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92 | 1 novembre 2012 Mondo Speciale elezioni USA I n Italia o in India, veniamo a co- noscenza della corruzione quando la vediamo, ovvero quando i poli- tici sono colti sul fatto mentre ri- cevono valigette piene di soldi che costituiscono la prova del pagamento di una tangente. Negli Stati Uniti, invece, viviamo nell’illusione che i nostri rappre- sentanti siano onesti. Forse qualcuno lo era davvero quando è entrato nella vita politica animato da buone intenzioni, ma tutti sono costretti ad accettare bustarel- le per essere eletti o rieletti. La necessità di essere riconfermati ogni due anni spinge fatalmente i membri della Came- ra dei Rappresentanti alla ricerca conti- nua di sovvenzioni da parte di gente ricca o di imprese private. Così, alcuni dei politici più onesti, come il sindaco di New York Michael Bloomberg, sono quelli abbastanza ricchi da potersi per- mettere di essere indipendenti e di resi- stere alle blandizie di chi offre sostegni finanziari alle campagne elettorali o un lavoro ben retribuito dopo la scadenza del loro mandato. Nessun altro paese spende tanto per finanziare gruppi di pressione o sostenere le campagne elettorali. Quelle presiden- ziali e politiche del 2012 costeranno 5,8 miliardi di dollari. La maggior parte di queste sovvenzioni è costituita da denaro contante che le grandi aziende mettono a disposizione di candidati che si impegna- no a rappresentare i loro interessi. In una democrazia sana, imprese e cittadini possono presentare ai legislatori petizio- ni su questioni che considerano impor- tanti. Ma ciò presuppone che si raggiun- ga un equilibrio fra gli interessi in gioco, dove quelli di grandi imprese con illimi- tate risorse finanziarie, come le compa- gnie petrolifere, che possono contribuire all’elezione di un parlamentare, siano controbilanciati da altri interessi, come ad esempio quelli di gruppi ambientalisti. In questo modo, un legislatore che vota a favore di tali compagnie in cambio del sostegno ricevuto, è esposto al rischio di non essere riconfermato perché gli eletto- ri non vogliono respirare l’aria da esse inquinata. Non c’è vera libertà di parola finché una delle parti in causa può per- mettersi di acquistare un megafono men- tre all’altra non resta che gridare al vento fino a quando avrà fiato in gola. La corruzione negli Stati Uniti è tanto più pericolosa in quanto è legale. Qui, una grande impresa non ha bisogno di infran- gere apertamente una legge. Basta pagare i politici affinché scrivano le leggi che desidera, come dimostrano quelle che regolano le banche, e che riguardano tutti noi. Quando un’impresa induce un politico a riscrivere interamente dietro compenso le leggi sull’ambiente, questo è molto più pericoloso, per i cittadini, del tentativo di fargli chiudere gli occhi di fronte alla violazione di una norma am- bientale da parte di una singola azienda regalandogli magari una Lamborghini. I politici americani sono inoltre molto abili nel decidere come e quando riscuo- tere un compenso. Qualche anno fa, Billy Tauzin, il presidente della commissione parlamentare di controllo sui farmaci, fece approvare una legge favorevole al settore, poi andò in pensione, e due mesi dopo ottenne un incarico come capo dell’associazione delle industrie farma- ceutiche, con uno stipendio di 2 milioni di dollari all’anno: un compenso molto più alto di qualsiasi somma di denaro usata per corrompere politici in altri pa- esi. In sostanza, la tangente è stata diffe- rita, ed era pertanto legale. Sull’arte della corruzione, i politici americani hanno molto da insegnare ai loro colleghi dei parlamenti di tutto il mondo. Negli Stati Uniti la corruzione non è più soltanto un fenomeno circoscritto entro i loro confini, ma una minaccia che grava sul mondo intero. Gruppi di pres- sione etnici o anche singoli paesi posso- no finanziare lobbisti in grado di com- prare decine di parlamentari. In alcuni casi sono questi stessi lobbisti che scri- vono direttamente i testi delle leggi che a loro interessano, e gli agenti al loro servizio all’interno del Congresso sotto- pongono semplicemente al voto dei E li chiamano contributi Ai candidati 5,8 miliardi di dollari per la campagna elettorale. Per chiedere qualcosa in cambio... DI SUKETU METHA 1 novembre 2012 | | 93 parlamentari il testo predisposto. Se siete in conflitto con un altro gruppo del vostro paese, non c’è bisogno di scon- trarsi con esso. E meglio andare a Wa- shington e servirsi di lobbisti per pagare un parlamentare che userà le imponenti risorse del governo degli Stati Uniti per attaccare il vostro avversario. (Per pre- cauzione, dovreste pagare anche dei giornalisti che scriveranno articoli inci- tando i politici a fare il vostro gioco). Lo sanno bene i nazionalisti indù in India, come lo sanno anche i sostenitori del Likud in Israele, gli anti-castristi cubani in Florida, o i greci e gli armeni. Uno degli esempi più clamorosi dell’in- fluenza di agenti stranieri negli Stati Uni- ti è la recente esclusione dei Mujaheddin- e-Khalq (i Mujahidin del Popolo), una setta fanatica iraniana, dalla lista delle organizzazioni terroristiche compilata dal Dipartimento di Stato americano. I suoi seguaci sono guardati con disprezzo in Iran perché hanno combattuto per conto di Saddam Hussein durante la guerra contro l’Iraq. Da allora, hanno preso parte a numerose azioni di sabotag- gio e di terrorismo in Iran. Ma godono delle simpatie di ricchi sostenitori irania- ni negli Stati Uniti, i quali si sono resi conto che non potevano limitarsi sempli- cemente a staccare assegni per sostenere la campagna elettorale di candidati ame- ricani affinché i Mujahiddin del Popolo venissero esclusi dalla lista delle organiz- zazioni terroristiche messe al bando. Così, hanno trovato un’alternativa mi- gliore: pagare politici, giornalisti e acca- demici per farli intervenire ai loro conve- gni. Per un discorso in pubblico di otto minuti in lode dei Mujahidin hanno rice- vuto 40 mila dollari. Sul palcoscenico si sono alternati sia esponenti di destra che di sinistra: dall’ex candidato democrati- co alle presidenziali Howard Deam al sindaco di New York Rudolph Giuliani, dall’ex capo dell’Fbi al famoso giornali- sta Carl Bernstein, che denunciò lo scan- dalo del Watergate. Insieme a molti altri personaggi, hanno ricevuto grandi som- me di denaro per sostenere i Mujahidin e alla fine, lo scorso settembre, il Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha stabilito che essi non rappresentavano più un gruppo terroristico: una decisione che costerà la vita a molti iraniani. Quando i membri del Congresso che siedono nelle commissioni per la politica estera prendono soldi da organizzazioni come queste, le leggi e le risoluzioni che approvano possono provocare in effetti come contraccolpo decine di migliaia di vittime in paesi lontani. E questo li rende complici dei crimini che verranno com- messi, ovvero sono mercenari al soldo di eserciti stranieri. Il problema sta in un equivoco seman- tico. Gli Stati Uniti devono ridefinire il significato delle parole. In questi casi, non si tratta di lobbying, ma di corruzio- ne pura e semplice. Se chiamiamo una buona volta le cose con il loro nome forse avremo la speranza di un cambia- mento in cui poter credere. traduzione di Mario Baccianini Foto: D. Winter - The New York Times / Contrasto KELLY JACOBS, DELEGATA DEL MISSISSIPPI, AL CONTROLLO SICUREZZA DELLA CONVENTION DEMOCRATICA

E li chiamano contributi

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Suketu Metha, E li chiamano contributi, in L'Espresso N44 novembre 2012

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92 | 1 novembre 2012

Mondo Speciale elezioni USA

In Italia o in India, veniamo a co-noscenza della corruzione quando la vediamo, ovvero quando i poli-tici sono colti sul fatto mentre ri-cevono valigette piene di soldi che

costituiscono la prova del pagamento di una tangente. Negli Stati Uniti, invece, viviamo nell’illusione che i nostri rappre-sentanti siano onesti. Forse qualcuno lo era davvero quando è entrato nella vita politica animato da buone intenzioni, ma tutti sono costretti ad accettare bustarel-le per essere eletti o rieletti. La necessità di essere riconfermati ogni due anni spinge fatalmente i membri della Came-ra dei Rappresentanti alla ricerca conti-nua di sovvenzioni da parte di gente ricca o di imprese private. Così, alcuni dei politici più onesti, come il sindaco di New York Michael Bloomberg, sono quelli abbastanza ricchi da potersi per-mettere di essere indipendenti e di resi-stere alle blandizie di chi offre sostegni finanziari alle campagne elettorali o un lavoro ben retribuito dopo la scadenza del loro mandato.

Nessun altro paese spende tanto per finanziare gruppi di pressione o sostenere le campagne elettorali. Quelle presiden-ziali e politiche del 2012 costeranno 5,8 miliardi di dollari. La maggior parte di queste sovvenzioni è costituita da denaro contante che le grandi aziende mettono a disposizione di candidati che si impegna-no a rappresentare i loro interessi. In una democrazia sana, imprese e cittadini possono presentare ai legislatori petizio-ni su questioni che considerano impor-

tanti. Ma ciò presuppone che si raggiun-ga un equilibrio fra gli interessi in gioco, dove quelli di grandi imprese con illimi-tate risorse finanziarie, come le compa-gnie petrolifere, che possono contribuire all’elezione di un parlamentare, siano controbilanciati da altri interessi, come ad esempio quelli di gruppi ambientalisti. In questo modo, un legislatore che vota a favore di tali compagnie in cambio del sostegno ricevuto, è esposto al rischio di non essere riconfermato perché gli eletto-ri non vogliono respirare l’aria da esse inquinata. Non c’è vera libertà di parola finché una delle parti in causa può per-mettersi di acquistare un megafono men-tre all’altra non resta che gridare al vento fino a quando avrà fiato in gola.

La corruzione negli Stati Uniti è tanto più pericolosa in quanto è legale. Qui, una grande impresa non ha bisogno di infran-gere apertamente una legge. Basta pagare i politici affinché scrivano le leggi che desidera, come dimostrano quelle che regolano le banche, e che riguardano tutti noi. Quando un’impresa induce un politico a riscrivere interamente dietro compenso le leggi sull’ambiente, questo è molto più pericoloso, per i cittadini, del tentativo di fargli chiudere gli occhi di fronte alla violazione di una norma am-bientale da parte di una singola azienda regalandogli magari una Lamborghini.

I politici americani sono inoltre molto abili nel decidere come e quando riscuo-tere un compenso. Qualche anno fa, Billy Tauzin, il presidente della commissione parlamentare di controllo sui farmaci,

fece approvare una legge favorevole al settore, poi andò in pensione, e due mesi dopo ottenne un incarico come capo dell’associazione delle industrie farma-ceutiche, con uno stipendio di 2 milioni di dollari all’anno: un compenso molto più alto di qualsiasi somma di denaro usata per corrompere politici in altri pa-esi. In sostanza, la tangente è stata diffe-rita, ed era pertanto legale. Sull’arte della corruzione, i politici americani hanno molto da insegnare ai loro colleghi dei parlamenti di tutto il mondo.

Negli Stati Uniti la corruzione non è più soltanto un fenomeno circoscritto entro i loro confini, ma una minaccia che grava sul mondo intero. Gruppi di pres-sione etnici o anche singoli paesi posso-no finanziare lobbisti in grado di com-prare decine di parlamentari. In alcuni casi sono questi stessi lobbisti che scri-vono direttamente i testi delle leggi che a loro interessano, e gli agenti al loro servizio all’interno del Congresso sotto-pongono semplicemente al voto dei

E li chiamano contributi

Ai candidati 5,8 miliardi di dollari per la campagna elettorale. Per chiedere qualcosa in cambio...Di Suketu Metha

1 novembre 2012 | | 93

parlamentari il testo predisposto. Se siete in conflitto con un altro gruppo del vostro paese, non c’è bisogno di scon-trarsi con esso. E meglio andare a Wa-shington e servirsi di lobbisti per pagare un parlamentare che userà le imponenti risorse del governo degli Stati Uniti per attaccare il vostro avversario. (Per pre-cauzione, dovreste pagare anche dei giornalisti che scriveranno articoli inci-tando i politici a fare il vostro gioco). Lo sanno bene i nazionalisti indù in India, come lo sanno anche i sostenitori del Likud in Israele, gli anti-castristi cubani in Florida, o i greci e gli armeni.

Uno degli esempi più clamorosi dell’in-fluenza di agenti stranieri negli Stati Uni-ti è la recente esclusione dei Mujaheddin-e-Khalq (i Mujahidin del Popolo), una setta fanatica iraniana, dalla lista delle organizzazioni terroristiche compilata dal Dipartimento di Stato americano. I suoi seguaci sono guardati con disprezzo in Iran perché hanno combattuto per conto di Saddam Hussein durante la

guerra contro l’Iraq. Da allora, hanno preso parte a numerose azioni di sabotag-gio e di terrorismo in Iran. Ma godono delle simpatie di ricchi sostenitori irania-ni negli Stati Uniti, i quali si sono resi conto che non potevano limitarsi sempli-cemente a staccare assegni per sostenere la campagna elettorale di candidati ame-ricani affinché i Mujahiddin del Popolo venissero esclusi dalla lista delle organiz-zazioni terroristiche messe al bando. Così, hanno trovato un’alternativa mi-gliore: pagare politici, giornalisti e acca-demici per farli intervenire ai loro conve-gni. Per un discorso in pubblico di otto minuti in lode dei Mujahidin hanno rice-vuto 40 mila dollari. Sul palcoscenico si sono alternati sia esponenti di destra che di sinistra: dall’ex candidato democrati-co alle presidenziali Howard Deam al sindaco di New York Rudolph Giuliani, dall’ex capo dell’Fbi al famoso giornali-sta Carl Bernstein, che denunciò lo scan-dalo del Watergate. Insieme a molti altri personaggi, hanno ricevuto grandi som-

me di denaro per sostenere i Mujahidin e alla fine, lo scorso settembre, il Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha stabilito che essi non rappresentavano più un gruppo terroristico: una decisione che costerà la vita a molti iraniani.

Quando i membri del Congresso che siedono nelle commissioni per la politica estera prendono soldi da organizzazioni come queste, le leggi e le risoluzioni che approvano possono provocare in effetti come contraccolpo decine di migliaia di vittime in paesi lontani. E questo li rende complici dei crimini che verranno com-messi, ovvero sono mercenari al soldo di eserciti stranieri.

Il problema sta in un equivoco seman-tico. Gli Stati Uniti devono ridefinire il significato delle parole. In questi casi, non si tratta di lobbying, ma di corruzio-ne pura e semplice. Se chiamiamo una buona volta le cose con il loro nome forse avremo la speranza di un cambia-mento in cui poter credere.

traduzione di Mario Baccianini Foto

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KellY JaCobs, DelegaTa Del Mississippi, al CoNTrollo siCurezza Della CoNveNTioN DeMoCraTiCa