità ed il suo silenzio, dàsoprattutto la sensazione di un tempio, immenso tempioinnalzato dalla Natura equatoriale alla maestà di Dio.

Quando la nave s'accosta ad una delle sponde, l'ance-strale basilica mostra la magnificenza delle sue decora-zioni di fronte alle quali sono povere le pareti di SanPietro. A volte il meraviglioso soffitto verde è sostenutoda blocchi di colonne levigate e cupe che ricordano la

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Page 154: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

nudità diaccia delle cattedrali gotiche: a volte invecemorbidi velluti fasciano i piloni e le travate, orchidee diporcellana e corolle di smalto decorano pomposamentel'edifizio vegetale, bughenviglie roventi e rampicanticarnicini sfoggiano i loro sfarzosi broccati, fiori, muschie muffe in tutto il lussureggiante rigoglio dell'Equatore,richiamano allo spirito la calda opulenza del cattolicesi-mo romano. In certi punti fioccose fluorescenze colordell'aurora creano mistici scenari di sogno, in altre mi-gliaia e migliaia di piante terminate a pennacchio evoca-no fantastiche visioni di Babilonia e di fasto faraonico.Le gigantesche antenne dei varinga improvvisano Pan-theon e cupole: le liane intrecciano festoni e reggonolampadarii; accanto agli organi monumentali dei bambù,lunghi steli bianchicci, che finiscono con un paradossalefiore rosso, rappresentano i candelabri ed i ceri accesidella spettacolosa funzione.

Navighiamo così tutta la giornata in uno scenariopontificale. Incrociamo navi inglesi che salgono versoPontianak, barconi indigeni carichi di legname che scen-dono a mare, una grossa giunca dorata con la testa didrago e le vele dipinte che par costruita apposta per que-sta navigazione irreale.

Rari i villaggi e miserabili, molte scimmie riunite inassemblea lungo la sponda che continuano i comizi sen-za scomporsi pel nostro passaggio.

Quando verso sera il sole formidabile della zona torri-da s'abbassa sulla jungla, un grande incendio di fiammed'oro investe la foresta ed il fiume.

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nudità diaccia delle cattedrali gotiche: a volte invecemorbidi velluti fasciano i piloni e le travate, orchidee diporcellana e corolle di smalto decorano pomposamentel'edifizio vegetale, bughenviglie roventi e rampicanticarnicini sfoggiano i loro sfarzosi broccati, fiori, muschie muffe in tutto il lussureggiante rigoglio dell'Equatore,richiamano allo spirito la calda opulenza del cattolicesi-mo romano. In certi punti fioccose fluorescenze colordell'aurora creano mistici scenari di sogno, in altre mi-gliaia e migliaia di piante terminate a pennacchio evoca-no fantastiche visioni di Babilonia e di fasto faraonico.Le gigantesche antenne dei varinga improvvisano Pan-theon e cupole: le liane intrecciano festoni e reggonolampadarii; accanto agli organi monumentali dei bambù,lunghi steli bianchicci, che finiscono con un paradossalefiore rosso, rappresentano i candelabri ed i ceri accesidella spettacolosa funzione.

Navighiamo così tutta la giornata in uno scenariopontificale. Incrociamo navi inglesi che salgono versoPontianak, barconi indigeni carichi di legname che scen-dono a mare, una grossa giunca dorata con la testa didrago e le vele dipinte che par costruita apposta per que-sta navigazione irreale.

Rari i villaggi e miserabili, molte scimmie riunite inassemblea lungo la sponda che continuano i comizi sen-za scomporsi pel nostro passaggio.

Quando verso sera il sole formidabile della zona torri-da s'abbassa sulla jungla, un grande incendio di fiammed'oro investe la foresta ed il fiume.

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Sulla linea dell'Equatore asiatico il cielo assume ri-flessi e decorazioni che fanno impallidire i più sgargian-ti scenari dell'Africa e delle Indie. I tramonti del Borneoe dello stretto di Macassar sono semplicemente sbalor-ditivi. Stasera il grande mago della Sonda s'è divertitoad improvvisare coi vapori e le nebbie dell'Arcipelagouna pazza cavalcata di chimere che fuggono verso lelontananze dell'Australia, inseguite da una muta di caniroventi che incessantemente scaturiscono dalle profon-dità dell'oceano indiano.

È inutile provare a descrivere! Solo uno straordinariopittore riuscirebbe a riprodurre questa magnificenza,non sull'opacità di una tela, perchè sarebbe impossibile,ma sulla trasparenza di un vetro, dietro il quale perenne-mente avvampasse il bagliore di un incendio.

A me pare di vedere su uno sfondo di soli una di quel-le miracolose vetrate nelle quali i grandi maestridell'arte vetraria sapevano imprigionare particole di fuo-co acceso. Azzurri ardenti, rossi di brace, verdi di can-nello ossidrico, smeraldi d'acqua, baleni di rocca, argen-ti spumosi di cascata, porpore rutilanti, tutti i tesori deicieli, dei fiumi e dei mari sono profusi nell'iridescenzadell'infinito sul quale le fantastiche chimere fuggono efuggono inseguite dalla muta dei cani roventi....

Il bisogno istintivo di cercare un pallido raffronto neicapolavori degli uomini per far meglio sentire a chi leg-ge ciò che io vedo, mi fa pensare alle opere degli antichivetrai, semi Prometei che sapevano rubare al fuoco ilsuo ardore e chiuderlo in una teca di materia trasparente.

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Sulla linea dell'Equatore asiatico il cielo assume ri-flessi e decorazioni che fanno impallidire i più sgargian-ti scenari dell'Africa e delle Indie. I tramonti del Borneoe dello stretto di Macassar sono semplicemente sbalor-ditivi. Stasera il grande mago della Sonda s'è divertitoad improvvisare coi vapori e le nebbie dell'Arcipelagouna pazza cavalcata di chimere che fuggono verso lelontananze dell'Australia, inseguite da una muta di caniroventi che incessantemente scaturiscono dalle profon-dità dell'oceano indiano.

È inutile provare a descrivere! Solo uno straordinariopittore riuscirebbe a riprodurre questa magnificenza,non sull'opacità di una tela, perchè sarebbe impossibile,ma sulla trasparenza di un vetro, dietro il quale perenne-mente avvampasse il bagliore di un incendio.

A me pare di vedere su uno sfondo di soli una di quel-le miracolose vetrate nelle quali i grandi maestridell'arte vetraria sapevano imprigionare particole di fuo-co acceso. Azzurri ardenti, rossi di brace, verdi di can-nello ossidrico, smeraldi d'acqua, baleni di rocca, argen-ti spumosi di cascata, porpore rutilanti, tutti i tesori deicieli, dei fiumi e dei mari sono profusi nell'iridescenzadell'infinito sul quale le fantastiche chimere fuggono efuggono inseguite dalla muta dei cani roventi....

Il bisogno istintivo di cercare un pallido raffronto neicapolavori degli uomini per far meglio sentire a chi leg-ge ciò che io vedo, mi fa pensare alle opere degli antichivetrai, semi Prometei che sapevano rubare al fuoco ilsuo ardore e chiuderlo in una teca di materia trasparente.

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Page 156: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Ricordo d'aver avuto a Lucca in piccolo una impressio-ne quasi simile dinanzi ad una vetrata magnifica, unasera che il sole riverberandovi le sue ultime porporeaveva elettrizzato i guizzi magnetici del fuoco vetrifica-to. V'era in basso un Cristo bianchissimo fra la Madre eGiovanni: in alto in una frenesia di astri e di stellel'ascensione del Verbo in tutta la gloria pasquale versoun empireo d'evanescenze. Colori ed atmosfere avevanola luminosa potenza di questo miraggio tropicale.

Cielo, fiume e foresta sono così suggestivi nell'orgiadel tramonto, che quando le prime tenebre smorzano lefiamme d'oro si ha l'impressione di precipitare da ster-minate altezze in un ambiente più vicino ai consuetiorizzonti della terra!

Siamo entrati in mare a mezzanotte. A bordo tutti dor-mivano, sui ponti e nelle cabine. I maiali sognavanochissà che truogoli! Solo il personale di quarto ha fattocaso alle strizzatine d'occhio del minuscolo faro.

Passeggeri ed animali sono stati svegliati invece ver-so le quattro del mattino dal rumore caratteristico d'unvento grosso contro l'intelaiatura d'una nave. Le furiedell'Equatore sono subitanee e violente. Solo certi vec-chi lupi dell'Arcipelago sanno intravedere, nel troppooro dei tramonti, il sintomo d'una collera vicina. Subitola nave ha incominciato a dar segni di irrequietezza conun rullìo scomposto, inframmezzato da colpi bruschi espasmodici di beccheggio.

Lo stretto di Macassar è mal famato presso la gente dimare. Le burrasche ostacolate nella loro esplosione dai

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Ricordo d'aver avuto a Lucca in piccolo una impressio-ne quasi simile dinanzi ad una vetrata magnifica, unasera che il sole riverberandovi le sue ultime porporeaveva elettrizzato i guizzi magnetici del fuoco vetrifica-to. V'era in basso un Cristo bianchissimo fra la Madre eGiovanni: in alto in una frenesia di astri e di stellel'ascensione del Verbo in tutta la gloria pasquale versoun empireo d'evanescenze. Colori ed atmosfere avevanola luminosa potenza di questo miraggio tropicale.

Cielo, fiume e foresta sono così suggestivi nell'orgiadel tramonto, che quando le prime tenebre smorzano lefiamme d'oro si ha l'impressione di precipitare da ster-minate altezze in un ambiente più vicino ai consuetiorizzonti della terra!

Siamo entrati in mare a mezzanotte. A bordo tutti dor-mivano, sui ponti e nelle cabine. I maiali sognavanochissà che truogoli! Solo il personale di quarto ha fattocaso alle strizzatine d'occhio del minuscolo faro.

Passeggeri ed animali sono stati svegliati invece ver-so le quattro del mattino dal rumore caratteristico d'unvento grosso contro l'intelaiatura d'una nave. Le furiedell'Equatore sono subitanee e violente. Solo certi vec-chi lupi dell'Arcipelago sanno intravedere, nel troppooro dei tramonti, il sintomo d'una collera vicina. Subitola nave ha incominciato a dar segni di irrequietezza conun rullìo scomposto, inframmezzato da colpi bruschi espasmodici di beccheggio.

Lo stretto di Macassar è mal famato presso la gente dimare. Le burrasche ostacolate nella loro esplosione dai

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baluardi di Giava, di Borneo, di Celebes e delle innume-revoli isole minori, infilano a tromba lo stretto di Ma-cassar per aprirsi un varco verso il Pacifico. Alle volteun'altra tempesta proveniente dalle Filippine percorre insenso inverso il medesimo itinerario. Allora il cozzodelle due forze nell'imbuto di Macassar determina unoschianto degli elementi.

I passeggeri dell'Alting si adattano alla cattiva fortu-na. Il ponte s'organizza per la danza del mare. I malesiche s'erano installati a prua e sui boccaporti con tutti iloro comodi, s'affrettano a riporre nei bauletti cianfrusa-glie e trabiccoli. In un battibaleno le stuoie di coccosono arrotolate, scompaiono paraventi e ventagli, tuttele improvvisate cabine che davano alla quarta classel'aspetto di un bazar siamese, cedono il posto ad una fol-la miserabile e muta. I marinai ammainano le tende cheil vento minaccia di portar via ed i disgraziati restanosotto l'acqua coi loro fagotti. Ogni tanto un'ondata grifa-gna scudiscia i dorsi appoggiati alle murate.

Gli ottocento maiali meno filosofi urlano alla dispera-ta, dando alla situazione un carattere tragicomico. Vienda ridere a sentire i futuri salami sgolarsi come dannati,ma alla lunga il loro urlo di terrore finisce coll'esaspera-re i nervi della gente. Sono esseri viventi che hannopaura, paura dell'ignoto che incombe e minaccia. E nonv'è nulla di più comunicativo! Non avrei mai immagina-to che dei grugniti potessero assumere un'intonazionecosì drammatica.

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baluardi di Giava, di Borneo, di Celebes e delle innume-revoli isole minori, infilano a tromba lo stretto di Ma-cassar per aprirsi un varco verso il Pacifico. Alle volteun'altra tempesta proveniente dalle Filippine percorre insenso inverso il medesimo itinerario. Allora il cozzodelle due forze nell'imbuto di Macassar determina unoschianto degli elementi.

I passeggeri dell'Alting si adattano alla cattiva fortu-na. Il ponte s'organizza per la danza del mare. I malesiche s'erano installati a prua e sui boccaporti con tutti iloro comodi, s'affrettano a riporre nei bauletti cianfrusa-glie e trabiccoli. In un battibaleno le stuoie di coccosono arrotolate, scompaiono paraventi e ventagli, tuttele improvvisate cabine che davano alla quarta classel'aspetto di un bazar siamese, cedono il posto ad una fol-la miserabile e muta. I marinai ammainano le tende cheil vento minaccia di portar via ed i disgraziati restanosotto l'acqua coi loro fagotti. Ogni tanto un'ondata grifa-gna scudiscia i dorsi appoggiati alle murate.

Gli ottocento maiali meno filosofi urlano alla dispera-ta, dando alla situazione un carattere tragicomico. Vienda ridere a sentire i futuri salami sgolarsi come dannati,ma alla lunga il loro urlo di terrore finisce coll'esaspera-re i nervi della gente. Sono esseri viventi che hannopaura, paura dell'ignoto che incombe e minaccia. E nonv'è nulla di più comunicativo! Non avrei mai immagina-to che dei grugniti potessero assumere un'intonazionecosì drammatica.

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Il capitano assicura che l'Alting è solidissimo, vecchianave costruita in Olanda senza economie, che quando latempesta incalza si sbanda d'un lato e tien duro, ma iprofani sono male influenzati dal continuo scricchiolìodegli assi e delle lamiere. Quando l'elica fuori acqua rul-la a vuoto, sembra che tutto il vapore si scardini, che ipezzi debbano da un momento all'altro separarsi diveltida una forza più potente dei bulloni e delle chiavarde.

L'alba è livida, solforosa; il mare grosso, carico dispuma. Cavalloni neri incalzano d'ogni lato. Il ventourla, fischia, scuote ferramenta e cordami.

Ieri l'aria era così piatta, pesante, piena di sole! Taleera il torpore delle genti e delle cose che pareva dovessi-mo sempre andare verso un eterno sole, sopra un'acquad'olio, in un'atmosfera d'oppio...

Un colpo di mare azzanna sopra coperta un fascio dibambù. Pochi secondi bastano perchè l'enorme involtodiventi un piccolo punto lontano.

Qualche cosa s'ammassa laggiù nel cielo, come unamontagna di bitume, come un accavallamento di mura-glie. Nel piombo dell'aria è soffusa una sinistra lucen-tezza verde che fa pensare alla bile degli abissi.

Ogni tanto il vento si queta. Sembra che tutto sia ter-minato, poi una forza improvvisa acciuffa la nave pelsartiame e tira, tira, quasi voglia rapirla in alto, nei vor-tici della bufera. Le mani s'aggrappano istintivamente adun sostegno, tanto è brutale la sensazione d'essere av-vinghiati. Il vento aspetta che la nave precipiti fra due

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Il capitano assicura che l'Alting è solidissimo, vecchianave costruita in Olanda senza economie, che quando latempesta incalza si sbanda d'un lato e tien duro, ma iprofani sono male influenzati dal continuo scricchiolìodegli assi e delle lamiere. Quando l'elica fuori acqua rul-la a vuoto, sembra che tutto il vapore si scardini, che ipezzi debbano da un momento all'altro separarsi diveltida una forza più potente dei bulloni e delle chiavarde.

L'alba è livida, solforosa; il mare grosso, carico dispuma. Cavalloni neri incalzano d'ogni lato. Il ventourla, fischia, scuote ferramenta e cordami.

Ieri l'aria era così piatta, pesante, piena di sole! Taleera il torpore delle genti e delle cose che pareva dovessi-mo sempre andare verso un eterno sole, sopra un'acquad'olio, in un'atmosfera d'oppio...

Un colpo di mare azzanna sopra coperta un fascio dibambù. Pochi secondi bastano perchè l'enorme involtodiventi un piccolo punto lontano.

Qualche cosa s'ammassa laggiù nel cielo, come unamontagna di bitume, come un accavallamento di mura-glie. Nel piombo dell'aria è soffusa una sinistra lucen-tezza verde che fa pensare alla bile degli abissi.

Ogni tanto il vento si queta. Sembra che tutto sia ter-minato, poi una forza improvvisa acciuffa la nave pelsartiame e tira, tira, quasi voglia rapirla in alto, nei vor-tici della bufera. Le mani s'aggrappano istintivamente adun sostegno, tanto è brutale la sensazione d'essere av-vinghiati. Il vento aspetta che la nave precipiti fra due

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onde per cambiare fulmineamente direzione e spingererabbiosamente verso la voragine.

L'urlo terribile dei maiali impazziti aumenta l'orroredella battaglia.

Un tifone si forma laggiù dove s'accatastano le mura-glie di pece. Sul mare scomposto la nave fugge perduta-mente, in senso opposto, impennacchiata dal rigurgitodelle caldaie, sgocciolante d'acqua, scapigliata dal ven-to...

Il giorno ha la morta luce d'un eclisse solare.

Fra la calma piatta di ieri ed il sonnacchioso torporedi domani, questo sabba dello stretto di Macassar mi facapire tante cose delle terre equatoriali e delle loro gen-ti.

Sì, comprendo la frenetica sarabanda dei draghi cheterrorizzano le notti e le infanzie cinesi, le divinità digri-gnanti della Sonda, i riti terribili dei Teng, l'eccitazionemorbosa degli uomini del Borneo, il fatalismo supinodei Dacota, gli occhi sempre sgomenti dei poveri Daiàk,le credenze degli Antenati e delle «forze» che snaturanola stessa fede mussulmana di Giava e di Sumatra, le leg-gi inesorabili della jungla, le vendette ereditarie per pla-care la collera degli avi, le follie del kris, tutto ciò chev'è di eccessivo, di smisurato, d'incerto, di ondeggiante,d'implacabile nella vita e nelle religioni di queste povererazze dell'Asia ardente.

Non v'è proporzione fra l'immobilità morta di ieri e lafuria satanica d'oggi. Mancano le leggi della gradazione

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onde per cambiare fulmineamente direzione e spingererabbiosamente verso la voragine.

L'urlo terribile dei maiali impazziti aumenta l'orroredella battaglia.

Un tifone si forma laggiù dove s'accatastano le mura-glie di pece. Sul mare scomposto la nave fugge perduta-mente, in senso opposto, impennacchiata dal rigurgitodelle caldaie, sgocciolante d'acqua, scapigliata dal ven-to...

Il giorno ha la morta luce d'un eclisse solare.

Fra la calma piatta di ieri ed il sonnacchioso torporedi domani, questo sabba dello stretto di Macassar mi facapire tante cose delle terre equatoriali e delle loro gen-ti.

Sì, comprendo la frenetica sarabanda dei draghi cheterrorizzano le notti e le infanzie cinesi, le divinità digri-gnanti della Sonda, i riti terribili dei Teng, l'eccitazionemorbosa degli uomini del Borneo, il fatalismo supinodei Dacota, gli occhi sempre sgomenti dei poveri Daiàk,le credenze degli Antenati e delle «forze» che snaturanola stessa fede mussulmana di Giava e di Sumatra, le leg-gi inesorabili della jungla, le vendette ereditarie per pla-care la collera degli avi, le follie del kris, tutto ciò chev'è di eccessivo, di smisurato, d'incerto, di ondeggiante,d'implacabile nella vita e nelle religioni di queste povererazze dell'Asia ardente.

Non v'è proporzione fra l'immobilità morta di ieri e lafuria satanica d'oggi. Mancano le leggi della gradazione

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e dell'armonia. L'anima delle folle subisce l'influenzaastratta d'un clima paradossale e d'una natura scompo-sta: troppo oro nei tramonti, troppa pece nelle tempeste,un sole che abbrustolisce, tifoni che spazzano mari ecampagne, vulcani che vomitano fuoco, montagne chesussultano, fiumi che per un niente straripano e per unniente si prosciugano, perpetua mancanza di sicurezza,squilibrio di rapporti, tutte le magnificenze e tutti i cata-clismi, tutti i profumi e tutti i veleni. Le genti vivono inun mondo senza ordine apparente, in una perpetua as-senza di simmetria, sotto l'incubo d'un ignoto immanen-te, si sentono spettatori impotenti di collere ancestrali,giuocattoli in balìa di potenze occulte ed indefinibili.

Non vogliono lavorare. Hanno ragione! Cercano nellacarne delle loro femmine e nei fumi dell'oppio l'attimodi felicità senza preoccuparsi del domani. Hanno ragio-ne! In cinquanta milioni non pensano a ribellarsi a po-che migliaia di olandesi e di britannici perchè la parola«futuro» non ha senso per loro. Il loro cervello non con-cepisce l'avvenire. Solo il passato è una realtà innegabi-le e verso di esso è orientato il loro senso primitivo. Laciviltà deve educarli pian piano ad una esistenza menosoprannaturale, con paziente opera di persuasione,creando in loro la coscienza dell'equilibrio che, nono-stante tutto, esiste fra le forze cieche della Natura e laragionata imperturbabilità dell'uomo. Ma la civiltàd'occidente coi suoi assiomi scientifici è troppo brutaleper questa umanità infantile; la vecchia civiltà cinese,che durante millennii ha misteriosamente forgiato le

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e dell'armonia. L'anima delle folle subisce l'influenzaastratta d'un clima paradossale e d'una natura scompo-sta: troppo oro nei tramonti, troppa pece nelle tempeste,un sole che abbrustolisce, tifoni che spazzano mari ecampagne, vulcani che vomitano fuoco, montagne chesussultano, fiumi che per un niente straripano e per unniente si prosciugano, perpetua mancanza di sicurezza,squilibrio di rapporti, tutte le magnificenze e tutti i cata-clismi, tutti i profumi e tutti i veleni. Le genti vivono inun mondo senza ordine apparente, in una perpetua as-senza di simmetria, sotto l'incubo d'un ignoto immanen-te, si sentono spettatori impotenti di collere ancestrali,giuocattoli in balìa di potenze occulte ed indefinibili.

Non vogliono lavorare. Hanno ragione! Cercano nellacarne delle loro femmine e nei fumi dell'oppio l'attimodi felicità senza preoccuparsi del domani. Hanno ragio-ne! In cinquanta milioni non pensano a ribellarsi a po-che migliaia di olandesi e di britannici perchè la parola«futuro» non ha senso per loro. Il loro cervello non con-cepisce l'avvenire. Solo il passato è una realtà innegabi-le e verso di esso è orientato il loro senso primitivo. Laciviltà deve educarli pian piano ad una esistenza menosoprannaturale, con paziente opera di persuasione,creando in loro la coscienza dell'equilibrio che, nono-stante tutto, esiste fra le forze cieche della Natura e laragionata imperturbabilità dell'uomo. Ma la civiltàd'occidente coi suoi assiomi scientifici è troppo brutaleper questa umanità infantile; la vecchia civiltà cinese,che durante millennii ha misteriosamente forgiato le

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moltitudini asiatiche in pochi quadri invariabili, è indi-scutibilmente più adatta per queste razze e per questiclimi.

Mentre nell'India metafisica e sognatrice un grandesoffio di libertà sommuove la coscienza profonda delleturbe, nell'isola olandese e negli Straits Settlements nes-sun movimento spirituale minaccia il tranquillo posses-so europeo. Per la mentalità indigena la fortuna deibianchi è «provvisoria» quanto la servitù dei nativi. Tut-to è provvisorio nell'arcipelago dei vulcani, dei tifoni,dei terremoti, dei diluvii e dei cataclismi.

La minaccia per gli interessi coloniali dell'Olanda edell'Inghilterra è d'altra natura: nelle folle che l'immensaCina continuamente ammassa sulle terre e le isoledell'Equatore nonostante le leggi limitative ed i divietid'immigrazione. Ed il Giappone è materialmente e spiri-tualmente quasi pronto per fornire insieme ai quadri edai comandi una bandiera ideale!

Il vento sibila, rugge, sghignazza. Le saette serpeg-giano con contorcimenti violenti. Le nubi s'abbassano es'abbattono sul mare. In fondo all'orizzonte s'innalzaqualche cosa che non si sa cosa sia, se una fantastica co-lonna d'acqua od il pino d'un vulcano oceanico emersoimprovvisamente alla superficie. Forse domani cielo emare saranno una sola liquescenza d'oro! Frattanto iltuono rimbomba con schianti di finimondo. Uno scro-scio, una vampa; una saetta è caduta in mare. Poi i lam-pi riprendono a barbagliare...

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moltitudini asiatiche in pochi quadri invariabili, è indi-scutibilmente più adatta per queste razze e per questiclimi.

Mentre nell'India metafisica e sognatrice un grandesoffio di libertà sommuove la coscienza profonda delleturbe, nell'isola olandese e negli Straits Settlements nes-sun movimento spirituale minaccia il tranquillo posses-so europeo. Per la mentalità indigena la fortuna deibianchi è «provvisoria» quanto la servitù dei nativi. Tut-to è provvisorio nell'arcipelago dei vulcani, dei tifoni,dei terremoti, dei diluvii e dei cataclismi.

La minaccia per gli interessi coloniali dell'Olanda edell'Inghilterra è d'altra natura: nelle folle che l'immensaCina continuamente ammassa sulle terre e le isoledell'Equatore nonostante le leggi limitative ed i divietid'immigrazione. Ed il Giappone è materialmente e spiri-tualmente quasi pronto per fornire insieme ai quadri edai comandi una bandiera ideale!

Il vento sibila, rugge, sghignazza. Le saette serpeg-giano con contorcimenti violenti. Le nubi s'abbassano es'abbattono sul mare. In fondo all'orizzonte s'innalzaqualche cosa che non si sa cosa sia, se una fantastica co-lonna d'acqua od il pino d'un vulcano oceanico emersoimprovvisamente alla superficie. Forse domani cielo emare saranno una sola liquescenza d'oro! Frattanto iltuono rimbomba con schianti di finimondo. Uno scro-scio, una vampa; una saetta è caduta in mare. Poi i lam-pi riprendono a barbagliare...

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Page 162: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

L'uragano non ha nulla di comune con le tempeste delMediterraneo e dell'Atlantico. Non vi sono più nè marenè cielo, nè giorno nè notte: v'è un caos di abissi e difragori.

L'urlo dei maiali interroriti è l'unica voce non ance-strale della battaglia. Ed è spaventosamente umana!

Agglomerati sui boccaporti, pigiati gli uni agli altri, ipoveri malesi formano una massa miserabile di carne li-vida e sballottata. Non piangono, non gridano. Aspetta-no! Il malese aspetta sempre, anche faccia a faccia conla morte.

Perchè urlare, perchè raccomandarsi, perchè pensaread una tavola o ad un salvagente? Gli Antenati sorve-gliano l'immutabile compiersi del destino.

«Non scegliere fra destra e sinistra; qualcuno guideràil tuo cammino!». . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E la nave fugge in mezzo al convulso cozzo degli ele-menti, fugge... coi suoi maiali imploranti, con la sua ple-be rassegnata...

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L'uragano non ha nulla di comune con le tempeste delMediterraneo e dell'Atlantico. Non vi sono più nè marenè cielo, nè giorno nè notte: v'è un caos di abissi e difragori.

L'urlo dei maiali interroriti è l'unica voce non ance-strale della battaglia. Ed è spaventosamente umana!

Agglomerati sui boccaporti, pigiati gli uni agli altri, ipoveri malesi formano una massa miserabile di carne li-vida e sballottata. Non piangono, non gridano. Aspetta-no! Il malese aspetta sempre, anche faccia a faccia conla morte.

Perchè urlare, perchè raccomandarsi, perchè pensaread una tavola o ad un salvagente? Gli Antenati sorve-gliano l'immutabile compiersi del destino.

«Non scegliere fra destra e sinistra; qualcuno guideràil tuo cammino!». . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E la nave fugge in mezzo al convulso cozzo degli ele-menti, fugge... coi suoi maiali imploranti, con la sua ple-be rassegnata...

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In un villaggio "Daiak"

BANGERMASSIM, 5 aprile.

Ruai, piccolo villaggio «daiak» del Borneo olandese,situato cinquanta chilometri a monte di Bangermassim,sul fiume Barito, si desta alle prime carezze del mattino.

Ruai è un vecchio villaggio della jungla costruito contutte le regole dell'architettura «daiak». Dentro un gran-de steccato di canne di bambù sono raccolte circa uncentinaio di capanne su palafitte, alte due metri dal suo-lo: la porta che vorrebbe essere monumentale, è sor-montata da un architrave cinese anch'esso di canne. Inmezzo è l'abitazione del capo, fiancheggiata da due bi-cocche un tantino più basse, che ospitano rispettivamen-te il medico e lo stregone.

La sera l'inquilino della casa più vicina all'ingresso,spranga la porta e il paese s'isola dal resto del mondo.Solo le serpi della jungla, il tadang, il cobra nero o laterribile raia, osano alle volte violare il domicilio degliuomini nonostante il ceffo del grande drago che montala guardia all'entrata del villaggio.

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In un villaggio "Daiak"

BANGERMASSIM, 5 aprile.

Ruai, piccolo villaggio «daiak» del Borneo olandese,situato cinquanta chilometri a monte di Bangermassim,sul fiume Barito, si desta alle prime carezze del mattino.

Ruai è un vecchio villaggio della jungla costruito contutte le regole dell'architettura «daiak». Dentro un gran-de steccato di canne di bambù sono raccolte circa uncentinaio di capanne su palafitte, alte due metri dal suo-lo: la porta che vorrebbe essere monumentale, è sor-montata da un architrave cinese anch'esso di canne. Inmezzo è l'abitazione del capo, fiancheggiata da due bi-cocche un tantino più basse, che ospitano rispettivamen-te il medico e lo stregone.

La sera l'inquilino della casa più vicina all'ingresso,spranga la porta e il paese s'isola dal resto del mondo.Solo le serpi della jungla, il tadang, il cobra nero o laterribile raia, osano alle volte violare il domicilio degliuomini nonostante il ceffo del grande drago che montala guardia all'entrata del villaggio.

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Dire che Ruai abbia bell'aspetto sarebbe esagerato!Visto di lontano, più che ad un luogo abitato da genteumana fa pensare ad una costruzione di carte da giuocofatta con un mazzo molto lercio, di quelli che dopo treanni di servizio in bettola passano ai ragazzi dell'osteperchè manca uno dei mazzerelli al quattro di bastoni.Però bisogna fare i conti col sole dell'Equatore, con glismeraldi del fiume e con la vicinanza della foresta.Quando, come stamane, i raggi dell'astro nascente tra-sformano i poveri graticci di bambù in telai di vellutoscanellato con tutti i riflessi e le tonalità del nocciuolo,tra la foresta che agita con voluttuosa pigrizia i suoismaglianti flabelli ed il fiume che accende fantastica-mente i suoi cristalli, Ruai cessa d'essere una miserabileaccozzaglia di stamberghe per diventare un quadrettomagico dell'Equatore.

Galli canterini montano sui tetti di bambù a dare lasveglia al villaggio. Il vento ci porta l'eco di voci di don-ne e di pianti di bambini. Vediamo le porte delle capan-ne aprirsi una dopo l'altra, figure umane affacciarsi sullepalafitte e scendere le scalette. Qualche comignolofuma. Si sente il rombo dei primi piloni che tritano ilriso. Un cane battuto guaisce. La porta del villaggioapre il suo battente di canne annunziando ufficialmenteil principio del giorno.

Gli uomini escono alla spicciolata con l'ascia dacotasulle spalle, dirigendosi verso la jungla pel taglio dellelegna o l'incisione delle resine. Sono malesi della specie«daiak», bruni, alti, snodati, qualche cosa di mezzo fra il

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Dire che Ruai abbia bell'aspetto sarebbe esagerato!Visto di lontano, più che ad un luogo abitato da genteumana fa pensare ad una costruzione di carte da giuocofatta con un mazzo molto lercio, di quelli che dopo treanni di servizio in bettola passano ai ragazzi dell'osteperchè manca uno dei mazzerelli al quattro di bastoni.Però bisogna fare i conti col sole dell'Equatore, con glismeraldi del fiume e con la vicinanza della foresta.Quando, come stamane, i raggi dell'astro nascente tra-sformano i poveri graticci di bambù in telai di vellutoscanellato con tutti i riflessi e le tonalità del nocciuolo,tra la foresta che agita con voluttuosa pigrizia i suoismaglianti flabelli ed il fiume che accende fantastica-mente i suoi cristalli, Ruai cessa d'essere una miserabileaccozzaglia di stamberghe per diventare un quadrettomagico dell'Equatore.

Galli canterini montano sui tetti di bambù a dare lasveglia al villaggio. Il vento ci porta l'eco di voci di don-ne e di pianti di bambini. Vediamo le porte delle capan-ne aprirsi una dopo l'altra, figure umane affacciarsi sullepalafitte e scendere le scalette. Qualche comignolofuma. Si sente il rombo dei primi piloni che tritano ilriso. Un cane battuto guaisce. La porta del villaggioapre il suo battente di canne annunziando ufficialmenteil principio del giorno.

Gli uomini escono alla spicciolata con l'ascia dacotasulle spalle, dirigendosi verso la jungla pel taglio dellelegna o l'incisione delle resine. Sono malesi della specie«daiak», bruni, alti, snodati, qualche cosa di mezzo fra il

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nero dell'Africa ed il giallo, appena coperti da un metrodi cotonina che lascia scoperte le lunghe braccia e le piùlunghe gambe, le quali danno al loro incedere dinocco-lato un non so che di scimmiesco. Coscie e garretti sonocuriosamente rigati di scuro come le zampe delle zebre,

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Indigeni selvaggi di razza Kas.

nero dell'Africa ed il giallo, appena coperti da un metrodi cotonina che lascia scoperte le lunghe braccia e le piùlunghe gambe, le quali danno al loro incedere dinocco-lato un non so che di scimmiesco. Coscie e garretti sonocuriosamente rigati di scuro come le zampe delle zebre,

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Indigeni selvaggi di razza Kas.

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a causa d'uno strano tatuaggio che ottengono fasciandosistrettamente da ragazzi con un vimine colorante che in-cide l'epidermide e la tinge indelebilmente.

Poi è la volta delle donne che vanno a bagnarsi nelfiume. Pare che il pudore non sia una delle caratteristi-che della razza, perchè, nonostante l'immediata vicinan-za del nostro accampamento, lasciano scivolare «sar-rong» e carnicini. Dopo il bagno donne e ragazzi siasciugano lungamente al sole come Dio li ha fatti.

Belle le giovani, falcate, tornite, con seni turgidi e li-nee statuarie; già difformi quelle d'età appena maturacon i seni flosci ed i ventri gonfi; orribili le vecchie, an-golose, incartapecorite, magre da far spavento, strana-mente pelose sul filo della schiena. L'Equatore, le malat-tie ereditarie e la terribile pilatura del riso, avvizzisconoa venticinque anni le superbe femmine della jungla. Daitredici ai venticinque però i corpi hanno tutta la grazia ela potenza della vegetazione equatoriale.

Nell'orgia solare, sullo sfondo della foresta millena-ria, il gruppo delle naiadi del Borneo, che mescola lasua nudità al verde della jungla, fa pensare un po' al Pa-radiso terrestre. S'aspetta di veder sbucare tra le foglieun Adamo peloso od un pitecantropo con le braccia ca-riche di frutta selvagge pel pasto delle femmine e dellecreature. Vediamo invece un vecchio con la barbetta apizzo e la figura d'un notaio in mutande, che si dirigeverso il nostro accampamento. Non tardiamo a sapereche è il medico del paese, il quale viene a chiederci unpo' di tintura di iodio.

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a causa d'uno strano tatuaggio che ottengono fasciandosistrettamente da ragazzi con un vimine colorante che in-cide l'epidermide e la tinge indelebilmente.

Poi è la volta delle donne che vanno a bagnarsi nelfiume. Pare che il pudore non sia una delle caratteristi-che della razza, perchè, nonostante l'immediata vicinan-za del nostro accampamento, lasciano scivolare «sar-rong» e carnicini. Dopo il bagno donne e ragazzi siasciugano lungamente al sole come Dio li ha fatti.

Belle le giovani, falcate, tornite, con seni turgidi e li-nee statuarie; già difformi quelle d'età appena maturacon i seni flosci ed i ventri gonfi; orribili le vecchie, an-golose, incartapecorite, magre da far spavento, strana-mente pelose sul filo della schiena. L'Equatore, le malat-tie ereditarie e la terribile pilatura del riso, avvizzisconoa venticinque anni le superbe femmine della jungla. Daitredici ai venticinque però i corpi hanno tutta la grazia ela potenza della vegetazione equatoriale.

Nell'orgia solare, sullo sfondo della foresta millena-ria, il gruppo delle naiadi del Borneo, che mescola lasua nudità al verde della jungla, fa pensare un po' al Pa-radiso terrestre. S'aspetta di veder sbucare tra le foglieun Adamo peloso od un pitecantropo con le braccia ca-riche di frutta selvagge pel pasto delle femmine e dellecreature. Vediamo invece un vecchio con la barbetta apizzo e la figura d'un notaio in mutande, che si dirigeverso il nostro accampamento. Non tardiamo a sapereche è il medico del paese, il quale viene a chiederci unpo' di tintura di iodio.

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Per essere medici «daiak» non è necessaria la laurea,tanto meno l'esame di Stato della riforma Gentile. Bastaessere... vedovo tre volte. Curiosa, ma autentica!

I «daiak» riconoscono, a chi ha perso tre mogli, abba-stanza esperienza per curare le mogli degli altri.

La terapeutica «daiak» si riduce a pochi decotti ed aqualche cataplasma coi quali curano i mali, lasciando ilresto al buon Dio. Nei luoghi d'una certa importanza lapopolazione ricorre in ultima analisi al medico militareolandese, ma nei villaggetti tipo Ruai, sperduti nel mez-zo della jungla, fuori delle grandi vie di comunicazione,il medico locale non ha concorrenti. Le febbri della jun-gla sono, per esempio, curate con certi frutti selvaggimescolati con sangue tiepido di cane. Il sangue canino,al quale i «daiak» attribuiscono straordinarie qualità cu-rative, è anche uno degli ingredienti abituali dei catapla-smi e delle pozioni.

Altro personaggio importante è lo stregone – il ma-nang – che funziona da prete, da becchino e da notaiodel villaggio. Il governo olandese naturalmente non ri-conosce questa autorità, ma il favore popolare fa a menodell'exequatur governativo. Fino ad una ventina d'annifa la principale occupazione del manang era d'affumica-re a puntino i cranii delle «teste tagliate». Oggi che unatesta tagliata può costare al villaggio la distruzione dei«kampong» e lo sfratto degli abitanti, il manang si con-tenta di presagire l'avvenire sul fegato di maiale, di an-nunziare cambiamenti di luna e di tener lontano dal pae-se lo spirito del male. Il distintivo del grado è una larga

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Per essere medici «daiak» non è necessaria la laurea,tanto meno l'esame di Stato della riforma Gentile. Bastaessere... vedovo tre volte. Curiosa, ma autentica!

I «daiak» riconoscono, a chi ha perso tre mogli, abba-stanza esperienza per curare le mogli degli altri.

La terapeutica «daiak» si riduce a pochi decotti ed aqualche cataplasma coi quali curano i mali, lasciando ilresto al buon Dio. Nei luoghi d'una certa importanza lapopolazione ricorre in ultima analisi al medico militareolandese, ma nei villaggetti tipo Ruai, sperduti nel mez-zo della jungla, fuori delle grandi vie di comunicazione,il medico locale non ha concorrenti. Le febbri della jun-gla sono, per esempio, curate con certi frutti selvaggimescolati con sangue tiepido di cane. Il sangue canino,al quale i «daiak» attribuiscono straordinarie qualità cu-rative, è anche uno degli ingredienti abituali dei catapla-smi e delle pozioni.

Altro personaggio importante è lo stregone – il ma-nang – che funziona da prete, da becchino e da notaiodel villaggio. Il governo olandese naturalmente non ri-conosce questa autorità, ma il favore popolare fa a menodell'exequatur governativo. Fino ad una ventina d'annifa la principale occupazione del manang era d'affumica-re a puntino i cranii delle «teste tagliate». Oggi che unatesta tagliata può costare al villaggio la distruzione dei«kampong» e lo sfratto degli abitanti, il manang si con-tenta di presagire l'avvenire sul fegato di maiale, di an-nunziare cambiamenti di luna e di tener lontano dal pae-se lo spirito del male. Il distintivo del grado è una larga

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cintura di cuoio con una frangia di conchiglie e di dentidi fiere.

Altra prerogativa dello stregone è di fissare la dotedelle ragazze, la quale è pagata dal marito e di pronun-ziare sentenza inappellabile di divorzio nei casi gravi didiscordia coniugale. Le donne «daiak» sono, sotto tutti irapporti, le miserabili schiave degli uomini, ma è lororiconosciuto con larghezza una specie di diritto di «pro-va» prima del matrimonio. Scelto invece il marito, lalegge «daiak» non consente strappi alla fedeltà coniuga-le ed i casi d'adulterio sono puniti con estrema barbarie.L'omertà del villaggio rende materialmente impossibilel'intervento delle autorità olandesi. Tanto questi delitti,quanto quelli provocati dalla legge inesorabile dellavendetta ereditaria, rimangono costantemente impuniti.

L'ospitalità è sacra per i «daiak», ma poiché l'espe-rienza consiglia una certa prudenza, ogni villaggio hal'abitudine di costruire fuori dello steccato di cinta unapiccola capanna, la quale è riservata agli ospiti di pas-saggio, in genere malesi degli altipiani che vanno a cer-car lavoro nelle città, o mercanti cinesi che traversano lajungla per vendere agli indigeni stoviglie e cotonate, in-cettando i prodotti dell'interno.

Noi che siamo venuti a Ruai per studiare da vicino al-cune piante resinose della jungla, della famiglia dellepalme-dagmar, avremmo dovuto occupare la «capannadegli ospiti», ma v'abbiamo già trovato installato un bra-vo mercante cinese con una piccola carovana di portato-ri.. Il «celeste» con l'ossequiosa cortesia della sua razza

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cintura di cuoio con una frangia di conchiglie e di dentidi fiere.

Altra prerogativa dello stregone è di fissare la dotedelle ragazze, la quale è pagata dal marito e di pronun-ziare sentenza inappellabile di divorzio nei casi gravi didiscordia coniugale. Le donne «daiak» sono, sotto tutti irapporti, le miserabili schiave degli uomini, ma è lororiconosciuto con larghezza una specie di diritto di «pro-va» prima del matrimonio. Scelto invece il marito, lalegge «daiak» non consente strappi alla fedeltà coniuga-le ed i casi d'adulterio sono puniti con estrema barbarie.L'omertà del villaggio rende materialmente impossibilel'intervento delle autorità olandesi. Tanto questi delitti,quanto quelli provocati dalla legge inesorabile dellavendetta ereditaria, rimangono costantemente impuniti.

L'ospitalità è sacra per i «daiak», ma poiché l'espe-rienza consiglia una certa prudenza, ogni villaggio hal'abitudine di costruire fuori dello steccato di cinta unapiccola capanna, la quale è riservata agli ospiti di pas-saggio, in genere malesi degli altipiani che vanno a cer-car lavoro nelle città, o mercanti cinesi che traversano lajungla per vendere agli indigeni stoviglie e cotonate, in-cettando i prodotti dell'interno.

Noi che siamo venuti a Ruai per studiare da vicino al-cune piante resinose della jungla, della famiglia dellepalme-dagmar, avremmo dovuto occupare la «capannadegli ospiti», ma v'abbiamo già trovato installato un bra-vo mercante cinese con una piccola carovana di portato-ri.. Il «celeste» con l'ossequiosa cortesia della sua razza

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offrì subito di sgomberare l'appartamento. Noi abbiamopreferito rizzare le nostre piccole tende sul fiume,all'ombra degli ebani giganti.

Il mercante cinese ed i suoi accoliti sono tre rappre-sentanti tipici d'una specie gialla che è definita nell'Asiaequatoriale «i ping in cammino», qualche cosa che vor-rebbe dire «nuovi ricchi in formazione».

Il cinese riserva la pancetta e la faccia tonda a quandoha fatto fortuna: allora bastano due anni al ricco botte-gaio per metter su un faccione di luna piena ed un belventre di Buddha, per acquistare cioè quella silhouettedi bonzo che hanno sui paraventi di lacca tutti i rispetta-bili figli della Repubblica Celeste. Quando è invece ilmomento di far quattrini il cinese è in genere magro, se-galigno, tutto pelle ed ossa. Non dareste un soldo per lasua salute, invece il ping resiste come pochi alla fatica.

Intelligenti, sobri, scaltri, pazienti, filosofi, tenaci, di-plomatici, i cinesi sono i veri ebrei dell'Asia equatoriale.Tutto il commercio minuto e tutti gli scambi fra produt-tori indigeni e negozianti europei è in mano dei cinesi.Fino a pochi anni fa i «daiak» e i «dakota» davano spie-tatamente la caccia ai ping nella foresta per depredarlidelle loro mercanzie e fare collezione di cranii affumi-cati contro il malocchio, ma ormai il controllo olandesenella zona meridionale dell'isola e quello britannico nel-le regioni settentrionali, garantiscono ai celesti una rela-tiva sicurezza.

Il nostro mercante, il quale ha subdorato, nella pre-senza dei bianchi, la possibilità di concludere qualche

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offrì subito di sgomberare l'appartamento. Noi abbiamopreferito rizzare le nostre piccole tende sul fiume,all'ombra degli ebani giganti.

Il mercante cinese ed i suoi accoliti sono tre rappre-sentanti tipici d'una specie gialla che è definita nell'Asiaequatoriale «i ping in cammino», qualche cosa che vor-rebbe dire «nuovi ricchi in formazione».

Il cinese riserva la pancetta e la faccia tonda a quandoha fatto fortuna: allora bastano due anni al ricco botte-gaio per metter su un faccione di luna piena ed un belventre di Buddha, per acquistare cioè quella silhouettedi bonzo che hanno sui paraventi di lacca tutti i rispetta-bili figli della Repubblica Celeste. Quando è invece ilmomento di far quattrini il cinese è in genere magro, se-galigno, tutto pelle ed ossa. Non dareste un soldo per lasua salute, invece il ping resiste come pochi alla fatica.

Intelligenti, sobri, scaltri, pazienti, filosofi, tenaci, di-plomatici, i cinesi sono i veri ebrei dell'Asia equatoriale.Tutto il commercio minuto e tutti gli scambi fra produt-tori indigeni e negozianti europei è in mano dei cinesi.Fino a pochi anni fa i «daiak» e i «dakota» davano spie-tatamente la caccia ai ping nella foresta per depredarlidelle loro mercanzie e fare collezione di cranii affumi-cati contro il malocchio, ma ormai il controllo olandesenella zona meridionale dell'isola e quello britannico nel-le regioni settentrionali, garantiscono ai celesti una rela-tiva sicurezza.

Il nostro mercante, il quale ha subdorato, nella pre-senza dei bianchi, la possibilità di concludere qualche

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affare, è venuto all'alba al campo a domandarci con mil-le riverenze se avevamo nulla in contrario a che egli re-stasse tutto il giorno, dovendo curare, dice lui, la gambad'uno dei suoi portatori. Un'ora dopo lo vediamo ricom-parire con una scatola di tè che ci prega di gradire comeomaggio, trattandosi di una foglia verde del Fu-tceu in-trovabile in commercio. Fra una chiacchera e l'altra rie-sce ad accollarci diversi oggetti, Ci racconta che è ori-ginario del Macao e che dopo aver perso tutta la suafortuna a Pontianak, s'arrabatta ora a fare il merciaioloambulante di villaggio in villaggio fra Pontianak e Ban-germassim, vendendo agli indigeni petrolio, zucchero,sale, stoffe e soprattutto arak che è una acquavite diriso, contro prodotti dell'interno, cioè polvere d'oro, gut-taperca, resine, legno d'ebano, corteccie tintoriali escimmie vive.

La storiella della rovina commerciale è una specie dileit-motif di tutti i suoi colleghi. L'amico deve essere in-vece arrivato nel Borneo con pochi soldi, probabilmentesenza un «sapeko», appoggiato da un compatriota giàricco o da una potente Corporazione di Shanghai, laquale gli ha fornito, secondo l'abitudine cinese, le primemerci. Quasi certamente egli possiede già a quest'ora undiscreto capitale depositato in qualche Banca cinese diCanton o di Singapore. Quando la somma sarà abba-stanza rotonda per dire basta, il ping farà una riverenzaalla jungla, comprerà in quel di Giava o di Singapore unterreno, si farà costruire una bella villetta col tetto diporcellana, sostituirà la tela con abiti di seta, le ciabatte

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affare, è venuto all'alba al campo a domandarci con mil-le riverenze se avevamo nulla in contrario a che egli re-stasse tutto il giorno, dovendo curare, dice lui, la gambad'uno dei suoi portatori. Un'ora dopo lo vediamo ricom-parire con una scatola di tè che ci prega di gradire comeomaggio, trattandosi di una foglia verde del Fu-tceu in-trovabile in commercio. Fra una chiacchera e l'altra rie-sce ad accollarci diversi oggetti, Ci racconta che è ori-ginario del Macao e che dopo aver perso tutta la suafortuna a Pontianak, s'arrabatta ora a fare il merciaioloambulante di villaggio in villaggio fra Pontianak e Ban-germassim, vendendo agli indigeni petrolio, zucchero,sale, stoffe e soprattutto arak che è una acquavite diriso, contro prodotti dell'interno, cioè polvere d'oro, gut-taperca, resine, legno d'ebano, corteccie tintoriali escimmie vive.

La storiella della rovina commerciale è una specie dileit-motif di tutti i suoi colleghi. L'amico deve essere in-vece arrivato nel Borneo con pochi soldi, probabilmentesenza un «sapeko», appoggiato da un compatriota giàricco o da una potente Corporazione di Shanghai, laquale gli ha fornito, secondo l'abitudine cinese, le primemerci. Quasi certamente egli possiede già a quest'ora undiscreto capitale depositato in qualche Banca cinese diCanton o di Singapore. Quando la somma sarà abba-stanza rotonda per dire basta, il ping farà una riverenzaalla jungla, comprerà in quel di Giava o di Singapore unterreno, si farà costruire una bella villetta col tetto diporcellana, sostituirà la tela con abiti di seta, le ciabatte

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di cuoio con pantofole di raso, tirerà fuori il ventaglioed il parasole, si iscriverà ad una setta politica, faràstampare il suo bravo nome e cognome su un bigliettoda visita largo come un lenzuolo e diventerà di punto inbianco un qualsiasi Cin-Fun-Pin, confucista, uomo dilettere e membro milionario d'una Corporazione.

Un vecchio colono di Bangermassim, il quale ci ac-compagna a Ruai, ci spiega che la fonte principale delrapido arricchimento dei cinesi è la bilancia. Il governoolandese impone l'uso di stadere controllate ed ogni ci-nese si fa un dovere di comperarne parecchie a disposi-zione delle autorità, ma tiene a portata di mano per iviaggi nella jungla la sua bilancia addomesticata che èquella permanentemente in funzione.

Dopo la guerra diversi ebrei polacchi hanno tentato difare la concorrenza ai cinesi nel piccolo commercio delBorneo e delle Molucche, ma hanno dovuto battere inritirata di fronte all'impossibiltà dell'impresa, anche perl'ostilità del governo olandese, il quale vede di mal oc-chio stranieri di qualsiasi nazionalità europea od ameri-cana battere regolarmente l'interno della colonia. Un ita-liano che cinque anni fa aveva avuto il fegato di stabilir-si sul Pinoh in piena foresta per accumulare le resine deivillaggi, fu avvertito dal Residente generale di Singa-tang che il governo declinava qualsiasi responsabilitàsulla sua sicurezza, monito significativo in un territorionel quale i «daiak» sono tenuti in rispetto solo dalla pau-ra della rappresaglia olandese.

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di cuoio con pantofole di raso, tirerà fuori il ventaglioed il parasole, si iscriverà ad una setta politica, faràstampare il suo bravo nome e cognome su un bigliettoda visita largo come un lenzuolo e diventerà di punto inbianco un qualsiasi Cin-Fun-Pin, confucista, uomo dilettere e membro milionario d'una Corporazione.

Un vecchio colono di Bangermassim, il quale ci ac-compagna a Ruai, ci spiega che la fonte principale delrapido arricchimento dei cinesi è la bilancia. Il governoolandese impone l'uso di stadere controllate ed ogni ci-nese si fa un dovere di comperarne parecchie a disposi-zione delle autorità, ma tiene a portata di mano per iviaggi nella jungla la sua bilancia addomesticata che èquella permanentemente in funzione.

Dopo la guerra diversi ebrei polacchi hanno tentato difare la concorrenza ai cinesi nel piccolo commercio delBorneo e delle Molucche, ma hanno dovuto battere inritirata di fronte all'impossibiltà dell'impresa, anche perl'ostilità del governo olandese, il quale vede di mal oc-chio stranieri di qualsiasi nazionalità europea od ameri-cana battere regolarmente l'interno della colonia. Un ita-liano che cinque anni fa aveva avuto il fegato di stabilir-si sul Pinoh in piena foresta per accumulare le resine deivillaggi, fu avvertito dal Residente generale di Singa-tang che il governo declinava qualsiasi responsabilitàsulla sua sicurezza, monito significativo in un territorionel quale i «daiak» sono tenuti in rispetto solo dalla pau-ra della rappresaglia olandese.

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Anche per i cinesi il governo ha promulgato un decre-to che vieta lo sbarco dei coolye cioè degli emigrantisenza mezzi di fortuna nel territorio delle Indie Olande-si, ma oramai i cinesi della colonia sono già diversi mi-lioni. Inoltre a Cantori, ad Hongkong, a Singapore esi-stono formidabili Società d'emigrazione curiosamenteorganizzate come cooperative, le quali trovano sempremodo d'eseguire alla chetichella sbarchi di ventura convecchie giunche che attraccano nei punti solitari dellacosta.

A parte gli hokien, che esercitano i loro talentinell'usura e nel grosso commercio, l'emigrazione cinesecanalizza verso l'Asia equatoriale, quattro categorie dilavoratori: gli ylam, che sono domestici, stiratori e cuo-chi, i kek, che sono operai per le industrie, i te-chew, chesono operai agricoli ed i macao o piccoli artigiani. V'èanche una discreta emigrazione femminile molto sui ge-neris, la quale pare rappresenti, per gli esportatori ed ibanchieri di Canton, un affare finanziario di primissimoordine.

Parchi, lavoratori, resistentissimi alla fatica, i cinesinon indietreggiano dinanzi a nessun genere di lavoropur di guadagnare; assimilano con straordinaria rapiditài più disparati mestieri, avidi di denaro, falsificatoriemeriti, imbroglioni in tutto, meno che nei rapporti uffi-ciali con le Banche e la clientela, accoppiano in un uni-co esemplare giallo tutte le qualità dei giapponesi, degliebrei, dei levantini, degli armeni e dei greci!

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Anche per i cinesi il governo ha promulgato un decre-to che vieta lo sbarco dei coolye cioè degli emigrantisenza mezzi di fortuna nel territorio delle Indie Olande-si, ma oramai i cinesi della colonia sono già diversi mi-lioni. Inoltre a Cantori, ad Hongkong, a Singapore esi-stono formidabili Società d'emigrazione curiosamenteorganizzate come cooperative, le quali trovano sempremodo d'eseguire alla chetichella sbarchi di ventura convecchie giunche che attraccano nei punti solitari dellacosta.

A parte gli hokien, che esercitano i loro talentinell'usura e nel grosso commercio, l'emigrazione cinesecanalizza verso l'Asia equatoriale, quattro categorie dilavoratori: gli ylam, che sono domestici, stiratori e cuo-chi, i kek, che sono operai per le industrie, i te-chew, chesono operai agricoli ed i macao o piccoli artigiani. V'èanche una discreta emigrazione femminile molto sui ge-neris, la quale pare rappresenti, per gli esportatori ed ibanchieri di Canton, un affare finanziario di primissimoordine.

Parchi, lavoratori, resistentissimi alla fatica, i cinesinon indietreggiano dinanzi a nessun genere di lavoropur di guadagnare; assimilano con straordinaria rapiditài più disparati mestieri, avidi di denaro, falsificatoriemeriti, imbroglioni in tutto, meno che nei rapporti uffi-ciali con le Banche e la clientela, accoppiano in un uni-co esemplare giallo tutte le qualità dei giapponesi, degliebrei, dei levantini, degli armeni e dei greci!

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Nelle Indie olandesi, negli Straits Settlements britan-nici, nella Cocincina, a Taiti, nella nuova Caledonia, visono cinesi arcimilionari alla testa di fortune fantastiche.La base della loro ricchezza è sempre un miserabilecoolye, il quale, partito senza un soldo da una provinciadel sud, ha prima raggranellato, a forza di stenti, di ri-schi e di sacrifizi una piccola somma, poi s'è lanciatosenza scrupoli negli affari, arricchendo la corporazionedei capitalisti cinesi di un bandito di più.

Verso mezzogiorno il caso ci permette di assistere adun funerale «daiak». Il Capo del villaggio, al quale sia-mo raccomandati dal Residente Generale, acconsente, invia eccezionale, di farci assistere alla cerimonia, la qua-le è singolarmente importante, trattandosi non d'un sem-plice mortale ma del figlio stesso del povero Capo.

Quando penetriamo nel paese uomini e donne sonoraccolti nella piazzetta delle tre capanne. Il Capo ci pre-senta le autorità, cioè il medico e lo stregone.

Vediamo arrivare un robusto giovanotto che porta sul-le spalle un lungo fagotto di scorza d'albero. È il morto,completamente impacchettato nella corteccia d'un gros-so tronco con solide legature di liana.

Il sole dell'Equatore avviluppa il villaggio miserabilee la più miserabile plebe nel suo ardore. Si sente loscricchiolìo dei bambù secchi che crepitano sui tetti sot-to la vampa solare. Sulla carne nuda il sudore scorre neisolchi dei tatuaggi, un sudore acre e forte che fa pensareagli amori dei becchi selvatici nelle notti di calura.

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Nelle Indie olandesi, negli Straits Settlements britan-nici, nella Cocincina, a Taiti, nella nuova Caledonia, visono cinesi arcimilionari alla testa di fortune fantastiche.La base della loro ricchezza è sempre un miserabilecoolye, il quale, partito senza un soldo da una provinciadel sud, ha prima raggranellato, a forza di stenti, di ri-schi e di sacrifizi una piccola somma, poi s'è lanciatosenza scrupoli negli affari, arricchendo la corporazionedei capitalisti cinesi di un bandito di più.

Verso mezzogiorno il caso ci permette di assistere adun funerale «daiak». Il Capo del villaggio, al quale sia-mo raccomandati dal Residente Generale, acconsente, invia eccezionale, di farci assistere alla cerimonia, la qua-le è singolarmente importante, trattandosi non d'un sem-plice mortale ma del figlio stesso del povero Capo.

Quando penetriamo nel paese uomini e donne sonoraccolti nella piazzetta delle tre capanne. Il Capo ci pre-senta le autorità, cioè il medico e lo stregone.

Vediamo arrivare un robusto giovanotto che porta sul-le spalle un lungo fagotto di scorza d'albero. È il morto,completamente impacchettato nella corteccia d'un gros-so tronco con solide legature di liana.

Il sole dell'Equatore avviluppa il villaggio miserabilee la più miserabile plebe nel suo ardore. Si sente loscricchiolìo dei bambù secchi che crepitano sui tetti sot-to la vampa solare. Sulla carne nuda il sudore scorre neisolchi dei tatuaggi, un sudore acre e forte che fa pensareagli amori dei becchi selvatici nelle notti di calura.

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Lo stregone incide con un coltellaccio sul macabroinvolucro di scorza una specie di mascheretta che fa poisaltare destramente con un colpo di punta. Appare ilviso del morto, d'un giallo terra, col naso piatto e gli oc-chi sbarrati.

Il manang volgendosi al padre gli chiede:— È lui?— È lui — risponde il padre, — ma era più bello!Il manang ripete la medesima domanda verso la folla

che risponde in coro: — È lui, ma la sua faccia è inaridi-ta dal vento delle grandi montagne!

È il riconoscimento del cadavere. Terminata questaprima operazione si avvicina la madre che s'accoccolaaccanto al povero morto e gli canta l'ultima ninnananna,dondolandolo come fosse nella culla. V'è una infinitapoesia di sapore primitivo in questo estremo canto ma-terno che allaccia la morte ai primi vagiti della vita.L'istinto della carne dà ai gesti della madre una delica-tezza piena di fascino.

Quindi si forma il corteo: prima il morto seguito dalpadre, dal medico e dallo stregone, poi gli uomini, ledonne ed i ragazzi, ultimi i cani, circa una trentina, ma-gri, rossicci, spelati.

Usciti una cinquantina di metri fuori del paese il cor-teo fa dietro front per ritornare al villaggio ma sulla por-ta s'è piantato il manang, il quale vieta l'ingresso al de-funto. La madre scongiura lo stregone di far ritornaresuo figlio nella «casa del latte e del sorriso». Il manangtiene duro. Allora il padre finge di adirarsi e di voler

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Lo stregone incide con un coltellaccio sul macabroinvolucro di scorza una specie di mascheretta che fa poisaltare destramente con un colpo di punta. Appare ilviso del morto, d'un giallo terra, col naso piatto e gli oc-chi sbarrati.

Il manang volgendosi al padre gli chiede:— È lui?— È lui — risponde il padre, — ma era più bello!Il manang ripete la medesima domanda verso la folla

che risponde in coro: — È lui, ma la sua faccia è inaridi-ta dal vento delle grandi montagne!

È il riconoscimento del cadavere. Terminata questaprima operazione si avvicina la madre che s'accoccolaaccanto al povero morto e gli canta l'ultima ninnananna,dondolandolo come fosse nella culla. V'è una infinitapoesia di sapore primitivo in questo estremo canto ma-terno che allaccia la morte ai primi vagiti della vita.L'istinto della carne dà ai gesti della madre una delica-tezza piena di fascino.

Quindi si forma il corteo: prima il morto seguito dalpadre, dal medico e dallo stregone, poi gli uomini, ledonne ed i ragazzi, ultimi i cani, circa una trentina, ma-gri, rossicci, spelati.

Usciti una cinquantina di metri fuori del paese il cor-teo fa dietro front per ritornare al villaggio ma sulla por-ta s'è piantato il manang, il quale vieta l'ingresso al de-funto. La madre scongiura lo stregone di far ritornaresuo figlio nella «casa del latte e del sorriso». Il manangtiene duro. Allora il padre finge di adirarsi e di voler

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forzare la porta. Parenti ed amici prendono le parti deltrapassato. I cani, che non sanno, latrano alla morte. Lostregone urla come un ossesso. Le donne hanno un gridolungo, lacerante, indescrivibile. Pare che tutti siano coltida un accesso improvviso di pazzia furiosa. Finalmentelo stregone ottiene un attimo di silenzio e pronuncia lafrase sacramentale:

— Sì, egli era del villaggio, ma ormai il suo posto ènelle alte montagne dove abitano i grandi spiriti!

Il corteo si riforma e riprende il cammino verso la fo-resta. Nessuna espressione di dolore, nemmeno di tri-stezza sul volto degli astanti, i quali da questo momentoparlano tranquillamente dei loro affari, mangiano, fuma-no, ridono, come se andassero nella jungla a raccoglierelegna. I daiak sono completamente indifferenti dinanzialla morte. Poche ore bastano a consolare una madre oduna vedova. Per essi la morte non è la fine, ma una sem-plice evoluzione dell'esistenza verso il meglio, il passag-gio dallo stato miserabile di essere vivente a quello su-periore di «antenato».

Il cimitero è uno spazio vuoto nella foresta fra quattrogiganteschi fichi equatoriali che ergono a cupola il loroimmenso fogliame, assicurando «l'ombra perenne» cheè indispensabile ai trapassati. Nessun rialzo, nessun tu-mulo, nessun segno indicano il luogo dove dormono imorti, anzi il terreno deve essere perfettamente livellato.Quando il luogo è pieno di cadaveri lo si abbandona e lajungla s'incarica in poco tempo di riseppellirlo nel suoverde sterminato.

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forzare la porta. Parenti ed amici prendono le parti deltrapassato. I cani, che non sanno, latrano alla morte. Lostregone urla come un ossesso. Le donne hanno un gridolungo, lacerante, indescrivibile. Pare che tutti siano coltida un accesso improvviso di pazzia furiosa. Finalmentelo stregone ottiene un attimo di silenzio e pronuncia lafrase sacramentale:

— Sì, egli era del villaggio, ma ormai il suo posto ènelle alte montagne dove abitano i grandi spiriti!

Il corteo si riforma e riprende il cammino verso la fo-resta. Nessuna espressione di dolore, nemmeno di tri-stezza sul volto degli astanti, i quali da questo momentoparlano tranquillamente dei loro affari, mangiano, fuma-no, ridono, come se andassero nella jungla a raccoglierelegna. I daiak sono completamente indifferenti dinanzialla morte. Poche ore bastano a consolare una madre oduna vedova. Per essi la morte non è la fine, ma una sem-plice evoluzione dell'esistenza verso il meglio, il passag-gio dallo stato miserabile di essere vivente a quello su-periore di «antenato».

Il cimitero è uno spazio vuoto nella foresta fra quattrogiganteschi fichi equatoriali che ergono a cupola il loroimmenso fogliame, assicurando «l'ombra perenne» cheè indispensabile ai trapassati. Nessun rialzo, nessun tu-mulo, nessun segno indicano il luogo dove dormono imorti, anzi il terreno deve essere perfettamente livellato.Quando il luogo è pieno di cadaveri lo si abbandona e lajungla s'incarica in poco tempo di riseppellirlo nel suoverde sterminato.

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Quattro zappatori scavano una buca lunga e strettanella quale è collocato il fagotto di scorza d'albero insie-me ad una ciotola piena d'acqua, ad una scodella di riso,ad una pipa di betel con un pugno di tabacco e tutti gliaccessori per suonare. Lo stregone vi aggiunge una pen-tola di coccio, rotta in quattro pezzi, che deve servire almorto per far cucinare il suo riso nell'altro mondo.Riempita la fossa di terra, il manang distribuisce a tutti ipresenti un pezzetto di ferro arrugginito, il quale percinque giorni e cinque notti preserverà dallo «spirito delmale» che è attratto nelle vicinanze del villaggiodall'odore del cadavere fresco.

Verso sera il capo viene all'accampamento per invitar-ci al banchetto che, secondo l'usanza «daiak», segue im-mancabilmente ogni trapasso.

Dinanzi alla sua capanna è acceso un grande fuocosul quale rosolano diversi porcelli selvatici. Ognunoprende posto per il pranzo funerario, ma... ecco che ilmorto il quale s'immagina d'essere ancora vivo ritornain spirito al villaggio ed aspetta la sua parte. Le donnecercano di metterlo in fuga battendo con forza i piloninei mortai, ma pare che il morto non voglia decidersi.

Allora il padre con un sorriso pieno d'indulgenza perla testardaggine del figlio, colloca, al posto abitualmenteoccupato dal morto, una rete di pesca la quale è per i«daiak» il simbolo del luogo dove continuano a vivere idefunti. La vista della rete conferma al povero mortoche la sua carriera terrestre è irrevocabilmente terminata

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Quattro zappatori scavano una buca lunga e strettanella quale è collocato il fagotto di scorza d'albero insie-me ad una ciotola piena d'acqua, ad una scodella di riso,ad una pipa di betel con un pugno di tabacco e tutti gliaccessori per suonare. Lo stregone vi aggiunge una pen-tola di coccio, rotta in quattro pezzi, che deve servire almorto per far cucinare il suo riso nell'altro mondo.Riempita la fossa di terra, il manang distribuisce a tutti ipresenti un pezzetto di ferro arrugginito, il quale percinque giorni e cinque notti preserverà dallo «spirito delmale» che è attratto nelle vicinanze del villaggiodall'odore del cadavere fresco.

Verso sera il capo viene all'accampamento per invitar-ci al banchetto che, secondo l'usanza «daiak», segue im-mancabilmente ogni trapasso.

Dinanzi alla sua capanna è acceso un grande fuocosul quale rosolano diversi porcelli selvatici. Ognunoprende posto per il pranzo funerario, ma... ecco che ilmorto il quale s'immagina d'essere ancora vivo ritornain spirito al villaggio ed aspetta la sua parte. Le donnecercano di metterlo in fuga battendo con forza i piloninei mortai, ma pare che il morto non voglia decidersi.

Allora il padre con un sorriso pieno d'indulgenza perla testardaggine del figlio, colloca, al posto abitualmenteoccupato dal morto, una rete di pesca la quale è per i«daiak» il simbolo del luogo dove continuano a vivere idefunti. La vista della rete conferma al povero mortoche la sua carriera terrestre è irrevocabilmente terminata

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ed il suo spirito se ne va verso le alte montagne dove di-morano gli Antenati.

Fino a notte tarda giungono all'accampamento i cantidel villaggio che celebra il rito della morte con una festadella vita. E mentre le donne danzano con gli uominigiovani sulle soglie delle capanne al chiaro di luna, levecchie e le maritate lavorano sui mortai a pestare ilriso. I piloni battono e ribattono.

Sotto i quattro fichi della foresta i morti dormono allacadenza miserabile che li ha cullati tutta la vita.

Che cosa è l'esistenza d'un povero «daiak» se non unpugno di riso cotto? Gli uomini lo seminano negli ac-quitrini del Barito, le donne lo tritano nei mortai d'ebanocol ritmo millenario.

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ed il suo spirito se ne va verso le alte montagne dove di-morano gli Antenati.

Fino a notte tarda giungono all'accampamento i cantidel villaggio che celebra il rito della morte con una festadella vita. E mentre le donne danzano con gli uominigiovani sulle soglie delle capanne al chiaro di luna, levecchie e le maritate lavorano sui mortai a pestare ilriso. I piloni battono e ribattono.

Sotto i quattro fichi della foresta i morti dormono allacadenza miserabile che li ha cullati tutta la vita.

Che cosa è l'esistenza d'un povero «daiak» se non unpugno di riso cotto? Gli uomini lo seminano negli ac-quitrini del Barito, le donne lo tritano nei mortai d'ebanocol ritmo millenario.

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Caccia all'Orang-Utang

FIUME BAR ITO, 12 aprile.

— Col pepe?— Già, proprio col pepe! — risponde «Batanga Lui-

gi».— E come fanno?— Domani vedrete. Adesso andate a dormire che gli

orang-utang sono mattinieri. Bisogna essere in forestaprima del sole.

«Batanga Luigi» come lo chiamano i «daiak» del Ba-rito, al secolo Luigi Dicarlo, appartiene ad una famiglialigure stabilita da due generazioni nella provincia diSingtang. Il padre, capitano di lungo corso della marinaa vela genovese, nato in quel di Pegli da una discenden-za di «padroni di barca», arruolato mozzo a dieci annisu un brigantino, dopo aver scorazzato sei lustri su e giùpel mondo sulle rotte delle tempeste, finì per stabilirsinel Borneo e col mettere su una azienda mezzo maritti-ma e mezzo commerciale. Alla sua morte i figli hannocontinuato il lavoro paterno.

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Caccia all'Orang-Utang

FIUME BAR ITO, 12 aprile.

— Col pepe?— Già, proprio col pepe! — risponde «Batanga Lui-

gi».— E come fanno?— Domani vedrete. Adesso andate a dormire che gli

orang-utang sono mattinieri. Bisogna essere in forestaprima del sole.

«Batanga Luigi» come lo chiamano i «daiak» del Ba-rito, al secolo Luigi Dicarlo, appartiene ad una famiglialigure stabilita da due generazioni nella provincia diSingtang. Il padre, capitano di lungo corso della marinaa vela genovese, nato in quel di Pegli da una discenden-za di «padroni di barca», arruolato mozzo a dieci annisu un brigantino, dopo aver scorazzato sei lustri su e giùpel mondo sulle rotte delle tempeste, finì per stabilirsinel Borneo e col mettere su una azienda mezzo maritti-ma e mezzo commerciale. Alla sua morte i figli hannocontinuato il lavoro paterno.

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Buon genovese «Batanga Luigi», nato nel Borneo magenovese fino all'osso, pazzo pel «pesto» e per l'«acciu-gata», calcolatore, tenace, economo, pieno d'iniziativanegli affari, un vero figlio della Superba, vecchio stam-po con nel sangue tutte le linfe della razza. Un po' ruvi-do, uno di quei liguri che hanno nella pelle il sale delmare e nel carattere l'asprezza degli scogli, poche paro-le, molti fatti, uomo però di cuore e di fegato nel qualela lunga lontananza dalla patria non ha intiepidito l'affet-to per la Riviera e per la più grande madre Italia.

«Batanga Luigi» commercia in resine fra i due Bor-neo; ma da bravo genovese fa anche altro quando capital'occasione di guadagnare. Due anni fa quando la modaimponeva ad ogni signora di possedere almeno un collodi scimmia, «Batanga Luigi» sguinzagliò nella jungladel Borneo tutti i «daiak» che aveva sotto mano ad am-mazzare scimmie col pelo: regalava la carne agli indige-ni e si riservava le pelliccie che, seccate e spazzolate, apuntino, partivano per Genova. Chissà quante belle si-gnore che mi leggono hanno incorniciato i loro visettinel pelo delle scimmie di «Batanga Luigi».

Poi alla Moda passò il capriccio delle scimmie perquello delle tigri e delle pantere, ed il lucroso commer-cio del Batanga sarebbe finito con grande dispiacere deipoveri «daiak», che hanno un debole pel rognone di cer-copiteco in padella, se... non fosse comparso il dottorVoronoff a tirare d'imbarazzo la compagnia. Senonchèla moda si contentava di scimmie morte mentre Voro-noff ed i suoi discepoli le vogliono vive. «Batanga Lui-

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Buon genovese «Batanga Luigi», nato nel Borneo magenovese fino all'osso, pazzo pel «pesto» e per l'«acciu-gata», calcolatore, tenace, economo, pieno d'iniziativanegli affari, un vero figlio della Superba, vecchio stam-po con nel sangue tutte le linfe della razza. Un po' ruvi-do, uno di quei liguri che hanno nella pelle il sale delmare e nel carattere l'asprezza degli scogli, poche paro-le, molti fatti, uomo però di cuore e di fegato nel qualela lunga lontananza dalla patria non ha intiepidito l'affet-to per la Riviera e per la più grande madre Italia.

«Batanga Luigi» commercia in resine fra i due Bor-neo; ma da bravo genovese fa anche altro quando capital'occasione di guadagnare. Due anni fa quando la modaimponeva ad ogni signora di possedere almeno un collodi scimmia, «Batanga Luigi» sguinzagliò nella jungladel Borneo tutti i «daiak» che aveva sotto mano ad am-mazzare scimmie col pelo: regalava la carne agli indige-ni e si riservava le pelliccie che, seccate e spazzolate, apuntino, partivano per Genova. Chissà quante belle si-gnore che mi leggono hanno incorniciato i loro visettinel pelo delle scimmie di «Batanga Luigi».

Poi alla Moda passò il capriccio delle scimmie perquello delle tigri e delle pantere, ed il lucroso commer-cio del Batanga sarebbe finito con grande dispiacere deipoveri «daiak», che hanno un debole pel rognone di cer-copiteco in padella, se... non fosse comparso il dottorVoronoff a tirare d'imbarazzo la compagnia. Senonchèla moda si contentava di scimmie morte mentre Voro-noff ed i suoi discepoli le vogliono vive. «Batanga Lui-

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gi» per far fronte alla situazione ha dovuto organizzareun piccolo esercito di «daiak» specializzati nella catturadegli orang-utang, studiare gli animali e le loro abitudi-ni, gli uomini e le loro disposizioni, infine aprire neidintorni di Bangermassim uno stabilimento per scim-mie, unico nel genere, con reparti di monta e d'alleva-mento, befotrofio, allattamento artificiale, profilassi diWassermann, infermeria pei malati, sezione gabbie peiviaggi d'oltre mare, prigioni pei ribelli, celle d'isolamen-to per gli ipocondriaci e per gli orang-utang di cattivocarattere, infine tutto il necessario per mantenere sano ilcorpo e gaio lo spirito dei proprietarii della preziosissi-ma glandola.

Quando si tocca l'argomento delle scimmie, «BatangaLuigi» dimentica la colazione e l'ora di andare a letto.Le sue lunghe osservazioni gli hanno fatto per esempioscoprire che gli orang-utang capiscono perfettamentedue lingue europee, l'inglese ed il dialetto di Pegli, men-tre non hanno attitudine nè per l'olandese nè per il «da-iak».

Ma stasera il sor Luigi non si lascia commuovereneppure dall'argomento preferito. Ha detto: «a letto», esi ritira dopo averci accompagnati fino alle nostre stan-ze. Siamo, infatti, da ieri suoi ospiti in una villetta cheallunga la veranda di porcellana bianca fino a lambirel'acqua di smeraldo del Barito e nasconde il tetto di por-cellana azzurra fra i monumentali ventagli d'un palmeto.Non le palme smilze d'Egitto nè quelle tozze e nane diGiava, ma una varietà equatoriale, alte e massiccie come

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gi» per far fronte alla situazione ha dovuto organizzareun piccolo esercito di «daiak» specializzati nella catturadegli orang-utang, studiare gli animali e le loro abitudi-ni, gli uomini e le loro disposizioni, infine aprire neidintorni di Bangermassim uno stabilimento per scim-mie, unico nel genere, con reparti di monta e d'alleva-mento, befotrofio, allattamento artificiale, profilassi diWassermann, infermeria pei malati, sezione gabbie peiviaggi d'oltre mare, prigioni pei ribelli, celle d'isolamen-to per gli ipocondriaci e per gli orang-utang di cattivocarattere, infine tutto il necessario per mantenere sano ilcorpo e gaio lo spirito dei proprietarii della preziosissi-ma glandola.

Quando si tocca l'argomento delle scimmie, «BatangaLuigi» dimentica la colazione e l'ora di andare a letto.Le sue lunghe osservazioni gli hanno fatto per esempioscoprire che gli orang-utang capiscono perfettamentedue lingue europee, l'inglese ed il dialetto di Pegli, men-tre non hanno attitudine nè per l'olandese nè per il «da-iak».

Ma stasera il sor Luigi non si lascia commuovereneppure dall'argomento preferito. Ha detto: «a letto», esi ritira dopo averci accompagnati fino alle nostre stan-ze. Siamo, infatti, da ieri suoi ospiti in una villetta cheallunga la veranda di porcellana bianca fino a lambirel'acqua di smeraldo del Barito e nasconde il tetto di por-cellana azzurra fra i monumentali ventagli d'un palmeto.Non le palme smilze d'Egitto nè quelle tozze e nane diGiava, ma una varietà equatoriale, alte e massiccie come

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quercie, coi tronchi lisci, rigate ad anelli scuri che paio-no cerchi di metallo, con in cima un grande parasole difronde perennemente in moto.

E v'è uno strano contrasto fra la potente immobilitàdei tronchi e la nervosa irrequietezza delle foglie.

13 aprile. – Si parte di notte per la jungla. Si traversail Barito su una canoa indigena, lunga e sottile, che di-sturba i riflessi delle stelle nell'acqua cupa. Giuntiall'altra sponda, ci incamminiamo in fila indiana per unviottolo misterioso in mezzo agli ebani ed agli eucalip-tus dietro la guida «daiak» che conosce il villaggio dellescimmie.

Gli orang-utang del Borneo sono, dopo i gorilla delcentro Africa, le più grandi scimmie che si conoscano,Gli indigeni li chiamano precisamente «orang-utane»che in lingua «daiak» significa «uomini dei boschi».Rossicci, abbondantemente forniti di pelo sul petto e suldorso, nude invece le natiche, le guancie d'un colore ac-ceso che chiamerei rosso-schiaffo, il naso appena trat-teggiato, fortemente accentuata la mascella inferiore, gliocchi marrone e mobilissimi, gli orang-utang vivono disolito nella jungla in gruppi di dieci e talvolta fino dicinquanta famiglie. I maschi partono al mattino per lacaccia e tornano verso il tramonto col cibo per le fem-mine ed i piccoli. Fino ad una certa età i figli obbedisco-no docilmente al genitore che è in genere generoso discappellotti.

Questa è la buona stagione per catturare gli orang-utang perchè è il momento dei «durian», grosso frutto

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quercie, coi tronchi lisci, rigate ad anelli scuri che paio-no cerchi di metallo, con in cima un grande parasole difronde perennemente in moto.

E v'è uno strano contrasto fra la potente immobilitàdei tronchi e la nervosa irrequietezza delle foglie.

13 aprile. – Si parte di notte per la jungla. Si traversail Barito su una canoa indigena, lunga e sottile, che di-sturba i riflessi delle stelle nell'acqua cupa. Giuntiall'altra sponda, ci incamminiamo in fila indiana per unviottolo misterioso in mezzo agli ebani ed agli eucalip-tus dietro la guida «daiak» che conosce il villaggio dellescimmie.

Gli orang-utang del Borneo sono, dopo i gorilla delcentro Africa, le più grandi scimmie che si conoscano,Gli indigeni li chiamano precisamente «orang-utane»che in lingua «daiak» significa «uomini dei boschi».Rossicci, abbondantemente forniti di pelo sul petto e suldorso, nude invece le natiche, le guancie d'un colore ac-ceso che chiamerei rosso-schiaffo, il naso appena trat-teggiato, fortemente accentuata la mascella inferiore, gliocchi marrone e mobilissimi, gli orang-utang vivono disolito nella jungla in gruppi di dieci e talvolta fino dicinquanta famiglie. I maschi partono al mattino per lacaccia e tornano verso il tramonto col cibo per le fem-mine ed i piccoli. Fino ad una certa età i figli obbedisco-no docilmente al genitore che è in genere generoso discappellotti.

Questa è la buona stagione per catturare gli orang-utang perchè è il momento dei «durian», grosso frutto

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equatoriale con un forte odore di formaggio gorgonzola,di cui gli scimmioni sono ghiottissimi. Pare che scenda-no appositamente dalle montagne nella jungla inferioreper il raccolto dei «durian». Dove si sente odore di gor-gonzola si è sicuri di trovare nelle vicinanze un villag-getto d'orang-utang.

Le scimmie del Borneo amano infatti i comodi e nonsi contentano, come le specie inferiori, della sempliceospitalità degli alberi. Scelto il posto ogni capofamigliasi costruisce la propria abitazione la quale è in genereformata d'un pavimento, d'un tetto e di tre pareti, il tuttofatto per benino con stoppie e canne di bambù. In fondonon v'è grande differenza fra un nido d'orang-utang ecerte capanne «daiak». Gli indigeni hanno in più qual-che cencio attaccato ad un chiodo, un paio di pentole eduna collezione di pipe, ma architettura e materiali sonopressappoco i medesimi.

A questa abitudine degli orang-utang di costruire iloro villaggetti si deve probabilmente la leggenda diffu-sissima nel Borneo dell'esistenza nella jungla d'una va-rietà di uomini con la coda. Naturalmente nessun euro-peo ne ha mai visti, ma i malesi ed i «daiak» assicuranoche abitano nelle montagne del Kapoas dentro le caver-ne e che in mancanza di donne si sposano con le femmi-ne degli orang-utang.

L'alba equatoriale deve già imbiancare gli orizzontidell'isola ma nella jungla è ancora buio pesto. «BatangaLuigi», brontola che siamo in ritardo e che arriveremo alpaese quando già i maschi saranno partiti pel lavoro.

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equatoriale con un forte odore di formaggio gorgonzola,di cui gli scimmioni sono ghiottissimi. Pare che scenda-no appositamente dalle montagne nella jungla inferioreper il raccolto dei «durian». Dove si sente odore di gor-gonzola si è sicuri di trovare nelle vicinanze un villag-getto d'orang-utang.

Le scimmie del Borneo amano infatti i comodi e nonsi contentano, come le specie inferiori, della sempliceospitalità degli alberi. Scelto il posto ogni capofamigliasi costruisce la propria abitazione la quale è in genereformata d'un pavimento, d'un tetto e di tre pareti, il tuttofatto per benino con stoppie e canne di bambù. In fondonon v'è grande differenza fra un nido d'orang-utang ecerte capanne «daiak». Gli indigeni hanno in più qual-che cencio attaccato ad un chiodo, un paio di pentole eduna collezione di pipe, ma architettura e materiali sonopressappoco i medesimi.

A questa abitudine degli orang-utang di costruire iloro villaggetti si deve probabilmente la leggenda diffu-sissima nel Borneo dell'esistenza nella jungla d'una va-rietà di uomini con la coda. Naturalmente nessun euro-peo ne ha mai visti, ma i malesi ed i «daiak» assicuranoche abitano nelle montagne del Kapoas dentro le caver-ne e che in mancanza di donne si sposano con le femmi-ne degli orang-utang.

L'alba equatoriale deve già imbiancare gli orizzontidell'isola ma nella jungla è ancora buio pesto. «BatangaLuigi», brontola che siamo in ritardo e che arriveremo alpaese quando già i maschi saranno partiti pel lavoro.

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KADIRI – A mezzogiorno nella piantagione.

BORNEO – Ascari olandesi a Pontianak.

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KADIRI – A mezzogiorno nella piantagione.

BORNEO – Ascari olandesi a Pontianak.

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Sono circa le quattro e mezzo quando la colonna si fer-ma. I «daiak» si dividono in quattro pattuglie per circon-dare il villaggio e tagliare la ritirata al nemico.

— Ma non si difendono? — chiediamo al genovese.— Altro che! Ogni volta mi massacrano un paio di

«daiak».Pian piano la luce del giorno filtra attraverso il setac-

cio degli alberi. Si sente un rumore sordo e continuocome i fabbri che battano un'incudine.

— È tutta notte che gli uomini lavorano, spiega Ba-tanga Luigi, per isolare il paese, altrimenti al primo al-larme le scimmie pigliano la fuga sugli alberi e chi leacchiappa più? Schizzano come fringuelli e nasconoacrobati. Altro che salti mortali! A terra invece sonomeno svelti.....

Un lungo fischio interrompe la conversazione. È il se-gnale che ormai tutto è pronto.

La parola «caccia» dà sempre l'idea d'un combatti-mento fra un uomo ed un animale, fra un fucile ed unartiglio, fra un'arma bianca ed un paio di canini. Perciòil termine non si presta affatto per definire un corpo acorpo fra uomini ed orang-utang. Sono così umane lescimmie del Borneo e sono così scimmie i cacciatori«daiak», che vien quasi voglia d'adoperare la parola «as-sassinio».

Dopo aver percorso un duecento metri dietro «Batan-ga Luigi» che ha le ali ai piedi, siamo investiti in pienoda un turbine di sole. I daiak hanno lavorato tre giorni a

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Sono circa le quattro e mezzo quando la colonna si fer-ma. I «daiak» si dividono in quattro pattuglie per circon-dare il villaggio e tagliare la ritirata al nemico.

— Ma non si difendono? — chiediamo al genovese.— Altro che! Ogni volta mi massacrano un paio di

«daiak».Pian piano la luce del giorno filtra attraverso il setac-

cio degli alberi. Si sente un rumore sordo e continuocome i fabbri che battano un'incudine.

— È tutta notte che gli uomini lavorano, spiega Ba-tanga Luigi, per isolare il paese, altrimenti al primo al-larme le scimmie pigliano la fuga sugli alberi e chi leacchiappa più? Schizzano come fringuelli e nasconoacrobati. Altro che salti mortali! A terra invece sonomeno svelti.....

Un lungo fischio interrompe la conversazione. È il se-gnale che ormai tutto è pronto.

La parola «caccia» dà sempre l'idea d'un combatti-mento fra un uomo ed un animale, fra un fucile ed unartiglio, fra un'arma bianca ed un paio di canini. Perciòil termine non si presta affatto per definire un corpo acorpo fra uomini ed orang-utang. Sono così umane lescimmie del Borneo e sono così scimmie i cacciatori«daiak», che vien quasi voglia d'adoperare la parola «as-sassinio».

Dopo aver percorso un duecento metri dietro «Batan-ga Luigi» che ha le ali ai piedi, siamo investiti in pienoda un turbine di sole. I daiak hanno lavorato tre giorni a

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Page 185: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

segare alberi tutt'intorno al villaggio delle scimmie spia-nando un bel tratto circolare di jungla. In mezzo allospazio vuoto sono rimasti in piedi una diecina di grossitronchi con le capanne degli orang-utang sospese fra irami. Ora le bestie sono già in allarme. Appollaiate suirami sporgenti guardano giù con inquietudine il trame-stìo degli uomini.

Uno dopo l'altro gli alberi sono attaccati dalle accettedei «daiak». Quando un tronco scricchiola gli orang-utang lo abbandonano con grida di terrore e si raccolgo-no su quello accanto. I giganti della jungla si abbattonoal suolo con fragore travolgendo le miserabili capannedi stoppia. Finalmente ne resta in piedi uno solo caricod'una ventina di animali. Vediamo le madri stringersi alpetto le creature con gesti tragicamente umani, i maschidigrignare i denti e spezzare grossi rami per farseneun'arma contro gli assalitori. «Batanga Luigi» dà gli ul-timi ordini. I «daiak» formano un cordone circolare in-torno all'albero. Tengono fra i denti il pugnale malese,nella sinistra una corda a cappio scorsoio. Il capo degliindigeni passa con un sacchetto e distribuisce ad ognunoun pugno di pepe in polvere.

— Pronti?— Pronti!— Buttate giù.Le accette attaccano l'ultimo tronco. Ad ogni colpo le

scimmie, che hanno capito il giochetto, rispondono conurla di rabbia e di paura. A cavaliere d'un ramo un gros-so maschio dall'aspetto poco mansueto fa roteare un

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segare alberi tutt'intorno al villaggio delle scimmie spia-nando un bel tratto circolare di jungla. In mezzo allospazio vuoto sono rimasti in piedi una diecina di grossitronchi con le capanne degli orang-utang sospese fra irami. Ora le bestie sono già in allarme. Appollaiate suirami sporgenti guardano giù con inquietudine il trame-stìo degli uomini.

Uno dopo l'altro gli alberi sono attaccati dalle accettedei «daiak». Quando un tronco scricchiola gli orang-utang lo abbandonano con grida di terrore e si raccolgo-no su quello accanto. I giganti della jungla si abbattonoal suolo con fragore travolgendo le miserabili capannedi stoppia. Finalmente ne resta in piedi uno solo caricod'una ventina di animali. Vediamo le madri stringersi alpetto le creature con gesti tragicamente umani, i maschidigrignare i denti e spezzare grossi rami per farseneun'arma contro gli assalitori. «Batanga Luigi» dà gli ul-timi ordini. I «daiak» formano un cordone circolare in-torno all'albero. Tengono fra i denti il pugnale malese,nella sinistra una corda a cappio scorsoio. Il capo degliindigeni passa con un sacchetto e distribuisce ad ognunoun pugno di pepe in polvere.

— Pronti?— Pronti!— Buttate giù.Le accette attaccano l'ultimo tronco. Ad ogni colpo le

scimmie, che hanno capito il giochetto, rispondono conurla di rabbia e di paura. A cavaliere d'un ramo un gros-so maschio dall'aspetto poco mansueto fa roteare un

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manganello. Diversi «daiak» sono armati di lunghe for-che, altri di rete da pesca.

L'albero incomincia a scricchiolare, oscilla, si sbandad'un lato. Subitamente il grosso maschio e tutti gli altrisi buttano a terra per aprirsi un passaggio. È impossibileabbracciare tutti gli episodi del combattimento tantosono fulminei. Seguo con gli occhi il maschio del man-ganello, lo vedo slanciarsi a quattro gambe verso i «da-iak», poi rizzarsi sui garetti ed allungare le braccia pelo-se per afferrare uno degli avversarii, ma il «daiak» piùvicino gli getta il pepe negli occhi. Accecato dalla pol-vere la bestia brancola nel buio, ma dieci braccia lo av-vinghiano alle spalle e lo impacchettano come un sala-me.

Terribile nella sua collera l'orang-utang si dibatte di-speratamente tentando di svincolarsi, di mordere, di cal-ciare, salta, si rotola per terra, lavora di denti e di un-ghie, ma venti funi lo riducono all'impotenza.

Sette animali sono riusciti a fuggire, undici sono cat-turati. Una femmina male acciecata dal pepe s'è slancia-ta contro uno dei «daiak» armato di forca, gli ha strap-pato l'arma di mano e s'è aperto un passaggio. Un'altracolpita alla mammella da una pugnalata s'è abbattuta alsuolo. Mentre con una mano stringe il suo piccolo cheurla disperatamente con l'altra strappa intorno un po'd'erba e cerca di tappare l'enorme ferita. Ogni tantos'odora le dita bagnate di sangue. Il genovese la finiscecon una pistolettata.

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manganello. Diversi «daiak» sono armati di lunghe for-che, altri di rete da pesca.

L'albero incomincia a scricchiolare, oscilla, si sbandad'un lato. Subitamente il grosso maschio e tutti gli altrisi buttano a terra per aprirsi un passaggio. È impossibileabbracciare tutti gli episodi del combattimento tantosono fulminei. Seguo con gli occhi il maschio del man-ganello, lo vedo slanciarsi a quattro gambe verso i «da-iak», poi rizzarsi sui garetti ed allungare le braccia pelo-se per afferrare uno degli avversarii, ma il «daiak» piùvicino gli getta il pepe negli occhi. Accecato dalla pol-vere la bestia brancola nel buio, ma dieci braccia lo av-vinghiano alle spalle e lo impacchettano come un sala-me.

Terribile nella sua collera l'orang-utang si dibatte di-speratamente tentando di svincolarsi, di mordere, di cal-ciare, salta, si rotola per terra, lavora di denti e di un-ghie, ma venti funi lo riducono all'impotenza.

Sette animali sono riusciti a fuggire, undici sono cat-turati. Una femmina male acciecata dal pepe s'è slancia-ta contro uno dei «daiak» armato di forca, gli ha strap-pato l'arma di mano e s'è aperto un passaggio. Un'altracolpita alla mammella da una pugnalata s'è abbattuta alsuolo. Mentre con una mano stringe il suo piccolo cheurla disperatamente con l'altra strappa intorno un po'd'erba e cerca di tappare l'enorme ferita. Ogni tantos'odora le dita bagnate di sangue. Il genovese la finiscecon una pistolettata.

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Mai una battuta di caccia m'è parsa così bestiale, sel-vaggia, quasi assassina. I gesti delle scimmie morentisono terribilmente umani. Si ha l'impressione d'una bat-taglia rusticana fra uomini pelosi ed uomini senza peli.Fortunatamente questo metodo è riservato esclusiva-mente agli orang-utang. Per le altre qualità di scimmie«Batanga Luigi» ha adottato sistemi meno feroci. I cac-ciatori si appostano, al tempo delle noci-cocco, nelle vi-cinanze degli alberi. Le scimmie sono ghiottissime dellenoci, ma non sanno aprirle come gli orang-utang che leschiacciano ingegnosamente fra due pietre. Allora i cac-ciatori praticano un buco nella corteccia del frutto. Lascimmia dopo averlo lungamente annusato si decide aficcare la mano nel buco per prendere la polpa, ma inquel momento i cacciatori sbucano fuori urlando e spa-rando revolverate in aria. La scimmia vuol fuggire, masiccome ha la polpa in mano e non vuole lasciarla, nonriesce ad estrarre la mano dalla noce ed è così catturatacon una rete di pesca, vittima della sua ingordigia.

Dopo due mesi di permanenza nello stabilimento«Batanga Luigi» taglia ad ogni bestia la coda. La bestiasenza coda anche se scappa ritorna dopo pochi giorniallo stabilimento perchè le altre scimmie della jungla ri-fiutano la compagnia del mutilato.

Verso sera assistiamo ad un'altra cattura. Si tratta diuna specie caratteristica del Borneo che i «daiak» chia-mano «oran-bin-batan», cioè «uomini pelosi dal nasolungo». Hanno infatti il viso affilato con un lungo nasoebraico. A guardarle fisse non si può fare a meno dal ri-

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Mai una battuta di caccia m'è parsa così bestiale, sel-vaggia, quasi assassina. I gesti delle scimmie morentisono terribilmente umani. Si ha l'impressione d'una bat-taglia rusticana fra uomini pelosi ed uomini senza peli.Fortunatamente questo metodo è riservato esclusiva-mente agli orang-utang. Per le altre qualità di scimmie«Batanga Luigi» ha adottato sistemi meno feroci. I cac-ciatori si appostano, al tempo delle noci-cocco, nelle vi-cinanze degli alberi. Le scimmie sono ghiottissime dellenoci, ma non sanno aprirle come gli orang-utang che leschiacciano ingegnosamente fra due pietre. Allora i cac-ciatori praticano un buco nella corteccia del frutto. Lascimmia dopo averlo lungamente annusato si decide aficcare la mano nel buco per prendere la polpa, ma inquel momento i cacciatori sbucano fuori urlando e spa-rando revolverate in aria. La scimmia vuol fuggire, masiccome ha la polpa in mano e non vuole lasciarla, nonriesce ad estrarre la mano dalla noce ed è così catturatacon una rete di pesca, vittima della sua ingordigia.

Dopo due mesi di permanenza nello stabilimento«Batanga Luigi» taglia ad ogni bestia la coda. La bestiasenza coda anche se scappa ritorna dopo pochi giorniallo stabilimento perchè le altre scimmie della jungla ri-fiutano la compagnia del mutilato.

Verso sera assistiamo ad un'altra cattura. Si tratta diuna specie caratteristica del Borneo che i «daiak» chia-mano «oran-bin-batan», cioè «uomini pelosi dal nasolungo». Hanno infatti il viso affilato con un lungo nasoebraico. A guardarle fisse non si può fare a meno dal ri-

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dere tanto sono buffe. Alte un metro e venti, con il ven-tre e la coda bianca, la schiena rossiccia, il naso in avan-ti e rosso sulla punta, hanno intorno agli occhi uno stra-no cerchietto di pelo grigio come se portassero gli oc-chiali.

Gli «oran-bin-batan» si acchiappiano accendendo aipiedi dell'albero sul quale sono appollaiati un grossofuoco. Quando le fiamme sono ben vive i «daiak» viversano una mistura speciale, il «trasy», composto digrasso rancido, pesce secco e gamberi putrefatti. Al con-tatto del fuoco l'intruglio sprigiona un tanfo nauseabon-do che fa perdere i sensi ai poveri «oran-bin-batan»:quando si svegliano si trovano legati.

Gli «oran-bin-batan» non sono apprezzati dai disce-poli del dottor Voronoff, ma sono assai utili a «BatangaLuigi» perchè disimpegnano nello stabilimento l'ufficiodi pulcinella. Quando le altre scimmie sono di cattivoumore o tentano lo sciopero della fame l'«orang-bin-batan» le mette in allegria: il suo bel naso di Aronnecon la punta color pomodoro ha la proprietà di rendergaio il più ammusonito orang-utang. Il sor Luigi ci rac-conta che quando due «oran-bin-batan» sono messi inuna stessa gabbia, prima si guardano in cagnesco, maappena riconoscono dal naso di essere membri dellastessa famiglia, immediatamente si abbracciano e diven-tano amiconi. Date ad un «oran-bin-batan» un aranciood un melone: infallibilmente lo dividerà in tanti pezziquanti sono i compagni presenti e riserverà per sé il piùpiccolo.

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dere tanto sono buffe. Alte un metro e venti, con il ven-tre e la coda bianca, la schiena rossiccia, il naso in avan-ti e rosso sulla punta, hanno intorno agli occhi uno stra-no cerchietto di pelo grigio come se portassero gli oc-chiali.

Gli «oran-bin-batan» si acchiappiano accendendo aipiedi dell'albero sul quale sono appollaiati un grossofuoco. Quando le fiamme sono ben vive i «daiak» viversano una mistura speciale, il «trasy», composto digrasso rancido, pesce secco e gamberi putrefatti. Al con-tatto del fuoco l'intruglio sprigiona un tanfo nauseabon-do che fa perdere i sensi ai poveri «oran-bin-batan»:quando si svegliano si trovano legati.

Gli «oran-bin-batan» non sono apprezzati dai disce-poli del dottor Voronoff, ma sono assai utili a «BatangaLuigi» perchè disimpegnano nello stabilimento l'ufficiodi pulcinella. Quando le altre scimmie sono di cattivoumore o tentano lo sciopero della fame l'«orang-bin-batan» le mette in allegria: il suo bel naso di Aronnecon la punta color pomodoro ha la proprietà di rendergaio il più ammusonito orang-utang. Il sor Luigi ci rac-conta che quando due «oran-bin-batan» sono messi inuna stessa gabbia, prima si guardano in cagnesco, maappena riconoscono dal naso di essere membri dellastessa famiglia, immediatamente si abbracciano e diven-tano amiconi. Date ad un «oran-bin-batan» un aranciood un melone: infallibilmente lo dividerà in tanti pezziquanti sono i compagni presenti e riserverà per sé il piùpiccolo.

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Accampiamo nella foresta per la notte. Anche domaniè giornata di caccia e siamo abbastanza distanti dal Ba-rito. La orang-utang ammazzata al mattino forniscel'arrosto ai «daiak». Piedi e mani nelle padelle fannopassare l'appetito. «Batanga Luigi» assicura che il filettodi scimmia saltato a puntino con due o tre erbette ed unpo' d'aceto, ha il sapore della pernice ma ha il buon gu-sto di non offrircene.

Pian piano scende il crepuscolo. Tutti i rumori si attu-tiscono. La jungla s'addormenta nel silenzio per la lunganotte dell'Equatore. Solo l'enorme brusìo di milioni dizanzare e d'insetti alati empie il vasto silenzio d'un im-percettibile rombo che fa pensare alla risacca d'un lonta-nissimo oceano. E nel cielo s'accendono tutte le stelle.

Non un alito di vento agita l'immensità del fogliame.Ogni cosa è immobile, come morta. Per l'aria vagolano ifermenti delle febbri e delle malattie. La sterminata pu-tredine calda ha il sentore d'un fiato cattivo.

Alle otto i «daiak» già dormono, molti con la facciacontro terra, altri ravvoltolati a ciambella come cani. Lepose degli orang-utang catturati sono quasi le medesi-me.

La jungla del Borneo si macera nel torpore della notteequatoriale. Piccole nubi velano il cammino faticosodella luna. Una scimmia si lamenta nel sonno.

Si sente un fischio, lungo, flebile, dolce, che pard'usignuolo. È la terribile raia in cerca di carne fresca.

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Accampiamo nella foresta per la notte. Anche domaniè giornata di caccia e siamo abbastanza distanti dal Ba-rito. La orang-utang ammazzata al mattino forniscel'arrosto ai «daiak». Piedi e mani nelle padelle fannopassare l'appetito. «Batanga Luigi» assicura che il filettodi scimmia saltato a puntino con due o tre erbette ed unpo' d'aceto, ha il sapore della pernice ma ha il buon gu-sto di non offrircene.

Pian piano scende il crepuscolo. Tutti i rumori si attu-tiscono. La jungla s'addormenta nel silenzio per la lunganotte dell'Equatore. Solo l'enorme brusìo di milioni dizanzare e d'insetti alati empie il vasto silenzio d'un im-percettibile rombo che fa pensare alla risacca d'un lonta-nissimo oceano. E nel cielo s'accendono tutte le stelle.

Non un alito di vento agita l'immensità del fogliame.Ogni cosa è immobile, come morta. Per l'aria vagolano ifermenti delle febbri e delle malattie. La sterminata pu-tredine calda ha il sentore d'un fiato cattivo.

Alle otto i «daiak» già dormono, molti con la facciacontro terra, altri ravvoltolati a ciambella come cani. Lepose degli orang-utang catturati sono quasi le medesi-me.

La jungla del Borneo si macera nel torpore della notteequatoriale. Piccole nubi velano il cammino faticosodella luna. Una scimmia si lamenta nel sonno.

Si sente un fischio, lungo, flebile, dolce, che pard'usignuolo. È la terribile raia in cerca di carne fresca.

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Dal Borneo a Saigon

BORDO DEL TIMOR, 16 aprile.

Partiti ieri l'altro dall'isola di Borneo, navighiamoverso nord, risalendo dall'Equatore al Tropico, in dire-zione della Cocincina. La nostra rotta è poco battuta dal-le navi ed in tre giorni non abbiamo incontrato che qual-che giunca cinese col drago d'oro e le vele dipinte. Dalmar di Celebes siamo passati al mar di Jolo, attraversol'arcipelago di Solu che è già una dipendenza delle Fi-lippine.

— Dove siamo? — chiedo al comandante stamane.— A nove gradi dall'Equatore, quasi all'altezza di iso-

la Porto Principe, ma passiamo al largo ed abbiamomesso la prua in direzione della Cocincina.

Ieri il mare era tutto tempestato di scogli e di isoleverdi. Ce n'erano tante che pareva impossibile si potessenavigare senza rischi. Invece i fondali sono profondi inquei paraggi e le punte a fior d'acqua sono vette di gran-di monti oceanici che un tempo univano da Sumatra allaNuova Guinea le mille isole ed isolette della Sonda.

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Dal Borneo a Saigon

BORDO DEL TIMOR, 16 aprile.

Partiti ieri l'altro dall'isola di Borneo, navighiamoverso nord, risalendo dall'Equatore al Tropico, in dire-zione della Cocincina. La nostra rotta è poco battuta dal-le navi ed in tre giorni non abbiamo incontrato che qual-che giunca cinese col drago d'oro e le vele dipinte. Dalmar di Celebes siamo passati al mar di Jolo, attraversol'arcipelago di Solu che è già una dipendenza delle Fi-lippine.

— Dove siamo? — chiedo al comandante stamane.— A nove gradi dall'Equatore, quasi all'altezza di iso-

la Porto Principe, ma passiamo al largo ed abbiamomesso la prua in direzione della Cocincina.

Ieri il mare era tutto tempestato di scogli e di isoleverdi. Ce n'erano tante che pareva impossibile si potessenavigare senza rischi. Invece i fondali sono profondi inquei paraggi e le punte a fior d'acqua sono vette di gran-di monti oceanici che un tempo univano da Sumatra allaNuova Guinea le mille isole ed isolette della Sonda.

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Più che in un mare sembrava d'essere in un immensolago frastagliato di promontori e di seni. Quando di not-te la grande luna dell'Equatore inargentava l'acqua ed isuoi fantasmi, certe isolette che comparivano improvvi-samente sui fianchi della nave, avevano l'aria di straniicebergs di platino in cammino verso orizzonti di miste-ro e di leggenda.

Oggi le isole sono sparite e ci si sente più solinell'immensità. Siamo fra mare e cielo, ma fra un mared'ocra ed un cielo di zafferano che sconvolgono la no-zione delle cose. In fondo si ha solamente una impres-sione di sole. Il sole palpita, l'acqua trema, ed ardono idiamanti! Cielo e mare sono un unico bagliore gialloche accieca ed intontisce. La vampa solare si riflette so-pra due lastre di vetro luminoso. L'orizzonte non ha li-miti nè contorni: è un infinito di luce.

Sotto le tende dei ponti i passeggeri allungati nellepoltrone non hanno voglia di niente: se qualcuno tentadi reagire al torpore con una spiritosaggine, od una os-servazione, gli altri appena rispondono con una smorfiainsignificante delle labbra.

Sui boccaporti i viaggiatori indigeni – malesi e cinesi– sdraiati alla rinfusa, dormono come morti, con le gam-be aperte, le faccie protette da una pezzuola di seta o daun ventaglio, in mezzo alle cianfrusaglie colorate deiloro bagagli esotici. L'odore acre dell'oppio sale dallacoperta alle passeggiate di classe. Nell'aria senza soffi ladroga tesse torbidi velari di sogno. La Cina parla alle

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Più che in un mare sembrava d'essere in un immensolago frastagliato di promontori e di seni. Quando di not-te la grande luna dell'Equatore inargentava l'acqua ed isuoi fantasmi, certe isolette che comparivano improvvi-samente sui fianchi della nave, avevano l'aria di straniicebergs di platino in cammino verso orizzonti di miste-ro e di leggenda.

Oggi le isole sono sparite e ci si sente più solinell'immensità. Siamo fra mare e cielo, ma fra un mared'ocra ed un cielo di zafferano che sconvolgono la no-zione delle cose. In fondo si ha solamente una impres-sione di sole. Il sole palpita, l'acqua trema, ed ardono idiamanti! Cielo e mare sono un unico bagliore gialloche accieca ed intontisce. La vampa solare si riflette so-pra due lastre di vetro luminoso. L'orizzonte non ha li-miti nè contorni: è un infinito di luce.

Sotto le tende dei ponti i passeggeri allungati nellepoltrone non hanno voglia di niente: se qualcuno tentadi reagire al torpore con una spiritosaggine, od una os-servazione, gli altri appena rispondono con una smorfiainsignificante delle labbra.

Sui boccaporti i viaggiatori indigeni – malesi e cinesi– sdraiati alla rinfusa, dormono come morti, con le gam-be aperte, le faccie protette da una pezzuola di seta o daun ventaglio, in mezzo alle cianfrusaglie colorate deiloro bagagli esotici. L'odore acre dell'oppio sale dallacoperta alle passeggiate di classe. Nell'aria senza soffi ladroga tesse torbidi velari di sogno. La Cina parla alle

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fantasìe ed alle subcoscienze con miraggi di fumeria edi suburbii gialli.

Sole e sole, ed ancora sole. Non una vela all'orizzon-te, non un pennacchio di vapore, non un'ala d'uccello,nulla. Un'immensa pesantezza grava sugli elementi sta-tici e sulle cose immobili,

E la nave va, come scivolando su di una distesad'olio, verso Saigon che ci aspetta fra i banani del suogrande fiume.

Saigon! Sedici anni fa vi arrivai per la prima voltacon anima tutta tremante di dolce ebbrezza. Era il primoincontro col mistero delle lontananze. Ero allora mozzodi coperta – bel mestiere quando si ha sedici anni – edero di lavaggio a prua mentre la nave imboccava il Me-kong. Avevo in mano il «frettazzo» ed i piedi nudinell'acqua tiepida di mare. Il nostromo in stivaloni rac-comandava di far presto e bene. Le mie braccia fregava-no macchinalmente i planciti lucidi dell'Haiphong, magli occhi incantati non sapevano staccarsi da quelle duerive basse e verdi, sulle quali miliardi di banani agitava-no le loro foglie oleose in segno di saluto, rive d'Asialungamente sognate sulle spiagge e durante... le lezionidi latino, prima di spiccare il volo verso il lontano.

Ricordo che mio padre, il quale m'aveva accompa-gnato a Napoli all'imbarcatoio, aveva – poveretto – lelagrime agli occhi. Non poteva concepire, lui matemati-co ed uomo d'ordine, come si potesse preferire una ma-glia di mozzo ad una uniforme di collegiale, quasi che

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fantasìe ed alle subcoscienze con miraggi di fumeria edi suburbii gialli.

Sole e sole, ed ancora sole. Non una vela all'orizzon-te, non un pennacchio di vapore, non un'ala d'uccello,nulla. Un'immensa pesantezza grava sugli elementi sta-tici e sulle cose immobili,

E la nave va, come scivolando su di una distesad'olio, verso Saigon che ci aspetta fra i banani del suogrande fiume.

Saigon! Sedici anni fa vi arrivai per la prima voltacon anima tutta tremante di dolce ebbrezza. Era il primoincontro col mistero delle lontananze. Ero allora mozzodi coperta – bel mestiere quando si ha sedici anni – edero di lavaggio a prua mentre la nave imboccava il Me-kong. Avevo in mano il «frettazzo» ed i piedi nudinell'acqua tiepida di mare. Il nostromo in stivaloni rac-comandava di far presto e bene. Le mie braccia fregava-no macchinalmente i planciti lucidi dell'Haiphong, magli occhi incantati non sapevano staccarsi da quelle duerive basse e verdi, sulle quali miliardi di banani agitava-no le loro foglie oleose in segno di saluto, rive d'Asialungamente sognate sulle spiagge e durante... le lezionidi latino, prima di spiccare il volo verso il lontano.

Ricordo che mio padre, il quale m'aveva accompa-gnato a Napoli all'imbarcatoio, aveva – poveretto – lelagrime agli occhi. Non poteva concepire, lui matemati-co ed uomo d'ordine, come si potesse preferire una ma-glia di mozzo ad una uniforme di collegiale, quasi che

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non ci fosse differenza fra le quattro mura di un convittoe gli sterminati aperti d'oltre mare. Il golfo incantevoleaveva tirato fuori per l'occasione le sue più splendideporpore e le aveva stese fra il Vesuvio e Capri come fan-no le donne del paese tra finestra e finestra nei vicoli diPorta Capuana. Il cielo era tutta una dolcezza, e la terra,dalla punta di Posillipo all'arco di Castellammare, ununico grande sorriso... E vagavano per l'aria tante can-zoni....

Chissà se stavolta Saigon parlerà ancora alla mia ani-ma colla medesima musica di sogno? Dicono che il pri-mo amore non si scorda mai, ed io ho amato Saigoncome un ragazzo inesperto può amare una bella donnaattempata, corrotta e dipinta. Avevo sedici anni allora, eventi franchi in tasca!

La nave avanza nell'orgia di luce. Il legname è caldoe le ferramenta bruciano. L'ombra dei fumaioli s'allungasulla coperta, scavalca le murate, finisce in mare, manon abbandona la nave e la segue, la segue sull'acquapiatta.

Il respiro asmatico delle caldaie empie il silenziod'una invisibile fatica.

Nessun bianco sul ponte di terza, tutta gente gialladell'Arcipelago e della Cina. Paiono membri d'una me-desima famiglia, tanto si somigliano, coi nasi piatti, glizigomi sporgenti, le labbra fini, gli occhi di smalto. Soloil colore della pelle differenzia i sudditi del Mikado daifigli della Repubblica Celeste, le genti dell'Annam daquelle del Tonkino e del Camboge. Alla lunga si scopro-

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non ci fosse differenza fra le quattro mura di un convittoe gli sterminati aperti d'oltre mare. Il golfo incantevoleaveva tirato fuori per l'occasione le sue più splendideporpore e le aveva stese fra il Vesuvio e Capri come fan-no le donne del paese tra finestra e finestra nei vicoli diPorta Capuana. Il cielo era tutta una dolcezza, e la terra,dalla punta di Posillipo all'arco di Castellammare, ununico grande sorriso... E vagavano per l'aria tante can-zoni....

Chissà se stavolta Saigon parlerà ancora alla mia ani-ma colla medesima musica di sogno? Dicono che il pri-mo amore non si scorda mai, ed io ho amato Saigoncome un ragazzo inesperto può amare una bella donnaattempata, corrotta e dipinta. Avevo sedici anni allora, eventi franchi in tasca!

La nave avanza nell'orgia di luce. Il legname è caldoe le ferramenta bruciano. L'ombra dei fumaioli s'allungasulla coperta, scavalca le murate, finisce in mare, manon abbandona la nave e la segue, la segue sull'acquapiatta.

Il respiro asmatico delle caldaie empie il silenziod'una invisibile fatica.

Nessun bianco sul ponte di terza, tutta gente gialladell'Arcipelago e della Cina. Paiono membri d'una me-desima famiglia, tanto si somigliano, coi nasi piatti, glizigomi sporgenti, le labbra fini, gli occhi di smalto. Soloil colore della pelle differenzia i sudditi del Mikado daifigli della Repubblica Celeste, le genti dell'Annam daquelle del Tonkino e del Camboge. Alla lunga si scopro-

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no anche nel volto certe sfumature che permettonod'individuare le varie specie della grande famiglia gialla.Ma gli occhi sono tutti eguali, biglie di smalto neromesse di sghembo in uno scrigno di porcellana.

L'occhio indiano è grande e bello. Nella sua luce si ri-flettono i miraggi della razza sognatrice che ha l'animainarcata verso un infinito irraggiungibile: l'occhio deigialli è invece piccolo, vitreo, cattivo, occhio fatto percontare piastre e controllare bilancie, che anche quandonon vuol dire niente, pare che ammicchi per una scal-trezza. Sembra diverso nel volto incartapecorito d'unvecchio mercante e nel viso di maiolica di una bambolad'Estremo Oriente, ma se si riesce a guardarlo indipen-dentemente dal resto, è sempre la medesima pallottoladi smalto carica di fissità.

Anche in seconda ed in prima classe abbiamo deigialli, quasi tutti cinesi; faccioni rotondi, ventri opulenti,espressioni gravi, gesti effeminati e naturalmente ele-ganti, piccole mani, piccoli piedi, passetti corti, bei ven-tagli, belle stoffe di seta con fodere di raso, che fannofru-fru nel passare. I giapponesi, già brutti e meno di-gnitosi, diventano ancora più brutti per la smania di ve-stire all'europea appena mettono il naso fuori di Nagasa-ki. Ed hanno tutti gli occhiali. A bordo ce ne sono sedicie manco a farlo apposta non ce n'è neppur uno, non dicosenza occhiali, ma che non abbia gli occhiali d'oro astanghetta.

Come in tutti i piroscafi di questi mari l'Occidente èrappresentato in prima classe dalle razze che viaggiano

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no anche nel volto certe sfumature che permettonod'individuare le varie specie della grande famiglia gialla.Ma gli occhi sono tutti eguali, biglie di smalto neromesse di sghembo in uno scrigno di porcellana.

L'occhio indiano è grande e bello. Nella sua luce si ri-flettono i miraggi della razza sognatrice che ha l'animainarcata verso un infinito irraggiungibile: l'occhio deigialli è invece piccolo, vitreo, cattivo, occhio fatto percontare piastre e controllare bilancie, che anche quandonon vuol dire niente, pare che ammicchi per una scal-trezza. Sembra diverso nel volto incartapecorito d'unvecchio mercante e nel viso di maiolica di una bambolad'Estremo Oriente, ma se si riesce a guardarlo indipen-dentemente dal resto, è sempre la medesima pallottoladi smalto carica di fissità.

Anche in seconda ed in prima classe abbiamo deigialli, quasi tutti cinesi; faccioni rotondi, ventri opulenti,espressioni gravi, gesti effeminati e naturalmente ele-ganti, piccole mani, piccoli piedi, passetti corti, bei ven-tagli, belle stoffe di seta con fodere di raso, che fannofru-fru nel passare. I giapponesi, già brutti e meno di-gnitosi, diventano ancora più brutti per la smania di ve-stire all'europea appena mettono il naso fuori di Nagasa-ki. Ed hanno tutti gli occhiali. A bordo ce ne sono sedicie manco a farlo apposta non ce n'è neppur uno, non dicosenza occhiali, ma che non abbia gli occhiali d'oro astanghetta.

Come in tutti i piroscafi di questi mari l'Occidente èrappresentato in prima classe dalle razze che viaggiano

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molto perchè hanno molto denaro: inglesi, americani edolandesi; in seconda dalle razze che egualmente viag-giano molto perchè hanno troppo poco denaro e debbo-no trovarne: italiani, russi, polacchi e balcanici.

La «Grande Proletaria» che ha ovunque figli suoi incammino, è rappresentata da un gruppo d'intraprenditori– gli immancabili – provenienti dalla nuova Caledonia ediretti all'Annam per un appalto ferroviario, da un beltipo di napoletano che suona d'estate il jazz-band in Au-stralia e d'inverno è secondo violinista dell'Opera diSaigon, infine da un vecchio colono residente nel Tonki-no.

Il vecchio è di poche parole, un bergamasco di CittàAlta che dirige una filanda di seta ad Hué, uno di queilombardi calmi e tenaci che danno dei punti agli inglesiper costanza ed ai tedeschi per spirito commerciale.

Gli intraprenditori, che sono di Ravenna, stanno tuttoil giorno insieme, con mezzo toscano fra i denti, un vec-chio «Popolo d'Italia» fuori delle tasche ed un intermi-nabile «scopone» sempre in esercizio. Le loro mani cal-lose, un po' rozze, deformate dalla fatica, dicono senzabisogno di confidenze che se è gente che possiede qual-che soldo l'ha guadagnato con aspro sudore.

Il napoletano è un vero figlio del Vesuvio, simpatico,allegrone, servizievole, disperazione delle misses di bor-do perchè aspetta proprio il momento che s'appisolanoper tirar fuori dal mandolino «quanno 'o vapore s'allun-tana...». Sia che parli italiano, inglese o francese,l'accento è sempre quello, perfino quando confabula in

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molto perchè hanno molto denaro: inglesi, americani edolandesi; in seconda dalle razze che egualmente viag-giano molto perchè hanno troppo poco denaro e debbo-no trovarne: italiani, russi, polacchi e balcanici.

La «Grande Proletaria» che ha ovunque figli suoi incammino, è rappresentata da un gruppo d'intraprenditori– gli immancabili – provenienti dalla nuova Caledonia ediretti all'Annam per un appalto ferroviario, da un beltipo di napoletano che suona d'estate il jazz-band in Au-stralia e d'inverno è secondo violinista dell'Opera diSaigon, infine da un vecchio colono residente nel Tonki-no.

Il vecchio è di poche parole, un bergamasco di CittàAlta che dirige una filanda di seta ad Hué, uno di queilombardi calmi e tenaci che danno dei punti agli inglesiper costanza ed ai tedeschi per spirito commerciale.

Gli intraprenditori, che sono di Ravenna, stanno tuttoil giorno insieme, con mezzo toscano fra i denti, un vec-chio «Popolo d'Italia» fuori delle tasche ed un intermi-nabile «scopone» sempre in esercizio. Le loro mani cal-lose, un po' rozze, deformate dalla fatica, dicono senzabisogno di confidenze che se è gente che possiede qual-che soldo l'ha guadagnato con aspro sudore.

Il napoletano è un vero figlio del Vesuvio, simpatico,allegrone, servizievole, disperazione delle misses di bor-do perchè aspetta proprio il momento che s'appisolanoper tirar fuori dal mandolino «quanno 'o vapore s'allun-tana...». Sia che parli italiano, inglese o francese,l'accento è sempre quello, perfino quando confabula in

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annamita coi boys di bordo par d'essere sul marciapiedidel rione Amedeo!

L'unica cabina di lusso è occupata da un alto funzio-nario francese, gros monsieur che deve avere in Cocin-cina una certa importanza, ma a bordo se ne dà anchetroppa. Occupa a tavola il posto a destra del comandanteed ha la manìa dei colletti duri, benché sudi, poveretto,come una caldaia. La sua grande simpatia è l'amico na-poletano, forse perchè è l'unico a bordo che lo chiamiexcellence con cinque elle! Quando si dimentica sulponte fino ad addormentarsi, russa come un cattivo mo-tore. Se non fosse nota la sua importante situazione uffi-ciale, meraviglierebbe che un naso così piccolo, fra dueguancie così paffute, possa fare tanto chiasso.

Tutte le razze e tutte le classi sociali sono riunite suquesti cento metri di legname galleggiante: gli inglesi inpantaloni di flanella, che ogni tanto percorrono a passodi carica i ponti e le passeggiate, sono uomini di affaridell'onnipotente capitalismo britannico, il quale mono-polizza i migliori commerci dell'Indocina francese; gliolandesi installati di buon mattino al bar a dar fondoalle provviste di birra della cambusa, hanno tutta l'ariadi coloniali made in Germany, col passaporto della com-piacente Regina Guglielmina; i francesi che trovanomodo d'intrufolare in ogni argomento la frase sacramen-tale: «chez nous, à Paris», sentono di funzionario lonta-no un miglio, di funzionario delle colonie che in gioven-tù ha forse letto Loti, ma che ora si contenta dell'Offi-ciel, con l'elenco delle promozioni; i nord-americani con

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annamita coi boys di bordo par d'essere sul marciapiedidel rione Amedeo!

L'unica cabina di lusso è occupata da un alto funzio-nario francese, gros monsieur che deve avere in Cocin-cina una certa importanza, ma a bordo se ne dà anchetroppa. Occupa a tavola il posto a destra del comandanteed ha la manìa dei colletti duri, benché sudi, poveretto,come una caldaia. La sua grande simpatia è l'amico na-poletano, forse perchè è l'unico a bordo che lo chiamiexcellence con cinque elle! Quando si dimentica sulponte fino ad addormentarsi, russa come un cattivo mo-tore. Se non fosse nota la sua importante situazione uffi-ciale, meraviglierebbe che un naso così piccolo, fra dueguancie così paffute, possa fare tanto chiasso.

Tutte le razze e tutte le classi sociali sono riunite suquesti cento metri di legname galleggiante: gli inglesi inpantaloni di flanella, che ogni tanto percorrono a passodi carica i ponti e le passeggiate, sono uomini di affaridell'onnipotente capitalismo britannico, il quale mono-polizza i migliori commerci dell'Indocina francese; gliolandesi installati di buon mattino al bar a dar fondoalle provviste di birra della cambusa, hanno tutta l'ariadi coloniali made in Germany, col passaporto della com-piacente Regina Guglielmina; i francesi che trovanomodo d'intrufolare in ogni argomento la frase sacramen-tale: «chez nous, à Paris», sentono di funzionario lonta-no un miglio, di funzionario delle colonie che in gioven-tù ha forse letto Loti, ma che ora si contenta dell'Offi-ciel, con l'elenco delle promozioni; i nord-americani con

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le gambe sempre su un tavolo o sulla spalliera d'una se-dia, ordinano solo e bevono wisky.

Due ebrei polacchi col naso della razza, tre levantiniche si raccontano storie interminabili con gestid'ammazzasette, un greco, con la barbetta alla Venize-los, ed un negro di Manilla, che fuma sigari grossi comecetrioli, completano l'arca di Noè.

Il sesso debole è rappresentato da tre vecchie inglesiinsopportabili, le quali pare abbiano a bordo la missionedi convertire tutti i passeggeri al celibato.

In seconda classe viaggiano anche sei giovani pretifrancesi accompagnati da due vecchi missionari con labarba bianca, piccolo manipolo del grande esercito colquale la Repubblica laica di Waldek-Rousseau e diEdouard Herriot ha messo i piedi in Siria ed in Cocinci-na e s'è assicurata a Scianghai un bel trampolinosull'Estremo Oriente.

Se non fossimo su una nave francese, diretti ad unacolonia francese, i francesi mancherebbero a bordo. La«sorella latina» non ha molti figli in cammino pel mon-do.

Su questa, come su quasi tutte le navi in rotta sui maridel globo, le razze più rappresentate sono sempre le me-desime: anglo-sassoni in giro per diporto o per affari,italiani che si spostano per lavoro, balcanici in cerca difortuna.

La nostra emigrazione, che incessantemente rigurgitadai confini della patria, è, come tutti sanno, una necessi-tà imposta al nostro popolo dalla ristrettezza del territo-

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le gambe sempre su un tavolo o sulla spalliera d'una se-dia, ordinano solo e bevono wisky.

Due ebrei polacchi col naso della razza, tre levantiniche si raccontano storie interminabili con gestid'ammazzasette, un greco, con la barbetta alla Venize-los, ed un negro di Manilla, che fuma sigari grossi comecetrioli, completano l'arca di Noè.

Il sesso debole è rappresentato da tre vecchie inglesiinsopportabili, le quali pare abbiano a bordo la missionedi convertire tutti i passeggeri al celibato.

In seconda classe viaggiano anche sei giovani pretifrancesi accompagnati da due vecchi missionari con labarba bianca, piccolo manipolo del grande esercito colquale la Repubblica laica di Waldek-Rousseau e diEdouard Herriot ha messo i piedi in Siria ed in Cocinci-na e s'è assicurata a Scianghai un bel trampolinosull'Estremo Oriente.

Se non fossimo su una nave francese, diretti ad unacolonia francese, i francesi mancherebbero a bordo. La«sorella latina» non ha molti figli in cammino pel mon-do.

Su questa, come su quasi tutte le navi in rotta sui maridel globo, le razze più rappresentate sono sempre le me-desime: anglo-sassoni in giro per diporto o per affari,italiani che si spostano per lavoro, balcanici in cerca difortuna.

La nostra emigrazione, che incessantemente rigurgitadai confini della patria, è, come tutti sanno, una necessi-tà imposta al nostro popolo dalla ristrettezza del territo-

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rio e dalla deficenza delle materie prime. Il continuosviluppo della forza e della potenza italiana sta lenta-mente trasformando questo fenomeno, che era fino a ieriun problema interno dell'Italia, in un problema generaledell'Europa. Verrà un giorno in cui esso s'imporrà forza-tamente all'attenzione degli altri popoli e governid'Europa come uno degli elementi predominanti dellatranquillità e dell'equilibrio del continente. Quel giornomolte questioni italiane che oggi paiono insolubili a chinon sa guardare lontano troveranno nella stessa atmo-sfera internazionale la loro immancabile soluzione.Qualche cosa di simile sta accadendo in Estremo Orien-te per l'esuberanza demografica del Giappone.

Trenta anni fa la nostra emigrazione era una debolez-za, oggi è già quasi una forza, domani sarà infallibil-mente un fattore di potenza. Due elementi fondamentalideterminano questo processo d'evoluzione, da una partela meravigliosa resistenza dell'emigrante italianoall'assorbimento straniero – una ragione delle restrizioniamericane – dall'altra il continuo miglioramento qualita-tivo del materiale umano che emigra. Chi viaggia con-stata la differenza. Prima era una gleba che traboccavadai solchi troppo pieni della patria a concimare di sudo-re italiano le terre degli altri; oggi è una folla sempre piùconsapevole del suo valore e sempre più agguerrita cheaffitta agli altri la sua capacità di produzione ed allarganello stesso tempo i commerci della patria; domani pervirtù di razza e sapienza di governanti potrà essere il pa-cifico esercito di formidabili conquiste.

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rio e dalla deficenza delle materie prime. Il continuosviluppo della forza e della potenza italiana sta lenta-mente trasformando questo fenomeno, che era fino a ieriun problema interno dell'Italia, in un problema generaledell'Europa. Verrà un giorno in cui esso s'imporrà forza-tamente all'attenzione degli altri popoli e governid'Europa come uno degli elementi predominanti dellatranquillità e dell'equilibrio del continente. Quel giornomolte questioni italiane che oggi paiono insolubili a chinon sa guardare lontano troveranno nella stessa atmo-sfera internazionale la loro immancabile soluzione.Qualche cosa di simile sta accadendo in Estremo Orien-te per l'esuberanza demografica del Giappone.

Trenta anni fa la nostra emigrazione era una debolez-za, oggi è già quasi una forza, domani sarà infallibil-mente un fattore di potenza. Due elementi fondamentalideterminano questo processo d'evoluzione, da una partela meravigliosa resistenza dell'emigrante italianoall'assorbimento straniero – una ragione delle restrizioniamericane – dall'altra il continuo miglioramento qualita-tivo del materiale umano che emigra. Chi viaggia con-stata la differenza. Prima era una gleba che traboccavadai solchi troppo pieni della patria a concimare di sudo-re italiano le terre degli altri; oggi è una folla sempre piùconsapevole del suo valore e sempre più agguerrita cheaffitta agli altri la sua capacità di produzione ed allarganello stesso tempo i commerci della patria; domani pervirtù di razza e sapienza di governanti potrà essere il pa-cifico esercito di formidabili conquiste.

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V'è nell'emigrazione italiana un dinamismo che mera-viglia tutti coloro i quali esaminano il fenomeno conprofondità. L'inglese parte per il mondo sapendo di tro-vare ovunque gente pronta ad aiutarlo ed a favorirlo in-dipendentemente dai suoi meriti intrinsechi; lo slavo,l'ebreo ed il balcanico ramingano per trovare una nuovapatria meno matrigna e stabilirvisi; l'italiano che nontrova nella sua terra pane e lavoro, s'avventura coraggio-samente pel vasto mondo sapendo che lo aspettano po-chi aiuti e molti ostacoli, ma che alla fine riuscirà per-chè ha un bagaglio di qualità valorizzagli ereditato colsangue della stirpe.

Egli porta con sé, insieme agli usi ed alle abitudinidel campanile, l'amore della terra natale – mistico ed in-definibile amore – e sempre si propone di ritornarvi alpiù presto, anche quando la vita con le sue inesorabiliesigenze disporrà altrimenti.

Dove molti italiani si trovano riuniti, strade e botte-ghe assumono immediatamente la fisionomia dell'Italia.Emigrano con le genti gli elementi e le consuetudini. Lalingua natale afferma dispoticamente il suo primato. Lasolidarietà agisce istintivamente nella servizievole di-mestichezza dei compatriotti, una commovente fratel-lanza avvince uomini di natura diversa. La Patria non habisogno di molto per parlare al cuore dei suoi figli: ba-stano una data, una nave, un nuovo arrivato, un piccoloavvenimento, a volte anche meno, un giornale, una let-tera... Quei pochi che posano ad internazionalisti si tra-discono quando un insulto straniero sferza l'immagine

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V'è nell'emigrazione italiana un dinamismo che mera-viglia tutti coloro i quali esaminano il fenomeno conprofondità. L'inglese parte per il mondo sapendo di tro-vare ovunque gente pronta ad aiutarlo ed a favorirlo in-dipendentemente dai suoi meriti intrinsechi; lo slavo,l'ebreo ed il balcanico ramingano per trovare una nuovapatria meno matrigna e stabilirvisi; l'italiano che nontrova nella sua terra pane e lavoro, s'avventura coraggio-samente pel vasto mondo sapendo che lo aspettano po-chi aiuti e molti ostacoli, ma che alla fine riuscirà per-chè ha un bagaglio di qualità valorizzagli ereditato colsangue della stirpe.

Egli porta con sé, insieme agli usi ed alle abitudinidel campanile, l'amore della terra natale – mistico ed in-definibile amore – e sempre si propone di ritornarvi alpiù presto, anche quando la vita con le sue inesorabiliesigenze disporrà altrimenti.

Dove molti italiani si trovano riuniti, strade e botte-ghe assumono immediatamente la fisionomia dell'Italia.Emigrano con le genti gli elementi e le consuetudini. Lalingua natale afferma dispoticamente il suo primato. Lasolidarietà agisce istintivamente nella servizievole di-mestichezza dei compatriotti, una commovente fratel-lanza avvince uomini di natura diversa. La Patria non habisogno di molto per parlare al cuore dei suoi figli: ba-stano una data, una nave, un nuovo arrivato, un piccoloavvenimento, a volte anche meno, un giornale, una let-tera... Quei pochi che posano ad internazionalisti si tra-discono quando un insulto straniero sferza l'immagine

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augusta della Patria, od una preghiera in lingua italianatocca le corde sensibili del loro cuore. I veri rinnegatisono una quantità trascurabile.

L'umile contadino, il buon operaio, l'onesto lavorato-re che non hanno mai abbandonato il paese e magari lamontagna, partono per l'America, pel Sud-Africa o perl'Australia, come se si trattasse di cambiare circondario,senza mezzi e senza paura. L'Ignoto non li sgomenta,quasi li attira. Hanno la coscienza di possedere nelleloro braccia un capitale che non può non fruttare. Difronte alla loro sicurezza si ha quasi la impressione cheeredità lontanissime predispongano queste meravigliosegenti nostre a farsi largo nel mondo in tutti i paesi e intutti gli ambienti.

È un esercito ancora senza comandi, ma un esercitoche ha già una bandiera tricolore sfumata nell'atmosferadinanzi ai manipoli camminanti. Dove l'uomo tentenna,la donna – italianissima sempre – resiste.

Mancano però i quadri. Ufficiali e sottufficiali perquanto numerosi, sono troppo pochi in proporzione allamassa gigantesca dei gregarii. Molti giovani italiani del-la piccola borghesia e delle classi medie, i quali consu-mano in patria fior d'energia per mettersi mediocremen-te a posto in mezzo ad una spietata concorrenza, trove-rebbero con eguale o minor fatica una situazione ben su-periore all'estero se avessero il medesimo spirito d'ini-ziativa ed il medesimo avventuroso coraggio del conta-dino siciliano e del muratore piemontese.

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augusta della Patria, od una preghiera in lingua italianatocca le corde sensibili del loro cuore. I veri rinnegatisono una quantità trascurabile.

L'umile contadino, il buon operaio, l'onesto lavorato-re che non hanno mai abbandonato il paese e magari lamontagna, partono per l'America, pel Sud-Africa o perl'Australia, come se si trattasse di cambiare circondario,senza mezzi e senza paura. L'Ignoto non li sgomenta,quasi li attira. Hanno la coscienza di possedere nelleloro braccia un capitale che non può non fruttare. Difronte alla loro sicurezza si ha quasi la impressione cheeredità lontanissime predispongano queste meravigliosegenti nostre a farsi largo nel mondo in tutti i paesi e intutti gli ambienti.

È un esercito ancora senza comandi, ma un esercitoche ha già una bandiera tricolore sfumata nell'atmosferadinanzi ai manipoli camminanti. Dove l'uomo tentenna,la donna – italianissima sempre – resiste.

Mancano però i quadri. Ufficiali e sottufficiali perquanto numerosi, sono troppo pochi in proporzione allamassa gigantesca dei gregarii. Molti giovani italiani del-la piccola borghesia e delle classi medie, i quali consu-mano in patria fior d'energia per mettersi mediocremen-te a posto in mezzo ad una spietata concorrenza, trove-rebbero con eguale o minor fatica una situazione ben su-periore all'estero se avessero il medesimo spirito d'ini-ziativa ed il medesimo avventuroso coraggio del conta-dino siciliano e del muratore piemontese.

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BORNEO – Accampamento nella jungla.

BORNEO – Isolotti di palme sul fiume Koboe.

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BORNEO – Accampamento nella jungla.

BORNEO – Isolotti di palme sul fiume Koboe.

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Tutta una educazione è ancora da fare in questo sen-so, educazione dei genitori, educazione dei ragazzi. LoStato, al quale necessariamente spetta una funzione re-golatrice, dovrebbe da una parte sforzarsi di contenerel'emigrazione delle braccia, cercando di intensificarecon ogni mezzo il loro collocamento in patria e nelle co-lonie dirette per attenuare, nei limiti del possibile, losciupìo delle immancabili perdite; dall'altra favorire in-vece l'emigrazione dei tecnici, dei professionisti, degliimpiegati, dei «buoni a tutto», nei quali di solito la for-tuna sceglie i suoi favoriti. Il bisogno non obbliga que-sta gente a cercare il pane fuori dei confini. Cento lega-mi e cento prevenzioni li trattengono al paese in attesadel concorso o della raccomandazione. Il mondo è vastoinvece e le strade della fortuna sono tante per chi ha ilcoraggio di tentarla. La Patria, nonostante il suo conti-nuo sviluppo, non può appagare le legittime aspirazionidi tutti gli spostati e dei volonterosi. Dopo il primo im-mancabile tirocinio essi riuscirebbero indubbiamente avalorizzare le loro eccellenti qualità.

Il giorno in cui si troveranno sui piroscafi che battonotutti i mari meno viaggiatori italiani di terza e più di se-conda, il problema della nostra emigrazione potrà essereconsiderato risolto.

Certo è più facile esporre la questione che indicare imezzi pratici per risolverla. Però nella stessa etica delfascismo è in germe tutta la soluzione, in quanto la reli-gione fascista educando la nazione all'idea di potenza edallargando quindi smisuratamente gli orizzonti spirituali

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Tutta una educazione è ancora da fare in questo sen-so, educazione dei genitori, educazione dei ragazzi. LoStato, al quale necessariamente spetta una funzione re-golatrice, dovrebbe da una parte sforzarsi di contenerel'emigrazione delle braccia, cercando di intensificarecon ogni mezzo il loro collocamento in patria e nelle co-lonie dirette per attenuare, nei limiti del possibile, losciupìo delle immancabili perdite; dall'altra favorire in-vece l'emigrazione dei tecnici, dei professionisti, degliimpiegati, dei «buoni a tutto», nei quali di solito la for-tuna sceglie i suoi favoriti. Il bisogno non obbliga que-sta gente a cercare il pane fuori dei confini. Cento lega-mi e cento prevenzioni li trattengono al paese in attesadel concorso o della raccomandazione. Il mondo è vastoinvece e le strade della fortuna sono tante per chi ha ilcoraggio di tentarla. La Patria, nonostante il suo conti-nuo sviluppo, non può appagare le legittime aspirazionidi tutti gli spostati e dei volonterosi. Dopo il primo im-mancabile tirocinio essi riuscirebbero indubbiamente avalorizzare le loro eccellenti qualità.

Il giorno in cui si troveranno sui piroscafi che battonotutti i mari meno viaggiatori italiani di terza e più di se-conda, il problema della nostra emigrazione potrà essereconsiderato risolto.

Certo è più facile esporre la questione che indicare imezzi pratici per risolverla. Però nella stessa etica delfascismo è in germe tutta la soluzione, in quanto la reli-gione fascista educando la nazione all'idea di potenza edallargando quindi smisuratamente gli orizzonti spirituali

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Page 203: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

della coscienza pubblica, sprona all'audacia ed alla bellaavventura le giovani generazioni ed insensibilmente lecanalizza verso le conquiste individuali che sommate in-sieme costituiranno la conquista collettiva della nuovaItalia.

I giovani della borghesia inglese partono «sportiva-mente» pel mondo. È lo sport più grande e più bello,quello della vita! La letteratura inglese – imperiale pereccellenza – è per tre quarti un inno allo spirito d'avven-tura della gioventù britannica. È vero che le condizionimondiali dell'Italia non sono le stesse di quelledell'Inghilterra, che è padrona di mezzo globo, ma è an-che vero che l'italiano, considerato come unità-uomo, èinfinitamente più dotato del britannico. Non è falso or-goglio il dirlo e sarebbe stupida modestia il tacerlo. Ne èprova il fatto superbo che ogni anno quattrocentomilaoperai e contadini senza mezzi di fortuna e quasi senzaappoggi, riescono a collocarsi convenientementeall'estero nonostante le restrizioni ed ostilità d'ogni ge-nere, mentre gli operai britannici restano in Inghilterra avivere di sussidi statali e si decidono a partire per i Do-minii e le colonie solo quando lo Stato organizza minu-tamente i gruppi d'emigrazione, assicurando a coloroche partono viaggio, indennità e lavoro.

La scuola, la letteratura, il giornalismo, debbono av-viare la gioventù studiosa italiana verso gli orizzontid'oltre mare nei quali il destino rinserra le nuove fortunedella nazione.

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della coscienza pubblica, sprona all'audacia ed alla bellaavventura le giovani generazioni ed insensibilmente lecanalizza verso le conquiste individuali che sommate in-sieme costituiranno la conquista collettiva della nuovaItalia.

I giovani della borghesia inglese partono «sportiva-mente» pel mondo. È lo sport più grande e più bello,quello della vita! La letteratura inglese – imperiale pereccellenza – è per tre quarti un inno allo spirito d'avven-tura della gioventù britannica. È vero che le condizionimondiali dell'Italia non sono le stesse di quelledell'Inghilterra, che è padrona di mezzo globo, ma è an-che vero che l'italiano, considerato come unità-uomo, èinfinitamente più dotato del britannico. Non è falso or-goglio il dirlo e sarebbe stupida modestia il tacerlo. Ne èprova il fatto superbo che ogni anno quattrocentomilaoperai e contadini senza mezzi di fortuna e quasi senzaappoggi, riescono a collocarsi convenientementeall'estero nonostante le restrizioni ed ostilità d'ogni ge-nere, mentre gli operai britannici restano in Inghilterra avivere di sussidi statali e si decidono a partire per i Do-minii e le colonie solo quando lo Stato organizza minu-tamente i gruppi d'emigrazione, assicurando a coloroche partono viaggio, indennità e lavoro.

La scuola, la letteratura, il giornalismo, debbono av-viare la gioventù studiosa italiana verso gli orizzontid'oltre mare nei quali il destino rinserra le nuove fortunedella nazione.

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Il Fascismo, inteso come scuola di disciplina, comereligione della patria e come palestra di audacia, è vera-mente l'alta filosofia che ci vuole per la nuova Italia dal-le molte glorie e dalle molte vite, la quale deve farsistrada nel mondo e trovar posto per tutti i suoi figli.

Certo è una filosofia adatta solo per grandi popoli!Ma tale è il popolo italiano sotto tutti i rapporti, per cuo-re e per ingegno, per capacità di lavoro e virtù di adatta-mento, per sana costituzione fisica e morale, per gloriosiretaggi del passato e fulgide affermazioni recenti, per leprove che quotidianamente danno i cittadini in Italia edall'Estero nella ciclopica battaglia dell'esistenza.

Grande popolo, con un passato che nessun altro egua-glia, con un avvenire che tutti gli altri invidiano.

Quegli italiani abbarbicati al formalismo consuetudi-nario, i quali hanno l'aria di meravigliarsi che il nostropaese, invece di seguire le dottrine degli altri, abbia oggiuna sua etica originale – il Fascismo – dimenticano che,eccettuati rari periodi di stanchezza, Roma è stata sem-pre all'avanguardia del cammino umano!

In mezzo al mar della Cina, sulla nave straniera cheattraversa silenziosamente le solitudini, gli italiani sisono istintivamente riuniti a parlare della Patria. Sento-no di non essere estranei benché non si siano primad'ora mai conosciuti.

Nessuno fra essi ha in tasca la tessera del Littorio, matutti ne hanno nell'anima il marchio mistico.

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Il Fascismo, inteso come scuola di disciplina, comereligione della patria e come palestra di audacia, è vera-mente l'alta filosofia che ci vuole per la nuova Italia dal-le molte glorie e dalle molte vite, la quale deve farsistrada nel mondo e trovar posto per tutti i suoi figli.

Certo è una filosofia adatta solo per grandi popoli!Ma tale è il popolo italiano sotto tutti i rapporti, per cuo-re e per ingegno, per capacità di lavoro e virtù di adatta-mento, per sana costituzione fisica e morale, per gloriosiretaggi del passato e fulgide affermazioni recenti, per leprove che quotidianamente danno i cittadini in Italia edall'Estero nella ciclopica battaglia dell'esistenza.

Grande popolo, con un passato che nessun altro egua-glia, con un avvenire che tutti gli altri invidiano.

Quegli italiani abbarbicati al formalismo consuetudi-nario, i quali hanno l'aria di meravigliarsi che il nostropaese, invece di seguire le dottrine degli altri, abbia oggiuna sua etica originale – il Fascismo – dimenticano che,eccettuati rari periodi di stanchezza, Roma è stata sem-pre all'avanguardia del cammino umano!

In mezzo al mar della Cina, sulla nave straniera cheattraversa silenziosamente le solitudini, gli italiani sisono istintivamente riuniti a parlare della Patria. Sento-no di non essere estranei benché non si siano primad'ora mai conosciuti.

Nessuno fra essi ha in tasca la tessera del Littorio, matutti ne hanno nell'anima il marchio mistico.

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E quando il disprezzato mandolino di Marechiaro,consacrato alla gloria dalla mandolinata di Monte Nero,rompe la torbida pesantezza equatoriale col «quann 'ovapore s'alluntana» che sveglia di soprassalto le tre zi-telle britanniche, la Patria parla dolcemente al cuore deisuoi figli con la voce soavissima di Mergellina.

E sembra che una carezza vagoli nell'aria senza sof-fio.

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E quando il disprezzato mandolino di Marechiaro,consacrato alla gloria dalla mandolinata di Monte Nero,rompe la torbida pesantezza equatoriale col «quann 'ovapore s'alluntana» che sveglia di soprassalto le tre zi-telle britanniche, la Patria parla dolcemente al cuore deisuoi figli con la voce soavissima di Mergellina.

E sembra che una carezza vagoli nell'aria senza sof-fio.

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Una porta dell'Asia: Saigon

SAIGON, 26 aprile.

Saigon non è ancora la Cina, ma è già l'Asia gialla.Si penetra per una porta laterale nel grande mondo

degli occhi obliqui: s'entra in contatto con una umanitàcompletamente diversa da tutte le altre, che durante mil-lenni ha seguito uno sviluppo proprio; ci si trova inmezzo ad uno scenario caratteristico, che non è tropicalee non è indiano e non è neppure selvaggio, nel qualel'aspetto stesso della Natura è e sembra diverso dal con-sueto.

L'India tragica e formidabile sgomenta, ma affascina,l'Asia equatoriale sconcerta, ma seduce. L'Asia gialla dàinvece all'occidentale un senso strano di ripugnanza,quasi direi d'ostilità, che permane anche quando, coltempo, l'anima subisce l'influenza della sua innegabileraffinatezza.

La prima volta io ebbi l'impressione di essere di fron-te ad una umanità decrepita in processo d'auto-assorbi-mento, una umanità fatta di piccoli esseri saltellanti,

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Una porta dell'Asia: Saigon

SAIGON, 26 aprile.

Saigon non è ancora la Cina, ma è già l'Asia gialla.Si penetra per una porta laterale nel grande mondo

degli occhi obliqui: s'entra in contatto con una umanitàcompletamente diversa da tutte le altre, che durante mil-lenni ha seguito uno sviluppo proprio; ci si trova inmezzo ad uno scenario caratteristico, che non è tropicalee non è indiano e non è neppure selvaggio, nel qualel'aspetto stesso della Natura è e sembra diverso dal con-sueto.

L'India tragica e formidabile sgomenta, ma affascina,l'Asia equatoriale sconcerta, ma seduce. L'Asia gialla dàinvece all'occidentale un senso strano di ripugnanza,quasi direi d'ostilità, che permane anche quando, coltempo, l'anima subisce l'influenza della sua innegabileraffinatezza.

La prima volta io ebbi l'impressione di essere di fron-te ad una umanità decrepita in processo d'auto-assorbi-mento, una umanità fatta di piccoli esseri saltellanti,

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pergamenacei o porcellanati, esemplari paradossalmentevivi di una specie già mummificata.

A lungo andare gli occhi s'abituano ai paesaggi dismalto e di lacca, ai tetti contorti, ai draghi inverosimili,ai piccoli uomini che hanno mosse da marionette, alleloro piccole case che hanno l'aspetto di giocattoli, allafissità impenetrabile dei loro occhi uniformemente neriche riflettono il vuoto dell'immensità, alla mascheragialla ed impassibile dei loro volti vetrificati. Ma bastache uno s'allontani pochi mesi dall'Estremo Oriente per-chè al ritorno il primo contatto con l'Asia gialla riprodu-ca la medesima sensazione sgradevole d'un ambientetorbido e viscido, popolato di lombrichi e di vermi a for-ma umana.

Forse il viaggiatore che cammina col «Baedecker»trovando in ogni città del mondo il medesimo Palace egli stessi menus, non prova che una impressione di cu-riosità di fronte alla gialla famiglia umana dagli occhiobliqui, ma colui che va pel mondo con l'anima a fior dipelle, sensibile a tutti gli urti, si sente a disagio ogniqualvolta una nave lo trasporta improvvisamente da unaltro qualsiasi degli ambienti della terra, in uno scenariod'Estremo Oriente.

Ogni cosa in questi paesi turba e disorienta lo spiritoeuropeo. È veramente un altro mondo che non ha nessu-na analogia col nostro! L'India, nonostante il suo esoti-cismo ed il suo grande mistero, ci è più famigliare. Leforme della sua vita e l'essenza della sua civiltà sono ac-cessibili al nostro spirito. Il sogno dell'anima indiana si

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pergamenacei o porcellanati, esemplari paradossalmentevivi di una specie già mummificata.

A lungo andare gli occhi s'abituano ai paesaggi dismalto e di lacca, ai tetti contorti, ai draghi inverosimili,ai piccoli uomini che hanno mosse da marionette, alleloro piccole case che hanno l'aspetto di giocattoli, allafissità impenetrabile dei loro occhi uniformemente neriche riflettono il vuoto dell'immensità, alla mascheragialla ed impassibile dei loro volti vetrificati. Ma bastache uno s'allontani pochi mesi dall'Estremo Oriente per-chè al ritorno il primo contatto con l'Asia gialla riprodu-ca la medesima sensazione sgradevole d'un ambientetorbido e viscido, popolato di lombrichi e di vermi a for-ma umana.

Forse il viaggiatore che cammina col «Baedecker»trovando in ogni città del mondo il medesimo Palace egli stessi menus, non prova che una impressione di cu-riosità di fronte alla gialla famiglia umana dagli occhiobliqui, ma colui che va pel mondo con l'anima a fior dipelle, sensibile a tutti gli urti, si sente a disagio ogniqualvolta una nave lo trasporta improvvisamente da unaltro qualsiasi degli ambienti della terra, in uno scenariod'Estremo Oriente.

Ogni cosa in questi paesi turba e disorienta lo spiritoeuropeo. È veramente un altro mondo che non ha nessu-na analogia col nostro! L'India, nonostante il suo esoti-cismo ed il suo grande mistero, ci è più famigliare. Leforme della sua vita e l'essenza della sua civiltà sono ac-cessibili al nostro spirito. Il sogno dell'anima indiana si

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perde per noi nelle vertigini dell'infinito, ma noi possia-mo intuire ed in parte seguire l'estasi portentosa. Dinan-zi all'inaccessibile smalto d'un occhio cinese la nostraintelligenza rimbalza, invece, paralizzata nella sua capa-cità intuitiva da una diga ben più potente della famosaMuraglia.

I gesti dei gialli sono l'opposto dei nostri. Il loro «sì»è il nostro «no». I loro libri finiscono dove i nostri co-minciano. Gli stessi movimenti istintivi sono inesorabil-mente antitetici.

I templi, le case, i ponti, i giardini, ci stupiscono perle loro forme fantastiche ed i loro colori bizzarri. Di pri-mo acchito li contempliamo con interesse, poi ci accor-giamo che una profonda e misteriosa armonia collegaquesta architettura eccentrica agli altri aspetti del paesee della razza. Allora proviamo un curioso malessere e cisentiamo fuori posto. Chissà per quali effetti di luce o disuggestione, i monti stessi, le campagne, i fiumi, il pa-norama, assumono la paradossale parvenza che hannonelle lacche e nelle porcellane, nei ventagli e nei «kimo-no».

Alcune particolarità caratteristiche danno l'improntaall'ambiente, facendone un insieme che è in contrastocon le abitudini del nostro occhio e del nostro pensiero:la linea obliqua, per esempio, l'uso della seta e della car-ta, il lucido, la gamma gialla, si trovano dappertutto,dove non dovrebbero essere, dove non sono negli altriluoghi, e sconvolgono le nostre abitudini, ci urtano e cidispiacciono.

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perde per noi nelle vertigini dell'infinito, ma noi possia-mo intuire ed in parte seguire l'estasi portentosa. Dinan-zi all'inaccessibile smalto d'un occhio cinese la nostraintelligenza rimbalza, invece, paralizzata nella sua capa-cità intuitiva da una diga ben più potente della famosaMuraglia.

I gesti dei gialli sono l'opposto dei nostri. Il loro «sì»è il nostro «no». I loro libri finiscono dove i nostri co-minciano. Gli stessi movimenti istintivi sono inesorabil-mente antitetici.

I templi, le case, i ponti, i giardini, ci stupiscono perle loro forme fantastiche ed i loro colori bizzarri. Di pri-mo acchito li contempliamo con interesse, poi ci accor-giamo che una profonda e misteriosa armonia collegaquesta architettura eccentrica agli altri aspetti del paesee della razza. Allora proviamo un curioso malessere e cisentiamo fuori posto. Chissà per quali effetti di luce o disuggestione, i monti stessi, le campagne, i fiumi, il pa-norama, assumono la paradossale parvenza che hannonelle lacche e nelle porcellane, nei ventagli e nei «kimo-no».

Alcune particolarità caratteristiche danno l'improntaall'ambiente, facendone un insieme che è in contrastocon le abitudini del nostro occhio e del nostro pensiero:la linea obliqua, per esempio, l'uso della seta e della car-ta, il lucido, la gamma gialla, si trovano dappertutto,dove non dovrebbero essere, dove non sono negli altriluoghi, e sconvolgono le nostre abitudini, ci urtano e cidispiacciono.

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Perchè quel facchino è in tunica di seta? Perchè quel-la lampada è fatta di carta? Perchè i tetti sono incurvatie gli archi sbilenchi? Perchè le cime degli edifizi sonofatti come le carene delle navi e le cupole come lechiocciole delle lumache? Perchè le foglie sono tutte lu-cide ed i tronchi tutti verniciati? Perchè i vecchi decre-piti hanno un ventaglio da bimba? E gli uomini hannomani e piedi di donna? E le donne sono fabbricate a se-rie, tutte col medesimo viso di terracotta o di maiolica?Perchè tutto è storto, sghembo, sgangherato, messo ditraverso e di sghimbescio?

Quando s'entra nell'Asia gialla per una delle sue gran-di porte – Canton e Scianghai – si è tentati d'attribuirel'impressione di disagio fisico e spirituale al formicolìosgradevole della folla che brulica vischiosamente nellestrade troppo strette e troppo gialle.

Ma a Saigon non c'è folla.L'Asia gialla si presenta quasi senza personaggi, in un

silenzio pesante ed in una solitudine immobile. Sono lecose che parlano ai sensi ed allo spirito: le cose degliuomini e della natura.

E respingono! Sulla terra rossa come impastata disangue, gli alberi esageratamente verdi sembrano dipinticon misteriosi inchiostri. I tetti gobbi e cornuti dellecase, le porcellane lucenti, le cocche rovesciate delle pa-gode, la forma inverosimile delle giunche, la colorazio-ne del cielo, i riverberi dell'aria, tutto è strano e sconcer-tante.

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Perchè quel facchino è in tunica di seta? Perchè quel-la lampada è fatta di carta? Perchè i tetti sono incurvatie gli archi sbilenchi? Perchè le cime degli edifizi sonofatti come le carene delle navi e le cupole come lechiocciole delle lumache? Perchè le foglie sono tutte lu-cide ed i tronchi tutti verniciati? Perchè i vecchi decre-piti hanno un ventaglio da bimba? E gli uomini hannomani e piedi di donna? E le donne sono fabbricate a se-rie, tutte col medesimo viso di terracotta o di maiolica?Perchè tutto è storto, sghembo, sgangherato, messo ditraverso e di sghimbescio?

Quando s'entra nell'Asia gialla per una delle sue gran-di porte – Canton e Scianghai – si è tentati d'attribuirel'impressione di disagio fisico e spirituale al formicolìosgradevole della folla che brulica vischiosamente nellestrade troppo strette e troppo gialle.

Ma a Saigon non c'è folla.L'Asia gialla si presenta quasi senza personaggi, in un

silenzio pesante ed in una solitudine immobile. Sono lecose che parlano ai sensi ed allo spirito: le cose degliuomini e della natura.

E respingono! Sulla terra rossa come impastata disangue, gli alberi esageratamente verdi sembrano dipinticon misteriosi inchiostri. I tetti gobbi e cornuti dellecase, le porcellane lucenti, le cocche rovesciate delle pa-gode, la forma inverosimile delle giunche, la colorazio-ne del cielo, i riverberi dell'aria, tutto è strano e sconcer-tante.

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E pare che i polmoni improvvisamente rammolliti, re-spirino insieme ad un'atmosfera oppiacea e pesante, tor-bidi fluidi d'indefinibile essenza....

Il piroscafo, dopo aver risalito per ventiquattr'ore ilfiume Mekong, fra due rive d'un verde oleoso, che avolte s'avvicinavano fino a dare l'impressione d'un cana-le ed a volte s'allontanavano fino a perdersi nell'evane-scenza, ha gettato l'ancora dinanzi ad una striscia di ca-seggiati: Saigon.

Saigon non è Singapore e neppure Hongkong. L'arri-vo d'una nave è sempre un piccolo avvenimento per lacolonia che è fuori delle rotte abituali dei traffici diEstremo Oriente. Europei vestiti di bianco, col casco co-loniale, ed indigeni vestiti di nero, con un ombrello sen-za manico per copricapo, accolgono con un blando sor-riso coloro che arrivano. Le banchine piene di sole sonodiscretamente animate.

Poi, quando i passeggeri sono sbarcati ed il furgonedella posta se n'è andato col suo carico di sacchi, i molidiventano rapidamente deserti. La nave ha l'aria di appi-solarsi pigramente in mezzo alle giunche ed alle barcheannamite. Anche l'attività di bordo cede all'immensotorpore dell'Indocina. Il fogliame immobile e l'acquamorta, danno al paesaggio l'aspetto di uno scenario dicartapesta, dipinto di fresco ed ancora umido di vernice.

Sulle banchine gialle passa ogni tanto un indigenocon la sua ombra: un piccolo uomo, una grande ombra.E l'uno e l'altra non fanno rumore.

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E pare che i polmoni improvvisamente rammolliti, re-spirino insieme ad un'atmosfera oppiacea e pesante, tor-bidi fluidi d'indefinibile essenza....

Il piroscafo, dopo aver risalito per ventiquattr'ore ilfiume Mekong, fra due rive d'un verde oleoso, che avolte s'avvicinavano fino a dare l'impressione d'un cana-le ed a volte s'allontanavano fino a perdersi nell'evane-scenza, ha gettato l'ancora dinanzi ad una striscia di ca-seggiati: Saigon.

Saigon non è Singapore e neppure Hongkong. L'arri-vo d'una nave è sempre un piccolo avvenimento per lacolonia che è fuori delle rotte abituali dei traffici diEstremo Oriente. Europei vestiti di bianco, col casco co-loniale, ed indigeni vestiti di nero, con un ombrello sen-za manico per copricapo, accolgono con un blando sor-riso coloro che arrivano. Le banchine piene di sole sonodiscretamente animate.

Poi, quando i passeggeri sono sbarcati ed il furgonedella posta se n'è andato col suo carico di sacchi, i molidiventano rapidamente deserti. La nave ha l'aria di appi-solarsi pigramente in mezzo alle giunche ed alle barcheannamite. Anche l'attività di bordo cede all'immensotorpore dell'Indocina. Il fogliame immobile e l'acquamorta, danno al paesaggio l'aspetto di uno scenario dicartapesta, dipinto di fresco ed ancora umido di vernice.

Sulle banchine gialle passa ogni tanto un indigenocon la sua ombra: un piccolo uomo, una grande ombra.E l'uno e l'altra non fanno rumore.

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Page 211: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Io ho aspettato che la nave s'addormentasse, che imoli fossero deserti, che tutto s'adagiasse nel grandesonno della Cocincina, per scendere solo in città e rive-dere così, dopo sedici anni, la mia prima amante diEstremo Oriente.

Il Palazzo del Governo in via Lagrandière e quellodella Posta in piazza della Cattedrale non hanno cambia-to posto. Sono sempre imponenti e ridicoli con le lorovasche copiate a Versailles ed i loro giardini squadratialla francese. Le corolle di porcellana rossa degli spetta-colosi ibischi d'Indocina sono fuori posto fra gli scherzid'acqua ed i bossi rotondi, come vezzi di pagoda su unatoeletta stile impero. Anche il Gambetta di bronzo haconservato la sua pelliccia da esploratore del Polo Nordche fa sudare solo a guardarla.

Chi è abituato all'intensa animazione delle metropolicoloniali britanniche, resta sorpreso dalla tranquillitàprovinciale di Saigon, che pure è la capitale d'un vastoimpero d'oltre mare. I francesi hanno cercato di dare allacittà un aspetto monumentale. Il Palazzo di Città, il Pa-lazzo di Giustizia, gli ospedali, le caserme, la Residenzadel Governatore, le Dogane e gli edifizi delle Ammini-strazioni pubbliche, sono costruiti con pompa di mate-riali e di decorazoni. Il teatro dell'Opera è costato primadella guerra cinque milioni. Il Palazzo del Governo, condue ordini di loggiati ed il tetto d'ardesia alla francese,vuole ostentatamente imitare la maestà del Louvre. Lar-ghe le strade, regolari e spaziose, ben tenuti i giardini,linde e civettuole le abitazioni private. I fanali del gas

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Io ho aspettato che la nave s'addormentasse, che imoli fossero deserti, che tutto s'adagiasse nel grandesonno della Cocincina, per scendere solo in città e rive-dere così, dopo sedici anni, la mia prima amante diEstremo Oriente.

Il Palazzo del Governo in via Lagrandière e quellodella Posta in piazza della Cattedrale non hanno cambia-to posto. Sono sempre imponenti e ridicoli con le lorovasche copiate a Versailles ed i loro giardini squadratialla francese. Le corolle di porcellana rossa degli spetta-colosi ibischi d'Indocina sono fuori posto fra gli scherzid'acqua ed i bossi rotondi, come vezzi di pagoda su unatoeletta stile impero. Anche il Gambetta di bronzo haconservato la sua pelliccia da esploratore del Polo Nordche fa sudare solo a guardarla.

Chi è abituato all'intensa animazione delle metropolicoloniali britanniche, resta sorpreso dalla tranquillitàprovinciale di Saigon, che pure è la capitale d'un vastoimpero d'oltre mare. I francesi hanno cercato di dare allacittà un aspetto monumentale. Il Palazzo di Città, il Pa-lazzo di Giustizia, gli ospedali, le caserme, la Residenzadel Governatore, le Dogane e gli edifizi delle Ammini-strazioni pubbliche, sono costruiti con pompa di mate-riali e di decorazoni. Il teatro dell'Opera è costato primadella guerra cinque milioni. Il Palazzo del Governo, condue ordini di loggiati ed il tetto d'ardesia alla francese,vuole ostentatamente imitare la maestà del Louvre. Lar-ghe le strade, regolari e spaziose, ben tenuti i giardini,linde e civettuole le abitazioni private. I fanali del gas

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ed i globi della luce elettrica indicano che il Municipioha pretese di lusso e d'eleganza.

Saigon è bella, non si può dire di no, ma Saigon èmorta!

I seimila francesi scompaiono nelle strade troppo lar-ghe. I diciassette mila annamiti sono troppo piccoli peroccupare tanto posto. Il grosso della popolazione indige-na (50.000 cinesi ed 80.000 annamiti) preferisce le topa-ie della vicina Cholon ai quartieri simmetrici della capi-tale.

Appena si lascia la rue Catinat, che è come il corso diSaigon, le strade diventano subito deserte. I grandi albe-ri allineati lungo i marciapiedi lasciano un corridoio disole in mezzo a due gallerie d'ombra. Dietro i cancelli, igiardini sonnecchiano colle loro foglie di smalto ed iloro fiori di porcellana. Le case, tutte bianche, con lepersiane verdi uniformemente chiuse, fanno pensare adeleganti dormitori d'un popolo in letargo od a fumerieclandestine nelle quali si viva perennemente sdraiati asognare...

Sono le due del pomeriggio. È l'ora terribile di Sai-gon, nella quale gli uffici sono chiusi, i caffè deserti, lestrade silenziose, l'ora della siesta tirannica d'Indocinache sfibra i corpi ed intorpidisce gli spiriti, che invita gliuomini d'Occidente a chiedere alle pipe d'oppio la beati-tudine filosofica dell'Estremo Oriente, l'ora dei lunghiabbandoni, delle estasi artificiali, delle anemie inesora-bili.... ma è anche l'ora in cui si sprigiona con maggiorepotenza, dalla terra e dalle cose, la infinita malìa di que-

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ed i globi della luce elettrica indicano che il Municipioha pretese di lusso e d'eleganza.

Saigon è bella, non si può dire di no, ma Saigon èmorta!

I seimila francesi scompaiono nelle strade troppo lar-ghe. I diciassette mila annamiti sono troppo piccoli peroccupare tanto posto. Il grosso della popolazione indige-na (50.000 cinesi ed 80.000 annamiti) preferisce le topa-ie della vicina Cholon ai quartieri simmetrici della capi-tale.

Appena si lascia la rue Catinat, che è come il corso diSaigon, le strade diventano subito deserte. I grandi albe-ri allineati lungo i marciapiedi lasciano un corridoio disole in mezzo a due gallerie d'ombra. Dietro i cancelli, igiardini sonnecchiano colle loro foglie di smalto ed iloro fiori di porcellana. Le case, tutte bianche, con lepersiane verdi uniformemente chiuse, fanno pensare adeleganti dormitori d'un popolo in letargo od a fumerieclandestine nelle quali si viva perennemente sdraiati asognare...

Sono le due del pomeriggio. È l'ora terribile di Sai-gon, nella quale gli uffici sono chiusi, i caffè deserti, lestrade silenziose, l'ora della siesta tirannica d'Indocinache sfibra i corpi ed intorpidisce gli spiriti, che invita gliuomini d'Occidente a chiedere alle pipe d'oppio la beati-tudine filosofica dell'Estremo Oriente, l'ora dei lunghiabbandoni, delle estasi artificiali, delle anemie inesora-bili.... ma è anche l'ora in cui si sprigiona con maggiorepotenza, dalla terra e dalle cose, la infinita malìa di que-

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sta città meticcia, mezzo parigina e mezzo cinese, mez-zo annamita e mezzo indiana: città orientale unica nelsuo genere, che, accanto al fac-simile coloniale del Lou-vre, ad una riduzione dell'Opera di Parigi ed alle succur-sali dei caffè dei «boulevards», v'offre la fumeriad'oppio di Cin-Yat-Sen, la casa di tè della «conghai» Ti-bhà, il teatro annamita colle danze di Nam-ki, i suburbidi Scianghai e le suburre di Nagasaki.

La melanconica esibizione dei piaceri d'Occidentes'unisce alla indulgente tolleranza delle delizie d'Orien-te. Pare che le genti abbiano voluto creare nell'artificialescenario dei palazzoni europei e dei giardini tropicali,un artificiale Paradiso terrestre con tutte le illusioni diMontmartre e di Pekino.

Accanto ad un negozio ultra moderno che espone,sotto la dicitura parigina «chez Marcelle», una vaporosa«robe de soir», un mercante «malabar» allinea tutti gliidoli dell'India, un rivendugliolo cinese affastella para-venti di carta e trabiccoli di lacca dipinta, un povero an-namita mette in vendita terrecotte azzurre e pipe di bam-bù.

I «coloniali» sono furibondi contro Claude Farrèreche ha dipinto con straordinario verismo la torbida at-mosfera di Saigon; ma i «coloniali» che si estasiano difronte alla brutta facciata dell'Hôtel de Ville, non si ac-corgono che Saigon, colla sua quiete provinciale e coisuoi belletti d'Estremo Oriente, dà appunto al viaggiato-re l'impressione d'una donna viziosa e malata, la quale

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sta città meticcia, mezzo parigina e mezzo cinese, mez-zo annamita e mezzo indiana: città orientale unica nelsuo genere, che, accanto al fac-simile coloniale del Lou-vre, ad una riduzione dell'Opera di Parigi ed alle succur-sali dei caffè dei «boulevards», v'offre la fumeriad'oppio di Cin-Yat-Sen, la casa di tè della «conghai» Ti-bhà, il teatro annamita colle danze di Nam-ki, i suburbidi Scianghai e le suburre di Nagasaki.

La melanconica esibizione dei piaceri d'Occidentes'unisce alla indulgente tolleranza delle delizie d'Orien-te. Pare che le genti abbiano voluto creare nell'artificialescenario dei palazzoni europei e dei giardini tropicali,un artificiale Paradiso terrestre con tutte le illusioni diMontmartre e di Pekino.

Accanto ad un negozio ultra moderno che espone,sotto la dicitura parigina «chez Marcelle», una vaporosa«robe de soir», un mercante «malabar» allinea tutti gliidoli dell'India, un rivendugliolo cinese affastella para-venti di carta e trabiccoli di lacca dipinta, un povero an-namita mette in vendita terrecotte azzurre e pipe di bam-bù.

I «coloniali» sono furibondi contro Claude Farrèreche ha dipinto con straordinario verismo la torbida at-mosfera di Saigon; ma i «coloniali» che si estasiano difronte alla brutta facciata dell'Hôtel de Ville, non si ac-corgono che Saigon, colla sua quiete provinciale e coisuoi belletti d'Estremo Oriente, dà appunto al viaggiato-re l'impressione d'una donna viziosa e malata, la quale

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Page 214: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

nasconda sotto la cipria ed il carminio gli scempi d'unainvincibile clorosi.

Il fascino di Saigon sta appunto in questo suo essere enon essere: tutto ciò che è francese è nostalgia, tutto ciòche è Estremo Oriente è malattia. Un angolo parla vio-lentemente della Francia, un altro è Asia profonda. Lavita stessa dei coloni non è nè europea nè orientale. Frabianchi ed indigeni non v'è la rigida separazione dellecolonie britanniche, non v'è neppure la fusione dellerazze. È una mescolanza senza simpatie e senza rinun-zie, fatta più che altro di abbandoni. L'indigeno facolto-so è quasi parificato al francese, il povero boy è menod'un animale domestico. Il primo ostenta uno «chauf-feur» ed una «mantenuta» di Francia, il secondo non siperita di alzare gli occhi sulla sua padrona. I «menages»misti sono altrettanto numerosi dei regolari. Ogni colo-no celibe convive con una «conghai» annamita. I metic-ci non sono europei e non sono asiatici. Le due civiltà seli palleggiano un po', poi l'asiatica, più forte, se li rias-sorbe nel suo vortice millenario.

Mentre nelle colonie britanniche l'Occidente lottabrutalmente contro le resistenze millenarie dell'Asiacontemplativa e beata, a Saigon pare che le due forze sineutralizzino in un punto morto. E l'impressione chepredomina è quella dell'acqua stagnante.

Le strade piene di sole sono cariche di sonnolenza.Dormono le case e gli alberi. La vita cittadina è schiac-ciata sotto il peso dell'implacabile canicola indo-cinese.Nel cielo d'un azzurro immacolato il sole fiammeggia

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nasconda sotto la cipria ed il carminio gli scempi d'unainvincibile clorosi.

Il fascino di Saigon sta appunto in questo suo essere enon essere: tutto ciò che è francese è nostalgia, tutto ciòche è Estremo Oriente è malattia. Un angolo parla vio-lentemente della Francia, un altro è Asia profonda. Lavita stessa dei coloni non è nè europea nè orientale. Frabianchi ed indigeni non v'è la rigida separazione dellecolonie britanniche, non v'è neppure la fusione dellerazze. È una mescolanza senza simpatie e senza rinun-zie, fatta più che altro di abbandoni. L'indigeno facolto-so è quasi parificato al francese, il povero boy è menod'un animale domestico. Il primo ostenta uno «chauf-feur» ed una «mantenuta» di Francia, il secondo non siperita di alzare gli occhi sulla sua padrona. I «menages»misti sono altrettanto numerosi dei regolari. Ogni colo-no celibe convive con una «conghai» annamita. I metic-ci non sono europei e non sono asiatici. Le due civiltà seli palleggiano un po', poi l'asiatica, più forte, se li rias-sorbe nel suo vortice millenario.

Mentre nelle colonie britanniche l'Occidente lottabrutalmente contro le resistenze millenarie dell'Asiacontemplativa e beata, a Saigon pare che le due forze sineutralizzino in un punto morto. E l'impressione chepredomina è quella dell'acqua stagnante.

Le strade piene di sole sono cariche di sonnolenza.Dormono le case e gli alberi. La vita cittadina è schiac-ciata sotto il peso dell'implacabile canicola indo-cinese.Nel cielo d'un azzurro immacolato il sole fiammeggia

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rabbiosamente. Dalla terra tropicale sale un profumo vo-luttuoso e malsano: odore di fiori, di acquitrini, di putre-dine millenaria, che viene dalla campagna circostante,dalle risaie, dalle acque morte del Mekong, dalle topaiedel Cholon, dalle vaghe profondità del vecchio An-nam...

L'Oriente adopera contro i conquistatori le sue droghemisteriose ed i suoi veleni sottili. Pare che gli indigenilo sappiano ed aspettino il lento lavorio dei secoli.

Conosco un angolo del porto di Saigon dove sedicianni fa s'allineavano i «sampan» e le giunche. Avevo al-lora l'abitudine, sul tramonto, di chiedere ospitalità adun piccolo caffè annamita.

Dopo sedici anni ho ritrovato il medesimo angoloquasi immutato: una linea di alberi verde-lucido verni-ciato di fresco, la stamberga annamita col tetto di por-cellana gialla, le giunche cinesi, una accanto all'altra,coi draghi terribili sulle prue dorate, i «sampan» indige-ni colle vele floscie e le tettoie di paglia; in distanza unmozzicone di pagoda su uno sfondo di cielo color zaffe-rano.

Pare che nulla si sia mosso durante questi sedici anni,che le giunche ed i «sampan» non abbiano mai abban-donato la sponda tranquilla del fiume, che solo ieri ioabbia vuotato l'ultima tazza di «scium-scium»!

Il tramonto incipria di terra di Siena e di polvere dizolfo l'azzurro delicato degli orizzonti di Cocincina. I«gong» delle pagode chiamano i piccoli uomini gialli

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rabbiosamente. Dalla terra tropicale sale un profumo vo-luttuoso e malsano: odore di fiori, di acquitrini, di putre-dine millenaria, che viene dalla campagna circostante,dalle risaie, dalle acque morte del Mekong, dalle topaiedel Cholon, dalle vaghe profondità del vecchio An-nam...

L'Oriente adopera contro i conquistatori le sue droghemisteriose ed i suoi veleni sottili. Pare che gli indigenilo sappiano ed aspettino il lento lavorio dei secoli.

Conosco un angolo del porto di Saigon dove sedicianni fa s'allineavano i «sampan» e le giunche. Avevo al-lora l'abitudine, sul tramonto, di chiedere ospitalità adun piccolo caffè annamita.

Dopo sedici anni ho ritrovato il medesimo angoloquasi immutato: una linea di alberi verde-lucido verni-ciato di fresco, la stamberga annamita col tetto di por-cellana gialla, le giunche cinesi, una accanto all'altra,coi draghi terribili sulle prue dorate, i «sampan» indige-ni colle vele floscie e le tettoie di paglia; in distanza unmozzicone di pagoda su uno sfondo di cielo color zaffe-rano.

Pare che nulla si sia mosso durante questi sedici anni,che le giunche ed i «sampan» non abbiano mai abban-donato la sponda tranquilla del fiume, che solo ieri ioabbia vuotato l'ultima tazza di «scium-scium»!

Il tramonto incipria di terra di Siena e di polvere dizolfo l'azzurro delicato degli orizzonti di Cocincina. I«gong» delle pagode chiamano i piccoli uomini gialli

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dinanzi ai Buddha sorridenti. Sulla soglia della stamber-ga una donna dell'Annam intreccia una stuoia di paglia.

Lenta lenta, s'avanza sull'acqua immobile, una fila digiunche.

Giunche di Cholon, cariche di riso e di bambù, chehanno viaggiato settimane e settimane sul corso del Me-kong in mezzo al verde lucente dei banani. E non hannofretta di giungere a riva. Sembrano enormi cicale esitan-ti.

Giunche dell'Annam, col drago d'oro sulla grandeprua ricurva e gli occhi di pavone dipinti a fior d'acqua.

Per festeggiare l'arrivo hanno pavesato il sartiame diorifiammi gialli, verdi, rossi, di palloncini di carta colo-rata, di bandiere e labari simbolici che per noi non han-no significato, ma che parlano alle genti dell'Annam unlinguaggio secolare di tradizioni e di leggende. Sullevele indescrivibili, rattoppate fino all'inverosimile, lista-te di bambù, sono scritte in caratteri «mandarini» frasimisteriose, germogliate nei millennii, che hanno la pro-prietà di rendere propizi i venti e le cateratte. Le giun-che avanzano placidamente, dolcemente, insetti obesiche non hanno fretta. Benché la riva sia tutta ingombradi imbarcazioni troveranno anch'esse il loro posticino,senza urla, senza urti, senza litigi.

Intanto sui «sampan» s'accendono i fuocherelli dellacena. Intere famiglie vivono per due o tre generazionisul guscio decrepito e rabberciato che è la loro casa ed illoro patrimonio. Per le genti del fiume Saigon ed ilmondo non esistono. Il «sampan» è tutto. Uomini, don-

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dinanzi ai Buddha sorridenti. Sulla soglia della stamber-ga una donna dell'Annam intreccia una stuoia di paglia.

Lenta lenta, s'avanza sull'acqua immobile, una fila digiunche.

Giunche di Cholon, cariche di riso e di bambù, chehanno viaggiato settimane e settimane sul corso del Me-kong in mezzo al verde lucente dei banani. E non hannofretta di giungere a riva. Sembrano enormi cicale esitan-ti.

Giunche dell'Annam, col drago d'oro sulla grandeprua ricurva e gli occhi di pavone dipinti a fior d'acqua.

Per festeggiare l'arrivo hanno pavesato il sartiame diorifiammi gialli, verdi, rossi, di palloncini di carta colo-rata, di bandiere e labari simbolici che per noi non han-no significato, ma che parlano alle genti dell'Annam unlinguaggio secolare di tradizioni e di leggende. Sullevele indescrivibili, rattoppate fino all'inverosimile, lista-te di bambù, sono scritte in caratteri «mandarini» frasimisteriose, germogliate nei millennii, che hanno la pro-prietà di rendere propizi i venti e le cateratte. Le giun-che avanzano placidamente, dolcemente, insetti obesiche non hanno fretta. Benché la riva sia tutta ingombradi imbarcazioni troveranno anch'esse il loro posticino,senza urla, senza urti, senza litigi.

Intanto sui «sampan» s'accendono i fuocherelli dellacena. Intere famiglie vivono per due o tre generazionisul guscio decrepito e rabberciato che è la loro casa ed illoro patrimonio. Per le genti del fiume Saigon ed ilmondo non esistono. Il «sampan» è tutto. Uomini, don-

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Page 217: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

ne e ragazzi, si raccolgono intorno ai vassoi fumanti delriso. Sono gli stessi quadretti, i medesimi gesti e coloridi sedici anni fa.

La Saigon burocratica costruisce nuovi palazzi e nuo-ve ferrovie. A Cholon gli intraprendenti cinesi decupli-cano i loro figli e le loro fortune preparando l'avvenire.Il piccolo Annamita del Mekong si disinteressa di tuttociò che lo circonda, resta fedele alla sua barca centena-ria, agli usi ed agli alimenti degli Antenati. L'oppio glipermette di dominare le vicende dall'alto d'una filosofiaparadossale. I suoi bisogni ed i suoi desiderii si limitano

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BANGEREMASSIM (Borneo) – Palazzo del Governo.

ne e ragazzi, si raccolgono intorno ai vassoi fumanti delriso. Sono gli stessi quadretti, i medesimi gesti e coloridi sedici anni fa.

La Saigon burocratica costruisce nuovi palazzi e nuo-ve ferrovie. A Cholon gli intraprendenti cinesi decupli-cano i loro figli e le loro fortune preparando l'avvenire.Il piccolo Annamita del Mekong si disinteressa di tuttociò che lo circonda, resta fedele alla sua barca centena-ria, agli usi ed agli alimenti degli Antenati. L'oppio glipermette di dominare le vicende dall'alto d'una filosofiaparadossale. I suoi bisogni ed i suoi desiderii si limitano

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BANGEREMASSIM (Borneo) – Palazzo del Governo.

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ad un pugno di riso e ad una pezzuola di seta. A tutto ilresto pensa l'oppio che quotidianamente distribuisce aisuoi sudditi, con inesauribile magnificenza, tutte le ric-chezze del creato e lutti i capricci della fantasia.

Fra il tormento dei padri indiani che continuamentesondano l'infinito, e la febbrile attività dei padri cinesiche perennemente inseguono il barbaglio dell'oro, lapiccola anima indo-cinese ha trovato un atomo di felici-tà nella rinunzia alle angoscie degli uni ed alle aviditàdegli altri.

Vi parlerò un'altra volta dell'Indocina francese, delprogramma Sarraut, dell'operosità cinese, degli appetitinipponici, degli intrighi russi, del partito giovane-anna-mita, dei comignoli che fumano a Cholon, dei ConsigliMunicipali misti che educano gli indigeni al suffragiouniversale, degli «immortali principii» dell'89 applicatialle leggi dell'Annam....

Lasciate che stasera io riviva dinanzi alle giunched'oro ed ai «sampan» centenarii il mio primo amore conl'Estremo Oriente.

Qui ho imparato tante cose, anche a voler bene aifrancesi, i quali sono abbastanza simpatici e molto latiniquando si convincono che Parigi non è il principio e lafine del mondo. Nella «brousse» dell'alto Camboge hovisto i soldati della Marne e di Verdun morire alla gari-baldina per la patria lontana, come morivano quelli diVittorio Veneto in Abissinia e in Libia. Avevano il me-desimo coraggio e la stessa gentilezza. Ed ho sentito

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ad un pugno di riso e ad una pezzuola di seta. A tutto ilresto pensa l'oppio che quotidianamente distribuisce aisuoi sudditi, con inesauribile magnificenza, tutte le ric-chezze del creato e lutti i capricci della fantasia.

Fra il tormento dei padri indiani che continuamentesondano l'infinito, e la febbrile attività dei padri cinesiche perennemente inseguono il barbaglio dell'oro, lapiccola anima indo-cinese ha trovato un atomo di felici-tà nella rinunzia alle angoscie degli uni ed alle aviditàdegli altri.

Vi parlerò un'altra volta dell'Indocina francese, delprogramma Sarraut, dell'operosità cinese, degli appetitinipponici, degli intrighi russi, del partito giovane-anna-mita, dei comignoli che fumano a Cholon, dei ConsigliMunicipali misti che educano gli indigeni al suffragiouniversale, degli «immortali principii» dell'89 applicatialle leggi dell'Annam....

Lasciate che stasera io riviva dinanzi alle giunched'oro ed ai «sampan» centenarii il mio primo amore conl'Estremo Oriente.

Qui ho imparato tante cose, anche a voler bene aifrancesi, i quali sono abbastanza simpatici e molto latiniquando si convincono che Parigi non è il principio e lafine del mondo. Nella «brousse» dell'alto Camboge hovisto i soldati della Marne e di Verdun morire alla gari-baldina per la patria lontana, come morivano quelli diVittorio Veneto in Abissinia e in Libia. Avevano il me-desimo coraggio e la stessa gentilezza. Ed ho sentito

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come la fratellanza latina non sia una semplice finzionerettorica, ma una bella realtà che gli uomini si sforzanodi sepellire nel «bled» tunisino e nei vicoletti di Tangeri!

La sera mi sorprende sotto gli alberi verde-lucido inmezzo ai ricordi.

Come allora, anche ora i «sampan» accendono a pruail fanale rosso imposto dal regolamento. I «barbari»hanno voluto che fosse rosso e gli annamiti li hanno ac-contentati, benché da mille e mille anni tutte le luci deifiumi, dei laghi e degli stagni siano sempre state gialle

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BORNEO – Donne indigene nella jungla.

come la fratellanza latina non sia una semplice finzionerettorica, ma una bella realtà che gli uomini si sforzanodi sepellire nel «bled» tunisino e nei vicoletti di Tangeri!

La sera mi sorprende sotto gli alberi verde-lucido inmezzo ai ricordi.

Come allora, anche ora i «sampan» accendono a pruail fanale rosso imposto dal regolamento. I «barbari»hanno voluto che fosse rosso e gli annamiti li hanno ac-contentati, benché da mille e mille anni tutte le luci deifiumi, dei laghi e degli stagni siano sempre state gialle

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BORNEO – Donne indigene nella jungla.

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secondo le prescrizioni del Saggio dei Saggi, l'imperato-re Hoang-ti.

I lampioni di carta dondolanti in cima ad un'asta illu-minano gli innocenti segreti delle alcove asiatiche chenon hanno soggezione della luce.

Sulle stuoie patriarcali l'amore degli uomini di perga-mena con le donne di porcellana non ha altri testimoniche le stelle ed i miei occhi indiscreti d'occidentale. Ilgiallo non s'occupa mai delle gioie e dei dolori del suovicino.

L'oppio – balsamo insostituibile di tutte le miserieasiatiche – empie le giunche rabberciate ed i «sampan»decrepiti di fantasmi imperiali e di divinità compiacenti.Il Mekong trattiene i brividi dell'acqua per non disturba-re i sognatori.

Sulla terza giunca un vecchio d'avorio lucido, fumacon solennità sacerdotale. La luce del lampione rosso loinveste in pieno e lo inquadra nella penombra, emblemavivente della sua razza raffinatissima, frolla e bastarda,nella quale agonizzano simultaneamente l'India e laCina.

In lui e nei suoi fratelli di Cocincina si estingue, perpovertà di sangue, il grande tentativo fatto dall'umanitànell'oscuro travaglio dei secoli di fondere l'Asia indianae l'Asia gialla, gettando un ponte su uno dei massimiabissi dell'avvenire.

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secondo le prescrizioni del Saggio dei Saggi, l'imperato-re Hoang-ti.

I lampioni di carta dondolanti in cima ad un'asta illu-minano gli innocenti segreti delle alcove asiatiche chenon hanno soggezione della luce.

Sulle stuoie patriarcali l'amore degli uomini di perga-mena con le donne di porcellana non ha altri testimoniche le stelle ed i miei occhi indiscreti d'occidentale. Ilgiallo non s'occupa mai delle gioie e dei dolori del suovicino.

L'oppio – balsamo insostituibile di tutte le miserieasiatiche – empie le giunche rabberciate ed i «sampan»decrepiti di fantasmi imperiali e di divinità compiacenti.Il Mekong trattiene i brividi dell'acqua per non disturba-re i sognatori.

Sulla terza giunca un vecchio d'avorio lucido, fumacon solennità sacerdotale. La luce del lampione rosso loinveste in pieno e lo inquadra nella penombra, emblemavivente della sua razza raffinatissima, frolla e bastarda,nella quale agonizzano simultaneamente l'India e laCina.

In lui e nei suoi fratelli di Cocincina si estingue, perpovertà di sangue, il grande tentativo fatto dall'umanitànell'oscuro travaglio dei secoli di fondere l'Asia indianae l'Asia gialla, gettando un ponte su uno dei massimiabissi dell'avvenire.

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Il "Pericolo giallo"

SAIGON, 4 maggio.

Due strade allacciano Saigon a Cholon. Mezz'ora dicarrozza e tre quarti d'ora di «pus-pus» sono sufficientiper essere trasportati in piena Cina. Il nostro veicolo ti-rato dall'uomo-cavallo ha scelto la Via Bassa che correparallela al «canale cinese».

Rasentiamo l'acqua. Centinaia d'imbarcazioni scivola-no nei due sensi sul canale giallastro, fiammeggiante disole. Sono giunche, «maone», zattere, gondole d'Estre-mo Oriente, «sampan» dell'Annam, barconi fantasticicolle prue a testa di drago, coi tetti a pagoda, cogli alta-rini degli antenati sui ponti di comando, le vele istoriate,le carene dipinte a soggetti mitologici, lampioni di cartae di seta dondolanti un po' dappertutto, bandiere ed ori-flammi multicolori in cima agli alberi ed i pennoni, la-bari giallo-oro di Compagnie e di «Congregazioni» issa-ti a bompresso, come pavesi di battaglia, strani taberna-coli incassati nelle murate di babordo con piccoli Budd-ha dagli occhi di cristallo, casseri argentati, parasoli,

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Il "Pericolo giallo"

SAIGON, 4 maggio.

Due strade allacciano Saigon a Cholon. Mezz'ora dicarrozza e tre quarti d'ora di «pus-pus» sono sufficientiper essere trasportati in piena Cina. Il nostro veicolo ti-rato dall'uomo-cavallo ha scelto la Via Bassa che correparallela al «canale cinese».

Rasentiamo l'acqua. Centinaia d'imbarcazioni scivola-no nei due sensi sul canale giallastro, fiammeggiante disole. Sono giunche, «maone», zattere, gondole d'Estre-mo Oriente, «sampan» dell'Annam, barconi fantasticicolle prue a testa di drago, coi tetti a pagoda, cogli alta-rini degli antenati sui ponti di comando, le vele istoriate,le carene dipinte a soggetti mitologici, lampioni di cartae di seta dondolanti un po' dappertutto, bandiere ed ori-flammi multicolori in cima agli alberi ed i pennoni, la-bari giallo-oro di Compagnie e di «Congregazioni» issa-ti a bompresso, come pavesi di battaglia, strani taberna-coli incassati nelle murate di babordo con piccoli Budd-ha dagli occhi di cristallo, casseri argentati, parasoli,

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baldacchini, tende, stracci, flabelli, una frenesìa di fregi,di maschere, di pupazzi e di colori.

Sembra d'assistere ad una fantasia mezzo giapponese,mezzo veneziana, per la ricostruzione cinematograficad'una ambasceria di Marco Polo agli imperatori del SolLevante! È invece una giornata di lavoro, una delle soli-te giornate di navigazione del canale di Cho-lon che sisusseguono sempre eguali da cento e cento anni.

Certe giunche arrivano dalle profondità dell'Armarli,fino dall'alto Camboge. Hanno viaggiato settimane esettimane nei canali millenarii, in mezzo alla verde im-mensità delle campagne di Cocincina punteggiate di pa-gode...

Certi convogli di «sampan» carichi di bambù sonopartiti dalle foreste acquitrinose del Laos, hanno seguitoper più di mille chilometri i gironzolamenti del Mekong,attraverso le savane del Peu-hong abitate da gente quasiselvaggia, hanno navigato senza fretta secondo il capric-cio del vento ed i ghiribizzi dei canali, facendo il cabo-taggio di fattoria in fattoria, incettando il miele di papa-vero, fermandosi ogni sera in piena campagna per la so-sta notturna fino all'alba. Si sono aiutati un po' col ventoun po' con le correnti, qualche volta sono andati avantipuntando i remi contro i cespugli. Lumaconi di terra ed'acqua dolce, non temono la concorrenza dei vapori edella ferrovia, perchè i «cavalli di fuoco» dei «barbarid'Occidente» non possono seguire le loro rotte pazienti esecolari...

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baldacchini, tende, stracci, flabelli, una frenesìa di fregi,di maschere, di pupazzi e di colori.

Sembra d'assistere ad una fantasia mezzo giapponese,mezzo veneziana, per la ricostruzione cinematograficad'una ambasceria di Marco Polo agli imperatori del SolLevante! È invece una giornata di lavoro, una delle soli-te giornate di navigazione del canale di Cho-lon che sisusseguono sempre eguali da cento e cento anni.

Certe giunche arrivano dalle profondità dell'Armarli,fino dall'alto Camboge. Hanno viaggiato settimane esettimane nei canali millenarii, in mezzo alla verde im-mensità delle campagne di Cocincina punteggiate di pa-gode...

Certi convogli di «sampan» carichi di bambù sonopartiti dalle foreste acquitrinose del Laos, hanno seguitoper più di mille chilometri i gironzolamenti del Mekong,attraverso le savane del Peu-hong abitate da gente quasiselvaggia, hanno navigato senza fretta secondo il capric-cio del vento ed i ghiribizzi dei canali, facendo il cabo-taggio di fattoria in fattoria, incettando il miele di papa-vero, fermandosi ogni sera in piena campagna per la so-sta notturna fino all'alba. Si sono aiutati un po' col ventoun po' con le correnti, qualche volta sono andati avantipuntando i remi contro i cespugli. Lumaconi di terra ed'acqua dolce, non temono la concorrenza dei vapori edella ferrovia, perchè i «cavalli di fuoco» dei «barbarid'Occidente» non possono seguire le loro rotte pazienti esecolari...

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Altri barconi vengono dalla parte opposta, dal GrandeLago, lungo il To-lé tappezzato di fiori di loto, nelle cuiacque incantate si specchiano i ruderi imperiali delle an-tiche magnificenze «kmer». Provenienti da angoli diver-si si sono incontrati a Pnom-Pen dinanzi alle «grandi pa-gode», hanno fatto sosta un giorno ed una notte secondol'uso che si tramanda da tempo immemorabile per dartempo ai marinai di fumare il miele nero e di parlare conle donne, poi hanno ripreso il loro vagabondaggio peicanali verso Cholon.

E vi sono anche grosse giunche che vengono di piùlontano ancora, da Canton, da Scianghai, da Fu-ceu,perfino da Giava e da Formosa, che hanno sfidato, colloro fragile legname dorato, le collere dei mari di Cinaprotette dal pavone sacro che erge il suo ciuffo in cimaalle prue e spiega le ali magnifiche lungo le cocche mul-ticolori.

Ogni tanto un rimorchio a vapore turba coi suoi rigur-giti di tubercoloso ed i suoi vomiti brutali di pece nera,la navigazione millenaria dei draghi d'oro e delle farfallegialle. Può sbuffare e rombare quanto vuole l'impazienterimorchio! I draghi non hanno fretta e non si scostanod'un centimetro per lasciarlo passare.

Zattere e barche cariche di mercanzie fino all'incon-cepibile. Le casse sporgono fuori dei bordi e s'innalzanoa piramide con un miracolo permanente di equilibrio. Isacchi vengono su dalle sentine accatastati a parallelepi-pedo come le fiancate d'una fortezza, poi incomincia ilregno senza limite dei bambù leggerissimi che sono am-

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Altri barconi vengono dalla parte opposta, dal GrandeLago, lungo il To-lé tappezzato di fiori di loto, nelle cuiacque incantate si specchiano i ruderi imperiali delle an-tiche magnificenze «kmer». Provenienti da angoli diver-si si sono incontrati a Pnom-Pen dinanzi alle «grandi pa-gode», hanno fatto sosta un giorno ed una notte secondol'uso che si tramanda da tempo immemorabile per dartempo ai marinai di fumare il miele nero e di parlare conle donne, poi hanno ripreso il loro vagabondaggio peicanali verso Cholon.

E vi sono anche grosse giunche che vengono di piùlontano ancora, da Canton, da Scianghai, da Fu-ceu,perfino da Giava e da Formosa, che hanno sfidato, colloro fragile legname dorato, le collere dei mari di Cinaprotette dal pavone sacro che erge il suo ciuffo in cimaalle prue e spiega le ali magnifiche lungo le cocche mul-ticolori.

Ogni tanto un rimorchio a vapore turba coi suoi rigur-giti di tubercoloso ed i suoi vomiti brutali di pece nera,la navigazione millenaria dei draghi d'oro e delle farfallegialle. Può sbuffare e rombare quanto vuole l'impazienterimorchio! I draghi non hanno fretta e non si scostanod'un centimetro per lasciarlo passare.

Zattere e barche cariche di mercanzie fino all'incon-cepibile. Le casse sporgono fuori dei bordi e s'innalzanoa piramide con un miracolo permanente di equilibrio. Isacchi vengono su dalle sentine accatastati a parallelepi-pedo come le fiancate d'una fortezza, poi incomincia ilregno senza limite dei bambù leggerissimi che sono am-

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monticchiati a covoni uno sull'altro a formare torri e ca-stelli.

In cima alle mercanzie sono istallati i piccoli equipag-gi coi parasoli, le pipe ed i ventagli, fantastici quadrettid'Estremo Oriente che paiono staccati da una vecchialacca o da una antica porcellana.

La strada lungo il canale è gialla di polvere, picchiet-tata di sangue dalle innumerevoli espettorazioni dei ma-sticatori betel fiancheggiata di palme pompose e di bam-bù giganti che riflettono la loro ombra sulle giunche ed i«sampan» in cammino.

Dal canale maggiore si staccano con frequenza altricorsi d'acqua che zig-zagano coi loro nastri d'oro attra-verso i campi verde-lucido degli arachidi e delle banane.Più indietro fiammeggiano a perdita d'occhio i cristallisterminati delle risaie. Qua e là una casetta sparge inmezzo agli alberi un tetto di porcellana rossa a corna didaino od una veranda di porcellana gialla a testa di lu-maca.

Un brutto tram a vapore, quattro vetture cariche dimarionette dietro una motrice preistorica, ricorda a chilo dimenticasse, che non siamo nel cuore della Cina maa pochi minuti dalla capitale d'un impero coloniale euro-peo.

Quando l'uomo cavallo è all'altezza del tram accelerala corsa per sorpassare il traballante scatolone di ferrodipinto. E se i «pus-pus» sono diversi si aizzano l'unl'altro urlando «iòh! iòh!». Il casotto del dazio è la staf-fetta di Cholon.

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monticchiati a covoni uno sull'altro a formare torri e ca-stelli.

In cima alle mercanzie sono istallati i piccoli equipag-gi coi parasoli, le pipe ed i ventagli, fantastici quadrettid'Estremo Oriente che paiono staccati da una vecchialacca o da una antica porcellana.

La strada lungo il canale è gialla di polvere, picchiet-tata di sangue dalle innumerevoli espettorazioni dei ma-sticatori betel fiancheggiata di palme pompose e di bam-bù giganti che riflettono la loro ombra sulle giunche ed i«sampan» in cammino.

Dal canale maggiore si staccano con frequenza altricorsi d'acqua che zig-zagano coi loro nastri d'oro attra-verso i campi verde-lucido degli arachidi e delle banane.Più indietro fiammeggiano a perdita d'occhio i cristallisterminati delle risaie. Qua e là una casetta sparge inmezzo agli alberi un tetto di porcellana rossa a corna didaino od una veranda di porcellana gialla a testa di lu-maca.

Un brutto tram a vapore, quattro vetture cariche dimarionette dietro una motrice preistorica, ricorda a chilo dimenticasse, che non siamo nel cuore della Cina maa pochi minuti dalla capitale d'un impero coloniale euro-peo.

Quando l'uomo cavallo è all'altezza del tram accelerala corsa per sorpassare il traballante scatolone di ferrodipinto. E se i «pus-pus» sono diversi si aizzano l'unl'altro urlando «iòh! iòh!». Il casotto del dazio è la staf-fetta di Cholon.

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Page 225: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Saigon è la residenza della burocrazia coloniale fran-cese, Cholon, il centro della vita economica della Cocin-cina.

A Saigon vi sono grandi strade, bei caffè, cinemato-grafi, teatri d'opera e di varietà, alberghi, case di tè e dialtre esibizioni esotiche. Francesi ed annamiti si suddi-vidono il pacifico possesso della capitale. A Cholon visono grandi Banche, giganteschi emporii, depositi, ma-gazzini generali, fabbriche, opifici, mercati, cantieri, di-stillerie, e tutto è cinese dal capitale alla mano d'opera,dai direttori ai facchini.

Duecentomila «celesti» sono a Cholon. Tutto il com-mercio interno e tre quarti del commercio esterodell'Indocina sono nelle loro mani. Mentre gli annamitipassano la vita a sorridere ed a fumare l'oppio, mentre icoloni francesi hanno gli occhi rivolti verso il mareaspettando col desiderio il piroscafo che li ricondurrà inpatria a fortuna fatta od a carriera finita, i cinesi pensanoa consolidare sempre più il loro predominio. Sono i ci-nesi che prestano denaro agli agricoltori annamiti ecomprano i loro raccolti; sono i cinesi che incettano ilriso, lo mondano, lo brillano, lo vendono sul mercato in-terno e lo esportano in Europa. Ogni settimana diecimilagiunche, tutte di proprietà cinese, scaricano sulle ban-chine di Choton le ricchezze della Cocincina edell'Annam.

Per ora i francesi non sono stati capaci ne di sostituir-si ai cinesi nè di svegliare gli annamiti. In realtà i veripadroni della Cocincina sono i cinesi, che già monopo-

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Saigon è la residenza della burocrazia coloniale fran-cese, Cholon, il centro della vita economica della Cocin-cina.

A Saigon vi sono grandi strade, bei caffè, cinemato-grafi, teatri d'opera e di varietà, alberghi, case di tè e dialtre esibizioni esotiche. Francesi ed annamiti si suddi-vidono il pacifico possesso della capitale. A Cholon visono grandi Banche, giganteschi emporii, depositi, ma-gazzini generali, fabbriche, opifici, mercati, cantieri, di-stillerie, e tutto è cinese dal capitale alla mano d'opera,dai direttori ai facchini.

Duecentomila «celesti» sono a Cholon. Tutto il com-mercio interno e tre quarti del commercio esterodell'Indocina sono nelle loro mani. Mentre gli annamitipassano la vita a sorridere ed a fumare l'oppio, mentre icoloni francesi hanno gli occhi rivolti verso il mareaspettando col desiderio il piroscafo che li ricondurrà inpatria a fortuna fatta od a carriera finita, i cinesi pensanoa consolidare sempre più il loro predominio. Sono i ci-nesi che prestano denaro agli agricoltori annamiti ecomprano i loro raccolti; sono i cinesi che incettano ilriso, lo mondano, lo brillano, lo vendono sul mercato in-terno e lo esportano in Europa. Ogni settimana diecimilagiunche, tutte di proprietà cinese, scaricano sulle ban-chine di Choton le ricchezze della Cocincina edell'Annam.

Per ora i francesi non sono stati capaci ne di sostituir-si ai cinesi nè di svegliare gli annamiti. In realtà i veripadroni della Cocincina sono i cinesi, che già monopo-

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lizzano la vita economica e finanziaria del paese e cre-scono continuamente di numero, ipotecando anchel'avvenire politico.

Un francese mi ha riassunto la situazione con una fra-se espressiva: «L'Indochine est une colonie chinoiseavec une administration française!». È perfettamenteesatto.

Del resto i cinesi considerano la Cocincina, il Tonki-no, il Camboge e l'Annam alla stessa stregua del Laos, edello Yu-nam, come appendici naturali della RepubblicaCeleste. La loro infiltrazione è antichissima. Al tempodella conquista i francesi trovarono nella bassa Cocinci-na porti, moli, canali, strade, tutto già costruito dai cine-si. La via commerciale che allaccia il Camboge a Saigonpassando per Mintho, fu costruita dai mercanti di Cho-lon nel 1800. I cinesi come non si interessavano duranteil regno dei monarchi annamiti, del regime politico delpaese, occupandosi esclusivamente dei loro traffici, cosìdopo l'occupazione francese hanno continuato a venderee comperare senza immischiarsi nei rapporti fra conqui-statori ed indigeni. Hanno semplicemente approfittatodella maggiore tranquillità per intensificare i loro com-merci.

Dalla bassa Cocincina sono risaliti per via d'acqua nelTonkino, dove sono già più di 50.000, con una coloniadi diecimila anime nella sola Haifong. Secondo le stati-stiche del governo coloniale i cinesi sarebbero 300.000in Cocincina e 100.000 i «mihn-huong» o cinesi metic-ci, ma i funzionari stessi riconoscono che si tratta di ci-

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lizzano la vita economica e finanziaria del paese e cre-scono continuamente di numero, ipotecando anchel'avvenire politico.

Un francese mi ha riassunto la situazione con una fra-se espressiva: «L'Indochine est une colonie chinoiseavec une administration française!». È perfettamenteesatto.

Del resto i cinesi considerano la Cocincina, il Tonki-no, il Camboge e l'Annam alla stessa stregua del Laos, edello Yu-nam, come appendici naturali della RepubblicaCeleste. La loro infiltrazione è antichissima. Al tempodella conquista i francesi trovarono nella bassa Cocinci-na porti, moli, canali, strade, tutto già costruito dai cine-si. La via commerciale che allaccia il Camboge a Saigonpassando per Mintho, fu costruita dai mercanti di Cho-lon nel 1800. I cinesi come non si interessavano duranteil regno dei monarchi annamiti, del regime politico delpaese, occupandosi esclusivamente dei loro traffici, cosìdopo l'occupazione francese hanno continuato a venderee comperare senza immischiarsi nei rapporti fra conqui-statori ed indigeni. Hanno semplicemente approfittatodella maggiore tranquillità per intensificare i loro com-merci.

Dalla bassa Cocincina sono risaliti per via d'acqua nelTonkino, dove sono già più di 50.000, con una coloniadi diecimila anime nella sola Haifong. Secondo le stati-stiche del governo coloniale i cinesi sarebbero 300.000in Cocincina e 100.000 i «mihn-huong» o cinesi metic-ci, ma i funzionari stessi riconoscono che si tratta di ci-

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fre molto inferiori alla realtà, perchè i cinesi si sottrag-gono con mille raggiri al censimento per eludere il fiscoe le leggi proibitive d'immigrazione.

Per avere una idea della loro importanza economica,basti dire che la base dell'alimentazione indigena è ilriso. L'annamita non coltiva che riso e non mangia cheriso. Ebbene, i nove decimi del commercio del riso sonoin mano dei cinesi. Tutti gli altri prodotti della colonia:il grano, la coprha, la colla di pesce, il legno di tek, sonoper otto decimi sotto il controllo cinese. Le industrie lo-cali sono per quattro quinti cinesi. Il credito agricolo èesercitato quasi esclusivamente da Banche cinesi controle quali gli Istituti francesi non possono lottare, perchèle Banche cinesi hanno in ogni villaggio il loro bravorappresentante che lavora senza bisogno di grandi nè dipiccoli uffici. Gli bastano un buchetto, una placca di le-gno dorato col nome della Banca ed un modesto «sam-pan» col quale, all'epoca delle semine e dei raccolti, bat-te le campagne sgusciando entro i più piccoli canali edarrivando dappertutto.

I contratti sono preparati a Cholon da causidici cinesi,i quali sono maestri nell'abbindolare il coltivatore anna-mita a filo di rasoio del Codice francese. Alla fine i tri-bunali francesi sono obbligati, per applicare la legge, aspodestare i poveri annamiti a benefizio dei cinesi chepian piano diventano padroni della terra.

Oltre alle loro doti caratteristiche d'operosità, tenacia,parsimonia, finezza, spirito d'iniziativa, i cinesi sono fa-voriti, in questa lenta conquista della Cocincina dalla

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fre molto inferiori alla realtà, perchè i cinesi si sottrag-gono con mille raggiri al censimento per eludere il fiscoe le leggi proibitive d'immigrazione.

Per avere una idea della loro importanza economica,basti dire che la base dell'alimentazione indigena è ilriso. L'annamita non coltiva che riso e non mangia cheriso. Ebbene, i nove decimi del commercio del riso sonoin mano dei cinesi. Tutti gli altri prodotti della colonia:il grano, la coprha, la colla di pesce, il legno di tek, sonoper otto decimi sotto il controllo cinese. Le industrie lo-cali sono per quattro quinti cinesi. Il credito agricolo èesercitato quasi esclusivamente da Banche cinesi controle quali gli Istituti francesi non possono lottare, perchèle Banche cinesi hanno in ogni villaggio il loro bravorappresentante che lavora senza bisogno di grandi nè dipiccoli uffici. Gli bastano un buchetto, una placca di le-gno dorato col nome della Banca ed un modesto «sam-pan» col quale, all'epoca delle semine e dei raccolti, bat-te le campagne sgusciando entro i più piccoli canali edarrivando dappertutto.

I contratti sono preparati a Cholon da causidici cinesi,i quali sono maestri nell'abbindolare il coltivatore anna-mita a filo di rasoio del Codice francese. Alla fine i tri-bunali francesi sono obbligati, per applicare la legge, aspodestare i poveri annamiti a benefizio dei cinesi chepian piano diventano padroni della terra.

Oltre alle loro doti caratteristiche d'operosità, tenacia,parsimonia, finezza, spirito d'iniziativa, i cinesi sono fa-voriti, in questa lenta conquista della Cocincina dalla

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formidabile organizzazione delle loro «congregazioni»che fanno capo alle «congregazioni maggiori» della ma-dre patria, specialmente di Canton, di Fu-kien, di Trie-han, di Hué, di Has-kas.

Tutti i tentativi fatti, per esempio, dal governo colo-niale francese per estendere ai cinesi l'obbligo del servi-zio militare come per gli annamiti, sono sistematica-mente falliti di fronte alla resistenza passiva dell'interamassa cinese, la quale obbedisce militarmente agli ordi-ni dei Capi delle «congregazioni». Il governo della colo-nia ha finito col venire a patti con le onnipotenti «con-gregazioni». Esse garantiscono l'ordine pubblico neicentri abitati dai cinesi e pagano anticipatamente tutte letasse della collettività.

Ogni congregazione ha la sua gerarchia elettiva. Ladisobbedienza ai Capi è punita implacabilmente secon-do leggi millenarie e la Polizia francese è impotente adimpedire il corso inesorabile della giustizia interna cine-se. I «celesti» liquidano le loro faccende senza fare maiappello alla polizia francese, la quale si limita a mante-nere, pro forma, qualche agente nei crocicchi più impor-tanti di Cholon.

Il cosidetto «pericolo giallo» che già colpisce il viag-giatore a Giava, a Singapore, negli «Straits Settlements»e nelle colonie europee dell'arcipelago, si presenta sottoforma ancor più minacciosa nei possedimenti francesid'Estremo Oriente. I cinesi aumentano continuamente dinumero in colonia, grazie ad una prolificità che non haconfronti neppure in quella siciliana o giapponese, ed a

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formidabile organizzazione delle loro «congregazioni»che fanno capo alle «congregazioni maggiori» della ma-dre patria, specialmente di Canton, di Fu-kien, di Trie-han, di Hué, di Has-kas.

Tutti i tentativi fatti, per esempio, dal governo colo-niale francese per estendere ai cinesi l'obbligo del servi-zio militare come per gli annamiti, sono sistematica-mente falliti di fronte alla resistenza passiva dell'interamassa cinese, la quale obbedisce militarmente agli ordi-ni dei Capi delle «congregazioni». Il governo della colo-nia ha finito col venire a patti con le onnipotenti «con-gregazioni». Esse garantiscono l'ordine pubblico neicentri abitati dai cinesi e pagano anticipatamente tutte letasse della collettività.

Ogni congregazione ha la sua gerarchia elettiva. Ladisobbedienza ai Capi è punita implacabilmente secon-do leggi millenarie e la Polizia francese è impotente adimpedire il corso inesorabile della giustizia interna cine-se. I «celesti» liquidano le loro faccende senza fare maiappello alla polizia francese, la quale si limita a mante-nere, pro forma, qualche agente nei crocicchi più impor-tanti di Cholon.

Il cosidetto «pericolo giallo» che già colpisce il viag-giatore a Giava, a Singapore, negli «Straits Settlements»e nelle colonie europee dell'arcipelago, si presenta sottoforma ancor più minacciosa nei possedimenti francesid'Estremo Oriente. I cinesi aumentano continuamente dinumero in colonia, grazie ad una prolificità che non haconfronti neppure in quella siciliana o giapponese, ed a

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continue infiltrazioni che eludono qualsiasi divieto. Inteoria l'immigrazione è proibita, in pratica com'è possi-bile sorvegliare le incerte e sterminate frontiere delSiam, dell'alto Laos, dello Yu-nam, del Tonkino, i millee mille canali, le foreste acquitrinose senza vie regolaridi comunicazione, le innumerevoli diramazioni del Fiu-me Rosso, del Fiume Giallo, del Fiume Nero, i viottolitrimillenari delle montagne, non indicati in nessuna car-ta topografica, ma battuti da una immigrazione che ha lesue radici nei secoli?

I cinesi vivono appartati, formando una massa com-patta ed omogenea che si mantiene fedele agli usi edallo spirito della madre patria, che non si lascia assorbi-re nè dai conquistatori occidentali nè dagli indigeni, cheanzi assorbe con facilità questi ultimi nella grande fami-glia meticcia dei «mihn-huong», la quale è fatalmentedestinata a diventare cinese dopo due o tre generazioni.Per ora le cose corrono liscie perchè la Cina è in letargo,ma il giorno in cui l'immensa Repubblica seguissel'esempio del Giappone – al quale sono bastati cin-quant'annii per diventare uno Stato moderno – le coloniecinesi dell'Indocina costituirebbero senza dubbio unabrutta ipoteca pel dominio coloniale francese d'EstremoOriente.

E non si tratta d'una organizzazione artificiale a finepolitico, ma di qualche cosa di peggio: d'una organizza-zione, cioè, tradizionale e spontanea che fa parte dellamedesima mentalità cinese, che esercita la sua influenzasullo spirito delle genti, facendo d'ogni «congregazione»

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continue infiltrazioni che eludono qualsiasi divieto. Inteoria l'immigrazione è proibita, in pratica com'è possi-bile sorvegliare le incerte e sterminate frontiere delSiam, dell'alto Laos, dello Yu-nam, del Tonkino, i millee mille canali, le foreste acquitrinose senza vie regolaridi comunicazione, le innumerevoli diramazioni del Fiu-me Rosso, del Fiume Giallo, del Fiume Nero, i viottolitrimillenari delle montagne, non indicati in nessuna car-ta topografica, ma battuti da una immigrazione che ha lesue radici nei secoli?

I cinesi vivono appartati, formando una massa com-patta ed omogenea che si mantiene fedele agli usi edallo spirito della madre patria, che non si lascia assorbi-re nè dai conquistatori occidentali nè dagli indigeni, cheanzi assorbe con facilità questi ultimi nella grande fami-glia meticcia dei «mihn-huong», la quale è fatalmentedestinata a diventare cinese dopo due o tre generazioni.Per ora le cose corrono liscie perchè la Cina è in letargo,ma il giorno in cui l'immensa Repubblica seguissel'esempio del Giappone – al quale sono bastati cin-quant'annii per diventare uno Stato moderno – le coloniecinesi dell'Indocina costituirebbero senza dubbio unabrutta ipoteca pel dominio coloniale francese d'EstremoOriente.

E non si tratta d'una organizzazione artificiale a finepolitico, ma di qualche cosa di peggio: d'una organizza-zione, cioè, tradizionale e spontanea che fa parte dellamedesima mentalità cinese, che esercita la sua influenzasullo spirito delle genti, facendo d'ogni «congregazione»

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un esercito che obbedisce ciecamente per istinto al suoCapo. Un giorno basterà che Pekino o Canton imparti-scano un ordine a cento Capi per mettere in moto i centoeserciti di Saigon, di Singapore, di Giava, di Haifong, diHanoi, di Hué, di Calcutta, di Madras, ecc.

A Saigon è sorto un partito Giovane-annamita di pa-ternità francese e di filiazione democratico-massonica, ilquale si propone di svegliare gli indigeni dalla loro se-colare sonnolenza per farne una forza locale, capace do-mani di combattere i cinesi sul terreno economico e po-litico. Ogni tanto la «Tribune Indigène» o l'«Opinion» diSaigon pubblicano un roboante articolo a firma annami-ta contro «l'invasione cinese», facendo appello alle tra-dizioni puramente annamite di Giao-ki e degli avi guer-rieri, ma sono articoli di giornali che nascono e muoionoa Saigon!

La realtà è che gli annamiti non si preoccupano nep-pure alla lontana del «pericolo giallo». Anzitutto sonogialli anch'essi, poi sono abituati da secoli ad avere gli«zii» tra i piedi. Lo «zio» fa parte del paesaggio. È luiche impresta il denaro, che s'incarica di preparare e ven-dere il riso, magari bello che cotto, che fornisce i vesti-menti, le stoviglie, l'oppio, la luce, i combustibili, i mez-zi di trasporto, tutto!

L'annamita è per temperamento pigro, indolente, dol-ce, filosofo. Non domanda che di vivere in pace, con unpo' di riso ed un po' di oppio. È felice nella sua sommainfelicità. La «Tribune Indigène» e l'«Opinion» predica-no al vento.

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un esercito che obbedisce ciecamente per istinto al suoCapo. Un giorno basterà che Pekino o Canton imparti-scano un ordine a cento Capi per mettere in moto i centoeserciti di Saigon, di Singapore, di Giava, di Haifong, diHanoi, di Hué, di Calcutta, di Madras, ecc.

A Saigon è sorto un partito Giovane-annamita di pa-ternità francese e di filiazione democratico-massonica, ilquale si propone di svegliare gli indigeni dalla loro se-colare sonnolenza per farne una forza locale, capace do-mani di combattere i cinesi sul terreno economico e po-litico. Ogni tanto la «Tribune Indigène» o l'«Opinion» diSaigon pubblicano un roboante articolo a firma annami-ta contro «l'invasione cinese», facendo appello alle tra-dizioni puramente annamite di Giao-ki e degli avi guer-rieri, ma sono articoli di giornali che nascono e muoionoa Saigon!

La realtà è che gli annamiti non si preoccupano nep-pure alla lontana del «pericolo giallo». Anzitutto sonogialli anch'essi, poi sono abituati da secoli ad avere gli«zii» tra i piedi. Lo «zio» fa parte del paesaggio. È luiche impresta il denaro, che s'incarica di preparare e ven-dere il riso, magari bello che cotto, che fornisce i vesti-menti, le stoviglie, l'oppio, la luce, i combustibili, i mez-zi di trasporto, tutto!

L'annamita è per temperamento pigro, indolente, dol-ce, filosofo. Non domanda che di vivere in pace, con unpo' di riso ed un po' di oppio. È felice nella sua sommainfelicità. La «Tribune Indigène» e l'«Opinion» predica-no al vento.

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D'altra parte i francesi stessi non possono fare a menodei capitali cinesi, dell'attività cinese, dell'abilità cinese,perchè dovrebbero sostituire i trecentomila celesti conaltrettanti francesi! E dove li pigliano?

Un vecchio colono col quale parlavo ieri, mi dicevafrancamente: «I cinesi, dopo aver monopolizzato i com-merci della colonia, si stanno impadronendo della pro-prietà immobiliare. Cholon è ormai interamente cinese enoi siamo ridotti alle funzioni di sindaco e di gendarme.Saigon sta diventando cinese. In due anni i cinesi hannoriscattato per trenta milioni di immobili. A Caman, portodestinato ad un grande avvenire, tutti i terreni sono giàproprietà dei cinesi. Così tutti i terreni che costeggianoil canale Saigon-Cholon appartengono a capitalisti cine-si. Cinese è il mercato di Saigon, cinese è il Monte diPietà, cinesi i fornitori delle Amministrazioni Pubbliche,cinesi i grandi distillatori di alcool, le Compagnie di As-sicurazione e quelle di trasporto, i depositi di carbone edi petrolio, i grandi «garages», perfino i depositari dellaRegia dell'oppio. La mano cinese agguanta tutto. Laconcorrenza cinese ammazza tutti. Un giorno a noi fran-cesi non resterà che imbarcarci o prendere la... naziona-lità di Cin-cin!».

La sudicia Cholon di venti anni fa ha fatto toeletta. Inomaggio alle sue condizioni di nuova ricca ha cedutoagli ingegneri una dozzina delle sue straducole centraliperchè ne facessero due vie moderne con belle case e fi-lari d'alberi. Chi ha visitato Cholon nel 1900 od anche

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D'altra parte i francesi stessi non possono fare a menodei capitali cinesi, dell'attività cinese, dell'abilità cinese,perchè dovrebbero sostituire i trecentomila celesti conaltrettanti francesi! E dove li pigliano?

Un vecchio colono col quale parlavo ieri, mi dicevafrancamente: «I cinesi, dopo aver monopolizzato i com-merci della colonia, si stanno impadronendo della pro-prietà immobiliare. Cholon è ormai interamente cinese enoi siamo ridotti alle funzioni di sindaco e di gendarme.Saigon sta diventando cinese. In due anni i cinesi hannoriscattato per trenta milioni di immobili. A Caman, portodestinato ad un grande avvenire, tutti i terreni sono giàproprietà dei cinesi. Così tutti i terreni che costeggianoil canale Saigon-Cholon appartengono a capitalisti cine-si. Cinese è il mercato di Saigon, cinese è il Monte diPietà, cinesi i fornitori delle Amministrazioni Pubbliche,cinesi i grandi distillatori di alcool, le Compagnie di As-sicurazione e quelle di trasporto, i depositi di carbone edi petrolio, i grandi «garages», perfino i depositari dellaRegia dell'oppio. La mano cinese agguanta tutto. Laconcorrenza cinese ammazza tutti. Un giorno a noi fran-cesi non resterà che imbarcarci o prendere la... naziona-lità di Cin-cin!».

La sudicia Cholon di venti anni fa ha fatto toeletta. Inomaggio alle sue condizioni di nuova ricca ha cedutoagli ingegneri una dozzina delle sue straducole centraliperchè ne facessero due vie moderne con belle case e fi-lari d'alberi. Chi ha visitato Cholon nel 1900 od anche

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solo nel 1910, non la riconosce più: s'è lavata, pettinata,agghindata, messa in fronzoli. Solo profumarsi non hapotuto ed ha conservato il suo caratteristico sentore ditopaia cinese, il grande odore di Canton, qualche cosad'estremamente vago fra il sandalo, l'oppio, l'olio di rici-no ed un esercito di piedi sporchi.

Nelle nuove arterie i palazzi sono costruiti all'euro-pea, ma le insegne delle Banche, degli uffici e dei nego-zi sono rimaste cinesi: tavolette verticali a caratteri d'orosu fondo nero, come assi non ancora inchiodati di feretriprincipeschi. Dinanzi alle botteghe, accanto ai globi del-la luce elettrica, continuano a dondolarsi i vecchi lam-pioni di carta col nome del proprietario. Le finestreaperte lasciano intravedere mobili di lacca, paraventi diseta, bonzi vestiti di raso alle scrivanie. La macchina dascrivere non ha bandito l'altarino degli antenati. E per lestrade formicola la folla minuta di Canton, in pigiamanero di stoffa lucida, colle teste nude e rasate, sulle qualiè ancora visibile il dischetto più folto dove prima penzo-lava il codino soppresso dalla Repubblica.

Fra le costruzioni più sontuose troneggiano la villadel miliardario Tai-Maien che è la copia esatta del pa-lazzo del Governatore di Saigon e la sede della BancaSan-Son-An, che è il fac-simile della Residenza dellaZecca. Simboli forse di condominio?

Appena si lasciano però le strade principali e ci si in-terna nel labirinto delle traverse, ricompare la vecchiacittà cinese che ha conservato immutato il suo aspetto dilercia e dorata suburra.

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solo nel 1910, non la riconosce più: s'è lavata, pettinata,agghindata, messa in fronzoli. Solo profumarsi non hapotuto ed ha conservato il suo caratteristico sentore ditopaia cinese, il grande odore di Canton, qualche cosad'estremamente vago fra il sandalo, l'oppio, l'olio di rici-no ed un esercito di piedi sporchi.

Nelle nuove arterie i palazzi sono costruiti all'euro-pea, ma le insegne delle Banche, degli uffici e dei nego-zi sono rimaste cinesi: tavolette verticali a caratteri d'orosu fondo nero, come assi non ancora inchiodati di feretriprincipeschi. Dinanzi alle botteghe, accanto ai globi del-la luce elettrica, continuano a dondolarsi i vecchi lam-pioni di carta col nome del proprietario. Le finestreaperte lasciano intravedere mobili di lacca, paraventi diseta, bonzi vestiti di raso alle scrivanie. La macchina dascrivere non ha bandito l'altarino degli antenati. E per lestrade formicola la folla minuta di Canton, in pigiamanero di stoffa lucida, colle teste nude e rasate, sulle qualiè ancora visibile il dischetto più folto dove prima penzo-lava il codino soppresso dalla Repubblica.

Fra le costruzioni più sontuose troneggiano la villadel miliardario Tai-Maien che è la copia esatta del pa-lazzo del Governatore di Saigon e la sede della BancaSan-Son-An, che è il fac-simile della Residenza dellaZecca. Simboli forse di condominio?

Appena si lasciano però le strade principali e ci si in-terna nel labirinto delle traverse, ricompare la vecchiacittà cinese che ha conservato immutato il suo aspetto dilercia e dorata suburra.

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Le strade si rimpiccioliscono, si contorcono, s'intrec-ciano, perdono ogni apparenza di regolarità, seguono icapricci delle costruzioni caotiche, muoiono in un corti-le, risuscitano al di là d'un muro, finiscono col diventaresemplici corridoi in una farragine di stamberghe e di ca-supole. A mano a mano che uno si addentra nelle visce-re di Cholon ha l'impressione che la città si trasformi inun gigantesco retrobottega nel quale una fantastica me-tropoli ammassi i suoi stracci, le sue catapecchie, lespazzature dei carnevali e delle esposizioni, tutti i rifiutid'una vita grassa e fastosa. Oro e letame sono l'impastofondamentale della vecchia Cholon.

I più caratteristici sono i quartieri della crapula e deigodimenti ai quali il cinese del centro chiede un'ora algiorno dopo il duro lavoro del giorno. Le case sono affa-stellate, pigiate, quasi si direbbe accavallate. Strade edabitazioni sono curiosamente collegate fra loro da un si-stema indescrivibile di sottopassaggi che risolvono i piùdifficili problemi della circolazione violando ogni dirittodel domicilio privato. Non è raro il caso di passare attra-verso una camera da letto per accorciare la distanza fraun vicolo ed un altro.

Certe bicocche dall'apparenza miserabile nascondono,nelle loro interminabili cantine, sontuosi luoghi d'orgia edi delizie. Nessun controllo di polizia è possibile in que-sti alveari tutto buchi e gallerie. Quando è indispensabi-le sanare un quartiere l'unico rimedio è il piccone.

Nonostanze la presenza onorifica di qualche agenteannamita, non è consigliabile ad un europeo d'avventu-

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Le strade si rimpiccioliscono, si contorcono, s'intrec-ciano, perdono ogni apparenza di regolarità, seguono icapricci delle costruzioni caotiche, muoiono in un corti-le, risuscitano al di là d'un muro, finiscono col diventaresemplici corridoi in una farragine di stamberghe e di ca-supole. A mano a mano che uno si addentra nelle visce-re di Cholon ha l'impressione che la città si trasformi inun gigantesco retrobottega nel quale una fantastica me-tropoli ammassi i suoi stracci, le sue catapecchie, lespazzature dei carnevali e delle esposizioni, tutti i rifiutid'una vita grassa e fastosa. Oro e letame sono l'impastofondamentale della vecchia Cholon.

I più caratteristici sono i quartieri della crapula e deigodimenti ai quali il cinese del centro chiede un'ora algiorno dopo il duro lavoro del giorno. Le case sono affa-stellate, pigiate, quasi si direbbe accavallate. Strade edabitazioni sono curiosamente collegate fra loro da un si-stema indescrivibile di sottopassaggi che risolvono i piùdifficili problemi della circolazione violando ogni dirittodel domicilio privato. Non è raro il caso di passare attra-verso una camera da letto per accorciare la distanza fraun vicolo ed un altro.

Certe bicocche dall'apparenza miserabile nascondono,nelle loro interminabili cantine, sontuosi luoghi d'orgia edi delizie. Nessun controllo di polizia è possibile in que-sti alveari tutto buchi e gallerie. Quando è indispensabi-le sanare un quartiere l'unico rimedio è il piccone.

Nonostanze la presenza onorifica di qualche agenteannamita, non è consigliabile ad un europeo d'avventu-

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rarsi, solo, di notte nei quartieri eccentrici di Cholon.Può non capitargli niente, come può capitargli di scom-parire dalla circolazione senza lasciare traccia. Nessunpericolo invece per chi è in compagnia di cinesi. Alloratutte le porte sono aperte senza l'istintiva diffidenza del-le città mussulmane. Cholon non ha soggezione dei suoisegreti. Ogni cosa è a disposizione di chi paga senza di-stinzioni di razza o di religione: taverne, lupanari, casedi giuoco, ristoranti notturni, teatri, «dancings» d'Estre-mo Oriente, fumerie d'oppio, scannatoi pubblici, glispettacoli più imbecilli ed i vizi più mostruosi, droghe,depravazioni, orgie, turlupinature, pazzie. Il cineses'infischia del giudizio straniero. Chi non è contento nonha che fare a meno di disturbarsi! La moralità gialla è dimanica larga e la sua filosofia ancora di più. In teorianulla è proibito pei gialli e la pratica corrisponde allateoria.

Alla febbre diuturna degli affari succede la febbrenotturna dei piaceri. Ricchi e poveri cercano il godimen-to dove meglio loro aggrada. L'unico limite è impostodal portafoglio. E gli intraprendenti mercanti di deliziefanno miracoli per contentare tutti i gusti.

Il cinese che durante il giorno sembra così freddo,così flemmatico, così lontano da ogni cosa, tutto preoc-cupato del suo commercio, quasi ipnotizzato dall'aviditàdel guadagno, si rivela, a chi può osservarlo di notte neisuoi luoghi di bagordi, un gaudente sfrenato. Milionari efacchini spendono con larghezza. Il cinese sa arricchirsie sa rovinarsi. Le tavole dorate del «ba-càn» divorano,

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rarsi, solo, di notte nei quartieri eccentrici di Cholon.Può non capitargli niente, come può capitargli di scom-parire dalla circolazione senza lasciare traccia. Nessunpericolo invece per chi è in compagnia di cinesi. Alloratutte le porte sono aperte senza l'istintiva diffidenza del-le città mussulmane. Cholon non ha soggezione dei suoisegreti. Ogni cosa è a disposizione di chi paga senza di-stinzioni di razza o di religione: taverne, lupanari, casedi giuoco, ristoranti notturni, teatri, «dancings» d'Estre-mo Oriente, fumerie d'oppio, scannatoi pubblici, glispettacoli più imbecilli ed i vizi più mostruosi, droghe,depravazioni, orgie, turlupinature, pazzie. Il cineses'infischia del giudizio straniero. Chi non è contento nonha che fare a meno di disturbarsi! La moralità gialla è dimanica larga e la sua filosofia ancora di più. In teorianulla è proibito pei gialli e la pratica corrisponde allateoria.

Alla febbre diuturna degli affari succede la febbrenotturna dei piaceri. Ricchi e poveri cercano il godimen-to dove meglio loro aggrada. L'unico limite è impostodal portafoglio. E gli intraprendenti mercanti di deliziefanno miracoli per contentare tutti i gusti.

Il cinese che durante il giorno sembra così freddo,così flemmatico, così lontano da ogni cosa, tutto preoc-cupato del suo commercio, quasi ipnotizzato dall'aviditàdel guadagno, si rivela, a chi può osservarlo di notte neisuoi luoghi di bagordi, un gaudente sfrenato. Milionari efacchini spendono con larghezza. Il cinese sa arricchirsie sa rovinarsi. Le tavole dorate del «ba-càn» divorano,

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ogni notte a Cholon grosse fortune, ma il suicidio perdissesti finanziari è ignoto ai cinesi. Non v'è differenzatra il facchino che diventa milionario ed il milionarioche finisce facchino. Per l'uno e per l'altro restano apertele porte dell'avvenire. Nel frattempo l'oppio offre a tuttila risorsa d'una vita effimera, nella quale ogni desideriodei sensi e dello spirito può essere appagato con pochicentesimi.

Cholon ha quindi due faccie, quella del giorno e quel-la della notte: «Piccadilly Street» e «Montmartre». Ledue popolazioni sembrano diverse, mentre sono la stessacosa. I clienti delle taverne, dei lupanari e delle fumerieche spingono l'orgia fino ai confini della bestialità o del-la demenza, sono i medesimi placidi mercanti che digiorno contrattano gravemente i «pad-dy» di riso, i me-desimi ingegnosi operai che lavorano magnificamentenelle officine tutti i metalli.

Il quartiere della seta, il quartiere delle porcellane,quello delle lacche, quello dei bronzi, dei mobili, dei ve-tri, della carta, delle curiosità, delle macchine utensìli,provano le singolari attitudini della razza a tutti i lavorimanuali ed artistici. I «doks», i cantieri, l'arsenale dellegiunche, i bacini di calafataggio, i mulini, gli opifici didecorticazione e di brillatura, le segherie moderne, di-mostrano la capacità delle maestranze gialle ad eseguireperfettamente qualsiasi lavorazione europea dopo unbreve tirocinio.

L'esempio di quello che ha saputo fare il Giapponeobbliga a pensare. Fra un cinese ed un giapponese qua-

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ogni notte a Cholon grosse fortune, ma il suicidio perdissesti finanziari è ignoto ai cinesi. Non v'è differenzatra il facchino che diventa milionario ed il milionarioche finisce facchino. Per l'uno e per l'altro restano apertele porte dell'avvenire. Nel frattempo l'oppio offre a tuttila risorsa d'una vita effimera, nella quale ogni desideriodei sensi e dello spirito può essere appagato con pochicentesimi.

Cholon ha quindi due faccie, quella del giorno e quel-la della notte: «Piccadilly Street» e «Montmartre». Ledue popolazioni sembrano diverse, mentre sono la stessacosa. I clienti delle taverne, dei lupanari e delle fumerieche spingono l'orgia fino ai confini della bestialità o del-la demenza, sono i medesimi placidi mercanti che digiorno contrattano gravemente i «pad-dy» di riso, i me-desimi ingegnosi operai che lavorano magnificamentenelle officine tutti i metalli.

Il quartiere della seta, il quartiere delle porcellane,quello delle lacche, quello dei bronzi, dei mobili, dei ve-tri, della carta, delle curiosità, delle macchine utensìli,provano le singolari attitudini della razza a tutti i lavorimanuali ed artistici. I «doks», i cantieri, l'arsenale dellegiunche, i bacini di calafataggio, i mulini, gli opifici didecorticazione e di brillatura, le segherie moderne, di-mostrano la capacità delle maestranze gialle ad eseguireperfettamente qualsiasi lavorazione europea dopo unbreve tirocinio.

L'esempio di quello che ha saputo fare il Giapponeobbliga a pensare. Fra un cinese ed un giapponese qua-

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lunque europeo pratico dell'Estremo Oriente vi dirà,senza esitazione, che il primo è infinitamente superioreal secondo come operaio, come mercante, come conta-dino, come uomo d'affari, come piccolo artigiano ecome grande banchiere. Ai cinesi manca solo una classedirigente. E sono quattrocento milioni!

Chiedevo ieri al direttore della Banca San-Son-An, uncinese, naturalmente, quando la Cina si deciderà ad imi-tare il Giappone.

Eravamo fermi dinanzi ad una profumeria francesedella rue Catinat, nella quale erano elegantemente espo-sti boccette e barattoli delle più rinomate Case di Parigi.Il giallo, fissandomi coi suoi occhietti di smalto, scelseun barattolo.

— Permettez-moi de vous offrir avec la réponse, unflacon de mon parfum, préféré».

Sulla bottiglietta di cristallo smerigliato, sotto il nomedi un grande profumiere e proprietario di giornali parigi-ni, erano scritte tre parole: «un jour viendra!».

Il titolo d'un profumo alla moda... il titolo d'un grossocapitolo della storia futura del mondo...

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lunque europeo pratico dell'Estremo Oriente vi dirà,senza esitazione, che il primo è infinitamente superioreal secondo come operaio, come mercante, come conta-dino, come uomo d'affari, come piccolo artigiano ecome grande banchiere. Ai cinesi manca solo una classedirigente. E sono quattrocento milioni!

Chiedevo ieri al direttore della Banca San-Son-An, uncinese, naturalmente, quando la Cina si deciderà ad imi-tare il Giappone.

Eravamo fermi dinanzi ad una profumeria francesedella rue Catinat, nella quale erano elegantemente espo-sti boccette e barattoli delle più rinomate Case di Parigi.Il giallo, fissandomi coi suoi occhietti di smalto, scelseun barattolo.

— Permettez-moi de vous offrir avec la réponse, unflacon de mon parfum, préféré».

Sulla bottiglietta di cristallo smerigliato, sotto il nomedi un grande profumiere e proprietario di giornali parigi-ni, erano scritte tre parole: «un jour viendra!».

Il titolo d'un profumo alla moda... il titolo d'un grossocapitolo della storia futura del mondo...

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Fumerie d'oppio

CHOLON, 8 maggio.

Una via scura e stretta, a destra ed a sinistra una filadi lampioni gialli di carta che quasi non fanno luce: è laTao-ming, strada delle fumerie.

Ogni lampione è un invito a sognare.Ombre escono, ombre entrano, in un silenzio di cimi-

tero. L'odore potente della droga è sospeso nell'aria.La nostra guida – un ricco mercante di riso di Cholon

che si è abituato al wisky ed allo champagne senza ri-nunciare alle pipe degli antenati – ci spiega i misteri delsuburbio.

— Questa è la fumeria di Kon-hop frequentata daifunzionari della Residenza. Questa è la casa di Fai-tsì,preferita dagli ufficiali di marina, con belle geishe delGiappone e pessimo oppio di Birmania. Quello è il clubdei mercanti di riso, il Fuòc-Kièu, ermeticamente chiusoagli europei. Accanto è il circolo Ki-ju-jum, mezzo fu-meria e mezzo casa di giuoco, nel quale si giuocanosfrenatamente al «bacàn» grosse fortune. La terza porta,col lampione dorato, è un locale annamita che ha fra i

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Fumerie d'oppio

CHOLON, 8 maggio.

Una via scura e stretta, a destra ed a sinistra una filadi lampioni gialli di carta che quasi non fanno luce: è laTao-ming, strada delle fumerie.

Ogni lampione è un invito a sognare.Ombre escono, ombre entrano, in un silenzio di cimi-

tero. L'odore potente della droga è sospeso nell'aria.La nostra guida – un ricco mercante di riso di Cholon

che si è abituato al wisky ed allo champagne senza ri-nunciare alle pipe degli antenati – ci spiega i misteri delsuburbio.

— Questa è la fumeria di Kon-hop frequentata daifunzionari della Residenza. Questa è la casa di Fai-tsì,preferita dagli ufficiali di marina, con belle geishe delGiappone e pessimo oppio di Birmania. Quello è il clubdei mercanti di riso, il Fuòc-Kièu, ermeticamente chiusoagli europei. Accanto è il circolo Ki-ju-jum, mezzo fu-meria e mezzo casa di giuoco, nel quale si giuocanosfrenatamente al «bacàn» grosse fortune. La terza porta,col lampione dorato, è un locale annamita che ha fra i

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suoi clienti le due principesse imperiali del Tonkino.Noi andiamo all'ultimo che è di tutti il più sontuoso, ilclub del Kong-u-siu-Chiu (circolo del piccolo passatem-po) frequentato piuttosto dagli uomini di lettere e daibanchieri. Fra le diverse attrattive ha anche una preziosabiblioteca di vecchi manoscritti mandarini.

Gli ingressi delle fumerie sono chiusi e velati da unaportiera. Nessuna luce e nessun rumore filtrano al difuori. Sembra d'essere in un tranquillo quartiere di lavo-ratori, già profondamente addormentato alle undici disera, mentre siamo nel grande quartiere dei bagordi diCholon, precisamente nella strada delle «case di sogno»che è tagliata in due dalla strada delle «case di tè». Igialli amano circondare l'oppio e l'amore di mistero e disilenzio, perchè lo spirito di coloro che si recano a que-ste botteghe di illusione abbia il tempo di predisporsi airiti millenarii e nell'uscire non sia colpito troppo brutal-mente dal tumulto della vita esteriore.

I gialli sono simultaneamente poeti e... positivi, sonosoprattutto grandi psicologhi anche nel commercio deigodimenti. Un jazz-band accanto ad una fumeria urte-rebbe il loro senso poetico e pratico, come una bettolaaccanto ad una chiesa. Le stesse «case di tè» non hannonulla a che vedere con i locali affini di Europa. Sonopiccole pagode della voluttà deificata, nascoste in gene-re fra i fiori e le piante, in un vicolo buio che dà la sen-sazione d'essere appartato dal mondo.

Là, le cortigiane cinesi accomodate come idoli, il visodi bambola dipinto secondo una maschera millenaria, ri-

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suoi clienti le due principesse imperiali del Tonkino.Noi andiamo all'ultimo che è di tutti il più sontuoso, ilclub del Kong-u-siu-Chiu (circolo del piccolo passatem-po) frequentato piuttosto dagli uomini di lettere e daibanchieri. Fra le diverse attrattive ha anche una preziosabiblioteca di vecchi manoscritti mandarini.

Gli ingressi delle fumerie sono chiusi e velati da unaportiera. Nessuna luce e nessun rumore filtrano al difuori. Sembra d'essere in un tranquillo quartiere di lavo-ratori, già profondamente addormentato alle undici disera, mentre siamo nel grande quartiere dei bagordi diCholon, precisamente nella strada delle «case di sogno»che è tagliata in due dalla strada delle «case di tè». Igialli amano circondare l'oppio e l'amore di mistero e disilenzio, perchè lo spirito di coloro che si recano a que-ste botteghe di illusione abbia il tempo di predisporsi airiti millenarii e nell'uscire non sia colpito troppo brutal-mente dal tumulto della vita esteriore.

I gialli sono simultaneamente poeti e... positivi, sonosoprattutto grandi psicologhi anche nel commercio deigodimenti. Un jazz-band accanto ad una fumeria urte-rebbe il loro senso poetico e pratico, come una bettolaaccanto ad una chiesa. Le stesse «case di tè» non hannonulla a che vedere con i locali affini di Europa. Sonopiccole pagode della voluttà deificata, nascoste in gene-re fra i fiori e le piante, in un vicolo buio che dà la sen-sazione d'essere appartato dal mondo.

Là, le cortigiane cinesi accomodate come idoli, il visodi bambola dipinto secondo una maschera millenaria, ri-

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BORNEO – Donna daiak e bimbo meticcio.

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BORNEO – Donna daiak e bimbo meticcio.

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cevono gli uomini con cerimoniosa dignità, dando adognuno l'illusione di essere un mandarino od un principeda leggenda. La loro missione non è di agire direttamen-te sui sensi con la procacità della carne, ma di sugge-stionare il cervello con una messa in scena che ricostrui-sce le visioni fantasiose dei poeti e degli artisti della raz-za. Esse sono semplicemente i personaggi dello scena-rio.

Nelle più eleganti case di tè di Cholon, di Canton, diScianghai, chiuse agli stranieri ed ai marinai di passag-gio, l'occidentale che riesce eccezionalmente a penetrar-vi, rimane colpito dalla bizzarria di quelle bambole iera-tiche che se ne stanno mute sugli alti scanni di laccacontro i fondi violenti delle pareti, impacchettate dentropesanti stoffe a ramaggi d'oro, cariche di monili e di

vezzi, sovente adorne di una tiara imperiale o di unamitra d'Oriente, in mezzo ai mostri delle tappezzerie edai draghi dei paraventi.

Cristallizzate in atteggiamenti ed in costumi che nonhanno mai variato durante i secoli, esse non sono più,pel cinese, delle semplici donne, ma i simboli eterni del-la lussuria gialla, le incarnazioni tangibili dell'idea divoluttà.

Noi guardiamo senza emozione, quasi con ripulsionefisica, quelle maschere straordinariamente pallide chefanno pensare al mondo dei morti, quei fantocci doratiche paiono fatti di paglia e di stracci. La sensualità cine-se si eccita invece. Per questa razza vecchissima, spos-sata da abusi e da raffinatezze centenarie, la voluttà non

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cevono gli uomini con cerimoniosa dignità, dando adognuno l'illusione di essere un mandarino od un principeda leggenda. La loro missione non è di agire direttamen-te sui sensi con la procacità della carne, ma di sugge-stionare il cervello con una messa in scena che ricostrui-sce le visioni fantasiose dei poeti e degli artisti della raz-za. Esse sono semplicemente i personaggi dello scena-rio.

Nelle più eleganti case di tè di Cholon, di Canton, diScianghai, chiuse agli stranieri ed ai marinai di passag-gio, l'occidentale che riesce eccezionalmente a penetrar-vi, rimane colpito dalla bizzarria di quelle bambole iera-tiche che se ne stanno mute sugli alti scanni di laccacontro i fondi violenti delle pareti, impacchettate dentropesanti stoffe a ramaggi d'oro, cariche di monili e di

vezzi, sovente adorne di una tiara imperiale o di unamitra d'Oriente, in mezzo ai mostri delle tappezzerie edai draghi dei paraventi.

Cristallizzate in atteggiamenti ed in costumi che nonhanno mai variato durante i secoli, esse non sono più,pel cinese, delle semplici donne, ma i simboli eterni del-la lussuria gialla, le incarnazioni tangibili dell'idea divoluttà.

Noi guardiamo senza emozione, quasi con ripulsionefisica, quelle maschere straordinariamente pallide chefanno pensare al mondo dei morti, quei fantocci doratiche paiono fatti di paglia e di stracci. La sensualità cine-se si eccita invece. Per questa razza vecchissima, spos-sata da abusi e da raffinatezze centenarie, la voluttà non

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è tanto un amplesso di carne quanto la possessione diuna immagine di bellezza.

Gli idoli si spogliano... Offrono in silenzio con gli orie con le sete, senza parole e senza baci, il possesso im-possibile d'un fantasma plasmato dai secoli!

— Perchè le case sono tutte d'un sol piano? Bazzica-no forse i terremoti anche in Cocincina?

— Niente terremoti – ci spiega l'amico cinese – manoi «celesti» non amiamo le case alte. La tradizione vie-terebbe assolutamente di costruirne, però nel quartieredegli affari le necessità del commercio dettano legge pernoi. Secondo la credenza dei nostri padri le case troppoalte intercettano i soffi del feng-cui, cioè le anime degliantenati che vivono in mezzo alle genti. Anche l'uso deiparaventi che voi vedete nei nostri appartamenti in ognistanza, accanto ad ogni porta, intorno ai letti ed alle scri-vanie, obbedisce alla medesima credenza: sbarrano ilpasso agli spiriti cattivi, i quali non possono avanzareche in linea retta.

Sempre, quando un cinese, anche moderno, accennaalle usanze nazionali lo fa con dignità, senza il fanati-smo istintivo dei mussulmani e senza il sarcasmo degliorientali verniciati di civiltà. Il nostro amico, che è allatesta di una grande azienda nel vortice degli affari, incontinuo contatto con gli uomini di occidente, educatoanzi egli stesso prima a Parigi poi a New-York, nonposa mai a spirito superiore. Mai una parola od un sorri-so hanno l'aria di commiserare i suoi congeneri. Ne par-la con semplicità e con naturalezza, senza lasciar traspa-

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è tanto un amplesso di carne quanto la possessione diuna immagine di bellezza.

Gli idoli si spogliano... Offrono in silenzio con gli orie con le sete, senza parole e senza baci, il possesso im-possibile d'un fantasma plasmato dai secoli!

— Perchè le case sono tutte d'un sol piano? Bazzica-no forse i terremoti anche in Cocincina?

— Niente terremoti – ci spiega l'amico cinese – manoi «celesti» non amiamo le case alte. La tradizione vie-terebbe assolutamente di costruirne, però nel quartieredegli affari le necessità del commercio dettano legge pernoi. Secondo la credenza dei nostri padri le case troppoalte intercettano i soffi del feng-cui, cioè le anime degliantenati che vivono in mezzo alle genti. Anche l'uso deiparaventi che voi vedete nei nostri appartamenti in ognistanza, accanto ad ogni porta, intorno ai letti ed alle scri-vanie, obbedisce alla medesima credenza: sbarrano ilpasso agli spiriti cattivi, i quali non possono avanzareche in linea retta.

Sempre, quando un cinese, anche moderno, accennaalle usanze nazionali lo fa con dignità, senza il fanati-smo istintivo dei mussulmani e senza il sarcasmo degliorientali verniciati di civiltà. Il nostro amico, che è allatesta di una grande azienda nel vortice degli affari, incontinuo contatto con gli uomini di occidente, educatoanzi egli stesso prima a Parigi poi a New-York, nonposa mai a spirito superiore. Mai una parola od un sorri-so hanno l'aria di commiserare i suoi congeneri. Ne par-la con semplicità e con naturalezza, senza lasciar traspa-

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rire se anch'egli condivida quelle credenze ed osserviquei riti.

Del resto in Cina ed in Giappone il culto degli antena-ti è tanta parte dello spirito delle genti che nessun gialloriesce a sottrarsi alla sua influenza. L'atmosferadell'Estremo Oriente è come ispessita dalle emanazionidel passato, carica dei fluidi invisibili di miliardi di mor-ti immortali che continuano ad agitarsi in mezzo ai vi-venti.

Nelle case dei cinesi più impregnati di civiltà occi-dentale, dei rivoluzionari stessi, degli anarchici, dei bol-scevichi, dei sun-senisti, che negano tutto il passato, deifuturisti di As-ké, non manca mai l'altarino degli antena-ti. I bastoncini d'incenso bruciano perennemente in tuttala Cina e nelle sue appendici dinanzi alle tavolette degliAvi. Sono forse trecento milioni di tabernacoli dorati neiquali le divinità tutelari della razza – i padri – ricevonol'omaggio quotidiano d'una fede quadrimillenaria che èl'essenza stessa della Cina. Il passato è più grande delpresente, più incombente del futuro. Il peso dei mortischiaccia le spalle dei vivi. La saggezza paralizza con lasua maestà intangibile gli innovatori più audaci.

Il fardello formidabile della sua civiltà antichissimaritarda il passo della Cina ma le impedisce di scantonareper vie traverse. La razza procede lentamente dentro isolchi millenarii, contemporanei di Ninive e di Babilo-nia, obbedendo come una famiglia d'insetti agli istintiereditarii.

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rire se anch'egli condivida quelle credenze ed osserviquei riti.

Del resto in Cina ed in Giappone il culto degli antena-ti è tanta parte dello spirito delle genti che nessun gialloriesce a sottrarsi alla sua influenza. L'atmosferadell'Estremo Oriente è come ispessita dalle emanazionidel passato, carica dei fluidi invisibili di miliardi di mor-ti immortali che continuano ad agitarsi in mezzo ai vi-venti.

Nelle case dei cinesi più impregnati di civiltà occi-dentale, dei rivoluzionari stessi, degli anarchici, dei bol-scevichi, dei sun-senisti, che negano tutto il passato, deifuturisti di As-ké, non manca mai l'altarino degli antena-ti. I bastoncini d'incenso bruciano perennemente in tuttala Cina e nelle sue appendici dinanzi alle tavolette degliAvi. Sono forse trecento milioni di tabernacoli dorati neiquali le divinità tutelari della razza – i padri – ricevonol'omaggio quotidiano d'una fede quadrimillenaria che èl'essenza stessa della Cina. Il passato è più grande delpresente, più incombente del futuro. Il peso dei mortischiaccia le spalle dei vivi. La saggezza paralizza con lasua maestà intangibile gli innovatori più audaci.

Il fardello formidabile della sua civiltà antichissimaritarda il passo della Cina ma le impedisce di scantonareper vie traverse. La razza procede lentamente dentro isolchi millenarii, contemporanei di Ninive e di Babilo-nia, obbedendo come una famiglia d'insetti agli istintiereditarii.

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In ciò è la grande debolezza dell'Asia gialla, ma an-che la sua invincibile forza. La nostra civiltà non inte-ressa gli uomini dagli occhi obliqui che per quel tanto dicomodo che può aggiungere alla loro vita materiale: te-lefoni, comunicazioni, ferrovie, ritrovati scientifici: pertutto il resto, per tutto ciò che è dominio dello spirito,essi hanno gli occhi costantemente ritorti verso il loropassato, nel quale, secondo loro, è riposta la somma sag-gezza dell'esperienza umana.

Ci considerano giovani, impulsivi, primitivi, «barba-ri», idolatri dell'Oro e della Macchina, ancora in ritardonel cammino verso la Saggezza, la quale disdegna i«mezzi della vita» mirando esclusivamente ai suoi«fini».

Prima di entrare in una fumeria d'oppio – non per fu-mare una pipa, ma per contemplare nell'intimità il mon-do giallo – bisogna pensare a questa civiltà che ha rag-giunto diverse grandi tappe prima della nostra, che orasembra in ritardo forse perchè ha continuato a cammina-re per altre vie, scegliendo altri obiettivi ed altri ideali.

L'oppio stesso che per noi rappresenta un morbosopervertimento dei sensi, od un farmaco vigliacco persfuggire alle dure realtà della vita, è pel cinese tutt'altracosa: è la soggezione completa della carne al dominiosovrano dello spirito, ottenuta temporaneamente me-diante un artificio che diminuisce le forze dell'una ecentuplica la potenza dell'altro: è la congiunzione d'unaanima ancora prigioniera dell'involucro terreno, col

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In ciò è la grande debolezza dell'Asia gialla, ma an-che la sua invincibile forza. La nostra civiltà non inte-ressa gli uomini dagli occhi obliqui che per quel tanto dicomodo che può aggiungere alla loro vita materiale: te-lefoni, comunicazioni, ferrovie, ritrovati scientifici: pertutto il resto, per tutto ciò che è dominio dello spirito,essi hanno gli occhi costantemente ritorti verso il loropassato, nel quale, secondo loro, è riposta la somma sag-gezza dell'esperienza umana.

Ci considerano giovani, impulsivi, primitivi, «barba-ri», idolatri dell'Oro e della Macchina, ancora in ritardonel cammino verso la Saggezza, la quale disdegna i«mezzi della vita» mirando esclusivamente ai suoi«fini».

Prima di entrare in una fumeria d'oppio – non per fu-mare una pipa, ma per contemplare nell'intimità il mon-do giallo – bisogna pensare a questa civiltà che ha rag-giunto diverse grandi tappe prima della nostra, che orasembra in ritardo forse perchè ha continuato a cammina-re per altre vie, scegliendo altri obiettivi ed altri ideali.

L'oppio stesso che per noi rappresenta un morbosopervertimento dei sensi, od un farmaco vigliacco persfuggire alle dure realtà della vita, è pel cinese tutt'altracosa: è la soggezione completa della carne al dominiosovrano dello spirito, ottenuta temporaneamente me-diante un artificio che diminuisce le forze dell'una ecentuplica la potenza dell'altro: è la congiunzione d'unaanima ancora prigioniera dell'involucro terreno, col

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Page 244: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

mondo delle anime già libere che sono ritornate nei flui-di del Creato.

I Buddha obesi, dal sorriso stupido che col loro gras-so da eunuchi urtano il concetto della divinità umanizza-ta che noi ci siamo formati sullo scheletro piagato delGolgota, sono in armonia con l'essenza di questa civiltàche consiglia la passività, la rinunzia, la rassegnazione,l'assorbimento dell'anima individuale e transitorianell'Essere collettivo ed eterno.

I draghi che digrignano i denti sui tetti delle pagode esui cornicioni delle case, i mostri che si contorcono buf-fonescamente sugli stendardi delle «congregazioni», lechimere che minacciano sulle stoffe e sulle porcellane,gli spauracchi che perpetuamente tormentano i sogni deigialli, non ci fanno più ridere se per un momento riu-sciamo ad immedesimarci nello spirito cinese fino asentire la presenza delle influenze malefiche d'oltre tom-ba che perennemente insidiano l'umanità miserabile.

Allora la fumeria d'oppio cessa di essere un lupanaredorato di Estremo Oriente, nel quale la curiosità occi-dentale cerca il sapore di una droga che non è fatta pernoi o magari l'ebbrezza di una esaltazione artificiale chenon è in armonia con lo spirito della nostra civiltà. Di-venta ciò che veramente è pei cinesi: il tempio d'una fi-losofia, la cripta delle pagode di Buddha e di Confucioriservata agli asceti ed ai mistici.

Come noi siamo costretti a riconoscere la aristocrazia,la nobiltà e la grandezza di certe manifestazioni del pen-siero e dell'arte cinese – un postulato di Confucio, per

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mondo delle anime già libere che sono ritornate nei flui-di del Creato.

I Buddha obesi, dal sorriso stupido che col loro gras-so da eunuchi urtano il concetto della divinità umanizza-ta che noi ci siamo formati sullo scheletro piagato delGolgota, sono in armonia con l'essenza di questa civiltàche consiglia la passività, la rinunzia, la rassegnazione,l'assorbimento dell'anima individuale e transitorianell'Essere collettivo ed eterno.

I draghi che digrignano i denti sui tetti delle pagode esui cornicioni delle case, i mostri che si contorcono buf-fonescamente sugli stendardi delle «congregazioni», lechimere che minacciano sulle stoffe e sulle porcellane,gli spauracchi che perpetuamente tormentano i sogni deigialli, non ci fanno più ridere se per un momento riu-sciamo ad immedesimarci nello spirito cinese fino asentire la presenza delle influenze malefiche d'oltre tom-ba che perennemente insidiano l'umanità miserabile.

Allora la fumeria d'oppio cessa di essere un lupanaredorato di Estremo Oriente, nel quale la curiosità occi-dentale cerca il sapore di una droga che non è fatta pernoi o magari l'ebbrezza di una esaltazione artificiale chenon è in armonia con lo spirito della nostra civiltà. Di-venta ciò che veramente è pei cinesi: il tempio d'una fi-losofia, la cripta delle pagode di Buddha e di Confucioriservata agli asceti ed ai mistici.

Come noi siamo costretti a riconoscere la aristocrazia,la nobiltà e la grandezza di certe manifestazioni del pen-siero e dell'arte cinese – un postulato di Confucio, per

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esempio, un assioma di Lao-tzé, il codice del Samuray,le sculture monumentali cinesi delle epoche Tsin e Tang,i bronzi meravigliosi del monastero di Cugui, le lacche,le porcellane, gli smalti e gli avorii della Cina Song –così noi non possiamo giudicare con la nostra moralecristiana e con la nostra filosofia occidentale l'usodell'oppio, ma dobbiamo aggiungere il terribile miele dipapavero a tutto quanto di strano, d'incomprensibile e diparadossale ci mostra l'Estremo Oriente.

Dobbiamo pensare che nel momento in cui un cinesesi sdraia accanto alla piccola lampada e prende in manoreligiosamente il cannello di bambù, egli è convinto, nelprofondo della sua coscienza millenaria, di spogliarsidella sua umanità materiale per ascendere temporanea-mente le vette altissime del pensiero. Egli è persuaso digiuocare un tiro alla divinità violando, per le proprietàmagiche della droga, alcune delle barriere che limitanola potenza umana.

Lo slancio non è il medesimo nel povero coolye e nelcolto mandarino, ma la nobile illusione è la stessa. Ognifumatore s'immagina di diventare meno carnale e menoterrestre, di sciogliere lo spirito dal carcere umano dellamateria corrompibile, di schiudere al cervello le portedella prigione cranica, d'accostarsi al Dio immergendola sua piccola anima nella grande anima del Tò, del Tut-to!

Una lenta preparazione ereditaria lo predispone aquesta formidabile auto-suggestione nella quale si dis-solvono i suoi rancori, le sue preferenze, i suoi stessi do-

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esempio, un assioma di Lao-tzé, il codice del Samuray,le sculture monumentali cinesi delle epoche Tsin e Tang,i bronzi meravigliosi del monastero di Cugui, le lacche,le porcellane, gli smalti e gli avorii della Cina Song –così noi non possiamo giudicare con la nostra moralecristiana e con la nostra filosofia occidentale l'usodell'oppio, ma dobbiamo aggiungere il terribile miele dipapavero a tutto quanto di strano, d'incomprensibile e diparadossale ci mostra l'Estremo Oriente.

Dobbiamo pensare che nel momento in cui un cinesesi sdraia accanto alla piccola lampada e prende in manoreligiosamente il cannello di bambù, egli è convinto, nelprofondo della sua coscienza millenaria, di spogliarsidella sua umanità materiale per ascendere temporanea-mente le vette altissime del pensiero. Egli è persuaso digiuocare un tiro alla divinità violando, per le proprietàmagiche della droga, alcune delle barriere che limitanola potenza umana.

Lo slancio non è il medesimo nel povero coolye e nelcolto mandarino, ma la nobile illusione è la stessa. Ognifumatore s'immagina di diventare meno carnale e menoterrestre, di sciogliere lo spirito dal carcere umano dellamateria corrompibile, di schiudere al cervello le portedella prigione cranica, d'accostarsi al Dio immergendola sua piccola anima nella grande anima del Tò, del Tut-to!

Una lenta preparazione ereditaria lo predispone aquesta formidabile auto-suggestione nella quale si dis-solvono i suoi rancori, le sue preferenze, i suoi stessi do-

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lori personali. Durante l'estasi egli si sente non solamen-te più alto, ma anche immensamente più buono: se èumile e povero confonde in una unica tenerezza i grandied i ricchi della terra, se è potente e milionario si sentefratello dei servi e dei pezzenti. Non esistono più per luinè cattivi nè buoni, nè parenti nè nemici, nè cinesi nèstranieri; l'umanità intera è una sola famiglia di infeliciche aspetta rassegnatamente il momento della supremaliberazione.

E tale è la potenza della sua suggestione che quando,alla lunga, il corpo incomincia a risentire gli effetti dellaterribile droga, nonostante l'abitudine ereditaria, finoall'indolorimento fisico della cassa toracica prossimaallo schianto, il fumatore arriva a godere, durante l'esta-si, dello stesso suo disfacimento come d'una vittoriaprogressiva dello spirito sulla carne, a seguire con volut-tà il torpore mortale che pian piano sale dalle membralungo il filo della schiena verso la nuca intossicata, asentire, nelle vie del corpo, il cammino inesorabile dellamorte che avanza.

Visto dall'esterno il circolo del Kong-u-siu-Chiu èuna bicocca di piccole proporzioni e di modesta appa-renza. All'interno numerose sale arredate con sontuositàprincipesca sono allacciate da lunghi corridoi che evi-dentemente congiungono la casupola ad altre caserellefinitime. Nessuno sospetterebbe dal di fuori l'esistenzadi locali così ampi e sfarzosi. Io non contavo di trovare

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lori personali. Durante l'estasi egli si sente non solamen-te più alto, ma anche immensamente più buono: se èumile e povero confonde in una unica tenerezza i grandied i ricchi della terra, se è potente e milionario si sentefratello dei servi e dei pezzenti. Non esistono più per luinè cattivi nè buoni, nè parenti nè nemici, nè cinesi nèstranieri; l'umanità intera è una sola famiglia di infeliciche aspetta rassegnatamente il momento della supremaliberazione.

E tale è la potenza della sua suggestione che quando,alla lunga, il corpo incomincia a risentire gli effetti dellaterribile droga, nonostante l'abitudine ereditaria, finoall'indolorimento fisico della cassa toracica prossimaallo schianto, il fumatore arriva a godere, durante l'esta-si, dello stesso suo disfacimento come d'una vittoriaprogressiva dello spirito sulla carne, a seguire con volut-tà il torpore mortale che pian piano sale dalle membralungo il filo della schiena verso la nuca intossicata, asentire, nelle vie del corpo, il cammino inesorabile dellamorte che avanza.

Visto dall'esterno il circolo del Kong-u-siu-Chiu èuna bicocca di piccole proporzioni e di modesta appa-renza. All'interno numerose sale arredate con sontuositàprincipesca sono allacciate da lunghi corridoi che evi-dentemente congiungono la casupola ad altre caserellefinitime. Nessuno sospetterebbe dal di fuori l'esistenzadi locali così ampi e sfarzosi. Io non contavo di trovare

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più d'una stanza e mi trovo in un palazzo incantatod'Estremo Oriente.

Vasi, tappeti, lacche, smalti, paraventi, ventagli diseta dipinta, porcellane, avorii lavorati come pizzi, ferribattuti trattati come ricami, intarsi, incrostazioni, filigra-ne, cuoi bulinati, mosaici di vetro e di madreperla, tutti imiracoli della pazienza umana e le fantasie di un buongusto raffinatissimo concorrono ad adornare d'una ele-ganza bizzarra, ma estremamente fine, il circolo deibanchieri e dei letterati di Cholon.

Gli ospiti vestiti di seta, con un'armonia di linee e ditinte che si afferma nei più minuti particolari, sono per-fettamente intonati all'ambiente.

Ve n'è che leggono, altri che guardano il soffitto comeaspettando qualcuno, altri conversano tranquillamentefra loro o prendono il tè in microscopiche tazze di bam-bola o carezzano con gli occhi una donna vestita da ido-lo senza toccarla.

I gesti sono lenti, compassati, cerimoniosi, pieni digrazia; flebili e flautate le voci, furtivi i passi e quasiguardinghi, femminili i movimenti delle mani e dei ven-tagli, artistiche e quasi ricercate le pose, tutto regolato emisurato da una legge misteriosa di raffinata armonia.

Non tutti fumano. Molti riservano la droga per gior-nate speciali di abbandono, ma vengono ugualmente alclub per respirare un po' d'atmosfera dell'ambiente, persentire l'odore formidabile del quale non possono piùfare a meno, per riposare lo spirito nella compagnia dei«fratelli», in quanto l'oppio fa dei suoi adoratori di una

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più d'una stanza e mi trovo in un palazzo incantatod'Estremo Oriente.

Vasi, tappeti, lacche, smalti, paraventi, ventagli diseta dipinta, porcellane, avorii lavorati come pizzi, ferribattuti trattati come ricami, intarsi, incrostazioni, filigra-ne, cuoi bulinati, mosaici di vetro e di madreperla, tutti imiracoli della pazienza umana e le fantasie di un buongusto raffinatissimo concorrono ad adornare d'una ele-ganza bizzarra, ma estremamente fine, il circolo deibanchieri e dei letterati di Cholon.

Gli ospiti vestiti di seta, con un'armonia di linee e ditinte che si afferma nei più minuti particolari, sono per-fettamente intonati all'ambiente.

Ve n'è che leggono, altri che guardano il soffitto comeaspettando qualcuno, altri conversano tranquillamentefra loro o prendono il tè in microscopiche tazze di bam-bola o carezzano con gli occhi una donna vestita da ido-lo senza toccarla.

I gesti sono lenti, compassati, cerimoniosi, pieni digrazia; flebili e flautate le voci, furtivi i passi e quasiguardinghi, femminili i movimenti delle mani e dei ven-tagli, artistiche e quasi ricercate le pose, tutto regolato emisurato da una legge misteriosa di raffinata armonia.

Non tutti fumano. Molti riservano la droga per gior-nate speciali di abbandono, ma vengono ugualmente alclub per respirare un po' d'atmosfera dell'ambiente, persentire l'odore formidabile del quale non possono piùfare a meno, per riposare lo spirito nella compagnia dei«fratelli», in quanto l'oppio fa dei suoi adoratori di una

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specie di famiglia i cui membri, che secondo l'Uai-Lung-Vang sono figli dell'Oppio, si sentono apparentatiin un mondo ideale senza distinzione di razza, d'educa-zione e di psicologia.

Le sale riservate ai fumatori sono appartate dalle al-tre. Le portiere sollevate permettono di guardare dentrogli ambienti tiepidi e fumosi.

I fumatori sono sdraiati sulle stuoie, col capo suglisgabelli caratteristici di lacca che sostituiscono in Cina inostri cuscini. Ve ne sono di vestiti, di discinti, d'intera-mente nudi: di grassi e di scheletrici, di giovani e di de-crepiti. Le grandi lampade di seta gialla e violetta sospe-se ai soffitti danno alle carni nude la colorazione lucidadel vecchio avorio, con riverberi azzurrognoli, con ri-flessi di maiolica, con ombre e chiaroscuri indefinibili.

Nella luce incerta i corpi rilasciati ed immobili hannoun abbandono cadaverico. Certi lobi d'orecchio quasitrasparenti sembrano appendici artificiali di madreperla:certe congiunture scarnate e cordacee fanno pensare amummie diseccate chimicamente: certi occhi aperti sul-le voragini dell'estasi hanno la fissità spaventosa dellamorte.

Dove i fumatori sono ancora alle prime pipe, i corpiconservano maggiore scioltezza parlando fra loro som-messamente.

Donne nude e donne vestite disimpegnano il serviziodella fumeria. Le prime adagiate accanto ai fumatoripreparano le pipe ed il tè verde dell'Yu-nam, il famosognoc-dà di Cholon, nel quale è infuso una goccia

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specie di famiglia i cui membri, che secondo l'Uai-Lung-Vang sono figli dell'Oppio, si sentono apparentatiin un mondo ideale senza distinzione di razza, d'educa-zione e di psicologia.

Le sale riservate ai fumatori sono appartate dalle al-tre. Le portiere sollevate permettono di guardare dentrogli ambienti tiepidi e fumosi.

I fumatori sono sdraiati sulle stuoie, col capo suglisgabelli caratteristici di lacca che sostituiscono in Cina inostri cuscini. Ve ne sono di vestiti, di discinti, d'intera-mente nudi: di grassi e di scheletrici, di giovani e di de-crepiti. Le grandi lampade di seta gialla e violetta sospe-se ai soffitti danno alle carni nude la colorazione lucidadel vecchio avorio, con riverberi azzurrognoli, con ri-flessi di maiolica, con ombre e chiaroscuri indefinibili.

Nella luce incerta i corpi rilasciati ed immobili hannoun abbandono cadaverico. Certi lobi d'orecchio quasitrasparenti sembrano appendici artificiali di madreperla:certe congiunture scarnate e cordacee fanno pensare amummie diseccate chimicamente: certi occhi aperti sul-le voragini dell'estasi hanno la fissità spaventosa dellamorte.

Dove i fumatori sono ancora alle prime pipe, i corpiconservano maggiore scioltezza parlando fra loro som-messamente.

Donne nude e donne vestite disimpegnano il serviziodella fumeria. Le prime adagiate accanto ai fumatoripreparano le pipe ed il tè verde dell'Yu-nam, il famosognoc-dà di Cholon, nel quale è infuso una goccia

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d'oppio indiano. Le seconde infagottate nei broccati, ca-riche di collane e di gioielli, restano sedute sugli sgabel-li contro le pareti, immobili e taciturne come statue. Illoro compito è di offrire ai fumatori un punto di parten-za nei loro sogni ed un punto di appoggio per le lorofantasticherie. I costumi riproducono esattamente quellidelle dinastie imperiali pre-mongoliche. I visi delle unee delle altre sono identici, copie conformi di una bambo-la dipinta fabbricate a serie da una macchina misteriosa,e quest'uniformità di volto fra gli idoli d'oro e le femmi-ne nude è d'un effetto sconcertante, impossibile a dirsi.

Se talvolta una carne geme d'ebbrezza nessuno facaso alla fragilità dei sensi. Convenienze e pudori nonhanno significato per i devoti dell'oppio.

Accanto ad ogni fumatore arde la piccola lampadasulla quale le serventi liquefanno la droga. Nel silenzioassoluto si sente il cigolìo aspro dell'oppio che stridesulla fiamma come un tarlo instancabile. È un ronzìocontinuo, un fru-fru d'ali di falena su un vetro invisibile.

L'oppio satura l'ambiente della sua vaporosità torbidae dolce. Le pareti, le tende, gli oggetti, le carni stessesono impregnate del suo sentore potente.

A volte una donna-idolo si stacca come una sonnam-bula dalle pareti, si curva a prendere una pipa facendotintinnare i vezzi di giada e di cristallo, l'aspira solenne-mente, resta un momento in piedi avvolta nella nuvoladorata, poi silenziosamente ritorna al suo posto e ripren-de la sua immobilità statuaria.

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d'oppio indiano. Le seconde infagottate nei broccati, ca-riche di collane e di gioielli, restano sedute sugli sgabel-li contro le pareti, immobili e taciturne come statue. Illoro compito è di offrire ai fumatori un punto di parten-za nei loro sogni ed un punto di appoggio per le lorofantasticherie. I costumi riproducono esattamente quellidelle dinastie imperiali pre-mongoliche. I visi delle unee delle altre sono identici, copie conformi di una bambo-la dipinta fabbricate a serie da una macchina misteriosa,e quest'uniformità di volto fra gli idoli d'oro e le femmi-ne nude è d'un effetto sconcertante, impossibile a dirsi.

Se talvolta una carne geme d'ebbrezza nessuno facaso alla fragilità dei sensi. Convenienze e pudori nonhanno significato per i devoti dell'oppio.

Accanto ad ogni fumatore arde la piccola lampadasulla quale le serventi liquefanno la droga. Nel silenzioassoluto si sente il cigolìo aspro dell'oppio che stridesulla fiamma come un tarlo instancabile. È un ronzìocontinuo, un fru-fru d'ali di falena su un vetro invisibile.

L'oppio satura l'ambiente della sua vaporosità torbidae dolce. Le pareti, le tende, gli oggetti, le carni stessesono impregnate del suo sentore potente.

A volte una donna-idolo si stacca come una sonnam-bula dalle pareti, si curva a prendere una pipa facendotintinnare i vezzi di giada e di cristallo, l'aspira solenne-mente, resta un momento in piedi avvolta nella nuvoladorata, poi silenziosamente ritorna al suo posto e ripren-de la sua immobilità statuaria.

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Altre volte è una delle serventi nude che si solleva suiginocchi per eseguire la medesima operazione. La pic-cola lampada dell'oppio investe la parte inferiore delcorpo in una luminosità gialla a riflessi d'oro, mentre ilgrande lampione proietta sul viso e sul torso un lividoresmorto. Allora le piccole donne rassomigliano fantasti-camente a quei ninnoli di avorio o di giada nei qualiignoti artisti portentosi sintetizzano i gusti e le fantasiedella razza...

A quest'ora molti hanno sospeso di fumare. Sono giànel regno dei sogni e delle chimere, dei miraggi e dellevisioni: in un mondo nel quale noi non possiamo avven-turarci anche volendo perchè è tutto dominato da una fi-losofia che è irriducibilmente in contrasto con gli atteg-giamenti ereditarii del nostro spirito.

Anche volendo noi non possiamo eliminare dai nostrisogni l'Occidente del quale siamo parte, le forme e letendenze della nostra civiltà operosa e conquistatrice, iconcetti che ci siamo formati dell'amore, della famiglia,dell'ambizione, della gelosia, delle virtù e dei vizi umaniattraverso la lenta evoluzione dei nostri padri.

Quanti fumatori d'oppio europei ho interrogatom'hanno sempre confessato che le loro estasi tendonofatalmente verso l'incubo. Abituati al rombo dei direttis-simi lanciati attraverso le campagne, alle corse di cavallie di automobili, alle battaglie dello sport e della politica,alla glorificazione dell'emulazione umana nella quale èla sintesi del nostro progresso, all'incessante lotta occi-dentale per la conquista dell'individuo e della collettivi-

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Altre volte è una delle serventi nude che si solleva suiginocchi per eseguire la medesima operazione. La pic-cola lampada dell'oppio investe la parte inferiore delcorpo in una luminosità gialla a riflessi d'oro, mentre ilgrande lampione proietta sul viso e sul torso un lividoresmorto. Allora le piccole donne rassomigliano fantasti-camente a quei ninnoli di avorio o di giada nei qualiignoti artisti portentosi sintetizzano i gusti e le fantasiedella razza...

A quest'ora molti hanno sospeso di fumare. Sono giànel regno dei sogni e delle chimere, dei miraggi e dellevisioni: in un mondo nel quale noi non possiamo avven-turarci anche volendo perchè è tutto dominato da una fi-losofia che è irriducibilmente in contrasto con gli atteg-giamenti ereditarii del nostro spirito.

Anche volendo noi non possiamo eliminare dai nostrisogni l'Occidente del quale siamo parte, le forme e letendenze della nostra civiltà operosa e conquistatrice, iconcetti che ci siamo formati dell'amore, della famiglia,dell'ambizione, della gelosia, delle virtù e dei vizi umaniattraverso la lenta evoluzione dei nostri padri.

Quanti fumatori d'oppio europei ho interrogatom'hanno sempre confessato che le loro estasi tendonofatalmente verso l'incubo. Abituati al rombo dei direttis-simi lanciati attraverso le campagne, alle corse di cavallie di automobili, alle battaglie dello sport e della politica,alla glorificazione dell'emulazione umana nella quale èla sintesi del nostro progresso, all'incessante lotta occi-dentale per la conquista dell'individuo e della collettivi-

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tà, forgiati in un modo speciale dall'impronta dei secoliche furono e che portiamo dentro di noi per la concate-nazione misteriosa dei protoplasmi, uomini d'altra razza,d'altra matrice, forse, chissà, d'altro spirito, noi non pos-siamo seguire i gialli nel paradiso artificiale delle loroebbrezze. Ci sporchiamo semplicemente la bocca, ci av-veleniamo il corpo, stravolgiamo il nostro cervello conacrobazie di demenza.

Ogni qualvolta ho avuto occasione di vedere fumatorid'oppio occidentali durante l'azione della droga, ho rico-nosciuto, nelle loro faccie sconvolte e nei loro occhi stu-pidi, lo stesso intontimento bestiale dell'alcool.

Nel guardare invece questi uomini d'Estremo Orienteche maneggiano elegantemente con le loro dita affusola-te d'avorio le pipe terribili, queste figure d'ambra chiara,di porcellana lucida e di pergamena rugosa che paionoilluminate da una luce interiore, ho la medesima impres-sione di infinita beatitudine che emana dai grassi Budd-ha delle pagode.

Che cosa vedono i gialli? Che cosa sentono? Immagi-nano forse di essere sui troni imperiali delle dinastiescomparse nella polvere dei secoli? D'essere a colloquiocon le forze soprannaturali che hanno macerato la razzaantichissima nel ritmo dei millenni!? Di stemperarsinell'etere divino donde scaturiscono e dove si riassorbo-no gli enigmi e le magnificenze del creato? Perchè tutti iloro più grandi poeti cantano il paradiso dell'oppio comeil vertice supremo della beatitudine? Perchè tutti i lorosaggi attribuiscono alla piccola lampada che avvelena il

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tà, forgiati in un modo speciale dall'impronta dei secoliche furono e che portiamo dentro di noi per la concate-nazione misteriosa dei protoplasmi, uomini d'altra razza,d'altra matrice, forse, chissà, d'altro spirito, noi non pos-siamo seguire i gialli nel paradiso artificiale delle loroebbrezze. Ci sporchiamo semplicemente la bocca, ci av-veleniamo il corpo, stravolgiamo il nostro cervello conacrobazie di demenza.

Ogni qualvolta ho avuto occasione di vedere fumatorid'oppio occidentali durante l'azione della droga, ho rico-nosciuto, nelle loro faccie sconvolte e nei loro occhi stu-pidi, lo stesso intontimento bestiale dell'alcool.

Nel guardare invece questi uomini d'Estremo Orienteche maneggiano elegantemente con le loro dita affusola-te d'avorio le pipe terribili, queste figure d'ambra chiara,di porcellana lucida e di pergamena rugosa che paionoilluminate da una luce interiore, ho la medesima impres-sione di infinita beatitudine che emana dai grassi Budd-ha delle pagode.

Che cosa vedono i gialli? Che cosa sentono? Immagi-nano forse di essere sui troni imperiali delle dinastiescomparse nella polvere dei secoli? D'essere a colloquiocon le forze soprannaturali che hanno macerato la razzaantichissima nel ritmo dei millenni!? Di stemperarsinell'etere divino donde scaturiscono e dove si riassorbo-no gli enigmi e le magnificenze del creato? Perchè tutti iloro più grandi poeti cantano il paradiso dell'oppio comeil vertice supremo della beatitudine? Perchè tutti i lorosaggi attribuiscono alla piccola lampada che avvelena il

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potere di massimo sole illuminante la stirpe? Perchè tan-ti sommi artisti hanno consumato gli occhi e l'ispirazio-ne a cesellare con mistico ed appassionato amore, le fra-gili pipe dispensatrici di morte? Perchè? Perchè?....

Due fumatori gialli m'hanno fatto le loro confidenze.Aspetto d'interrogare domani o dopodomani il lustra-scarpe del mio albergo che da venti anni trascorre la vitain un bugigattolo in compagnia della lampada misterio-sa, per penetrare la prossima volta, insieme con voi, nelmondo cinese dei sogni.

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potere di massimo sole illuminante la stirpe? Perchè tan-ti sommi artisti hanno consumato gli occhi e l'ispirazio-ne a cesellare con mistico ed appassionato amore, le fra-gili pipe dispensatrici di morte? Perchè? Perchè?....

Due fumatori gialli m'hanno fatto le loro confidenze.Aspetto d'interrogare domani o dopodomani il lustra-scarpe del mio albergo che da venti anni trascorre la vitain un bugigattolo in compagnia della lampada misterio-sa, per penetrare la prossima volta, insieme con voi, nelmondo cinese dei sogni.

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Confidenze di fumatori

CHOLON, 11 maggio.

Il primo fumatore lo chiameremo per comodità Ting.È un mercante cinese ricco a milioni che dalla sua

scrivania di lacca rossa intarsiata a draghi e marionetted'oro dirige un esercito di impiegati e di agenti sparpa-gliati in tutta la Cocincina, fino nel lontano Tonkino enel Laos misterioso.

Impresta denaro ai contadini annamiti perchè possanoseminare il riso, e fra un raccolto e l'altro fornisce loro acredenza tutto ciò di cui hanno bisogno, dalle pentoled'alluminio tedesco, al pigiama di seta ricamata, dai pe-scetti secchi del lago To-lé, all'oppio profumato di Be-nares. La banca di Ting è una provvidenza per le campa-gne dell'Annam! Quando è la festa del Dragone, quelladel Serpente-Re, o del Té, o del Keng-Fui, Ting pensa aisuoi poveri clienti annamiti che hanno bisogno di piastreper solennizzare le ricorrenze nazionali secondo i riticome si conviene ad un «perfetto nipote» del grandeGiao-kì.

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Confidenze di fumatori

CHOLON, 11 maggio.

Il primo fumatore lo chiameremo per comodità Ting.È un mercante cinese ricco a milioni che dalla sua

scrivania di lacca rossa intarsiata a draghi e marionetted'oro dirige un esercito di impiegati e di agenti sparpa-gliati in tutta la Cocincina, fino nel lontano Tonkino enel Laos misterioso.

Impresta denaro ai contadini annamiti perchè possanoseminare il riso, e fra un raccolto e l'altro fornisce loro acredenza tutto ciò di cui hanno bisogno, dalle pentoled'alluminio tedesco, al pigiama di seta ricamata, dai pe-scetti secchi del lago To-lé, all'oppio profumato di Be-nares. La banca di Ting è una provvidenza per le campa-gne dell'Annam! Quando è la festa del Dragone, quelladel Serpente-Re, o del Té, o del Keng-Fui, Ting pensa aisuoi poveri clienti annamiti che hanno bisogno di piastreper solennizzare le ricorrenze nazionali secondo i riticome si conviene ad un «perfetto nipote» del grandeGiao-kì.

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Ting è grasso, tondo, lucido, untuoso, cerimonioso,sorridente. Ting parla francese, inglese, annamita, tonki-nese, i dialetti del sud e del nord, gli idiomi del Laos edel Camboge. Quando il governatore generale di Saigonoffre un ballo per festeggiare la presa della Bastiglia, odil Milite Ignoto di Verdun, non dimentica mai d'invitarel'eccellente Ting il quale fra le altre cose è il Capo d'una«congregazione», presidente di un circolo, commenda-tore del Dragone e dell'Elefante, cavaliere della Legioned'Onore per i servizi resi all'Intendenza dell'Indocina du-rante la guerra.

Ma Ting è un cinese che fuma l'oppio, cioè un uomoche una volta o due alla settimana dimentica le risaie, iconti correnti con le Banche, le dodici società anonimedelle quali è amministratore-delegato, per rifugiarsi nelparadiso dei suoi padri. Allora Ting è un altro. Fino allaquindicesima pipa sorride diplomaticamente senza sbot-tonarsi, fra la quindicesima e la venticinquesima, chiac-chiera come una macchinetta, dopo la venticinquesimasogna ad occhi aperti e non parla più.

— Dimmi, Ting, è veramente così dolce l'oppio? Checosa vedi Ting? Che cosa senti? Perchè una fiammagialla s'accende nei tuoi occhi di vetro? Immaginid'essere non il re del riso di Cholon ma il re di tutti imercati, di tutte le Banche e di tutte le ricchezze delmondo?

— Straniero, tu non capisci niente. Non è colpa tuama non puoi capire niente perchè la tua razza è ancora

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Ting è grasso, tondo, lucido, untuoso, cerimonioso,sorridente. Ting parla francese, inglese, annamita, tonki-nese, i dialetti del sud e del nord, gli idiomi del Laos edel Camboge. Quando il governatore generale di Saigonoffre un ballo per festeggiare la presa della Bastiglia, odil Milite Ignoto di Verdun, non dimentica mai d'invitarel'eccellente Ting il quale fra le altre cose è il Capo d'una«congregazione», presidente di un circolo, commenda-tore del Dragone e dell'Elefante, cavaliere della Legioned'Onore per i servizi resi all'Intendenza dell'Indocina du-rante la guerra.

Ma Ting è un cinese che fuma l'oppio, cioè un uomoche una volta o due alla settimana dimentica le risaie, iconti correnti con le Banche, le dodici società anonimedelle quali è amministratore-delegato, per rifugiarsi nelparadiso dei suoi padri. Allora Ting è un altro. Fino allaquindicesima pipa sorride diplomaticamente senza sbot-tonarsi, fra la quindicesima e la venticinquesima, chiac-chiera come una macchinetta, dopo la venticinquesimasogna ad occhi aperti e non parla più.

— Dimmi, Ting, è veramente così dolce l'oppio? Checosa vedi Ting? Che cosa senti? Perchè una fiammagialla s'accende nei tuoi occhi di vetro? Immaginid'essere non il re del riso di Cholon ma il re di tutti imercati, di tutte le Banche e di tutte le ricchezze delmondo?

— Straniero, tu non capisci niente. Non è colpa tuama non puoi capire niente perchè la tua razza è ancora

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all'infanzia. I nipotini non afferrano mai i discorsi seriidei grandi. L'oppio che illumina il cervello dei giallioscura ancora di più quello dei bianchi che già brancola-no nelle tenebre. Ting il mercante è rimasto laggiù nellastanza nera ed oro, dinanzi alla scrivania rossa intarsiataa draghi e marionette. Qui la mia anima risale il corsodel tempo attraverso i morti nei quali ha abitato, fino alpiù grande di tutti l'imperatore Chi-Ma-Song. Io sonol'imperatore Chi-Ma-Song! L'oppio riconduce il miospirito indietro nei secoli fino all'epoca in cui il mio spi-rito d'oggi faceva parte dell'anima imperiale di Chi-Ma-Song. Ed intorno ad essa si riuniscono gli spiriti dellegenti con le quali aveva l'abitudine di conversare.

— Ma noi siamo nella fumeria di Kong-hop, Ting, edintorno a noi non c'è anima viva...

— Poveretto! Io sono già vuoto, leggero, gassoso. Latua voce mi sembra ora lontana. Tu parli della terramentre io sono già distante. Il miele nero ha fatto affio-rare alla superficie della mia carne il fluido dell'esisten-za e l'ha messo in contatto con gli altri fluidi che sonostemperati nell'aria. Sai perchè l'anno scorso ho rovinatoCing e Tao-lì che volevano ridurmi alla miseria? Perchèl'Imperatore Chi-Ma-Song mio trisavolo che è in me, hapreso in quell'occasione la direzione del mio spirito el'ha guidato nella battaglia, così come aveva l'abitudinedi mettersi alla testa delle truppe imperiali e di conqui-stare le provincie dei mandarini ribelli. Ting si rovina,dicevano alla borsa di Cho-lon! Ting ha perso la testa,sussurravano al mercato di Saigon! Io obbedivo invece

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all'infanzia. I nipotini non afferrano mai i discorsi seriidei grandi. L'oppio che illumina il cervello dei giallioscura ancora di più quello dei bianchi che già brancola-no nelle tenebre. Ting il mercante è rimasto laggiù nellastanza nera ed oro, dinanzi alla scrivania rossa intarsiataa draghi e marionette. Qui la mia anima risale il corsodel tempo attraverso i morti nei quali ha abitato, fino alpiù grande di tutti l'imperatore Chi-Ma-Song. Io sonol'imperatore Chi-Ma-Song! L'oppio riconduce il miospirito indietro nei secoli fino all'epoca in cui il mio spi-rito d'oggi faceva parte dell'anima imperiale di Chi-Ma-Song. Ed intorno ad essa si riuniscono gli spiriti dellegenti con le quali aveva l'abitudine di conversare.

— Ma noi siamo nella fumeria di Kong-hop, Ting, edintorno a noi non c'è anima viva...

— Poveretto! Io sono già vuoto, leggero, gassoso. Latua voce mi sembra ora lontana. Tu parli della terramentre io sono già distante. Il miele nero ha fatto affio-rare alla superficie della mia carne il fluido dell'esisten-za e l'ha messo in contatto con gli altri fluidi che sonostemperati nell'aria. Sai perchè l'anno scorso ho rovinatoCing e Tao-lì che volevano ridurmi alla miseria? Perchèl'Imperatore Chi-Ma-Song mio trisavolo che è in me, hapreso in quell'occasione la direzione del mio spirito el'ha guidato nella battaglia, così come aveva l'abitudinedi mettersi alla testa delle truppe imperiali e di conqui-stare le provincie dei mandarini ribelli. Ting si rovina,dicevano alla borsa di Cho-lon! Ting ha perso la testa,sussurravano al mercato di Saigon! Io obbedivo invece

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ad istruzioni che venivano di lontano, dal cervello infal-libile del mio grande avo. Le giunche cariche di riso siaffondavano nei canali. I magazzini colmi di riso si bru-ciavano. Dal Tonkino scendevano i venti avvelenati delKeng-Fui a distruggere le nuove semine. I giapponesivolevano riso, i francesi volevano riso, gli inglesi tele-grafavano da Bangok e da Rangoon. Ma nessuno neaveva. Ting aveva comperato tutto e Ting ha vinto per-chè i trisavoli dei miei concorrenti Cing e Tao-li eranosemplici mandarini di terza classe ai quali l'imperatoreChi-Ma-Song faceva fare ciò che voleva.

— Continua Ting.— Tu credi che io fumi l'oppio perchè mi piace l'odo-

re della droga o perchè mi piacciono le piccole donnenude che preparano le pipe appoggiando i cannelli digiada sui loro seni di albicocca? A me le donne non di-cono niente, giovane straniero ignorante, e la pipa è so-vente amara al palato come la foglia avvelenata dellostrofanto. Ma se io non fumassi l'oppio le anime deimiei padri s'aggirerebbero intorno a me senza che iofossi in grado di ascoltare le loro voci d'oltre tomba.L'impermeabilità del mio corpo impedirebbe alla co-scienza di percepire i soffi degli altri spiriti. L'oppio al-larga i pori, allenta i tessuti, dissolve i liquidi connettividelle ossa, schiude le porte della prigione di carne, per-mette al mio essere di corrispondere con le «influenze»degli antenati, di far tesoro della loro esperienza mille-naria, d'approfittare della luce dei loro occhi che hannovisto le cose dei secoli. A volte...

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ad istruzioni che venivano di lontano, dal cervello infal-libile del mio grande avo. Le giunche cariche di riso siaffondavano nei canali. I magazzini colmi di riso si bru-ciavano. Dal Tonkino scendevano i venti avvelenati delKeng-Fui a distruggere le nuove semine. I giapponesivolevano riso, i francesi volevano riso, gli inglesi tele-grafavano da Bangok e da Rangoon. Ma nessuno neaveva. Ting aveva comperato tutto e Ting ha vinto per-chè i trisavoli dei miei concorrenti Cing e Tao-li eranosemplici mandarini di terza classe ai quali l'imperatoreChi-Ma-Song faceva fare ciò che voleva.

— Continua Ting.— Tu credi che io fumi l'oppio perchè mi piace l'odo-

re della droga o perchè mi piacciono le piccole donnenude che preparano le pipe appoggiando i cannelli digiada sui loro seni di albicocca? A me le donne non di-cono niente, giovane straniero ignorante, e la pipa è so-vente amara al palato come la foglia avvelenata dellostrofanto. Ma se io non fumassi l'oppio le anime deimiei padri s'aggirerebbero intorno a me senza che iofossi in grado di ascoltare le loro voci d'oltre tomba.L'impermeabilità del mio corpo impedirebbe alla co-scienza di percepire i soffi degli altri spiriti. L'oppio al-larga i pori, allenta i tessuti, dissolve i liquidi connettividelle ossa, schiude le porte della prigione di carne, per-mette al mio essere di corrispondere con le «influenze»degli antenati, di far tesoro della loro esperienza mille-naria, d'approfittare della luce dei loro occhi che hannovisto le cose dei secoli. A volte...

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Page 257: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

— Perchè ti fermi, Ting?— A volte i padri mi ricevono nel loro cenacolo in

mezzo alle steppe, ai laghi ed agli acquitrini della gran-de pianura del Mezzo. Non ti dico il nome della cittàperchè non ti direbbe niente, giovane straniero ignoran-te. Ti basti sapere che un tempo, quando Londra e Parigierano ancora quattro capanne abitate da selvaggi, essacomandava a cento milioni di sudditi. Tre muraglie, unagrigia di granito, una rossa di porfido, una nera di arde-sia, la proteggevano dai nemici e dai curiosi. Nel mezzosorgeva un giardino meraviglioso di ibischi e di fiori diloto con un lago celeste nel quale si specchiava un ca-stello. Le torri di porcellana avevano la colorazione de-licata dei cieli mattutini. Lì abitava il mio arcibisavolo,l'imperatore Chi-Ma-Song. Ora il castello è abbandona-to dagli uomini. Lo abitano solo gli spiriti di coloro chevissero dentro le sua mura. Visto dal di fuori il giardinosembra una foresta selvaggia ma sotto l'ammasso dellefoglie si perpetuano le meraviglie del passato. Siccomeuna piccola parte dell'anima di Chi-Ma-Song è in me,anch'io ho libero accesso al luogo quando il mio spiritopuò, grazie all'oppio, irradiarsi in distanza. Ci riuniamolà sulle stuoie antichissime sotto i parasoli screziati di-gemme. La folla sterminata dei cortigiani e dei servi checi adorarono in vita si raccoglie prosternata a venerarcied a bruciare i bastoncini d'incenso. Una pace inesprimi-bile regna nel santuario imperiale. E le parole dei pre-senti, magnificate dalla sapienza dei secoli, sono comegoccie concentrate di saggezza...

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— Perchè ti fermi, Ting?— A volte i padri mi ricevono nel loro cenacolo in

mezzo alle steppe, ai laghi ed agli acquitrini della gran-de pianura del Mezzo. Non ti dico il nome della cittàperchè non ti direbbe niente, giovane straniero ignoran-te. Ti basti sapere che un tempo, quando Londra e Parigierano ancora quattro capanne abitate da selvaggi, essacomandava a cento milioni di sudditi. Tre muraglie, unagrigia di granito, una rossa di porfido, una nera di arde-sia, la proteggevano dai nemici e dai curiosi. Nel mezzosorgeva un giardino meraviglioso di ibischi e di fiori diloto con un lago celeste nel quale si specchiava un ca-stello. Le torri di porcellana avevano la colorazione de-licata dei cieli mattutini. Lì abitava il mio arcibisavolo,l'imperatore Chi-Ma-Song. Ora il castello è abbandona-to dagli uomini. Lo abitano solo gli spiriti di coloro chevissero dentro le sua mura. Visto dal di fuori il giardinosembra una foresta selvaggia ma sotto l'ammasso dellefoglie si perpetuano le meraviglie del passato. Siccomeuna piccola parte dell'anima di Chi-Ma-Song è in me,anch'io ho libero accesso al luogo quando il mio spiritopuò, grazie all'oppio, irradiarsi in distanza. Ci riuniamolà sulle stuoie antichissime sotto i parasoli screziati di-gemme. La folla sterminata dei cortigiani e dei servi checi adorarono in vita si raccoglie prosternata a venerarcied a bruciare i bastoncini d'incenso. Una pace inesprimi-bile regna nel santuario imperiale. E le parole dei pre-senti, magnificate dalla sapienza dei secoli, sono comegoccie concentrate di saggezza...

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SAIGON – Una strada del quartiere annamita.

SAIGON – Il palazzo del Governo.

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SAIGON – Una strada del quartiere annamita.

SAIGON – Il palazzo del Governo.

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Page 259: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Ting s'interrompe un momento, si china sulla lampa-da ad aspirare d'un sol fiato la venticinquesima pipa, re-sta così qualche minuto con la bocca semiaperta e le na-rici ansanti, a gustare il fumo dolce e grasso che tarda asvanire. Poi riprende a parlare con un piccolo nodo nellalingua.

— Non solo i morti ma i futuri si riuniscono al castel-lo. L'ieri ed il domani non hanno segreti per me. I prin-cipi dei secoli che furono lasciano le loro tombe di gra-nito, vigilate dai draghi e dalle tigri, per far corona alvecchio imperatore. I principi dei secoli che verranno,convengono dalle lontananze dell'universo a tener com-pagnia ai predecessori...

— Dei secoli che verranno?— Sì, quelli che ora sono in parte dentro di noi, di noi

mercanti di riso e di coprah che lavoriamo ad ammassa-re ricchezze perchè i nipoti guerrieri trovino i mezzi ne-cessari alla riscossa del Drago di Cina!

E Ting non parla più. Lo interrogo ma non risponde.Lo scuoto ma non se n'avvede. Evidentemente, dopo laventicinquesima pipa, il suo spirito è partito per la cittàdelle tre muraglie ed ora conversa coi saggi della corteimperiale.

Il secondo è Long, di professione lustrascarpe onora-rio dell'hotel de France.

Durante trent'anni Long ha imbiancato col gesso diSpagna le scarpe coloniali di migliaia e migliaia di pas-santi – funzionarii, soldati, preti, marinai, mercanti, ban-

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Ting s'interrompe un momento, si china sulla lampa-da ad aspirare d'un sol fiato la venticinquesima pipa, re-sta così qualche minuto con la bocca semiaperta e le na-rici ansanti, a gustare il fumo dolce e grasso che tarda asvanire. Poi riprende a parlare con un piccolo nodo nellalingua.

— Non solo i morti ma i futuri si riuniscono al castel-lo. L'ieri ed il domani non hanno segreti per me. I prin-cipi dei secoli che furono lasciano le loro tombe di gra-nito, vigilate dai draghi e dalle tigri, per far corona alvecchio imperatore. I principi dei secoli che verranno,convengono dalle lontananze dell'universo a tener com-pagnia ai predecessori...

— Dei secoli che verranno?— Sì, quelli che ora sono in parte dentro di noi, di noi

mercanti di riso e di coprah che lavoriamo ad ammassa-re ricchezze perchè i nipoti guerrieri trovino i mezzi ne-cessari alla riscossa del Drago di Cina!

E Ting non parla più. Lo interrogo ma non risponde.Lo scuoto ma non se n'avvede. Evidentemente, dopo laventicinquesima pipa, il suo spirito è partito per la cittàdelle tre muraglie ed ora conversa coi saggi della corteimperiale.

Il secondo è Long, di professione lustrascarpe onora-rio dell'hotel de France.

Durante trent'anni Long ha imbiancato col gesso diSpagna le scarpe coloniali di migliaia e migliaia di pas-santi – funzionarii, soldati, preti, marinai, mercanti, ban-

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diti – sopportando con filosofia annamita le loro inso-lenze, aspirando l'odore dei cuoi umidi e dei piedi suda-ti, studiando la psicologia delle genti sulla sensibilità deicalli e sull'impazienza delle caviglie.

Poi, diventato troppo vecchio, sarebbe stato cacciatovia come un cane rognoso se non avesse avuto l'onore diessere stato in giovinezza boy del primo governatorefrancese dell'Indocina, Francis Garnier. La Repubblicariconoscente ha interposto i suoi buoni uffici presso ladirezione dell'albergo perchè non fosse condannato alvagabondaggio chi aveva avuto indirettamente una partecosì importante nella organizzazione dei possedimentifrancesi d'Estremo Oriente attraverso le calzature delgrande Governatore! E l'albergo, lieto di poter aggiun-gere alle sue benemerenze ufficiali, anche l'esclusivitàdel leggendario lustrascarpe, gli ha accordato, vita natu-ral durante per decisione del Consiglio d'Amministra-zione, una specie di colombaia al livello del tetto e duepiatti di riso cotto alle ore della table d'hôte.

Il riso e il casotto bastano a Long, il quale da buonannamita non ha molti desideri, però l'oppio bisogna chese lo comperi, non avendo la direzione dell'albergo cre-duto di spingere la riconoscenza coloniale finoall'appannaggio di cinque franchi settimanali.

Long ha un corpo interminabile, scheletrico, tuttoossa e pelle. L'epidermide del viso ha assunto con glianni, l'aspetto di una vecchia pergamena raggrinzita: gliocchietti obliqui sono diventati ancora più obliqui, quasidanno l'impressione d'essere addirittura inarcati all'insù.

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diti – sopportando con filosofia annamita le loro inso-lenze, aspirando l'odore dei cuoi umidi e dei piedi suda-ti, studiando la psicologia delle genti sulla sensibilità deicalli e sull'impazienza delle caviglie.

Poi, diventato troppo vecchio, sarebbe stato cacciatovia come un cane rognoso se non avesse avuto l'onore diessere stato in giovinezza boy del primo governatorefrancese dell'Indocina, Francis Garnier. La Repubblicariconoscente ha interposto i suoi buoni uffici presso ladirezione dell'albergo perchè non fosse condannato alvagabondaggio chi aveva avuto indirettamente una partecosì importante nella organizzazione dei possedimentifrancesi d'Estremo Oriente attraverso le calzature delgrande Governatore! E l'albergo, lieto di poter aggiun-gere alle sue benemerenze ufficiali, anche l'esclusivitàdel leggendario lustrascarpe, gli ha accordato, vita natu-ral durante per decisione del Consiglio d'Amministra-zione, una specie di colombaia al livello del tetto e duepiatti di riso cotto alle ore della table d'hôte.

Il riso e il casotto bastano a Long, il quale da buonannamita non ha molti desideri, però l'oppio bisogna chese lo comperi, non avendo la direzione dell'albergo cre-duto di spingere la riconoscenza coloniale finoall'appannaggio di cinque franchi settimanali.

Long ha un corpo interminabile, scheletrico, tuttoossa e pelle. L'epidermide del viso ha assunto con glianni, l'aspetto di una vecchia pergamena raggrinzita: gliocchietti obliqui sono diventati ancora più obliqui, quasidanno l'impressione d'essere addirittura inarcati all'insù.

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Mani e piedi hanno la finezza aristocratica delle gentidell'Annam.

Le verità fondamentali del Tao-Té-King non hannosegreti per Long fino alla trentesima pipa. Dopo, la poe-sia lo trascina sulle sue ali di farfalla attraverso gli az-zurri. Fra una fantasticheria e l'altra Long dipinge colpennello su lenzuoli di carta-seta le produzioni del suoestro: in inchiostro nero le meditazioni sull'amore, in in-chiostro grigio quelle sulla politica, in inchiostro rossole meditazioni sulla morte. Dall'alto della sua piramidefilosofica Long giudica gli uomini e le cose del mondointero.

— A che pensate, Long?— Al denaro!— Avete forse bisogno di qualche cosa? Non avete

più oppio, più inchiostro, più carta di riso?— La lampada è accesa, il barattolo è pieno di miele.

Le mie parole erano senza malizia. Pensavo quanto sieteimbecilli voi occidentali a crearvi tanti grattacapi e tantidispiaceri per un po' di vanità o per un pugno di piastre.

— Avete scritto versi, stamane, Long?— No. Cinquanta pipe non sono state sufficenti a

sgombrare il cervello dalle nebbie che l'intorbidivano.Avrei bisogno di chiarezza perchè ho avuto stanotte unavisione incantevole.

— Racconta, Long.— È impossibile. Se potessi raccontare sarei capace

di scrivere. La carta invece, vedi, è bianca. Poi la linguadi questi francesi non si presta per cesellare il pensiero.

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Mani e piedi hanno la finezza aristocratica delle gentidell'Annam.

Le verità fondamentali del Tao-Té-King non hannosegreti per Long fino alla trentesima pipa. Dopo, la poe-sia lo trascina sulle sue ali di farfalla attraverso gli az-zurri. Fra una fantasticheria e l'altra Long dipinge colpennello su lenzuoli di carta-seta le produzioni del suoestro: in inchiostro nero le meditazioni sull'amore, in in-chiostro grigio quelle sulla politica, in inchiostro rossole meditazioni sulla morte. Dall'alto della sua piramidefilosofica Long giudica gli uomini e le cose del mondointero.

— A che pensate, Long?— Al denaro!— Avete forse bisogno di qualche cosa? Non avete

più oppio, più inchiostro, più carta di riso?— La lampada è accesa, il barattolo è pieno di miele.

Le mie parole erano senza malizia. Pensavo quanto sieteimbecilli voi occidentali a crearvi tanti grattacapi e tantidispiaceri per un po' di vanità o per un pugno di piastre.

— Avete scritto versi, stamane, Long?— No. Cinquanta pipe non sono state sufficenti a

sgombrare il cervello dalle nebbie che l'intorbidivano.Avrei bisogno di chiarezza perchè ho avuto stanotte unavisione incantevole.

— Racconta, Long.— È impossibile. Se potessi raccontare sarei capace

di scrivere. La carta invece, vedi, è bianca. Poi la linguadi questi francesi non si presta per cesellare il pensiero.

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Neppure il linguaggio degli zii cinesi può gareggiarecon la dolcezza dell'annamita.

— Racconta lo stesso, Long.— Ero in un giardino di nenufari e di frangipane at-

traversato da un canale. I fiori di loto non sbocciavano afior d'acqua ma si ergevano alti su lunghissimi stelid'argento. Il vento soffiando sugli steli ne estraevaun'armonia dolce e sommessa, dolce come il bacio delladonna amata, sommessa come il respiro delle foglie nel-le notti senza soffio. Io ero in un «sampan» dell'Annam,di quelli che non si costruiscono più, tutto di legno ditek macerato nella rosa e nell'oppio. E pian piano, di-nanzi ai miei occhi illuciditi dall'oppio, il paesaggio me-raviglioso si è trasformato, svelando la sua essenza inte-riore. I petali dei fiori di loto, agitati da un brivido divi-no, hanno incominciato a fremere, a muoversi, a gon-fiarsi, a diventare guancie, occhi, orecchie, fino ad assu-mere completamente la fisonomia delle donne che inquelle corolle vivono fugacemente un giorno o una pri-mavera, aspettando che la loro anima, a poco a poco, sispenga a forza di vivificare quelle delle loro discenden-ti. Ed erano volti bellissimi, tutti eguali, bianchi comel'avorio, con le ciglia unite e le bocche scarlatte spennel-late di sangue. Attraverso la trasparenza degli stelid'argento s'intravedevano i loro corpi pregni di latte e difragola, procaci ed immateriali nel medesimo tempo.Poi...

— Poi?

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Neppure il linguaggio degli zii cinesi può gareggiarecon la dolcezza dell'annamita.

— Racconta lo stesso, Long.— Ero in un giardino di nenufari e di frangipane at-

traversato da un canale. I fiori di loto non sbocciavano afior d'acqua ma si ergevano alti su lunghissimi stelid'argento. Il vento soffiando sugli steli ne estraevaun'armonia dolce e sommessa, dolce come il bacio delladonna amata, sommessa come il respiro delle foglie nel-le notti senza soffio. Io ero in un «sampan» dell'Annam,di quelli che non si costruiscono più, tutto di legno ditek macerato nella rosa e nell'oppio. E pian piano, di-nanzi ai miei occhi illuciditi dall'oppio, il paesaggio me-raviglioso si è trasformato, svelando la sua essenza inte-riore. I petali dei fiori di loto, agitati da un brivido divi-no, hanno incominciato a fremere, a muoversi, a gon-fiarsi, a diventare guancie, occhi, orecchie, fino ad assu-mere completamente la fisonomia delle donne che inquelle corolle vivono fugacemente un giorno o una pri-mavera, aspettando che la loro anima, a poco a poco, sispenga a forza di vivificare quelle delle loro discenden-ti. Ed erano volti bellissimi, tutti eguali, bianchi comel'avorio, con le ciglia unite e le bocche scarlatte spennel-late di sangue. Attraverso la trasparenza degli stelid'argento s'intravedevano i loro corpi pregni di latte e difragola, procaci ed immateriali nel medesimo tempo.Poi...

— Poi?

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— Ad un tratto vidi tutti quei fiori umani prosternarsifino a nascondere le bocche di sangue nell'acqua di sme-raldo. Il soffio degli aliti increspava il canale. E nel mio«sampan» balenò un raggio di sole, un raggio bianco-rosa di prima aurora che non si capiva donde scaturisseperchè tutto intorno era tenebra fonda. Quel raggio erauna donna. Non la vedevo, ma la sentivo! Per le virtùdell'oppio che affina l'intuito e sviluppa la sensibilità pe-netriamo i misteri dell'universo. Ogni cosa ha un'anima,solo noi non ce ne accorgiamo. L'oppio ci fa capire ilpianto della seta quando si strappa, l'urlo della porcella-na quando si rompe, il lamento dell'oggetto che casca esi fa male, il solletico d'un mobile laccato quando ci sipassa su il polpastrello, la carezza d'una stoffa, il sorrisod'una tenda... Quel raggio era vivo. Riconoscevo la ca-rezza tiepida e sapiente della mano femminile sulla miacarcassa di cartapecora, il solletico dei suoi riccioli sullemie guancie avvizzite, il delizioso contatto della suabocca fresca e calda ad un tempo sulle mie gengive sen-za denti, fresca come acqua di sorgente, ardente come lafiamma che morde l'oppio e l'obbliga a consumarsi. Lasua giovinezza invisibile possedè le mie ossa decrepite.Io ero tutto una delizia e tutto un dolore. Negli stelid'argento dei fiori di loto i corpi fremevano e fremevanopartecipando alla nostra gioia. Le bocche reclinesull'acqua giuocavano con l'onda di smeraldo. La musi-ca del creato cullava il nostro godimento.... Si sentiva ilsussurro dei pianeti roteanti nello spazio... il sibilo dellestelle che solcavano l'infinito... il brusìo delle anime va-

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— Ad un tratto vidi tutti quei fiori umani prosternarsifino a nascondere le bocche di sangue nell'acqua di sme-raldo. Il soffio degli aliti increspava il canale. E nel mio«sampan» balenò un raggio di sole, un raggio bianco-rosa di prima aurora che non si capiva donde scaturisseperchè tutto intorno era tenebra fonda. Quel raggio erauna donna. Non la vedevo, ma la sentivo! Per le virtùdell'oppio che affina l'intuito e sviluppa la sensibilità pe-netriamo i misteri dell'universo. Ogni cosa ha un'anima,solo noi non ce ne accorgiamo. L'oppio ci fa capire ilpianto della seta quando si strappa, l'urlo della porcella-na quando si rompe, il lamento dell'oggetto che casca esi fa male, il solletico d'un mobile laccato quando ci sipassa su il polpastrello, la carezza d'una stoffa, il sorrisod'una tenda... Quel raggio era vivo. Riconoscevo la ca-rezza tiepida e sapiente della mano femminile sulla miacarcassa di cartapecora, il solletico dei suoi riccioli sullemie guancie avvizzite, il delizioso contatto della suabocca fresca e calda ad un tempo sulle mie gengive sen-za denti, fresca come acqua di sorgente, ardente come lafiamma che morde l'oppio e l'obbliga a consumarsi. Lasua giovinezza invisibile possedè le mie ossa decrepite.Io ero tutto una delizia e tutto un dolore. Negli stelid'argento dei fiori di loto i corpi fremevano e fremevanopartecipando alla nostra gioia. Le bocche reclinesull'acqua giuocavano con l'onda di smeraldo. La musi-ca del creato cullava il nostro godimento.... Si sentiva ilsussurro dei pianeti roteanti nello spazio... il sibilo dellestelle che solcavano l'infinito... il brusìo delle anime va-

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Page 264: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

ganti e dei fiori morenti... il ronzìo dei cervelli che pen-sano nel sepolcro dei teschi... Prima col sapone, poi conle spazzole, puliamo bene, lucidiamo bene, io primo lu-strascarpe dell'Hôtel de France, io primo boy di signorGarnier... io Long, vecchio Long, sposo di fate, poetadell'Annam...

Un filo di bava cola dalla bocca sdentata nell'incavodello sterno spaventoso.

Il terzo personaggio è una piccola «conghai», unadelle tante che nelle case di tè aspettano gli uomini.

È giovane, quasi bimba, ma fuma l'oppio, perciò hal'anima vecchia, quasi decrepita.

La chiamano Mi-bhà.Nipote d'una danzatrice della corte di Hué, figlia di

una cortigiana delle case di Cholon, Mi-bhà è stata edu-cata da piccola per fare la bambola di amore, amare nes-suno e tutti, non avere cuore, essere solo un corpo infa-gottato e dipinto, una bocca che bacia e che sorride.

— Perchè fumi, Mi-bhà?Perchè l'oppio è la sorgente della virtù. Dopo tre pipe,

ripeto la domanda: Perchè fumi, Mi-bhà?— Perchè mi piace la Montagna!Ancora una pipa, un'altra, un'altra ancora. La bocca

dipinta lascia un cerchietto rosso sul cannello di bambù.— E che cos'è la Montagna, Mi-bhà?— Tu non conosci la Montagna ed anche io non l'ho

mai vista la Montagna laggiù nel fondo dell'Annam,dov'è nata mia madre, dove sono nati e vissuti i miei pa-

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ganti e dei fiori morenti... il ronzìo dei cervelli che pen-sano nel sepolcro dei teschi... Prima col sapone, poi conle spazzole, puliamo bene, lucidiamo bene, io primo lu-strascarpe dell'Hôtel de France, io primo boy di signorGarnier... io Long, vecchio Long, sposo di fate, poetadell'Annam...

Un filo di bava cola dalla bocca sdentata nell'incavodello sterno spaventoso.

Il terzo personaggio è una piccola «conghai», unadelle tante che nelle case di tè aspettano gli uomini.

È giovane, quasi bimba, ma fuma l'oppio, perciò hal'anima vecchia, quasi decrepita.

La chiamano Mi-bhà.Nipote d'una danzatrice della corte di Hué, figlia di

una cortigiana delle case di Cholon, Mi-bhà è stata edu-cata da piccola per fare la bambola di amore, amare nes-suno e tutti, non avere cuore, essere solo un corpo infa-gottato e dipinto, una bocca che bacia e che sorride.

— Perchè fumi, Mi-bhà?Perchè l'oppio è la sorgente della virtù. Dopo tre pipe,

ripeto la domanda: Perchè fumi, Mi-bhà?— Perchè mi piace la Montagna!Ancora una pipa, un'altra, un'altra ancora. La bocca

dipinta lascia un cerchietto rosso sul cannello di bambù.— E che cos'è la Montagna, Mi-bhà?— Tu non conosci la Montagna ed anche io non l'ho

mai vista la Montagna laggiù nel fondo dell'Annam,dov'è nata mia madre, dove sono nati e vissuti i miei pa-

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dri, dove sarei vissuta anch'io, se al grande imperatoredi Hué non fossero piaciuti i seni di susina della madredi mia madre. Ma quando ho fumato molte pipe, moltepipe, ed il miele nero mi brucia in fondo alla gola, e misi chiudono gli occhi pesanti, e quasi mi sento morire, iosento il fresco della Montagna, ascolto il canto dellegrandi foglie, il gorgoglìo dell'acqua sui sassi lucidi ebianchi, l'urlo del vento che corre e si strappa ai ramiforcuti degli alberi maligni...

«... Vedo il mio villaggio con le case di bambù, la pa-goda col tetto d'oro che si guarda nel canale, gli uominidella mia razza che coltivano il riso nell'acqua ricamatadalle muffe, le donne che tritano i chicchi nei mortaicantando le canzoni della Montagna. Sono felici quelledonne che hanno un uomo solo, povero e bello, allegro ebuono, che torna la sera dai campi a mangiare il risobianco sulle foglie lucide!...

«... Vedo che un giorno anch'io rinascerò ai piedi del-la Montagna, sarò una «niam» di villaggio, assisterò allapartenza dei cacciatori che vanno a cercare la tigre nelleforeste senza luce, e sceglierò il più bello, il più giovaneed il più forte, per farne il mio amore! Andremo insiemelungo i canali di giada, in mezzo ai fiori di loto, sotto glialberi profumati che si scuotono di dosso i pensieri, nel-le ore che il sole pavesa di porpore infuocate i rasi az-zurri del cielo, quando i «gong» delle pagode chiamanole genti con la loro voce di velluto a bruciare i bastonci-ni d'incenso dinanzi alle tavolette degli Avi. Ed io bru-cierò l'incenso dinanzi a me stessa!

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dri, dove sarei vissuta anch'io, se al grande imperatoredi Hué non fossero piaciuti i seni di susina della madredi mia madre. Ma quando ho fumato molte pipe, moltepipe, ed il miele nero mi brucia in fondo alla gola, e misi chiudono gli occhi pesanti, e quasi mi sento morire, iosento il fresco della Montagna, ascolto il canto dellegrandi foglie, il gorgoglìo dell'acqua sui sassi lucidi ebianchi, l'urlo del vento che corre e si strappa ai ramiforcuti degli alberi maligni...

«... Vedo il mio villaggio con le case di bambù, la pa-goda col tetto d'oro che si guarda nel canale, gli uominidella mia razza che coltivano il riso nell'acqua ricamatadalle muffe, le donne che tritano i chicchi nei mortaicantando le canzoni della Montagna. Sono felici quelledonne che hanno un uomo solo, povero e bello, allegro ebuono, che torna la sera dai campi a mangiare il risobianco sulle foglie lucide!...

«... Vedo che un giorno anch'io rinascerò ai piedi del-la Montagna, sarò una «niam» di villaggio, assisterò allapartenza dei cacciatori che vanno a cercare la tigre nelleforeste senza luce, e sceglierò il più bello, il più giovaneed il più forte, per farne il mio amore! Andremo insiemelungo i canali di giada, in mezzo ai fiori di loto, sotto glialberi profumati che si scuotono di dosso i pensieri, nel-le ore che il sole pavesa di porpore infuocate i rasi az-zurri del cielo, quando i «gong» delle pagode chiamanole genti con la loro voce di velluto a bruciare i bastonci-ni d'incenso dinanzi alle tavolette degli Avi. Ed io bru-cierò l'incenso dinanzi a me stessa!

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«Quando ho fumato il miele di papavero mi par di an-ticipare la mia vita di domani: vedo quella che sarà lamia cai-nha ai piedi della Montagna... vedo i sentieriche passano dinanzi alla mia casa di poi e s'affondanonel verde, sento i passi della gente che tambureggianosull'erba, il suo passo... Uno stuolo di ibis trasvola sulcristallo azzurro del cielo, limpido ed immenso. La seraè tiepida, d'un tepore umido e stagnante che s'alza adondate dalla terra ardente. Ed un profumo dolce naviganell'aria...».

Mentre la «conghai» parla, lentamente, infantilmente,cogli occhi socchiusi, quasi conversasse con sé stessa, ilsudore scompone un po' la maschera dipinta del suoviso di bambola. Sotto la vernice porcellanata comparea tratti la patina giallina della razza.

Alle oscillazioni della piccola lampada mi accorgoche il mercante Ting, il lustrascarpe Long e la cortigianaMi-bhà si rassomigliano straordinariamente. Hanno lastessa fronte corta e sporgente, gli stessi pomelli promi-nenti, le stesse labbra sottili ed un po' tirate agli angolidella bocca, i medesimi occhi obliqui, le stesse pupilledi smalto nero che riflettono il vuoto d'un abisso senzafondo.

La somiglianza singolare rivela l'esatta similitudinedelle loro anime, scaturite da una polla unica della sor-gente umana, nutrite degli stessi pensieri e degli stessisogni.

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«Quando ho fumato il miele di papavero mi par di an-ticipare la mia vita di domani: vedo quella che sarà lamia cai-nha ai piedi della Montagna... vedo i sentieriche passano dinanzi alla mia casa di poi e s'affondanonel verde, sento i passi della gente che tambureggianosull'erba, il suo passo... Uno stuolo di ibis trasvola sulcristallo azzurro del cielo, limpido ed immenso. La seraè tiepida, d'un tepore umido e stagnante che s'alza adondate dalla terra ardente. Ed un profumo dolce naviganell'aria...».

Mentre la «conghai» parla, lentamente, infantilmente,cogli occhi socchiusi, quasi conversasse con sé stessa, ilsudore scompone un po' la maschera dipinta del suoviso di bambola. Sotto la vernice porcellanata comparea tratti la patina giallina della razza.

Alle oscillazioni della piccola lampada mi accorgoche il mercante Ting, il lustrascarpe Long e la cortigianaMi-bhà si rassomigliano straordinariamente. Hanno lastessa fronte corta e sporgente, gli stessi pomelli promi-nenti, le stesse labbra sottili ed un po' tirate agli angolidella bocca, i medesimi occhi obliqui, le stesse pupilledi smalto nero che riflettono il vuoto d'un abisso senzafondo.

La somiglianza singolare rivela l'esatta similitudinedelle loro anime, scaturite da una polla unica della sor-gente umana, nutrite degli stessi pensieri e degli stessisogni.

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Ho già visto gli stessi volti ed il medesimo sguardo.Dove? Sui paraventi, sui ventagli, nelle tazze, nelle lac-che, negli avorii, nelle figure simboliche dei vecchi Sag-gi d'Estremo Oriente che hanno modellato, con la lorofilosofia serena e profonda, la razza e la civiltà di questeterre; nei Confuci di maiolica, nei Meng-tzé di cartape-sta e di cera, nei Buddha di legno e di giada che sotto lafronte corta e sporgente sorridono, sorridono!...

Tre confidenze, tre rivelazioni, tre spiegazioni, forse:il mercante-filosofo, il lustrascarpe-poeta, la cortigiana-onesta: tre sciocchezze, tre bolle di sapone coloratedall'eterna illusione umana.

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Ho già visto gli stessi volti ed il medesimo sguardo.Dove? Sui paraventi, sui ventagli, nelle tazze, nelle lac-che, negli avorii, nelle figure simboliche dei vecchi Sag-gi d'Estremo Oriente che hanno modellato, con la lorofilosofia serena e profonda, la razza e la civiltà di questeterre; nei Confuci di maiolica, nei Meng-tzé di cartape-sta e di cera, nei Buddha di legno e di giada che sotto lafronte corta e sporgente sorridono, sorridono!...

Tre confidenze, tre rivelazioni, tre spiegazioni, forse:il mercante-filosofo, il lustrascarpe-poeta, la cortigiana-onesta: tre sciocchezze, tre bolle di sapone coloratedall'eterna illusione umana.

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Mi-Bhà

SAIGON, 21 maggio.

Nell'aula severa della Corte d'Assise gli occhi obliquidella folla gialla fissano i caratteri sibillini del «mane te-hel fares» d'occidente: «Liberté, Egalité, Fraternité»! Ementre il difensore d'ufficio fa appello alla coscienza deigiudici perchè tengano conto delle leggi millenarie allequali l'imputata ha obbedito, Mi-bhà si guarda sorriden-do le piccole unghie di porcellana.

Il presidente ha la testa calva e la barbetta alla Poin-caré, i due giudici coi baffi spioventi alla Briand, mo-strano un avanzo di capelli impomatati. I gendarmi an-namiti, coi capelli lunghi annodati sul cocuzzolo, sem-brano brutte donne malate d'itterizia travestite da poli-ziotti per una «pochade» parigina. Le faccie degli inter-preti, degli uscieri, degli scribacchini, dei segretarii, deipiantoni di servizio fanno parere ancora più carino ilviso di pupattola di Mi-bhà.

Mi-bhà ha un pigiama nero a bottoncini dorati comeusano le «conghai», cioè le donne dell'Annam che con-vivono maritalmente con un bianco, sposate in perfetta

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Mi-Bhà

SAIGON, 21 maggio.

Nell'aula severa della Corte d'Assise gli occhi obliquidella folla gialla fissano i caratteri sibillini del «mane te-hel fares» d'occidente: «Liberté, Egalité, Fraternité»! Ementre il difensore d'ufficio fa appello alla coscienza deigiudici perchè tengano conto delle leggi millenarie allequali l'imputata ha obbedito, Mi-bhà si guarda sorriden-do le piccole unghie di porcellana.

Il presidente ha la testa calva e la barbetta alla Poin-caré, i due giudici coi baffi spioventi alla Briand, mo-strano un avanzo di capelli impomatati. I gendarmi an-namiti, coi capelli lunghi annodati sul cocuzzolo, sem-brano brutte donne malate d'itterizia travestite da poli-ziotti per una «pochade» parigina. Le faccie degli inter-preti, degli uscieri, degli scribacchini, dei segretarii, deipiantoni di servizio fanno parere ancora più carino ilviso di pupattola di Mi-bhà.

Mi-bhà ha un pigiama nero a bottoncini dorati comeusano le «conghai», cioè le donne dell'Annam che con-vivono maritalmente con un bianco, sposate in perfetta

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regola secondo il rito annamita, il quale però non ha va-lore dinanzi ai tribunali civili della colonia. Un bel gior-no il marito bianco riparte per l'Europa, magari per spo-sare nel villaggio natio una ragazza allampanata piena disoldi, e lascia la «conghai» coi figli al suo destino. Umi-le storia, sempre eguale! Nei salotti della colonia è catti-vo gusto dare importanza a queste inezie. Colui che percaso innalza la piccola «conghai» al rango di madame odi mistress portandola dinanzi all'uffiziale civile è se-gnato a dito dalle misses e dalle zitelle come un... tradi-tore della razza.

Mi-bhà ha sacrificato al marito occidentale tante pic-cole abitudini dell'Annam, quella per esempio di tingersii denti di rosso o di nero con la vernice di betel, quelladi lubrificare i capelli con l'olio di ricino, d'unire col bi-stro nero le sopracciglia come nelle maschere delle pa-gode, d'appiattire i seni con una fascia strettissima digarza. Basta guardarla per capire che è «sposa» d'unbianco. Essa gli ha dato il suo corpo di bambola anna-mita, forse anche la piccola anima che ha l'istintodell'edera. Il vezzo di corallo che le casca dal collo sulseno ancora infantile non è un monile d'Estremo Orien-te: è una cosa d'Occidente, e quei grani rossi alternaticon boccole di filigrana stonano un po' sulla tunica nerasotto il viso di maiolica dipinta.

Io non so nulla di Mi-bhà eccettuato il suo nome chem'ha appreso il presidente durante l'interrogatorio. Cre-devo d'entrare in un tempio di Confucio che m'avevanoindicato dietro il mercato delle terrecotte e mi sono tro-

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regola secondo il rito annamita, il quale però non ha va-lore dinanzi ai tribunali civili della colonia. Un bel gior-no il marito bianco riparte per l'Europa, magari per spo-sare nel villaggio natio una ragazza allampanata piena disoldi, e lascia la «conghai» coi figli al suo destino. Umi-le storia, sempre eguale! Nei salotti della colonia è catti-vo gusto dare importanza a queste inezie. Colui che percaso innalza la piccola «conghai» al rango di madame odi mistress portandola dinanzi all'uffiziale civile è se-gnato a dito dalle misses e dalle zitelle come un... tradi-tore della razza.

Mi-bhà ha sacrificato al marito occidentale tante pic-cole abitudini dell'Annam, quella per esempio di tingersii denti di rosso o di nero con la vernice di betel, quelladi lubrificare i capelli con l'olio di ricino, d'unire col bi-stro nero le sopracciglia come nelle maschere delle pa-gode, d'appiattire i seni con una fascia strettissima digarza. Basta guardarla per capire che è «sposa» d'unbianco. Essa gli ha dato il suo corpo di bambola anna-mita, forse anche la piccola anima che ha l'istintodell'edera. Il vezzo di corallo che le casca dal collo sulseno ancora infantile non è un monile d'Estremo Orien-te: è una cosa d'Occidente, e quei grani rossi alternaticon boccole di filigrana stonano un po' sulla tunica nerasotto il viso di maiolica dipinta.

Io non so nulla di Mi-bhà eccettuato il suo nome chem'ha appreso il presidente durante l'interrogatorio. Cre-devo d'entrare in un tempio di Confucio che m'avevanoindicato dietro il mercato delle terrecotte e mi sono tro-

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vato nel cortile del Palazzo di Giustizia. Sono entratoegualmente perchè anche questo è un tempio nel quales'imparano tante cose e sovente s'intravedono i segreti dimille anime.

Quando l'avvocato termina la sua arringa, i giudici siritirano lentamente, dignitosi e solenni. Escono anchegli avvocati, i segretarii, gli uscieri, gli scribacchini, gliinterpreti, le donne-gendarme e l'imputata. Il rumore e lapolvere che la Corte fa nel ritirarsi, sono adeguatiall'importanza della sua funzione.

Nell'aula rimangono la folla silenziosa dei gialli ed ibusti di gesso allineati dietro i seggi dei magistrati: Wal-dek-Rousseau, Jules Ferry, Thièrs, Gambetta.

La folla gialla ed i grandi uomini di gesso hanno l'ariadi contemplarsi. Il sole ardente della Cocincina infiam-ma le vetrate. Le tre parole formidabili del frontispiziopesano sull'ambiente. «Liberté! Egalité! Fraternité!».Per esse un giallo è condannato od assolto in nome dellaGiustizia secondo i principii del Codice napoleonico,applicati a gente d'un'altra civiltà, d'un altro spirito, d'unaltro mondo.

La sentenza sarà pronunciata nel pomeriggio, dopo lacolazione dei magistrati. Gli intingoli del ristorante ed inervi delle mogli peseranno indubbiamente sul verdettodella povera Mi-bhà.

Mancano tre buone ore per la ripresa del processo, mala folla gialla resta nell'aula perchè non sa dove andare.Sono quasi tutti marinai di «sampan», facchini del molo

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vato nel cortile del Palazzo di Giustizia. Sono entratoegualmente perchè anche questo è un tempio nel quales'imparano tante cose e sovente s'intravedono i segreti dimille anime.

Quando l'avvocato termina la sua arringa, i giudici siritirano lentamente, dignitosi e solenni. Escono anchegli avvocati, i segretarii, gli uscieri, gli scribacchini, gliinterpreti, le donne-gendarme e l'imputata. Il rumore e lapolvere che la Corte fa nel ritirarsi, sono adeguatiall'importanza della sua funzione.

Nell'aula rimangono la folla silenziosa dei gialli ed ibusti di gesso allineati dietro i seggi dei magistrati: Wal-dek-Rousseau, Jules Ferry, Thièrs, Gambetta.

La folla gialla ed i grandi uomini di gesso hanno l'ariadi contemplarsi. Il sole ardente della Cocincina infiam-ma le vetrate. Le tre parole formidabili del frontispiziopesano sull'ambiente. «Liberté! Egalité! Fraternité!».Per esse un giallo è condannato od assolto in nome dellaGiustizia secondo i principii del Codice napoleonico,applicati a gente d'un'altra civiltà, d'un altro spirito, d'unaltro mondo.

La sentenza sarà pronunciata nel pomeriggio, dopo lacolazione dei magistrati. Gli intingoli del ristorante ed inervi delle mogli peseranno indubbiamente sul verdettodella povera Mi-bhà.

Mancano tre buone ore per la ripresa del processo, mala folla gialla resta nell'aula perchè non sa dove andare.Sono quasi tutti marinai di «sampan», facchini del molo

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fluviale, battellieri del fiume che hanno le loro case gal-leggianti sul Mekong. Si sono riuniti al Palazzo di Giu-stizia per tenere compagnia a Mi-bhà che è una dellaloro casta. I «sampan» sono lontani dal Palazzo, allinea-ti lungo il molo delle banane, all'imboccatura del canaledi Cholon. La distanza per andare e tornare è lunga e lestrade sono piene di sole. Oggi è mercato di riso ed i ne-gozianti cinesi cercano i «sampan» annamiti pel traspor-to a buon prezzo dei sacchi e delle ceste, ma Mi-bhà èuna figlia del fiume, nata a bordo d'un «sampan», ed hadiritto fino all'ultimo all'assistenza degli uomini del suosangue.

È vero che Mi-bhà ha disobbedito alla legge diven-tando «conghai», invece d'accomodare le reti e di lustra-re i «sampan» come le sue mille sorelle, ma ha riscattatolargamente la sua piccola colpa col suo ultimo gesto.Mi-bhà è in regola coi riti e solo il rito contanell'Annam.

L'anima di suo padre buttato nel fiume durante unarissa da un mercante cinese, doveva essere vendicata se-condo la legge millenaria del Cing. Toccava a Mi-bhà,unica discendente, di placare l'anima paterna e di impe-dire che il suo spirito esacerbato si trasformasse in ungenio malefico pei battellieri di «sampan». Mi-bhà losapeva. Era il suo destino. Fin dalla infanzia era stataeducata al culto sovrano degli Avi ed al rispetto dei ritisecolari le cui origini si perdono nelle penombre dellarazza. Si può dire che suo padre e sua madre non gliavevano insegnato altro. Per la sua piccola anima anna-

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fluviale, battellieri del fiume che hanno le loro case gal-leggianti sul Mekong. Si sono riuniti al Palazzo di Giu-stizia per tenere compagnia a Mi-bhà che è una dellaloro casta. I «sampan» sono lontani dal Palazzo, allinea-ti lungo il molo delle banane, all'imboccatura del canaledi Cholon. La distanza per andare e tornare è lunga e lestrade sono piene di sole. Oggi è mercato di riso ed i ne-gozianti cinesi cercano i «sampan» annamiti pel traspor-to a buon prezzo dei sacchi e delle ceste, ma Mi-bhà èuna figlia del fiume, nata a bordo d'un «sampan», ed hadiritto fino all'ultimo all'assistenza degli uomini del suosangue.

È vero che Mi-bhà ha disobbedito alla legge diven-tando «conghai», invece d'accomodare le reti e di lustra-re i «sampan» come le sue mille sorelle, ma ha riscattatolargamente la sua piccola colpa col suo ultimo gesto.Mi-bhà è in regola coi riti e solo il rito contanell'Annam.

L'anima di suo padre buttato nel fiume durante unarissa da un mercante cinese, doveva essere vendicata se-condo la legge millenaria del Cing. Toccava a Mi-bhà,unica discendente, di placare l'anima paterna e di impe-dire che il suo spirito esacerbato si trasformasse in ungenio malefico pei battellieri di «sampan». Mi-bhà losapeva. Era il suo destino. Fin dalla infanzia era stataeducata al culto sovrano degli Avi ed al rispetto dei ritisecolari le cui origini si perdono nelle penombre dellarazza. Si può dire che suo padre e sua madre non gliavevano insegnato altro. Per la sua piccola anima anna-

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Page 272: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

mita tutto il «dovere» e tutto «l'onore» erano concentratinella scrupolosa osservanza dei riti.

Pareva che Mi-bhà diventando «conghai» avesse di-menticato gli insegnamenti della famiglia e le tradizionimillenarie della sua gente, che si fosse traviata, che fos-se diventata una «figlia perduta», occupata solo dellesue vesti di seta, dei suoi parasoli di raso e dei suoi vez-zi di giada. Nei «sampan» del molo delle banane ne par-lavano come d'una rinnegata, e se talvolta una sua amicad'infanzia od un uomo del fiume la incontravano al ba-zar di Cholon, voltavano la faccia dall'altra parte pernon incrociare i suoi occhi. Al processo Mi-bhà avevapianto raccontando l'affronto.

No, Mi-bhà non aveva dimenticato. Se col tempo ave-va finito per adottare tanti usi e tante abitudinidell'uomo bianco che amava, nel vestire, nel mangiare,nella maniera di vivere ed anche un po' di pensare, nonaveva mai tralasciato di bruciare mattina e sera le carti-ne profumate della «preghiera» dinanzi all'altare degliantenati e di offrire loro ad ogni pasto una tazza di risoed un bocconcino di frutta. Ed ogni mese era andata, altempo della luna nuova, alla Pagoda degli Spiriti dinan-zi al grande Buddha dell'Annam a chiedere indulgenzapel suo amore colpevole.

Ed un giorno che l'assassino di suo padre, diventatoun ricco negoziante del molo del riso e fornitore del go-verno, era capitato in casa sua per parlare d'affari col«marito», Mi-bhà nascosta dietro un paravento avevaaspettato che le passasse vicino per conficcargli nelle

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mita tutto il «dovere» e tutto «l'onore» erano concentratinella scrupolosa osservanza dei riti.

Pareva che Mi-bhà diventando «conghai» avesse di-menticato gli insegnamenti della famiglia e le tradizionimillenarie della sua gente, che si fosse traviata, che fos-se diventata una «figlia perduta», occupata solo dellesue vesti di seta, dei suoi parasoli di raso e dei suoi vez-zi di giada. Nei «sampan» del molo delle banane ne par-lavano come d'una rinnegata, e se talvolta una sua amicad'infanzia od un uomo del fiume la incontravano al ba-zar di Cholon, voltavano la faccia dall'altra parte pernon incrociare i suoi occhi. Al processo Mi-bhà avevapianto raccontando l'affronto.

No, Mi-bhà non aveva dimenticato. Se col tempo ave-va finito per adottare tanti usi e tante abitudinidell'uomo bianco che amava, nel vestire, nel mangiare,nella maniera di vivere ed anche un po' di pensare, nonaveva mai tralasciato di bruciare mattina e sera le carti-ne profumate della «preghiera» dinanzi all'altare degliantenati e di offrire loro ad ogni pasto una tazza di risoed un bocconcino di frutta. Ed ogni mese era andata, altempo della luna nuova, alla Pagoda degli Spiriti dinan-zi al grande Buddha dell'Annam a chiedere indulgenzapel suo amore colpevole.

Ed un giorno che l'assassino di suo padre, diventatoun ricco negoziante del molo del riso e fornitore del go-verno, era capitato in casa sua per parlare d'affari col«marito», Mi-bhà nascosta dietro un paravento avevaaspettato che le passasse vicino per conficcargli nelle

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spalle il coltello da marinaio di suo padre. Tutto s'erasvolto regolarmente secondo il comandamento dei seco-li com'è detto nelle storie e nelle canzoni.

La mano aveva tremato un po' nel dare il colpo e laferita non era stata mortale. Se il cinese fosse stato unpovero diavolo qualunque, forse la cosa si sarebbe potu-ta accomodare dinanzi al giudice indigeno di concilia-zione, ma Teo-li è un pezzo grosso di Cholon, fornitoredel Governo, consigliere municipale, amico del «grandegovernatore», mentre il marito di Mi-bhà è solamenteun piccolo sottotenente della fanteria coloniale, arrivatoda un anno dalla Francia senza appoggi e senza prote-zioni.

Al processo sono sfilati i testimoni di parte civile e didifesa: tutti cinesi i primi che si sono sperticati in elogisulla bontà d'animo e sulla rettitudine di Teo-li, grassicinesi di Cholon in tunica e pantofole di raso che parlan-do correntemente il francese hanno reclamato una puni-zione esemplare: tutti annamiti i secondi, poveri battel-lieri del fiume, facchini del molo delle banane, marinaidi «sampan» incartapecoriti dal sole di Cocincina edall'oppio di Mekong, che hanno tentato di ricostruirel'assassinio del padre di Mi-bhà e di spiegare all'uomodal cranio lucido la consuetudine millenaria della Leggedi discendenza.

Il Procuratore della Repubblica funzionante da Pub-blico Ministero, ha disturbato Cicerone e tirato in balloFénélon, ha elogiato le qualità mirabili della colonia ci-nese di Cholon che collabora lealmente col governo sul

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spalle il coltello da marinaio di suo padre. Tutto s'erasvolto regolarmente secondo il comandamento dei seco-li com'è detto nelle storie e nelle canzoni.

La mano aveva tremato un po' nel dare il colpo e laferita non era stata mortale. Se il cinese fosse stato unpovero diavolo qualunque, forse la cosa si sarebbe potu-ta accomodare dinanzi al giudice indigeno di concilia-zione, ma Teo-li è un pezzo grosso di Cholon, fornitoredel Governo, consigliere municipale, amico del «grandegovernatore», mentre il marito di Mi-bhà è solamenteun piccolo sottotenente della fanteria coloniale, arrivatoda un anno dalla Francia senza appoggi e senza prote-zioni.

Al processo sono sfilati i testimoni di parte civile e didifesa: tutti cinesi i primi che si sono sperticati in elogisulla bontà d'animo e sulla rettitudine di Teo-li, grassicinesi di Cholon in tunica e pantofole di raso che parlan-do correntemente il francese hanno reclamato una puni-zione esemplare: tutti annamiti i secondi, poveri battel-lieri del fiume, facchini del molo delle banane, marinaidi «sampan» incartapecoriti dal sole di Cocincina edall'oppio di Mekong, che hanno tentato di ricostruirel'assassinio del padre di Mi-bhà e di spiegare all'uomodal cranio lucido la consuetudine millenaria della Leggedi discendenza.

Il Procuratore della Repubblica funzionante da Pub-blico Ministero, ha disturbato Cicerone e tirato in balloFénélon, ha elogiato le qualità mirabili della colonia ci-nese di Cholon che collabora lealmente col governo sul

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terreno economico, ha ricordato le somme sottoscrittedurante la guerra da Teo-li per i «poilus» della Somme,ha dipinto con foschi colori l'ambiente equivoco dei bat-tellieri di «sampan» nei quali rivive lo spirito degli anti-chi pirati del Mekong, ha tuonato contro la barbarie del-le tradizioni annamite che minano nelle fondamenta lapacifica convivenza sociale, favorendo l'infiltrazionedell'odiosa propaganda bolscevica, poi dopo aver vuota-to uno sull'altro due enormi bicchieri d'acqua ha chiestoalla saggezza del Tribunale un verdetto esemplare pertogliere dalla circolazione una delinquente precoce cheha nel sangue gli istinti dell'assassinio e della deprava-zione.

Ogni tanto Mi-bhà sollevava gli occhi di smalto e sor-rideva. Quando il Procuratore della Repubblica alzavatroppo la sua voce, i suoi piccoli occhi di bamboladell'Estremo Oriente s'ingrandivano in una espressioneindicibile di terrore.

In favore dell'imputata ha deposto il sottotenente del-la fanteria coloniale. La voce del giovane era piena disincerità e gli occhi onesti erano ombreggiati dal dolore.

«Innocente come una bimba dei nostri paesi – egli hadetto alla fine – dolce, buona, affettuosa, naturalmenteincline alla pietà, gentile coi servi e con tutti, generosacoi poveri, disinteressata, incapace di far male ad unafarfalla, perfino di uccider una mosca, non riesco a com-prendere come abbia potuto ferire Teo-li. Se non fossequi in mezzo ai gendarmi, dinanzi al Tribunale, non locrederei possibile. La disgraziata deve avere realmente

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terreno economico, ha ricordato le somme sottoscrittedurante la guerra da Teo-li per i «poilus» della Somme,ha dipinto con foschi colori l'ambiente equivoco dei bat-tellieri di «sampan» nei quali rivive lo spirito degli anti-chi pirati del Mekong, ha tuonato contro la barbarie del-le tradizioni annamite che minano nelle fondamenta lapacifica convivenza sociale, favorendo l'infiltrazionedell'odiosa propaganda bolscevica, poi dopo aver vuota-to uno sull'altro due enormi bicchieri d'acqua ha chiestoalla saggezza del Tribunale un verdetto esemplare pertogliere dalla circolazione una delinquente precoce cheha nel sangue gli istinti dell'assassinio e della deprava-zione.

Ogni tanto Mi-bhà sollevava gli occhi di smalto e sor-rideva. Quando il Procuratore della Repubblica alzavatroppo la sua voce, i suoi piccoli occhi di bamboladell'Estremo Oriente s'ingrandivano in una espressioneindicibile di terrore.

In favore dell'imputata ha deposto il sottotenente del-la fanteria coloniale. La voce del giovane era piena disincerità e gli occhi onesti erano ombreggiati dal dolore.

«Innocente come una bimba dei nostri paesi – egli hadetto alla fine – dolce, buona, affettuosa, naturalmenteincline alla pietà, gentile coi servi e con tutti, generosacoi poveri, disinteressata, incapace di far male ad unafarfalla, perfino di uccider una mosca, non riesco a com-prendere come abbia potuto ferire Teo-li. Se non fossequi in mezzo ai gendarmi, dinanzi al Tribunale, non locrederei possibile. La disgraziata deve avere realmente

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obbedito ad una imperiosa legge ereditaria di cui il no-stro spirito occidentale non riesce a concepire la poten-za. Chiedo pietà per la sua giovinezza e per la sua pro-fonda innocenza. Essa ha obbedito ad un ordine miste-rioso scaturente dalle profondità della razza».

Ed i giudici coi baffi alla Briand hanno sorriso pater-namente alla cecità dell'amore.

Per ultima ha parlato Mi-bhà. Un po' in francese, unpo' in annamita, un po' nel dialetto del fiume, la «con-ghai» ha cercato di ricostruire i due drammi: quello lon-tano della rissa sul fiume al quale assistettero i suoi oc-chi di cinque anni, quello vicino che ha avuto per sfon-do un paravento di seta dipinto ad ibis azzurre. E le ibisazzurre avevano molto posto nel discorso dell'imputata.

Ad ascoltarla s'aveva la sensazione dello sforzo chedoveva compiere il suo piccolo cervello per sintetizzarel'accaduto, per spiegare agli altri ciò che essa stessa nonriusciva a spiegarsi. Le sue parole dipingevano un qua-dro pieno di macchie nere, dominato dagli spettri degliantenati, dall'ombra formidabile della Legge, da un pa-ravento di seta dipinta sul quale due ibis azzurre indica-vano coi lunghi becchi gialli la strada del destino.

Dinanzi alla sua mente sconvolta i pensieri scaturiva-no confusamente sotto forma di piccole visioni incoe-renti, brevi e senza seguito. Sulle sue labbra certi parti-colari insignificanti s'ingigantivano smisuratamente e sudi essi la «conghai» si soffermava lungamente quasiavessero il potere di commuovere i suoi giudici. Certo

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obbedito ad una imperiosa legge ereditaria di cui il no-stro spirito occidentale non riesce a concepire la poten-za. Chiedo pietà per la sua giovinezza e per la sua pro-fonda innocenza. Essa ha obbedito ad un ordine miste-rioso scaturente dalle profondità della razza».

Ed i giudici coi baffi alla Briand hanno sorriso pater-namente alla cecità dell'amore.

Per ultima ha parlato Mi-bhà. Un po' in francese, unpo' in annamita, un po' nel dialetto del fiume, la «con-ghai» ha cercato di ricostruire i due drammi: quello lon-tano della rissa sul fiume al quale assistettero i suoi oc-chi di cinque anni, quello vicino che ha avuto per sfon-do un paravento di seta dipinto ad ibis azzurre. E le ibisazzurre avevano molto posto nel discorso dell'imputata.

Ad ascoltarla s'aveva la sensazione dello sforzo chedoveva compiere il suo piccolo cervello per sintetizzarel'accaduto, per spiegare agli altri ciò che essa stessa nonriusciva a spiegarsi. Le sue parole dipingevano un qua-dro pieno di macchie nere, dominato dagli spettri degliantenati, dall'ombra formidabile della Legge, da un pa-ravento di seta dipinta sul quale due ibis azzurre indica-vano coi lunghi becchi gialli la strada del destino.

Dinanzi alla sua mente sconvolta i pensieri scaturiva-no confusamente sotto forma di piccole visioni incoe-renti, brevi e senza seguito. Sulle sue labbra certi parti-colari insignificanti s'ingigantivano smisuratamente e sudi essi la «conghai» si soffermava lungamente quasiavessero il potere di commuovere i suoi giudici. Certo

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tra la folla e Mi-bhà esistevano misteriose correntid'intesa, perchè certe inezie che avevano l'aria di anno-iare i magistrati suscitavano un lungo mormorio di com-menti nel popolo dei «sampan «.

Il dramma lontano, contestato dalla parte civile e dalProcuratore della Repubblica, assumeva sulle labbradell'imputata la potenza di un'ossessione. Il morto com-pariva ogni notte in sogno dinanzi a sua figlia. Il giornodel ferimento era dietro al paravento di seta dipintamentre Teo-li discuteva col «signore bianco» di riso e di«sampan». Era il padre morto di quella notte lontana,così com'era stato ripescato dall'acqua gialla del Me-kong, livido, gonfio, tumefatto, gli occhi di vetro sbarra-ti che luccicavano come «quelli del grillo». Il padre ave-va comandato, essa aveva obbedito! Era andata nellesua stanza, aveva cercato il coltello che sua madre leaveva consegnato prima di morire, l'aveva trovato nelpiccolo baule di tek sotto la tunica violetta coi bottonci-ni di giada, l'aveva nascosto nei capelli, e sempre ac-compagnata dall'ombra del padre era ritornata dietro ilparavento accanto alle due ibis azzurre.

— Avete colpito per uccidere? — ha chiesto il magi-strato di destra aggraziato d'un bitorzolo a metà delnaso.

— Quando Teo-li è passato vicino al paravento io tre-mavo tutta. Se egli avesse camminato non avrei colpito.Il destino ha voluto invece ch'egli si fermasse. Vedevo lasua carne alzarsi ed abbassarsi sotto la seta gialla, senti-vo il suo odore, il rumore del suo respiro. Gli occhi di

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tra la folla e Mi-bhà esistevano misteriose correntid'intesa, perchè certe inezie che avevano l'aria di anno-iare i magistrati suscitavano un lungo mormorio di com-menti nel popolo dei «sampan «.

Il dramma lontano, contestato dalla parte civile e dalProcuratore della Repubblica, assumeva sulle labbradell'imputata la potenza di un'ossessione. Il morto com-pariva ogni notte in sogno dinanzi a sua figlia. Il giornodel ferimento era dietro al paravento di seta dipintamentre Teo-li discuteva col «signore bianco» di riso e di«sampan». Era il padre morto di quella notte lontana,così com'era stato ripescato dall'acqua gialla del Me-kong, livido, gonfio, tumefatto, gli occhi di vetro sbarra-ti che luccicavano come «quelli del grillo». Il padre ave-va comandato, essa aveva obbedito! Era andata nellesua stanza, aveva cercato il coltello che sua madre leaveva consegnato prima di morire, l'aveva trovato nelpiccolo baule di tek sotto la tunica violetta coi bottonci-ni di giada, l'aveva nascosto nei capelli, e sempre ac-compagnata dall'ombra del padre era ritornata dietro ilparavento accanto alle due ibis azzurre.

— Avete colpito per uccidere? — ha chiesto il magi-strato di destra aggraziato d'un bitorzolo a metà delnaso.

— Quando Teo-li è passato vicino al paravento io tre-mavo tutta. Se egli avesse camminato non avrei colpito.Il destino ha voluto invece ch'egli si fermasse. Vedevo lasua carne alzarsi ed abbassarsi sotto la seta gialla, senti-vo il suo odore, il rumore del suo respiro. Gli occhi di

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mio padre, luminosi come lucciole della notte, mi pene-travano fino in fondo al cuore. Il suo coltello mi pesavanei capelli. Allora l'ho tolto perchè mi dava noia. Poinon so più... Teo-li gridava, tanta gente correva, il para-vento era per terra, il «signore bianco» mi carezzava emi ripeteva: — Cosa hai fatto, Mi-bhà, cosa hai fatto,Mi-bhà...

E nel narrare, la piccola «conghai» ogni tanto sorride-va come sorridono le «conghai», senza un motivo, per-chè hanno la bocca fatta così, un po' tirata agli angolidelle labbra.

La folla gialla aspetta quietamente nella sala dei bustidi gesso. La ritrovo come l'ho lasciata. Anch'io sono inanticipo. Manca una buona mezz'ora per la ripresa dellaseduta.

Un grosso ananas tagliato a fette sottili da una bisavo-la fa il giro dei tre primi scranni. Il frutto fresco diffondenell'aria satura di fiati e di sudore il suo forte profumod'Oriente. Poi un ometto dalle mani di cartapecora tirafuori un cartoccio di polpette che passa di mano in manofino al quinto banco. Altri involti sono fraternamente di-visi nelle file successive per ingannare la fame, e voltaper volta un odore potente rivela la natura del comme-stibile: pesce secco, uova di pavone in conserva, manghidi Singapore, purè di gamberi in salamoia.

Il pavimento è tutto schizzettato di macchiette rosseper gli sputi del betel che marmorizzano anche gli zoc-coli delle pareti.

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mio padre, luminosi come lucciole della notte, mi pene-travano fino in fondo al cuore. Il suo coltello mi pesavanei capelli. Allora l'ho tolto perchè mi dava noia. Poinon so più... Teo-li gridava, tanta gente correva, il para-vento era per terra, il «signore bianco» mi carezzava emi ripeteva: — Cosa hai fatto, Mi-bhà, cosa hai fatto,Mi-bhà...

E nel narrare, la piccola «conghai» ogni tanto sorride-va come sorridono le «conghai», senza un motivo, per-chè hanno la bocca fatta così, un po' tirata agli angolidelle labbra.

La folla gialla aspetta quietamente nella sala dei bustidi gesso. La ritrovo come l'ho lasciata. Anch'io sono inanticipo. Manca una buona mezz'ora per la ripresa dellaseduta.

Un grosso ananas tagliato a fette sottili da una bisavo-la fa il giro dei tre primi scranni. Il frutto fresco diffondenell'aria satura di fiati e di sudore il suo forte profumod'Oriente. Poi un ometto dalle mani di cartapecora tirafuori un cartoccio di polpette che passa di mano in manofino al quinto banco. Altri involti sono fraternamente di-visi nelle file successive per ingannare la fame, e voltaper volta un odore potente rivela la natura del comme-stibile: pesce secco, uova di pavone in conserva, manghidi Singapore, purè di gamberi in salamoia.

Il pavimento è tutto schizzettato di macchiette rosseper gli sputi del betel che marmorizzano anche gli zoc-coli delle pareti.

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CHOLON – La strada delle fumerie.

PNOM-PEN – Cambogesi che assistono ad uno spettacolo di danza.

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CHOLON – La strada delle fumerie.

PNOM-PEN – Cambogesi che assistono ad uno spettacolo di danza.

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Se questa folla fosse cinese, il chiasso sarebbe insop-portabile: è annamita invece, quindi quieta, misurata neigesti e nella voce, quasi immobile. La conversazione ge-nerale è come il brusio di uno sciame di api. Certe figu-rine sembrano di cartapesta tanto sono senza movimen-to. Diverse «conghai», amiche di Mi-bhà, sono riunitein disparte su d'un banco. I braccialetti dei polsi e dellecaviglie tintinnano argentinamente. Le loro tuniche diseta a ricami d'oro contrastano con le umili cotonine deibattellieri. I loro denti bianchi paiono ancora più bianchiaccanto alle dentature nere e rosse degli altri annamiti.

Un vecchio scheletrico rosicchiato dall'oppio, tuttopelle ed ossa, il collo incordato, il torso nudo e spaven-tosamente rientrante, il cranio lucido ed aguzzo, si solle-va penosamente sugli stinchi per rispondere alla follache fa appello alla sua saggezza.

— Io non sono — egli dice — che un povero annami-ta senza conoscenza, vissuto sempre sul «sampan» dimio padre a correre in giù e in su la grande acqua, maho l'esperienza degli anni. Sono sicuro che Mi-bhà saràcondannata. Ciò non importa. Essa ha fatto ciò che do-veva fare. Ha rispettato la Legge. Teo-li non è morto maha il polmone forato. Pagherà il suo conto! I bianchi chenon capiscono la Legge disapprovano la figlia del fiu-me, ma il Sublime che sa tutto, che vede tutto, la giudi-cherà secondo la sapienza dei secoli. Lui solo sa leggerenel cuore degli annamiti e giudicarli secondo il loro san-gue. L'anima del padre di Mi-bhà seguita dal corteo ditutti gli antenati è già dinanzi a Lui, nei palazzi

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Se questa folla fosse cinese, il chiasso sarebbe insop-portabile: è annamita invece, quindi quieta, misurata neigesti e nella voce, quasi immobile. La conversazione ge-nerale è come il brusio di uno sciame di api. Certe figu-rine sembrano di cartapesta tanto sono senza movimen-to. Diverse «conghai», amiche di Mi-bhà, sono riunitein disparte su d'un banco. I braccialetti dei polsi e dellecaviglie tintinnano argentinamente. Le loro tuniche diseta a ricami d'oro contrastano con le umili cotonine deibattellieri. I loro denti bianchi paiono ancora più bianchiaccanto alle dentature nere e rosse degli altri annamiti.

Un vecchio scheletrico rosicchiato dall'oppio, tuttopelle ed ossa, il collo incordato, il torso nudo e spaven-tosamente rientrante, il cranio lucido ed aguzzo, si solle-va penosamente sugli stinchi per rispondere alla follache fa appello alla sua saggezza.

— Io non sono — egli dice — che un povero annami-ta senza conoscenza, vissuto sempre sul «sampan» dimio padre a correre in giù e in su la grande acqua, maho l'esperienza degli anni. Sono sicuro che Mi-bhà saràcondannata. Ciò non importa. Essa ha fatto ciò che do-veva fare. Ha rispettato la Legge. Teo-li non è morto maha il polmone forato. Pagherà il suo conto! I bianchi chenon capiscono la Legge disapprovano la figlia del fiu-me, ma il Sublime che sa tutto, che vede tutto, la giudi-cherà secondo la sapienza dei secoli. Lui solo sa leggerenel cuore degli annamiti e giudicarli secondo il loro san-gue. L'anima del padre di Mi-bhà seguita dal corteo ditutti gli antenati è già dinanzi a Lui, nei palazzi

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dell'Ombra, del Silenzio e dello Spavento che ogni seraaprono le loro porte al sole ed ogni mattina lo lascianouscire perchè illumini il mondo. Per il Buddha doratodel mio «sampan» vi dico che Mi-bhà sarà condannatadagli uomini bianchi che comperano il riso da Teo-li,ma la Legge è la Legge. Essa dice che chi ha ucciso saràucciso a sua volta dal più vicino parente della vittima,nell'ora e nel modo stabilito dal Perfetto...

— Messieurs, silence, voilà la Cour!

Preceduti dagli uscieri, dagli interpreti, dagli scribac-chini, dai segretarii e dai gendarmi, i magistrati entranosolennemente, gravi e dignitosi, raggiungendo a passetticorti i seggi di velluto rosso collo schienale d'oro.

E fra due guardie annamite entra sorridendo ancheMi-bhà.

Il presidente s'alza e recita:— In nome della legge, ecc. ecc., per l'art, x ed y del

Codice penale, ecc., ecc., in conformità delle disposizio-ni del regolamento di polizia, ecc., ecc., e degli accordiintervenuti fra il governo della Repubblica francese e S.M. l'imperatore dell'Annam ecc., ecc., Mi-bhà figlia diCi-bhà, nata nel «sampan» 1278 nel molo delle banane,attualmente «conghai», dimorante in via delle Porcella-ne, è condannata a sette anni di lavori forzati nelle mi-niere di Peu-hong per tentato omicidio con l'aggravantedella premeditazione e dei cattivi costumi.

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dell'Ombra, del Silenzio e dello Spavento che ogni seraaprono le loro porte al sole ed ogni mattina lo lascianouscire perchè illumini il mondo. Per il Buddha doratodel mio «sampan» vi dico che Mi-bhà sarà condannatadagli uomini bianchi che comperano il riso da Teo-li,ma la Legge è la Legge. Essa dice che chi ha ucciso saràucciso a sua volta dal più vicino parente della vittima,nell'ora e nel modo stabilito dal Perfetto...

— Messieurs, silence, voilà la Cour!

Preceduti dagli uscieri, dagli interpreti, dagli scribac-chini, dai segretarii e dai gendarmi, i magistrati entranosolennemente, gravi e dignitosi, raggiungendo a passetticorti i seggi di velluto rosso collo schienale d'oro.

E fra due guardie annamite entra sorridendo ancheMi-bhà.

Il presidente s'alza e recita:— In nome della legge, ecc. ecc., per l'art, x ed y del

Codice penale, ecc., ecc., in conformità delle disposizio-ni del regolamento di polizia, ecc., ecc., e degli accordiintervenuti fra il governo della Repubblica francese e S.M. l'imperatore dell'Annam ecc., ecc., Mi-bhà figlia diCi-bhà, nata nel «sampan» 1278 nel molo delle banane,attualmente «conghai», dimorante in via delle Porcella-ne, è condannata a sette anni di lavori forzati nelle mi-niere di Peu-hong per tentato omicidio con l'aggravantedella premeditazione e dei cattivi costumi.

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La folla accoglie il responso della giustizia con unmormorio di passione che è immediatamente troncatoda un energico «silence» dell'usciere.

Mi-bhà continua a sorridere.In un angolo un giovane sottotenente che ha l'anima

ancora irrorata di primavera, si tormenta i baffi es'asciuga gli occhi celesti. L'interprete traduce in anna-mita il testo della sentenza. L'avvocato di Teo-li racco-glie con fretta i suoi scartafacci. Il magistrato del bitor-zolo si stuzzica i denti con uno stecchino. Il Procuratoredella Repubblica ha un colpo secco di tosse. Per la fine-stra aperta entra il rombo vellutato di un «gong» lontanoche invita i fedeli dinanzi all'altare di Confucio.

La tragicommedia coloniale sarebbe finita e la Cortesi accinge ad aprire un nuovo incartamento, ma il vec-chio scheletrico erge sugli scanni la sua orrenda magrez-za e, puntando il suo braccio ossuto contro il presidente,urla:

— Carne venduta, porco lebbroso, quante piastre hairicevuto da Teo-li?

— Conducetelo al Commissariato! — urla il magi-strato.

E mentre le donne-gendarme si spettinano per esegui-re l'ordine del Tribunale, il vecchio ha ancora il tempodi gridare:

— La Legge è la Legge, gente dell'Annam, chi ha uc-ciso sarà ucciso!...

La Corte, offesa nella maestà della giustizia, si ritira apassi corti, carichi di dignità. Il corteo dei magistrati,

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La folla accoglie il responso della giustizia con unmormorio di passione che è immediatamente troncatoda un energico «silence» dell'usciere.

Mi-bhà continua a sorridere.In un angolo un giovane sottotenente che ha l'anima

ancora irrorata di primavera, si tormenta i baffi es'asciuga gli occhi celesti. L'interprete traduce in anna-mita il testo della sentenza. L'avvocato di Teo-li racco-glie con fretta i suoi scartafacci. Il magistrato del bitor-zolo si stuzzica i denti con uno stecchino. Il Procuratoredella Repubblica ha un colpo secco di tosse. Per la fine-stra aperta entra il rombo vellutato di un «gong» lontanoche invita i fedeli dinanzi all'altare di Confucio.

La tragicommedia coloniale sarebbe finita e la Cortesi accinge ad aprire un nuovo incartamento, ma il vec-chio scheletrico erge sugli scanni la sua orrenda magrez-za e, puntando il suo braccio ossuto contro il presidente,urla:

— Carne venduta, porco lebbroso, quante piastre hairicevuto da Teo-li?

— Conducetelo al Commissariato! — urla il magi-strato.

E mentre le donne-gendarme si spettinano per esegui-re l'ordine del Tribunale, il vecchio ha ancora il tempodi gridare:

— La Legge è la Legge, gente dell'Annam, chi ha uc-ciso sarà ucciso!...

La Corte, offesa nella maestà della giustizia, si ritira apassi corti, carichi di dignità. Il corteo dei magistrati,

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degli uscieri, degli interpreti, sfila all'indiana tra il bustocorrucciato di Waldek-Rousseau e quello sorridente diJules Ferry, sotto il frontone sul quale sono scolpite acaratteri d'oro le tre parole formidabili: «Liberté! Egali-té! Fraternité!».

Nel viso di bambola di Mi-bhà gli occhi dilatati, enor-mi, stravolti, proiettano sulla scena lo sgomento dellasua piccola anima.

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degli uscieri, degli interpreti, sfila all'indiana tra il bustocorrucciato di Waldek-Rousseau e quello sorridente diJules Ferry, sotto il frontone sul quale sono scolpite acaratteri d'oro le tre parole formidabili: «Liberté! Egali-té! Fraternité!».

Nel viso di bambola di Mi-bhà gli occhi dilatati, enor-mi, stravolti, proiettano sulla scena lo sgomento dellasua piccola anima.

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La pianura degli specchi

DAI-NGAI, 29 maggio.

Abbiamo lasciato tre giorni fa Saigon con una flotti-glia di «sampan» annamiti, diretti verso occidente lungole «vie d'acqua» millenarie, tracciate da tempo imme-morabile nella bassa Cocincina.

Dal canale di Cholon, zeppo di rimorchi, d'imbarca-zioni e di giunche, siamo entrati nel grande canale diMintho, dietro una processione di barconi a vela e di«sampan» anch'essi diretti verso occidente. Ogni tantouna giunca isolata od una flottiglia scantonavano silen-ziosamente in un canale laterale. Per un po' si vedevanoi draghi d'oro delle prue e le vele dipinte sguisciare fan-tasticamente in mezzo alla campagna come calabroni efarfalle giganti, poi le foglie dei banani li inghiottivanonella moltitudine dei loro ventagli.

Via via la processione s'accorciava dinanzi a noi, fin-ché i nostri «sampan», che all'uscita di Cholon eranoquasi in coda, hanno finito col prendere la testa del cor-teo. Dietro di noi invece, fin dove l'occhio arrivava, ilcanale era tutto rigato d'altri convogli e d'altre giunche

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La pianura degli specchi

DAI-NGAI, 29 maggio.

Abbiamo lasciato tre giorni fa Saigon con una flotti-glia di «sampan» annamiti, diretti verso occidente lungole «vie d'acqua» millenarie, tracciate da tempo imme-morabile nella bassa Cocincina.

Dal canale di Cholon, zeppo di rimorchi, d'imbarca-zioni e di giunche, siamo entrati nel grande canale diMintho, dietro una processione di barconi a vela e di«sampan» anch'essi diretti verso occidente. Ogni tantouna giunca isolata od una flottiglia scantonavano silen-ziosamente in un canale laterale. Per un po' si vedevanoi draghi d'oro delle prue e le vele dipinte sguisciare fan-tasticamente in mezzo alla campagna come calabroni efarfalle giganti, poi le foglie dei banani li inghiottivanonella moltitudine dei loro ventagli.

Via via la processione s'accorciava dinanzi a noi, fin-ché i nostri «sampan», che all'uscita di Cholon eranoquasi in coda, hanno finito col prendere la testa del cor-teo. Dietro di noi invece, fin dove l'occhio arrivava, ilcanale era tutto rigato d'altri convogli e d'altre giunche

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in cammino che incessantemente uscivano dai porti diCholon e di Saigon a sparpagliarsi in tutte le direzionidell'Indocina.

Ieri poi nella pianura dei giunchi anche noi abbiamoabbandonato il grande canale per una via d'acqua ausi-liaria che taglia il fiume Posteriore, dirigendosi verso laprovincia di Cap-thò.

Tutta la campagna è coltivata a risaie. Si può dire chele provincie di Cap-thò, di Soc-trang, di Bac-lieu e diLong-suyén, vaste pressapoco quanto l'Italia settentrio-nale, sono una unica immensa risaia. Il grande fiumeMekong, dopo aver fecondato il Camboge, s'allarga inun gigantesco delta, che coi suoi tre bracci principali ab-braccia quasi tutta la Cocincina. I corsi d'acqua maggio-ri, resi navigabili fin dalla più remota antichità, sonostati allacciati, durante le ultime dinastie, da una reteformidabile di canali d'ogni grandezza che s'irradiano es'intersecano in tutti i sensi.

Dopo la occupazione europea la tecnica francese haaggiunto solo qualche ritocco moderno all'opera meravi-gliosa dei gialli, i quali, con mezzi rudimentali, guidatida un misterioso «istinto idraulico», hanno piegatol'acqua durante i secoli ai bisogni della coltura e dellecomunicazioni, facendo retrocedere il mare come inOlanda, trasformando paludi salmastre e foreste inonda-te in fertili risaie, risolvendo, a forza di pazienza e di co-stanza, le grandi difficoltà opposte dai terreni mobili,dalle infiltrazioni marine e dalle piene disordinate delMekong.

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in cammino che incessantemente uscivano dai porti diCholon e di Saigon a sparpagliarsi in tutte le direzionidell'Indocina.

Ieri poi nella pianura dei giunchi anche noi abbiamoabbandonato il grande canale per una via d'acqua ausi-liaria che taglia il fiume Posteriore, dirigendosi verso laprovincia di Cap-thò.

Tutta la campagna è coltivata a risaie. Si può dire chele provincie di Cap-thò, di Soc-trang, di Bac-lieu e diLong-suyén, vaste pressapoco quanto l'Italia settentrio-nale, sono una unica immensa risaia. Il grande fiumeMekong, dopo aver fecondato il Camboge, s'allarga inun gigantesco delta, che coi suoi tre bracci principali ab-braccia quasi tutta la Cocincina. I corsi d'acqua maggio-ri, resi navigabili fin dalla più remota antichità, sonostati allacciati, durante le ultime dinastie, da una reteformidabile di canali d'ogni grandezza che s'irradiano es'intersecano in tutti i sensi.

Dopo la occupazione europea la tecnica francese haaggiunto solo qualche ritocco moderno all'opera meravi-gliosa dei gialli, i quali, con mezzi rudimentali, guidatida un misterioso «istinto idraulico», hanno piegatol'acqua durante i secoli ai bisogni della coltura e dellecomunicazioni, facendo retrocedere il mare come inOlanda, trasformando paludi salmastre e foreste inonda-te in fertili risaie, risolvendo, a forza di pazienza e di co-stanza, le grandi difficoltà opposte dai terreni mobili,dalle infiltrazioni marine e dalle piene disordinate delMekong.

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La sistemazione idraulica della Cocincina è, senzadubbio, una delle più poderose affermazioni della civiltàgialla. Di fronte ad essa il nostro spirito resta perplessocome dinanzi a certi squisiti gioielli dell'arte cinese ed acerti istituti giuridico-sociali che la Cina millenaria pos-siede già da più di dieci secoli.

Gli annamiti hanno la risaia nel sangue. Ancora oggibasta che una draga si metta in movimento per aprire unnuovo canale in un terreno incolto e malsano, perchèmisteriosamente compaiano coloni annamiti i quali im-provvisano un villaggetto di bambù e si pongono cheta-mente al lavoro, come una colonia d'insetti. In pochimesi addomesticano l'acqua e creano la risaia. Uomini,donne, vecchi, ragazzi, hanno ognuno il loro lavoro sta-bilito da una norma ereditaria che nessuno insegna mache tutti sanno. Prima che intervengano le autorità, laproprietà è suddivisa e gli abitanti eleggono i loro capi.Così si sono formate nei secoli la Cina e l'Indocina: cosìcontinuano a svilupparsi!

Il riso è l'elemento principale e quasi unico dell'ali-mentazione indigena. Si può dire che per l'annamita tut-ta l'agricoltura è concentrata nella coltivazione del riso.Tradizioni antichissime mescolate a riti, superstizionicentenarie regolano la preparazione della terra, le semi-ne ed i raccolti, facendone quasi una pratica religiosa.Grandi feste in onore del riso sono celebrate ogni annocon pompa solenne nelle città e nelle campagne, festeprescritte dagli antichi imperatori dell'Annam, special-mente da Tai-Tong che regnò nel 1250 e che fece racco-

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La sistemazione idraulica della Cocincina è, senzadubbio, una delle più poderose affermazioni della civiltàgialla. Di fronte ad essa il nostro spirito resta perplessocome dinanzi a certi squisiti gioielli dell'arte cinese ed acerti istituti giuridico-sociali che la Cina millenaria pos-siede già da più di dieci secoli.

Gli annamiti hanno la risaia nel sangue. Ancora oggibasta che una draga si metta in movimento per aprire unnuovo canale in un terreno incolto e malsano, perchèmisteriosamente compaiano coloni annamiti i quali im-provvisano un villaggetto di bambù e si pongono cheta-mente al lavoro, come una colonia d'insetti. In pochimesi addomesticano l'acqua e creano la risaia. Uomini,donne, vecchi, ragazzi, hanno ognuno il loro lavoro sta-bilito da una norma ereditaria che nessuno insegna mache tutti sanno. Prima che intervengano le autorità, laproprietà è suddivisa e gli abitanti eleggono i loro capi.Così si sono formate nei secoli la Cina e l'Indocina: cosìcontinuano a svilupparsi!

Il riso è l'elemento principale e quasi unico dell'ali-mentazione indigena. Si può dire che per l'annamita tut-ta l'agricoltura è concentrata nella coltivazione del riso.Tradizioni antichissime mescolate a riti, superstizionicentenarie regolano la preparazione della terra, le semi-ne ed i raccolti, facendone quasi una pratica religiosa.Grandi feste in onore del riso sono celebrate ogni annocon pompa solenne nelle città e nelle campagne, festeprescritte dagli antichi imperatori dell'Annam, special-mente da Tai-Tong che regnò nel 1250 e che fece racco-

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gliere tutti i riti in un testo sacro al quale gli annamiti siattengono tuttora scrupolosamente. Certi audaci lavoridi sistemazione idraulica eseguiti in quell'epoca dagliingegneri della corte di Tai-Tong empiono di stupore gliingegneri moderni per la genialità delle concezioni e perla grandiosità delle imprese condotte felicemente a ter-mine senza mezzi meccanici.

Quegli sforzi immani d'intere moltitudini che in Indiasi esaurivano sterilmente a cesellare un tempio in unamontagna di granito, sono stati adoperati dai tiranni del-la Cina e dell'Annam ad abbattere foreste, carpire almare ed ai fiumi vaste provincie, disciplinare l'acquacon dighe e canali, fecondare le sterminate steppe delMezzo con la laboriosità di formica delle genti gialle.Rari sono i monumenti di lusso e di orgoglio – qualchepalazzo, qualche muraglia – numerose le opere di pub-blica utilità compiute da intere generazioni a vantaggiodelle generazioni successive, con quel senso profondo dicontinuità che caratterizza la civiltà delle razze d'Estre-mo Oriente.

Il culto del riso si confondeva per gli antichi annamiticon quello della dinastia imperiale e della divinità stes-sa. Gli antenati, l'imperatore ed il riso erano le tre grandi«forze motrici» dell'Annam e forse lo sono tuttora nelprofondo delle coscienze.

Per avere una idea del posto che occupa il riso nellavita annamita, basti dire che nove decimi della popola-zione dell'Indocina vive con la coltivazione e col com-mercio di questo prezioso prodotto che fornisce agli abi-

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gliere tutti i riti in un testo sacro al quale gli annamiti siattengono tuttora scrupolosamente. Certi audaci lavoridi sistemazione idraulica eseguiti in quell'epoca dagliingegneri della corte di Tai-Tong empiono di stupore gliingegneri moderni per la genialità delle concezioni e perla grandiosità delle imprese condotte felicemente a ter-mine senza mezzi meccanici.

Quegli sforzi immani d'intere moltitudini che in Indiasi esaurivano sterilmente a cesellare un tempio in unamontagna di granito, sono stati adoperati dai tiranni del-la Cina e dell'Annam ad abbattere foreste, carpire almare ed ai fiumi vaste provincie, disciplinare l'acquacon dighe e canali, fecondare le sterminate steppe delMezzo con la laboriosità di formica delle genti gialle.Rari sono i monumenti di lusso e di orgoglio – qualchepalazzo, qualche muraglia – numerose le opere di pub-blica utilità compiute da intere generazioni a vantaggiodelle generazioni successive, con quel senso profondo dicontinuità che caratterizza la civiltà delle razze d'Estre-mo Oriente.

Il culto del riso si confondeva per gli antichi annamiticon quello della dinastia imperiale e della divinità stes-sa. Gli antenati, l'imperatore ed il riso erano le tre grandi«forze motrici» dell'Annam e forse lo sono tuttora nelprofondo delle coscienze.

Per avere una idea del posto che occupa il riso nellavita annamita, basti dire che nove decimi della popola-zione dell'Indocina vive con la coltivazione e col com-mercio di questo prezioso prodotto che fornisce agli abi-

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tanti il pane, il vino, il foraggio, il concime, il combusti-bile e la carta. L'anno scorso, oltre l'enorme fabbisognodel consumo locale, ne sono state esportate un milione eseicentomila tonnellate.

Il raccolto ha luogo da dicembre a maggio. Le terre sipreparano in giugno. Gli annamiti non conoscono anco-ra le falciatrici e le battitrici. Il raccolto è fatto a manocon la falce, è battuto dalle donne sulle stuoie con leverghe di bambù, poi rimane esposto per venti giorni aiventi che s'incaricano di spiumare le pagliuzze ed i chic-chi vuoti.

Se la coltivazione del riso è in mano degli annamiti, ilcommercio ne è invece monopolizzato dai cinesi, chesono in ultima analisi quelli che ne ricavano i maggiorivantaggi. Prima della guerra il gruppo tedesco Speidelera riuscito ad accaparrare gli otto decimi del lavoro discorticatura e di brillatura del riso, comperando dai ci-nesi quasi tutte le officine che aveva modernizzato conmateriale proveniente dalla Germania. Ora i francesihanno ereditato in parte gli interessi tedeschi, in parteessi sono ritornati nelle mani intraprendenti dei cinesi diCholon.

In questo periodo di stagione secca che finisce coiprimi di giugno, gli annamiti lasciano invadere le risaiedall'acqua benefica del Mekong. La campagna ha quindil'aspetto d'un immenso lago, curiosamente ricamato adisegni geometrici dai filari di bambù che segnano i li-miti dei campi. I tratti di terreno asciutto coltivati a ba-

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tanti il pane, il vino, il foraggio, il concime, il combusti-bile e la carta. L'anno scorso, oltre l'enorme fabbisognodel consumo locale, ne sono state esportate un milione eseicentomila tonnellate.

Il raccolto ha luogo da dicembre a maggio. Le terre sipreparano in giugno. Gli annamiti non conoscono anco-ra le falciatrici e le battitrici. Il raccolto è fatto a manocon la falce, è battuto dalle donne sulle stuoie con leverghe di bambù, poi rimane esposto per venti giorni aiventi che s'incaricano di spiumare le pagliuzze ed i chic-chi vuoti.

Se la coltivazione del riso è in mano degli annamiti, ilcommercio ne è invece monopolizzato dai cinesi, chesono in ultima analisi quelli che ne ricavano i maggiorivantaggi. Prima della guerra il gruppo tedesco Speidelera riuscito ad accaparrare gli otto decimi del lavoro discorticatura e di brillatura del riso, comperando dai ci-nesi quasi tutte le officine che aveva modernizzato conmateriale proveniente dalla Germania. Ora i francesihanno ereditato in parte gli interessi tedeschi, in parteessi sono ritornati nelle mani intraprendenti dei cinesi diCholon.

In questo periodo di stagione secca che finisce coiprimi di giugno, gli annamiti lasciano invadere le risaiedall'acqua benefica del Mekong. La campagna ha quindil'aspetto d'un immenso lago, curiosamente ricamato adisegni geometrici dai filari di bambù che segnano i li-miti dei campi. I tratti di terreno asciutto coltivati a ba-

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nane formano macchie violenti di verde lucido in mezzoall'immensità allagata che si stende a perdita d'occhio.Qua e là un villaggio di bambù costruito su d'un terra-pieno, riflette nell'acqua la sua sagoma bigia, oppureuna casa isolata erge, sul riverbero dei campi la sua fan-tastica feluca napoleonica. Ogni cinque o sei ore di na-vigazione la mole bizzarra d'una pagoda interrompe loscenario uniforme coi suoi coni inverosimili d'oro e isuoi tetti contorti di porcellana.

Il cielo limpidissimo della Cocincina specchia nellacampagna inondata la purezza del suo azzurro come inun mare. Pare che nell'acqua siano stemperate magichemisture d'indaco e di cobalto.

Dall'alba al tramonto il sole formidabile del Tropicomitraglia furiosamente il grande acquitrino. I vapori in-cessantemente pompati dalla aspirazione solare tengonosospeso nell'aria un velo attraverso cui tutto l'orizzontesi mostra come attraverso un vetro appannato.

Certe lacche acquose della Cina e certe pitture sfuma-te di Canton, che a noi sembrano concepite durante ifumi dell'ubriachezza, con le loro atmosfere opache e leloro figure di traverso, riproducono esattamente l'aspettoincerto e fluttuante di questi paesaggi. I disegni strambidi certi ventagli, le linee storte e paradossali di certi pa-raventi rispondono agli effetti di quest'aria accesa e ve-lata sulla natura e sulle cose. L'alto silenzio, cullato dal-lo sciabordìo impercettibile dell'acqua, è interrotto du-rante ore intere solamente dal brivido dei bambù che pa-iono tremare assiderati dalla troppa acqua. Nell'immen-

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nane formano macchie violenti di verde lucido in mezzoall'immensità allagata che si stende a perdita d'occhio.Qua e là un villaggio di bambù costruito su d'un terra-pieno, riflette nell'acqua la sua sagoma bigia, oppureuna casa isolata erge, sul riverbero dei campi la sua fan-tastica feluca napoleonica. Ogni cinque o sei ore di na-vigazione la mole bizzarra d'una pagoda interrompe loscenario uniforme coi suoi coni inverosimili d'oro e isuoi tetti contorti di porcellana.

Il cielo limpidissimo della Cocincina specchia nellacampagna inondata la purezza del suo azzurro come inun mare. Pare che nell'acqua siano stemperate magichemisture d'indaco e di cobalto.

Dall'alba al tramonto il sole formidabile del Tropicomitraglia furiosamente il grande acquitrino. I vapori in-cessantemente pompati dalla aspirazione solare tengonosospeso nell'aria un velo attraverso cui tutto l'orizzontesi mostra come attraverso un vetro appannato.

Certe lacche acquose della Cina e certe pitture sfuma-te di Canton, che a noi sembrano concepite durante ifumi dell'ubriachezza, con le loro atmosfere opache e leloro figure di traverso, riproducono esattamente l'aspettoincerto e fluttuante di questi paesaggi. I disegni strambidi certi ventagli, le linee storte e paradossali di certi pa-raventi rispondono agli effetti di quest'aria accesa e ve-lata sulla natura e sulle cose. L'alto silenzio, cullato dal-lo sciabordìo impercettibile dell'acqua, è interrotto du-rante ore intere solamente dal brivido dei bambù che pa-iono tremare assiderati dalla troppa acqua. Nell'immen-

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sa solitudine l'occhio segue, sul dorso dei bambù, ilcammino del vento che curva le canne, che scompigliale foglie, che punteggia i campi inondati di cerchietti edi stelline. Dove i soffi increspano la superficie, il bar-baglio del sole crea uno scintillìo di punti d'oro e di vir-gole d'argento che trasformano fantasticamentel'immensa pianura in un paese di sogno. Allora le grandigiunche col drago rabbioso sulla prua, le gondoled'Estremo Oriente, dipinte a cento colori, con a poppa lacoda di pavone, gli zatteroni dell'Annam con l'alberaturabizzarramente riunita da una tettoia a frontone di pago-da, tutte queste imbarcazioni d'altri secoli e d'altri mil-lenni, che altrove sembrano strane e un po' ridicole,s'intonano al paesaggio irreale. Paiono grandi rospiverde-rame cogli occhi di cristallo usciti dai misteridell'acqua a muoversi nel sole.

Vengono istintivamente alla mente le leggendedell'Annam e le fole della Cina. Non sembra più invero-simile che la campagna sia popolata di genii e di draghi,che i morti rivivano nei nenufari bianchi e nei fiori dibambù nelle notti di bufera, che spiriti folletti scorrazzi-no fra le foglie piangenti dei salici acquatici. Si com-prende come a bordo delle giunche e dei «sampan» lagente che trascorre la sua povera vita in mezzo alla paceed ai silenzi delle lunghe navigazioni fluviali finisca colformarsi una filosofia particolare fatta di pazienza, dirassegnazione e di attesa, alla quale l'oppio aggiunge lacolorazione poetica dei suoi splendidi miraggi.

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sa solitudine l'occhio segue, sul dorso dei bambù, ilcammino del vento che curva le canne, che scompigliale foglie, che punteggia i campi inondati di cerchietti edi stelline. Dove i soffi increspano la superficie, il bar-baglio del sole crea uno scintillìo di punti d'oro e di vir-gole d'argento che trasformano fantasticamentel'immensa pianura in un paese di sogno. Allora le grandigiunche col drago rabbioso sulla prua, le gondoled'Estremo Oriente, dipinte a cento colori, con a poppa lacoda di pavone, gli zatteroni dell'Annam con l'alberaturabizzarramente riunita da una tettoia a frontone di pago-da, tutte queste imbarcazioni d'altri secoli e d'altri mil-lenni, che altrove sembrano strane e un po' ridicole,s'intonano al paesaggio irreale. Paiono grandi rospiverde-rame cogli occhi di cristallo usciti dai misteridell'acqua a muoversi nel sole.

Vengono istintivamente alla mente le leggendedell'Annam e le fole della Cina. Non sembra più invero-simile che la campagna sia popolata di genii e di draghi,che i morti rivivano nei nenufari bianchi e nei fiori dibambù nelle notti di bufera, che spiriti folletti scorrazzi-no fra le foglie piangenti dei salici acquatici. Si com-prende come a bordo delle giunche e dei «sampan» lagente che trascorre la sua povera vita in mezzo alla paceed ai silenzi delle lunghe navigazioni fluviali finisca colformarsi una filosofia particolare fatta di pazienza, dirassegnazione e di attesa, alla quale l'oppio aggiunge lacolorazione poetica dei suoi splendidi miraggi.

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In pieno mezzogiorno, quando il sole batte perpendi-colarmente sui campi allagati, si ha l'impressione di at-traversare un paesaggio fantastico di specchi. Ogni cam-po colmo d'acqua è una lastra nella quale si rifrangonole luminosità dell'aria e del cielo. E l'insieme dei campiaccesi dà alla sterminata distesa l'aspetto di una pianuradi vetro in mezzo alla quale i canali giallastri srotolano iloro nastri di topazio.

Se una nube passa un istante dinanzi al disco solaresubito tutta la campagna s'oscura, trascolora, si fa bigiao corrucciata secondo la densità e la tinta dello schermo.Se uno stormo d'uccelli migratori solca l'infinito la suaombra smisuratamente ingrandita si riflette nella spec-chiera della terra.

Quest'acqua immobile, senza vita e senza vegetazio-ne, arabescata geometricamente dalle canne di bambù,non è nè un mare nè un lago nè una palude: è una cosa asé, vaga, indefinita, dalla quale emana un senso potentedi pace, di solitudine e di lontananza. Sembra d'esseredistanti assai da ogni luogo abitato ed abitabile, sperdutiin una immensità che non è di questo mondo. Lo spiritos'adagia su se stesso ed il cervello irrequieto d'un latinoconosce le riposanti soste dei gialli, le parentesi senzapensiero.

Abbiamo fatto «alt» oggi a Dai-ngai, importante cen-tro di commercio e di produzione del riso posto a cava-liere delle provincie di Cap-thò e di Soc-trang, Prende-remo dopodomani un'altra flottiglia di «sampan» chetorna a Saigon. La nostra continua oggi stesso la sua rot-

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In pieno mezzogiorno, quando il sole batte perpendi-colarmente sui campi allagati, si ha l'impressione di at-traversare un paesaggio fantastico di specchi. Ogni cam-po colmo d'acqua è una lastra nella quale si rifrangonole luminosità dell'aria e del cielo. E l'insieme dei campiaccesi dà alla sterminata distesa l'aspetto di una pianuradi vetro in mezzo alla quale i canali giallastri srotolano iloro nastri di topazio.

Se una nube passa un istante dinanzi al disco solaresubito tutta la campagna s'oscura, trascolora, si fa bigiao corrucciata secondo la densità e la tinta dello schermo.Se uno stormo d'uccelli migratori solca l'infinito la suaombra smisuratamente ingrandita si riflette nella spec-chiera della terra.

Quest'acqua immobile, senza vita e senza vegetazio-ne, arabescata geometricamente dalle canne di bambù,non è nè un mare nè un lago nè una palude: è una cosa asé, vaga, indefinita, dalla quale emana un senso potentedi pace, di solitudine e di lontananza. Sembra d'esseredistanti assai da ogni luogo abitato ed abitabile, sperdutiin una immensità che non è di questo mondo. Lo spiritos'adagia su se stesso ed il cervello irrequieto d'un latinoconosce le riposanti soste dei gialli, le parentesi senzapensiero.

Abbiamo fatto «alt» oggi a Dai-ngai, importante cen-tro di commercio e di produzione del riso posto a cava-liere delle provincie di Cap-thò e di Soc-trang, Prende-remo dopodomani un'altra flottiglia di «sampan» chetorna a Saigon. La nostra continua oggi stesso la sua rot-

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ta di lumaca pei canali silenziosi, attraverso le campa-gne inondate, fino alle risaie salmastre di Camau ed allabaia di Cum-lon dove arriverà fra un mese.

A Dai-ngai siamo nel grande regno del riso. Tutte leterre sono risaie senza nemmeno un'oasi di banane o dicaucciù. Tutto il lavoro umano è asservito alla coltiva-zione tirannica. Si può dire che il pensiero stesso degliuomini è interamente assorbito dal riso. Non si vede al-tro, non si sente parlare d'altro.

La cittadina è in festa. Nelle cinque pagode di Dai-ngai si celebra oggi un rito propiziatorio per invocare laprotezione delle divinità tutelari sul lavorìo dell'acquache sta fecondando la terra delle risaie. La cerimonia fi-nale che inaugura la stagione del riso si svolge, secondol'usanza secolare, a cielo aperto dinanzi alla campagnainondata. Ad essa assistono ufficialmente, oltre a tutte leautorità europee ed indigene del distretto due alti fun-zionari di Saigon venuti espressamente, uno in rappre-sentanza del governo francese, l'altro dell'imperatoredell'Annam.

E fra dieci o quindici giorni, appena incomincerannole grandi pioggie di giugno, gli agricoltori inizieranno leprime semine.

Tutti i villaggi del distretto hanno inviato per l'occa-sione a Dai-ngai il loro altare degli antenati coi Buddhae le immancabili bandiere di seta. Diverse centinaiad'altari dorati e di Buddha panciuti e parecchie migliaiadi stendardi gialli sono allineati nella strada principale

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ta di lumaca pei canali silenziosi, attraverso le campa-gne inondate, fino alle risaie salmastre di Camau ed allabaia di Cum-lon dove arriverà fra un mese.

A Dai-ngai siamo nel grande regno del riso. Tutte leterre sono risaie senza nemmeno un'oasi di banane o dicaucciù. Tutto il lavoro umano è asservito alla coltiva-zione tirannica. Si può dire che il pensiero stesso degliuomini è interamente assorbito dal riso. Non si vede al-tro, non si sente parlare d'altro.

La cittadina è in festa. Nelle cinque pagode di Dai-ngai si celebra oggi un rito propiziatorio per invocare laprotezione delle divinità tutelari sul lavorìo dell'acquache sta fecondando la terra delle risaie. La cerimonia fi-nale che inaugura la stagione del riso si svolge, secondol'usanza secolare, a cielo aperto dinanzi alla campagnainondata. Ad essa assistono ufficialmente, oltre a tutte leautorità europee ed indigene del distretto due alti fun-zionari di Saigon venuti espressamente, uno in rappre-sentanza del governo francese, l'altro dell'imperatoredell'Annam.

E fra dieci o quindici giorni, appena incomincerannole grandi pioggie di giugno, gli agricoltori inizieranno leprime semine.

Tutti i villaggi del distretto hanno inviato per l'occa-sione a Dai-ngai il loro altare degli antenati coi Buddhae le immancabili bandiere di seta. Diverse centinaiad'altari dorati e di Buddha panciuti e parecchie migliaiadi stendardi gialli sono allineati nella strada principale

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Page 292: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

del paese, la quale termina in una specie di piazzad'armi circondata di risaie allagate.

Oggi in tutta la Cocincina, nel Laos meridionale,nell'Annam e nel basso Tonkino, s'inaugura, con la me-desima cerimonia, la lavorazione del riso. Ad Hué il pri-mo solco è scavato dall'imperatore con un aratro di lac-ca rossa e d'oro ereditato di dinastia in dinastia dallanotte dei tempi. Il monarca arriva in pompa magna colcorteo degli elefanti, con i dignitari e le ballerine di cor-te, coi «mandarini maggiori» e gli alti ufficiali della Re-sidenza francese. Giunto sul luogo, l'imperatore, che in-dossa l'uniforme di grande gala con la corona di Hué, sispoglia dei suoi ornamenti, veste la tunica grigia del

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PNOM-PEN – Palazzo reale. Il padiglione del trono.

del paese, la quale termina in una specie di piazzad'armi circondata di risaie allagate.

Oggi in tutta la Cocincina, nel Laos meridionale,nell'Annam e nel basso Tonkino, s'inaugura, con la me-desima cerimonia, la lavorazione del riso. Ad Hué il pri-mo solco è scavato dall'imperatore con un aratro di lac-ca rossa e d'oro ereditato di dinastia in dinastia dallanotte dei tempi. Il monarca arriva in pompa magna colcorteo degli elefanti, con i dignitari e le ballerine di cor-te, coi «mandarini maggiori» e gli alti ufficiali della Re-sidenza francese. Giunto sul luogo, l'imperatore, che in-dossa l'uniforme di grande gala con la corona di Hué, sispoglia dei suoi ornamenti, veste la tunica grigia del

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PNOM-PEN – Palazzo reale. Il padiglione del trono.

Page 293: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

contadino e prende posto dietro l'aratro al quale è attac-cato un bufalo nero. Colla mano sinistra impugna il vo-mere e nella destra tiene una frusta. Dopo la tradizionaleinvocazione agli antenati perchè benedicano la fatica deiloro discendenti, l'imperatore traccia il primo solcodell'annata fra le ovazioni dei sudditi, il rombo dei mor-taretti e le salve dei cannoni francesi mentre le truppepresentano le armi.

È un primo maggio annamita, più simpatico di quellosovversivo!

A Dai-ngai invece dell'imperatore è il primo mandari-no della provincia che guida l'aratro simbolico, assistitodai due più vecchi coltivatori del distretto e dai due piùalti funzionari dell'Amministrazione. Ed il primo solco ècopiosamente inaffiato d'acquavite di riso per restituirealla terra-madre una parte delle ricchezze che essa pro-digalmente dispensa ogni anno agli abitanti.

V'è indiscutibilmente una grande bellezza di pensieroe di sentimento in questa cerimonia millenaria che nellasua solenne semplicità fa pensare alla Roma di Cincin-nato.

Quando il bufalo nero, stimolato dalla frusta e dagliincitamenti della folla, entra nell'acqua e l'aratro di laccarossa si solleva a dare il primo morso dell'annata, allaterra, la moltitudine s'inginocchia in silenzio.

Innanzi a noi è la campagna sterminata intrisa di ac-qua, nuda ancora e senza ricchezze, quasi palude. Il pic-colo aratro rosso affonda nella sua desolata sterilità ilvomero fecondatore.

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contadino e prende posto dietro l'aratro al quale è attac-cato un bufalo nero. Colla mano sinistra impugna il vo-mere e nella destra tiene una frusta. Dopo la tradizionaleinvocazione agli antenati perchè benedicano la fatica deiloro discendenti, l'imperatore traccia il primo solcodell'annata fra le ovazioni dei sudditi, il rombo dei mor-taretti e le salve dei cannoni francesi mentre le truppepresentano le armi.

È un primo maggio annamita, più simpatico di quellosovversivo!

A Dai-ngai invece dell'imperatore è il primo mandari-no della provincia che guida l'aratro simbolico, assistitodai due più vecchi coltivatori del distretto e dai due piùalti funzionari dell'Amministrazione. Ed il primo solco ècopiosamente inaffiato d'acquavite di riso per restituirealla terra-madre una parte delle ricchezze che essa pro-digalmente dispensa ogni anno agli abitanti.

V'è indiscutibilmente una grande bellezza di pensieroe di sentimento in questa cerimonia millenaria che nellasua solenne semplicità fa pensare alla Roma di Cincin-nato.

Quando il bufalo nero, stimolato dalla frusta e dagliincitamenti della folla, entra nell'acqua e l'aratro di laccarossa si solleva a dare il primo morso dell'annata, allaterra, la moltitudine s'inginocchia in silenzio.

Innanzi a noi è la campagna sterminata intrisa di ac-qua, nuda ancora e senza ricchezze, quasi palude. Il pic-colo aratro rosso affonda nella sua desolata sterilità ilvomero fecondatore.

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Il vento giuoca pigramente con le lunghe foglie deibambù.

Dietro la folla prosternata la strada degli altari e dellebandiere allunga il corridoio dei suoi tabernacoli e deisuoi vessilli. In mezzo agli incensi, alle dorature ed aifiori di carta, i Buddha d'avorio e di legno sorridonobeatamente al lavoro che rinnova la terra e le generazio-ni.

Secondo la convinzione profonda delle moltitudiniereditata di padre in figlio col latte e con la vita, questovomere imperiale non sommuove soltanto una gleba mas'affonda nella polvere degli incalcolabili milioni di es-seri che sono morti durante i secoli e sono ritornati nelgrembo della terra. V'è nei gialli un rapporto diretto fra imorti nutriti di riso che si sono stemperati nella madreterra ed il riso che rigermina ad ogni stagione per nutrirela generazione vivente. E questo rapporto è, in fondo, labase di tutte le credenze religiose e di tutti gli ordina-menti sociali dell'Asia gialla.

Perciò quando, durante la cerimonia, un soffio piùforte di vento increspa l'acqua dei campi, la folla abbas-sa paurosamente il capo e si rannicchia sgomenta.

È il «kuèng-fùi»! Sono le anime degli antenati che vi-vificano la terra perchè dia il pane quotidiano ai discen-denti.

Nel silenzio sepolcrale si sentono distintamente il fru-scio delle foglie e gli schiocchi dei vessilli. I rumori del-la natura hanno la potenza delle voci d'oltre tomba.

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Il vento giuoca pigramente con le lunghe foglie deibambù.

Dietro la folla prosternata la strada degli altari e dellebandiere allunga il corridoio dei suoi tabernacoli e deisuoi vessilli. In mezzo agli incensi, alle dorature ed aifiori di carta, i Buddha d'avorio e di legno sorridonobeatamente al lavoro che rinnova la terra e le generazio-ni.

Secondo la convinzione profonda delle moltitudiniereditata di padre in figlio col latte e con la vita, questovomere imperiale non sommuove soltanto una gleba mas'affonda nella polvere degli incalcolabili milioni di es-seri che sono morti durante i secoli e sono ritornati nelgrembo della terra. V'è nei gialli un rapporto diretto fra imorti nutriti di riso che si sono stemperati nella madreterra ed il riso che rigermina ad ogni stagione per nutrirela generazione vivente. E questo rapporto è, in fondo, labase di tutte le credenze religiose e di tutti gli ordina-menti sociali dell'Asia gialla.

Perciò quando, durante la cerimonia, un soffio piùforte di vento increspa l'acqua dei campi, la folla abbas-sa paurosamente il capo e si rannicchia sgomenta.

È il «kuèng-fùi»! Sono le anime degli antenati che vi-vificano la terra perchè dia il pane quotidiano ai discen-denti.

Nel silenzio sepolcrale si sentono distintamente il fru-scio delle foglie e gli schiocchi dei vessilli. I rumori del-la natura hanno la potenza delle voci d'oltre tomba.

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Alla Corte del re del Camboge

PNOM-PEN, 2 luglio.

Venticinque anni fa, quando Pierre Loti rivelò anche acoloro che non s'interessavano di archeologia le sma-glianti bellezze di Angkor Vat, il viaggio da Saigon allacapitale del Camboge era un piccolo problema che ri-chiedeva, oltre ad una certa dose di spirito avventuroso,diverse protezioni e commendatizie. Erano ancora i tem-pi in cui il buon re Sisovat ed il suo predecessore Noro-dom inviavano immancabilmente un paio di elefantireali incontro al viaggiatore bianco per facilitargli le ul-time tappe. Venticinque anni sono un secolo per una co-lonia di buon rendimento economico! Oggi il tragittoSaigon-Pnom-Pen è altrettanto facile del percorso Mi-lano-Venezia. Un servizio automobilistico pubblico tra-sporta i viaggiatori a Banam sul fiume Mekong, dovetrovano un comodo vaporetto delle «Messageries» flu-viali che con cinque ore di navigazione, li sbarca in fac-cia alle pagode di Pnom-Pen.

Anche la vecchia capitale s'è trasformata. È diventatauna città moderna. I suoi trentamila abitanti sono dive-

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Alla Corte del re del Camboge

PNOM-PEN, 2 luglio.

Venticinque anni fa, quando Pierre Loti rivelò anche acoloro che non s'interessavano di archeologia le sma-glianti bellezze di Angkor Vat, il viaggio da Saigon allacapitale del Camboge era un piccolo problema che ri-chiedeva, oltre ad una certa dose di spirito avventuroso,diverse protezioni e commendatizie. Erano ancora i tem-pi in cui il buon re Sisovat ed il suo predecessore Noro-dom inviavano immancabilmente un paio di elefantireali incontro al viaggiatore bianco per facilitargli le ul-time tappe. Venticinque anni sono un secolo per una co-lonia di buon rendimento economico! Oggi il tragittoSaigon-Pnom-Pen è altrettanto facile del percorso Mi-lano-Venezia. Un servizio automobilistico pubblico tra-sporta i viaggiatori a Banam sul fiume Mekong, dovetrovano un comodo vaporetto delle «Messageries» flu-viali che con cinque ore di navigazione, li sbarca in fac-cia alle pagode di Pnom-Pen.

Anche la vecchia capitale s'è trasformata. È diventatauna città moderna. I suoi trentamila abitanti sono dive-

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nuti centoventi mila, fra cambogesi, annamiti e cinesi,ed aumentano sempre, di mano in mano che la risaiaconquista altre terre incolte sviluppando l'importanzacommerciale ed economica di Pnom-Pen. I prezzi deglialberghi sono degni di Ostenda o di San Remo.

Alla popolazione fissa va aggiunta quella del fiume,cioè i battellieri delle giunche e dei canali che hanno aPnom-Pen il loro porto di appoggio. Fra una e l'altradelle interminabili navigazioni fluviali nelle qualis'esaurisce la loro povera esistenza di tritoni d'acquadolce, i battellieri fanno sosta, per abitudine secolare, aPnom-Pen, vi celebrano in genere i matrimoni e vi sep-pelliscono i morti, eseguono il calatafaggio dei «sam-pan» e le grosse riparazioni di bordo, comperano tutte lepiccole cose di cui hanno bisogno, consultano le veg-genti ed i dicitori di buona fortuna, vendono le figlie damarito, danno da fare per nove mesi alle mogli che abi-tano la terra ferma, celebrano nelle pagode reali i riti aiquali ogni indo-cinese resta fedele di padre in figlio, an-che se ladro o contrabbandiere, e se hanno qualche ran-core di bordo da regolare lo liquidano con due coltellatenei caffeucci della suburra. Si calcola che non meno diventimila persone di passaggio si trovino permanente-mente a Pnom-Pen che è il centro di tutte le innumere-voli comunicazioni fluviali fra il Camboge, la Cocinci-na, il Laos, l'Annam e le Provincie orientali del Siam.

Nella via Ohier, che è il corso di Pnom-Pen, s'incon-trano non solo tutte le razze dell'Indocina ma anche tuttigli incroci delle alcove d'Estremo Oriente, tutti i prodot-

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nuti centoventi mila, fra cambogesi, annamiti e cinesi,ed aumentano sempre, di mano in mano che la risaiaconquista altre terre incolte sviluppando l'importanzacommerciale ed economica di Pnom-Pen. I prezzi deglialberghi sono degni di Ostenda o di San Remo.

Alla popolazione fissa va aggiunta quella del fiume,cioè i battellieri delle giunche e dei canali che hanno aPnom-Pen il loro porto di appoggio. Fra una e l'altradelle interminabili navigazioni fluviali nelle qualis'esaurisce la loro povera esistenza di tritoni d'acquadolce, i battellieri fanno sosta, per abitudine secolare, aPnom-Pen, vi celebrano in genere i matrimoni e vi sep-pelliscono i morti, eseguono il calatafaggio dei «sam-pan» e le grosse riparazioni di bordo, comperano tutte lepiccole cose di cui hanno bisogno, consultano le veg-genti ed i dicitori di buona fortuna, vendono le figlie damarito, danno da fare per nove mesi alle mogli che abi-tano la terra ferma, celebrano nelle pagode reali i riti aiquali ogni indo-cinese resta fedele di padre in figlio, an-che se ladro o contrabbandiere, e se hanno qualche ran-core di bordo da regolare lo liquidano con due coltellatenei caffeucci della suburra. Si calcola che non meno diventimila persone di passaggio si trovino permanente-mente a Pnom-Pen che è il centro di tutte le innumere-voli comunicazioni fluviali fra il Camboge, la Cocinci-na, il Laos, l'Annam e le Provincie orientali del Siam.

Nella via Ohier, che è il corso di Pnom-Pen, s'incon-trano non solo tutte le razze dell'Indocina ma anche tuttigli incroci delle alcove d'Estremo Oriente, tutti i prodot-

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ti meticci del Siam, del Tonkino, dell'Annam, della Bir-mania, del Laos e della Cina meridionale: figli di bian-chi, di gialli, di Mongoli, d'indiani, di malesi, di giappo-nesi, di mois, di indigeni dell'Equatore; mescolanzecomplicatissime che s'ingarbugliano sempre più di gene-razione in generazione e finiscono col creare per esem-pio dei gialli col naso aquilino e cogli occhi celesti o de-gli indiani cogli occhi obbliqui ed i capelli biondo oro.

A volte il caso si diverte a concentrare i difetti fisicidi quattro o cinque razze in un unico esemplare da ba-raccone di fiera: altre volte invece tutte le graziedell'India, della Cina e dell'arcipelago equatoriale, in-gentiliscono un ovale femminile, facendone una affasci-nante bellezza d'oltre mare che s'imprime nella memoriae non si scorda mai più.

La leggendaria avvenenza delle danzatrici del re delCamboge dipende appunto dal privilegio che hannoquesti fortunati monarchi di potere scegliere per le loroserre nel grande giardino dell'Indocina, fra i risultati ditutti gli innesti, i più bei bocciuoli della flora asiatica.

Fra cinquant'anni Pnom-Pen sarà forse una bella città.Per ora è troppo nuova. I francesi che l'hanno ricostruitadi sana pianta con l'intenzione di gettare le basi d'unametropoli si sono preoccupati di rispettare il colore loca-le. I palazzi, le case, i ponti, i monumenti, le caserme, ilgiardino pubblico, perfino i casotti dei doganieri e glisbarcatoi delle «Messaggeries», rivelano il concetto lo-devole al quale hanno obbedito architetti e costruttori dinon ripetere l'errore di Saigon, di non edificare cioè una

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ti meticci del Siam, del Tonkino, dell'Annam, della Bir-mania, del Laos e della Cina meridionale: figli di bian-chi, di gialli, di Mongoli, d'indiani, di malesi, di giappo-nesi, di mois, di indigeni dell'Equatore; mescolanzecomplicatissime che s'ingarbugliano sempre più di gene-razione in generazione e finiscono col creare per esem-pio dei gialli col naso aquilino e cogli occhi celesti o de-gli indiani cogli occhi obbliqui ed i capelli biondo oro.

A volte il caso si diverte a concentrare i difetti fisicidi quattro o cinque razze in un unico esemplare da ba-raccone di fiera: altre volte invece tutte le graziedell'India, della Cina e dell'arcipelago equatoriale, in-gentiliscono un ovale femminile, facendone una affasci-nante bellezza d'oltre mare che s'imprime nella memoriae non si scorda mai più.

La leggendaria avvenenza delle danzatrici del re delCamboge dipende appunto dal privilegio che hannoquesti fortunati monarchi di potere scegliere per le loroserre nel grande giardino dell'Indocina, fra i risultati ditutti gli innesti, i più bei bocciuoli della flora asiatica.

Fra cinquant'anni Pnom-Pen sarà forse una bella città.Per ora è troppo nuova. I francesi che l'hanno ricostruitadi sana pianta con l'intenzione di gettare le basi d'unametropoli si sono preoccupati di rispettare il colore loca-le. I palazzi, le case, i ponti, i monumenti, le caserme, ilgiardino pubblico, perfino i casotti dei doganieri e glisbarcatoi delle «Messaggeries», rivelano il concetto lo-devole al quale hanno obbedito architetti e costruttori dinon ripetere l'errore di Saigon, di non edificare cioè una

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brutta città di Occidente in mezzo agli scenarii naturalidell'Indocina ed ai ruderi meravigliosi dell'arte «kmèr».

Quando s'arriva da sud per via d'acqua la città vistada lontano coi suoi tetti aguzzi, colla mole dei palazzireali, colle cupole bizzarre delle sue innumerevoli pago-de offre un colpo d'occhio di grande effetto scenico. Noiabbiamo avuto la fortuna d'arrivare a Pnom-Pen verso ilcrepuscolo, mentre impazzava uno di quei fantastici tra-monti di rame dell'Indocina che caricano l'orizzonte dilacche gialle e di fiori di zolfo. Sulla campagna allagataper l'inondazione delle risaie, rigata dai bambù e dai sa-lici piangenti, la città costruita su un rialzo del terrenolibrava nell'atmosfera intrisa di zafferano il blocco deisuoi edifici monumentali color tartaruga, dominati dallafreccia fiammeggiante del Pnom.

Il grande letto del Mekong incendiato dal sole spiega-va ai piedi della città i quattro ventagli scintillanti deisuoi mille canali irradiati verso nord e verso sud, versooriente e verso occidente. I «sampan» imbandierati e legiunche con le vele al vento formavano come una coro-na di scogli e d'isolotti in festa intorno alla visione men-tre la sterminata specchiera delle risaie rifletteva la para-dossale colorazione del cielo.

Pnom-Pen dava l'impressione fallace d'una metropoli,d'essere veramente quella «grande capitale dei quattrobracci» sognata dal suo fondatore Ponea-Yat, re delCamboge quando nell'anno del Tigre, sesto della decadedel Pizak, (1430 dell'era volgare) trasferì a Pnom-Pen la

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brutta città di Occidente in mezzo agli scenarii naturalidell'Indocina ed ai ruderi meravigliosi dell'arte «kmèr».

Quando s'arriva da sud per via d'acqua la città vistada lontano coi suoi tetti aguzzi, colla mole dei palazzireali, colle cupole bizzarre delle sue innumerevoli pago-de offre un colpo d'occhio di grande effetto scenico. Noiabbiamo avuto la fortuna d'arrivare a Pnom-Pen verso ilcrepuscolo, mentre impazzava uno di quei fantastici tra-monti di rame dell'Indocina che caricano l'orizzonte dilacche gialle e di fiori di zolfo. Sulla campagna allagataper l'inondazione delle risaie, rigata dai bambù e dai sa-lici piangenti, la città costruita su un rialzo del terrenolibrava nell'atmosfera intrisa di zafferano il blocco deisuoi edifici monumentali color tartaruga, dominati dallafreccia fiammeggiante del Pnom.

Il grande letto del Mekong incendiato dal sole spiega-va ai piedi della città i quattro ventagli scintillanti deisuoi mille canali irradiati verso nord e verso sud, versooriente e verso occidente. I «sampan» imbandierati e legiunche con le vele al vento formavano come una coro-na di scogli e d'isolotti in festa intorno alla visione men-tre la sterminata specchiera delle risaie rifletteva la para-dossale colorazione del cielo.

Pnom-Pen dava l'impressione fallace d'una metropoli,d'essere veramente quella «grande capitale dei quattrobracci» sognata dal suo fondatore Ponea-Yat, re delCamboge quando nell'anno del Tigre, sesto della decadedel Pizak, (1430 dell'era volgare) trasferì a Pnom-Pen la

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capitale del regno abbandonando la vecchia e gloriosaAngkor troppo esposta alle invasioni dei siamesi.

Solo sei secoli più tardi incomincia a realizzarsi laprevisione reale, non per rigoglio di potenza militare opolitica, che anzi il Camboge ha perduto la sua indipen-denza, ma per le favorevoli circostanze del commercioil quale s'appresta a fare di questa città che domina levie fluviali la Milano dell'Indocina.

Dove sono state sconfitte le armi ed è fallita la politi-ca, il riso risuscita la prosperità dei millenni scomparsi,quasi per compensare il popolo gentile ed affabile che loha adorato durante i secoli come una divinità. All'epocadel raccolto i sacchi del prezioso prodotto s'ammassanoa milioni e milioni sui moli del fiume e nei colossali de-positi delle banchine. In mezzo all'oro liquescente delTropico, il ventunesimo secolo sposa le giunche invero-simili dell'Annam alle gru potenti dell'Europa. Il rombovellutato dei «gong» delle pagode si confonde col mar-tellamento titanico dell'arsenale. La sera, mentre sui«sampan» s'accendono i lampioni centenarii di seta conl'effige del drago di Cina o del serpente del Camboge, iglobi elettrici imbiancano con la loro incandescenzaanacronistica le imbarcazioni vetuste del fiume.

Col tempo i monumenti e gli edifici acquisterannosenza dubbio quella patina indefinibile che aggraziasquisitamente le altre capitali dell'Estremo Oriente. Perora Pnom-Pen è ancora troppo nuova, troppo inzacche-rata di calce fresca e di cemento. L'oro delle cupole ètroppo violento, il lucido delle porcellane troppo abba-

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capitale del regno abbandonando la vecchia e gloriosaAngkor troppo esposta alle invasioni dei siamesi.

Solo sei secoli più tardi incomincia a realizzarsi laprevisione reale, non per rigoglio di potenza militare opolitica, che anzi il Camboge ha perduto la sua indipen-denza, ma per le favorevoli circostanze del commercioil quale s'appresta a fare di questa città che domina levie fluviali la Milano dell'Indocina.

Dove sono state sconfitte le armi ed è fallita la politi-ca, il riso risuscita la prosperità dei millenni scomparsi,quasi per compensare il popolo gentile ed affabile che loha adorato durante i secoli come una divinità. All'epocadel raccolto i sacchi del prezioso prodotto s'ammassanoa milioni e milioni sui moli del fiume e nei colossali de-positi delle banchine. In mezzo all'oro liquescente delTropico, il ventunesimo secolo sposa le giunche invero-simili dell'Annam alle gru potenti dell'Europa. Il rombovellutato dei «gong» delle pagode si confonde col mar-tellamento titanico dell'arsenale. La sera, mentre sui«sampan» s'accendono i lampioni centenarii di seta conl'effige del drago di Cina o del serpente del Camboge, iglobi elettrici imbiancano con la loro incandescenzaanacronistica le imbarcazioni vetuste del fiume.

Col tempo i monumenti e gli edifici acquisterannosenza dubbio quella patina indefinibile che aggraziasquisitamente le altre capitali dell'Estremo Oriente. Perora Pnom-Pen è ancora troppo nuova, troppo inzacche-rata di calce fresca e di cemento. L'oro delle cupole ètroppo violento, il lucido delle porcellane troppo abba-

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gliante, troppo linde le facciate, troppo verniciate le por-te, troppo vivaci le decorazioni murali. Le proboscidi dielefante e le code di serpente che penzolano da tutti itetti non hanno la potenza evocatrice delle terrazze me-ravigliose di Angkor: hanno piuttosto l'aria di pompe daincendio e di copertoni d'automobile lasciati ad asciuga-re. L'occhio si sente a disagio in mezzo a tanto luccichiodi colori e di stucchi che dà l'impressione d'una esposi-zione universale organizzata dalle industrie dello smal-to, delle pitture, delle vernici e delle mattonelle.

Anche il palazzo reale, ricostruito dalla Società Ar-cheologica francese in perfetto stile «kmèr», ha ancoral'aria troppo di caramella per piacere al nostro buon gu-sto latino, reso più esigente dalle finezze veneziane efiorentine di casa nostra e dalle stesse raffinatezze dellavecchia Cina.

Gli architetti francesi hanno certo fatto assegnamentosulla incuria cambogese e sulla lenta limatura dei secoliper far rivivere a Pnom-Pen le bellezze dell'antica edili-zia «kmèr». Pel momento questa città di finto granito, di«ripolin» e di mattonelle igieniche prepara male il viag-giatore alla formidabile visione di Angkor Vat che amezza giornata di distanza erge sul mistero della forestatropicale le sue meravigliose mitre di granito.

S. M. Sisovat, re del Camboge, il quale dopo un brut-to tiro giuocatogli da un corrispondente americano nonconcede più interviste, ha voluto gentilmente farmi assi-stere ad una udienza pubblica che m'ha permesso di ve-

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gliante, troppo linde le facciate, troppo verniciate le por-te, troppo vivaci le decorazioni murali. Le proboscidi dielefante e le code di serpente che penzolano da tutti itetti non hanno la potenza evocatrice delle terrazze me-ravigliose di Angkor: hanno piuttosto l'aria di pompe daincendio e di copertoni d'automobile lasciati ad asciuga-re. L'occhio si sente a disagio in mezzo a tanto luccichiodi colori e di stucchi che dà l'impressione d'una esposi-zione universale organizzata dalle industrie dello smal-to, delle pitture, delle vernici e delle mattonelle.

Anche il palazzo reale, ricostruito dalla Società Ar-cheologica francese in perfetto stile «kmèr», ha ancoral'aria troppo di caramella per piacere al nostro buon gu-sto latino, reso più esigente dalle finezze veneziane efiorentine di casa nostra e dalle stesse raffinatezze dellavecchia Cina.

Gli architetti francesi hanno certo fatto assegnamentosulla incuria cambogese e sulla lenta limatura dei secoliper far rivivere a Pnom-Pen le bellezze dell'antica edili-zia «kmèr». Pel momento questa città di finto granito, di«ripolin» e di mattonelle igieniche prepara male il viag-giatore alla formidabile visione di Angkor Vat che amezza giornata di distanza erge sul mistero della forestatropicale le sue meravigliose mitre di granito.

S. M. Sisovat, re del Camboge, il quale dopo un brut-to tiro giuocatogli da un corrispondente americano nonconcede più interviste, ha voluto gentilmente farmi assi-stere ad una udienza pubblica che m'ha permesso di ve-

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dere il Palazzo in tutto il fasto d'un giorno di ricevimen-to e d'ammirare la Corte in tutta la pompa asiatica d'altritempi.

Sisovat è un eccellente monarca coloniale che haadottato l'automobile con la «condotta interna», il mobi-lio Luigi XV, le scarpe con la suola di gomma vergine elo champagne cordon rouge. Nel suo appartamento pri-vato, il tradizionale «altare degli antenati» è sostituitoda una argentiera di mogano coi cristalli molati, nellaquale arde pallidamente un opulento servizio di Sèvresregalato dalla Repubblica e scintilla una superba colle-zione di bicchieri d'ogni formato, coll'elefante imperialedel Camboge, fabbricati a Murano.

Sisovat è un re moderno che veste all'europea, colcappello a cencio ed è un vecchio saggio del Cambogeche ha ereditato dai padri il dono di giudicare con filo-sofia gli alti ed i bassi del mondo. Ordinariamente viveper conto suo nella tranquilla atmosfera dei palazzi rea-li, lasciando ai suoi ministri ed agli onnipotenti funzio-nari francesi le cure dello Stato; però egli è anche il con-servatore ufficiale di una tradizione secolare che pelmomento fa comodo alla Francia, per cui ogni tanto incerte occasioni protocollari che sono state ridotte al mi-nimo, torna ad essere per un'ora o due il grande monarcadel Sole Eminente ed a mostrarsi ai suoi sudditi in tuttolo splendore antico della porpora.

S. M. è del resto un curioso miscuglio di tradizionali-smo e di modernismo che compromette qualsiasi profilopsicologico. Mentre infatti ha adottato personalmente

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dere il Palazzo in tutto il fasto d'un giorno di ricevimen-to e d'ammirare la Corte in tutta la pompa asiatica d'altritempi.

Sisovat è un eccellente monarca coloniale che haadottato l'automobile con la «condotta interna», il mobi-lio Luigi XV, le scarpe con la suola di gomma vergine elo champagne cordon rouge. Nel suo appartamento pri-vato, il tradizionale «altare degli antenati» è sostituitoda una argentiera di mogano coi cristalli molati, nellaquale arde pallidamente un opulento servizio di Sèvresregalato dalla Repubblica e scintilla una superba colle-zione di bicchieri d'ogni formato, coll'elefante imperialedel Camboge, fabbricati a Murano.

Sisovat è un re moderno che veste all'europea, colcappello a cencio ed è un vecchio saggio del Cambogeche ha ereditato dai padri il dono di giudicare con filo-sofia gli alti ed i bassi del mondo. Ordinariamente viveper conto suo nella tranquilla atmosfera dei palazzi rea-li, lasciando ai suoi ministri ed agli onnipotenti funzio-nari francesi le cure dello Stato; però egli è anche il con-servatore ufficiale di una tradizione secolare che pelmomento fa comodo alla Francia, per cui ogni tanto incerte occasioni protocollari che sono state ridotte al mi-nimo, torna ad essere per un'ora o due il grande monarcadel Sole Eminente ed a mostrarsi ai suoi sudditi in tuttolo splendore antico della porpora.

S. M. è del resto un curioso miscuglio di tradizionali-smo e di modernismo che compromette qualsiasi profilopsicologico. Mentre infatti ha adottato personalmente

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molti usi ed abitudini europee, obbliga la Corte a segui-re le vecchie usanze, ha riorganizzato il corpo reale diballo secondo le più antiche tradizioni e si occupa quasiesclusivamente d'una riforma religiosa dei bonzi. Nellagerarchia dell'Indocina, il rango di re del Camboge vie-ne immediatamente dopo quello dell'imperatoredell'Annam che risiede ad Hué.

Ogni mattina S. M. riceve immancabilmente i novan-ta bonzi del Palazzo e distribuisce loro l'offerta abituale,consistente in un mestolo di riso, in una banana ed inuna candela. Dopo si reca nella pagoda d'argento ad of-frire piamente la classica tazzina di riso all'ombra delpadre, il re Norodom, il quale è raffigurato da una gi-gantesca statua d'oro alta due metri e mezzo – una verafortuna all'aggio attuale del prezioso metallo – con gliocchi fatti da due enormi diamanti e ricche incrostazionidi pietre preziose sul manto reale.

Lì Norodom, beatificato dai bonzi del Camboge, simostra ai visitatori sotto il baldacchino di nove parasolibianchi in compagnia di numerosi Buddha coi quali pre-sumibilmente conversa nel grande regno delle Ombre.In alto, dentro una piccola nicchia scavata a giorno nellamuraglia, uno strano Buddha di cristallo azzurro investi-to dalla luminosità esterna fa pensare alla vegetazionevischiosa delle risaie ed ai giuochi del sole nell'acquamorta.

— Questi principi gialli — mi diceva ieri un colon-nello francese — sono indefinibili. Se non riusciamo acomprendere il segreto del nostro boy annamita dopo

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molti usi ed abitudini europee, obbliga la Corte a segui-re le vecchie usanze, ha riorganizzato il corpo reale diballo secondo le più antiche tradizioni e si occupa quasiesclusivamente d'una riforma religiosa dei bonzi. Nellagerarchia dell'Indocina, il rango di re del Camboge vie-ne immediatamente dopo quello dell'imperatoredell'Annam che risiede ad Hué.

Ogni mattina S. M. riceve immancabilmente i novan-ta bonzi del Palazzo e distribuisce loro l'offerta abituale,consistente in un mestolo di riso, in una banana ed inuna candela. Dopo si reca nella pagoda d'argento ad of-frire piamente la classica tazzina di riso all'ombra delpadre, il re Norodom, il quale è raffigurato da una gi-gantesca statua d'oro alta due metri e mezzo – una verafortuna all'aggio attuale del prezioso metallo – con gliocchi fatti da due enormi diamanti e ricche incrostazionidi pietre preziose sul manto reale.

Lì Norodom, beatificato dai bonzi del Camboge, simostra ai visitatori sotto il baldacchino di nove parasolibianchi in compagnia di numerosi Buddha coi quali pre-sumibilmente conversa nel grande regno delle Ombre.In alto, dentro una piccola nicchia scavata a giorno nellamuraglia, uno strano Buddha di cristallo azzurro investi-to dalla luminosità esterna fa pensare alla vegetazionevischiosa delle risaie ed ai giuochi del sole nell'acquamorta.

— Questi principi gialli — mi diceva ieri un colon-nello francese — sono indefinibili. Se non riusciamo acomprendere il segreto del nostro boy annamita dopo

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Page 303: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

venti anni che è al nostro servizio, come possiamo leg-gere dentro gli occhi di smalto di questa aristocrazia im-penetrabile che vive isolata e che da secoli di padre infiglio ha fatto consistere la perfezione nel nascondereagli estranei il proprio «io»?

Pian piano il salone delle udienze reali si riempie didignitari e di mandarini in tuniche sgargianti di setagialla e di raso violetto a ricami d'oro, ognuno col para-sole colorato rispondente al suo rango. Dietro il tronos'allineano le guardie personali del re con le uniformiguerriere del tempo antico e lo scintillante casco cambo-gese a testa di serpente, i «cortigiani della spada» cheportano su preziosi cuscini le innumerevoli sciabole del-la dinastia dalle impugnature d'avorio e di giada, i «con-ducenti del soglio» coi ricchissimi palanchini di cortesormontati dai baldacchini a sette e nove parasoli, i fun-zionari dell'Elefante con superbe zanne dei sacri pachi-dermi finemente scolpite, gli scudieri coi sette ombrellisimbolici adoperati dal sovrano, uno per ciascun giornodella settimana: giallo canarino il lunedì, violetto il mar-tedì, giallo uovo il mercoledì, verde il giovedì, azzurro ilvenerdì, nero il sabato e rosso la domenica. Ed ognigiorno il colore delle vesti reali deve essere intonato se-condo la tradizione alla tinta del parasole.

Nei quattro angoli della sala del Trono giganteschiidoli di granito – i Garuda del Camboge – sostengono ilbizzarrissimo tetto «kmèr» di legno intagliato, formatoda diverse tettoie soprastanti che man mano s'abbassanoe s'allargano, ognuna terminata da una frangia di serpen-

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venti anni che è al nostro servizio, come possiamo leg-gere dentro gli occhi di smalto di questa aristocrazia im-penetrabile che vive isolata e che da secoli di padre infiglio ha fatto consistere la perfezione nel nascondereagli estranei il proprio «io»?

Pian piano il salone delle udienze reali si riempie didignitari e di mandarini in tuniche sgargianti di setagialla e di raso violetto a ricami d'oro, ognuno col para-sole colorato rispondente al suo rango. Dietro il tronos'allineano le guardie personali del re con le uniformiguerriere del tempo antico e lo scintillante casco cambo-gese a testa di serpente, i «cortigiani della spada» cheportano su preziosi cuscini le innumerevoli sciabole del-la dinastia dalle impugnature d'avorio e di giada, i «con-ducenti del soglio» coi ricchissimi palanchini di cortesormontati dai baldacchini a sette e nove parasoli, i fun-zionari dell'Elefante con superbe zanne dei sacri pachi-dermi finemente scolpite, gli scudieri coi sette ombrellisimbolici adoperati dal sovrano, uno per ciascun giornodella settimana: giallo canarino il lunedì, violetto il mar-tedì, giallo uovo il mercoledì, verde il giovedì, azzurro ilvenerdì, nero il sabato e rosso la domenica. Ed ognigiorno il colore delle vesti reali deve essere intonato se-condo la tradizione alla tinta del parasole.

Nei quattro angoli della sala del Trono giganteschiidoli di granito – i Garuda del Camboge – sostengono ilbizzarrissimo tetto «kmèr» di legno intagliato, formatoda diverse tettoie soprastanti che man mano s'abbassanoe s'allargano, ognuna terminata da una frangia di serpen-

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ti dorati e di proboscidi che sporgono all'esterno le loroappendici contorte, dando all'insieme dell'edifiziol'aspetto caratteristico ed un po' sconcertante dell'archi-tettura «kmèr». Lungo le pareti quattro file di donne ala-te di granito aiutano gli idoli a sostenere la mole del tet-to. Il pavimento è di mosaico. Molto oro è profuso perogni dove.

Lacche ornamentali di tinte vivacissime – gialle, ros-se, violette, verdi – decorano fantasticamente il salonecon un'orgia pazza di colori violenti che turba il nostroconcetto d'arte, ma quando la sala è riempita di parasolie di dignitari in tuniche di seta, le forme ed i colori delladecorazione si fondono armonicamente con le fogge de-gli oggetti e con le tinte degli abbigliamenti.

Il trono di legno di tek con incrostazioni di sandalo edi cedro, è tutto un paziente intaglio, come quegli avoriigiapponesi che riuniscono cento figurine scolpite inventi centimetri di superficie. Nove parasoli bianchi so-vrapposti, sormontati da quattro maschere di Brahma,formano il baldacchino: nove ordini di gradini conduco-no al seggio reale: i tappeti sono sostituiti da specchibordati d'oro.

Ai lati del trono due cappelle in penombra ardono cu-pamente: in una sono raccolti i Buddha e le divinità tu-telari del Camboge, idoli di bronzo, d'argento, di giada ed'avorio: nell'altra riposano le ceneri degli antenati realidentro urne funerarie verdi ed azzurre che formano unaspecie di piramide, sul vertice della quale l'urna vuotadel re Sisovat aspetta le ceneri del monarca regnante.

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ti dorati e di proboscidi che sporgono all'esterno le loroappendici contorte, dando all'insieme dell'edifiziol'aspetto caratteristico ed un po' sconcertante dell'archi-tettura «kmèr». Lungo le pareti quattro file di donne ala-te di granito aiutano gli idoli a sostenere la mole del tet-to. Il pavimento è di mosaico. Molto oro è profuso perogni dove.

Lacche ornamentali di tinte vivacissime – gialle, ros-se, violette, verdi – decorano fantasticamente il salonecon un'orgia pazza di colori violenti che turba il nostroconcetto d'arte, ma quando la sala è riempita di parasolie di dignitari in tuniche di seta, le forme ed i colori delladecorazione si fondono armonicamente con le fogge de-gli oggetti e con le tinte degli abbigliamenti.

Il trono di legno di tek con incrostazioni di sandalo edi cedro, è tutto un paziente intaglio, come quegli avoriigiapponesi che riuniscono cento figurine scolpite inventi centimetri di superficie. Nove parasoli bianchi so-vrapposti, sormontati da quattro maschere di Brahma,formano il baldacchino: nove ordini di gradini conduco-no al seggio reale: i tappeti sono sostituiti da specchibordati d'oro.

Ai lati del trono due cappelle in penombra ardono cu-pamente: in una sono raccolti i Buddha e le divinità tu-telari del Camboge, idoli di bronzo, d'argento, di giada ed'avorio: nell'altra riposano le ceneri degli antenati realidentro urne funerarie verdi ed azzurre che formano unaspecie di piramide, sul vertice della quale l'urna vuotadel re Sisovat aspetta le ceneri del monarca regnante.

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La sala strabocchevolmente gremita di ufficiali, dimandarini, di bonzi e di cortigiani, offre un colpod'occhio magnifico dell'Estremo Oriente che fu.

Quando entrano le famose ballerine del corpo realedel Camboge – sessanta fragili bellezze esotiche vestited'oro, col viso porcellanato dal belletto millenario e gliocchi di giada smisuratamente allargati dal «kol» – s'hal'impressione che le divinità tutelari abbiano abbandona-to le nicchie delle pagode e si siano messe in moto perrender omaggio al re Sisovat.

Arrivano in sedia portativa la regina e le principesse.Il martellamento vellutato del «gong» avvolge l'immen-so salone in una calotta ancestrale di rombi. Poi il mo-narca del Sole Eminente fa il suo ingresso in un palan-chino di cedro azzurro sotto i nove parasoli bianchi. Èun vegliardo di novanta anni! Sotto la corona ed il man-to reale la sua figura immobile non pare più di questomondo. Io che ho visto ieri Sisovat nel giardino del Pa-lazzo in giacchetta e col cappello a cencio, non immagi-navo che potesse assumere insieme alle insegne del po-tere reale una così grande maestà.

Quando il monarca ascende i gradini del trono tutti iparasoli s'inchinano: si abbassano i baldacchini della re-gina e delle principesse: gli stendardi coi draghi e coiserpenti si curvano; bonzi e dignitari si prosternano, mi-nistri e mandarini si genuflettono: le sessanta ballerinepiegano fino a terra le loro mitre.

Una musica dolce scaturisce dal mistero dei tendaggi.Il Residente Generale ed i colonnelli francesi che gli

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La sala strabocchevolmente gremita di ufficiali, dimandarini, di bonzi e di cortigiani, offre un colpod'occhio magnifico dell'Estremo Oriente che fu.

Quando entrano le famose ballerine del corpo realedel Camboge – sessanta fragili bellezze esotiche vestited'oro, col viso porcellanato dal belletto millenario e gliocchi di giada smisuratamente allargati dal «kol» – s'hal'impressione che le divinità tutelari abbiano abbandona-to le nicchie delle pagode e si siano messe in moto perrender omaggio al re Sisovat.

Arrivano in sedia portativa la regina e le principesse.Il martellamento vellutato del «gong» avvolge l'immen-so salone in una calotta ancestrale di rombi. Poi il mo-narca del Sole Eminente fa il suo ingresso in un palan-chino di cedro azzurro sotto i nove parasoli bianchi. Èun vegliardo di novanta anni! Sotto la corona ed il man-to reale la sua figura immobile non pare più di questomondo. Io che ho visto ieri Sisovat nel giardino del Pa-lazzo in giacchetta e col cappello a cencio, non immagi-navo che potesse assumere insieme alle insegne del po-tere reale una così grande maestà.

Quando il monarca ascende i gradini del trono tutti iparasoli s'inchinano: si abbassano i baldacchini della re-gina e delle principesse: gli stendardi coi draghi e coiserpenti si curvano; bonzi e dignitari si prosternano, mi-nistri e mandarini si genuflettono: le sessanta ballerinepiegano fino a terra le loro mitre.

Una musica dolce scaturisce dal mistero dei tendaggi.Il Residente Generale ed i colonnelli francesi che gli

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fanno corona s'irrigidiscono sull'attenti. Le mille e millecampanelle del palazzo suonano a distesa. I cannoni delforte fanno tremare l'atmosfera dorata di Pnom-Pen fattapei brividi di velluto dei «gong» millenaria

Saliti i nove gradini di specchio, Sisovat resta un mo-mento in piedi prima di prendere posto sul trono. Gli oc-chietti nocciuola che ieri m'erano parsi pieni di bontà ed'intelligenza, hanno in questo momento la fissità vitreadello smalto. I gesti lenti e meccanici fanno pensare aimovimenti paradossali d'una statua.

La presenza degli ufficiali francesi dovrebbe gettareun'ombra d'ironia su questo simulacro di potenza. In In-dia bastava l'uniforme «kaki» di un maggiore britannicoaccanto al trono scintillante d'un maradjà per rompereogni incanto. Qui no. Il vecchio re Sisovat non ha nullad'un uomo. Ha l'immobilità d'una effige e l'irrealità d'unsimbolo.

Tutto l'orgoglio d'una dinastia centenaria che fu po-tente, gloriosa e magnifica, che la devozione dei sudditidivinizzò durante i tempi fino ad unificarla con la reli-gione e con la patria, stilizza sul volto ieratico di Sisovatla maschera dei secoli.

Pei bianchi della colonia, pei cinesi intraprendenti deimercati e delle compagnie di navigazione, forse anchepei cambogesi di Pnom-Pen educati a Parigi, questo so-vrano senza sovranità è una semplice comparsa. Ma perle umili genti delle risaie e dei «sampan», per i pescatoridel grande Lago, per la piccola folla minuta che vive diformalismi e di tradizioni, per la grande massa dei suoi

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fanno corona s'irrigidiscono sull'attenti. Le mille e millecampanelle del palazzo suonano a distesa. I cannoni delforte fanno tremare l'atmosfera dorata di Pnom-Pen fattapei brividi di velluto dei «gong» millenaria

Saliti i nove gradini di specchio, Sisovat resta un mo-mento in piedi prima di prendere posto sul trono. Gli oc-chietti nocciuola che ieri m'erano parsi pieni di bontà ed'intelligenza, hanno in questo momento la fissità vitreadello smalto. I gesti lenti e meccanici fanno pensare aimovimenti paradossali d'una statua.

La presenza degli ufficiali francesi dovrebbe gettareun'ombra d'ironia su questo simulacro di potenza. In In-dia bastava l'uniforme «kaki» di un maggiore britannicoaccanto al trono scintillante d'un maradjà per rompereogni incanto. Qui no. Il vecchio re Sisovat non ha nullad'un uomo. Ha l'immobilità d'una effige e l'irrealità d'unsimbolo.

Tutto l'orgoglio d'una dinastia centenaria che fu po-tente, gloriosa e magnifica, che la devozione dei sudditidivinizzò durante i tempi fino ad unificarla con la reli-gione e con la patria, stilizza sul volto ieratico di Sisovatla maschera dei secoli.

Pei bianchi della colonia, pei cinesi intraprendenti deimercati e delle compagnie di navigazione, forse anchepei cambogesi di Pnom-Pen educati a Parigi, questo so-vrano senza sovranità è una semplice comparsa. Ma perle umili genti delle risaie e dei «sampan», per i pescatoridel grande Lago, per la piccola folla minuta che vive diformalismi e di tradizioni, per la grande massa dei suoi

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Page 307: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

sudditi è sempre il monarca glorioso del Sole Eminente,l'erede dei dieci re di Angkor, il figlio di Norodom, co-lui nel quale per volere di Buddha sono assopite tutte leforze dell'antica possanza «kmèr», in attesa dell'imman-cabile risveglio del Camboge!

Il trono è come l'altare d'una pagoda. Se il re non co-manda, l'idolo impera.

In fondo alla loro coscienza i colonnelli francesi deb-bono sentire che se il vecchio e buon Sisovat non discu-te le decisioni del Residente, avrebbe ancora il potere dimettersi alla testa d'un popolo insorto.

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sudditi è sempre il monarca glorioso del Sole Eminente,l'erede dei dieci re di Angkor, il figlio di Norodom, co-lui nel quale per volere di Buddha sono assopite tutte leforze dell'antica possanza «kmèr», in attesa dell'imman-cabile risveglio del Camboge!

Il trono è come l'altare d'una pagoda. Se il re non co-manda, l'idolo impera.

In fondo alla loro coscienza i colonnelli francesi deb-bono sentire che se il vecchio e buon Sisovat non discu-te le decisioni del Residente, avrebbe ancora il potere dimettersi alla testa d'un popolo insorto.

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Angkor-Vat

ANGKOR, 11 giugno.

Venticinque anni sono trascorsi da quando il pellegri-no d'Angkor giungeva in vista del monumento formida-bile in un carro annamita tirato da due buoi e chiedevaospitalità per la notte ai bonzi del Tempio!

Nel crepuscolo tropicale la grande foresta dell'altoCamboge stendeva a perdita d'occhio la sua immensitàcarica di mistero. E le genti sorridenti del luogo, abitua-te a vivere in mezzo alle macerie solenni della razza,guardavano con curiosità l'uomo bianco che s'aggiravafra i loro alberi ed i loro macigni, che vagava la nottesulle terrazze imbiancate dalla luna, che rimaneva ore edore estatico a contemplare le quattro mitre di granitocome se i suoi occhi fossero affascinati da un magico in-canto.

Ora quegli occhi si sono chiusi per sempre in un me-riggio ambrato della Bidassoa. Qui una lapide banale ri-corda il soggiorno del poeta: una frase retorica su unalastra di marmo. Pian piano la figura di Pierre Lotis'affonda nelle lontananze del tempo, superata ormai

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Angkor-Vat

ANGKOR, 11 giugno.

Venticinque anni sono trascorsi da quando il pellegri-no d'Angkor giungeva in vista del monumento formida-bile in un carro annamita tirato da due buoi e chiedevaospitalità per la notte ai bonzi del Tempio!

Nel crepuscolo tropicale la grande foresta dell'altoCamboge stendeva a perdita d'occhio la sua immensitàcarica di mistero. E le genti sorridenti del luogo, abitua-te a vivere in mezzo alle macerie solenni della razza,guardavano con curiosità l'uomo bianco che s'aggiravafra i loro alberi ed i loro macigni, che vagava la nottesulle terrazze imbiancate dalla luna, che rimaneva ore edore estatico a contemplare le quattro mitre di granitocome se i suoi occhi fossero affascinati da un magico in-canto.

Ora quegli occhi si sono chiusi per sempre in un me-riggio ambrato della Bidassoa. Qui una lapide banale ri-corda il soggiorno del poeta: una frase retorica su unalastra di marmo. Pian piano la figura di Pierre Lotis'affonda nelle lontananze del tempo, superata ormai

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Page 309: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

dalla storia del mondo che incalza e dallo sviluppo com-merciale delle colonie che deforma irreparabilmente lesue visioni. Anche i piccoli uomini gialli che di padre infiglio abitano da secoli le rovine stanno cambiando,Cook civilizza i maschi e le case di tè s'incaricanod'aprire gli occhi alle femmine. Il Progresso ha già in-stallato accanto ai ruderi imperiali della potenza «kmèr»i suoi piccoli templi: un posto di guardia, un albergo, unbar, un ritrovo ospitale. Uomini di scienza ed uominid'affari s'occupano alacremente ad organizzare lo scena-rio d'Angkor per i turisti dei cinque continenti.

La critica letteraria – un'altra divinità dei tempi mo-derni – che, quando il poeta era vivo, aveva rispettato lasua prosa luminosa, oggi lo ha classificato brutalmentefra i «decadenti», perchè amò i silenzi della natura inun'era assordata dal rombo dei cantieri, perchè dipinsel'India senza accorgersi degli inglesi, presentì il risve-glio dell'Islam e la Turchia di Kemal pascià, trovò innu-merevoli bellezze dove gli altri non vedono che cimici,scoprì infiniti misteri d'anime e di popoli dove gli altrinon scorgono che una plebe selvaggia e miserabile difacchini. Questa classifica di «decadente» è la coronamortuaria che il mondo ha deposto sulla tomba solitariadel poeta che con le sue opere palpitanti fece amarel'oltre mare a tutta una generazione occidentale; che ab-bellì di dolci visioni e d'affascinanti miraggi la vita gra-ma di tanti funzionari e di tanti soldati baciati dalla mor-te negli acquitrini del Laos e nei deserti del Senegal; chedette viso di donna ed ali di farfalla alle sirene esotiche

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dalla storia del mondo che incalza e dallo sviluppo com-merciale delle colonie che deforma irreparabilmente lesue visioni. Anche i piccoli uomini gialli che di padre infiglio abitano da secoli le rovine stanno cambiando,Cook civilizza i maschi e le case di tè s'incaricanod'aprire gli occhi alle femmine. Il Progresso ha già in-stallato accanto ai ruderi imperiali della potenza «kmèr»i suoi piccoli templi: un posto di guardia, un albergo, unbar, un ritrovo ospitale. Uomini di scienza ed uominid'affari s'occupano alacremente ad organizzare lo scena-rio d'Angkor per i turisti dei cinque continenti.

La critica letteraria – un'altra divinità dei tempi mo-derni – che, quando il poeta era vivo, aveva rispettato lasua prosa luminosa, oggi lo ha classificato brutalmentefra i «decadenti», perchè amò i silenzi della natura inun'era assordata dal rombo dei cantieri, perchè dipinsel'India senza accorgersi degli inglesi, presentì il risve-glio dell'Islam e la Turchia di Kemal pascià, trovò innu-merevoli bellezze dove gli altri non vedono che cimici,scoprì infiniti misteri d'anime e di popoli dove gli altrinon scorgono che una plebe selvaggia e miserabile difacchini. Questa classifica di «decadente» è la coronamortuaria che il mondo ha deposto sulla tomba solitariadel poeta che con le sue opere palpitanti fece amarel'oltre mare a tutta una generazione occidentale; che ab-bellì di dolci visioni e d'affascinanti miraggi la vita gra-ma di tanti funzionari e di tanti soldati baciati dalla mor-te negli acquitrini del Laos e nei deserti del Senegal; chedette viso di donna ed ali di farfalla alle sirene esotiche

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senza delle quali le Banche e le Società Anonime nonavrebbero trovato la carne bianca necessaria per conci-mare le «azioni privilegiate» ed i «titoli» coloniali pro-duttori di tagliandi.

La società che sfrutta la potenza animatrice dei poetifinché essa può servire ai suoi fini politici ed economici,ha collocato Pierre Loti fra i visionarii. E coloro i qualiripercorrono a soli venticinque anni di distanza le stradebattute dal pellegrino d'Angkor, muniti d'un bigliettoCook e d'una tessera Duchemin, debbono ridere dellafantasia dello scrittore che attraversava in una giuncadorata il Lago dei pesci rossi, che arrivava ad Angkor inun carro dipinto tirato da buoi neri e chiedeva ai bonziun piatto di riso per la cena mentre i «gong» delle quat-tro piramidi martellavano i silenzi misteriosi del Cam-boge...

Tutto ciò è infatti lontano assai. Storia di un altro se-colo, quasi si direbbe di un altro millennio!

Oggi i pellegrini di Angkor, dopo aver consumato unsucculento «breakfast» in un «albergo-palace» di Pnom-Pen, trovano un autocarro del Touring che a sessantachilometri l'ora li trasporta a Kampong-luong sulle rivedel grande lago. Là Cook ha già fatto preparare la cola-zione compresa nel prezzo del biglietto, vino e caffèesclusi. Un piccolo piroscafo, che rassomiglia come unagoccia a un'altra goccia d'acqua, a quelli dei laghi di Gi-nevra e di Como, trasporta i viaggiatori alla riva oppostadel To-lè. Il pranzo a bordo è servito con tutte le regoledel «Palace». L'orchestrina permette alle misses di

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senza delle quali le Banche e le Società Anonime nonavrebbero trovato la carne bianca necessaria per conci-mare le «azioni privilegiate» ed i «titoli» coloniali pro-duttori di tagliandi.

La società che sfrutta la potenza animatrice dei poetifinché essa può servire ai suoi fini politici ed economici,ha collocato Pierre Loti fra i visionarii. E coloro i qualiripercorrono a soli venticinque anni di distanza le stradebattute dal pellegrino d'Angkor, muniti d'un bigliettoCook e d'una tessera Duchemin, debbono ridere dellafantasia dello scrittore che attraversava in una giuncadorata il Lago dei pesci rossi, che arrivava ad Angkor inun carro dipinto tirato da buoi neri e chiedeva ai bonziun piatto di riso per la cena mentre i «gong» delle quat-tro piramidi martellavano i silenzi misteriosi del Cam-boge...

Tutto ciò è infatti lontano assai. Storia di un altro se-colo, quasi si direbbe di un altro millennio!

Oggi i pellegrini di Angkor, dopo aver consumato unsucculento «breakfast» in un «albergo-palace» di Pnom-Pen, trovano un autocarro del Touring che a sessantachilometri l'ora li trasporta a Kampong-luong sulle rivedel grande lago. Là Cook ha già fatto preparare la cola-zione compresa nel prezzo del biglietto, vino e caffèesclusi. Un piccolo piroscafo, che rassomiglia come unagoccia a un'altra goccia d'acqua, a quelli dei laghi di Gi-nevra e di Como, trasporta i viaggiatori alla riva oppostadel To-lè. Il pranzo a bordo è servito con tutte le regoledel «Palace». L'orchestrina permette alle misses di

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sgranchire con due passi di «fox-trot» le gambe masco-linizzate dallo sport. A sera tarda, quando il lago diventauna lastra di vetro nero nel quale si riflettono le stelledel sud, l'immancabile serenata di Toselli crea l'atmosfe-ra propizia pel «flirt» anglo-sassone o per la «bagatelle»parigina.

Il mattino dopo si è giunti a destinazione. Dinanziallo sbarcatoio romba un altro autobus che in venticin-que minuti appena depone i pellegrini ai piedi dell'Ang-kor-Vat!

La vecchia strada imperiale, aperta nella foresta mil-lenaria, la quale non aveva conosciuto durante i secoliche il rullo epico delle invasioni siamesi e delle controf-fensive cambogesi – lotta ciclopica fra due razze pelpossesso di Angkor-Tom – è oggi levigata dai rulli stra-dali a vapore che impastano la fanghiglia sacra del Me-kong con le macerie reali dei monumenti.

Ogni tanto una epigrafe gialla spezza la fuga rettilineadei tronchi. Lapidi che ricordano un tempio o celebranoun re? No, avvisi di pubblicità d'un albergo di Pnom-Pen, d'un negozio cinese d'antichità, d'un grasso per ra-diatori, d'un «garage» per automobili. A volte pare dalontano che un elefante in gualdrappa rossa si sia messoda canto sul ciglio dello stradone per lasciare passare ilmammuth moderno di Ford o di Agnelli. Errore! Quan-do passiamo vicino ci accorgiamo che si tratta semplice-mente di pompe, di «radioil» o d'altro carburante a di-sposizione dei motori assetati.

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sgranchire con due passi di «fox-trot» le gambe masco-linizzate dallo sport. A sera tarda, quando il lago diventauna lastra di vetro nero nel quale si riflettono le stelledel sud, l'immancabile serenata di Toselli crea l'atmosfe-ra propizia pel «flirt» anglo-sassone o per la «bagatelle»parigina.

Il mattino dopo si è giunti a destinazione. Dinanziallo sbarcatoio romba un altro autobus che in venticin-que minuti appena depone i pellegrini ai piedi dell'Ang-kor-Vat!

La vecchia strada imperiale, aperta nella foresta mil-lenaria, la quale non aveva conosciuto durante i secoliche il rullo epico delle invasioni siamesi e delle controf-fensive cambogesi – lotta ciclopica fra due razze pelpossesso di Angkor-Tom – è oggi levigata dai rulli stra-dali a vapore che impastano la fanghiglia sacra del Me-kong con le macerie reali dei monumenti.

Ogni tanto una epigrafe gialla spezza la fuga rettilineadei tronchi. Lapidi che ricordano un tempio o celebranoun re? No, avvisi di pubblicità d'un albergo di Pnom-Pen, d'un negozio cinese d'antichità, d'un grasso per ra-diatori, d'un «garage» per automobili. A volte pare dalontano che un elefante in gualdrappa rossa si sia messoda canto sul ciglio dello stradone per lasciare passare ilmammuth moderno di Ford o di Agnelli. Errore! Quan-do passiamo vicino ci accorgiamo che si tratta semplice-mente di pompe, di «radioil» o d'altro carburante a di-sposizione dei motori assetati.

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Page 312: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

PNOM-PEN – La strada delle stoviglie.

PNOM-PEN – Barca della polizia.

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PNOM-PEN – La strada delle stoviglie.

PNOM-PEN – Barca della polizia.

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Page 313: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

A trecento metri dalle rovine del grande tempio,all'ombra stessa delle quattro mitre d'Angkor, un albergoha allineato, sotto graziosi parasoli cambogesi, le tavoledel «lunch», tavole con la tovaglia bianca, col vasetto difiori, col recipiente nichelato nel quale diaccia lo spu-mante, col «maitre d'hotel» poliglotta in «frak» e spara-to bianco. Un avviso a caratteri cubitali informa che lecamere sono fornite di elettricità, acqua corrente, venti-latore, telefono interno, doccia e bagno.

Bisogna sbrigarsi a liquidare il «menu» perché all'unaparte l'autocarro del primo circuito col quale si visitanol'Angkor-Vat, le rovine d'Angkor-Tom, i monumenti diTa-Kéo e di Ta-Pròm. La giornata successiva è riservataal secondo circuito che passa in mezzo alle rovine diNéak-Péan, di Prah-Kàn, di Pre-Rùps e di Me-Bòn.Nomi che furono imperi, macerie che furono capitali! Ilmecenate Cook fornisce i ciceroni, le cartoline illustrate,i sassi ricordo, un concerto di chitarristi cambogesi condanze del Siam, una fotografia in gruppo, occhiali affu-micati contro il sole, ventagli di carta con la reclamed'un «pippermint»...

Per coloro che amano la malìa dei secoli morti, Cooktiene pronti quattro malinconici elefanti ed otto stalliericambogesi in uniforme di mandarini. Un piccolo supple-mento permette alle misses romantiche ed ai viaggiatoriin fregola di poesia di credersi per un paio d'ore tante in-carnazioni degli antichi autocrati del Siam.

Mentre i pesanti autocarri empiono di rombi la fore-sta, sfilano cinematograficamente i ruderi d'Angkor-Vat

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A trecento metri dalle rovine del grande tempio,all'ombra stessa delle quattro mitre d'Angkor, un albergoha allineato, sotto graziosi parasoli cambogesi, le tavoledel «lunch», tavole con la tovaglia bianca, col vasetto difiori, col recipiente nichelato nel quale diaccia lo spu-mante, col «maitre d'hotel» poliglotta in «frak» e spara-to bianco. Un avviso a caratteri cubitali informa che lecamere sono fornite di elettricità, acqua corrente, venti-latore, telefono interno, doccia e bagno.

Bisogna sbrigarsi a liquidare il «menu» perché all'unaparte l'autocarro del primo circuito col quale si visitanol'Angkor-Vat, le rovine d'Angkor-Tom, i monumenti diTa-Kéo e di Ta-Pròm. La giornata successiva è riservataal secondo circuito che passa in mezzo alle rovine diNéak-Péan, di Prah-Kàn, di Pre-Rùps e di Me-Bòn.Nomi che furono imperi, macerie che furono capitali! Ilmecenate Cook fornisce i ciceroni, le cartoline illustrate,i sassi ricordo, un concerto di chitarristi cambogesi condanze del Siam, una fotografia in gruppo, occhiali affu-micati contro il sole, ventagli di carta con la reclamed'un «pippermint»...

Per coloro che amano la malìa dei secoli morti, Cooktiene pronti quattro malinconici elefanti ed otto stalliericambogesi in uniforme di mandarini. Un piccolo supple-mento permette alle misses romantiche ed ai viaggiatoriin fregola di poesia di credersi per un paio d'ore tante in-carnazioni degli antichi autocrati del Siam.

Mentre i pesanti autocarri empiono di rombi la fore-sta, sfilano cinematograficamente i ruderi d'Angkor-Vat

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e d'Angkor-Tom, le torri, le piramidi, i mausolei, i mo-numenti in rovina, i templi sepolti dalla vegetazione tro-picale, i conventi dei bonzi, le pagode siamesi con la cu-pola d'oro, i villaggetti indigeni in bilico sulle palafitte,uno spicchio di lago, una fetta di foresta inondata, unaporzione di stagno tappezzato di muschi e di fiori diloto, obelischi, torrioni, archi trionfali, mozziconi di for-ti, scheletri di castelli... un millennio di storia, di gloria,d'amori e di sventure.

In piedi accanto al conducente il cicerone illuminal'ignoranza dei visitatori.

— Ecco la Porta della Vittoria... la Torre dei Brah-ma... la Terrazza degli Elefanti... il Padiglione del Re...il Palazzo della Regina madre...

Madre di chi? Regina di che?...Il «camion» strombetta per far scansare un bufalo del

Camboge che è saltato fuori improvvisamentedall'ombra della foresta e si è piantato in mezzo allastrada. Qualcuno brontola contro il «disservizio» dellapolizia che dovrebbe sorvegliare meglio la passeggiatadelle rovine; un anglo-sassone evoca la strada delle Pi-ramidi coi «policemen» in motocicletta; una miss, che faindubbiamente parte, nella natia Chicago, della SocietàProtettrice degli animali, manda un urlo di raccapriccioper le sorti del toro cambogese... È un momento emo-zionante per lei e per tutti, episodio indimenticabile chela fantasia e il tempo non mancheranno d'ingigantire,nel quale quasi rivivono le misteriose battaglie della fo-resta millenaria: cozzo di due civiltà; il bufalo delle ca-

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e d'Angkor-Tom, le torri, le piramidi, i mausolei, i mo-numenti in rovina, i templi sepolti dalla vegetazione tro-picale, i conventi dei bonzi, le pagode siamesi con la cu-pola d'oro, i villaggetti indigeni in bilico sulle palafitte,uno spicchio di lago, una fetta di foresta inondata, unaporzione di stagno tappezzato di muschi e di fiori diloto, obelischi, torrioni, archi trionfali, mozziconi di for-ti, scheletri di castelli... un millennio di storia, di gloria,d'amori e di sventure.

In piedi accanto al conducente il cicerone illuminal'ignoranza dei visitatori.

— Ecco la Porta della Vittoria... la Torre dei Brah-ma... la Terrazza degli Elefanti... il Padiglione del Re...il Palazzo della Regina madre...

Madre di chi? Regina di che?...Il «camion» strombetta per far scansare un bufalo del

Camboge che è saltato fuori improvvisamentedall'ombra della foresta e si è piantato in mezzo allastrada. Qualcuno brontola contro il «disservizio» dellapolizia che dovrebbe sorvegliare meglio la passeggiatadelle rovine; un anglo-sassone evoca la strada delle Pi-ramidi coi «policemen» in motocicletta; una miss, che faindubbiamente parte, nella natia Chicago, della SocietàProtettrice degli animali, manda un urlo di raccapriccioper le sorti del toro cambogese... È un momento emo-zionante per lei e per tutti, episodio indimenticabile chela fantasia e il tempo non mancheranno d'ingigantire,nel quale quasi rivivono le misteriose battaglie della fo-resta millenaria: cozzo di due civiltà; il bufalo delle ca-

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verne contro Isi Fiat, la foresta vergine ed il pneumaticoPirelli, un bove e la «quaranta cavalli»! L'autocarro siferma a pochi passi dal mostro leggendario ed il bufalo,soddisfatto del successo, s'allontana pigramente fra glialberi, scodinzolando...

Forse anche l'animale nero è agli stipendi di Cook.

Ora a destra, ora a sinistra, ora di fronte, ora alle spal-le, le quattro mitre di granito dell'Angkor-Vat mostrano,nell'atmosfera dorata dal crepuscolo, le loro sagome biz-zarre e potenti: spettri dominatori del luogo che impedi-scono ai gitanti di credersi per distrazione al «Bois deBoulogne» o nell'orto botanico di Filadelfia.

Il breviario del pellegrino d'Angkor tradotto in ingle-se è sulle ginocchia di un reverendo pastore rasato difresco. Dietro gli occhiali azzurri cerchiati di tartarugagli occhietti grigi contemplano con padronanza anglo-sassone il panorama fuggente. Stasera dopo cena nellasua camera fornita di telefono e d'acqua corrente, eglileggerà le pagine del poeta e compiangerà il disgraziatocui capitò d'arrivare ad Angkor in un carro di buoi,quando ancora i sotterranei d'Angkor non ospitavano ilwiski diplomatico dell'ambasciatore Buchanan e lochampagne araldico del conte di Saint Marceau.

E se per caso un giorno gli capiterà di leggere in unMagazine od in una qualunque Lettura per tutti che Lotiè uno scrittore decadente, egli penserà che veramente ilpoveretto doveva essere caduto molto in basso per ridur-si a viaggiare in un carro di buoi!

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verne contro Isi Fiat, la foresta vergine ed il pneumaticoPirelli, un bove e la «quaranta cavalli»! L'autocarro siferma a pochi passi dal mostro leggendario ed il bufalo,soddisfatto del successo, s'allontana pigramente fra glialberi, scodinzolando...

Forse anche l'animale nero è agli stipendi di Cook.

Ora a destra, ora a sinistra, ora di fronte, ora alle spal-le, le quattro mitre di granito dell'Angkor-Vat mostrano,nell'atmosfera dorata dal crepuscolo, le loro sagome biz-zarre e potenti: spettri dominatori del luogo che impedi-scono ai gitanti di credersi per distrazione al «Bois deBoulogne» o nell'orto botanico di Filadelfia.

Il breviario del pellegrino d'Angkor tradotto in ingle-se è sulle ginocchia di un reverendo pastore rasato difresco. Dietro gli occhiali azzurri cerchiati di tartarugagli occhietti grigi contemplano con padronanza anglo-sassone il panorama fuggente. Stasera dopo cena nellasua camera fornita di telefono e d'acqua corrente, eglileggerà le pagine del poeta e compiangerà il disgraziatocui capitò d'arrivare ad Angkor in un carro di buoi,quando ancora i sotterranei d'Angkor non ospitavano ilwiski diplomatico dell'ambasciatore Buchanan e lochampagne araldico del conte di Saint Marceau.

E se per caso un giorno gli capiterà di leggere in unMagazine od in una qualunque Lettura per tutti che Lotiè uno scrittore decadente, egli penserà che veramente ilpoveretto doveva essere caduto molto in basso per ridur-si a viaggiare in un carro di buoi!

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Verso le tre del mattino, quando le ventiquattro per-siane dell'albergo d'Angkor ancora ermeticamente chiu-se proteggono il sonno pacifico della carovana turistica,quando i bonzi di Cook non hanno ancora indossatol'uniforme del servizio archeologico, e le automobilisonnecchiano pigramente nei «garages» ed i motori nonhanno ancora incominciato a stuprare il silenzio dellaforesta cambogese, io sgattaiolo dal giardino dell'alber-go dirigendomi verso le rovine. L'esperienza di Costan-tinopoli, di Dakar, di Benares, d'Yejpore, m'incoraggiaad aver fiducia nel poeta. Veramente le pagine del pelle-grino d'Angkor sono troppo pregne di bellezza e troppocariche d'emozione perchè io abbia ad accettaresenz'altro le pillole turistiche dell'industria Cook.

Nel cielo tremolano le stelle del Tropico, ricamo d'oroe di perle su un velluto fosco, ma già un indefinibilebiancore incomincia a schiarire la notte profu. mata delCamboge.

Il ponte di pietra che conduce al tempio maggiorespecchia le arcate massiccie in uno stagno color verdebottiglia. I nenufari e le calle giganti dell'Indocina dise-gnano sull'acqua morta bizzarri tappeti bianchi e le stel-le vi riflettono un po' del loro lontanissimo oro. I mostridi granito che da dieci secoli montano fedelmente laguardia all'ingresso sembrano più grandi nella penom-bra. La notte non mi permette di vedere le loro ridicolebarbe di lichene. Ogni tanto un tonfo secco nell'acquaesprime la diffidenza dei rospi e delle rane d'Angkor per

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Verso le tre del mattino, quando le ventiquattro per-siane dell'albergo d'Angkor ancora ermeticamente chiu-se proteggono il sonno pacifico della carovana turistica,quando i bonzi di Cook non hanno ancora indossatol'uniforme del servizio archeologico, e le automobilisonnecchiano pigramente nei «garages» ed i motori nonhanno ancora incominciato a stuprare il silenzio dellaforesta cambogese, io sgattaiolo dal giardino dell'alber-go dirigendomi verso le rovine. L'esperienza di Costan-tinopoli, di Dakar, di Benares, d'Yejpore, m'incoraggiaad aver fiducia nel poeta. Veramente le pagine del pelle-grino d'Angkor sono troppo pregne di bellezza e troppocariche d'emozione perchè io abbia ad accettaresenz'altro le pillole turistiche dell'industria Cook.

Nel cielo tremolano le stelle del Tropico, ricamo d'oroe di perle su un velluto fosco, ma già un indefinibilebiancore incomincia a schiarire la notte profu. mata delCamboge.

Il ponte di pietra che conduce al tempio maggiorespecchia le arcate massiccie in uno stagno color verdebottiglia. I nenufari e le calle giganti dell'Indocina dise-gnano sull'acqua morta bizzarri tappeti bianchi e le stel-le vi riflettono un po' del loro lontanissimo oro. I mostridi granito che da dieci secoli montano fedelmente laguardia all'ingresso sembrano più grandi nella penom-bra. La notte non mi permette di vedere le loro ridicolebarbe di lichene. Ogni tanto un tonfo secco nell'acquaesprime la diffidenza dei rospi e delle rane d'Angkor per

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questo passo che risuona ad ora insolita sulle pietre mil-lenarie svegliando gli echi del tempo.

Per la porta della Vittoria, sormontata da due grandimitre di granito che fanno pensare al portale d'un fanta-stico arcivescovado bizantino, entro nel recinto del tem-pio.

I gelsomini selvaggi mi sbuffano in faccia il loro sof-fio lussurioso.

Attraverso un giardino incolto, ingombro di statue edi ruderi, passo accanto alle abitazioni silenziose deibonzi ancora sepolte nel sonno, sfioro le alte muraglie:per una scala laterale salgo fino alla prima terrazza edaspetto pian piano che l'alba tiri fuori dall'ombra, senzail permesso del Cook, le torri, le piramidi, le pagode, imausolei, gli stagni, le risaie, il fiume, la foresta inonda-ta, le città sepolte, le reggie risuscitate, i villaggi di pala-fitta, la strada imperiale del Siam, la strada reale delCamboge, il grande lago, i monti, tutto lo scenario delpoeta.

E la meravigliosa visione d'Angkor, sapientementedosata dal mattino nascente, emerge dai crespi della not-te in tutta la sua formidabile maestà ed in tutta la suamagica bellezza.

Le prime a mostrarsi sono la tiara e le quattro mitregigantesche del mausoleo di Angkor-Vat. Il chiaroremattutino che scaturisce a sbuffi larghi e regolari dai re-cessi dello spazio incomincia col profilarne le nioli po-tenti, poi ne precisa il ciclopico intaglio. Sembrano ve-ramente oggetti da tesoro di basilica, amorosamente ri-

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questo passo che risuona ad ora insolita sulle pietre mil-lenarie svegliando gli echi del tempo.

Per la porta della Vittoria, sormontata da due grandimitre di granito che fanno pensare al portale d'un fanta-stico arcivescovado bizantino, entro nel recinto del tem-pio.

I gelsomini selvaggi mi sbuffano in faccia il loro sof-fio lussurioso.

Attraverso un giardino incolto, ingombro di statue edi ruderi, passo accanto alle abitazioni silenziose deibonzi ancora sepolte nel sonno, sfioro le alte muraglie:per una scala laterale salgo fino alla prima terrazza edaspetto pian piano che l'alba tiri fuori dall'ombra, senzail permesso del Cook, le torri, le piramidi, le pagode, imausolei, gli stagni, le risaie, il fiume, la foresta inonda-ta, le città sepolte, le reggie risuscitate, i villaggi di pala-fitta, la strada imperiale del Siam, la strada reale delCamboge, il grande lago, i monti, tutto lo scenario delpoeta.

E la meravigliosa visione d'Angkor, sapientementedosata dal mattino nascente, emerge dai crespi della not-te in tutta la sua formidabile maestà ed in tutta la suamagica bellezza.

Le prime a mostrarsi sono la tiara e le quattro mitregigantesche del mausoleo di Angkor-Vat. Il chiaroremattutino che scaturisce a sbuffi larghi e regolari dai re-cessi dello spazio incomincia col profilarne le nioli po-tenti, poi ne precisa il ciclopico intaglio. Sembrano ve-ramente oggetti da tesoro di basilica, amorosamente ri-

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camati da Clarisse nell'uniforme succedersi delle giorna-te claustrali, ma sono di granito e di proporzioni monu-mentali. La cupola centrale sovrasta di settanta metri icornicioni del tempio.

Le cinque torri sono formate da una sovrapposizionedi tronchi di piramide che si affinano verso il vertice. Inorigine dovevano essere intagliate semplicemente a gra-dinata per permettere ai pellegrini di salire fino allacima. Poi la pietà di diverse generazioni d'adoratori diBrahma ha scolpito le muraglie; le ha cesellate, ricamatee traforate come un gioiello; le ha bucherellate di nic-chie, di scale interne e di corridoi; ha popolato pareti egradini d'un esercito tumultuante di statue; ha riprodottoin miracolosi bassorilievi tutti i fiori e tutte le foglie del-la foresta, tutti i rettili, gli animali e gli uccelli, per ma-gnificare nel granito la grandezza del Dio quadrifronte.Tutta la letteratura sacra dell'India è scritta a punta discalpello su queste muraglie.

Più tardi è sopraggiunto il buddismo trionfatore cheha rispettato l'edifizio, ma vi ha aggiunto con la stessapazienza e con la stessa prodigalità i simboli del suoculto, un altro esercito di Buddha tranquilli e sorridentiche tengono compagnia alle divinità terribili dell'India,una quantità pazza di fregi, d'altari, di draghi, di simula-cri, di figure convenzionali. Non solamente la pietra èsparita sotto gli ornamenti, ma ha perso anche l'aspettocaratteristico della materia. Le torri dell'Angkor-Vat nonfanno pensare al granito, ma ad una composizione distucco, di pizzi e di cartapesta.

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camati da Clarisse nell'uniforme succedersi delle giorna-te claustrali, ma sono di granito e di proporzioni monu-mentali. La cupola centrale sovrasta di settanta metri icornicioni del tempio.

Le cinque torri sono formate da una sovrapposizionedi tronchi di piramide che si affinano verso il vertice. Inorigine dovevano essere intagliate semplicemente a gra-dinata per permettere ai pellegrini di salire fino allacima. Poi la pietà di diverse generazioni d'adoratori diBrahma ha scolpito le muraglie; le ha cesellate, ricamatee traforate come un gioiello; le ha bucherellate di nic-chie, di scale interne e di corridoi; ha popolato pareti egradini d'un esercito tumultuante di statue; ha riprodottoin miracolosi bassorilievi tutti i fiori e tutte le foglie del-la foresta, tutti i rettili, gli animali e gli uccelli, per ma-gnificare nel granito la grandezza del Dio quadrifronte.Tutta la letteratura sacra dell'India è scritta a punta discalpello su queste muraglie.

Più tardi è sopraggiunto il buddismo trionfatore cheha rispettato l'edifizio, ma vi ha aggiunto con la stessapazienza e con la stessa prodigalità i simboli del suoculto, un altro esercito di Buddha tranquilli e sorridentiche tengono compagnia alle divinità terribili dell'India,una quantità pazza di fregi, d'altari, di draghi, di simula-cri, di figure convenzionali. Non solamente la pietra èsparita sotto gli ornamenti, ma ha perso anche l'aspettocaratteristico della materia. Le torri dell'Angkor-Vat nonfanno pensare al granito, ma ad una composizione distucco, di pizzi e di cartapesta.

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Un tale eccesso di decorazione dovrebbe determinareun complesso barocco e pesante, qualche cosa di preten-zioso e di barbarico; invece l'insieme è d'una armoniameravigliosa che fa pensare alla grazia della Rinascenzaed evoca nel medesimo tempo la maestà dei monumentiromani. Ciò soprattutto differenzia questo capolavorodell'arte «kmèr» dai monumenti affini dell'India. Un sof-fio sublime di bellezza anima questo sforzo ciclopico.

La torre più vicina mi mostra il groviglio fantasticodei suoi serpenti di pietra, che salgono con le morbidespirali dei loro torsi inanellati verso la cima dell'edilizio,ed ogni tanto aprono nel vuoto il fiore delle sette testeviperine. Sembra che la torre sia un unico intreccio diserpenti. Ma no, a guardarla meglio, ci s'accorge ch'essaè fatta anche di dee di granito, tutte eguali, fosche e mi-steriose, messe una sull'altra, su, su, fino alla cima... Edanche di Buddha pazzerelloni, ed anche di draghi mi-nacciosi, d'elefanti solenni, di fiori di loto, d'altre infini-te immagini che sono riprodotte identicamente a miglia-ia d'esemplari lungo linee ascendenti che convergonoall'apice. È un lavoro immane, una fatica quasi inconce-pibile, una cosa enorme e tremendamente asiatica chesbalordisce.

L'Angkor-Vat non è nè orientale, nè indiano, nè cine-se, nè classico, nè esotico: è «kmèr»: è l'apoteosi artisti-ca di una civiltà misteriosa che ha brillato di luce fulgi-dissima in quest'angolo del mondo, poi s'è spenta, senzalasciare altra traccia di sé che una immane rovina!

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Un tale eccesso di decorazione dovrebbe determinareun complesso barocco e pesante, qualche cosa di preten-zioso e di barbarico; invece l'insieme è d'una armoniameravigliosa che fa pensare alla grazia della Rinascenzaed evoca nel medesimo tempo la maestà dei monumentiromani. Ciò soprattutto differenzia questo capolavorodell'arte «kmèr» dai monumenti affini dell'India. Un sof-fio sublime di bellezza anima questo sforzo ciclopico.

La torre più vicina mi mostra il groviglio fantasticodei suoi serpenti di pietra, che salgono con le morbidespirali dei loro torsi inanellati verso la cima dell'edilizio,ed ogni tanto aprono nel vuoto il fiore delle sette testeviperine. Sembra che la torre sia un unico intreccio diserpenti. Ma no, a guardarla meglio, ci s'accorge ch'essaè fatta anche di dee di granito, tutte eguali, fosche e mi-steriose, messe una sull'altra, su, su, fino alla cima... Edanche di Buddha pazzerelloni, ed anche di draghi mi-nacciosi, d'elefanti solenni, di fiori di loto, d'altre infini-te immagini che sono riprodotte identicamente a miglia-ia d'esemplari lungo linee ascendenti che convergonoall'apice. È un lavoro immane, una fatica quasi inconce-pibile, una cosa enorme e tremendamente asiatica chesbalordisce.

L'Angkor-Vat non è nè orientale, nè indiano, nè cine-se, nè classico, nè esotico: è «kmèr»: è l'apoteosi artisti-ca di una civiltà misteriosa che ha brillato di luce fulgi-dissima in quest'angolo del mondo, poi s'è spenta, senzalasciare altra traccia di sé che una immane rovina!

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Il mattino allarga la visione. Tutta la mole del tempioesce dall'ombra, coi suoi terrazzi, i suoi edifizi, le suescalinate, le gallerie interne gremite di statue, le mura-glie che sono un solo bassorilievo, i torrioni, le pagode,le piscine, quattro chilometri quadrati d'area edificata,ottomila metri di sasso scolpito, tutto d'Angkor-Vat. Eche cosa è l'Angkor-Vat? Nulla! L'alba che conquistavelocemente lo spazio scopre altre ricchezze, altre rovi-ne monumentali, tutta una pianura di ruderi e mausolei,l'Angkor-Tom, i resti d'una grandiosa capitale che si èsbriciolata nel volgere dei secoli. E più lontano ancoraaltre città morte, più antiche, più vaste, altre rovine co-lossali, altri monumenti favolosi, altre mitre di granito,altre tiare di sasso, altri fantastici triregni di macigno,parte in piedi, parte messi da secoli a giacere in mezzoalle foglie della foresta. Scomparsi gli uomini, la selvaha invaso le città ed i cimiteri, non un bosco addomesti-cato d'Europa, ma la foresta vergine del Tropico Asiati-co, cioè una marea irresistibile di rami e di tronchi chesecondo la legge dell'universo ha incominciato a seppel-lire nella sua immensità i capolavori della potenza uma-na.

Tutta la pianura d'Angkor è un campo di battaglia nelquale da otto secoli il marmo lotta contro gli alberi, ilgranito contro le foglie, il porfido contro i virgulti, ilsasso contro i funghi; le colonne cercano di divincolarsidall'amplesso micidiale delle liane, i basamenti duellanocon le radici, gli archi trionfali con la lebbra vegetaleche li soffoca e li stritola, le muraglie coi filamenti che

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Il mattino allarga la visione. Tutta la mole del tempioesce dall'ombra, coi suoi terrazzi, i suoi edifizi, le suescalinate, le gallerie interne gremite di statue, le mura-glie che sono un solo bassorilievo, i torrioni, le pagode,le piscine, quattro chilometri quadrati d'area edificata,ottomila metri di sasso scolpito, tutto d'Angkor-Vat. Eche cosa è l'Angkor-Vat? Nulla! L'alba che conquistavelocemente lo spazio scopre altre ricchezze, altre rovi-ne monumentali, tutta una pianura di ruderi e mausolei,l'Angkor-Tom, i resti d'una grandiosa capitale che si èsbriciolata nel volgere dei secoli. E più lontano ancoraaltre città morte, più antiche, più vaste, altre rovine co-lossali, altri monumenti favolosi, altre mitre di granito,altre tiare di sasso, altri fantastici triregni di macigno,parte in piedi, parte messi da secoli a giacere in mezzoalle foglie della foresta. Scomparsi gli uomini, la selvaha invaso le città ed i cimiteri, non un bosco addomesti-cato d'Europa, ma la foresta vergine del Tropico Asiati-co, cioè una marea irresistibile di rami e di tronchi chesecondo la legge dell'universo ha incominciato a seppel-lire nella sua immensità i capolavori della potenza uma-na.

Tutta la pianura d'Angkor è un campo di battaglia nelquale da otto secoli il marmo lotta contro gli alberi, ilgranito contro le foglie, il porfido contro i virgulti, ilsasso contro i funghi; le colonne cercano di divincolarsidall'amplesso micidiale delle liane, i basamenti duellanocon le radici, gli archi trionfali con la lebbra vegetaleche li soffoca e li stritola, le muraglie coi filamenti che

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pian piano le trapanano, le rosicano e le abbattono: bat-taglia titanica e paradossale nella quale ogni minuto se-gna miliardi di sforzi impercettibili e formidabili.

Ed il granito è vinto dai bocciuoli! I mausolei sonoscalzati dal polline dei fiori! Ora l'umanità è accorsa conla tecnica dei grattacieli in aiuto della pietra sconfitta...

L'alito sublime de l'aurora patina di rosa il campo dibattaglia. Il lago, il fiume, le risaie, i canali, gli stagni, laforesta inondata, le vasche monumentali riflettono nelleloro mille specchiere il sorriso del mattino. Migliaiad'uccelli s'alzano a turbinare intorno alle mitre. I corni-cioni dei templi si popolano di corvi. Scimmiette gio-cherellone danno la scalata ai Buddha ed ai Brahma.Stormi di cicogne manovrano nell'aria luminosa.

Un enorme sopracciglio scarlatto s'alza sulla lineadell'orizzonte. Il primo sole occhieggia, ed il barbagliodella sua palpebra empie d'un brivido d'oro la mirabilevisione d'Angkor.

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pian piano le trapanano, le rosicano e le abbattono: bat-taglia titanica e paradossale nella quale ogni minuto se-gna miliardi di sforzi impercettibili e formidabili.

Ed il granito è vinto dai bocciuoli! I mausolei sonoscalzati dal polline dei fiori! Ora l'umanità è accorsa conla tecnica dei grattacieli in aiuto della pietra sconfitta...

L'alito sublime de l'aurora patina di rosa il campo dibattaglia. Il lago, il fiume, le risaie, i canali, gli stagni, laforesta inondata, le vasche monumentali riflettono nelleloro mille specchiere il sorriso del mattino. Migliaiad'uccelli s'alzano a turbinare intorno alle mitre. I corni-cioni dei templi si popolano di corvi. Scimmiette gio-cherellone danno la scalata ai Buddha ed ai Brahma.Stormi di cicogne manovrano nell'aria luminosa.

Un enorme sopracciglio scarlatto s'alza sulla lineadell'orizzonte. Il primo sole occhieggia, ed il barbagliodella sua palpebra empie d'un brivido d'oro la mirabilevisione d'Angkor.

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Prima iniziazione ai misteri dellapolitica cinese

PNOM-PEN, 16 giugno.

Tra la mirabile visione d'Angkor-Vat che documental'antica civiltà e potenza d'una razza gialla, e lo spettaco-lo dei moli di Pnom-Pen che attesta l'attuale miseria diun'altra razza dell'Estremo Oriente, che fu anche essanei secoli maestra di dominio e di civiltà raffinatissimi,ho avuto una lunga conversazione col capo della fami-glia «tong» (mandarina) dei Doc-Dò, principi di Pnom-Pen.

La famiglia Doc-Dò occupa nella storia dell'Indocinaun posto press'a poco uguale a quello che hanno i Doria,i Gonzaga od i Visconti nella storia italiana. All'epocadelle lotte secolari fra il Camboge e l'Annam, i Doc-Dò,come condottieri degli eserciti cambogesi o come man-darini-feudatari della provincia di Battam-bang, hannoacquistato gloria e benemerenza nazionali che ancoraoggi li fanno considerare dalla popolazione indigenacome una fra le più illustri casate dell'Indocina. Al tem-

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Prima iniziazione ai misteri dellapolitica cinese

PNOM-PEN, 16 giugno.

Tra la mirabile visione d'Angkor-Vat che documental'antica civiltà e potenza d'una razza gialla, e lo spettaco-lo dei moli di Pnom-Pen che attesta l'attuale miseria diun'altra razza dell'Estremo Oriente, che fu anche essanei secoli maestra di dominio e di civiltà raffinatissimi,ho avuto una lunga conversazione col capo della fami-glia «tong» (mandarina) dei Doc-Dò, principi di Pnom-Pen.

La famiglia Doc-Dò occupa nella storia dell'Indocinaun posto press'a poco uguale a quello che hanno i Doria,i Gonzaga od i Visconti nella storia italiana. All'epocadelle lotte secolari fra il Camboge e l'Annam, i Doc-Dò,come condottieri degli eserciti cambogesi o come man-darini-feudatari della provincia di Battam-bang, hannoacquistato gloria e benemerenza nazionali che ancoraoggi li fanno considerare dalla popolazione indigenacome una fra le più illustri casate dell'Indocina. Al tem-

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po della conquista francese, i Doc-Dò combatterono ac-canitamente contro l'invasione europea: poi, quando il redel Camboge accettò il protettorato della Francia, i Doc-Dò riconobbero il fatto compiuto e si misero anzi allatesta del movimento riformista per la collaborazione congli europei. L'attuale capo della famiglia è Dò-Huu-Chan. Suo fratello Dò-Huu-Vi morì durante la grandeguerra sul fronte francese come capitano aviatore.

Questo rapido schizzo dell'uomo e della famiglia m'èparso necessario per mettere in rilievo l'importanza dellaconversazione. Non si tratta infatti del pensiero d'un ri-voluzionario acciecato dalla passione di parte, nè d'unnazionalista xenofobo ipnotizzato dall'orgoglio di razza,nè d'un banale opportunista addomesticato dalla finezzaeuropea. Dò-Huu-Chan è un giallo moderno, nel qualela fierezza della stirpe s'accoppia ad una conoscenza ap-profondita dello spirito occidentale, uno di quei gialliche paiono stare a cavaliere delle due civiltà, esemplaripiuttosto rari in Cina ed in Indocina, assai più frequentinel Giappone.

Egli mi ha ricevuto nella sua villa di Pnom-Pen, ungioiello d'architettura cambogese, circondato da un im-menso giardino. Dalle verande di porcellana gialla, mes-se una sull'altra a scaffale, secondo il motivo tipicodell'architettura «kmèr», l'occhio spazia su un grandegiardino di Cina, uno di quei paradossali giardini dellaPekino imperiale che riproducono in miniatura l'aspettodella crosta terrestre, bizzarro mosaico nel quale, invece

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po della conquista francese, i Doc-Dò combatterono ac-canitamente contro l'invasione europea: poi, quando il redel Camboge accettò il protettorato della Francia, i Doc-Dò riconobbero il fatto compiuto e si misero anzi allatesta del movimento riformista per la collaborazione congli europei. L'attuale capo della famiglia è Dò-Huu-Chan. Suo fratello Dò-Huu-Vi morì durante la grandeguerra sul fronte francese come capitano aviatore.

Questo rapido schizzo dell'uomo e della famiglia m'èparso necessario per mettere in rilievo l'importanza dellaconversazione. Non si tratta infatti del pensiero d'un ri-voluzionario acciecato dalla passione di parte, nè d'unnazionalista xenofobo ipnotizzato dall'orgoglio di razza,nè d'un banale opportunista addomesticato dalla finezzaeuropea. Dò-Huu-Chan è un giallo moderno, nel qualela fierezza della stirpe s'accoppia ad una conoscenza ap-profondita dello spirito occidentale, uno di quei gialliche paiono stare a cavaliere delle due civiltà, esemplaripiuttosto rari in Cina ed in Indocina, assai più frequentinel Giappone.

Egli mi ha ricevuto nella sua villa di Pnom-Pen, ungioiello d'architettura cambogese, circondato da un im-menso giardino. Dalle verande di porcellana gialla, mes-se una sull'altra a scaffale, secondo il motivo tipicodell'architettura «kmèr», l'occhio spazia su un grandegiardino di Cina, uno di quei paradossali giardini dellaPekino imperiale che riproducono in miniatura l'aspettodella crosta terrestre, bizzarro mosaico nel quale, invece

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di marmi e di giade, gli artefici hanno adoperato l'acqua,la terra, le foglie, i fiori, gli alberi, i muschi e le roccie.

La pazienza e la raffinatezza della razza che creanoquei ninnoli d'avorio e di legno lavorati minuziosamentefino all'impossibile dinanzi ai quali il nostro spirito occi-dentale resta sempre perplesso, si scapricciano con lamedesima meticolosità, ma con maggiore ampiezza, inquesti giardini fantastici fatti di monti microscopici, divallette, di piccoli laghi, di deserti lillipuzziani, di corsid'acqua che vogliono essere fiumi e torrenti, di villaggigiuocattolo, di viottoli da bambola, di giuochi di pazien-za eseguiti con sassolini e terra colorata, di finte caver-ne, di gole, di cascatelle e tempietti, di pagode minusco-le e monumentini, d'innumerevoli cose ridotte che fannopensare a costruzioni di api ed a passatempi di formiche.Lo spirito d'osservazione dei gialli e le loro meraviglio-se attitudini per l'imitazione, danno una innegabile im-pronta d'arte a questi panorami in miniatura, in mezzo aiquali la «casa» è, pei suoi abitanti, il centro del mondo.

Nello studio sontuoso tutti i mobili e tutti gli oggettisono preziosissime cose d'Estremo Oriente: lacche, gia-de, avorii, sete dipinte, ebani scolpiti, intarsii di cedro emadreperla, porcellane «song» e maioliche «sath-sùma», bronzi coreani patinati d'oro, smalti azzurrini neiquali pare sia condensato il fascino dell'aria... Mal'apparecchio telefonico, le suonerie elettriche, i ventila-tori e soprattutto una gigantesca biblioteca piena di ope-re occidentali, attestano come in questa casa aristocrati-ca di mandarini il culto del passato e l'amore della tradi-

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di marmi e di giade, gli artefici hanno adoperato l'acqua,la terra, le foglie, i fiori, gli alberi, i muschi e le roccie.

La pazienza e la raffinatezza della razza che creanoquei ninnoli d'avorio e di legno lavorati minuziosamentefino all'impossibile dinanzi ai quali il nostro spirito occi-dentale resta sempre perplesso, si scapricciano con lamedesima meticolosità, ma con maggiore ampiezza, inquesti giardini fantastici fatti di monti microscopici, divallette, di piccoli laghi, di deserti lillipuzziani, di corsid'acqua che vogliono essere fiumi e torrenti, di villaggigiuocattolo, di viottoli da bambola, di giuochi di pazien-za eseguiti con sassolini e terra colorata, di finte caver-ne, di gole, di cascatelle e tempietti, di pagode minusco-le e monumentini, d'innumerevoli cose ridotte che fannopensare a costruzioni di api ed a passatempi di formiche.Lo spirito d'osservazione dei gialli e le loro meraviglio-se attitudini per l'imitazione, danno una innegabile im-pronta d'arte a questi panorami in miniatura, in mezzo aiquali la «casa» è, pei suoi abitanti, il centro del mondo.

Nello studio sontuoso tutti i mobili e tutti gli oggettisono preziosissime cose d'Estremo Oriente: lacche, gia-de, avorii, sete dipinte, ebani scolpiti, intarsii di cedro emadreperla, porcellane «song» e maioliche «sath-sùma», bronzi coreani patinati d'oro, smalti azzurrini neiquali pare sia condensato il fascino dell'aria... Mal'apparecchio telefonico, le suonerie elettriche, i ventila-tori e soprattutto una gigantesca biblioteca piena di ope-re occidentali, attestano come in questa casa aristocrati-ca di mandarini il culto del passato e l'amore della tradi-

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zione non escludano il riconoscimento del progresso oc-cidentale ed il rispetto per le formidabili conquiste intel-lettuali dell'Europa.

Vorrei soffermarmi a descrivere la bellezzadell'ambiente, l'eleganza delle quattro colonne di cedroscolpito che sostengono il soffitto «kmèr», l'intarsio ma-gnifico delle pareti sulle quali una muta di dragoni giuo-ca a palla con una luna sorniona d'argento... ma l'argo-mento mi obbliga a rinunciare a ciò. Lascio la parola alvecchio signore giallo.

— Gli avvenimenti di Canton e di Scianghai — dicepress'a poco il mandarino in un francese scorrevole edelegante — non debbono essere esagerati e neppure pre-si alla leggera. Sono l'esplosione locale d'uno statod'animo che è largamente diffuso in tutto l'EstremoOriente. Per giudicare con esattezza gli avvenimenti dellitorale cinese bisogna inquadrarli, bisogna cioè tenerpresente che tutto il continente asiatico è attualmenteuna caldaia in ebollizione, tutto, dal Mediterraneo al Pa-cifico! L'effervescenza dell'Asia mussulmana, i fremitidell'India, i fermenti del Tibet, l'anarchia della Mongo-lia, i lieviti dell'Indocina, i torbidi della Cina, le difficol-tà sociali del Giappone, sono tante manifestazioni diver-se di uno stesso fenomeno: elementi di disordine, dispa-ratissimi e pel momento quasi autonomi, che agisconoperò simultaneamente obbedendo a forze dinamicheidentiche. Il risultato unico è l'ebollizione del calderoneasiatico. Sarebbe per esempio assai audace dire che esi-

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zione non escludano il riconoscimento del progresso oc-cidentale ed il rispetto per le formidabili conquiste intel-lettuali dell'Europa.

Vorrei soffermarmi a descrivere la bellezzadell'ambiente, l'eleganza delle quattro colonne di cedroscolpito che sostengono il soffitto «kmèr», l'intarsio ma-gnifico delle pareti sulle quali una muta di dragoni giuo-ca a palla con una luna sorniona d'argento... ma l'argo-mento mi obbliga a rinunciare a ciò. Lascio la parola alvecchio signore giallo.

— Gli avvenimenti di Canton e di Scianghai — dicepress'a poco il mandarino in un francese scorrevole edelegante — non debbono essere esagerati e neppure pre-si alla leggera. Sono l'esplosione locale d'uno statod'animo che è largamente diffuso in tutto l'EstremoOriente. Per giudicare con esattezza gli avvenimenti dellitorale cinese bisogna inquadrarli, bisogna cioè tenerpresente che tutto il continente asiatico è attualmenteuna caldaia in ebollizione, tutto, dal Mediterraneo al Pa-cifico! L'effervescenza dell'Asia mussulmana, i fremitidell'India, i fermenti del Tibet, l'anarchia della Mongo-lia, i lieviti dell'Indocina, i torbidi della Cina, le difficol-tà sociali del Giappone, sono tante manifestazioni diver-se di uno stesso fenomeno: elementi di disordine, dispa-ratissimi e pel momento quasi autonomi, che agisconoperò simultaneamente obbedendo a forze dinamicheidentiche. Il risultato unico è l'ebollizione del calderoneasiatico. Sarebbe per esempio assai audace dire che esi-

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ste un'intesa fra gli scioperanti di Scianghai e... KemalPascià: potrebbe però essere altrettanto audace negarel'esistenza di un misterioso rapporto fra l'anti-europei-smo della Turchia Kemalistica e lo xenofobismo deglistudenti cinesi di Canton! Voi occidentali amate la sinte-si e vi compiacete delle formule che condensano in po-che parole tutta una situazione. Ebbene fra le tante for-mule in circolazione quella che meglio d'ogni altra ri-produce le attuali condizioni psicologiche dell'Oriente edell'Estremo Oriente, è: l'Asia agli asiatici. Cherchez lafemme! In tutte le convulsioni asiatiche cherchez l'Asie,madre comune dalle molte faccie. Nei torbidi di Canton,un afgano che non sa nemmeno Canton dove sia, darà incuor suo ragione ai cinesi: nei torbidi di Cabul, un cine-se che non sa neppure che cosa sia l'Afganistan, si senti-rà solidale con gli afgani. Contro l'Europa, control'Occidente, tutti contro, quindi un po' fratelli. La gravitàdei tumulti xenofobi di Scianghai sta nella loro ripercus-sione in tutta la Cina ed in tutta l'Asia. È come l'attaccod'una quota sulla fronte di battaglia. Dal Mediterraneo alPacifico le genti dell'Asia formano una unica catena dinazionalismi in processo avanzato di sviluppo. E per ne-cessità di cose, sovente contro la volontà stessa dei diri-genti, queste passioni nazionali finiscono più o menoper risolversi dovunque in un sentimento xenofobo, per-chè... dovunque l'ostacolo alle aspirazioni nazionali èrappresentato da una dominazione o da una pressioneeuropea. Gli attuali avvenimenti della Cina meridionaleassumono agli occhi degli asiatici l'importanza d'un sim-

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ste un'intesa fra gli scioperanti di Scianghai e... KemalPascià: potrebbe però essere altrettanto audace negarel'esistenza di un misterioso rapporto fra l'anti-europei-smo della Turchia Kemalistica e lo xenofobismo deglistudenti cinesi di Canton! Voi occidentali amate la sinte-si e vi compiacete delle formule che condensano in po-che parole tutta una situazione. Ebbene fra le tante for-mule in circolazione quella che meglio d'ogni altra ri-produce le attuali condizioni psicologiche dell'Oriente edell'Estremo Oriente, è: l'Asia agli asiatici. Cherchez lafemme! In tutte le convulsioni asiatiche cherchez l'Asie,madre comune dalle molte faccie. Nei torbidi di Canton,un afgano che non sa nemmeno Canton dove sia, darà incuor suo ragione ai cinesi: nei torbidi di Cabul, un cine-se che non sa neppure che cosa sia l'Afganistan, si senti-rà solidale con gli afgani. Contro l'Europa, control'Occidente, tutti contro, quindi un po' fratelli. La gravitàdei tumulti xenofobi di Scianghai sta nella loro ripercus-sione in tutta la Cina ed in tutta l'Asia. È come l'attaccod'una quota sulla fronte di battaglia. Dal Mediterraneo alPacifico le genti dell'Asia formano una unica catena dinazionalismi in processo avanzato di sviluppo. E per ne-cessità di cose, sovente contro la volontà stessa dei diri-genti, queste passioni nazionali finiscono più o menoper risolversi dovunque in un sentimento xenofobo, per-chè... dovunque l'ostacolo alle aspirazioni nazionali èrappresentato da una dominazione o da una pressioneeuropea. Gli attuali avvenimenti della Cina meridionaleassumono agli occhi degli asiatici l'importanza d'un sim-

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bolo, in quanto il mondo giallo vede tutte le potenze oc-cidentali coalizzate contro la Cina.

— Ed il Giappone?— La presenza del Giappone non riesce ad attenuare

la brutalità del quadro. Per alcuni di noi – una minoran-za – le navi del Mikado si trovano nelle acque cinesi ac-canto alle forze navali dell'occidente perchè il governodi Tokio subisce il contagio dell'imperialismo europeo;per gli altri invece – e sono la maggioranza – il Giappo-ne sta lì per frenare gli occidentali ed impedire che ap-profittino della situazione ai danni della Cina; per altriancora, e forse io sono fra questi, il governo di Tokio lasa più lunga di quello che i comunicati nipponici lascia-no trasparire.

— Sarebbe a dire?— Non mettiamo i punti sugli i. Perchè... il Piemonte

di Cavour partecipò alla guerra di Crimea? Per avervoce in capitolo nella comunità europea d'allora e favo-rire il risorgimento dell'Italia! Anche il Giappone inten-de essere presente in tutte le questioni grandi e piccineche hanno attinenza col risorgimento dell'Asia. È questadel resto la sola ragione che ha indotto l'Impero a parte-cipare alla conflagrazione europea contro la Germania.Il risultato della guerra era secondario pel Giappone.L'importante era d'essere in mezzo alla mischia per fa-vorire i propri interessi nel limite consentito dalle circo-stanze. Il Giappone ha agli occhi degli asiatici una gran-de benemerenza, quella di aver vinto la Russia e d'avercosì dimostrato agli asiatici che se vogliono essi posso-

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bolo, in quanto il mondo giallo vede tutte le potenze oc-cidentali coalizzate contro la Cina.

— Ed il Giappone?— La presenza del Giappone non riesce ad attenuare

la brutalità del quadro. Per alcuni di noi – una minoran-za – le navi del Mikado si trovano nelle acque cinesi ac-canto alle forze navali dell'occidente perchè il governodi Tokio subisce il contagio dell'imperialismo europeo;per gli altri invece – e sono la maggioranza – il Giappo-ne sta lì per frenare gli occidentali ed impedire che ap-profittino della situazione ai danni della Cina; per altriancora, e forse io sono fra questi, il governo di Tokio lasa più lunga di quello che i comunicati nipponici lascia-no trasparire.

— Sarebbe a dire?— Non mettiamo i punti sugli i. Perchè... il Piemonte

di Cavour partecipò alla guerra di Crimea? Per avervoce in capitolo nella comunità europea d'allora e favo-rire il risorgimento dell'Italia! Anche il Giappone inten-de essere presente in tutte le questioni grandi e piccineche hanno attinenza col risorgimento dell'Asia. È questadel resto la sola ragione che ha indotto l'Impero a parte-cipare alla conflagrazione europea contro la Germania.Il risultato della guerra era secondario pel Giappone.L'importante era d'essere in mezzo alla mischia per fa-vorire i propri interessi nel limite consentito dalle circo-stanze. Il Giappone ha agli occhi degli asiatici una gran-de benemerenza, quella di aver vinto la Russia e d'avercosì dimostrato agli asiatici che se vogliono essi posso-

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no vincere l'Occidente anche nel terreno nel quale è piùforte: la violenza armata. L'Inghilterra che ha permessoal Giappone di distruggere a Vladivostok e a Porto Ar-thur il mito dell'invincibilità occidentale, ha offerto agliasiatici durante la grande guerra il mezzo di fare a buonmercato una seconda esperienza. Il terzo esperimentopotrebbe essere a sue spese. Ma veniamo al fatto speci-fico dei torbidi di Canton e di Scianghai.

— Chi li ha provocati?— Secondo la versione cinese si tratterebbe d'un mo-

vimento popolare spontaneo, provocato dai bassi salaridella mano d'opera indigena nelle officine di proprietàeuropea. Sarebbe facile dimostrare che i salari deglioperai al servizio dei cinesi sono ancora più miserabili.Basta però il semplice fatto della solidarietà degli stu-denti e dei negozianti per svalutare la versione ufficialedi Pekino. In nessun paese gli studenti scioperano perspirito di fratellanza cogli operai, tanto meno in una so-cietà come la gialla nella quale le due categorie non co-stituiscono solamente due classi distinte, ma due vere eproprie caste. Gli studenti o meglio coloro che hanno inmano i gruppi studenteschi della Cina meridionale – sitratta del «clan» del defunto Sun-Yat-Sen – hanno pen-sato che il malcontento d'una categoria operaia offrivauna eccellente occasione non politica per mettere inmoto l'organizzazione anti-europea delle provincie delSud e fare una prova di forza. Ciò è evidente. Siamo difronte ad una manovra di tattica rivoluzionaria per son-dare le resistenze locali e generali della situazione. I ne-

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no vincere l'Occidente anche nel terreno nel quale è piùforte: la violenza armata. L'Inghilterra che ha permessoal Giappone di distruggere a Vladivostok e a Porto Ar-thur il mito dell'invincibilità occidentale, ha offerto agliasiatici durante la grande guerra il mezzo di fare a buonmercato una seconda esperienza. Il terzo esperimentopotrebbe essere a sue spese. Ma veniamo al fatto speci-fico dei torbidi di Canton e di Scianghai.

— Chi li ha provocati?— Secondo la versione cinese si tratterebbe d'un mo-

vimento popolare spontaneo, provocato dai bassi salaridella mano d'opera indigena nelle officine di proprietàeuropea. Sarebbe facile dimostrare che i salari deglioperai al servizio dei cinesi sono ancora più miserabili.Basta però il semplice fatto della solidarietà degli stu-denti e dei negozianti per svalutare la versione ufficialedi Pekino. In nessun paese gli studenti scioperano perspirito di fratellanza cogli operai, tanto meno in una so-cietà come la gialla nella quale le due categorie non co-stituiscono solamente due classi distinte, ma due vere eproprie caste. Gli studenti o meglio coloro che hanno inmano i gruppi studenteschi della Cina meridionale – sitratta del «clan» del defunto Sun-Yat-Sen – hanno pen-sato che il malcontento d'una categoria operaia offrivauna eccellente occasione non politica per mettere inmoto l'organizzazione anti-europea delle provincie delSud e fare una prova di forza. Ciò è evidente. Siamo difronte ad una manovra di tattica rivoluzionaria per son-dare le resistenze locali e generali della situazione. I ne-

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Page 329: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

gozianti hanno obbedito agli ordini indiscutibili dei capidelle congregazioni.

— Chi è dietro le quinte? Chi impartisce gli ordini?— Chi ordina è Canton. Chi è dietro le quinte è più

difficile a dirsi. Pechino? Tokio? Mosca? I capi dellaCina del Sud? Credo di poter escludere Pekino. L'autori-tà del governo centrale è quasi nulla nelle provincie delMezzogiorno. Il governo di Pekino deve essere anzi sec-catissimo di queste complicazioni a carattere internazio-nale che lo obbligano ad agire secondo le pressioni dei«clan» brancolando nelle tenebre; fra la paura da unaparte d'accrescere la sua impopolarità nella Cina meri-dionale astenendosi dal prenderne le difese contro lapressione europea; il timore dall'altra di lavorare pel redi Prussia, di fare cioè il giuoco di qualche «clan» pro-vinciale che persegue un recondito fine di politica inter-na. Fra il governo di Pekino ed i «clubs» politici dellaCina meridionale i secondi hanno in questo momentomaggior interesse del primo a pescare nel torbido. La di-rezione del movimento va quindi ricercata secondo me aCanton o nel Kiàng, in quegli ambienti politici che so-stengono la necessità di scindere la Cina in due parti peraffrettarne il risorgimento. La Cina meridionale più ric-ca, più popolosa, più progredita, più eccitabile, offre allapropaganda rivoluzionaria un terreno infinitamente piùfertile della Cina settentrionale. Inoltre i numerosi emi-granti che tornano in paese dopo aver fatto fortuna inAmerica, in Australia, in Indocina, a Giava, nelle Indie,nel Sud Africa, sono quasi tutti meridionali. Essi porta-

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gozianti hanno obbedito agli ordini indiscutibili dei capidelle congregazioni.

— Chi è dietro le quinte? Chi impartisce gli ordini?— Chi ordina è Canton. Chi è dietro le quinte è più

difficile a dirsi. Pechino? Tokio? Mosca? I capi dellaCina del Sud? Credo di poter escludere Pekino. L'autori-tà del governo centrale è quasi nulla nelle provincie delMezzogiorno. Il governo di Pekino deve essere anzi sec-catissimo di queste complicazioni a carattere internazio-nale che lo obbligano ad agire secondo le pressioni dei«clan» brancolando nelle tenebre; fra la paura da unaparte d'accrescere la sua impopolarità nella Cina meri-dionale astenendosi dal prenderne le difese contro lapressione europea; il timore dall'altra di lavorare pel redi Prussia, di fare cioè il giuoco di qualche «clan» pro-vinciale che persegue un recondito fine di politica inter-na. Fra il governo di Pekino ed i «clubs» politici dellaCina meridionale i secondi hanno in questo momentomaggior interesse del primo a pescare nel torbido. La di-rezione del movimento va quindi ricercata secondo me aCanton o nel Kiàng, in quegli ambienti politici che so-stengono la necessità di scindere la Cina in due parti peraffrettarne il risorgimento. La Cina meridionale più ric-ca, più popolosa, più progredita, più eccitabile, offre allapropaganda rivoluzionaria un terreno infinitamente piùfertile della Cina settentrionale. Inoltre i numerosi emi-granti che tornano in paese dopo aver fatto fortuna inAmerica, in Australia, in Indocina, a Giava, nelle Indie,nel Sud Africa, sono quasi tutti meridionali. Essi porta-

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no in patria i germi d'un nazionalismo inasprito dallepersecuzioni delle quali sono stati oggetto in genereall'estero ed uno spirito rivoluzionario agguerrito da unapiù profonda conoscenza dell'Occidente e delle sue de-bolezze. La Cina settentrionale, più arretrata, più tradi-zionalista, lenta a muoversi, difficile ad organizzare perle stesse condizioni di vita delle sue popolazioni, è con-siderata dagli organizzatori del Sud un peso morto checonviene pel momento abbandonare. Sarà così più facilealla Cina del Sud di diventare uno Stato occidentalizzatosul tipo del Giappone e di completare in seguito con learmi l'unificazione della Cina, lasciandone fuori il Tibete la Bassa Mongolia che etnicamente non fanno partedel conglomerato nazionale cinese. Questo è il program-ma di Canton. La differenza che v'è fra il linguaggiopiuttosto deferente di Pekino verso le Potenze e quelloinsolente di Canton, documenta la diversità delle duementalità. Ma Canton ha agito nel caso specifico di suainiziativa per motivi di politica interna o v'è una longamanus straniera? E questa influenza straniera è russa oper caso giapponese?

— Giapponese?— Escludiamo il Governo di Tokio. Accettiamo il po-

stulato che quel governo agisce in perfetta lealtà. Esisto-no però nel Giappone importanti gruppi politici i qualinon approvano affatto le direttive del Mikado edell'attuale gabinetto nella questione cinese. Questigruppi politici giapponesi che hanno il loro «clan» an-che a Corte, sono anch'essi notoriamente favorevoli alla

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no in patria i germi d'un nazionalismo inasprito dallepersecuzioni delle quali sono stati oggetto in genereall'estero ed uno spirito rivoluzionario agguerrito da unapiù profonda conoscenza dell'Occidente e delle sue de-bolezze. La Cina settentrionale, più arretrata, più tradi-zionalista, lenta a muoversi, difficile ad organizzare perle stesse condizioni di vita delle sue popolazioni, è con-siderata dagli organizzatori del Sud un peso morto checonviene pel momento abbandonare. Sarà così più facilealla Cina del Sud di diventare uno Stato occidentalizzatosul tipo del Giappone e di completare in seguito con learmi l'unificazione della Cina, lasciandone fuori il Tibete la Bassa Mongolia che etnicamente non fanno partedel conglomerato nazionale cinese. Questo è il program-ma di Canton. La differenza che v'è fra il linguaggiopiuttosto deferente di Pekino verso le Potenze e quelloinsolente di Canton, documenta la diversità delle duementalità. Ma Canton ha agito nel caso specifico di suainiziativa per motivi di politica interna o v'è una longamanus straniera? E questa influenza straniera è russa oper caso giapponese?

— Giapponese?— Escludiamo il Governo di Tokio. Accettiamo il po-

stulato che quel governo agisce in perfetta lealtà. Esisto-no però nel Giappone importanti gruppi politici i qualinon approvano affatto le direttive del Mikado edell'attuale gabinetto nella questione cinese. Questigruppi politici giapponesi che hanno il loro «clan» an-che a Corte, sono anch'essi notoriamente favorevoli alla

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scissione della Cina in due parti, in quanto sperano trar-ne considerevoli vantaggi pel Giappone mediante unaintesa con Mosca sulla Cina settentrionale: vantaggid'ordine economico e territoriale, soprattutto vantaggid'ordine interno per diminuire la pressione demograficache fa scricchiolare l'impalcatura democratico-feudaledell'Impero e minaccia di sboccare da un momentoall'altro in un socialismo anti-dinastico ed anti-naziona-lista. Questi gruppi sono ricchi ed influenti. Fra il«clan» rivoluzionario cinese del Kiàng ed il «clan» im-perialista giapponese di Yeddu i rapporti sono stretti.Non bisogna lasciarsi impressionare da certi aspetti anti-nipponici dei torbidi di Scianghai. Sono in propositoestremamente scettico. Il governo di Tokio ha interessead accreditare questa diceria per giustificare dinanzi alpaese la sua politica: i rivoluzionari del Kiàng vi trova-no il loro bravo tornaconto per smentire Pekino che liaccusa d'una intesa col Giappone: infine i governi euro-pei e per essi l'Inghilterra, che dirige l'orchestra del Pa-cifico, trovano opportuno un diversivo anti-nipponico.Esso lega il Giappone all'azione repressiva delle Poten-ze, disarma in patria le opposizioni parlamentari sociali-ste, attenua il carattere nettamente anti-britannico dei tu-multi, maschera gli scopi prettamente economicidell'intervento europeo.

— Non credete di esagerare l'influenza di questi grup-pi politici giapponesi?

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scissione della Cina in due parti, in quanto sperano trar-ne considerevoli vantaggi pel Giappone mediante unaintesa con Mosca sulla Cina settentrionale: vantaggid'ordine economico e territoriale, soprattutto vantaggid'ordine interno per diminuire la pressione demograficache fa scricchiolare l'impalcatura democratico-feudaledell'Impero e minaccia di sboccare da un momentoall'altro in un socialismo anti-dinastico ed anti-naziona-lista. Questi gruppi sono ricchi ed influenti. Fra il«clan» rivoluzionario cinese del Kiàng ed il «clan» im-perialista giapponese di Yeddu i rapporti sono stretti.Non bisogna lasciarsi impressionare da certi aspetti anti-nipponici dei torbidi di Scianghai. Sono in propositoestremamente scettico. Il governo di Tokio ha interessead accreditare questa diceria per giustificare dinanzi alpaese la sua politica: i rivoluzionari del Kiàng vi trova-no il loro bravo tornaconto per smentire Pekino che liaccusa d'una intesa col Giappone: infine i governi euro-pei e per essi l'Inghilterra, che dirige l'orchestra del Pa-cifico, trovano opportuno un diversivo anti-nipponico.Esso lega il Giappone all'azione repressiva delle Poten-ze, disarma in patria le opposizioni parlamentari sociali-ste, attenua il carattere nettamente anti-britannico dei tu-multi, maschera gli scopi prettamente economicidell'intervento europeo.

— Non credete di esagerare l'influenza di questi grup-pi politici giapponesi?

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— No. Li ho studiati bene, perchè si tratta del mede-simo «clan» nazionalista che propugna la conquistadell'Indocina.

PNOM-PEN – Palazzo reale. Il padiglione privato del re.

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— No. Li ho studiati bene, perchè si tratta del mede-simo «clan» nazionalista che propugna la conquistadell'Indocina.

PNOM-PEN – Palazzo reale. Il padiglione privato del re.

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PNOM-PEN – Ristorante ambulante.

PNOM-PEN – Un funerale. Le donne sotto il velo di lutto.

PNOM-PEN – Danzatrici reali.

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PNOM-PEN – Ristorante ambulante.

PNOM-PEN – Un funerale. Le donne sotto il velo di lutto.

PNOM-PEN – Danzatrici reali.

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— Già, me ne parlava a Saigon il direttore della San-Son-An.

— Il Giappone aspira al possesso delle immense risa-ie della Cocincina per assicurare il nutrimento della suapopolazione in continuo aumento: aspira ai fosfati delCamboge per i bisogni della sua agricoltura fosfati cheora il Giappone è obbligato ad andare a cercare nel Cile,fino in Tunisia ed in Egitto (come italiano dovete saperequalche cosa d'una grossa vertenza fra il gruppo Masha-da di Tokio ed il vostro Banco di Roma per i fosfati delMar Rosso): desidera inoltre i ricchi giacimenti carboni-feri del Tonkino per i rifornimenti della sua marina mer-cantile e militare, nonché la baia incomparabile d'Alongper farne la prima base navale dell'Estremo Oriente eneutralizzare Hong-kong e Singapore. I gabinetti di To-kio hanno sempre recisamente smentito queste aspira-zioni e lo stesso principe Yagamatha s'è pronunziato re-centemente in tal senso. In realtà la propaganda controla occupazione francese che turba la tranquillitàdell'Indocina e che ha culminato nell'attentato di Cantoncontro il governatore generale Merlin ha i suoi centri di-rettivi nel Giappone. Lo stesso leader rivoluzionario, ilnostro Gandhi, l'annamita Cuong-Dé, risiede tranquilla-mente a Nagasaki e dispone misteriosamente di milioni.Chi gleli dà? Non faccio apprezzamenti. Mi limito aconstatazioni.

— In ogni modo l'Indocina si difenderebbe!— Con che?— Ma la Francia!...

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— Già, me ne parlava a Saigon il direttore della San-Son-An.

— Il Giappone aspira al possesso delle immense risa-ie della Cocincina per assicurare il nutrimento della suapopolazione in continuo aumento: aspira ai fosfati delCamboge per i bisogni della sua agricoltura fosfati cheora il Giappone è obbligato ad andare a cercare nel Cile,fino in Tunisia ed in Egitto (come italiano dovete saperequalche cosa d'una grossa vertenza fra il gruppo Masha-da di Tokio ed il vostro Banco di Roma per i fosfati delMar Rosso): desidera inoltre i ricchi giacimenti carboni-feri del Tonkino per i rifornimenti della sua marina mer-cantile e militare, nonché la baia incomparabile d'Alongper farne la prima base navale dell'Estremo Oriente eneutralizzare Hong-kong e Singapore. I gabinetti di To-kio hanno sempre recisamente smentito queste aspira-zioni e lo stesso principe Yagamatha s'è pronunziato re-centemente in tal senso. In realtà la propaganda controla occupazione francese che turba la tranquillitàdell'Indocina e che ha culminato nell'attentato di Cantoncontro il governatore generale Merlin ha i suoi centri di-rettivi nel Giappone. Lo stesso leader rivoluzionario, ilnostro Gandhi, l'annamita Cuong-Dé, risiede tranquilla-mente a Nagasaki e dispone misteriosamente di milioni.Chi gleli dà? Non faccio apprezzamenti. Mi limito aconstatazioni.

— In ogni modo l'Indocina si difenderebbe!— Con che?— Ma la Francia!...

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— Il Giappone saprebbe scegliere il suo momento. LaFrancia ha troppi avversari sulle sue frontiere d'Europaper potersi impegnare a fondo in Estremo Oriente. Lalotta non potrebbe essere che navale e l'inferiorità fran-cese è manifesta. L'Indo-Cina è in realtà a disposizionedi chi la vuole, come diceva anni fa il generale Borgné-Desborde. La forza navale francese d'Estremo Oriente ècostituita da poche unità antiquate che debbono difende-re uno sviluppo costiero di 3700 chilometri. L'eroismodegli equipaggi si sacrificherebbe in una inutile resisten-za. Ma non accadrà nulla di grave fino alla grande sca-denza del Pacifico. L'Inghilterra non permetterebbe alGiappone di stabilirsi in Indo-Cina.

— Che cosa intendete per scadenza del Pacifico?— L'inevitabile conflagrazione mondiale pel control-

lo dei mercati della Cina. La Francia sarà certo a fiancodella Gran Bretagna. Il Giappone sarà dall'altra parte. Sela flotta giapponese sarà sconfitta, l'Indo-Cina resteràancora un certo tempo sotto il controllo francese: incaso contrario le sorti dell'Indo-Cina e dell'Australiasono segnate nel gran libro «samurai»!

— Ed in tutto questo qual'è la funzione della Russia?— Col Giappone contro l'Inghilterra e l'America. Già

ora Mosca e Washington si combattono accanitamente aPekino.

— E negli attuali avvenimenti di Canton?— La propaganda sobillatrice degli agenti russi nella

Cina meridionale è nota a tutti. I sentimenti xenofobi delproconsole moscovita a Pekino – l'onnipotente Karakan

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— Il Giappone saprebbe scegliere il suo momento. LaFrancia ha troppi avversari sulle sue frontiere d'Europaper potersi impegnare a fondo in Estremo Oriente. Lalotta non potrebbe essere che navale e l'inferiorità fran-cese è manifesta. L'Indo-Cina è in realtà a disposizionedi chi la vuole, come diceva anni fa il generale Borgné-Desborde. La forza navale francese d'Estremo Oriente ècostituita da poche unità antiquate che debbono difende-re uno sviluppo costiero di 3700 chilometri. L'eroismodegli equipaggi si sacrificherebbe in una inutile resisten-za. Ma non accadrà nulla di grave fino alla grande sca-denza del Pacifico. L'Inghilterra non permetterebbe alGiappone di stabilirsi in Indo-Cina.

— Che cosa intendete per scadenza del Pacifico?— L'inevitabile conflagrazione mondiale pel control-

lo dei mercati della Cina. La Francia sarà certo a fiancodella Gran Bretagna. Il Giappone sarà dall'altra parte. Sela flotta giapponese sarà sconfitta, l'Indo-Cina resteràancora un certo tempo sotto il controllo francese: incaso contrario le sorti dell'Indo-Cina e dell'Australiasono segnate nel gran libro «samurai»!

— Ed in tutto questo qual'è la funzione della Russia?— Col Giappone contro l'Inghilterra e l'America. Già

ora Mosca e Washington si combattono accanitamente aPekino.

— E negli attuali avvenimenti di Canton?— La propaganda sobillatrice degli agenti russi nella

Cina meridionale è nota a tutti. I sentimenti xenofobi delproconsole moscovita a Pekino – l'onnipotente Karakan

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– non hanno bisogno d'essere messi in luce. Essi sonosufficientemente illustrati dal telegramma di felicitazio-ne che egli spedì a Sun-Yat-Sen all'indomani dell'atten-tato annamita di Canton. Karakan è uno xenofobo arrab-biato. In questo momento egli è certo il massimo cervel-lo della Russia bolscevica. Forse Karakan sarà il Bona-parte della rivoluzione russa, ma un Bonaparte asiaticoche si disinteresserà dell'Europa e della stessa Russiaeuropea. Karakan è una potenza a Mosca perchè ha inmano la scacchiera asiatica. Le circostanze che hannoobbligato i Soviet a modificare la loro politica economi-ca europea – in Asia non ne hanno mai avuta – li hannoegualmente obbligati a rivedere da cima a fondo la loropolitica estera. La situazione del continente europeoesclude ormai per la Russia qualsiasi possibilitàd'avventura in grande stile da quella parte. I piani ambi-ziosi accarezzati in un primo tempo da Trotski hannodovuto essere definitivamente abbandonati in seguito alfallimento delle rivoluzioni comuniste nei vari paesid'Europa, rivoluzioni le quali, nel piano strategico diTrotski, avrebbero avuto il compito d'aprire la stradaagli eserciti rossi attraverso la Germania, l'Ungheria,l'Austria e l'Italia per colpire a morte la Francia e minac-ciare l'Inghilterra nei suoi gangli imperiali, obbligandolaa scendere a patti. Se le rivoluzioni comuniste fosseroriuscite si sarebbe avuto un'Europa anarchica e disarma-ta sotto il controllo di Mosca, la quale pel semplice fattod'avere l'alta direzione del movimento rivoluzionario edi possedere essa sola un esercito armato sarebbe stata

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– non hanno bisogno d'essere messi in luce. Essi sonosufficientemente illustrati dal telegramma di felicitazio-ne che egli spedì a Sun-Yat-Sen all'indomani dell'atten-tato annamita di Canton. Karakan è uno xenofobo arrab-biato. In questo momento egli è certo il massimo cervel-lo della Russia bolscevica. Forse Karakan sarà il Bona-parte della rivoluzione russa, ma un Bonaparte asiaticoche si disinteresserà dell'Europa e della stessa Russiaeuropea. Karakan è una potenza a Mosca perchè ha inmano la scacchiera asiatica. Le circostanze che hannoobbligato i Soviet a modificare la loro politica economi-ca europea – in Asia non ne hanno mai avuta – li hannoegualmente obbligati a rivedere da cima a fondo la loropolitica estera. La situazione del continente europeoesclude ormai per la Russia qualsiasi possibilitàd'avventura in grande stile da quella parte. I piani ambi-ziosi accarezzati in un primo tempo da Trotski hannodovuto essere definitivamente abbandonati in seguito alfallimento delle rivoluzioni comuniste nei vari paesid'Europa, rivoluzioni le quali, nel piano strategico diTrotski, avrebbero avuto il compito d'aprire la stradaagli eserciti rossi attraverso la Germania, l'Ungheria,l'Austria e l'Italia per colpire a morte la Francia e minac-ciare l'Inghilterra nei suoi gangli imperiali, obbligandolaa scendere a patti. Se le rivoluzioni comuniste fosseroriuscite si sarebbe avuto un'Europa anarchica e disarma-ta sotto il controllo di Mosca, la quale pel semplice fattod'avere l'alta direzione del movimento rivoluzionario edi possedere essa sola un esercito armato sarebbe stata

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la padrona effettiva del continente europeo. Alloral'Inghilterra rimasta sola sarebbe stata colpita nelle co-municazioni imperiali ed attaccata a fondo in Asia. Male rivoluzioni comuniste sono fallite dappertutto, perchèle condizioni sociali non erano negli altri paesi identichea quelle della Russia zarista e menscevica. Il colpo deci-sivo lo ha dato l'Italia. Il vostro Mussolini ha impeditoche si formasse in Europa il mito della rivoluzione bol-scevica e che determinasse come tutti i miti un periododi panico nel quale sarebbero state sommerse tutte le re-sistenze. Egli ha indovinato la diagnosi psicologicadell'Europa ed ha adottato il rimedio specifico, l'unicopossibile, quello cioè di dimostrare agli europei con unesempio pratico che la più grande forza della rivoluzio-ne bolscevica era la pusillanimità dei suoi avversari.Sotto questo aspetto il vostro Mussolini ha veramentesalvato l'Occidente. È un benemerito dell'Europa. Nonposso dire che abbia le medesime benemerenze di fronteall'Asia, perchè il crollo europeo avrebbe indubbiamenterisparmiato mezzo secolo di sforzi e di sofferenze allerazze asiatiche che aspettano l'indipendenza. Come ve-dete sono sincero.

— Vi comprendo perfettamente.— Ritornando alla Russia ho l'impressione che noi

avremo ben presto due Russie ben distinte con un go-verno centrale unico a Mosca.

— Due Russie?— Sì: una Russia europea, che per forza di cose andrà

sempre più accostandosi ai regimi del resto dell'Europa

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la padrona effettiva del continente europeo. Alloral'Inghilterra rimasta sola sarebbe stata colpita nelle co-municazioni imperiali ed attaccata a fondo in Asia. Male rivoluzioni comuniste sono fallite dappertutto, perchèle condizioni sociali non erano negli altri paesi identichea quelle della Russia zarista e menscevica. Il colpo deci-sivo lo ha dato l'Italia. Il vostro Mussolini ha impeditoche si formasse in Europa il mito della rivoluzione bol-scevica e che determinasse come tutti i miti un periododi panico nel quale sarebbero state sommerse tutte le re-sistenze. Egli ha indovinato la diagnosi psicologicadell'Europa ed ha adottato il rimedio specifico, l'unicopossibile, quello cioè di dimostrare agli europei con unesempio pratico che la più grande forza della rivoluzio-ne bolscevica era la pusillanimità dei suoi avversari.Sotto questo aspetto il vostro Mussolini ha veramentesalvato l'Occidente. È un benemerito dell'Europa. Nonposso dire che abbia le medesime benemerenze di fronteall'Asia, perchè il crollo europeo avrebbe indubbiamenterisparmiato mezzo secolo di sforzi e di sofferenze allerazze asiatiche che aspettano l'indipendenza. Come ve-dete sono sincero.

— Vi comprendo perfettamente.— Ritornando alla Russia ho l'impressione che noi

avremo ben presto due Russie ben distinte con un go-verno centrale unico a Mosca.

— Due Russie?— Sì: una Russia europea, che per forza di cose andrà

sempre più accostandosi ai regimi del resto dell'Europa

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sotto forma di una Repubblica federativa di piccoli pro-prietari agrari, solida, bene armata e pacifica; una Rus-sia asiatica invece, apparentemente federativa, governa-ta in realtà dai proconsoli di Mosca, avventurosa, rivolu-zionaria, tumultuante, con ingerenze più o meno palesiin tutti i movimenti nazionalisti e xenofobi del continen-te asiatico. La prima Russia formerà da Stato-cuscinettoalla seconda, da paravento diplomatico, da bailleur defonds, da fornitore d'armi e di uomini, da impresario ge-nerale e da alibi permanente. È la trovata di Karakan!Un coup de maitre. Se alla fine le cose andranno beneper la Russia d'Asia, quella d'Europa scenderà aperta-mente in lizza contro l'Inghilterra e contro tutti gli Statiche hanno possedimenti coloniali in Asia, magari aiutatadalle alleanze europee che avrà potuto accaparrarsi eche non mancheranno. Se invece le cose finissero maleper Karakan, la Russia europea avrebbe sempre modo disalvare le apparenze sacrificando un paio di proconsoliasiatici e facendoli magari apparire come ribelli.

— Il giuoco è abile ma potrebbe essere arrischiato...— Meno assai di quanto crediate. La Russia asiatica è

inattaccabile. Essa procederà in ogni modo d'accordocol Giappone al quale è esposto il suo tallone d'Achille.Quanto alla Russia europea essa sa d'essere protetta con-tro una coalizione armata dalla solidarietà negativa, maanch'essa efficace, di tutti i partiti socialisti, i quali pernecessità di dottrina e per ragion di vita sono obbligatiin ogni paese ad usare un minimo indispensabile di ri-guardo verso la repubblica ufficiale del Proletariato. Ka-

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sotto forma di una Repubblica federativa di piccoli pro-prietari agrari, solida, bene armata e pacifica; una Rus-sia asiatica invece, apparentemente federativa, governa-ta in realtà dai proconsoli di Mosca, avventurosa, rivolu-zionaria, tumultuante, con ingerenze più o meno palesiin tutti i movimenti nazionalisti e xenofobi del continen-te asiatico. La prima Russia formerà da Stato-cuscinettoalla seconda, da paravento diplomatico, da bailleur defonds, da fornitore d'armi e di uomini, da impresario ge-nerale e da alibi permanente. È la trovata di Karakan!Un coup de maitre. Se alla fine le cose andranno beneper la Russia d'Asia, quella d'Europa scenderà aperta-mente in lizza contro l'Inghilterra e contro tutti gli Statiche hanno possedimenti coloniali in Asia, magari aiutatadalle alleanze europee che avrà potuto accaparrarsi eche non mancheranno. Se invece le cose finissero maleper Karakan, la Russia europea avrebbe sempre modo disalvare le apparenze sacrificando un paio di proconsoliasiatici e facendoli magari apparire come ribelli.

— Il giuoco è abile ma potrebbe essere arrischiato...— Meno assai di quanto crediate. La Russia asiatica è

inattaccabile. Essa procederà in ogni modo d'accordocol Giappone al quale è esposto il suo tallone d'Achille.Quanto alla Russia europea essa sa d'essere protetta con-tro una coalizione armata dalla solidarietà negativa, maanch'essa efficace, di tutti i partiti socialisti, i quali pernecessità di dottrina e per ragion di vita sono obbligatiin ogni paese ad usare un minimo indispensabile di ri-guardo verso la repubblica ufficiale del Proletariato. Ka-

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rakan ed i suoi collaboratori agiscono in questo senso inIndia, in Indo-Cina e nello stesso Giappone, mentre inEuropa Cicerin predica la pace e la concordia universa-le. Karakan oltre a possedere un ingegno di primissimoordine, ha un'anima asiatica la quale gli permette di ve-der chiaro nella psicologia dei gialli, là dove il miglioredei vostri uomini politici è d'una miopia che rasenta lacecità. La influenza di Karakan nella Cina meridionaleaumenta di giorno in giorno, specialmente nelle provin-cie di Kuang-Si, di Kuang-Tong e di Fu-Kieu. Egli nonagisce direttamente sulle masse come si crede in Euro-pa, ma su migliaia di capi e di sottocapi dei quali cono-sce le ambizioni ed i bisogni. La propaganda bolscevicaè un fantasma per ingannare l'Europa e l'America, perforzare la mano a certi ambienti giapponesi e per trovareproseliti nei centri industriali del litorale. In realtà il bol-scevismo non è applicabile in Cina dove il concetto diproprietà fa parte dello spirito della razza. Quel po' dibuono che v'è nel bolscevismo è praticamente uno statodi fatto nelle campagne cinesi già da mille anni. Kara-kan ed i suoi amici cinesi – ambiziosi politici ed intra-prendenti finanzieri – mirano esclusivamente a sbaraz-zare gli europei dal Pacifico.

— E Pekino lascia fare?— Che cosa conta la povera Pekino?— È sempre la capitale.— La Cina non ha più capitale e non ha più governo.

Dopo la prima suddivisione nelle due Repubbliche delNord e del Sud, l'impero è diventato un mosaico di re-

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rakan ed i suoi collaboratori agiscono in questo senso inIndia, in Indo-Cina e nello stesso Giappone, mentre inEuropa Cicerin predica la pace e la concordia universa-le. Karakan oltre a possedere un ingegno di primissimoordine, ha un'anima asiatica la quale gli permette di ve-der chiaro nella psicologia dei gialli, là dove il miglioredei vostri uomini politici è d'una miopia che rasenta lacecità. La influenza di Karakan nella Cina meridionaleaumenta di giorno in giorno, specialmente nelle provin-cie di Kuang-Si, di Kuang-Tong e di Fu-Kieu. Egli nonagisce direttamente sulle masse come si crede in Euro-pa, ma su migliaia di capi e di sottocapi dei quali cono-sce le ambizioni ed i bisogni. La propaganda bolscevicaè un fantasma per ingannare l'Europa e l'America, perforzare la mano a certi ambienti giapponesi e per trovareproseliti nei centri industriali del litorale. In realtà il bol-scevismo non è applicabile in Cina dove il concetto diproprietà fa parte dello spirito della razza. Quel po' dibuono che v'è nel bolscevismo è praticamente uno statodi fatto nelle campagne cinesi già da mille anni. Kara-kan ed i suoi amici cinesi – ambiziosi politici ed intra-prendenti finanzieri – mirano esclusivamente a sbaraz-zare gli europei dal Pacifico.

— E Pekino lascia fare?— Che cosa conta la povera Pekino?— È sempre la capitale.— La Cina non ha più capitale e non ha più governo.

Dopo la prima suddivisione nelle due Repubbliche delNord e del Sud, l'impero è diventato un mosaico di re-

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pubblichette che vanno continuamente frazionandosi espezzettandosi. Abbiamo prima avuto le repubbliche dei«gruppi di provincie», poi le provincie isolate si sonocostituite in repubbliche locali, ora l'epidemia si sta pro-pagando alle prefetture ed alle sottoprefetture. Ognimandarino ambizioso forma un «clan» politico e lo in-capsula in una repubblichetta. Ha bisogno di denaro e locerca. Se ne trova a Londra, a Pekino, a Tokio, a Can-ton, a Mosca. Ognuno prende dove può. È un caso. Ven-ti generali comandano, pochi soldati obbediscono. Mol-te battaglie sono un bluff. La Cina non riuscirà mai a ri-stabilire da sola l'ordine meraviglioso che tenne unitol'immenso paese durante tanti secoli fino alla mortedell'imperatore Tsu-Hi, perchè è crollata l'antica impal-catura dell'Impero che era il capolavoro d'un millenniodi saggezza. I torbidi attuali saranno sedati, altri nescoppieranno fatalmente fra breve perchè innumerevolisono le persone che hanno bisogno d'incidenti e di tu-multi per i loro scopi politici ed i loro interessi persona-li. Quando l'imbroglio assumerà proporzioni così vaste edrammatiche da rendere inevitabile una sistemazione, lePotenze, nonostante la loro prudenza, saranno obbligate,dico obbligate, ad intervenire su larga scala. L'interven-to occidentale, deliberato magari dopo due o tre Confe-renze con la buona intenzione di liquidare amichevol-mente il pasticcio cinese fra tutti i concorrenti, provo-cherà invece fatalmente il contrasto di competizioni po-litiche formidabili e d'interessi economici irriducibili.Sarà la conflagrazione del Pacifico. La scadenza è già

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pubblichette che vanno continuamente frazionandosi espezzettandosi. Abbiamo prima avuto le repubbliche dei«gruppi di provincie», poi le provincie isolate si sonocostituite in repubbliche locali, ora l'epidemia si sta pro-pagando alle prefetture ed alle sottoprefetture. Ognimandarino ambizioso forma un «clan» politico e lo in-capsula in una repubblichetta. Ha bisogno di denaro e locerca. Se ne trova a Londra, a Pekino, a Tokio, a Can-ton, a Mosca. Ognuno prende dove può. È un caso. Ven-ti generali comandano, pochi soldati obbediscono. Mol-te battaglie sono un bluff. La Cina non riuscirà mai a ri-stabilire da sola l'ordine meraviglioso che tenne unitol'immenso paese durante tanti secoli fino alla mortedell'imperatore Tsu-Hi, perchè è crollata l'antica impal-catura dell'Impero che era il capolavoro d'un millenniodi saggezza. I torbidi attuali saranno sedati, altri nescoppieranno fatalmente fra breve perchè innumerevolisono le persone che hanno bisogno d'incidenti e di tu-multi per i loro scopi politici ed i loro interessi persona-li. Quando l'imbroglio assumerà proporzioni così vaste edrammatiche da rendere inevitabile una sistemazione, lePotenze, nonostante la loro prudenza, saranno obbligate,dico obbligate, ad intervenire su larga scala. L'interven-to occidentale, deliberato magari dopo due o tre Confe-renze con la buona intenzione di liquidare amichevol-mente il pasticcio cinese fra tutti i concorrenti, provo-cherà invece fatalmente il contrasto di competizioni po-litiche formidabili e d'interessi economici irriducibili.Sarà la conflagrazione del Pacifico. La scadenza è già

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segnata dal Destino sul libro della storia. Vedremo Cina,Russia e Giappone da una parte con la cooperazione piùo meno fattiva di tutti i nazionalisti asiatici: Stati Uniti,Inghilterra, Francia e quasi certamente Italia dall'altra.Dopo di che coloro i quali scriveranno la storia dellaconflagrazione mondiale pel controllo del Pacifico e perla spartizione delle immense risorse cinesi, daranno aitorbidi di queste settimane, agli incidenti di Canton e diScianghai che sono l'episodio del giorno, il significatoche veramente essi hanno, di prodromi, cioè, del grandesconquasso asiatico.

— Le vostre previsioni sono nere.— Il mio giudizio è quello di quasi tutti gli uomini

pensosi e disinteressati della nostra razza.— Perchè credete che l'Italia sia travolta nella contesa

del Pacifico?— Perchè solo il Pacifico può assicurarle direttamen-

te od indirettamente i territori coloniali e le materie pri-me di cui il vostro paese ha bisogno pel continuo au-mento della sua popolazione e per la realizzazione diquel programma imperialista che fa rivivere nei cuoriitaliani la potenza di Roma. I popoli che hanno nel san-gue l'eredità del comando possono dormire cento o milleanni: quando si svegliano si rimettono in marcia verso lemete degli antenati. Noi gialli siamo osservatori. Fra letante coincidenze abbiamo per esempio notato che l'Ita-lia, la quale è stata sempre rappresentata nelle acque ci-nesi da un paio di modesti stazionari, ha attualmente neimari d'Estremo Oriente tutta una squadra. Essa è giunta

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segnata dal Destino sul libro della storia. Vedremo Cina,Russia e Giappone da una parte con la cooperazione piùo meno fattiva di tutti i nazionalisti asiatici: Stati Uniti,Inghilterra, Francia e quasi certamente Italia dall'altra.Dopo di che coloro i quali scriveranno la storia dellaconflagrazione mondiale pel controllo del Pacifico e perla spartizione delle immense risorse cinesi, daranno aitorbidi di queste settimane, agli incidenti di Canton e diScianghai che sono l'episodio del giorno, il significatoche veramente essi hanno, di prodromi, cioè, del grandesconquasso asiatico.

— Le vostre previsioni sono nere.— Il mio giudizio è quello di quasi tutti gli uomini

pensosi e disinteressati della nostra razza.— Perchè credete che l'Italia sia travolta nella contesa

del Pacifico?— Perchè solo il Pacifico può assicurarle direttamen-

te od indirettamente i territori coloniali e le materie pri-me di cui il vostro paese ha bisogno pel continuo au-mento della sua popolazione e per la realizzazione diquel programma imperialista che fa rivivere nei cuoriitaliani la potenza di Roma. I popoli che hanno nel san-gue l'eredità del comando possono dormire cento o milleanni: quando si svegliano si rimettono in marcia verso lemete degli antenati. Noi gialli siamo osservatori. Fra letante coincidenze abbiamo per esempio notato che l'Ita-lia, la quale è stata sempre rappresentata nelle acque ci-nesi da un paio di modesti stazionari, ha attualmente neimari d'Estremo Oriente tutta una squadra. Essa è giunta

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Page 342: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

sul posto precisamente poco tempo prima che incomin-ciasse l'agitazione della Cina meridionale. Semplicecaso, direte. Può essere. Io preferisco vedervi un calcolopolitico ed un eccellente servizio d'informazioni.

— Ed in tutto questo qual'è secondo voi la funzionedell'Indocina?

— L'Indocina è l'appendice naturale della Cina e delGiappone. Ne seguirà le sorti. In caso d'una vittoriagiapponese avremo certamente un periodo di domina-zione nipponica, nel caso contrario resteremo ancoraqualche tempo sotto il controllo della Francia. Nei duecasi però la soluzione finale sarà sempre l'indipendenza,probabilmente sotto forma d'una Federazione della Co-cincina, del Camboge, dell'Annam, del Laos e forsedell'Yunam sotto la direzione del Tonkino.

— Perchè del Tonkino?— Il Tonkino è progressista e nazionalista, l'Annam

conservatore, la Cocincina liberale, il Camboge com-merciale. Sarà certo il Tonkino il nostro Piemonte.

— Personalmente voi siete però in eccellenti rapporticon la Potenza occupante.

— Mio fratello è morto per la Francia ed io ho com-battuto come colonnello sul fronte della Somme. La miafamiglia ha accettato lealmente il fatto compiuto. Me-glio i francesi che gli inglesi! L'occupazione francese èstata sotto molti aspetti un bene per l'Indocina, in quantoha messo tregua alle lotte intestine fra il Camboge,l'Annam, il Tonkino, il Laos e la Cocincina, nelle qualisi esaurivano sterilmente le migliori energie della razza.

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sul posto precisamente poco tempo prima che incomin-ciasse l'agitazione della Cina meridionale. Semplicecaso, direte. Può essere. Io preferisco vedervi un calcolopolitico ed un eccellente servizio d'informazioni.

— Ed in tutto questo qual'è secondo voi la funzionedell'Indocina?

— L'Indocina è l'appendice naturale della Cina e delGiappone. Ne seguirà le sorti. In caso d'una vittoriagiapponese avremo certamente un periodo di domina-zione nipponica, nel caso contrario resteremo ancoraqualche tempo sotto il controllo della Francia. Nei duecasi però la soluzione finale sarà sempre l'indipendenza,probabilmente sotto forma d'una Federazione della Co-cincina, del Camboge, dell'Annam, del Laos e forsedell'Yunam sotto la direzione del Tonkino.

— Perchè del Tonkino?— Il Tonkino è progressista e nazionalista, l'Annam

conservatore, la Cocincina liberale, il Camboge com-merciale. Sarà certo il Tonkino il nostro Piemonte.

— Personalmente voi siete però in eccellenti rapporticon la Potenza occupante.

— Mio fratello è morto per la Francia ed io ho com-battuto come colonnello sul fronte della Somme. La miafamiglia ha accettato lealmente il fatto compiuto. Me-glio i francesi che gli inglesi! L'occupazione francese èstata sotto molti aspetti un bene per l'Indocina, in quantoha messo tregua alle lotte intestine fra il Camboge,l'Annam, il Tonkino, il Laos e la Cocincina, nelle qualisi esaurivano sterilmente le migliori energie della razza.

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La pace interna e l'amministrazione francese hanno per-messo lo sviluppo agricolo-economico del paese ed han-no gettato le basi della futura industria nazionale. Inoltrei francesi hanno introdotto in Indocina le conquiste tec-niche e meccaniche dell'Occidente delle quali i giallinon possono fare a meno perchè rappresentano tante vit-torie dell'ingegno umano sulle resistenze della Natura.Se il risultato della futura conflagrazione sarà favorevo-le per la Francia noi resteremo ancora un certo spazio ditempo sotto il controllo francese. Poi le forze autonomeprenderanno fatalmente il sopravvento per le capacitàintrinseche del nostro popolo e per la deficienza d'uomi-ni della Francia. Il controllo francese diventerà semprepiù blando: attraverseremo forse l'intermezzo d'un selfgovernment e d'una alleanza franco-annamita, infinel'Indocina sarà un blocco a se con funzione equilibratri-ce fra l'Asia indiana e l'Asia gialla.

— V'è già in Indocina una forte corrente contraria alcontrollo francese?

— Ve ne sono due: una di carattere nazionalista cheha per organo la Tribune Indigène di Saigon ed una atendenza bolscevico-socialista che è più sviluppatanell'Annam. La prima ha i suoi centri direttivi nel Giap-pone, la seconda in Cina a Canton. In fondo, nazionali-smo e bolscevismo si unificano nella coscienza indigenain una aspirazione ancora vaga alla indipendenza. Delresto, in tutto l'Estremo Oriente, bolscevismo e naziona-lismo sono sinonimi. Karakan non è altro che un aposto-lo dei nazionalismi asiatici.

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La pace interna e l'amministrazione francese hanno per-messo lo sviluppo agricolo-economico del paese ed han-no gettato le basi della futura industria nazionale. Inoltrei francesi hanno introdotto in Indocina le conquiste tec-niche e meccaniche dell'Occidente delle quali i giallinon possono fare a meno perchè rappresentano tante vit-torie dell'ingegno umano sulle resistenze della Natura.Se il risultato della futura conflagrazione sarà favorevo-le per la Francia noi resteremo ancora un certo spazio ditempo sotto il controllo francese. Poi le forze autonomeprenderanno fatalmente il sopravvento per le capacitàintrinseche del nostro popolo e per la deficienza d'uomi-ni della Francia. Il controllo francese diventerà semprepiù blando: attraverseremo forse l'intermezzo d'un selfgovernment e d'una alleanza franco-annamita, infinel'Indocina sarà un blocco a se con funzione equilibratri-ce fra l'Asia indiana e l'Asia gialla.

— V'è già in Indocina una forte corrente contraria alcontrollo francese?

— Ve ne sono due: una di carattere nazionalista cheha per organo la Tribune Indigène di Saigon ed una atendenza bolscevico-socialista che è più sviluppatanell'Annam. La prima ha i suoi centri direttivi nel Giap-pone, la seconda in Cina a Canton. In fondo, nazionali-smo e bolscevismo si unificano nella coscienza indigenain una aspirazione ancora vaga alla indipendenza. Delresto, in tutto l'Estremo Oriente, bolscevismo e naziona-lismo sono sinonimi. Karakan non è altro che un aposto-lo dei nazionalismi asiatici.

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Page 344: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

— Secondo voi che cosa dovrebbero fare le Potenzeper evitare la catastrofe che sentite approssimarsi?

— Ormai le cause determinanti della tragedia hannogià plasmato la situazione. Nello stato di fatto v'è già laragione storica del conflitto. Le Potenze sono nel vorticedel Destino. La saggezza di Confucio insegna che incaso d'alluvione si salvano coloro che riparano su unpicco ed... aspettano!

— Ed in questo caso il picco sarebbe?— Vi risponderò con Confucio: quelli che sanno non

dicono, quelli che dicono non sanno!

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— Secondo voi che cosa dovrebbero fare le Potenzeper evitare la catastrofe che sentite approssimarsi?

— Ormai le cause determinanti della tragedia hannogià plasmato la situazione. Nello stato di fatto v'è già laragione storica del conflitto. Le Potenze sono nel vorticedel Destino. La saggezza di Confucio insegna che incaso d'alluvione si salvano coloro che riparano su unpicco ed... aspettano!

— Ed in questo caso il picco sarebbe?— Vi risponderò con Confucio: quelli che sanno non

dicono, quelli che dicono non sanno!

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Le danzatrici di re Sisovat

PNOM-PEN, 24 Giugno

I torbidi della Cina meridionale hanno avuto più ri-percussione di quel che si creda nel resto dell'EstremoOriente. A Pnom-Pen costituiscono l'argomento delgiorno. Non si parla d'altro nei caffè e negli alberghi. Egli indigeni meno sospetti d'intransigenza dicono chiara-mente che la Cina non si calmerà fino a che non si saràsbarazzata delle Capitolazioni, delle Concessioni, delleservitù portuarie, infine di tutta la bardatura impostadalle Potenze.

L'esempio della Turchia è citato a torto ed a rovescioda questi omuncoli flemmatici che fino ad ieri parevanodisinteressarsi d'ogni cosa che non fosse riso e piastre, eche tutto ad un tratto si rivelano nazionalisti appassiona-ti ed informatissimi! Le parole «libertà», «indipenden-za», self-government, «autonomia», punteggiano confrequenza i discorsi dei cambogesi e degli annamiti. Nelprofondo delle coscienze millenarie una misteriosa «so-lidarietà gialla» unisce cinesi ed indo-cinesi contro glioccidentali. La si sente. È forse la «rivelazione» delle

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Le danzatrici di re Sisovat

PNOM-PEN, 24 Giugno

I torbidi della Cina meridionale hanno avuto più ri-percussione di quel che si creda nel resto dell'EstremoOriente. A Pnom-Pen costituiscono l'argomento delgiorno. Non si parla d'altro nei caffè e negli alberghi. Egli indigeni meno sospetti d'intransigenza dicono chiara-mente che la Cina non si calmerà fino a che non si saràsbarazzata delle Capitolazioni, delle Concessioni, delleservitù portuarie, infine di tutta la bardatura impostadalle Potenze.

L'esempio della Turchia è citato a torto ed a rovescioda questi omuncoli flemmatici che fino ad ieri parevanodisinteressarsi d'ogni cosa che non fosse riso e piastre, eche tutto ad un tratto si rivelano nazionalisti appassiona-ti ed informatissimi! Le parole «libertà», «indipenden-za», self-government, «autonomia», punteggiano confrequenza i discorsi dei cambogesi e degli annamiti. Nelprofondo delle coscienze millenarie una misteriosa «so-lidarietà gialla» unisce cinesi ed indo-cinesi contro glioccidentali. La si sente. È forse la «rivelazione» delle

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attuali complicazioni politiche. Ed è così forte che tradi-sce questi uomini che pur sono maestri nel nascondere ipropri sentimenti.

Per strada, i crocchi, più numerosi che di abitudine,parlottano fra loro lungamente senza gesti e senza scattidi voce, zittendosi quando passa un europeo. Si capisceche parlano della Cina, degli «zii» che sono alle presecoi britannici, del Dragone che si sveglia, della Russia,del Giappone, del grande mandarino Karakan, dellamorte immatura di Sun-Yat-Sen, del maresciallo, di tan-te cose che parevano sepolte sotto la «collaborazionefranco-annamita» e che sono risorte ad un tratto perchèa mille chilometri di distanza quattro fucili occidentalihanno sparato contro uomini di razza gialla.

— Da quindici giorni i nostri boys sono tutti ministridegli Affari Esteri! — Così riassume la situazione il di-rettore dell'albergo.

Ed un giornalista francese aggiunse:— Me lo saluta lei il Journal de Saigon colla sua

campagna nazionalista anti-cinese che costa fior di pia-stre al Ministero delle Colonie! Ben spesi quei soldi!All'atto pratico cinesi ed indocinesi formano due razzeed un'anima sola. E per conto mio metto anche i giappo-nesi nella medesima pentola.

È un fatto che Pnom-Pen, la quale m'era parsa unica-mente un grande deposito di riso abitato da mercanti mi-lionari e da facchini pezzenti, si rivela all'improvvisocapitale: capitale di un paese che non ha rinunziato ai ri-cordi del passato ed alle ambizioni dell'avvenire: centro

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attuali complicazioni politiche. Ed è così forte che tradi-sce questi uomini che pur sono maestri nel nascondere ipropri sentimenti.

Per strada, i crocchi, più numerosi che di abitudine,parlottano fra loro lungamente senza gesti e senza scattidi voce, zittendosi quando passa un europeo. Si capisceche parlano della Cina, degli «zii» che sono alle presecoi britannici, del Dragone che si sveglia, della Russia,del Giappone, del grande mandarino Karakan, dellamorte immatura di Sun-Yat-Sen, del maresciallo, di tan-te cose che parevano sepolte sotto la «collaborazionefranco-annamita» e che sono risorte ad un tratto perchèa mille chilometri di distanza quattro fucili occidentalihanno sparato contro uomini di razza gialla.

— Da quindici giorni i nostri boys sono tutti ministridegli Affari Esteri! — Così riassume la situazione il di-rettore dell'albergo.

Ed un giornalista francese aggiunse:— Me lo saluta lei il Journal de Saigon colla sua

campagna nazionalista anti-cinese che costa fior di pia-stre al Ministero delle Colonie! Ben spesi quei soldi!All'atto pratico cinesi ed indocinesi formano due razzeed un'anima sola. E per conto mio metto anche i giappo-nesi nella medesima pentola.

È un fatto che Pnom-Pen, la quale m'era parsa unica-mente un grande deposito di riso abitato da mercanti mi-lionari e da facchini pezzenti, si rivela all'improvvisocapitale: capitale di un paese che non ha rinunziato ai ri-cordi del passato ed alle ambizioni dell'avvenire: centro

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di passioni politiche e di aspirazioni nazionaliste: unadelle tante officine rivoluzionarie dell'Estremo Orientenella quale sotto la fallace apparenza del disinteressegiallo, i capi lavorano e le plebi collaborano, tutti aspet-tando senza precipitazione che gli eventi maturino nelcrogiuolo del Destino.

Solo il «Palazzo Reale della Danza» è una oasi d'artee di amore in mezzo al mare grosso della politica. Al-meno così sembra a noi che lo visitiamo per graziosaconcessione del Re Sisovat! Ma chi può dire che cosa sinasconda in realtà sotto la maschera pallida delle bam-bole reali? Anche il vecchio re sembra disinteressarsi ditutto ciò che non sia i suoi bonzi e le sue ballerine. Ifunzionari francesi ed i giornali del governo assicuranoche S. M. è enchantée delle attuali condizioni del Cam-boge. Il popolino è convinto perfettamente del contrario.E le folle gialle a differenza di quelle occidentali nonesigono dai loro condottieri l'azione immediata. Per esseanche l'attesa passiva d'un monarca può celare il calcolod'una saggezza millenaria.

Chiedete ad un cambogese qualsiasi senza distinzionedi classe che cosa prediliga più d'ogni cosa. Vi risponde-rà infallibilmente:

— Mio padre, il betel e la danza.Il ballo che per gli occidentali è un esercizio fisico,

un passatempo mondano, magari una piacevole distra-zione di natura artistica, ha agli occhi dei popoli asiaticiuna fisonomia mistico-religiosa che ne aumenta consi-derevolmente l'importanza. Nel Siam e nel Camboge il

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di passioni politiche e di aspirazioni nazionaliste: unadelle tante officine rivoluzionarie dell'Estremo Orientenella quale sotto la fallace apparenza del disinteressegiallo, i capi lavorano e le plebi collaborano, tutti aspet-tando senza precipitazione che gli eventi maturino nelcrogiuolo del Destino.

Solo il «Palazzo Reale della Danza» è una oasi d'artee di amore in mezzo al mare grosso della politica. Al-meno così sembra a noi che lo visitiamo per graziosaconcessione del Re Sisovat! Ma chi può dire che cosa sinasconda in realtà sotto la maschera pallida delle bam-bole reali? Anche il vecchio re sembra disinteressarsi ditutto ciò che non sia i suoi bonzi e le sue ballerine. Ifunzionari francesi ed i giornali del governo assicuranoche S. M. è enchantée delle attuali condizioni del Cam-boge. Il popolino è convinto perfettamente del contrario.E le folle gialle a differenza di quelle occidentali nonesigono dai loro condottieri l'azione immediata. Per esseanche l'attesa passiva d'un monarca può celare il calcolod'una saggezza millenaria.

Chiedete ad un cambogese qualsiasi senza distinzionedi classe che cosa prediliga più d'ogni cosa. Vi risponde-rà infallibilmente:

— Mio padre, il betel e la danza.Il ballo che per gli occidentali è un esercizio fisico,

un passatempo mondano, magari una piacevole distra-zione di natura artistica, ha agli occhi dei popoli asiaticiuna fisonomia mistico-religiosa che ne aumenta consi-derevolmente l'importanza. Nel Siam e nel Camboge il

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culto della danza è ancora maggiore che in India ed inCina. Per le genti di Bangok e di Pnom-Pen il ballo è lasuprema conquista artistica dell'umanità, quasi un rifles-so della vita oltre terrena. La danza parla ai loro sensi edal loro spirito più della musica, della scultura e dellapoesia. Per i cambogesi la musica non è altro che unaforma d'arte secondaria destinata ad accompagnare ladanza: la scultura esiste semplicemente in quanto fissanella pietra e nel metallo, oltre alle immagini delle divi-nità, una espressione di danza che merita di essere eter-nata e tramandata alle generazioni future; la poesia sisforza di concretare in parole i sentimenti ed i miraggiche la danza suscita nello spirito delle genti.

Bisogna rendersi conto di questa funzione sovranadella danza presso le popolazioni del Siam e del Cam-boge per comprendere i loro «Corpi reali di ballo» chesi perpetuano nei secoli all'ombra protettrice delle Dina-stie e quasi si confondono con la sovranità di cui sono ilmassimo attributo. Si può dire che essi sono contempo-raneamente il Trono, l'Accademia di Belle Arti, il Pan-theon delle glorie nazionali ed Istituti di cultura politica.La storia antica del Siam e del Camboge sarebbe total-mente ignorata dalla maggioranza degli abitanti se ledanze non facessero rivivere ogni giorno nell'anima po-polare le leggende ed i fatti del passato. L'arte continuaa produrre ninnoli e monumenti di stile «kmèr», perchèle ballerine reali forniscono agli artefici i medesimi mo-delli e le medesime ispirazioni che sedussero gli antena-ti.

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culto della danza è ancora maggiore che in India ed inCina. Per le genti di Bangok e di Pnom-Pen il ballo è lasuprema conquista artistica dell'umanità, quasi un rifles-so della vita oltre terrena. La danza parla ai loro sensi edal loro spirito più della musica, della scultura e dellapoesia. Per i cambogesi la musica non è altro che unaforma d'arte secondaria destinata ad accompagnare ladanza: la scultura esiste semplicemente in quanto fissanella pietra e nel metallo, oltre alle immagini delle divi-nità, una espressione di danza che merita di essere eter-nata e tramandata alle generazioni future; la poesia sisforza di concretare in parole i sentimenti ed i miraggiche la danza suscita nello spirito delle genti.

Bisogna rendersi conto di questa funzione sovranadella danza presso le popolazioni del Siam e del Cam-boge per comprendere i loro «Corpi reali di ballo» chesi perpetuano nei secoli all'ombra protettrice delle Dina-stie e quasi si confondono con la sovranità di cui sono ilmassimo attributo. Si può dire che essi sono contempo-raneamente il Trono, l'Accademia di Belle Arti, il Pan-theon delle glorie nazionali ed Istituti di cultura politica.La storia antica del Siam e del Camboge sarebbe total-mente ignorata dalla maggioranza degli abitanti se ledanze non facessero rivivere ogni giorno nell'anima po-polare le leggende ed i fatti del passato. L'arte continuaa produrre ninnoli e monumenti di stile «kmèr», perchèle ballerine reali forniscono agli artefici i medesimi mo-delli e le medesime ispirazioni che sedussero gli antena-ti.

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Nel culto della danza e nella venerazione popolareper le sue sacerdotesse il Siam ed il Camboge hanno di-vinizzato i due grandi sorrisi dell'esistenza umana: l'artee la donna. Nel fascino d'una danza adorano il fluido po-tente di Eva, ispiratrice e consolatrice, compagna inso-stituibile nella gloria e nella pena degli uomini!

Pian piano la danza ha invaso tutti i campi dell'attivitàsociale: la religione, la guerra, la politica, il commercio,l'amministrazione della giustizia. Non v'è cerimonia po-litica, civile o religiosa senza danze. Dove in Occidentesi pronunzia un discorso, nel Camboge si eseguisce unadanza. E l'anima del popolo educata da una tradizione

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ANGKOR – Le torri di granito.

Nel culto della danza e nella venerazione popolareper le sue sacerdotesse il Siam ed il Camboge hanno di-vinizzato i due grandi sorrisi dell'esistenza umana: l'artee la donna. Nel fascino d'una danza adorano il fluido po-tente di Eva, ispiratrice e consolatrice, compagna inso-stituibile nella gloria e nella pena degli uomini!

Pian piano la danza ha invaso tutti i campi dell'attivitàsociale: la religione, la guerra, la politica, il commercio,l'amministrazione della giustizia. Non v'è cerimonia po-litica, civile o religiosa senza danze. Dove in Occidentesi pronunzia un discorso, nel Camboge si eseguisce unadanza. E l'anima del popolo educata da una tradizione

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ANGKOR – Le torri di granito.

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secolare comprende il linguaggio d'un ballo come le no-stre folle intendono l'eloquenza d'un tribuno.

Ci è capitato, per esempio, d'assistere in questi giornialla solenne inaugurazione di un canale alla quale assi-stevano personalmente il Re ed il Residente francese,trattandosi di un'opera idraulica di grande importanzaeconomica destinata a mettere in valore tutta la provin-cia di Battambang. Dopo l'abbattimento della diga cheha permesso all'acqua d'irrompere nell'alveo fecondato-re, quando da noi il comm. Tizio ed il gr. uff. Sempronioavrebbero deliziato «l'eletto pubblico» con una prosapiù o meno interessante, a Bai-Ang è il Corpo reale diballo che ha... tenuto il discorso ufficiale eseguendo unesercizio coreografico che è durato oltre un'ora. E nono-stante noi non fossimo affatto iniziati a questo genere dioratoria, ne abbiamo perfettamente compreso il signifi-cato.

Mentre le danzatrici di Corte ritmavano sull'erba radad'un prato le loro figure, dai movimenti armonici si spri-gionava tutto un discorso. Le danze descrivevano conformidabile efficacia espressiva la desolazione delle ter-re incolte arse dalla canicola e devastate dai venti,l'azione benefica dell'elemento fecondatore che trasfor-ma i deserti in risaie, il lavoro agricolo degli uomini, ilplacido incedere dei bufali, i solchi potenti dell'aratro, lagioia del contadino che assiste allo sviluppo della piantapreziosa attraverso la vicenda delle stagioni fino al rac-colto che assicura il sostentamento delle famiglie e laprosperità delle generazioni.

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secolare comprende il linguaggio d'un ballo come le no-stre folle intendono l'eloquenza d'un tribuno.

Ci è capitato, per esempio, d'assistere in questi giornialla solenne inaugurazione di un canale alla quale assi-stevano personalmente il Re ed il Residente francese,trattandosi di un'opera idraulica di grande importanzaeconomica destinata a mettere in valore tutta la provin-cia di Battambang. Dopo l'abbattimento della diga cheha permesso all'acqua d'irrompere nell'alveo fecondato-re, quando da noi il comm. Tizio ed il gr. uff. Sempronioavrebbero deliziato «l'eletto pubblico» con una prosapiù o meno interessante, a Bai-Ang è il Corpo reale diballo che ha... tenuto il discorso ufficiale eseguendo unesercizio coreografico che è durato oltre un'ora. E nono-stante noi non fossimo affatto iniziati a questo genere dioratoria, ne abbiamo perfettamente compreso il signifi-cato.

Mentre le danzatrici di Corte ritmavano sull'erba radad'un prato le loro figure, dai movimenti armonici si spri-gionava tutto un discorso. Le danze descrivevano conformidabile efficacia espressiva la desolazione delle ter-re incolte arse dalla canicola e devastate dai venti,l'azione benefica dell'elemento fecondatore che trasfor-ma i deserti in risaie, il lavoro agricolo degli uomini, ilplacido incedere dei bufali, i solchi potenti dell'aratro, lagioia del contadino che assiste allo sviluppo della piantapreziosa attraverso la vicenda delle stagioni fino al rac-colto che assicura il sostentamento delle famiglie e laprosperità delle generazioni.

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Un coro femminile accompagnava le danze aiutandoa spiegare il significato con parole adatte quando per larievocazione d'antiche leggende e d'episodi mitologiciesso diventava più complicato ed oscuro. La folla segui-va con raccoglimento le evoluzioni delle danzatrici.Lunghi mormorii esprimevano il piacere della moltitudi-ne. A volte il ritmo delle ballerine si rifletteva nell'oscil-lare istintivo degli spettatori, del Re, dei mandarini, del-la folla minuta. Si trattava di contadini, di donnette dellacampagna, di poveri bifolchi e di sterratori miserabili. Inoccidente una folla eguale avrebbe sbadigliato! Questavibrava invece all'unisono con le danzatrici, comprende-va, apprezzava, godeva, per la mirabile quanto misterio-sa sensibilità di certe razze a determinate forme di bel-lezza. Come in occidente, una grande armonia attintaalle sorgenti della ispirazione umana lascia impassibileo quasi una folla anglo-sassone, mentre commuove otravolge una turba italica che ha la melodia nel sangue,così nel Camboge la massa del volgo è accessibile al fa-scino d'una danza che altrove è il privilegio d'una mino-ranza raffinata.

Le ballerine sono proprietà del Re, il quale le ricevein dono dal popolo. Ogni famiglia cambogese reputa as-sai onorifico avere una figlia fra le danzatrici di Corte emolti sono quindi i genitori che offrono al Trono le pic-cole aspiranti quando hanno sei anni. Una commissioneesaminatrice di vecchi bonzi sceglie quelle che sembra-no indicate all'alta funzione per bellezza ed attitudini fi-siche. L'offerta è abbondante e la cernita severa. Ciò

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Un coro femminile accompagnava le danze aiutandoa spiegare il significato con parole adatte quando per larievocazione d'antiche leggende e d'episodi mitologiciesso diventava più complicato ed oscuro. La folla segui-va con raccoglimento le evoluzioni delle danzatrici.Lunghi mormorii esprimevano il piacere della moltitudi-ne. A volte il ritmo delle ballerine si rifletteva nell'oscil-lare istintivo degli spettatori, del Re, dei mandarini, del-la folla minuta. Si trattava di contadini, di donnette dellacampagna, di poveri bifolchi e di sterratori miserabili. Inoccidente una folla eguale avrebbe sbadigliato! Questavibrava invece all'unisono con le danzatrici, comprende-va, apprezzava, godeva, per la mirabile quanto misterio-sa sensibilità di certe razze a determinate forme di bel-lezza. Come in occidente, una grande armonia attintaalle sorgenti della ispirazione umana lascia impassibileo quasi una folla anglo-sassone, mentre commuove otravolge una turba italica che ha la melodia nel sangue,così nel Camboge la massa del volgo è accessibile al fa-scino d'una danza che altrove è il privilegio d'una mino-ranza raffinata.

Le ballerine sono proprietà del Re, il quale le ricevein dono dal popolo. Ogni famiglia cambogese reputa as-sai onorifico avere una figlia fra le danzatrici di Corte emolti sono quindi i genitori che offrono al Trono le pic-cole aspiranti quando hanno sei anni. Una commissioneesaminatrice di vecchi bonzi sceglie quelle che sembra-no indicate all'alta funzione per bellezza ed attitudini fi-siche. L'offerta è abbondante e la cernita severa. Ciò

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spiega come le danzatrici reali del Camboge siano tuttedi straordinaria avvenenza.

Quelle che sono prescelte cessano da quel momentod'appartenere alla famiglia. I genitori sono disinteressaticon un dono in denaro. Le piccole diventano proprietàdella nazione ed entrano nella Reggia dove resterannofino alla morte.

Il Re sceglie fra le danzatrici le sue favorite. Nessunaltro uomo ha diritto d'alzare gli occhi sulle sacerdotessedel Palazzo ed ogni tentativo del genere è consideratoun delitto di lesa maestà. Pare che il buon Re Sisovat siain materia di manica piuttosto larga, mentre sotto il pre-decessore Norodom la disciplina era severissima. Spes-se volte l'autorità giudiziaria francese dovette chiuderegli occhi su gravi casi d'ingiustizia e talvolta addiritturadi barbarie per evitare complicazioni politiche con laCorte e con la pubblica opinione.

Le ballerine che erano sotto il Re Norodom cinque-cento sono ora soltanto centodiciotto. Esse sono sotto ladiretta sorveglianza della prima moglie del Re dallaquale dipendono. Divise in quattro turni di servizio,ognuno composto di venti figuranti, sono permanente-mente a disposizione del monarca, il quale può richie-derle ad ogni momento del giorno e della notte perchèeseguiscano uno spettacolo od anche solo perchè gli ten-gano compagnia, gli facciano vento coi flabelli di struz-zo, gli servano il tè raccontando i pettegolezzi di Palaz-zo, cantino, suonino, ecc. In fondo il Corpo di ballo è

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spiega come le danzatrici reali del Camboge siano tuttedi straordinaria avvenenza.

Quelle che sono prescelte cessano da quel momentod'appartenere alla famiglia. I genitori sono disinteressaticon un dono in denaro. Le piccole diventano proprietàdella nazione ed entrano nella Reggia dove resterannofino alla morte.

Il Re sceglie fra le danzatrici le sue favorite. Nessunaltro uomo ha diritto d'alzare gli occhi sulle sacerdotessedel Palazzo ed ogni tentativo del genere è consideratoun delitto di lesa maestà. Pare che il buon Re Sisovat siain materia di manica piuttosto larga, mentre sotto il pre-decessore Norodom la disciplina era severissima. Spes-se volte l'autorità giudiziaria francese dovette chiuderegli occhi su gravi casi d'ingiustizia e talvolta addiritturadi barbarie per evitare complicazioni politiche con laCorte e con la pubblica opinione.

Le ballerine che erano sotto il Re Norodom cinque-cento sono ora soltanto centodiciotto. Esse sono sotto ladiretta sorveglianza della prima moglie del Re dallaquale dipendono. Divise in quattro turni di servizio,ognuno composto di venti figuranti, sono permanente-mente a disposizione del monarca, il quale può richie-derle ad ogni momento del giorno e della notte perchèeseguiscano uno spettacolo od anche solo perchè gli ten-gano compagnia, gli facciano vento coi flabelli di struz-zo, gli servano il tè raccontando i pettegolezzi di Palaz-zo, cantino, suonino, ecc. In fondo il Corpo di ballo è

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l'harem del Sovrano in mezzo al quale egli sceglie la fa-vorita ufficiale.

Le favorite che regalano al monarca un erede cessanoimmediatamente di far parte del Corpo di ballo: diventa-no dame di Palazzo ed abitano un padiglione speciale inun recinto apposito della reggia.

Tutte le altre sono riunite in un grande caseggiato nelquale ognuna possiede un piccolo appartamento, trestuoie, due paraventi, mezza dozzina di ninnoli ed unpezzetto di giardino. Un'alta muraglia cinge il chiostroreale e la guardia ne è affidata ad un corpo scelto di ve-terani.

Sotto l'intransigente Norodom non avremmo mai po-tuto varcare la soglia della trappa, ma il novantenne Si-sovat è d'idee larghe, e dopo un primo rifiuto formale, ciha concesso un lascia-passare, temperato peròdall'accompagnamento di quattro brutti ceffi di mandari-ni.

Arrivate ad una certa età le ballerine sono messed'ufficio fuori quadro, ma rimangono nel Palazzo comeinsegnanti, cameriere, bambinaie, guardarobiere o sem-plicemente come mogli legittime dei veterani. Sic tran-sit gloria mundi! Solo le favorite che hanno dato al Reun figlio conservano indefinitamente il loro rango didame di corte.

Gli abbigliamenti di cerimonia non sono loro proprie-tà. Fanno parte del Tesoro reale e sono restituiti dopoogni spettacolo ai funzionari che li hanno in custodia.La loro ricchezza è famosa in tutto l'Oriente. Si tratta di

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l'harem del Sovrano in mezzo al quale egli sceglie la fa-vorita ufficiale.

Le favorite che regalano al monarca un erede cessanoimmediatamente di far parte del Corpo di ballo: diventa-no dame di Palazzo ed abitano un padiglione speciale inun recinto apposito della reggia.

Tutte le altre sono riunite in un grande caseggiato nelquale ognuna possiede un piccolo appartamento, trestuoie, due paraventi, mezza dozzina di ninnoli ed unpezzetto di giardino. Un'alta muraglia cinge il chiostroreale e la guardia ne è affidata ad un corpo scelto di ve-terani.

Sotto l'intransigente Norodom non avremmo mai po-tuto varcare la soglia della trappa, ma il novantenne Si-sovat è d'idee larghe, e dopo un primo rifiuto formale, ciha concesso un lascia-passare, temperato peròdall'accompagnamento di quattro brutti ceffi di mandari-ni.

Arrivate ad una certa età le ballerine sono messed'ufficio fuori quadro, ma rimangono nel Palazzo comeinsegnanti, cameriere, bambinaie, guardarobiere o sem-plicemente come mogli legittime dei veterani. Sic tran-sit gloria mundi! Solo le favorite che hanno dato al Reun figlio conservano indefinitamente il loro rango didame di corte.

Gli abbigliamenti di cerimonia non sono loro proprie-tà. Fanno parte del Tesoro reale e sono restituiti dopoogni spettacolo ai funzionari che li hanno in custodia.La loro ricchezza è famosa in tutto l'Oriente. Si tratta di

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ricami meravigliosi, di manti imperiali, di porpore, dipiumaggi, di gioie e di diademi che sono usciti nel corsodei secoli dal Laboratorio e dall'Oreficeria reale, dueistituzioni egualmente centenarie. Se il carovita ha in-fluito sulle uniformi delle semplici comparse e delle al-lieve, le acconciature delle prime ballerine e delle favo-rite conservano tutto l'antico splendore. Su sete finissi-me di Cina, vaporose come schiume, fabbricate ancora amano secondo l'uso antico col prodotto di bozzoli spe-ciali, operaie mirabili hanno trapunto con fili di vero oroe di vero argento disegni altrettanto pregevoli che biz-zarri. Ci hanno per esempio mostrato una tunica intornoalla quale la prima operaia del Laboratorio ha lavoratootto anni!

Perle, diamanti, topazi, opali, acque marine, zaffirigrossi come nocciuole aggiungono allo splendore dei ri-cami lo scintillìo delle loro luci purissime. Gemmed'acqua meravigliosa che la dinastia ha collezionato du-rante i secoli, quando il loro valore era infimo in con-fronto all'attuale, sono legate capricciosamente con gia-de e con smalti su fondi di filigrana e d'avorii scolpiti.Su certe larghe placche d'onice, ignoti artisti si sonosbizzarriti ad intagliare tutto un paesaggio d'EstremoOriente nel quale le foglie, i tronchi, le pagode, l'acquacorrente, il cielo e gli astri sono rappresentati da pietrepreziose dell'intonazione voluta.

La favorita in... attività di servizio – l'attuale si chia-ma Marasià ed ha diciotto primavere – ha diritto a por-tare un corsaletto sotto il quale nasconde, per tradizione

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ricami meravigliosi, di manti imperiali, di porpore, dipiumaggi, di gioie e di diademi che sono usciti nel corsodei secoli dal Laboratorio e dall'Oreficeria reale, dueistituzioni egualmente centenarie. Se il carovita ha in-fluito sulle uniformi delle semplici comparse e delle al-lieve, le acconciature delle prime ballerine e delle favo-rite conservano tutto l'antico splendore. Su sete finissi-me di Cina, vaporose come schiume, fabbricate ancora amano secondo l'uso antico col prodotto di bozzoli spe-ciali, operaie mirabili hanno trapunto con fili di vero oroe di vero argento disegni altrettanto pregevoli che biz-zarri. Ci hanno per esempio mostrato una tunica intornoalla quale la prima operaia del Laboratorio ha lavoratootto anni!

Perle, diamanti, topazi, opali, acque marine, zaffirigrossi come nocciuole aggiungono allo splendore dei ri-cami lo scintillìo delle loro luci purissime. Gemmed'acqua meravigliosa che la dinastia ha collezionato du-rante i secoli, quando il loro valore era infimo in con-fronto all'attuale, sono legate capricciosamente con gia-de e con smalti su fondi di filigrana e d'avorii scolpiti.Su certe larghe placche d'onice, ignoti artisti si sonosbizzarriti ad intagliare tutto un paesaggio d'EstremoOriente nel quale le foglie, i tronchi, le pagode, l'acquacorrente, il cielo e gli astri sono rappresentati da pietrepreziose dell'intonazione voluta.

La favorita in... attività di servizio – l'attuale si chia-ma Marasià ed ha diciotto primavere – ha diritto a por-tare un corsaletto sotto il quale nasconde, per tradizione

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centenaria, agli occhi dei profani i seni predilettidall'augusto figlio del Sole Eminente. L'oggetto in que-stione è una specie di custodia d'oro sulla quale ogni so-vrano della dinastia ha tenuto ad incastonare i più beirubini esistenti nel paese durante il suo regno. Oltre cen-to gemme di notevole grossezza sono ammucchiate suquesto straordinario gioiello. Durante le danze nel rifles-so dei doppieri il torso nudo di Marasià sembra cerchia-to di carboni accesi. Sulla lussuriosa magnificenza delsuo corpo appena velato da una garza trasparente non visono altri gioielli che questa fantastica corazza di rubinied i suoi grandi occhi di smeraldo. Ed è così potente lamalìa un po' perversa di Marasià che riuscirebbe anchedove fece cilecca la moglie di Putifarre!

Acconciate così come madonne miracolose o comeveneri impudiche, secondo la trama del soggetto danza-to, cariche di collane, di vezzi, di bracciali, di anelli, dipendenti, il capo ornato di diademi alti cinquanta centi-metri, le ballerine reali deliziano con la virtuosità delleloro caviglie e coll'avvenenza dei loro corpi primaveriligli ozii del satrapo giallo, consolandolo del potere so-vrano perduto, come nei secoli della potenza cullavanole ambizioni degli autocrati.

Immagino che l'eccellente Re Sisovat debba dimenti-care senza sforzo la presenza a Pnom-Pen d'un Residen-te generale, quando nella tranquilla intimità della Reg-gia, senza cortigiani e senza mandarini, lontano dagliocchi rispettosamente severi del colonnello-governatore,in mezzo alle sue danzatrici, fra il fru-fru delle sete, lo

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centenaria, agli occhi dei profani i seni predilettidall'augusto figlio del Sole Eminente. L'oggetto in que-stione è una specie di custodia d'oro sulla quale ogni so-vrano della dinastia ha tenuto ad incastonare i più beirubini esistenti nel paese durante il suo regno. Oltre cen-to gemme di notevole grossezza sono ammucchiate suquesto straordinario gioiello. Durante le danze nel rifles-so dei doppieri il torso nudo di Marasià sembra cerchia-to di carboni accesi. Sulla lussuriosa magnificenza delsuo corpo appena velato da una garza trasparente non visono altri gioielli che questa fantastica corazza di rubinied i suoi grandi occhi di smeraldo. Ed è così potente lamalìa un po' perversa di Marasià che riuscirebbe anchedove fece cilecca la moglie di Putifarre!

Acconciate così come madonne miracolose o comeveneri impudiche, secondo la trama del soggetto danza-to, cariche di collane, di vezzi, di bracciali, di anelli, dipendenti, il capo ornato di diademi alti cinquanta centi-metri, le ballerine reali deliziano con la virtuosità delleloro caviglie e coll'avvenenza dei loro corpi primaveriligli ozii del satrapo giallo, consolandolo del potere so-vrano perduto, come nei secoli della potenza cullavanole ambizioni degli autocrati.

Immagino che l'eccellente Re Sisovat debba dimenti-care senza sforzo la presenza a Pnom-Pen d'un Residen-te generale, quando nella tranquilla intimità della Reg-gia, senza cortigiani e senza mandarini, lontano dagliocchi rispettosamente severi del colonnello-governatore,in mezzo alle sue danzatrici, fra il fru-fru delle sete, lo

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scintillìo delle gemme, assiste agli sponsali della bellez-za e dell'opulenza celebrati dall'Arte, e vede rivivere perla goia dei suoi occhi i bassorilievi del tempio d'Ang-kor-Vat!

Deve sentirsi certo più Re del povero Residente Ge-nerale che è alle prese col ministro delle Colonie, alledipendenze della Camera dei deputati e per riflessod'ogni grande elettore della Gironda che voglia interpel-lare il Governo sulle malefatte dei proconsoli della Re-pubblica.

Quando noi entriamo nel recinto delle danzatrici, èl'ora del riposo pomeridiano. Solo il turno di servizio è aPalazzo. Le altre sbrigano le loro piccole faccende. Nevediamo parecchie nei loro rispettivi giardinetti occupa-te ad inaffiare crisantemi e fiori di loto od a disegnare laterra secondo l'usanza cambogese con sassolini multico-lori ed ocre variopinte. Sotto le tuniche di seta i corpigiovanissimi flettono una snellezza felina allenatadall'esercizio. Gli occhi sorridono sui fiori, agli stranieriche passano, ma i visi restano seri e gravi come si con-viene a sacerdotesse che perpetuano un mito ed incarna-no una fede.

Molte fanno la loro toeletta, che è l'operazione piùlunga e più importante d'una ballerina cambogese. Ingi-nocchiate contro uno sgabellino dinanzi ad una spec-chiera, maneggiano con destrezza i complicati strumenticoi quali forgiano la loro maschera di bellezza: una ma-schera identica per tutte, calcata sul fac-simile immuta-

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scintillìo delle gemme, assiste agli sponsali della bellez-za e dell'opulenza celebrati dall'Arte, e vede rivivere perla goia dei suoi occhi i bassorilievi del tempio d'Ang-kor-Vat!

Deve sentirsi certo più Re del povero Residente Ge-nerale che è alle prese col ministro delle Colonie, alledipendenze della Camera dei deputati e per riflessod'ogni grande elettore della Gironda che voglia interpel-lare il Governo sulle malefatte dei proconsoli della Re-pubblica.

Quando noi entriamo nel recinto delle danzatrici, èl'ora del riposo pomeridiano. Solo il turno di servizio è aPalazzo. Le altre sbrigano le loro piccole faccende. Nevediamo parecchie nei loro rispettivi giardinetti occupa-te ad inaffiare crisantemi e fiori di loto od a disegnare laterra secondo l'usanza cambogese con sassolini multico-lori ed ocre variopinte. Sotto le tuniche di seta i corpigiovanissimi flettono una snellezza felina allenatadall'esercizio. Gli occhi sorridono sui fiori, agli stranieriche passano, ma i visi restano seri e gravi come si con-viene a sacerdotesse che perpetuano un mito ed incarna-no una fede.

Molte fanno la loro toeletta, che è l'operazione piùlunga e più importante d'una ballerina cambogese. Ingi-nocchiate contro uno sgabellino dinanzi ad una spec-chiera, maneggiano con destrezza i complicati strumenticoi quali forgiano la loro maschera di bellezza: una ma-schera identica per tutte, calcata sul fac-simile immuta-

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bile delle statue del tempio di Angkor. I secoli e la Rivo-luzione francese non hanno influito sul modello. Il bel-letto nasconde i rosa e le ambre della carne sotto unavernice uniforme che dà ai visi la lucentezza d'una por-cellana ed il pallore argentato della luna alta. I poeti delCamboge cantano le bellezze di maiolica che rassomi-gliano alla luna. E le ballerine obbediscono ai poeti.

Quando il bistro ha identificato il colore delle epider-midi, fatto eguale l'arco perfetto degli occhi, lo scarlattoacceso delle bocche, l'ombra fosca delle ciglia, le sacer-dotesse sono pronte per la loro funzione. Veramente pa-iono tante sorelle generate da una mostruosa matrice distatua, colle fronti sporgenti, le pettinature identiche, legrosse labbra sensuali aperte ad un fatuo sorriso d'oltremondo.

A forza d'imitare i gesti ieratici dei bassorilievi, i loromovimenti ne conservano la impronta. Sia che cammini-no, che muovano le braccia o pieghino il busto, dannol'impressione d'essere uscite allora allora dagli intaglidei templi. Hanno nei muscoli la rigidità obbligata dellepose statuarie. Un fascino bizzarro si sprigiona dai lorocorpi fragili e dai loro visi artificiali. Si comprendecome debbano sembrare alla popolazione esseri speciali,baciati da un misterioso soffio di divinità, fantasmidell'al di là, sconcertanti superstiti delle epoche morte.

Vecchie serventi che un tempo furono ballerine o fa-vorite reali, obbediscono ora devotamente ai capriccidelle giovani. Senza invidia e senza rimpianto. La loroanima primitiva, vissuta sempre appartata dal resto del

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bile delle statue del tempio di Angkor. I secoli e la Rivo-luzione francese non hanno influito sul modello. Il bel-letto nasconde i rosa e le ambre della carne sotto unavernice uniforme che dà ai visi la lucentezza d'una por-cellana ed il pallore argentato della luna alta. I poeti delCamboge cantano le bellezze di maiolica che rassomi-gliano alla luna. E le ballerine obbediscono ai poeti.

Quando il bistro ha identificato il colore delle epider-midi, fatto eguale l'arco perfetto degli occhi, lo scarlattoacceso delle bocche, l'ombra fosca delle ciglia, le sacer-dotesse sono pronte per la loro funzione. Veramente pa-iono tante sorelle generate da una mostruosa matrice distatua, colle fronti sporgenti, le pettinature identiche, legrosse labbra sensuali aperte ad un fatuo sorriso d'oltremondo.

A forza d'imitare i gesti ieratici dei bassorilievi, i loromovimenti ne conservano la impronta. Sia che cammini-no, che muovano le braccia o pieghino il busto, dannol'impressione d'essere uscite allora allora dagli intaglidei templi. Hanno nei muscoli la rigidità obbligata dellepose statuarie. Un fascino bizzarro si sprigiona dai lorocorpi fragili e dai loro visi artificiali. Si comprendecome debbano sembrare alla popolazione esseri speciali,baciati da un misterioso soffio di divinità, fantasmidell'al di là, sconcertanti superstiti delle epoche morte.

Vecchie serventi che un tempo furono ballerine o fa-vorite reali, obbediscono ora devotamente ai capriccidelle giovani. Senza invidia e senza rimpianto. La loroanima primitiva, vissuta sempre appartata dal resto del

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mondo nell'atmosfera artifiziosa della clausura, nonvede nelle nuove padrone che la continuazione di ciòche esse furono: una immagine, nient'altro che una im-magine di bellezza. Le vecchie adorano nelle giovani laloro grazia scomparsa. Sanno che anche per esse brevesarà la primavera e lungo l'autunno.

Alle sei – l'ora in cui il Re Sisovat lascia ogni giornoinfallibilmente i bonzi ed i ministri per ritirarsi in mezzoalle sue donne a masticare il betel – assistiamo ad unospettacolo di gala eseguito da due turni di servizio.

Durante quasi due ore, quaranta silfidi tropicali rica-mano nell'aria indorata dal sole morente tra i palmizi edi frangipane del giardino reale, una mirabile fantasia.Una vecchia sorvegliante che par fatta di terracotta e cheinalbera un incredibile parasole color ciliegia, è incari-cata di spiegarci via via la trama dell'episodio danzatonel quale rivive la storia complicatissima d'una certa pri-cipessa Tupsavanga che, dopo una lunga serie di peripe-zie, finisce per sposare il re dei giganti, certo Prea Mi-nurat, che è uno dei leggendari antenati della dinastia.

Una musica di xilofoni accompagna la vicenda. Avolte il ritmo sommesso e sempre eguale degli strumentifa pensare allo stropiccìo d'un immenso esercito in cam-mino e quasi rievoca la marcia delle generazioni scom-parse che si sono dilettate dei medesimi suoni e dellemedesime danze nel loro uniforme andare verso la mor-te; a volte invece i suonatori martellano furiosamente itasti estraendone una fuga pazza di rombi d'organo e di

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mondo nell'atmosfera artifiziosa della clausura, nonvede nelle nuove padrone che la continuazione di ciòche esse furono: una immagine, nient'altro che una im-magine di bellezza. Le vecchie adorano nelle giovani laloro grazia scomparsa. Sanno che anche per esse brevesarà la primavera e lungo l'autunno.

Alle sei – l'ora in cui il Re Sisovat lascia ogni giornoinfallibilmente i bonzi ed i ministri per ritirarsi in mezzoalle sue donne a masticare il betel – assistiamo ad unospettacolo di gala eseguito da due turni di servizio.

Durante quasi due ore, quaranta silfidi tropicali rica-mano nell'aria indorata dal sole morente tra i palmizi edi frangipane del giardino reale, una mirabile fantasia.Una vecchia sorvegliante che par fatta di terracotta e cheinalbera un incredibile parasole color ciliegia, è incari-cata di spiegarci via via la trama dell'episodio danzatonel quale rivive la storia complicatissima d'una certa pri-cipessa Tupsavanga che, dopo una lunga serie di peripe-zie, finisce per sposare il re dei giganti, certo Prea Mi-nurat, che è uno dei leggendari antenati della dinastia.

Una musica di xilofoni accompagna la vicenda. Avolte il ritmo sommesso e sempre eguale degli strumentifa pensare allo stropiccìo d'un immenso esercito in cam-mino e quasi rievoca la marcia delle generazioni scom-parse che si sono dilettate dei medesimi suoni e dellemedesime danze nel loro uniforme andare verso la mor-te; a volte invece i suonatori martellano furiosamente itasti estraendone una fuga pazza di rombi d'organo e di

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schianti di tuono, come la sfuriata d'un organista demen-te durante un cataclisma.

Sotto le mitre scintillanti ed i diademi a cupola bizan-tina, le sacerdotesse cariche d'oro e di gemme, racconta-no col linguaggio muto delle mani e delle caviglie, deitorsi e delle braccia, la vicenda avventurosa della princi-pessa Tupsavanga. A prima vista i corpi sedicenni, chepaiono ancora più acerbi per la gracilità della razza,hanno l'aria d'essere schiacciati dal peso dei vezzi e pa-ralizzati dalla rigidità dei tessuti ricamati, ma quando,docili ai segnali invisibili) si mettono leggiadramente inmoto, sembra che il giardino sia invaso da un nugolofantastico di sfarzose farfalle.

Sotto certe tuniche cartacee a forma di campana, legambe agilissime battono il tempo d'un concerto para-dossale che fa pensare alla frenesia dei carillons quandoimpazzano in cima alle pievi nei mattini di festa. A voltei movimenti sono compassati e meccanici, a volte inve-ce snodati e voluttuosi come stiracchiamenti di pantera.Certi scatti potenti delle reni sono come i balzi dei gia-guari nelle notti di caccia e d'amore; certi tremolii deiseni richiamano alla mente il brivido delizioso dellecampanule agitate dal vento; i contorcimenti dei torsigareggiano con l'inanellamento lascivo delle serpi;l'ondeggiar delle anche ha l'armoniosa maestà delleonde turgide di marea; quando con i capelli sciolti e lebraccia aperte turbinano vorticosamente su loro stesse,emettendo un trillo breve e selvaggio, lo spirito pensaistintivaniente allo scempio della bufera in un roseto...

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schianti di tuono, come la sfuriata d'un organista demen-te durante un cataclisma.

Sotto le mitre scintillanti ed i diademi a cupola bizan-tina, le sacerdotesse cariche d'oro e di gemme, racconta-no col linguaggio muto delle mani e delle caviglie, deitorsi e delle braccia, la vicenda avventurosa della princi-pessa Tupsavanga. A prima vista i corpi sedicenni, chepaiono ancora più acerbi per la gracilità della razza,hanno l'aria d'essere schiacciati dal peso dei vezzi e pa-ralizzati dalla rigidità dei tessuti ricamati, ma quando,docili ai segnali invisibili) si mettono leggiadramente inmoto, sembra che il giardino sia invaso da un nugolofantastico di sfarzose farfalle.

Sotto certe tuniche cartacee a forma di campana, legambe agilissime battono il tempo d'un concerto para-dossale che fa pensare alla frenesia dei carillons quandoimpazzano in cima alle pievi nei mattini di festa. A voltei movimenti sono compassati e meccanici, a volte inve-ce snodati e voluttuosi come stiracchiamenti di pantera.Certi scatti potenti delle reni sono come i balzi dei gia-guari nelle notti di caccia e d'amore; certi tremolii deiseni richiamano alla mente il brivido delizioso dellecampanule agitate dal vento; i contorcimenti dei torsigareggiano con l'inanellamento lascivo delle serpi;l'ondeggiar delle anche ha l'armoniosa maestà delleonde turgide di marea; quando con i capelli sciolti e lebraccia aperte turbinano vorticosamente su loro stesse,emettendo un trillo breve e selvaggio, lo spirito pensaistintivaniente allo scempio della bufera in un roseto...

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Creature nate per la danza, che non sanno fare altro,per le quali tutta l'esistenza non è che un solo passo diballo, accoppiano ad una virtuosità senza confronti, unaeleganza stilizzata dal buon gusto raffinato dei secoli. Etale è la perfezione dell'insieme, che la stessa nudità fi-nisce per perdere ogni effetto sui sensi. L'opulenza me-desima delle vesti e dei monili diventa un elemento se-condario. Restano dei gesti, meno ancora, un semplicemovimento di armonie, un nulla sublime fatto di tantiniente meravigliosi.....

Le carni e le gemme sono dominate da un fluido mi-stico e religioso.

Quando si son viste le ballerine reali, si comprende iltempio di Angkor-Vat, si capiscono i tetti bizzarri, glioggetti stranissimi, le linee eccentriche dell'edilizia«kmèr».

La mole fantastica dell'Angkor-Vat non è altro che unpasso di danza pietrificato dall'entusiasmo di diverse ge-nerazioni di artisti. Il tempio ha fissato nei suoi millegraniti le fugaci creazioni di bellezza delle danzatrici:queste fanno rivivere ogni giorno per la gioia del Re edel popolo i bassorilievi millenari del Tempio.

Il mausoleo di sasso scolpito e le figurazioni plastichedella carne sacerdotale, formano in realtà un altare uni-co, sul quale la razza adora il fascino eterno della donna,illuminato dal desiderio e spiritualizzato dall'amore.

E più non sembrano incomprensibili i tetti obliqui esbilenchi campati in aria sugli steli inverosimili, le cu-pole schiacciate e come proiettate nel vuoto, gli archi di

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Creature nate per la danza, che non sanno fare altro,per le quali tutta l'esistenza non è che un solo passo diballo, accoppiano ad una virtuosità senza confronti, unaeleganza stilizzata dal buon gusto raffinato dei secoli. Etale è la perfezione dell'insieme, che la stessa nudità fi-nisce per perdere ogni effetto sui sensi. L'opulenza me-desima delle vesti e dei monili diventa un elemento se-condario. Restano dei gesti, meno ancora, un semplicemovimento di armonie, un nulla sublime fatto di tantiniente meravigliosi.....

Le carni e le gemme sono dominate da un fluido mi-stico e religioso.

Quando si son viste le ballerine reali, si comprende iltempio di Angkor-Vat, si capiscono i tetti bizzarri, glioggetti stranissimi, le linee eccentriche dell'edilizia«kmèr».

La mole fantastica dell'Angkor-Vat non è altro che unpasso di danza pietrificato dall'entusiasmo di diverse ge-nerazioni di artisti. Il tempio ha fissato nei suoi millegraniti le fugaci creazioni di bellezza delle danzatrici:queste fanno rivivere ogni giorno per la gioia del Re edel popolo i bassorilievi millenari del Tempio.

Il mausoleo di sasso scolpito e le figurazioni plastichedella carne sacerdotale, formano in realtà un altare uni-co, sul quale la razza adora il fascino eterno della donna,illuminato dal desiderio e spiritualizzato dall'amore.

E più non sembrano incomprensibili i tetti obliqui esbilenchi campati in aria sugli steli inverosimili, le cu-pole schiacciate e come proiettate nel vuoto, gli archi di

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traverso, i cornicioni a zig-zag, le finestre irregolari, leporte smorfiose, le code di serpente e le proboscidi dielefante che si contorcono fuori di tutte le tettoie, le vol-te storte, i ponti ondulati, le torri fatte di campane in vo-lata.

Architetti e scultori si sono ispirati agli svolazzi degliscialli, ai guizzi dei veli, ai giuochi delle collane, aglisquilibri delle caviglie inarcate, ai contorcimenti deicorpi giovani e delle reni snodate, per sospendere nelcielo d'Angkor la fantastica frenesia d'una danza e coro-nare così la capitale col più bello dei suoi diademi.

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traverso, i cornicioni a zig-zag, le finestre irregolari, leporte smorfiose, le code di serpente e le proboscidi dielefante che si contorcono fuori di tutte le tettoie, le vol-te storte, i ponti ondulati, le torri fatte di campane in vo-lata.

Architetti e scultori si sono ispirati agli svolazzi degliscialli, ai guizzi dei veli, ai giuochi delle collane, aglisquilibri delle caviglie inarcate, ai contorcimenti deicorpi giovani e delle reni snodate, per sospendere nelcielo d'Angkor la fantastica frenesia d'una danza e coro-nare così la capitale col più bello dei suoi diademi.

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Piccole considerazioni spiacevoli

PNOM-PEN, 1 luglio.

Il destino m'è favorevole. Del resto luglio è statosempre per me un mese mascotte. Fino ad ieri sera pare-va che da Pnom-Pen dovessimo ritornare a Saigon e lìimbarcarci su un piroscafo qualsiasi a destinazione diHaifong. Avremmo cioè seguito l'itinerario tradizionaledei sacchi di riso che dal Camboge vanno al Tonkino.Almeno i piroscafi avessero la grazia di costeggiare lacosta bellissima dell'Annam! Ma che! Conosco il siste-ma. Appena fuori del fiume le navi presentano irriveren-temente la poppa alle terre imperiali del Sole-Mattino etagliano pel mare di Cina verso le foci del Fiume Rosso.

Ma ieri è giunta finalmente da Saigon l'autorizzazionedel governo coloniale di risalire il Mekong in scialuppaa vapore fino a Bassac sulla frontiera del Laos, attraver-sare quindi in automobile il Tahoi semi selvaggio, rag-giungere per le vecchie strade mandarine Hué capitaledell'Annam, di lì proseguire sempre in automobile perVinh, dove un tronco ferroviario ci permetterà di rag-giungere rapidamente Hanoi, capitale del Tonkino.

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Piccole considerazioni spiacevoli

PNOM-PEN, 1 luglio.

Il destino m'è favorevole. Del resto luglio è statosempre per me un mese mascotte. Fino ad ieri sera pare-va che da Pnom-Pen dovessimo ritornare a Saigon e lìimbarcarci su un piroscafo qualsiasi a destinazione diHaifong. Avremmo cioè seguito l'itinerario tradizionaledei sacchi di riso che dal Camboge vanno al Tonkino.Almeno i piroscafi avessero la grazia di costeggiare lacosta bellissima dell'Annam! Ma che! Conosco il siste-ma. Appena fuori del fiume le navi presentano irriveren-temente la poppa alle terre imperiali del Sole-Mattino etagliano pel mare di Cina verso le foci del Fiume Rosso.

Ma ieri è giunta finalmente da Saigon l'autorizzazionedel governo coloniale di risalire il Mekong in scialuppaa vapore fino a Bassac sulla frontiera del Laos, attraver-sare quindi in automobile il Tahoi semi selvaggio, rag-giungere per le vecchie strade mandarine Hué capitaledell'Annam, di lì proseguire sempre in automobile perVinh, dove un tronco ferroviario ci permetterà di rag-giungere rapidamente Hanoi, capitale del Tonkino.

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Il Laos è certo una delle regioni più interessantidell'Indocina, la meno conosciuta e la più pittoresca.Benché la zona più selvaggia sia quella dell'antico regnodi Luang-Prabang sui confini della Birmania, anche ilTahoi e tutta la vasta pianura dei principati laoziani of-frono al viaggiatore le potenti attrattive di una terra qua-si primitiva, abitata da gente fiera e selvatica che è as-soggettata agli europei solo pro forma, con qua e là levestigia paradossali di antichissime civiltà scomparseche fanno contrasto all'attuale semi barbarie.

Per la letteratura ufficiale il Laos è la regione più ar-retrata dell'Indocina e ci vorranno parecchi lustri primadi educare i sauvages des hauts plateaux alla famigliareconvivenza coi bianchi. Per molti viaggiatori invece ilLaos, con le sue tribù bellicose e robuste, è il grandeserbatoio umano dell'Indocina, dal quale al momentovoluto scaturiranno le forze etniche necessarie per ma-scolinizzare le genti frolli ed effeminate del basso Me-kong.

Finora solo qualche scrittore francese ha avuto la for-tuna di poter visitare minutamente le steppe del Laos enessun giornalista italiano, che io sappia, ha messo ipiedi nel famoso deserto di gesso del Se-La-Uong.

Dico «giornalista» perchè sarebbe azzardato dire al-trimenti, dato il formidabile spirito avventuroso dei no-stri connazionali che sovente senza pubblicità e magarisenza che nessuno lo sappia, si spingono superbamentein cerca di lavoro o di fortuna dove non passa nessuno.Un dì arriva ad una vecchietta di Canicattì o di Cotrone

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Il Laos è certo una delle regioni più interessantidell'Indocina, la meno conosciuta e la più pittoresca.Benché la zona più selvaggia sia quella dell'antico regnodi Luang-Prabang sui confini della Birmania, anche ilTahoi e tutta la vasta pianura dei principati laoziani of-frono al viaggiatore le potenti attrattive di una terra qua-si primitiva, abitata da gente fiera e selvatica che è as-soggettata agli europei solo pro forma, con qua e là levestigia paradossali di antichissime civiltà scomparseche fanno contrasto all'attuale semi barbarie.

Per la letteratura ufficiale il Laos è la regione più ar-retrata dell'Indocina e ci vorranno parecchi lustri primadi educare i sauvages des hauts plateaux alla famigliareconvivenza coi bianchi. Per molti viaggiatori invece ilLaos, con le sue tribù bellicose e robuste, è il grandeserbatoio umano dell'Indocina, dal quale al momentovoluto scaturiranno le forze etniche necessarie per ma-scolinizzare le genti frolli ed effeminate del basso Me-kong.

Finora solo qualche scrittore francese ha avuto la for-tuna di poter visitare minutamente le steppe del Laos enessun giornalista italiano, che io sappia, ha messo ipiedi nel famoso deserto di gesso del Se-La-Uong.

Dico «giornalista» perchè sarebbe azzardato dire al-trimenti, dato il formidabile spirito avventuroso dei no-stri connazionali che sovente senza pubblicità e magarisenza che nessuno lo sappia, si spingono superbamentein cerca di lavoro o di fortuna dove non passa nessuno.Un dì arriva ad una vecchietta di Canicattì o di Cotrone

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una lettera con tanti francobolli e timbri d'oltre mare,nella quale il figlio annunzia d'aver trovato lavoro peresempio sull'altipiano di Pu-hac. Il parroco ed il segreta-rio comunale interrogati da una comare sull'ubicazionedi Pu-hac rispondono: «In Cina!».

Cina sovente è sinonimo di lontano assai.Pel segretario comunale Pu-hac è come Scianghai:

ma a Scianghai ci s'arriva in piroscafo di lusso e si scen-de al Palace, mentre i due italiani di cui un sottotenentefrancese mi segnala la presenza nel Pu-hac non si sacome siano arrivati laggiù. Pare che si tratti di due cer-catori d'oro – il mestiere dei mestieri – e la loro presen-za nel terribile altipiano, celebre per la leggenda degliIddii rossi, è stata segnalata dai missionari del Kam-Keut al posto di guardia 77 della linea di frontiera.

E siccome io ho azzardato la proposta di fare anchenoi una punta verso Pu-hac mi sono sentito risponderedalle autorità costituite del presidente Doumergue e delre Sisovat: «C'est absolument defendu!»

Già, noi siamo quasi una Missione internazionale allaquale s'interessano diverse Banche ed anche qualche go-verno, mentre quei due magnifici italiani non debbonorendere conto della loro eroica pellaccia che a Dio edalla vecchietta di Cotrone.

Tengo a precisare che salvo incidenti il nostro raidautomobilistico non ha nulla di straordinario: solo il bre-ve tratto fra la frontiera del Laos e quella dell'Annam –quattrocento chilometri in tutto – ha qualche precedente

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una lettera con tanti francobolli e timbri d'oltre mare,nella quale il figlio annunzia d'aver trovato lavoro peresempio sull'altipiano di Pu-hac. Il parroco ed il segreta-rio comunale interrogati da una comare sull'ubicazionedi Pu-hac rispondono: «In Cina!».

Cina sovente è sinonimo di lontano assai.Pel segretario comunale Pu-hac è come Scianghai:

ma a Scianghai ci s'arriva in piroscafo di lusso e si scen-de al Palace, mentre i due italiani di cui un sottotenentefrancese mi segnala la presenza nel Pu-hac non si sacome siano arrivati laggiù. Pare che si tratti di due cer-catori d'oro – il mestiere dei mestieri – e la loro presen-za nel terribile altipiano, celebre per la leggenda degliIddii rossi, è stata segnalata dai missionari del Kam-Keut al posto di guardia 77 della linea di frontiera.

E siccome io ho azzardato la proposta di fare anchenoi una punta verso Pu-hac mi sono sentito risponderedalle autorità costituite del presidente Doumergue e delre Sisovat: «C'est absolument defendu!»

Già, noi siamo quasi una Missione internazionale allaquale s'interessano diverse Banche ed anche qualche go-verno, mentre quei due magnifici italiani non debbonorendere conto della loro eroica pellaccia che a Dio edalla vecchietta di Cotrone.

Tengo a precisare che salvo incidenti il nostro raidautomobilistico non ha nulla di straordinario: solo il bre-ve tratto fra la frontiera del Laos e quella dell'Annam –quattrocento chilometri in tutto – ha qualche precedente

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di... gente partita e non arrivata. Ma son vecchie storie,nientemeno del 1918!

L'ultima giornata di permanenza a Pnom-Pen la dedi-co al bighellonaggio, un metodo non brevettato, ma as-sai istruttivo, per rendersi conto d'una città sconosciuta edei suoi abitanti, dopo avere scrupolosamente visitatotutte le meraviglie indicate nelle guide e le curiosità piùo meno curiose suggerite dagli albergatori. Novantanovevolte su cento è il bighellonaggio che salva la spesa delviaggio.

Bighellonare (consultare il Dizionario della Crusca)nel vocabolario dei globe-trotter's significa allontanarsidall'albergo senza una meta stabilita e senza precisare aicompagni di viaggio l'ora ed il giorno del ritorno; pren-dere la prima strada ed andarsene lemme lemme, guar-dando i negozi ed osservando la gente; poi quando s'èstanchi dei magazzini e del via vai, pedinare un tizioqualsiasi fino al domicilio, oppure, se il tizio in questio-ne si ferma a tutte le bettole, girare sistematicamenteogni traversa che si trova alla sinistra, mangiare quandos'ha fame dove ci si trova, sostare a bere dove capita emagari a dormire. Se si finisce col perdere il nord rivol-gersi al primo poliziotto, il quale s'incaricherà di far per-dere completamente tutte le direzioni: essere pronto atutto, anche ad un amore fatale, ad un pranzo catastrofi-co, ad uno scambio di pugni, all'incontro d'un creditorelasciato a Palermo, a rivedere un amico che si credevamorto od a dare il naso giusto nel portone dell'albergoche s'è lasciato mezz'ora prima!

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di... gente partita e non arrivata. Ma son vecchie storie,nientemeno del 1918!

L'ultima giornata di permanenza a Pnom-Pen la dedi-co al bighellonaggio, un metodo non brevettato, ma as-sai istruttivo, per rendersi conto d'una città sconosciuta edei suoi abitanti, dopo avere scrupolosamente visitatotutte le meraviglie indicate nelle guide e le curiosità piùo meno curiose suggerite dagli albergatori. Novantanovevolte su cento è il bighellonaggio che salva la spesa delviaggio.

Bighellonare (consultare il Dizionario della Crusca)nel vocabolario dei globe-trotter's significa allontanarsidall'albergo senza una meta stabilita e senza precisare aicompagni di viaggio l'ora ed il giorno del ritorno; pren-dere la prima strada ed andarsene lemme lemme, guar-dando i negozi ed osservando la gente; poi quando s'èstanchi dei magazzini e del via vai, pedinare un tizioqualsiasi fino al domicilio, oppure, se il tizio in questio-ne si ferma a tutte le bettole, girare sistematicamenteogni traversa che si trova alla sinistra, mangiare quandos'ha fame dove ci si trova, sostare a bere dove capita emagari a dormire. Se si finisce col perdere il nord rivol-gersi al primo poliziotto, il quale s'incaricherà di far per-dere completamente tutte le direzioni: essere pronto atutto, anche ad un amore fatale, ad un pranzo catastrofi-co, ad uno scambio di pugni, all'incontro d'un creditorelasciato a Palermo, a rivedere un amico che si credevamorto od a dare il naso giusto nel portone dell'albergoche s'è lasciato mezz'ora prima!

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Bighellonando si finisce coll'imparare tante cose e colpensare a tante altre che altrimenti non avrebbero modod'annunziarsi.

Io, per esempio, in tanti giorni che sono a Pnom-Pen,anzi in Indocina, non m'ero mai interessato prima d'oggiad un aspetto simpaticissimo dell'Estremo Oriente: unacosa da nulla, banale, stupida forse, ma che da una partecaratterizza il momento storico e dall'altra offre lo spun-to a tutto un tema filosofico. Ne ho avuto la prima per-cezione oggi bighellonando nella «strada delle stovi-glie» e la rivelazione definitiva, sempre bighellonando,nel «vicolo delle scarpe».

A proposito segnalo ai benemeriti assessori dei nostrimunicipi il senso pratico dei loro colleghi gialli, i qualibattezzano le strade secondo le merci che vi si vendonoin prevalenza: strada delle pantofole, vicolo dei venta-gli, piazza del buon mangiare, crocicchio delle banane,scorciatoia delle figlie gioiose, traversa degli strozzini....Pensate all'economia di tempo, di scarpe, d'annuarii, diguide, d'uffici d'informazioni, che comporta quest'armo-nia distributiva, oltre ai vantaggi della concorrenza di-retta sui prezzi dei generi. Quanto al chilo? Tre lire. No,due e sessanta o passo dal vicino!

Dunque, tornando a bomba, io ho scoperto che, nono-stante il parere contrario di tanti sommi filosofi, sommiorientalisti e sommi periti od esperti, come si dice ora,di politica intercontinentale, l'Estremo Oriente e l'Estre-mo Occidente possono andare perfettamente d'accordo,anzi che la fusione del vecchio mondo europeo con

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Bighellonando si finisce coll'imparare tante cose e colpensare a tante altre che altrimenti non avrebbero modod'annunziarsi.

Io, per esempio, in tanti giorni che sono a Pnom-Pen,anzi in Indocina, non m'ero mai interessato prima d'oggiad un aspetto simpaticissimo dell'Estremo Oriente: unacosa da nulla, banale, stupida forse, ma che da una partecaratterizza il momento storico e dall'altra offre lo spun-to a tutto un tema filosofico. Ne ho avuto la prima per-cezione oggi bighellonando nella «strada delle stovi-glie» e la rivelazione definitiva, sempre bighellonando,nel «vicolo delle scarpe».

A proposito segnalo ai benemeriti assessori dei nostrimunicipi il senso pratico dei loro colleghi gialli, i qualibattezzano le strade secondo le merci che vi si vendonoin prevalenza: strada delle pantofole, vicolo dei venta-gli, piazza del buon mangiare, crocicchio delle banane,scorciatoia delle figlie gioiose, traversa degli strozzini....Pensate all'economia di tempo, di scarpe, d'annuarii, diguide, d'uffici d'informazioni, che comporta quest'armo-nia distributiva, oltre ai vantaggi della concorrenza di-retta sui prezzi dei generi. Quanto al chilo? Tre lire. No,due e sessanta o passo dal vicino!

Dunque, tornando a bomba, io ho scoperto che, nono-stante il parere contrario di tanti sommi filosofi, sommiorientalisti e sommi periti od esperti, come si dice ora,di politica intercontinentale, l'Estremo Oriente e l'Estre-mo Occidente possono andare perfettamente d'accordo,anzi che la fusione del vecchio mondo europeo con

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Page 367: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

l'arcistravecchio mondo giallo è già in processo avanza-to d'osmosi.

In questo momento di tensione dichiarata fra il Po-nente e l'Estremo Levante, mentre tutti parlano della«conflagrazione del Pacifico» come se si trattasse d'unascampagnata fuori porta, d'antagonismo irriducibile frala civiltà volitiva e meccanica dell'Occidente e la civiltàcontemplativa e spirituale dell'Estremo Oriente, io hoconstatato che questi due antipodi politici e filosofici fi-lano il perfetto amore sui... bancherelli dei rivenditoricambogesi.

Il fenomeno si verifica del resto anche in Europa. In-fatti in barba al «pericolo giallo» il quale anche durantela guerra faceva storcere il muso a tutti i presidenti diConsiglio – Lloyd George compreso – quando si tratta-va di ricevere in Europa un contingente nipponico, lapenetrazione dell'Estremo Oriente in Europa procede apassi da gigante: dopo il tè e le sue tazze, l'oppio e lesue pipe, l'Estremo Oriente ha sferrato una serie di for-tunate offensive contro la muraglia occidentale, l'ultimadelle quali in ordine di tempo è la vittoriosa invasionedel mak-jong. La penetrazione gialla non ha rispettatoneppure il santuario della famiglia occidentale ed haprepotentemente violato coi «pigiama» e coi «kimono»le stesse alcove coniugali, arrivando cioè fino alle radiciintime della razza.

All'Occidente che credeva di aver lasciato indietro nelsaper vivere la vecchia Cina almeno di mille anni, laCina ha dimostrato praticamente il contrario mandando

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l'arcistravecchio mondo giallo è già in processo avanza-to d'osmosi.

In questo momento di tensione dichiarata fra il Po-nente e l'Estremo Levante, mentre tutti parlano della«conflagrazione del Pacifico» come se si trattasse d'unascampagnata fuori porta, d'antagonismo irriducibile frala civiltà volitiva e meccanica dell'Occidente e la civiltàcontemplativa e spirituale dell'Estremo Oriente, io hoconstatato che questi due antipodi politici e filosofici fi-lano il perfetto amore sui... bancherelli dei rivenditoricambogesi.

Il fenomeno si verifica del resto anche in Europa. In-fatti in barba al «pericolo giallo» il quale anche durantela guerra faceva storcere il muso a tutti i presidenti diConsiglio – Lloyd George compreso – quando si tratta-va di ricevere in Europa un contingente nipponico, lapenetrazione dell'Estremo Oriente in Europa procede apassi da gigante: dopo il tè e le sue tazze, l'oppio e lesue pipe, l'Estremo Oriente ha sferrato una serie di for-tunate offensive contro la muraglia occidentale, l'ultimadelle quali in ordine di tempo è la vittoriosa invasionedel mak-jong. La penetrazione gialla non ha rispettatoneppure il santuario della famiglia occidentale ed haprepotentemente violato coi «pigiama» e coi «kimono»le stesse alcove coniugali, arrivando cioè fino alle radiciintime della razza.

All'Occidente che credeva di aver lasciato indietro nelsaper vivere la vecchia Cina almeno di mille anni, laCina ha dimostrato praticamente il contrario mandando

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in Europa ed in America i suoi pedicure e manicure adinsegnare ai barbari occidentali l'a b c del comfort, cioècome si puliscono le unghie, come s'estragga il cerumedagli orecchi e come ci si liberi dai calli. Nessun dottoorientalista potrà contestare questa situazione.... di fatto.

Nei salotti, nei saloni, fin'anche negli austeri Palazzidi Governo e nei sacri Musei Nazionali, l'EstremoOriente ha sparpagliato i suoi vasi, i suoi avorii, i suoiparaventi, i suoi disegni, i suoi tessuti, i suoi Buddha, isuoi fiori artificiali, i suoi cani pekinesi, i suoi gatti sia-mesi, i suoi stuzzicadenti brevettati, ecc. ecc.

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ANGKOR – Uno degli ingressi monumentali.

in Europa ed in America i suoi pedicure e manicure adinsegnare ai barbari occidentali l'a b c del comfort, cioècome si puliscono le unghie, come s'estragga il cerumedagli orecchi e come ci si liberi dai calli. Nessun dottoorientalista potrà contestare questa situazione.... di fatto.

Nei salotti, nei saloni, fin'anche negli austeri Palazzidi Governo e nei sacri Musei Nazionali, l'EstremoOriente ha sparpagliato i suoi vasi, i suoi avorii, i suoiparaventi, i suoi disegni, i suoi tessuti, i suoi Buddha, isuoi fiori artificiali, i suoi cani pekinesi, i suoi gatti sia-mesi, i suoi stuzzicadenti brevettati, ecc. ecc.

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ANGKOR – Uno degli ingressi monumentali.

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Nelle case e nelle strade di Pnom-Pen ho sott'occhi ilfenomeno inverso, cioè l'irresistibile invasione dei modidi vita europei che penetrano brutalmente in tutte le abi-tazioni gialle e che talvolta violano sotto forma di speci-fici o d'altro i più intimi segreti della carne cambogese.

Ebbene, d'una cosa così semplice ed interessante, tan-to stupida quanto profonda, non mi sono accorto cheoggi bighellonando pei quartieri indigeni della capitaledel Camboge!

Ho letto tante superbe descrizioni di questi paesid'oltre mare, fatte da scrittori celebri, o da colleghi dibuona volontà, in cammino verso la celebrità, e rara-mente m'è capitato di veder menzionata per esempio lapresenza d'una spiritiera Primus in una cucina annamita,d'un becco a petrolio made in Cecoslovacchia sulla lam-pada degli antenati, d'una scatola di fiammiferi svedesiin tasca ad un mandarino, d'un banale sapone fenicatonella borsetta d'una levatrice tonkinese, d'un brutale ca-vatappi sulla tavola d'un nazionalista cinese.

Ora il cavatappi è un prodotto spiccatamente occiden-tale, che evoca immediatamente lo stupro villano d'unaintimità ermeticamente sigillata, l'ebbrezza chiassosad'una turba di beoni, la faccia congestionata d'un Gar-gantua rimpinzato di salumi e di vino... Eppure il cava-tappi s'è imposto trionfalmente ai gialli raffinati, filoso-fi, astemii, fumatori d'oppio, ed a nessun nazionalista ci-nese, nemmeno se stipendiato dal compagno Karakan,

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Nelle case e nelle strade di Pnom-Pen ho sott'occhi ilfenomeno inverso, cioè l'irresistibile invasione dei modidi vita europei che penetrano brutalmente in tutte le abi-tazioni gialle e che talvolta violano sotto forma di speci-fici o d'altro i più intimi segreti della carne cambogese.

Ebbene, d'una cosa così semplice ed interessante, tan-to stupida quanto profonda, non mi sono accorto cheoggi bighellonando pei quartieri indigeni della capitaledel Camboge!

Ho letto tante superbe descrizioni di questi paesid'oltre mare, fatte da scrittori celebri, o da colleghi dibuona volontà, in cammino verso la celebrità, e rara-mente m'è capitato di veder menzionata per esempio lapresenza d'una spiritiera Primus in una cucina annamita,d'un becco a petrolio made in Cecoslovacchia sulla lam-pada degli antenati, d'una scatola di fiammiferi svedesiin tasca ad un mandarino, d'un banale sapone fenicatonella borsetta d'una levatrice tonkinese, d'un brutale ca-vatappi sulla tavola d'un nazionalista cinese.

Ora il cavatappi è un prodotto spiccatamente occiden-tale, che evoca immediatamente lo stupro villano d'unaintimità ermeticamente sigillata, l'ebbrezza chiassosad'una turba di beoni, la faccia congestionata d'un Gar-gantua rimpinzato di salumi e di vino... Eppure il cava-tappi s'è imposto trionfalmente ai gialli raffinati, filoso-fi, astemii, fumatori d'oppio, ed a nessun nazionalista ci-nese, nemmeno se stipendiato dal compagno Karakan,

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viene in mente di boicottare il cavatappi, simbolo dellabarbarie e dell'intemperanza occidentale!

Un mio amico armeno che vede chiaro nelle faccendedella Cina meridionale, forse perchè è interamente di-giuno di politica, mi faceva osservare ieri l'altro che i ri-voluzionari cinesi boicottano precisamente tutte quellemerci europee che incominciano ad essere fabbricate inCina e che nel febbraio la dichiarazione di boicottaggiocontro i prodotti britannici coincise con l'arrivo a Can-ton di diversi piroscafi nordamericani carichi delle me-desime merci.

Ricordo che a Saigon ho assistito ad una corsa di ca-valli in un ippodromo che era fratello gemello dei Pario-li di Roma: tribune chiare, pesage con la palizzata, pistagrigia, praterelli verdi ben rasati, book-makers, jokeysannamiti, biglietti d'ingresso visibili all'occhiello. APnom-Pen il bighellonaggio m'ha condotto dinanzi adun impeccabile tennis-ground nel quale giovani cambo-gesi in flanella, rivali di Morpurgo, e belle damedell'Annam giuocavano a palla con le racchette d'Inghil-terra. Chiesto ad un poliziotto indigeno di che si trattas-se, m'ha risposto: te-nìs. E pronunziato in quel modo pa-reva veramente un rito millenario di mandarini. In tutti icapoluoghi dell'Indocina, accanto ai santuari di Confu-cio ed alle pagode dei Genii, ho visto i templi del Foot-ball e del Rugby frequentati da una folla fanatica. Otta-vio Bottecchia ci metterebbe poco a diventare uno deitanti generalissimi della Cina rivoluzionaria. Tutte le

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viene in mente di boicottare il cavatappi, simbolo dellabarbarie e dell'intemperanza occidentale!

Un mio amico armeno che vede chiaro nelle faccendedella Cina meridionale, forse perchè è interamente di-giuno di politica, mi faceva osservare ieri l'altro che i ri-voluzionari cinesi boicottano precisamente tutte quellemerci europee che incominciano ad essere fabbricate inCina e che nel febbraio la dichiarazione di boicottaggiocontro i prodotti britannici coincise con l'arrivo a Can-ton di diversi piroscafi nordamericani carichi delle me-desime merci.

Ricordo che a Saigon ho assistito ad una corsa di ca-valli in un ippodromo che era fratello gemello dei Pario-li di Roma: tribune chiare, pesage con la palizzata, pistagrigia, praterelli verdi ben rasati, book-makers, jokeysannamiti, biglietti d'ingresso visibili all'occhiello. APnom-Pen il bighellonaggio m'ha condotto dinanzi adun impeccabile tennis-ground nel quale giovani cambo-gesi in flanella, rivali di Morpurgo, e belle damedell'Annam giuocavano a palla con le racchette d'Inghil-terra. Chiesto ad un poliziotto indigeno di che si trattas-se, m'ha risposto: te-nìs. E pronunziato in quel modo pa-reva veramente un rito millenario di mandarini. In tutti icapoluoghi dell'Indocina, accanto ai santuari di Confu-cio ed alle pagode dei Genii, ho visto i templi del Foot-ball e del Rugby frequentati da una folla fanatica. Otta-vio Bottecchia ci metterebbe poco a diventare uno deitanti generalissimi della Cina rivoluzionaria. Tutte le

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Page 371: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

strade del Camboge sono percorse da velocipedi con osenza parasole.

Provate a comprare in un chiosco qualsiasi cinquegiornali, annamiti, cambogesi, cinesi o tonkinesi chesiano, e fatevi tradurre i misteriosi disegnetti dei titoli:riconoscerete i medesimi nominativi della lontana Euro-pa: Il Popolo del Camboge, il Corriere di Saigon, la Tri-buna dell'Annam, il Mattino, L'Opinione, l'Imparziale, ilPiccolo Giornale della Cocincina, con sotto al titolotanto di qualifica «organo liberale», «portavoce dellaopinione democratica», «fonografo del Proletariato»,ecc. ecc.

Nel quartiere industriale di Pnom-Pen, che sembra unformicaio pullulante ed incomprensibile d'umanità gial-la, uno di quegli irruenti flussi umani che bastano dasoli a giustificare il «pericolo giallo», a guardare benedentro le corti e le botteghe ho riconosciuto una fabbricameccanica di mobili in pitchpine Luigi XIV, una fabbri-ca di birra, un'altra di carrozzeria per automobili, una digazose e d'acqua di seltz, perfino un laboratorio ortope-dico destinato ai mutilati della grande guerra. Infatti sul-le casse pronte a partire c'era scritto da una parte «Fragi-le» e dall'altra «Marsiglia».

Sono quindi obbligato a constatare che il vero Estre-mo Oriente letterario e tradizionalmente antieuropeo,esiste solamente nelle zone semichiuse dell'interno,dove i bianchi son pochissimi e quei pochi se non sonoamati, non sono neppure odiati ed in ogni modo eserci-tano tuttora un certo ascendente. Viceversa lungo le co-

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strade del Camboge sono percorse da velocipedi con osenza parasole.

Provate a comprare in un chiosco qualsiasi cinquegiornali, annamiti, cambogesi, cinesi o tonkinesi chesiano, e fatevi tradurre i misteriosi disegnetti dei titoli:riconoscerete i medesimi nominativi della lontana Euro-pa: Il Popolo del Camboge, il Corriere di Saigon, la Tri-buna dell'Annam, il Mattino, L'Opinione, l'Imparziale, ilPiccolo Giornale della Cocincina, con sotto al titolotanto di qualifica «organo liberale», «portavoce dellaopinione democratica», «fonografo del Proletariato»,ecc. ecc.

Nel quartiere industriale di Pnom-Pen, che sembra unformicaio pullulante ed incomprensibile d'umanità gial-la, uno di quegli irruenti flussi umani che bastano dasoli a giustificare il «pericolo giallo», a guardare benedentro le corti e le botteghe ho riconosciuto una fabbricameccanica di mobili in pitchpine Luigi XIV, una fabbri-ca di birra, un'altra di carrozzeria per automobili, una digazose e d'acqua di seltz, perfino un laboratorio ortope-dico destinato ai mutilati della grande guerra. Infatti sul-le casse pronte a partire c'era scritto da una parte «Fragi-le» e dall'altra «Marsiglia».

Sono quindi obbligato a constatare che il vero Estre-mo Oriente letterario e tradizionalmente antieuropeo,esiste solamente nelle zone semichiuse dell'interno,dove i bianchi son pochissimi e quei pochi se non sonoamati, non sono neppure odiati ed in ogni modo eserci-tano tuttora un certo ascendente. Viceversa lungo le co-

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ste e nei paesi già famigliarizzati coi bianchi, dove ilsimbolico cavatappi è diventato un oggetto d'uso comu-ne, il vecchio Estremo Oriente è scomparso dalla circo-lazione insieme al rispetto ed alla stima per gli europei.

A Pnom-Pen, per esempio, – ed il caso vale per Ha-noi, Saigon, Scianghai e compagnia bella – il vecchioEstremo Oriente bisogna andarlo a scovare nell'ombramistica delle pagode e nel silenzioso raccoglimento deipalazzi imperiali in rovina. Lo si può trovare anche inuna strada qualsiasi dei quartieri indigeni purché siaguardata in blocco badando più ai colori che ai partico-lari. Guai a bighellonare però, cioè a ficcare il naso trop-po curiosamente dietro i paraventi di lacca. Ci s'accorgeche l'Europa ha invaso ormai coi suoi prodotti, colle sueabitudini, coi suoi modi di vivere, con le sue frasi fatte,tutto l'Estremo Oriente millenario. Fra moglie e maritonon mettere il dito, dice un proverbio, ma l'Europa l'hamesso anche lì! È giuocoforza constatare che la donnaannamita addomesticata dalla civiltà occidentale scim-miotta maledettamente la suffragette, che il bagarino ci-nese è fratello carnale del succhione europeo, che i con-siglieri comunali di Cholon s'ispirano alle gesta dei lorocolleghi politici di Montecitorio, della Scupcina e dellaCamera dei Comuni, che i mandarini non sono più ivecchi letterati in tunica di seta che un tempo si faceva-no portare in palanchino dinanzi alle tombe degli ante-nati, ma sono i finanzieri e gli industriali che volano inautomobile alle Banche ed alle Compagnie di Assicura-

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ste e nei paesi già famigliarizzati coi bianchi, dove ilsimbolico cavatappi è diventato un oggetto d'uso comu-ne, il vecchio Estremo Oriente è scomparso dalla circo-lazione insieme al rispetto ed alla stima per gli europei.

A Pnom-Pen, per esempio, – ed il caso vale per Ha-noi, Saigon, Scianghai e compagnia bella – il vecchioEstremo Oriente bisogna andarlo a scovare nell'ombramistica delle pagode e nel silenzioso raccoglimento deipalazzi imperiali in rovina. Lo si può trovare anche inuna strada qualsiasi dei quartieri indigeni purché siaguardata in blocco badando più ai colori che ai partico-lari. Guai a bighellonare però, cioè a ficcare il naso trop-po curiosamente dietro i paraventi di lacca. Ci s'accorgeche l'Europa ha invaso ormai coi suoi prodotti, colle sueabitudini, coi suoi modi di vivere, con le sue frasi fatte,tutto l'Estremo Oriente millenario. Fra moglie e maritonon mettere il dito, dice un proverbio, ma l'Europa l'hamesso anche lì! È giuocoforza constatare che la donnaannamita addomesticata dalla civiltà occidentale scim-miotta maledettamente la suffragette, che il bagarino ci-nese è fratello carnale del succhione europeo, che i con-siglieri comunali di Cholon s'ispirano alle gesta dei lorocolleghi politici di Montecitorio, della Scupcina e dellaCamera dei Comuni, che i mandarini non sono più ivecchi letterati in tunica di seta che un tempo si faceva-no portare in palanchino dinanzi alle tombe degli ante-nati, ma sono i finanzieri e gli industriali che volano inautomobile alle Banche ed alle Compagnie di Assicura-

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zione per redigere telegrammi urgenti al ritmo brutaled'un ventilatore elettrico.

Ed allora? Dov'è l'irriducibile contrasto fra Oriente edOccidente che sospinge fatalmente i popoli ed i governiall'inevitabile conflagrazione del Pacifico?

Già si va in ferrovia alla Porta di Cina: si percorronoin barche a vapore i canali secolari: accanto ad una pa-goda si vedono le trattrici agricole sconvolgere la terra:in pieno Battambang un cinematografo vi presentaCharlie Chaplin: su una strada del Laos, quando imma-ginate di veder sbucare da un momento all'altro una tor-ma di eleganti selvaggi, vedete passare l'autocorriera.

Pnom-Pen m'offre uno spettacolo originalissimo, pie-no di osservazioni politiche e di considerazioni filosofi-che; Buddha e la bicicletta, l'Altare degli antenati caricodi offerte e il fonografo che strimpella la Madelon, la fu-meria d'oppio ed il bar americano, la festa del Dragoneed il Gran Prix dell'ippodromo di Tao-lè, il palanchino ela Fiat, il ventaglio di seta e la penna stilografica, ilmandarino e l'indigeno laureato in elettrotecnica, il codi-ce di Lao-tzè ed i diritti dell'uomo, l'insalata di crisante-mi e l'oster-coktail, la tradizione millenaria ed il bolsce-vismo di Lenin, le società segrete dell'Yogat-karia che siperdono nella notte dei tempi per la tutela delle gerar-chie e le «cellule segrete» organizzate dai luogotenentidi Karakan per la fabbrica a serie del proletariato uni-versale...

E non me n'ero mai accorto? Forse che sì, forse cheno, ma non vi avevo mai dato importanza, perchè finora

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zione per redigere telegrammi urgenti al ritmo brutaled'un ventilatore elettrico.

Ed allora? Dov'è l'irriducibile contrasto fra Oriente edOccidente che sospinge fatalmente i popoli ed i governiall'inevitabile conflagrazione del Pacifico?

Già si va in ferrovia alla Porta di Cina: si percorronoin barche a vapore i canali secolari: accanto ad una pa-goda si vedono le trattrici agricole sconvolgere la terra:in pieno Battambang un cinematografo vi presentaCharlie Chaplin: su una strada del Laos, quando imma-ginate di veder sbucare da un momento all'altro una tor-ma di eleganti selvaggi, vedete passare l'autocorriera.

Pnom-Pen m'offre uno spettacolo originalissimo, pie-no di osservazioni politiche e di considerazioni filosofi-che; Buddha e la bicicletta, l'Altare degli antenati caricodi offerte e il fonografo che strimpella la Madelon, la fu-meria d'oppio ed il bar americano, la festa del Dragoneed il Gran Prix dell'ippodromo di Tao-lè, il palanchino ela Fiat, il ventaglio di seta e la penna stilografica, ilmandarino e l'indigeno laureato in elettrotecnica, il codi-ce di Lao-tzè ed i diritti dell'uomo, l'insalata di crisante-mi e l'oster-coktail, la tradizione millenaria ed il bolsce-vismo di Lenin, le società segrete dell'Yogat-karia che siperdono nella notte dei tempi per la tutela delle gerar-chie e le «cellule segrete» organizzate dai luogotenentidi Karakan per la fabbrica a serie del proletariato uni-versale...

E non me n'ero mai accorto? Forse che sì, forse cheno, ma non vi avevo mai dato importanza, perchè finora

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non ero mai stato perseguitato come in questi giorni, intutti i luoghi, dal mattino alla sera, dal rombo spavento-so della «conflagrazione inevitabile».

Non m'ha forse detto stamane un bravo cambogeseche guadagna fior di piastre coll'importazione di un pro-dotto italiano: – Aut, aut; o voi, o noi; non v'è posto perentrambi.

Parlava con la massima serietà del mondo il piccolouomo giallo, fiero della sua tunica nazionalista di setanera, quasi che la sua scrivania, la sua penna, le suemacchine da scrivere, l'apparecchio telefonico, i fasci ditelegrammi, i lumi elettrici, il tempera lapis, perfino ilsuo sigaro avana non affermassero precisamente il con-trario.

Mi veniva voglia di domandargli se il «contrasto irre-ducibile» sia proprio fra le due civiltà o fra gli uominiche pretendono di rappresentarle? Ma ne ho fatto ameno, perchè come tanti altri anche il mio amico cam-bogese m'avrebbe risposto con qualche frase fatta diquel grande spirito asiatico che è Vaillant-Couturier,leader milionario dei comunisti francesi, amico svisce-rato tanto del sultano comunista Abd el Krim quanto delgenerale comunista Fen Yang.

Seduto nel pomeriggio ad un piccolo caffè indigenoho guardato la strada che è sempre piena di insegnamen-ti. Ho visto passare bei cinesi tondi e panciuti dentropiccole 5 HP col tassametro; ho visto un cambogese ar-mato d'una lunga asta dirigersi sul crepuscolo a passocadenzato verso una nicchia nella quale sorrideva il fac-

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non ero mai stato perseguitato come in questi giorni, intutti i luoghi, dal mattino alla sera, dal rombo spavento-so della «conflagrazione inevitabile».

Non m'ha forse detto stamane un bravo cambogeseche guadagna fior di piastre coll'importazione di un pro-dotto italiano: – Aut, aut; o voi, o noi; non v'è posto perentrambi.

Parlava con la massima serietà del mondo il piccolouomo giallo, fiero della sua tunica nazionalista di setanera, quasi che la sua scrivania, la sua penna, le suemacchine da scrivere, l'apparecchio telefonico, i fasci ditelegrammi, i lumi elettrici, il tempera lapis, perfino ilsuo sigaro avana non affermassero precisamente il con-trario.

Mi veniva voglia di domandargli se il «contrasto irre-ducibile» sia proprio fra le due civiltà o fra gli uominiche pretendono di rappresentarle? Ma ne ho fatto ameno, perchè come tanti altri anche il mio amico cam-bogese m'avrebbe risposto con qualche frase fatta diquel grande spirito asiatico che è Vaillant-Couturier,leader milionario dei comunisti francesi, amico svisce-rato tanto del sultano comunista Abd el Krim quanto delgenerale comunista Fen Yang.

Seduto nel pomeriggio ad un piccolo caffè indigenoho guardato la strada che è sempre piena di insegnamen-ti. Ho visto passare bei cinesi tondi e panciuti dentropiccole 5 HP col tassametro; ho visto un cambogese ar-mato d'una lunga asta dirigersi sul crepuscolo a passocadenzato verso una nicchia nella quale sorrideva il fac-

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Page 375: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

cione di un grasso Buddha, inchinarsi come per eseguireun rito ed accendere sul cranio rasato del Maestro unlampione a gas; ho visto un ragazzetto spennellare mi-steriosamente qua e là i muri d'una pagoda e poco dopoapparire dei bei striscioni di carta con tanto di «Défensed'afficher». Di fronte a me un cinematografo apriva echiudeva l'occhio multicolore della sua reclame lumino-sa; un autobus a sei ruote, guidato da un indigeno e zep-po d'indigeni, s'è fermato diverse volte a pochi metri dalmio tavolo: nel vano d'una finestra ho seguito lunga-mente l'alterna vicenda d'un bel piedino cinesissimo ed'un pedale Singer.

Un negozio di bric-à-brac ha poi attirato la mia atten-zione. Nella luce delle vetrine ardevano pallidamentel'oro dei vasi cinesi ed il blu carico dei recipienti anna-miti, ma guardando bene ho anche riconosciuto la lam-pada a petrolio che usava la buon'anima di mia mamma,le sveglie a 9,50 dei nostri comodini, un coltello a serra-manico che sentiva lontano un miglio di Benevento, unrasoio di sicurezza che non doveva essere noto a Confu-cio, certi berrettoni di lana alla ciclista che non sono unatradizione celeste, ma che si vedono in capo a tutti glioperai indigeni della Cina e dell'Indocina, una collezio-ne di porta ritratti e perfino una serie di oleografie fra lequali ho riconosciuto la barba del Presidente Fallières edil duetto di Jago e Desdemona. E tutta questa roba èd'uso e consumo indigeno. Nessuno certo dei trecento-sessantasei europei di Pnom-Pen viene a rifornirsi di si-mili porcherie nel cuore del quartiere cambogese.

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cione di un grasso Buddha, inchinarsi come per eseguireun rito ed accendere sul cranio rasato del Maestro unlampione a gas; ho visto un ragazzetto spennellare mi-steriosamente qua e là i muri d'una pagoda e poco dopoapparire dei bei striscioni di carta con tanto di «Défensed'afficher». Di fronte a me un cinematografo apriva echiudeva l'occhio multicolore della sua reclame lumino-sa; un autobus a sei ruote, guidato da un indigeno e zep-po d'indigeni, s'è fermato diverse volte a pochi metri dalmio tavolo: nel vano d'una finestra ho seguito lunga-mente l'alterna vicenda d'un bel piedino cinesissimo ed'un pedale Singer.

Un negozio di bric-à-brac ha poi attirato la mia atten-zione. Nella luce delle vetrine ardevano pallidamentel'oro dei vasi cinesi ed il blu carico dei recipienti anna-miti, ma guardando bene ho anche riconosciuto la lam-pada a petrolio che usava la buon'anima di mia mamma,le sveglie a 9,50 dei nostri comodini, un coltello a serra-manico che sentiva lontano un miglio di Benevento, unrasoio di sicurezza che non doveva essere noto a Confu-cio, certi berrettoni di lana alla ciclista che non sono unatradizione celeste, ma che si vedono in capo a tutti glioperai indigeni della Cina e dell'Indocina, una collezio-ne di porta ritratti e perfino una serie di oleografie fra lequali ho riconosciuto la barba del Presidente Fallières edil duetto di Jago e Desdemona. E tutta questa roba èd'uso e consumo indigeno. Nessuno certo dei trecento-sessantasei europei di Pnom-Pen viene a rifornirsi di si-mili porcherie nel cuore del quartiere cambogese.

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E allora viene spontanea alla mente la riflessione chese a Pnom-Pen capitale del Camboge, poche centinaia difrancesi amministrano tranquillamente un vasto paese;se i cambogesi adoperano correntemente i nostri mezzidi trasporto e le nostre sveglie a 9,50, se si dilettano altennis, alle corse di cavalli ed al cinematografo, se siservono dei nostri telegrafi, telefoni e ventilatori, se re-digono giornali press'a poco come i nostri, adoperandole medesime formule politiche, citando i medesimi «im-mortali principii» e ripetendo quasi parola per parola gliordini del giorno degli allogeni atesini, se s'abituano amaneggiare la forchetta, a sciacquarsi i denti con un an-tisettico, a giuocare in Borsa, a guadagnare sull'aggio-taggio ed a radersi col Gillette, la pretesa irriducibilitàfra le due forme di civiltà è smentita dalla pratica spic-ciola della vita.

Viene anzi ad essere provato perfettamente il contra-rio. I gialli assorbono rapidamente e facilmente tutte lepiccole e grandi conquiste della civiltà occidentale,adattandole senza sforzo alla loro mentalità caratteristi-ca ed alle loro abitudini millenarie. La collaborazionepacifica fra Occidente ed Estremo Oriente non solo èpossibile, ma è di fatto una realtà esistente, la qualeavrebbe potuto dare in breve tempo risultati d'incalcola-bile importanza, se...

Se?!Già, questo «se» è piuttosto difficile a precisare.Bisognerebbe spiattellare diverse verità senza eufemi-

smi; dire per esempio: se gli americani non facessero le

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E allora viene spontanea alla mente la riflessione chese a Pnom-Pen capitale del Camboge, poche centinaia difrancesi amministrano tranquillamente un vasto paese;se i cambogesi adoperano correntemente i nostri mezzidi trasporto e le nostre sveglie a 9,50, se si dilettano altennis, alle corse di cavalli ed al cinematografo, se siservono dei nostri telegrafi, telefoni e ventilatori, se re-digono giornali press'a poco come i nostri, adoperandole medesime formule politiche, citando i medesimi «im-mortali principii» e ripetendo quasi parola per parola gliordini del giorno degli allogeni atesini, se s'abituano amaneggiare la forchetta, a sciacquarsi i denti con un an-tisettico, a giuocare in Borsa, a guadagnare sull'aggio-taggio ed a radersi col Gillette, la pretesa irriducibilitàfra le due forme di civiltà è smentita dalla pratica spic-ciola della vita.

Viene anzi ad essere provato perfettamente il contra-rio. I gialli assorbono rapidamente e facilmente tutte lepiccole e grandi conquiste della civiltà occidentale,adattandole senza sforzo alla loro mentalità caratteristi-ca ed alle loro abitudini millenarie. La collaborazionepacifica fra Occidente ed Estremo Oriente non solo èpossibile, ma è di fatto una realtà esistente, la qualeavrebbe potuto dare in breve tempo risultati d'incalcola-bile importanza, se...

Se?!Già, questo «se» è piuttosto difficile a precisare.Bisognerebbe spiattellare diverse verità senza eufemi-

smi; dire per esempio: se gli americani non facessero le

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corna agli inglesi; se i britannici non dessero lo sgam-betto ai cugini d'oltre oceano; se i russi di Mosca non fa-cessero dell'imperialismo ad oltranza; se americani fran-cesi ed inglesi lasciassero liberi anche gli altri popoli dicollaborare pacificamente alla valorizzazione economi-ca del continente asiatico, compresi fra questi popoli an-che l'italiano ed il giapponese; se i missionari protestantinon sparlassero come portinaie dei missionari cattolici;se i generali cinesi non trovassero dollari, sterline, rublied yen per pagare le loro soldatesche mercenarie; se esi-stesse una solidarietà europea; se gli Stati che hanno co-lonie avessero anche uomini sufficenti per colonizzarlesul serio; se i poveri coolye non fossero presi a calci nelsedere nelle strade di Saigon e di Honkong; se i comuni-sti di Parigi non telegrafassero ai rivoluzionari di Hanoi:«nous sommes avec vous»; se...

Ma ci vorrebbero almeno dodici colonne per elencaretutti i «se» che hanno pian piano determinato nell'interoEstremo Oriente una situazione catastrofica, la qualepuò essere riassunta così: Il bianco non è amato, nè te-muto, nè rispettato.

Tanto in Cina che in Indocina si verifica questo feno-meno curiosissimo: di mano in mano che i gialli adotta-no il telefono, il telegrafo, l'automobile, il motore ascoppio, l'anello di Pacinotti, i sieri batteriologici, i me-todi industriali ed i perfezionamenti scientifici degli eu-ropei, credono di non avere più nulla da imparare da noie ci considerano come limoni spremuti da buttare nellaspazzatura.

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corna agli inglesi; se i britannici non dessero lo sgam-betto ai cugini d'oltre oceano; se i russi di Mosca non fa-cessero dell'imperialismo ad oltranza; se americani fran-cesi ed inglesi lasciassero liberi anche gli altri popoli dicollaborare pacificamente alla valorizzazione economi-ca del continente asiatico, compresi fra questi popoli an-che l'italiano ed il giapponese; se i missionari protestantinon sparlassero come portinaie dei missionari cattolici;se i generali cinesi non trovassero dollari, sterline, rublied yen per pagare le loro soldatesche mercenarie; se esi-stesse una solidarietà europea; se gli Stati che hanno co-lonie avessero anche uomini sufficenti per colonizzarlesul serio; se i poveri coolye non fossero presi a calci nelsedere nelle strade di Saigon e di Honkong; se i comuni-sti di Parigi non telegrafassero ai rivoluzionari di Hanoi:«nous sommes avec vous»; se...

Ma ci vorrebbero almeno dodici colonne per elencaretutti i «se» che hanno pian piano determinato nell'interoEstremo Oriente una situazione catastrofica, la qualepuò essere riassunta così: Il bianco non è amato, nè te-muto, nè rispettato.

Tanto in Cina che in Indocina si verifica questo feno-meno curiosissimo: di mano in mano che i gialli adotta-no il telefono, il telegrafo, l'automobile, il motore ascoppio, l'anello di Pacinotti, i sieri batteriologici, i me-todi industriali ed i perfezionamenti scientifici degli eu-ropei, credono di non avere più nulla da imparare da noie ci considerano come limoni spremuti da buttare nellaspazzatura.

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E se per caso qualcuno prende le difese della granderazza bianca che ha l'incontestabile primato delle suemeravigliose conquiste, i gialli, in perfetta buona fede ocon magnifica mala fede, tirano fuori tutti gli insulti chesono stampati dai francesi contro i boches e viceversa,dagli anglo-sassoni contro i latini, dai russi di Leninecontro la società occidentale, et similia! E vi dicono sulmuso – Vedete? Siete barbari, villani, vandali, iconocla-sti, ladri, prevaricatori, assassini, stupratori, pezzenti, in-fingardi, carne venduta, alcoolici, ubriaconi, sfruttatori...E sciorinano le pezze in appoggio, rappresentate da te-stimonianze europee, citazioni europee, documenti eu-ropei col timbro del Foreign Office, volumi europei ma-gari con la prefazione di Clemenceau, statistiche deipanni sporchi europei pubblicate in cinese dagli uffici dipropaganda di Leningrado o di San Francisco di Califor-nia...

L'Occidente raccoglie in Estremo Oriente ciò che haseminato. 1 gialli hanno imparato a conoscere gli inglesiattraverso la gelosia americana e gli americani attraver-so la diffidenza britannica, i francesi attraverso glistrafn tedeschi ed i tedeschi attraverso i pamphlets par-gini, e così di seguito.

Bisognerebbe che i grandi mestatori della politica edell'economia occidentale in Estremo Oriente bighello-nassero in po' nei quartieri indigeni di Pnom-Pen, di Sai-gon di Scianghai, di Canton, ecc., e constatassero i risul-tati della loro incredibile propaganda xenofoba, la qua-le, dopo aver minato la figura morale dell'Occidente sta

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E se per caso qualcuno prende le difese della granderazza bianca che ha l'incontestabile primato delle suemeravigliose conquiste, i gialli, in perfetta buona fede ocon magnifica mala fede, tirano fuori tutti gli insulti chesono stampati dai francesi contro i boches e viceversa,dagli anglo-sassoni contro i latini, dai russi di Leninecontro la società occidentale, et similia! E vi dicono sulmuso – Vedete? Siete barbari, villani, vandali, iconocla-sti, ladri, prevaricatori, assassini, stupratori, pezzenti, in-fingardi, carne venduta, alcoolici, ubriaconi, sfruttatori...E sciorinano le pezze in appoggio, rappresentate da te-stimonianze europee, citazioni europee, documenti eu-ropei col timbro del Foreign Office, volumi europei ma-gari con la prefazione di Clemenceau, statistiche deipanni sporchi europei pubblicate in cinese dagli uffici dipropaganda di Leningrado o di San Francisco di Califor-nia...

L'Occidente raccoglie in Estremo Oriente ciò che haseminato. 1 gialli hanno imparato a conoscere gli inglesiattraverso la gelosia americana e gli americani attraver-so la diffidenza britannica, i francesi attraverso glistrafn tedeschi ed i tedeschi attraverso i pamphlets par-gini, e così di seguito.

Bisognerebbe che i grandi mestatori della politica edell'economia occidentale in Estremo Oriente bighello-nassero in po' nei quartieri indigeni di Pnom-Pen, di Sai-gon di Scianghai, di Canton, ecc., e constatassero i risul-tati della loro incredibile propaganda xenofoba, la qua-le, dopo aver minato la figura morale dell'Occidente sta

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ora illustrando sadicamente ai gialli le deficienza orga-niche e le debolezze politiche di ciascuno dei grandipaesi occidentali!

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ora illustrando sadicamente ai gialli le deficienza orga-niche e le debolezze politiche di ciascuno dei grandipaesi occidentali!

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Le bianche steppe

PIANORO del TAHOI steppa di SARAVAN, 14 luglio

Arrivati in scialuppa a Bassac, anzi a Ban-Muong diBassac, località solitaria posta ai piedi di una montagnadi milleduecento metri, abbiamo lasciato i canali delMekong ed abbiamo incominciato ieri l'altro il nostroraid automobilistico Bassac-Hué.

La distanza fra la frontiera del Camboge e la capitaledell'Annam non è grande, trecentocinquanta chilometriscarsi a volo di uccello ma... senza strade! A cavallo sifarebbe forse più presto che in automobile, ma bisogne-rebbe portarsi dietro l'acqua ed i foraggi oltre ad un cer-to numero di portatori. Ora gli indigeni non vogliono sa-perne di attraversare il paese degli uomini rossi, nè icambogesi, nè i laoziani del fiume. Quanto agli uominidella montagna alta essi non servono mai un bianco.

Da Ban-Muong al Picco delle Tigri, v'è una straderel-la militare mantenuta in esercizio per i rifornimenti dicerti posti di polizia del Tahoi: dal Picco delle Tigri alfiume Se-La-Huong v'è una distesa di steppe e di forestedove, a detta dell'Amministrazione, le automobili posso-

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Le bianche steppe

PIANORO del TAHOI steppa di SARAVAN, 14 luglio

Arrivati in scialuppa a Bassac, anzi a Ban-Muong diBassac, località solitaria posta ai piedi di una montagnadi milleduecento metri, abbiamo lasciato i canali delMekong ed abbiamo incominciato ieri l'altro il nostroraid automobilistico Bassac-Hué.

La distanza fra la frontiera del Camboge e la capitaledell'Annam non è grande, trecentocinquanta chilometriscarsi a volo di uccello ma... senza strade! A cavallo sifarebbe forse più presto che in automobile, ma bisogne-rebbe portarsi dietro l'acqua ed i foraggi oltre ad un cer-to numero di portatori. Ora gli indigeni non vogliono sa-perne di attraversare il paese degli uomini rossi, nè icambogesi, nè i laoziani del fiume. Quanto agli uominidella montagna alta essi non servono mai un bianco.

Da Ban-Muong al Picco delle Tigri, v'è una straderel-la militare mantenuta in esercizio per i rifornimenti dicerti posti di polizia del Tahoi: dal Picco delle Tigri alfiume Se-La-Huong v'è una distesa di steppe e di forestedove, a detta dell'Amministrazione, le automobili posso-

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no passare purché sappiano imbroccare la giusta dire-zione: dopo il fiume incomincia la pianura di gesso delNam-kok, per la quale la stessa Amministrazione decli-na ogni responsabilità. Briganti, terreni friabili, cobra,pitoni, leggende paurose e precedenti tragici costituisco-no le attrattive della tappa. Una volta arrivati alle fron-tiere dell'Annam, l'Amministrazione imperiale riprendele automobili sotto la sua materna protezione ed offreloro per raggiungere Hué le vecchie strade «mandarine»della provincia di Thun-Then, sulle quali la trionfanteciviltà occidentale ha gettato qualche lastra d'asfalto.

Aggiungo che la traversata della «pianura di gesso»non è obbligatoria, anzi i convogli l'evitano regolarmen-te passando più a mezzogiorno, fra il monte Saravan edil monte Sutabali, o seguendo l'antica strada annamitache, con un lungo giro, sbocca ad Ai-Lao. Il nostro iti-nerario, oltre ad essere teoricamente più breve, ha ilvantaggio d'attraversare una regione pochissimo cono-sciuta, ricca di giacimenti minerari, specialmente di sta-gno, oro e piombo argentifero. Si tratta di ricchezze chepel momento non sono ancora sfruttate data la mancan-za di strade e la difficoltà quasi insormontabile di procu-rarsi la mano d'opera indigena. È inutile dire che senzala presenza di tali preziosi metalli e la diceria localedell'esistenza di grandi miniere di zaffiri, noi non sarem-mo nel Tahoi. Coloro che finanziano il nostro viaggioavrebbero avuto scrupolo d'arrischiare per niente la no-stra pelle e, soprattutto, le macchine, i copertoni, la ben-zina e la rilevante spesa di questo «raid» automobilistico

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no passare purché sappiano imbroccare la giusta dire-zione: dopo il fiume incomincia la pianura di gesso delNam-kok, per la quale la stessa Amministrazione decli-na ogni responsabilità. Briganti, terreni friabili, cobra,pitoni, leggende paurose e precedenti tragici costituisco-no le attrattive della tappa. Una volta arrivati alle fron-tiere dell'Annam, l'Amministrazione imperiale riprendele automobili sotto la sua materna protezione ed offreloro per raggiungere Hué le vecchie strade «mandarine»della provincia di Thun-Then, sulle quali la trionfanteciviltà occidentale ha gettato qualche lastra d'asfalto.

Aggiungo che la traversata della «pianura di gesso»non è obbligatoria, anzi i convogli l'evitano regolarmen-te passando più a mezzogiorno, fra il monte Saravan edil monte Sutabali, o seguendo l'antica strada annamitache, con un lungo giro, sbocca ad Ai-Lao. Il nostro iti-nerario, oltre ad essere teoricamente più breve, ha ilvantaggio d'attraversare una regione pochissimo cono-sciuta, ricca di giacimenti minerari, specialmente di sta-gno, oro e piombo argentifero. Si tratta di ricchezze chepel momento non sono ancora sfruttate data la mancan-za di strade e la difficoltà quasi insormontabile di procu-rarsi la mano d'opera indigena. È inutile dire che senzala presenza di tali preziosi metalli e la diceria localedell'esistenza di grandi miniere di zaffiri, noi non sarem-mo nel Tahoi. Coloro che finanziano il nostro viaggioavrebbero avuto scrupolo d'arrischiare per niente la no-stra pelle e, soprattutto, le macchine, i copertoni, la ben-zina e la rilevante spesa di questo «raid» automobilistico

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di nuovo genere in un paese senza strade. L'idea deglizaffiri ha messo i banchieri in fregola di generosità. Èprevisto anche l'abbandono delle automobili in mezzoalla steppa qualora fosse impossibile andare avanti e tor-nare indietro secondo i prognostici pessimisti del capoposto di Bassac.

Definita così la natura del «raid-lumaca» da Bassacad Hué, per coloro che amano le cose precise, dico subi-to agli altri che siamo... in piena foresta vergine! Ma èquesta veramente una foresta?

Una stradina sgattaiola in mezzo alla vegetazione tro-picale, larga giusto tanto da permettere alle automobilidi passare strofinando energicamente le foglie da unaparte e dall'altra e stroncando senza pietà i ramuncolipiù disinvolti. Guai ad incontrare un bufalo cocciuto chesi piantasse in mezzo alla strada com'è la buona abitudi-ne dei bufali dell'Annam! Bisognerebbe aspettare che lasmettesse o caricarlo a tutta velocità come una tank perrotolare insieme nella macchia.

Le tre automobili procedono a velocità ridottissima:primo, perchè i bisavoli laoziani si divertivano a fabbri-care le loro strade come serpentine, mandandole conti-nuamente da destra a sinistra e viceversa, senza un moti-vo, per semplice gusto di mattacchioni che non avevanofretta ed amavano le circomvoluzioni; secondo, perchèquesta... autostrada invece che d'asfalto è tappezzata diuno strato di foglie marcie e d'un altro di foglie secche.Il tappeto marcio cede sotto le ruote dei veicoli, quellosecco scricchiola e rimbalza. Si ha l'impressione simul-

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di nuovo genere in un paese senza strade. L'idea deglizaffiri ha messo i banchieri in fregola di generosità. Èprevisto anche l'abbandono delle automobili in mezzoalla steppa qualora fosse impossibile andare avanti e tor-nare indietro secondo i prognostici pessimisti del capoposto di Bassac.

Definita così la natura del «raid-lumaca» da Bassacad Hué, per coloro che amano le cose precise, dico subi-to agli altri che siamo... in piena foresta vergine! Ma èquesta veramente una foresta?

Una stradina sgattaiola in mezzo alla vegetazione tro-picale, larga giusto tanto da permettere alle automobilidi passare strofinando energicamente le foglie da unaparte e dall'altra e stroncando senza pietà i ramuncolipiù disinvolti. Guai ad incontrare un bufalo cocciuto chesi piantasse in mezzo alla strada com'è la buona abitudi-ne dei bufali dell'Annam! Bisognerebbe aspettare che lasmettesse o caricarlo a tutta velocità come una tank perrotolare insieme nella macchia.

Le tre automobili procedono a velocità ridottissima:primo, perchè i bisavoli laoziani si divertivano a fabbri-care le loro strade come serpentine, mandandole conti-nuamente da destra a sinistra e viceversa, senza un moti-vo, per semplice gusto di mattacchioni che non avevanofretta ed amavano le circomvoluzioni; secondo, perchèquesta... autostrada invece che d'asfalto è tappezzata diuno strato di foglie marcie e d'un altro di foglie secche.Il tappeto marcio cede sotto le ruote dei veicoli, quellosecco scricchiola e rimbalza. Si ha l'impressione simul-

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tanea di sprofondare e di saltellare. Il terreno scoppiettasotto i cerchioni come un fuoco di sarmenti. Si procedein mezzo ad un coro di starnuti e di proteste fra due pa-reti di foglie brontolanti. Certi proiettili vegetali, schiac-ciati dalle ruote anteriori trovano modo di rimbalzarecontro ogni regola d'elasticità proprio sul nostro naso osi divertono a dare un energico buffetto ai lobi degli oc-chi. Ogni tanto una foglia più vendicativa allunga unoschiaffo che lascia il segno od uno spuntone maligno ap-pioppa una gomitata. È divertente, ma non troppo!

Vi sono alberi biliosi tutti spine e bitorzoli che obbli-gano le macchine potenti a diventare tartarughe peramore dei poveri parafanghi. Una specie di cactus sel-vaggio, non contento di tanti riguardi, ha aspettato pro-prio il passaggio delle automobili per lasciar cadere di-versi suoi pomodori putrefatti, carichi di giallo d'uovo edi inchiostro indelebile.

Quando le liane pretendono sbarrarci il passo coi loronodi sapienti, i radiatori che hanno cattivo carattere si ri-bellano e con una strattonata distruggono in un secondoil paziente lavoro di settimane e settimane. Una grossafamiglia di funghi ci ha riservato la delizia d'uno scivo-lone di venti metri, terminato con un urto secco controla costola sporgente d'una roccia a fior di terra. Gli uo-mini hanno detto ahi! Ed i motori hanno fatto eco.....

Mentre il Laos superiore, interamente occupato dalleramificazioni della catena annamita, è tutto un caos dimontagne e di foreste vergini, con qua e là una piramide

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tanea di sprofondare e di saltellare. Il terreno scoppiettasotto i cerchioni come un fuoco di sarmenti. Si procedein mezzo ad un coro di starnuti e di proteste fra due pa-reti di foglie brontolanti. Certi proiettili vegetali, schiac-ciati dalle ruote anteriori trovano modo di rimbalzarecontro ogni regola d'elasticità proprio sul nostro naso osi divertono a dare un energico buffetto ai lobi degli oc-chi. Ogni tanto una foglia più vendicativa allunga unoschiaffo che lascia il segno od uno spuntone maligno ap-pioppa una gomitata. È divertente, ma non troppo!

Vi sono alberi biliosi tutti spine e bitorzoli che obbli-gano le macchine potenti a diventare tartarughe peramore dei poveri parafanghi. Una specie di cactus sel-vaggio, non contento di tanti riguardi, ha aspettato pro-prio il passaggio delle automobili per lasciar cadere di-versi suoi pomodori putrefatti, carichi di giallo d'uovo edi inchiostro indelebile.

Quando le liane pretendono sbarrarci il passo coi loronodi sapienti, i radiatori che hanno cattivo carattere si ri-bellano e con una strattonata distruggono in un secondoil paziente lavoro di settimane e settimane. Una grossafamiglia di funghi ci ha riservato la delizia d'uno scivo-lone di venti metri, terminato con un urto secco controla costola sporgente d'una roccia a fior di terra. Gli uo-mini hanno detto ahi! Ed i motori hanno fatto eco.....

Mentre il Laos superiore, interamente occupato dalleramificazioni della catena annamita, è tutto un caos dimontagne e di foreste vergini, con qua e là una piramide

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Page 384: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

di roccia brulla che s'erge quasi verticalmente sull'anfi-teatro, il Laos meridionale che stiamo attraversando èassai meno accidentato. Fra un rilievo e l'altro vi sonograndi spazi piani coltivati a risaie da agglomerazioni ditribù o coperti di boschi selvaggi. Dove, come nel me-dio Tahoi, l'inclinazione del suolo è sfavorevole alla ve-getazione, la foresta è continuamente interrotta da trististeppe di rovi od addirittura da distese sassose e deserte.Fra il quattordicesimo ed il diciottesimo parallelo ilLaos presenta l'aspetto caratteristico d'una scacchiera diselve e di deserti: foltissime le prime in tutta l'esuberan-za della produzione tropicale, desolati i secondi comeangoli del Sahara.

Durante l'intera mattinata avanziamo nella foresta inuno scenario da centro Africa: verso mezzogiorno ad untratto la selva muore, come inaridita da un misteriosoveleno del sottosuolo: gli alberi si raccorciano, i tronchisi contorcono fantasticamente in convulsioni d'agonia,le foglie s'accartocciano e ingialliscono, gli arbusti sicoprono di spine e di spuntoni. Bacche lanose si sfiocca-no al vento in mille bruscoli pungenti. Gibbosità nude disassi preannunziano la petraia. Grosse roccie scarne eferrigne balzano su dal tumulto della terra a galopparefra i rovi e gli sterpeti. Magri arbusti striminziti pic-chiettano l'uniformità improvvisa d'un deserto. Ognitanto il paesaggio s'imbianca e le macchine affondano inun tappeto di gesso, mentre la terra dilaniata mostra ilpallore cadaverico delle sue viscere d'argilla.

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di roccia brulla che s'erge quasi verticalmente sull'anfi-teatro, il Laos meridionale che stiamo attraversando èassai meno accidentato. Fra un rilievo e l'altro vi sonograndi spazi piani coltivati a risaie da agglomerazioni ditribù o coperti di boschi selvaggi. Dove, come nel me-dio Tahoi, l'inclinazione del suolo è sfavorevole alla ve-getazione, la foresta è continuamente interrotta da trististeppe di rovi od addirittura da distese sassose e deserte.Fra il quattordicesimo ed il diciottesimo parallelo ilLaos presenta l'aspetto caratteristico d'una scacchiera diselve e di deserti: foltissime le prime in tutta l'esuberan-za della produzione tropicale, desolati i secondi comeangoli del Sahara.

Durante l'intera mattinata avanziamo nella foresta inuno scenario da centro Africa: verso mezzogiorno ad untratto la selva muore, come inaridita da un misteriosoveleno del sottosuolo: gli alberi si raccorciano, i tronchisi contorcono fantasticamente in convulsioni d'agonia,le foglie s'accartocciano e ingialliscono, gli arbusti sicoprono di spine e di spuntoni. Bacche lanose si sfiocca-no al vento in mille bruscoli pungenti. Gibbosità nude disassi preannunziano la petraia. Grosse roccie scarne eferrigne balzano su dal tumulto della terra a galopparefra i rovi e gli sterpeti. Magri arbusti striminziti pic-chiettano l'uniformità improvvisa d'un deserto. Ognitanto il paesaggio s'imbianca e le macchine affondano inun tappeto di gesso, mentre la terra dilaniata mostra ilpallore cadaverico delle sue viscere d'argilla.

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Mille metri più lontano riappare la foresta, alta, fosca,formidabile. A volte dura per un'ora, a volte invece èuna semplice cortina fra due roveti. Il viaggiatore non saspiegarsi il bosco e non sa giustificare il deserto. Mentrel'occhio ammira la selvaggia bellezza di questi luoghiprimitivi che non rassomigliano a nessun altro, lo spiritosubisce quel vago timore che si sprigiona da tutte le ma-nifestazioni troppo bizzarre della Natura.

Il nostro geologo ci spiega che questa zona per la na-tura del suo sottosuolo, dovrebbe essere interamente de-serta, ma le grandi alluvioni del Mekong e dei suoi af-fluenti hanno sparpagliato qua e là nel corso dei millen-nii i limi fecondi della zona fluviale. Dove s'è ammassa-ta la terra fertilissima del Mekong il sole tropicale hafatto sbocciare la foresta vergine che s'è ingigantita nellaquiete indisturbata dei secoli; dove invece la roccia è ri-masta nuda, i calcari mostrano le loro scorze bucherella-te dalla erosione centenaria delle acque piovane.

Il suolo, sconvolto in epoche lontanissime da un cata-clisma tellurico che fece affiorare alla superficie le pro-fondità della terra, è tutto tagliuzzato da crepacci lividi,da anfratti argentati, da spacchi che lasciano trasparirelucentezze metalliche. Il gesso tritato dai venti incipria iroveti e fa incanutire gli alberi delle forre. Le argillesbavate dalle pioggie chiazzano di latte le roccie ed ilterriccio. Certe rupi fiammeggiano al sole come quarzi,altre d'un rosso ardente fanno pensare ai marmi opulentidelle cattedrali.

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Mille metri più lontano riappare la foresta, alta, fosca,formidabile. A volte dura per un'ora, a volte invece èuna semplice cortina fra due roveti. Il viaggiatore non saspiegarsi il bosco e non sa giustificare il deserto. Mentrel'occhio ammira la selvaggia bellezza di questi luoghiprimitivi che non rassomigliano a nessun altro, lo spiritosubisce quel vago timore che si sprigiona da tutte le ma-nifestazioni troppo bizzarre della Natura.

Il nostro geologo ci spiega che questa zona per la na-tura del suo sottosuolo, dovrebbe essere interamente de-serta, ma le grandi alluvioni del Mekong e dei suoi af-fluenti hanno sparpagliato qua e là nel corso dei millen-nii i limi fecondi della zona fluviale. Dove s'è ammassa-ta la terra fertilissima del Mekong il sole tropicale hafatto sbocciare la foresta vergine che s'è ingigantita nellaquiete indisturbata dei secoli; dove invece la roccia è ri-masta nuda, i calcari mostrano le loro scorze bucherella-te dalla erosione centenaria delle acque piovane.

Il suolo, sconvolto in epoche lontanissime da un cata-clisma tellurico che fece affiorare alla superficie le pro-fondità della terra, è tutto tagliuzzato da crepacci lividi,da anfratti argentati, da spacchi che lasciano trasparirelucentezze metalliche. Il gesso tritato dai venti incipria iroveti e fa incanutire gli alberi delle forre. Le argillesbavate dalle pioggie chiazzano di latte le roccie ed ilterriccio. Certe rupi fiammeggiano al sole come quarzi,altre d'un rosso ardente fanno pensare ai marmi opulentidelle cattedrali.

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Ogni tanto un fiore meraviglioso sfoggia tutta la ma-gnificenza del Tropico. Pare che i suoi petali siano ver-niciati con l'essenza dei metalli. Su lunghi steli duri eflessibili che tintinnano al vento come verghe di acciaio,il «fiore d'oro» erge fra le spine la sua inverosimile co-rolla di porpora.

In questo paesaggio da tregenda v'è una strada, trac-ciata chissà quando e chissà da chi. Le tribù della pianache se ne servono pei loro traffici la mantengono inesercizio, ma non è certo un'arteria automobilistica, ah,no! L'ingegnere Puricelli troverebbe qui il suo da fare.Un po' le nostre ruote slittano su velluti di foglie, un po'salticchiano su grattugie di sassi: si passa alternativa-mente dalla sensazione delle montagne russe a quelladegli ski, del mal di mare e della «panne» irrimediabile:certi scossoni secchi fanno l'effetto di pugni nello sto-maco; spesso bisogna scendere ed aiutare i veicoli a su-perare i mali passi. Il nostro «raid» si riduce in praticaad un servizio di facchinaggio, con piccoli esperimentidi massaggio interno per ippopotami.

Durante lunghi tratti il suolo è tutto vertebrato comeil dorso di un asino tubercoloso; in altri, invece, grandilastroni levigati s'alternano a spiazzi farinosi, nei qualile ruote s'affondano ed i motori si dichiarano vinti. So-vente un cespugliaccio di spine sbarra la strada e biso-gna raderlo con le accette per non chiedere a Pirelli unmiracolo.

Non so se le macchine giungeranno a destinazione edin che stato! Quanto alle nostre povere ossa esse si ri-

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Ogni tanto un fiore meraviglioso sfoggia tutta la ma-gnificenza del Tropico. Pare che i suoi petali siano ver-niciati con l'essenza dei metalli. Su lunghi steli duri eflessibili che tintinnano al vento come verghe di acciaio,il «fiore d'oro» erge fra le spine la sua inverosimile co-rolla di porpora.

In questo paesaggio da tregenda v'è una strada, trac-ciata chissà quando e chissà da chi. Le tribù della pianache se ne servono pei loro traffici la mantengono inesercizio, ma non è certo un'arteria automobilistica, ah,no! L'ingegnere Puricelli troverebbe qui il suo da fare.Un po' le nostre ruote slittano su velluti di foglie, un po'salticchiano su grattugie di sassi: si passa alternativa-mente dalla sensazione delle montagne russe a quelladegli ski, del mal di mare e della «panne» irrimediabile:certi scossoni secchi fanno l'effetto di pugni nello sto-maco; spesso bisogna scendere ed aiutare i veicoli a su-perare i mali passi. Il nostro «raid» si riduce in praticaad un servizio di facchinaggio, con piccoli esperimentidi massaggio interno per ippopotami.

Durante lunghi tratti il suolo è tutto vertebrato comeil dorso di un asino tubercoloso; in altri, invece, grandilastroni levigati s'alternano a spiazzi farinosi, nei qualile ruote s'affondano ed i motori si dichiarano vinti. So-vente un cespugliaccio di spine sbarra la strada e biso-gna raderlo con le accette per non chiedere a Pirelli unmiracolo.

Non so se le macchine giungeranno a destinazione edin che stato! Quanto alle nostre povere ossa esse si ri-

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corderanno per almeno quindici giorni delle strade im-periali del Tahoi.

Si passa successivamente dall'ombra umida della fo-resta al bruciante ardore della petraia. L'ombra è cupa,intensa, quasi fredda, come se tutt'all'intorno, per chilo-metri e chilometri, si stendesse l'ombrello formidabiled'un bosco selvaggio. La petraia è ardente, aspra, impla-cabile, come se un immenso deserto s'allargasse all'infi-nito.

Qua il fogliame è spezzato bruscamente da un im-provviso vomito di roccie, là una galoppata satanica dimacigni è troncata da un ciuffo di alberi giganti. Si hal'impressione d'un paese sconvolto poche ore prima dauna catastrofe. Sono migliaia d'anni che è così! Non unuccello nel cielo infiammato, non un animale nella mac-chia maledetta, ma una quantità incredibile di biscie, diramarri, di lucertole, di enormi ragni pelosi, di rettili in-visibili che fanno tremare misteriosamente gli arbusti.Fra sterpo e sterpo sono stese le tele interminabili dei ra-gni, alle quali la polvere di gesso dà l'aspetto di panieinsidiose messe lì per invischiare i violatori del Tahoi.

Non v'è differenza di temperatura fra la notte e ilgiorno: trentadue gradi al tocco, trenta alle ventiquattro.E siamo in luglio, cioè in un buon mese. La stagionepeggiore è da marzo a giugno, quando avere quaranta-cinque gradi all'ombra è la regola.

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corderanno per almeno quindici giorni delle strade im-periali del Tahoi.

Si passa successivamente dall'ombra umida della fo-resta al bruciante ardore della petraia. L'ombra è cupa,intensa, quasi fredda, come se tutt'all'intorno, per chilo-metri e chilometri, si stendesse l'ombrello formidabiled'un bosco selvaggio. La petraia è ardente, aspra, impla-cabile, come se un immenso deserto s'allargasse all'infi-nito.

Qua il fogliame è spezzato bruscamente da un im-provviso vomito di roccie, là una galoppata satanica dimacigni è troncata da un ciuffo di alberi giganti. Si hal'impressione d'un paese sconvolto poche ore prima dauna catastrofe. Sono migliaia d'anni che è così! Non unuccello nel cielo infiammato, non un animale nella mac-chia maledetta, ma una quantità incredibile di biscie, diramarri, di lucertole, di enormi ragni pelosi, di rettili in-visibili che fanno tremare misteriosamente gli arbusti.Fra sterpo e sterpo sono stese le tele interminabili dei ra-gni, alle quali la polvere di gesso dà l'aspetto di panieinsidiose messe lì per invischiare i violatori del Tahoi.

Non v'è differenza di temperatura fra la notte e ilgiorno: trentadue gradi al tocco, trenta alle ventiquattro.E siamo in luglio, cioè in un buon mese. La stagionepeggiore è da marzo a giugno, quando avere quaranta-cinque gradi all'ombra è la regola.

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ANGKOR – Ruderi.

ANGKOR – Ruderi monumentali semi sepolti dalla foresta.

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ANGKOR – Ruderi.

ANGKOR – Ruderi monumentali semi sepolti dalla foresta.

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L'asprezza del suolo e la severità del clima spieganola straordinaria rarità della popolazione del Laos: appe-na un milione di abitanti in trecentomila chilometri qua-drati, la superficie cioè dell'Italia. Le statistiche segnala-no circa trenta gruppi etnici diversi, ma in pratica posso-no essere riuniti in due grandi famiglie: i Thai di razzamongola ed i Kas di razza autoctona.

Questi ultimi che offrono un interesse speciale per lostudio delle genti asiatiche, presentano misteriose affini-tà con gli aborigeni delle isole del Pacifico. Secondo latradizione locale il Laos sarebbe la culla della razza au-toctona del Pacifico ed il tipo vi sarebbe rimasto purissi-mo, esente da qualsiasi mescolanza. Ancora oggi bastauna piccolissima fusione di sangue perchè una intierafamiglia sia radiata dalle tribù della montagna ed obbli-gata a scendere nelle valli. I Kas non hanno nè il tipomongolo nè quello indocinese. La loro epidermide colormattone ricorda le pelli rosse del Nord America. Robu-sti, alti, feroci, bellicosissimi, sprovvisti di qualsiasi or-ganizzazione amministrativa anche rudimentale, vivonopatriarcalmente obbedendo al più vecchio della tribù. Ledonne sterili diventano fattucchiere ed esercitano unaspecie di funzione direttiva sul resto degli abitanti.

La loro religione si riduce ad un vago culto dei Dra-ghi e dei Geni, nei quali adorano rispettivamente le for-ze malefiche e benefiche della natura. Le loro capannesono costruite su palafitte anche nei luoghi asciutti ed inmontagna. Unico lavoro agricolo la coltivazione delriso. Certe tribù vivono però esclusivamente di caccia e

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L'asprezza del suolo e la severità del clima spieganola straordinaria rarità della popolazione del Laos: appe-na un milione di abitanti in trecentomila chilometri qua-drati, la superficie cioè dell'Italia. Le statistiche segnala-no circa trenta gruppi etnici diversi, ma in pratica posso-no essere riuniti in due grandi famiglie: i Thai di razzamongola ed i Kas di razza autoctona.

Questi ultimi che offrono un interesse speciale per lostudio delle genti asiatiche, presentano misteriose affini-tà con gli aborigeni delle isole del Pacifico. Secondo latradizione locale il Laos sarebbe la culla della razza au-toctona del Pacifico ed il tipo vi sarebbe rimasto purissi-mo, esente da qualsiasi mescolanza. Ancora oggi bastauna piccolissima fusione di sangue perchè una intierafamiglia sia radiata dalle tribù della montagna ed obbli-gata a scendere nelle valli. I Kas non hanno nè il tipomongolo nè quello indocinese. La loro epidermide colormattone ricorda le pelli rosse del Nord America. Robu-sti, alti, feroci, bellicosissimi, sprovvisti di qualsiasi or-ganizzazione amministrativa anche rudimentale, vivonopatriarcalmente obbedendo al più vecchio della tribù. Ledonne sterili diventano fattucchiere ed esercitano unaspecie di funzione direttiva sul resto degli abitanti.

La loro religione si riduce ad un vago culto dei Dra-ghi e dei Geni, nei quali adorano rispettivamente le for-ze malefiche e benefiche della natura. Le loro capannesono costruite su palafitte anche nei luoghi asciutti ed inmontagna. Unico lavoro agricolo la coltivazione delriso. Certe tribù vivono però esclusivamente di caccia e

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di razzìe. La tribù dei Cedang, che abita l'altipiano di Si-done, non ha avuto finora nessun contatto nè con gli eu-ropei nè con i cinesi. I loro traffici sono sviluppati daimeticci di razza Kas ai quali è vietato come a qualunquealtro di sorpassare certi limiti della montagna.

In questi giorni abbiamo incontrato solamente tre Kasmeticci che raccoglievano in un valloncello la resina de-gli stik-lak selvaggi. Abbiamo offerto loro qualche donoper aggraziarceli, ma hanno rifiutato dichiarando che eraproibito.

— Proibito da chi?Hanno accennato vagamente con la mano qualcuno

che abita sulle montagne.— Perchè? Noi siamo vostri amici...— «Non mangiamo il vostro riso» — è stata la rispo-

sta enigmatica dei Kas.Nudi, con solo una striscia di lanetta intorno alle reni

ed una pezza sudicia al collo, il volto duro, ma non sgra-devole, i denti limati a fior di gengiva e laccati di nero,ci guardavano con diffidenza socchiudendo continua-mente un occhio. Quando hanno sentito lo scattodell'obbiettivo che li ha fotografati, sono scappati agambe levate e non li abbiamo rivisti più.

Accampiamo per la notte in un pianoro di gesso. I faridelle automobili illuminano la steppa e tengono in ri-spetto i rettili del vicino roveto. Dopo un tramonto rapi-do ed incolore, seguito da un crepuscolo velocissimo, ilcielo s'è ricamato d'oro per la magia della notte tropica-

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di razzìe. La tribù dei Cedang, che abita l'altipiano di Si-done, non ha avuto finora nessun contatto nè con gli eu-ropei nè con i cinesi. I loro traffici sono sviluppati daimeticci di razza Kas ai quali è vietato come a qualunquealtro di sorpassare certi limiti della montagna.

In questi giorni abbiamo incontrato solamente tre Kasmeticci che raccoglievano in un valloncello la resina de-gli stik-lak selvaggi. Abbiamo offerto loro qualche donoper aggraziarceli, ma hanno rifiutato dichiarando che eraproibito.

— Proibito da chi?Hanno accennato vagamente con la mano qualcuno

che abita sulle montagne.— Perchè? Noi siamo vostri amici...— «Non mangiamo il vostro riso» — è stata la rispo-

sta enigmatica dei Kas.Nudi, con solo una striscia di lanetta intorno alle reni

ed una pezza sudicia al collo, il volto duro, ma non sgra-devole, i denti limati a fior di gengiva e laccati di nero,ci guardavano con diffidenza socchiudendo continua-mente un occhio. Quando hanno sentito lo scattodell'obbiettivo che li ha fotografati, sono scappati agambe levate e non li abbiamo rivisti più.

Accampiamo per la notte in un pianoro di gesso. I faridelle automobili illuminano la steppa e tengono in ri-spetto i rettili del vicino roveto. Dopo un tramonto rapi-do ed incolore, seguito da un crepuscolo velocissimo, ilcielo s'è ricamato d'oro per la magia della notte tropica-

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le. Frequenti lampi squarciano le profondità cariche diardore.

Nell'ora stanca che chiude una giornata faticosa e pre-cede il riposo d'una notte troppo calda, il mio spirito su-bisce il fascino bizzarro della steppa laozina. Il chiarorefa uscire dall'ombra i Draghi ed i Geni adorati dalle tri-bù. Nel silenzio sovrano della notte sento il riso malva-gio dei rovi che litigano con le spine. Il vento dà al bri-vido dei cespugli il tintinnìo macabro degli scheletri ap-pesi nelle sale anatomiche quando sono mossi da unagomitata.

I soffi dello spazio giocano con le arene bianche dellapianura, le accarezzano, le sfarinano, le lasciano unistante immobili, poi ricominciano il loro lavoro eterno.

Verrebbe voglia di pensare al Sahara, al Sahara bian-co delle saline di Tuadeni, ma l'atmosfera del deserto èsecca, asciutta, purissima, mentre qui la vicinanza dellaforesta inumidisce l'afa della notte canicolare. Il respirodella pianura di Tahoi è cattivo. La putrescenza dei bo-schi circostanti satura l'aria di miasmi. Intorno ai fari ac-cesi turbinano a migliaia le zanzare e le falene micro-scopiche della steppa.

La luce elettrica è stranamente verde su la sabbiabianca, stranamente violetta sulle roccie lucenti.

Le tre automobili storpiate dall'inclinazione del terre-no sembrano piccole e ridicole in mezzo alla grandiositàdello scenario. Una carovana mista di cammelli e d'ele-fanti sarebbe più intonata all'ambiente. Vi è un contrastopotente fra le torpedo che evocano i rettilinei d'un cir-

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le. Frequenti lampi squarciano le profondità cariche diardore.

Nell'ora stanca che chiude una giornata faticosa e pre-cede il riposo d'una notte troppo calda, il mio spirito su-bisce il fascino bizzarro della steppa laozina. Il chiarorefa uscire dall'ombra i Draghi ed i Geni adorati dalle tri-bù. Nel silenzio sovrano della notte sento il riso malva-gio dei rovi che litigano con le spine. Il vento dà al bri-vido dei cespugli il tintinnìo macabro degli scheletri ap-pesi nelle sale anatomiche quando sono mossi da unagomitata.

I soffi dello spazio giocano con le arene bianche dellapianura, le accarezzano, le sfarinano, le lasciano unistante immobili, poi ricominciano il loro lavoro eterno.

Verrebbe voglia di pensare al Sahara, al Sahara bian-co delle saline di Tuadeni, ma l'atmosfera del deserto èsecca, asciutta, purissima, mentre qui la vicinanza dellaforesta inumidisce l'afa della notte canicolare. Il respirodella pianura di Tahoi è cattivo. La putrescenza dei bo-schi circostanti satura l'aria di miasmi. Intorno ai fari ac-cesi turbinano a migliaia le zanzare e le falene micro-scopiche della steppa.

La luce elettrica è stranamente verde su la sabbiabianca, stranamente violetta sulle roccie lucenti.

Le tre automobili storpiate dall'inclinazione del terre-no sembrano piccole e ridicole in mezzo alla grandiositàdello scenario. Una carovana mista di cammelli e d'ele-fanti sarebbe più intonata all'ambiente. Vi è un contrastopotente fra le torpedo che evocano i rettilinei d'un cir-

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cuito di velocità e questo deserto di farina punteggiatodi macchie e di macigni che fa istintivamente pensarealle epoche primitive del globo.

Le leggende dei Kas che popolano questi luoghi diDraghi e di spiriti mi sembrano meno inverosimili orache la bianca pianura illividita dalla luna ed ingigantitadal silenzio mi si mostra in tutta la sua grandiosità.

Laggiù, dove le montagne formano nella notte comeuna muraglia di pece, sono gli altipiani abitati dai Ce-dang, gli altipiani nei quali nessun bianco è ancora pe-netrato! Quelli che hanno osato sono morti! Le loromani imbalsamate sono state misteriosamente restituiteai compagni. I comandanti dei posti militari le hannotrovate una mattina sulla loro scrivania.

Quando si nominano le Montagne Rosse dei Cedang ipoveri Kas impallidiscono ed i loro occhi esprimono losgomento. Pare che ad ogni luna le donne sterili dellatribù dei Cedang, guidate dalle fattucchiere, si diriganoverso le montagne, sole, senza nessun uomo, dirette adun tempio favoloso che sorge nelle alte valli. E novemesi dopo il pellegrinaggio, salvo eccezioni rarissime,la nascita d'un figlio documenta la potenza delle divinitàdella montagna.

Le notizie che si hanno su questo tempio miracolososono quanto mai inverosimili, ma concordi. Le donnesterili sono chiuse ognuna in una cella in compagnia diuna statua rossa. Un beveraggio le addormenta. La sta-tua le feconda durante il sonno. Al mattino ripartono per

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cuito di velocità e questo deserto di farina punteggiatodi macchie e di macigni che fa istintivamente pensarealle epoche primitive del globo.

Le leggende dei Kas che popolano questi luoghi diDraghi e di spiriti mi sembrano meno inverosimili orache la bianca pianura illividita dalla luna ed ingigantitadal silenzio mi si mostra in tutta la sua grandiosità.

Laggiù, dove le montagne formano nella notte comeuna muraglia di pece, sono gli altipiani abitati dai Ce-dang, gli altipiani nei quali nessun bianco è ancora pe-netrato! Quelli che hanno osato sono morti! Le loromani imbalsamate sono state misteriosamente restituiteai compagni. I comandanti dei posti militari le hannotrovate una mattina sulla loro scrivania.

Quando si nominano le Montagne Rosse dei Cedang ipoveri Kas impallidiscono ed i loro occhi esprimono losgomento. Pare che ad ogni luna le donne sterili dellatribù dei Cedang, guidate dalle fattucchiere, si diriganoverso le montagne, sole, senza nessun uomo, dirette adun tempio favoloso che sorge nelle alte valli. E novemesi dopo il pellegrinaggio, salvo eccezioni rarissime,la nascita d'un figlio documenta la potenza delle divinitàdella montagna.

Le notizie che si hanno su questo tempio miracolososono quanto mai inverosimili, ma concordi. Le donnesterili sono chiuse ognuna in una cella in compagnia diuna statua rossa. Un beveraggio le addormenta. La sta-tua le feconda durante il sonno. Al mattino ripartono per

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Page 393: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

la sede della tribù e pian piano l'arrotondarsi del ventreattesta il miracolo.

Secondo i missionari del Laos gli Iddii Rossi del Ce-dang potrebbero essere una tribù di uomini primitivi,muscolosi e potenti, rimasti allo stato selvaggio neglialti valloni della montagna. Una corporazione di fattuc-chiere li manterrebbe segregati dal resto degli uominicome una riserva di maschi divinizzati. Il loro sanguegagliardo feconderebbe periodicamente la razza Kasperpetuando il colore mattone-cupo della loro epidermi-de e mantenendola robusta a differenza di tutte le altregenti della Indocina che sono infrollite dall'oppio e dalclima. I Kas sono infatti alti, vigorosi, atletici, audaci eguerrieri.

Nell'incredibile leggenda vi deve essere un fondo diverità incontrollabile, qualche cosa che sfugge al nostroraziocinio di uomini moderni, ma che corrisponde allastranezza di questo paesaggio notturno illividito dallaluna, in mezzo al quale i baobab giganti sussurrano lecanzoni della foresta vergine ed i venti scrivono sullesabbie bianche le canzoni dei deserti!

Certi meticci guadagnati al cattolicesimo hanno di-chiarato ai missionari d'aver visto gli uomini rossi delCedang. La loro carne sarebbe «come il fegato del mon-tone appena macellato» ed i loro occhi ardenti come lepupille della tigre. Essi avrebbero il dorso, il petto e legambe interamente coperti d'un pelame rossiccio es'esprimerebbero solamente con lunghi gridi gutturali. ICedang, nati nel mistero del Tempio Rosso sarebbero,

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la sede della tribù e pian piano l'arrotondarsi del ventreattesta il miracolo.

Secondo i missionari del Laos gli Iddii Rossi del Ce-dang potrebbero essere una tribù di uomini primitivi,muscolosi e potenti, rimasti allo stato selvaggio neglialti valloni della montagna. Una corporazione di fattuc-chiere li manterrebbe segregati dal resto degli uominicome una riserva di maschi divinizzati. Il loro sanguegagliardo feconderebbe periodicamente la razza Kasperpetuando il colore mattone-cupo della loro epidermi-de e mantenendola robusta a differenza di tutte le altregenti della Indocina che sono infrollite dall'oppio e dalclima. I Kas sono infatti alti, vigorosi, atletici, audaci eguerrieri.

Nell'incredibile leggenda vi deve essere un fondo diverità incontrollabile, qualche cosa che sfugge al nostroraziocinio di uomini moderni, ma che corrisponde allastranezza di questo paesaggio notturno illividito dallaluna, in mezzo al quale i baobab giganti sussurrano lecanzoni della foresta vergine ed i venti scrivono sullesabbie bianche le canzoni dei deserti!

Certi meticci guadagnati al cattolicesimo hanno di-chiarato ai missionari d'aver visto gli uomini rossi delCedang. La loro carne sarebbe «come il fegato del mon-tone appena macellato» ed i loro occhi ardenti come lepupille della tigre. Essi avrebbero il dorso, il petto e legambe interamente coperti d'un pelame rossiccio es'esprimerebbero solamente con lunghi gridi gutturali. ICedang, nati nel mistero del Tempio Rosso sarebbero,

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Page 394: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

in genere, più forti degli altri uomini della tribù, più de-stri alla caccia e più valorosi nella guerra. Però i missio-nari del Kam-Keut coi quali ho parlato mi hanno dettoche la testimonianza dei meticci ha poco valore in quan-to facilmente suggestionabili finiscono col credere fer-mamente d'aver visto o fatto ciò che hanno solo sentitoraccontare diverse volte nelle veglie delle capanne.

Solo la conquista completa del Laos potrà permetterealla scienza di determinare la portata di questa credenzakas. Quando a Pnom-Pen un vecchio colono m'ha rac-contato per la prima volta la storia del Tempio Rosso deiCedang, sorseggiavo un eccellente «vermouth» italiano,ben ghiacciato, profumato da una strisciolina di bucciadi limone. L'orchestrina del caffè strimpellava: – Jecherche après Titine... Titine – e gli strilloni annunziava-no la nomina di Caillaux a ministro delle Finanze. Iosorrisi agli effetti d'un «vermouth» ghiacciato su la fera-cità immaginativa d'un vecchio colono abbrutitodell'Indocina.

Più tardi anche i racconti dei missionari del Kam-Keut mi lasciarono incredulo.

Stanotte, qui, in mezzo al silenzio sovrano della step-pa di Tahoi che il riflesso lunare irrora d'una fantasticaluminosità color malva, dinanzi a questo paradossalescenario di boschi e di deserti, di rupi in battaglia e dibianchi tappeti, la storia o leggenda degli uomini rossimi sembra meno imbecille.

Forse non mi meraviglierei se sulla cresta aguzza de-gli schisti galoppanti nel roveto apparisse improvvisa-

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in genere, più forti degli altri uomini della tribù, più de-stri alla caccia e più valorosi nella guerra. Però i missio-nari del Kam-Keut coi quali ho parlato mi hanno dettoche la testimonianza dei meticci ha poco valore in quan-to facilmente suggestionabili finiscono col credere fer-mamente d'aver visto o fatto ciò che hanno solo sentitoraccontare diverse volte nelle veglie delle capanne.

Solo la conquista completa del Laos potrà permetterealla scienza di determinare la portata di questa credenzakas. Quando a Pnom-Pen un vecchio colono m'ha rac-contato per la prima volta la storia del Tempio Rosso deiCedang, sorseggiavo un eccellente «vermouth» italiano,ben ghiacciato, profumato da una strisciolina di bucciadi limone. L'orchestrina del caffè strimpellava: – Jecherche après Titine... Titine – e gli strilloni annunziava-no la nomina di Caillaux a ministro delle Finanze. Iosorrisi agli effetti d'un «vermouth» ghiacciato su la fera-cità immaginativa d'un vecchio colono abbrutitodell'Indocina.

Più tardi anche i racconti dei missionari del Kam-Keut mi lasciarono incredulo.

Stanotte, qui, in mezzo al silenzio sovrano della step-pa di Tahoi che il riflesso lunare irrora d'una fantasticaluminosità color malva, dinanzi a questo paradossalescenario di boschi e di deserti, di rupi in battaglia e dibianchi tappeti, la storia o leggenda degli uomini rossimi sembra meno imbecille.

Forse non mi meraviglierei se sulla cresta aguzza de-gli schisti galoppanti nel roveto apparisse improvvisa-

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mente l'alta figura d'un uomo peloso, agile e quadrato,contemporaneo di Adamo, e gettasse nel silenzio il gri-do selvaggio del suo desiderio infantile per i tre giuocat-toli di ferro e di tela incerata che noi chiamiamo «auto-mobili!».

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mente l'alta figura d'un uomo peloso, agile e quadrato,contemporaneo di Adamo, e gettasse nel silenzio il gri-do selvaggio del suo desiderio infantile per i tre giuocat-toli di ferro e di tela incerata che noi chiamiamo «auto-mobili!».

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Il "signor Kop"

BOSCO DEL TAO-BI', 20 luglio.

Ci siamo accampati ieri sera in una radura ad un tirodi schioppo da un villaggetto kas: accampamento moltosommario: una tenda marinara gettata sul terreno,un'altra sospesa ai mantici delle nostre tre automobili.

Le macchine, disposte a triangolo coi fari accesi ver-so la foresta, hanno tenuto in rispetto durante la notte lebestie della boscaglia, ma hanno attirato tutte le zanzareed i patataci dei dintorni. Verso le due, ridotti addiritturaal parossismo dalle punzecchiature inesorabili dei mi-croscopici visitatori, abbiamo spento i sei fari, ma... unfitto stropicciar di passi furtivi punteggiato di rabbiosimiagolii e di lunghi sibili inquietanti ci ha rapidamentepersuasi a non scherzare con la foresta del Laos.

Certe selve dell'Africa che hanno cattiva nomina, in-dicate nelle carte con tanto di «hic sunt leones» ci riser-varono nel 1923 un'accoglienza ospitalissima e le notta-te si inanellavano una dietro l'altra senza un ruggito, tan-to che bisognava lavorar di fantasia per animare di sco-dinzolamenti il respiro placido e solenne della foresta

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Il "signor Kop"

BOSCO DEL TAO-BI', 20 luglio.

Ci siamo accampati ieri sera in una radura ad un tirodi schioppo da un villaggetto kas: accampamento moltosommario: una tenda marinara gettata sul terreno,un'altra sospesa ai mantici delle nostre tre automobili.

Le macchine, disposte a triangolo coi fari accesi ver-so la foresta, hanno tenuto in rispetto durante la notte lebestie della boscaglia, ma hanno attirato tutte le zanzareed i patataci dei dintorni. Verso le due, ridotti addiritturaal parossismo dalle punzecchiature inesorabili dei mi-croscopici visitatori, abbiamo spento i sei fari, ma... unfitto stropicciar di passi furtivi punteggiato di rabbiosimiagolii e di lunghi sibili inquietanti ci ha rapidamentepersuasi a non scherzare con la foresta del Laos.

Certe selve dell'Africa che hanno cattiva nomina, in-dicate nelle carte con tanto di «hic sunt leones» ci riser-varono nel 1923 un'accoglienza ospitalissima e le notta-te si inanellavano una dietro l'altra senza un ruggito, tan-to che bisognava lavorar di fantasia per animare di sco-dinzolamenti il respiro placido e solenne della foresta

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vergine. Anche l'anno dopo, nel malfamato Bengala,l'unica tigre che degnò mostrarci la sua pelliccia regale,ebbe la gentilezza d'aspettare il mattino, dopo colazione,e scelse un picco bene in vista a distanza rassicurante, inmodo che i miei compagni poterono ammazzarla comein un tiro a bersaglio.

Le foreste del Laos non hanno invece cattiva fama.Nessuno sentendo dir «Laos» pensa a tigri, pantere, ser-penti e coccodrilli. A duecento chilometri dalla capitaledel Camboge ed a centocinquanta dalla capitaledell'Annam, nel cuore di quell'Indocina che evoca sola-mente tetti sbilenchi di pagode e sorrisetti lascivi di«conghai», ho avuto una fra le più emozionanti nottatedel mio lungo vagabondaggio in deserti e foreste.

Tigri e pantere cacciate dall'avanzar trionfatore dellerisaie si concentrano nelle macchie degli altipiani, incompagnia delle ultime torme d'elefanti selvatici desti-nati ormai a scomparire, di serpi d'ogni specie, di caima-ni, di grandi scimmie. Più la risaia guadagna terreno nelLaos, nel Camboge e nell'Annam, più si restringe il cer-chio della libertà selvaggia e la macchia si popola di bi-scie, di pachidermi e di felini in battaglia. Le belve ten-tano di salire la montagna, ma il clima le respinge nellevalli. La fame rende le tigri audaci fino ad entrare neivillaggi e ad attaccare l'uomo.

Durante tutta la notte la foresta ha cantato intorno allaradura la sua formidabile canzone di morte e d'amore.

Si può essere coraggiosi o spensierati finché si vuole,il che all'atto pratico fa lo stesso, ma quando in piena

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vergine. Anche l'anno dopo, nel malfamato Bengala,l'unica tigre che degnò mostrarci la sua pelliccia regale,ebbe la gentilezza d'aspettare il mattino, dopo colazione,e scelse un picco bene in vista a distanza rassicurante, inmodo che i miei compagni poterono ammazzarla comein un tiro a bersaglio.

Le foreste del Laos non hanno invece cattiva fama.Nessuno sentendo dir «Laos» pensa a tigri, pantere, ser-penti e coccodrilli. A duecento chilometri dalla capitaledel Camboge ed a centocinquanta dalla capitaledell'Annam, nel cuore di quell'Indocina che evoca sola-mente tetti sbilenchi di pagode e sorrisetti lascivi di«conghai», ho avuto una fra le più emozionanti nottatedel mio lungo vagabondaggio in deserti e foreste.

Tigri e pantere cacciate dall'avanzar trionfatore dellerisaie si concentrano nelle macchie degli altipiani, incompagnia delle ultime torme d'elefanti selvatici desti-nati ormai a scomparire, di serpi d'ogni specie, di caima-ni, di grandi scimmie. Più la risaia guadagna terreno nelLaos, nel Camboge e nell'Annam, più si restringe il cer-chio della libertà selvaggia e la macchia si popola di bi-scie, di pachidermi e di felini in battaglia. Le belve ten-tano di salire la montagna, ma il clima le respinge nellevalli. La fame rende le tigri audaci fino ad entrare neivillaggi e ad attaccare l'uomo.

Durante tutta la notte la foresta ha cantato intorno allaradura la sua formidabile canzone di morte e d'amore.

Si può essere coraggiosi o spensierati finché si vuole,il che all'atto pratico fa lo stesso, ma quando in piena

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campagna tropicale si sente il silenzio notturno animatoda fruscii che non sono di vento, da rumori di fogliesmosse, d'arbusti allargati con violenza rapida e cauta,quando si sa che chi fischietta non è un pastore innamo-rato, ma la terribile naja, che certi urli strozzati sono irantoli delle scimmiette sorprese nel sonno dai pitoni,che una zuffa di bestie può lanciare dalla vostra parteuna torma di elefanti selvaggi, si sente proprio il biso-gno fisico e nervoso d'un muro di cinta!

In fondo un muretto od uno steccato valgono pococontro le tigri ed i serpenti, ma tengono i nervi a posto elimitano la tensione all'attimo breve del pericolo. Checos'era stanotte la nostra protezione? Un niente: la lucedei fari che disegnavano un triangolo bianco intorno allatenda aperta da tutti i lati all'insidia. Tre fasci d'un nullaluminoso! Bastavano a salvare la pelle, ma non a vìnce-re la paura. Le nostre armi erano inutili o quasi. Peggioche mai le automobili in mezzo a questi sassi, nel carce-re della radura cintato dalla foresta! In caso che qualcheanimalaccio impazzito avesse osato violare con folle te-merità la barriera di luce, solo le cornette delle automo-bili potevano costituire col loro chiasso stridulo ed inso-lito un'arma efficace di salvezza.

Pare vi siano delle tempre eccezionali che duranteuna nottata simile non risentirebbero maggiore emozio-ne che se fossero in poltrona al cinematografo. Non di-scuto l'esistenza di tale razza d'eroi a prova di bomba,ma per me sono dei disgraziati. Un uomo che di notte,in piena macchia tropicale, sente gironzolare le tigri e

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campagna tropicale si sente il silenzio notturno animatoda fruscii che non sono di vento, da rumori di fogliesmosse, d'arbusti allargati con violenza rapida e cauta,quando si sa che chi fischietta non è un pastore innamo-rato, ma la terribile naja, che certi urli strozzati sono irantoli delle scimmiette sorprese nel sonno dai pitoni,che una zuffa di bestie può lanciare dalla vostra parteuna torma di elefanti selvaggi, si sente proprio il biso-gno fisico e nervoso d'un muro di cinta!

In fondo un muretto od uno steccato valgono pococontro le tigri ed i serpenti, ma tengono i nervi a posto elimitano la tensione all'attimo breve del pericolo. Checos'era stanotte la nostra protezione? Un niente: la lucedei fari che disegnavano un triangolo bianco intorno allatenda aperta da tutti i lati all'insidia. Tre fasci d'un nullaluminoso! Bastavano a salvare la pelle, ma non a vìnce-re la paura. Le nostre armi erano inutili o quasi. Peggioche mai le automobili in mezzo a questi sassi, nel carce-re della radura cintato dalla foresta! In caso che qualcheanimalaccio impazzito avesse osato violare con folle te-merità la barriera di luce, solo le cornette delle automo-bili potevano costituire col loro chiasso stridulo ed inso-lito un'arma efficace di salvezza.

Pare vi siano delle tempre eccezionali che duranteuna nottata simile non risentirebbero maggiore emozio-ne che se fossero in poltrona al cinematografo. Non di-scuto l'esistenza di tale razza d'eroi a prova di bomba,ma per me sono dei disgraziati. Un uomo che di notte,in piena macchia tropicale, sente gironzolare le tigri e

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sbadigliare le pantere senza che nulla gli solletichi la ra-dice dei capelli, senza che nessun brividino freddo glipasseggi su e giù pel midollo della schiena, sarà un eroe,ma per me è un eroe fatto di legno come Pinocchio. Èinutile che vada a caccia di tigri. È un lusso sprecato.Ammazzi tordi in maremma, fa lo stesso!

Io ho l'orgoglio d'aver paura delle tigri, paura e schifodei serpenti, paura, schifo e qualche cosa di più dei coc-codrilli e... mi diverto un mondo e mezzo a sentire il bri-vido della mia paura. Sarà forse effetto di maggiore ominore potenza immaginativa, ma quando stanotte sen-tivo zufolare la naja, io la vedevo con gli occhi dellospirito, seguivo il lento ed onduloso serpeggio delle suespirali in mezzo alle foglie, la vedevo agganciata ad unramo far l'altalena nel vuoto, scivolar giù dai tronchicome un rivo d'acqua gommosa, strisciare verso di noicon gli occhietti di rubino che penetrano la notte, con lalingua sottile fuori dalle labbruzze d'agata, attrattadall'odore fresco della nostra carne, sedotta dal desiderioinvincibile del nostro sangue. E girava, girava, intornoall'anello ingannatore della luce. E dietro le serpi senti-vo le tigri, immaginavo la immonda attesa delle iene...Ogni tanto lo scricchiolìo d'un ramo dava la sensazioned'un balzo ed il cuore aveva un tuffo...

Il sorger del sole ci ha sorpresi tutti butterati di pun-zecchiature e gonfi di sonno mal digerito, vere mascheredi suppliziati. Intorno a noi la terribile foresta riprende-va il suo aspetto bonaccione del giorno. La macchia

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sbadigliare le pantere senza che nulla gli solletichi la ra-dice dei capelli, senza che nessun brividino freddo glipasseggi su e giù pel midollo della schiena, sarà un eroe,ma per me è un eroe fatto di legno come Pinocchio. Èinutile che vada a caccia di tigri. È un lusso sprecato.Ammazzi tordi in maremma, fa lo stesso!

Io ho l'orgoglio d'aver paura delle tigri, paura e schifodei serpenti, paura, schifo e qualche cosa di più dei coc-codrilli e... mi diverto un mondo e mezzo a sentire il bri-vido della mia paura. Sarà forse effetto di maggiore ominore potenza immaginativa, ma quando stanotte sen-tivo zufolare la naja, io la vedevo con gli occhi dellospirito, seguivo il lento ed onduloso serpeggio delle suespirali in mezzo alle foglie, la vedevo agganciata ad unramo far l'altalena nel vuoto, scivolar giù dai tronchicome un rivo d'acqua gommosa, strisciare verso di noicon gli occhietti di rubino che penetrano la notte, con lalingua sottile fuori dalle labbruzze d'agata, attrattadall'odore fresco della nostra carne, sedotta dal desiderioinvincibile del nostro sangue. E girava, girava, intornoall'anello ingannatore della luce. E dietro le serpi senti-vo le tigri, immaginavo la immonda attesa delle iene...Ogni tanto lo scricchiolìo d'un ramo dava la sensazioned'un balzo ed il cuore aveva un tuffo...

Il sorger del sole ci ha sorpresi tutti butterati di pun-zecchiature e gonfi di sonno mal digerito, vere mascheredi suppliziati. Intorno a noi la terribile foresta riprende-va il suo aspetto bonaccione del giorno. La macchia

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rada e gli alberelli bassi facevano pensare a lepri ed aconigli piuttosto che a tigri ed a cobra-capello. Mentredisfacevamo rapidamente il nostro accampamento auto-mobilistico, abbiamo visto il villaggetto kas aprire lealte porte di bambù del suo steccato, ed un lungo corteodi uomini, di donne, di ragazzi, di cani e di maiali neri,dirigersi verso di noi.

Abbiamo avuto l'impressione d'un attacco in piena re-gola ed abbiamo messo in attività tutti i motori e letrombette per imporci agli assalitori col rombo della ci-viltà occidentale. Solo i maiali neri male impressionatihanno fatto macchina indietro. Il grosso del corteo, pre-ceduto da un uomo quasi nudo, con un ombrello bianco,ha continuato ad avanzare.

Giunto ad un centinaio di metri dalla radura, l'uomodall'ombrello lo ha fatto turbinare più volte vertiginosa-mente sul suo capo, mentre la folla saltellava in una ir-refrenabile crisi di riverenze ed i cani ebbri di gioia im-provvisa, latravano a perdifiato. Non c'era da sbagliarsi.Il villaggio si presentava da amico, cosa strana, perchè iKas di questa zona, pur essendo meno selvatici dei Ce-dang dell'altipiano, abbandonano sistematicamente i vil-laggi all'avvicinarsi degli europei, nei quali non vedono,nella migliore delle ipotesi, che agenti delle imposte.

L'uomo dall'ombrello bianco ci ha rivolto un lungodiscorso, chissà che squarcio di eloquenza elettorale, male nostre conoscenze di lingua kas essendo limitate alsolo «buon giorno», non abbiamo potuto apprezzare imeriti dell'oratore. Alla fine egli ha ceduto la tribuna ad

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rada e gli alberelli bassi facevano pensare a lepri ed aconigli piuttosto che a tigri ed a cobra-capello. Mentredisfacevamo rapidamente il nostro accampamento auto-mobilistico, abbiamo visto il villaggetto kas aprire lealte porte di bambù del suo steccato, ed un lungo corteodi uomini, di donne, di ragazzi, di cani e di maiali neri,dirigersi verso di noi.

Abbiamo avuto l'impressione d'un attacco in piena re-gola ed abbiamo messo in attività tutti i motori e letrombette per imporci agli assalitori col rombo della ci-viltà occidentale. Solo i maiali neri male impressionatihanno fatto macchina indietro. Il grosso del corteo, pre-ceduto da un uomo quasi nudo, con un ombrello bianco,ha continuato ad avanzare.

Giunto ad un centinaio di metri dalla radura, l'uomodall'ombrello lo ha fatto turbinare più volte vertiginosa-mente sul suo capo, mentre la folla saltellava in una ir-refrenabile crisi di riverenze ed i cani ebbri di gioia im-provvisa, latravano a perdifiato. Non c'era da sbagliarsi.Il villaggio si presentava da amico, cosa strana, perchè iKas di questa zona, pur essendo meno selvatici dei Ce-dang dell'altipiano, abbandonano sistematicamente i vil-laggi all'avvicinarsi degli europei, nei quali non vedono,nella migliore delle ipotesi, che agenti delle imposte.

L'uomo dall'ombrello bianco ci ha rivolto un lungodiscorso, chissà che squarcio di eloquenza elettorale, male nostre conoscenze di lingua kas essendo limitate alsolo «buon giorno», non abbiamo potuto apprezzare imeriti dell'oratore. Alla fine egli ha ceduto la tribuna ad

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una bisavola di pergamena che parla il «Kas-bù», dialet-to laoziano, nel quale il nostro interprete pretende di es-sere un professore.

Mentre i due confabulavano, la folla kas continuava asaltellare gridando in coro: — Kop! Kop!

«Kop» è la tigre. Poco dopo eravamo al corrente dellasituazione. Da quindici giorni il signor «Kop» bazzicanei dintorni del villaggio prelevando ora un porcellonero, ora un montone bianco. I Kas che temono di peg-gio, sapendo che gli uomini bianchi posseggono «l'amu-leto della foresta» e la «folgore che uccide Kop» sonovenuti a domandarci il favore di sbarazzarli dell'impor-tuno.

Grazie al «signor Kop» le nostre macchine hanno fat-to un ingresso solenne nel villaggio ed hanno trovatouna specie di «garage» sotto le palafitte della capannadel Capo. E noi abbiamo avuto la fortuna di poter vede-re da vicino questi Kas-bù che sono ancora poco noti. IKas-bù non sono «puri sangue». La particella «bù» ac-cusa la mescolanza di sangue thais di fonte mongola.Siccome abbiamo deciso di fermarci una settimana fra iKas col bù, avrò tempo di parlarvi lungamente del vil-laggio. Per oggi abbiamo dovuto occuparci del «signorKop», anche per giustificare agli occhi della tribù la loroinsolita ospitalità.

La tigre è per le genti del Laos un animale quasi divi-no. Gli indigeni non lo nominano mai col solo appellati-vo di Kop, ma di «signor Kop» e più frequentemente

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una bisavola di pergamena che parla il «Kas-bù», dialet-to laoziano, nel quale il nostro interprete pretende di es-sere un professore.

Mentre i due confabulavano, la folla kas continuava asaltellare gridando in coro: — Kop! Kop!

«Kop» è la tigre. Poco dopo eravamo al corrente dellasituazione. Da quindici giorni il signor «Kop» bazzicanei dintorni del villaggio prelevando ora un porcellonero, ora un montone bianco. I Kas che temono di peg-gio, sapendo che gli uomini bianchi posseggono «l'amu-leto della foresta» e la «folgore che uccide Kop» sonovenuti a domandarci il favore di sbarazzarli dell'impor-tuno.

Grazie al «signor Kop» le nostre macchine hanno fat-to un ingresso solenne nel villaggio ed hanno trovatouna specie di «garage» sotto le palafitte della capannadel Capo. E noi abbiamo avuto la fortuna di poter vede-re da vicino questi Kas-bù che sono ancora poco noti. IKas-bù non sono «puri sangue». La particella «bù» ac-cusa la mescolanza di sangue thais di fonte mongola.Siccome abbiamo deciso di fermarci una settimana fra iKas col bù, avrò tempo di parlarvi lungamente del vil-laggio. Per oggi abbiamo dovuto occuparci del «signorKop», anche per giustificare agli occhi della tribù la loroinsolita ospitalità.

La tigre è per le genti del Laos un animale quasi divi-no. Gli indigeni non lo nominano mai col solo appellati-vo di Kop, ma di «signor Kop» e più frequentemente

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evitano di chiamarlo per nome, perchè pare possegga unudito soprannaturale e risponda ad appelli lontanissimi.In genere lo definiscono «il re della montagna» o «il si-gnore della foresta» o «il grande mandarino della not-te», oppure semplicemente Nagai, che è sinonimo di«Sua Eccellenza il Monsignore»!

Se la tigre ruba i porcellini neri e qualche volta fa co-lazione con la carne gialla d'un Kas, è però anchel'implacabile giustiziera di tutte le altre bestiacce dellaforesta ed è temuta dai Ma-Quì, cioè dagli spiriti cattividell'aria. Perciò i Kas adorano nella tigre una manifesta-zione della divinità. La sua immagine è tracciata grosso-lanamente sulle pareti esterne delle capanne, sulle culledei neonati, intorno ai rozzi altari della foresta. In origi-ne il culto della tigre doveva essere comune a tutte legenti dell'Indocina. Infatti la figura della tigre è uno deimotivi ornamentali delle architetture cambogese,«kmèr» ed annamita. Ancora oggi nell'Annam i generalifortunati in guerra sono chiamati Ho-Tuòng, che signifi-ca letteralmente «generali-tigre». Antiche credenze attri-buiscono al grande felino il merito d'aver inventato lastrategia e d'averla insegnata agli uomini.

Il timore religioso che ispira la belva rende impari lalotta, per cui i Kas sogliono abbandonare un villaggioquando le tigri eleggono dimora nelle sue vicinanze. Seun povero diavolo finisce negli artigli del felino, tutti imembri della famiglia cambiano immediatamente dinome per far perdere alla tigre le loro tracce. Fra le in-numerevoli leggende popolari, la più diffusa è quella

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evitano di chiamarlo per nome, perchè pare possegga unudito soprannaturale e risponda ad appelli lontanissimi.In genere lo definiscono «il re della montagna» o «il si-gnore della foresta» o «il grande mandarino della not-te», oppure semplicemente Nagai, che è sinonimo di«Sua Eccellenza il Monsignore»!

Se la tigre ruba i porcellini neri e qualche volta fa co-lazione con la carne gialla d'un Kas, è però anchel'implacabile giustiziera di tutte le altre bestiacce dellaforesta ed è temuta dai Ma-Quì, cioè dagli spiriti cattividell'aria. Perciò i Kas adorano nella tigre una manifesta-zione della divinità. La sua immagine è tracciata grosso-lanamente sulle pareti esterne delle capanne, sulle culledei neonati, intorno ai rozzi altari della foresta. In origi-ne il culto della tigre doveva essere comune a tutte legenti dell'Indocina. Infatti la figura della tigre è uno deimotivi ornamentali delle architetture cambogese,«kmèr» ed annamita. Ancora oggi nell'Annam i generalifortunati in guerra sono chiamati Ho-Tuòng, che signifi-ca letteralmente «generali-tigre». Antiche credenze attri-buiscono al grande felino il merito d'aver inventato lastrategia e d'averla insegnata agli uomini.

Il timore religioso che ispira la belva rende impari lalotta, per cui i Kas sogliono abbandonare un villaggioquando le tigri eleggono dimora nelle sue vicinanze. Seun povero diavolo finisce negli artigli del felino, tutti imembri della famiglia cambiano immediatamente dinome per far perdere alla tigre le loro tracce. Fra le in-numerevoli leggende popolari, la più diffusa è quella

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della «trasformazione», secondo cui una belva che abbiasbranato cinquantacinque uomini, acquisterebbe il pote-re favoloso d'assumere a volontà la forma umana, di pe-netrare così indisturbata nei villaggi, d'assistere alle riu-nioni degli uomini e di sorprendere i loro segreti, deiquali si serve per aspettare al varco le sue vittime. Nelleassemblee dei villaggi, quando si tratta di indicare illuogo dove debbono recarsi i maschi per un taglio di bo-sco o per un altro motivo qualsiasi di caccia, pesca orazzìa, il nome della località è pronunziato a bassa vocedi orecchio in orecchio, perchè «Kop» non senta!

Qualche volta però «Kop» sente lo stesso, anche per-chè i metodi di caccia dei Kas sono d'efficacia piuttostoproblematica. Essi consistono in certi fascetti d'erba fa-tata che le fattucchiere sparpagliano nei luoghi dai qualisi vuol tenere lontana la belva, in formule incantatriciche sono pronunziate al tramonto con la fronte rivolta alsole morente, in piccoli doni lasciati nella foresta pel«signor Kop» accanto a pietre votive, in tre sassi rossi etre sassi neri disposti curiosamente a croce nei luoghibattuti dal carnivoro...

Solo raramente, quando proprio «Kop» esagera, i Kaspigliano il coraggio a due mani e ricorrono alle cattivemaniere, che consistono di solito nello scavare in forestagrosse buche profonde, mascherate da graticci di foglia-me, in fondo alle quali è abbandonato un disgraziatoporcello che coi suoi grugniti attira la tigre nella tagliuo-la. Sopra un albero accanto alla fossa, resta di guardiaun guerriero, scelto fra i più intrepidi della tribù ed im-

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della «trasformazione», secondo cui una belva che abbiasbranato cinquantacinque uomini, acquisterebbe il pote-re favoloso d'assumere a volontà la forma umana, di pe-netrare così indisturbata nei villaggi, d'assistere alle riu-nioni degli uomini e di sorprendere i loro segreti, deiquali si serve per aspettare al varco le sue vittime. Nelleassemblee dei villaggi, quando si tratta di indicare illuogo dove debbono recarsi i maschi per un taglio di bo-sco o per un altro motivo qualsiasi di caccia, pesca orazzìa, il nome della località è pronunziato a bassa vocedi orecchio in orecchio, perchè «Kop» non senta!

Qualche volta però «Kop» sente lo stesso, anche per-chè i metodi di caccia dei Kas sono d'efficacia piuttostoproblematica. Essi consistono in certi fascetti d'erba fa-tata che le fattucchiere sparpagliano nei luoghi dai qualisi vuol tenere lontana la belva, in formule incantatriciche sono pronunziate al tramonto con la fronte rivolta alsole morente, in piccoli doni lasciati nella foresta pel«signor Kop» accanto a pietre votive, in tre sassi rossi etre sassi neri disposti curiosamente a croce nei luoghibattuti dal carnivoro...

Solo raramente, quando proprio «Kop» esagera, i Kaspigliano il coraggio a due mani e ricorrono alle cattivemaniere, che consistono di solito nello scavare in forestagrosse buche profonde, mascherate da graticci di foglia-me, in fondo alle quali è abbandonato un disgraziatoporcello che coi suoi grugniti attira la tigre nella tagliuo-la. Sopra un albero accanto alla fossa, resta di guardiaun guerriero, scelto fra i più intrepidi della tribù ed im-

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munizzato contro le insidie della foresta da uno specialeamuleto. Compito del guerriero è d'assistere alla malaventura della tigre e correre all'alba ad informarne il vil-laggio. Le più belle ragazze della tribù sono felici di de-porre l'omaggio del loro amore ai piedi di colui che «haassistito senza morire alle collere terribili di «Kop».

Si noti che in fondo i Kas non hanno paura della tigrecome tigre, in quanto sono addirittura temerari nellecacce alla pantera, ai cobra, ai coccodrilli, ma hanno unsacro terrore delle virtù soprannaturali che la tradizioneattribuisce al «signore della montagna». In genere,quando vedono la belva, si buttano a terra con la frontenella polvere ed aspettano che essa... si degni far cola-zione. Qualche volta capita che la tigre disgustata datanta remissività disdegni la preda ed in tal caso il meri-to spetta agli amuleti.

Date queste disposizioni di spirito abbiamo presosenz'altro la direzione della battaglia per infliggere al«Kop» una punizione esemplare da lasciare nel villag-gio una traccia storica del nostro passaggio. Tutt'intornoal paese abbiamo fatto scavare una trentina di fosse, viabbiamo calato giù il porcellino d'ordinanza, ed abbia-mo appostato nei paraggi sopra un albero il relativoguerriero.

Accanto alla porta del villaggio abbiamo fatto co-struire una specie di pulpito, sul quale prenderemo postostanotte con le nostre «folgori». Abbiamo inoltre decisocon grande spavento degli abitanti, che la porta del pae-se rimarrà aperta per solleticare la curiosità dei felini,

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munizzato contro le insidie della foresta da uno specialeamuleto. Compito del guerriero è d'assistere alla malaventura della tigre e correre all'alba ad informarne il vil-laggio. Le più belle ragazze della tribù sono felici di de-porre l'omaggio del loro amore ai piedi di colui che «haassistito senza morire alle collere terribili di «Kop».

Si noti che in fondo i Kas non hanno paura della tigrecome tigre, in quanto sono addirittura temerari nellecacce alla pantera, ai cobra, ai coccodrilli, ma hanno unsacro terrore delle virtù soprannaturali che la tradizioneattribuisce al «signore della montagna». In genere,quando vedono la belva, si buttano a terra con la frontenella polvere ed aspettano che essa... si degni far cola-zione. Qualche volta capita che la tigre disgustata datanta remissività disdegni la preda ed in tal caso il meri-to spetta agli amuleti.

Date queste disposizioni di spirito abbiamo presosenz'altro la direzione della battaglia per infliggere al«Kop» una punizione esemplare da lasciare nel villag-gio una traccia storica del nostro passaggio. Tutt'intornoal paese abbiamo fatto scavare una trentina di fosse, viabbiamo calato giù il porcellino d'ordinanza, ed abbia-mo appostato nei paraggi sopra un albero il relativoguerriero.

Accanto alla porta del villaggio abbiamo fatto co-struire una specie di pulpito, sul quale prenderemo postostanotte con le nostre «folgori». Abbiamo inoltre decisocon grande spavento degli abitanti, che la porta del pae-se rimarrà aperta per solleticare la curiosità dei felini,

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ma abbiamo imbottigliato l'unica strada con le nostre treautomobili ed i rispettivi fari che, accesi di scatto al mo-mento culminante, dovranno acciecare le belve ed of-frirle bene in luce alle nostre carabine. Gli abitanti han-no ricevuto l'ordine di tapparsi nelle capanne e di nonuscirne per qualsiasi motivo. Siamo arcisicuri d'essereobbediti. Le donne sono incaricate d'invocare la prote-zione dei Genii con le preghiere abituali.

All'ultimo momento la fattucchiera ci ha scongiuratoper amore di tutti gli Iddii che le permettessimo di ver-sare sulla soglia del paese un liquido miracoloso nelquale è stato tritato nientemeno che... un baffo di tigre.L'abbiamo contentata anche perchè con le... streghe èsempre meglio accomodarsi! Dal respirone di sollievoche hanno tirato i maggiorenti abbiamo compreso comeil villaggio faccia più assegnamento sull'intruglio dellamegera che su tutto il nostro arsenale di folgori, di lam-pi e di tuoni.

Sul calar del sole le capanne hanno chiuso le loro por-te. Ogni tonfo degli usci gravava il peso della nostra re-sponsabilità... Quando potemmo dire... Finalmentesoli!..., andammo a cena.

Ora che avete più o meno innanzi agli occhi non solola scena ed i suoi personaggi, ma anche un po' l'atmosfe-ra psicologica, eccovi a grandi pennellate la cronacadella caccia.

Tramonto violento, ma veloce. Breve crepuscolo in-calzante e, dopo, la notte fonda della zona torrida. Silen-zio vasto e solenne. Il villaggio sembra sepolto nel son-

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ma abbiamo imbottigliato l'unica strada con le nostre treautomobili ed i rispettivi fari che, accesi di scatto al mo-mento culminante, dovranno acciecare le belve ed of-frirle bene in luce alle nostre carabine. Gli abitanti han-no ricevuto l'ordine di tapparsi nelle capanne e di nonuscirne per qualsiasi motivo. Siamo arcisicuri d'essereobbediti. Le donne sono incaricate d'invocare la prote-zione dei Genii con le preghiere abituali.

All'ultimo momento la fattucchiera ci ha scongiuratoper amore di tutti gli Iddii che le permettessimo di ver-sare sulla soglia del paese un liquido miracoloso nelquale è stato tritato nientemeno che... un baffo di tigre.L'abbiamo contentata anche perchè con le... streghe èsempre meglio accomodarsi! Dal respirone di sollievoche hanno tirato i maggiorenti abbiamo compreso comeil villaggio faccia più assegnamento sull'intruglio dellamegera che su tutto il nostro arsenale di folgori, di lam-pi e di tuoni.

Sul calar del sole le capanne hanno chiuso le loro por-te. Ogni tonfo degli usci gravava il peso della nostra re-sponsabilità... Quando potemmo dire... Finalmentesoli!..., andammo a cena.

Ora che avete più o meno innanzi agli occhi non solola scena ed i suoi personaggi, ma anche un po' l'atmosfe-ra psicologica, eccovi a grandi pennellate la cronacadella caccia.

Tramonto violento, ma veloce. Breve crepuscolo in-calzante e, dopo, la notte fonda della zona torrida. Silen-zio vasto e solenne. Il villaggio sembra sepolto nel son-

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no. Non un lume nè una luce. Solo nel cielo ardono amilioni i globi fiammeggianti del Tropico.

Dietro i monti di Cedanga s'alza la luna, livida ed unpo' beffarda. Il brivido immane della foresta è comel'ansito d'un oceano battuto dai soffi del largo.

Chissà come tremano gli intrepidi guerrieri di guardiaalle fosse!

Il grugnito dei porcellini addormentati è il pianto del-la notte taciturna. Passano i quarti, le mezz'ore e le ore.Le tigri non hanno fretta. Il nostro pulpito di assi scric-chiola ad ogni movimento ed il maggiore Smith sacra-menta ad ogni cigolìo, quasi si trattasse d'uno schiantocapace di rivoluzionare tutte le belve dell'universo.

La foresta arriva fino al villaggio e le prime fogliequasi toccano lo steccato di bambù. Ad un tratto qualchecosa si muove nel cupo ammasso del fogliame, qualchecosa o qualcuno che s'apre cautamente il varco allargan-do gli arbusti. Si sente il fruscio impercettibile delle fo-glie calpestate e dei rami smossi. Non c'è caso di sba-gliarsi. Le belve si avvicinano.

Ci sentiamo straordinariamente nervosi. Le dita tor-mentano i cani delle carabine. Il rumore cessa, ricomin-cia più vicino, si ferma, riprincipia. La chioma d'unfrangipane nasconde la nostra presenza. Una lunga pau-sa acuisce lo spasimo dell'attesa.

Una nuvolaccia di pece passa dinanzi al disco dellaluna. Sùbito la foresta si fa fosca e la notte diventa piùcupa. Pare che un soffio misterioso abbia spento di col-po nell'aria mille e mille candele...

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no. Non un lume nè una luce. Solo nel cielo ardono amilioni i globi fiammeggianti del Tropico.

Dietro i monti di Cedanga s'alza la luna, livida ed unpo' beffarda. Il brivido immane della foresta è comel'ansito d'un oceano battuto dai soffi del largo.

Chissà come tremano gli intrepidi guerrieri di guardiaalle fosse!

Il grugnito dei porcellini addormentati è il pianto del-la notte taciturna. Passano i quarti, le mezz'ore e le ore.Le tigri non hanno fretta. Il nostro pulpito di assi scric-chiola ad ogni movimento ed il maggiore Smith sacra-menta ad ogni cigolìo, quasi si trattasse d'uno schiantocapace di rivoluzionare tutte le belve dell'universo.

La foresta arriva fino al villaggio e le prime fogliequasi toccano lo steccato di bambù. Ad un tratto qualchecosa si muove nel cupo ammasso del fogliame, qualchecosa o qualcuno che s'apre cautamente il varco allargan-do gli arbusti. Si sente il fruscio impercettibile delle fo-glie calpestate e dei rami smossi. Non c'è caso di sba-gliarsi. Le belve si avvicinano.

Ci sentiamo straordinariamente nervosi. Le dita tor-mentano i cani delle carabine. Il rumore cessa, ricomin-cia più vicino, si ferma, riprincipia. La chioma d'unfrangipane nasconde la nostra presenza. Una lunga pau-sa acuisce lo spasimo dell'attesa.

Una nuvolaccia di pece passa dinanzi al disco dellaluna. Sùbito la foresta si fa fosca e la notte diventa piùcupa. Pare che un soffio misterioso abbia spento di col-po nell'aria mille e mille candele...

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COCINCINA OCCIDENTALE – Pagoda.

COCINCINA – Villaggi galleggianti sulle risaie.

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COCINCINA OCCIDENTALE – Pagoda.

COCINCINA – Villaggi galleggianti sulle risaie.

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E quasi che le tigri abbiano aspettato la complicitàdella luna per decidersi, i cespugli s'aprono dinanziall'ingresso del villaggio. Tre forme indistinte attraver-sano rapide il brevissimo spazio vuoto.

— Luce! — ordina il maggiore.Al comando secco e concitato i due meccanici che

sono appostati accanto alle automobili aprono di scatto ifari. Sei raggi di sole violentano la notte. Le carabinegià alla guancia stanno per lanciare la loro raffica di mi-traglia...

— Fuo.. no, stop!Un colpo solo parte di striscio.Le... tigri, che secondo la leggenda kas hanno assunto

la forma umana, fuggono velocemente a rimpiattarsinella macchia; non tutte, che uno degli uomini-tigre col-pito al piede resta inchiodato al terreno.

È un thais di razza mongola! Evidentemente il disgra-ziato è sorpreso quanto noi di quello che accade. I suoiocchietti obliqui si spalancano comicamente nello sfor-zo di capire. Perchè questa luce? E che cosa fanno que-sti uomini bianchi?

Fortunatamente il villaggio che ha la consegna di rus-sare, allarmato dal colpo di fucile s'è rintanato più chemai nelle capanne. Non può accorgersi che questa voltail terribile «Kop», divoratore di uomini e di porcelli, èsemplicemente un ladruncolo mongolo bene al correntedelle leggende kas...

Ed in fondo anche noi non abbiamo interesse a svalu-tare l'importanza della nostra presenza!

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E quasi che le tigri abbiano aspettato la complicitàdella luna per decidersi, i cespugli s'aprono dinanziall'ingresso del villaggio. Tre forme indistinte attraver-sano rapide il brevissimo spazio vuoto.

— Luce! — ordina il maggiore.Al comando secco e concitato i due meccanici che

sono appostati accanto alle automobili aprono di scatto ifari. Sei raggi di sole violentano la notte. Le carabinegià alla guancia stanno per lanciare la loro raffica di mi-traglia...

— Fuo.. no, stop!Un colpo solo parte di striscio.Le... tigri, che secondo la leggenda kas hanno assunto

la forma umana, fuggono velocemente a rimpiattarsinella macchia; non tutte, che uno degli uomini-tigre col-pito al piede resta inchiodato al terreno.

È un thais di razza mongola! Evidentemente il disgra-ziato è sorpreso quanto noi di quello che accade. I suoiocchietti obliqui si spalancano comicamente nello sfor-zo di capire. Perchè questa luce? E che cosa fanno que-sti uomini bianchi?

Fortunatamente il villaggio che ha la consegna di rus-sare, allarmato dal colpo di fucile s'è rintanato più chemai nelle capanne. Non può accorgersi che questa voltail terribile «Kop», divoratore di uomini e di porcelli, èsemplicemente un ladruncolo mongolo bene al correntedelle leggende kas...

Ed in fondo anche noi non abbiamo interesse a svalu-tare l'importanza della nostra presenza!

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La tragedia d'una razza

ALTIPIANO DI TAHOI, 2 agosto.

Il piccolo villaggio kas, di solito così tranquillo, èoggi in subbuglio per uno dei più grossi avvenimentidell'annata: la partenza degli uomini per la caccia deglielefanti selvaggi. Appena i primi chiarori dell'alba han-no incominciato a sbiancare l'altipiano, le porte delle ca-panne che di solito s'attardano a sbadigliare al sole se-condo i capricci del vento, sono state spalancate dallefemmine mattiniere, immobilizzate con un grosso sasso,ed è incominciato l'andirivieni su e giù per le scalette dibambù.

I ragazzi in festa si lasciano ruzzolare giù dalle pala-fitte dietro le donne che portano chiassosamente al cen-tro del paese i bagagli dei guerrieri. Un «gong» primiti-vo rimbomba in permanenza. Sulla soglia degli usci icacciatori, alti, nudi, scultorei, superbamente dorati dalsole nascente, lustrano con ostentazione le loro armi ru-dimentali, gli archi, le balestre mois, i coltellacci anna-miti, le larghe daghe cambogesi; ammucchiano le fogliedi betel nei corni di cervo che portano appesi al collo,

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La tragedia d'una razza

ALTIPIANO DI TAHOI, 2 agosto.

Il piccolo villaggio kas, di solito così tranquillo, èoggi in subbuglio per uno dei più grossi avvenimentidell'annata: la partenza degli uomini per la caccia deglielefanti selvaggi. Appena i primi chiarori dell'alba han-no incominciato a sbiancare l'altipiano, le porte delle ca-panne che di solito s'attardano a sbadigliare al sole se-condo i capricci del vento, sono state spalancate dallefemmine mattiniere, immobilizzate con un grosso sasso,ed è incominciato l'andirivieni su e giù per le scalette dibambù.

I ragazzi in festa si lasciano ruzzolare giù dalle pala-fitte dietro le donne che portano chiassosamente al cen-tro del paese i bagagli dei guerrieri. Un «gong» primiti-vo rimbomba in permanenza. Sulla soglia degli usci icacciatori, alti, nudi, scultorei, superbamente dorati dalsole nascente, lustrano con ostentazione le loro armi ru-dimentali, gli archi, le balestre mois, i coltellacci anna-miti, le larghe daghe cambogesi; ammucchiano le fogliedi betel nei corni di cervo che portano appesi al collo,

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arrotolano le rozze corde vegetali, controllano i cappi e inodi scorsoi, assicurano alle funi i ramponi fatti ad an-cora che avviticchiandosi ai tronchi ed agli arbusti fre-neranno la corsa dei pachidermi catturati impedendo chesfuggano al lasso inesorabile dei cacciatori.

Già nella piazzetta sono riuniti gli elefanti domestici,la più grande ricchezza del villaggio: i maschi carichi dicesti e di fagotti, le femmine invece senza basto e leg-germente inebbriate di sugo di menta. Compito di que-ste ultime è d'attirare coi loro barriti d'amore i maschiselvaggi nei tranelli tesi dai cacciatori.

Dai truogoli situati sotto le palafitte di ogni capanna imaiali neri escono per il bighellonaggio quotidiano at-traverso i viottoli del paese insieme con i cani magri espelati ai quali contendono rabbiosamente i miserabilirifiuti delle stamberghe.

Donne quarantenni che sembrano bisavole centenarie,s'affannano a tritare nei mortai di pietra i chicchi di risoed i semi di sesamo coi quali gli uomini confezioneran-no nella foresta i loro pasti frugali.

Accanto agli elefanti tengono crocchio i vecchi dellatribù che confabulano gravemente passandosi l'un l'altrola pipa di canapa e di betel. A guardarli vengono inmente i racconti di Emilio Salgari e di Ugo Mioni lettinell'infanzia, le assemblee degli indiani del Far West in-torno al calumeto prima dell'attacco ai volti pallidi. Solola presenza dei pachidermi nuoce alla verosimiglianzadel quadro.

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arrotolano le rozze corde vegetali, controllano i cappi e inodi scorsoi, assicurano alle funi i ramponi fatti ad an-cora che avviticchiandosi ai tronchi ed agli arbusti fre-neranno la corsa dei pachidermi catturati impedendo chesfuggano al lasso inesorabile dei cacciatori.

Già nella piazzetta sono riuniti gli elefanti domestici,la più grande ricchezza del villaggio: i maschi carichi dicesti e di fagotti, le femmine invece senza basto e leg-germente inebbriate di sugo di menta. Compito di que-ste ultime è d'attirare coi loro barriti d'amore i maschiselvaggi nei tranelli tesi dai cacciatori.

Dai truogoli situati sotto le palafitte di ogni capanna imaiali neri escono per il bighellonaggio quotidiano at-traverso i viottoli del paese insieme con i cani magri espelati ai quali contendono rabbiosamente i miserabilirifiuti delle stamberghe.

Donne quarantenni che sembrano bisavole centenarie,s'affannano a tritare nei mortai di pietra i chicchi di risoed i semi di sesamo coi quali gli uomini confezioneran-no nella foresta i loro pasti frugali.

Accanto agli elefanti tengono crocchio i vecchi dellatribù che confabulano gravemente passandosi l'un l'altrola pipa di canapa e di betel. A guardarli vengono inmente i racconti di Emilio Salgari e di Ugo Mioni lettinell'infanzia, le assemblee degli indiani del Far West in-torno al calumeto prima dell'attacco ai volti pallidi. Solola presenza dei pachidermi nuoce alla verosimiglianzadel quadro.

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Grossi quarti di selvaggina s'arrosolano su allegri fo-cherelli di spine, infilati come su uno spiedo nelle daghedall'elsa pretenziosa. Ogni tanto un vecchio si alza a gi-rare un cosciotto che minaccia d'abbrustolirsi troppo oda versare sugli arrosti una salsetta giallognola nella qua-le nuotano erbe mediche e peperoncini della foresta. Unbuon odore di cucina paesana si spande pel villaggetto. Icani ed i maiali sorvegliano con famelica ingordigia ipreparativi del banchetto.

La Cina millenaria e l'Indocina raffinata sono lontaneassai. Nulla parla in quest'angolo del Laos di civiltà an-tiche, di arti minuziose, di filosofie trascendentali. Ognicosa è semplice, primitiva, schiettamente barbarica. Cisi crederebbe in un isolotto del Pacifico, fuori delle rottedelle navi in mezzo ai cannibali della Micronesia. Sia-mo invece a cento chilometri appena dalle pagode mera-vigliose di Hué e dai letterati-filosofi dell'Annam!

Le capanne di bambù, in bilico sulle palafitte, rappre-sentano una delle prime forme d'abitazione umana:quattro pareti di paglia, un tetto obliquo, una scaletta ru-dimentale. Sulla residenza del Capo un covone di fienovorrebbe essere una cupola. Nudi i ragazzi, senza nep-pure la tradizionale cordicella del centro Africa, quasinude le donne con una pezzuola stinta intorno alle reni,corte di gambe, sviluppate di petto e di bacino, goffenell'andare ed un po' bestiali. I seni curiosamente trian-golari delle ragazze fanno parere più cascanti le bombo-le delle donne maritate terminate da un capezzolo nero,allungato come un fischietto. Ben fatti gli uomini, alti

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Grossi quarti di selvaggina s'arrosolano su allegri fo-cherelli di spine, infilati come su uno spiedo nelle daghedall'elsa pretenziosa. Ogni tanto un vecchio si alza a gi-rare un cosciotto che minaccia d'abbrustolirsi troppo oda versare sugli arrosti una salsetta giallognola nella qua-le nuotano erbe mediche e peperoncini della foresta. Unbuon odore di cucina paesana si spande pel villaggetto. Icani ed i maiali sorvegliano con famelica ingordigia ipreparativi del banchetto.

La Cina millenaria e l'Indocina raffinata sono lontaneassai. Nulla parla in quest'angolo del Laos di civiltà an-tiche, di arti minuziose, di filosofie trascendentali. Ognicosa è semplice, primitiva, schiettamente barbarica. Cisi crederebbe in un isolotto del Pacifico, fuori delle rottedelle navi in mezzo ai cannibali della Micronesia. Sia-mo invece a cento chilometri appena dalle pagode mera-vigliose di Hué e dai letterati-filosofi dell'Annam!

Le capanne di bambù, in bilico sulle palafitte, rappre-sentano una delle prime forme d'abitazione umana:quattro pareti di paglia, un tetto obliquo, una scaletta ru-dimentale. Sulla residenza del Capo un covone di fienovorrebbe essere una cupola. Nudi i ragazzi, senza nep-pure la tradizionale cordicella del centro Africa, quasinude le donne con una pezzuola stinta intorno alle reni,corte di gambe, sviluppate di petto e di bacino, goffenell'andare ed un po' bestiali. I seni curiosamente trian-golari delle ragazze fanno parere più cascanti le bombo-le delle donne maritate terminate da un capezzolo nero,allungato come un fischietto. Ben fatti gli uomini, alti

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d'inguine, sodi e muscolosi, senza nulla della gracilitàun po' effeminata dei gialli, sveltiti dall'esercizio conti-nuo all'aria aperta, dal taglio degli alberi, dalla lotta conle fiere. I denti laccati di nero e limati danno ai volti unaintonazione crudele. Il colore cupo delle gengive induri-te dalla masticazione ricorda il rosso delle branchie deipesci poche ore dopo la morte.

Scarsi peli incorniciano il mento dei più vecchi; rari ibaffi e ritorti all'ingiù come nelle vecchie stampe diCina; piatti i capelli, castani, lucidi, abbassati sulla fron-te fino a toccare le sopracciglia, tagliati su la collottola,o lasciati crescere a treccia ed arrotolati all'annamita conun pettine di legno.

Le suppellettili delle case si riducono a qualche pen-tola, a poche stoviglie di coccio, ad un cassone di legnobianco che serve da tavolo e da armadio. Una stuoia è illetto, uno sgabello il cuscino. Solo due o tre capanneposseggono una lampada ad olio che è adoperatadall'intero villaggio nei casi di morte e nelle veglie dimalattia. L'illuminazione è un lusso inutile per i Kas. Latribù chiude col calar del sole la sua giornata.

I Kas di questo villaggio hanno nelle loro vene unaparticella di sangue mongolo che basta a farli considera-re come meticci, cioè come esseri infetti, dalle tribùpure dell'altipiano. Questa gente che noi consideriamoselvaggia, uno degli ultimi gradini dell'umanità, tienegelosamente a non avere contatti con le genti civili. Ilpiù lieve scarto di colore d'un neonato è sufficiente per

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d'inguine, sodi e muscolosi, senza nulla della gracilitàun po' effeminata dei gialli, sveltiti dall'esercizio conti-nuo all'aria aperta, dal taglio degli alberi, dalla lotta conle fiere. I denti laccati di nero e limati danno ai volti unaintonazione crudele. Il colore cupo delle gengive induri-te dalla masticazione ricorda il rosso delle branchie deipesci poche ore dopo la morte.

Scarsi peli incorniciano il mento dei più vecchi; rari ibaffi e ritorti all'ingiù come nelle vecchie stampe diCina; piatti i capelli, castani, lucidi, abbassati sulla fron-te fino a toccare le sopracciglia, tagliati su la collottola,o lasciati crescere a treccia ed arrotolati all'annamita conun pettine di legno.

Le suppellettili delle case si riducono a qualche pen-tola, a poche stoviglie di coccio, ad un cassone di legnobianco che serve da tavolo e da armadio. Una stuoia è illetto, uno sgabello il cuscino. Solo due o tre capanneposseggono una lampada ad olio che è adoperatadall'intero villaggio nei casi di morte e nelle veglie dimalattia. L'illuminazione è un lusso inutile per i Kas. Latribù chiude col calar del sole la sua giornata.

I Kas di questo villaggio hanno nelle loro vene unaparticella di sangue mongolo che basta a farli considera-re come meticci, cioè come esseri infetti, dalle tribùpure dell'altipiano. Questa gente che noi consideriamoselvaggia, uno degli ultimi gradini dell'umanità, tienegelosamente a non avere contatti con le genti civili. Ilpiù lieve scarto di colore d'un neonato è sufficiente per

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bandire l'intera famiglia dalla tribù. Solo un leggero ap-piattimento del naso tradisce negli abitanti del villaggioun lontano innesto mongolo. In tutto il resto sono somi-gliantissimi anche fisicamente ai Kas puri, dei qualicondividono le vaghe credenze religiose e le forme as-solutamente primitive d'esistenza.

Ultimi rappresentanti delle antiche popolazioni delLaos, ridotte nel corso dei secoli sugli altipiani dalle in-vasioni annamite, cambogesi e siamesi, i Kas del Laossono in fondo la medesima razza dei Mais dell'Annam,dei Penang del Camboge e degli indigeni delle isole delPacifico. La tinta rosso-mattone della loro epidermide lidistingue nettamente dalle altre popolazioni dell'Estre-mo Oriente. Nelle pianure del centro i Kas si sono fusicogli invasori cinesi e indocinesi, creando quelle popo-lazioni laoziane conosciute sotto il nome di So, Sok,Soné e Seks. Nella zona montuosa invece sono rimastipuri o quasi puri. Vivono in agglomerazioni di tribù cheprendono varii nomi dalle denominazioni delle foreste,per esempio Kas Bolovéni, Kas Niauéni, Kas Alàks, KasBràos, as Puénong, as Cedànghi. Il villaggetto dal qualescrivo è abitato da Kas Bà, meticci dei Kas Bràos. Ognitribù parla un dialetto differente e le varie tribù non sicapiscono fra loro. Credono la terra piatta, abitata da uo-mini bianchi, rossi e gialli. Non posseggono scrittura,contano su nodi delle funi, riconoscono al più vecchiodella tribù il diritto di comando. Di temperamento belli-coso, amanti della guerra e della caccia, audacissimi neicorpo a corpo con le fiere, esclusa la tigre della quale

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bandire l'intera famiglia dalla tribù. Solo un leggero ap-piattimento del naso tradisce negli abitanti del villaggioun lontano innesto mongolo. In tutto il resto sono somi-gliantissimi anche fisicamente ai Kas puri, dei qualicondividono le vaghe credenze religiose e le forme as-solutamente primitive d'esistenza.

Ultimi rappresentanti delle antiche popolazioni delLaos, ridotte nel corso dei secoli sugli altipiani dalle in-vasioni annamite, cambogesi e siamesi, i Kas del Laossono in fondo la medesima razza dei Mais dell'Annam,dei Penang del Camboge e degli indigeni delle isole delPacifico. La tinta rosso-mattone della loro epidermide lidistingue nettamente dalle altre popolazioni dell'Estre-mo Oriente. Nelle pianure del centro i Kas si sono fusicogli invasori cinesi e indocinesi, creando quelle popo-lazioni laoziane conosciute sotto il nome di So, Sok,Soné e Seks. Nella zona montuosa invece sono rimastipuri o quasi puri. Vivono in agglomerazioni di tribù cheprendono varii nomi dalle denominazioni delle foreste,per esempio Kas Bolovéni, Kas Niauéni, Kas Alàks, KasBràos, as Puénong, as Cedànghi. Il villaggetto dal qualescrivo è abitato da Kas Bà, meticci dei Kas Bràos. Ognitribù parla un dialetto differente e le varie tribù non sicapiscono fra loro. Credono la terra piatta, abitata da uo-mini bianchi, rossi e gialli. Non posseggono scrittura,contano su nodi delle funi, riconoscono al più vecchiodella tribù il diritto di comando. Di temperamento belli-coso, amanti della guerra e della caccia, audacissimi neicorpo a corpo con le fiere, esclusa la tigre della quale

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hanno un sacro terrore, di natura religiosa, i Kas potreb-bero dare del filo da torcere ai francesi se non fosseroarmati in modo primitivo di lancie, di sciabole e di archiquasi inoffensivi.

Il resto della popolazone del Laos è costituito da gentipiù evolute di razza mongola, i Thais, i quali praticanouna vaga forma di buddismo, e da correnti d'immigra-zione più recente venute dalla Cina, i Maos e gli Yaos, iquali costruiscono le loro case senza palafitte, coltivanoe fumano l'oppio, esercitano i traffici e la piccola arti-gianeria. Maos ed Yaos possono essere considerati unaspecie di avanguardia dell'immancabile avanzata cineseverso le risaie della Cocincina e del Camboge.

Come i Pelli-Rosse dell'America i Kas sono fatalmen-te condannati a scomparire, distrutti dall'inesorabile ci-viltà moderna la quale non riconosce alle genti il dirittodi attardarsi di troppi secoli. Finché padroni del Laoserano gli annamiti ed i siamesi, i poveri Kas se l'eranocavata riparando sugli altipiani dove l'asprezza del climae la magrezza delle alte risaie non seducevano i gialli. Siè così potuto verificare il fenomeno interessantissimo divere «oasi umane» le quali hanno continuato a vegetarein condizioni di vita tipicamente primitive durante seco-li e secoli mentre intorno ad esse si avvicendavano sen-za neppure lambirle, le grandi civiltà raffinatissimedell'Estremo Oriente, la cinese, la «kmèr», la siamese,l'annamita. Nascevano e morivano immensi imperi, sor-gevano e scomparivano sfarzose capitali, l'arte arrivavaa produrre le meraviglie di Angkor e di Hué ed a rag-

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hanno un sacro terrore, di natura religiosa, i Kas potreb-bero dare del filo da torcere ai francesi se non fosseroarmati in modo primitivo di lancie, di sciabole e di archiquasi inoffensivi.

Il resto della popolazone del Laos è costituito da gentipiù evolute di razza mongola, i Thais, i quali praticanouna vaga forma di buddismo, e da correnti d'immigra-zione più recente venute dalla Cina, i Maos e gli Yaos, iquali costruiscono le loro case senza palafitte, coltivanoe fumano l'oppio, esercitano i traffici e la piccola arti-gianeria. Maos ed Yaos possono essere considerati unaspecie di avanguardia dell'immancabile avanzata cineseverso le risaie della Cocincina e del Camboge.

Come i Pelli-Rosse dell'America i Kas sono fatalmen-te condannati a scomparire, distrutti dall'inesorabile ci-viltà moderna la quale non riconosce alle genti il dirittodi attardarsi di troppi secoli. Finché padroni del Laoserano gli annamiti ed i siamesi, i poveri Kas se l'eranocavata riparando sugli altipiani dove l'asprezza del climae la magrezza delle alte risaie non seducevano i gialli. Siè così potuto verificare il fenomeno interessantissimo divere «oasi umane» le quali hanno continuato a vegetarein condizioni di vita tipicamente primitive durante seco-li e secoli mentre intorno ad esse si avvicendavano sen-za neppure lambirle, le grandi civiltà raffinatissimedell'Estremo Oriente, la cinese, la «kmèr», la siamese,l'annamita. Nascevano e morivano immensi imperi, sor-gevano e scomparivano sfarzose capitali, l'arte arrivavaa produrre le meraviglie di Angkor e di Hué ed a rag-

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giungere con i capolavori dei Song'le più alte vette dellaperfezione, il Buddismo ed il Confucianismo s'innalza-vano a vertiginose altezze metafisiche, il Taoismo tenta-va perfino di signoreggiare il massimo mistero dell'uni-verso, le forme esteriori della vita giungevano a peccareper eccesso di raffinatezza e le leggi a diventare quasiinutili per l'armonia degli organismi sociali, poeti e let-terati lambiccavano lo stile e lo piegavano alle esigenzedi una fantasia forse senza confronti! E... cento chilome-tri più lontano, agglomerazioni di centinaia di migliaiad'individui hanno continuato a vivere pressapoco nellecondizioni di Adamo e di Eva senza neppure accorgersidi quanto intorno accadeva, a vivere ignudi, a battere lapietra focaia, ad ignorare le più elementari conquistedell'umanità, senza storia, senza scrittura, senza un rudi-mento d'organizzazione, nulla, nemmeno quella primaforma d'elevazione dello spirito che è una religione! Lecredenze dei Kas si riducono ad un vago timore delle«forze» ed a pochi riti infantili per placarle!

Ciò nella vecchia Asia millenaria, culla di tutte le ci-viltà e di tutte le religioni, nell'Asia dei grandi imperi,delle audaci filosofie, dei monumenti formidabili,dell'inesausto tormento spirituale, dei templi fantastici,dei Saggi, dei Maestri, dei Legislatori, degli artisti in-contentabili... Sembra quasi impossibile!

Quando i francesi si sono impadroniti dell'Indocina lecose hanno continuato a procedere come nel passato,salvo la conquista di qualche tribù meticcia. Le autoritàmilitari dopo ripetuti tentativi, tanto cruenti quanto steri-

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giungere con i capolavori dei Song'le più alte vette dellaperfezione, il Buddismo ed il Confucianismo s'innalza-vano a vertiginose altezze metafisiche, il Taoismo tenta-va perfino di signoreggiare il massimo mistero dell'uni-verso, le forme esteriori della vita giungevano a peccareper eccesso di raffinatezza e le leggi a diventare quasiinutili per l'armonia degli organismi sociali, poeti e let-terati lambiccavano lo stile e lo piegavano alle esigenzedi una fantasia forse senza confronti! E... cento chilome-tri più lontano, agglomerazioni di centinaia di migliaiad'individui hanno continuato a vivere pressapoco nellecondizioni di Adamo e di Eva senza neppure accorgersidi quanto intorno accadeva, a vivere ignudi, a battere lapietra focaia, ad ignorare le più elementari conquistedell'umanità, senza storia, senza scrittura, senza un rudi-mento d'organizzazione, nulla, nemmeno quella primaforma d'elevazione dello spirito che è una religione! Lecredenze dei Kas si riducono ad un vago timore delle«forze» ed a pochi riti infantili per placarle!

Ciò nella vecchia Asia millenaria, culla di tutte le ci-viltà e di tutte le religioni, nell'Asia dei grandi imperi,delle audaci filosofie, dei monumenti formidabili,dell'inesausto tormento spirituale, dei templi fantastici,dei Saggi, dei Maestri, dei Legislatori, degli artisti in-contentabili... Sembra quasi impossibile!

Quando i francesi si sono impadroniti dell'Indocina lecose hanno continuato a procedere come nel passato,salvo la conquista di qualche tribù meticcia. Le autoritàmilitari dopo ripetuti tentativi, tanto cruenti quanto steri-

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li di risultati pratici, si sono contentate di una sottomis-sione apparente, basata più che altro sull'inesistenza dicontatti con le popolazioni indomite degli altipiani. Imissionari non più fortunati dei soldati, si sono appagatidi piantare la Croce sulle pendici del bastione selvaggio,di raccogliere i deformi abbandonati nella foresta, ledonne fuggiasche, i meticci scacciati dalle tribù, i poveridiavoli messi al bando dai villaggi per un presagio sfa-vorevole. Ancora oggi un Cedang di Sidone può direfieramente ad un Mois: — Nessun bianco è penetratonelle terre che il Grande Padre ha affidato agli uominirossi della Montagna.

Senonchè in questi ultimi tempi, dopo la cessione fat-ta dal Siam alla Francia dell'intero Laos, la finanza in-ternazionale si è improvvisamente interessata degli alti-piani laoziani per la ricchezza delle loro foreste e per lepromesse del sottosuolo. È incominciata la conquista.Là dove hanno fallito l'ardimento delle truppe colonialie la tenacia dei missionarii, stanno riuscendo le Compa-gnie internazionali di commercio le quali hanno dichia-rato guerra ad oltranza ai Mois dell'Annam ed ai Kas delLaos, adoperando piccoli manipoli di avventurieri avididi guadagno e senza scrupoli.

Gli uomini d'affari che acquistano per pochi soldi dalgoverno dell'Indocina le «concessioni» dell'alto Laos –in genere buoni ebrei olandesi naturalizzati francesi perl'occasione – hanno organizzato un piano strategico tan-to semplice quanto inesorabile: distruggono la foresta!Messo fuori dalla foresta un Kas cessa per necessità di

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li di risultati pratici, si sono contentate di una sottomis-sione apparente, basata più che altro sull'inesistenza dicontatti con le popolazioni indomite degli altipiani. Imissionari non più fortunati dei soldati, si sono appagatidi piantare la Croce sulle pendici del bastione selvaggio,di raccogliere i deformi abbandonati nella foresta, ledonne fuggiasche, i meticci scacciati dalle tribù, i poveridiavoli messi al bando dai villaggi per un presagio sfa-vorevole. Ancora oggi un Cedang di Sidone può direfieramente ad un Mois: — Nessun bianco è penetratonelle terre che il Grande Padre ha affidato agli uominirossi della Montagna.

Senonchè in questi ultimi tempi, dopo la cessione fat-ta dal Siam alla Francia dell'intero Laos, la finanza in-ternazionale si è improvvisamente interessata degli alti-piani laoziani per la ricchezza delle loro foreste e per lepromesse del sottosuolo. È incominciata la conquista.Là dove hanno fallito l'ardimento delle truppe colonialie la tenacia dei missionarii, stanno riuscendo le Compa-gnie internazionali di commercio le quali hanno dichia-rato guerra ad oltranza ai Mois dell'Annam ed ai Kas delLaos, adoperando piccoli manipoli di avventurieri avididi guadagno e senza scrupoli.

Gli uomini d'affari che acquistano per pochi soldi dalgoverno dell'Indocina le «concessioni» dell'alto Laos –in genere buoni ebrei olandesi naturalizzati francesi perl'occasione – hanno organizzato un piano strategico tan-to semplice quanto inesorabile: distruggono la foresta!Messo fuori dalla foresta un Kas cessa per necessità di

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cose di essere un Kas, diventa un laoziano qualsiasi ne-gli artigli della civiltà, obbligato per mangiare a fare ilfacchino, il servo o lo sterratore, ad abitare le case dipietra, a coprire la sua nudità, ad obbedire ai nuovi pa-droni, a perdere la sua personalità di selvaggio tetragonoed inafferrabile. Il salto in avanti che la civiltà fa fareistantaneamente ad un Kas lo uccide o lo imbecillisce,ma gli uomini di affari contano i tronchi d'ebano e ditele, non i capi di bestiame umano contenuti nella con-cessione.

Le «concessioni» sono scelte lungo i corsi d'acqua eprocedono gradualmente verso l'interno. La foresta èrasa al suolo ed il suo legname prezioso è sufficiente acoprire le spese dell'impresa. Poi arrivano gli annamiti acreare l'alta risaia, protetti da dieci soldati e da una ban-diera tricolore. Il governo della colonia cancella quellaporzione di territorio dalla zona indicata nelle carte geo-grafiche con la qualifica di plateaux sauvages e l'asse-gna al distretto più vicino. Immediatamente entrano infunzione le leggi ed i tribunali. I Kas o fuggono abban-donando i loro villaggi o sono catturati dalla civiltà. Leterre che da secoli sono loro proprietà diventano il pos-sesso legittimo dei nuovi venuti. La schiavitù inesistentein teoria è in pratica la crudele realtà. Unico scampo peri disgraziati è la città dove le apparenze sono salve edove les droits de l'homme permettono al povero Kas dilasciarsi morire di fame o di procurarsi da mangiare di-ventando servo.

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cose di essere un Kas, diventa un laoziano qualsiasi ne-gli artigli della civiltà, obbligato per mangiare a fare ilfacchino, il servo o lo sterratore, ad abitare le case dipietra, a coprire la sua nudità, ad obbedire ai nuovi pa-droni, a perdere la sua personalità di selvaggio tetragonoed inafferrabile. Il salto in avanti che la civiltà fa fareistantaneamente ad un Kas lo uccide o lo imbecillisce,ma gli uomini di affari contano i tronchi d'ebano e ditele, non i capi di bestiame umano contenuti nella con-cessione.

Le «concessioni» sono scelte lungo i corsi d'acqua eprocedono gradualmente verso l'interno. La foresta èrasa al suolo ed il suo legname prezioso è sufficiente acoprire le spese dell'impresa. Poi arrivano gli annamiti acreare l'alta risaia, protetti da dieci soldati e da una ban-diera tricolore. Il governo della colonia cancella quellaporzione di territorio dalla zona indicata nelle carte geo-grafiche con la qualifica di plateaux sauvages e l'asse-gna al distretto più vicino. Immediatamente entrano infunzione le leggi ed i tribunali. I Kas o fuggono abban-donando i loro villaggi o sono catturati dalla civiltà. Leterre che da secoli sono loro proprietà diventano il pos-sesso legittimo dei nuovi venuti. La schiavitù inesistentein teoria è in pratica la crudele realtà. Unico scampo peri disgraziati è la città dove le apparenze sono salve edove les droits de l'homme permettono al povero Kas dilasciarsi morire di fame o di procurarsi da mangiare di-ventando servo.

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Il ventesimo secolo affronta brutalmente questi uomi-ni primitivi e li mette di fronte alle sue forme millenariedi organizzazione e di vita. I Kas debbono percorrere inpoche settimane il cammino che i nostri antenati hannofatto durante diecine di secoli, pena la morte o la pazzia;abituarsi alla legge, al vivere cittadino, ai regolamenti dipolizia, ai contratti di lavoro, all'automobile, alla luceelettrica, ai telai meccanici, ai motori a scoppio, allemacchine agricole, ai forni ed alle pulegge dei cantieri.La civiltà acciuffa un Kas nella foresta vergine, lo scara-venta nell'inferno di Haifong o di Along e gli dice: —Sbrogliati o muori! Se rubi od ammazzi sarai giudicatosecondo il codice di Napoleone. Se vuoi divertirti sceglifra il rugby od il cinematografo. Vestiti o ti metto in pri-gione. Lavora o ti ficco in carcere. Vuoi un Dio? EccoBuddha, Cristo e Confucio... ma abbine uno! Crepa ma-gari ma... diventa un uomo civile!

Il povero Kas in genere si rituffa nella foresta o muo-re sopraffatto dall'immensità del salto che gli fanno fare.Molte donne finiscono nei lupanari dei borghi, molti uo-mini intontiti dalla catastrofe che capita loro si riduconoad essere le povere bestie da soma d'uno sfruttatorequalsiasi e cercano nell'alcool, ingozzato con voluttà in-fantile il riposo di cui la loro miserabile anima selvaggiasente bisogno.

Il dramma terribile di tutta una razza passa inosserva-to in mezzo alla ciclopica battaglia delle valorizzazionicoloniali. Le statistiche indicano l'aumento degli ettaridi risaia, non la diminuzione spaventosa degli abitanti

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Il ventesimo secolo affronta brutalmente questi uomi-ni primitivi e li mette di fronte alle sue forme millenariedi organizzazione e di vita. I Kas debbono percorrere inpoche settimane il cammino che i nostri antenati hannofatto durante diecine di secoli, pena la morte o la pazzia;abituarsi alla legge, al vivere cittadino, ai regolamenti dipolizia, ai contratti di lavoro, all'automobile, alla luceelettrica, ai telai meccanici, ai motori a scoppio, allemacchine agricole, ai forni ed alle pulegge dei cantieri.La civiltà acciuffa un Kas nella foresta vergine, lo scara-venta nell'inferno di Haifong o di Along e gli dice: —Sbrogliati o muori! Se rubi od ammazzi sarai giudicatosecondo il codice di Napoleone. Se vuoi divertirti sceglifra il rugby od il cinematografo. Vestiti o ti metto in pri-gione. Lavora o ti ficco in carcere. Vuoi un Dio? EccoBuddha, Cristo e Confucio... ma abbine uno! Crepa ma-gari ma... diventa un uomo civile!

Il povero Kas in genere si rituffa nella foresta o muo-re sopraffatto dall'immensità del salto che gli fanno fare.Molte donne finiscono nei lupanari dei borghi, molti uo-mini intontiti dalla catastrofe che capita loro si riduconoad essere le povere bestie da soma d'uno sfruttatorequalsiasi e cercano nell'alcool, ingozzato con voluttà in-fantile il riposo di cui la loro miserabile anima selvaggiasente bisogno.

Il dramma terribile di tutta una razza passa inosserva-to in mezzo alla ciclopica battaglia delle valorizzazionicoloniali. Le statistiche indicano l'aumento degli ettaridi risaia, non la diminuzione spaventosa degli abitanti

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indigeni. Nell'Annam meridionale, dove esiste un em-brione di censimento, il numero dei Mois risulta dimi-nuito del cinquanta per cento in dieci anni! Ma il destinodei Kas del Laos è ancora peggiore.

Garàì, Mong, Kas Radé, Kas Braos, sono unificati di-nanzi alla legge ed alla pubblica opinione con l'indica-zione eloquente di «selvaggi». Les sauvages des hautsplateaux! I pellirosse del Far West!

Quando saranno ridotti a poche migliaia sorgerannoanche per loro le... Società protettrici della razza autoc-tona, e forse una deputazione sarà ricevuta solennemen-te a Parigi dal Presidente della Repubblica nello storicocastello di Rambouillet.

Intanto, la civiltà è in marcia.

Uomini, donne, ragazzi, cani e maiali hanno fattoonore durante tutta la giornata al banchetto pantagrueli-co della caccia. Gli elefanti sono pronti. Fra poco sorge-rà la luna, protettrice dei cacciatori. Resta da compiere ilsacrifizio propiziatorio. Poi il più vecchio della tribùdarà il segnale di mettersi in cammino.

Il sole morente avvolge il villaggio nel suo grande fa-scio d'oro trasformando le capanne di bambù e le pala-fitte miserabili in una fantastica abbazia di quarzo so-spesa su un colonname di metalli lucenti. La cupola dipaglia dell'abitazione del Capo, investita in pieno dalleporpore solari, assume la paradossale parvenza d'uncono fatto di polvere d'oro e sembra che il vento soffian-dovi su sollevi una ocra meravigliosa che si volatizza

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indigeni. Nell'Annam meridionale, dove esiste un em-brione di censimento, il numero dei Mois risulta dimi-nuito del cinquanta per cento in dieci anni! Ma il destinodei Kas del Laos è ancora peggiore.

Garàì, Mong, Kas Radé, Kas Braos, sono unificati di-nanzi alla legge ed alla pubblica opinione con l'indica-zione eloquente di «selvaggi». Les sauvages des hautsplateaux! I pellirosse del Far West!

Quando saranno ridotti a poche migliaia sorgerannoanche per loro le... Società protettrici della razza autoc-tona, e forse una deputazione sarà ricevuta solennemen-te a Parigi dal Presidente della Repubblica nello storicocastello di Rambouillet.

Intanto, la civiltà è in marcia.

Uomini, donne, ragazzi, cani e maiali hanno fattoonore durante tutta la giornata al banchetto pantagrueli-co della caccia. Gli elefanti sono pronti. Fra poco sorge-rà la luna, protettrice dei cacciatori. Resta da compiere ilsacrifizio propiziatorio. Poi il più vecchio della tribùdarà il segnale di mettersi in cammino.

Il sole morente avvolge il villaggio nel suo grande fa-scio d'oro trasformando le capanne di bambù e le pala-fitte miserabili in una fantastica abbazia di quarzo so-spesa su un colonname di metalli lucenti. La cupola dipaglia dell'abitazione del Capo, investita in pieno dalleporpore solari, assume la paradossale parvenza d'uncono fatto di polvere d'oro e sembra che il vento soffian-dovi su sollevi una ocra meravigliosa che si volatizza

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nell'aria ad incipriare l'atmosfera e le cose. Nella magiadell'ora la foresta vergine sfoggia tutta la sua maestosabellezza. Il riflesso delle basse risaie si unisce a quellodelle alte petraie per incorniciare questo bastione sel-vaggio in un castone di lucentezze. E fantasticamented'oro sembrano i corpi nudi che fanno cerchio intornoagli elefanti, corpi di mattone cupo metallizzati dai bale-ni del tramonto.

Sono nudi e pezzenti i selvaggi ma sono liberi! Nonsubiscono neppure il dominio di Dio perchè la loro ani-ma primitiva appena ne concepisce l'esistenza. Nellaloro suprema ignoranza sono quasi felici. Nulla sannodel mondo e dei suoi desiderii. Altro non desiderano pelmomento che un presagio favorevole per la caccia! Ilfaccione burattino della luna sorride alla loro puerilità.

Si fanno innanzi le vecchie senza figliolanza che co-noscono gli incantamenti e che costituiscono nella tribùuna specie di casta privilegiata. Urlano alla luna ches'alza pallida sulle creste dei monti, poi principiano laloro danza, frenesia barbarica che sembra una crisi epi-lettica. E gli elefanti con la proboscide contro terra os-servano gravemente le contorsioni delle femmine. E tut-to il villaggio, le donne, i vecchi, i ragazzi, colti da unimprovviso attacco di pazzia, si danno ad inseguirenell'aria un nemico invisibile, a battere le porte, a tem-pestare di nerbate le capanne e gli alberi, a fracassarequanto capita loro sotto mano, gridando, muggendo,sozzi di sudore e di bava. Mentre i corpi vanno di qua edi là sballottati come sacchi da un misterioso convulso,

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nell'aria ad incipriare l'atmosfera e le cose. Nella magiadell'ora la foresta vergine sfoggia tutta la sua maestosabellezza. Il riflesso delle basse risaie si unisce a quellodelle alte petraie per incorniciare questo bastione sel-vaggio in un castone di lucentezze. E fantasticamented'oro sembrano i corpi nudi che fanno cerchio intornoagli elefanti, corpi di mattone cupo metallizzati dai bale-ni del tramonto.

Sono nudi e pezzenti i selvaggi ma sono liberi! Nonsubiscono neppure il dominio di Dio perchè la loro ani-ma primitiva appena ne concepisce l'esistenza. Nellaloro suprema ignoranza sono quasi felici. Nulla sannodel mondo e dei suoi desiderii. Altro non desiderano pelmomento che un presagio favorevole per la caccia! Ilfaccione burattino della luna sorride alla loro puerilità.

Si fanno innanzi le vecchie senza figliolanza che co-noscono gli incantamenti e che costituiscono nella tribùuna specie di casta privilegiata. Urlano alla luna ches'alza pallida sulle creste dei monti, poi principiano laloro danza, frenesia barbarica che sembra una crisi epi-lettica. E gli elefanti con la proboscide contro terra os-servano gravemente le contorsioni delle femmine. E tut-to il villaggio, le donne, i vecchi, i ragazzi, colti da unimprovviso attacco di pazzia, si danno ad inseguirenell'aria un nemico invisibile, a battere le porte, a tem-pestare di nerbate le capanne e gli alberi, a fracassarequanto capita loro sotto mano, gridando, muggendo,sozzi di sudore e di bava. Mentre i corpi vanno di qua edi là sballottati come sacchi da un misterioso convulso,

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le gambe e le braccia battagliano vertiginosamente con-tro gli spiriti del male per scacciarli dalla piazzetta nellaquale deve aver luogo il presagio. Cani e maiali eccitatidalla furia dei padroni, s'azzuffano rabbiosamente fraloro, si rotolano nella polvere, si mordono a sangue.Alla fine gli elefanti stessi vinti dal clamore della pazzabattaglia si rizzano goffamente sulle zampaccie poste-riori e turbinando le proboscidi barriscono alla dispera-ta.

L'intervento degli elefanti segna il momento decisivodella cerimonia. Il capo si affretta ad accendere una can-dela di sego giallo su un rozzo masso che è l'altare pri-mitivo di questa gente. Accanto alla candela, vi è unaciotola di riso. Ogni cacciatore ne prende un pugnetto elo lascia cadere chicco a chicco sulla fiamma. Più chic-chi s'invischiano intorno al lucignolo più elefanti saran-no catturati durante la battuta.

Esaurito il presagio il villaggio si calma. Gli elefantisono allineati su una fila dinanzi all'altare ed il capo del-la tribù pronunzia davanti ad ogni bestione la formula diun contratto misterioso concluso dagli antenati col dioNgua-Ngualil degli elefanti, in forza del quale Ngua-Ngualil permette ai Kas di catturare tutti gli elefanti dicui hanno bisogno, a condizione che non ne uccidanomai nessuno. Infatti i Kas preferiscono tornare a manivuote dalla foresta piuttosto che ferire malamente un pa-chiderma. V'è forse nella leggenda un vago accennoall'alleanza conclusa dall'uomo primitivo col bonario gi-gante degli animali.

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le gambe e le braccia battagliano vertiginosamente con-tro gli spiriti del male per scacciarli dalla piazzetta nellaquale deve aver luogo il presagio. Cani e maiali eccitatidalla furia dei padroni, s'azzuffano rabbiosamente fraloro, si rotolano nella polvere, si mordono a sangue.Alla fine gli elefanti stessi vinti dal clamore della pazzabattaglia si rizzano goffamente sulle zampaccie poste-riori e turbinando le proboscidi barriscono alla dispera-ta.

L'intervento degli elefanti segna il momento decisivodella cerimonia. Il capo si affretta ad accendere una can-dela di sego giallo su un rozzo masso che è l'altare pri-mitivo di questa gente. Accanto alla candela, vi è unaciotola di riso. Ogni cacciatore ne prende un pugnetto elo lascia cadere chicco a chicco sulla fiamma. Più chic-chi s'invischiano intorno al lucignolo più elefanti saran-no catturati durante la battuta.

Esaurito il presagio il villaggio si calma. Gli elefantisono allineati su una fila dinanzi all'altare ed il capo del-la tribù pronunzia davanti ad ogni bestione la formula diun contratto misterioso concluso dagli antenati col dioNgua-Ngualil degli elefanti, in forza del quale Ngua-Ngualil permette ai Kas di catturare tutti gli elefanti dicui hanno bisogno, a condizione che non ne uccidanomai nessuno. Infatti i Kas preferiscono tornare a manivuote dalla foresta piuttosto che ferire malamente un pa-chiderma. V'è forse nella leggenda un vago accennoall'alleanza conclusa dall'uomo primitivo col bonario gi-gante degli animali.

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Ogni elefante ha inoltre diritto prima della caccia adun secchio di sangue annacquato di pecora, dolcificatocon miele vergine e con sugo di menta. I pachidermiaspirano con voluttà il beveraggio aromatico schioccan-do golosamente la linguaccia fra le risate generali. Lospettacolo di tutte queste proboscidi che sgocciolanosangue farebbe immaginare ad un osservatore casualechissà quale truce rito babilonico di mammuth divoratoridi fanciulli... Non v'è invece nulla di feroce nelle ceri-monie e nelle abitudini di questa povera gente. Sono deigrandi ragazzoni che giuocano dalla mattina alla sera eche la notte rabbrividiscono di paura quando il ventoscuote con troppa violenza le capanne.

Finalmente i cacciatori prendono posto in groppa aglianimali. Ormai il sole è sparito nella foresta incendian-dola. La luna incomincia a colorare di madre-perla lu-minosa la sua smorta bianchezza. Il capo della tribù dàil segnale della partenza.

— Andate, e l'Ombra sia con voi!— L'Ombra protegga i vecchi e le donne! — risponde

ogni cacciatore, passando.E la carovana selvaggia si mette in moto, come or son

mille anni, mentre la folla miserabile delle donne e deivecchi si prosterna, adorando negli uomini che partonopel mistero della foresta la maschia poesia del perico-lo....

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Ogni elefante ha inoltre diritto prima della caccia adun secchio di sangue annacquato di pecora, dolcificatocon miele vergine e con sugo di menta. I pachidermiaspirano con voluttà il beveraggio aromatico schioccan-do golosamente la linguaccia fra le risate generali. Lospettacolo di tutte queste proboscidi che sgocciolanosangue farebbe immaginare ad un osservatore casualechissà quale truce rito babilonico di mammuth divoratoridi fanciulli... Non v'è invece nulla di feroce nelle ceri-monie e nelle abitudini di questa povera gente. Sono deigrandi ragazzoni che giuocano dalla mattina alla sera eche la notte rabbrividiscono di paura quando il ventoscuote con troppa violenza le capanne.

Finalmente i cacciatori prendono posto in groppa aglianimali. Ormai il sole è sparito nella foresta incendian-dola. La luna incomincia a colorare di madre-perla lu-minosa la sua smorta bianchezza. Il capo della tribù dàil segnale della partenza.

— Andate, e l'Ombra sia con voi!— L'Ombra protegga i vecchi e le donne! — risponde

ogni cacciatore, passando.E la carovana selvaggia si mette in moto, come or son

mille anni, mentre la folla miserabile delle donne e deivecchi si prosterna, adorando negli uomini che partonopel mistero della foresta la maschia poesia del perico-lo....

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COCINCINA – Il paradiso di Buddha.

COCINCINA – Battelli annamiti sul Mekong.

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COCINCINA – Il paradiso di Buddha.

COCINCINA – Battelli annamiti sul Mekong.

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Nel decrepito Annam

HUE', 10 agosto.

Appena usciti fuori dalle foreste e dalle petraie delTahoi, il paesaggio riprende di colpo l'aspetto lindo e ri-dente che aveva nel Camboge, come se il deserto bian-co, i Kas, la foresta paurosa, fossero solo una breve pa-rentesi selvaggia. Ricompaiono le scacchiere coloratedei campi coltivati a cereali e lo scintillìo infinito dellerisaie. Si rivedono i villaggetti civettuoli dell'Indocinacon la pagoda sbilenca dal tetto di porcellana rossa e gliarchi di legno, gialli o violetti. La razza umana si rim-picciolisce e si ingiallisce, ha l'aria d'accartocciarsi im-provvisamente e d'invecchiare, in poche ore, di molti se-coli. Nelle nicchie di maiolica ricominciano a sorridere iBuddha placidi della Cina.

Le strade, bordate di canali, s'allargano. Le nostre au-tomobili, ridotte male in arnese dalle boscaglie e daglisterpeti del Tahoi, riprendono lena sui tappeti di polveredello «stradone mandarino» che dalle frontiere del Laosconduce alla capitale dell'Annam.

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Nel decrepito Annam

HUE', 10 agosto.

Appena usciti fuori dalle foreste e dalle petraie delTahoi, il paesaggio riprende di colpo l'aspetto lindo e ri-dente che aveva nel Camboge, come se il deserto bian-co, i Kas, la foresta paurosa, fossero solo una breve pa-rentesi selvaggia. Ricompaiono le scacchiere coloratedei campi coltivati a cereali e lo scintillìo infinito dellerisaie. Si rivedono i villaggetti civettuoli dell'Indocinacon la pagoda sbilenca dal tetto di porcellana rossa e gliarchi di legno, gialli o violetti. La razza umana si rim-picciolisce e si ingiallisce, ha l'aria d'accartocciarsi im-provvisamente e d'invecchiare, in poche ore, di molti se-coli. Nelle nicchie di maiolica ricominciano a sorridere iBuddha placidi della Cina.

Le strade, bordate di canali, s'allargano. Le nostre au-tomobili, ridotte male in arnese dalle boscaglie e daglisterpeti del Tahoi, riprendono lena sui tappeti di polveredello «stradone mandarino» che dalle frontiere del Laosconduce alla capitale dell'Annam.

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Quando dall'altipiano laoziano, vergine e selvaggio,abitato dagli uomini nudi che adorano la tigre e caccia-no l'elefante, s'arriva in due ore in vista dei merli cente-narii di Hué e si passa sotto la porta imperiale del Wra-gone, dinanzi alla quale un graduato francese chiede aiviaggiatori se hanno dazio da dichiarare, si ha l'impres-sione di fare un salto di almeno trenta secoli, di balzarefantasticamente dal centro del Congo alle porte d'unametropoli moderna! Solamente cento chilometri separa-no la capitale spirituale e raffinata dell'Annam dal ba-stione selvaggio del Tahoi, cento chilometri che le mac-chine divorano in un baleno, per cui dall'ultimo uomonudo che abita la capanna di bambù si passa senza inter-mezzi al letterato-mandarino vestito di seta che meditasulla filosofia di Lao-Tzé; dall'umanità ancora infantilea quella decrepita, dai ragazzoni selvaggi che giuocanoa palla coi frutti della foresta vergine, ai vecchi infrollitidall'oppio che si dilettano di avorii cesellati e di medita-zioni ancestrali: un abisso sul quale le automobili getta-no strombettando la loro velocità.

E si rimane male! Quando dai villaggi cafri si arrivaper esempio ai primi avamposti della colonizzazioneboera, gli uomini bianchi coi quali ci si imbatte hannoun non so che di selvatico nella loro maschia esuberan-za: cafri e coloni sono sempre gli uomini della forestavergine, i soldati della grande battaglia contro la Naturaprimitiva. Se i primi sono infallibili nello scoccare lafreccia, i secondi sono maestri nel colpire un bersagliocon la carabina: gli uni e gli altri sanno dormire sulla

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Quando dall'altipiano laoziano, vergine e selvaggio,abitato dagli uomini nudi che adorano la tigre e caccia-no l'elefante, s'arriva in due ore in vista dei merli cente-narii di Hué e si passa sotto la porta imperiale del Wra-gone, dinanzi alla quale un graduato francese chiede aiviaggiatori se hanno dazio da dichiarare, si ha l'impres-sione di fare un salto di almeno trenta secoli, di balzarefantasticamente dal centro del Congo alle porte d'unametropoli moderna! Solamente cento chilometri separa-no la capitale spirituale e raffinata dell'Annam dal ba-stione selvaggio del Tahoi, cento chilometri che le mac-chine divorano in un baleno, per cui dall'ultimo uomonudo che abita la capanna di bambù si passa senza inter-mezzi al letterato-mandarino vestito di seta che meditasulla filosofia di Lao-Tzé; dall'umanità ancora infantilea quella decrepita, dai ragazzoni selvaggi che giuocanoa palla coi frutti della foresta vergine, ai vecchi infrollitidall'oppio che si dilettano di avorii cesellati e di medita-zioni ancestrali: un abisso sul quale le automobili getta-no strombettando la loro velocità.

E si rimane male! Quando dai villaggi cafri si arrivaper esempio ai primi avamposti della colonizzazioneboera, gli uomini bianchi coi quali ci si imbatte hannoun non so che di selvatico nella loro maschia esuberan-za: cafri e coloni sono sempre gli uomini della forestavergine, i soldati della grande battaglia contro la Naturaprimitiva. Se i primi sono infallibili nello scoccare lafreccia, i secondi sono maestri nel colpire un bersagliocon la carabina: gli uni e gli altri sanno dormire sulla

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terra nuda ed affrontare le fiere, abbattono gli alberi, sfi-dano col petto forte, cotto dal sole, i venti e le pioggie,spaccano coi muscoli potenti l'ebano e la roccia, domi-nano su un fragile schifo di betulla le correnti gorgo-glianti del grande fiume popolato di coccodrilli.

Fra i Kas del Laos e le marionette sorridentidell'Annam non v'è nulla invece che rappresenti un trat-to qualsiasi d'unione: gli uni sono all'antitesi degli altri,troppo giovani i primi, irrimediabilmente vecchi i se-condi. Il salto è brusco, violento, paradossale. Si ha qua-si l'impressione che l'orizzonte si restringa, che fantasti-che quinte si precipitino a limitare le lontananze, chel'aria sia meno pura ed i polmoni meno liberi, che...

Un «sergent de ville» che ci aveva fatto segno con lamazza di diminuire la velocità fischia e rifischia furiosa-mente, richiamandoci al rispetto della legge. Lo spettrodella multa sovrasta le torri imperiali. Dimenticavamoche l'altipiano selvaggio di Tahoi è lontano assai, che or-mai siamo prigionieri della civiltà millenaria dell'Estre-mo Oriente, aggravata dalla civiltà poliziesca dell'Estre-mo Occidente...

E per un momento abbiamo la sensazione che anchela vita selvaggia degli uomini nudi ha i suoi lati simpati-ci!

Un ponte unisce il quartiere europeo di Hué alla cittàindigena, un ponte di ferro stile «Torre Eiffel», rigido,barbarico, senza neppure una coppia di dragoni o di ele-fanti che allaccino comunque architettonicamente i due

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terra nuda ed affrontare le fiere, abbattono gli alberi, sfi-dano col petto forte, cotto dal sole, i venti e le pioggie,spaccano coi muscoli potenti l'ebano e la roccia, domi-nano su un fragile schifo di betulla le correnti gorgo-glianti del grande fiume popolato di coccodrilli.

Fra i Kas del Laos e le marionette sorridentidell'Annam non v'è nulla invece che rappresenti un trat-to qualsiasi d'unione: gli uni sono all'antitesi degli altri,troppo giovani i primi, irrimediabilmente vecchi i se-condi. Il salto è brusco, violento, paradossale. Si ha qua-si l'impressione che l'orizzonte si restringa, che fantasti-che quinte si precipitino a limitare le lontananze, chel'aria sia meno pura ed i polmoni meno liberi, che...

Un «sergent de ville» che ci aveva fatto segno con lamazza di diminuire la velocità fischia e rifischia furiosa-mente, richiamandoci al rispetto della legge. Lo spettrodella multa sovrasta le torri imperiali. Dimenticavamoche l'altipiano selvaggio di Tahoi è lontano assai, che or-mai siamo prigionieri della civiltà millenaria dell'Estre-mo Oriente, aggravata dalla civiltà poliziesca dell'Estre-mo Occidente...

E per un momento abbiamo la sensazione che anchela vita selvaggia degli uomini nudi ha i suoi lati simpati-ci!

Un ponte unisce il quartiere europeo di Hué alla cittàindigena, un ponte di ferro stile «Torre Eiffel», rigido,barbarico, senza neppure una coppia di dragoni o di ele-fanti che allaccino comunque architettonicamente i due

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mondi, la città imperiale delle pagode con la borgatadelle Sociétés de Commerce e dei Commissariats de Po-lìce.

L'acqua dell'Huong-giang, nella quale i palazzi mera-vigliosi degli imperatori dell'Annam specchiano le lorofacciate contorte e le loro cupole bizzarre, acqua regalecantata da tanti poeti, riprodotta sulle lacche e sulle gia-de da tanti artisti in un brivido indefinibile di trasparen-ze, è chiazzata d'olio, bruttata d'immondizie galleggian-ti, profanata dagli spurghi dei barconi e dai rifiuti deicantieri che ergono sul «fiume filosofico» le loro attrez-zature di acciaio ed i comignoli fumosi di cemento.

Sembra che i ricostruttori del quartiere europeo ab-biano fatto apposta a far brutto; hanno allineato proprioin faccia al blocco degli edifizi imperiali una serie di«hangars» coi tetti di ardesia a punta gotica, sui qualis'erge trionfante la tettoia vetrata del Mercato, hannomesso bene in vista un piccolo tempietto di zinco desti-nato alle minute occorrenze della povera umanità di pas-saggio, hanno approfittato del dorso piatto d'una casac-cia per tingerlo d'un terribile bleu-roi e spennellarci suin giallo-uovo la pubblicità di una fabbrica di saponi.

L'albergo del «Cavallo bianco», col candido corsierodipinto fra le due finestre di centro, commovente omag-gio d'un espatriato alle vecchie locande di Tolosa e diCarcassonne, ci accoglie sotto la pensilina provinciale divetro smerigliato. Il padrone marsigliese, ci riceve condignità spagnolesca ed una specie di «groom» si precipi-

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mondi, la città imperiale delle pagode con la borgatadelle Sociétés de Commerce e dei Commissariats de Po-lìce.

L'acqua dell'Huong-giang, nella quale i palazzi mera-vigliosi degli imperatori dell'Annam specchiano le lorofacciate contorte e le loro cupole bizzarre, acqua regalecantata da tanti poeti, riprodotta sulle lacche e sulle gia-de da tanti artisti in un brivido indefinibile di trasparen-ze, è chiazzata d'olio, bruttata d'immondizie galleggian-ti, profanata dagli spurghi dei barconi e dai rifiuti deicantieri che ergono sul «fiume filosofico» le loro attrez-zature di acciaio ed i comignoli fumosi di cemento.

Sembra che i ricostruttori del quartiere europeo ab-biano fatto apposta a far brutto; hanno allineato proprioin faccia al blocco degli edifizi imperiali una serie di«hangars» coi tetti di ardesia a punta gotica, sui qualis'erge trionfante la tettoia vetrata del Mercato, hannomesso bene in vista un piccolo tempietto di zinco desti-nato alle minute occorrenze della povera umanità di pas-saggio, hanno approfittato del dorso piatto d'una casac-cia per tingerlo d'un terribile bleu-roi e spennellarci suin giallo-uovo la pubblicità di una fabbrica di saponi.

L'albergo del «Cavallo bianco», col candido corsierodipinto fra le due finestre di centro, commovente omag-gio d'un espatriato alle vecchie locande di Tolosa e diCarcassonne, ci accoglie sotto la pensilina provinciale divetro smerigliato. Il padrone marsigliese, ci riceve condignità spagnolesca ed una specie di «groom» si precipi-

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Page 428: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

ta ad aprire le nostre portiere scardinate dai viottoli ru-pestri del Tahoi.

Ormai siamo ritornati nel mondo civile!

Hué, la vecchia capitale del Sud-Pacifico, è rimastasdegnosamente appartata dalla capitale moderna delProtettorato. Al di là del ponte barbarico un arco anna-mita di legno con le grandi corna inverosimili dipinted'azzurro segna il limite oltre il quale è proibito costrui-re senza un permesso speciale dell'imperatore che nonne accorda mai nessuno.

Una chiusa filtra l'acqua dell'Huong-giang che, torna-ta chiara oltre il ponte, riprende l'antico nome di «Fiumedei Profumi». Appena il viaggiatore s'inoltra nelle stra-dine quiete e pittoresche della città, è sedotto dal fàscinosottile che si sprigiona dalle pagode, dai giardini, dallevecchie case, dagli archi e dalle balaustre di legno dipin-to, dai ballatoi di porcellana, dai gruppi colorati dellagente che cammina con lentezza o si attarda a recitareun bruscolo di preghiera dinanzi alle nicchie.

Hué non fu costruita per sbalordire con templi monu-mentali e con palazzi chiassosi, ma per esprimere nellapietra una astrazione filosofica, per assicurare agli impe-ratori ed ai dirigenti un «ritiro» favorevole alle lunghemeditazioni ed alle sagge assemblee.

Lilla e girasoli orlano le sponde tranquille del fiume.L'acqua s'insinua quietamente fra i giardini, lambe levecchie muraglie merlate di draghi e tappezzate di mu-schi, fruscia lungo le scalinate delle pagode sulle quali

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ta ad aprire le nostre portiere scardinate dai viottoli ru-pestri del Tahoi.

Ormai siamo ritornati nel mondo civile!

Hué, la vecchia capitale del Sud-Pacifico, è rimastasdegnosamente appartata dalla capitale moderna delProtettorato. Al di là del ponte barbarico un arco anna-mita di legno con le grandi corna inverosimili dipinted'azzurro segna il limite oltre il quale è proibito costrui-re senza un permesso speciale dell'imperatore che nonne accorda mai nessuno.

Una chiusa filtra l'acqua dell'Huong-giang che, torna-ta chiara oltre il ponte, riprende l'antico nome di «Fiumedei Profumi». Appena il viaggiatore s'inoltra nelle stra-dine quiete e pittoresche della città, è sedotto dal fàscinosottile che si sprigiona dalle pagode, dai giardini, dallevecchie case, dagli archi e dalle balaustre di legno dipin-to, dai ballatoi di porcellana, dai gruppi colorati dellagente che cammina con lentezza o si attarda a recitareun bruscolo di preghiera dinanzi alle nicchie.

Hué non fu costruita per sbalordire con templi monu-mentali e con palazzi chiassosi, ma per esprimere nellapietra una astrazione filosofica, per assicurare agli impe-ratori ed ai dirigenti un «ritiro» favorevole alle lunghemeditazioni ed alle sagge assemblee.

Lilla e girasoli orlano le sponde tranquille del fiume.L'acqua s'insinua quietamente fra i giardini, lambe levecchie muraglie merlate di draghi e tappezzate di mu-schi, fruscia lungo le scalinate delle pagode sulle quali

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montano la guardia elefanti di granito e tigri di porfido,circonda i chioschi lillipuziani costruiti sugli scoglietti,riflette nei suoi infiniti specchi fuggenti la grazia degliarchi che sembrano fragili e dei padiglioni che paionoombrelli di carta, ma che stanno lì da parecchi secoli.Piccoli canali serpeggiano entro parchi misteriosi a ba-gnare tombe e mausolei od a formare microscopici la-ghetti vegliati da un Genio che sorride sotto un pinonano del Giappone.

Ogni tanto un seggio di granito invita il passante a se-dersi ed a meditare.

A differenza di tutte le altre capitali, la località fuscelta dai fondatori di Hué non per considerazioni di or-dine politico, strategico od economico, ma per ragioni dicarattere magico, come punto di concentramento delleinfluenze ancestrali dell'Annam. E quest'origine diremocosì spiritica della città è impressa nella fisonomia deisuoi quartieri ombrosi e tranquilli, nel raccoglimento deipalazzi che hanno l'aria di sdegnare la strada, che si ri-parano dal sole con molteplici ordini di tettoie e dallacuriosità dei passanti con muretti e paraventi di legno,nella pace degli annosi giardini dai viali invisibili, nellospesseggiar dei boschetti, nell'abbondanza delle pagode,degli altari, delle statue, delle pietre votive, nell'andareplacido e cogitabondo degli abitanti che paiono costan-temente assorti in gravi meditazioni, nel numero incre-dibile di tabernacoli dinanzi ai quali i fiori sempre rin-novati dalla pietà dei fedeli non hanno il tempo d'appas-sire.

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montano la guardia elefanti di granito e tigri di porfido,circonda i chioschi lillipuziani costruiti sugli scoglietti,riflette nei suoi infiniti specchi fuggenti la grazia degliarchi che sembrano fragili e dei padiglioni che paionoombrelli di carta, ma che stanno lì da parecchi secoli.Piccoli canali serpeggiano entro parchi misteriosi a ba-gnare tombe e mausolei od a formare microscopici la-ghetti vegliati da un Genio che sorride sotto un pinonano del Giappone.

Ogni tanto un seggio di granito invita il passante a se-dersi ed a meditare.

A differenza di tutte le altre capitali, la località fuscelta dai fondatori di Hué non per considerazioni di or-dine politico, strategico od economico, ma per ragioni dicarattere magico, come punto di concentramento delleinfluenze ancestrali dell'Annam. E quest'origine diremocosì spiritica della città è impressa nella fisonomia deisuoi quartieri ombrosi e tranquilli, nel raccoglimento deipalazzi che hanno l'aria di sdegnare la strada, che si ri-parano dal sole con molteplici ordini di tettoie e dallacuriosità dei passanti con muretti e paraventi di legno,nella pace degli annosi giardini dai viali invisibili, nellospesseggiar dei boschetti, nell'abbondanza delle pagode,degli altari, delle statue, delle pietre votive, nell'andareplacido e cogitabondo degli abitanti che paiono costan-temente assorti in gravi meditazioni, nel numero incre-dibile di tabernacoli dinanzi ai quali i fiori sempre rin-novati dalla pietà dei fedeli non hanno il tempo d'appas-sire.

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L'abbigliamento uniforme della gente minuta è comeil saio di una regola, mentre i paludamenti sfarzosi deimandarini, dei funzionari, dei soldati imperiali, degliscriba di Palazzo, dei mercanti facoltosi, si intonanosquisitamente a questo scenario di abbazia asiatica.L'atmosfera è satura d'incenso. Il linguaggio cantato de-gli abitanti fa pensare ad un continuo recitar di salmi perun ufficio perenne che dura quanto l'esistenza della raz-za; l'inchino facile e riverente ricorda l'abitudine deichierici a genuflettersi dinanzi a tutte le nicchie ed a tut-te le immagini; l'untuosa cerimoniosità dei pubblici uffi-ciali e dei mercanti ha un non so che di ecclesiastico cheevoca l'atmosfera degli ambienti romani di Curia. Ilcomplimento è a fior di labbra ed uno strano sorriso sti-ra gli angoli di tutte le bocche anche quando i volti vor-rebbero essere serii.

Uomini e donne vestono quasi identicamente d'unpantalone e d'una tunica che scende fino ai ginocchi. Icapelli lunghi sono rialzati a treccia sulla nuca e fermatida un pettine. Solo la forma del copricapo differenzia idue sessi, a paralume quello degli uomini, a pentolaquello delle donne. Freddi, sottili, ironici, naturalmentealieni dalla violenza e dal chiasso, apparentemente doci-li, gli annamiti si lasciano governare senza difficoltà, mail loro perenne sorriso è spesso un feroce sarcasmo difronte al quale l'osservatore rimane sconcertato.

In seguito al colpo di Stato del 1916 che culminò nelburlesco tentativo pangermanico di rivolta dell'impera-tore sedicenne Si-Fung, il trono dell'Annam è attual-

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L'abbigliamento uniforme della gente minuta è comeil saio di una regola, mentre i paludamenti sfarzosi deimandarini, dei funzionari, dei soldati imperiali, degliscriba di Palazzo, dei mercanti facoltosi, si intonanosquisitamente a questo scenario di abbazia asiatica.L'atmosfera è satura d'incenso. Il linguaggio cantato de-gli abitanti fa pensare ad un continuo recitar di salmi perun ufficio perenne che dura quanto l'esistenza della raz-za; l'inchino facile e riverente ricorda l'abitudine deichierici a genuflettersi dinanzi a tutte le nicchie ed a tut-te le immagini; l'untuosa cerimoniosità dei pubblici uffi-ciali e dei mercanti ha un non so che di ecclesiastico cheevoca l'atmosfera degli ambienti romani di Curia. Ilcomplimento è a fior di labbra ed uno strano sorriso sti-ra gli angoli di tutte le bocche anche quando i volti vor-rebbero essere serii.

Uomini e donne vestono quasi identicamente d'unpantalone e d'una tunica che scende fino ai ginocchi. Icapelli lunghi sono rialzati a treccia sulla nuca e fermatida un pettine. Solo la forma del copricapo differenzia idue sessi, a paralume quello degli uomini, a pentolaquello delle donne. Freddi, sottili, ironici, naturalmentealieni dalla violenza e dal chiasso, apparentemente doci-li, gli annamiti si lasciano governare senza difficoltà, mail loro perenne sorriso è spesso un feroce sarcasmo difronte al quale l'osservatore rimane sconcertato.

In seguito al colpo di Stato del 1916 che culminò nelburlesco tentativo pangermanico di rivolta dell'impera-tore sedicenne Si-Fung, il trono dell'Annam è attual-

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mente occupato dal principe Fung-Hoa, il quale, secon-do la consuetudine annamita, ha assunto il titolo di Kai-Din che significa «Era di progresso». Ammaestratodall'esperienza del re Sisovat del Camboge, mi sono benguardato dal chiedere al monarca dell'Annam una diquelle insipide udienze private che questi sovrani asiati-ci sogliono accordare ai giornalisti di passaggio, sotto ilcontrollo di un ufficiale superiore della Residenza, ba-nalissimi minuti di conversazione durante i quali non sisa chi sia più imbarazzato, se il grazioso sovrano od ilpovero giornalista che non sanno cosa dirsi e finisconoper parlare del cattivo tempo o di un monumento qual-siasi dei dintorni. Ho invece domandato di assistere aqualche cerimonia di Palazzo e spero di essere accon-tentato.

Nonostante l'onnipotenza della nazione protettrice, laquale non mette i guanti per esercitare il potere, il mo-narca è idolatrato dai suoi sudditi che vedono nella per-sona dell'imperatore il rappresentante del vecchio An-nam, il discendente dei grandi antenati che fecero pro-spero e glorioso l'impero. L'imperatore è il simbolo del-la razza. Il culto dei morti, fondamento della religioneannamita, unifica il rispetto pel sovrano regnante con lavenerazione dei monarchi divinizzati del passato.

L'autorità imperiale non è limitata nell'Annam da nes-suna legge scritta, ma l'assolutismo dell'autocrate è tem-perato in pratica dai doveri della dottrina confucista. Itesti sacri ed i precetti dei filosofi hanno forza di leggeanche pel sovrano, anzi egli deve dare l'esempio della

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mente occupato dal principe Fung-Hoa, il quale, secon-do la consuetudine annamita, ha assunto il titolo di Kai-Din che significa «Era di progresso». Ammaestratodall'esperienza del re Sisovat del Camboge, mi sono benguardato dal chiedere al monarca dell'Annam una diquelle insipide udienze private che questi sovrani asiati-ci sogliono accordare ai giornalisti di passaggio, sotto ilcontrollo di un ufficiale superiore della Residenza, ba-nalissimi minuti di conversazione durante i quali non sisa chi sia più imbarazzato, se il grazioso sovrano od ilpovero giornalista che non sanno cosa dirsi e finisconoper parlare del cattivo tempo o di un monumento qual-siasi dei dintorni. Ho invece domandato di assistere aqualche cerimonia di Palazzo e spero di essere accon-tentato.

Nonostante l'onnipotenza della nazione protettrice, laquale non mette i guanti per esercitare il potere, il mo-narca è idolatrato dai suoi sudditi che vedono nella per-sona dell'imperatore il rappresentante del vecchio An-nam, il discendente dei grandi antenati che fecero pro-spero e glorioso l'impero. L'imperatore è il simbolo del-la razza. Il culto dei morti, fondamento della religioneannamita, unifica il rispetto pel sovrano regnante con lavenerazione dei monarchi divinizzati del passato.

L'autorità imperiale non è limitata nell'Annam da nes-suna legge scritta, ma l'assolutismo dell'autocrate è tem-perato in pratica dai doveri della dottrina confucista. Itesti sacri ed i precetti dei filosofi hanno forza di leggeanche pel sovrano, anzi egli deve dare l'esempio della

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loro scrupolosa osservanza, altrimenti il popolo ha dirit-to di ribellarsi contro colui che, trasgredendo ai riti, ven-ne meno alla missione affidatagli dagli antenati! Quattroministri e due «letterati», che hanno il titolo di «colonnedell'impero», condividono col monarca le cure delloStato. Nove classi di mandarini formano l'impalcaturaburocratica e militare del regime. Le loro funzioni nonsono ereditarie, giacché l'Annam non ha come il Giap-pone una aristocrazia privilegiata. I titoli nobiliari siesauriscono alla terza discendenza se le persone che nesono insignite non eccellono per meriti politici, militario letterari. Qualunque figlio di villaggio può aspirarealla carica di «colonna dell'impero» e raggiungerla ge-rarchicamente, anzi, in pratica, il successo di una perso-na intelligente è più facile nell'Annam che nelle societàoccidentali, perchè assai minore è il numero delle circo-stanze occasionali che influiscono sulla riuscita di un in-dividuo.

La civiltà annamita ha raggiunto un equilibrio socialeche le comunità d'Occidente sono ben lungi dal possede-re. Base di essa è che ognuno è contento della propriasituazione, egli stesso ed i suoi antenati essendone i soliresponsabili! La propaganda bolscevica che riesce a tur-bare superficialmente anche la millenaria società cinese,non ha presa sullo spirito annamita. Il rispetto della leg-ge è profondamente radicato nella coscienza del popoloe si confonde con quello dell'autorità imperiale e delladivinità. L'uomo colto – il letterato – è circondato dallastima e dalla venerazione generale anche se povero od

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loro scrupolosa osservanza, altrimenti il popolo ha dirit-to di ribellarsi contro colui che, trasgredendo ai riti, ven-ne meno alla missione affidatagli dagli antenati! Quattroministri e due «letterati», che hanno il titolo di «colonnedell'impero», condividono col monarca le cure delloStato. Nove classi di mandarini formano l'impalcaturaburocratica e militare del regime. Le loro funzioni nonsono ereditarie, giacché l'Annam non ha come il Giap-pone una aristocrazia privilegiata. I titoli nobiliari siesauriscono alla terza discendenza se le persone che nesono insignite non eccellono per meriti politici, militario letterari. Qualunque figlio di villaggio può aspirarealla carica di «colonna dell'impero» e raggiungerla ge-rarchicamente, anzi, in pratica, il successo di una perso-na intelligente è più facile nell'Annam che nelle societàoccidentali, perchè assai minore è il numero delle circo-stanze occasionali che influiscono sulla riuscita di un in-dividuo.

La civiltà annamita ha raggiunto un equilibrio socialeche le comunità d'Occidente sono ben lungi dal possede-re. Base di essa è che ognuno è contento della propriasituazione, egli stesso ed i suoi antenati essendone i soliresponsabili! La propaganda bolscevica che riesce a tur-bare superficialmente anche la millenaria società cinese,non ha presa sullo spirito annamita. Il rispetto della leg-ge è profondamente radicato nella coscienza del popoloe si confonde con quello dell'autorità imperiale e delladivinità. L'uomo colto – il letterato – è circondato dallastima e dalla venerazione generale anche se povero od

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umile. Il padre è il capo naturale della famiglia e l'avoesercita un'autorità indiscussa sull'insiemi delle famigliediscendenti. L'imperatore essendo per diritto divino ilcapo di tutte le famiglie è naturalmente il capo del pae-se.

Le forme esteriori dell'autorità si confondono conl'autorità medesima. La presenza di un mandarino non ènecessaria in una cerimonia, bastano il suo parasole ed ilsuo palanchino per presenziarla. L'imperatore è presenteovunque sventola il labaro col Dragone. L'amministra-zione imparziale della giustizia, secondo i precetti deisaggi e gli ammaestramenti dei filosofi, è assicurata au-tomaticamente dal controllo del pubblico. Dieci reggi-menti sarebbero insufficienti a far rispettare un magi-strato che avesse perso la considerazione dei suoi ammi-nistrati. Suprema ambizione del re è di essere chiamato«saggio» dai suoi sudditi. La saggezza è per gli annamitiil culmine della perfezione umana.

Si capisce quindi come i rapporti fra il Residentefrancese ed il Sovrano non siano così facili come nelCamboge, data la necessità di conciliare le esigenze diuna amministrazione coloniale europea con l'osservanzascrupolosa dei riti e delle consuetudini secolari che fan-no parte del patrimonio spirituale del popolo e costitui-scono la sua Morale. Ogni qualvolta la Potenza occu-pante ha cercato di forzare la mano all'autorità imperialeè stata paralizzata da una tacita resistenza che si irrigidi-va spontaneamente dal Trono alle più lontane risaie.

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umile. Il padre è il capo naturale della famiglia e l'avoesercita un'autorità indiscussa sull'insiemi delle famigliediscendenti. L'imperatore essendo per diritto divino ilcapo di tutte le famiglie è naturalmente il capo del pae-se.

Le forme esteriori dell'autorità si confondono conl'autorità medesima. La presenza di un mandarino non ènecessaria in una cerimonia, bastano il suo parasole ed ilsuo palanchino per presenziarla. L'imperatore è presenteovunque sventola il labaro col Dragone. L'amministra-zione imparziale della giustizia, secondo i precetti deisaggi e gli ammaestramenti dei filosofi, è assicurata au-tomaticamente dal controllo del pubblico. Dieci reggi-menti sarebbero insufficienti a far rispettare un magi-strato che avesse perso la considerazione dei suoi ammi-nistrati. Suprema ambizione del re è di essere chiamato«saggio» dai suoi sudditi. La saggezza è per gli annamitiil culmine della perfezione umana.

Si capisce quindi come i rapporti fra il Residentefrancese ed il Sovrano non siano così facili come nelCamboge, data la necessità di conciliare le esigenze diuna amministrazione coloniale europea con l'osservanzascrupolosa dei riti e delle consuetudini secolari che fan-no parte del patrimonio spirituale del popolo e costitui-scono la sua Morale. Ogni qualvolta la Potenza occu-pante ha cercato di forzare la mano all'autorità imperialeè stata paralizzata da una tacita resistenza che si irrigidi-va spontaneamente dal Trono alle più lontane risaie.

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A Corte il cerimoniale è complicato e severissimo.L'entità di una scorta od il numero di parasoli che deveaccompagnare un dignitario assumono l'importanza diun fatto politico, in quanto hanno agli occhi della follaun significato tradizionale che non consente novità.Quando nelle grandi ricorrenze l'imperatore del Sud-Pacifico si presenta in pubblico dinanzi ai suoi sudditicon tutti gli attributi della sovranità, la venerazione po-polare assume una potenza impressionante. Il primo mi-nistro è parificato dinanzi all'imperatore all'ultimo fac-chino. La personalità del monarca sparisce nello splen-dore del Trono. In esso il popolo non vede nè un uomonè una dinastia, ma la Legge, cioè l'essenza dei secoliche furono e che hanno lasciato ai discendenti il retag-gio della loro saggezza.

Il sole volge al tramonto quando salgo i sette pianidorati della Pagoda di Confucio, su per una scaletta chesembra un merletto di legno che scricchiola dolcementead ogni gradino. La balaustra è levigata dal passaggiodei secoli. Il sudore di sei generazioni ha penetrato il le-gname, trasformandolo in una materia indefinibile cheha il colore della tartaruga. Ogni tanto un'apertura per-mette di gettare uno sguardo all'interno, nella penombramistica del grande tempio pavesato di vecchi stendardi.Una umanità piccina è accoccolata dinanzi agli altari edagli incensi.

A mano a mano che si sale, Hué scopre le sue bellez-ze ingemmate dal sole morente. Vista di lontano anche

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A Corte il cerimoniale è complicato e severissimo.L'entità di una scorta od il numero di parasoli che deveaccompagnare un dignitario assumono l'importanza diun fatto politico, in quanto hanno agli occhi della follaun significato tradizionale che non consente novità.Quando nelle grandi ricorrenze l'imperatore del Sud-Pacifico si presenta in pubblico dinanzi ai suoi sudditicon tutti gli attributi della sovranità, la venerazione po-polare assume una potenza impressionante. Il primo mi-nistro è parificato dinanzi all'imperatore all'ultimo fac-chino. La personalità del monarca sparisce nello splen-dore del Trono. In esso il popolo non vede nè un uomonè una dinastia, ma la Legge, cioè l'essenza dei secoliche furono e che hanno lasciato ai discendenti il retag-gio della loro saggezza.

Il sole volge al tramonto quando salgo i sette pianidorati della Pagoda di Confucio, su per una scaletta chesembra un merletto di legno che scricchiola dolcementead ogni gradino. La balaustra è levigata dal passaggiodei secoli. Il sudore di sei generazioni ha penetrato il le-gname, trasformandolo in una materia indefinibile cheha il colore della tartaruga. Ogni tanto un'apertura per-mette di gettare uno sguardo all'interno, nella penombramistica del grande tempio pavesato di vecchi stendardi.Una umanità piccina è accoccolata dinanzi agli altari edagli incensi.

A mano a mano che si sale, Hué scopre le sue bellez-ze ingemmate dal sole morente. Vista di lontano anche

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la ridicola Officina delle Acque, costruita da un architet-to del ventesimo secolo in stile «vecchio Annam» colcomignolo mascherato in torre cinese, sembra una verapagoda. L'occhio spazia sui giardini geometrici fioriti difrangipani, in mezzo ai quali i tetti di porcellana giallaod azzurra, disegnano macchie violenti, segue il serpeg-giamento dei merli e delle torri attraverso l'ammasso delfogliame, l'intreccio dei canali, la successione dei ponti;si sofferma sulle rotonde di maiolica lucente sormontateda un parasole di seta sotto il quale un Buddha è acco-vacciato nella posa uniforme millenaria; viola i miste-riosi cortili delle dimore principesche, gl'interni laccatidelle verande mandarine, abbraccia i cento archi chespezzano con la loro tinta gialla il verde dei prati, i chio-schi, i padiglioni, i laghetti, le vasche di porcellana, lefontane, le aiuole splendenti di fiori tropicali, tutto loscenario fantastico di Hué fino alla cintura degli stagniche chiudono la città morta in una cornice di putredine.

Nascosto da una cortina di boschetti, il quartiere eu-ropeo non riesce a turbare la poesia del quadro, uno fra ipiù suggestivi dell'Estremo Oriente. La collina del«Vento prezioso» sfumata dall'evaporazione delle palu-di, erge sulla pianura pazzamente verde del Nguèi-Biùla sua sagoma buffa a pan di zucchero, guarnita sul co-cuzzolo da un ciuffo di pini. Ho dinanzi agli occhi intutta la sua formidabile stranezza uno di quei paesaggiinverosimili che ornano i vassoi di lacca ed i paraventidi seta. L'atmosfera stessa è incerta, velata, acquosa,come negli smalti e nelle giade....

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la ridicola Officina delle Acque, costruita da un architet-to del ventesimo secolo in stile «vecchio Annam» colcomignolo mascherato in torre cinese, sembra una verapagoda. L'occhio spazia sui giardini geometrici fioriti difrangipani, in mezzo ai quali i tetti di porcellana giallaod azzurra, disegnano macchie violenti, segue il serpeg-giamento dei merli e delle torri attraverso l'ammasso delfogliame, l'intreccio dei canali, la successione dei ponti;si sofferma sulle rotonde di maiolica lucente sormontateda un parasole di seta sotto il quale un Buddha è acco-vacciato nella posa uniforme millenaria; viola i miste-riosi cortili delle dimore principesche, gl'interni laccatidelle verande mandarine, abbraccia i cento archi chespezzano con la loro tinta gialla il verde dei prati, i chio-schi, i padiglioni, i laghetti, le vasche di porcellana, lefontane, le aiuole splendenti di fiori tropicali, tutto loscenario fantastico di Hué fino alla cintura degli stagniche chiudono la città morta in una cornice di putredine.

Nascosto da una cortina di boschetti, il quartiere eu-ropeo non riesce a turbare la poesia del quadro, uno fra ipiù suggestivi dell'Estremo Oriente. La collina del«Vento prezioso» sfumata dall'evaporazione delle palu-di, erge sulla pianura pazzamente verde del Nguèi-Biùla sua sagoma buffa a pan di zucchero, guarnita sul co-cuzzolo da un ciuffo di pini. Ho dinanzi agli occhi intutta la sua formidabile stranezza uno di quei paesaggiinverosimili che ornano i vassoi di lacca ed i paraventidi seta. L'atmosfera stessa è incerta, velata, acquosa,come negli smalti e nelle giade....

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Un corteo di elefanti esce dalla porta della «VeritàSplendente» e si snoda sul nastro verde del «Ponte delCielo». L'acqua del «Fiume dei Profumi» travolge sottogli archi del ponte la gioielleria del tramonto. Una barcarisale la corrente. I «gong» delle pagode conversano nelsilenzio, musica di rombi ovattati, sotterranei, lontani,dialogo ancestrale dei secoli, sempre eguale dal primoall'ultimo re della dinastia...

Il vento agita i ventagli delle palme d'acqua che lista-no il fiume ed i canali fino al mare. L'oceano occupa lelontananze col suo infinito smeraldo.

Il nuovo Annam si sviluppa nei borghi del litorale enei quartieri industriosi di Turana, dove pullulano i cine-si e dove gli annamiti incominciano a perdere col rispet-to pel padre anche la morale profonda della razza, maHué conserva ancora inalterata la sua bellezza antica.Forse quando la linea ferroviaria attualmente in costru-zione, avrà allacciato la capitale ad Hanoi ed a Saigon,al Tonkino progressista ed alla Cocincina industriale,forse allora anche Hué morirà! Gli «alberghi-palace» er-geranno sul «Fiume Filosofico» le loro facciate preten-ziose di cemento e di stucco! Un volgare tram trascineràil suo stridore di ferraglia in mezzo al silenzio dei giar-dini! Forse! Chi può assicurarlo?

Il vecchio Annam possiede una straordinaria forza diresistenza. La sua stessa gente gracile e giallognola parfatta di sopravvissuti, razza che ormai non può più mori-re perchè è già morta da molti secoli. La civiltà modernascivola sullo spirito tradizionalista degli annamiti come

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Un corteo di elefanti esce dalla porta della «VeritàSplendente» e si snoda sul nastro verde del «Ponte delCielo». L'acqua del «Fiume dei Profumi» travolge sottogli archi del ponte la gioielleria del tramonto. Una barcarisale la corrente. I «gong» delle pagode conversano nelsilenzio, musica di rombi ovattati, sotterranei, lontani,dialogo ancestrale dei secoli, sempre eguale dal primoall'ultimo re della dinastia...

Il vento agita i ventagli delle palme d'acqua che lista-no il fiume ed i canali fino al mare. L'oceano occupa lelontananze col suo infinito smeraldo.

Il nuovo Annam si sviluppa nei borghi del litorale enei quartieri industriosi di Turana, dove pullulano i cine-si e dove gli annamiti incominciano a perdere col rispet-to pel padre anche la morale profonda della razza, maHué conserva ancora inalterata la sua bellezza antica.Forse quando la linea ferroviaria attualmente in costru-zione, avrà allacciato la capitale ad Hanoi ed a Saigon,al Tonkino progressista ed alla Cocincina industriale,forse allora anche Hué morirà! Gli «alberghi-palace» er-geranno sul «Fiume Filosofico» le loro facciate preten-ziose di cemento e di stucco! Un volgare tram trascineràil suo stridore di ferraglia in mezzo al silenzio dei giar-dini! Forse! Chi può assicurarlo?

Il vecchio Annam possiede una straordinaria forza diresistenza. La sua stessa gente gracile e giallognola parfatta di sopravvissuti, razza che ormai non può più mori-re perchè è già morta da molti secoli. La civiltà modernascivola sullo spirito tradizionalista degli annamiti come

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la mano su una superficie di avorio. Dotati di meravi-gliose capacità imitative gli indigeni ci copiano, ma re-stano «vecchio Annam». Mercanti della costa che paio-no arrabbiati busines-men occidentali chiudono un gior-no improvvisamente bottega e si ritirano a coltivare risa-ie. Funzionari educati nelle scuole francesi che paionopenetrati fin nelle midolla dallo spirito d'Occidente,giunto il momento della pensione riprendono la tunicadei padri.

Il futuro imperatore dell'Annam sta compiendo la suaeducazione a Parigi e la completerà a suo tempo nelleboites de Montmartre e al pesage di Deauville. Il esttout à fait parisien, assicurano i giornali di Francia. Sì,parigino, ma con gli occhi obliqui e con le guancie diporcellana. Ne ho conosciuti altri, a Biarritz, a Dinard,chez Maxim della Rue Royale, gialli europeizzati chesembravano definitivamente abituati ai costumi d'Occi-dente: li ho ritrovati in Cocincina, nel Camboge, nelbasso Laos, in fondo ad un vecchio palazzo, vestiti diseta e calzati di raso, irriconoscibili, «gialli» più chemai, intenti a scrivere col pennello sui lenzuoli di seta iprecetti di Confucio e le poesie leggendarie degli Yang!Anche al principe imperiale accadrà qualche cosa di si-mile quando la morte del padre lo richiamerà ad Hué percingervi la corona del Grande Dragone dai cinque arti-gli.

I francesi hanno creduto di rimediare alla loro man-canza di uomini con la così detta politique coloniale decollaboration. Non so quali risultati finali darà nell'Afri-

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la mano su una superficie di avorio. Dotati di meravi-gliose capacità imitative gli indigeni ci copiano, ma re-stano «vecchio Annam». Mercanti della costa che paio-no arrabbiati busines-men occidentali chiudono un gior-no improvvisamente bottega e si ritirano a coltivare risa-ie. Funzionari educati nelle scuole francesi che paionopenetrati fin nelle midolla dallo spirito d'Occidente,giunto il momento della pensione riprendono la tunicadei padri.

Il futuro imperatore dell'Annam sta compiendo la suaeducazione a Parigi e la completerà a suo tempo nelleboites de Montmartre e al pesage di Deauville. Il esttout à fait parisien, assicurano i giornali di Francia. Sì,parigino, ma con gli occhi obliqui e con le guancie diporcellana. Ne ho conosciuti altri, a Biarritz, a Dinard,chez Maxim della Rue Royale, gialli europeizzati chesembravano definitivamente abituati ai costumi d'Occi-dente: li ho ritrovati in Cocincina, nel Camboge, nelbasso Laos, in fondo ad un vecchio palazzo, vestiti diseta e calzati di raso, irriconoscibili, «gialli» più chemai, intenti a scrivere col pennello sui lenzuoli di seta iprecetti di Confucio e le poesie leggendarie degli Yang!Anche al principe imperiale accadrà qualche cosa di si-mile quando la morte del padre lo richiamerà ad Hué percingervi la corona del Grande Dragone dai cinque arti-gli.

I francesi hanno creduto di rimediare alla loro man-canza di uomini con la così detta politique coloniale decollaboration. Non so quali risultati finali darà nell'Afri-

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ca settentrionale ed occidentale, ma sono assolutamentepessimista. Quanto all'Indocina, si può dire fin d'ora chela dominazione francese non lascierà nessuna orma pro-fonda del suo passaggio. Ancora oggi la Francia non ha

compreso l'Indocina. Se domandate ad un annamita lasua opinione, ad un letterato o ad un mercante di terre-cotte, riceverete invariabilmente per risposta un sorriso,un terribile sorriso dell'Annam.

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Laos – Case indigene di un villaggio meticcio.

ca settentrionale ed occidentale, ma sono assolutamentepessimista. Quanto all'Indocina, si può dire fin d'ora chela dominazione francese non lascierà nessuna orma pro-fonda del suo passaggio. Ancora oggi la Francia non ha

compreso l'Indocina. Se domandate ad un annamita lasua opinione, ad un letterato o ad un mercante di terre-cotte, riceverete invariabilmente per risposta un sorriso,un terribile sorriso dell'Annam.

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Laos – Case indigene di un villaggio meticcio.

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— Voi rappresentate un grande pensiero di attività edi creazione: noi siamo un grande pensiero di medita-zione che si compiace nel raccoglimento delle cose mor-te. — Queste parole pronunziate dall'imperatore Kat-Din a Parigi durante un ricevimento del Presidente dellaRepubblica mi vengono spontanee alla mente, mentredall'alto del settimo tetto della Pagoda di Confucio con-templo la città imperiale pavesata delle porpore del tra-monto.

Le linee dei palazzi e le ombre dei giardini si stempe-rano nella gloria del sole. Qua e là una cupola di porcel-lana fiammeggia ed un arco bizzarro dipinto coi coloridell'arcobaleno incornicia lo smalto di un albero troppoverde.

La pianura dei morti domina colla moltitudine stermi-nata delle sue tombe anonime, il crepuscolo di Hué...

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— Voi rappresentate un grande pensiero di attività edi creazione: noi siamo un grande pensiero di medita-zione che si compiace nel raccoglimento delle cose mor-te. — Queste parole pronunziate dall'imperatore Kat-Din a Parigi durante un ricevimento del Presidente dellaRepubblica mi vengono spontanee alla mente, mentredall'alto del settimo tetto della Pagoda di Confucio con-templo la città imperiale pavesata delle porpore del tra-monto.

Le linee dei palazzi e le ombre dei giardini si stempe-rano nella gloria del sole. Qua e là una cupola di porcel-lana fiammeggia ed un arco bizzarro dipinto coi coloridell'arcobaleno incornicia lo smalto di un albero troppoverde.

La pianura dei morti domina colla moltitudine stermi-nata delle sue tombe anonime, il crepuscolo di Hué...

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COCINCINA – Sampan sul Mekong.

DELTA TONKINESE – Villaggio indigeno.

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COCINCINA – Sampan sul Mekong.

DELTA TONKINESE – Villaggio indigeno.

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La pianura dei morti

HUE', 26 agosto.

Talvolta il viaggiatore si trova di fronte a formidabilivisioni della Natura o dell'umanità che s'impongono dasole al suo spirito per la loro stessa potenza intrinseca,senza bisogno di alcuna preparazione. Lo spettacolosoggioga chi guarda e lo suggestiona. Altre volte, inve-ce, la visione ha linee meno grandiose o meno appari-scenti: allora sfugge all'osservatore frettoloso e distratto;riserva il suo fascino al viandante che si attarda a con-templarla, che è in grado di sentirne la poesia, che sa ap-prezzarne il significato storico od il valore umano, cheriesce per un momento ad immedesimarsi coi luoghi,coi tempi, con la coscienza oscura delle moltitudini.

La pianura dei Morti e degli Imperatori – immensoossario di molteplici generazioni e supremo altare di tut-ta una razza – può lasciare indifferente o commuovere.

L'occhio non basta, bisogna che anche l'anima veda!Chi non scorge che un macabro cimitero di plebi mise-rabili ed anonime, passi oltre: la pianura dei Morti diHué non è fatta per lui. Segua il consiglio delle Guide:

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La pianura dei morti

HUE', 26 agosto.

Talvolta il viaggiatore si trova di fronte a formidabilivisioni della Natura o dell'umanità che s'impongono dasole al suo spirito per la loro stessa potenza intrinseca,senza bisogno di alcuna preparazione. Lo spettacolosoggioga chi guarda e lo suggestiona. Altre volte, inve-ce, la visione ha linee meno grandiose o meno appari-scenti: allora sfugge all'osservatore frettoloso e distratto;riserva il suo fascino al viandante che si attarda a con-templarla, che è in grado di sentirne la poesia, che sa ap-prezzarne il significato storico od il valore umano, cheriesce per un momento ad immedesimarsi coi luoghi,coi tempi, con la coscienza oscura delle moltitudini.

La pianura dei Morti e degli Imperatori – immensoossario di molteplici generazioni e supremo altare di tut-ta una razza – può lasciare indifferente o commuovere.

L'occhio non basta, bisogna che anche l'anima veda!Chi non scorge che un macabro cimitero di plebi mise-rabili ed anonime, passi oltre: la pianura dei Morti diHué non è fatta per lui. Segua il consiglio delle Guide:

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si limiti a visitare in automobile le tombe di Gia-Long edi Ming-Mang che dormono il sonno eterno in un boscosecolare, in mezzo ad un triplice cerchio di elefanti, dicavalli e di mandarini di pietra. Accanto al mausoleo diGia-Long un vecchio Annamita di cartapecora che parlafrancese gli offrirà un sasso-ricordo ed un tazza di«scium-scium».

La sua coscienza di viaggiatore sarà così a posto! Tor-nato in patria potrà dire di aver visitato le tombe realidell'Annam e di aver assaggiato il beveraggio delle Om-bre.

Viste alla svelta, nel breve tempo che concede l'auto-carro del servizio turistico, le tombe degli imperatori delSud-Pacifico mi avevano fatto una prima volta poca im-pressione. Il chiacchierìo frizzante di una «parisienneen voyage d'agreement» fugava inesorabilmente le om-bre che sono i lari misteriosi di certi luoghi. Il cimiterom'era sembrato troppo vasto e troppo brullo, i mausoleitroppo civettuoli e pettegoli, l'erba troppo pettinata etroppo verde...

Abituato ai sepolcreti giganteschi dell'India, scolpitisuperbamente nelle montagne di granito, quasi per ob-bligare la natura medesima ad eternare col suo petrameimmutabile la fragilità dei grandi della terra che scom-paiono nella polvere, le tombe graziose dei monarchidell'Annam m'avevano lasciato freddo. Più che altrom'era parsa originale l'idea di quegli antichi sovranid'arredare l'interno dei loro sepolcri coi mobili che ave-

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si limiti a visitare in automobile le tombe di Gia-Long edi Ming-Mang che dormono il sonno eterno in un boscosecolare, in mezzo ad un triplice cerchio di elefanti, dicavalli e di mandarini di pietra. Accanto al mausoleo diGia-Long un vecchio Annamita di cartapecora che parlafrancese gli offrirà un sasso-ricordo ed un tazza di«scium-scium».

La sua coscienza di viaggiatore sarà così a posto! Tor-nato in patria potrà dire di aver visitato le tombe realidell'Annam e di aver assaggiato il beveraggio delle Om-bre.

Viste alla svelta, nel breve tempo che concede l'auto-carro del servizio turistico, le tombe degli imperatori delSud-Pacifico mi avevano fatto una prima volta poca im-pressione. Il chiacchierìo frizzante di una «parisienneen voyage d'agreement» fugava inesorabilmente le om-bre che sono i lari misteriosi di certi luoghi. Il cimiterom'era sembrato troppo vasto e troppo brullo, i mausoleitroppo civettuoli e pettegoli, l'erba troppo pettinata etroppo verde...

Abituato ai sepolcreti giganteschi dell'India, scolpitisuperbamente nelle montagne di granito, quasi per ob-bligare la natura medesima ad eternare col suo petrameimmutabile la fragilità dei grandi della terra che scom-paiono nella polvere, le tombe graziose dei monarchidell'Annam m'avevano lasciato freddo. Più che altrom'era parsa originale l'idea di quegli antichi sovranid'arredare l'interno dei loro sepolcri coi mobili che ave-

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Page 443: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

vano adoperato in vita e di far riprodurre in pietra intor-no alle tombe la scorta di elefanti, di cavalli e di manda-rini, alla quale ha diritto l'imperatore per non rimaneredopo morte troppo solo in mezzo agli alberi secolari edagli stagni putrescenti.

Ma tre settimane di soggiorno nell'Annam m'hannofatto comprendere il posto enorme che occupano i mortinell'esistenza dei vivi di questo paese la reale immortali-tà dei monarchi che continuano a regnare nel cuore deisudditi diversi secoli dopo la loro ultima partenza dalPalazzo. E la Pianura dei Morti e degli Imperatori hacessato di essere per me il bizzarro cimitero di un popo-lo che scherza con la morte: è diventata il più grandetempio dell'Annam, un tempio che ha per cupolal'immensità del firmamento e per cripta la cenere di die-ci generazioni, illuminato dal sole e dalle stelle, riscal-dato dalla fede perenne di tutto un popolo.

Benché il Buddismo sia la religione ufficialedell'Annam e le classi superiori ostentino di seguire iprecetti di Confucio, l'unica vera religione degli annami-ti è il culto degli antenati, l'adorazione dei morti, neiquali si perpetua di generazione in generazione la perso-nalità della razza. Tutto il resto è semplicemente «rito»,cerimoniale o costume, senza corrispondenza sentimen-tale nell'anima delle folle. I riti si confondono anzi conle Leggi e con gli ordinamenti sociali in modo che nonsi sa dove finisca la credenza e dove incominci la mora-le ed il regime politico. Solo il culto dei trapassati èrealmente radicato nella coscienza del popolo e su di

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vano adoperato in vita e di far riprodurre in pietra intor-no alle tombe la scorta di elefanti, di cavalli e di manda-rini, alla quale ha diritto l'imperatore per non rimaneredopo morte troppo solo in mezzo agli alberi secolari edagli stagni putrescenti.

Ma tre settimane di soggiorno nell'Annam m'hannofatto comprendere il posto enorme che occupano i mortinell'esistenza dei vivi di questo paese la reale immortali-tà dei monarchi che continuano a regnare nel cuore deisudditi diversi secoli dopo la loro ultima partenza dalPalazzo. E la Pianura dei Morti e degli Imperatori hacessato di essere per me il bizzarro cimitero di un popo-lo che scherza con la morte: è diventata il più grandetempio dell'Annam, un tempio che ha per cupolal'immensità del firmamento e per cripta la cenere di die-ci generazioni, illuminato dal sole e dalle stelle, riscal-dato dalla fede perenne di tutto un popolo.

Benché il Buddismo sia la religione ufficialedell'Annam e le classi superiori ostentino di seguire iprecetti di Confucio, l'unica vera religione degli annami-ti è il culto degli antenati, l'adorazione dei morti, neiquali si perpetua di generazione in generazione la perso-nalità della razza. Tutto il resto è semplicemente «rito»,cerimoniale o costume, senza corrispondenza sentimen-tale nell'anima delle folle. I riti si confondono anzi conle Leggi e con gli ordinamenti sociali in modo che nonsi sa dove finisca la credenza e dove incominci la mora-le ed il regime politico. Solo il culto dei trapassati èrealmente radicato nella coscienza del popolo e su di

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esso legislatori e filosofi hanno costruito i loro sistemiche reggono da secoli la vita pubblica e privatadell'Annam.

I Morti sono il passato, sono il presente e l'avvenire.Essi continuano a far parte della nazione, «esistono»,vagano in mezzo alle loro gioie ed ai loro dolori, aspet-tano di riprendere forma terrena in una esistenza anima-le od umana secondo il capriccio del Caso oppured'immedesimarsi in un oggetto fino a costituirne l'ele-mento essenziale, fino cioè a diventare quella misteriosae meravigliosa «anima» degli alberi, dell'acqua, dellepietre, delle tegole, del vento, della luce, che fa delmondo, per gli annamiti, un unico immenso Essere dinatura spirituale.

E la Pianura dei Morti nella quale noi non vediamoche tombe e mausolei più o meno indovinati ed artisticiè per le genti dell'Annam un fantastico Pantheon. Nonsolamente vi sono raccolti tutti gli spiriti della razza, mahanno una personalità ancestrale i medesimi alberi, leerbe, le pietre, la luce e l'atmosfera, perchè alberi ederbe sono alimentati dai succhi delle generazioni, perchèl'aria stessa e la luce sono soffi e luminosità usciti dagliocchi e dalle labbra dei trapassati. Quando un annamitadice di andare nella pianura per respirare i morti noinon possiamo capirlo. Perciò non possiamo comprende-re la sua Pianura. Essa non fa parte dei clichés degliscrittori che s'occupano dell'Indocina, ma tutto l'Annamè in quella sterminata distesa di tumuli sulla quale i se-

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esso legislatori e filosofi hanno costruito i loro sistemiche reggono da secoli la vita pubblica e privatadell'Annam.

I Morti sono il passato, sono il presente e l'avvenire.Essi continuano a far parte della nazione, «esistono»,vagano in mezzo alle loro gioie ed ai loro dolori, aspet-tano di riprendere forma terrena in una esistenza anima-le od umana secondo il capriccio del Caso oppured'immedesimarsi in un oggetto fino a costituirne l'ele-mento essenziale, fino cioè a diventare quella misteriosae meravigliosa «anima» degli alberi, dell'acqua, dellepietre, delle tegole, del vento, della luce, che fa delmondo, per gli annamiti, un unico immenso Essere dinatura spirituale.

E la Pianura dei Morti nella quale noi non vediamoche tombe e mausolei più o meno indovinati ed artisticiè per le genti dell'Annam un fantastico Pantheon. Nonsolamente vi sono raccolti tutti gli spiriti della razza, mahanno una personalità ancestrale i medesimi alberi, leerbe, le pietre, la luce e l'atmosfera, perchè alberi ederbe sono alimentati dai succhi delle generazioni, perchèl'aria stessa e la luce sono soffi e luminosità usciti dagliocchi e dalle labbra dei trapassati. Quando un annamitadice di andare nella pianura per respirare i morti noinon possiamo capirlo. Perciò non possiamo comprende-re la sua Pianura. Essa non fa parte dei clichés degliscrittori che s'occupano dell'Indocina, ma tutto l'Annamè in quella sterminata distesa di tumuli sulla quale i se-

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polcri degli imperatori ergono i loro bizzarri ombrelli diporcellana lucente.

Entrate in una casa annamita, sia essa ricca o povera,sia il palazzo dell'imperatore o la capanna dell'avventi-zio di risaia, sia l'abitazione di un indigeno che ha adot-tate le forme di vita europee o di un altro che è rimastofedele alla tunica dei padri, sempre la camera più bella ol'angolo migliore dell'unica stanza sono riservati agli an-tenati, all'altare dei morti, dinanzi al quale le ingenue of-ferte di fiori, di cibi, di tabacco, di giornali, attestano lafede dei vivi ed il rispetto dei discendenti.

«Finché il padre vive, egli dirige la casa: dopo la suamorte i figli debbono seguire scrupolosamente il suomodo di vivere ed astenersi almeno per tre anni dal mo-dificare anche le più insignificanti abitudini domesti-che».

In questo precetto di Confucio è tutta la psicologiadell'Annam. Esso fa della famiglia annamita una fortez-za che il tempo non smantella, che anzi i secoli rafforza-no; fa della società annamita una più grande famigliache ha per capo l'imperatore, nella quale l'ordine è facileperchè è naturalmente insito nella coscienza dei suoicomponenti.

È inutile tentare di comprendere questo vecchio po-polo, la sua arte, il suo regime politico, i suoi istituti so-ciali, la sua stessa evoluzione moderna, se non si tienecostantemente presente che agli occhi del paese non igiovani, ma i vecchi rappresentano la spina dorsale della

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polcri degli imperatori ergono i loro bizzarri ombrelli diporcellana lucente.

Entrate in una casa annamita, sia essa ricca o povera,sia il palazzo dell'imperatore o la capanna dell'avventi-zio di risaia, sia l'abitazione di un indigeno che ha adot-tate le forme di vita europee o di un altro che è rimastofedele alla tunica dei padri, sempre la camera più bella ol'angolo migliore dell'unica stanza sono riservati agli an-tenati, all'altare dei morti, dinanzi al quale le ingenue of-ferte di fiori, di cibi, di tabacco, di giornali, attestano lafede dei vivi ed il rispetto dei discendenti.

«Finché il padre vive, egli dirige la casa: dopo la suamorte i figli debbono seguire scrupolosamente il suomodo di vivere ed astenersi almeno per tre anni dal mo-dificare anche le più insignificanti abitudini domesti-che».

In questo precetto di Confucio è tutta la psicologiadell'Annam. Esso fa della famiglia annamita una fortez-za che il tempo non smantella, che anzi i secoli rafforza-no; fa della società annamita una più grande famigliache ha per capo l'imperatore, nella quale l'ordine è facileperchè è naturalmente insito nella coscienza dei suoicomponenti.

È inutile tentare di comprendere questo vecchio po-polo, la sua arte, il suo regime politico, i suoi istituti so-ciali, la sua stessa evoluzione moderna, se non si tienecostantemente presente che agli occhi del paese non igiovani, ma i vecchi rappresentano la spina dorsale della

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Page 446: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

razza. Lo spirito delle moltitudini è ritorto verso il piùlontano passato nel quale è concentrata la saggezza deisecoli. Perchè un annamita accetti in pieno la vita mo-derna, non solamente nelle forme esteriori, ma nella suaciviltà essenziale, deve rompere violentemente con lafamiglia e con la razza. Non lo fa. Coloro che in buonafede cercano laboriosamente di mettere d'accordo le esi-genze della evoluzione con le intransigenze della tradi-zione, finiscono coll'essere inesorabilmente sopraffattidall'impossibilità di conciliare due modi nettamente an-titetici di concepire la vita e l'umanità.

L'annamita che è dotato di straordinaria capacità diadattamento può imitare le forme della nostra esistenza,ma nel suo intimo resta «figlio dell'Annam». I secoli lotengono stretto nella loro morsa. Può adoperare unamacchina agricola, un motore a scoppio, un telefonocome noi, ma il suo spirito non riesce a considerare que-sti ordegni come semplici strumenti meccanici. Essihanno per lui un'anima, una loro misteriosa personalitàtrascendentale che fa parte dell'arcano del mondo. Nellaloro efficacia egli non vede la potenza del cervello uma-no che piega al suo volere le forze della Natura, ma ado-ra un riflesso dell'anima del mondo, del suo mondo an-namita. Mentre le gru sollevano dalle banchine i metallie le granaglie, e le calano nei boccaporti delle navi, ilbonzo annamita s'inchina al «Genio misterioso» dellamacchina. Il guidatore indigeno adora lo «spirito» dellasua locomotiva o della sua automobile e di fronte a unguasto il primo moto istintivo è una preghiera. Prima di

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razza. Lo spirito delle moltitudini è ritorto verso il piùlontano passato nel quale è concentrata la saggezza deisecoli. Perchè un annamita accetti in pieno la vita mo-derna, non solamente nelle forme esteriori, ma nella suaciviltà essenziale, deve rompere violentemente con lafamiglia e con la razza. Non lo fa. Coloro che in buonafede cercano laboriosamente di mettere d'accordo le esi-genze della evoluzione con le intransigenze della tradi-zione, finiscono coll'essere inesorabilmente sopraffattidall'impossibilità di conciliare due modi nettamente an-titetici di concepire la vita e l'umanità.

L'annamita che è dotato di straordinaria capacità diadattamento può imitare le forme della nostra esistenza,ma nel suo intimo resta «figlio dell'Annam». I secoli lotengono stretto nella loro morsa. Può adoperare unamacchina agricola, un motore a scoppio, un telefonocome noi, ma il suo spirito non riesce a considerare que-sti ordegni come semplici strumenti meccanici. Essihanno per lui un'anima, una loro misteriosa personalitàtrascendentale che fa parte dell'arcano del mondo. Nellaloro efficacia egli non vede la potenza del cervello uma-no che piega al suo volere le forze della Natura, ma ado-ra un riflesso dell'anima del mondo, del suo mondo an-namita. Mentre le gru sollevano dalle banchine i metallie le granaglie, e le calano nei boccaporti delle navi, ilbonzo annamita s'inchina al «Genio misterioso» dellamacchina. Il guidatore indigeno adora lo «spirito» dellasua locomotiva o della sua automobile e di fronte a unguasto il primo moto istintivo è una preghiera. Prima di

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mettersi al lavoro le operaie di un laboratorio brucianouna cartina d'incenso davanti alle macchine da cucire odai telai meccanici.

Quando un annamita rompe i ponti e salta risoluta-mente dall'altra parte, perde contemporaneamente la suamorale e la sua personalità etnica. Scompare il figliodell'Annam; resta un «giallo», miscredente e scaltro,senza la morale dei padri e senza la coscienza degli oc-cidentali, un essere ambiguo che i vizi assorbono rapi-damente nel loro risucchio, svalutandolo, o che la pro-paganda rivoluzionaria trasforma in un pericoloso ribel-le.

La superficialità e la caducità della dominazione fran-cese dipendono precisamente dal fatto che il «partito an-namita moderato» e la «politica coloniale di associazio-ne» non hanno fondamento nella coscienza del paese. Ifrancesi si rendono perfettamente conto di questo statodi cose che dà un carattere di fatalità alla perdita dellabella colonia. L'opinione pubblica è famigliarizzata conl'idea che «tôt ou tard il faudra quitter l'Indochine»! Lapolitica di associazione iniziata da Francis Garnier persopperire alla mancanza di coloni metropolitani ed in-tensificata in questi ultimi tempi da Albert Sarraut – l'exministro delle colonie, oggi ambasciatore e candidatoalla successione di Lyautey – lascia completamente in-differente la coscienza annamita. In genere gli indigeniche s'arricchiscono nei commerci, nell'agricoltura onell'industria, si dicono per opportunismo partigiani del-la «politique d'association», ma quando a fortuna fatta si

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mettersi al lavoro le operaie di un laboratorio brucianouna cartina d'incenso davanti alle macchine da cucire odai telai meccanici.

Quando un annamita rompe i ponti e salta risoluta-mente dall'altra parte, perde contemporaneamente la suamorale e la sua personalità etnica. Scompare il figliodell'Annam; resta un «giallo», miscredente e scaltro,senza la morale dei padri e senza la coscienza degli oc-cidentali, un essere ambiguo che i vizi assorbono rapi-damente nel loro risucchio, svalutandolo, o che la pro-paganda rivoluzionaria trasforma in un pericoloso ribel-le.

La superficialità e la caducità della dominazione fran-cese dipendono precisamente dal fatto che il «partito an-namita moderato» e la «politica coloniale di associazio-ne» non hanno fondamento nella coscienza del paese. Ifrancesi si rendono perfettamente conto di questo statodi cose che dà un carattere di fatalità alla perdita dellabella colonia. L'opinione pubblica è famigliarizzata conl'idea che «tôt ou tard il faudra quitter l'Indochine»! Lapolitica di associazione iniziata da Francis Garnier persopperire alla mancanza di coloni metropolitani ed in-tensificata in questi ultimi tempi da Albert Sarraut – l'exministro delle colonie, oggi ambasciatore e candidatoalla successione di Lyautey – lascia completamente in-differente la coscienza annamita. In genere gli indigeniche s'arricchiscono nei commerci, nell'agricoltura onell'industria, si dicono per opportunismo partigiani del-la «politique d'association», ma quando a fortuna fatta si

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ritirano dagli affari, ritornano «vecchio Annam». Coloroche non tornano più indietro entrano nella «avanguardiacostituzionale», pattuglione rivoluzionario che già chie-de puramente e semplicemente l'indipendenza politicadell'Annam.

Quel grande problema della collaborazione fra Occi-dente ed Oriente che giustamente appassiona la societàmoderna pel tragico contrasto fra il pensiero occidentalee le millenarie coscienze asiatiche, problema che in In-dia, in Cina e nel Giappone, si presenta confusamenteper la stessa vastità di quei paesi e per le innumerevoliinframmettenze politico-religiose che intorbidano la vi-sione centrale, si mostra nello stesso Annam terribil-mente chiaro nella sua semplicità.

L'Annam fa capire il Gandhi delle Indie! Qualunqueosservatore può constatare ad Hué l'abisso che separa ledue mentalità e misurare l'immensità del ponte che biso-gnerebbe gettare da una parte e dall'altra per permetterealle genti d'Oriente e d'Occidente d'incontrarsi. QuandoGandhi nella sua intransigenza di Apostolo nega alla ci-viltà occidentale il primato spirituale e ci contesta dirappresentare il progresso dell'umanità, la sua parola ècompresa non solo dagli indiani, ma anche dai persiani,dagli afgani, dai turkestani, dai cinesi, dagli annamiti,dai giapponesi, dagli indocinesi, da tutte le genti del va-sto continente, senza differenza di religione o di razza,dal Mediterraneo al Mar Giallo, dalle coste del Dekkana quelle della Corea... Ed in questa universalità dell'apo-stolato di Gandhi stanno la grandezza filosofica e la for-

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ritirano dagli affari, ritornano «vecchio Annam». Coloroche non tornano più indietro entrano nella «avanguardiacostituzionale», pattuglione rivoluzionario che già chie-de puramente e semplicemente l'indipendenza politicadell'Annam.

Quel grande problema della collaborazione fra Occi-dente ed Oriente che giustamente appassiona la societàmoderna pel tragico contrasto fra il pensiero occidentalee le millenarie coscienze asiatiche, problema che in In-dia, in Cina e nel Giappone, si presenta confusamenteper la stessa vastità di quei paesi e per le innumerevoliinframmettenze politico-religiose che intorbidano la vi-sione centrale, si mostra nello stesso Annam terribil-mente chiaro nella sua semplicità.

L'Annam fa capire il Gandhi delle Indie! Qualunqueosservatore può constatare ad Hué l'abisso che separa ledue mentalità e misurare l'immensità del ponte che biso-gnerebbe gettare da una parte e dall'altra per permetterealle genti d'Oriente e d'Occidente d'incontrarsi. QuandoGandhi nella sua intransigenza di Apostolo nega alla ci-viltà occidentale il primato spirituale e ci contesta dirappresentare il progresso dell'umanità, la sua parola ècompresa non solo dagli indiani, ma anche dai persiani,dagli afgani, dai turkestani, dai cinesi, dagli annamiti,dai giapponesi, dagli indocinesi, da tutte le genti del va-sto continente, senza differenza di religione o di razza,dal Mediterraneo al Mar Giallo, dalle coste del Dekkana quelle della Corea... Ed in questa universalità dell'apo-stolato di Gandhi stanno la grandezza filosofica e la for-

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za storica della sua predicazione che si vagliano meglioa mano a mano che ci si allontana dalla sua piccola casadi Calcutta!

La nostra civiltà proiettata nell'avvenire, sforzo pe-renne e quasi affannoso che tende a perfezionare le for-me esteriori dell'esistenza, a valorizzare la potenzialitàeconomica del globo, a generalizzare il benessere mate-riale, ad imprigionare le forze della Natura e svilupparela capacità di dominio dell'uomo, civiltà tipicamenteconquistatrice e fatalmente incontentabile, basatasull'emulazione dei singoli e delle razze, sulla bellezzadella lotta e sulla voluttà della vittoria, fatta di velocità edi ardimento, di superbia e di desiderii costantementeinappagati, operosa, tumultuante, temeraria, sembra ad-dirittura una crisi di epilessia barbarica alle genti asiati-che per le quali ogni battaglia è uno sterile sforzo edogni conquista un ridicolo buco nell'acqua, giacché lavita umana non solamente non è un fine, ma una sempli-ce vicenda accidentale di quello «spirito del mondo», il«Tao» di Lao-Tzé, che è nell'uomo come nell'acqua,nell'erba come nel fuoco, nei rifiuti come nella quintes-senza di Dio!

Come possono questi popoli concepire allo stessomodo di noi la vita degli individui e delle nazioni, sesono profondamente convinti che le civiltà umane sononate perfette essendo di natura divina ed hanno avutonel ciclo già passato il loro periodo migliore? Noi dicia-mo: avanti, sempre più avanti; in alto, sempre più inalto! Essi dicono: indietro, sempre più indietro! Per essi

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za storica della sua predicazione che si vagliano meglioa mano a mano che ci si allontana dalla sua piccola casadi Calcutta!

La nostra civiltà proiettata nell'avvenire, sforzo pe-renne e quasi affannoso che tende a perfezionare le for-me esteriori dell'esistenza, a valorizzare la potenzialitàeconomica del globo, a generalizzare il benessere mate-riale, ad imprigionare le forze della Natura e svilupparela capacità di dominio dell'uomo, civiltà tipicamenteconquistatrice e fatalmente incontentabile, basatasull'emulazione dei singoli e delle razze, sulla bellezzadella lotta e sulla voluttà della vittoria, fatta di velocità edi ardimento, di superbia e di desiderii costantementeinappagati, operosa, tumultuante, temeraria, sembra ad-dirittura una crisi di epilessia barbarica alle genti asiati-che per le quali ogni battaglia è uno sterile sforzo edogni conquista un ridicolo buco nell'acqua, giacché lavita umana non solamente non è un fine, ma una sempli-ce vicenda accidentale di quello «spirito del mondo», il«Tao» di Lao-Tzé, che è nell'uomo come nell'acqua,nell'erba come nel fuoco, nei rifiuti come nella quintes-senza di Dio!

Come possono questi popoli concepire allo stessomodo di noi la vita degli individui e delle nazioni, sesono profondamente convinti che le civiltà umane sononate perfette essendo di natura divina ed hanno avutonel ciclo già passato il loro periodo migliore? Noi dicia-mo: avanti, sempre più avanti; in alto, sempre più inalto! Essi dicono: indietro, sempre più indietro! Per essi

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ogni nuova generazione rappresenta un fatale regresso etutti gli sforzi debbono tendere all'immobilità per ritar-dare l'ineluttabile.

I morti sono tutto. Il passato è divinizzato fino al pun-to di confondersi con Dio e spesso di superarlo. L'uma-nità avviata verso la decadenza e la perdizione è tratte-nuta sulla voragine dalla catena dei morti che hanno pie-tà dei discendenti.

Persuaso di questo l'annamita non ha paura della mor-te, anzi, si preoccupa in vita del suo sepolcro e deglionori postumi che gli tributerà la famiglia. Sovente il fe-retro è già in casa, dono gradito che i figli fanno al pa-dre, l'amico all'amico intimo, la donna amata all'idolodel suo cuore. La morte, semplice cambiamento di con-dizione, non spaventa. L'anima continuerà più spedita ilsuo cammino verso le serenità supreme, aiutata dallepreghiere e dalle cure di coloro che rimangono. I funera-li sono senza tristezza, tranquilli cortei che accompagna-no un partente alla stazione. Il dolore trova immediatoconforto nel culto. La morte non toglie all'amore cheuna forma. La morte non distrugge! La morte non è nul-la...

Ed ecco che la civiltà annamita mostra la sua realeimmagine, di fronte alla quale il nostro spirito rimaneperplesso...

Posto un limite all'incontentabile desiderio umanoche è la fonte di tutte le infelicità, la saggezza annamitaaveva fabbricato la felicità relativa. L'individuo devecontentarsi in vita della sua sorte, anche se meschina,

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ogni nuova generazione rappresenta un fatale regresso etutti gli sforzi debbono tendere all'immobilità per ritar-dare l'ineluttabile.

I morti sono tutto. Il passato è divinizzato fino al pun-to di confondersi con Dio e spesso di superarlo. L'uma-nità avviata verso la decadenza e la perdizione è tratte-nuta sulla voragine dalla catena dei morti che hanno pie-tà dei discendenti.

Persuaso di questo l'annamita non ha paura della mor-te, anzi, si preoccupa in vita del suo sepolcro e deglionori postumi che gli tributerà la famiglia. Sovente il fe-retro è già in casa, dono gradito che i figli fanno al pa-dre, l'amico all'amico intimo, la donna amata all'idolodel suo cuore. La morte, semplice cambiamento di con-dizione, non spaventa. L'anima continuerà più spedita ilsuo cammino verso le serenità supreme, aiutata dallepreghiere e dalle cure di coloro che rimangono. I funera-li sono senza tristezza, tranquilli cortei che accompagna-no un partente alla stazione. Il dolore trova immediatoconforto nel culto. La morte non toglie all'amore cheuna forma. La morte non distrugge! La morte non è nul-la...

Ed ecco che la civiltà annamita mostra la sua realeimmagine, di fronte alla quale il nostro spirito rimaneperplesso...

Posto un limite all'incontentabile desiderio umanoche è la fonte di tutte le infelicità, la saggezza annamitaaveva fabbricato la felicità relativa. L'individuo devecontentarsi in vita della sua sorte, anche se meschina,

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perchè unici responsabili ne sono i suoi diretti ascenden-ti, cioè egli stesso! Quanto ai soli irrimediabili doloridella vita, cioè agli strappi causati dalla morte nella fa-miglia e negli affetti, essi sono senza asprezza per laprofonda persuasione che i defunti continuano a vivereinvisibili dentro le pareti domestiche in mezzo ai super-stiti.

Così si avvicendavano le generazioni e scorrevano isecoli...

Il sorriso si stereotipava sulle labbra dei Buddha edelle genti.

Oggi la civiltà occidentale è venuta a turbare coi suoiterribili interrogativi e coi suoi pungenti bisogni la pacesecolare di una razza che aveva risolto con un compro-messo la tragedia dell'esistenza.

Quando un viaggiatore è arrivato ad avere la sensa-zione di ciò che è la morte per un annamita e di ciò che imorti rappresentano per lui, allora può visitare la Pianu-ra dei Morti e degli Imperatori. Comprenderà.

Vada solo, senza guide, senza compagni. Scelgal'agonia del giorno, meglio ancora l'avanzato crepuscoloquando arrivano d'ogni parte le ombre. Cammini a casoattraverso l'immensa pianura seminata di tombe tutteeguali ed anonime, in mezzo ai viottoli che hanno perbordatura i secoli scomparsi. Il mausoleo dell'imperato-re Tu-Duc che domina la necropoli lo inviterà a riposar-si su una panca, ad accendere una sigaretta, ad ascoltare

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perchè unici responsabili ne sono i suoi diretti ascenden-ti, cioè egli stesso! Quanto ai soli irrimediabili doloridella vita, cioè agli strappi causati dalla morte nella fa-miglia e negli affetti, essi sono senza asprezza per laprofonda persuasione che i defunti continuano a vivereinvisibili dentro le pareti domestiche in mezzo ai super-stiti.

Così si avvicendavano le generazioni e scorrevano isecoli...

Il sorriso si stereotipava sulle labbra dei Buddha edelle genti.

Oggi la civiltà occidentale è venuta a turbare coi suoiterribili interrogativi e coi suoi pungenti bisogni la pacesecolare di una razza che aveva risolto con un compro-messo la tragedia dell'esistenza.

Quando un viaggiatore è arrivato ad avere la sensa-zione di ciò che è la morte per un annamita e di ciò che imorti rappresentano per lui, allora può visitare la Pianu-ra dei Morti e degli Imperatori. Comprenderà.

Vada solo, senza guide, senza compagni. Scelgal'agonia del giorno, meglio ancora l'avanzato crepuscoloquando arrivano d'ogni parte le ombre. Cammini a casoattraverso l'immensa pianura seminata di tombe tutteeguali ed anonime, in mezzo ai viottoli che hanno perbordatura i secoli scomparsi. Il mausoleo dell'imperato-re Tu-Duc che domina la necropoli lo inviterà a riposar-si su una panca, ad accendere una sigaretta, ad ascoltare

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il sussurro dei venti dell'Annam che giuocano coi salicie coi frangipane in fiore...

Le nostre cappelle mortuarie, austere, fredde, marmo-ree, cogli emblemi visibili dell'annientamento e dellostrazio, colla brutale documentazione della fralezzaumana, non hanno nulla a che vedere con questi recintigraziosi che sono solamente l'ultima abitazione di unmonarca. La spoglia mortale non è chiusa come da noiin un sarcofago che diventa col tempo la macabra pri-gione di poche ossa miserabili, ma è sepolta senza fere-tro e senza sudario a contatto della terra, in un puntoqualsiasi che non è indicato da nessun segno particolaree che finisce per essere dimenticato anche dagli intimi.Chi ha amato una forma non può evocare un pugnod'ossame. La forma amata si diluisce nel verde delleerbe e nelle tinte dei fiori.

Che cos'è in fondo il mausoleo di Tu-Duc? Un giardi-no fiorito, due rivi d'acqua corrente che si scapriccianoin fontanine e cascatelle, un grande stagno addormenta-to ricamato dai fiori di loto ed ombreggiato dai salici,tre chioschi di mattone, tre tetti lucenti di porcellana,qualche arco di legno dipinto, qualche panca, molta om-bra, pace e frescura.

In uno dei chioschi è il letto imperiale di sandalo ros-so, il suo, nel quale egli dormì. C'è la stuoia di cui si ser-viva e vi sono le pantofole messe di sghembo, pronteper essere calzate. Ogni mattina una mano pia rinnovasul tavolo di lacca il tè, il riso, la bevanda profumata di«scium-scium» la pipa, il tabacco, le foglie di betel.

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il sussurro dei venti dell'Annam che giuocano coi salicie coi frangipane in fiore...

Le nostre cappelle mortuarie, austere, fredde, marmo-ree, cogli emblemi visibili dell'annientamento e dellostrazio, colla brutale documentazione della fralezzaumana, non hanno nulla a che vedere con questi recintigraziosi che sono solamente l'ultima abitazione di unmonarca. La spoglia mortale non è chiusa come da noiin un sarcofago che diventa col tempo la macabra pri-gione di poche ossa miserabili, ma è sepolta senza fere-tro e senza sudario a contatto della terra, in un puntoqualsiasi che non è indicato da nessun segno particolaree che finisce per essere dimenticato anche dagli intimi.Chi ha amato una forma non può evocare un pugnod'ossame. La forma amata si diluisce nel verde delleerbe e nelle tinte dei fiori.

Che cos'è in fondo il mausoleo di Tu-Duc? Un giardi-no fiorito, due rivi d'acqua corrente che si scapriccianoin fontanine e cascatelle, un grande stagno addormenta-to ricamato dai fiori di loto ed ombreggiato dai salici,tre chioschi di mattone, tre tetti lucenti di porcellana,qualche arco di legno dipinto, qualche panca, molta om-bra, pace e frescura.

In uno dei chioschi è il letto imperiale di sandalo ros-so, il suo, nel quale egli dormì. C'è la stuoia di cui si ser-viva e vi sono le pantofole messe di sghembo, pronteper essere calzate. Ogni mattina una mano pia rinnovasul tavolo di lacca il tè, il riso, la bevanda profumata di«scium-scium» la pipa, il tabacco, le foglie di betel.

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All'intorno sono raccolti gli oggetti che egli adoperò epredilesse in vita, i suoi abiti, i suoi gioielli, le sue armi,i suoi scrigni, i suoi libri: in un angolo i parasoli, in unaltro i ventagli: su un vassoio le collane d'ambra e le co-roncine di giada che egli maneggiava, in un cofano ilpennello per scrivere, i vasetti degli inchiostri, un rotolodi carta di riso con le sue ultime righe interrotte dallamorte.

Tutto fu costruito mentre egli era vivo e sovente ilmonarca veniva a leggere, fumare od amare, doveavrebbe «vissuto» dopo morto pei secoli ed i millennii.È lui che ha fatto erigere qua e là nel giardino questi ar-chi di legno dipinto ornati di porcellane che non hannoragione di esistere. Egli li volle allora per incorniciareun ciuffo di alberi che gli piacevano, per isolare un rose-to che prediligeva. Ora gli alberi sono cresciuti, il rosetoè scomparso, ma gli archi restano. Ogni tanto il vento nebutta giù qualcuno e la mano pia d'un discendente lorialza. Restano da secoli e resteranno per altri secoli,finché durerà la fede, come tante altre cose inutilidell'Annam. Così era, così deve essere!

I tre chioschi hanno un nome: la casa dei Genii, lacasa dei Ricordi, la casa dell'Anima. In quest'ultima èl'altare supremo sul quale è conservato in uno scrignoprezioso il fazzoletto di seta che un dignitario posò almomento della morte sulle labbra imperiali raccoglien-done l'ultimo soffio, la vita che se n'andava.

Nel grande cortile prospiciente ai tre templi la scortaè pronta: aspetta: è di granito, coi mandarini, i parasoli,

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All'intorno sono raccolti gli oggetti che egli adoperò epredilesse in vita, i suoi abiti, i suoi gioielli, le sue armi,i suoi scrigni, i suoi libri: in un angolo i parasoli, in unaltro i ventagli: su un vassoio le collane d'ambra e le co-roncine di giada che egli maneggiava, in un cofano ilpennello per scrivere, i vasetti degli inchiostri, un rotolodi carta di riso con le sue ultime righe interrotte dallamorte.

Tutto fu costruito mentre egli era vivo e sovente ilmonarca veniva a leggere, fumare od amare, doveavrebbe «vissuto» dopo morto pei secoli ed i millennii.È lui che ha fatto erigere qua e là nel giardino questi ar-chi di legno dipinto ornati di porcellane che non hannoragione di esistere. Egli li volle allora per incorniciareun ciuffo di alberi che gli piacevano, per isolare un rose-to che prediligeva. Ora gli alberi sono cresciuti, il rosetoè scomparso, ma gli archi restano. Ogni tanto il vento nebutta giù qualcuno e la mano pia d'un discendente lorialza. Restano da secoli e resteranno per altri secoli,finché durerà la fede, come tante altre cose inutilidell'Annam. Così era, così deve essere!

I tre chioschi hanno un nome: la casa dei Genii, lacasa dei Ricordi, la casa dell'Anima. In quest'ultima èl'altare supremo sul quale è conservato in uno scrignoprezioso il fazzoletto di seta che un dignitario posò almomento della morte sulle labbra imperiali raccoglien-done l'ultimo soffio, la vita che se n'andava.

Nel grande cortile prospiciente ai tre templi la scortaè pronta: aspetta: è di granito, coi mandarini, i parasoli,

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gli elefanti ed i cavalli, in regola col rito e col cerimo-niale. Gli uomini sono rivolti verso il chiosco dove eglidorme e donde può uscire, gli animali verso il Palazzodonde venne l'ultima volta e dove potrebbe tornare. Glispiriti degli esseri rappresentati abitano le forme di sas-so.

Ciò che si dice per l'imperatore vale per tutti i milionie milioni di morti sepolti nella pianura. La grandezza ela bellezza del recinto variano secondo il rango e la con-dizione sociale, ma tutti hanno il tè, il riso, le foglie dibetel, gli oggetti che ebbero cari, i segni d'una pietà chenon si spegne perchè è il fuoco stesso della razza.

Allorché il sole morente ha ritirato dalla pianura ilsuo grande bacio d'oro, e le ombre escono dagli stagnilungo il filo delle canne tremanti a velare la moltitudinedei sepolcri, il grande altare dell'Annam si popola dilampioni camminanti. I vivi vengono a trovare i morti.

Due sposini annamiti entrano tenendosi per mano nelrecinto di Tu-Duc, s'inchinano dinanzi alla Casadell'Anima, sfogliano un mazzetto di fiori sulla soglia,poi si seggono su un banco a sorridersi ed a baciarsi.

Altri gruppi di amanti, di famiglie a passeggio, diamici usciti per prendere una boccata d'aria, si sparpa-gliano attraverso la pianura delle tombe e dei mausolei,lungo i viottoli innumerevoli che indicano l'avvicendarsidelle generazioni. Nessuno fa caso ai cortei funebri chevanno per le loro strade ad aggiungere un'altra piccolacosa senza vita alle infinite altre.

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gli elefanti ed i cavalli, in regola col rito e col cerimo-niale. Gli uomini sono rivolti verso il chiosco dove eglidorme e donde può uscire, gli animali verso il Palazzodonde venne l'ultima volta e dove potrebbe tornare. Glispiriti degli esseri rappresentati abitano le forme di sas-so.

Ciò che si dice per l'imperatore vale per tutti i milionie milioni di morti sepolti nella pianura. La grandezza ela bellezza del recinto variano secondo il rango e la con-dizione sociale, ma tutti hanno il tè, il riso, le foglie dibetel, gli oggetti che ebbero cari, i segni d'una pietà chenon si spegne perchè è il fuoco stesso della razza.

Allorché il sole morente ha ritirato dalla pianura ilsuo grande bacio d'oro, e le ombre escono dagli stagnilungo il filo delle canne tremanti a velare la moltitudinedei sepolcri, il grande altare dell'Annam si popola dilampioni camminanti. I vivi vengono a trovare i morti.

Due sposini annamiti entrano tenendosi per mano nelrecinto di Tu-Duc, s'inchinano dinanzi alla Casadell'Anima, sfogliano un mazzetto di fiori sulla soglia,poi si seggono su un banco a sorridersi ed a baciarsi.

Altri gruppi di amanti, di famiglie a passeggio, diamici usciti per prendere una boccata d'aria, si sparpa-gliano attraverso la pianura delle tombe e dei mausolei,lungo i viottoli innumerevoli che indicano l'avvicendarsidelle generazioni. Nessuno fa caso ai cortei funebri chevanno per le loro strade ad aggiungere un'altra piccolacosa senza vita alle infinite altre.

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Gli alberi, i fiori, le aiuole, i cespugli si empiono difuochi fatui e di fiammelle follette. Le luccioledell'Estremo Oriente aggiungono i loro guizzi. I lampio-ni di carta e di seta che ardono accanto ai tumuli dondo-lano al vento. Nessuno prega ma una immensa preghierasale dalla terra verso l'Infinito.

E con la tacita preghiera salgono i vapori degli stagni,simili ad un leggerissimo incenso. Empiono la pianura,confondono i sepolcri imperiali col tritume delle genera-zioni, attenuano le luci, sfumano i contorni, nascondonola città ed i suoi palazzi, il fiume ed i suoi ponti, il cimi-tero e le sue genti.

La visione si spegne in un grande velario. E si sento-no le Ombre.

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Gli alberi, i fiori, le aiuole, i cespugli si empiono difuochi fatui e di fiammelle follette. Le luccioledell'Estremo Oriente aggiungono i loro guizzi. I lampio-ni di carta e di seta che ardono accanto ai tumuli dondo-lano al vento. Nessuno prega ma una immensa preghierasale dalla terra verso l'Infinito.

E con la tacita preghiera salgono i vapori degli stagni,simili ad un leggerissimo incenso. Empiono la pianura,confondono i sepolcri imperiali col tritume delle genera-zioni, attenuano le luci, sfumano i contorni, nascondonola città ed i suoi palazzi, il fiume ed i suoi ponti, il cimi-tero e le sue genti.

La visione si spegne in un grande velario. E si sento-no le Ombre.

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Grandezza e miseria di unImperatore d'Asia

HUE', 3 settembre.

L'imperatore del Sud Pacifico è uscito in gran pompadal Palazzo degli antenati per recarsi alla Pagoda diConfucio.

I cannoni francesi hanno annunziato con ventun salveequidistanti la partenza del corteo. Il lampeggiamentodei colpi si è perso nell'abbagliante luminosità del matti-no.

Ora i «gong» delle pagode che rombano con vellutatadolcezza, comunicano alla moltitudine che comprende illoro recondito linguaggio le fasi della cerimonia.

— Sono uscite le Colonne del Trono!— Il primo mandarino è passato sotto l'arco della Vit-

toria Splendente!— Il Figlio del Cielo è salito sull'elefante bianco

dell'Annam.

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Grandezza e miseria di unImperatore d'Asia

HUE', 3 settembre.

L'imperatore del Sud Pacifico è uscito in gran pompadal Palazzo degli antenati per recarsi alla Pagoda diConfucio.

I cannoni francesi hanno annunziato con ventun salveequidistanti la partenza del corteo. Il lampeggiamentodei colpi si è perso nell'abbagliante luminosità del matti-no.

Ora i «gong» delle pagode che rombano con vellutatadolcezza, comunicano alla moltitudine che comprende illoro recondito linguaggio le fasi della cerimonia.

— Sono uscite le Colonne del Trono!— Il primo mandarino è passato sotto l'arco della Vit-

toria Splendente!— Il Figlio del Cielo è salito sull'elefante bianco

dell'Annam.

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La folla sa, la folla capisce. Noi vediamo solo unamoltitudine che aspetta e quando vedremo spuntarel'avanguardia del corteo diremo semplicemente:

— L'imperatore è qui!La folla accompagna invece con lo spirito l'itinerario

della processione imperiale: sa quanti minuti intercorro-no fra un arco ed un altro, fra il ponte e la piazza, fra lapagoda del grande Buddha ed il tempio dei Genii: quan-ti inchini spettano a questa nicchia ed a quella statua,quante volte l'elefante bianco deve fermarsi prima digiungere dinanzi alla Pagoda delle Pagode. Tutto è rego-lato nei più minuti particolari da un rito preciso. E lafolla è al corrente del cerimoniale quanto i più espertimaggiordomi del Palazzo. Forse lo spettatore annamitanon sa leggere, forse non saprebbe dire con precisione lasua età, ma sa che il giorno del Dragone l'imperatore hadiritto a duecento sessanta parasoli e venti elefanti, chetredici baldacchini debbono seguire la lettiga imperiale,che nel terzo carro le ballerine sono dodici e nel quintoil Grande Bonzo è circondato da sedici accoliti coi turi-boli, che il manto del re è quello dell'imperatore guerrie-ro Già-Long mentre la mitra è quella dell'imperatore let-terato Mihn-Mang.

Quando il sovrano vuol comunicar qualche cosa alsuo popolo – un ordine, un avviso, un incoraggiamento– non ha bisogno di chiedere il permesso al rappresen-tante della Francia. Basta che durante il corteo sia omes-sa una fermata o che siano raddoppiate le riverenze di-nanzi ad un determinato simulacro perchè la moltitudine

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La folla sa, la folla capisce. Noi vediamo solo unamoltitudine che aspetta e quando vedremo spuntarel'avanguardia del corteo diremo semplicemente:

— L'imperatore è qui!La folla accompagna invece con lo spirito l'itinerario

della processione imperiale: sa quanti minuti intercorro-no fra un arco ed un altro, fra il ponte e la piazza, fra lapagoda del grande Buddha ed il tempio dei Genii: quan-ti inchini spettano a questa nicchia ed a quella statua,quante volte l'elefante bianco deve fermarsi prima digiungere dinanzi alla Pagoda delle Pagode. Tutto è rego-lato nei più minuti particolari da un rito preciso. E lafolla è al corrente del cerimoniale quanto i più espertimaggiordomi del Palazzo. Forse lo spettatore annamitanon sa leggere, forse non saprebbe dire con precisione lasua età, ma sa che il giorno del Dragone l'imperatore hadiritto a duecento sessanta parasoli e venti elefanti, chetredici baldacchini debbono seguire la lettiga imperiale,che nel terzo carro le ballerine sono dodici e nel quintoil Grande Bonzo è circondato da sedici accoliti coi turi-boli, che il manto del re è quello dell'imperatore guerrie-ro Già-Long mentre la mitra è quella dell'imperatore let-terato Mihn-Mang.

Quando il sovrano vuol comunicar qualche cosa alsuo popolo – un ordine, un avviso, un incoraggiamento– non ha bisogno di chiedere il permesso al rappresen-tante della Francia. Basta che durante il corteo sia omes-sa una fermata o che siano raddoppiate le riverenze di-nanzi ad un determinato simulacro perchè la moltitudine

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intenda. Il linguaggio segreto dei secoli fra sudditi e resfugge alla più ferrea censura. Allorché nel 1916 Duy-Tan entrò nella famosa congiura tedesca che dovevascacciare i francesi dall'Indocina, gli abitanti di Hué fu-rono informati della decisione imperiale da un semplicerito apparentemente innocuo che il sovrano celebrò di-nanzi alla tomba dell'imperatore Tu-Duc. Se un ufficialemeticcio non avesse tradito i congiurati la Residenza sa-rebbe stata sorpresa dalla rivolta.

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LAOS – Un villaggio di selvaggi «Kas».

intenda. Il linguaggio segreto dei secoli fra sudditi e resfugge alla più ferrea censura. Allorché nel 1916 Duy-Tan entrò nella famosa congiura tedesca che dovevascacciare i francesi dall'Indocina, gli abitanti di Hué fu-rono informati della decisione imperiale da un semplicerito apparentemente innocuo che il sovrano celebrò di-nanzi alla tomba dell'imperatore Tu-Duc. Se un ufficialemeticcio non avesse tradito i congiurati la Residenza sa-rebbe stata sorpresa dalla rivolta.

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LAOS – Un villaggio di selvaggi «Kas».

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Vecchi di cartapecora con un piede già nella tomba epiccole donne di porcellana sfiancate innanzi tempo dal-la quotidiana fatica, hanno trascorso la notte in stradaper assicurarsi un posto avanti, dietro la linea immobiledei soldati scalzi. Sono qui da ore ed ore. Aspettano: pervedere il corteo sfavillante di ori e di stendardi nel qualeogni anno rivive il vecchio Annam leggendario dei tem-pi eroici, per contemplare un momento in tutto lo splen-dore della sovranità divinizzata il Figlio del Cielo con lacorona del Dragone dai cinque artigli.

Gli immensi cappelli di paglia dei soldati, larghicome un ombrello, decorano fantasticamente di chioschilillipuziani le strade e le piazze. Certi alberi sembra sisiano aperti la notte ad una straordinaria fioritura umanatanto sono zeppi di bimbe agghindate come bocciuoli edi ragazzetti in fronzoli. Le campagne e la costa hannomandato le loro genti coi caratteristici costumi del lito-rale e delle provincie. Fino i più lontani distretti hannoun mandarino ed un seguito che li rappresenta. Le cor-porazioni artigiane sono riunite intorno all'emblema delmestiere: una scarpa, un pesce, un mobile, una forbice,tutto di proporzioni enormi e di cartapesta dorata. Le de-putazioni dei villaggi Kas e quelle dei Mois semi – sel-vaggi dell'altipiano, raccolte all'imboccatura del Pontedei Profumi, spiccano pel contrasto fra i ricchissimi ab-bigliamenti dei mandarini in mitra e pastorale e la fieranudità muscolosa dei capi Mois armati di treccie e di fa-retra.

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Vecchi di cartapecora con un piede già nella tomba epiccole donne di porcellana sfiancate innanzi tempo dal-la quotidiana fatica, hanno trascorso la notte in stradaper assicurarsi un posto avanti, dietro la linea immobiledei soldati scalzi. Sono qui da ore ed ore. Aspettano: pervedere il corteo sfavillante di ori e di stendardi nel qualeogni anno rivive il vecchio Annam leggendario dei tem-pi eroici, per contemplare un momento in tutto lo splen-dore della sovranità divinizzata il Figlio del Cielo con lacorona del Dragone dai cinque artigli.

Gli immensi cappelli di paglia dei soldati, larghicome un ombrello, decorano fantasticamente di chioschilillipuziani le strade e le piazze. Certi alberi sembra sisiano aperti la notte ad una straordinaria fioritura umanatanto sono zeppi di bimbe agghindate come bocciuoli edi ragazzetti in fronzoli. Le campagne e la costa hannomandato le loro genti coi caratteristici costumi del lito-rale e delle provincie. Fino i più lontani distretti hannoun mandarino ed un seguito che li rappresenta. Le cor-porazioni artigiane sono riunite intorno all'emblema delmestiere: una scarpa, un pesce, un mobile, una forbice,tutto di proporzioni enormi e di cartapesta dorata. Le de-putazioni dei villaggi Kas e quelle dei Mois semi – sel-vaggi dell'altipiano, raccolte all'imboccatura del Pontedei Profumi, spiccano pel contrasto fra i ricchissimi ab-bigliamenti dei mandarini in mitra e pastorale e la fieranudità muscolosa dei capi Mois armati di treccie e di fa-retra.

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Page 460: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

I parasoli policromi dei bonzi e quelli bianchi dei let-terati, danno alle strade la bizzarra parvenza d'un pitto-resco accampamento. Qua e là un baldacchino a tre od asei ombrelli soprapposti indica la presenza di un alto di-gnitario. Vestiti e parasoli hanno colori crudi che colpi-scono l'occhio. Bandiere gialle, verdi, violette, soprattut-to gialle, sventolano a tutte le finestre. Grandi draghi dicartapesta ghignano ai balconi o danzano in mezzo allafolla in cima ad una pertica con buffi contorcimenti deilunghi corpi di seta. Festoni d'erba e di carta coloratasono tesi fra casa e casa. Stoffe sgargianti pendono dallefinestre. Migliaia di lampioni e di palloncini danno unfestoso aspetto di carnevale alla capitale di solito addor-mentata ed austera. Il vento è blando, quasi abbia rispet-to per le pezze e la carta straccia dell'impero.

Nel giorno del Dragone Hué chiama a raccolta tutti isuoi figli e le sue bandiere. Vi sono vessilli nuovi fiam-manti che incominciano appena oggi la loro modestacarriera, altri invece sono vecchi, laceri, stinti dai secoli,tolti per l'occasione dalla prua d'un «sampan» decrepito,dall'albero di una giunca centenaria, dalla nicchia di unalontana pagoda dimenticata in fondo ad un villaggio.

Questo straccio rosicchiato ha sventolato in testa aglieserciti invincibili dell'imperatore Jaja Harivar quandol'Annam dominava il Camboge, il Tonkino ed il Laos;questo sbrendolo giallo fu issato sulle mura di Hanoi daicavalieri violetti di Gia-Long; v'è un drappo azzurro conun elefante d'oro che era l'insegna del re del Siam esventolava in cima alla grande torre d'Angkor-Vat...

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I parasoli policromi dei bonzi e quelli bianchi dei let-terati, danno alle strade la bizzarra parvenza d'un pitto-resco accampamento. Qua e là un baldacchino a tre od asei ombrelli soprapposti indica la presenza di un alto di-gnitario. Vestiti e parasoli hanno colori crudi che colpi-scono l'occhio. Bandiere gialle, verdi, violette, soprattut-to gialle, sventolano a tutte le finestre. Grandi draghi dicartapesta ghignano ai balconi o danzano in mezzo allafolla in cima ad una pertica con buffi contorcimenti deilunghi corpi di seta. Festoni d'erba e di carta coloratasono tesi fra casa e casa. Stoffe sgargianti pendono dallefinestre. Migliaia di lampioni e di palloncini danno unfestoso aspetto di carnevale alla capitale di solito addor-mentata ed austera. Il vento è blando, quasi abbia rispet-to per le pezze e la carta straccia dell'impero.

Nel giorno del Dragone Hué chiama a raccolta tutti isuoi figli e le sue bandiere. Vi sono vessilli nuovi fiam-manti che incominciano appena oggi la loro modestacarriera, altri invece sono vecchi, laceri, stinti dai secoli,tolti per l'occasione dalla prua d'un «sampan» decrepito,dall'albero di una giunca centenaria, dalla nicchia di unalontana pagoda dimenticata in fondo ad un villaggio.

Questo straccio rosicchiato ha sventolato in testa aglieserciti invincibili dell'imperatore Jaja Harivar quandol'Annam dominava il Camboge, il Tonkino ed il Laos;questo sbrendolo giallo fu issato sulle mura di Hanoi daicavalieri violetti di Gia-Long; v'è un drappo azzurro conun elefante d'oro che era l'insegna del re del Siam esventolava in cima alla grande torre d'Angkor-Vat...

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Page 461: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Così assicurano almeno gli annamiti che mi sonod'intorno e che mi usano riguardo perchè saluto i lorocenci colorati!

E l'imperatore è passato. Non in mezzo ad una scortadi guerrieri come i despoti delle Indie, non al galoppo diun brioso cavallo fra scintillar di lancie e sciabole, malentamente, a passo d'uomo, portato a spalla dentro unpalanchino di lacca azzurra dai ministri e dai marescial-li: è passato in mezzo ad un visibilio di parasoli e diventagli, di turiboli e di orifiamme, alto sulle genti ge-nuflesse e la loro fede, come trasportato dal rombo dei«gong» e dal tambureggiamento dei tam-tam in una at-mosfera di sogno, il sogno d'un popolo...

Ha lasciato una scìa d'incenso e di salmi, una granfolla in ginocchio, un tappeto di fiori...

Dinanzi alla lettiga imperiale incedeva placido e so-lenne l'elefante bianco del Siam, simbolo di antiche glo-rie. Seguiva il baldacchino a nove parasoli d'oro termi-nato con la freccia di Angkor che rammenta altre vitto-rie dell'Annam sul Camboge, sulla Cina, sui birmani.V'erano i palanchini vuoti dei monarchi assoggettati du-rante i secoli dagli imperatori del Sud Pacifico. L'impe-ro che più non esiste ma che teoricamente è ancora inpiedi, era rappresentato nel corteo dagli emblemi dei re-gni non più vassalli e degli Stati che sono scomparsi.

Il re dell'Annam che si e no comanda nel recinto delsuo palazzo appariva, attraverso la coreografia del cor-teo, imperatore di tutta l'Indocina, signore del Siam, del

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Così assicurano almeno gli annamiti che mi sonod'intorno e che mi usano riguardo perchè saluto i lorocenci colorati!

E l'imperatore è passato. Non in mezzo ad una scortadi guerrieri come i despoti delle Indie, non al galoppo diun brioso cavallo fra scintillar di lancie e sciabole, malentamente, a passo d'uomo, portato a spalla dentro unpalanchino di lacca azzurra dai ministri e dai marescial-li: è passato in mezzo ad un visibilio di parasoli e diventagli, di turiboli e di orifiamme, alto sulle genti ge-nuflesse e la loro fede, come trasportato dal rombo dei«gong» e dal tambureggiamento dei tam-tam in una at-mosfera di sogno, il sogno d'un popolo...

Ha lasciato una scìa d'incenso e di salmi, una granfolla in ginocchio, un tappeto di fiori...

Dinanzi alla lettiga imperiale incedeva placido e so-lenne l'elefante bianco del Siam, simbolo di antiche glo-rie. Seguiva il baldacchino a nove parasoli d'oro termi-nato con la freccia di Angkor che rammenta altre vitto-rie dell'Annam sul Camboge, sulla Cina, sui birmani.V'erano i palanchini vuoti dei monarchi assoggettati du-rante i secoli dagli imperatori del Sud Pacifico. L'impe-ro che più non esiste ma che teoricamente è ancora inpiedi, era rappresentato nel corteo dagli emblemi dei re-gni non più vassalli e degli Stati che sono scomparsi.

Il re dell'Annam che si e no comanda nel recinto delsuo palazzo appariva, attraverso la coreografia del cor-teo, imperatore di tutta l'Indocina, signore del Siam, del

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Laos, dell'Yunam, del Camboge, del Mekong e del Fiu-me Rosso, fastoso e potente autocrate d'Asia!

Ed il popolo lo adorava come tale, e si curvava al suopassaggio come un campo di biade piegato dal vento.

S'inchinavano i draghi, gli ombrelli e le bandiere. Su-prema ironia, s'abbassavano anche i tricolori di Francia!

I palloncini liberati s'innalzavano a riempire il cielodi fiocchi colorati in mezzo ai quali due aeroplani fran-cesi infiammati dal sole disegnavano guizzi di fuoco ed'argento.

Tra l'elefante bianco ed il palanchino azzurro, un bon-zo recava le insegne dell'autorità sovrana, diverse daquelle di tutte le altre dinastie del mondo: un libro eduna pipa: lo studio e la meditazione.

— Avete visto l'imperatore? mi ha chiesto un'oradopo un vecchio colono che da trent'anni abita l'Annam.

— Sì, sembrava veramente una divinità...— Sono tutti così. Noi crediamo di tenere in pugno il

monarca ed i sudditi, d'avere nel primo un fedele funzio-nario ben pagato e nei secondi una docile folla di sog-getti. Basta però che i bonzi tirino fuori dai ripostiglidelle pagode i loro cenci gialli ed i loro draghi di carta-pesta perchè ci accorgiamo di avere in mano un belniente. Il vero Annam è questo d'oggi, l'altro quello deigiornali collaborazionisti e del «loyalisme annamite»serve agli indigeni per arricchirsi ed ai funzionarii bian-chi per far carriera. «N'en parlon pas»! L'attuale impera-tore è stato scelto a casaccio dal Governo francese nel

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Laos, dell'Yunam, del Camboge, del Mekong e del Fiu-me Rosso, fastoso e potente autocrate d'Asia!

Ed il popolo lo adorava come tale, e si curvava al suopassaggio come un campo di biade piegato dal vento.

S'inchinavano i draghi, gli ombrelli e le bandiere. Su-prema ironia, s'abbassavano anche i tricolori di Francia!

I palloncini liberati s'innalzavano a riempire il cielodi fiocchi colorati in mezzo ai quali due aeroplani fran-cesi infiammati dal sole disegnavano guizzi di fuoco ed'argento.

Tra l'elefante bianco ed il palanchino azzurro, un bon-zo recava le insegne dell'autorità sovrana, diverse daquelle di tutte le altre dinastie del mondo: un libro eduna pipa: lo studio e la meditazione.

— Avete visto l'imperatore? mi ha chiesto un'oradopo un vecchio colono che da trent'anni abita l'Annam.

— Sì, sembrava veramente una divinità...— Sono tutti così. Noi crediamo di tenere in pugno il

monarca ed i sudditi, d'avere nel primo un fedele funzio-nario ben pagato e nei secondi una docile folla di sog-getti. Basta però che i bonzi tirino fuori dai ripostiglidelle pagode i loro cenci gialli ed i loro draghi di carta-pesta perchè ci accorgiamo di avere in mano un belniente. Il vero Annam è questo d'oggi, l'altro quello deigiornali collaborazionisti e del «loyalisme annamite»serve agli indigeni per arricchirsi ed ai funzionarii bian-chi per far carriera. «N'en parlon pas»! L'attuale impera-tore è stato scelto a casaccio dal Governo francese nel

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1917 in mezzo ad una pleiade di principotti dopo la ri-volta dell'imperatore Duy-Tan. Duy-Tan fu scelto anchelui a casaccio dopo la deposizione dell'imperatore Tan-Tai. Fabbrichiamo come vedete fantocci imperiali a se-rie. Adesso ne abbiamo uno a balia a Parigi. Sapetecome fu eletto Duy-Tan? È storia abbastanza fresca ed èdi attualità nel giorno del Dragone. Ventun colpi hannotirato stamane i cannoni del forte Garnier e ventun volteho visto il mio boy aprire le sue labbra sottili di giallo adun formidabile sorriso. — Allora Duy-Tan?

— Ero capitano medico in quel tempo, oggi fabbricosaponi. L'imperatore Tan-Tai che non voleva più saper-ne di restare a Palazzo ad obbedire al Residente ne face-va di tutti i colori per farsi cacciar via: andava al merca-to vestito da facchino, rubava galline nei pollai, si tuffa-va nudo sotto il Ponte dei Profumi, obbligava i ministria cantargli le canzonette di Montmartre. Il Governofrancese lasciava correre per non turbare la linea di suc-cessione ed i sudditi dicevano: l'imperatore sa quel chefa! Alla fine Tan-Tai si finse pazzo, affetto dalla manìadi fare il chirurgo ed aprì il ventre a due o tre ballerine.Allora Parigi ordinò telegraficamente l'abdicazione.Quella sera stavo facendo una partita alla «pelotte» colmio maggiore quando il telefono ci chiamò alla Resi-denza per un affare urgente. Dalla Residenza s'andò aPalazzo dove il governatore aveva riunito in una stanzatutti i figli dell'imperatore, i legittimi e gli illegittimi,una vera conigliera, e ci disse con solennità: «choisissez

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1917 in mezzo ad una pleiade di principotti dopo la ri-volta dell'imperatore Duy-Tan. Duy-Tan fu scelto anchelui a casaccio dopo la deposizione dell'imperatore Tan-Tai. Fabbrichiamo come vedete fantocci imperiali a se-rie. Adesso ne abbiamo uno a balia a Parigi. Sapetecome fu eletto Duy-Tan? È storia abbastanza fresca ed èdi attualità nel giorno del Dragone. Ventun colpi hannotirato stamane i cannoni del forte Garnier e ventun volteho visto il mio boy aprire le sue labbra sottili di giallo adun formidabile sorriso. — Allora Duy-Tan?

— Ero capitano medico in quel tempo, oggi fabbricosaponi. L'imperatore Tan-Tai che non voleva più saper-ne di restare a Palazzo ad obbedire al Residente ne face-va di tutti i colori per farsi cacciar via: andava al merca-to vestito da facchino, rubava galline nei pollai, si tuffa-va nudo sotto il Ponte dei Profumi, obbligava i ministria cantargli le canzonette di Montmartre. Il Governofrancese lasciava correre per non turbare la linea di suc-cessione ed i sudditi dicevano: l'imperatore sa quel chefa! Alla fine Tan-Tai si finse pazzo, affetto dalla manìadi fare il chirurgo ed aprì il ventre a due o tre ballerine.Allora Parigi ordinò telegraficamente l'abdicazione.Quella sera stavo facendo una partita alla «pelotte» colmio maggiore quando il telefono ci chiamò alla Resi-denza per un affare urgente. Dalla Residenza s'andò aPalazzo dove il governatore aveva riunito in una stanzatutti i figli dell'imperatore, i legittimi e gli illegittimi,una vera conigliera, e ci disse con solennità: «choisissez

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moi le nouveau empereur de l'Annam! Dans une heureje dois cabler à Paris le nom du successeur!».

Due guardie acciuffavano i principotti, ne spogliava-no uno per volta e ce lo tenevano dinanzi. La maggiorparte urlava come dannati. Il maggiore li squadrava, lipalpava e me li passava con le sue osservazioni: denta-tura guasta, scartato; grandi orecchie e sguardo sfuggen-te, tipo degenerato, scartato; tutto il ritratto di suo padre,scartato; tubercoloso, scartato; varicocele, scartato; cre-tino assoluto, scartato. Messi fuori concorso i sette figlilegittimi si passò agli illegittimi, una trentina. E fra que-sti fu scelto l'imperatore Duy-Tan che aveva otto anni,dentatura sana, polmoni in buon stato e poca rassomi-glianza col suo augusto genitore.

L'incoronazione ebbe luogo tre giorni dopo. Vi an-dammo col maggiore per curiosità. E sapete cosa ve-demmo?

— Cosa?— Vedemmo entrare in un palanchino azzurro in

mezzo ai parasoli ed agli incensi la medesima divinitàche voi avete visto oggi, una specie di idolo caricod'oro, quasi schiacciato sotto il peso dell'enorme coronascintillante di smeraldi; un idolo alto si e no un metro,che guardava sdegnosamente la folla con due occhi dismalto, straordinariamente profondi e straordinariamen-te imperiali. Una forza istintiva ed inesplicabile ci feceinchinare dinanzi a Colui che avevamo scelto tre giorniprima tastandolo come un montone al mercato. Trenta-sei ore erano bastate per trasformare quel moccioso in

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moi le nouveau empereur de l'Annam! Dans une heureje dois cabler à Paris le nom du successeur!».

Due guardie acciuffavano i principotti, ne spogliava-no uno per volta e ce lo tenevano dinanzi. La maggiorparte urlava come dannati. Il maggiore li squadrava, lipalpava e me li passava con le sue osservazioni: denta-tura guasta, scartato; grandi orecchie e sguardo sfuggen-te, tipo degenerato, scartato; tutto il ritratto di suo padre,scartato; tubercoloso, scartato; varicocele, scartato; cre-tino assoluto, scartato. Messi fuori concorso i sette figlilegittimi si passò agli illegittimi, una trentina. E fra que-sti fu scelto l'imperatore Duy-Tan che aveva otto anni,dentatura sana, polmoni in buon stato e poca rassomi-glianza col suo augusto genitore.

L'incoronazione ebbe luogo tre giorni dopo. Vi an-dammo col maggiore per curiosità. E sapete cosa ve-demmo?

— Cosa?— Vedemmo entrare in un palanchino azzurro in

mezzo ai parasoli ed agli incensi la medesima divinitàche voi avete visto oggi, una specie di idolo caricod'oro, quasi schiacciato sotto il peso dell'enorme coronascintillante di smeraldi; un idolo alto si e no un metro,che guardava sdegnosamente la folla con due occhi dismalto, straordinariamente profondi e straordinariamen-te imperiali. Una forza istintiva ed inesplicabile ci feceinchinare dinanzi a Colui che avevamo scelto tre giorniprima tastandolo come un montone al mercato. Trenta-sei ore erano bastate per trasformare quel moccioso in

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una di quelle simboliche immagini d'Estremo Oriente difronte alle quali il nostro spirito occidentale resta per-plesso tanto sono cariche di maestà e di mistero!

Nel 1917 Duy-Tan fu deposto a sua volta per un ten-tativo di ribellione contro l'occupazione francese. Uncolonnello medico ha scelto tra i nostri rifiuti del 1905l'attuale imperatore.

Il discorsetto dell'ex capitano che ora fabbrica saponitipo Marsiglia e tipo Maiorca non era certo una buonapreparazione per chi doveva come me recarsi nel Tai-Oà-Dièn a contemplare l'autoclave dell'Annam in tuttolo splendore della porpora.

Nella grande piazza prospiciente al Palazzo ritrovo lamedesima folla del mattino, gli stessi soldati scalzi colcappello a tetto, gli stessi ufficiali calzati, col berretto acampanile, i pantaloncini, gli stracci, le bandiere, i dra-ghi di cartapesta, i cantastorie, le trattorie ambulanti, igiuocatori di bussolotti, i mangiatori di fuoco, l'odoreformidabile dell'Asia gialla.

Ogni cinque minuti un tizio colto da improvviso furo-re dinastico monta sulle spalle dei vicini per annunziareche alle sei in punto l'imperatore dell'Annam – genufles-sione generale – dopo avere invocato sul popolo la be-nedizione del Dragone dai cinque artigli – altra genu-flessione – riceverà l'omaggio annuale delle nove classidi mandarini. Ogni discorso è punteggiato da cinque mi-nuti di balletto che mette in rivoluzione tutti i parasolidel pubblico ed i cappelli a chiosco dell'esercito. E sem-

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una di quelle simboliche immagini d'Estremo Oriente difronte alle quali il nostro spirito occidentale resta per-plesso tanto sono cariche di maestà e di mistero!

Nel 1917 Duy-Tan fu deposto a sua volta per un ten-tativo di ribellione contro l'occupazione francese. Uncolonnello medico ha scelto tra i nostri rifiuti del 1905l'attuale imperatore.

Il discorsetto dell'ex capitano che ora fabbrica saponitipo Marsiglia e tipo Maiorca non era certo una buonapreparazione per chi doveva come me recarsi nel Tai-Oà-Dièn a contemplare l'autoclave dell'Annam in tuttolo splendore della porpora.

Nella grande piazza prospiciente al Palazzo ritrovo lamedesima folla del mattino, gli stessi soldati scalzi colcappello a tetto, gli stessi ufficiali calzati, col berretto acampanile, i pantaloncini, gli stracci, le bandiere, i dra-ghi di cartapesta, i cantastorie, le trattorie ambulanti, igiuocatori di bussolotti, i mangiatori di fuoco, l'odoreformidabile dell'Asia gialla.

Ogni cinque minuti un tizio colto da improvviso furo-re dinastico monta sulle spalle dei vicini per annunziareche alle sei in punto l'imperatore dell'Annam – genufles-sione generale – dopo avere invocato sul popolo la be-nedizione del Dragone dai cinque artigli – altra genu-flessione – riceverà l'omaggio annuale delle nove classidi mandarini. Ogni discorso è punteggiato da cinque mi-nuti di balletto che mette in rivoluzione tutti i parasolidel pubblico ed i cappelli a chiosco dell'esercito. E sem-

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pre i «gong» rombano con vellutata e snervante dolcez-za, ora con colpi sordi e lunghi, ora con un martellamen-to cupo ed ovattato, eco dei secoli morti, misterioso lin-guaggio dei Buddha decrepiti e delle pagode millenarie.

Alla folla non importa che i soldati che sbarranol'accesso al Palazzo siano stranieri, che i cannoni chetuonano di quando in quando a salve occupino i puntistrategici della capitale, che accanto al trono imperiales'erga la tribuna del Governatore francese... Per la sag-gezza annamita queste sono inezie, cose che passano efiniscono. Quel che importa è che l'imperatore sia lì!Che il rito si compia secondo i precetti dei millennii!Che vi siano i draghi e le bandiere, i letterati ed i man-darini! Che gli antenati abbiano l'incenso e le offerte!Che l'imperatore abbia il numero di parasoli e di venta-gli ai quali ha diritto il figlio del Cielo!

La folla si è aperta con rispetto al passaggio dei lette-rati che rappresentano il pensiero indistruttibile dellarazza e delle classi dei mandarini che sono l'impalcaturasociale e politica dell'Annam: aristocrazia democraticasenza privilegi nobiliari od ereditarli, aperta da secoli aifigli del popolo in seguito ad una rivoluzione pacificache ha preceduto di dieci generazioni quelle di Robe-spierre e di Lenine.

Ecco la famosa sala dei Tai-Oà-Dièn, tutta rosso edoro, rosso violento ed oro carico, una sala che quando èvuota fa male allo sguardo tanto sono forti le due tinte.Gli artisti annamiti che l'hanno costruita non si sonopreoccupati della critica, ma dell'uso al quale era desti-

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pre i «gong» rombano con vellutata e snervante dolcez-za, ora con colpi sordi e lunghi, ora con un martellamen-to cupo ed ovattato, eco dei secoli morti, misterioso lin-guaggio dei Buddha decrepiti e delle pagode millenarie.

Alla folla non importa che i soldati che sbarranol'accesso al Palazzo siano stranieri, che i cannoni chetuonano di quando in quando a salve occupino i puntistrategici della capitale, che accanto al trono imperiales'erga la tribuna del Governatore francese... Per la sag-gezza annamita queste sono inezie, cose che passano efiniscono. Quel che importa è che l'imperatore sia lì!Che il rito si compia secondo i precetti dei millennii!Che vi siano i draghi e le bandiere, i letterati ed i man-darini! Che gli antenati abbiano l'incenso e le offerte!Che l'imperatore abbia il numero di parasoli e di venta-gli ai quali ha diritto il figlio del Cielo!

La folla si è aperta con rispetto al passaggio dei lette-rati che rappresentano il pensiero indistruttibile dellarazza e delle classi dei mandarini che sono l'impalcaturasociale e politica dell'Annam: aristocrazia democraticasenza privilegi nobiliari od ereditarli, aperta da secoli aifigli del popolo in seguito ad una rivoluzione pacificache ha preceduto di dieci generazioni quelle di Robe-spierre e di Lenine.

Ecco la famosa sala dei Tai-Oà-Dièn, tutta rosso edoro, rosso violento ed oro carico, una sala che quando èvuota fa male allo sguardo tanto sono forti le due tinte.Gli artisti annamiti che l'hanno costruita non si sonopreoccupati della critica, ma dell'uso al quale era desti-

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nata, cioè delle grandi cerimonie che vi si dovevanosvolgere. Quando le pareti scarlatte scompaiono dietro iparasoli e gli stendardi, quando le nove classi di manda-rini la rigano d'azzurro, di bianco, di giallo e di violetto,quando intorno al trono ardono le luci dei doppieri e tut-to l'ambiente è invaso dal fumo argentato degli incensi,il rosso acceso e l'oro ardente impallidiscono dolcemen-te e tuttavia dominano con i due colori fondamentalidella dinastia la straordinaria tavolozza dell'assemblea.

Tutto è fine e meditato nel vecchio Annam delle gia-de e delle lacche.

Ecco il trono d'agata negli artigli d'oro del Dragone;ecco l'alto seggio imperiale simile ad un altare, un po'infossato tra due colonne d'alabastro per meglio isolareil Divino dal resto dei mortali!

L'imperatore è là!Veste la tunica di seta gialla tempestata di rubini che

ha ereditato dai suoi padri, calza gli stivali mandariniche i suoi antenati conquistatori portarono dalle profon-dità della Cina. La Cina è presente in ogni ornamentodella sala ed in ogni ricamo delle vesti, la grande madreCina dal cui grembo uscirono tutte le genti gialle delcontinente, nel cui grembo forse un dì torneranno performare il più vasto impero del mondo. – La tiara impe-riale è un sol brivido di diamanti. Ogni movimento delmonarca si traduce in una fosforescenza. In mezzo atante lucentezze bianche la lucentezza nera dei suoi oc-chi d'onice – impassibili e quasi vitrei – sono la grandesfinge del Tai-Oà-Dièn!

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nata, cioè delle grandi cerimonie che vi si dovevanosvolgere. Quando le pareti scarlatte scompaiono dietro iparasoli e gli stendardi, quando le nove classi di manda-rini la rigano d'azzurro, di bianco, di giallo e di violetto,quando intorno al trono ardono le luci dei doppieri e tut-to l'ambiente è invaso dal fumo argentato degli incensi,il rosso acceso e l'oro ardente impallidiscono dolcemen-te e tuttavia dominano con i due colori fondamentalidella dinastia la straordinaria tavolozza dell'assemblea.

Tutto è fine e meditato nel vecchio Annam delle gia-de e delle lacche.

Ecco il trono d'agata negli artigli d'oro del Dragone;ecco l'alto seggio imperiale simile ad un altare, un po'infossato tra due colonne d'alabastro per meglio isolareil Divino dal resto dei mortali!

L'imperatore è là!Veste la tunica di seta gialla tempestata di rubini che

ha ereditato dai suoi padri, calza gli stivali mandariniche i suoi antenati conquistatori portarono dalle profon-dità della Cina. La Cina è presente in ogni ornamentodella sala ed in ogni ricamo delle vesti, la grande madreCina dal cui grembo uscirono tutte le genti gialle delcontinente, nel cui grembo forse un dì torneranno performare il più vasto impero del mondo. – La tiara impe-riale è un sol brivido di diamanti. Ogni movimento delmonarca si traduce in una fosforescenza. In mezzo atante lucentezze bianche la lucentezza nera dei suoi oc-chi d'onice – impassibili e quasi vitrei – sono la grandesfinge del Tai-Oà-Dièn!

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Solo lo scettro è rozzo, aspro e senza ornamenti, simi-le al bastone originario dei caprai del Tibet che fu il pri-mo scettro della dinastia nelle lontananze dei tempi.

La figura stilizzata e quasi esangue del monarca nonpar di carne, d'avorio piuttosto, di cera, d'uno smaltofreddo ed opaco. Il volto è assente, lontano, rapito inuna estasi. Le lunghe mani affilate sembrano mortesull'orlo della tunica.

Tra lui ed il Governatore generale francese non c'ècaso di sbagliarsi. L'imperatore è bene il giallo! Non sose l'Inghilterra lo faccia apposta, ma i suoi rappresentan-ti hanno quasi sempre fisicamente una certa prestanzaaltera che sostiene il raffronto coi principi asiatici. LaRepubblica di Doumergue ha invece la specialità deicranii calvi e delle pancette sporgenti.

Nella sala sono riuniti tutti i mandarini dell'Annam, lenove classi gerarchiche che costituiscono la forza intel-lettuale e morale del paese: i mandarini civili di primorango (prefetti e governatori) in tunica giallo carico, imandarini militari in tunica giallo pallido, i Tong Doc intunica violetta, filosofi in tunica ciclamino, gli ammini-stratori in tunica azzurra, i letterati in tunica bianca, igiuristi in tunica verde... Ognuno ha un parasole dellastessa tinta dell'abbigliamento. Ogni tanto tutti gli om-brelli si aprono o si chiudono secondo le prescrizioni delcerimoniale. E quando s'aprono par che la sala sia inva-sa da uno stormo di gigantesche, sorprendenti farfalle.

Su certi manti «mandarini» artefici pazienti hanno ri-camato interi episodi di storia annamita: tutto trattato

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Solo lo scettro è rozzo, aspro e senza ornamenti, simi-le al bastone originario dei caprai del Tibet che fu il pri-mo scettro della dinastia nelle lontananze dei tempi.

La figura stilizzata e quasi esangue del monarca nonpar di carne, d'avorio piuttosto, di cera, d'uno smaltofreddo ed opaco. Il volto è assente, lontano, rapito inuna estasi. Le lunghe mani affilate sembrano mortesull'orlo della tunica.

Tra lui ed il Governatore generale francese non c'ècaso di sbagliarsi. L'imperatore è bene il giallo! Non sose l'Inghilterra lo faccia apposta, ma i suoi rappresentan-ti hanno quasi sempre fisicamente una certa prestanzaaltera che sostiene il raffronto coi principi asiatici. LaRepubblica di Doumergue ha invece la specialità deicranii calvi e delle pancette sporgenti.

Nella sala sono riuniti tutti i mandarini dell'Annam, lenove classi gerarchiche che costituiscono la forza intel-lettuale e morale del paese: i mandarini civili di primorango (prefetti e governatori) in tunica giallo carico, imandarini militari in tunica giallo pallido, i Tong Doc intunica violetta, filosofi in tunica ciclamino, gli ammini-stratori in tunica azzurra, i letterati in tunica bianca, igiuristi in tunica verde... Ognuno ha un parasole dellastessa tinta dell'abbigliamento. Ogni tanto tutti gli om-brelli si aprono o si chiudono secondo le prescrizioni delcerimoniale. E quando s'aprono par che la sala sia inva-sa da uno stormo di gigantesche, sorprendenti farfalle.

Su certi manti «mandarini» artefici pazienti hanno ri-camato interi episodi di storia annamita: tutto trattato

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Page 469: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

con estrema minuzia, con cento sete diverse, con filid'oro e d'argento d'innumerevoli gradazioni, con pietruz-ze lucenti, con scagliette d'avorio e di madreperla, finoai dischetti di corallo che figurano l'incarnato dei pomel-li sulle guancie dei microscopici personaggi. Su certiombrelli verde-mare guizzano i pesci ed i mostri degliabissi, su altri un fantastico pavone spiega le sue alispettacolose, su altri ancora l'artista ha in parte ricamato,in parte dipinto il sorriso dolcissimo d'un mattino o lafrenesia di un tramonto o la fosca maestà d'uno stellatosenza luna.

E gli ombrelli s'aprono, si chiudono... i ventagli spriz-zano scintille... Il fruscio delle sete preziose accompa-gna le riverenze con uno stormir flebile di vento.

La ricchezza degli abiti, la magnificenza degli ogget-ti, lo splendore delle mitre, l'opulenza delle else e delledragone, lo sfarzo dei labari e degli stendardi, formanoun insieme di fasto e di grandezza di fronte al quale lenostre più lussuose cerimonie sono una povera cosa edimpallidiscono le stesse imponenti celebrazioni romanedel Cattolicesimo.

Quando il principe ereditario ha inchinato i suoi seiparasoli d'argento dinanzi ai nove parasoli d'orodell'imperatore regnante, il sovrano rivolge poche frasidi ringraziamento ai mandarini, frasi banali che sonopassate rigorosamente attraverso i molteplici setacci del-la Residenza.

Ma il monarca le dice senza un gesto, immobile, sta-tuario, velato dagli incensi, con una voce cantata che par

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con estrema minuzia, con cento sete diverse, con filid'oro e d'argento d'innumerevoli gradazioni, con pietruz-ze lucenti, con scagliette d'avorio e di madreperla, finoai dischetti di corallo che figurano l'incarnato dei pomel-li sulle guancie dei microscopici personaggi. Su certiombrelli verde-mare guizzano i pesci ed i mostri degliabissi, su altri un fantastico pavone spiega le sue alispettacolose, su altri ancora l'artista ha in parte ricamato,in parte dipinto il sorriso dolcissimo d'un mattino o lafrenesia di un tramonto o la fosca maestà d'uno stellatosenza luna.

E gli ombrelli s'aprono, si chiudono... i ventagli spriz-zano scintille... Il fruscio delle sete preziose accompa-gna le riverenze con uno stormir flebile di vento.

La ricchezza degli abiti, la magnificenza degli ogget-ti, lo splendore delle mitre, l'opulenza delle else e delledragone, lo sfarzo dei labari e degli stendardi, formanoun insieme di fasto e di grandezza di fronte al quale lenostre più lussuose cerimonie sono una povera cosa edimpallidiscono le stesse imponenti celebrazioni romanedel Cattolicesimo.

Quando il principe ereditario ha inchinato i suoi seiparasoli d'argento dinanzi ai nove parasoli d'orodell'imperatore regnante, il sovrano rivolge poche frasidi ringraziamento ai mandarini, frasi banali che sonopassate rigorosamente attraverso i molteplici setacci del-la Residenza.

Ma il monarca le dice senza un gesto, immobile, sta-tuario, velato dagli incensi, con una voce cantata che par

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Page 470: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

venire di lontano assai, dalla profondità stessa delletombe divinizzate, da quel passato che non è morto per-chè rivive eternamente nel rito immutabile, mentre lemitre dei trecento mandarini dell'Annam piegate fino aterra formano intorno al trono un fantastico tappeto ditestuggini d'oro.

E rombano i «gong».E la storia dell'ex capitano medico non riesce a smi-

nuire la maestà del momento!

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venire di lontano assai, dalla profondità stessa delletombe divinizzate, da quel passato che non è morto per-chè rivive eternamente nel rito immutabile, mentre lemitre dei trecento mandarini dell'Annam piegate fino aterra formano intorno al trono un fantastico tappeto ditestuggini d'oro.

E rombano i «gong».E la storia dell'ex capitano medico non riesce a smi-

nuire la maestà del momento!

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Da Haifong ad Hanoi

HANOI, 16 settembre.

Avremmo dovuto recarci in automobile da Hué aVinh e da questa località raggiungere il Tonkino attra-verso le vecchie strade mandarine, ma le pioggie dirottedi quest'ultima settimana hanno ridotto in così cattivecondizioni le carrozzabili dell'alto Annara e del bassoTonkino che, arrivati alla frontiera, ci poteva capitare labrutta sorpresa di dover tornare a Vinh o, peggio ancora,d'essere bloccati in aperta campagna dallo straripamentodei fiumi.

Abbiamo perciò approfittato della coincidenza di unpiroscafo che partiva per Haifong e siamo arrivati sta-mane all'alba alla imboccatura del Fiume Rosso dopodue giorni di tranquilla navigazione.

Or aspettiamo che la marea, la quale è pigra in questiparaggi, abbia sommerso il banco di sabbia che sbarra lafoce per risalire il corso del Song-Koi, giacché Haifong,come quasi tutti i porti della Cina e dell'Indocina, è si-tuato sul fiume a venti chilometri dalla costa.

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Da Haifong ad Hanoi

HANOI, 16 settembre.

Avremmo dovuto recarci in automobile da Hué aVinh e da questa località raggiungere il Tonkino attra-verso le vecchie strade mandarine, ma le pioggie dirottedi quest'ultima settimana hanno ridotto in così cattivecondizioni le carrozzabili dell'alto Annara e del bassoTonkino che, arrivati alla frontiera, ci poteva capitare labrutta sorpresa di dover tornare a Vinh o, peggio ancora,d'essere bloccati in aperta campagna dallo straripamentodei fiumi.

Abbiamo perciò approfittato della coincidenza di unpiroscafo che partiva per Haifong e siamo arrivati sta-mane all'alba alla imboccatura del Fiume Rosso dopodue giorni di tranquilla navigazione.

Or aspettiamo che la marea, la quale è pigra in questiparaggi, abbia sommerso il banco di sabbia che sbarra lafoce per risalire il corso del Song-Koi, giacché Haifong,come quasi tutti i porti della Cina e dell'Indocina, è si-tuato sul fiume a venti chilometri dalla costa.

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Abbiamo lasciato l'Annam in pieno bagliore tropica-le, bruciato da un sole tutto fiamme. Troviamo il Tonki-no bigio, sotto un cielo ammusonito, con un ventaccioumido da mar del Nord.

Il mare è mosso, terreo, insudiciato da fanghi rossicciche il Song-Koi, il Song-Thai, il Song King-mon, ilSong Da-bach riversano incessantemente nel golfo.Sono fiumi capricciosi, d'origine incerta e di corso irre-golare, che scorrazzano attraverso i monti e le pianuretonkinesi, a volte imponenti e gonfi d'acqua procellosa,a volte ridotti dalla magra un semplice colaticcio di fan-go fetente, terribilmente rosso, così rosso da sembrare lospurgo d'un fantastico macello.

Tra gli altri il Song-Thai ha la specialità di perdersiattraverso le risaie e di sparire. Dov'è il Song-Thai? Nonc'è più! Gli agricoltori, ingannati dall'uniformità dellacampagna allagata, seminano il riso nel letto del fiume, igiunchi, sempre pronti ad approfittare d'ogni palmo difango, allungano le loro cannuccie verdoline. Poi ungiorno improvvisamente, dopo mezza giornata di piog-gia in alta montagna, ecco il Song-Thai che ricompareincollerito, si caccia giù nell'alveo con l'impeto d'una ca-teratta, sbaglia strada, spezza le dighe, inonda campi evillaggi, travolge pagode, ponti e linee ferrate. L'idrauli-ca cinese, che ha creato in Estremo Oriente tante mera-viglie, si è arresa di fronte all'incoercibile indocilità delSong-Thai. L'amministrazione francese ha rinunziato or-mai a riedificare i ponti asportati dal Fiume Pazzo e liha sostituiti con zatteroni che effettuano il trasbordo de-

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Abbiamo lasciato l'Annam in pieno bagliore tropica-le, bruciato da un sole tutto fiamme. Troviamo il Tonki-no bigio, sotto un cielo ammusonito, con un ventaccioumido da mar del Nord.

Il mare è mosso, terreo, insudiciato da fanghi rossicciche il Song-Koi, il Song-Thai, il Song King-mon, ilSong Da-bach riversano incessantemente nel golfo.Sono fiumi capricciosi, d'origine incerta e di corso irre-golare, che scorrazzano attraverso i monti e le pianuretonkinesi, a volte imponenti e gonfi d'acqua procellosa,a volte ridotti dalla magra un semplice colaticcio di fan-go fetente, terribilmente rosso, così rosso da sembrare lospurgo d'un fantastico macello.

Tra gli altri il Song-Thai ha la specialità di perdersiattraverso le risaie e di sparire. Dov'è il Song-Thai? Nonc'è più! Gli agricoltori, ingannati dall'uniformità dellacampagna allagata, seminano il riso nel letto del fiume, igiunchi, sempre pronti ad approfittare d'ogni palmo difango, allungano le loro cannuccie verdoline. Poi ungiorno improvvisamente, dopo mezza giornata di piog-gia in alta montagna, ecco il Song-Thai che ricompareincollerito, si caccia giù nell'alveo con l'impeto d'una ca-teratta, sbaglia strada, spezza le dighe, inonda campi evillaggi, travolge pagode, ponti e linee ferrate. L'idrauli-ca cinese, che ha creato in Estremo Oriente tante mera-viglie, si è arresa di fronte all'incoercibile indocilità delSong-Thai. L'amministrazione francese ha rinunziato or-mai a riedificare i ponti asportati dal Fiume Pazzo e liha sostituiti con zatteroni che effettuano il trasbordo de-

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gli uomini e delle merci e che quando il fiume è in crisis'arenano in una risaia o finiscono nella piazza d'un vil-laggio.

La pazienza e la leggerezza, che sono i tratti fonda-mentali del carattere tonkinese, rispondono perfettamen-te alle condizioni speciali di questa vecchia terra asiaticaspazzata dai cicloni e tormentata dagli straripamenti,nella quale i fiumi non hanno un letto stabile e si sbiz-zarriscono per le campagne, l'inverno è rigido, l'estateardente, certe volte piove due mesi di seguito o passanocinque mesi senza una goccia d'acqua. I monsoni dinord-vest e di sud-est che negli altri paraggi hanno uncorso regolare, s'azzuffano disordinatamente nel golfodel Tonkino, determinando terribili burrasche di ventoche infilano a tromba la terraferma e devastano il paese.Frequenti sono sul litorale i cicloni ed i tifoni, ma fortu-natamente i servizi metereologi sono in grado di preve-derli per la loro speciale formazione e di mettere inguardia i naviganti. Nei villaggi e nelle risaie i «gong»delle pagode annunziano il cataclisma. Bisogna aversentito l'ululo dei «gong» propagato di villaggio in vil-laggio attraverso l'atmosfera plumbea del Delta percomprendere la dolorosa poesia di questa terra di fangoe di pena.

Le regioni settentrionali sono infinitamente migliori,ma l'indigeno del Delta resta avviticchiato come un lom-brico alla sua risaia secolare che è per lui consacrata dalsudore degli antenati e dalla presenza dei morti. Quandole pagode rombano a tempesta, gli abitanti si tappano

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gli uomini e delle merci e che quando il fiume è in crisis'arenano in una risaia o finiscono nella piazza d'un vil-laggio.

La pazienza e la leggerezza, che sono i tratti fonda-mentali del carattere tonkinese, rispondono perfettamen-te alle condizioni speciali di questa vecchia terra asiaticaspazzata dai cicloni e tormentata dagli straripamenti,nella quale i fiumi non hanno un letto stabile e si sbiz-zarriscono per le campagne, l'inverno è rigido, l'estateardente, certe volte piove due mesi di seguito o passanocinque mesi senza una goccia d'acqua. I monsoni dinord-vest e di sud-est che negli altri paraggi hanno uncorso regolare, s'azzuffano disordinatamente nel golfodel Tonkino, determinando terribili burrasche di ventoche infilano a tromba la terraferma e devastano il paese.Frequenti sono sul litorale i cicloni ed i tifoni, ma fortu-natamente i servizi metereologi sono in grado di preve-derli per la loro speciale formazione e di mettere inguardia i naviganti. Nei villaggi e nelle risaie i «gong»delle pagode annunziano il cataclisma. Bisogna aversentito l'ululo dei «gong» propagato di villaggio in vil-laggio attraverso l'atmosfera plumbea del Delta percomprendere la dolorosa poesia di questa terra di fangoe di pena.

Le regioni settentrionali sono infinitamente migliori,ma l'indigeno del Delta resta avviticchiato come un lom-brico alla sua risaia secolare che è per lui consacrata dalsudore degli antenati e dalla presenza dei morti. Quandole pagode rombano a tempesta, gli abitanti si tappano

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Page 474: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

nelle case ed accendono tutte le luci intorno all'altaredegli «spiriti domestici». Mentre il tifone squassa la mi-serabile capanna, gli incensi salgono verso i Buddhasorridenti e le Tavolette misteriose degli Ascendenti.Nella solitudine dei campi i bambù battagliano coi ventie coll'acqua. Sovente tutti i filari di giunco che definiva-no lo spezzettamento delle proprietà scompaiono duran-te la burrasca: resta una distesa d'acqua: ma codici mil-lenarii tramandati di padre in figlio stabiliscono la nuo-va suddivisione senza bisogno di tribunali. Supremogiudice è la pubblica opinione. E basta questo piccoloesempio, formidabile nella sua semplicità, a dimostrarequale alto grado d'armonia sociale abbiano raggiunto neisecoli queste genti!

Abituati ai cattivi scherzi della Natura, i tonkinesi,quando è finito il cataclisma, rimettono tranquillamentea posto le cose, le risaie ed i fiumi, rifabbricano i villag-gi o le dighe, riseminano i raccolti, ricominciano la loromodesta esistenza. Il loro fatalismo è più potente ancoradi quello mussulmano. È inutile lottare! È inutile abban-donare il Delta per cercare una terra più benigna suglialtipiani! I genii dei cicloni che si divertono col terroredell'umanità seguirebbero indiscutibilmente le genti!

Corazzato da questo fatalismo atavico che fa ormaiparte del suo temperamento, il popolo tonkinese sorridesempre. S'immaginerebbe una umanità triste, tragica,sopraffatta dall'inesorabilità del Destino: si ha invece di-nanzi agli occhi una razza giocherellona che sorride pe-rennemente e che trova in ogni cosa un lato comico. In

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nelle case ed accendono tutte le luci intorno all'altaredegli «spiriti domestici». Mentre il tifone squassa la mi-serabile capanna, gli incensi salgono verso i Buddhasorridenti e le Tavolette misteriose degli Ascendenti.Nella solitudine dei campi i bambù battagliano coi ventie coll'acqua. Sovente tutti i filari di giunco che definiva-no lo spezzettamento delle proprietà scompaiono duran-te la burrasca: resta una distesa d'acqua: ma codici mil-lenarii tramandati di padre in figlio stabiliscono la nuo-va suddivisione senza bisogno di tribunali. Supremogiudice è la pubblica opinione. E basta questo piccoloesempio, formidabile nella sua semplicità, a dimostrarequale alto grado d'armonia sociale abbiano raggiunto neisecoli queste genti!

Abituati ai cattivi scherzi della Natura, i tonkinesi,quando è finito il cataclisma, rimettono tranquillamentea posto le cose, le risaie ed i fiumi, rifabbricano i villag-gi o le dighe, riseminano i raccolti, ricominciano la loromodesta esistenza. Il loro fatalismo è più potente ancoradi quello mussulmano. È inutile lottare! È inutile abban-donare il Delta per cercare una terra più benigna suglialtipiani! I genii dei cicloni che si divertono col terroredell'umanità seguirebbero indiscutibilmente le genti!

Corazzato da questo fatalismo atavico che fa ormaiparte del suo temperamento, il popolo tonkinese sorridesempre. S'immaginerebbe una umanità triste, tragica,sopraffatta dall'inesorabilità del Destino: si ha invece di-nanzi agli occhi una razza giocherellona che sorride pe-rennemente e che trova in ogni cosa un lato comico. In

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Page 475: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

mezzo alle collere del cielo e del sole, in mezzo alle ca-tastrofiche alluvioni dei fiumi senza letto che coprono difango intere provincie ed alle furie dei cicloni che preci-pitano dal mistero delle lontananze ad acciuffare i vil-laggi, il tonkinese ha constatato durante i secoli che ilsorriso dei suoi Buddha di legno e di porcellana eral'unica cosa che sopravviveva sistematicamente a tuttele rovine, sempre, anche quando la pagoda era infranta,anche quando la statua era mutilata. La sua piccola ani-ma ha visto in quel sorriso invincibile un riflesso delladivinità e lo ha copiato. Forse nessuna razza è così pro-fondamente compenetrata dell'essenza filosofica delbuddismo quanto la tonkinese nella sua incoscienza. Ilcontrasto stridente fra il broncio della Natura e il beatosorriso delle genti costituisce il fascino di questa bizzar-ra terra d'oltre mare, fascino sottile che prima si avvertesolo vagamente poi finisce per avvincere.

I francesi rimproverano agli indigeni di non pensareal domani, di non aver nessuna nozione del risparmio. Iltonkinese del Delta pensa in cuor suo che al Genio dellaTempesta può saltare il ghiribizzo di scaraventare amare anche le... Casse di Risparmio, e quando ha quat-tro rupie le spende allegramente a mangiare, bere e farfesta. Se gliene avanza, compra tuniche di seta, fa colle-zione di pipe e di gioielli, s'offre per esempio il lussod'un bastone d'avorio o di una tazza di giada, tira insom-ma a campare giorno per giorno nel modo più beatopossibile.

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mezzo alle collere del cielo e del sole, in mezzo alle ca-tastrofiche alluvioni dei fiumi senza letto che coprono difango intere provincie ed alle furie dei cicloni che preci-pitano dal mistero delle lontananze ad acciuffare i vil-laggi, il tonkinese ha constatato durante i secoli che ilsorriso dei suoi Buddha di legno e di porcellana eral'unica cosa che sopravviveva sistematicamente a tuttele rovine, sempre, anche quando la pagoda era infranta,anche quando la statua era mutilata. La sua piccola ani-ma ha visto in quel sorriso invincibile un riflesso delladivinità e lo ha copiato. Forse nessuna razza è così pro-fondamente compenetrata dell'essenza filosofica delbuddismo quanto la tonkinese nella sua incoscienza. Ilcontrasto stridente fra il broncio della Natura e il beatosorriso delle genti costituisce il fascino di questa bizzar-ra terra d'oltre mare, fascino sottile che prima si avvertesolo vagamente poi finisce per avvincere.

I francesi rimproverano agli indigeni di non pensareal domani, di non aver nessuna nozione del risparmio. Iltonkinese del Delta pensa in cuor suo che al Genio dellaTempesta può saltare il ghiribizzo di scaraventare amare anche le... Casse di Risparmio, e quando ha quat-tro rupie le spende allegramente a mangiare, bere e farfesta. Se gliene avanza, compra tuniche di seta, fa colle-zione di pipe e di gioielli, s'offre per esempio il lussod'un bastone d'avorio o di una tazza di giada, tira insom-ma a campare giorno per giorno nel modo più beatopossibile.

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Sovente l'europeo rimane sorpreso nel vedere inmano ad un povero boy pezzente come Giobbe una pipad'ambra e di giada d'alto valore artistico ed intrinseco,oppure nel trovare in una miserabile «paillotte» di con-tadini un mobilino prezioso di lacca o di madreperla. Iltonkinese s'è procurato l'oggetto in questione all'indo-mani d'un insolito guadagno o di un buon affare e l'hapagato senza guardare al prezzo pel desiderio di posse-dere una cosa bella. La razza ha l'istinto del lusso e delgodimento, specialmente di quello tattile. Un tonkinesedella plebe gode realmente nel carezzare una stoffa diseta o nel maneggiare un oggetto di avorio. Nelle casedei ricchi le cose più volgari, per esempio la scopa o lasventola della cucina, sono d'elegante fattura, coi manicidi legno fino scolpito.

Le case industriali e le aziende agricole europee deb-bono assicurarsi un numero di lavoratori indigeni dop-pio del necessario, perchè ogni mattina su cento operaive ne sono una quarantina che non si presentano al lavo-ro. Per un motivo loro personale hanno deciso di far fe-sta. E sovente il motivo è semplicissimo: hanno il risoed il tabacco per la giornata!

Del resto essi hanno a portata di mano il loro paradisonella pipa d'oppio. Non v'è casolare senza miele nero.Dopo la distribuzione del raccolto e la rovina della risa-ia il tonkinese chiede alla droga potente la parentesi ne-cessaria alla rassegnazione.

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Sovente l'europeo rimane sorpreso nel vedere inmano ad un povero boy pezzente come Giobbe una pipad'ambra e di giada d'alto valore artistico ed intrinseco,oppure nel trovare in una miserabile «paillotte» di con-tadini un mobilino prezioso di lacca o di madreperla. Iltonkinese s'è procurato l'oggetto in questione all'indo-mani d'un insolito guadagno o di un buon affare e l'hapagato senza guardare al prezzo pel desiderio di posse-dere una cosa bella. La razza ha l'istinto del lusso e delgodimento, specialmente di quello tattile. Un tonkinesedella plebe gode realmente nel carezzare una stoffa diseta o nel maneggiare un oggetto di avorio. Nelle casedei ricchi le cose più volgari, per esempio la scopa o lasventola della cucina, sono d'elegante fattura, coi manicidi legno fino scolpito.

Le case industriali e le aziende agricole europee deb-bono assicurarsi un numero di lavoratori indigeni dop-pio del necessario, perchè ogni mattina su cento operaive ne sono una quarantina che non si presentano al lavo-ro. Per un motivo loro personale hanno deciso di far fe-sta. E sovente il motivo è semplicissimo: hanno il risoed il tabacco per la giornata!

Del resto essi hanno a portata di mano il loro paradisonella pipa d'oppio. Non v'è casolare senza miele nero.Dopo la distribuzione del raccolto e la rovina della risa-ia il tonkinese chiede alla droga potente la parentesi ne-cessaria alla rassegnazione.

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LAOS – Case indigene di razza «Thai».

LAOS – Donne di razza mongola.

Quando il piccolo semaforo innalza bandiera azzurrail piroscafo imbocca la foce. Risaliamo il fiume per ven-ti chilometri a velocità ridottissima fra due striscie bassedi terra gremite di bambù ed orlate di fango rosso.

L'acqua è piena di terriccio e di detriti. A poppa sem-bra che l'elica sguazzi in una fogna. Tutto il Delta è unacolossale risaia che i fiumi hanno conquistato durante isecoli al mare, che gli uomini contendono quotidiana-mente ai fiumi, terra di sacrificio e di travaglio, tristescenario senza contorno, reso ancora più melanconicodal cielo piagnucoloso.

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LAOS – Case indigene di razza «Thai».

LAOS – Donne di razza mongola.

Quando il piccolo semaforo innalza bandiera azzurrail piroscafo imbocca la foce. Risaliamo il fiume per ven-ti chilometri a velocità ridottissima fra due striscie bassedi terra gremite di bambù ed orlate di fango rosso.

L'acqua è piena di terriccio e di detriti. A poppa sem-bra che l'elica sguazzi in una fogna. Tutto il Delta è unacolossale risaia che i fiumi hanno conquistato durante isecoli al mare, che gli uomini contendono quotidiana-mente ai fiumi, terra di sacrificio e di travaglio, tristescenario senza contorno, reso ancora più melanconicodal cielo piagnucoloso.

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Piove, cioè non piove, cade il «crascian»! Non sapetecos'è il «crascian» del Tonkino? Immaginate una cosache non è pioggia e non è nebbia, ma che è le due di-sgrazie messe insieme: una acqueruggiola fina fina e fit-ta fitta che casca e non casca, che sta sospesa nell'aria,che vi inumidisce ma non vi bagna, che spinge ad aprirel'ombrello e dopo un minuto a richiuderlo; una specie dibagnato tiepido che dura due o tre settimane, che si cac-cia in gola e negli occhi, che entra nelle ossa e nei pol-moni, che trasforma le strade in una poltiglia, le campa-gne in una putredine, il colletto in un cencio, il cappellodi paglia in una cuffia, gli uomini e le donne europee inuna popolazione di nevrastenici.

Il «crascian» è una specialità del basso Tonkino. Nes-sun altro paese al mondo è deliziato da questa docciapulviscolare. L'indigeno non vi fa caso, tanto vive giàtutto l'anno nell'acqua delle risaie! Un po' di bagnato dipiù o di meno non conta. Gli europei invece sopportanomale il «crascian». Fortunatamente l'unico centro im-portante del Delta è Haifong. Hanoi, dove i bianchi sonopiù numerosi, ha raramente il «crascian», anzi il climavi è relativamente temperato ed una breve stagione in-vernale permette agli organismi di tollerare la lunga ca-nicola estiva. Haifong sta press'a poco ad Hanoi come lanostra Massaua all'Asinara.

Fra le due città esiste una vecchia rivalità che risale aiprimi tempi della conquista coloniale. Gli abitanti diHanoi chiamano Haifong «un pozzo di fango abitatodalle teste scariche della colonia», anzi il termine fango

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Piove, cioè non piove, cade il «crascian»! Non sapetecos'è il «crascian» del Tonkino? Immaginate una cosache non è pioggia e non è nebbia, ma che è le due di-sgrazie messe insieme: una acqueruggiola fina fina e fit-ta fitta che casca e non casca, che sta sospesa nell'aria,che vi inumidisce ma non vi bagna, che spinge ad aprirel'ombrello e dopo un minuto a richiuderlo; una specie dibagnato tiepido che dura due o tre settimane, che si cac-cia in gola e negli occhi, che entra nelle ossa e nei pol-moni, che trasforma le strade in una poltiglia, le campa-gne in una putredine, il colletto in un cencio, il cappellodi paglia in una cuffia, gli uomini e le donne europee inuna popolazione di nevrastenici.

Il «crascian» è una specialità del basso Tonkino. Nes-sun altro paese al mondo è deliziato da questa docciapulviscolare. L'indigeno non vi fa caso, tanto vive giàtutto l'anno nell'acqua delle risaie! Un po' di bagnato dipiù o di meno non conta. Gli europei invece sopportanomale il «crascian». Fortunatamente l'unico centro im-portante del Delta è Haifong. Hanoi, dove i bianchi sonopiù numerosi, ha raramente il «crascian», anzi il climavi è relativamente temperato ed una breve stagione in-vernale permette agli organismi di tollerare la lunga ca-nicola estiva. Haifong sta press'a poco ad Hanoi come lanostra Massaua all'Asinara.

Fra le due città esiste una vecchia rivalità che risale aiprimi tempi della conquista coloniale. Gli abitanti diHanoi chiamano Haifong «un pozzo di fango abitatodalle teste scariche della colonia», anzi il termine fango

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è sostituito da una espressione verista, tipicamente fran-cese! I cittadini di Haifong hanno battezzato quelli diHanoi «lumache» e rimproverano loro di essere tutti pa-rassiti e funzionari che vivono alle spalle del bilanciocoloniale. Se Hanoi apre un caffè, Haifong si fa un do-vere di inaugurarne uno più sontuoso; se Haifong s'offreil lusso d'un campo di foot-ball, Hanoi butta giù mezzoparco municipale per averne uno più grande.

La rivalità ha dato luce a due Palazzi del Governo chesono uno più brutto dell'altro ed a due mastodontici tea-tri, assolutamente sproporzionati ai bisogni della colo-nia, nei quali furoreggiano fra grandi applausi le compa-gnie francesi di quart'ordine che varcano i mari allettatedall'alto cambio della rupia indo-cinese.

Un vecchio indiano che avevo conosciuto ad Haifongdieci anni fa mi assicura che le cose sono poco cambiateda allora. La colonia soffre soprattutto la mancanza dicoloni francesi. L'ottanta per cento dei residenti sonofunzionari o militari che aspettano la pensione per ritor-nare in Francia. La diffidenza dei padroni aggravata dal-le disposizioni legislative impedisce l'acclimatarsi di co-loni stranieri. Tre quarti delle risorse del paese non sonosfruttate ed i traffici più importanti sono monopolizzatidai cinesi. La politica di collaborazione con gli indigeniadottata su larga scala dal governo coloniale non trovacorrispondenza negli abitanti. Al di là della sfera natura-le d'irradiazione di Haifong e di Hanoi l'influenza fran-cese è più che altro nominale. Per l'immediata vicinanzadell'Yu-nam è invece assai forte l'influenza della Cina e

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è sostituito da una espressione verista, tipicamente fran-cese! I cittadini di Haifong hanno battezzato quelli diHanoi «lumache» e rimproverano loro di essere tutti pa-rassiti e funzionari che vivono alle spalle del bilanciocoloniale. Se Hanoi apre un caffè, Haifong si fa un do-vere di inaugurarne uno più sontuoso; se Haifong s'offreil lusso d'un campo di foot-ball, Hanoi butta giù mezzoparco municipale per averne uno più grande.

La rivalità ha dato luce a due Palazzi del Governo chesono uno più brutto dell'altro ed a due mastodontici tea-tri, assolutamente sproporzionati ai bisogni della colo-nia, nei quali furoreggiano fra grandi applausi le compa-gnie francesi di quart'ordine che varcano i mari allettatedall'alto cambio della rupia indo-cinese.

Un vecchio indiano che avevo conosciuto ad Haifongdieci anni fa mi assicura che le cose sono poco cambiateda allora. La colonia soffre soprattutto la mancanza dicoloni francesi. L'ottanta per cento dei residenti sonofunzionari o militari che aspettano la pensione per ritor-nare in Francia. La diffidenza dei padroni aggravata dal-le disposizioni legislative impedisce l'acclimatarsi di co-loni stranieri. Tre quarti delle risorse del paese non sonosfruttate ed i traffici più importanti sono monopolizzatidai cinesi. La politica di collaborazione con gli indigeniadottata su larga scala dal governo coloniale non trovacorrispondenza negli abitanti. Al di là della sfera natura-le d'irradiazione di Haifong e di Hanoi l'influenza fran-cese è più che altro nominale. Per l'immediata vicinanzadell'Yu-nam è invece assai forte l'influenza della Cina e

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gli ultimi avvenimenti cinesi hanno intorbidato l'atmo-sfera politica. Il reddito della colonia è superato dallespese militari ed il Tonkino grava sul bilancio della me-tropoli neutralizzando in gran parte gli utili dati dallaCocincina.

Gli orli sanguigni delle rive ridotti da quattro giornidi «crascian» in un impiastro molliccio si stemperanonel fiume colorandolo sempre più di rosso. I giunchi chea perdita d'occhio annaspano con le lunghe foglie nelvento sembra che chiedano per pietà un bruscolo di sole,di quel sole implacabile che li uccide durante l'estate. Ilverde violento dei banani è più lucido e porcellanato chemai. Le risaie si succedono senza fine, grigie, piatte,uniformi.

L'umidità profonda della terra, delle piante e dell'ariasi traduce in una specie di sudore freddo e viscido diffu-so nell'atmosfera che ci trapassa da parte a parte, ci dàun senso fisico di disagio e di appiccicaticcio, ci empiel'anima di una grande tristezza e di una ansietà senzamotivo. Si desidera il sole e le tempeste, la canicola ed itemporali, magari lo schianto d'un tuono e lo scrosciovicino d'un fulmine, qualche cosa che sferzi i nervi escuota lo spirito.

Niente, invece! Il «crascian» avvolge il corpo in uninvolucro di chiaro d'uovo e l'anima in un velo di torpo-re. Le membra fiacche, la testa pesante, l'umore nero, gliabiti incollati, il respiro penoso, la pelle piena di prurigi-ni determinano uno stato paradossale di eccitazione e disonnolenza.

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gli ultimi avvenimenti cinesi hanno intorbidato l'atmo-sfera politica. Il reddito della colonia è superato dallespese militari ed il Tonkino grava sul bilancio della me-tropoli neutralizzando in gran parte gli utili dati dallaCocincina.

Gli orli sanguigni delle rive ridotti da quattro giornidi «crascian» in un impiastro molliccio si stemperanonel fiume colorandolo sempre più di rosso. I giunchi chea perdita d'occhio annaspano con le lunghe foglie nelvento sembra che chiedano per pietà un bruscolo di sole,di quel sole implacabile che li uccide durante l'estate. Ilverde violento dei banani è più lucido e porcellanato chemai. Le risaie si succedono senza fine, grigie, piatte,uniformi.

L'umidità profonda della terra, delle piante e dell'ariasi traduce in una specie di sudore freddo e viscido diffu-so nell'atmosfera che ci trapassa da parte a parte, ci dàun senso fisico di disagio e di appiccicaticcio, ci empiel'anima di una grande tristezza e di una ansietà senzamotivo. Si desidera il sole e le tempeste, la canicola ed itemporali, magari lo schianto d'un tuono e lo scrosciovicino d'un fulmine, qualche cosa che sferzi i nervi escuota lo spirito.

Niente, invece! Il «crascian» avvolge il corpo in uninvolucro di chiaro d'uovo e l'anima in un velo di torpo-re. Le membra fiacche, la testa pesante, l'umore nero, gliabiti incollati, il respiro penoso, la pelle piena di prurigi-ni determinano uno stato paradossale di eccitazione e disonnolenza.

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Si guarda piovere! Attraverso il velario opaco del«crascian» la campagna sembra vaga, senza fisonomia esenza, contorni. Gli alberi sono tristi, le case miserabili.Tutto è sozzo, umido, marcio, slabbrato, corrosodall'umido, disfatto dal fango. La ciclopica putrefazionedel Delta finisce per avvinghiare l'anima ed intristirla.

Incontriamo ogni tanto un «sampan» annamita caricodi bambù che si lascia portare dalla corrente. Gli uominidi bordo, sdraiati sulle canne, paiono morti. Non fannoun gesto, non hanno un grido... Vanno... Si ha la impres-sione che la loro rotta conduca l'imbarcazione verso unasolitudine di melma che l'inghiottirà nel suo silenzio!

Sulle sponde i villaggetti indigeni con le capanne cir-colari annidate in mezzo ai bambù hanno l'aria di dissol-versi sotto l'acqua. I tetti bislacchi delle pagode stillanopioggia e melanconia. Quando la nave bordeggia si ve-dono fuori degli usci, sotto le tettoie di giunco, gruppettidi gente immobile e dinoccolata come marionette digesso dipinto messe lì a sgocciolare.

I campi allagati sono punteggiati di enormi funghigiallognoli. A guardar bene ci s'accorge che non sonofunghi, ma esseri umani affondati nel fango fino alla co-scia, il capo coperto da un grande cappello di paglia lar-go come un ombrello, che lavorano la risaia: uomini,donne, ragazzi, tutta una povera umanità che guazza nellimo d'uno stagno perenne. Ogni cosa ha il colore rosso-nocciuola della mota del Song-Koi. Abiti, case, pagode,steccati, tutto è tinto in rosso-nocciuola da un estratto

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Si guarda piovere! Attraverso il velario opaco del«crascian» la campagna sembra vaga, senza fisonomia esenza, contorni. Gli alberi sono tristi, le case miserabili.Tutto è sozzo, umido, marcio, slabbrato, corrosodall'umido, disfatto dal fango. La ciclopica putrefazionedel Delta finisce per avvinghiare l'anima ed intristirla.

Incontriamo ogni tanto un «sampan» annamita caricodi bambù che si lascia portare dalla corrente. Gli uominidi bordo, sdraiati sulle canne, paiono morti. Non fannoun gesto, non hanno un grido... Vanno... Si ha la impres-sione che la loro rotta conduca l'imbarcazione verso unasolitudine di melma che l'inghiottirà nel suo silenzio!

Sulle sponde i villaggetti indigeni con le capanne cir-colari annidate in mezzo ai bambù hanno l'aria di dissol-versi sotto l'acqua. I tetti bislacchi delle pagode stillanopioggia e melanconia. Quando la nave bordeggia si ve-dono fuori degli usci, sotto le tettoie di giunco, gruppettidi gente immobile e dinoccolata come marionette digesso dipinto messe lì a sgocciolare.

I campi allagati sono punteggiati di enormi funghigiallognoli. A guardar bene ci s'accorge che non sonofunghi, ma esseri umani affondati nel fango fino alla co-scia, il capo coperto da un grande cappello di paglia lar-go come un ombrello, che lavorano la risaia: uomini,donne, ragazzi, tutta una povera umanità che guazza nellimo d'uno stagno perenne. Ogni cosa ha il colore rosso-nocciuola della mota del Song-Koi. Abiti, case, pagode,steccati, tutto è tinto in rosso-nocciuola da un estratto

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vegetale del paese che dà allo scenario una colorazioneuniforme e ne aumenta la tristezza.

E ad una svolta del fiume, Haifong prospetta la suamole pretenziosa di villaggio-capitale. Manca il grandedecoratore dell'Estremo Oriente, il sole. Una sfilata dicaserme costituisce il frontone dell'emporio tonkinese. Ilporto è fantasticamente dominato da un grosso velierocolle vele cadenti ed il sartiame sgocciolante che erge inmezzo a tanta morte le tre Croci dei suoi alberi. Grossenubi galoppano verso nord. Sui pennoni degli edifizi do-ganali le bandiere della Repubblica, macerate dal «cra-scian» penzolano dolorosamente.

Poca gente aspetta il piroscafo.

Il trenino Haifong-Hanoi sbofonchia sotto il «cra-scian» attraverso le risaie ed i bambù.

Ogni tanto una pagoda innalza sul grigio dell'acquaun tetto beffardo di porcellana rossa ed un campanilesquilibrato. Reggimenti e reggimenti di giunchi segnanoil passo lungo i canali e le dighe, alti, magri, scompi-gliati dal vento.

Pian piano dal paesaggio d'acqua e di mota si sprigio-na un fascino sottile e doloroso. Le palme arec, smilze econtorte, aprono le loro magre braccia dinoccolate inmezzo alla solitudine. Stormi di uccelli bianchi roteanoperdutamente sui pantani. Certi alberelli gobbi e defor-mi, appena forniti d'un piumetto di foglie, lottano comi-camente contro il vento.

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vegetale del paese che dà allo scenario una colorazioneuniforme e ne aumenta la tristezza.

E ad una svolta del fiume, Haifong prospetta la suamole pretenziosa di villaggio-capitale. Manca il grandedecoratore dell'Estremo Oriente, il sole. Una sfilata dicaserme costituisce il frontone dell'emporio tonkinese. Ilporto è fantasticamente dominato da un grosso velierocolle vele cadenti ed il sartiame sgocciolante che erge inmezzo a tanta morte le tre Croci dei suoi alberi. Grossenubi galoppano verso nord. Sui pennoni degli edifizi do-ganali le bandiere della Repubblica, macerate dal «cra-scian» penzolano dolorosamente.

Poca gente aspetta il piroscafo.

Il trenino Haifong-Hanoi sbofonchia sotto il «cra-scian» attraverso le risaie ed i bambù.

Ogni tanto una pagoda innalza sul grigio dell'acquaun tetto beffardo di porcellana rossa ed un campanilesquilibrato. Reggimenti e reggimenti di giunchi segnanoil passo lungo i canali e le dighe, alti, magri, scompi-gliati dal vento.

Pian piano dal paesaggio d'acqua e di mota si sprigio-na un fascino sottile e doloroso. Le palme arec, smilze econtorte, aprono le loro magre braccia dinoccolate inmezzo alla solitudine. Stormi di uccelli bianchi roteanoperdutamente sui pantani. Certi alberelli gobbi e defor-mi, appena forniti d'un piumetto di foglie, lottano comi-camente contro il vento.

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A contemplare il cielo di pece che piange senza re-quie le lagrime ipocrite del «crascian» ed i giunchi cheripetutamente rabbrividiscono, lo spirito ha quasi la ri-velazione di quelle «forze malefiche» che costituisconoil fondo metafisico della religione tonkinese. Quasi sidirebbe che esse sono presenti, intente alla loro opera dimalefizio! Certe nubi basse e bizzarre, evocano la figuradei draghi che digrignano sui frontispizi delle pagode esui labari gialli del Tonkino, altre riproducono la formastramba dei torcieri e dei mobili annamiti. I bambù chestarnazzano in mezzo al vento fanno pensare ai perso-naggi interroriti delle lacche nazionali ed alle smorfiedei ninnoli tonkinesi. V'è uno straordinario rapporto fral'aspetto della Natura e le forme dell'arte indigena.

Se uno si lascia dominare dalla seduzione del paesag-gio, finisce per comprendere anche le pagode inverosi-milmente sbilenche, le porte che smorfieggiano, le fine-stre sbilanciate, le tettoie accartocciate, gli archi contor-ti, i frontoni messi di traverso, i tetti che fanno le cornaallo spazio, i campanili a lisca di pesce che pigliano agabbo l'infinito, tutte le incongruenze architettoniche ele stravaganze artistiche del Delta tonkinese. Sono la ri-produzione nel legno e nella pietra del sorriso nazionale,il riflesso di quella sottile ironia filosofica con cui l'ani-ma indigena accoglie le collere degli elementi, gli scher-zi della storia ed i programmi della colonizzazione euro-pea.

Quando in mezzo allo sconquasso di un ciclone, ilpiccolo uomo giallo del Tonkino abbandona la casa e la

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A contemplare il cielo di pece che piange senza re-quie le lagrime ipocrite del «crascian» ed i giunchi cheripetutamente rabbrividiscono, lo spirito ha quasi la ri-velazione di quelle «forze malefiche» che costituisconoil fondo metafisico della religione tonkinese. Quasi sidirebbe che esse sono presenti, intente alla loro opera dimalefizio! Certe nubi basse e bizzarre, evocano la figuradei draghi che digrignano sui frontispizi delle pagode esui labari gialli del Tonkino, altre riproducono la formastramba dei torcieri e dei mobili annamiti. I bambù chestarnazzano in mezzo al vento fanno pensare ai perso-naggi interroriti delle lacche nazionali ed alle smorfiedei ninnoli tonkinesi. V'è uno straordinario rapporto fral'aspetto della Natura e le forme dell'arte indigena.

Se uno si lascia dominare dalla seduzione del paesag-gio, finisce per comprendere anche le pagode inverosi-milmente sbilenche, le porte che smorfieggiano, le fine-stre sbilanciate, le tettoie accartocciate, gli archi contor-ti, i frontoni messi di traverso, i tetti che fanno le cornaallo spazio, i campanili a lisca di pesce che pigliano agabbo l'infinito, tutte le incongruenze architettoniche ele stravaganze artistiche del Delta tonkinese. Sono la ri-produzione nel legno e nella pietra del sorriso nazionale,il riflesso di quella sottile ironia filosofica con cui l'ani-ma indigena accoglie le collere degli elementi, gli scher-zi della storia ed i programmi della colonizzazione euro-pea.

Quando in mezzo allo sconquasso di un ciclone, ilpiccolo uomo giallo del Tonkino abbandona la casa e la

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risaia tenendo stretta in pugno la sua pipa d'oro e di gia-da che vale quanto tutta la casa, egli sorride, perchè sache i venti e le nubi sono impotenti contro l'eternità del-la risaia, perchè sa che se salva la vita salva anche lapipa, sua principale ricchezza, e... prende in giro il De-stino.

Il broncio della terra ed il sorriso delle genti si fondo-no in una grande smorfia, ambigua ed indefinibile, cheimprime il suo suggello a questa contrada d'oltre mare;alle sue pagode ed alle sue donne, ai suoi ninnoli ed aisuoi ordinamenti politici; smorfia che finisce per illumi-nare di una stramba bellezza anche il tramonto livido diun giorno di «crascian», anche il profilo bislacco d'unapupattola di Hanoi.

Fra uno stagno ed una palude il trenino si avvicinaalla capitale dell'impero francese d'Estremo Oriente. Lalocomotiva fischia ad una pagoda rossa e grottesca cheinarca sui giunchi la sua sagoma tentacolare d'aragostabizzosa. Più lontano un mulino a vento zeppo di draghifa roteare il suo fantastico disco di mostri e di pagliacci.E sfioriamo le staccionate dell'ippodromo di Hanoi.

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risaia tenendo stretta in pugno la sua pipa d'oro e di gia-da che vale quanto tutta la casa, egli sorride, perchè sache i venti e le nubi sono impotenti contro l'eternità del-la risaia, perchè sa che se salva la vita salva anche lapipa, sua principale ricchezza, e... prende in giro il De-stino.

Il broncio della terra ed il sorriso delle genti si fondo-no in una grande smorfia, ambigua ed indefinibile, cheimprime il suo suggello a questa contrada d'oltre mare;alle sue pagode ed alle sue donne, ai suoi ninnoli ed aisuoi ordinamenti politici; smorfia che finisce per illumi-nare di una stramba bellezza anche il tramonto livido diun giorno di «crascian», anche il profilo bislacco d'unapupattola di Hanoi.

Fra uno stagno ed una palude il trenino si avvicinaalla capitale dell'impero francese d'Estremo Oriente. Lalocomotiva fischia ad una pagoda rossa e grottesca cheinarca sui giunchi la sua sagoma tentacolare d'aragostabizzosa. Più lontano un mulino a vento zeppo di draghifa roteare il suo fantastico disco di mostri e di pagliacci.E sfioriamo le staccionate dell'ippodromo di Hanoi.

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Nella baia d'Along

HONGHAI, 19 settembre.

Nella baia d'Along vi sono le miniere di carbone diHonghai e v'è un servizio di battelli-mosca ad uso dei«coloniali» che vogliono far merenda la domenica suuno scoglio!

V'è anche un progetto dell'Ammiragliato francese ditrasformare la baia in una grande base navale, la piùgrande dell'Estremo Oriente, progetto di cui si sonospesso occupati con minuziosa competenza i tecnicidell'... Ammiragliato russo e gli esperti dell'Ammiraglia-to giapponese!

Vi sono diverse altre cose moderne nella baia d'Alonged un giornalista di buona volontà potrebbe scovare fa-cilmente in una delle tante case indigene del «villaggiodei pescatori» uno di quegli annamiti che parlano cor-rentemente francese e che conoscono tutte le sfumaturedella politica coloniale di associazione, il radicalefranco-annamita Ban-Son, per esempio, ed il radico-socialista Hoi-Gan....

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Nella baia d'Along

HONGHAI, 19 settembre.

Nella baia d'Along vi sono le miniere di carbone diHonghai e v'è un servizio di battelli-mosca ad uso dei«coloniali» che vogliono far merenda la domenica suuno scoglio!

V'è anche un progetto dell'Ammiragliato francese ditrasformare la baia in una grande base navale, la piùgrande dell'Estremo Oriente, progetto di cui si sonospesso occupati con minuziosa competenza i tecnicidell'... Ammiragliato russo e gli esperti dell'Ammiraglia-to giapponese!

Vi sono diverse altre cose moderne nella baia d'Alonged un giornalista di buona volontà potrebbe scovare fa-cilmente in una delle tante case indigene del «villaggiodei pescatori» uno di quegli annamiti che parlano cor-rentemente francese e che conoscono tutte le sfumaturedella politica coloniale di associazione, il radicalefranco-annamita Ban-Son, per esempio, ed il radico-socialista Hoi-Gan....

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Ma checché ne pensino certi critici che hanno la ma-nia del positivo e che storcono il naso dinanzi ad ognievocazione di pagode e di parasoli, uno scrittore non vanella baia d'Along per misurare la profondità delle mi-niere nè per sentire l'elogio del deputato Varenne, maper... cercare il Dragone; sicuro signori, per scovare nel-le nubi e nelle caverne, fra gli scogli e gli isolotti, maga-ri nei riflessi dell'atmosfera e nei riverberi dell'acqua lacoda od un'ala del Dragone; del Dragone della Cina edell'Indocina che digrigna i denti sulle prue di tutte legiunche e si contorce sui frontoni di tutte le pagode, cheschizza fiamme d'oro sulle tuniche ricamate dei manda-rini e bava d'argento sui parasoli dipinti dei Tong-doc,che nelle commedie cinesi sostituisce il Caso od il De-stino, che nella commedia quotidiana della vita giallarappresenta tutte le cause di forza maggiore di frontealle quali gli uomini debbono inchinarsi con umiltà erassegnazione.

Molti hanno cercato ad Along il Dragone, qualcunocome Loti ha avuto anche la fortuna di vederlo! Altri in-vece, poveretti, sono passati per la baia senza vedereneppure un bargiglio del suo ceffo furioso nè un guizzodella sua coda di fuoco ed hanno concluso che il... Dra-gone non c'è. Eppure i libri dei filosofi annamiti e deisaggi cinesi assicurano in versi ed in prosa con l'attesta-zione concorde d'oltre due millenni che il Dragone ha lasua tana nella baia d'Along!

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Ma checché ne pensino certi critici che hanno la ma-nia del positivo e che storcono il naso dinanzi ad ognievocazione di pagode e di parasoli, uno scrittore non vanella baia d'Along per misurare la profondità delle mi-niere nè per sentire l'elogio del deputato Varenne, maper... cercare il Dragone; sicuro signori, per scovare nel-le nubi e nelle caverne, fra gli scogli e gli isolotti, maga-ri nei riflessi dell'atmosfera e nei riverberi dell'acqua lacoda od un'ala del Dragone; del Dragone della Cina edell'Indocina che digrigna i denti sulle prue di tutte legiunche e si contorce sui frontoni di tutte le pagode, cheschizza fiamme d'oro sulle tuniche ricamate dei manda-rini e bava d'argento sui parasoli dipinti dei Tong-doc,che nelle commedie cinesi sostituisce il Caso od il De-stino, che nella commedia quotidiana della vita giallarappresenta tutte le cause di forza maggiore di frontealle quali gli uomini debbono inchinarsi con umiltà erassegnazione.

Molti hanno cercato ad Along il Dragone, qualcunocome Loti ha avuto anche la fortuna di vederlo! Altri in-vece, poveretti, sono passati per la baia senza vedereneppure un bargiglio del suo ceffo furioso nè un guizzodella sua coda di fuoco ed hanno concluso che il... Dra-gone non c'è. Eppure i libri dei filosofi annamiti e deisaggi cinesi assicurano in versi ed in prosa con l'attesta-zione concorde d'oltre due millenni che il Dragone ha lasua tana nella baia d'Along!

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Nella necessità di divinizzare in qualche modo il fat-tore climatico che ha esercitato tanta influenza sulla for-mazione della razza e sullo svolgimento della sua storia,l'Asia continentale gialla ha ideato il Dragone, essere fa-voloso che non esiste in nessun'altra mitologia. Non è ilsemplice drago dei celti e dei germanici, mostro secon-dario incaricato nelle fiabe e nelle leggende di difendereper conto d'un mago o d'una fata l'ingresso d'una caver-na od il possesso d'un tesoro, ma è la divinità supremadella collera, il simbolo delle furie ancestrali che deter-minano i cataclismi, l'esponente delle forze cieche dellaNatura che sconquassano la terra e si ridono delle operedifensive degli uomini, il Dio pazzo e burlone dei tifonie delle tempeste, dei cicloni e dei terremoti, delle inon-dazioni e delle epidemie.

Se il Dragone dei cinesi e degli indo-cinesi è mai esi-stito, la baia d'Along doveva essere senza dubbio la suafantastica reggia. Il luogo è degno del mostro nel qualele genti del Fiume Rosso, del Fiume Nero e del FiumeGiallo adorano le stravaganze della Natura, l'esuberanzadei loro fiumi che straripano periodicamente con impetotorrenziale coprendo di fango intere Provincie, la furiadei cicloni che sbalestrano i villaggi, la violenza delleepidemie che spazzano gli uomini a centinaia di miglia-ia, i flagelli delle guerre civili che insanguinano il paesedurante l'esistenza d'una intera generazione, tutto ciòche in queste terre v'è di eccessivo e di smisurato nellerabbie degli elementi e negli odii degli uomini.

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Nella necessità di divinizzare in qualche modo il fat-tore climatico che ha esercitato tanta influenza sulla for-mazione della razza e sullo svolgimento della sua storia,l'Asia continentale gialla ha ideato il Dragone, essere fa-voloso che non esiste in nessun'altra mitologia. Non è ilsemplice drago dei celti e dei germanici, mostro secon-dario incaricato nelle fiabe e nelle leggende di difendereper conto d'un mago o d'una fata l'ingresso d'una caver-na od il possesso d'un tesoro, ma è la divinità supremadella collera, il simbolo delle furie ancestrali che deter-minano i cataclismi, l'esponente delle forze cieche dellaNatura che sconquassano la terra e si ridono delle operedifensive degli uomini, il Dio pazzo e burlone dei tifonie delle tempeste, dei cicloni e dei terremoti, delle inon-dazioni e delle epidemie.

Se il Dragone dei cinesi e degli indo-cinesi è mai esi-stito, la baia d'Along doveva essere senza dubbio la suafantastica reggia. Il luogo è degno del mostro nel qualele genti del Fiume Rosso, del Fiume Nero e del FiumeGiallo adorano le stravaganze della Natura, l'esuberanzadei loro fiumi che straripano periodicamente con impetotorrenziale coprendo di fango intere Provincie, la furiadei cicloni che sbalestrano i villaggi, la violenza delleepidemie che spazzano gli uomini a centinaia di miglia-ia, i flagelli delle guerre civili che insanguinano il paesedurante l'esistenza d'una intera generazione, tutto ciòche in queste terre v'è di eccessivo e di smisurato nellerabbie degli elementi e negli odii degli uomini.

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Il formidabile contrasto esistente fra le crisi della Na-tura e l'imperturbabile serenità delle genti spiega il ghi-gno beffardo del Dragone, ghigno di cattiveria, ma an-che un po' di dispetto, perchè, nonostante i tiri birbonigiuocati alla razza, essa continua a lavorare pacifica-mente la terra ed a moltiplicarsi. Uno stesso contrastocostituisce il fascino della baia d'Along.

Immaginate un'immensa baia tutta seni e promontoriiche in certi punti è così chiara da sembrare un lago, ca-pace di contenere nel suo specchio d'acqua tutte le flottemercantili e tutte le squadre del mondo: un'acqua tran-quilla e piatta che nelle insenature più riparate diventaquasi oleosa. Nessuna tempesta riesce mai ad incresparequesti fantastici laghi marini preclusi a tutti i venti, pro-tetti contro i cicloni dal cerchio spesso delle loro monta-gne, oasi di perpetua bonaccia, create dalla Natura nellazona frenetica delle burrasche e dei monsoni, dei tifoni edelle trombe marine.

Una straordinaria pace dovrebbe sprigionarsi dallaconca immobile che da tempo immemorabile riflette nelsuo cristallo lucente il sorriso delle albe e la gioia deitramonti, ma vi ha abitato il Dragone beffardo il quale,tanto per fare qualche cosa, si è divertito a squassare lemontagne, a fracassare i picchi, a sfondare i fianchi deimonti, a prendere in fondo alle loro viscere rupi e maci-gni e buttarli a manciate nella baia. L'acqua è seminatadi migliaia e migliaia di scogli aguzzi e tormentati checonservano le traccie d'una fantastica battaglia; scogliche una volontà ironica ed onnipotente immobilizzò

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Il formidabile contrasto esistente fra le crisi della Na-tura e l'imperturbabile serenità delle genti spiega il ghi-gno beffardo del Dragone, ghigno di cattiveria, ma an-che un po' di dispetto, perchè, nonostante i tiri birbonigiuocati alla razza, essa continua a lavorare pacifica-mente la terra ed a moltiplicarsi. Uno stesso contrastocostituisce il fascino della baia d'Along.

Immaginate un'immensa baia tutta seni e promontoriiche in certi punti è così chiara da sembrare un lago, ca-pace di contenere nel suo specchio d'acqua tutte le flottemercantili e tutte le squadre del mondo: un'acqua tran-quilla e piatta che nelle insenature più riparate diventaquasi oleosa. Nessuna tempesta riesce mai ad incresparequesti fantastici laghi marini preclusi a tutti i venti, pro-tetti contro i cicloni dal cerchio spesso delle loro monta-gne, oasi di perpetua bonaccia, create dalla Natura nellazona frenetica delle burrasche e dei monsoni, dei tifoni edelle trombe marine.

Una straordinaria pace dovrebbe sprigionarsi dallaconca immobile che da tempo immemorabile riflette nelsuo cristallo lucente il sorriso delle albe e la gioia deitramonti, ma vi ha abitato il Dragone beffardo il quale,tanto per fare qualche cosa, si è divertito a squassare lemontagne, a fracassare i picchi, a sfondare i fianchi deimonti, a prendere in fondo alle loro viscere rupi e maci-gni e buttarli a manciate nella baia. L'acqua è seminatadi migliaia e migliaia di scogli aguzzi e tormentati checonservano le traccie d'una fantastica battaglia; scogliche una volontà ironica ed onnipotente immobilizzò

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Page 489: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

mentre s'azzuffavano nello spasimo d'un cataclisma; chesono rimasti come si trovavano in quell'attimo tragico,tutti contorti e procellosi, neri e sinistri, sminuzzati econvulsi; alcuni ancora allacciati nell'amplesso titanicodella pietra che si dilaniava; altri in bilico sull'acqua,sollevati paradossalmente da un sostegno invisibile, fer-mati nell'istante dello schizzo e dello sbaraglio.

Dovevano essere in quel momento di parossismo allostato di fuoco e l'acqua doveva trapassarli col suo impe-to perchè sono tutti traforati, alcuni vuotati del loro con-tenuto come un osso senza midollo, altri ridotti unasemplice arca a cavaliere del mare, od un groviglio dicordame pietrificato senza forma e senza senso.

Il Dragone si è divertito a dare a molti scogli e maci-gni la forma degli uomini e delle loro cose, tantodell'Oriente che dell'Occidente, quasi a significare chese volesse potrebbe ballare la furlana sulla torre Eiffel esulla colonna di Nelson, sui grattaceli d'America e sullePiramidi d'Egitto. E non c'è bisogno, come in altri luo-ghi, che la guida vi suggestioni a forza mostrandovi unoscoglio colla testa di leone od in feluca di ammiraglio.Qui la scultura ancestrale è d'una rassomiglianza lam-pante. Non si tratta di vaghe affinità, ma di disegni pre-cisi. Ecco la giunca con le vele, la quale non può essereche una giunca con le vele! Ecco i draghi, la tigre, il go-rilla pensoso, le pagode, gli archi trionfali, la cattedralegotica, gli elefanti al galoppo, il mandarino col parasole,l'anfiteatro romano, le piramidi di Saccarah, il Tempiodella Luna di Bangok...

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mentre s'azzuffavano nello spasimo d'un cataclisma; chesono rimasti come si trovavano in quell'attimo tragico,tutti contorti e procellosi, neri e sinistri, sminuzzati econvulsi; alcuni ancora allacciati nell'amplesso titanicodella pietra che si dilaniava; altri in bilico sull'acqua,sollevati paradossalmente da un sostegno invisibile, fer-mati nell'istante dello schizzo e dello sbaraglio.

Dovevano essere in quel momento di parossismo allostato di fuoco e l'acqua doveva trapassarli col suo impe-to perchè sono tutti traforati, alcuni vuotati del loro con-tenuto come un osso senza midollo, altri ridotti unasemplice arca a cavaliere del mare, od un groviglio dicordame pietrificato senza forma e senza senso.

Il Dragone si è divertito a dare a molti scogli e maci-gni la forma degli uomini e delle loro cose, tantodell'Oriente che dell'Occidente, quasi a significare chese volesse potrebbe ballare la furlana sulla torre Eiffel esulla colonna di Nelson, sui grattaceli d'America e sullePiramidi d'Egitto. E non c'è bisogno, come in altri luo-ghi, che la guida vi suggestioni a forza mostrandovi unoscoglio colla testa di leone od in feluca di ammiraglio.Qui la scultura ancestrale è d'una rassomiglianza lam-pante. Non si tratta di vaghe affinità, ma di disegni pre-cisi. Ecco la giunca con le vele, la quale non può essereche una giunca con le vele! Ecco i draghi, la tigre, il go-rilla pensoso, le pagode, gli archi trionfali, la cattedralegotica, gli elefanti al galoppo, il mandarino col parasole,l'anfiteatro romano, le piramidi di Saccarah, il Tempiodella Luna di Bangok...

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Anche i più difficili debbono riconoscere nella baiad'Along una delle meraviglie della terra. Le mirabili de-scrizioni che ne hanno fatto tanti poeti dell'oltre mare ininnumerevoli letterature non tolgono nulla alla magnifi-cenza dello scenario. Ogni ora del giorno ha una sualuce e quindi un suo fascino. La baia d'Along può sem-brare infinitamente triste come pazzamente allegra. Ba-sta un riflesso di sole per cambiare lo sfondo del quadro.

A me è capitata una giornata coperta, non troppo, ap-pena velata da nubi bianchiccie ed altissime. Il sole è in-tercettato dalle nuvole, ma la sua luminosità irrompecon violenza attraverso il velario. Nessun raggio riescead aprirsi un varco fino alla baia, ma tutti i raggi vi pro-iettano la loro luce resa opaca dallo schermo.

L'acqua calmissima sembra un'immensa lastra di zin-co sulla quale un pittore si sia divertito a spennellare tut-ta la gamma dei bigi, dei grigi e degli acciai, dai piùchiari ai più cupi, dai più accesi ai più smorti. Grandi di-schi d'argento sfolgorante chiazzano qua e là la baia. Siha piuttosto l'impressione d'un plenilunio, ma d'un ple-nilunio sconosciuto al nostro globo, riservato ad altripianeti che sono più vicini ai soli ed alle stelle.

La nostra scialuppa s'insinua fra porto Baiardo ed iso-la della Sorpresa nel canale dei Pirati. Per circa due orevaghiamo fra scogli straordinariamente neri o straordi-nariamente bianchi, penetriamo dentro misteriosi anfi-teatri che ci accolgono nella loro ombra tragica, rasen-tiamo una coorte di mostri marini che sporgono fuori

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Anche i più difficili debbono riconoscere nella baiad'Along una delle meraviglie della terra. Le mirabili de-scrizioni che ne hanno fatto tanti poeti dell'oltre mare ininnumerevoli letterature non tolgono nulla alla magnifi-cenza dello scenario. Ogni ora del giorno ha una sualuce e quindi un suo fascino. La baia d'Along può sem-brare infinitamente triste come pazzamente allegra. Ba-sta un riflesso di sole per cambiare lo sfondo del quadro.

A me è capitata una giornata coperta, non troppo, ap-pena velata da nubi bianchiccie ed altissime. Il sole è in-tercettato dalle nuvole, ma la sua luminosità irrompecon violenza attraverso il velario. Nessun raggio riescead aprirsi un varco fino alla baia, ma tutti i raggi vi pro-iettano la loro luce resa opaca dallo schermo.

L'acqua calmissima sembra un'immensa lastra di zin-co sulla quale un pittore si sia divertito a spennellare tut-ta la gamma dei bigi, dei grigi e degli acciai, dai piùchiari ai più cupi, dai più accesi ai più smorti. Grandi di-schi d'argento sfolgorante chiazzano qua e là la baia. Siha piuttosto l'impressione d'un plenilunio, ma d'un ple-nilunio sconosciuto al nostro globo, riservato ad altripianeti che sono più vicini ai soli ed alle stelle.

La nostra scialuppa s'insinua fra porto Baiardo ed iso-la della Sorpresa nel canale dei Pirati. Per circa due orevaghiamo fra scogli straordinariamente neri o straordi-nariamente bianchi, penetriamo dentro misteriosi anfi-teatri che ci accolgono nella loro ombra tragica, rasen-tiamo una coorte di mostri marini che sporgono fuori

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dall'acqua i musi affilati e bavosi, siamo per un momen-to prigionieri d'una pazza sarabanda d'animali preistori-ci, poi lo scenario aumenta di solennità e si viaggia fracattedrali in rovina e castelli diroccati per finire in mez-zo ad un consiglio ecumenico d'archimandriti mitrati.

Quando ci avviciniamo alla terra ferma vediamo lefiancate di calcare che precipitano a strapiombo a mare,tutte scavate di grotte e di caverne che furono per secolie secoli i covi invulnerabili di molteplici generazioni dipirati, terrore dei mari di Cina e dei fiumi di Indocina.All'ingresso degli orifizi l'acqua ha il lampeggiamentocupo del bronzo. Certe volte s'entra in un cunicolo fradue scogliere credendo di passare dall'altra parte: il cu-nicolo diventa invece una galleria coperta che sfocia inun laghetto misterioso, il quale, con un cielo sereno,deve eclissare lo splendore di tutti gli smeraldi, ma colcielo smorto di oggi ha la pesantezza opaca d'un catinopieno di mercurio.

Vi sono scogli appena a fior d'acqua e scogli ches'innalzano fino a duecento metri. Qua ammassi di rupicilindriche fanno pensare alle torri d'una metropoli se-polta, più in là una fila di roccie stranamente scavatedalle onde sembra una serie di archi trionfali adornantiuna strada sommersa; a destra un Napoleone in feluca epanciotto bianco domina la frenesia d'una furibonda bat-taglia navale, a sinistra un tempio indiano zeppo d'idolie d'elefanti invita le genti a cercare la statua di Siva.

Certo se uno si limita alla passeggiatina in formato ri-dottissimo delle scolte del «Servizio Turistico», pigiato

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dall'acqua i musi affilati e bavosi, siamo per un momen-to prigionieri d'una pazza sarabanda d'animali preistori-ci, poi lo scenario aumenta di solennità e si viaggia fracattedrali in rovina e castelli diroccati per finire in mez-zo ad un consiglio ecumenico d'archimandriti mitrati.

Quando ci avviciniamo alla terra ferma vediamo lefiancate di calcare che precipitano a strapiombo a mare,tutte scavate di grotte e di caverne che furono per secolie secoli i covi invulnerabili di molteplici generazioni dipirati, terrore dei mari di Cina e dei fiumi di Indocina.All'ingresso degli orifizi l'acqua ha il lampeggiamentocupo del bronzo. Certe volte s'entra in un cunicolo fradue scogliere credendo di passare dall'altra parte: il cu-nicolo diventa invece una galleria coperta che sfocia inun laghetto misterioso, il quale, con un cielo sereno,deve eclissare lo splendore di tutti gli smeraldi, ma colcielo smorto di oggi ha la pesantezza opaca d'un catinopieno di mercurio.

Vi sono scogli appena a fior d'acqua e scogli ches'innalzano fino a duecento metri. Qua ammassi di rupicilindriche fanno pensare alle torri d'una metropoli se-polta, più in là una fila di roccie stranamente scavatedalle onde sembra una serie di archi trionfali adornantiuna strada sommersa; a destra un Napoleone in feluca epanciotto bianco domina la frenesia d'una furibonda bat-taglia navale, a sinistra un tempio indiano zeppo d'idolie d'elefanti invita le genti a cercare la statua di Siva.

Certo se uno si limita alla passeggiatina in formato ri-dottissimo delle scolte del «Servizio Turistico», pigiato

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la domenica in mezzo ad una folla di coloniali a diportoe di famiglie con la merenda, la visione di Along perdetre quarti della sua magnificenza. Ciò spiega forse comequalche viaggiatore si sia sentito recentemente in doveredi gettare un po' di sarcasmo parigino sugli entusiasmitradizionali suscitati dalla baia del Dragone. Per certiscrittori e giornalisti del tipo alla moda, l'arte consistenel fugare con quattro banalità i fantasmi secolari d'unluogo. Nel caso di Along basta evocare con facili spiri-tosaggini le quotazioni in Borsa delle miniere di carbonedi Honghai o descrivere la tolda del vaporino domenica-le gremito di funzionarii con la lenza e di balie coi mar-mocchi per raggiungere l'effetto. Padronissimi del resto!Finchè mondo sarà mondo di fronte a qualsiasi spettaco-lo della Natura vi saranno sempre due categorie di spet-tatori, quelli che s'entusiasmano e quelli che sbadiglia-no, Io ringrazio Iddio d'appartenere ai primi e provo unainfinita pietà pei secondi.

Un, vecchio marinaio annamita, giallo e taciturno,guida la mia scialuppa ed ogni tanto spegne il motorinopettegolo per non disturbare i fantasmi che escono dallecaverne e si staccano dalle roccie...

È questo un grande scenario romantico per leggendedi terrore e per fiabe di spavento, popolato dagli spettridell'Annam decrepito e della Cina quadri-millenaria.Ognuna di queste caverne ha una sua misteriosa storiache nessuno conosce, storia di corsari, d'assalti, di pri-gionie, di torture e di gozzoviglie. Tutti i poemidell'Annam cantano le glorie e le infamie della baia

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la domenica in mezzo ad una folla di coloniali a diportoe di famiglie con la merenda, la visione di Along perdetre quarti della sua magnificenza. Ciò spiega forse comequalche viaggiatore si sia sentito recentemente in doveredi gettare un po' di sarcasmo parigino sugli entusiasmitradizionali suscitati dalla baia del Dragone. Per certiscrittori e giornalisti del tipo alla moda, l'arte consistenel fugare con quattro banalità i fantasmi secolari d'unluogo. Nel caso di Along basta evocare con facili spiri-tosaggini le quotazioni in Borsa delle miniere di carbonedi Honghai o descrivere la tolda del vaporino domenica-le gremito di funzionarii con la lenza e di balie coi mar-mocchi per raggiungere l'effetto. Padronissimi del resto!Finchè mondo sarà mondo di fronte a qualsiasi spettaco-lo della Natura vi saranno sempre due categorie di spet-tatori, quelli che s'entusiasmano e quelli che sbadiglia-no, Io ringrazio Iddio d'appartenere ai primi e provo unainfinita pietà pei secondi.

Un, vecchio marinaio annamita, giallo e taciturno,guida la mia scialuppa ed ogni tanto spegne il motorinopettegolo per non disturbare i fantasmi che escono dallecaverne e si staccano dalle roccie...

È questo un grande scenario romantico per leggendedi terrore e per fiabe di spavento, popolato dagli spettridell'Annam decrepito e della Cina quadri-millenaria.Ognuna di queste caverne ha una sua misteriosa storiache nessuno conosce, storia di corsari, d'assalti, di pri-gionie, di torture e di gozzoviglie. Tutti i poemidell'Annam cantano le glorie e le infamie della baia

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d'Along. Principi imperiali e potenti mandarini hanno fi-nito i loro giorni in mezzo a questi scogli servendo dasgabello ai filibustieri del Fiume Rosso. Nessuna tracciaindica l'esistenza di abitazioni umane. La Natura fornivaprodigalmente agli avventurosi abitanti della baia reggiee prigioni, circhi e piscine.

Se io fossi un miliardario americano, uno di quei for-tunati mortali d'oltre Atlantico che hanno le loro ric-chezze magicamente quadruplicate perchè altri popoli sitrovano in gloriose ristrettezze, vorrei che nascosta die-tro le rupi una formidabile orchestra suonasse per me lepiù indiavolate orchestrazioni del gigante Wagner e lepiù travolgenti sinfonie del gigante Verdi! I mille echidelle roccie e delle caverne vi aggiungerebbero il lororombo ancestrale, quasi che in fondo agli abissi il Dra-gone mugghiasse d'ebbrezza e le sue ali battessero iltempo delle danze vertiginose dei serpenti marini!

Tutte le roccie sono nude. Solo qua e là s'erge – foscoe solitario – un cipresso di Cina od un ananas selvaggioapre a mezzo d'una rupe il ciuffo contorto ed ischeletritodei suoi rami spinosi.

La scialuppa entra per un portale gotico nell'internod'una cattedrale evangelica, infila un canale freddo fradue pareti di roccie che sembrano galleggianti, fa prov-vista d'aria e di luce nella corte allagata di un castellomedioevale poi penetra nelle viscere stesse della monta-gna dentro un budello di tenebra in fondo al quale un di-sco di platino s'ingradisce e s'ingrandisce... e ci trovia-mo in un tempio d'India! Fatto dagli uomini o dalla na-

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d'Along. Principi imperiali e potenti mandarini hanno fi-nito i loro giorni in mezzo a questi scogli servendo dasgabello ai filibustieri del Fiume Rosso. Nessuna tracciaindica l'esistenza di abitazioni umane. La Natura fornivaprodigalmente agli avventurosi abitanti della baia reggiee prigioni, circhi e piscine.

Se io fossi un miliardario americano, uno di quei for-tunati mortali d'oltre Atlantico che hanno le loro ric-chezze magicamente quadruplicate perchè altri popoli sitrovano in gloriose ristrettezze, vorrei che nascosta die-tro le rupi una formidabile orchestra suonasse per me lepiù indiavolate orchestrazioni del gigante Wagner e lepiù travolgenti sinfonie del gigante Verdi! I mille echidelle roccie e delle caverne vi aggiungerebbero il lororombo ancestrale, quasi che in fondo agli abissi il Dra-gone mugghiasse d'ebbrezza e le sue ali battessero iltempo delle danze vertiginose dei serpenti marini!

Tutte le roccie sono nude. Solo qua e là s'erge – foscoe solitario – un cipresso di Cina od un ananas selvaggioapre a mezzo d'una rupe il ciuffo contorto ed ischeletritodei suoi rami spinosi.

La scialuppa entra per un portale gotico nell'internod'una cattedrale evangelica, infila un canale freddo fradue pareti di roccie che sembrano galleggianti, fa prov-vista d'aria e di luce nella corte allagata di un castellomedioevale poi penetra nelle viscere stesse della monta-gna dentro un budello di tenebra in fondo al quale un di-sco di platino s'ingradisce e s'ingrandisce... e ci trovia-mo in un tempio d'India! Fatto dagli uomini o dalla na-

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tura? Chi può dirlo? V'è nella roccia l'abbozzo ciclopicod'una testa di Brahma, vi sono cento simulacri d'idoli in-colleriti, le gradinate monumentali dei Gath di Calcuttae di Benares, in fondo una spiaggetta inverosimile, for-mata dai millennii nell'interno d'un grande scoglio, stri-scia d'ocra argentata dai frantumi microscopici delleconchiglie. Dall'alto il cielo lattiginoso versa nell'imbutofantastico il pianto della sua luminosità livida ed opaca.

Il silenzio è assoluto. Nessun brivido d'aria e nessunfremito di acqua turbano la pace dei nascondiglio.

Quanto tempo restiamo qui? Non so, molto certo, per-chè io scrivo interamente questa mia sotto lo sguardoimpassibile dell'annamita che fuma con sbuffi lenti e re-golari la sua pipa d'arec. Chissà che cosa pensa il giallonella sua profonda saggezza vedendomi riempire nervo-samente di sgorbi fogli e fogli di carta? Avrei forse fattomeglio a sdraiarmi anch'io come lui sulla spiaggettad'ocra e d'argento e sorseggiare la voluttà di una solitu-dine così infinita. Non siamo solamente lontani dal tu-multo della vita ma totalmente isolati dalla vita stessanell'interno d'uno scoglio che è sospeso sul mistero de-gli abissi. È questa una vasca scavata nella roccia oppu-re l'acqua arriva fino alle profondità della baia? Siamoforse dentro un bizzarro anello di sasso, in bilico framare e cielo! Che cosa lo sostiene? Tutta l'immensitàdel mare è ridotta per noi ad un laghetto di trenta metri,tutta l'immensità del cielo ad un disco lontanissimo dibambagia.

— Dove siamo? — chiedo al giallo.

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tura? Chi può dirlo? V'è nella roccia l'abbozzo ciclopicod'una testa di Brahma, vi sono cento simulacri d'idoli in-colleriti, le gradinate monumentali dei Gath di Calcuttae di Benares, in fondo una spiaggetta inverosimile, for-mata dai millennii nell'interno d'un grande scoglio, stri-scia d'ocra argentata dai frantumi microscopici delleconchiglie. Dall'alto il cielo lattiginoso versa nell'imbutofantastico il pianto della sua luminosità livida ed opaca.

Il silenzio è assoluto. Nessun brivido d'aria e nessunfremito di acqua turbano la pace dei nascondiglio.

Quanto tempo restiamo qui? Non so, molto certo, per-chè io scrivo interamente questa mia sotto lo sguardoimpassibile dell'annamita che fuma con sbuffi lenti e re-golari la sua pipa d'arec. Chissà che cosa pensa il giallonella sua profonda saggezza vedendomi riempire nervo-samente di sgorbi fogli e fogli di carta? Avrei forse fattomeglio a sdraiarmi anch'io come lui sulla spiaggettad'ocra e d'argento e sorseggiare la voluttà di una solitu-dine così infinita. Non siamo solamente lontani dal tu-multo della vita ma totalmente isolati dalla vita stessanell'interno d'uno scoglio che è sospeso sul mistero de-gli abissi. È questa una vasca scavata nella roccia oppu-re l'acqua arriva fino alle profondità della baia? Siamoforse dentro un bizzarro anello di sasso, in bilico framare e cielo! Che cosa lo sostiene? Tutta l'immensitàdel mare è ridotta per noi ad un laghetto di trenta metri,tutta l'immensità del cielo ad un disco lontanissimo dibambagia.

— Dove siamo? — chiedo al giallo.

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— Nella casa del Dragone, — mi risponde.

LAOS – Rovine di un tempio nella foresta.

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— Nella casa del Dragone, — mi risponde.

LAOS – Rovine di un tempio nella foresta.

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GWALIOR – Mura del palazzo Nan Sing.Poi, dopo una lunga pausa aggiunge: — Qui lo aspet-

tavano le donne rubate dai tifoni e dai maremoti nei vil-laggi...

Pian piano rifacciamo in senso inverso la stradad'ombra fino alla corte allagata del castello medioevale,rientriamo nel canale delle roccie galleggianti, ripassia-mo sotto le navate della cattedrale nordica fino al porta-le gotico.

Riecco la baia d'Along!Ma l'ora è cambiata. Un tramonto formidabile empie

del suo fuoco la reggia del Dragone. Prima di morire ilsole è riuscito a spezzare l'involucro delle nubi ed ora sivendica della prigionia del giorno mitragliando furiosa-mente il cielo ed il golfo. Le nubi sgominate ed incalza-te da venti improvvisi fuggono in disordine verso le lon-tananze. Altre nubi in fuga sopraggiungono dal fondodei monti passando veloci sulla baia. Non tutte scappa-no però, che due o tre nuvoloni più bassi affrontano lecollere del vento ed il bombardamento del sole, enormimasse d'acciaio listate d'oro turgido e solcate di lampiviolacei.

Il giallo ed il rosso sono i colori dominanti dello sce-nario in fiamme, un giallo zafferano ed un rosso lacca,entrambi prepotentemente cinesi che fanno sì che questocielo non somigli a nessun altro.

Ora la scialuppa fila veloce fra gli scogli per guada-gnare l'uscita della baia prima del crepuscolo. Ogni tan-

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GWALIOR – Mura del palazzo Nan Sing.Poi, dopo una lunga pausa aggiunge: — Qui lo aspet-

tavano le donne rubate dai tifoni e dai maremoti nei vil-laggi...

Pian piano rifacciamo in senso inverso la stradad'ombra fino alla corte allagata del castello medioevale,rientriamo nel canale delle roccie galleggianti, ripassia-mo sotto le navate della cattedrale nordica fino al porta-le gotico.

Riecco la baia d'Along!Ma l'ora è cambiata. Un tramonto formidabile empie

del suo fuoco la reggia del Dragone. Prima di morire ilsole è riuscito a spezzare l'involucro delle nubi ed ora sivendica della prigionia del giorno mitragliando furiosa-mente il cielo ed il golfo. Le nubi sgominate ed incalza-te da venti improvvisi fuggono in disordine verso le lon-tananze. Altre nubi in fuga sopraggiungono dal fondodei monti passando veloci sulla baia. Non tutte scappa-no però, che due o tre nuvoloni più bassi affrontano lecollere del vento ed il bombardamento del sole, enormimasse d'acciaio listate d'oro turgido e solcate di lampiviolacei.

Il giallo ed il rosso sono i colori dominanti dello sce-nario in fiamme, un giallo zafferano ed un rosso lacca,entrambi prepotentemente cinesi che fanno sì che questocielo non somigli a nessun altro.

Ora la scialuppa fila veloce fra gli scogli per guada-gnare l'uscita della baia prima del crepuscolo. Ogni tan-

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to l'annamita interroga il cielo coi suoi occhietti di smal-to. Una lunga ruga gli taglia in due la fronte sporgente.Forse ha veramente paura del Dragone o non vuole farsisorprendere dalle tenebre nella baia?

Dalla parte dove sono situate le miniere di carbone diHonghai le montagne e gli scogli sono neri, orlati dalsole morente di gialli cupi e malvagi che evocano la pe-ste e la quarantena. Dalla parte opposta invece le scarpa-te di calcare che franano a mare hanno la lucentezzabianca del marmo e gli scogli ardono come roghi. Suuna rupe a forma di piramide che arde pazzamente in di-rezione del sole s'erge nero e sinistro un alto cipresso.

Un gran tappeto di topazi e di rubini ascende lenta-mente dalle profondità della baia fino a livellodell'acqua...

Faglioni alti duecento metri chiazzano la rada di mac-chie verdi. E le loro ombre camminano sul mare comefantasmi di città sepolte. La scialuppa scivola su miste-riosi riflessi di cupole, di campanili e di guglie. Le veledella «Giunca» trapassate dalle freccie d'oro hanno lagrazia fragile delle stuoie di bambù adoperate dai «sam-pan». Napoleone lascia la giacca d'Austerlitz ed il pan-ciotto di Marengo per indossare un abito imperiale divelluto scarlatto; la roccia della Cattedrale e lo scogliodelle Colonne accendono tutti i loro ceri pel Vespro so-lenne. Sembra che sugli orifizi delle grotte dei piratimani magiche stiano intassando i tesori delle razzie edelle catture.

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to l'annamita interroga il cielo coi suoi occhietti di smal-to. Una lunga ruga gli taglia in due la fronte sporgente.Forse ha veramente paura del Dragone o non vuole farsisorprendere dalle tenebre nella baia?

Dalla parte dove sono situate le miniere di carbone diHonghai le montagne e gli scogli sono neri, orlati dalsole morente di gialli cupi e malvagi che evocano la pe-ste e la quarantena. Dalla parte opposta invece le scarpa-te di calcare che franano a mare hanno la lucentezzabianca del marmo e gli scogli ardono come roghi. Suuna rupe a forma di piramide che arde pazzamente in di-rezione del sole s'erge nero e sinistro un alto cipresso.

Un gran tappeto di topazi e di rubini ascende lenta-mente dalle profondità della baia fino a livellodell'acqua...

Faglioni alti duecento metri chiazzano la rada di mac-chie verdi. E le loro ombre camminano sul mare comefantasmi di città sepolte. La scialuppa scivola su miste-riosi riflessi di cupole, di campanili e di guglie. Le veledella «Giunca» trapassate dalle freccie d'oro hanno lagrazia fragile delle stuoie di bambù adoperate dai «sam-pan». Napoleone lascia la giacca d'Austerlitz ed il pan-ciotto di Marengo per indossare un abito imperiale divelluto scarlatto; la roccia della Cattedrale e lo scogliodelle Colonne accendono tutti i loro ceri pel Vespro so-lenne. Sembra che sugli orifizi delle grotte dei piratimani magiche stiano intassando i tesori delle razzie edelle catture.

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La Grotta delle Meraviglie ha voluttuosi sbadiglid'oro. Mille bengala bruciano nella Grotta delle Perle.Dietro le piramidi di Saccarah balenano gli steli fragilidella moschea di Mohammed Aly.

E s'aspetta il Dragone.Dove il sole affonda una nube fantastica che ha la co-

lorazione sinistra del cannello ossidrico, muta vertigino-samente forma ad ogni istante. Pare che il vento vogliaportarla via e che il sole la trattenga. Ora la nuvolas'allunga ora si raggomitola, si sfilaccia e si ricompone,evapora e si riforma, salta, guizza, serpenteggia. Dueocchi verdi folgorano in mezzo alla battaglia. L'orizzon-te è dominato dalle sue contorsioni diaboliche. Tutta labaia cambia fulmineamente di tinta a seconda che la nu-vola si scosta dal sole morente o si rannicchia control'astro.

La scialuppa fugge sull'acqua solitaria verso l'uscitadella rada.

Poi il sole, ridotto uno spicchio di brace, abbandonaal vento la sua preda che esplode in una grande vampadi razzi gialli e violetti. Si ha quasi meraviglia di nonsentire il rombo immane dello scoppio. Resta un fumoluminoso striato di piccoli lampi...

Anche nelle foreste annamite i dragoni di seta e dicarta scoppiano improvvisamente in una fiammataquando più ardente è l'entusiasmo della folla e più fre-netiche impazzano le danze.

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La Grotta delle Meraviglie ha voluttuosi sbadiglid'oro. Mille bengala bruciano nella Grotta delle Perle.Dietro le piramidi di Saccarah balenano gli steli fragilidella moschea di Mohammed Aly.

E s'aspetta il Dragone.Dove il sole affonda una nube fantastica che ha la co-

lorazione sinistra del cannello ossidrico, muta vertigino-samente forma ad ogni istante. Pare che il vento vogliaportarla via e che il sole la trattenga. Ora la nuvolas'allunga ora si raggomitola, si sfilaccia e si ricompone,evapora e si riforma, salta, guizza, serpenteggia. Dueocchi verdi folgorano in mezzo alla battaglia. L'orizzon-te è dominato dalle sue contorsioni diaboliche. Tutta labaia cambia fulmineamente di tinta a seconda che la nu-vola si scosta dal sole morente o si rannicchia control'astro.

La scialuppa fugge sull'acqua solitaria verso l'uscitadella rada.

Poi il sole, ridotto uno spicchio di brace, abbandonaal vento la sua preda che esplode in una grande vampadi razzi gialli e violetti. Si ha quasi meraviglia di nonsentire il rombo immane dello scoppio. Resta un fumoluminoso striato di piccoli lampi...

Anche nelle foreste annamite i dragoni di seta e dicarta scoppiano improvvisamente in una fiammataquando più ardente è l'entusiasmo della folla e più fre-netiche impazzano le danze.

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Discendenti di pirati

CAT-BA', 27 settembre

La tempesta che da due giorni batteva il mare s'è rab-bonita durante la notte. Il «crascian» ha smesso di pian-gere verso le dieci e subito un sole pallido è uscito daglistrappi delle nubi a spennellare di riflessi gialli il Deltaed il golfo. Il vaporetto che unisce quotidianamentel'isola di Cat-bà alla costa tonkinese è uscito ballonzo-lando da Honghai ed ora s'avvicina all'isola in mezzoagli innumerevoli scogli che punteggiano le onde limac-ciose ancora gonfie di vento. A sud la baia d'Along spa-lanca la sua fantastica bocca irta di roccheforti e di ca-stellacci.

L'isola rocciosa dominata da un picco ardito drizzasul mare le sue alte mura a strapiombo, mura di granitorossiccio, scanellate da lunghi crepacci, traforate digrotte e di caverne dentro le quali le onde precipitanocon ululi rabbiosi.

Per lunghi secoli l'isola di Cat-bà è stata la sentinellaavanzata degli invincibili pirati del golfo. Da Cat-bàpartivano le flottiglie per le scorrerie notturne sul litora-

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Discendenti di pirati

CAT-BA', 27 settembre

La tempesta che da due giorni batteva il mare s'è rab-bonita durante la notte. Il «crascian» ha smesso di pian-gere verso le dieci e subito un sole pallido è uscito daglistrappi delle nubi a spennellare di riflessi gialli il Deltaed il golfo. Il vaporetto che unisce quotidianamentel'isola di Cat-bà alla costa tonkinese è uscito ballonzo-lando da Honghai ed ora s'avvicina all'isola in mezzoagli innumerevoli scogli che punteggiano le onde limac-ciose ancora gonfie di vento. A sud la baia d'Along spa-lanca la sua fantastica bocca irta di roccheforti e di ca-stellacci.

L'isola rocciosa dominata da un picco ardito drizzasul mare le sue alte mura a strapiombo, mura di granitorossiccio, scanellate da lunghi crepacci, traforate digrotte e di caverne dentro le quali le onde precipitanocon ululi rabbiosi.

Per lunghi secoli l'isola di Cat-bà è stata la sentinellaavanzata degli invincibili pirati del golfo. Da Cat-bàpartivano le flottiglie per le scorrerie notturne sul litora-

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le, per le crociere intorno all'isola di Hai Nan o per legrandi spedizioni nei mari dell'Annam e della Cina. ACat-bà si rifugiavano le giunche corsare inseguite dalleflotte imperiali dei figli del Cielo e sovente attiravano ilnemico nelle trappole di Kebak o di Gow-Tow. Tutta labaia d'Along e tutte le cento isole grandi e piccole dellacosta erano covi di pirati ma Cat-bà era la chiave strate-gica dell'intero arcipelago e v'erano, annidate le ciurmepiù audaci e più agguerrite. I poemi dell'Annam e dellaCina cantano le gesta dei corsari che risalivano i fiumied i canali fino alle grandi città del Sud Pacifico edell'impero del Mezzo seminando la morte e lo sgomen-to, catturando i Tong-doc ed i mandarini, saccheggiandole pagode, rubando i Buddha di avorio e di giada. Le piùbelle ragazze dei villaggi erano rapite nottetempo nellecase e non si aveva più notizia della loro sorte. Le leg-gende attribuivano ai pirati un capo favoloso, il Drago-ne, e formidabili alleati nei Genii delle caverne e neiserpenti marini...

Ora i pirati sono scomparsi dal golfo del Tonkino, so-praffatti dalla celere navigazione a vapore e dai cannonidelle flotte europee. Le isole più piccole sono disabitate,la baia d'AIong è diventata un luogo di gite e di meren-de. Gli abitanti delle isole maggiori hanno cambiato me-stiere, lavorano nelle risaie del Delta o fanno i minatorinelle cave di carbone di Honghai. Solo è rimasto a Cat-bà uno strano villaggio di pescatori cinesi, gente rude eselvaggia che ha nelle vene il vecchio sangue corsaro evive appartata sullo scoglio degli antenati.

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le, per le crociere intorno all'isola di Hai Nan o per legrandi spedizioni nei mari dell'Annam e della Cina. ACat-bà si rifugiavano le giunche corsare inseguite dalleflotte imperiali dei figli del Cielo e sovente attiravano ilnemico nelle trappole di Kebak o di Gow-Tow. Tutta labaia d'Along e tutte le cento isole grandi e piccole dellacosta erano covi di pirati ma Cat-bà era la chiave strate-gica dell'intero arcipelago e v'erano, annidate le ciurmepiù audaci e più agguerrite. I poemi dell'Annam e dellaCina cantano le gesta dei corsari che risalivano i fiumied i canali fino alle grandi città del Sud Pacifico edell'impero del Mezzo seminando la morte e lo sgomen-to, catturando i Tong-doc ed i mandarini, saccheggiandole pagode, rubando i Buddha di avorio e di giada. Le piùbelle ragazze dei villaggi erano rapite nottetempo nellecase e non si aveva più notizia della loro sorte. Le leg-gende attribuivano ai pirati un capo favoloso, il Drago-ne, e formidabili alleati nei Genii delle caverne e neiserpenti marini...

Ora i pirati sono scomparsi dal golfo del Tonkino, so-praffatti dalla celere navigazione a vapore e dai cannonidelle flotte europee. Le isole più piccole sono disabitate,la baia d'AIong è diventata un luogo di gite e di meren-de. Gli abitanti delle isole maggiori hanno cambiato me-stiere, lavorano nelle risaie del Delta o fanno i minatorinelle cave di carbone di Honghai. Solo è rimasto a Cat-bà uno strano villaggio di pescatori cinesi, gente rude eselvaggia che ha nelle vene il vecchio sangue corsaro evive appartata sullo scoglio degli antenati.

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Tutti i tentativi fatti dalla direzione delle miniere diHonghai o dai padroni delle fabbriche di Haifong per re-clutare mano d'opera a Cat-bà sono sempre falliti. An-che nella stagione cattiva, quando i monsoni cacciano ipesci dal golfo del Tonckino a cercare i fondali più tran-quilli nel golfo del Siam, nessun uomo di Cat-bà lascial'isola. Qualunque lavoro è considerato dai discendentidei pirati una fatica d'ergastolani. Solo il mare soddisfa iloro istinti ereditarii di libertà e di rischio. Ed il mare ècattivo nel golfo! Per quattro mesi all'anno i monsoni losquassano rabbiosamente obbligando le giunche a starrannicchiate nel piccolo porto e le barche a ripararsi daimarosi sotto le palafitte del villaggio. Nel restodell'annata le tempeste sconvolgono con frequenzal'arcipelago. Tifoni, cicloni e maremoti devastano le iso-le. A volte bastano poche ore per trasformare una bonac-cia in una furibonda tempesta. Le trombe marine si for-mano con straordinaria facilità in mezzo agli stretti e sispezzano con veemenza di cataclismi contro le alte sco-gliere. Ma gli uomini di Cat-bà restano avviticchiatiall'isola delle caverne.

Se domani per un sovvolgimento politico fosse nuo-vamente possibile la vita corsara, i pescatori di Cat-bàricomincerebbero senza dubbio l'esistenza di guerra ed'avventura dei loro padri. Rare sono le zuffe nel paese,ma quando due uomini s'accapigliano è a morte. Il col-tello balena in tutte le cintole. Una «legge d'onore» re-gola i litigi, legge sconosciuta in tutto il resto della Cina

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Tutti i tentativi fatti dalla direzione delle miniere diHonghai o dai padroni delle fabbriche di Haifong per re-clutare mano d'opera a Cat-bà sono sempre falliti. An-che nella stagione cattiva, quando i monsoni cacciano ipesci dal golfo del Tonckino a cercare i fondali più tran-quilli nel golfo del Siam, nessun uomo di Cat-bà lascial'isola. Qualunque lavoro è considerato dai discendentidei pirati una fatica d'ergastolani. Solo il mare soddisfa iloro istinti ereditarii di libertà e di rischio. Ed il mare ècattivo nel golfo! Per quattro mesi all'anno i monsoni losquassano rabbiosamente obbligando le giunche a starrannicchiate nel piccolo porto e le barche a ripararsi daimarosi sotto le palafitte del villaggio. Nel restodell'annata le tempeste sconvolgono con frequenzal'arcipelago. Tifoni, cicloni e maremoti devastano le iso-le. A volte bastano poche ore per trasformare una bonac-cia in una furibonda tempesta. Le trombe marine si for-mano con straordinaria facilità in mezzo agli stretti e sispezzano con veemenza di cataclismi contro le alte sco-gliere. Ma gli uomini di Cat-bà restano avviticchiatiall'isola delle caverne.

Se domani per un sovvolgimento politico fosse nuo-vamente possibile la vita corsara, i pescatori di Cat-bàricomincerebbero senza dubbio l'esistenza di guerra ed'avventura dei loro padri. Rare sono le zuffe nel paese,ma quando due uomini s'accapigliano è a morte. Il col-tello balena in tutte le cintole. Una «legge d'onore» re-gola i litigi, legge sconosciuta in tutto il resto della Cina

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e dell'Indocina, codice di briganti e di filibustieri peiquali la forza e la destrezza hanno l'ultima parola.

Quando si sbarca nell'isola si è sorpresi dall'aspettofiero degli abitanti che non hanno nulla di comune coitonkinesi gracili e burattini della terra ferma e neppurecoi tondi e panciuti cinesi di Haifong. È gente alta, ma-gra, muscolosa, che vi passa vicino senza degnarvi diuno sguardo. I bimbi non stendono la mano a chiederel'elemosina, ma guardano con cipiglio lo straniero e siribellano alla carezza. La mescolanza delle razze hacreato un tipo a sé che non è cinese, non è indo-cinese enon è indiano. Certi nasi piatti fanno pensare ai mongolidelle steppe settentrionali, certi visi bruni e regolari ri-cordano invece i portoghesi di Macao, Ogni tanto unatesta bionda evoca i misteri delle alcove pirate nellequali la ripartizione del bottino mescolava i continenti.

Il villaggio è costruito in una piccola insenatura, die-tro una fantastica accozzaglia di roccie su una strettastriscia di terra fra il mare e le rupi. Sono forse trecentocasupole appoggiate una all'altra con dinanzi agli uscitre metri scarsi di strada. Subito dopo incomincia ilmare.

Le case miserabili, rabberciate con sughero e latte ar-rugginite, stanno in bilico su un complicato sistema dipalafitte perchè d'inverno le onde arrivano fino alla roc-cia ed invadono il paese. Un masso ciclopico domina illuogo e pare debba franare da un momento all'altro. Unapagoda sordida e sbilenca, messa di traverso fra due ma-cigni, erge il ciarpame della sua feluca sul groviglio feti-

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e dell'Indocina, codice di briganti e di filibustieri peiquali la forza e la destrezza hanno l'ultima parola.

Quando si sbarca nell'isola si è sorpresi dall'aspettofiero degli abitanti che non hanno nulla di comune coitonkinesi gracili e burattini della terra ferma e neppurecoi tondi e panciuti cinesi di Haifong. È gente alta, ma-gra, muscolosa, che vi passa vicino senza degnarvi diuno sguardo. I bimbi non stendono la mano a chiederel'elemosina, ma guardano con cipiglio lo straniero e siribellano alla carezza. La mescolanza delle razze hacreato un tipo a sé che non è cinese, non è indo-cinese enon è indiano. Certi nasi piatti fanno pensare ai mongolidelle steppe settentrionali, certi visi bruni e regolari ri-cordano invece i portoghesi di Macao, Ogni tanto unatesta bionda evoca i misteri delle alcove pirate nellequali la ripartizione del bottino mescolava i continenti.

Il villaggio è costruito in una piccola insenatura, die-tro una fantastica accozzaglia di roccie su una strettastriscia di terra fra il mare e le rupi. Sono forse trecentocasupole appoggiate una all'altra con dinanzi agli uscitre metri scarsi di strada. Subito dopo incomincia ilmare.

Le case miserabili, rabberciate con sughero e latte ar-rugginite, stanno in bilico su un complicato sistema dipalafitte perchè d'inverno le onde arrivano fino alla roc-cia ed invadono il paese. Un masso ciclopico domina illuogo e pare debba franare da un momento all'altro. Unapagoda sordida e sbilenca, messa di traverso fra due ma-cigni, erge il ciarpame della sua feluca sul groviglio feti-

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do delle bicocche. Sotto le palafitte la ragazzaglia delpaese sguazza nel putridume di un fango nerastro insie-me con i maiali neri che v'hanno il loro truogolo ed aicani muti che v'hanno la loro tana. Però le finestre sonopiene di gerani e di fiori secondo l'usanza cinese e fuoridegli usci penzolano quei lampioni di carta e di seta chedanno un'aria di festa a tutte le topaie della Cina.

Il villaggio ha una sola strada, selciata alla meglio coisassi tondi della spiaggia. Qua e là affiora una roccia odil mare s'intrufola fra le case. Assi gettate di traversoaiutano a superare i mali passi. I muri corrosi dall'umidi-tà e dalla salsedine sono tappezzati di muffa verdognola,talvolta addirittura di quella vegetazione marina che co-pre gli scogli.

Nel minuscolo porto stanno appiattate le grandi giun-che legate con canapi alle roccie. Hanno la prora alta elunga come i nostri vecchi galeazzi, la chiglia sottile, lapoppa larga e bassa. Sulla prua un drago spalanca le alie sporge il testone dorato, contorto in una smorfia. Unaltro drago digrigna i denti in cima all'albero maestro.Altri draghi s'affacciano curiosamente dai finestrini dibabordo. Benché l'isola appartenga alla Francia, la ban-diera della Repubblica di Canton sventola in cima allapagoda e sulle antenne delle imbarcazioni.

Un odore terribile di pesce marcio ammorba l'aria.Quando entriamo nel villaggio ci accorgiamo che tutti itetti delle case sono pieni di pesce messo a seccare, chemolte facciate sono coperte di file di pescetti secchi at-taccati per la coda ad un cordino, che la spiaggia è un

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do delle bicocche. Sotto le palafitte la ragazzaglia delpaese sguazza nel putridume di un fango nerastro insie-me con i maiali neri che v'hanno il loro truogolo ed aicani muti che v'hanno la loro tana. Però le finestre sonopiene di gerani e di fiori secondo l'usanza cinese e fuoridegli usci penzolano quei lampioni di carta e di seta chedanno un'aria di festa a tutte le topaie della Cina.

Il villaggio ha una sola strada, selciata alla meglio coisassi tondi della spiaggia. Qua e là affiora una roccia odil mare s'intrufola fra le case. Assi gettate di traversoaiutano a superare i mali passi. I muri corrosi dall'umidi-tà e dalla salsedine sono tappezzati di muffa verdognola,talvolta addirittura di quella vegetazione marina che co-pre gli scogli.

Nel minuscolo porto stanno appiattate le grandi giun-che legate con canapi alle roccie. Hanno la prora alta elunga come i nostri vecchi galeazzi, la chiglia sottile, lapoppa larga e bassa. Sulla prua un drago spalanca le alie sporge il testone dorato, contorto in una smorfia. Unaltro drago digrigna i denti in cima all'albero maestro.Altri draghi s'affacciano curiosamente dai finestrini dibabordo. Benché l'isola appartenga alla Francia, la ban-diera della Repubblica di Canton sventola in cima allapagoda e sulle antenne delle imbarcazioni.

Un odore terribile di pesce marcio ammorba l'aria.Quando entriamo nel villaggio ci accorgiamo che tutti itetti delle case sono pieni di pesce messo a seccare, chemolte facciate sono coperte di file di pescetti secchi at-taccati per la coda ad un cordino, che la spiaggia è un

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grande immondezzaio di teste e di lische, che tutti i cestisgocciolano salamoia, che il fango stesso altro non è cheuna melma di pesci e di molluschi putrefatti.

Cat-bà fornisce a tutto il Tonkino il «noc-man», cioèquei pescetti salati che costituiscono per l'indocinese ilprincipale alimento dopo il riso. Le donne s'occupano ingenere della concia e della salatura. Gli uomini passanola giornata in mare a sarchiare gli scogli od a gettare retinei fondali. Ogni famiglia possiede il suo pezzetto dimare e di scogliera secondo un diritto di proprietà anti-chissimo che non è suffragato da nessun documento, mache è garantito dalla pubblica opinione. Nelle notti dibonaccia gli uomini partono alla caccia dei polipi gigan-ti del golfo, con un fanale, un tridente ed una bottigliad'olio. Quando è la stagione delle grandi pesche, le fa-miglie s'imbarcano al completo. Restano nel villaggio ivecchi ed i bimbi, i maiali neri ed i cani muti.

Il golfo straordinariamente ricco di pesce è considera-to uno dei mari più pescosi del mondo. L'esportazionedel pesce secco, salato ed affumicato ha raggiuntoquest'anno nell'arcipelago i trecentomila quintali. Cat-bàha la specialità dei gamberetti rosa, che, putrefatti apuntino e fortemente pepati, sono una delle leccorniepredilette dai gialli. Il golfo, tutto irto di isole, scogli,penisolette, capi e promontori, non ha segreti per i figlidei pirati. Essi non hanno bisogno del servizio meteoro-logico di Haifong. Il colore delle nubi, la tinta del mare,la direzione dei venti, certi loro curiosi indizi come ilrombo di alcune caverne ed il giuoco delle onde contro

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grande immondezzaio di teste e di lische, che tutti i cestisgocciolano salamoia, che il fango stesso altro non è cheuna melma di pesci e di molluschi putrefatti.

Cat-bà fornisce a tutto il Tonkino il «noc-man», cioèquei pescetti salati che costituiscono per l'indocinese ilprincipale alimento dopo il riso. Le donne s'occupano ingenere della concia e della salatura. Gli uomini passanola giornata in mare a sarchiare gli scogli od a gettare retinei fondali. Ogni famiglia possiede il suo pezzetto dimare e di scogliera secondo un diritto di proprietà anti-chissimo che non è suffragato da nessun documento, mache è garantito dalla pubblica opinione. Nelle notti dibonaccia gli uomini partono alla caccia dei polipi gigan-ti del golfo, con un fanale, un tridente ed una bottigliad'olio. Quando è la stagione delle grandi pesche, le fa-miglie s'imbarcano al completo. Restano nel villaggio ivecchi ed i bimbi, i maiali neri ed i cani muti.

Il golfo straordinariamente ricco di pesce è considera-to uno dei mari più pescosi del mondo. L'esportazionedel pesce secco, salato ed affumicato ha raggiuntoquest'anno nell'arcipelago i trecentomila quintali. Cat-bàha la specialità dei gamberetti rosa, che, putrefatti apuntino e fortemente pepati, sono una delle leccorniepredilette dai gialli. Il golfo, tutto irto di isole, scogli,penisolette, capi e promontori, non ha segreti per i figlidei pirati. Essi non hanno bisogno del servizio meteoro-logico di Haifong. Il colore delle nubi, la tinta del mare,la direzione dei venti, certi loro curiosi indizi come ilrombo di alcune caverne ed il giuoco delle onde contro

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determinati scogli, li tengono meravigliosamente al cor-rente dell'entità e della durata delle burrasche, della di-rezione dei tifoni, degli spostamenti delle correnti. Etale è la giustezza dei loro rudimentali sistemi che il se-maforo di Cat-bà radiotelegrafa all'ufficio meteorologi-co di Haifong le previsioni dei pescatori.

Il graduato francese che riunisce le funzioni di gover-natore, di guardiano del faro, di doganiere e di radiotele-grafista, ci assicura che le barche di Cat-bà prendono ilmare con tempi impossibili anche quando è sospeso ilservizio del vaporetto e che, salvo casi rarissimi, ritorna-no sempre in porto. Le grosse giunche si spingono, co-steggiando, fino a Saigon ed a Canton, ma talvolta arri-vano fino a Manilla o scendono verso Borneo e le isoledella Sonda.

— Sono povera gente?— Che ne sappiamo? Vivono di riso e di pesce salato

come si viveva in Cina dieci secoli fa, non spendono unquattrino, non hanno mai una festa nè un giorno di ripo-so. C'è sempre pesce e sempre lavoro nel villaggio!Dove lo mettono il denaro che guadagnano? Pare che lonascondano nelle grotte dell'isola, in luoghi misteriosi,nei quali si ammucchiano le ricchezze delle generazioni.Gli abitanti della terra ferma assicurano che tutti gli uo-mini di Cat-bà sono milionari. Certo la loro esistenza èun enigma. Vi sono delle barche che partono e tornanodopo due mesi, delle giunche che tornano dopo dueanni. Le giunche che prendono il largo cariche di pescesecco fino a mezza alberatura rappresentano indubbia-

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determinati scogli, li tengono meravigliosamente al cor-rente dell'entità e della durata delle burrasche, della di-rezione dei tifoni, degli spostamenti delle correnti. Etale è la giustezza dei loro rudimentali sistemi che il se-maforo di Cat-bà radiotelegrafa all'ufficio meteorologi-co di Haifong le previsioni dei pescatori.

Il graduato francese che riunisce le funzioni di gover-natore, di guardiano del faro, di doganiere e di radiotele-grafista, ci assicura che le barche di Cat-bà prendono ilmare con tempi impossibili anche quando è sospeso ilservizio del vaporetto e che, salvo casi rarissimi, ritorna-no sempre in porto. Le grosse giunche si spingono, co-steggiando, fino a Saigon ed a Canton, ma talvolta arri-vano fino a Manilla o scendono verso Borneo e le isoledella Sonda.

— Sono povera gente?— Che ne sappiamo? Vivono di riso e di pesce salato

come si viveva in Cina dieci secoli fa, non spendono unquattrino, non hanno mai una festa nè un giorno di ripo-so. C'è sempre pesce e sempre lavoro nel villaggio!Dove lo mettono il denaro che guadagnano? Pare che lonascondano nelle grotte dell'isola, in luoghi misteriosi,nei quali si ammucchiano le ricchezze delle generazioni.Gli abitanti della terra ferma assicurano che tutti gli uo-mini di Cat-bà sono milionari. Certo la loro esistenza èun enigma. Vi sono delle barche che partono e tornanodopo due mesi, delle giunche che tornano dopo dueanni. Le giunche che prendono il largo cariche di pescesecco fino a mezza alberatura rappresentano indubbia-

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mente una fortuna, tanto più che i pescatori non vendo-no il prodotto a grossi accaparratori, ma vanno a barat-tarlo in isole lontane contro spezie e prodotti naturaliche rivendono sui mercati di Canton e di Scianghai. Avolte risalgono i fiumi della Cina meridionale portandoil pesce secco nell'interno della grande Repubblica evendendolo direttamente ai consumatori senza interme-diari. Allora però le giunche partono armate. Ogni casu-pola possiede un arsenale completo di lancie, di spado-ni, di coltellacci e di «pentole cinesi» che sono una spe-cie di bombe a gas asfissianti inventate dai corsarid'Along ben cinque secoli fa!

— Come sono queste pentole?— Pentolaccie comuni di coccio riempite di fumo di

cloro. Ve ne sono altre chiamate dagli indigeni «il venta-glio» che sono piene di razzi esplodenti che acciecano.La chimica tedesca ha creduto di scoprire i gas lacrimo-geni. I pirati di Cat-bà posseggono da diversi secoli ilsegreto d'una polverina che deve aver fatto piangeremolta gente.

— Devono essere poco comodi i vostri amministrati!— Buonissima gente, basta non immischiarsi nei loro

affari. Le giunche che partono per grandi distanze hannodiritto ad un cannoncino. Io sono il custode dell'artiglie-ria. Quando la giunca salpa consegno al comandante ilpezzo e le munizioni, quando ritorna mi restituisconol'arma e mi danno conto delle munizioni.

— A che serve il cannone?

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mente una fortuna, tanto più che i pescatori non vendo-no il prodotto a grossi accaparratori, ma vanno a barat-tarlo in isole lontane contro spezie e prodotti naturaliche rivendono sui mercati di Canton e di Scianghai. Avolte risalgono i fiumi della Cina meridionale portandoil pesce secco nell'interno della grande Repubblica evendendolo direttamente ai consumatori senza interme-diari. Allora però le giunche partono armate. Ogni casu-pola possiede un arsenale completo di lancie, di spado-ni, di coltellacci e di «pentole cinesi» che sono una spe-cie di bombe a gas asfissianti inventate dai corsarid'Along ben cinque secoli fa!

— Come sono queste pentole?— Pentolaccie comuni di coccio riempite di fumo di

cloro. Ve ne sono altre chiamate dagli indigeni «il venta-glio» che sono piene di razzi esplodenti che acciecano.La chimica tedesca ha creduto di scoprire i gas lacrimo-geni. I pirati di Cat-bà posseggono da diversi secoli ilsegreto d'una polverina che deve aver fatto piangeremolta gente.

— Devono essere poco comodi i vostri amministrati!— Buonissima gente, basta non immischiarsi nei loro

affari. Le giunche che partono per grandi distanze hannodiritto ad un cannoncino. Io sono il custode dell'artiglie-ria. Quando la giunca salpa consegno al comandante ilpezzo e le munizioni, quando ritorna mi restituisconol'arma e mi danno conto delle munizioni.

— A che serve il cannone?

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Page 507: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

HUÉ – Mandarini annamiti.

HUÉ – La processione del Dragone.— A difendersi dai pirati della costa e dei fiumi cine-

si.— Ce ne sono ancora?— Altro che! Nell'attuale caos politico della Cina, la

guerra corsara è un eccellente affare. I filibustieri trova-no sempre un partito politico disposto a dar loro unabandiera. Quando i pirati cinesi capitano con una giuncaa Cat-bà trovano però i loro maestri.

— Chi è il capo del paese?— Burocraticamente sarei io, viceversa conto come i

cavoli a merenda. Il villaggio forma una Congregazione,la quale è regolata da ordinamenti antichissimi. Il capodella Congregazione è elettivo. Per anni interi non sap-

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HUÉ – Mandarini annamiti.

HUÉ – La processione del Dragone.— A difendersi dai pirati della costa e dei fiumi cine-

si.— Ce ne sono ancora?— Altro che! Nell'attuale caos politico della Cina, la

guerra corsara è un eccellente affare. I filibustieri trova-no sempre un partito politico disposto a dar loro unabandiera. Quando i pirati cinesi capitano con una giuncaa Cat-bà trovano però i loro maestri.

— Chi è il capo del paese?— Burocraticamente sarei io, viceversa conto come i

cavoli a merenda. Il villaggio forma una Congregazione,la quale è regolata da ordinamenti antichissimi. Il capodella Congregazione è elettivo. Per anni interi non sap-

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piamo chi sia. Un tizio paga la dogana per tutti, un altroversa collettivamente le tasse. La giustizia è amministra-ta misteriosamente nell'interno della Congregazione.Noi non sappiamo mai niente. Nessuno reclama, nessu-no protesta.

Quanti europei sono a Cat-bà?Due soli, però abbiamo una stazione radiotelegrafica

e siamo quindi permanentemente in contatto con la terraferma.

Dalla torretta del piccolo faro assistiamo alla partenzaper la pesca. Il sole che volge al tramonto spennella digiallo ardente il golfo e l'arcipelago. Gli uomini hannotratto da sotto le palafitte la barca, v'hanno ammucchiatole reti e le ceste, hanno messo a posto i remi ed issatol'albero della vela. Ora aspettano che si levi la brezza

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piamo chi sia. Un tizio paga la dogana per tutti, un altroversa collettivamente le tasse. La giustizia è amministra-ta misteriosamente nell'interno della Congregazione.Noi non sappiamo mai niente. Nessuno reclama, nessu-no protesta.

Quanti europei sono a Cat-bà?Due soli, però abbiamo una stazione radiotelegrafica

e siamo quindi permanentemente in contatto con la terraferma.

Dalla torretta del piccolo faro assistiamo alla partenzaper la pesca. Il sole che volge al tramonto spennella digiallo ardente il golfo e l'arcipelago. Gli uomini hannotratto da sotto le palafitte la barca, v'hanno ammucchiatole reti e le ceste, hanno messo a posto i remi ed issatol'albero della vela. Ora aspettano che si levi la brezza

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per prendere il largo. Intanto cenano sulla spiaggia conle famiglie intorno a grandi vassoi di riso.

Li osserviamo mangiare. Ognuno ha una ciotola cheriempie di riso portandola alle labbra e versandone ilcontenuto in bocca con l'aiuto di una bacchetta. Poi re-golarmente intingono le cinque dita in un vasetto pienodi broda rossa e le succhiano golosamente. Ogni tantopizzicano in un piattello un tocchetto di pesce secco. Fi-nito il pasto frugale le donne sciacquano le stoviglie nelmare, gli uomini accendono la pipa ed i ragazzi si spar-pagliano per la scogliera.

Il sole scompare rapidamente ed il crepuscolo affondacelere nella notte. Ogni imbarcazione accende il suolampione cinese che penzola a prua in cima ad un'astasporgente. Sono fanali strani, di carta e di seta, a formadi pesce, di drago, di pagoda, di mezzaluna, di stella, difiore, di Buddha. Ve ne sono di verdi, di gialli, di violet-ti, di turchini. L'acqua riflette nel suo cristallo scuro leluci molticolori e le forme bizzarre. Dalla pagoda pro-rompe un colpo di «gong», ampio e sonoro, che scorraz-za lungamente per le lontananze. Al primo colpo ne suc-cedono altri, monotoni ed equidistanti. In breve tuttol'arcipelago è un brivido di rombi. È il segnale della pe-sca. Gli uomini saltano nella barca, spiegano le vele, sistaccano dalla riva. Le imbarcazioni scompaiono una aduna dietro gli scogli per ricomparire dopo un po' piùlontane coi lampioni fantastici sparpagliati pel mare.

Nel cielo s'accendono le innumerevoli stelle del Sud.

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per prendere il largo. Intanto cenano sulla spiaggia conle famiglie intorno a grandi vassoi di riso.

Li osserviamo mangiare. Ognuno ha una ciotola cheriempie di riso portandola alle labbra e versandone ilcontenuto in bocca con l'aiuto di una bacchetta. Poi re-golarmente intingono le cinque dita in un vasetto pienodi broda rossa e le succhiano golosamente. Ogni tantopizzicano in un piattello un tocchetto di pesce secco. Fi-nito il pasto frugale le donne sciacquano le stoviglie nelmare, gli uomini accendono la pipa ed i ragazzi si spar-pagliano per la scogliera.

Il sole scompare rapidamente ed il crepuscolo affondacelere nella notte. Ogni imbarcazione accende il suolampione cinese che penzola a prua in cima ad un'astasporgente. Sono fanali strani, di carta e di seta, a formadi pesce, di drago, di pagoda, di mezzaluna, di stella, difiore, di Buddha. Ve ne sono di verdi, di gialli, di violet-ti, di turchini. L'acqua riflette nel suo cristallo scuro leluci molticolori e le forme bizzarre. Dalla pagoda pro-rompe un colpo di «gong», ampio e sonoro, che scorraz-za lungamente per le lontananze. Al primo colpo ne suc-cedono altri, monotoni ed equidistanti. In breve tuttol'arcipelago è un brivido di rombi. È il segnale della pe-sca. Gli uomini saltano nella barca, spiegano le vele, sistaccano dalla riva. Le imbarcazioni scompaiono una aduna dietro gli scogli per ricomparire dopo un po' piùlontane coi lampioni fantastici sparpagliati pel mare.

Nel cielo s'accendono le innumerevoli stelle del Sud.

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E partono le giunche, cinque grandi giunche carichedi pesce secco che vanno lontano assai. Una fila di lam-pioncini è stesa fra la prua, i due alberi e la poppa. Altrilampioni illuminano il drago del mastro ed i draghi dibabordo. Le vele gialle ed azzurre, rozzamente dipintecon immagini e sentenze, starnazzano nel vento. Il ponteè zeppo di barilotti legati con corde che formano fra idue alberi una specie di castelletto e lungo i paranchiuna strana merlatura. Si vedono i mozzi arrampicati fra ilampioni in mezzo alla velatura e gli uomini di bordo in-tenti alla manovra. Quanti anni hanno queste giunche?Chissà!

Il primo drago passa attraverso la stretta imboccaturadel porto. Il piccolo faro lo investe un istante nel barba-glio del suo occhio verde. Il capitano coi baffi di capec-chio all'ingiù ed il grande cappello tonkinese di bambùlargo come un ombrello risponde con un colpo di«gong» al saluto della pagoda.

E passa il secondo drago che schizza fiamme gialledagli occhi mostruosi.

Il terzo è tutto violetto con una ridda di serpenti incima alla prua. Verde il quarto con un muso affilato dimostro. L'ultimo chissà che colore avrà il giorno, ma inquesto momento è opaco, livido, bizzarro animale digiada illuminato da una luce sottomarina.

I draghi avanzano in fila indiana nel mare senza lunain mezzo a fanali multicolori delle barche peschereccie.Il vento è fiacco e la loro marcia lenta. Per lungo temporestano in vista nella foschìa, mostri di altri secoli, chi-

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E partono le giunche, cinque grandi giunche carichedi pesce secco che vanno lontano assai. Una fila di lam-pioncini è stesa fra la prua, i due alberi e la poppa. Altrilampioni illuminano il drago del mastro ed i draghi dibabordo. Le vele gialle ed azzurre, rozzamente dipintecon immagini e sentenze, starnazzano nel vento. Il ponteè zeppo di barilotti legati con corde che formano fra idue alberi una specie di castelletto e lungo i paranchiuna strana merlatura. Si vedono i mozzi arrampicati fra ilampioni in mezzo alla velatura e gli uomini di bordo in-tenti alla manovra. Quanti anni hanno queste giunche?Chissà!

Il primo drago passa attraverso la stretta imboccaturadel porto. Il piccolo faro lo investe un istante nel barba-glio del suo occhio verde. Il capitano coi baffi di capec-chio all'ingiù ed il grande cappello tonkinese di bambùlargo come un ombrello risponde con un colpo di«gong» al saluto della pagoda.

E passa il secondo drago che schizza fiamme gialledagli occhi mostruosi.

Il terzo è tutto violetto con una ridda di serpenti incima alla prua. Verde il quarto con un muso affilato dimostro. L'ultimo chissà che colore avrà il giorno, ma inquesto momento è opaco, livido, bizzarro animale digiada illuminato da una luce sottomarina.

I draghi avanzano in fila indiana nel mare senza lunain mezzo a fanali multicolori delle barche peschereccie.Il vento è fiacco e la loro marcia lenta. Per lungo temporestano in vista nella foschìa, mostri di altri secoli, chi-

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mere paurose di una notte d'Estremo Oriente nel maredei pirati di Cat-bà.

Verso est pare che un altro drago più grande e lumi-noso venga loro incontro, un drago color zafferano chepian piano scaturisce dalle profondità degli abissi e pro-ietta sul mare un lungo riverbero di zolfo.

Poi ci s'accorge che non è un mostro, ma l'alone gial-lo d'una luna di fosforo che si innalza spettrale sul golfodi Tonkino.

Il «gong» s'è quietato. La pagoda è naufragata nellanotte. Il villaggio dorme fra le roccie e il mare. Non unlume indica che il luogo è abitato. Pare che i pescatoripartendo abbiano portato con loro tutte le lampade e leluci del paese.

Nel vasto silenzio s'ode il respiro potente del mareche entra ed esce dalle caverne. L'onda sghignazza con-tro la scogliera ed ogni tanto allunga uno schiaffo allepalafitte.

I fanali dei pescatori cambiano posto. Ora formano ungrande cerchio di punti verdi e violetti, ora un rombo diglobi rossi e turchini, ora una striscia gialla che si sper-de nella lontananza. Si ha l'impressione di una flotta mi-steriosa che stia manovrando al largo, come ai tempi incui le giunche appostate dietro agli scogli aspettavano leimbarcazioni inseguite dal naviglio corsaro e le stringe-vano nella morsa inesorabile degli arrembaggi.

Il piccolo faro volteggia nervosamente sull'arcipela-go; illumina spiazzi deserti di mare, sciami di vele, bar-chette immobili, ammassi ciclopici di rupi, orifizi di

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mere paurose di una notte d'Estremo Oriente nel maredei pirati di Cat-bà.

Verso est pare che un altro drago più grande e lumi-noso venga loro incontro, un drago color zafferano chepian piano scaturisce dalle profondità degli abissi e pro-ietta sul mare un lungo riverbero di zolfo.

Poi ci s'accorge che non è un mostro, ma l'alone gial-lo d'una luna di fosforo che si innalza spettrale sul golfodi Tonkino.

Il «gong» s'è quietato. La pagoda è naufragata nellanotte. Il villaggio dorme fra le roccie e il mare. Non unlume indica che il luogo è abitato. Pare che i pescatoripartendo abbiano portato con loro tutte le lampade e leluci del paese.

Nel vasto silenzio s'ode il respiro potente del mareche entra ed esce dalle caverne. L'onda sghignazza con-tro la scogliera ed ogni tanto allunga uno schiaffo allepalafitte.

I fanali dei pescatori cambiano posto. Ora formano ungrande cerchio di punti verdi e violetti, ora un rombo diglobi rossi e turchini, ora una striscia gialla che si sper-de nella lontananza. Si ha l'impressione di una flotta mi-steriosa che stia manovrando al largo, come ai tempi incui le giunche appostate dietro agli scogli aspettavano leimbarcazioni inseguite dal naviglio corsaro e le stringe-vano nella morsa inesorabile degli arrembaggi.

Il piccolo faro volteggia nervosamente sull'arcipela-go; illumina spiazzi deserti di mare, sciami di vele, bar-chette immobili, ammassi ciclopici di rupi, orifizi di

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grotte, aperture di caverne, profondi crepacci che inta-gliano la montagna.

Dov'è l'oro dei pirati di Cat-bà? In fondo agli antripaurosi dell'isola come dicono le genti della terra fermao depositato al sei per cento nelle banche cinesi di Can-ton?

— Non pensate che i pescatori si dilettino anche dicontrabbando? — chiedo al doganiere.

— Ufficialmente non abbiamo mai scoperto nulla,personalmente sono sicuro che tutto l'oppio che entra dicontrabbando nel Tonkino e tutte le armi clandestine chefiniscono nell'Yunam hanno nelle caverne di Cat-bà iloro magazzini generali.

— Ed allora?— Che cosa volete che facciamo? Che apriamo ad

uno ad uno tutti i barilotti di salamoia o che andiamo afrugare tutti i buchi dell'isola? Oltre Cat-bà vi sono cen-to isole e sono tutte piene di grotte. La baia d'Along èuna colossale grattugia. Tutta la costa è una lamiera tra-forata. Cinquanta chilometri più a nord è già il litoralecinese sul quale non esercitiamo nessun controllo. L'iso-la di Nay-Nay è cinese. Non dimenticate che siamo duefrancesi in tutto l'arcipelago, dico due, ed a Parigi strepi-tano che siamo anche troppi! Una volta la cannoniera hasorpreso una giunca sospetta ancorata tra due scogli.Quando è arrivata sul posto la giunca non c'era più. I pe-scatori l'avevano affondata. Sei uomini stavano tranquil-lamente pescando gamberi sulla scogliera.

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grotte, aperture di caverne, profondi crepacci che inta-gliano la montagna.

Dov'è l'oro dei pirati di Cat-bà? In fondo agli antripaurosi dell'isola come dicono le genti della terra fermao depositato al sei per cento nelle banche cinesi di Can-ton?

— Non pensate che i pescatori si dilettino anche dicontrabbando? — chiedo al doganiere.

— Ufficialmente non abbiamo mai scoperto nulla,personalmente sono sicuro che tutto l'oppio che entra dicontrabbando nel Tonkino e tutte le armi clandestine chefiniscono nell'Yunam hanno nelle caverne di Cat-bà iloro magazzini generali.

— Ed allora?— Che cosa volete che facciamo? Che apriamo ad

uno ad uno tutti i barilotti di salamoia o che andiamo afrugare tutti i buchi dell'isola? Oltre Cat-bà vi sono cen-to isole e sono tutte piene di grotte. La baia d'Along èuna colossale grattugia. Tutta la costa è una lamiera tra-forata. Cinquanta chilometri più a nord è già il litoralecinese sul quale non esercitiamo nessun controllo. L'iso-la di Nay-Nay è cinese. Non dimenticate che siamo duefrancesi in tutto l'arcipelago, dico due, ed a Parigi strepi-tano che siamo anche troppi! Una volta la cannoniera hasorpreso una giunca sospetta ancorata tra due scogli.Quando è arrivata sul posto la giunca non c'era più. I pe-scatori l'avevano affondata. Sei uomini stavano tranquil-lamente pescando gamberi sulla scogliera.

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Page 513: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Ho pensato a Ginevra, alle Commissioni internazio-nali per l'oppio e pel contrabbando delle armi nel Pacifi-co. Dove sono andate le cinque giunche col drago e labandiera di Canton?

— Gong-Gong! — cantava il Buddha millenario dellapagoda.

— Gong-Gong! — rispondevano i draghi carichi disalamoia.

Il semaforo francese radiotelegrafava: — Cinquegiunche illuminate escono dal porto dirette a Nay-Nay!

Ma i fanali si spengono in mare e le giunche cambia-no rotta...

Possono caricare e scaricare in un isolotto del Kebakquello che vogliono. Di là una barca qualsiasi, sgattaio-lando nottetempo fra gli scogli del Mon-Kai, può rag-giungere indisturbata Paklung. E Paklung è la Cina, laCina rivoluzionaria del Kuang-Si e del Kuang-Tung, laCina dei discepoli di Sun-Yat-Sen e degli emissari diKarakan.

Più mi fermo in questi paesi e più ho la sensazionedella formidabile impotenza della potentissima Europa.Le Conferenze internazionali e le dimostrazioni navalisono un «bluff». Serviranno finché i pirati di Cat-bàvorranno pagare al doganiere francese un centesimo dirupia per barilotto di pesce secco, finché i quattrocento-cinquanta milioni di cinesi e d'indocinesi si deciderannoa fare la rivoluzione sul serio, con o senza il Giappone!

In India è diverso perchè l'Inghilterra ha in pugno ilpaese ed i suoi gangli strategici. Che cosa sono Scian-

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Ho pensato a Ginevra, alle Commissioni internazio-nali per l'oppio e pel contrabbando delle armi nel Pacifi-co. Dove sono andate le cinque giunche col drago e labandiera di Canton?

— Gong-Gong! — cantava il Buddha millenario dellapagoda.

— Gong-Gong! — rispondevano i draghi carichi disalamoia.

Il semaforo francese radiotelegrafava: — Cinquegiunche illuminate escono dal porto dirette a Nay-Nay!

Ma i fanali si spengono in mare e le giunche cambia-no rotta...

Possono caricare e scaricare in un isolotto del Kebakquello che vogliono. Di là una barca qualsiasi, sgattaio-lando nottetempo fra gli scogli del Mon-Kai, può rag-giungere indisturbata Paklung. E Paklung è la Cina, laCina rivoluzionaria del Kuang-Si e del Kuang-Tung, laCina dei discepoli di Sun-Yat-Sen e degli emissari diKarakan.

Più mi fermo in questi paesi e più ho la sensazionedella formidabile impotenza della potentissima Europa.Le Conferenze internazionali e le dimostrazioni navalisono un «bluff». Serviranno finché i pirati di Cat-bàvorranno pagare al doganiere francese un centesimo dirupia per barilotto di pesce secco, finché i quattrocento-cinquanta milioni di cinesi e d'indocinesi si deciderannoa fare la rivoluzione sul serio, con o senza il Giappone!

In India è diverso perchè l'Inghilterra ha in pugno ilpaese ed i suoi gangli strategici. Che cosa sono Scian-

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Page 514: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

ghai, Honkong, Tientsin e la stessa Pekino, di fronteall'immensità della Cina?

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ghai, Honkong, Tientsin e la stessa Pekino, di fronteall'immensità della Cina?

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Le caverne nere d'Honghai

HONGHAI, ottobre.

Navighiamo nel golfo del Tonkino all'imboccaturadella baia di Along. Il mare è pieno di sole, la baia fiam-meggia, la costa è sfumata dal bagliore solare. Fra un ti-fone ed una settimana di «crascian» il golfo del Tonkinoha queste improvvise giornate tropicali che precipitanosubitamente il paese in pieno Equatore, giornate di cani-cola ardente che pompano l'umidità formidabile del Del-ta e preparano il materiale per le future tempeste.

La barca annamita scivola sull'acqua immobile colordi topazio. L'immensa baia spalancata sul mare ardecome una fornace carica di zolfo. Gli scogli sono gialli,fosforici, circondati da fantastici aloni di vampe. Abbia-mo lasciato la costa già da due ore ed abbiamo semprenavigato nella solitudine e nel silenzio. Nessuna vela haspezzato la sconfinata distesa del golfo, nessun frullod'uccello ha turbato la statica immobilità dell'aria. Mada qualche momento un rumore sordo e cadenzato, lon-tano e monotono, accompagna lo scivolìo dell'imbarca-zione; un rumore che pare venire di sotterra, scaturire

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Le caverne nere d'Honghai

HONGHAI, ottobre.

Navighiamo nel golfo del Tonkino all'imboccaturadella baia di Along. Il mare è pieno di sole, la baia fiam-meggia, la costa è sfumata dal bagliore solare. Fra un ti-fone ed una settimana di «crascian» il golfo del Tonkinoha queste improvvise giornate tropicali che precipitanosubitamente il paese in pieno Equatore, giornate di cani-cola ardente che pompano l'umidità formidabile del Del-ta e preparano il materiale per le future tempeste.

La barca annamita scivola sull'acqua immobile colordi topazio. L'immensa baia spalancata sul mare ardecome una fornace carica di zolfo. Gli scogli sono gialli,fosforici, circondati da fantastici aloni di vampe. Abbia-mo lasciato la costa già da due ore ed abbiamo semprenavigato nella solitudine e nel silenzio. Nessuna vela haspezzato la sconfinata distesa del golfo, nessun frullod'uccello ha turbato la statica immobilità dell'aria. Mada qualche momento un rumore sordo e cadenzato, lon-tano e monotono, accompagna lo scivolìo dell'imbarca-zione; un rumore che pare venire di sotterra, scaturire

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dalle stesse profondità del mare, come un maglio chestia lavorando negli abissi...

— Che cos'è? — chiediamo all'annamita.— Honghai!Comprendiamo. Sono le miniere di carbone a ridosso

della baia verso le quali siamo diretti. Di mano in manoche ci avviciniamo alla terra il rombo aumenta d'intensi-tà. Era prima come una eco lontana di lontanissime fati-che che non disturbava la quiete solenne della solitudinemarina, che anzi dava una sensazione di riposo e quasidi benessere. Si sentiva la voluttà d'essere tranquilli edinoperosi in mezzo alla vastità del mare, mentre sullaterra troppo stretta l'umano travaglio macerava la genteirrequieta... Poi il rumore è aumentato, ha attirato la bar-ca nel suo vortice, è penetrato nel nostro sangue, ha ac-ceso nelle vene quel bisogno prepotente d'attività e dilavoro che è la febbre divina della vita.... È diventato unbàttito forte ed affannato, un martellamento precipitoso,il fragore sonante d'un cantiere con mugghi cupi di rivo-luzione. Più avanti ancora i rumori si sono distinti: levoci umane si sono separate dal fremito delle macchinee dall'ànsito dei motori...

Ma non si vedeva nulla all'intorno, nulla che giustifi-casse tanto clamore di macchine e di folle, altro che ilmare immobile, sbiadito in lontananze di sole, una sco-gliera brulla, una costa giallina senza case e senza albe-ri.

Il rombo della potenza meccanica e dell'operositàumana gravava come un incubo sul deserto marino.

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dalle stesse profondità del mare, come un maglio chestia lavorando negli abissi...

— Che cos'è? — chiediamo all'annamita.— Honghai!Comprendiamo. Sono le miniere di carbone a ridosso

della baia verso le quali siamo diretti. Di mano in manoche ci avviciniamo alla terra il rombo aumenta d'intensi-tà. Era prima come una eco lontana di lontanissime fati-che che non disturbava la quiete solenne della solitudinemarina, che anzi dava una sensazione di riposo e quasidi benessere. Si sentiva la voluttà d'essere tranquilli edinoperosi in mezzo alla vastità del mare, mentre sullaterra troppo stretta l'umano travaglio macerava la genteirrequieta... Poi il rumore è aumentato, ha attirato la bar-ca nel suo vortice, è penetrato nel nostro sangue, ha ac-ceso nelle vene quel bisogno prepotente d'attività e dilavoro che è la febbre divina della vita.... È diventato unbàttito forte ed affannato, un martellamento precipitoso,il fragore sonante d'un cantiere con mugghi cupi di rivo-luzione. Più avanti ancora i rumori si sono distinti: levoci umane si sono separate dal fremito delle macchinee dall'ànsito dei motori...

Ma non si vedeva nulla all'intorno, nulla che giustifi-casse tanto clamore di macchine e di folle, altro che ilmare immobile, sbiadito in lontananze di sole, una sco-gliera brulla, una costa giallina senza case e senza albe-ri.

Il rombo della potenza meccanica e dell'operositàumana gravava come un incubo sul deserto marino.

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All'uscire dall'ombra d'uno scoglio ci troviamo subi-tamente di fronte alla miniera. Colpo di bacchetta magi-ca! Il paesaggio d'acqua e di roccie si trasforma, nellospazio d'un baleno, nello scenario nero e fumoso dellaRuhr di Krupp e di Stinnes, in una bolgia dantesca irtadi comignoli e di capannoni, di macchinarii e di torrimetalliche, in mezzo alla quale formicola una folla gri-giastra e piccina che esce a torrenti dalle viscere dellaterra e scompare a torrenti in altre viscere della terra.

Honghai! Brutto sogno d'una cattiva pipa d'oppio!Dov'è l'Annam millenario dei palazzi di smalto e del-

le pagode di porcellana? Dov'è il Delta umido e grasso,pezzato dalle specchiere gialle delle risaie e rigato daibambù nervosi e sottili? Dov'è la baia favolosa d'Alongcoi suoi castellacci di chimera e le sue fantastiche cittàd'alabastro? Dove sono i Buddha grassi e sorridenti, idraghi pazzi e smorfiosi, i Genii pallidi e sibillini?

Qui rombano i magli elettrici e sibilano le perforatricimeccaniche. Cento vagoni aerei corrono su fili invisibi-li, orizzontali e trasversali, si capovolgono, si rialzano,ripartono in fila indiana, regolari, rettilinei, equidistan-ti....

La struttura geometrica delle armature d'acciaio colpi-sce brutalmente l'occhio e l'anima in questo angolod'Estremo Oriente, ora che siamo abituati da lunghimesi ad altre forme e ad altri disegni, alle curve morbidee sbilenche dell'edilizia annamita, alla bizzarra irregola-rità dei ponti cinesi, alla sinuosità quasi lasciva dei ca-valcavia tonkinesi, alle contorsioni rachitiche delle pa-

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All'uscire dall'ombra d'uno scoglio ci troviamo subi-tamente di fronte alla miniera. Colpo di bacchetta magi-ca! Il paesaggio d'acqua e di roccie si trasforma, nellospazio d'un baleno, nello scenario nero e fumoso dellaRuhr di Krupp e di Stinnes, in una bolgia dantesca irtadi comignoli e di capannoni, di macchinarii e di torrimetalliche, in mezzo alla quale formicola una folla gri-giastra e piccina che esce a torrenti dalle viscere dellaterra e scompare a torrenti in altre viscere della terra.

Honghai! Brutto sogno d'una cattiva pipa d'oppio!Dov'è l'Annam millenario dei palazzi di smalto e del-

le pagode di porcellana? Dov'è il Delta umido e grasso,pezzato dalle specchiere gialle delle risaie e rigato daibambù nervosi e sottili? Dov'è la baia favolosa d'Alongcoi suoi castellacci di chimera e le sue fantastiche cittàd'alabastro? Dove sono i Buddha grassi e sorridenti, idraghi pazzi e smorfiosi, i Genii pallidi e sibillini?

Qui rombano i magli elettrici e sibilano le perforatricimeccaniche. Cento vagoni aerei corrono su fili invisibi-li, orizzontali e trasversali, si capovolgono, si rialzano,ripartono in fila indiana, regolari, rettilinei, equidistan-ti....

La struttura geometrica delle armature d'acciaio colpi-sce brutalmente l'occhio e l'anima in questo angolod'Estremo Oriente, ora che siamo abituati da lunghimesi ad altre forme e ad altri disegni, alle curve morbidee sbilenche dell'edilizia annamita, alla bizzarra irregola-rità dei ponti cinesi, alla sinuosità quasi lasciva dei ca-valcavia tonkinesi, alle contorsioni rachitiche delle pa-

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gode, alle forme strambe dei monti, delle valli, della ve-getazione dell'Indocina.

Credevamo di trovare ad Honghai la classica minieradi carbone, cioè un gruppo di edifizi neri intornoall'imboccatura dei pozzi sotterranei. Abbiamo invecedinanzi agli occhi una inverosimile collina d'ebano lu-cente che gli uomini stanno tagliando simmetricamentedall'alto in basso a grandi fette come una cava di pietra.I cantieri sono scaglionati lungo la parete di pece, unosull'altro a distanza di otto o dieci metri, in modo che vi-sta di lontano la montagna sembra rigata di mastodonti-che scalèe.

Non vien fatto di pensare ad una miniera, ma ad unciclopico tempio di bitume e di carbon fossile, innalzatoin onore di una divinità terribile che disdegna le pietreed i graniti, di qualche idolo infernale che vuole essereadoralo nel fumo, nel fuoco e negli scoppi, da una turbasudicia e pezzente.

Credo che la miniera di carbone all'aria aperta diHonghai sia unica al mondo!

Il sole potente del Tropico mitraglia la collina e lavallata, fa ardere il minerale, brucia pazzamente i pontidi ferro ed i vagoni «decauville», empie di bagliori livi-di e rossastri i crepacci e le caverne, arroventa le inter-minabili tubature che fuorescono come budelli dallamontagna sventrata, saetta le tettoie d'ardesia delle offi-cine, lampeggia sui lastroni di zinco dei depositi, tra-sforma la funivia di Cua-Luc in un nastro folgoreggiantelanciato fantasticamente nel vuoto.

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gode, alle forme strambe dei monti, delle valli, della ve-getazione dell'Indocina.

Credevamo di trovare ad Honghai la classica minieradi carbone, cioè un gruppo di edifizi neri intornoall'imboccatura dei pozzi sotterranei. Abbiamo invecedinanzi agli occhi una inverosimile collina d'ebano lu-cente che gli uomini stanno tagliando simmetricamentedall'alto in basso a grandi fette come una cava di pietra.I cantieri sono scaglionati lungo la parete di pece, unosull'altro a distanza di otto o dieci metri, in modo che vi-sta di lontano la montagna sembra rigata di mastodonti-che scalèe.

Non vien fatto di pensare ad una miniera, ma ad unciclopico tempio di bitume e di carbon fossile, innalzatoin onore di una divinità terribile che disdegna le pietreed i graniti, di qualche idolo infernale che vuole essereadoralo nel fumo, nel fuoco e negli scoppi, da una turbasudicia e pezzente.

Credo che la miniera di carbone all'aria aperta diHonghai sia unica al mondo!

Il sole potente del Tropico mitraglia la collina e lavallata, fa ardere il minerale, brucia pazzamente i pontidi ferro ed i vagoni «decauville», empie di bagliori livi-di e rossastri i crepacci e le caverne, arroventa le inter-minabili tubature che fuorescono come budelli dallamontagna sventrata, saetta le tettoie d'ardesia delle offi-cine, lampeggia sui lastroni di zinco dei depositi, tra-sforma la funivia di Cua-Luc in un nastro folgoreggiantelanciato fantasticamente nel vuoto.

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Quando i vagoncini carichi di carbone correndo sulleparallele lucenti riversano il minerale sui piani inclinatiauto-motori che lo precipitano a valle, il sole bombardafuriosamente quei torrenti neri di petrame balenante, fa-cendone un'allucinante cascata di cristalli foschi e didiamanti lividi. I raggi fiammeggiano nel polverone, ac-cendendo miliardi di pepite lucenti nel tenebroso vela-rio. Il riverbero solare deforma le cose, le fa misteriose esinistre. La macchina è brutta in mezzo a tanto oro. Sul-lo sfondo di quarzo delle montagne d'Along le gru e letorri metalliche sembrano enormi scheletri drizzati nelvuoto, scheletri di mostruose cicogne e di mammuth chestonano orrendamente coll'azzurro dolcissimo del cieloe col sorriso soave del mare di topazio.

Questi scenari di Pittsburg e di Duitsburg non sonofatti per un simile sole!

Con una giornata di «crascian» la miniera deve avereun aspetto più ragionevole, tutto deve assumere dimen-sioni e contorni più regolari. Oggi impazza invece intutta la sua imperiale magnificenza il sole dei Tropici, ilsole dei deserti e delle steppe, dei mari ardenti e dellecittà incendiate, il gran re di tutte le porpore e di tutti idiademi. Milioni di diamanti neri occhieggiano fra lepietre della collina. I ponti di acciaio e le armature diferro sembrano avvolti in un fuoco misterioso che bru-cia i metalli senza riuscire a distruggerli.

Si vedono torme di piccoli uomini che inseguono ilcarbone lungo i piani inclinati raccogliendolo in grandivasche sospese su palafitte di ferro che sono i setacci

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Quando i vagoncini carichi di carbone correndo sulleparallele lucenti riversano il minerale sui piani inclinatiauto-motori che lo precipitano a valle, il sole bombardafuriosamente quei torrenti neri di petrame balenante, fa-cendone un'allucinante cascata di cristalli foschi e didiamanti lividi. I raggi fiammeggiano nel polverone, ac-cendendo miliardi di pepite lucenti nel tenebroso vela-rio. Il riverbero solare deforma le cose, le fa misteriose esinistre. La macchina è brutta in mezzo a tanto oro. Sul-lo sfondo di quarzo delle montagne d'Along le gru e letorri metalliche sembrano enormi scheletri drizzati nelvuoto, scheletri di mostruose cicogne e di mammuth chestonano orrendamente coll'azzurro dolcissimo del cieloe col sorriso soave del mare di topazio.

Questi scenari di Pittsburg e di Duitsburg non sonofatti per un simile sole!

Con una giornata di «crascian» la miniera deve avereun aspetto più ragionevole, tutto deve assumere dimen-sioni e contorni più regolari. Oggi impazza invece intutta la sua imperiale magnificenza il sole dei Tropici, ilsole dei deserti e delle steppe, dei mari ardenti e dellecittà incendiate, il gran re di tutte le porpore e di tutti idiademi. Milioni di diamanti neri occhieggiano fra lepietre della collina. I ponti di acciaio e le armature diferro sembrano avvolti in un fuoco misterioso che bru-cia i metalli senza riuscire a distruggerli.

Si vedono torme di piccoli uomini che inseguono ilcarbone lungo i piani inclinati raccogliendolo in grandivasche sospese su palafitte di ferro che sono i setacci

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metallici a scossa. Quando i setacci sono ben colmi, gliuomini scappano. Allora una crisi furiosa s'impossessadelle palafitte. I massi saltano, schizzano, si schiantano,si sbriciolano, battagliano freneticamente come mostrimarini tirati fuori dagli abissi; pare vogliano fuggire pertornare in grembo alla montagna lucente, ma enormi ar-tigli di acciaio calano dalle torri metalliche a domarli, acacciarli giù nella prigione implacabile che rotea verti-ginosamente. Grosse pale battono il minerale, lo rime-scolano, lo selezionano, lo spingono entro oscuri cuni-coli verso altri strumenti di tortura. Da cento forni ilfuoco si affaccia a guardare lo scempio: un fuoco resopallido dal fulgore del sole...

Le gru, le fucine, le fonderie, i forni Coppet per lafabbricazione del Coke, i cantieri per la lavorazione del-le mattonelle, i torchi giganti per la distillazione degliolii, i magli elettrici, le ferrovie «decauville», le stradenere e polverose, gli uffici direttoriali e amministrativischiacciati sotto le tettoie d'ardesia, tutto è naufragato inun pulviscolo d'oro in mezzo al quale le macchine sem-brano più nere, le cave più truci, le attrezzature più bru-tali, l'arsenale del ferro e del carbone tragicamente foscocome uno spiraglio d'inferno in una visione di paradiso!

Quattromila cinesi e diecimila annamiti lavorano nel-la miniera di Honghai sotto la direzione di ottanta euro-pei. La produzione del carbone è salita nel 1924 a nove-cento mila tonnellate e sarebbe assai superiore se nondifettasse la mano d'opera gialla, giacché coi salarii e

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metallici a scossa. Quando i setacci sono ben colmi, gliuomini scappano. Allora una crisi furiosa s'impossessadelle palafitte. I massi saltano, schizzano, si schiantano,si sbriciolano, battagliano freneticamente come mostrimarini tirati fuori dagli abissi; pare vogliano fuggire pertornare in grembo alla montagna lucente, ma enormi ar-tigli di acciaio calano dalle torri metalliche a domarli, acacciarli giù nella prigione implacabile che rotea verti-ginosamente. Grosse pale battono il minerale, lo rime-scolano, lo selezionano, lo spingono entro oscuri cuni-coli verso altri strumenti di tortura. Da cento forni ilfuoco si affaccia a guardare lo scempio: un fuoco resopallido dal fulgore del sole...

Le gru, le fucine, le fonderie, i forni Coppet per lafabbricazione del Coke, i cantieri per la lavorazione del-le mattonelle, i torchi giganti per la distillazione degliolii, i magli elettrici, le ferrovie «decauville», le stradenere e polverose, gli uffici direttoriali e amministrativischiacciati sotto le tettoie d'ardesia, tutto è naufragato inun pulviscolo d'oro in mezzo al quale le macchine sem-brano più nere, le cave più truci, le attrezzature più bru-tali, l'arsenale del ferro e del carbone tragicamente foscocome uno spiraglio d'inferno in una visione di paradiso!

Quattromila cinesi e diecimila annamiti lavorano nel-la miniera di Honghai sotto la direzione di ottanta euro-pei. La produzione del carbone è salita nel 1924 a nove-cento mila tonnellate e sarebbe assai superiore se nondifettasse la mano d'opera gialla, giacché coi salarii e

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con le condizioni igieniche di Honghai qualunque altramaestranza non lavorerebbe mezza giornata!

La democrazia francese ha recentemente nominatoproconsole in Indocina il deputato... socialista Varenne,curiosa fine di carriera per un tribuno del proletariato. Ilgovernatore Varenne, che si propone di iniziare gli intel-lettuali annamiti ai dogmi della religione di Herriot, diaun'occhiata alle miniere di Honghai dove quattordicimi-la operai gialli sono allenati all'operosità occidentale incondizioni di vita e di lavoro che fanno pensare allaschiavitù degli ebrei nell'Egitto dei Faraoni.

Abbiamo visitato l'orribile villaggio abitato dagli ope-rai, se villaggio si può chiamare questa sordida topaiasozza d'olio e di carbone nella quale quattordicimila di-sgraziati sono intassati con le loro famiglie entro scato-loni di fango senz'aria e senza luce. Il piccolo ospedalecostruito in questi ultimi tempi dalla Compagnia è comeun vaso di fiori in mezzo al letame per nascondere unimmondezzaio. Abbiamo visto le bettole gremite di es-seri miserabili che bruciano nell'assenzio di Francia, nelwisky d'Inghilterra e nel gin d'Olanda quel po' di vita ri-sparmiata dall 'oppio di Canton e dai «scium-scium» diHanoi. Abbiamo parlato con questa gente che non è piùannamita e che non sarà mai europea, fantocci senz'ani-ma, gleba umana frolla e pietosa. Abbiamo ascoltato imissionari cattolici lamentarsi degli insuccessi di Cristoed i bonzi di Buddha piangere sull'affievolirsi dellafede. Per la prima volta in Estremo Oriente abbiamo vi-sto le tombe senza offerte e senza preghiere. Un vecchio

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con le condizioni igieniche di Honghai qualunque altramaestranza non lavorerebbe mezza giornata!

La democrazia francese ha recentemente nominatoproconsole in Indocina il deputato... socialista Varenne,curiosa fine di carriera per un tribuno del proletariato. Ilgovernatore Varenne, che si propone di iniziare gli intel-lettuali annamiti ai dogmi della religione di Herriot, diaun'occhiata alle miniere di Honghai dove quattordicimi-la operai gialli sono allenati all'operosità occidentale incondizioni di vita e di lavoro che fanno pensare allaschiavitù degli ebrei nell'Egitto dei Faraoni.

Abbiamo visitato l'orribile villaggio abitato dagli ope-rai, se villaggio si può chiamare questa sordida topaiasozza d'olio e di carbone nella quale quattordicimila di-sgraziati sono intassati con le loro famiglie entro scato-loni di fango senz'aria e senza luce. Il piccolo ospedalecostruito in questi ultimi tempi dalla Compagnia è comeun vaso di fiori in mezzo al letame per nascondere unimmondezzaio. Abbiamo visto le bettole gremite di es-seri miserabili che bruciano nell'assenzio di Francia, nelwisky d'Inghilterra e nel gin d'Olanda quel po' di vita ri-sparmiata dall 'oppio di Canton e dai «scium-scium» diHanoi. Abbiamo parlato con questa gente che non è piùannamita e che non sarà mai europea, fantocci senz'ani-ma, gleba umana frolla e pietosa. Abbiamo ascoltato imissionari cattolici lamentarsi degli insuccessi di Cristoed i bonzi di Buddha piangere sull'affievolirsi dellafede. Per la prima volta in Estremo Oriente abbiamo vi-sto le tombe senza offerte e senza preghiere. Un vecchio

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annamita livido e scheletrito si è rizzato sullo strame delsuo immondo giaciglio per maledire nella bava la minie-ra assassina. Una bisavola alla quale abbiamo chiestodeve fosse la sua famiglia ci ha additato la bolgia dicen-do semplicemente: — Alla morte!.

Qualcuno domanderà: — Perchè vi lavorano se stan-no tanto male? La risposta è semplice: — Perchè hannofame! L'occupazione europea ha sconvolto l'ordinamen-to economico del paese, introducendo nuovi bisogni,nuove spese, nuovi egoismi, nuovi sistemi di concepire irapporti sociali. L'indigeno che si arricchisce nei com-merci occidentali non è più il generoso signore del buontempo antico. Quando l'annata è cattiva per le risaie delDelta e della montagna, la miniera di Honghai è un tri-ste refettorio aperto a tutti gli affamati del Tonkino.

Honghai è per il tonkinese una specie di ergastolotemporaneo al quale Dio condanna i figli dell'Annamnegli anni di siccità. L'ergastolo non è abitato sempredalla medesima folla. Si spopola nelle annate buone, siriempie nelle cattive. Vi passano intere moltitudini pro-venienti da ogni angolo dell'Indocina e delI'Yunam, lequali si formano un concetto tragico della vita occiden-tale, anzi della civiltà occidentale, attraverso il brutalemeccanismo di una impresa industriale che trae gli utilimaggiori dallo sfruttamento della mano d'opera indige-na.

Il viaggiatore che, reduce dalla visita della baial'Along si sofferma un istante dinanzi alla collina nera diHonghai, vede il fuoco che divampa nei forni Coppet,

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annamita livido e scheletrito si è rizzato sullo strame delsuo immondo giaciglio per maledire nella bava la minie-ra assassina. Una bisavola alla quale abbiamo chiestodeve fosse la sua famiglia ci ha additato la bolgia dicen-do semplicemente: — Alla morte!.

Qualcuno domanderà: — Perchè vi lavorano se stan-no tanto male? La risposta è semplice: — Perchè hannofame! L'occupazione europea ha sconvolto l'ordinamen-to economico del paese, introducendo nuovi bisogni,nuove spese, nuovi egoismi, nuovi sistemi di concepire irapporti sociali. L'indigeno che si arricchisce nei com-merci occidentali non è più il generoso signore del buontempo antico. Quando l'annata è cattiva per le risaie delDelta e della montagna, la miniera di Honghai è un tri-ste refettorio aperto a tutti gli affamati del Tonkino.

Honghai è per il tonkinese una specie di ergastolotemporaneo al quale Dio condanna i figli dell'Annamnegli anni di siccità. L'ergastolo non è abitato sempredalla medesima folla. Si spopola nelle annate buone, siriempie nelle cattive. Vi passano intere moltitudini pro-venienti da ogni angolo dell'Indocina e delI'Yunam, lequali si formano un concetto tragico della vita occiden-tale, anzi della civiltà occidentale, attraverso il brutalemeccanismo di una impresa industriale che trae gli utilimaggiori dallo sfruttamento della mano d'opera indige-na.

Il viaggiatore che, reduce dalla visita della baial'Along si sofferma un istante dinanzi alla collina nera diHonghai, vede il fuoco che divampa nei forni Coppet,

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Page 523: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

ma in genere non si accorge di un altro fuoco invisibileche cova nelle tane della miniera e vi brucia l'anima diuna razza. Qualche viaggiatore è stato tratto in ingannodai paffuti e sorridenti bottegai cinesi che si affaccianofuori delle bettole e dei negozi ad ossequiare con servili-tà lo straniero. Falsa apparenza! Quei gialli sorridenti ciodiano e ci disprezzano più degli altri. Sovente sotto lamaschera dell'oste si nasconde l'agitatore. Il cinese è op-portunista, ma profondamente anti-europeo. Fatto ilgruzzolo corre a Canton ad irreggimentarsi nelle Corpo-razioni nazionaliste e xenofobe. Il governo dell'Indocinache fa assegnamento sulla collaborazione economica deicinesi prepara alla colonia brutte sorprese.

Disgraziatamente Honghai non è solamente una mi-niera di carbone; è anche un brutto esemplare della vitaoccidentale messo sotto gli occhi dei gialli che non san-no; è un documento formidabile a disposizione dei Gan-dhi e dei predicatori che sommuovono le turbe asiatiche,è il centro di una sorda propaganda rivoluzionaria cheirradia la sua influenza sul retroterra, crogiuolo di millelieviti e di mille fermenti che si propagano senza con-trollo.

Honghai assicura a pochi azionisti grossi dividendi,ma fa molto torto alla Francia e all'Europa in EstremoOriente. Quattordici soldi al giorno è la paga di un ope-raio, dieci soldi il salario di una donna, sette o cinque ilcompenso di un ragazzo. Molte sono le donne, numerosii fanciulli. Contro queste cifre stanno quelle del bilanciodella Compagnia: trenta milioni di utile nell'ultima an-

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ma in genere non si accorge di un altro fuoco invisibileche cova nelle tane della miniera e vi brucia l'anima diuna razza. Qualche viaggiatore è stato tratto in ingannodai paffuti e sorridenti bottegai cinesi che si affaccianofuori delle bettole e dei negozi ad ossequiare con servili-tà lo straniero. Falsa apparenza! Quei gialli sorridenti ciodiano e ci disprezzano più degli altri. Sovente sotto lamaschera dell'oste si nasconde l'agitatore. Il cinese è op-portunista, ma profondamente anti-europeo. Fatto ilgruzzolo corre a Canton ad irreggimentarsi nelle Corpo-razioni nazionaliste e xenofobe. Il governo dell'Indocinache fa assegnamento sulla collaborazione economica deicinesi prepara alla colonia brutte sorprese.

Disgraziatamente Honghai non è solamente una mi-niera di carbone; è anche un brutto esemplare della vitaoccidentale messo sotto gli occhi dei gialli che non san-no; è un documento formidabile a disposizione dei Gan-dhi e dei predicatori che sommuovono le turbe asiatiche,è il centro di una sorda propaganda rivoluzionaria cheirradia la sua influenza sul retroterra, crogiuolo di millelieviti e di mille fermenti che si propagano senza con-trollo.

Honghai assicura a pochi azionisti grossi dividendi,ma fa molto torto alla Francia e all'Europa in EstremoOriente. Quattordici soldi al giorno è la paga di un ope-raio, dieci soldi il salario di una donna, sette o cinque ilcompenso di un ragazzo. Molte sono le donne, numerosii fanciulli. Contro queste cifre stanno quelle del bilanciodella Compagnia: trenta milioni di utile nell'ultima an-

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Page 524: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

nata! Il capitale azionario ha già decuplicato quattro vol-te il valore d'emissione!

Non voglio insistere sulle condizioni sociali dei lavo-ratori di Honghai perchè non voglio dare un carattereanti-francese alle mie osservazioni in quanto i francesisono forse ancora i migliori. Se i regolamenti sono duri,l'innata bontà latina vi aggiunge qualche carezza. Altro-ve è peggio. Dopo aver visitato Canton, e Scianghai miriservo di riassumere una mia piccola inchiesta sulla ba-lorda improntitudine con cui gli europei forniscono agliemissari di Karakan ed agli apostoli dei nazionalismiasiatici le armi e le munizioni della rivolta.

La civiltà occidentale ha a Honghai uno di quei gran-di templi del ferro e del carbone dei quali è giustamentefiera perchè attestano il suo primato nell'asservire le for-ze cieche della Natura e farne strumenti di produzione edi ricchezza. Ma nell'erigere questo tempio di Honghaicome tutti gli altri del litorale cinese, gli europei nonavrebbero dovuto preoccuparsi solamente di farli grandie moderni, ma anche un po' di farli amare dalle moltitu-dini gialle.

Nessuna opera di conquista sarebbe stata più solida.Contro la predicazione di coloro che parlano di «ci-

viltà infernale», di «brutalità barbarica», di «libidine didominio», l'Occidente avrebbe potuto opporre i suoitempli di Honghai, di Canton, di Hongkong, di Scian-ghai, sonanti di lavoro, produttori di ricchezza e di be-nessere, i cantieri, le fabbriche, gli arsenali, l'aumentodella produzione, lo sviluppo delle provincie, le moltitu-

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nata! Il capitale azionario ha già decuplicato quattro vol-te il valore d'emissione!

Non voglio insistere sulle condizioni sociali dei lavo-ratori di Honghai perchè non voglio dare un carattereanti-francese alle mie osservazioni in quanto i francesisono forse ancora i migliori. Se i regolamenti sono duri,l'innata bontà latina vi aggiunge qualche carezza. Altro-ve è peggio. Dopo aver visitato Canton, e Scianghai miriservo di riassumere una mia piccola inchiesta sulla ba-lorda improntitudine con cui gli europei forniscono agliemissari di Karakan ed agli apostoli dei nazionalismiasiatici le armi e le munizioni della rivolta.

La civiltà occidentale ha a Honghai uno di quei gran-di templi del ferro e del carbone dei quali è giustamentefiera perchè attestano il suo primato nell'asservire le for-ze cieche della Natura e farne strumenti di produzione edi ricchezza. Ma nell'erigere questo tempio di Honghaicome tutti gli altri del litorale cinese, gli europei nonavrebbero dovuto preoccuparsi solamente di farli grandie moderni, ma anche un po' di farli amare dalle moltitu-dini gialle.

Nessuna opera di conquista sarebbe stata più solida.Contro la predicazione di coloro che parlano di «ci-

viltà infernale», di «brutalità barbarica», di «libidine didominio», l'Occidente avrebbe potuto opporre i suoitempli di Honghai, di Canton, di Hongkong, di Scian-ghai, sonanti di lavoro, produttori di ricchezza e di be-nessere, i cantieri, le fabbriche, gli arsenali, l'aumentodella produzione, lo sviluppo delle provincie, le moltitu-

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dini operaie strappate alla risaia omicida ed ai villaggidi paglia, riunite dalla forza nuova in borgate linde egioiose, sottratte ai capricci del clima ed all'ignavia deiprincipi.

I gialli che hanno un patrimonio millenario di saggez-za e di intelligenza avrebbero sentito il potere realizza-tore e vivificatore della «Civiltà Occidentale» che nonesclude la tradizione asiatica, ma la completa e la rinno-va. Piano piano ci avrebbero aperto le porte delle lorocase e delle loro anime. La collaborazione dell'Occiden-te e dell'Estremo Oriente sarebbe germogliata sponta-neamente nelle coscienze, fiore meraviglioso della con-vivenza umana, ed avrebbe ingentilito col suo profumol'inesorabile lotta moderna per il possesso integrale dellericchezze della terra.

Invece!...Pare che gli europei abbiano fatto apposta a scavare

fra le due civiltà un abisso più vasto e più profondo delPacifico!

A due chilometri dalla miniera, a mezz'erta di un pog-gio color zafferano, una vecchia pagoda appoggia allerupi giallastre della montagna la piramide burlesca dellesue sette feluche di porcellana.

I minatori che l'assenzio non ha ancora abbrutito, sal-gono di tanto in tanto alla pagoda a visitarvi il grandeBuddha dei padri. Qualcuno si ferma a metà strada, di-nanzi ad una chiesetta cattolica che erge la Croce diRoma fra il tempio di Buddha e la bolgia del carbone.

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dini operaie strappate alla risaia omicida ed ai villaggidi paglia, riunite dalla forza nuova in borgate linde egioiose, sottratte ai capricci del clima ed all'ignavia deiprincipi.

I gialli che hanno un patrimonio millenario di saggez-za e di intelligenza avrebbero sentito il potere realizza-tore e vivificatore della «Civiltà Occidentale» che nonesclude la tradizione asiatica, ma la completa e la rinno-va. Piano piano ci avrebbero aperto le porte delle lorocase e delle loro anime. La collaborazione dell'Occiden-te e dell'Estremo Oriente sarebbe germogliata sponta-neamente nelle coscienze, fiore meraviglioso della con-vivenza umana, ed avrebbe ingentilito col suo profumol'inesorabile lotta moderna per il possesso integrale dellericchezze della terra.

Invece!...Pare che gli europei abbiano fatto apposta a scavare

fra le due civiltà un abisso più vasto e più profondo delPacifico!

A due chilometri dalla miniera, a mezz'erta di un pog-gio color zafferano, una vecchia pagoda appoggia allerupi giallastre della montagna la piramide burlesca dellesue sette feluche di porcellana.

I minatori che l'assenzio non ha ancora abbrutito, sal-gono di tanto in tanto alla pagoda a visitarvi il grandeBuddha dei padri. Qualcuno si ferma a metà strada, di-nanzi ad una chiesetta cattolica che erge la Croce diRoma fra il tempio di Buddha e la bolgia del carbone.

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Un vecchio prete spagnolo è riuscito a forza di pazienzaa carpire al Filosofo quattrocento anime annamite. Perquanto tempo?

La Compagnia concessionaria delle miniere è in guer-ra con Buddha. A quest'ora la pagoda sarebbe stata in-dubbiamente sacrificata all'urgenza di qualche cervello-tico sondaggio se il Buddha di Honghai fosse un qual-siasi Buddha dell'Indocina. È invece un Buddha specia-le, vecchissimo, decrepito, posto dal Destino sotto laprotezione degli imperatori dell'Annam e del... partito li-berale annamita.

L'onnipotente Compagnia, che è padrona di tre quartidel Delta, e che potrebbe permettersi il lusso di passareoltre la volontà degli imperatori del Sud Pacifico, deveinchinarsi di fronte alla maestà democratica del partitoliberale annamita sul quale la Repubblica francese ap-poggia la sua politica di «collaboration indigène», unicapolitica-palliativo possibile quando si colonizza senzaavere i coloni.

Ho chiesto ad un pezzo grosso della miniera le ragio-ni dello stato di guerra esistente fra Buddha e la Compa-gnia. Ho capito dalla risposta che ogni tanto i «gong»della pagoda chiamano a raccolta i minatori e che ognivolta una buona metà di quella gente non torna più allaminiera. Partono, se ne vanno, senza riscuotere nemme-no la paga arretrata.

— Propaganda dei bonzi, forse?— No, ci sono solo due vegliardi che appena stanno

in piedi.

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Un vecchio prete spagnolo è riuscito a forza di pazienzaa carpire al Filosofo quattrocento anime annamite. Perquanto tempo?

La Compagnia concessionaria delle miniere è in guer-ra con Buddha. A quest'ora la pagoda sarebbe stata in-dubbiamente sacrificata all'urgenza di qualche cervello-tico sondaggio se il Buddha di Honghai fosse un qual-siasi Buddha dell'Indocina. È invece un Buddha specia-le, vecchissimo, decrepito, posto dal Destino sotto laprotezione degli imperatori dell'Annam e del... partito li-berale annamita.

L'onnipotente Compagnia, che è padrona di tre quartidel Delta, e che potrebbe permettersi il lusso di passareoltre la volontà degli imperatori del Sud Pacifico, deveinchinarsi di fronte alla maestà democratica del partitoliberale annamita sul quale la Repubblica francese ap-poggia la sua politica di «collaboration indigène», unicapolitica-palliativo possibile quando si colonizza senzaavere i coloni.

Ho chiesto ad un pezzo grosso della miniera le ragio-ni dello stato di guerra esistente fra Buddha e la Compa-gnia. Ho capito dalla risposta che ogni tanto i «gong»della pagoda chiamano a raccolta i minatori e che ognivolta una buona metà di quella gente non torna più allaminiera. Partono, se ne vanno, senza riscuotere nemme-no la paga arretrata.

— Propaganda dei bonzi, forse?— No, ci sono solo due vegliardi che appena stanno

in piedi.

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— È un Buddha xenofobo, allora?— Peggio di Gandhi!Ho voluto visitare il Buddha miracoloso che ce l'ha a

morte cogli azionisti della «Socìété de Charbonnage».L'ho trovato solo nella penombra del tempio centenarioin mezzo a tanti fiori appassiti ed a tante striscioline co-lorate di carta, ognuna delle quali rappresenta una pre-ghiera.

Un alto finestrino ad inferriata illumina la nicchia, fi-nestrino di carcere medievale pieno di grosse ragnatele.Attraverso le spranghe di ferro ed i ricami polverosi deiragni entrano l'oro della baia ed il vento del mare. Lapagoda è povera, nuda e cadente. I muri incrinati lascia-no sfarinare l'intonaco. Manca qualche tegola alle settetettoie ed attraverso gli strappi delle feluche bricioli az-zurri di cielo decorano la casa di Buddha. Il rombo dellaminiera attutito dalla distanza e dalle roccie è come ilrosicchio monotono ed uggioso di un tarlo.

Il Filosofo è seduto sulle calcagna con sussiego cano-nicale. I piedi sono nascosti dalla tonaca, le mani abban-donate sui ginocchi. Ha il volto grasso, un po' flaccido,con un doppio mento adiposo ed i lobi degli orecchigonfi di carne.

A prima vista fa l'impressione di un bel Buddoneclassico e prosperoso, uno dei tanti!

Poi ci s'accorge che il suo sorriso non è l'ebete smor-fia rassegnata dei suoi confratelli. È un sorriso formida-bile, quasi direi terribile, che affascina prepotentemente

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— È un Buddha xenofobo, allora?— Peggio di Gandhi!Ho voluto visitare il Buddha miracoloso che ce l'ha a

morte cogli azionisti della «Socìété de Charbonnage».L'ho trovato solo nella penombra del tempio centenarioin mezzo a tanti fiori appassiti ed a tante striscioline co-lorate di carta, ognuna delle quali rappresenta una pre-ghiera.

Un alto finestrino ad inferriata illumina la nicchia, fi-nestrino di carcere medievale pieno di grosse ragnatele.Attraverso le spranghe di ferro ed i ricami polverosi deiragni entrano l'oro della baia ed il vento del mare. Lapagoda è povera, nuda e cadente. I muri incrinati lascia-no sfarinare l'intonaco. Manca qualche tegola alle settetettoie ed attraverso gli strappi delle feluche bricioli az-zurri di cielo decorano la casa di Buddha. Il rombo dellaminiera attutito dalla distanza e dalle roccie è come ilrosicchio monotono ed uggioso di un tarlo.

Il Filosofo è seduto sulle calcagna con sussiego cano-nicale. I piedi sono nascosti dalla tonaca, le mani abban-donate sui ginocchi. Ha il volto grasso, un po' flaccido,con un doppio mento adiposo ed i lobi degli orecchigonfi di carne.

A prima vista fa l'impressione di un bel Buddoneclassico e prosperoso, uno dei tanti!

Poi ci s'accorge che il suo sorriso non è l'ebete smor-fia rassegnata dei suoi confratelli. È un sorriso formida-bile, quasi direi terribile, che affascina prepotentemente

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Page 528: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

il visitatore e finisce per conquistarlo anche se è incre-dulo o beffardo.

I piccoli occhi obliqui, scaltri, ma non cattivi, sonostrizzati con furberia paesana. Hanno l'aria di dire: — Ame non me la fanno e non te la debbono fare nemmenoa te!

Cento rughe sottili s'irradiano dagli angoli degli oc-chi, irrompono dalle palpebre cariche d'ombra in dire-

zione delle guancie, sprizzano dalle ciglie verso l'ampiafronte convessa. Tutte queste rughe danno al volto unaspetto di grande vecchiaia, di straordinaria vecchiaia.Fanno pensare ai secoli della pagoda, ai millennii di Go-

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HUÉ – Le mura del palazzo imperiale.

il visitatore e finisce per conquistarlo anche se è incre-dulo o beffardo.

I piccoli occhi obliqui, scaltri, ma non cattivi, sonostrizzati con furberia paesana. Hanno l'aria di dire: — Ame non me la fanno e non te la debbono fare nemmenoa te!

Cento rughe sottili s'irradiano dagli angoli degli oc-chi, irrompono dalle palpebre cariche d'ombra in dire-

zione delle guancie, sprizzano dalle ciglie verso l'ampiafronte convessa. Tutte queste rughe danno al volto unaspetto di grande vecchiaia, di straordinaria vecchiaia.Fanno pensare ai secoli della pagoda, ai millennii di Go-

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HUÉ – Le mura del palazzo imperiale.

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tamo Buddo, alle generazioni che lo hanno adorato esono scomparse nel mistero della grande notte.

Fra gli occhi e le labbra la contrazione del naso car-noso e delle guancie sporgenti è carica di dolore rasse-gnato.

Più sotto le labbra sorridono, beate, serafiche, ance-

strali. Distruggono la scaltrezza degli occhi, annullanola preoccupazione delle cento rughe, cancellanol'impronta del dolore. Sorridono alle miserie della vita,all'enigma pauroso del domani, alle cattiverie dell'uma-no egoismo, alla baia d'oro, al cielo azzurro, al mare co-lor di topazio, alla piccola miniera lontana che con tutto

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HUÉ – Stagno e pagonda d’Ai-di.

tamo Buddo, alle generazioni che lo hanno adorato esono scomparse nel mistero della grande notte.

Fra gli occhi e le labbra la contrazione del naso car-noso e delle guancie sporgenti è carica di dolore rasse-gnato.

Più sotto le labbra sorridono, beate, serafiche, ance-

strali. Distruggono la scaltrezza degli occhi, annullanola preoccupazione delle cento rughe, cancellanol'impronta del dolore. Sorridono alle miserie della vita,all'enigma pauroso del domani, alle cattiverie dell'uma-no egoismo, alla baia d'oro, al cielo azzurro, al mare co-lor di topazio, alla piccola miniera lontana che con tutto

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HUÉ – Stagno e pagonda d’Ai-di.

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il suo fragore riesce appena a farsi sentire... Sorridonoperdonando, sorridono incoraggiando, sorridono scher-zando...

L'insieme di queste molteplici espressioni riunite nel-la stessa immagine è una grande maestà: divina, regaleed umana nel medesimo tempo.

La bolgia di Honghai con le sue macchine urlanti, coisuoi scheletri di ferro, coi suoi comignoli fumosi, coisuoi forni perpetuamente turgidi di fuoco, è una mo-struosa piccola cosa di fronte a questo sorriso ciclopicoche simboleggia il millenario travaglio spirituale di unarazza.

Capisco come gli uomini gialli che dall'inferno dellaminiera salgono all'eremo del Perfetto non possano piùscendere nel regno del fuoco e dell'odio.

Tornano ai villaggi di paglia annidati fra i ventaglidelle banane, alle risaie monotone e solenni che rifletto-no il cammino delle nubi, ai silenzi sovrani del Delta,alla terra grassa e benigna che sorride dopo la tempesta,alle quiete botteghe dell'artigianato indigeno nelle qualiil lavoro s'accompagna alla meditazione.

Il Buddha della pagoda di Honghai schiaccia la mi-niera e le sue macchine con la superiorità di un sorrisoche è il frutto di tre millennii di filosofia umana.

Il minatore giallo lava nel canale il sozzume del car-bone, butta il camice di sacco, rinunzia alla piastra av-velenata che lo sfama ma lo intossica, prende per manola moglie ed i figli prima che perdano il rispetto dellasua autorità, raccoglie su la pipa dispensatrice di troni e

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il suo fragore riesce appena a farsi sentire... Sorridonoperdonando, sorridono incoraggiando, sorridono scher-zando...

L'insieme di queste molteplici espressioni riunite nel-la stessa immagine è una grande maestà: divina, regaleed umana nel medesimo tempo.

La bolgia di Honghai con le sue macchine urlanti, coisuoi scheletri di ferro, coi suoi comignoli fumosi, coisuoi forni perpetuamente turgidi di fuoco, è una mo-struosa piccola cosa di fronte a questo sorriso ciclopicoche simboleggia il millenario travaglio spirituale di unarazza.

Capisco come gli uomini gialli che dall'inferno dellaminiera salgono all'eremo del Perfetto non possano piùscendere nel regno del fuoco e dell'odio.

Tornano ai villaggi di paglia annidati fra i ventaglidelle banane, alle risaie monotone e solenni che rifletto-no il cammino delle nubi, ai silenzi sovrani del Delta,alla terra grassa e benigna che sorride dopo la tempesta,alle quiete botteghe dell'artigianato indigeno nelle qualiil lavoro s'accompagna alla meditazione.

Il Buddha della pagoda di Honghai schiaccia la mi-niera e le sue macchine con la superiorità di un sorrisoche è il frutto di tre millennii di filosofia umana.

Il minatore giallo lava nel canale il sozzume del car-bone, butta il camice di sacco, rinunzia alla piastra av-velenata che lo sfama ma lo intossica, prende per manola moglie ed i figli prima che perdano il rispetto dellasua autorità, raccoglie su la pipa dispensatrice di troni e

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d'illusioni, riprende la strada della risaia, verso i cimiteridei padri e degli avoli, verso i villaggi abitati dai saggi edai filosofi nei quali anche la morte è lenita da un soffiodi poesia.

I gialli vogliono una patria, una filosofia ed una fede.L'Europa offre cannoni, macchine e denaro.

Gotamo Buddo sorride...

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d'illusioni, riprende la strada della risaia, verso i cimiteridei padri e degli avoli, verso i villaggi abitati dai saggi edai filosofi nei quali anche la morte è lenita da un soffiodi poesia.

I gialli vogliono una patria, una filosofia ed una fede.L'Europa offre cannoni, macchine e denaro.

Gotamo Buddo sorride...

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Politica coloniale

ALONG, 11 ottobre.

La Francia ha in Indocina un vasto impero coloniale,il quale, con la Cocincina, col Camboge, col Laos,coll'Annam e col Tonkino, rappresenta il più grandepossedimento dell'Europa nell'Asia gialla, vasto duevolte l'Italia e popolato da venticinque milioni di abitan-ti. Però l'influenza che esercita l'Inghilterra sul mondogiallo è infinitamente superiore a quella della Francia,benché la Gran Bretagna non possegga in fondo che lasola isoletta di Honkong! Questo enorme squilibrio fral'influenza inglese e l'influenza francese, in contrastocon la schiacciante superiorità della situazione territoria-le della Francia, caratterizza la figura politica dell'Indo-cina e dà il tono alla sua importanza economica.

Tutti sanno che vi sono quattro categorie di colonie:le colonie di popolamento, le colonie di rendimento eco-nomico, le colonie d'influenza politica e le colonied'interesse strategico. In quale di queste categorie puòessere annoverata l'Indocina? Nel pensiero francesel'Indocina riunirebbe gli elementi delle tre ultime cate-

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Politica coloniale

ALONG, 11 ottobre.

La Francia ha in Indocina un vasto impero coloniale,il quale, con la Cocincina, col Camboge, col Laos,coll'Annam e col Tonkino, rappresenta il più grandepossedimento dell'Europa nell'Asia gialla, vasto duevolte l'Italia e popolato da venticinque milioni di abitan-ti. Però l'influenza che esercita l'Inghilterra sul mondogiallo è infinitamente superiore a quella della Francia,benché la Gran Bretagna non possegga in fondo che lasola isoletta di Honkong! Questo enorme squilibrio fral'influenza inglese e l'influenza francese, in contrastocon la schiacciante superiorità della situazione territoria-le della Francia, caratterizza la figura politica dell'Indo-cina e dà il tono alla sua importanza economica.

Tutti sanno che vi sono quattro categorie di colonie:le colonie di popolamento, le colonie di rendimento eco-nomico, le colonie d'influenza politica e le colonied'interesse strategico. In quale di queste categorie puòessere annoverata l'Indocina? Nel pensiero francesel'Indocina riunirebbe gli elementi delle tre ultime cate-

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gorie. Per il momento, però, il suo rendimento economi-co è appena sufficiente ai bisogni della colonia e il mar-gine d'utile della Cocincina è assorbito dalle spese mili-tari del Tonkino. Sotto il punto di vista delle materie pri-me la produzione di carbone, di metalli e di fosfati dellacolonia è assorbita per intero dalla clientela stessa delPacifico, specialmente dal Giappone, e l'economia dellametropoli non ne risente quasi alcun vantaggio.

L'importanza strategica del possedimento è svalutatadalla mancanza sul posto di forze militari e navali cherealmente rappresentino un elemento di potenza. Le for-ze terrestri sono in prevalenza formate da truppe indige-ne di scarso valore militare, quelle navali, sono poi as-solutamente irrisorie di fronte a uno sviluppo costiero diduemilaottocento chilometri. Sotto tale rapporto questalontana colonia che fa corpo a sé, senza essere parte diun più vasto complesso coloniale in Asia, rappresentapiù che altro un fattore di debolezza per la potenza mili-tare e navale della Francia.

Resta quindi sul tappeto il solo valore politico dellacolonia, purché non si voglia seguire la democraziafrancese nell'artifiziosa creazione d'una quinta categoriadi colonie, «les colonies d'influence morale». Sarebbefacile dimostrare che le «colonie d'influenza morale»,come le chiama Herriot, e le «colonie d'influenza politi-ca» sono una cosa sola, giacché il prestigio e l'espansio-ne spirituale di una nazione sono elementi fondamentalidella sua politica estera. Ma, trattandosi di una coloniafrancese, accettiamo pure il principio democratico

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gorie. Per il momento, però, il suo rendimento economi-co è appena sufficiente ai bisogni della colonia e il mar-gine d'utile della Cocincina è assorbito dalle spese mili-tari del Tonkino. Sotto il punto di vista delle materie pri-me la produzione di carbone, di metalli e di fosfati dellacolonia è assorbita per intero dalla clientela stessa delPacifico, specialmente dal Giappone, e l'economia dellametropoli non ne risente quasi alcun vantaggio.

L'importanza strategica del possedimento è svalutatadalla mancanza sul posto di forze militari e navali cherealmente rappresentino un elemento di potenza. Le for-ze terrestri sono in prevalenza formate da truppe indige-ne di scarso valore militare, quelle navali, sono poi as-solutamente irrisorie di fronte a uno sviluppo costiero diduemilaottocento chilometri. Sotto tale rapporto questalontana colonia che fa corpo a sé, senza essere parte diun più vasto complesso coloniale in Asia, rappresentapiù che altro un fattore di debolezza per la potenza mili-tare e navale della Francia.

Resta quindi sul tappeto il solo valore politico dellacolonia, purché non si voglia seguire la democraziafrancese nell'artifiziosa creazione d'una quinta categoriadi colonie, «les colonies d'influence morale». Sarebbefacile dimostrare che le «colonie d'influenza morale»,come le chiama Herriot, e le «colonie d'influenza politi-ca» sono una cosa sola, giacché il prestigio e l'espansio-ne spirituale di una nazione sono elementi fondamentalidella sua politica estera. Ma, trattandosi di una coloniafrancese, accettiamo pure il principio democratico

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dell'influenza morale senza scopi politici. Esso suffragail nostro giudizio pessimista sulla situazione politica erivoluzionaria dell'Indocina.

È vero che l'Inghilterra possiede, in tutto e per tuttosolo il trampolino di Hongkong, ma Hongkong è il cen-tro di una formidabile attività politica ed economica cheha a Londra le batterie di carica e le pile di riserva. Inol-tre l'Inghilterra stringe tre quarti dell'Asia gialla nelgrandioso cerchio dei suoi possedimenti indiani e malesie dei suoi Domini d'Australia e di Nuova Zelanda, occu-pa con Singapore una delle porte d'ingresso dell'EstremoOriente, controlla strategicamente le colonie olandesi,completa infine le sue posizioni con tutta una politicaorganica del Pacifico, la quale arriva fino a Tokio e aWashington.

La Francia, invece di un semplice trampolino, possie-de una vasta piattaforma; ma le... manca tutto il resto!La politica francese del Pacifico esiste nei discorsi deiministri delle colonie e di qualche governatore generale,non nella realtà dei fatti. L'Indocina è per la Francia unalontana colonia, anzi una troppo lontana colonia, allaquale Parigi chiede soprattutto di non procurare gratta-capi politici e di bastare economicamente a sé stessa.Quanto alla cosiddetta influenza morale che la Franciaeserciterebbe sull'Asia gialla attraverso l'Indocina, essaè per il momento una lodevole intenzione, ed i più ar-denti esaltatori della «France asiatique» non possono of-frire alla critica che belle e sonanti frasi, non appoggiatenè da cifre statistiche nè da fatti concreti e neppure da

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dell'influenza morale senza scopi politici. Esso suffragail nostro giudizio pessimista sulla situazione politica erivoluzionaria dell'Indocina.

È vero che l'Inghilterra possiede, in tutto e per tuttosolo il trampolino di Hongkong, ma Hongkong è il cen-tro di una formidabile attività politica ed economica cheha a Londra le batterie di carica e le pile di riserva. Inol-tre l'Inghilterra stringe tre quarti dell'Asia gialla nelgrandioso cerchio dei suoi possedimenti indiani e malesie dei suoi Domini d'Australia e di Nuova Zelanda, occu-pa con Singapore una delle porte d'ingresso dell'EstremoOriente, controlla strategicamente le colonie olandesi,completa infine le sue posizioni con tutta una politicaorganica del Pacifico, la quale arriva fino a Tokio e aWashington.

La Francia, invece di un semplice trampolino, possie-de una vasta piattaforma; ma le... manca tutto il resto!La politica francese del Pacifico esiste nei discorsi deiministri delle colonie e di qualche governatore generale,non nella realtà dei fatti. L'Indocina è per la Francia unalontana colonia, anzi una troppo lontana colonia, allaquale Parigi chiede soprattutto di non procurare gratta-capi politici e di bastare economicamente a sé stessa.Quanto alla cosiddetta influenza morale che la Franciaeserciterebbe sull'Asia gialla attraverso l'Indocina, essaè per il momento una lodevole intenzione, ed i più ar-denti esaltatori della «France asiatique» non possono of-frire alla critica che belle e sonanti frasi, non appoggiatenè da cifre statistiche nè da fatti concreti e neppure da

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episodi rivelatori. Tutto si riduce per il momento a quei«fattori imponderabili» sui quali le opinioni è lecito sia-no discordi, mancando ogni base di documentazione.

Dopo aver cercato di descrivere ai lettori gli aspettipittoreschi della Cocincina, del Laos, del Camboge,dell'Annam e del Tonkino – paesi tutti che lasciano nelvisitatore un ricordo incancellabile e che per conto mioconsidero fra i più interessanti della terra – dopo avertentato d'approfondire nei limiti modesti delle mie forzequalche aspetto della misteriosa anima indocinese, cre-do opportuno riassumere qui qualche osservazione dicarattere politico e qualche dato economico prima di en-trare per la porta di Canton nella grande Cina.

La Francia deve i suoi possedimenti d'Indocina a re-mote e coraggiose iniziative coloniali e li ha pagati conun forte prezzo di sangue. La storia dei Protettorati edelle Colonie francesi d'Estremo Oriente è ricca di sacri-fizi e di glorie. Le risaie della Cocincina, la «brousse»del Camboge e «les hauts-plateaux» del Tonkino cono-scono l'aspro sapore del sangue e del sudore francese.

Qualunque studioso che si sia un po' occupato deiprecedenti storici dell'occupazione deve rendere omag-gio al valore militare e all'abilità politica della Francia.Spesso l'azione politica non è stata un merito del Gover-no centrale di Parigi, ma di modesti funzionari o di sem-plici comandanti di colonne, i quali hanno supplito colbuon senso latino e con lo spirito individuale d'iniziativache è proprio dei popoli mediterranei alla mancanza di

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episodi rivelatori. Tutto si riduce per il momento a quei«fattori imponderabili» sui quali le opinioni è lecito sia-no discordi, mancando ogni base di documentazione.

Dopo aver cercato di descrivere ai lettori gli aspettipittoreschi della Cocincina, del Laos, del Camboge,dell'Annam e del Tonkino – paesi tutti che lasciano nelvisitatore un ricordo incancellabile e che per conto mioconsidero fra i più interessanti della terra – dopo avertentato d'approfondire nei limiti modesti delle mie forzequalche aspetto della misteriosa anima indocinese, cre-do opportuno riassumere qui qualche osservazione dicarattere politico e qualche dato economico prima di en-trare per la porta di Canton nella grande Cina.

La Francia deve i suoi possedimenti d'Indocina a re-mote e coraggiose iniziative coloniali e li ha pagati conun forte prezzo di sangue. La storia dei Protettorati edelle Colonie francesi d'Estremo Oriente è ricca di sacri-fizi e di glorie. Le risaie della Cocincina, la «brousse»del Camboge e «les hauts-plateaux» del Tonkino cono-scono l'aspro sapore del sangue e del sudore francese.

Qualunque studioso che si sia un po' occupato deiprecedenti storici dell'occupazione deve rendere omag-gio al valore militare e all'abilità politica della Francia.Spesso l'azione politica non è stata un merito del Gover-no centrale di Parigi, ma di modesti funzionari o di sem-plici comandanti di colonne, i quali hanno supplito colbuon senso latino e con lo spirito individuale d'iniziativache è proprio dei popoli mediterranei alla mancanza di

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direttive precise e di programmi organici da parte dellametropoli.

L'azione politico-diplomatico-militare svolta in certeprovincie del Camboge e del Tonkino e in certi principa-ti laoziani da avventurosi ufficiali e da chiaroveggentiamministratori hanno uno sfondo romanzesco di straor-dinaria intensità. Qua e là un uomo isolato ha gettato lebasi materiali e spirituali d'un solido impero ed è talvol-ta riuscito a dominare l'anima stessa delle moltitudiniasiatiche, ma è mancata sistematicamente quella conti-nuità d'azione che è il fulcro delle fortune coloniali bri-tanniche.

Il giorno in cui, finita l'occupazione militare, s'è chiu-so il periodo dell'avventura coloniale vera e propria ed èincominciato quello d'organizzazione politica e della va-lorizzazione economica, il Governo centrale ha sostitui-to naturalmente i coloni avventurosi e i comandanti au-daci con un personale burocratico venuto di Francia ereclutato in maggioranza negli ambienti di provincia.Considerazioni di carriera e calcoli di pensione hannopreso il posto dell'amor di patria e delle nobili ambizionidi gloria. I governatori formati in colonia e saliti agli altigradi attraverso le burrascose vicende della conquistahanno ceduto via via il passo a uomini politici della me-tropoli, designati per l'alta carica da ragioni di politicainterna o di opportunità parlamentare. Tipica la recentis-sima nomina a governatore generale dell'Indocina deldeputato socialista Varenne, il quale potrà avere moltimeriti agli occhi del «cartello delle sinistre», ma non ha

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direttive precise e di programmi organici da parte dellametropoli.

L'azione politico-diplomatico-militare svolta in certeprovincie del Camboge e del Tonkino e in certi principa-ti laoziani da avventurosi ufficiali e da chiaroveggentiamministratori hanno uno sfondo romanzesco di straor-dinaria intensità. Qua e là un uomo isolato ha gettato lebasi materiali e spirituali d'un solido impero ed è talvol-ta riuscito a dominare l'anima stessa delle moltitudiniasiatiche, ma è mancata sistematicamente quella conti-nuità d'azione che è il fulcro delle fortune coloniali bri-tanniche.

Il giorno in cui, finita l'occupazione militare, s'è chiu-so il periodo dell'avventura coloniale vera e propria ed èincominciato quello d'organizzazione politica e della va-lorizzazione economica, il Governo centrale ha sostitui-to naturalmente i coloni avventurosi e i comandanti au-daci con un personale burocratico venuto di Francia ereclutato in maggioranza negli ambienti di provincia.Considerazioni di carriera e calcoli di pensione hannopreso il posto dell'amor di patria e delle nobili ambizionidi gloria. I governatori formati in colonia e saliti agli altigradi attraverso le burrascose vicende della conquistahanno ceduto via via il passo a uomini politici della me-tropoli, designati per l'alta carica da ragioni di politicainterna o di opportunità parlamentare. Tipica la recentis-sima nomina a governatore generale dell'Indocina deldeputato socialista Varenne, il quale potrà avere moltimeriti agli occhi del «cartello delle sinistre», ma non ha

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nessuna preparazione coloniale e non gode alcun creditopresso i coloni di Saigon, di Haifong e di Hanoi!

Gli amministratori coloniali non si improvvisano e iLyautey sono rari in tutti i paesi, anche nella patria diSarrail.

I veri coloni sono del resto in Indocina una modestis-sima minoranza. La maggioranza dei residenti è formatadai funzionari, dai rappresentanti di commercio, dai«brasseurs d'affaires» e da una categoria ambigua di«colons de passage», i quali s'occupano un po' di trafficie molto di politica locale.

A differenza degli inglesi, i quali quando sono in co-lonia dimenticano i «toryes», i «wighs» e le «TradeUnions» per essere solamente ed esclusivamente inglesi,e che quando sono funzionari coloniali sono semplicimacchine esecutrici degli ordini superiori, i francesi,siano privati o funzionari – esclusi i militari – portanonel loro bagaglio insieme col casco e coll'ultimo roman-zo anche le loro brave idee politiche e si fanno un dove-re di diffonderle non solo fra i connazionali, ma anchefra gli indigeni. Estendete questo sistema dall'ammini-stratore di quarta classe al governatore di prima classe eavrete un'idea dell'ambiente psicologico della colonia.

Tre soggiorni in Indocina e una conoscenza abbastan-za profonda di quasi tutte le altre colonie francesid'Africa e d'Oceania, mi permettono di formulare ungiudizio generale sulla colonizzazione francese, il qualepuò anche essere sbagliato come tutti i giudizi, ma non

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nessuna preparazione coloniale e non gode alcun creditopresso i coloni di Saigon, di Haifong e di Hanoi!

Gli amministratori coloniali non si improvvisano e iLyautey sono rari in tutti i paesi, anche nella patria diSarrail.

I veri coloni sono del resto in Indocina una modestis-sima minoranza. La maggioranza dei residenti è formatadai funzionari, dai rappresentanti di commercio, dai«brasseurs d'affaires» e da una categoria ambigua di«colons de passage», i quali s'occupano un po' di trafficie molto di politica locale.

A differenza degli inglesi, i quali quando sono in co-lonia dimenticano i «toryes», i «wighs» e le «TradeUnions» per essere solamente ed esclusivamente inglesi,e che quando sono funzionari coloniali sono semplicimacchine esecutrici degli ordini superiori, i francesi,siano privati o funzionari – esclusi i militari – portanonel loro bagaglio insieme col casco e coll'ultimo roman-zo anche le loro brave idee politiche e si fanno un dove-re di diffonderle non solo fra i connazionali, ma anchefra gli indigeni. Estendete questo sistema dall'ammini-stratore di quarta classe al governatore di prima classe eavrete un'idea dell'ambiente psicologico della colonia.

Tre soggiorni in Indocina e una conoscenza abbastan-za profonda di quasi tutte le altre colonie francesid'Africa e d'Oceania, mi permettono di formulare ungiudizio generale sulla colonizzazione francese, il qualepuò anche essere sbagliato come tutti i giudizi, ma non

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può essere tacciato di leggerezza, essendo il frutto dilunghi studi e di attente osservazioni.

In prima linea la Francia non ha coloni, non possiedecioè quel sovrabbondante materiale umano che è neces-sario per concimare un possedimento coloniale.

In secondo luogo il Francese non ama in genere la co-lonia e non possiede le qualità peculiari del colonizzato-re. Benché la Francia sia padrona del secondo imperocoloniale del mondo, il cittadino francese considera tut-tora la partenza per la colonia «un coup de tète» riserva-to ai capi scarichi ed ai figliuoli prodighi. Appena appe-na l'Algeria e la Tunisia godono in questi ultimi tempi diun trattamento di favore. Numerosi sono nelle ammini-strazioni coloniali i Còrsi, i Nizzardi e i Savoiardi d'ori-gine italiana. Relativamente alla popolazione totale del-la Francia il loro numero è assolutamente sproporziona-to all'indice demografico di quelle regioni e dimostracome lo spirito coloniale sia più sviluppato nei sudditifrancesi di razza italica che nell'elemento etnico nazio-nale. Molti sono, ad esempio, i Còrsi che coprono cari-che direttive in tutte le branche amministrative coloniali,specialmente in quegli uffici «a latere» dei governatoripolitici che sono i veri gangli dell'amministrazione.

Nel caso particolare dell'Indocina, tolti di mezzo i mi-litari, i funzionari e gli uomini d'affari di passaggio,mancherebbe quasi completamente il vero colono – cioècolui che si trapianta in colonia con la famiglia e coibeni per farne la sua seconda patria e dedicarvi tutte leproprie energie – se non si fossero stabilite in Cocincina

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può essere tacciato di leggerezza, essendo il frutto dilunghi studi e di attente osservazioni.

In prima linea la Francia non ha coloni, non possiedecioè quel sovrabbondante materiale umano che è neces-sario per concimare un possedimento coloniale.

In secondo luogo il Francese non ama in genere la co-lonia e non possiede le qualità peculiari del colonizzato-re. Benché la Francia sia padrona del secondo imperocoloniale del mondo, il cittadino francese considera tut-tora la partenza per la colonia «un coup de tète» riserva-to ai capi scarichi ed ai figliuoli prodighi. Appena appe-na l'Algeria e la Tunisia godono in questi ultimi tempi diun trattamento di favore. Numerosi sono nelle ammini-strazioni coloniali i Còrsi, i Nizzardi e i Savoiardi d'ori-gine italiana. Relativamente alla popolazione totale del-la Francia il loro numero è assolutamente sproporziona-to all'indice demografico di quelle regioni e dimostracome lo spirito coloniale sia più sviluppato nei sudditifrancesi di razza italica che nell'elemento etnico nazio-nale. Molti sono, ad esempio, i Còrsi che coprono cari-che direttive in tutte le branche amministrative coloniali,specialmente in quegli uffici «a latere» dei governatoripolitici che sono i veri gangli dell'amministrazione.

Nel caso particolare dell'Indocina, tolti di mezzo i mi-litari, i funzionari e gli uomini d'affari di passaggio,mancherebbe quasi completamente il vero colono – cioècolui che si trapianta in colonia con la famiglia e coibeni per farne la sua seconda patria e dedicarvi tutte leproprie energie – se non si fossero stabilite in Cocincina

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e in Tonkino parecchie famiglie venute da Pondicheéry,da Chandernagore e dagli estremi baluardi dell'anticoimpero francese delle Indie. Sono queste vecchie fami-glie originarie di Dieppe e della Bretagna, le quali so-vente tradiscono per il colore della pelle mescolanze disangue portoghese e indiano, quelle che forniscono aiquadri del possedimento gli elementi veramente colo-niali, i grandi banchieri, i grandi agricoltori, i grandi in-dustriali, i «bàtisseurs d'empire», ma la fonte è natural-mente troppo esigua per i bisogni di un dominio così va-sto e così popoloso.

Gli inglesi considerano le loro colonie le più belle pa-lestre dello «struggle for life» britannico. Se non amanola colonia amano fortemente la vita coloniale. In genereil figlio sostituisce il padre nella carriera o nelle aziende.Inoltre gli Inglesi, dove non riescono da soli a coloniz-zare, ricorrono largamente alla collaborazione straniera,contenendola con consumata abilità entro determinati li-miti. Nelle colonie britanniche innumerevoli sono glistranieri alla testa di grandi ditte o di potenti imprese in-glesi, vice-direttori di Banche, alti funzionari delle stes-se amministrazioni statali. I Francesi, invece, non ama-no nè la colonia nè la vita coloniale. Parigi è il sognod'ogni colono, «la rétraite en France» è l'unico obbietti-vo d'ogni funzionario. Lo straniero è sempre «un métè-que qui vient dans les colonies pour embèter les Fran-cais»!

La mancanza di coloni bianchi e l'inframmettenza delparlamentarismo metropolitano nel reggimento politico

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e in Tonkino parecchie famiglie venute da Pondicheéry,da Chandernagore e dagli estremi baluardi dell'anticoimpero francese delle Indie. Sono queste vecchie fami-glie originarie di Dieppe e della Bretagna, le quali so-vente tradiscono per il colore della pelle mescolanze disangue portoghese e indiano, quelle che forniscono aiquadri del possedimento gli elementi veramente colo-niali, i grandi banchieri, i grandi agricoltori, i grandi in-dustriali, i «bàtisseurs d'empire», ma la fonte è natural-mente troppo esigua per i bisogni di un dominio così va-sto e così popoloso.

Gli inglesi considerano le loro colonie le più belle pa-lestre dello «struggle for life» britannico. Se non amanola colonia amano fortemente la vita coloniale. In genereil figlio sostituisce il padre nella carriera o nelle aziende.Inoltre gli Inglesi, dove non riescono da soli a coloniz-zare, ricorrono largamente alla collaborazione straniera,contenendola con consumata abilità entro determinati li-miti. Nelle colonie britanniche innumerevoli sono glistranieri alla testa di grandi ditte o di potenti imprese in-glesi, vice-direttori di Banche, alti funzionari delle stes-se amministrazioni statali. I Francesi, invece, non ama-no nè la colonia nè la vita coloniale. Parigi è il sognod'ogni colono, «la rétraite en France» è l'unico obbietti-vo d'ogni funzionario. Lo straniero è sempre «un métè-que qui vient dans les colonies pour embèter les Fran-cais»!

La mancanza di coloni bianchi e l'inframmettenza delparlamentarismo metropolitano nel reggimento politico

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della colonia sono, a mio parere, i due lati deboli di tuttigli organismi coloniali francesi. Si tratta, evidentemente,di debolezze organiche gravissime. Esse sono più accen-tuate e più gravide di conseguenze in Indocina per laspecialissima natura del possedimento.

Nessuna colonia, neppure l'India, presenta le caratte-ristiche dell'Indocina. Eccettuate le poche agglomerazio-ni semi-selvagge dei Mois e dei Kas e quelle selvaggedegli altipiani laoziani, i Francesi hanno da fare convecchie razze di antica civiltà, le quali sono rimaste in-dietro rispetto all'Occidente nelle conquiste tecniche edeconomiche, ma hanno raggiunto negli ordinamenti so-ciali e nel vasto campo delle conquiste pure dello spiritoun grado così avanzato di evoluzione da lasciare soventeperplesso l'europeo.

Nel descrivere alcuni aspetti pittoreschi dell'Indocinami sono sforzato di lumeggiare certe zone d'equilibrioalle quali la millenaria saggezza annamita è pervenutaattraverso il travaglio faticoso dei secoli, di mettere inrilievo certe oasi serafiche di felicità relativa raggiunteda una filosofia profondamente umana che è penetratadi generazione in generazione nella coscienza di tuttauna razza, e specialmente di chiarire le solidissime basispirituali e morali degli ordinamenti sociali, religiosi epolitici dell'Annam.

Una simile colonia è certo ben diversa dai possedi-menti mussulmani dell'Africa mediterranea e da quelliselvaggi dell'Africa tropicale ed equatoriale. Sotto que-

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della colonia sono, a mio parere, i due lati deboli di tuttigli organismi coloniali francesi. Si tratta, evidentemente,di debolezze organiche gravissime. Esse sono più accen-tuate e più gravide di conseguenze in Indocina per laspecialissima natura del possedimento.

Nessuna colonia, neppure l'India, presenta le caratte-ristiche dell'Indocina. Eccettuate le poche agglomerazio-ni semi-selvagge dei Mois e dei Kas e quelle selvaggedegli altipiani laoziani, i Francesi hanno da fare convecchie razze di antica civiltà, le quali sono rimaste in-dietro rispetto all'Occidente nelle conquiste tecniche edeconomiche, ma hanno raggiunto negli ordinamenti so-ciali e nel vasto campo delle conquiste pure dello spiritoun grado così avanzato di evoluzione da lasciare soventeperplesso l'europeo.

Nel descrivere alcuni aspetti pittoreschi dell'Indocinami sono sforzato di lumeggiare certe zone d'equilibrioalle quali la millenaria saggezza annamita è pervenutaattraverso il travaglio faticoso dei secoli, di mettere inrilievo certe oasi serafiche di felicità relativa raggiunteda una filosofia profondamente umana che è penetratadi generazione in generazione nella coscienza di tuttauna razza, e specialmente di chiarire le solidissime basispirituali e morali degli ordinamenti sociali, religiosi epolitici dell'Annam.

Una simile colonia è certo ben diversa dai possedi-menti mussulmani dell'Africa mediterranea e da quelliselvaggi dell'Africa tropicale ed equatoriale. Sotto que-

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sto punto di vista l'Indocina è una colonia unica. I Fran-cesi, per essere una razza latina e geniale, avevano senzadubbio maggiore possibilità di far bene dei Teutonici odegli Anglo-sassoni, e lo hanno dimostrato sia durantela conquista militare della Cocincina e del Tonkino, sianell'insediamento dei protettorati politici sul Camboge esull'Annam.

Ci volevano poi gli uomini! Ci voleva un buon milio-ne di Latini del Mediterraneo da trapiantare in Indocinaper mettere in valore le immense ricchezze agricole eminerarie di quelle terre, per arginare la secolare infil-trazione cinese, la quale avrebbe dovuto essere netta-mente troncata, per fondere le due civiltà dell'Occidentee dell'Estremo Oriente in una forma originale di convi-venza ariano-semitica, sfruttando da una parte lo straor-dinario potere di adattamento della razza latina,dall'altra la debolezza meticcia degli Indocinesi, i qualioffrono una resistenza infinitamente inferiore a quelladei Cinesi.

La riuscita d'un simile esperimento di ampiezza ro-mana avrebbe senza dubbio dominato favorevolmentetutto il problema del Pacifico.

La Francia, povera di uomini e povera soprattutto dicoloni, non può mantenere in Indocina che diecimilapersone, compresi i funzionari, cioè la popolazione diun modesto villaggio. Questa stessa mancanza di resi-denti nazionali le ha impedito d'aprire con larghezza leporte della colonia all'emigrazione straniera. Se in teo-ria, chiunque può installarsi in colonia, in pratica ogni

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sto punto di vista l'Indocina è una colonia unica. I Fran-cesi, per essere una razza latina e geniale, avevano senzadubbio maggiore possibilità di far bene dei Teutonici odegli Anglo-sassoni, e lo hanno dimostrato sia durantela conquista militare della Cocincina e del Tonkino, sianell'insediamento dei protettorati politici sul Camboge esull'Annam.

Ci volevano poi gli uomini! Ci voleva un buon milio-ne di Latini del Mediterraneo da trapiantare in Indocinaper mettere in valore le immense ricchezze agricole eminerarie di quelle terre, per arginare la secolare infil-trazione cinese, la quale avrebbe dovuto essere netta-mente troncata, per fondere le due civiltà dell'Occidentee dell'Estremo Oriente in una forma originale di convi-venza ariano-semitica, sfruttando da una parte lo straor-dinario potere di adattamento della razza latina,dall'altra la debolezza meticcia degli Indocinesi, i qualioffrono una resistenza infinitamente inferiore a quelladei Cinesi.

La riuscita d'un simile esperimento di ampiezza ro-mana avrebbe senza dubbio dominato favorevolmentetutto il problema del Pacifico.

La Francia, povera di uomini e povera soprattutto dicoloni, non può mantenere in Indocina che diecimilapersone, compresi i funzionari, cioè la popolazione diun modesto villaggio. Questa stessa mancanza di resi-denti nazionali le ha impedito d'aprire con larghezza leporte della colonia all'emigrazione straniera. Se in teo-ria, chiunque può installarsi in colonia, in pratica ogni

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attività coloniale è condizionata all'acquisto della nazio-nalità francese.

Priva dello strumento capitale di qualsiasi colonizza-zione, cioè della massa colonica, la Francia non avevaaltro mezzo di dominio che il surrogato politico.

L'Indocina esigeva due forme di politica: una genera-le, una locale.

La prima avrebbe potuto essere rappresentata da unagrande intesa asiatica, o coll'Inghilterra o con la Russiao col Giappone o col Nord-America, magari con glistessi nazionalismi asiatici. L'alleanza anglo-nipponicafa scuola in materia. Una politica generale dell'EstremoOriente è mancata affatto da parte della Francia. Primadella guerra la servitù del Reno, dopo la guerra l'immen-sità stessa di un impero coloniale sproporzionato alla ca-pacità valorizzatrice del paese, hanno impedito allaFrancia di mettere in valore l'importanza politicadell'Indocina, facendone la base di una vasta azioneasiatica; per ciò la Francia è isolata in Estremo Oriente,con le sue opulenti colonie verso le quali s'appuntanodiversi appetiti.

Parigi ha concentrato il suo sforzo sulla politica loca-le. Partendo dalla premessa che, poiché mancavano i co-loni, era necessario vincolare l'interesse degli abitantiall'interesse della Potenza dominante, il Governo france-se è arrivato logicamente alla collaborazione con gli in-digeni. All'atto pratico, però, tale collaborazione è mate-rialmente impossibile fra la razza gialla e la razza bian-ca, le quali sono separate dall'abisso che le due razze

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attività coloniale è condizionata all'acquisto della nazio-nalità francese.

Priva dello strumento capitale di qualsiasi colonizza-zione, cioè della massa colonica, la Francia non avevaaltro mezzo di dominio che il surrogato politico.

L'Indocina esigeva due forme di politica: una genera-le, una locale.

La prima avrebbe potuto essere rappresentata da unagrande intesa asiatica, o coll'Inghilterra o con la Russiao col Giappone o col Nord-America, magari con glistessi nazionalismi asiatici. L'alleanza anglo-nipponicafa scuola in materia. Una politica generale dell'EstremoOriente è mancata affatto da parte della Francia. Primadella guerra la servitù del Reno, dopo la guerra l'immen-sità stessa di un impero coloniale sproporzionato alla ca-pacità valorizzatrice del paese, hanno impedito allaFrancia di mettere in valore l'importanza politicadell'Indocina, facendone la base di una vasta azioneasiatica; per ciò la Francia è isolata in Estremo Oriente,con le sue opulenti colonie verso le quali s'appuntanodiversi appetiti.

Parigi ha concentrato il suo sforzo sulla politica loca-le. Partendo dalla premessa che, poiché mancavano i co-loni, era necessario vincolare l'interesse degli abitantiall'interesse della Potenza dominante, il Governo france-se è arrivato logicamente alla collaborazione con gli in-digeni. All'atto pratico, però, tale collaborazione è mate-rialmente impossibile fra la razza gialla e la razza bian-ca, le quali sono separate dall'abisso che le due razze

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medesime hanno scavato nel loro cammino divergentedurante i secoli.

Se la bontà di una politica coloniale di collaborazionead oltranza è discutibile nell'Africa mediterranea e inquella tropicale per i compartimenti stagni dell'islami-smo, essa è addirittura una gigantesca illusione nell'Asiagialla. In Indocina fra gli Annamiti e i Francesi non v'èla barriera di una religione. Vi sono due civiltà antiteti-che, due modi completamente diversi di concepire lavita e la funzione stessa dell'umanità. Era necessario unponte a cavaliere della voragine, un formidabile pontefatto di carne e di spirito umano. Un milione di bianchisaldamente stabiliti in Indocina avrebbe formato i pilonidel ponte, abbastanza solidi per resistere alle pressioninazionaliste e alle tempeste rivoluzionarie. Il tempoavrebbe fatto il resto. L'abisso sarebbe stato colmato in-sensibilmente da quel materiale misterioso che scaturi-sce dalla convivenza continua delle genti.

Al posto di questo ponte Parigi ha costruito una seriedi passerelle legislative e politiche, architettate alla me-glio dai teorici del colonialismo senza coloni e dai go-vernatori meteorici. Diverse di queste passerelle sonocerto genialissime, ma d'una fragilità intrinseca senza ri-medio.

Nell'India rivoluzionaria e tumultuosa il sistema colo-niale britannico è una poderosa e massiccia armatura diacciaio, poggiata su ampie e solide fondamenta. Anchedove la base è solamente uno zoccolo non affondato nelsuolo, è però di proporzioni ciclopiche. Nelle giornate di

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medesime hanno scavato nel loro cammino divergentedurante i secoli.

Se la bontà di una politica coloniale di collaborazionead oltranza è discutibile nell'Africa mediterranea e inquella tropicale per i compartimenti stagni dell'islami-smo, essa è addirittura una gigantesca illusione nell'Asiagialla. In Indocina fra gli Annamiti e i Francesi non v'èla barriera di una religione. Vi sono due civiltà antiteti-che, due modi completamente diversi di concepire lavita e la funzione stessa dell'umanità. Era necessario unponte a cavaliere della voragine, un formidabile pontefatto di carne e di spirito umano. Un milione di bianchisaldamente stabiliti in Indocina avrebbe formato i pilonidel ponte, abbastanza solidi per resistere alle pressioninazionaliste e alle tempeste rivoluzionarie. Il tempoavrebbe fatto il resto. L'abisso sarebbe stato colmato in-sensibilmente da quel materiale misterioso che scaturi-sce dalla convivenza continua delle genti.

Al posto di questo ponte Parigi ha costruito una seriedi passerelle legislative e politiche, architettate alla me-glio dai teorici del colonialismo senza coloni e dai go-vernatori meteorici. Diverse di queste passerelle sonocerto genialissime, ma d'una fragilità intrinseca senza ri-medio.

Nell'India rivoluzionaria e tumultuosa il sistema colo-niale britannico è una poderosa e massiccia armatura diacciaio, poggiata su ampie e solide fondamenta. Anchedove la base è solamente uno zoccolo non affondato nelsuolo, è però di proporzioni ciclopiche. Nelle giornate di

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bufera l'armatura, sottoposta alla pressione di trecentomilioni di malcontenti, scricchiola e talvolta un sostegnosecondario cede, ma in complesso l'osservatore hal'impressione di una costruzione straordinariamente ro-busta, capace di resistere a forti burrasche e anche aqualche crollo parziale.

In Indocina invece l'edifizio coloniale francese dàl'impressione di un grande scenario di carta e di seta,elegante e pittoresco, non privo di una certa grandiositàapparente, ma sempre fatto di carta e di seta, cioè espo-sto alla prima ventata che sia veramente carica di tem-pesta.

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bufera l'armatura, sottoposta alla pressione di trecentomilioni di malcontenti, scricchiola e talvolta un sostegnosecondario cede, ma in complesso l'osservatore hal'impressione di una costruzione straordinariamente ro-busta, capace di resistere a forti burrasche e anche aqualche crollo parziale.

In Indocina invece l'edifizio coloniale francese dàl'impressione di un grande scenario di carta e di seta,elegante e pittoresco, non privo di una certa grandiositàapparente, ma sempre fatto di carta e di seta, cioè espo-sto alla prima ventata che sia veramente carica di tem-pesta.

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Macao

MACAO, novembre.

Macao, Hongkong, Canton! Il passato, il presente,l'avvenire!

I grossi piroscafi americani e inglesi che fanno scaloa Macao gettano l'ancora al largo, a dieci miglia daimoli della Praia. Mentre i barconi cinesi sotto la sorve-glianza di un poliziotto meticcio trasportano a bordo lepreziose cassette d'oppio destinate a San Francisco ed aSidney, i «turisti» in giro pel mondo scendono a visitarele case di tè e le case di giuoco. Così Macao raccoglie lebriciole dell'opulenza di Hongkong e della ricchezza diCanton.

Dal parco dell'Ispezione la statua di bronzo di Ca-moens, librata su tre rupi formidabili, guarda in giù nelquartiere cinese la gente cosmopolita che entra ed escedalle fumerie e dalle case d'amore, triste spettacolo pelfiero cantore dei Lusitani che sognò pel Portogallo tuttigli splendori e tutte le glorie. Il parco è piantato a «ba-nia» ed a bambù, strana mescolanza del gigante dei Tro-pici colla fragile canna dei giuncheti, ma; appropriata al

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Macao

MACAO, novembre.

Macao, Hongkong, Canton! Il passato, il presente,l'avvenire!

I grossi piroscafi americani e inglesi che fanno scaloa Macao gettano l'ancora al largo, a dieci miglia daimoli della Praia. Mentre i barconi cinesi sotto la sorve-glianza di un poliziotto meticcio trasportano a bordo lepreziose cassette d'oppio destinate a San Francisco ed aSidney, i «turisti» in giro pel mondo scendono a visitarele case di tè e le case di giuoco. Così Macao raccoglie lebriciole dell'opulenza di Hongkong e della ricchezza diCanton.

Dal parco dell'Ispezione la statua di bronzo di Ca-moens, librata su tre rupi formidabili, guarda in giù nelquartiere cinese la gente cosmopolita che entra ed escedalle fumerie e dalle case d'amore, triste spettacolo pelfiero cantore dei Lusitani che sognò pel Portogallo tuttigli splendori e tutte le glorie. Il parco è piantato a «ba-nia» ed a bambù, strana mescolanza del gigante dei Tro-pici colla fragile canna dei giuncheti, ma; appropriata al

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luogo ed al poeta, quasi a significare che potenza e de-bolezza sono trastulli del Destino.

I vaporetti del servizio Hongkong-Macao-Timor la-sciano i transatlantici al largo, bordeggiano l'isola Verdefrangiata d'alghe, passano sotto i bastioni pettoruti della«fortaleza di Dona Maria II», sfiorano uno dopo l'altrotre cimiteri affacciati sul mare, poi scantonano dietro ungruppo di scogli e sgusciano nel porto di Cochilas.

Portoghesi, meticci e cinesi accolgono i visitatori in-ternazionali con salamelecchi e sorrisi. È tutto un ar-meggio equivoco di mani che prendono arditamentepossesso della clientela, di bocche che sorridono, di oc-chi che promettono meraviglie, di voci che garantisconovincite spettacolose e delizie senza fine. Macao riceve ipassanti con servilità untuosa di mezzana. Mentre vi av-viate dietro un tizio verso la promessa di una voluttàesotica, un altro vi strizza l'occhio, un terzo vi abbozzain un gesto una mirabolante tentazione... Dall'uscio soc-chiuso d'una casa una beltà meticcia vi butta l'amo d'unamezza nudità provocante od una vecchia strega vi fissalungamente come per dirvi: — Vieni e vedrai!

Si ha la sensazione fisica di muoversi nell'unto, di re-spirare un'aria lubrica, di sfiorare oggetti sudici ed ani-me sozze. La mimica donchisciottesca dei sollecitatoriportoghesi, le smorfie dei meticci ed i salamelecchi deicinesi danno al quadretto anche una intonazione comicadi farsa. Sembra di diventare di punto in bianco perso-naggi di una commedia scollacciata e grassottella.

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luogo ed al poeta, quasi a significare che potenza e de-bolezza sono trastulli del Destino.

I vaporetti del servizio Hongkong-Macao-Timor la-sciano i transatlantici al largo, bordeggiano l'isola Verdefrangiata d'alghe, passano sotto i bastioni pettoruti della«fortaleza di Dona Maria II», sfiorano uno dopo l'altrotre cimiteri affacciati sul mare, poi scantonano dietro ungruppo di scogli e sgusciano nel porto di Cochilas.

Portoghesi, meticci e cinesi accolgono i visitatori in-ternazionali con salamelecchi e sorrisi. È tutto un ar-meggio equivoco di mani che prendono arditamentepossesso della clientela, di bocche che sorridono, di oc-chi che promettono meraviglie, di voci che garantisconovincite spettacolose e delizie senza fine. Macao riceve ipassanti con servilità untuosa di mezzana. Mentre vi av-viate dietro un tizio verso la promessa di una voluttàesotica, un altro vi strizza l'occhio, un terzo vi abbozzain un gesto una mirabolante tentazione... Dall'uscio soc-chiuso d'una casa una beltà meticcia vi butta l'amo d'unamezza nudità provocante od una vecchia strega vi fissalungamente come per dirvi: — Vieni e vedrai!

Si ha la sensazione fisica di muoversi nell'unto, di re-spirare un'aria lubrica, di sfiorare oggetti sudici ed ani-me sozze. La mimica donchisciottesca dei sollecitatoriportoghesi, le smorfie dei meticci ed i salamelecchi deicinesi danno al quadretto anche una intonazione comicadi farsa. Sembra di diventare di punto in bianco perso-naggi di una commedia scollacciata e grassottella.

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A destra dello sbarcatoio una strada sale all'antica«ciudad» portoghese costruita in altura, linda e compo-sta come una vecchia dama che si sia ormai ritirata dallavita mondana. A sinistra altre strade diramate a venta-glio menano al popoloso quartiere cinese.

Di giorno la città antica riesce a sedurre qualche ospi-te di passaggio con la fama delle sue glorie e gli avanzidel suo fasto. Il «Palacio del Gobierno» e la sede del«Leal Senado» sfoggiano tutti gli orpelli venerandi e lepoche gioie di famiglia per far concorrenza ai mercantidi voluttà del borgo. Recentemente l'Amministrazionemunicipale ha fatto stirare ed inamidare le crinoline de-gli edifizi più rappresentativi ed anche lustrare qualchecorazza arrugginita dai secoli. In genere i «turisti» in-glesi ed americani s'avviano regolarmente con aria riso-luta e dignitosa verso il «Palacio del Gobierno». Sareb-be shocking mostrare d'essere sbarcati apposta per laMacao moderna. Ma alla prima traversa si fanno un do-vere di piegare a sinistra e di raggiungere per una scor-ciatoia il quartiere delle delizie. Le guide, pratiche della«pruderie» anglo-sassone, aprono il passo e gli altri sci-volano dietro, felicissimi di aver salvato le apparenze edi risparmiarsi una visita noiosa ai cimeli di Vasco deGama. La lettura della Guida è più che sufficiente perpoter descrivere agli amici, al ritorno in patria, la naveammiraglia del grande navigatore.

Di sera l'illustre Macao si appisola di buon'ora nellapenombra, mentre la città cinese accende tutte le sue

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A destra dello sbarcatoio una strada sale all'antica«ciudad» portoghese costruita in altura, linda e compo-sta come una vecchia dama che si sia ormai ritirata dallavita mondana. A sinistra altre strade diramate a venta-glio menano al popoloso quartiere cinese.

Di giorno la città antica riesce a sedurre qualche ospi-te di passaggio con la fama delle sue glorie e gli avanzidel suo fasto. Il «Palacio del Gobierno» e la sede del«Leal Senado» sfoggiano tutti gli orpelli venerandi e lepoche gioie di famiglia per far concorrenza ai mercantidi voluttà del borgo. Recentemente l'Amministrazionemunicipale ha fatto stirare ed inamidare le crinoline de-gli edifizi più rappresentativi ed anche lustrare qualchecorazza arrugginita dai secoli. In genere i «turisti» in-glesi ed americani s'avviano regolarmente con aria riso-luta e dignitosa verso il «Palacio del Gobierno». Sareb-be shocking mostrare d'essere sbarcati apposta per laMacao moderna. Ma alla prima traversa si fanno un do-vere di piegare a sinistra e di raggiungere per una scor-ciatoia il quartiere delle delizie. Le guide, pratiche della«pruderie» anglo-sassone, aprono il passo e gli altri sci-volano dietro, felicissimi di aver salvato le apparenze edi risparmiarsi una visita noiosa ai cimeli di Vasco deGama. La lettura della Guida è più che sufficiente perpoter descrivere agli amici, al ritorno in patria, la naveammiraglia del grande navigatore.

Di sera l'illustre Macao si appisola di buon'ora nellapenombra, mentre la città cinese accende tutte le sue

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torbide luci di Estremo Oriente e le sue sfolgoranti pub-blicità luminose di stile americano.

Sullo scenario caleidoscopico lampeggia un'epigrafedi fuoco: Casa de Jogo, Via della Felicità! La scritta ap-pare a scatti, alta nella notte, fiammeggiante come unfaro, in rosso acceso, in verde violetto, in violetto cari-co, in giallo marcio a riflessi d'oro. Casa de Jogo, Viadella Felicità! La si vede da lontano, assai prima che ivaporetti imbocchino il porto, torbido faro che illuminale tenebre del mare di Canton.

La clientela che ogni sera sbarca dai vaporetti sgatta-iola lestamente negli stradini di sinistra che rutilano diglobi e di vetrine scintillanti. La via centrale è tutta unasfilata di caffè, di gioiellerie, di botteghe aperte fino atardi, di Monti di Pietà, di ristoranti, di bar, di music-halles. Orchestrine indiavolate ed organetti di Barberiaaccolgono gli ospiti notturni con uno strepito d'inferno.Le note languide dei vecchi valtzer si confondono coiritmi accelerati dei fox-trot, l'acciottolìo dei jazz-bandcol miagolio rabbioso delle estudiantine cinesi, i sin-ghiozzi disperati dei violoncelli coreani con gli schiantidelle fanfare giavanesi. Zucche vuote e tarabucche bat-tono il tempo alla gazzarra frenetica.

Di qua, di là, s'aprono lunghe strade illuminate, con lateoria delle porte indicate da fanali rossi, gialli ed azzur-ri. Il rosso è il colore dell'amore, il giallo dell'oppio,l'azzurro della fortuna.

Macao, che fu la roccaforte della potenza europea inEstremo Oriente, la prima garitta dell'Occidente di guar-

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torbide luci di Estremo Oriente e le sue sfolgoranti pub-blicità luminose di stile americano.

Sullo scenario caleidoscopico lampeggia un'epigrafedi fuoco: Casa de Jogo, Via della Felicità! La scritta ap-pare a scatti, alta nella notte, fiammeggiante come unfaro, in rosso acceso, in verde violetto, in violetto cari-co, in giallo marcio a riflessi d'oro. Casa de Jogo, Viadella Felicità! La si vede da lontano, assai prima che ivaporetti imbocchino il porto, torbido faro che illuminale tenebre del mare di Canton.

La clientela che ogni sera sbarca dai vaporetti sgatta-iola lestamente negli stradini di sinistra che rutilano diglobi e di vetrine scintillanti. La via centrale è tutta unasfilata di caffè, di gioiellerie, di botteghe aperte fino atardi, di Monti di Pietà, di ristoranti, di bar, di music-halles. Orchestrine indiavolate ed organetti di Barberiaaccolgono gli ospiti notturni con uno strepito d'inferno.Le note languide dei vecchi valtzer si confondono coiritmi accelerati dei fox-trot, l'acciottolìo dei jazz-bandcol miagolio rabbioso delle estudiantine cinesi, i sin-ghiozzi disperati dei violoncelli coreani con gli schiantidelle fanfare giavanesi. Zucche vuote e tarabucche bat-tono il tempo alla gazzarra frenetica.

Di qua, di là, s'aprono lunghe strade illuminate, con lateoria delle porte indicate da fanali rossi, gialli ed azzur-ri. Il rosso è il colore dell'amore, il giallo dell'oppio,l'azzurro della fortuna.

Macao, che fu la roccaforte della potenza europea inEstremo Oriente, la prima garitta dell'Occidente di guar-

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dia all'Asia gialla, centro per oltre tre secoli di tutti itraffici del Pacifico, archidiocesi principale del Cattoli-cesimo, ancoraggio delle flotte reali di Braganza, puntodi partenza di imprese militari e di combinazioni diplo-matiche è oggi la grande suburra di Hong-kong e diCanton, dove i ricchi cinesi del continente ed i cresi in-ternazionali dell'isola trovano un baccanale organizzatoin grande stile con tutti i vizi brutali dell'Occidente e tut-te le raffinatezze perverse dell'Oriente, l'alcool e l'oppio,la «roulette» e il «bacàn», la gozzoviglia e l'orgia turpe.Alle femmine di tutte le razze s'aggiungono i prodotticreoli e meticci delle strambe alcove di Macao. I vizipiù singolari sono accarezzati dallo spirito d'iniziativa diun esercito di specialisti che debbono incessantementeinventare qualche cosa per sedurre e turlupinare la clien-tela....

Io sono entrato invece a Macao per una porta secon-daria di cui non si servono i «turisti», arrivandovi in au-tomobile dall'Hiang-Can sulla lingua di terra che allac-cia la penisoletta di Macao al resto della Cina. La cittàmi s'è presentata di dorso. Le vecchie spalle conservanoancora l'armatura guerriera dei secoli della potenza edella gloria.

Folgorava un luminoso mattino d'Estremo Orientequando la macchina è passata rombando sotto l'Arco diTrionfo della Porta do Cerco, bagnata dal sangue delgovernatore Amarai assassinato dai cinesi. Dalla «forta-leza» di Mongha una pattuglia di soldati portoghesi

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dia all'Asia gialla, centro per oltre tre secoli di tutti itraffici del Pacifico, archidiocesi principale del Cattoli-cesimo, ancoraggio delle flotte reali di Braganza, puntodi partenza di imprese militari e di combinazioni diplo-matiche è oggi la grande suburra di Hong-kong e diCanton, dove i ricchi cinesi del continente ed i cresi in-ternazionali dell'isola trovano un baccanale organizzatoin grande stile con tutti i vizi brutali dell'Occidente e tut-te le raffinatezze perverse dell'Oriente, l'alcool e l'oppio,la «roulette» e il «bacàn», la gozzoviglia e l'orgia turpe.Alle femmine di tutte le razze s'aggiungono i prodotticreoli e meticci delle strambe alcove di Macao. I vizipiù singolari sono accarezzati dallo spirito d'iniziativa diun esercito di specialisti che debbono incessantementeinventare qualche cosa per sedurre e turlupinare la clien-tela....

Io sono entrato invece a Macao per una porta secon-daria di cui non si servono i «turisti», arrivandovi in au-tomobile dall'Hiang-Can sulla lingua di terra che allac-cia la penisoletta di Macao al resto della Cina. La cittàmi s'è presentata di dorso. Le vecchie spalle conservanoancora l'armatura guerriera dei secoli della potenza edella gloria.

Folgorava un luminoso mattino d'Estremo Orientequando la macchina è passata rombando sotto l'Arco diTrionfo della Porta do Cerco, bagnata dal sangue delgovernatore Amarai assassinato dai cinesi. Dalla «forta-leza» di Mongha una pattuglia di soldati portoghesi

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Page 550: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

scendeva la china al ritmo di una marcia guerriera. Sulforte di Guia tuonavano i cannoni in onore di unadreadnought giapponese. Per un momento mi è parsod'essere ancora al tempo dei capitani generali di Bragan-za e dei grandi ammiragli genovesi al servizio del Porto-gallo, del ligure Emanuele Pessagno, dei liguri fratelliVivaldi scomparsi negli oceani... Breve illusione, che ildoganiere stesso si è affrettato a fugare. Mentre applica-va col gesso il «nulla osta» sui bagagli mi ha passato uncartoncino con l'indirizzo di una Casa de Jogo.

Sono contento però di aver scelto questa strada che èd'accordo con la storia: prima le vestigia della potenzache fu, poi lo spettacolo della decadenza che è. Così unaimpressione non cancellerà l'altra, e se domani il ricordodi Macao mi evocherà bische e lupanari, mi rammenteràanche la lapide di Alvaro Fernandez, il busto di DiegoGomez, il cippo di Fernando Po, i cimelii di BartolomeoDiaz, l'avenida Vasco de Gama, la calle – bel termineveneziano – di Marco Polo.....

Le antiche glorie portoghesi sono sempre glorie latineche attestano la fecondità delle particelle di sangue ro-mano innestate dalla città formidabile nelle vene delmondo. Sono anche un po' gloria italiana, che italianifurono gli audaci pionieri dell'espansione coloniale por-toghese, italiani quegli audacissimi navigatori che nelXIII e XIV secolo affrontarono per i primi i misteridell'Atlantico battendo la bandiera del Portogallo, italia-ni gli esploratori delle Canarie e delle Azzorre, italiani

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scendeva la china al ritmo di una marcia guerriera. Sulforte di Guia tuonavano i cannoni in onore di unadreadnought giapponese. Per un momento mi è parsod'essere ancora al tempo dei capitani generali di Bragan-za e dei grandi ammiragli genovesi al servizio del Porto-gallo, del ligure Emanuele Pessagno, dei liguri fratelliVivaldi scomparsi negli oceani... Breve illusione, che ildoganiere stesso si è affrettato a fugare. Mentre applica-va col gesso il «nulla osta» sui bagagli mi ha passato uncartoncino con l'indirizzo di una Casa de Jogo.

Sono contento però di aver scelto questa strada che èd'accordo con la storia: prima le vestigia della potenzache fu, poi lo spettacolo della decadenza che è. Così unaimpressione non cancellerà l'altra, e se domani il ricordodi Macao mi evocherà bische e lupanari, mi rammenteràanche la lapide di Alvaro Fernandez, il busto di DiegoGomez, il cippo di Fernando Po, i cimelii di BartolomeoDiaz, l'avenida Vasco de Gama, la calle – bel termineveneziano – di Marco Polo.....

Le antiche glorie portoghesi sono sempre glorie latineche attestano la fecondità delle particelle di sangue ro-mano innestate dalla città formidabile nelle vene delmondo. Sono anche un po' gloria italiana, che italianifurono gli audaci pionieri dell'espansione coloniale por-toghese, italiani quegli audacissimi navigatori che nelXIII e XIV secolo affrontarono per i primi i misteridell'Atlantico battendo la bandiera del Portogallo, italia-ni gli esploratori delle Canarie e delle Azzorre, italiani

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gli organizzatori delle flotte di Re Dionigi, i conquista-tori di Madera, gli amministratori di Porto Santo.

Autentiche glorie nostre, raramente ricordate dagli al-tri, ma impresse a caratteri incancellabili nel grande li-bro della storia dell'umanità!

Macao è sorella di Goa. Sono due città di Cristo interra d'Asia: ma Goa, destinata a rappresentare la Crocecontro Brahma, Visnù, Siva e tutti gli iddii terribilidell'India che possedevano eserciti di fanatici semprepronti alla guerra e alla strage, Goa era tutta palazzi

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HUÉ – Palazzo reale. Uno dei grandi cortili.

gli organizzatori delle flotte di Re Dionigi, i conquista-tori di Madera, gli amministratori di Porto Santo.

Autentiche glorie nostre, raramente ricordate dagli al-tri, ma impresse a caratteri incancellabili nel grande li-bro della storia dell'umanità!

Macao è sorella di Goa. Sono due città di Cristo interra d'Asia: ma Goa, destinata a rappresentare la Crocecontro Brahma, Visnù, Siva e tutti gli iddii terribilidell'India che possedevano eserciti di fanatici semprepronti alla guerra e alla strage, Goa era tutta palazzi

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HUÉ – Palazzo reale. Uno dei grandi cortili.

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squadrati come fortezze e conventi turriti come castelli,irta di croci e di tabernacoli, raccolta intorno alla Basili-ca del Santo in una posa di vigilanza e di difesa.

Macao no! Macao non aveva contro la sua Croce chei piccoli Buddha ed i sorridenti filosofi della grandeCina. I forti vigilavano la terra ferma per proteggere lacolonia dalle scorrerie dei briganti in rotta con la legge edei briganti al servizio della legge cinese, ma oltre lacinta fortificata, la città non ha aspetti bellicosi. Se gliedifizi governativi hanno l'esteriorità altezzosa dei per-sonaggi ufficiali, il resto degli abitati è gaiamente meri-dionale, con facciate bianche e verdi, rosa e cilestrine,punteggiate dal verde delle persiane e dall'immancabilefioritura dei balconi. Quasi ci si crederebbe a Siviglianella calle del Sol!

Solo gli alti portoni chiusi al tramonto e vigilati du-rante la notte dal «sereno» che canta per rassicurare gliinquilini, danno una fisionomia medievale alle strade insalita ed alle tortuose «calcadas». Se uno però non sicontenta della prima impressione e s'intrufola negli stra-dini, ritrova il Medio Evo anche in pieno giorno. Certeviuzze incassate fra due file di case finiscono in un vico-lo cieco e deserto che evoca i secoli. Si vede da una par-te il muro merlato d'un convento sormontato da un moz-zicone di garitta e rigato dai finestroni ad inferriata,dall'altra una muraglia slabbrata e senza aperture chebutta fuori da un giardino centenario una fantasticamantiglia di rampicanti.

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squadrati come fortezze e conventi turriti come castelli,irta di croci e di tabernacoli, raccolta intorno alla Basili-ca del Santo in una posa di vigilanza e di difesa.

Macao no! Macao non aveva contro la sua Croce chei piccoli Buddha ed i sorridenti filosofi della grandeCina. I forti vigilavano la terra ferma per proteggere lacolonia dalle scorrerie dei briganti in rotta con la legge edei briganti al servizio della legge cinese, ma oltre lacinta fortificata, la città non ha aspetti bellicosi. Se gliedifizi governativi hanno l'esteriorità altezzosa dei per-sonaggi ufficiali, il resto degli abitati è gaiamente meri-dionale, con facciate bianche e verdi, rosa e cilestrine,punteggiate dal verde delle persiane e dall'immancabilefioritura dei balconi. Quasi ci si crederebbe a Siviglianella calle del Sol!

Solo gli alti portoni chiusi al tramonto e vigilati du-rante la notte dal «sereno» che canta per rassicurare gliinquilini, danno una fisionomia medievale alle strade insalita ed alle tortuose «calcadas». Se uno però non sicontenta della prima impressione e s'intrufola negli stra-dini, ritrova il Medio Evo anche in pieno giorno. Certeviuzze incassate fra due file di case finiscono in un vico-lo cieco e deserto che evoca i secoli. Si vede da una par-te il muro merlato d'un convento sormontato da un moz-zicone di garitta e rigato dai finestroni ad inferriata,dall'altra una muraglia slabbrata e senza aperture chebutta fuori da un giardino centenario una fantasticamantiglia di rampicanti.

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Page 553: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Lo spirito immagina dietro i muri antichi la dignitosapovertà degli ultimi discendenti d'un ricco negoziantedella Praia impoverito dalla concorrenza di Hongkong od'un fiero ammiraglio delle flotte reali ridotto, pel crollodella potenza del Tago, a timbrare le bollette della Do-gana... Ma, se un portone aperto permette di buttare losguardo nei «patios», si vede un formicolìo di gialli. Seuna finestra spalancata all'improvviso fa alzare gli oc-chi, si scorge il viso di porcellana di una «figlia del cie-lo». Allora ci si rammenta che a Macao i portoghesisono solo mille e duecento contro centomila cinesi! Cin-quemila meticci di diverse gradazioni rappresentano allameglio la razza dominante.

Il numero dei bianchi s'assottiglia sempre più, assor-bito da Hongkong. Aumenta invece quello dei cinesi, iquali, non riuscendo più ad alloggiarsi nel quartiere in-digeno, hanno dato pian piano l'assalto alla città porto-ghese comperando a suon di taels i vecchi palazzi nobi-liari ed installandovisi coi loro paraventi ed i loro Budd-ha. Si ha l'impressione che la Cina stia riconquistandopalmo a palmo coll'intrigo e col baratto la terra che glieroi di Camoens conquistarono metro per metro a prez-zo di gloria e di sangue contro gli eserciti sterminati deimandarini di Pekino e che difesero con strenuo eroismocontro le flotte dell'Olanda e dell'Inghilterra.

L'anima cerca la cattedrale storica di San Paulo, la ri-vale della Basilica di Goa, e si meraviglia di non vederesorgere sui tetti e sulle verande la cupola magnifica can-tata da tanti poeti.

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Lo spirito immagina dietro i muri antichi la dignitosapovertà degli ultimi discendenti d'un ricco negoziantedella Praia impoverito dalla concorrenza di Hongkong od'un fiero ammiraglio delle flotte reali ridotto, pel crollodella potenza del Tago, a timbrare le bollette della Do-gana... Ma, se un portone aperto permette di buttare losguardo nei «patios», si vede un formicolìo di gialli. Seuna finestra spalancata all'improvviso fa alzare gli oc-chi, si scorge il viso di porcellana di una «figlia del cie-lo». Allora ci si rammenta che a Macao i portoghesisono solo mille e duecento contro centomila cinesi! Cin-quemila meticci di diverse gradazioni rappresentano allameglio la razza dominante.

Il numero dei bianchi s'assottiglia sempre più, assor-bito da Hongkong. Aumenta invece quello dei cinesi, iquali, non riuscendo più ad alloggiarsi nel quartiere in-digeno, hanno dato pian piano l'assalto alla città porto-ghese comperando a suon di taels i vecchi palazzi nobi-liari ed installandovisi coi loro paraventi ed i loro Budd-ha. Si ha l'impressione che la Cina stia riconquistandopalmo a palmo coll'intrigo e col baratto la terra che glieroi di Camoens conquistarono metro per metro a prez-zo di gloria e di sangue contro gli eserciti sterminati deimandarini di Pekino e che difesero con strenuo eroismocontro le flotte dell'Olanda e dell'Inghilterra.

L'anima cerca la cattedrale storica di San Paulo, la ri-vale della Basilica di Goa, e si meraviglia di non vederesorgere sui tetti e sulle verande la cupola magnifica can-tata da tanti poeti.

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A forza di domandare a destra ed a sinistra si arrivadinanzi ad una maestosa scalinata di pietra e ad una fac-ciata solenne. Ecco San Paulo! Sul frontone s'aprono treporte a sesto acuto sormontate da due alti piloni e da unmassiccio architrave. Fra un pilone e l'altro sono scavatecinque nicchie profonde listate da colonne potenti. Sulfrontispizio si legge ancora: «Mater Dei». L'occhio vada un gigantesco Cristo mutilato al bassorilievo di unagalea del XVI secolo che lotta colle tempeste, da unmissionario crociato con la spada ad una Madonnastraordinariamente guerriera che schiaccia il simbolicoserpente rappresentato per l'occasione dal Dragone dellaCina.

In alto un Paolo di Tarso in granito sporge un bracciomuscoloso che impugna il Vangelo come una arme. Siriconosce l'apostolato guerresco di Francesco Saverio!

Entriamo per la porta di mezzo nella Basilica, ma lachiesa non c'è più. È sfumata nel tempo, come la poten-za coloniale del Portogallo. Restano poche pietre, molteerbacce, una croce di ferro, gli sfondi azzurri del mare edel cielo...

San Paulo è solo una facciata rimasta tragicamente inpiedi sulle macerie.

Mi soffermo fra queste pietre dominate dal silenzio edalla morte. Sono solo. Chi sale ormai fin quassù?Ascolto i rovi che trasaliscono al vento con un rumoresecco d'ossame rimestato.

Il tramonto erge su Macao uno sgargiante baldacchi-no d'oro e di fuoco. Veramente sembra che una mano

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A forza di domandare a destra ed a sinistra si arrivadinanzi ad una maestosa scalinata di pietra e ad una fac-ciata solenne. Ecco San Paulo! Sul frontone s'aprono treporte a sesto acuto sormontate da due alti piloni e da unmassiccio architrave. Fra un pilone e l'altro sono scavatecinque nicchie profonde listate da colonne potenti. Sulfrontispizio si legge ancora: «Mater Dei». L'occhio vada un gigantesco Cristo mutilato al bassorilievo di unagalea del XVI secolo che lotta colle tempeste, da unmissionario crociato con la spada ad una Madonnastraordinariamente guerriera che schiaccia il simbolicoserpente rappresentato per l'occasione dal Dragone dellaCina.

In alto un Paolo di Tarso in granito sporge un bracciomuscoloso che impugna il Vangelo come una arme. Siriconosce l'apostolato guerresco di Francesco Saverio!

Entriamo per la porta di mezzo nella Basilica, ma lachiesa non c'è più. È sfumata nel tempo, come la poten-za coloniale del Portogallo. Restano poche pietre, molteerbacce, una croce di ferro, gli sfondi azzurri del mare edel cielo...

San Paulo è solo una facciata rimasta tragicamente inpiedi sulle macerie.

Mi soffermo fra queste pietre dominate dal silenzio edalla morte. Sono solo. Chi sale ormai fin quassù?Ascolto i rovi che trasaliscono al vento con un rumoresecco d'ossame rimestato.

Il tramonto erge su Macao uno sgargiante baldacchi-no d'oro e di fuoco. Veramente sembra che una mano

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misteriosa abbia innalzato sulla facciata tragica una cu-pola straordinaria di rubini e di fiamme, coi ceri accesidei mille Te Deum intonati all'indomani delle vittorie,coi colori dei dipinti preziosi incorniciati di mosaico chesbiancavano le tenebre delle cappelle, cogli ovali difiammeggiante oro zecchino che facevano inorgoglire ifieri lusitani della potente e fastosa Macao...

Nella magnificenza del vespro orientale Macao rive-ste per un momento le porpore antiche. Mitragliati dalsole pare che i forti tuonino contro le quadre di CornelisVan Dertzen e di lord Wellesley. Specialmente la «forta-leza» di San Francisco risponde con violente bordate dilampi ad un nemico invisibile che dalle profondità mari-ne la tempesta d'obici e di vampe...

Il mare che riflette la gloria del cielo par di sangue in-torno alla penisola; di sangue e d'oro; tutto il sangue del-le battaglie e tutto l'oro dei mercati bollono nel rigurgitodelle onde gonfie di vento. Le giunche cinesi che esconodal porto con le vele spiegate ed i draghi inarcati suibarcarizzi sembra che fuggano dinanzi ad un insegui-mento. Sono forse le giunche del mandarino Tso-Tangincalzate dal naviglio di Lemos Faria? No, sono sempli-cemente i barconi della «fabbrica demaniale» che tra-sportano a Canton l'oppio ed il sale della settimana.

È l'ora in cui le mogli dei ricchi mercanti portoghesiche hanno «fonda» a Canton escono in carrozza sullaPiazza Grande, l'ora in cui i vaporetti di Hongkong inco-minciano a scaricare le frotte dei giuocatori, dei fumato-ri e dei cercatori d'amore...

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misteriosa abbia innalzato sulla facciata tragica una cu-pola straordinaria di rubini e di fiamme, coi ceri accesidei mille Te Deum intonati all'indomani delle vittorie,coi colori dei dipinti preziosi incorniciati di mosaico chesbiancavano le tenebre delle cappelle, cogli ovali difiammeggiante oro zecchino che facevano inorgoglire ifieri lusitani della potente e fastosa Macao...

Nella magnificenza del vespro orientale Macao rive-ste per un momento le porpore antiche. Mitragliati dalsole pare che i forti tuonino contro le quadre di CornelisVan Dertzen e di lord Wellesley. Specialmente la «forta-leza» di San Francisco risponde con violente bordate dilampi ad un nemico invisibile che dalle profondità mari-ne la tempesta d'obici e di vampe...

Il mare che riflette la gloria del cielo par di sangue in-torno alla penisola; di sangue e d'oro; tutto il sangue del-le battaglie e tutto l'oro dei mercati bollono nel rigurgitodelle onde gonfie di vento. Le giunche cinesi che esconodal porto con le vele spiegate ed i draghi inarcati suibarcarizzi sembra che fuggano dinanzi ad un insegui-mento. Sono forse le giunche del mandarino Tso-Tangincalzate dal naviglio di Lemos Faria? No, sono sempli-cemente i barconi della «fabbrica demaniale» che tra-sportano a Canton l'oppio ed il sale della settimana.

È l'ora in cui le mogli dei ricchi mercanti portoghesiche hanno «fonda» a Canton escono in carrozza sullaPiazza Grande, l'ora in cui i vaporetti di Hongkong inco-minciano a scaricare le frotte dei giuocatori, dei fumato-ri e dei cercatori d'amore...

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HANOI – La cittadella.

CAMBOGE – donne e bambini prendono il sole presso il lago.

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HANOI – La cittadella.

CAMBOGE – donne e bambini prendono il sole presso il lago.

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Page 557: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

Pian piano la statua di Camoens si ritira nell'ombradei «bania» per non vedere... I forti ammainano la ban-diera del Portogallo. E si accende l'epigrafe ardente del-la «Gasa de Jogo».

— Usted quiere oppio?— La «casa giapponese» è a un passo!— Roba privata, la più bella creola di Macao...— Al Gatto Rosso la «festa delle candele» nella sala

degli specchi.— Almòco, Jàntar con champagne... Cerar di ostri-

che e vecchio Oporto...Ad ogni passo qualcuno offre i suoi servizi, racco-

manda un indirizzo, stuzzica un desiderio, prospetta unavoluttà, schizza un quadretto, sussurra una parola miste-riosa che vale tutto uno scenario. Sulla soglia dei risto-ranti e dei negozi gli «accaparratores» tentano i passanticon larghi gesti e profondi inchini.

Entrate, entrate, pellegrini venuti d'Oriente e d'Occi-dente, poveri provinciali di Londra e di Parigi, disgra-ziati asceti di Montmartre e della Fifty Avenue! La vec-chia Cina, maestra di tutte le sapienze, vi offre il fumoche trasporta in paradiso e lo spasimo che fa quasi mori-re. Se amate l'alcool generoso, il cinese Tin-Pig v'offriràun nettare d'agua ardiente ed un assenzio stravecchio diGiava insieme con una polvere bianca la quale permettedi vuotare a ripetizione lo stomaco e di ricominciare abere, a bere sempre, fino allo schianto! Se è il giuocoche v'affascina, ecco il «bacàn» che vi centellina l'emo-

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Pian piano la statua di Camoens si ritira nell'ombradei «bania» per non vedere... I forti ammainano la ban-diera del Portogallo. E si accende l'epigrafe ardente del-la «Gasa de Jogo».

— Usted quiere oppio?— La «casa giapponese» è a un passo!— Roba privata, la più bella creola di Macao...— Al Gatto Rosso la «festa delle candele» nella sala

degli specchi.— Almòco, Jàntar con champagne... Cerar di ostri-

che e vecchio Oporto...Ad ogni passo qualcuno offre i suoi servizi, racco-

manda un indirizzo, stuzzica un desiderio, prospetta unavoluttà, schizza un quadretto, sussurra una parola miste-riosa che vale tutto uno scenario. Sulla soglia dei risto-ranti e dei negozi gli «accaparratores» tentano i passanticon larghi gesti e profondi inchini.

Entrate, entrate, pellegrini venuti d'Oriente e d'Occi-dente, poveri provinciali di Londra e di Parigi, disgra-ziati asceti di Montmartre e della Fifty Avenue! La vec-chia Cina, maestra di tutte le sapienze, vi offre il fumoche trasporta in paradiso e lo spasimo che fa quasi mori-re. Se amate l'alcool generoso, il cinese Tin-Pig v'offriràun nettare d'agua ardiente ed un assenzio stravecchio diGiava insieme con una polvere bianca la quale permettedi vuotare a ripetizione lo stomaco e di ricominciare abere, a bere sempre, fino allo schianto! Se è il giuocoche v'affascina, ecco il «bacàn» che vi centellina l'emo-

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Page 558: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

zione goccia a goccia e vi fa torcere d'ansia! Se è la car-ne che vi seduce, la carne fina come seta, calda comefuoco, lubrica come olio, il vecchio So-Kong ha coltoper voi i frutti più saporiti d'Estremo Oriente, quelli an-cora acerbi che stillano giovinezza e quelli ben maturiche quasi si spappolano in una agonia di magnificenza.

Entrate, entrate... Macao è il regno della Gioia. Qui sigiuoca e si beve, si delira e si dimentica! Il capriccionon ha limiti, l'infamia trova compiacenze...

Dalle traverse meno illuminate grandi avvisi elettricivi buttano negli occhi il loro appassionato richiamo:Casa de Jogo! Gambling House! Nuits de Chine! Quin-ta de Mantega!

Più tentatori ancora sono gli avvisi cinesi dai caratterimisteriosi, che s'accendono e si spengono ad intervallirapidi come lampi d'estate; i lampioni di seta, fiochi,torbidi, che fanno pensare ad equivoche penombre; leporte chiuse che aprono uno spiraglio al vostro passag-gio e vi mostrano la carne che attende; le bische chepromettono manciate di taels e pacchi di dollari; le fu-merie che invitano al sogno dolce ed all'amore tormen-tato, le kang-ià che imbastiscono raffinatezze, le caseJò-Jò che posseggono gli estratti di un millennio di per-versità.

Da certi usci scaturiscono ondate d'oppio che v'avvi-luppano e quasi vi trattengono come una mano invisibi-le; da certe soglie escono sbuffi d'incensi che paiono lin-guate. Cento odori fermentano nei trivii. Più la nottes'affonda più la suburra si fa tentatrice. Le orchestre im-

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zione goccia a goccia e vi fa torcere d'ansia! Se è la car-ne che vi seduce, la carne fina come seta, calda comefuoco, lubrica come olio, il vecchio So-Kong ha coltoper voi i frutti più saporiti d'Estremo Oriente, quelli an-cora acerbi che stillano giovinezza e quelli ben maturiche quasi si spappolano in una agonia di magnificenza.

Entrate, entrate... Macao è il regno della Gioia. Qui sigiuoca e si beve, si delira e si dimentica! Il capriccionon ha limiti, l'infamia trova compiacenze...

Dalle traverse meno illuminate grandi avvisi elettricivi buttano negli occhi il loro appassionato richiamo:Casa de Jogo! Gambling House! Nuits de Chine! Quin-ta de Mantega!

Più tentatori ancora sono gli avvisi cinesi dai caratterimisteriosi, che s'accendono e si spengono ad intervallirapidi come lampi d'estate; i lampioni di seta, fiochi,torbidi, che fanno pensare ad equivoche penombre; leporte chiuse che aprono uno spiraglio al vostro passag-gio e vi mostrano la carne che attende; le bische chepromettono manciate di taels e pacchi di dollari; le fu-merie che invitano al sogno dolce ed all'amore tormen-tato, le kang-ià che imbastiscono raffinatezze, le caseJò-Jò che posseggono gli estratti di un millennio di per-versità.

Da certi usci scaturiscono ondate d'oppio che v'avvi-luppano e quasi vi trattengono come una mano invisibi-le; da certe soglie escono sbuffi d'incensi che paiono lin-guate. Cento odori fermentano nei trivii. Più la nottes'affonda più la suburra si fa tentatrice. Le orchestre im-

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pazzano. Gli ubbriachi cantano e vomitano. I selciatistessi diventano viscidi. Gli «accapparradores» si fannoaudaci e quasi violenti. Vi ficcano in tasca per forza labusta delle fotografie infallibili, vi cacciano in mano lacartina bianca che fa dimenticare le perdite e i guai.

Donne discinte escono dagli usci ad impossessarsidella vostra volontà tentennante o della vostra ebbrezzache più non comprende...: cortigiane d'Europa, femminedi Cina, musmè del Giappone, creole di Manilla e diGiava, portoghesi di Macao e quelle torbide meticciedalla pelle straordinariamente verde, che sembrano fattedi giada. . .

Tutte ostentano gli ornamenti caratteristici della razzacome un trofeo e s'avvolgono negli abbigliamenti nazio-nali come in una bandiera. Solo le europee no! Misera-bili resti di chissà quali naufragi finiti nei fondali di Ma-cao, hanno ritegno di dichiarare la loro origine. Avvilup-pano le sfiorite avvenenze in mantiglie di Manilla ed in«kimono» del Giappone, oggetto di pietà pei bianchiche passano, di perversa seduzione per gli uomini di co-lore i quali forse immaginano di possedere in quel tristocarname le grandi stirpi dell'Ovest.

Nelle Casas de Jogo la passione accomuna gialli edoccidentali intorno ai tavoli del «bacàn» e del«Fa-Tan».Entro un momento nella famosa bisca di Whon-Hang.Quattro numeri – 1, 2, 3 e 4 – accaparrano le poste deigiuocatori. Il «croupier» aspetta che i quadri siano colmidi taels, di dollari, di sterline e di piastre, le quattro mo-nete riconosciute dai biscazzieri. Poi empie una tazza di

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pazzano. Gli ubbriachi cantano e vomitano. I selciatistessi diventano viscidi. Gli «accapparradores» si fannoaudaci e quasi violenti. Vi ficcano in tasca per forza labusta delle fotografie infallibili, vi cacciano in mano lacartina bianca che fa dimenticare le perdite e i guai.

Donne discinte escono dagli usci ad impossessarsidella vostra volontà tentennante o della vostra ebbrezzache più non comprende...: cortigiane d'Europa, femminedi Cina, musmè del Giappone, creole di Manilla e diGiava, portoghesi di Macao e quelle torbide meticciedalla pelle straordinariamente verde, che sembrano fattedi giada. . .

Tutte ostentano gli ornamenti caratteristici della razzacome un trofeo e s'avvolgono negli abbigliamenti nazio-nali come in una bandiera. Solo le europee no! Misera-bili resti di chissà quali naufragi finiti nei fondali di Ma-cao, hanno ritegno di dichiarare la loro origine. Avvilup-pano le sfiorite avvenenze in mantiglie di Manilla ed in«kimono» del Giappone, oggetto di pietà pei bianchiche passano, di perversa seduzione per gli uomini di co-lore i quali forse immaginano di possedere in quel tristocarname le grandi stirpi dell'Ovest.

Nelle Casas de Jogo la passione accomuna gialli edoccidentali intorno ai tavoli del «bacàn» e del«Fa-Tan».Entro un momento nella famosa bisca di Whon-Hang.Quattro numeri – 1, 2, 3 e 4 – accaparrano le poste deigiuocatori. Il «croupier» aspetta che i quadri siano colmidi taels, di dollari, di sterline e di piastre, le quattro mo-nete riconosciute dai biscazzieri. Poi empie una tazza di

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Page 560: E-book campione Liber Liber...Dal nuovo porto – il Tangiong Priok – alla città, vi sono circa tre leghe. Una bella strada automobilistica ed un eccellente servi-zio ferroviario

sapeki e la rovescia sul tavolo. E conta i sapeki, quattroa quattro, con sapiente lentezza, riunendoli in tanti muc-chiettini, mentre i colli si torcono per vedere, le animefremono d'ansietà, e chi giuoca l'ultimo dollaro si sentesvenire. Alla fine i sapeki che restano indicano il nume-ro vincente: 1, 2, 3 o 4.

La «roulette» di Montecarlo è in confronto un giuocodi barbari. Faites vos jeux! La pallina trilla nella raggie-ra turbinante... Bastano pochi secondi per sapere se si haguadagnato o se si ha perso. Il «Fa-Tan» è lungo, lento,doloroso. Vedete il mucchio dei sapeki che s'assottiglia,ma fino all'ultimo momento non sapete se i sapeki re-stanti saranno alla fine uno, due tre o quattro. Spesso ilbiscazziere si ferma e vi guarda beffardamente negli oc-chi mentre voi vi sdilinquite d'ansietà.

Intorno ai tavoli maledetti circolano gli «accapparra-dores», gli strozzini che conoscono vita, morte e mira-coli di tutti i mercanti di Hongkong e di Canton, gliskettpings che sorvegliano i vincenti, per offrire ai fortu-nati tutte le gioie dello stomaco e dei sensi. Loschi figu-ri propongono agli stranieri frutti proibiti, false antichi-tà, amuleti che rinfrancano le forze, feticci che incanta-no la fortuna. I sentori delle carni sudate si mescolanoagli effluvii penetranti delle droghe, i risolini melliflui aighigni satanici.

Macao è un grande braciere di putredine acceso nellanotte d'Oriente. Hongkong e Canton alimentano il tripo-de immondo col loro oro. Mille farfalle seducenti, mille

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sapeki e la rovescia sul tavolo. E conta i sapeki, quattroa quattro, con sapiente lentezza, riunendoli in tanti muc-chiettini, mentre i colli si torcono per vedere, le animefremono d'ansietà, e chi giuoca l'ultimo dollaro si sentesvenire. Alla fine i sapeki che restano indicano il nume-ro vincente: 1, 2, 3 o 4.

La «roulette» di Montecarlo è in confronto un giuocodi barbari. Faites vos jeux! La pallina trilla nella raggie-ra turbinante... Bastano pochi secondi per sapere se si haguadagnato o se si ha perso. Il «Fa-Tan» è lungo, lento,doloroso. Vedete il mucchio dei sapeki che s'assottiglia,ma fino all'ultimo momento non sapete se i sapeki re-stanti saranno alla fine uno, due tre o quattro. Spesso ilbiscazziere si ferma e vi guarda beffardamente negli oc-chi mentre voi vi sdilinquite d'ansietà.

Intorno ai tavoli maledetti circolano gli «accapparra-dores», gli strozzini che conoscono vita, morte e mira-coli di tutti i mercanti di Hongkong e di Canton, gliskettpings che sorvegliano i vincenti, per offrire ai fortu-nati tutte le gioie dello stomaco e dei sensi. Loschi figu-ri propongono agli stranieri frutti proibiti, false antichi-tà, amuleti che rinfrancano le forze, feticci che incanta-no la fortuna. I sentori delle carni sudate si mescolanoagli effluvii penetranti delle droghe, i risolini melliflui aighigni satanici.

Macao è un grande braciere di putredine acceso nellanotte d'Oriente. Hongkong e Canton alimentano il tripo-de immondo col loro oro. Mille farfalle seducenti, mille

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falene dalle elitre d'oro vi si bruciano e vi s'incenerisco-no.

La millenaria usanza cinese d'imbandire orgie e ban-chetti intorno alle tombe dei morti ha in Macao la suamassima affermazione. Intorno al cadavere della poten-za coloniale e marittima del Portogallo cinesi ed anglo-sassoni allestiscono ogni notte crapule pantagrueliche.Si mangia, si beve, si giuoca, si fuma, si spasima, si de-lira, si vendono le figlie e le mogli. Ogni vizio ha la suacarezza, ogni turpitudine il suo bacio infamante.

Verso l'alba i trivii puzzano come truogoli e le genti sifanno l'un l'altro ribrezzo. Le prime luci spengono i fuo-chi della notte, mettono in fuga i topi delle chiaviche edi lombrichi delle fogne...

Allora la monumentale necropoli mostra i palazzi di-seredati, il porto deserto, le mura smantellate, i forti sen-za cannoni, la Basilica senza tetto e senza pareti, i me-ticci senza nazionalità, gli imbecilli senza più un soldonelle tasche.

È l'ora in cui a Canton s'aprono le botteghe e le fab-briche ed il formicaio cinese riversa nelle strade le mol-titudini industriose.

È l'ora in cui ad Hongkong gli urli delle sirene sve-gliano il porto, le giunche abbrivano, i vapori incomin-ciano a mettere in moto i vìnchs ed a scoperchiare i boc-caporti.

Macao spossata dal bagordo s'addormenta nelle len-zuola del suo giaciglio dorato...

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falene dalle elitre d'oro vi si bruciano e vi s'incenerisco-no.

La millenaria usanza cinese d'imbandire orgie e ban-chetti intorno alle tombe dei morti ha in Macao la suamassima affermazione. Intorno al cadavere della poten-za coloniale e marittima del Portogallo cinesi ed anglo-sassoni allestiscono ogni notte crapule pantagrueliche.Si mangia, si beve, si giuoca, si fuma, si spasima, si de-lira, si vendono le figlie e le mogli. Ogni vizio ha la suacarezza, ogni turpitudine il suo bacio infamante.

Verso l'alba i trivii puzzano come truogoli e le genti sifanno l'un l'altro ribrezzo. Le prime luci spengono i fuo-chi della notte, mettono in fuga i topi delle chiaviche edi lombrichi delle fogne...

Allora la monumentale necropoli mostra i palazzi di-seredati, il porto deserto, le mura smantellate, i forti sen-za cannoni, la Basilica senza tetto e senza pareti, i me-ticci senza nazionalità, gli imbecilli senza più un soldonelle tasche.

È l'ora in cui a Canton s'aprono le botteghe e le fab-briche ed il formicaio cinese riversa nelle strade le mol-titudini industriose.

È l'ora in cui ad Hongkong gli urli delle sirene sve-gliano il porto, le giunche abbrivano, i vapori incomin-ciano a mettere in moto i vìnchs ed a scoperchiare i boc-caporti.

Macao spossata dal bagordo s'addormenta nelle len-zuola del suo giaciglio dorato...

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INDICE

DedicaBataviaAristocrazia colonialeTra i vulcaniIl «Lago bianco»Il tempio di BorobodorAlla Corte di SoerakartaDanze e amori d'AsiaVita di piantatoriMontanari TengFantasmi d'una notte equatorialeUn tifone fra Borneo e CelebesIn un villaggio «Daiak»Caccia all'Orang-UtangDal Borneo a SaigonUna porta dell'Asia: SaigonIl «Pericolo giallo»Fumerie d'oppioConfidenze di fumatoriMi-BhàLa pianura degli specchi

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DedicaBataviaAristocrazia colonialeTra i vulcaniIl «Lago bianco»Il tempio di BorobodorAlla Corte di SoerakartaDanze e amori d'AsiaVita di piantatoriMontanari TengFantasmi d'una notte equatorialeUn tifone fra Borneo e CelebesIn un villaggio «Daiak»Caccia all'Orang-UtangDal Borneo a SaigonUna porta dell'Asia: SaigonIl «Pericolo giallo»Fumerie d'oppioConfidenze di fumatoriMi-BhàLa pianura degli specchi

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Alla Corte del re del CambogeAngkor-VatPrima iniziazione ai misteri della politicaLe danzatrici di re SisovatPiccole considerazioni spiacevoliLe bianche steppeIl «signor Kop»La tragedia d'una razzaNel decrepito AnnamLa pianura dei mortiGrandezza e miseria di un Imperatore d'AsiaDa Haifong ad HanoiNella baia d'AlongDiscendenti di piratiLe caverne nere d'HonghaiPolitica colonialeMacao

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Alla Corte del re del CambogeAngkor-VatPrima iniziazione ai misteri della politicaLe danzatrici di re SisovatPiccole considerazioni spiacevoliLe bianche steppeIl «signor Kop»La tragedia d'una razzaNel decrepito AnnamLa pianura dei mortiGrandezza e miseria di un Imperatore d'AsiaDa Haifong ad HanoiNella baia d'AlongDiscendenti di piratiLe caverne nere d'HonghaiPolitica colonialeMacao

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