104
E.T.A. Hoffmann L’UOMO DELLA SABBIA E ALTRI RACCONTI MONDADORI L'UOMO DELLA SABBIA Nataniele a Lotario Voi tutti sarete certo molto inquieti perché da tanto, tanto tempo non vi scrivo. La mamma sarà in collera con me, e forse Clara crederà che io stia spassandomela allegramente e abbia persino dimenticato l’immagine soave del mio angelo, che è così profondamente radicata nel mio cuore e nella mia mente. Ma non è così: ogni giorno, ogni ora, penso a voi tutti e nei sogni mi appare sempre la gentile figura della dolce Claretta che mi sorride con quei suoi limpidi occhi, con quella grazia, proprio come quando venivo da voi. Ma come era possibile scrivervi, quando il mio animo straziato sconvolgeva ogni mio pensiero? Nella mia vita è entrato qualcosa di terribile! Presentimenti oscuri di un orribile destino che mi sovrasta si agitano sopra di me come nere ombre di nubi impenetrabili a ogni benefico raggio di sole. Ma ora devo dirti cosa mi è accaduto. È necessario che te lo dica, lo capisco, ma al solo pensiero mi sembra di esplodere in una risata folle. O mio carissimo Lotario, non so come cominciare per farti sentire, anche vagamente, come ciò che mi è accaduto alcuni giorni or sono abbia potuto veramente distruggere in modo così vigliacco la mia vita! Se tu fossi qui, potresti personalmente rendertene conto; invece ora mi prenderai per uno stravagante visionario. In poche parole: la cosa terribile che mi è capitata, e la cui mortale impressione invano tento di eliminare, consiste semplicemente nel fatto che alcuni giorni or sono, il 30 ottobre, proprio a mezzogiorno, un venditore di barometri entrò nella mia stanza e mi offrì la sua merce. Io non comperai nulla e minacciai di buttarlo giù dalle scale: dopo di che egli se ne andò. Tu certo capirai che soltanto precisi fatti, intimamente legati alla mia vita, possono conferire significato a questo avvenimento e che la persona di quello sciagurato mercantucolo può avere su di me influenze deleterie. Così è infatti. Ora voglio raccogliere tutte le mie forze per narrarti con calma e pazienza quel tanto della mia giovinezza che possa presentarti le cose in modo chiaro e vivido. Ma mentre sto per cominciare mi sembra di sentirti ridere e udire Clara che dice: «Ma tutte queste sono fole da bambini». Ridete, vi prego, ridete pure di me, di tutto cuore! Ma, Dio del cielo, i capelli mi si rizzano sul capo ed è come se vi implorassi di deridermi, preso da folle disperazione, come Franz Moor implora Daniele. Ma veniamo ai fatti. Durante tutta la giornata, all’infuori del pranzo, io e mia sorella vedevamo molto di rado nostro padre. Doveva essere molto occupato nel suo lavoro. Dopo cena, che secondo una vecchia abitudine si consumava già alle sette, noi tutti con la mamma andavamo nel suo studio e ci sedevamo intorno a un tavolo rotondo. Il babbo fumava e beveva un grosso bicchiere di birra. Spesso ci raccontava storie

E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

E.T.A. Hoffmann

L’UOMO DELLA SABBIAE ALTRI RACCONTI

MONDADORI

L'UOMO DELLA SABBIA

Nataniele a Lotario

Voi tutti sarete certo molto inquieti perché da tanto, tanto tempo non vi scrivo. La mamma sarà in colleracon me, e forse Clara crederà che io stia spassandomela allegramente e abbia persino dimenticatol’immagine soave del mio angelo, che è così profondamente radicata nel mio cuore e nella mia mente.

Ma non è così: ogni giorno, ogni ora, penso a voi tutti e nei sogni mi appare sempre la gentile figura delladolce Claretta che mi sorride con quei suoi limpidi occhi, con quella grazia, proprio come quando venivoda voi.

Ma come era possibile scrivervi, quando il mio animo straziato sconvolgeva ogni mio pensiero?

Nella mia vita è entrato qualcosa di terribile!

Presentimenti oscuri di un orribile destino che mi sovrasta si agitano sopra di me come nere ombre dinubi impenetrabili a ogni benefico raggio di sole.

Ma ora devo dirti cosa mi è accaduto. È necessario che te lo dica, lo capisco, ma al solo pensiero misembra di esplodere in una risata folle. O mio carissimo Lotario, non so come cominciare per fartisentire, anche vagamente, come ciò che mi è accaduto alcuni giorni or sono abbia potuto veramentedistruggere in modo così vigliacco la mia vita! Se tu fossi qui, potresti personalmente rendertene conto;invece ora mi prenderai per uno stravagante visionario.

In poche parole: la cosa terribile che mi è capitata, e la cui mortale impressione invano tento di eliminare,consiste semplicemente nel fatto che alcuni giorni or sono, il 30 ottobre, proprio a mezzogiorno, unvenditore di barometri entrò nella mia stanza e mi offrì la sua merce. Io non comperai nulla e minacciai dibuttarlo giù dalle scale: dopo di che egli se ne andò.

Tu certo capirai che soltanto precisi fatti, intimamente legati alla mia vita, possono conferire significato aquesto avvenimento e che la persona di quello sciagurato mercantucolo può avere su di me influenzedeleterie. Così è infatti. Ora voglio raccogliere tutte le mie forze per narrarti con calma e pazienza queltanto della mia giovinezza che possa presentarti le cose in modo chiaro e vivido. Ma mentre sto percominciare mi sembra di sentirti ridere e udire Clara che dice: «Ma tutte queste sono fole da bambini».Ridete, vi prego, ridete pure di me, di tutto cuore! Ma, Dio del cielo, i capelli mi si rizzano sul capo ed ècome se vi implorassi di deridermi, preso da folle disperazione, come Franz Moor implora Daniele. Maveniamo ai fatti.

Durante tutta la giornata, all’infuori del pranzo, io e mia sorella vedevamo molto di rado nostro padre.Doveva essere molto occupato nel suo lavoro. Dopo cena, che secondo una vecchia abitudine siconsumava già alle sette, noi tutti con la mamma andavamo nel suo studio e ci sedevamo intorno a untavolo rotondo. Il babbo fumava e beveva un grosso bicchiere di birra. Spesso ci raccontava storie

Page 2: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

meravigliose e vi si entusiasmava talmente da lasciar spegnere la pipa, e io dovevo riaccendergliela conun pezzo di carta a cui avevo dato fuoco: il che era per me un vero divertimento. Spesso invece cimetteva dinanzi dei libri illustrati, sedeva muto e pensieroso nella sua poltrona e soffiava attorno a sédense nuvole di fumo, tanto che ci sembrava di nuotare nella nebbia. In quelle sere la mamma era moltotriste e appena battevano le nove ci diceva: «Su, ragazzi, a letto, a letto! Viene l’uomo della sabbia, giàmi pare di vederlo!». E io ogni volta sentivo veramente un passo lento e pesante che saliva su per lescale: doveva essere l’uomo della sabbia. Una volta quel camminare cupo e rintronante mi fece venire ibrividi e alla mamma che ci conduceva via chiesi: «Mamma, chi è mai quel cattivo uomo della sabbia checi allontana sempre dal babbo? Che aspetto ha?».

«Non esiste nessun uomo della sabbia, figliolo mio» rispose la mamma «quando io vi dico che vienel’uomo della sabbia, voglio solo dire che voi siete assonnati e che non potete tenere più aperti gli occhi,come se vi avessero gettato della sabbia.»

La risposta della mamma non mi soddisfece; anzi, nella mia mente infantile sempre più chiaro si fece ilpensiero che la mamma volesse negare l’esistenza dell’uomo della sabbia solo perché noi non dovessimoaverne paura, tanto è vero che lo sentivo sempre salire le scale. Desideroso di voler vedere più da vicinoquesto uomo della sabbia e di sapere quali erano i suoi rapporti con i bambini, chiesi infine alla vecchiacui era affidata la mia sorellina minore chi mai esso fosse.

«Oh, Niele» rispose costei «non lo sai ancora? È un uomo cattivo, che viene dai bambini che nonvogliono andare a letto e butta loro negli occhi manciate di sabbia sino a farglieli schizzare sanguinantifuori dal capo; poi li prende, li mette in un sacco e li porta sulla luna in pasto ai suoi figlioletti; questistanno lassù in un nido e hanno il becco ricurvo come le civette e con questo beccano gli occhi deibambini cattivi.»

L’orribile immagine di quell’uomo crudele si impresse così nella mia mente, e quando alla sera io losentivo salire le scale, tremavo dall’angoscia e dal terrore. Mia madre riusciva solo a cavarmi dalla boccaquesto grido balbettato tra le lacrime: «L’uomo della sabbia! L’uomo della sabbia!». Correvo quindi nellacamera da letto e tutta la notte ero torturato dalla paurosa visione dell’uomo della sabbia.

Quando fui abbastanza grande per comprendere che tutto ciò che mi era stato raccontato dallagovernante dell’uomo della sabbia e della sua nidiata di figlioli sulla luna non aveva nessun fondamento,l’uomo della sabbia per me continuava a essere un fantasma pauroso ed ero sempre preso da veroterrore quando lo sentivo non solo salire le scale ma anche aprire la porta dello studio di mio padre edentrarvi. Qualche volta non si faceva vivo per molto tempo, ma poi veniva più volte di seguito. La cosadurò parecchi anni, e io non riuscivo ad abituarmi all’idea di quel fantasma la cui immagine odiosa nonriuscì a impallidire nella mia mente. I suoi rapporti con mio padre finirono con l’ossessionare la miafantasia. Avrei voluto interrogare mio padre, ma un terrore invincibile me lo impediva. Io stesso, io solo,dovevo indagare nel mistero, dovevo vedere il favoloso uomo della sabbia: questo fu il mio più vivodesiderio che col passare degli anni sempre più si radicò in me. L’uomo della sabbia mi aveva messosulla strada dell’avventura, del meraviglioso, che così facilmente si annida nell’animo dei fanciulli. Nientemi attirava di più che ascoltare o leggere le paurose storie di folletti, di streghe, di gnomi, ma in cima atutti stava sempre l’uomo della sabbia, che io andavo ovunque, con il gesso o con il carbone, disegnandonei più strani e orribili atteggiamenti su tavoli, su armadi e pareti.

Quando ebbi dieci anni, mia madre mi fece passare dalla camera dei fanciulli in una piccola stanza che siapriva sul corridoio vicino a quella di mio padre. Come sempre quando battevano le nove e si sentiva losconosciuto in casa nostra, noi dovevamo in tutta fretta allontanarci. Dalla mia cameretta lo sentivoentrare dal babbo e subito dopo mi sembrava che per la casa si diffondesse un vapore dall’odore strano.Con la curiosità, sempre più cresceva in me il coraggio di fare in qualche modo la conoscenza dell’uomo

Page 3: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

della sabbia. Spesso, appena la mamma era già passata oltre, dalla mia cameretta sgusciavo nelcorridoio, ma non riuscivo a vedere nulla perché l’uomo della sabbia, quando raggiungevo il punto dadove avrei potuto vedere, era già entrato nella camera del babbo. Alla fine, spinto da un impulsoirresistibile, decisi di nascondermi proprio nella camera del babbo per aspettarvi l’uomo della sabbia.

Una sera, dal silenzio del babbo e dalla tristezza della mamma, compresi che l’uomo della sabbiasarebbe venuto. Con la scusa che ero molto stanco, lasciai prima delle nove la stanza e mi nascosi in unnascondiglio vicino alla porta.

Il portone di casa cigolò: dal vestibolo, su, verso la scala, rintronarono i passi lenti e pesanti. La mammami passò dinanzi con la sorellina. Piano piano aprii la porta della stanza del babbo. Egli come al solito sene stava seduto muto e rigido, volgendo le spalle alla porta e non si accorse di me. Fui subito dentro e micacciai dietro la tendina, che era tesa su un armadio aperto, vicino alla porta, dove il babbo teneva i suoiabiti. Sempre più vicino... sempre più vicino risuonavano i passi... ecco!... di fuori un tossire, unoscalpicciare, un borbottio strano. Nell’attesa angosciosa il cuore mi tremava. Ecco, proprio vicino allaporta un passo serrato... un colpo violento sulla maniglia... la porta si spalanca con rumore! Facendomianimo, con cautela sporgo la testa. L’uomo della sabbia sta nel mezzo della stanza, davanti a mio padre:la luce chiara delle candele gli illumina il viso! L’uomo della sabbia, il tanto temuto uomo della sabbia, è ilvecchio avvocato Coppelius, che qualche volta a mezzogiorno viene a mangiare da noi.

Ma nessuna figura più mostruosa avrebbe potuto atterrirmi come quella di Coppelius. Immaginati unuomo alto, dalle spalle larghe, con una grossa testa informe, il viso terreo, le sopracciglia grigie ecespugliose, sotto le quali lampeggiano due occhi da gatto verdastri e pungenti e un naso grande e grossocadente sopra il labbro superiore. La sua bocca si torce spesso in un sorriso malvagio; si vedono allorasulle guance due macchie scarlatte e uno strano sibilo gli passa attraverso i denti stretti. Coppeliuscompariva sempre con una giacca color cenere di taglio antiquato, il panciotto e i calzoni dello stessocolore, ma portava calze nere e le scarpe con piccole fibbie ornate di pietre. La piccola parrucca glicopriva a stento il cocuzzolo, i cernecchi gli stavano appiccicati sopra le grandi orecchie rosse e una largareticella per i capelli saltava fuori dalla nuca, lasciando vedere il fermaglio d’argento che teneva fissata lacravatta pieghettata. Tutto il suo aspetto era stomachevole e odioso; ma soprattutto a noi bambinifacevano senso le sue mani pelose e nodose tanto che rifiutavamo tutto ciò che toccava. Egli se ne eraaccorto e si divertiva a toccare con un pretesto qualsiasi ora un pezzo di torta, ora un frutto dolce che lanostra buona mamma ci aveva messo sul piatto, cosicché, piangendo per lo schifo e per il ribrezzo,rinunciavamo a quelle ghiottonerie che dovevano darci gioia. La stessa cosa faceva nei giorni di festa,quando il babbo ci mesceva un bicchierino di vino dolce: allora egli subito vi posava la mano oppure siportava addirittura il bicchiere alle labbra e rideva diabolicamente quando non riuscivamo a manifestare lanostra rabbia se non attraverso sommessi singhiozzi. Era abituato a chiamarci bestiole. Lui presente, nondovevamo dire neppure una parola e non potevamo fare altro che maledire quel cattivo, odioso uomoche ci rovinava apposta anche il piacere più innocente. Anche la mamma sembrava che odiasse quelripugnante Coppelius appena infatti egli appariva, tutta la sua serenità, la sua natura gaia e semplice simutava in una cupa tristezza. Mio padre invece di fronte a lui si comportava come davanti a un esseresuperiore di cui si devono sopportare le scortesie e che occorre mantenere a ogni costo di buonumore.Bastava che quello vi accennasse perché subito si preparassero cibi prelibati e si servissero vini scelti.

Quando dunque vidi Coppelius, provai orrore e raccapriccio, perché solo lui poteva essere l’uomo dellasabbia. Ma l’uomo della sabbia per me non era certo lo spauracchio delle fole della governante, quelloche veniva a prendersi in pasto gli occhi dei bambini per le civette sulla luna, no, certo: era un mostroorribile che, dove arrivava, portava con sé dolori e miserie, momentanei o perpetui.

Ero come affascinato. Con il pericolo di essere scoperto e quindi severamente punito, rimasi dove ero, eorigliavo sporgendo la testa dalla tendina. Mio padre accolse Coppelius con molto rispetto. «Su, al

Page 4: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

lavoro» fece questi, con voce stridula, deponendo la giubba. Il babbo cupo e silenzioso si tolse la vesteda camera, ed entrambi indossarono lunghe tuniche nere. Dove le avessero prese non riuscii a vedere.Mio padre aprì le ante di un armadio a muro; ma vidi che quello che per tanto tempo avevo creduto unarmadio era una caverna nera in cui stava un piccolo focolare. Coppelius si avvicinò e vi accese unafiamma azzurra e scoppiettante. Attorno vi stavano vari e strani oggetti. Dio mio! come era mutato miopadre mentre si chinava sul fuoco! Si sarebbe detto che un dolore tremendo e lancinante avessetrasfigurato i suoi lineamenti dolci e nobili in quelli di un demonio brutto e riluttante. Ora assomigliava aCoppelius. Questi con tenaglie arroventate toglieva dal denso fumo materiali sfavillanti che poi congrande energia martellava. Mi sembrava di vedere tutto attorno visi umani, ma senza occhi, e al posto diquesti impressionanti cavità nere. «Qua gli occhi, qua gli occhi» gridava Coppelius con voce cupa etonante.

Preso da una paura selvaggia, mandai un grido e saltai fuori dal mio nascondiglio. Coppelius mi afferrò:«Bestiola, bestiola!» belò digrignando i denti... Mi sollevò, mi buttò nel fuoco e la fiamma cominciò abruciarmi i capelli. «Ora abbiamo gli occhi, gli occhi... un bel paio di occhi di fanciullo.» Così sussurravaCoppelius e con le mani prese dalla fiamma alcuni granelli incandescenti che voleva buttarmi negli occhi.Mio padre implorando alzò le mani e gridò: «Maestro, maestro, lascia gli occhi al mio piccolo Nataniele,lasciaglieli».

Coppelius rise in modo stridulo e disse: «Li tenga pure gli occhi il ragazzo per frignare nel mondo; maora osserviamo un po’ il meccanismo delle mani e dei piedi». E mi afferrò con violenza, le giunturescricchiolarono, mi svitò mani e piedi che andava poi rimettendo a posto: «Non tutti vanno bene, erameglio prima! Il vecchio aveva capito bene!» così sibilava e bisbigliava Coppelius, ma intorno a me vierano le tenebre: una specie di spasmo mi attraversò i nervi e le ossa e non sentii più nulla.

Un dolce alito caldo mi accarezzò il viso. Mi ripresi come da un sonno mortale, la mamma stava china sudi me. «È ancora qui l’uomo della sabbia?» balbettai.

«No, figliolo caro: ormai se ne è andato, non può più farti del male» così diceva la mamma accarezzandoe baciando il suo caro figliolo ritrovato.

Ma perché annoiarti oltre, mio carissimo Lotario? Perché raccontarti così estesamente ogni particolare,quando mi rimane ancora tanto da dire? Basta. Fui scoperto a origliare e maltrattato da Coppelius. Lapaura e l’angoscia mi fecero venire un febbrone per cui me ne stetti a letto qualche settimana. «L’uomodella sabbia è ancora qui?» Queste furono le mie prime parole sensate, e furono il segno della miaguarigione, della mia salvezza.

Ma devo ancora raccontarti il momento più spaventoso della mia giovinezza: poi tu stesso comprenderaiche se per me oggi tutte le cose non hanno più colore, ciò non è dovuto alla debolezza dei miei occhi,bensì a un oscuro destino che ha steso sulla mia vita un velo opaco di nubi che forse solo morendosquarcerò.

Coppelius non si fece più vedere: aveva lasciato la città.

Era passato circa un anno e noi una sera, secondo l’immutabile vecchia consuetudine, sedevamo attornoal tavolo rotondo. Mio padre era sereno e raccontava molti episodi divertenti dei viaggi che aveva fatto ingioventù. Improvvisamente, al battere delle nove, udimmo il portone di casa cigolare sui cardini e dalvestibolo, su verso le scale, risuonarono lenti passi pesanti.

«È Coppelius» disse mia madre impallidendo.

Page 5: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Già, è Coppelius» ribatté mio padre con voce stanca e tremante. Le lacrime scesero dagli occhi di miamadre: «Babbo, babbo» gridò essa «ma sarà sempre così?».

«Per l’ultima volta» egli rispose «per l’ultima volta viene da noi. Te lo prometto. Va’, va’ con i ragazzi.Andate, andate a letto. Buona notte.»

Avevo l’impressione di essere premuto tra pietre fredde, il respiro mi mancava. Siccome non riuscivo amuovermi, la mamma mi prese per un braccio: «Vieni, vieni, Nataniele, su, vieni». Mi lasciai condurre viaed entrai nella mia camera.

«Sta’ calmo, sta’ calmo, mettiti a letto, dormi, dormi...» diceva mia madre; ma io, tormentato daun’indescrivibile angoscia, non potei chiudere occhio. L’odiato e nauseante Coppelius stava davanti a mecon occhi sfavillanti e rideva beffardamente: invano cercavo di allontanarne l’immagine.

Poteva essere mezzanotte, quando si udì uno scoppio tremendo, come se avessero sparato un colpo dicannone. Tutta quanta la casa rintronò: dinanzi alla mia porta era un gran tramestio. Il portone di casa sichiuse con fracasso. «È Coppelius» gridai atterrito e balzai dal letto. In quella si udì un pianto disperato,mi precipitai nella stanza del babbo... La porta era aperta, un vapore soffocante mi sommerse, la fantescagridava: «Oh, il padrone, il padrone!». Davanti al focolaio fumante, per terra, giaceva mio padre morto,con il viso nero, bruciato, orribilmente stravolto e attorno a lui gemevano e piangevano le mie sorelle, e lamamma, accanto, era svenuta.

«Coppelius, Coppelius, Satana infame, hai ucciso mio padre!» così gridai e svenni.

Due giorni dopo, quando mio padre fu messo nella bara, i lineamenti del suo viso erano ritornati ancoradolci e miti, come da vivo. Mi consolai al pensiero che il legame con il diabolico Coppelius non avevapotuto precipitarlo nella dannazione eterna.

L’esplosione aveva svegliato i vicini, la notizia dell’avvenimento giunse sino alle autorità che vollero fareun processo a Coppelius. Ma questi era sparito senza lasciare tracce.

Se ti dicessi, caro amico, che quel venditore di barometri era proprio il maledetto Coppelius, non timeraviglieresti certo che io consideri quell’apparizione come presagio di gravi sciagure. È vero che eravestito diversamente, ma la figura e i lineamenti del viso di Coppelius sono così profondamente impressiin me che non posso sbagliarmi. Coppelius non ha neppure cambiato nome. Qui si fa passare per unmeccanico piemontese di nome Giuseppe Coppola.

Sono deciso a liquidare i conti con lui e a vendicare la morte di mio padre, qualunque cosa accada.

Non dire nulla alla mamma dell’apparizione di quel mostro odioso.

Saluta la mia dolce Clara: le scriverò quando il mio animo sarà più tranquillo. Sta’ bene.

Clara a Nataniele

È vero che non mi hai scritto da lungo tempo, ma sono sicura che mi porti nel cuore e nei pensieri. Ecerto pensavi intensamente a me se nell’ultima lettera che volevi inviare a mio fratello Lotario mettesti ilmio indirizzo invece del suo. L’aprii con gioia e mi accorsi dell’errore soltanto alle parole: «Mio carissimoLotario». Non avrei dovuto continuare a leggere, bensì consegnare la lettera a mio fratello. Benchétalvolta nei nostri piccoli litigi fanciulleschi tu mi abbia rimproverato di avere un’anima così tranquilla ecosì giudiziosa per cui, come quella tal donna, di fronte al crollo della casa, prima di fuggire lascerei

Page 6: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

rapidamente una piega mal fatta alla tendina della finestra, posso assicurarti che l’inizio della tua lettera miha profondamente scossa. Rimasi senza fiato: era come se avessi avuto dei bagliori dinanzi agli occhi.

Oh, mio caro Nataniele, come ha potuto una cosa tanto terribile entrare nella tua vita? Separarmi da te,non più rivederti, questo pensiero mi attraversò il petto come una pugnalata arroventata. Lessi e rilessi.La tua descrizione del nauseante Coppelius è terribile. Solo ora ho saputo di quale violenta e terribilemorte sia morto il tuo vecchio, buon padre. Mio fratello Lotario, a cui consegnai ciò che era suo, cercòdi consolarmi, ma non vi riuscì bene. Il maledetto mercante di barometri, Giuseppe Coppola, mi seguivaa ogni passo e quasi mi vergogno di riconoscere che egli sia riuscito persino a turbare con strani efantastici sogni il mio sonno di solito così sereno e tranquillo. Ben presto però, il giorno seguente, tuttoaveva preso un aspetto differente. Non volermene, mio adorato, se Lotario dovesse dirti che, nonostanteil tuo strano presentimento che cioè Coppelius debba farti del male, io come sempre sono calma eserena.

Anzitutto vorrei persuaderti che, secondo me, tutto ciò che vi è di terribile e di pauroso in quello che diciha origine nel tuo intimo: il mondo esterno vi ha ben poca parte Nauseante certo deve essere stato ilvecchio Coppelius, ma il fatto che egli odiasse i fanciulli originò in voi un vero ribrezzo nei suoi riguardi.

Ora, nel tuo animo infantile il pauroso uomo della sabbia, tratto dalle fole della balia, si collegò con ilvecchio Coppelius, il quale, anche se tu non credevi all’uomo della sabbia, per te rimase il mostrofantastico, pericoloso soprattutto per i fanciulli. Quella attività notturna con tuo padre dipendevasemplicemente dal fatto che ambedue in segreto facevano esperimenti di alchimia, e tua madre nonpoteva certo esserne contenta perché si sprecavano danari e inoltre, come sempre avviene con gente chefa tali esperimenti, l’animo di tuo padre, pieno di desiderio ingannevole di penetrare dentro la saggezzaeterna, si sarà allontanato dalla famiglia. Tuo padre avrà certo trovato la morte a causa di una imprudenzae Coppelius non ne ha affatto colpa. Proprio ieri poi ho chiesto al bravo farmacista che abita vicino a noise in esperimenti chimici è possibile un’esplosione così improvvisa e mortale. Egli mi rispose: «Senzadubbio» e mi descrisse alla sua maniera diffusa e pignola come ciò possa avvenire e fece tanti nomi straniche non mi fu possibile ricordare. Ora tu sarai indignato con la tua Clara e dirai: «In quell’anima freddanon penetra nessun raggio di quel mistero che spesso stringe gli uomini con braccia invisibili; essa riescesolo a vedere la variopinta superficie del mondo e si accontenta come una bambinetta ingenua di vedere ilfrutto dorato, nel cui intimo è nascosto un veleno mortale».

Ma, mio adorato Nataniele, non credi tu allora che anche nelle anime serene, limpide e ingenue possaalbergare il presentimento di una oscura potenza che ostilmente cerca di rovinarci nel nostro più profondoio? Perdonami se da quella ragazza semplice che sono faccio il tentativo di spiegare in qualche modocosa io pensi di una tale intima lotta. Alla fine può darsi che io non trovi le parole adatte e che tu rida dime non già perché dico delle cose sciocche, ma perché mi mostro così poco abile nell’esporle.

Se vi è un potere oscuro e ostile che a tradimento trapianta un filo nel nostro intimo con il quale ci lega asé e ci trascina per una via pericolosa e fatale che altrimenti non avremmo mai battuto, se esiste una similepossibilità, essa deve prendere dentro di noi la nostra stessa forma, anzi deve diventare il nostro stessoio. Soltanto così noi crediamo a esso e gli cediamo quello spazio di cui esso ha bisogno per portare atermine la sua opera segreta. Se abbiamo una mente abbastanza salda, rafforzata da una vita serena, perpotere costantemente riconoscere gli influssi ostili come tali e per seguire con passo tranquillo la via a cuiinclinazione e vocazione ci hanno indirizzato, allora quel sinistro potere naufraga nel vano tentativo diprendere quella forma che dovrebbe essere la nostra immagine rispecchiata. «È anche certo» aggiungeLotario «che l’oscuro potere dell’anima, quando a esso ci abbandoniamo, spesso fa entrare in noi formeestranee che il mondo ci mette tra i piedi, cosicché noi stessi finiamo con l’eccitare il nostro spirito, che,come a noi sembra per una meravigliosa illusione, parla da quella forma. È il fantasma di quel nostro veroio la cui profonda affinità e profonda influenza sul nostro spirito ci precipitano nell’inferno o ci rapiscono

Page 7: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

in cielo.»

Vedi dunque, mio carissimo Nataniele, come noi due, io e mio fratello Lotario, abbiamo discorso alungo sopra questo argomento delle forze oscure: argomento che, dopo averne descritto non senza faticai principali concetti, mi sembra abbastanza profondo. Le ultime parole di Lotario non le capiscocompletamente; intuisco solo ciò che vuol dire, ma mi sembra che sia molto vero.

Ti prego, togliti dalla mente l’odioso avvocato Coppelius e il venditore Giuseppe Coppola. Sii persuasoche queste due figure estranee non possono nulla su di te; soltanto la fede nella loro potenza ostile puòrenderli veramente ostili. Se in ogni riga della tua lettera non esprimessi il profondo turbamento del tuospirito, se il tuo stato d’animo non mi addolorasse sin nel profondo, sarei veramente capace di scherzaresull’avvocato della sabbia e su Coppelius, l’uomo del barometri. Sii sereno! Sii sereno! Mi sonoproposta di apparirti come il tuo angelo custode e di cacciar via con una grande risata l’odiosoCoppelius, nel caso volesse azzardarsi a turbare i tuoi sogni. Non ho assolutamente paura di lui né dellesue brutte minacce. Egli certo non deve rovinare le mie ghiottonerie come avvocato e gli occhi comeuomo della sabbia.

Per sempre, mio adorato Nataniele.

Nataniele a Lotario

Mi dispiace molto che Clara ultimamente abbia per errore aperto e letto la lettera che avevo diretto a te,anche se ciò è dovuto alla mia distrazione. Mi ha scritto una lettera piena di profonda filosofia dovedimostra che Coppelius e Coppola esistono solo nel mio intimo e che sono fantasmi del mio Io, chesubito svanirebbero appena li riconoscessi per tali. Non si crederebbe infatti che lo spirito di quellafanciulla, che dai suoi chiari e ridenti occhi spesso emana luce come un dolce sogno soave, sappia faredelle distinzioni così intelligenti, degne di un professore. Essa fa appello a te. Voi avete parlato di me. Tucerto le tieni dei corsi di logica, perché essa riesca a vagliare perfettamente e accuratamente ogni cosa.Ma lascia correre! È certo che il venditore di barometri Giuseppe Coppola non è il vecchio avvocatoCoppelius. Ora seguo le lezioni del professore di fisica da poco arrivato, che ha lo stesso nome delfamoso naturalista Spallanzani ed è di origine italiana. Questi conosce Coppola già da parecchi anni einoltre si capisce dalla pronuncia di quest’ultimo che è veramente piemontese. Coppelius era un tedescoe, da quel che mi sembra, non era una persona onesta. Ora sono assolutamente tranquillo. Consideratemipure, tu e Clara, un cupo sognatore, ma non posso liberarmi dall’impressione che il viso di Coppelius fasu di me. Sono felice che sia lontano dalla città, come dice Spallanzani. Questo professore è un bel tipo.È un piccolo uomo rotondetto, il viso dai forti zigomi, naso sottile, labbra grosse, occhi piccoli e pungenti.Meglio di qualsiasi altra descrizione ti servirà il ritratto di Cagliostro che Chodowiecki ha messo in non soquale calendario berlinese. Così è veramente Spallanzani.

Ultimamente, salendo le scale, noto che la tendina, di solito tirata su una porta a vetri, lascia libera unafessura. Non so neppure io come arrivai a gettarvi dentro un’occhiata curiosa. Nella stanza sedevadinanzi a un tavolino, su cui appoggiava le braccia, le mani giunte, una donna alta, snella, molto ben fattae magnificamente vestita. Essa sedeva di fronte alla porta, cosicché potevo vedere perfettamente il suoviso angelico. Sembrava che non si fosse accorta di me e i suoi occhi avevano qualcosa di rigido, potreianzi dire che non vedesse: era come se dormisse con gli occhi aperti. La cosa mi fece paura e scivolaisubito nell’Auditorium, lì vicino. Seppi poi che quella strana creatura era la figlia di Spallanzani, Olimpia,che egli certo in modo malvagio tiene segregata perché nessuno possa avvicinarla. Certo c’è sottoqualcosa di misterioso o forse è deficiente o pressappoco.

Page 8: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Perché ti scrivo questo? Potrei riferirtelo meglio direttamente. Sappi che tra quindici giorni sarò da voi.Devo rivedere la mia Clara, il mio angelo così dolce. Svanirà allora il mio malumore che, devoriconoscere, stava per dominarmi dopo quella mia lettera piena di fatalismo. Perciò neppure oggi lescrivo. Tanti saluti.

 

Non si potrebbe inventare nulla di più stravagante di quello che capitò al mio povero amico, il giovanestudente Nataniele, e che, benevolo lettore, mi accingo a narrarti. Non ti è mai capitato, carissimo lettore,che qualcosa si impossessasse completamente del tuo animo, della tua mente e dei tuoi pensieri, così chetutto il resto ne venisse scacciato? C’era in te come un fermento, un fervore che ti avvampava e il sanguecocente ti scorreva nelle vene e le tue guance ardevano. Il tuo sguardo era così strano come se volesseafferrare in uno spazio vuoto figure invisibili ad altro occhio e le tue parole si dissolvevano in cupi sospiri.E gli amici ti chiedevano: «Che cosa le succede, caro amico? Che cosa ha mai». E tu allora voleviesprimere le immagini interiori con i colori più accesi e con le ombre e le luci e ti preoccupavi di trovare leparole che ti permettessero almeno di incominciare. E credevi di poter riportare perfettamente subito, sindalle prime parole, tutto ciò che di meraviglioso, di stupendo e di terribile e di allegro e raccapricciante tifosse accaduto, in modo da colpire tutti come con una scarica elettrica. Ma ogni tua parola, ogni tuomodo di esprimerti, ti appariva incolore e freddo. Tu cerchi, cerchi e balbetti e infine le domande degliamici ti colpiscono come soffi di vento gelato, dentro, nel tuo fervore infocato, sin quasi a spegnerlo. Mase tu riesci da ardito pittore a tracciare con poche linee temerarie i contorni della tua immagine interiore,allora con poca fatica e con ardore sempre crescente vi stendi i colori, e il vivo tumulto delle molteplicifigure trascina gli amici, i quali, come te, si vedono vivi dentro l’immagine espressa del tuo spirito.

Veramente devo riconoscere, benevolo lettore, che nessuno mi ha chiesto la storia del giovane Natanielema tu sai che io appartengo a quella razza di scrittori i quali, quando portano dentro di sé qualcosa comequella che ti ho descritto, hanno l’impressione che chiunque gli passi vicino, anzi tutto quanto il mondo,debba chiedergli: «Che cosa è mai ciò? Racconta, carissimo».

Così fu più forte di me parlarti della vita sventurata di Nataniele. Il meraviglioso, lo strano si impossessòdi tutto il mio animo, ma appunto perché io, o lettore, volevo renderti capace di sopportare ilmeraviglioso, che non è poca cosa, mi sono preoccupato di cominciare la storia di Nataniele in modosignificativo, originale, attraente. «C’era una volta...» è in genere questo il miglior inizio, ma freddo.«Nella piccola città di provincia di S. viveva...», un po’ meglio certo, si entra almeno nell’atmosfera. Osubitomedias in res : «Vada al diavolo! – esclamò con gli occhi ardenti di collera e di terrore lo studenteNataniele quando il mercante di barometri Giuseppe Coppola...». Veramente questo lo avevo già scritto,quando nello sguardo selvaggio dello studente Nataniele mi parve di vedere qualcosa di buffo, ma lastoria non è certo allegra. Non mi venne in mente nessuna frase che anche vagamente potesserispecchiare lo splendore dei colori della mia intima immagine poetica. Decisi perciò di non incominciare.Prendi perciò, benevolo lettore, le tre lettere che l’amico Lotario gentilmente mi fece avere come contornidel quadro che attraverso la mia narrazione farò di tutto per colorire. Forse mi riuscirà di presentarti,come può fare un buon pittore, qualche figura che tu troverai somigliante anche se non conosci l’originale,anzi forse ti sembrerà di averla già vista con i tuoi occhi. Forse, caro lettore, allora penserai che non vi ènulla di più meraviglioso e di più folle della vita reale e che il poeta solo questo può fare: afferrarla comeun pallido riflesso di uno specchio opaco.

Affinché si sappia ciò che è necessario sapere sin da principio, bisogna aggiungere al contenuto di quellelettere che, poco dopo la morte del padre di Nataniele, Clara e Lotario, figli di un lontano parente, chepure era morto lasciandoli orfani, erano stati accolti in casa dalla mamma di Nataniele. Nataniele e Clarafurono legati da una forte, reciproca simpatia e nessuno al mondo aveva certo da dire qualcosa incontrario. Si fidanzarono quando Nataniele lasciò la città per continuare i suoi studi a G. Là appunto lo

Page 9: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

troviamo nella sua ultima lettera, dove frequenta le lezioni del famoso professore di fisica, Spallanzani.

Ora potrei senza più alcuna preoccupazione continuare il mio racconto; ma proprio in questo momentol’immagine di Clara mi sta così viva dinanzi agli occhi da non poterli distogliere da lei, come mi capitavasempre quando mi guardava con quel suo dolce sorriso. Non si poteva dire che Clara fosse bella; questolo riconoscevano tutti coloro che per professione si intendono di bellezza. Ma gli architetti lodavano lebelle proporzioni della sua statura, i pittori trovavano fin troppo caste le forme delle sue spalle, del collo edel busto, ma quasi tutti erano innamorati dei magnifici capelli alla Maddalena e fantasticavano sulcolorito degno di Batoni. Uno di loro, un individuo veramente tutto fantasia, paragonò in modoveramente originale gli occhi di Clara a un lago di Ruisdael, nel quale si specchia l’azzurro limpido di uncielo senza nubi, la ricchezza dei fiori e del boschi, la vita serena della ricca campagna tutta colori. Poeti epittori andavano oltre e dicevano: «Ma che lago, ma che specchi! Possiamo forse guardare questafanciulla senza che dal suo sguardo si sprigionino canti celesti che penetrano nel profondo del nostroanimo cosicché tutto in noi si risveglia e diventa vivo? E se non riusciamo a cantare nulla di veramentebello, è segno che dentro di noi non c’è veramente nulla e questo lo possiamo leggere chiaramentenell’ironico sorriso che fluttua sulle labbra di Clara quando tentiamo di cinguettarle qualcosa chevorrebbe essere un canto, ma che in verità è solo un confuso saltellare di suoni isolati».

Ed era veramente così. Clara possedeva la vivace fantasia della fanciulla serena, semplice, ingenua,un’anima veramente femminile, un’intelligenza limpida e acuta. Le persone complicate e confusionarie nonavevano buon gioco con lei, perché pur parlando poco (Clara in genere era silenziosa per natura), per leiparlava quel suo sguardo limpido e quel suo ironico sorriso che sembrava dire: «Amici cari, come poteteaspettarvi che io prenda queste vostre immagini inconsistenti per reali figure dotate di vita e dimovimento?». Perciò da molti Clara era considerata un tipo freddo, senza sentimenti, prosaica; altriinvece, che avevano sentito la vita in tutta la sua profondità, adoravano questa fanciulla semplice,intelligente, piena di spirito, ma nessuno certo come Nataniele la cui vita si svolgeva serenamente nellascienza e nell’arte. Clara si attaccò con tutta l’anima all’amato; le prime nubi nella loro vita sorseroquando egli si separò da lei. Con quale rapimento perciò essa volò nelle sue braccia, quando egli, comeaveva detto nella sua ultima lettera a Lotario, ritornò veramente a casa e fece il suo ingresso nella stanzadella madre! Avvenne come Nataniele aveva pensato: nel momento in cui vide Clara, non pensò più néall’avvocato Coppelius né all’acuta lettera di Clara, e ogni cattivo umore svanì.

Però Nataniele aveva ragione quando scriveva al suo amico Lotario che la persona odiosa del venditoredi barometri Coppola era entrata nella sua vita in modo veramente ostile. Tutti lo notarono, giacchéNataniele sin dai primi giorni apparve completamente mutato. Si immerse in tetre fantasticherie e sicomportò in modo così strano come mai lo si era visto. Ogni cosa, tutta quanta la vita, gli era diventatasogno e presentimento; e continuava a dire che ogni uomo si illude di essere libero, ma che in verità èlegato al feroce gioco dei poteri oscuri contro i quali è vano ribellarsi, anzi bisogna essere umili erassegnarsi al proprio destino. Arrivò persino ad affermare che era da stolti credere che nell’arte e nellascienza si crei secondo un libero arbitrio; giacché anche quell’entusiasmo che è necessario per lacreazione non ha origine nel nostro io, ma sarebbe l’azione di un indefinito principio superiore che stafuori di noi.

Alla chiara intelligenza di Clara tutta questa esaltazione mistica non andava assolutamente a genio, masarebbe stato inutile tentare di confutarla. Solo quando Nataniele affermò che Coppelius era il principiocattivo che lo aveva afferrato nel momento in cui spiava dietro la tenda e che quel demonio odiosoavrebbe finito per distruggere in qualche spaventoso modo la loro felicità, allora Clara diventò molto seriae disse: «Sì, Nataniele, hai ragione. Coppelius è veramente un principio maligno e può veramente agire inmodo deleterio come una potenza diabolica che è entrata tangibilmente nella vita, ma solo se tu non lascacci dalla tua anima e dai tuoi pensieri. Sino a che tu credi, egli esiste veramente e agisce: solo la tuafede è la sua potenza».

Page 10: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Nataniele, veramente irritato che Clara ponesse l’esistenza del demonio soltanto dentro il suo io, volleesporre tutta quanta la dottrina mistica dei diavoli e delle forze oscure, ma Clara, seccata, lo interruppeportandosi su argomenti futili, con gran dispetto di Nataniele. Egli pensava che per i temperamenti freddie irriducibili simili profondi misteri rimangono sempre tali e in tal modo non si rendeva conto che finivacon il porre Clara tra le nature subordinate, per cui non tralasciava ogni tentativo di iniziarla a quei misteri.

La mattina presto, quando Clara aiutava a preparare la colazione, egli le stava vicino e le leggeva varilibri mistici, finché Clara lo pregò: «Caro Nataniele, e se cominciassi a pensare che sei tu il principio delmale che agisce ostilmente sul mio caffè? Se infatti, come tu desideri, piantassi qui ogni cosa per guardartinegli occhi mentre leggi, il caffè traboccherebbe e voi tutti rimarreste senza colazione». Nataniele sbatté illibro e corse arrabbiatissimo a chiudersi nella sua camera.

Normalmente nei vivaci racconti che egli scriveva, e che Clara seguiva con grande piacere, dimostravaveramente un notevole vigore; ora invece le sue poesie erano oscure, incomprensibili, informi; così egli siaccorgeva quanto poco la toccassero, anche se Clara per delicatezza non glielo diceva. Per Clara non viera nulla di più mortale della noia; dallo sguardo e dalle parole traspariva allora la sua invincibilesonnolenza spirituale e le poesie di Nataniele erano certo molto noiose. Il dispetto di Nataniele perl’anima fredda e prosaica di Clara aumentò sempre più, Clara d’altra parte non riusciva a vincere il suomalumore per le noiose, oscure astruserie mistiche di Nataniele, e così senza accorgersene siallontanavano sempre più l’uno dall’altra. La figura dell’odioso Coppelius, come lo stesso Natanieledoveva riconoscere, si era infiacchita nella sua fantasia, e gli costava perciò una certa fatica colorirla inmodo vivace in quella poesia dove doveva apparire come l’orrendo spauracchio del destino. Infinedecise di prendere come soggetto quell’oscuro presentimento per cui Coppelius avrebbe distrutto la lorofelicità. Egli immaginava se stesso e Clara uniti fedelmente nell’amore, ma di tanto in tanto, tra loro, siinsinuava una mano nera che strappava loro ogni gioia. Ed ecco apparire, quando già sono dinanziall’altare, l’odioso Coppelius e toccare i dolci occhi di Clara; questi balzano dentro nel petto diNataniele, bruciando e ardendo come scintille di fuoco. Coppelius lo afferra e lo scaglia entro un cerchiodi fiamme che gira con la velocità della bufera e fischiando e mugghiando lo trascina via. È uno strepitocome quando l’uragano rabbioso frusta i marosi spumeggianti che si impennano in una furiosa lotta comeneri giganti incoronati di bianco. Ma in quel clamore selvaggio si ode la voce di Clara: «Perché non vuoiguardarmi? Coppelius ti ha ingannato. Non erano i miei occhi che bruciavano dentro il tuo petto, eranogocce ardenti del tuo sangue. Io li ho, i miei occhi: guardami, guardami dunque!». Nataniele pensa:«Costei è Clara e io sono suo per sempre». Ecco, ora è come se il pensiero violentemente entrasse nelcerchio di fiamme che si arresta e tutto il fragore svanisce in un oscuro abisso. Nataniele guarda gli occhidi Clara; ma quella che lo fissa amorevolmente con gli occhi di Clara è la Morte.

Mentre Nataniele così poetava, era molto calmo e sereno, correggeva e limava ogni riga e siccome siera assoggettato alle esigenze metriche, non si dava pace finché ogni verso non fosse scorrevole e pulito.Ma quando ebbe finito e si mise a leggere per suo conto a voce alta la poesia, fu preso da un terrore folleed esclamò: «Di chi è questa voce spaventosa?». Poco dopo però tutta quanta la poesia gli parve benriuscita e pensò che l’anima fredda di Clara ne potesse essere riscaldata, benché non capisse bene a chescopo dovesse essere riscaldata, né perché l’angustiasse con le orribili descrizioni di quello spaventosodestino che avrebbe distrutto il loro amore.

Tutti e due, Nataniele e Clara, erano seduti nel piccolo giardino della madre. Clara era molto serena,perché Nataniele, già da tre giorni, durante i quali scriveva il suo poema, non l’aveva angustiata con i suoisogni e presentimenti. Anche Nataniele parlava con vivacità di cose allegre, come una volta, sicché Claradisse: «Ecco che finalmente ti ho ritrovato: vedi anche tu che abbiamo scacciato l’odioso Coppelius».

Allora Nataniele si ricordò di avere in tasca la poesia che voleva leggerle. Subito tirò fuori i fogli e

Page 11: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

cominciò. Clara, che si aspettava come al solito qualcosa di noioso, già rassegnata, incominciò calmacalma a fare la calza. Ma proprio quando la cupa nuvolaglia sempre più tenebrosa saliva, lasciò cadere illavoro e guardò fisso negli occhi di Nataniele. Questi era irresistibilmente trasportato dalla sua poesia: lesue guance arrossate rivelavano il tumulto interiore, lacrime gli scorrevano dagli occhi... alla fine, esausto,emise un gemito, prese la mano di Clara sospirando e quasi dissolvendosi in un dolore sconsolato: «Ah,Clara, Clara!».

Clara lo strinse dolcemente al seno e sottovoce, lentamente, ma severa disse: «Nataniele, mio adoratoNataniele, getta nel fuoco questa pazza fiaba che non ha alcun senso».

Nataniele balzò in piedi indignato allontanando da sé Clara e gridò: «Tu, automa maledetto e senzavita!». E fuggì via, mentre Clara, profondamente offesa, versava amare lacrime. «Oh, non mi ha maiamato, perché non mi comprende» singhiozzava.

Lotario entrò nella pergola; Clara dovette raccontargli l’accaduto. Egli amava la sorella con tutta l’anima:quelle parole di accusa entrarono come scintille nel cuore, sicché lo sdegno che da lungo tempo portavanell’animo contro quel sognatore di Nataniele divampò in un’ira selvaggia. Corse da Nataniele, glirinfacciò con aspre parole il suo insensato comportamento verso l’amata sorella. Nataniele replicòinfuriato. L’uno diceva: bellimbusto, trasognato, pazzo. L’altro rispondeva: volgare, miserabile. Il duelloera inevitabile. Stabilirono di battersi il giorno seguente dietro il giardino, con fioretti acuminati e taglienti,secondo le consuetudini accademiche di allora. Si aggiravano attorno muti e cupi. Clara, che era venuta asapere della lite e aveva visto il maestro d’armi che al crepuscolo portava i fioretti capì quello che stavaper accadere. Portatisi sul luogo del duello, Lotario e Nataniele si erano già tolti la giacca in silenzio, negliocchi la brama del duello all’ultimo sangue, e stavano per scagliarsi l’uno contro l’altro, quando essaarrivò di corsa attraverso il giardino.

Singhiozzando gridò: «Sciagurati, uccidete me, prima di battervi tra voi! Come potrei vivere se l’amatoassassinasse il fratello, o il fratello l’amato?».

Lotario lasciò cadere l’arma e guardò fisso a terra, in silenzio, mentre nel cuore di Nataniele rinascevacon dolore straziante tutto l’amore per Clara, che aveva provato nei più bei giorni della sua radiosagiovinezza. L’arma mortale gli cadde di mano, si buttò ai piedi di Clara: «Perdonami, ti prego,perdonami, tu, mia unica, mia adorata Clara. Potrai tu mai perdonarmi, o mio carissimo fratelloLotario?».

Lotario si commosse al dolore profondo dell’amico: tutti e tre si abbracciarono tra le lacrime e giuraronodi non lasciarsi mai, uniti in amore e fedeltà.

Nataniele ebbe l’impressione di essersi liberato da un peso che lo opprimeva, anzi di aver salvato tuttaquanta la sua esistenza minacciata da rovina, resistendo a una forza oscura che l’aveva imprigionato.Trascorse ancora tre giorni felici tra i suoi cari, poi ritornò a G. dove sarebbe rimasto ancora un anno equindi sarebbe tornato per sempre a casa sua.

Tutto ciò che riguardava Coppelius fu taciuto alla madre: sapevano che essa non avrebbe potutopensare a lui senza terrore, perché, al pari di Nataniele, dava a lui la colpa della morte del marito.

 

Quale fu la meraviglia di Nataniele quando, arrivato dinanzi alla sua abitazione, trovò la casacompletamente bruciata: le sole nude pareti emergevano dal mucchio di rovine. Benché l’incendio fossescoppiato nel laboratorio del farmacista, che abitava al piano di sotto, per cui la casa era bruciata dal

Page 12: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

sotto in su, i bravi e coraggiosi amici riuscirono a entrare giusto in tempo nella camera di Nataniele postaal piano di sopra e a salvare così libri, manoscritti e strumenti. Essi avevano portato tutto il materialeintatto in un’altra casa e avevano prenotato una camera che Nataniele affittò subito. Non fece caso alfatto che il professore Spallanzani abitasse proprio di fronte, né gli parve strano che dalla sua finestrapotesse vedere direttamente nella camera dove Olimpia se ne stava sola; poteva chiaramente vederne lapersona ma non i lineamenti. Notò infine che Olimpia stava per lunghe ore nella stessa posizione in cuil’aveva vista la prima volta attraverso la porta a vetri, e sedeva là, al piccolo tavolo, senza occuparsi dinulla, guardando con occhi fissi verso di lui. Dovette riconoscere di non aver mai visto una creatura piùbella, ma siccome aveva Clara nel cuore, quella dura e rigida Olimpia gli era assolutamente indifferente.Solo qualche volta, sollevando lo sguardo dai libri, guardava di sfuggita quella bella statua: questo eratutto.

Stava scrivendo a Clara quando fu bussato sommessamente; al suo invito la porta si aprì e apparve ilviso odioso di Coppola. Nataniele fu percorso da un brivido, ma ricordando ciò che Spallanzani gliaveva detto del suo conterraneo Coppola, nonché le solenni promesse che aveva fatto alla fidanzata aproposito dell’uomo della sabbia Coppelius, si vergognò del suo terrore infantile, si fece coraggio e conla maggior calma possibile disse:

«Non compro barometri, caro amico: andate pure.» Ma Coppola entrò definitivamente nella stanza edisse con tono rauco, torcendo il muso in una odiosa risata, mentre gli occhietti lampeggiavano sotto lelunghe e grigie ciglia: «No niente barometri, niente barometri! Ho anche degli occhi belli... begli occhi».Atterrito Nataniele gridò: «Pazzo, come puoi tu avere degli occhi?... occhi?...». In quell’istante Coppola,messi da parte i suoi barometri, prese dalla larga tasca del soprabito occhiali e occhialini e li pose sultavolo: «Ecco, ecco... occhiali... occhiali... da mettere sul naso... questi sono i miei occhi... occhi belli!».E traeva fuori continuamente occhiali, cosicché tutto il tavolo cominciò stranamente a sfavillare e alampeggiare. Mille occhi guardavano e occhieggiavano convulsi e fissavano Nataniele che non riusciva adistogliere lo sguardo dal tavolo, e sempre di nuovo Coppola vi metteva altri occhiali, mentre sempre piùsfrenatamente quegli sguardi fiammeggianti si intrecciavano, scoccando nel petto di Nataniele i loro raggisanguigni. Sopraffatto da un terrore folle gridò: «Basta, basta, sciagurato!». E afferrò Coppola per unbraccio mentre questi stava ancora infilando le mani nella tasca per trarne altri occhiali, nonostante iltavolo ne fosse tutto coperto. Coppola si liberò dolcemente con una risata rauca dicendo: «Ah! nienteper voi?... ma qui c’è un bel cannocchiale». Aveva raccolto tutti quanti gli occhiali e se li era messi intasca; dalla tasca interna del soprabito tirò fuori una grande quantità di piccoli e grandi cannocchiali.Scomparsi gli occhiali, Nataniele divenne completamente calmo e pensando a Clara capì che l’odiosoincantesimo era sorto solo nella sua mente e che certamente Coppola era un onesto meccanico e ottico enon già il sosia maledetto di Coppelius. Inoltre tutti i cannocchiali di Coppola non avevano nulla dispeciale e tanto meno di spettrale come gli occhiali. Per mettere le cose a posto Nataniele decise diacquistare qualcosa da Coppola. Egli prese un piccolo cannocchiale tascabile finemente lavorato e perprovarlo guardò dalla finestra. Mai in vita gli era capitato un cannocchiale che avvicinasse come quello glioggetti con tanta chiarezza e precisione. Involontariamente guardò dentro nella stanza di Spallanzani;come sempre Olimpia sedeva dinanzi al piccolo tavolo sul quale appoggiava le braccia e le mani giunte.Solo ora Nataniele vide il viso meraviglioso di Olimpia. Gli occhi solamente gli parvero stranamente mortie fissi. Ma aguzzando lo sguardo attraverso il cannocchiale, gli parve che gli occhi di Olimpia siilluminassero di umidi raggi di luna. Sembrava che per la prima volta avessero la capacità di vedere; e glisguardi fiammeggiavano sempre più vivi. Come incantato, Nataniele se ne stava alla finestra acontemplare la bellezza celestiale di Olimpia. Un raschiare di gola, uno scalpicciare di piedi lorisvegliarono come da un sonno profondo. Coppola gli stava alle spalle: «Tre zecchini... tre ducati...».Nataniele aveva completamente dimenticato l’ottico e subito gli pagò il dovuto.

«Bello, non è vero, il cannocchiale?» domandò Coppola con la sua voce rauca e antipatica.

Page 13: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Sì, sì» rispose Nataniele infastidito «addio, caro amico.»

Coppola lasciò la camera non senza aver lanciato di traverso strani sguardi. Nataniele lo udì ridere fortesulle scale: «Certo» pensò Nataniele «egli ride di me perché ho pagato troppo caro questo piccolocannocchiale, troppo caro». Mentre diceva queste parole sottovoce, gli sembrò di sentire risuonare nellastanza un mortale, raccapricciante sospiro: per il terrore gli si mozzò il fiato. Ma era stato lui stesso asospirare, ora lo aveva capito. «Clara» disse a se stesso «ha ragione quando mi prende per uno strambovisionario, ma è strano, anzi più che strano, che mi angusti così lo stupido pensiero di aver pagato troppocaro a Coppola il cannocchiale: non riesco a comprenderne il motivo.»

Poi si sedette per terminare la lettera a Clara, ma uno sguardo attraverso la finestra lo convinse cheOlimpia sedeva ancora là e subito, come spinto da una forza incoercibile, balzò in piedi, afferrò ilcannocchiale di Coppola e non avrebbe più staccato lo sguardo dalla seducente vista di Olimpia se nonfosse venuto il suo amico e fratello Sigismondo a prelevarlo per portarlo dal professor Spallanzani. Latendina davanti alla camera misteriosa era completamente tirata, sicché egli non poté vedere allora eneppure i giorni seguenti Olimpia, per quanto raramente abbandonasse la finestra e vi guardasse semprecon il cannocchiale di Coppola. Al terzo giorno si chiusero anche le finestre. Disperato, tormentato dallanostalgia e dal desiderio bruciante egli uscì dalla città. La figura di Olimpia si muoveva sempre nell’ariaattorno a lui, sbucava dai cespugli, lo guardava con grandi occhi luminosi dalle chiare sorgenti.L’immagine di Clara gli era uscita del tutto di mente, egli non pensava che a Olimpia e andavalamentandosi: «Oh tu, mio stupendo astro, sei forse sorto solo per eclissarti subito e abbandonarmi nellaoscura notte senza speranza?».

Rientrando a casa notò nell’abitazione di Spallanzani un rumoroso affaccendamento. Le porte eranoaperte, vi si portava dentro roba di ogni specie, i vetri del primo piano erano stati tolti, indaffaratefantesche spazzavano e spolveravano muovendosi qua e là con grandi ramazze e nell’interno era un granbattere e martellare di tappezzieri e di falegnami. Nataniele si fermò stupefatto in mezzo alla strada. Inquella arrivò ridendo Sigismondo: «Beh, che cosa ne dici del nostro vecchio Spallanzani?». Natanieleassicurò che egli non poteva dire nulla perché non sapeva assolutamente nulla del professore e simeravigliava che in quella oscura, silenziosa casa si fosse scatenato tutto quel gran daffare. Seppe daSigismondo che Spallanzani il giorno dopo avrebbe dato una grande festa, un concerto e un ballo e chemezza università era stata invitata. Si sparse poi la voce che la figlia di Spallanzani, Olimpia, che era stataper così lungo tempo ostinatamente nascosta a ogni sguardo, sarebbe stata presentata per la prima voltain società.

Nataniele trovò un biglietto d’invito e con un gran batticuore andò dal professore all’ora stabilita,quando già arrivavano le carrozze e le luci splendevano nelle sale addobbate.

Numerosi erano gli invitati e la compagnia era brillante. Olimpia apparve in un abito molto ricco e dibuon gusto. Certo non si poteva non ammirare il suo bel viso e la sua statura. La schiena stranamenteincavata e la sottigliezza della vita erano senza dubbio da attribuirsi al busto troppo stretto. Nei suoiatteggiamenti e nel suo incedere vi era qualcosa di rigido e di misurato che a molti dispiaceva; lo siattribuiva alla soggezione che la compagnia le imponeva. Il concerto cominciò. Olimpia suonò ilpianoforte con molta abilità e cantò anche un pezzo di bravura con voce chiara e tagliente come quella diuna campana di vetro. Nataniele era estasiato, si trovava nell’ultima fila e nell’abbagliante luce dellecandele non poteva distinguere bene i lineamenti di Olimpia. Di nascosto estrasse perciò il cannocchialedi Coppola e guardò la bella Olimpia. Ah! allora si accorse come essa lo guardasse con passione e ogninota scaturiva di sicuro da quello sguardo amoroso che bruciante gli penetrava nel cuore. I gorgheggi davera artista parvero a Nataniele grida divine dell’anima trasfigurata nell’amore, e quando alla fine, dopo lacadenza, squillò nella sala il lungo trillo, come stretto tra braccia ardenti non riuscì a contenersi e gridòcon dolore ed entusiasmo: «Olimpia!».

Page 14: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Tutti guardarono verso di lui, parecchi risero. L’organista del duomo fece il viso scuro e si limitò a dire:«Via, via».

Il concerto era alla fine e cominciò il ballo. «Ballare con lei, con lei!» Questo era lo scopo ultimo di tutti idesideri di Nataniele; ma come trovare il coraggio di invitare lei, la reginetta della festa? Bene... eglistesso non seppe come avvenne, ma, quando la danza ebbe inizio, si trovò proprio accanto a Olimpiache non era ancora stata invitata; le strinse la mano riuscendo appena a pronunciare qualche parola.Gelida era la mano di Olimpia. Si sentì scosso da un brivido mortale, fissò Olimpia negli occhi che loguardavano pieni d’amore e di desiderio e gli parve che in quel momento, in quelle fredde maniincominciassero a pulsare le vene e a scorrervi vive correnti di sangue. Anche nel cuore di Natanielesempre più avvampò il desiderio d’amore e stringendo la bella Olimpia si lanciò nella danza.

Egli aveva sempre creduto di tenere il ritmo, ma dinanzi alla rigidità meccanica con cui Olimpia danzavaportandolo spesso fuori tempo pensò invece che esso gli mancasse. Ma non voleva danzare connessun’altra e avrebbe commesso un delitto se qualcuno si fosse avvicinato a Olimpia per chiederle unballo. Ciò avvenne due volte: ma con sua grande meraviglia Olimpia rimase a sedere ed egli non mancòdi invitarla ogni volta. Se Nataniele, oltre la bella Olimpia, fosse stato in grado di osservare qualcosad’altro, sarebbe certo sorto qualche litigio inevitabile; giacché le sommesse risate a stento represse che silevavano tra i giovanotti qua e là nella sala erano evidentemente dirette a Olimpia che essi seguivano constrane occhiate, non si sa perché. Eccitato dalla danza e dall’abbondante vino, Nataniele aveva messo daparte la sua solita timidezza. Sedette presso Olimpia, la mano nella mano, e le parlava estasiato del suoamore con parole che nessuno capiva, né lui né Olimpia. Quest’ultima forse sì; giacché lo guardava negliocchi continuamente sospirando «Ah, ah, ah», e subito Nataniele esclamava: «Donna sublime e divina,raggio della terra promessa dell’amore, tu, anima profonda in cui si specchia tutto il mio essere...» e altrecose simili, ma Olimpia semplicemente e continuamente sospirava: «Ah, ah».

Il professor Spallanzani passò alcune volte davanti ai due fortunati e sorrise loro, stranamentesoddisfatto. A Nataniele pareva, per quanto si muovesse in un altro mondo, che lì, dal professorSpallanzani, si facesse buio; guardò attorno a sé e non senza spavento notò che le due ultime candelefinivano di consumarsi e stavano per spegnersi. Da lungo tempo ormai le danze e la musica eranocessate. «Lasciarsi, lasciarsi» gridò disperato; baciò la mano di Olimpia, si chinò sulla sua bocca e le suelabbra ardenti incontrarono le gelide labbra di lei. Come quando aveva toccato la fredda mano diOlimpia, così ora fu preso da un brivido di terrore e la leggenda della sposa morta gli attraversò di colpola mente: ma Olimpia lo aveva stretto a sé e le labbra parvero riscaldarsi a nuova vita.

Il professor Spallanzani attraversò lentamente la sala vuota, i suoi passi rimbombarono, la sua figura,presa nel gioco di vacillanti battiti d’ombre, aveva i paurosi tratti spettrali.

«Mi ami, Olimpia, mi ami... solo questa parola... mi ami?» così sussurrava Nataniele mentre Olimpiasospirava soltanto: «Ah, ah...».

«Sì, sì, mio soave astro d’amore» disse Nataniele «tu sei sorta per me e tu mi illuminerai, trasfigureraisempre la mia anima.»

«Ah... ah...» replicava continuamente Olimpia, mentre si avviava. Nataniele la seguì e si trovaronodinanzi al professore.

«Si è trattenuto molto volentieri con mia figlia» disse questi ridendo. «Bene, bene, caro signor Nataniele,se ci trova gusto a parlare con questa sciocca ragazza, ogni sua visita sarà sempre bene accetta.»

Page 15: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Con tutto un raggiante firmamento di stelle nel petto, Nataniele prese congedo. Nei giorni successivi, lafesta di Spallanzani fu oggetto di tutti i discorsi. Nonostante Spallanzani avesse fatto di tutto per appariresplendido, le teste allegre riuscivano a raccontare ogni sorta di sconvenienze e di stravaganze cheavevano notato e soprattutto ebbero modo di criticare quella mummia di Olimpia, alla quale, malgrado labellezza esteriore, attribuivano una stupidità totale, e proprio questa sarebbe stata la ragione per cuiSpallanzani l’aveva così a lungo celata. Nataniele ascoltava queste cose non senza crucciarsi, ma tacevae pensava: «Vale forse la pena di mostrare a questi giovanotti che è proprio la loro stupidità che gliimpedisce di comprendere la profonda e stupenda anima di Olimpia?».

«Fammi il piacere, fratello» disse un giorno Sigismondo. «Fammi il piacere, ma dimmi un po’ come èpossibile che un tipo così in gamba come te si sia perduto dietro a un simile viso di cera, a una pupattoladi legno!»

Nataniele trasportato dall’ira stava per scattare, ma subito si contenne e disse: «Dimmi un po’,Sigismondo, come è potuto sfuggire al tuo sguardo che sa vedere le cose belle, alla tua mente cosìaperta, il fascino celestiale di Olimpia? Ma stando così le cose, grazie al cielo, non ho in te un rivale:altrimenti uno di noi due dovrebbe soccombere».

Sigismondo, considerando a che punto stavano ormai le cose, abilmente cambiò rotta e, dopo averdetto che in amore non bisogna mai discutere, aggiunse: «Però è curioso che molti di noi abbianoespresso gli stessi giudizi su Olimpia. Non prendertela, fratello, ma a noi è apparsa stranamente rigida epriva di vita. Certo, la statura è regolare come pure il viso. E potrebbe anche passare per bella se il suosguardo non fosse come inanimato, oserei dire, senza capacità visiva. Il suo incedere è troppo misurato,ogni suo gesto sembra regolato da una carica di orologeria. Quando suona, quando canta, segue proprioil ritmo spiacevole privo di anima, di una macchina, altrettanto si dica quando danza. Questa Olimpia ciha fatto paura. Non volevamo avere niente a che fare con lei; ci sembrava che essa cercasse dicomportarsi come una creatura viva, ma che sotto ci fosse qualche mistero».

Nataniele non si lasciò prendere da quell’amarezza che gli potevano arrecare le parole di Sigismondo, sipadroneggiò e rispose quindi solamente: «Certo, a voi gente fredda e prosaica può essere che Olimpiafaccia paura. Solo all’anima poetica può schiudersi l’anima gemella. Io solo colsi il suo sguardo amorosoche mi illuminò anima e pensieri, solo nell’amore di Olimpia ritrovo il mio vero io. A voi non sembreràgiusto che essa, come le altre anime superficiali, si effonda in una piatta conversazione. Essa parla poco,è vero; ma queste poche parole appaiono come l’essenziale geroglifico del suo mondo interiore, pienod’amore e di grande comprensione della vita spirituale nell’intuizione dell’aldilà. Ma per tutto questo voinon avete nessuna comprensione, sono parole perdute, per voi».

«Dio ti protegga, amico e fratello» disse Sigismondo molto dolcemente, quasi dolorosamente «ma misembra che tu sia su una cattiva strada. Puoi contare su di me nel caso che tutto... ma non voglio direaltro.»

Improvvisamente Nataniele ebbe l’impressione che il freddo e prosaico Sigismondo gli fosse moltofedele e perciò strinse calorosamente la mano che l’amico gli aveva offerto.

Nataniele aveva del tutto dimenticato che nel mondo ci fosse una Clara che egli aveva amato; la mamma,Lotario, tutto era svanito dalla sua memoria, egli viveva solo per Olimpia, presso la quale ogni giorno perore intere sedeva, fantasticando del suo amore, dell’ardente e viva simpatia dell’affinità elettiva, tutte coseche Olimpia ascoltava con grande devozione. Dal fondo di una scrivania Nataniele tirò fuori tutto quelloche aveva scritto. Poesie, fantasie, visioni, romanzi, racconti, a cui bisogna aggiungere sonettiquotidianamente improvvisati, stanze e canzoni che egli per ore e ore leggeva a Olimpia senza stancarsi.E veramente non aveva mai avuto una simile ascoltatrice. Essa non ricamava, non faceva la calza, non

Page 16: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

guardava dalla finestra non dava da mangiare all’uccellino, non giocava con il cagnolino in grembo, nonaveva il suo gatto preferito, non rigirava nelle mani pezzetti di carta o altro, non doveva scacciare losbadiglio con una tossettina appena forzata, in breve, per lunghe ore rimaneva rigida con gli sguardi fissinegli occhi dell’amato, senza voltarsi, senza muoversi, e quello sguardo diventava sempre più vivo,sempre più ardente. Solo quando alla fine Nataniele si alzava e le baciava la mano e anche le labbra essadiceva: «Ah! Ah!» o anche «Buona notte, mio caro».

«Anima splendida e profonda» esclamava Nataniele, quando era nella sua camera «solo tu, solo tu micomprendi veramente.» Egli tremava rapito, quando pensava a quella meravigliosa armonia che ognigiorno di più si manifestava tra la sua anima e quella di Olimpia, perché gli sembrava che Olimpia avesseparlato dal profondo dell’animo di lui su quelle opere, sulle sue facoltà poetiche, anzi che la voce stessafosse uscita dal proprio cuore. E doveva certo essere così; giacché Olimpia non diceva mai più di quelloche ho riferito. Se poi Nataniele in certi momenti lucidi, per esempio alla mattina, subito dopo la sveglia,si ricordava della assoluta passività di Olimpia e della sua taciturnità, allora esclamava: «Che cosa sonomai le parole? Lo sguardo dei suoi occhi divini dice molto più di ogni discorso. Può forse una creaturadel cielo depositarsi entro la cerchia ristretta che i quotidiani bisogni terreni hanno tracciato?».

Il professor Spallanzani sembrò oltremodo felice dei rapporti di sua figlia con Nataniele, al quale delresto dava molte prove di benevolenza, e quando Nataniele, alla fine, trovò il coraggio di alludere a unpossibile matrimonio, il viso gli si illuminò e disse che lasciava pienamente libera sua figlia di scegliere.

Incoraggiato da queste parole, ardente di desiderio, Nataniele decise di implorare già il giorno seguenteOlimpia, perché francamente e chiaramente essa gli dicesse ciò che già da lungo tempo il suo sguardoamoroso aveva detto, che essa cioè desiderava essere sua per sempre. Cercò l’anello donatogli dallamadre al momento del commiato, per donarlo a Olimpia, quale simbolo della sua devozione, dellapropria vita rigermogliata in lei. Gli capitarono fra le mani le lettere di Clara e di Lotario: indifferentementele mise da parte, trovò l’anello, se lo mise in tasca e corse da Olimpia.

Ma già sulle scale, dal vestibolo, udì uno strano fracasso; pareva che venisse dallo studio di Spallanzani.Un pestare... un urtare... un tintinnare... colpi contro la porta e bestemmie e maledizioni.

«Lascia andare... lascia andare... infame... maledetto... per questo ci avevo messo anima e corpo!... ah,ah, ah, ah... non avevamo scommesso così... io, io ho fatto gli occhi... io l’orologeria... al diavolo con latua orologeria... maledetto cane d’un orologiaio... via da me... Satana... ferma... maledetto burattinaio...bestia infernale... ferma... via... lascia andare!»

Erano le voci di Spallanzani e dell’odioso Coppelius che si intrecciavano furibonde. Nataniele siprecipitò dentro, preso da un’indicibile angoscia. Il professore aveva afferrato per le spalle una figurafemminile, l’italiano Coppola per i piedi e la tiravano e la stiracchiavano qua e là lottando furiosamenteper il possesso. Come vi riconobbe Olimpia Nataniele diede un balzo all’indietro; avvampando di collerafece per strappare la donna amata a quei due pazzi, ma in quel momento Coppola con tutte le sue forzestrappò la figura femminile dalle mani del professore e con essa gli menò un colpo tremendo facendolobarcollare e cadere all’indietro sul tavolo, dove stavano fiale, storte, bottiglie e tubi di vetro: tutto questomateriale andò in frantumi. Coppola caricò la figura sulle spalle e corse via, giù, per le scale con unarisata orribile, mentre i piedi penzolanti della figura sbatacchiavano e rintronavano sui gradini della scalacon rumore di legno.

Nataniele rimase impietrito... aveva visto troppo bene che il volto di cera di Olimpia, pallido come lamorte, non aveva occhi: al loro posto caverne buie. Era una bambola senza vita.

Spallanzani si dimenava per terra, schegge di vetro gli avevano tagliuzzato il capo, il petto e le braccia e il

Page 17: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

sangue gli scorreva fuori come da una polla d’acqua. Ma raccolte tutte le sue forze gridò: «Corriglidietro... corrigli dietro cosa aspetti?... Coppelius... Coppelius mi ha rubato il mio miglior automa... ci holavorato vent’anni... ci ho messo anima e corpo... l’orologeria... la parola... i passi... mio, tutto mio... gliocchi... gli occhi rubati a te... dannato... maledetto, corrigli dietro... va’ a prendergli Olimpia... prenditi ituoi occhi».

E Nataniele vide un paio di occhi sanguinanti sul pavimento che lo fissavano; Spallanzani li afferrò con lamano illesa e glieli scagliò contro colpendolo sul petto.

La follia allora lo attanagliò con artigli roventi e gli penetrò profondamente nell’anima, dilaniandogli lamente e il pensiero.

«Hu, hu, hu... cerchio di fuoco... cerchio di fuoco... gira, cerchio di fuoco... allegro... allegro... bamboladi legno, hu, bella bambola di legno, gira...» E si scagliò contro il professore e lo strinse alla gola. Loavrebbe strangolato se tutto quel fracasso non avesse richiamato molta gente che afferrò l’impazzitoNataniele, sottraendogli il professore che fu subito medicato. Sigismondo per quanto forte non riusciva atener fermo il forsennato che continuava a gridare con voce orribile: «Bambola di legno, gira, gira» eroteava i pugni.

Infine, unite tutte le forze, riuscirono a sopraffarlo e, gettatolo a terra, a legarlo. Le sue parole sitrasformarono in mugolii bestiali. E così pazzo furioso fu portato al manicomio.

Prima che io, benevolo lettore, continui a narrare cosa avvenne in seguito dell’infelice Nataniele, nel casotu voglia sapere qualcosa dell’abile meccanico e fabbricatore di automi Spallanzani, posso assicurarti cheguarì perfettamente dalle sue ferite. Egli dovette però lasciare l’università, perché la storia di Natanieleaveva suscitato un vero scalpore e tutti considerarono un trucco illecito quello di aver barattato presso icircoli intellettuali, che Olimpia aveva frequentato con molta fortuna, una persona viva con una bamboladi legno. I giuristi vi trovarono una truffa sottile e tanto più condannabile in quanto diretta contro ilpubblico e organizzata con tanta furberia che nessuno (eccettuato qualche studente intelligente) se n’eraaccorto, benché ora tutti facessero i saccenti e si richiamassero a molti fatti che a loro erano sembratisospetti. Ma questi particolari non mettevano in chiaro nulla di decisivo. Come infatti poteva destaresospetto il fatto che, secondo l’affermazione di un elegante frequentatore di quei tè, Olimpia aveva piùspesso starnutito che sbadigliato? Lo starnuto, opinava l’elegantone, era stato semplicemente la caricaautomatica del meccanismo nascosto; la si era sentita stridere ecc. Il professore di poesia e di eloquenzaannusò una presa di tabacco, chiuse la tabacchiera, si schiarì la gola e parlò solennemente: «Moltorispettabili signore e signori, non vedete dunque dove sta il busillis? Tutto quanto è una allegoria, unametafora tirata un po’ in lungo! Voi mi capite!Sapienti sat ». Ma molti signori rispettabili non sifermarono a questo, la storia dell’automa aveva messo profonde radici nel loro cuore e infatti in loro siinsinuò una paurosa diffidenza verso tutte le figure umane. Per essere completamente persuasi chel’amata non fosse una bambola di legno, si pretese da parte di molti innamorati che essa cantasse,suonasse qualcosa non a tempo e che durante le letture ricamasse, facesse la maglia, giocasse con ilcagnolino ecc., ma che soprattutto non stesse soltanto ad ascoltare, bensì qualche volta parlasse in modoperò che il loro discorso desse prova di intelligenza e di sensibilità. Per molti il legame di amore divennepiù saldo e più piacevole, per altri invece lentamente si dissolse.

«Veramente è difficile garantire»... diceva questo o quello. Durante i tè si sbadigliava incredibilmente emai si starnutiva per non destare sospetti. Come abbiamo detto, Spallanzani andò via al fine di evitare unprocesso per aver introdotto con truffa un automa nella società umana. Anche Coppola scomparve.

Nataniele si destò da un sonno grave e pauroso, aprì gli occhi e si sentì scorrere dentro un’indescrivibilesensazione di dolcezza e un tepore dolce e paradisiaco. Era a letto nella propria camera della casa

Page 18: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

paterna, Clara era china su di lui e vicino c’erano la mamma e Lotario.

«Finalmente, finalmente, mio caro Nataniele, ora sei guarito da una grave malattia, ora sei nuovamentemio!» disse Clara dal profondo dell’anima stringendo Nataniele nelle sue braccia. E dagli occhi di luisgorgarono lacrime ardenti di malinconia e di gioia mentre sospirava: «Mia... mia Clara!».

Entrò Sigismondo, che era stato fedelmente vicino all’amico nella sventura, e Nataniele gli porse la manodicendo: «Tu, fedele fratello, non mi hai dunque abbandonato».

Ogni segno di pazzia era dunque svanito e ben presto Nataniele con le affettuose cure della madre,dell’amata e dell’amico riprese le forze. Intanto la fortuna era rientrata in casa; un vecchio zio spilorciodal quale non si era mai sperato nulla era morto e aveva lasciato alla mamma un patrimonio nonindifferente e un piccolo podere in una località amena nei pressi della città. Là dovevano trasferirsi lamadre, Nataniele con la sua Clara che ora avrebbe sposato, e anche Lotario. Nataniele era diventato piùdolce, come un bambino, e solo ora aveva potuto conoscere l’anima pura, buona, celestiale di Clara.Nessuno più gli ricordava il passato, neanche attraverso il più lieve accenno. Solamente quandoSigismondo prese congedo, Nataniele gli disse: «Sul serio, fratello, ero veramente sulla cattiva strada, maun angelo seppe guidarmi a tempo sul sentiero della luce. È stata Clara». Sigismondo non lo lasciòcontinuare, preoccupato che risorgessero in lui troppo vividi i ricordi che potevano fargli del male.

Venne il tempo in cui i quattro felici esseri dovevano trasferirsi nel piccolo podere. A mezzogiornostavano attraversando la città. Avevano fatto molti acquisti, l’alta torre del municipio gettava la sua ombragigantesca sopra la piazza del mercato.

«Oh» disse Clara «saliamo ancora una volta lassù, a vedere i monti lontani.» Detto e fatto, Nataniele eClara salirono sulla torre, la mamma andò a casa con la domestica, e Lotario, che non si sentiva di saliretanti gradini, aspettò giù. Ed ecco i due innamorati a braccetto sul più alto ballatoio della torre, guardareverso le foreste profumate, dietro le quali si elevavano come una città di giganti le montagne azzurrine.

«Guarda, guarda quel piccolo strano cespuglio grigio che sembra camminare verso di noi» disse Clara.

Nataniele infilò meccanicamente una mano in tasca; vi trovò il cannocchiale di Coppola e guardò... Claraera davanti al cannocchiale. I suoi polsi e le sue vene ebbero un moto convulso, pallido come la mortefissò Clara, ma all’improvviso torrenti di fuoco divamparono e ribollirono attraverso i suoi occhi, mugghiòpaurosamente come una bestia inseguita; si mise poi a saltare e fra orribili risate gridava con vocetagliente: «Bambola di legno, gira... gira, bambola di legno... gira, gira...». E afferrò con forza tremendaClara per buttarla giù, ma essa si avvinghiò in una disperata angoscia mortale alla ringhiera. Lotario udì ilpazzo strepitare, udì il grido d’angoscia di Clara, ebbe terribili presentimenti, corse su, la porta delsecondo piano era sprangata... Sempre più disperate risuonavano le grida di Clara. Pazzo di rabbia e diterrore si scagliò contro la porta che finalmente cedette. La voce di Clara diventava ora sempre piùfievole: «Aiuto... salvatemi... salvatemi...» e la sua voce moriva nell’aria.

«Ormai è perduta... assassinata da quel pazzo di Nataniele» così gridava Lotario. Anche la porta delballatoio era chiusa. La disperazione gli diede una forza gigantesca e riuscì a scardinare la porta. Dio delcielo! Clara stretta da quel pazzo di Nataniele era sospesa nell’aria oltre la ringhiera. Solo ancora conuna mano si teneva avvinghiata. Rapido come il baleno Lotario afferrò la sorella, la tirò dentro e nellostesso tempo colpì con un pugno in viso quel pazzo furioso che cadendo all’indietro lasciò andare lapreda.

Lotario corse giù con la sorella svenuta fra le braccia. Era salva.

Page 19: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Ora Nataniele correva su e giù per il ballatoio e spiccava alti salti gridando: «Cerchio di fuoco, gira...gira... cerchio di fuoco...». Parecchie persone accorsero a quelle grida selvagge: tra loro emergeva ilgigantesco avvocato Coppelius, che da poco era venuto in città e si era direttamente recato in piazza.Volevano salire per prendere quel pazzo, ma Coppelius ridendo disse: «Ah, ah, aspettate pure che vengagiù da solo!» e guardò, come gli altri, per aria. Nataniele improvvisamente rimase come paralizzato, sisporse in fuori, vide Coppelius e con un acuto grido «Oh, gli occhi belli... gli occhi belli» saltò oltre ilparapetto.

Quando Nataniele giacque sul selciato con la testa sfracellata Coppelius era già sparito nella confusionedella calca.

Si racconta che dopo parecchi anni Clara sia stata vista in una lontana località, seduta davanti alla portadi una bella casa di campagna con le mani tra quelle di un uomo simpatico mentre davanti a lei giocavanodue vispi bambini. Si dovrebbe concludere che Clara riuscì ancora a trovare quella tranquilla felicitàdomestica che era proprio l’aspirazione del suo animo sereno e vivace e che a lei Nataniele, straziatonell’anima, non avrebbe mai potuto offrire.

LE AVVENTURE DELLA NOTTEDI S. SILVESTRO

L’amante

Avevo la morte, la gelida morte nel cuore, anzi dal più profondo del cuore sembrava che appuntitighiaccioli si conficcassero nei nervi percorsi da correnti di fuoco.

Come un disperato, dimenticando cappello e mantello, mi precipitai fuori nelle tenebre della nottetempestosa.

Le banderuole delle torri cigolavano, era come se il tempo muovesse sensibilmente il suo eterno epauroso ingranaggio e subito il vecchio anno precipitasse nel tenebroso abisso, come un grave e oscuropeso.

Tu sai che queste giornate di Natale e Capodanno, che per voi tutti sorgono nella più limpida gioia, mitolgono dalla pacifica clausura, per scagliarmi in un mare agitato e fragoroso.

Natale! Questa è una festa che vedo risplendere da lontano di luce amica: sono ansioso che arrivi,divento più buono, più semplice di quello che sono durante tutto l’anno, il mio cuore aperto alle gioiecelestiali non accoglie in sé alcun pensiero oscuro e cattivo, sono come un ragazzo che manda grida digioia. Dagli intarsi colorati e dorati delle vetrine illuminate mi sorridono dolci visi d’angelo e attraverso lafolla rumorosa, per le strade, come se venissero da molto lontano, passano note d’organo che sembranodire «un bimbo è nato».

Ma dopo la festa tutto dilegua, nella torbida oscurità i bagliori si spengono. Ogni anno, sempre piùnumerosi cadono fiori appassiti; il loro germe si estingue per sempre, nessun sole primaverile accende unanuova vita sui rami secchi.

Questo io lo so, ma la potenza nemica, quando l’anno volge alla fine, me lo mette continuamente dinanziagli occhi con gioia maligna. «Guarda» mi sento sussurrare all’orecchio «guarda quante gioie quest’annose ne sono andate da te, gioie che non ritorneranno mai più, ma in compenso sei diventato più saggio enon sei più tanto attaccato alla vile allegria, diventi un uomo sempre più saggio... del tutto senza gioie.»

Page 20: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Per la sera di S. Silvestro, poi, il diavolo mi prepara sempre una festa veramente speciale. Proprio almomento buono, lui sa, con terribile scherno, penetrare dentro il mio cuore con acuti artigli e si pasce delsangue che ne stilla. E trova sempre chi lo aiuta. Proprio ieri il consigliere di giustizia gli ha datobravamente una mano. Nella casa di questi (intendo il consigliere) la sera di S. Silvestro si radunanosempre numerosi invitati e per ciascuno egli prepara una sorpresa, ma combina le cose in modo cosìpoco abile, che ogni scherzo ideato con tanta fatica naufraga sempre in una pietosa desolazione.

Appena entrai nell’anticamera, il consigliere di giustizia mi venne incontro in tutta fretta per impedirmi dientrare nel santuario, da cui emanavano il vapore del tè e sottili profumi. Aveva un’aria furba ecompiaciuta e ridendo in modo strano mi disse: «Amico mio, in quella stanza vi aspetta qualcosa dispeciale... una sorpresa straordinaria in questa notte di S. Silvestro... solo non spaventatevi!».

Queste parole mi caddero pesantemente nel cuore, oscuri presagi affiorarono e fui pieno di timore e diangoscia. Si aprirono le porte, rapido avanzai, entrai dentro, ed ecco, sul sofà in mezzo alle signore micolpì la radiosa figura di lei. Era lei, proprio lei che da anni non avevo più visto e gli istanti più felici dellamia vita si riaccesero nella mia anima in un unico fascio luminoso. Non più la perdita definitiva, distrutto ilpensiero della separazione! Per quale meraviglioso caso fosse venuta lì, quale avvenimento l’avesseportata tra gli invitati del consigliere di giustizia, che ignoravo l’avesse mai conosciuta... A tutto questonon pensavo: l’essenziale era averla ritrovata. Quasi vittima di un incantesimo, dovevo essere rimasto lì,immobile. Il consigliere di giustizia mi toccò leggermente: «E allora, amico, amico mio?».Meccanicamente avanzai, ma vedevo solo lei e dal cuore angosciato faticosamente affiorarono questeparole: «Mio Dio, mio Dio, Giulia, qui?».

Ero accanto alla tavola da tè quando Giulia si rese conto della mia presenza. Si alzò e in tono quasiassente: «Sono felice di vederla qui» disse «la trovo molto bene». Detto questo sedette di nuovo e chiesealla signora che le stava accanto: «La prossima settimana ci sarà qualcosa di bello a teatro?».

Tu ti avvicini al fiore meraviglioso che ti illumina con il suo dolce, familiare profumo, ma appena ti chiniper vedere più da vicino il suo delizioso volto, ecco che dai suoi petali luminosi scatta fuori il freddo eliscio basilisco che ti vuole uccidere con i suoi sguardi ostili. Proprio questo era successo a me.

Goffamente feci un inchino alle signore e per aggiungere al veleno anche il ridicolo, urtai, nel ritrarmi, ilconsigliere che stava dietro di me e così la tazza fumante di tè dalla mano gli si riversò sullo sparatoelegantemente pieghettato. Tutti risero per l’incidente del consigliere, ma ancor più per la miabalordaggine. Era l’occasione buona per fare una pazzia, ma mi chiusi in una specie di rassegnatadisperazione. Giulia non aveva riso e il mio sguardo perso la incontrò e fu come se un raggio di luce mivenisse dal passato radioso, da una vita piena di amore e di poesia.

In quel momento nella stanza vicina qualcuno incominciò a suonare il pianoforte; tutti gli invitati simossero. Si diceva che fosse un grande virtuoso, di nome Berger, che suonava divinamente e che perciòbisognava assolutamente ascoltarlo. «Mina, non sbattere in quel modo i cucchiaini» esclamò il consiglieree con cortese gesto di mano indicò la porta, poi, con un delicatoeh bien , pregò le signore di avvicinarsial pianista. Anche Giulia si era alzata e lentamente si dirigeva verso la stanza. Tutta la sua figura avevaqualcosa di strano: mi sembrò più grande, più formosa, più bella del solito. Il particolare taglio del suoricco abito bianco che le copriva per metà il seno, le spalle e il collo, e le cui ampie maniche a sbuffoarrivavano sino al gomito, i capelli divisi sulla fronte e raccolti sulla nuca in numerose trecce legate insiemele conferivano un non so che di antico: sembrava una di quelle giovani donne ritratte da Mieris e tuttaviaavevo l’impressione di aver già visto altrove la persona in cui Giulia si era trasformata. Si era tolta iguanti; non mancavano neppure attorno ai polsi gli artistici braccialetti per rendere perfetta l’identità conl’immagine della mia memoria e quindi sempre più vivido e colorito quel vago ricordo.

Page 21: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Prima di passare nella stanza vicina Giulia si voltò verso di me e mi parve che quel viso angelico,graziosamente giovanile, fosse atteggiato a scherno: fu per me una sensazione terribile, come se unbrivido mi percorresse i nervi. «Suona divinamente» sussurrò una signorina entusiasmata dal tè dolce, enon so come, me la trovai a braccetto e la condussi, o meglio fui condotto da lei, nella stanza. Proprioallora Berger si abbandonava a un vero uragano di note: come tonanti marosi s’innalzavano es’inabissavano i potenti accordi e ciò mi faceva bene. A un tratto Giulia mi si avvicinò, e mi parlò convoce più che mai dolce e soave: «Vorrei che tu sedessi al pianoforte e cantassi con dolcezza di speranzee piaceri passati».

Il nemico si era allontanato e in quel solo nome, Giulia, avrei voluto esprimere tutta la beatitudinecelestiale che era entrata in me. Ma altre persone si intromisero e la allontanarono da me. Ora essaevidentemente mi evitava, ma io riuscivo a volte a toccarle l’abito, a volte stretto vicino a lei a respirare ilsuo alito. E così per me rinasceva l’antica primavera con tutti i suoi mille colori rilucenti. Berger avevalasciato che l’uragano di note si placasse, il cielo era di nuovo limpido, dolci melodie, come piccolemattutine nubi dorate, si levavano e si smorzavano nel pianissimo. Meritatamente il virtuoso ricevette isuoi applausi, gli invitati si confusero tra loro e fu così che, all’improvviso, mi trovai accanto a Giulia. Ilcoraggio crebbe in me, volevo trattenerla per stringerla nel mio folle e sofferente amore ma il viso odiosodi un cameriere indaffarato si intromise fra noi due e porgendo un grande vassoio con voce stridula disse:«Desiderano?».

In mezzo a bicchieri pieni di un punch fumante c’era una coppa graziosamente sfaccettata, colma,sembrava, della stessa bevanda. Come sia capitata tra quei bicchieri, lo sa soprattutto colui che stoimparando a conoscere; egli fa come Clemente nell’Ottavianoche mentre cammina disegna con un piedeghirigori piacevoli a vedersi e soprattutto ama le mantelline e le piume rosse. Giulia prese questa coppasfaccettata che mandava strane iridescenze e me la offrì dicendo: «Accetti ancora così volentieri comeuna volta la coppa dalle mie mani?». «Giulia, Giulia» sospirai. Nel prendere la coppa le toccai le ditadelicate, scintille elettriche guizzarono attraverso i miei polsi e le mie vene... Bevvi e bevvi, e mi sembròche piccole fiammelle azzurre crepitassero alitando intorno alla coppa e sulle labbra. La coppa era vuotae io, non so come, mi trovai seduto su una ottomana del salottino illuminato da un’unica lampada dialabastro. Giulia... Giulia era accanto a me e mi guardava come una volta, buona e semplice. Berger eradi nuovo al pianoforte, suonava l’andante della sublime sinfonia di Mozart in mi bemolle maggiore e sulleali di cigno del canto si risvegliò tutto l’amore e il desiderio della mia vita più eletta.

Sì, era Giulia, proprio Giulia, dolce e angelica... erano i nostri discorsi, il nostalgico canto d’amore, piùsguardi che parole, e la sua mano riposava nella mia. «Ora non ti lascio più, il tuo amore è la scintilla chearde in me, accendendo una forma più alta di vita, fatta di arte e di poesia. Senza dl te... senza il tuoamore, ogni cosa è morta e fredda, ma tu non sei forse venuta per rimanere per sempre con me?»

In quel momento entrò barcollando una figura goffa, dalle gambe di ragno, con gli occhi sporgenti dirana, e gracchiando e ridendo in modo stupido disse: «Dove diavolo è andata a finire mia moglie?».Giulia si alzò e con voce assente disse: «Torniamo tra gli invitati? Mio marito mi cerca. Siete statoveramente piacevole, mio caro; sempre in vena, come una volta: soltanto sorvegliatevi nel bere...». E quelbel tomo dalle gambe di ragno la prese per mano. Essa lo seguì ridendo in sala.

«Perduta per sempre» gridai io.

«Certo, certo, bello mio» belò un bestione che giocava ahombre. Fuori... fuori, mi precipitai nella nottetempestosa.

I compagni di birreria

Page 22: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Passeggiare su e giù per la Unter den Linden può anche essere piacevole, ma non nella notte di S.Silvestro, con quel freddo pungente e sotto un uragano di neve. Me ne accorsi io che ero senza cappelloe senza mantello, quando gelidi brividi di febbre mi assalirono. Attraversai il ponte dell’Opera, passaidinanzi al castello, piegai, attraversai il ponte delle Chiuse all’altezza della Zecca. Mi trovavo ora nellaJagerstrasse proprio vicino al negozio di Thiermann. Qui luci invitanti erano accese; stavo per entrare,perché avevo un gran freddo e desideravo sorbirmi un sorso di qualche bevanda forte, quando ne uscìfuori un’allegra compagnia. Parlavano di ostriche squisite e dell’ottimo vino dell’undici. «Aveva benragione quel tale» disse uno di loro che alla luce di un fanale mi parve un ufficiale degli ulani «aveva benragione quel tale, che l’anno scorso a Magonza insultava quei dannati che nell’anno 1794 non volleroassolutamente tirare fuori il vino dell’undici.» Tutti si misero a ridere a piena gola. Intanto io,involontariamente, fatti alcuni passi, mi trovai dinanzi a una birreria dalla quale trapelava un filo di luce.L’Enrico shakespeariano non si trovò forse anche lui una volta tanto spossato e demoralizzato daricorrere a una povera birra leggera? A me successe la stessa cosa. La mia gola desiderava avidamenteuna bottiglia di buona birra inglese. Entrai in fretta.

«Il signore desidera?» mi venne incontro l’oste togliendosi gentilmente il berretto. Ordinai una bottiglia dibirra inglese e poi una pipa di buon tabacco e mi trovai subito in un tale stato di euforia filistea, a cuineppure il diavolo mancò di rispetto e mi lasciò stare. O consigliere di giustizia, se tu mi avessi vistopassare dai tuoi saloni illuminati a quella fumosa birreria, avresti certo con orgoglioso disprezzo voltoaltrove la tua bella faccia e mormorato: «C’è forse da meravigliarsi che un simile individuo rovini glisparati più belli?».

Senza cappello e senza mantello dovevo avere un aspetto piuttosto strano. E già l’oste era sul punto difarmi una domanda, quando qualcuno bussò alla finestra e una voce dall’esterno gridò: «Aprite, aprite!Sono io!». L’oste corse fuori e tornò subito di nuovo, tenendo alzate due candele accese, accompagnatoda un uomo alto e slanciato. Dimenticando di piegarsi, questi batté piuttosto in malo modo la testa control’arcata della porta molto bassa; ma il berretto nero che portava gli impedì di farsi male. Con un modotutto suo, si spostò lungo le pareti e si sedette di fronte a me, mentre le candele venivano posate sultavolo. Si sarebbe potuto dire che era una persona distinta, ma inquieta. Con aria seccata ordinò birra etabacco e con poche boccate sollevò un tale fumo che presto ci sembrò di nuotare in una nuvola. Avevaperò un viso così espressivo e attraente che mi fu subito simpatico, nonostante quell’aria truce. Gliabbondanti capelli neri erano divisi nel mezzo e ricadevano ai due lati del capo in una cascata di riccioli,rendendolo simile a un personaggio di Rubens. Toltosi il mantello, vidi che portava unakurtka nera conmolti alamari, ma quello che mi meravigliò fu che sopra gli stivali si era infilato un paio di graziosepantofole: lo notai nel momento in cui puliva la pipa che si era fumato in cinque minuti. La nostraconversazione non fu certo facile, perché lo straniero sembrava molto occupato a esaminare tuttocompiaciuto varie specie di piante rare che aveva tolto da una scatoletta. Gli espressi la mia meravigliaper quelle belle piante e chiesi, poiché sembravano colte recentemente, se era stato all’Orto Botanico oda Boucher. Egli sorrise in modo piuttosto strano e rispose: «La botanica non sembra essere la vostraspecialità, altrimenti non mi avreste fatto una domanda simile...». S’interruppe e io, mogio mogio,sussurrai: «... sciocca». «Proprio» continuò egli cordialmente. «Avreste dovuto capire alla prima occhiatache si tratta di piante alpine, e precisamente di quelle che crescono sul Chimborazo.» Pronunciò questeultime parole a voce bassa come parlando a se stesso, e puoi ben immaginare la mia meraviglia. Ognialtra domanda mi morì sulle labbra; ma sempre più in me crebbe la sensazione, non solo di avere visto giàaltre volte quello straniero, ma di avervi anche pensato.

Di nuovo si sentì battere alla finestra, l’oste andò ad aprire e si udì una voce esclamare: «Per favore,coprite lo specchio».

«Ah» fece l’oste «il generale Suvarov arriva ancora in ritardo!» L’oste coprì lo specchio ed ecco entraredentro, con velocità goffa, svelto, direi, nonostante la pesantezza del movimenti, un ometto magro avvolto

Page 23: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

in un mantello di uno strano marrone, che, mentre egli saltellava qua e là, gli si agitava intorno in millepighe, in modo tale che alla luce delle candele sembrava che più persone si unissero e si separassero,come nelle fantasmagorie di Enslen. Poi si fregava le mani nascoste nelle ampie maniche e diceva: «Chefreddo, che freddo! In Italia è tutt’altra cosa!». Alla fine sedette tra me e lo spilungone dicendo: «Chefumo terribile... tabacco per tabacco, vorrei averne anch’io una presa».

Portavo con me la tabacchiera d’acciaio lucido, quella che tu un giorno mi regalasti: la trassi fuori e feciper offrirla all’ometto. Appena egli la vide vi mise sopra tutte e due le mani e la respinse esclamando:«Via, via, quell’orrendo specchio!». La sua voce aveva qualcosa di spaventoso e vidi meravigliato cheera diventato un altro uomo. Era entrato con un viso giovanile e piacente, ma ora mi guardava fisso,pallido come la morte, con il volto avvizzito di un vecchio dagli occhi infossati. Atterrito mi rivolsi all’altro:«In nome del cielo, guardi dunque!» ero sul punto di dire, ma questi non vi fece caso, immerso come eranelle sue piante del Chimborazo, e in quel momento il piccolo ordinò quasi leziosamente: «Vino delNord». A poco a poco la conversazione riprese. L’ometto mi dava un’impressione poco rassicurante,quello alto, invece, sapeva dire cose profonde e piacevoli su argomenti apparentemente meschini, perquanto sembrasse in difficoltà nell’esprimersi e talvolta vi cacciasse dentro delle parole improprie; il cheperò dava alla cosa una certa buffa originalità, sicché egli, familiarizzandosi sempre più con me, finiva conl’attenuare l’impressione cattiva che avevo dell’ometto. Questi sembrava mosso da molle, non stava unmomento fermo sulla sedia, gesticolava con tutte e due le mani e quando mi resi chiaramente conto cheguardava con due diversi volti, mi sentii scorrere un brivido di freddo attraverso i capelli, giù per laschiena. Generalmente egli guardava l’uomo alto, la cui calma contrastava con lo stato di agitazionedell’ometto, con il suo volto da vecchio; non certo però nel modo spaventevole con cui aveva guardatome.

Nella mascherata della vita terrena il nostro spirito, proprio come attraverso una maschera, spessoguarda con occhi acuti, e riconosce ciò che gli è affine e perciò può darsi benissimo che noi tre, estraneifino a un momento prima, in quella birreria ci fossimo guardati e riconosciuti. La nostra conversazioneprese quel tono sarcastico che caratterizza soltanto gli animi feriti a morte.

«Anche questo ha i suoi uncini» disse l’uomo alto.

«Dio mio» intervenni io «quanti uncini ha per noi preparato il diavolo, dappertutto, sotto le pergole, tra lesiepi delle rose, tra le quattro mura di una stanza, a cui noi passando vicino lasciamo sempre appesoqualcosa del nostro prezioso Io! Sembra, cari signori, che anche noi abbiamo smarrito in questo modoqualcosa, per quanto questa notte io senta soprattutto la mancanza del mantello e del cappello che, comesapete, sono appesi a un uncino nell’anticamera del consigliere di giustizia.»

I due furono visibilmente colpiti come se avessero ricevuto una botta inaspettata. L’ometto mi guardò inmodo veramente urtante con il suo viso avvizzito, balzò subito su una sedia e sistemò ben bene il pannosopra lo specchio, mentre l’altro, con cura, smoccolava le candele. La conversazione si rianimò a fatica;si accennò a un giovane e bravo pittore, di nome Filippo, e al quadro di una principessa che egli avevaportato a termine con quello spirito d’amore e quella aspirazione verso il sublime che quella donnadevota aveva acceso in lui.

«È somigliantissimo, eppure non è un ritratto, ma un’immagine reale» osservò l’uomo alto.

«È così reale» dissi io «che lo si direbbe un’immagine tolta via dallo specchio.»

Allora l’ometto saltò su furioso e fissandomi con il suo viso da vecchio, con occhi fiammeggianti gridò:«Scemenze, pazzie! Chi può mai rubare le immagini dallo specchio? Chi può farlo? Il diavolo forse? Oh,fratello, quello rompe il cristallo con il pesante artiglio e le fini e bianche mani della figura femminile si

Page 24: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

feriscono e sanguinano. Questa è una scemenza! Mostrami, se puoi, l’immagine riflessa, l’immaginerubata e io, malinconico giovanotto, ti faccio un salto magistrale di mille tese».

L’uomo alto si alzò, si avvicinò all’ometto e disse: «Non dite sciocchezze, amico mio! Altrimenti finiretegiù per le scale e allora la vostra immagine riflessa sarà piuttosto penosa!».

«Ah, ah, ah» sghignazzò l’ometto con scherno «ah, ah, ah, tu credi? lo credi veramente? Ma io ce l’ho,la mia ombra disgraziato, ce l’ho, la mia ombra!» Poi scappò via e l’udimmo ridere fuori e belare: «Io cel’ho, la mia ombra».

L’uomo alto, come annientato, pallido come la morte era piombato sulla sedia e, la testa fra le mani,respirando a fatica, gemeva dal profondo del petto.

«Che cosa vi succede?» gli chiesi premuroso.

«Oh, signore!» rispose «quell’essere malvagio che ci è apparso sotto un aspetto così ostile, che mi ècorso dietro fin qui dove normalmente me ne sto solo, o dove al massimo uno spirito della terra sbuca disotto la tavola per prendere le briciole di pane, quell’uomo mi ha ricacciato nella mia sconfinata miseria.Ah, perduto, sono perduto irrimediabilmente, per sempre... Addio!»

Si alzò e attraversando la stanza si avviò alla porta. Attorno a lui tutto rimase chiaro: non gettava ombra.Incantato gli corsi dietro: «Peter Schlemihl, Peter Schlemihl»1gridai ma quello aveva gettato via lepantofole. Lo vidi passare oltre la torre dei gendarmi e scomparire nella notte.

Quando feci per rientrare nella bettola l’oste mi sbatté l’uscio in faccia dicendo: «Da simili clienti miguardi il buon Dio...».

Apparizioni

Il signor Mathieu è mio buon amico e il suo portiere è una persona molto vigile. Mi aprì subito quandosuonai all’Aquila d’Oro. Spiegai come mi fossi allontanato, da una cerchia di invitati, senza cappello esenza mantello in una tasca del quale c’era la chiave di casa e come mi fosse impossibile chiamare la miadomestica perché era sorda. L’uomo (intendo il portiere) cortesemente mi aprì una camera, vi pose lecandele e mi augurò la buona notte. C’era un largo specchio coperto da un panno che io non so perchétolsi via, ponendo le due candele sul ripiano sottostante. Guardandomi nello specchio, mi vidi così pallidoe sfatto da non riconoscermi. Mi sembrava che dalla profondità dello specchio si staccasse, muovendosi,un’oscura figura; e quanto più vi concentravo lo sguardo tanto più vedevo concretizzarsi, in uno stranochiarore magico, i lineamenti distinti di una splendida donna: riconobbi Giulia. Preso da un’ardentenostalgia sospirai: «Giulia, Giulia!».

Allora dietro le cortine di un letto, nell’angolo opposto della stanza, si levò un gemito. Mi misi in ascolto.Sempre più doloroso e angoscioso si faceva quel gemito. L’immagine di Giulia era svanita; presi condecisione una candela, tirai di colpo la cortina e guardai dentro. Come posso descrivervi la sensazioneche provai quando vidi l’ometto che aveva ora il suo volto giovanile, anche se dolorosamente contratto, enel sonno si lamentava penosamente dicendo: «Giulietta! Giulietta!». Questo nome penetrò bruciando nelmio animo: l’orrore era svanito e io afferrai e scrollai duramente l’omino dicendo: «Ehi, amico caro, comesiete entrato nella mia camera? Svegliatevi e favorite andare all’inferno». L’omino aprì gli occhi e mirivolse uno sguardo opaco: «Era un brutto sogno» disse. «Grazie, grazie d’avermi svegliato.» Le sueparole suonavano come lievi sospiri. Non so come, ma l’ometto mi sembrava ora un altro individuo; anzila sofferenza di cui era preda penetrò nel profondo del mio animo e la mia irritazione divenne malinconia.Poche parole furono sufficienti a farmi sapere che il portiere mi aveva aperto la stessa camera che era

Page 25: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

stata assegnata a lui, sicché ero io l’intruso e avevo disturbato il sonno dell’ometto.

«Signore» disse «in birreria forse vi sarò sembrato pazzo scatenato; vogliate però attribuire tale miocomportamento al fatto che, non lo nego, di tanto in tanto strani fantasmi mi fanno passare tutti i limitidella norma. Non avete mai provato una cosa simile?»

«Dio mio, sì» risposi quasi sottomesso «anche stasera quando ho visto Giulia.»

«Giulia?» gemette l’omino con voce stridula e sul viso diventato improvvisamente vecchio guizzò unlampo. «Lasciatemi stare... ricoprite quello specchio, per favore» disse guardando stancamente iguanciali.

«Signore» dissi «il nome del mio amore perduto per sempre sembra risvegliare in voi certi ricordi e vedoche mutate viso. Spero però di trascorrere con voi una notte tranquilla ora coprirò lo specchio e mimetterò a letto.»

L’ometto si tirò su, mi guardò con lo sguardo dolce e buono del suo viso giovanile, mi prese una mano estringendola delicatamente mi disse: «Dormite tranquillo, signore, vedo che siamo uniti nella sventura.Anche voi forse... Giulia... Giulietta... E sia, voi esercitate su di me un influsso irresistibile... bisogna che visveli il mio più intimo segreto: poi odiatemi, disprezzatemi pure».

A queste parole si alzò in piedi, si avvolse in un’ampia veste da camera bianca, e lentamente, propriocome un fantasma, si portò vicino allo specchio, mettendovisi dinanzi. Ahimè, lo specchio riflettevachiaramente e limpidamente le due candele, gli oggetti della stanza, me stesso, ma della sua immagine, delsuo viso proteso non vi appariva traccia. Si volse verso di me con la disperazione nel viso, mi strinse lamano: «Ora conoscete la mia sconfinata miseria» disse. «Schlemihl, la buona anima di Schlemihl è dainvidiare in confronto a me. Con leggerezza egli vendette la sua ombra, ma io... io... ho dato la miaimmagine riflessa a lei... a lei... oh!... oh!... oh!...» Così gemendo e coprendosi gli occhi con le mani simosse verso il letto su cui si buttò.

Rimasi allibito: sospetto, orrore, disprezzo, simpatia, compassione, non so nemmeno io che cosa siagitasse nel mio petto nei riguardi di quell’ometto. Egli cominciò presto a russare in modo così melodiosoe delicato che non potei resistere al potere narcotico di quei suoni. Coprii subito lo specchio, spensi laluce, mi buttai anch’io sul letto e caddi in un sonno profondo.

Era già l’alba quando un chiarore abbagliante mi destò... Aprii gli occhi e vidi l’omino che in veste dacamera, con il berretto da notte sul capo, sedeva, voltandomi le spalle, al tavolino e scriveva con grandeimpegno: le due candele erano accese. Era una scena spettrale: fui preso dall’orrore. Ma il sonno miriprese riportandomi nella casa del consigliere di giustizia, dove io sedevo sull’ottomana accanto a Giulia.All’improvviso mi parve che l’intera compagnia fosse come quelle divertenti vetrine natalizie di Fuchs, diWeide, Schoch ecc.: e che il consigliere di giustizia fosse una graziosa figurina di gomma con lo sparato dicarta da lettere. Le piante e i cespugli di rose crescevano sempre più. Giulia si alzava e mi porgeva lacoppa di cristallo, dalla quale alitavano fiamme azzurrine. In quella mi sentivo tirare per un braccio: eral’omino che con il suo viso da vecchio mi bisbigliava: «Non bere! non bere!... guardala dunque bene!Non l’hai già vista nei quadri premonitori di Breughel, di Callot o di Rembrandt?».

Ebbi paura di Giulia, perché con quella sua veste tutta a pieghe, maniche a sbuffo, l’elaboratapettinatura, assomigliava veramente a una di quelle giovani seducenti circondate da mostri infernali ritratteda quei maestri.

«Che cosa temi?» diceva Giulia. «Io ti tengo ancora, te e la tua immagine riflessa.»

Page 26: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Afferravo la coppa, ma l’omino saltava come uno scoiattolo sulla mie spalle e agitava la fiamma con lacoda squittendo e strillando: «Non bere, non bere!». In quel momento però tutte le figure di zuccherodell’esposizione si animavano e agitavano comicamente le manine e i piedini. Il consigliere di gommasgambettava verso di me e diceva con la sua vocettina: «Perché tutto questo rumore, amico caro?Rimettete da bravo i piedi a terra perché da un pezzo mi sono accorto che camminate nell’aria al di sopradelle sedie e dei tavoli». L’ometto era sparito, Giulia non aveva più la coppa in mano. «Perché non volevipiù bere?» diceva. «Non era dunque, la bella e pura fiamma che scaturiva dal calice, il bacio che ricevestiuna volta da me?» Volevo stringermi Giulia al petto, ma Schlemihl si interponeva dicendo: «Costei èMina, che ha sposato quel Raskal» e montò su alcune figure di zucchero che emisero dei gemiti. Masubito queste si moltiplicarono a centinaia, a migliaia e mi sgambettarono attorno e mi si arrampicaronoaddosso in un variopinto, raccapricciante brulichio e mi ronzarono attorno come uno sciame di api.

Il consigliere di gomma era salito fino alla mia cravatta che si era messo a stringere sempre più:«Maledetto consigliere di gomma» urlai e mi svegliai.

Era ormai giorno pieno: le undici di mattina. «Tutta quanta la faccenda dell’ometto deve essere stata unsogno» pensavo, quando il cameriere entrando con la colazione mi disse che il signore straniero cheaveva dormito nella mia stessa camera era partito al mattino presto lasciandomi i suoi saluti. Sopra iltavolo, al quale l’omino si era seduto come uno spettro, trovai un foglio scritto da poco: te ne comunico ilcontenuto, perché è certamente la meravigliosa storia dell’ometto.

La storia dell’immagine perduta

Finalmente arrivò il momento in cui Erasmo Spikher poté esaudire il desiderio che aveva nutrito in cuoreper tutta la vita. Con umore allegro e la borsa piena montò sulla carrozza per lasciare la sua patria erecarsi verso le calde terre del Sud.

La devota moglie si sciolse in lacrime, sollevò il piccolo Rasmo dopo avergli pulito accuratamente naso ebocca, perché il padre prima della partenza gli desse ancora qualche bacetto... «Addio, mio caro ErasmoSpikher» disse la donna singhiozzando «ti terrò la casa in ordine, pensa spesso a me, siimi fedele e nonperdere il bel berretto da viaggio, se, come spesso ti succede addormentandoti, sporgi il capo dellacarrozza.» Erasmo Spikher promise.

Nella bella Firenze, Erasmo trovò alcuni compaesani che se la spassavano con quell’ardore e con queldesiderio di vita proprio dei giovani. Quel magnifico paese poi offriva in abbondanza tutti i piaceripossibili. Egli seppe mostrarsi un buon compagno di festini e divertimenti di ogni sorta, a cui il suo spiritoparticolarmente allegro e il suo carattere che univa un certo buonsenso alla più pazza sfrenatezzasapevano dare uno slancio tutto particolare. Così avvenne che quei giovani (Erasmo con i suoi ventisetteanni era certamente tale) prepararono una notte una bella festa tra i boschetti illuminati di un magnificogiardino. Ognuno, eccettuato Erasmo, aveva con sé una gentile donna. Gli uomini vestivanograziosamente con antichi abiti tedeschi, le donne portavano vesti chiare dai colori variopinti, ognunadiversa dall’altra, cosicché sembravano splendidi fiori graziosi semoventi. Dopo che alcuneaccompagnandosi con il mormorio dei mandolini ebbero cantato una canzone d’amore italiana, gli uomini,tra l’allegro tintinnare dei bicchieri colmi di vino siracusano, intonarono un forte coro tedesco. Non èforse l’Italia il paese dell’amore? La brezza notturna sussurrava come un nostalgico sospiro; i dolciprofumi degli aranci e dei gelsomini ondeggiavano fra i cespugli come parole d’amore, mescolandosi nelgioco libero e scherzoso che quelle belle donne avevano iniziato, attingendo a tutte quelle piccole,graziose invenzioni che solo le donne italiane sanno trovare. Sempre più animato e rumoroso si faceva ildivertimento.

Page 27: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Federico, il più ardente di tutti, si alzò, cinse con un braccio la sua donna e levando il bicchiere colmo dispumeggiante vino siracusano esclamò: «Dove potremmo trovare la beatitudine celeste se non presso divoi, o soavi e stupende donne italiane? Voi siete l’amore stesso. Ma tu, Erasmo» continuò rivolgendosi aSpikher «sembra che tu non te ne accorga, perché non solo contro tutte le disposizioni e le abitudini nonhai invitato alla nostra festa nessuna donna, ma te ne stai così preoccupato e concentrato in te stesso chese non avessi bevuto e cantato anche tu, direi che sei diventato un noioso malinconico».

«Devo confessarti» rispose Erasmo «che io in questo modo non posso divertirmi. A casa c’è la mia carae buona moglie che amo profondamente e certo la tradirei se mi scegliessi una donna anche soltanto peruna sera. Con voi scapoli è tutt’altra cosa; ma io sono padre di famiglia.» I giovani risero a più non possoperché Erasmo alla parola «padre dl famiglia» cercava di assumere un’espressione seria, ottenendoinvece un effetto assai buffo. La donna di Federico si fece tradurre in italiano ciò che Erasmo aveva dettoin tedesco; si volse allora con uno sguardo severo verso Federico e alzando un dito disse in segno dilieve minaccia: «Tu, gelido tedesco che sei, bada bene! Non hai ancora visto Giulietta».

In quell’istante all’ingresso del boschetto si udì un fruscio e alla luce delle candele dalla notte profondaemerse una donna meravigliosa. La bianca veste che le copriva soltanto a metà il seno, le spalle e il collocon le maniche a sbuffo sino ai gomiti, le ricadeva giù in ampie pieghe; i capelli divisi sulla fronte eranouniti dietro in un nodo di trecce. Catenine d’oro al collo, ricchi braccialetti attorno ai polsi completavanol’abbigliamento all’antica della giovane donna che sembrava un personaggio di Rubens o del delicatoMieris.

«Giulietta!» esclamarono le fanciulle estatiche. Giulietta, che nella sua bellezza angelica superava tutte,disse con voce melodiosa: «Lasciatemi prendere dunque parte alla vostra bella festa, giovani tedeschi.Voglio mettermi vicino a quello laggiù che tra di voi sembra l’unico senza gioia e senza amore». E sidiresse con tutta la sua grazia verso Erasmo; si accomodò sulla sedia rimasta vuota accanto a lui giacchénon si era portato alcuna dama. Le fanciulle parlottavano fra loro: «Guardate come è bella Giulietta ancheoggi!». E i giovani dicevano: «Guarda un po’ che cosa ci ha combinato Erasmo, si è scelta la più bella eci ha preso per il naso».

Il primo sguardo rivolto a Giulietta aveva scosso Erasmo fin nel profondo. Come essa gli si avvicinò, loafferrò una forza strana opprimendogli il petto al punto di fargli mancare il fiato. Gli occhi fissi su Giulietta,le labbra rigide stava immobile e muto, mentre i giovani a voce alta facevano i loro apprezzamenti sullagrazia e la bellezza di Giulietta. Costei prese un coppa colma, si alzò e la porse gentilmente a Erasmo, ilquale la prese toccando lievemente le delicate dita di lei. Egli bevve e un torrente di fuoco gli percorse levene. Allora Giulietta chiese scherzosa: «Devo essere io la vostra donna?».

Ma Erasmo come impazzito le si gettò ai piedi, strinse le mani di lei al proprio petto ed esclamò: «Sì, sì,tu lo sei, te, te, io ho sempre amato, o angelo del cielo! Te ho sempre visto nei miei sogni. Tu mia felicità,anima mia, mia sublime esistenza». Tutti credettero che il vino gli fosse andato alla testa, perché mail’avevano visto così: sembrava un altro. «Sì, tu, tu sei la mia vita, tu ardi in me e mi divori con il tuo fuoco:lasciami morire... solo in te, solo te voglio essere.» Così gridava Erasmo mentre Giulietta lo abbracciavateneramente, poi, calmatosi, sedette al suo fianco e la compagnia riprese, con giochi e canti, leschermaglie amorose che Giulietta ed Erasmo avevano interrotto. Quando Giulietta cantava sembravache dal profondo del suo petto uscissero suoni celestiali suscitando in tutti un piacere fino allora soltantoimmaginato. La sua meravigliosa voce cristallina aveva in sé un ardore misterioso che imprigionaval’animo di ognuno. Ogni giovane allora stringeva a sé più forte la propria donna e gli occhi siscambiavano lampi ardenti.

Già un roseo chiarore annunciava l’inizio dell’alba allorché Giulietta propose di porre fine alla festa. Ecosì fu fatto. Erasmo voleva accompagnare Giulietta, ma ella rifiutò ed indicò la casa dove avrebbe

Page 28: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

potuto trovarla. Mentre i giovani intonavano un canto a conclusione della festa, Giulietta scomparve dalboschetto. Qualcuno vide che si allontanava lungo un viale, preceduta da due valletti che reggevano lefiaccole. Erasmo non osò seguirla. I giovani pertanto presero a braccetto ciascuno la propria donna e siallontanarono tutti allegri.

Profondamente turbato e in preda alle pene d’amore, alla fine Erasmo li seguì, preceduto dal suoservitorello che gli faceva luce.

Lasciati gli amici camminava per una strada fuori mano che conduceva alla sua abitazione. L’auroraaveva ormai rischiarato il cielo, il servitore spense la fiaccola contro il selciato, quando tra le scintillesfavillanti sorse improvvisamente davanti a Erasmo una strana figura, un uomo lungo e magro con un nasoda falco, gli occhi scintillanti, la bocca ironicamente atteggiata a scherno, vestito di una giubba rossofuoco con lucenti bottoni d’acciaio. Questi rise e disse con voce stridula e sgradevole: «Oh, oh, voi sietecerto uscito da un vecchio libro illustrato con questo vostro mantello, il farsetto con lo spacco e questoberretto piumato! Siete veramente buffo, signor Erasmo, volete proprio diventare lo zimbello della genteche passa per la strada? Rientrate, dunque, buono buono nel vostro volume di pergamena».

«Che vi importa del mio modo di vestire?» disse Erasmo seccato, e spingendo da una parte l’importunofece per proseguire sulla sua strada, ma quello gli gridò dietro: «Su, su, non affrettatevi così, tanto nonpotete andare subito da Giulietta». Erasmo si voltò di scatto: «Che cosa avete da dire di Giulietta?» dissecon voce rabbiosa, afferrando per il petto l’uomo vestito di rosso. Questi però si voltò più rapido di unafreccia e prima che Erasmo se ne accorgesse scomparve. Erasmo rimase sbalordito con in mano unbottone d’acciaio che aveva strappato all’uomo in rosso.

«Era quel ciarlatano del dottor Dappertutto, che cosa voleva da voi?» chiese il servitore mentre Erasmo,preso da una strana paura, si affrettava verso casa.

Giulietta accolse Erasmo con quella straordinaria grazia e gentilezza che le erano proprie. Alla follepassione di Erasmo oppose un atteggiamento calmo e sereno. Solo di tanto in tanto i suoi occhilampeggiavano vividi, ed Erasmo, incontrando uno di quegli strani sguardi, si sentiva scosso da un leggerotremito. Mai gli diceva di amarlo, ma tutto quanto il suo comportamento glielo faceva capire chiaramentee così avvenne che egli si sentì avvinto a lei da legami sempre più forti. Gli si dischiuse una vita di sogno;vedeva ormai raramente gli amici, perché Giulietta lo aveva introdotto in un’altra compagnia.

Una volta incontrò Federico, che lo fermò, e poiché Erasmo si era commosso ai vari ricordi della suapatria e della sua casa, gli disse: «Lo sai, Spikher, di essere entrato in una cerchia di persone moltopericolose? Avrai certo notato che la bella Giulietta è una delle più furbe cortigiane che mai si conoscano.Di lei si raccontano molte strane e misteriose storie che la mostrano sotto una luce assai singolare. CheGiulietta, se vuole, sappia esercitare sugli uomini un influsso irresistibile e che riesca a legarseli con vincoliindissolubili, lo vedo da ciò che è avvenuto di te: sei completamente cambiato; irretito dalle seduzioni diGiulietta, non pensi più alla tua cara e devota moglie».

Erasmo portò le mani al viso e piangendo invocò il nome di sua moglie. Ben si accorse Federico delconflitto in cui si dibatteva Erasmo.

«Spikher» disse «partiamo subito.»

«Sì, Federico» disse Erasmo con forza «hai ragione, non so come, ma mi prendono all’improvviso certiterribili presentimenti!... Io devo assolutamente partire, oggi stesso.»

I due amici si affrettarono, ma in quel momento il signor Dappertutto attraversò loro la strada e ridendo

Page 29: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

in faccia a Erasmo esclamò: «Suvvia, affrettatevi, correte! Giulietta vi aspetta con il cuore pieno dinostalgia e il viso in lacrime... Su, presto, affrettatevi».

Erasmo fu colpito come dalla folgore. «Questo individuo» disse Federico «questo ciarlatano, mi staveramente sullo stomaco; va e viene da Giulietta e le vende le sue essenze miracolose.»

«Cosa?» fece Erasmo «questo stomachevole individuo da Giulietta... da Giulietta...?»

«Perché ci mettete tanto tempo? Tutti vi aspettano. Non avete dunque pensato a me?» così si espresseuna dolce voce da un balcone.

Era Giulietta: senza accorgersene, i due amici si erano fermati proprio davanti a casa sua. Con un balzoErasmo fu dentro. «Non c’è più nulla da fare ormai: è perduto» disse Federico sottovoce e si allontanòper la sua strada.

Giulietta non era mai stata così deliziosa: portava lo stesso abito che aveva quella sera nel giardino, edera raggiante in tutto lo splendore e la grazia della giovinezza. Erasmo aveva ormai dimenticato tuttoquello che aveva detto a Federico e più che mai si sentiva trasportato dalla voluttà in uno stato di estasisuprema. Giulietta stessa del resto non gli aveva mai mostrato così senza alcun riserbo come allora laprofondità dei suoi sentimenti. Sembrava che guardasse solo lui, che esistesse solo per lui.

In una villa, che Giulietta aveva affittato per l’estate, si doveva dare una festa. E tutti vi si recarono. Tragli invitati c’era un giovane italiano d’aspetto molto brutto e peggio ancora di modi. Costui incominciò acorteggiare intensamente Giulietta suscitando la gelosia di Erasmo, che, corrucciato, si allontanò dagli altriin un viale laterale del giardino. Giulietta lo cercò e gli disse: «Che cosa ti succede? Non sei forse tuttomio?». E abbracciandolo teneramente lo baciò sulle labbra.

Lingue di fuoco guizzarono attraverso il suo corpo e nell’esaltazione amorosa strinse Giulietta a sédicendo: «No, io non ti lascio, dovessi morire nella rovina e nella vergogna». A queste parole Giuliettaebbe uno strano sorriso e gli scoccò uno di quegli sguardi che lo facevano rabbrividire.

Ritornarono tra gli altri. L’antipatico giovane italiano fece ora la parte di Erasmo: spinto dalla gelosialanciava frasi pungenti e offensive contro i tedeschi e in particolare contro Spikher. A un certo momentoquesti non ne poté più e decisamente si mosse contro l’italiano: «Basta» disse «con la vostra sprezzanteironia contro i tedeschi e contro di me altrimenti vi buttò in quello stagno dove potreste cimentarvi nelnuoto».

In quel momento un coltello balenò nelle mani dell’italiano; furibondo allora Erasmo lo afferrò per la golae lo buttò a terra dandogli un calcio alla nuca. L’italiano, rantolando, spirò.

Tutti si scagliarono su Erasmo, che non riusciva più a dominarsi... si sentì afferrare e trascinare via.Quando si riebbe, come da un profondo stordimento si trovò in un piccolo salottino ai piedi di Giuliettache io teneva fra le braccia, la testa china su di lui. «Cattivo, cattivo tedesco» diceva essa con dolcezzainfinita «che paura mi hai fatto. Ti ho salvato da un pericolo immediato, ma tu ora non sei più sicuro inFirenze e neppure in Italia. Devi andare via, devi lasciare colei che ti ama tanto.»

Il pensiero della separazione straziò Erasmo con un dolore senza nome.

«Fammi rimanere» gridò. «Piuttosto è meglio morire; vivere senza di te non significa morire?»

Gli sembrò allora che una voce lontana e sommessa lo chiamasse dolorosamente per nome. Era la voce

Page 30: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

della devota moglie. Erasmo ammutolì e Giulietta in uno strano modo gli chiese: «Pensi forse a tuamoglie? Ah, Erasmo, tu mi dimenticherai subito».

«Possa io essere tuo per sempre, per sempre!» disse Erasmo.

Essi stavano proprio di fronte a un grande specchio molto bello. Stava appeso alla parete del salottino eai due lati ardevano chiare candele. Giulietta più forte, con maggiore tenerezza, strinse Erasmo a sé,mentre dolcemente sussurrava: «Lasciami la tua immagine riflessa, amore mio, essa deve stare semprecon me, mia deve essere».

«Giulietta» disse Erasmo meravigliato «che cosa vuoi dire? La mia immagine riflessa?» E guardò nellospecchio che rifletteva lui e Giulietta uniti in un dolce abbraccio d’amore.

«Come puoi trattenere la mia immagine» continuò «se essa dovunque viene con me e da ogni chiaraacqua, da ogni superficie tersa, mi viene incontro?»

«Tu» disse Giulietta «tu che volevi essere mio, anima e corpo, non vuoi neppure concedermi questosogno del tuo io che balena dallo specchio? Presso di me non dovrà rimanere neppure la tua fugaceimmagine ad accompagnarmi attraverso la misera vita che, quando te ne sarai fuggito, rimarrà senza gioiae senza amore?»

Calde lacrime spuntarono dai begli occhi scuri di Giulietta. Allora Erasmo, folle di amore e di doloremortale, disse: «Devo proprio andarmene da te? Certo lo devo, ma allora la mia immagine riflessaappartenga per sempre a te. Nessuna forza, neppure il diavolo potrà strappartela fino a che tu avrai meanima e corpo».

Dopo che così ebbe parlato, i baci di Giulietta sulla sua bocca bruciavano come fuoco sino a che essa sistaccò da lui e protese avidamente le braccia verso lo specchio. Erasmo vide la propria immagine,indipendentemente dai propri movimenti, uscire dallo specchio e passare nelle braccia di Giulietta, escomparire poi in una strana foschia. Voci orribili incominciarono a belare e a ridere diabolicamente; inpreda a un terrore mortale, Erasmo cadde inanimato; ma l’angoscia stessa e l’orrore lo strapparono alsuo stordimento, e come immerso nelle tenebre arrivò barcollando fino alla porta e scese le scale.

Davanti alla casa qualcuno lo afferrò, lo trascinò nella carrozza che si allontanò velocemente.

«A quanto sembra siete un po’ cambiato» disse in tedesco un uomo che gli si era seduto vicino. «Sieteun po’ cambiato, ma ora tutto andrà per il giusto verso se vi affiderete completamente a me. La piccolaGiulia mi ha già fatto le sue raccomandazioni. Voi certo siete un giovane molto caro e sietestraordinariamente incline ai divertimenti garbati proprio come piacciono a noi due, a me e a Giulietta.Quel calcio alla nuca è stato un vero calcio alla tedesca. Come sporgeva la lingua paonazza diquell’innamorato!... Era veramente buffo a vedersi, e come gracchiava e miagolava prima di schiattare...Ah, ah, ah...»

La voce di quell’uomo suonava così sarcastica, il suo ciarlare era così odioso che quelle paroleentrarono nel petto di Erasmo come pugnalate.

«Chiunque voi siate» disse Erasmo «tacete, tacete, non parlate di quel delitto di cui mi pento!»

«Pentirsi, pentirsi!» rispose l’uomo. «Allora vi pentite anche di avere conosciuto Giulietta e di averneconquistato il dolce amore?»

Page 31: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Ah, Giulietta, Giulietta» sospirò Erasmo.

«Già» continuò l’uomo «siete veramente un bambino. Voi desiderate e volete, ma tutto deve andare nelmigliore dei modi. È spiacevole certo che voi abbiate dovuto abbandonare Giulietta, ma se volesterimanere qui io potrei senza dubbio sottrarvi a tutti i pugnali dei vostri persecutori e anche alla caragiustizia.»

Il pensiero di restare presso Giulietta conquistò subito Erasmo. «Come sarebbe possibile?» chiese.

«Conosco un mezzo simpatetico» continuò l’uomo «che può colpire con la cecità i vostri persecutori;insomma un mezzo che agisce in modo che voi appariate sempre con un nuovo viso, così che essi non viriconoscano. Appena sarà giorno abbiate la compiacenza di guardarvi in uno specchio a lungo eattentamente; io poi, senza portarvi alcun danno, con la vostra immagine riflessa combinerò certeoperazioni e voi sarete sicuro e potrete vivere senza pericolo con Giulietta In piena felicità.»

«È spaventoso, spaventoso» gridò Erasmo.

«Che cosa c’è di spaventoso, caro amico?» chiese sarcastico l’uomo.

«Ah, io ho... io... ho» incominciò Erasmo. «... Lasciata la vostra immagine riflessa» lo interruppe subitol’uomo «presso Giulietta... Ah, ah, ah! Benissimo, mio caro! Ora potete correre per i campi e per iboschi, per le città e per i villaggi sino a che avrete ritrovato vostra moglie insieme al piccolo Rasmo esarete di nuovo un padre di famiglia, ma senza immagine riflessa: al che vostra moglie certo non farà casopoiché vi avrà in carne e ossa mentre Giulietta possiederà per sempre l’immagine impalpabile del vostroio.»

«Taci, uomo spaventoso» gridò Erasmo.

In quel mentre si avvicinava un’allegra brigata di gente che cantava; la luce delle fiaccole illuminòl’interno della carrozza. Erasmo poté vedere in viso il compagno e riconobbe in lui l’odioso dottorDappertutto. Con un salto balzò fuori dalla carrozza e corse verso la brigata perché da lontano avevariconosciuto la potente voce di basso di Federico. Erano gli amici che ritornavano da una cena incampagna. In gran fretta Erasmo informò Federico di tutto quanto era successo, ma tacque la perditadella propria immagine. Si affrettarono insieme verso la città e tutto fu preparato in così breve tempo cheall’alba Erasmo, su un veloce cavallo, era già lontano da Firenze.

Spikher riferì poi alcuni episodi accaduti durante il viaggio. Il più importante fu quello che gli fece sentireper la prima volta la perdita della sua immagine riflessa. Per far riposare il cavallo si era fermato in unagrande città e tranquillamente si era seduto alla tavola affollata di una locanda, non facendo caso al fattoche proprio di fronte a lui, sulla parete, stava appeso un bellissimo specchio. Un disgraziato di cameriereche stava dietro la sua sedia si accorse che nello specchio la sedia rimaneva vuota e che nulla dellapersona seduta vi appariva. Richiamò l’attenzione del vicino di Erasmo, questi a sua volta del propriovicino, e lungo tutta la tavolata si diffuse un mormorio, un bisbiglio, mentre tutti guardavano prima Erasmoe poi lo specchio. Erasmo non si era ancora accorto che si parlava di lui, quando un tipo molto serio sialzò dalla tavola e lo portò davanti allo specchio, vi guardò e rivolto ai commensali esclamò: «Non c’èdubbio: non possiede l’immagine riflessa».

«Non ha immagine riflessa, non ha immagine riflessa!» tutti si misero a gridare. «Unmauvais sujet , unhomo nefas , buttatelo fuori dalla porta.»

Furibondo e pieno di vergogna Erasmo corse nella sua camera; ma era appena arrivato quando la polizia

Page 32: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

gli fece sapere che entro un’ora o si presentava alle autorità nella sua completa e perfettamentesomigliante immagine riflessa, oppure doveva abbandonare la città. Egli fuggì inseguito dalla plebagliaoziosa e dalla ragazzaglia che gli gridava dietro: «Ecco che scappa quello che ha venduto la sua immagineriflessa al diavolo, eccolo che scappa!».

Finalmente si trovò in aperta campagna. Da quel momento, in qualunque posto andasse, con il pretestodi un innato orrore per le immagini riflesse egli faceva coprire gli specchi. Così venne soprannominato «ilgenerale Suvarov», che aveva questa stessa fissazione.

Raggiunta la sua città natale e la sua casa, fu accolto con gioia dalla cara moglie e dal piccolo Rasmo.Ben presto nella tranquillità e nel conforto delle mura domestiche si sentì compensato della perditadell’immagine riflessa. Un giorno Spikher, che aveva completamente dimenticato la bella Giulietta,giocava con il piccolo Rasmo questi aveva le mani sporche di caligine e le passò sul viso del padre: «Ah,papà, papà, come ti ho sporcato la faccia di nero! Guarda qui». Così dicendo, il piccolo, prima cheSpikher potesse impedirglielo, prese uno specchio, lo pose davanti al padre e vi guardò dentro. Masubito piangendo lasciò cadere lo specchio e corse fuori dalla stanza. Poco dopo entrò la moglie, lostupore e lo spavento dipinti sul viso. «Che cosa mi ha raccontato Rasmo?» domandò.

«Che io non avrei l’immagine riflessa, non è vero, cara?» disse Spikher con un sorriso forzato e cercò didimostrare che era da pazzi credere che si potesse perdere la propria immagine riflessa e che in ognicaso non sarebbe stata una grande perdita giacché ogni immagine riflessa è solo una illusione, induce allavanità e costringe l’individuo a dividersi tra realtà e sogno.

Mentre così parlava la moglie aveva tolto rapidamente il panno che copriva lo specchio del soggiorno.Vi guardò dentro e come colpita dal fulmine cadde a terra. Spikher la sollevò, ma appena quella tornò insé lo allontanò con orrore esclamando: «Lasciami, lasciami, uomo spaventoso. Tu non sei, no, non seimio marito... sei uno spirito infernale tu, che vuole dannarmi, vuole perdermi. Vattene, lasciami, non hainessun potere su di me, maledetto».

Le sue grida risuonarono per le stanze; la gente di casa accorse ed Erasmo si precipitò fuori di casadisperato e imbestialito. Come impazzito si aggirava per i solitari viali del parco nei pressi della città.Improvvisamente la figura di Giulietta sorse davanti a lui in tutta la sua angelica bellezza, ed egli gridò:«Così ti vendichi, Giulietta, perché ti ho abbandonato e perché invece del mio vero Io ti ho dato soltantola mia immagine? Oh, Giulietta, voglio essere tuo, corpo e anima... lei a cui ti ho sacrificato, lei mi hascacciato. Giulietta, Giulietta, voglio essere tuo con il corpo, con l’anima, con tutta la vita».

«Lei può senz’altro esserlo, mio caro» disse il signor Dappertutto che all’improvviso apparve vicino a luinella sua giacca scarlatta con i lucenti bottoni d’acciaio. Per l’infelice Erasmo quelle parole erano unavera consolazione, per cui non fece neppure caso al viso odioso e malvagio di Dappertutto. Si fermò echiese in tono lamentoso: «Come potrò ritrovarla se per me è per sempre perduta?».

«Affatto» rispose Dappertutto. «Giulietta non è lontana da qui e ha un gran desiderio della sua preziosapersona, signore, perché, in fin dei conti, un’immagine rispecchiata non è che una semplice illusione. Delresto appena Giulietta possiederà con sicurezza la sua preziosa persona in corpo e anima, le restituiràillesa la sua cara immagine riflessa.»

«Portami da lei, portami da lei» disse Erasmo. «Dov’è?»

«Bisogna prima fare ancora qualcosa, una inezia» disse Dappertutto «prima che possa vedere Giulietta edarsi tutto a lei in cambio della restituzione dell’immagine. Lei, caro signore, non può disporrecompletamente della sua preziosa persona perché è ancora legata con certi vincoli che devono essere

Page 33: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

anzitutto sciolti: la sua cara moglie con il figlioletto che promette tanto...»

«Che c’entra questo?» scattò a dire Erasmo.

«Un eccezionale scioglimento di questi legami» continuò Dappertutto «lo si può ottenere in un modomolto semplice. Lei sa già, sin dall’epoca di Firenze, che io sono abilissimo nel preparare medicineportentose: ora avrei sottomano un piccolo rimedio familiare. Bastano poche gocce per coloro cheostacolano lei e Giulietta ed essi senza neppure accorgersene cadranno inanimati. Questo lo si chiamamorire, e la morte è certo una cosa amara; ma non è forse piacevole il sapore delle mandorle amare? E lamorte racchiusa in questa fiala possiede solo questa amarezza. Non appena la cara famiglia saràserenamente trapassata, un piacevole odore di mandorle amare si diffonderà dovunque... Prenda,prenda, signore!» e allungò a Erasmo una piccola fiala.

«Uomo spaventoso!» gridò questi «dovrei avvelenare mia moglie e mio figlio?»

«E chi parla di veleno?» l’interruppe l’uomo vestito di rosso. «Nella fiala è contenuto soltanto un rimediofamiliare di gusto gradevole; avrei a disposizione altri rimedi che potrebbero procurarle la libertà, ma iovorrei agire completamente attraverso di lei, così, in modo molto semplice: questa è una mia mania.Prenda, mio caro, con assoluta tranquillità!»

Senza accorgersi Erasmo si trovò la fiala in mano. E come un incosciente corse a casa nella sua camera.Sua moglie aveva passato tutta la notte in mille angustie e tormenti e continuava a dire che colui che eraritornato non era suo marito, bensì uno spirito infernale che aveva preso la forma di suo marito. ComeSpikher fu di nuovo in casa, tutti fuggirono atterriti; solo il piccolo Rasmo osò avvicinarlo e chiedergliingenuamente perché non aveva portato con sé la propria immagine riflessa e disse che la mamma nesarebbe morta di dolore. Erasmo fissò il piccolo selvaggiamente, aveva ancora la fiala di Dappertutto inmano. Il piccolo portava sul braccio la sua colomba preferita e così avvenne che l’animale avvicinandosialla fiala ne beccasse il tappo; subito lasciò cadere il capino: era morto.

Atterrito Erasmo urlò: «Traditore, tu non mi persuaderai mai a tale diabolica azione».

Buttò la fiala dalla finestra aperta, così che andò in mille schegge sul lastrico del cortile. Si diffuse su finoalle stanze un grato odore di mandorle amare. Il piccolo Rasmo era fuggito spaventato. Spikher passòtutto il giorno in mille tormenti finché sopraggiunse la notte. L’immagine di Giulietta nel suo cuore sifaceva sempre più viva. Una volta in presenza di lui le si era rotta una collana di quelle piccole baccherosse che le donne portano come perle. Nel raccoglierla, egli ne aveva nascosta una perché era stata acontatto con il collo di Giulietta e l’aveva fedelmente conservata. Ora la trasse fuori e guardandolafissamente rivolse i suoi pensieri e la sua anima all’amante perduta. Sembrava che dalla perla sidiffondesse un profumo magico, quel magico profumo che lo avvolgeva quando era vicino a Giulietta.

«Oh, Giulietta, vederti ancora una volta e poi scomparire nella rovina e nella vergogna.»

Non aveva ancora pronunciato queste parole che, sul corridoio, proprio davanti alla porta si udì unfruscio e uno stropiccio. Egli sentì un rumore di passi... qualcuno bussò alla porta. La speranza el’angoscia gli mozzarono il fiato. Giulietta entrò tutta radiosa. Pazzo di amore e di desiderio la serrò fra lebraccia.

«Ora sono qui, mio adorato» disse lei dolcemente a bassa voce «guarda come ho conservato fedelmentela tua immagine!»

E, tolto il panno dallo specchio, Erasmo poté vedere incantato la propria immagine accanto a quella di

Page 34: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Giulietta; ma, indipendente da lui, essa non rispecchiava i suoi movimenti. Erasmo fu preso dal terrore:«Giulietta» disse «devo proprio impazzire per amor tuo? Dammi l’immagine riflessa e prendimi tutto, vita,corpo, anima».

«C’è ancora qualcosa tra noi, caro Erasmo» disse Giulietta «tu lo sai: non te l’ha detto forseDappertutto?»

«In nome di Dio, Giulietta» interruppe Erasmo «se soltanto a questo patto posso diventare tuo,preferisco morire.»

«Certo» disse Giulietta «Dappertutto non può spingerti in nessun modo a questa azione. Però è bruttoche un voto e la benedizione di un prete abbiano tanta forza, ma tu devi sciogliere il legame che tiavvince, altrimenti non potrai mai essere completamente mio e per questo c’è un rimedio migliore anchedi quello che Dappertutto ha proposto.»

«Quale è?» chiese subito Erasmo. Giulietta gli mise un braccio attorno al collo e appoggiando il suo capoal petto di lui sussurrò lentamente: «Tu scrivi su un piccolo foglio di carta il tuo nome, Erasmo Spikher,sotto queste poche parole: io do al mio buon amico Dappertutto ogni potere su mia moglie e su mio figlioperché ne faccia quel che vuole, e sciolga il legame che mi avvince, perché d’ora innanzi voglioappartenere con la mia carne e con la mia anima immortale a Giulietta che eleggo a mia compagna e chelego a me con un voto particolare per l’eternità».

Tutti i nervi di Erasmo vibrarono violentemente. Baci di fuoco bruciarono le sue labbra, egli aveva ilfoglietto che Giulietta gli aveva dato. Improvvisamente dietro Giulietta sorse gigantesco Dappertutto chegli allungò una penna di metallo. In quell’attimo sulla mano sinistra di Erasmo si ruppe una piccola vena ene sprizzò del sangue.

«Intingi, intingi... scrivi, scrivi!» gracchiò il rosso individuo.

«Scrivi, scrivi, mio per sempre, mio unico amore!» sussurrava Giulietta.

Già egli aveva intinto la penna nel sangue, e stava per firmare, quando la porta si aprì ed entrò unabianca figura che fissando Erasmo con occhi spettrali disse con cupo dolore: «Erasmo, Erasmo, che cosafai? In nome del Redentore, non commettere questa spaventosa azione!».

Erasmo, riconoscendo sua moglie in quella figura ammonitrice, buttò carta e penna lontano da sé. Lampiardenti sprizzarono dagli occhi di Giulietta, odiosamente contratto era il suo viso, tutto il suo corpopareva ardesse.

«Vattene, rifiuto infernale, nulla devi avere della mia anima. In nome del Redentore, togliti di mezzo,serpente... l’inferno ribolle in te!» gridò Erasmo e respinse violentemente Giulietta che ancora lo tenevaabbracciato.

Si udì allora un urlio assordante e un agitarsi di nere ali di corvo in tutta la stanza. Giulietta e Dappertuttoscomparvero entro un fumo denso e puzzolente, che usciva dalle pareti, spegnendo i lumi.

Infine il chiarore dall’alba entrò dalle finestre. Erasmo si recò subito dalla moglie e la trovò dolce emansueta. Nel letto di lei il piccolo Rasmo era già sveglio. Porse la mano al marito stremato dicendo:

«Ora conosco tutto il male che ti è successo in Italia e ti compiango di tutto cuore. Grande è il potere delnemico e poiché egli conosce tutti i vizi, sa fare anche il ladro e non ha saputo resistere neppure al

Page 35: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

desiderio di portarti via in modo così malvagio la tua bella e somigliante immagine riflessa. Guardatidunque in quello specchio, mio caro!»

Spikher guardò tutto tremante e con aria miserevole. Limpido e chiaro rimase lo specchio: ErasmoSpikher non vi appariva.

«Questa volta» continuò la moglie «è bene che lo specchio non rimandi la tua immagine, perché haiun’espressione molto stupida, caro Erasmo. D’altra parte non ti sarà difficile capire che, senza immagineriflessa, sarai il ludibrio della gente e quindi non potrai essere un bravo e perfetto padre di famiglia cheimponga rispetto alla moglie e ai figli. Il piccolo Rasmo vuole già farsi beffe di te e ha intenzione didipingerti in viso con il carbone un paio di mustacchi: tanto tu non te ne puoi accorgere. Va’ dunqueancora per il mondo per un certo tempo e cerca di farti restituire dal diavolo la tua immagine riflessa.Quando la ritroverai, allora di tutto cuore sarai il benvenuto. Dammi un bacio» Spikher glielo diede «edora... buon viaggio! Ricordati di mandare qualche volta un paio di nuovi calzoncini a Rasmo: ne habisogno perché è abituato a trascinarsi sulle ginocchia. E se vai a Norimberga, acquista, da buon padre,un ussaro colorato e un dolce di pan pepato. Addio, caro Erasmo!»

La moglie si voltò sul fianco e si addormentò.

Spikher sollevò il piccolo Rasmo e se lo strinse al petto; ma questi si mise a gridare. Spikher allora lomise giù e partì per il vasto mondo. Una volta si incontrò con Peter Schlemihl, che aveva venduto lapropria ombra. Deliberarono di farsi compagnia, cosicché mentre Erasmo Spikher gettava la necessariaombra, Peter Schlemihl rifletteva la dovuta immagine. Ma non se ne fece nulla.

IL CONSIGLIERE KRESPEL

Il consigliere Krespel fu certo uno dei più strani individui che abbia mai incontrato in vita mia. Quando mirecai a H. per rimanervi qualche tempo, tutta la città parlava di lui perché proprio allora egli stavacombinando uno dei suoi tiri più matti. Krespel era noto come abile, erudito giurista e valentediplomatico. Un principe allora regnante in Germania, non certo dei più importanti, si era rivolto a luiperché gli preparasse un memoriale attraverso il quale potesse far valere le sue giuste pretese su un certoterritorio. Questo memoriale, che fu presentato all’imperatore, ebbe esito favorevolissimo. SiccomeKrespel si era una volta lamentato di non riuscire a trovare un’abitazione di suo gradimento, il principe,per compensarlo del memoriale, si assunse le spese di una casa che egli poteva far costruire a suopiacimento. Il principe inoltre voleva acquistare il terreno che Krespel avrebbe preferito; ma questi nonaccettò, stabilendo invece che la casa venisse costruita in un giardino di sua proprietà, fuori porta, inbellissima posizione.

Egli dunque acquistò tutto il materiale necessario e lo fece portare sul luogo; poi lo si vide per vari giorni(vestito con un abito strano che si era fatto fare secondo criteri tutti suoi), spegnere la calce, setacciare lasabbia, ammucchiare le pietre in cumuli regolari ecc. Non aveva parlato con alcun architetto, non avevatracciato alcuna pianta.

Un bel giorno però andò da un bravo capomastro di H. e lo pregò di trovarsi l’indomani all’alba nelgiardino, con operai, garzoni, manovali ecc. per costruire la casa. Naturalmente il capomastro chiese lapianta della costruzione e si meravigliò non poco quando Krespel rispose che non ve n’era bisogno e chetutto sarebbe andato a posto come doveva andare.

Il mattino dopo il capomastro, recatosi sul posto con tutto il personale, trovò un fossato quadrangolareregolarmente tracciato, e Krespel disse: «Qui siano poste le fondamenta della mia casa e io vi prego diinnalzare le mura sino a quando vi dirò di smettere».

Page 36: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Senza finestre, senza porte, senza muri divisori?» fece il capomastro preso dal timore di avere a chefare con un pazzo.

«Certo, proprio come vi dico, mio caro» rispose molto calmo Krespel. «Tutto il resto verrà da sé.»

Soltanto la promessa di una ricca ricompensa poté indurre il capomastro a iniziare quella balordacostruzione. Mai lavoro fu condotto in modo più allegro: infatti tra le continue risate degli operai, i qualinon abbandonavano il posto di lavoro perché c’era sempre da bere e da mangiare in abbondanza, lequattro mura sorsero in un modo incredibilmente veloce, sino a che un giorno Krespel disse: «Alt».

Cazzuole e martelli tacquero, gli operai scesero dalle impalcature e, mentre si disponevano attorno aKrespel, i loro visi sorridenti sembravano chiedere: «E ora che facciamo?».

«Largo» disse Krespel e andò di corsa a un’estremità del giardino; poi lentamente ritornò verso ilperimetro della casa, vicino al muro scosse il capo insoddisfatto, poi di nuovo corse all’altra estremità delgiardino, ritornò ancora una volta verso il perimetro della casa e fece come prima. Ripeté il giocoparecchie volte finché, battendo il naso appuntito contro il muro, gridò: «Qua, qua, voi, venite qua, apriteuna porta; apritela qui, in questo punto». Indicò esattamente l’altezza e la larghezza in piedi e in pollici efu fatto come egli aveva ordinato.

Krespel allora, entrato nella casa, sorrise compiaciuto quando il capomastro notò che le mura avevanogiusto l’altezza di una casa a due piani. Pensieroso cominciò a muoversi su e giù nell’interno e dietro a luii muratori con i martelli e i picconi. E appena egli diceva: «Qui una finestra alta sei piedi e larga quattro, làuna finestrella alta tre piedi e larga due», si eseguiva al volo.

Io arrivai a H. proprio durante questi lavori, ed era veramente divertente vedere centinaia di personeassiepate attorno al giardino lanciare grida di gioia quando le pietre volavano fuori e una nuova finestra siapriva proprio là dove nessuno se l’aspettava. Nello stesso modo Krespel si comportò per tutto il restodella costruzione e degli altri lavori necessari: questi cioè venivano compiuti secondo le sue improvvisedisposizioni.

L’originalità di tutta l’impresa, la sicura persuasione che alla fine tutto si sarebbe concluso nel miglioredei modi, soprattutto la generosità di Krespel, che non gli costava nulla, mantennero tutti di buonumore.Così quelle difficoltà che per forza dovevano presentarsi in quello strano modo di costruire furonosuperate e in breve tempo la casa fu compiuta perfettamente anche se dall’esterno era molto strana avedersi perché non c’era una finestra uguale a un’altra. Dentro però l’arredamento dava propriol’impressione di una grande comodità. Lo assicuravano del resto tutti coloro che vi erano stati e io stessodovetti notarlo, quando Krespel, del quale feci la conoscenza, mi ci condusse.

Sino allora non avevo potuto parlare con quello strano individuo: era talmente occupato nella costruzionedella casa che non si faceva più neppure vedere a pranzo il martedì dal professor M., dove era solitorecarsi; anzi, a un invito particolare, egli fece dire che prima della solenne inaugurazione della sua casanon si sarebbe mosso di un passo. Tutti gli amici e i conoscenti erano ansiosi nell’attesa di un grandebanchetto; ma Krespel non invitò nessuno all’infuori dei muratori, dei garzoni, dei manovali che avevanocostruito la casa. E li servì con i cibi più scelti: i muratori senza ritegno divorarono pasticci di pernice, ifalegnami con grande gioia piallarono fagiani arrosto e gli affamati manovali si riempirono il piatto con leporzioni più prelibate di fricassea di tartufi. La sera poi vennero le mogli e le figlie e si diede inizio a ungrande ballo. Krespel danzò un poco con le mogli dei muratori, ma poi, unitosi ai musicanti e preso ilviolino, diresse la musica da ballo sino all’alba.

Page 37: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Il martedì successivo a quella festa che fece conoscere il consigliere Krespel come amico del popolo, lotrovai finalmente con mia grande gioia dal professor M. Non è possibile immaginare un modo più stranodi comportarsi di quello di Krespel. Rigido e goffo nei movimenti, sembrava che a ogni momento eglistesse per urtare contro qualcosa e fare qualche malanno; ma che questo non accadesse lo si sapeva giàdal fatto che la padrona di casa non impallidiva minimamente quando egli a grandi passi si muovevaattorno alla tavola apparecchiata con le più eleganti tazzine oppure quando manovrava verso lo specchioche arrivava sino al pavimento, o quando afferrava un vaso di fiori di porcellana dipinta e lo agitava peraria come se volesse farne brillare i colori. In genere Krespel prima di mettersi a tavola osservavameticolosamente tutto ciò che c’era nella camera del professore; montando su una sedia imbottita arrivòpersino a staccare un quadro dalla parete per riappenderlo poi di nuovo. Intanto parlava continuamente;saltava da un argomento all’altro (e questo avveniva soprattutto quando era a tavola), oppure nonriusciva ad abbandonare un determinato argomento e sempre rifacendosi ad esso si perdeva in millelabirinti e non riusciva più a ritrovarsi sino a quando non veniva afferrato da qualcosa d’altro. Il suo tonodi voce ora era aspro e stridulo, ora si stendeva lievemente cantilenante, mai però in armonia con quelloche diceva. Si parlò di musica e si lodò un certo nuovo compositore. Krespel sorrise e disse col suo tonocantilenante: «Vorrei che il neropiumato Satana cacciasse quel pazzo guastasuoni giù nell’abisso infernalea diecimila milioni di piedi di profondità». Poi all’improvviso infuriato scattò: «Essa è un angelo del cielo,tutta suoni puri e divini, un astro luminoso del canto!» e non poteva trattenere le lacrime. Fu necessarioricordarci che un’ora prima si era parlato di una celebre cantante.

Si mangiò un arrosto di lepre e io notai che, sul suo piatto, Krespel staccava accuratamente la carnedalle ossa e alla sua richiesta dove fossero le zampe della lepre, la piccola del professore, cha avevacinque anni, gliele porse con un sorriso amichevole. I fanciulli, che durante tutto il pranzo avevanoguardato il consigliere sorridendogli amichevolmente, ora si alzarono e gli si fecero vicini, rimanendotuttavia in atteggiamento rispettoso e timido a tre passi di distanza. «Che cosa succederà ora?» michiedevo. Fu servito il dessert; il consigliere trasse allora dalla tasca una cassettina dove vi era un piccolotornio di acciaio che egli avvitò fortemente al tavolo e con incredibile abilità e velocità si mise a tornire leossa della lepre ricavandone delle minuscole scatolette e palline di ogni genere che i bambini accolserocon gioia.

Nel momento in cui ci alzammo da tavola, la nipote del professore chiese: «Che cosa fa la nostra caraAntonia, caro consigliere?». Krespel fece una smorfia come di uno che mordesse un’arancia amara, mache vuol dare a intendere di gustare una cosa dolce; subito quell’espressione si mutò in una mascherapaurosa dalla quale uscì fuori un’amara, rabbiosa, anzi, mi parve, diabolica e beffarda risata: «La nostra,la nostra cara Antonia?» domandò egli con quel suo stirato, sgradevole tono cantilenante. Il professore siavvicinò subito, e dallo sguardo pieno di rimproveri che lanciò alla nipote compresi che essa avevatoccato una corda molto sensibile al cuore di Krespel.

«Come va con i violini?» chiese il professore in tono allegro, mentre gli stringeva le mani. Il viso diKrespel si rischiarò e rispose a voce alta: «Benissimo, professore proprio oggi quell’eccellente violino dicui recentemente vi dissi per quale fortunato caso mi capitò tra le mani, proprio oggi l’ho aperto. Speroche Antonia abbia ormai scomposto per benino il resto».

«Antonia è una buona figliola» fece il professore.

«Certo che lo è» quasi gridò il consigliere e, voltatosi rapidamente dopo aver preso con un rapido gestobastone e cappello, infilò di gran carriera la porta. Attraverso lo specchio vidi che aveva le lacrime agliocchi.

Appena il consigliere fu uscito insistetti presso il professore perché mi dicesse subito che cosa era quellastoria dei violini, ma soprattutto di Antonia.

Page 38: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Oh» fece il professore «strano come è, il consigliere si occupa della costruzione dei violini in un modoassai buffo.»

«Fabbrica violini?» chiesi meravigliato.

«Certo» continuò il professore «e secondo il giudizio degli intenditori, Krespel costruisce i più bei violiniche si possano trovare di questi tempi. Una volta, se un violino gli riusciva particolarmente bene, vi facevasuonare altre persone; ora questo però non avviene più da parecchio tempo. Appena costruisce unviolino egli stesso vi suona per due o tre volte con la massima energia, con una espressione cheveramente rapisce, ma poi lo appende vicino agli altri né lui più lo tocca e non lascia che neppure gli altrilo tocchino. Appena riesce a scovare un violino antico, opera di un buon maestro, lo compera subitoqualunque sia il prezzo che gli chiedono. Poi, come per gli altri suoi violini, vi suona una volta sola, quindilo scompone per studiarvi l’intima struttura e se non vi trova ciò che la sua fantasia vi cercava, allora, dimalumore, butta i pezzi in un grande cassone ormai pieno di frammenti di violini.»

«Ma, e Antonia?» feci io subito, quasi con impeto.

«È una cosa questa» continuò il professore «è una cosa che potrebbe farmi odiare il consigliere se nonfossi persuaso che, dato il suo carattere veramente buono sino alla tenerezza, egli deve avere le suebuone ragioni per agire come agisce. Quando alcuni anni fa il consigliere venne a H., viveva come uneremita con una vecchia governante in una casa nella via X... Per le sue stranezze mise subito in allarme ivicini tanto che egli, accortosene, cercò e fece delle conoscenze. E, come in casa mia, tutti si abituaronoa lui tanto che divenne indispensabile. Nonostante il suo aspetto ruvido persino i fanciulli gli volevanobene né lo molestavano perché, nonostante la confidenza, gli portavano sempre un rispetto timoroso chelo preservava da ogni gesto indiscreto. Del resto lei stesso ha visto oggi come egli sappia accattivarsi ibambini con metodi ingegnosi. Noi tutti lo credevamo scapolo ed egli non lo negava.

«Dopo essersi trattenuto qui un po’ di tempo, partì, nessuno seppe per dove; ritornò però alcuni mesidopo. La sera dopo il suo ritorno le finestre di Krespel erano insolitamente illuminate e ciò richiamòl’attenzione del vicini.

«Ben presto si udì una meravigliosa voce di donna accompagnata al pianoforte; poi si svegliarono le notedi un violino in viva, ardente gara con quella voce. Si capì subito che era il consigliere che suonava.

«Io stesso mi mescolai alla folla che quel meraviglioso concerto aveva radunato dinanzi alla casa delconsigliere, e devo confessare che nei confronti di quella voce, nei confronti di quel particolare modo dicantare della sconosciuta che sapeva commuovere profondamente, mi parve che il canto delle più celebricantanti che avevo udito fosse piatto e senza espressione. Mai avevo immaginato simili note, così a lungotenute, quei gorgheggi da usignolo, quei crescendo e diminuendo, quel salire su fino a raggiungere lapotenza di un organo, per poi discendere al più sommesso respiro.

«Nessuno poteva sottrarsi al fascino di quel canto e appena la cantante tacque, nel profondo silenziosolo lievi sospiri si levarono.

«Poteva essere mezzanotte quando si udì il consigliere parlare in modo eccitato, mentre un’altra voce,maschile a giudicare dal tono, lo redarguiva: tra questi due, una fanciulla che si lamentava con parolerotte. In modo sempre più violento gridava il consigliere, sino a che alla fine arrivò a prendere quel tonostirato e cantilenante che lei conosce. Un acuto grido della fanciulla lo interruppe poi fu silenzio totalefinché qualcuno strepitando scese dalle scale; un giovane singhiozzando si precipitò fuori della porta e,salito sulla diligenza postale che era lì vicino, scomparve.

Page 39: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Il giorno dopo il consigliere parve molto sereno e nessuno ebbe il coraggio di chiedergli cosa fosseaccaduto la notte precedente. La governante, però, interrogata disse che il consigliere era ritornatoassieme a una bellissima e giovanissima fanciulla che si chiamava Antonia, proprio quella che avevacantato così bene. Con loro era arrivato anche un giovane il quale si mostrava molto affettuoso conAntonia e doveva esserne il fidanzato. Costui però così aveva voluto il consigliere, fu costretto aripartirsene alla svelta.

«Quali siano i rapporti che uniscono il consigliere ad Antonia, sino a oggi è un mistero; ma è certissimoche egli tiranneggia quella povera fanciulla in modo odioso. La custodisce come il dottor Bartolocustodisce nel Barbiere di Siviglia la sua pupilla; essa non può quasi neppure affacciarsi alla finestra.Quando, poi, alle insistenze di lei, qualche volta la porta in società, la perseguita con i suoi occhi di Argoe non sopporta che essa faccia sentire neppure una nota musicale, tanto meno quindi che canti. Del restonon la lasciano neppure cantare in casa. Il canto di Antonia è divenuto perciò tra la gente della città laleggenda di un miracolo capace di eccitare le fantasie e gli animi, e anche quelli che non l’hanno uditadinanzi ai tentativi di qualche cantante spesso dicono: “Che maniera è mai questa di canticchiare? SoloAntonia sa cantare”.»

Voi sapete che io ho un debole per queste cose fantastiche e potete ben comprendere come trovassinecessario fare la conoscenza di Antonia. Avevo più volte ascoltato le opinioni del pubblico sul suocanto, ma non immaginavo che quella divina fanciulla fosse proprio lì in balia di quel matto di Krespelcome di un tirannico incantatore. Fu naturale quindi che di notte, nel sonno, udissi il meraviglioso canto diAntonia e poiché in unadagio magnifico (avevo l’impressione, anche se ciò era ridicolo, di averlocomposto io stesso) mi scongiurava nel modo più commovente di salvarla, allora subito mi decisi, qualenovello Astolfo, di entrare nella casa di Krespel come nel castello fatato di Alcina, per liberare la reginadel canto dalla obbrobriosa prigionia.

Ma tutto andò diversamente da come avevo creduto. Infatti io, che avevo visto solo due o tre volte ilconsigliere e con lui avevo parlato delle migliori marche di violini, fui da lui stesso invitato a fargli visita.Dunque andai ed egli mi mostrò il suo ricco patrimonio di violini. In una piccolissima stanza ve n’eranoappesi trenta e tra questi uno si distingueva per i segni di una notevole età (una testa leonina intagliataecc.) ed era appeso più in alto inghirlandato di fiori come un re che comandasse gli altri.

«Questo violino» disse Krespel a una mia domanda «questo violino è un notevole pezzo, molto bello, diun maestro sconosciuto, probabilmente del tempo di Tartini. Sono assolutamente persuaso che nella suastruttura più profonda ci sia dentro qualcosa di speciale e che se io lo scomponessi, vi scoprirei unsegreto che da tempo vado ricercando; ma (rida pure se vuole) questa morta cosa, a cui io solo possodare vita e suono, a volte mi parla in un modo meraviglioso e io ebbi l’impressione, la prima volta che visuonai, di essere soltanto un magnetizzatore in grado di destare un sonnambulo che può in tal modoannunciare per proprio conto le proprie verità.

«Non creda che io sia così sciocco da attaccarmi anche minimamente a simili fantasticherie, ma per me èpur strano il fatto che io non mi sia mai deciso ad aprire questa stupida cosa morta. Preferisco però così,giacché da quando Antonia è qui, le suono ogni tanto qualcosa su questo violino... E Antonia ascoltavolentieri, molto volentieri.» Queste parole furono pronunciate dal consigliere con visibile commozione,così mi decisi a dirgli: «Mio ottimo consigliere, potreste suonare in mia presenza?». Krespel fece unasmorfia agrodolce e mi disse con quel suo tono stiracchiato e cantilenante: «No, mio ottimo signorstudente». E la cosa finì lì.

Dovetti poi andare a vedere con lui ogni sorta di rarità, in parte puerili. Alla fine egli prese una cassetta ene tolse una carta ripiegata che mi pose in mano dicendo in modo solenne: «Lei è amico dell’arte, prenda

Page 40: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

questo regalo, come ricordo che le dovrà essere per sempre caro, sopra ogni cosa». E con questo mispinse dolcemente per le spalle verso la porta, abbracciandomi poi sulla soglia. Evidentemente, anche sein modo simbolico, venivo buttato fuori. Aperto il foglio di carta vi trovai dentro un pezzetto di corda diunmi con queste parole: «Dal cantino che il defunto Stamitz aveva sul violino quando diede il suo ultimoconcerto».

Il congedo sgarbato, appena accennai ad Antonia, mi sembrava indicare che non l’avrei mai più vista.Ma non fu così; quando infatti andai per la seconda volta a far visita al consigliere, trovai Antonia nellasua camera che lo aiutava a rimettere insieme un violino. A prima vista Antonia non mi fece moltaimpressione, ma dopo un poco non era più possibile staccarsi da quegli occhi azzurri, dalle dolci labbrarosate di quella delicata e soave figura, veramente fuori del comune. Essa era molto pallida, ma se sidiceva qualcosa di intelligente e spiritoso, il rosso incarnato delle guance si trasfondeva in un dolcesorriso; per sfumare poi rapidamente in un rosa pallido. Con la massima disinvoltura parlavo con Antoniae non notavo affatto quegli sguardi che, secondo il professore, Krespel avrebbe dovuto lanciarle; anzi eglirimaneva nei normali binari e sembrava che approvasse la mia conversazione con Antonia.

Così feci spesso visita al consigliere e i nostri reciproci contatti diedero alla nostra piccola cerchia unaconfortevolezza così perfetta da rallegrarci profondamente. Il consigliere con le sue straordinarie bizzarriefu sempre molto divertente, ma era pur sempre Antonia che mi attirava con il suo fascino irresistibile, e mifaceva sopportare molte cose che io, impaziente come ero allora, avrei dovuto evitare. E veramente lestranezze del consigliere erano insieme noiose e di cattivo gusto; particolarmente mi dava fastidio che egliappena si parlava di musica e specialmente di canto intervenisse con quel suo diabolico sorriso e conquel tono cantilenante portando il discorso su argomenti eterogenei e spesso volgari. Dalla profondainquietudine che allora traspariva dagli occhi di Antonia capivo benissimo che Krespel faceva così perimpedirmi di invitarla a cantare. Ma non cedevo. Il mio coraggio cresceva quanto più il consigliere miopponeva degli ostacoli; dovevo assolutamente ascoltare il canto di Antonia, affinché non mi limitassi soloa sognarlo e a immaginarlo.

Una sera Krespel era particolarmente di buonumore, aveva scomposto un vecchio violino cremonese eaveva scoperto che l’anima era posta secondo una linea più obliqua del normale. Esperienza certoimportante questa, che arricchiva la sua pratica. Riuscii allora a infervorarlo sul vero modo di suonare ilviolino. Lo stile degli antichi maestri che, come diceva Krespel, imitavano i cantanti veramente grandi, miportò alla osservazione che ora si faceva proprio il contrario; il canto cioè veniva rovinato perché sivoleva seguire gli strumenti nelle loro artificiose acrobazie.

«Che cosa c’è di più insensato» esclamai, balzando dalla sedia e correndo al pianoforte «che cosa c’è dipiù insensato di queste contorte maniere, le quali, invece di essere musica, assomigliano al rumore deipiselli che cadono sul pavimento?» E mi misi a cantare certi motivi moderni che vanno, vengono, frullanocome una trottola, accompagnandomi con alcuni accordi stonati. Krespel si mise a ridere come un mattoed esclamò:

«Ah! Mi sembra di ascoltare i nostri tedeschi italiani o i nostri italiani tedeschi, quando tentano di cantareun’aria di Pucitta o di Portogallo, o di qualche altro maestro di cappella, o “schiavo di un primo uomo”.»

«Questo è il momento buono» pensai. «Non è vero» dissi rivolgendomi ad Antonia «che Antonia nonconosce nulla di tutta questa brutta roba?» e subito intonai un canto stupendamente ispirato del vecchioLeonardo Leo.

Le guance di Antonia si accesero, uno splendore di cielo balenò dal suoi occhi rianimati... corse verso ilpianoforte... aprì le labbra... ma nello stesso tempo Krespel la respinse mi afferrò per le spalle e gridòcon una stridula voce tenorile: «Figlio mio, figlio mio» e subito prendendomi una mano e cantando

Page 41: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

sottovoce e inchinandosi molto cortesemente disse:

«Mio molto rispettabile signor studente, sarebbe certamente contro ogni abitudine e contro ogni buoncostume se io a voce alta manifestassi il desiderio che qui, proprio qui Satana infernale con gli artigliroventi le torcesse dolcemente il collo e la spedisse, per così dire, direttamente all’inferno; ma a partequesto, lei deve capire, mio carissimo, che fa già piuttosto buio, e siccome nessun fanale è acceso, anchese non la buttassi giù dalle scale, lei potrebbe subire dei danni alle sue care ossa. Vada a casa e si ricordidel suo amico sincero, se per caso non dovesse mai più – capisce? – mai più trovarlo in casa.» Dettoquesto mi abbracciò e tenendomi stretto mi accompagnò lentamente fino alla porta, cosicché non poteineppure lanciare uno sguardo ad Antonia. Voi comprendete che nella mia situazione non mi era possibilebastonare il consigliere come avrei dovuto fare.

Il professore rise di me e mi assicurò che ormai mi ero completamente guastato con il consigliere.Antonia mi era troppo cara e, direi, sacra perché io facessi l’innamorato avventuriero. Profondamentestraziato, abbandonai H., ma, come di solito avviene, i forti toni della fantasia impallidirono e Antonia,anzi persino il canto di Antonia, che io non avevo mai udito, brillava spesso nel profondo del mio animocome una dolce, confortante luce color di rosa.

Due anni dopo ero sistemato a B. quando intrapresi un viaggio nella Germania del Sud. Le torri dellacittà di H. si elevavano nel nebbioso tramonto: a mano a mano che mi avvicinavo, mi afferrava unindescrivibile senso di angoscia e di pena, era come se un gran peso mi gravasse sul petto, impedendomidi respirare. Dovetti scendere dalla carrozza. Ma l’oppressione aumentò fino a diventare un dolore fisico.E improvvisamente mi sembrò che per l’aria si librassero gli accordi di un corale solenne, poi i suoni sifecero più chiari, distinsi voci di uomini che cantavano un corale sacro.

«Che cos’è... che cos’è?» esclamai mentre mi sentivo attraversare il cuore da un pugnale rovente.

«Non vede» rispose accanto a me il postiglione «non vede? Là, dall’altra parte, al cimitero,seppelliscono qualcuno.»

Ci trovavamo infatti presso il cimitero e vidi una cerchia di persone vestite di nero attorno a una fossanon ancora ricoperta.

Le lacrime mi sgorgarono dagli occhi; era come se lì venisse sepolto ogni desiderio, ogni gioia di vita.Sceso rapidamente dall’altura dove mi trovavo, non mi fu più possibile guardare dentro il cimitero: il corotacque e io notai, non lontano dal cancello, uomini in nero che tornavano dal funerale.

Il professore con la nipote al braccio, ambedue in profondo lutto, mi passarono dinanzi senza vedermi.La nipote si premeva il fazzoletto sugli occhi e singhiozzava violentemente.

Mi era assolutamente impossibile entrare in città; mandai il mio servitore con la carrozza al solito albergoe uscii fuori verso la campagna a me ben nota per liberarmi da uno stato d’animo che pensavo avessesolo origini fisiche, dovute a un riscaldo durante il viaggio, o qualcosa di simile.

Quando giunsi al viale che porta verso i giardini della città, mi trovai dinanzi uno spettacolo moltosingolare. Il consigliere era accompagnato da due dolenti ai quali egli sembrava volere sfuggire con stranemosse saltellanti. Come al solito, vestiva la sua strana giacca grigia confezionata da sé; solamente dalpiccolo cappello a tre punte che egli aveva, con aria marziale, calcato su un orecchio, pendeva un lungo,sottile nastro nero, che svolazzava nell’aria. Attorno alla vita si era allacciato un cinturone nero, ma invecedella spada vi aveva infilato un archetto di violino.

Page 42: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Un brivido gelato mi percorse le membra: «Costui è impazzito» pensai mentre lo seguivo lentamente. Gliuomini accompagnarono il consigliere fino a casa sua, dove egli li abbracciò con una grande risata.Quando lo ebbero lasciato, il suo sguardo cadde su di me che gli stavo accanto. Egli mi guardò fisso,rigido, a lungo, poi esclamò cupamente: «Benvenuto, signor studente... Certo lei comprenderà...» eafferratomi per un braccio mi trascinò su per la scala, dentro casa, nella stanza dove pendevano i violini.

Tutti quanti erano avvolti di crespo nero. Mancava il violino del vecchio maestro e al suo posto pendevauna corona di rami di cipresso. Compresi quello che era avvenuto.

«Oh, Antonia! oh, Antonia!» gridai in un lamento sconsolato. Il consigliere era come irrigidito vicino ame con le braccia conserte. Indicai la corona.

«Quando essa morì» disse il consigliere cupo e solenne «quando essa morì l’anima di quel violino sispezzò con uno schianto fragoroso e la cassa armonica si spaccò in due. La poveretta poteva solo viverecon esso e in esso: ora il violino giace con lei nella bara. L’abbiamo sepolto con lei.»

Profondamente commosso caddi su una sedia, ma il consigliere cominciò a cantare con tono aspro unacanzone allegra, ed era pauroso vederlo saltellare su un piede mentre il nastro (egli aveva ancora ilcappello in testa) ondeggiava nella stanza contro i violini appesi. Non potei trattenere un violento gridoquando quel nastro, in una improvvisa giravolta del consigliere, mi lambì: era come se esso volesseavvolgermi e trascinarmi nell’oscuro, terribile abisso della follia.

Improvvisamente il consigliere si acquietò e con quel suo tono cantilenante mi disse: «Figlio mio... figliomio, perché gridi così? Hai forse visto l’Angelo della morte? Questo precede sempre la cerimonia».

Si portò in mezzo alla stanza, cavò l’archetto dal cinturone, lo tenne con le mani sopra il capo e lo ruppemandandolo in mille schegge. Ridendo forte esclamò: «Ora la bacchetta sopra di me è spezzata, non èvero, figlio mio?... No, assolutamente no, ora sono libero... libero... evviva... Ora non costruisco piùviolini... Non più violini... evviva... non più violini...».

Il consigliere cantava su una melodia paurosamente allegra mentre ballava su un solo piede.

Pazzo di terrore stavo per precipitarmi fuori dalla porta, ma il consigliere mi trattenne e ormai rilassato midiceva:

«Rimanga qui, signor studente, non consideri questi schianti di dolore che mi straziano con torture mortalicome pazzie; questo succede solo perché qualche tempo fa mi sono fatto una veste da camera dentro laquale volevo apparire come se fossi il Destino o Dio.» Il consigliere continuava ad accavallare parole follifinché cadde a terra esaurito; alle mie grida accorse la vecchia governante e fui lieto di trovarminuovamente libero all’aperto.

Non dubitai che Krespel fosse diventato pazzo, ma il professore affermava il contrario.

«Vi sono uomini» egli cominciò «ai quali la natura o un particolare destino hanno tolto la coperta sottocui lasciamo svolgere nascostamente la nostra pazza natura. Essi assomigliano a insetti dalla pelle sottile,che sembrano deformi nel visibile e vivace gioco dei muscoli, per quanto poi alla fine prendano la formadovuta. Ciò che in noi rimane solo pensiero, in Krespel diventa azione. Quell’amara ironia che lo spiritoumano rinchiuso in questa agitata attività terrena sa spesso sfruttare, Krespel la manifesta attraverso folligesti e abili sgambetti. Ma questo è il suo parafulmine. Ciò che viene su dalla terra, egli sa ridarlo allaterra, ma conserva ciò che vi è di divino in lui; così egli è perfettamente a posto con la sua coscienza,malgrado la prorompente esteriore pazzia. La improvvisa morte di Antonia fu certamente dolorosa, ma

Page 43: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

scommetto che già domani il consigliere continuerà il suo solito trotto sui binari consueti.»

Pressappoco infatti accadde come il professore aveva predetto. Il consigliere l’indomani parve quello diprima, soltanto diceva che non voleva più costruire né suonare violini. E questa promessa, come seppipiù tardi, la mantenne.

Le allusioni del professore rafforzarono la mia intima convinzione che la stretta e con tanta cura taciutarelazione tra Antonia e il consigliere e persino la stessa morte di Antonia dovessero essere una gravecolpa che egli non poteva espiare. Non volli abbandonare H. prima di avergli rinfacciato il delitto che ioimmaginavo: volevo scuoterlo fin nel profondo e così strappargli la confessione dell’azione orribile.Quanto più ci pensavo, tanto più mi diventava chiaro che Krespel dovesse essere uno scellerato e tantopiù ardente e penetrante diventava il discorso che si andava trasformando, quasi per virtù proprie, in unvero capolavoro di retorica.

Così armato e soprattutto eccitato, corsi dal consigliere. Lo trovai calmo e sorridente che torniva deigiocattoli.

«Come è possibile» lo investii «come è possibile che nella sua anima vi sia solo un attimo di pace se ilpensiero della sua delittuosa azione deve tormentarla con i morsi del serpente?»

Il consigliere mi guardò meravigliato e deponendo lo scalpello disse:

«Che cosa c’è, mio caro? Abbia la bontà di sedersi su questa sedia.»

Ma sempre più infervorato ed eccitato continuai a parlare fino ad accusarlo di avere ucciso Antonia e gliminacciai la vendetta del potere eterno. Anzi quale giurisperito appena uscito dagli studi, tutto pieno dellamia missione, arrivai sino ad assicurare che io stesso avrei fatto di tutto per mettere in luce la faccenda eper affidarlo già, quaggiù, al giudice. Rimasi un po’ deluso quando, dopo la conclusione del mio violentoe un po’ troppo retorico discorso, il consigliere, senza ribattere, mi guardò calmo, in attesa checontinuassi. E infatti tentai, ma a un tratto tutto mi apparve così fuori posto, così sciocco, che subitotacqui. Krespel se la godeva del mio imbarazzo, mentre un cattivo, ironico sorriso gli aleggiava sul viso;ma poi egli divenne serio e mi parlò in tono solenne:

«Giovanotto, può darsi che tu mi prenda per pazzo, per insensato, ma io ti perdono giacché siamoentrambi chiusi nello stesso manicomio e tu, perché ti consideri Dio figlio, mi rimproveri perché ioimmagino di essere Dio padre. Ma come puoi permetterti di penetrare dentro una vita, prenderne inmano le fila più nascoste, giacché questa vita ti è rimasta e doveva rimanerti estranea?... Essa se ne èandata e il mistero è risolto.»

Krespel tacque, si alzò e si mosse su e giù per la stanza. Mi feci animo a chiedergli dei chiarimenti; miguardò fisso, mi prese per mano e mi condusse alla finestra, aprendone le imposte. Appoggiandosi sullebraccia si sporse in fuori e, mentre lasciava errare lo sguardo nel giardino, mi raccontò la storia della suavita.

Come ebbe finito, commosso e vergognoso lo lasciai.

La vicenda di Antonia in breve si era svolta così. Vent’anni prima la mania di acquistare i migliori violinidei vecchi maestri era diventata una vera passione e aveva spinto il consigliere verso l’Italia. Allora eglinon costruiva violini né si dedicava a scomporre quelli vecchi.

A Venezia udì la celebre cantante Angela X che allora brillava nei ruoli di primo piano al Teatro S.

Page 44: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Benedetto. Il suo entusiasmo non riguardava soltanto l’arte che la signora Angela certo in modomeraviglioso esercitava, ma anche la sua bellezza angelica. Il consigliere cercò di fare la conoscenza diAngela e nonostante la sua ruvidezza vi riuscì soprattutto con il suo modo ardito e molto espressivo disuonare il violino. La loro relazione si concluse in poche settimane con il matrimonio, che venne peròtenuto nascosto perché Angela non voleva separarsi dal teatro e neppure dal suo nome di celebrecantante, né ci teneva ad aggiungervi quello sgradevole di Krespel.

Con la più rabbiosa ironia Krespel descrisse il modo strano con cui la signora Angela, appena divennesua moglie, si mise a torturarlo.

Tutti i capricci, tutte le ostinazioni di tutte le prime donne erano, come diceva Krespel, racchiuse nellapiccola persona di Angela. Se egli voleva qualche volta mettersi sulle difensive, Angela allora gli mandavacontro tutto un esercito di abati, di maestri, di accademici, i quali, non conoscendo i loro veri rapporti, glirimproveravano di essere l’amante più insopportabile, più maleducato, che non sapeva adattarsiall’umore capriccioso della signora.

Dopo una violenta scenata Krespel era fuggito in campagna nella villa di Angela e, messosi a suonare suun violino cremonese, dimenticò le sofferenze della giornata. Ma non poté durare a lungo, perché lasignora, che aveva seguito rapidamente il consigliere, fece il suo ingresso nella sala. Essa era in vena ditenerezze, abbracciò il consigliere, gli posò la testolina sulle spalle con dolci e languidi sguardi. Ma ilconsigliere, che era rapito nel mondo dei suoi accordi, continuò a suonare sino a far rintronare le pareti, egli avvenne di toccare con il braccio e con l’arco in modo non del tutto delicato la signora. Questa balzòindietro come una furia: «Bestia tedesca» gridò e strappandogli il violino dalle mani lo sbatté contro iltavolo di marmo mandandolo in mille pezzi. Il consigliere rimase impietrito come una statua, ma poi,svegliandosi come da un sogno, afferrò la signora e con una forza da gigante la buttò fuori dalla finestradella villa, poi, senza preoccuparsi d’altro, fuggì a Venezia e di qui in Germania.

Solo dopo un po’ di tempo si rese conto chiaramente di quello che aveva fatto. Per quanto sapesse chel’altezza della finestra dal suolo non era più di cinque piedi, e pur riconoscendo che in quelle circostanzeera assolutamente necessario buttare la signora dalla finestra, provava tuttavia una penosa inquietudinetanto più che la signora abbastanza chiaramente gli aveva fatto capire di essere in stato interessante. Eglinon osava chiedere informazioni e non poco si meravigliò quando, dopo circa otto mesi, ricevette unalettera molto affettuosa della sua amata consorte, dove essa non accennava minimamente a ciò che eraaccaduto nella villa, ma gli comunicava di aver messo al mondo una graziosissima figlioletta, aggiungendola cordiale preghiera che il «marito amato e padre felicissimo» ritornasse subito a Venezia. Ma Krespelnon fece questo. Informatosi presso un amico fidato dei particolari, venne a sapere che la signora Angela,in quella occasione, lieve come un uccello era caduta nella morbida erba e che la caduta non aveva avutoaltro che conseguenze psichiche.

La signora infatti, dopo l’eroico gesto di Krespel, si era come trasformata; in lei non era rimasto piùsegno di capricci, di bizzarrie, di manie di tormentare gli altri, tanto che il maestro che aveva composto lemusiche per il carnevale seguente, era diventato l’uomo più felice sotto il sole, perché la signora eradisposta a cantare le sue arie senza più quelle modifiche che altrimenti egli avrebbe dovuto accettare. Delresto, pensava l’amico, ci sono tutte le ragioni per tenere nascosti questi metodi curativi, perché altrimentiogni giorno le cantanti volerebbero fuori dalla finestra.

Il consigliere fu non poco commosso. Ordinò i cavalli e salì in carrozza. «Alt» disse a un tratto. «Comeposso escludere» mormorò «che appena mi faccia vedere, il cattivo spirito riacquisti la sua potenza sopraAngela? E in tal caso cosa mi rimarrebbe da fare, avendola già buttata fuori dalla finestra?»

Smontò dalla carrozza, scrisse alla moglie risanata un’affettuosa lettera nella quale accennava quanto

Page 45: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

essa fosse stata gentile ad annunciargli che la piccola, proprio come lui, aveva dietro l’orecchio unpiccolo neo, e... rimase in Germania.

Lo scambio di lettere continuò vivacemente. Assicurazione di amore... inviti... lamenti per l’assenzadell’amato... desideri mancati... speranze, ecc. andavano e venivano tra Venezia e H. e tra H. e Venezia.

Alla fine Angela venne in Germania e brillò, come è noto, come prima donna nel grande teatro di F. Perquanto non più giovanissima, essa rapiva tutti con l’irresistibile magia del suo canto. La sua voce nonaveva perduto nulla della sua bellezza. Antonia intanto era cresciuta, e la madre non finiva mai didescrivere al padre come Antonia stesse per diventare una cantante di primo rango. E questo fuconfermato dagli amici di Krespel che insistevano perché si recasse almeno una volta a F. per ammirarel’apparizione rara di due cantanti veramente sublimi. Essi non sapevano quale stretta relazione unisse ilconsigliere alle due donne. Krespel desiderava senza dubbio vedere la figlia che giustamente era radicatanel suo animo e che spesso gli appariva nei sogni, ma quando pensava alla moglie, era subito preso da uncerto malessere e rimaneva a casa tra i suoi violini scomposti.

Avrete sentito parlare del compositore B. a F., giovane dalle belle speranze che scomparveimprovvisamente, non si seppe come (o forse l’avete personalmente conosciuto?). Costui si innamoròtalmente di Antonia, che, poiché la giovane lo ricambiava di cuore, pregò la madre di acconsentire subitoa un’unione che l’arte stessa avrebbe consacrato. Angela non aveva nulla in contrario e il consigliereacconsentì, tanto più volentieri in quanto le composizioni del giovane maestro avevano avutol’approvazione del suo severo giudizio. Krespel già pensava di ricevere la notizia del matrimonioavvenuto, quando invece gli fu recapitata una lettera suggellata in nero, scritta da mano ignota. Il dottorR. annunciava al consigliere che Angela, in seguito a un raffreddore contratto in teatro, si era gravementeammalata e proprio la notte precedente il giorno in cui Antonia avrebbe dovuto sposarsi era morta. A lui,il dottore, Angela aveva rivelato di essere moglie di Krespel e che Antonia era sua figlia: doveva pertantoaffrettarsi a venire a prendere l’orfana. Il consigliere, per quanto scosso dalla morte di Angela, ebbesubito l’impressione che un principio maligno e disturbatore si fosse staccato dalla sua vita e che eglisoltanto ora poteva liberamente respirare. Pertanto lo stesso giorno partì per F.

Non potete immaginare con quale strazio il consigliere mi descrisse il momento in cui vide Antonia.Persino le bizzarrie della sua descrizione avevano una straordinaria forza di rappresentazione a cui nonposso neppure accennare. Tutta la grazia, tutte le gentilezze di Angela aveva ereditato Antonia, ma lemancava il rovescio della medaglia: non c’era puzza di zolfo che si sprigionasse di tanto in tanto. Ilgiovane fidanzato si presentò e Antonia con molto tatto, comprendendo sino in fondo il suo stranogenitore cantò uno di quei motivetti del vecchio padre Martini che, come essa sapeva, Angela avevadovuto cantare, senza mai stancarsi, al consigliere, nel periodo più fiorente del loro amore. Il consigliereversò torrenti di lacrime; nemmeno lui aveva sentito mai Angela cantare in quel modo. Il timbro dellavoce di Antonia era assolutamente singolare e lo si poteva paragonare al sospiro dell’arpa o algorgheggio degli usignoli. Quelle note sembravano non potere essere contenute in petto umano. Antonia,ardente di gioia e di amore, cantò e cantò le sue più belle canzoni, mentre B. l’accompagnava come solopuò fare l’entusiasmo ebbro di gioia.

Krespel dapprima ne fu rapito, poi divenne pensoso, silenzioso, assorto. Infine balzò in piedi, strinseAntonia al petto e la pregò a voce bassa e cupa: «Non cantare più, se mi vuoi bene... mi si stringe ilcuore... l’angoscia... l’angoscia... non cantare più».

«No, no» disse il consigliere il giorno dopo al dottor R. «... quando durante il canto il suo rossore siraccolse in due macchie scarlatte sulle pallide guance, allora compresi che questo non era più una stupidacaratteristica di famiglia, era ciò che avevo temuto.» Il dottore, che sin dall’inizio del colloquio avevamostrato di essere profondamente turbato, rispose:

Page 46: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Sia perché sforzatasi troppo presto a cantare, sia che lo abbia per natura, certo Antonia soffre di undifetto organico al petto che è proprio ciò che dona alla sua voce quella meravigliosa e rara potenza edirei quel timbro insolito fuori della sfera del canto umano. Ma la conseguenza sarà una morte prematura,e se essa continuerà a cantare, al massimo le do sei mesi di vita.»

Il consigliere si sentì straziare il cuore come da cento lame. Gli sembrava che per la prima volta unbell’albero avesse messo meravigliosi fiori, ma che fosse necessario tagliarlo alle radici affinché nonfiorisse più o mettesse foglie.

La decisione era presa. Egli disse tutto ad Antonia e la pregò di scegliere: o seguire il fidanzato e cederealle sue lusinghe e a quelle del mondo, ma morire presto, oppure procurare al padre nei suoi ultimi giorniquella gioia e quella calma che non aveva mai provato, e vivere così a lungo.

Antonia singhiozzando cadde nelle braccia del padre che, sentendo lo strazio dei momenti che stavanoper seguire, non volle avere una risposta più precisa. Egli parlò con il fidanzato, ma per quanto questiassicurasse che mai una nota sarebbe uscita dalle labbra di Antonia, il consigliere capì benissimo che lostesso B. non avrebbe potuto resistere alla tentazione di udire il canto di Antonia, se non altro le arie dalui stesso composte. Anche il mondo, il pubblico, se fosse stato informato delle sofferenze di Antonia,non avrebbe certo rinunciato alle proprie pretese, poiché il popolo, quando si tratta di godere, è egoista eferoce.

Il consigliere sparì da F. con Antonia e andò a H. Disperato B. venne a sapere della loro partenza. Neseguì le tracce, raggiunse il consigliere e arrivò insieme con lui a H.

«Vederlo ancora una volta e poi morire» implorava Antonia.

«Morire, morire?» gridò il consigliere in un accesso di ira, scosso nel profondo da un freddo terrore.

Sua figlia, l’unico essere nel vasto mondo che avesse acceso in lui gioie sconosciute, la sola che loriconciliava con la vita, si allontanava violentemente dal suo cuore ed egli volle che l’irreparabileavvenisse.

B. dovette mettersi al pianoforte, Antonia cantò, Krespel allegramente suonò il violino sino a che quellerosse macchie apparvero sulle guance della figlia.

Allora Krespel ordinò di sospendere; ma nel momento in cui B. si congedava da Antonia, essa caddeimprovvisamente con un alto grido.

«Credetti» (così mi raccontò Krespel) «credetti che, come avevo previsto, essa fosse veramente mortae, poiché ero stato io a voler portare le cose alle loro estreme conseguenze, me ne stavo tranquillo erassegnato. Afferrai per le spalle B., che nel suo irrigidimento dava l’impressione di uno scioccopecorone, e gli dissi» (il consigliere cadde nel suo tono cantilenante): «“Poiché, rispettabilissimo maestro,come voi proprio avete voluto e desiderato, avete ucciso la vostra cara fidanzata, potete ora andarvenetranquillamente, a meno che non vogliate rimanervene qui sino a quando non vi abbia ficcato un lucidocoltellaccio nel cuore, affinché mia figlia, che, come voi vedete, è piuttosto palliduccia, possa ricevere unpo’ di colore dal vostro sangue... Andate via subito, sparite, perché potrei tirarvi nella schiena uno sveltocoltellino”. Devo avere avuto a queste parole un aspetto pauroso, perché quello con un grido diprofondo terrore balzò via attraverso la porta, giù per le scale.»

Quando poi il consigliere, dopo che B. se ne fu andato, volle sollevare Antonia che giaceva a terra

Page 47: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

svenuta, essa aprì sospirando gli occhi che però subito parvero chiudersi di nuovo nella morte. Krespelscoppiò in alti, disperati lamenti. Il dottore fatto venire dalla governante disse che Antonia si trovava inuno stato di eccitazione, ma che non vi era il minimo pericolo, e infatti ella si riprese più rapidamente diquanto il consigliere avesse osato sperare.

Essa in seguito gli si attaccò con il più profondo affetto filiale; gli fu vicina nelle sue più care occupazioni,come nei suoi capricci e nelle stramberie più pazze. Lo aiutava a scomporre i vecchi violini e a costruirnedi nuovi.

«Non voglio più cantare, ma vivere per te» diceva spesso sorridendo al padre quando qualcuno lainvitava ed essa rifiutava. Il consigliere cercava poi di risparmiarle il più possibile simili occasioni e perquesto malvolentieri andava con lei in società cercando di evitare ogni occasione musicale. Sapeva certoquanto doloroso dovesse essere per Antonia rinunciare completamente all’arte che aveva esercitato contanta dedizione. Quando poi il consigliere si accinse a scomporre quel meraviglioso violino che avevaacquistato e che poi fu sepolto con Antonia, questa lo guardò con tristezza e sottovoce, quasi supplice,disse: «Anche questo?».

Il consigliere non sapeva neppure lui quale ignota forza lo costringesse a lasciare il violino intatto persuonarvi. Appena toccava le prime note Antonia esclamava allegra: «Ah, ecco! sono io... così riprendo acantare».

Veramente le chiare, argentine note dello strumento avevano qualcosa di meraviglioso, pareva uscisseroda un petto umano. Krespel ne fu toccato profondamente e suonava molto meglio del solito eogniqualvolta l’archetto saliva e scendeva con grande forza e con profonda espressione, Antonia battevale mani rapita ed esclamava: «Oh! come ho cantato bene! come ho cantato bene!».

Da quel momento una grande calma e serenità penetrò nella sua vita. Spesso diceva al consigliere:«Desidererei cantare un poco!». Allora Krespel staccava il violino dalla parete e cantava le miglioricanzoni per Antonia ed era veramente felice nel cuore.

Poco prima del mio arrivo il consigliere credette di udire, una notte, nella stanza vicina, qualcuno chesuonasse il pianoforte e subito distinse chiaramente che era B. mentre preludiava alla sua maniera. Eglitentò di alzarsi ma come se un pesante fardello lo opprimesse e lo tenesse legato con catene di ferro, nongli riuscì assolutamente di muoversi. In quella Antonia intonò un canto sommesso e sospiroso che andòsempre crescendo e crescendo sino a raggiungere il fortissimo più squillante, sino a comporre quellameravigliosa canzone che una volta B. aveva fatto per Antonia secondo lo stile devoto degli antichimaestri. Krespel disse di essersi trovato in una situazione incomprensibile, perché in lui un doloreinsopportabile era congiunto a una ebbrezza mai sentita. Improvvisamente lo circondò una luceabbagliante in cui egli vide Antonia e B. che si tenevano abbracciati guardandosi in un rapimento felice.Le note della canzone e del pianoforte che l’accompagnava continuarono senza che si vedesse Antoniacantare o B. toccare i tasti. Il consigliere cadde in una specie di sorda impotenza in cui la visionescomparve insieme con il suono.

Quando rinvenne, gli era ancora rimasta la terribile angoscia vissuta nel sogno. Corse nella stanza diAntonia. Essa giaceva con gli occhi chiusi sul divano, il viso soavemente sorridente, le mani giunte comese dormisse e sognasse gioie e voluttà paradisiache.

Ma era morta.

LA SFIDA DEI CANTORI

Page 48: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

All’epoca in cui l’inverno trapassa nella primavera, nella notte dell’equinozio, un uomo sedeva solitario inuna stanza e teneva aperto dinanzi a sé il libro di Johann Christoph Wagenseil sull’arte sublime deimaestri cantori.

Fuori, la tempesta mugghiando e strepitando spazzava la campagna: grosse gocce di pioggia battevanocontro le finestre cigolanti e l’infuriato inverno gridava i suoi addii attraverso i camini della casa, mentre iraggi della luna piena, come pallidi fantasmi, combinavano strani giochi sulle pareti.

A queste cose l’uomo non badava. Chiuse di colpo il libro e guardò dinanzi a sé meditabondo, tuttorapito dalle immagini incantate di un’età da lungo ormai trascorsa e che a lui si ripresentavano nellefiamme crepitanti del camino.

Era come se un’invisibile realtà stendesse un velo dietro l’altro sul suo capo, sicché tutto attorno a lui siconfondeva in una nebbia sempre più densa.

Il selvaggio mugghiare della tempesta, il crepitare del fuoco si trasformarono allora in un dolce mormorioe in un armonioso sussurro, e una voce interiore gli diceva: «Questo è il Sogno, le cui ali frusciano cosìlievemente quando, come un fanciullo celeste, si posa sul petto dell’uomo e dolcemente baciandolorisveglia la visione interiore che gli permette di contemplare le vivide immagini di una vita più alta, tuttasplendore e magnificenza».

Una luce abbagliante guizzò come una folgore, l’individuo avvolto nei veli aprì gli occhi; ma più nessunvelo, più nessuna nebbia coprivano il suo sguardo. Egli si trovava, nella notte albeggiante, in una prateriafiorita, in un bel bosco fitto. Le sorgenti mormoravano, i cespugli stormivano come in un misteriosocolloquio d’amore, mentre l’usignolo si lamentava dolcemente. Il vento del mattino si levò e, spingendodinanzi a sé la nuvolaglia, aprì la strada agli amorosi raggi del sole. Subito la luce fece scintillare il verdedelle foglie e risvegliò gli addormentati uccelletti che in un giocondo trillio volavano e saltellavano di ramoin ramo.

Improvvisamente risuonò lontano l’allegro suono dei corni; la foresta frusciando si scosse dal suotorpore; caprioli e cervi, con occhi intelligenti e curiosi, spiavano dai cespugli colui che stava distesosull’erba, ritraendosi però subito impauriti nel folto del bosco.

I corni tacquero, ma ora si sentivano risuonare arpe e voci meravigliosamente intonate come una musicaceleste. Sempre più vicino si faceva l’affascinante canto, e i cacciatori con in mano gli spiedi e i lucidicorni a tracolla sbucarono dal profondo della foresta. Li seguiva, su un bel destriero dal mantello dorato,un imponente personaggio vestito di un manto principesco, secondo l’antico costume tedesco; al suofianco cavalcava su un palafreno una dama di splendida bellezza sfarzosamente vestita. Poi seguivano seiuomini su cavalli di diversi colori, i cui costumi e le espressioni del volto indicavano che essiappartenevano a un’età da lungo trascorsa. Deposte le redini sul collo dei cavalli suonavano il liuto el’arpa e cantavano con bellissime voci cristalline, mentre i loro cavalli ammaestrati, guidati dall’incantodella dolce musica, danzavano graziosamente a piccoli passi, lungo il sentiero, seguendo la coppiaprincipesca. Quando poi il canto si interrompeva per qualche istante, i cacciatori davano fiato ai corni e ilnitrito dei cavalli risuonava in un giubilo di dirompente vitalità. Paggi e servitori riccamente vestitichiudevano il solenne corteo che sparì nel folto della foresta. L’uomo che era immerso nella strana emeravigliosa visione balzò su dal prato ed esclamò pieno di entusiasmo: «O Signore del cielo, l’antica emagnifica età è dunque risorta dai suoi sepolcri? Chi erano quelle nobili persone?».

Allora dietro di lui una voce così parlò: «Caro signore, voi, proprio voi che li portate dentro nell’anima enei pensieri non siete in grado di riconoscere costoro?».

Page 49: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Egli si guardò attorno e notò un personaggio imponente con un’ampia parrucca nera e ricciuta, vestitotutto di nero come si usava attorno al 1680. Riconobbe subito il vecchio e dotto professor JohannChristoph Wagenseil, il quale continuò così a parlare: «Avreste dovuto capire che l’imponente signore inmantello principesco altri non era che il buon langravio Ermanno di Turingia. Vicino a lui cavalcava laregina della corte, la nobile contessa Matilde, giovanissima vedova del conte Kuno von Falkenstein,morto in tarda età. I sei uomini che seguivano cantando sul liuto e sulle arpe erano i sei grandi maestricantori che il nobile langravio, appassionato cultore della sublime arte del canto, ha radunato alla suacorte. Ora ha luogo una lieta battuta di caccia, ma poi i maestri si riuniranno in una radura nel mezzo dellaforesta e inizieranno la gara di canto. Avviamoci anche noi affinché si possa essere là quando la cacciasarà finita».

Ed essi si mossero mentre la foresta e i lontani burroni risuonavano del suono dei corni, dell’abbaiare deicani, degli incitamenti dei cacciatori. Avvenne come il professor Wagenseil aveva pensato: erano appenaarrivati nel luminoso pianoro verde-dorato, quando videro avvicinarsi lentamente da lontano il langravio,la contessa e i sei uomini.

«Desidero» cominciò Wagenseil «desidero mostrarvi a uno a uno i vari maestri con i loro nomi. Vedetequel personaggio che si guarda attorno con un’aria così lieta e che, abbandonate le redini, lasciacaracollare così liberamente il suo cavallo baio?... Ecco, guardate, il langravio ora gli fa dei cenni ed egliscoppia in un’aperta risata. È l’allegro Walter von der Vogelweid... Quell’altro dalle larghe spalle con lafolta barba ricciuta e le armi da cavaliere che cavalca con il passo maestoso di una tigre, è Reinhard vonZwekhstein... E quello laggiù che con il suo cavallo pezzato invece di avanzare torna verso la foresta efissa meditabondo lo sguardo dinanzi a sé come se dalla terra di fronte a lui scaturissero delle belleimmagini? È il professor Heinrich Schreiber, un tipo veramente distratto; non si accorge neppure dellapianura fiorita, né pensa alla gara di canto. Vedete dunque, mio caro signore, come entra nello strettoviottolo della foresta lasciandosi colpire sulla fronte dai rami. Vicino a lui galoppa Johannes Bitterolff. Lovedete in quella persona imponente con la barba rossa su quel cavallo lionato. Sta chiamando ilprofessore, il quale sembra destarsi da un sogno. Ecco, ora tornano tutti e due indietro... Che cosa èquello strepito laggiù in quel fitto boschetto?... Passano così basse le bufere nelle foreste?... Ah, ecco... èun cavaliere scatenato che incita il suo cavallo sino a farlo impennare con la bava alla bocca... Guardateora quel pallido e bel giovanetto, come i suoi occhi fiammeggiano, come tutti i muscoli del suo visovibrano per la sofferenza! Sembra torturato da un essere invisibile sorto alle sue spalle. È Heinrich vonOfterdingen. Che cosa gli può essere successo? Eppure sino a poco tempo fa era così sereno e cantavacosì meravigliosamente bene insieme agli altri maestri!... Guardate, guardate ora quel bellissimo cavaliereche monta un cavallo arabo bianco come la neve; guardate come scende svelto da cavallo e con qualecavalleria, intrecciate le redini attorno al braccio, offre la mano alla contessa Matilde per aiutarla ascendere dal proprio palafreno! Con quale grazia egli le sta vicino folgorando la bella dama con i suoiocchi azzurri! È Wolfframb von Eschinbach... Ma ora siedono: sta per cominciare la gara di canto.»

I maestri, uno dopo l’altro, cantarono una magnifica canzone. Era evidente che ognuno si adoperava persuperare chi l’aveva preceduto. Siccome però era ugualmente chiaro che nessuno vi riusciva pienamente,non si poté decidere quale dei maestri avesse cantato meglio: allora la contessa Matilde si mosse versoWolfframb von Eschinbach con in mano la corona per il vincitore.

Saltò su allora Heinrich von Ofterdingen: un fuoco selvaggio sprizzò dai suoi occhi cupi e mentre eglirapido si portava nel mezzo del prato, un colpo di vento gli rapì il berretto e i capelli gli si sollevaronosopra la fronte mortalmente pallida.

«Fermatevi» gridò «fermatevi, il premio non è ancora vinto! C’è ancora la mia canzone, la mia canzone!E poi il langravio deciderà a chi dovrà appartenere la corona del vincitore.»

Page 50: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Allora apparve nella sua mano, non si sa come e in qual modo, un liuto meravigliosamente costruito, chepoteva assomigliare a un agghiacciante e misterioso animale. Cominciò a suonare in un modo cosìpotente che la lontana foresta ne rintronò: ed egli intonò un canto a voce spiegata. La canzone lodava il restraniero, come il più potente di tutti gli altri principi e a cui i maestri dovevano umilmente rendereomaggio, se non volevano cadere in disgrazia. Di tanto in tanto, però, alcuni suoni striduli siinterponevano nel suo canto come per scherno. Il langravio guardò adirato il fiero cantante. Allora tutti glialtri maestri si alzarono e cantarono insieme. La canzone di Ofterdingen avrebbe dovuto smorzarsi,invece egli pizzicò sempre più forte le corde, sino a che queste saltarono con un gemito di dolore. Alposto del liuto che Ofterdingen teneva sul braccio sorse improvvisamente davanti a lui una figuratenebrosa e terribile che lo sostenne mentre stava per cadere a terra e lo sollevò alto nell’aria. Il canto deimaestri si perse nell’eco lontana: oscure nebbie si addensarono sul bosco e sulla radura e coprirono tuttocome in un’oscura notte.

Allora dalla profondità di quelle tenebre, in una luce chiara come il latte, si levò una meravigliosa stella esi mosse per le vie del firmamento, e su nubi risplendenti i maestri la seguirono cantando e suonando iloro strumenti. Una luce scintillante tremò attraverso la campagna, le voci della foresta si risvegliarono dalloro profondo torpore e amorosamente risuonando si confusero con le voci dei maestri.

Ti sarai reso conto, carissimo lettore, che colui al quale fu dato di sognare tutto ciò ha intenzione diportarti tra i maestri che egli ebbe modo di conoscere tramite il professor Johann Christoph Wagenseil.

Avviene talvolta che vedendo in lontananza alla luce del crepuscolo strane figure l’anima freme per lacuriosità di sapere chi siano e che cosa vogliano fare. Sempre più si avvicinano e ne vediamo i coloridegli abiti e i visi: ascoltiamo i loro discorsi e le parole riecheggiano nell’aria. Ma poi spariscono dietro leazzurre nebbie di un avvallamento profondo. Dobbiamo quindi aspettare un poco per vederle risalirenuovamente e trovarle vicino a noi affinché possiamo afferrare quello che dicono e parlare con loro.Così, potremo sapere che mentre in lontananza avevano l’aria di essere fantastiche, vicino a noi hannouna loro forma e una loro concretezza.

Possa il sogno narrato, carissimo lettore, suscitare in te eguali sensazioni. Possa tu concedere alnarratore il piacere di condurti subito alla corte del langravio Ermanno di Turingia, alla splendidaWartburg.

I maestri cantori alla Wartburg

Si era nel 1208, quando il nobile langravio di Turingia, appassionato cultore e grande mecenate dellaleggiadra arte del canto, radunò alla sua corte sei grandi maestri cantori: Wolfframb von Eschinbach,Walter von der Vogelweid, Reinhard von Zweikhstein, Heinrich Schreiber, Johannes Bitterolff, tuttidell’ordine cavalleresco, e Heinrich von Ofterdingen, cittadino di Eisenach. Quasi fossero sacerdoti diuna chiesa, vivevano una pia vita in perfetta concordia e la loro unica aspirazione era quella di onoraresoprattutto il canto, il più bel dono con cui Dio abbia benedetto gli uomini.

Ognuno naturalmente aveva un suo particolare modo di cantare, ma poiché le varie tonalità di unaccordo pur essendo differenti dovevano armonicamente accordarsi tra loro, era necessario che ledifferenti voci dei maestri si intonassero reciprocamente come raggi di una amorosa stella. Diconseguenza nessuno pensava che la propria voce fosse la migliore, anzi apprezzava molto di più le altree riconosceva che il proprio canto non avrebbe potuto manifestarsi così bene senza l’apporto degli altri;così come un suono può elevarsi ed espandersi pienamente solo quando il suono affine si sveglia eamabilmente lo saluta.

Se le canzoni di Walter von der Vogelweid erano nobili e leggiadre e piene di audace passione, quelle di

Page 51: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Reinhard von Zwekhstein erano vigorose e cavalleresche, dalle espressioni gravi. Se Heinrich Schreibersi mostrava riflessivo ed erudito, Johannes Bitterolff era brillante ed eclettico. Le canzoni di Heinrich vonOfterdingen penetravano nel profondo dell’anima: in preda a una pena struggente, egli sapeva accenderein ogni petto una profonda mestizia. Ma spesso suoni stridenti interrompevano il suo canto: suoni che nonpotevano venire se non da un’anima intimamente ferita in cui si annidasse, come un insetto velenoso, il piùbieco e corrosivo scherno. Nessuno sapeva che cosa gli fosse accaduto.

Wolfframb von Eschinbach era nato in Svizzera. Le sue canzoni piene di grazia e limpide come il cielosereno della sua patria, le sue melodie richiamavano il suono di campane e zampogne, ma anche loscrosciare delle cascate e il brontolio del tuono attraverso le gole montane. Quando egli cantava, ognunosi sentiva come trasportato con lui sull’onda splendente di un fiume, ora scivolandovi sopra dolcemente,ora in lotta con i burrascosi flutti, ora, superato il pericolo, dirigendo lietamente verso il sicuro porto.

Nonostante la giovane età, Wolfframb von Eschinbach poteva essere considerato uno dei più esperti trai maestri radunati a corte. Sin dalla più tenera infanzia egli si era dato completamente all’arte del canto equando fu adolescente viaggiò attraverso vari paesi sino a che s’imbatté nel grande maestro Friedebrand.

Questi lo istruì fedelmente nell’arte e gli trasmise i testi di molte poesie dei maestri che gli illuminaronotalmente l’animo da fargli comprendere e riconoscere ciò che fino a quel momento gli era apparso oscuroe indistinto. In particolare a Siegebrünnen in Scozia Friedebrand gli diede alcuni libri da cui egli presequei racconti che trasportò poi nelle composizioni tedesche: soprattutto quella di Gamuret e di suo figlioParcivall, quella del margravio Wilhelm von Narben e del forte Rennewart, poesie che poi un altromaestro cantore Ulrich von Turkheimb, dietro preghiera di molta gente che non poteva comprenderebene le canzoni di Eschinbach, raccolse in un grosso volume e volgarizzò in rime tedesche. E cosìavvenne che la fama di questa sua meravigliosa arte si diffondesse ovunque ed egli poté godere delfavore di principi e di signori. Visitò parecchie corti e per la sua maestria ricevette molti onori, sino a chel’illuminato langravio Ermanno di Turingia, che continuamente sentiva parlare di lui, lo chiamò alla suacorte.

Non soltanto la grande arte di Wolfframb, ma anche la sua dolcezza e la sua grazia conquistarono inbreve il favore e la benevolenza del langravio, sicché Heinrich von Ofterdingen, che già godeva dei piùampi favori del principe, fu messo un poco in ombra. Cionondimeno nessuno del grandi maestri amòprofondamente Wolfframb quanto Heinrich. Questi contraccambiava di tutto cuore ed entrambi furonolegati nel più sincero affetto, mentre gli altri maestri facevano ad essi luminosa corona.

Il segreto di Heinrich von Ofterdingen

La personalità di Ofterdingen si mostrava ogni giorno più irrequieta e tormentata. Il suo sguardodiventava fosco e agitato, il suo viso sempre più pallido.

Mentre gli altri maestri cantavano nobili argomenti tratti dalla Sacra Scrittura, e le loro voci gioiose silevavano in lode delle dame e del loro valoroso signore, le canzoni di Ofterdingen cantavano invece solol’incommensurabile tormento dell’umana esistenza e potevano paragonarsi al canto doloroso di chi èmortalmente ferito e che invano spera nella liberazione della morte.

Tutti credevano che egli fosse vittima di un amore sconsolato; ma vano rimase ogni tentativo di svelare ilmistero. Lo stesso langravio, che aveva il giovanetto nel cuore, tentò, in un intimo colloquio, diinterrogarlo sulle cause della profonda sofferenza e gli diede la sua parola di principe che gli avrebbemesso a disposizione tutto il suo potente aiuto per allontanare da lui qualsiasi minaccia; oppure,esaudendogli qualunque desiderio apparentemente irrealizzabile, avrebbe mutato la sua sofferenza ingioiosa speranza. Bastava che gli aprisse tutto il suo animo.

Page 52: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Oh, mio signore» disse Ofterdingen, mentre chiare lacrime gli scorrevano dagli occhi «oh, mio signore,non so neppure io quale diabolica potenza mi abbia afferrato con i suoi ardenti artigli e mi tenga sospesotra quel cielo e quella terra alla quale io più neppure appartengo e invano anelo verso la felicità! Gliantichi poeti pagani parlano di ombre di morti che non possono vivere né nei Campi Elisi né all’Orco.Esse si agitano qua e là sulle rive dell’Acheronte e la tenebrosa atmosfera, nella quale mai brilla la stelladella speranza, risuona dei loro sospiri dolorosi, delle loro voci tormentate, della loro sofferenza senzanome. Suppliche e lamenti sono vani: inesorabile l’antico battelliere le rimanda indietro se esse tentano dientrare nella fatale barca. Io pure mi trovo in questo stato spaventoso di dannazione.»

Poco tempo dopo questo colloquio con il langravio, Heinrich von Ofterdingen, colpito da una veramalattia fisica, lasciò Wartburg e si recò ad Eisenach. I maestri si dolsero che un così bel fiore, quasifosse stato lambito da vapori venefici, fosse destinato ad appassire anzitempo lontano dalla sua corona.Wolfframb non perse tutte le speranze; anzi pensava che ora la malattia di Heinrich da spirituale si eratrasformata in fisica e fosse prossima la guarigione. Può avvenire che l’animo si ammali nel presentimentodi una malattia fisica e questo era forse avvenuto con Ofterdingen che egli volle fedelmente curare econsolare.

Wolfframb si recò subito ad Eisenach. Trovò Ofterdingen mortalmente debole disteso su un lettucciocon gli occhi socchiusi. Il liuto pendeva tutto impolverato alla parete con le corde in parte spezzate.

Come si accorse dell’amico, si sollevò un poco e con un sorriso doloroso gli porse la mano. Wolfframbsedette presso di lui, gli portò il saluto affettuoso del langravio e dei maestri e gli rivolse paroleamichevoli. Heinrich con voce stanca e flebile cominciò a parlare: «Mi è accaduto qualcosa di veramentestrano! Forse mi sono comportato come un pazzo e forse voi tutti crederete che io nasconda nel miopetto il mistero che in modo così micidiale mi dilania. Ah! questa mia situazione sconsolata è per mestesso un mistero. Un dolore senza requie mi lacera il petto, ma anche per me le cause sono insondabili.Ogni mia azione mi sembra misera e senza alcuna importanza; le canzoni che già tanto apprezzavo misuonano false, deboli, indegne del peggiore allievo. E io, sedotto da una vana pazzia, anelavo di superarete e tutti gli altri maestri! Una felicità ignota, la suprema delizia del cielo stava sopra di me; era come unaureo astro sfolgorante verso il quale dovevo proiettarmi oppure morire sconsolato. Miravo verso l’alto,protendevo le braccia piene di nostalgia, e allora una presenza gelida aleggiava attorno a me e diceva: “Ache cosa aneli? che cosa speri? Forse che il tuo occhio non è accecato e la tua forza spezzata giacchénon puoi più sopportare la luce della tua speranza e abbracciare la felicità celeste...”. Ecco... ora ilmistero è svelato anche a me. In me c’è la morte, ma nella morte la suprema beatitudine celeste...

«Incurabile nella mia infermità giacevo nel letto. Una notte il delirio febbrile che mi aveva tormentatosenza requie cessò. Mi sentii tranquillo. Un dolce calore mi invase. Mi sembrava di nuotare nell’ampiospazio celeste sopra nubi scure. Allora attraverso le tenebre guizzò un lampo luminoso e io gridai:“Matilde!...”. Mi svegliai, il sogno era svanito. Il mio cuore tremò di una strana dolce angoscia, diun’indescrivibile delizia. Sapevo di aver pronunciato a voce alta “Matilde” e impaurito pensai che lacampagna e le foreste, tutti i monti e gli abissi ripetessero il suo dolce nome; che migliaia di vocidovessero riferire che io l’amavo perdutamente di un amore inesprimibile: che essa... essa fosse l’astrolucente che, illuminandomi l’anima, avesse risvegliato il dolore divorante di una inconsolabile nostalgia; eora le fiamme d’amore divampavano e la mia anima assetata spasimava per la sua bellezza e la suagrazia. Wolfframb, tu conosci ora il mio segreto e devi seppellirlo nel tuo petto. Tu vedi che sonotranquillo e t’assicuro che preferisco morire, piuttosto che rendermi spregevole dinanzi ai vostri occhiagendo come un pazzo. A te, proprio a te, che ami Matilde, a te, cui l’amore è ricambiato, devo diretutto, tutto confidare. Appena sarò guarito, con la mia mortale ferita nel cuore sanguinante, me ne andròlontano in un paese straniero. Ascoltami, quando io non sarò più, devi dire a Matilde che io...»

Page 53: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Il giovanetto non poté continuare, cadde riverso sui cuscini e volse il viso verso il muro. I violentisinghiozzi tradivano il suo dramma interiore. Wolfframb von Eschinbach rimase non poco turbato aquesta rivelazione. Sedeva con gli occhi bassi, meditando in qual modo salvare l’amico da quella follepassione che certo lo avrebbe perduto.

Tentò di confortarlo con le parole, anzi cercò di persuaderlo di ritornare alla Wartburg perché con ilcuore pieno di speranza si facesse animo e riprendesse il posto m quell’atmosfera luminosa che la nobilefigura di Matilde diffondeva attorno a sé. Poiché Wolfframb sapeva di avere conquistato i favori diMatilde con nessun altro mezzo se non con le proprie canzoni, pensava che Ofterdingen avrebbe potutofare altrettanto. Il povero Heinrich lo guardò con occhi velati e disse: «Mai più mi rivedrete a Wartburg.È proprio necessario che io mi butti nelle fiamme?... Non muoio dunque lontano da lei di nostalgia, diquesta dolce e bella morte?».

Wolfframb se ne andò e Ofterdingen rimase ad Eisenach.

Cosa avvenne in seguito di Heinrich von Ofterdingen

Può succedere che il mal d’amore, che minaccia di lacerare il nostro animo, diventi una cosa tanto nostrache noi lo coltiviamo e lo custodiamo. Allora i lamenti convulsi, espressione di un tormento senza nome,diventano voci melodiose di una dolce pena che risuonano nel nostro animo come una lontana eco e siposano come farmaci che leniscono la nostra sanguinante ferita. Così avvenne per Heinrich vonOfterdingen. Egli visse in un cocente e nostalgico amore; ma ormai non aveva più dinanzi a sé un cupoabisso senza speranza, bensì volgeva lo sguardo verso l’alto, su, verso le scintillanti nubi primaverili.Sembrava che la persona amata lo guardasse da una vertiginosa altezza con i suoi occhi luminosi eaccendesse nel suo petto le più belle canzoni che egli avesse mai cantato. Staccò il liuto dalla parete. Vimise nuove corde, e si incamminò verso la bella primavera da poco cominciata. E decisamente si portònei dintorni di Wartburg.

E quando da lontano vide gli splendenti pinnacoli del castello e pensò che mai più avrebbe rivistoMatilde e che il suo amore sarebbe rimasto solo un’aspirazione senza soluzione e che Wolfframb sisarebbe conquistato la splendida dama con la forza del suo canto, allora tutte le belle immagini piene disperanza precipitarono in una cupa notte e i tormenti della gelosia e la disperazione gli trapassaronol’anima. Come perseguitato da cattivi fantasmi, fece ritorno nella solitudine della sua dimora, dove potevacantare canzoni che lo riportavano nei suoi sogni e con essi vicino alla persona amata.

Era riuscito per lungo tempo a evitare le vicinanze della Wartburg, quando un giorno si trovò, non seppeneppure lui come, nella foresta a essa antistante e da cui si poteva vedere spiccare il castello. Arrivò in unposto della foresta dove tra fitti cespugli, rovi e sterpaglie si elevava una roccia coperta di muschivariopinti. A fatica si arrampicò fin verso la metà e attraverso una spaccatura vide ergersi in lontananza lecime della Wartburg. Allora sedette e combattendo contro tutti i cattivi pensieri si abbandonò a dolcisogni di speranza.

Già da tempo il sole era tramontato; dalle fosche nebbie che si erano stese sopra le montagne si levò ildisco della luna di un rosso acceso. Attraverso gli alti alberi il vento della notte fischiava e i cespuglicolpiti dal suo soffio glaciale erano scossi come da un brivido di febbre. Gli uccelli notturni si levavanostridendo dalla roccia e cominciavano il loro volo errante. Più forte si sentivano mormorare i ruscelli nellaforesta e scrosciare le lontane fonti. Ma quando la luna brillò più luminosa attraverso la foresta, egli sentìvibrare nell’aria le note di un canto lontano. Heinrich diede un balzo. Pensò che alla Wartburg i maestristavano intonando le loro belle canzoni notturne: vide Matilde che accomiatandosi volgeva ancora gliocchi all’amato Wolfframb e in questo sguardo vi era tutto l’amore e la beatitudine che dovevanorisvegliare nell’anima dell’amato l’incanto dei sogni più dolci.

Page 54: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Heinrich, il cui cuore sembrava dovesse spezzarsi di desiderio e di nostalgia, afferrò il liuto e cominciò acantare una canzone come forse mai prima aveva cantato. Il vento notturno si calmò: nel bosco tuttotacque. Nel profondo silenzio della notte le note del canto di Heinrich luminosamente vibrarono come sesi intrecciassero con i raggi della luna.

La sua canzone già stava per morire in un angoscioso sospiro d’amore, quando improvvisamentescoppiò dietro di lui una stridente risata. Atterrito si voltò e vide una grande e cupa figura, che, primaancora che egli se ne rendesse conto, cominciò a parlare con un odioso tono di scherno: «Ehi, ho dovutocercare un bel po’ prima di trovare colui che nella notte cantava una così nobile canzone. Allora siete voiHeinrich von Ofterdingen... avrei dovuto saperlo, perché siete il peggiore di tutti i cosiddetti maestri diWartburg: solo dalla vostra bocca poteva uscire una canzone così sciocca, senza contenuto e senzaarmonia!».

Combattuto tra la paura e l’ira Heinrich disse: «Chi siete voi che dite di conoscermi e credete di potermibeffeggiare con le vostre sprezzanti parole?» e diede mano alla spada.

Ma l’individuo scoppiò ancora a ridere e in quel momento sul suo volto pallido come la morte passò unraggio di luna che permise a Ofterdingen di vederne gli occhi selvaggi, le guance cadenti, la rossa barba apunta, la bocca atteggiata a un riso sarcastico, il ricco abito nero e il nero berretto piumato.

«Ehi, amico, volete dunque ricorrere a un’arma mortale, solo perché io biasimo il vostro canto?Certamente voi cantori non potete sopportare questo: anzi pretendete che tutto quello che è fatto dagente famosa come voi debba essere sempre lodato, anche se è brutta roba. Ma lasciamo andare questecose a cui non bado: vi parlo francamente e vi dico che dovete considerarvi non un grandissimo maestro,ma appena un mediocre scolaro della nobile arte del canto; anzi dovreste riconoscere che io sono per voiun vero amico e che vi do dei buoni consigli.»

«Come potete voi» disse Ofterdingen scosso da uno strano brivido «come potete dire di essermi amicoe di potermi dare dei buoni consigli, se non ricordo di avervi mai visto?»

Senza rispondere lo sconosciuto continuò: «Bellissimo questo posto, soprattutto di notte. Con questamagnifica luna, mi siederò vicino a voi e, siccome per il momento non ritornate ad Eisenach, faremoancora quattro chiacchiere. Ascoltate le mie parole, possono essere istruttive».

Detto questo lo sconosciuto si sedette sulla grande roccia coperta di muschio proprio vicino aOfterdingen che era in preda alle più strane sensazioni. Pur non provando una vera paura, non potevatuttavia sottrarsi, nella solitudine di quella notte e in quel luogo sinistro, all’oppressione che risvegliavanoin lui la voce e i tratti di quell’uomo. Ebbe per un attimo l’istinto di gettarlo giù nel fiume che ribolliva infondo al precipizio, ma subito si sentì come paralizzato in tutte le membra.

Lo sconosciuto gli si fece più vicino e parlò lentamente quasi sussurrandogli nelle orecchie: «Io vengodalla Wartburg dove ho ascoltato quelle brutte composizioni da principianti dei così detti maestri... Senzadubbio donna Matilde è veramente leggiadra e graziosa come forse nessuna altra donna al mondo».

«Matilde!» esclamò Ofterdingen con un tono di straziante dolore.

«Oh, oh» rise lo sconosciuto. «Oh, oh, giovanotto, vi interessa forse? Ma lasciatemi parlare di cosemolto più serie e importanti, intendo la nobile arte del canto. Può essere benissimo che voi lassù facciatedel vostro meglio perché il vostro canto sia spontaneo, naturale, ma della vera e profonda arte dei cantorivoi non avete proprio idea alcuna. Voglio dirvi qualcosa su cui poi potrete meditare, perché

Page 55: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

comprendiate che la strada che battete non potrà mai farvi raggiungere lo scopo che vi siete prefisso.»

L’uomo vestito di nero, esprimendosi in modo stranamente musicale, cominciò a lodare la vera arte delcanto; e mentre lo sconosciuto parlava, nell’animo di Heinrich sorgevano immagini che subito sidileguavano come spazzate via dalla tempesta. Era come se gli si schiudesse un nuovo mondo pieno dimeravigliose figure. Ogni parola dello sconosciuto accendeva lampi che subito divampavano e subito sispegnevano.

Ora la luna era alta sopra il bosco. Sedevano entrambi in piena luce e Heinrich notò che il viso dellosconosciuto non era così terribile come gli era apparso al primo momento. Dai suoi occhi emanava unaluce insolita, ma ora Heinrich vedeva la sua bocca atteggiarsi a un sorriso gentile mentre il grande nasoaquilino e l’ampia fronte gli donavano espressione di grande forza.

«Io non so» disse Ofterdingen quando l’altro fece una pausa «io non so quali straordinarie sensazionirisveglino in me le vostre parole. È come se solo ora sorgesse in me l’idea del canto – mentre tutto ciòche finora ho ritenuto tale è in realtà dozzinale e scadente. Certo voi siete un grande maestro del canto:vogliate accogliermi, vi prego di tutto cuore, come vostro diligente discepolo che desidera ardentementeimparare.»

Lo sconosciuto esplose di nuovo in una odiosa risata: si alzò, si pose dinanzi a Heinrich conquell’espressione selvaggia che già lo aveva spaventato la prima volta. E parlò con voce così potente cheogni fenditura della montagna ne rimandava l’eco.

«Voi pensate che io sia un grande maestro del canto? Certo posso esserlo di tanto in tanto; ma nonposso mettermi a dar lezioni. Posso aiutare con un buon consiglio persone che, come voi, voglionoimparare... Avete mai sentito parlare di Klingsohr, maestro cantore versato in ogni scienza? La gente diceche è un grande negromante e che ha rapporti con quel tale individuo che in genere è meglio non vedere.Ma non date retta alla gente perché ciò che essa non comprende e non vede direttamente è semprequalcosa di sovrumano che appartiene o al cielo o alla terra. Ad ogni modo il maestro Klingsohr vimostrerà la via che dovrà portarvi alla meta. Abita a Siebenbürgen, recatevi da lui. Là vedrete come lascienza e l’arte elargiscano al grande maestro tutto ciò che vi è di bello su questa terra: onori, ricchezze,favori delle donne... Sì, giovanotto! Scommettiamo che se Klingsohr fosse qui porterebbe via la bellacontessa Matilde al delicato Wolfframb von Eschinbach, il languido pastore svizzero?»

«Perché fate il suo nome?» disse irritato Heinrich. «Lasciatemi! La vostra presenza mi mette i brividi.»

«Oh, oh» rise lo sconosciuto «non arrabbiatevi, piccolo amico! Solo la fredda notte è colpevole deibrividi che vi percorrono il corpo, e anche la vostra sottile giubba, non io! Non vi ha forse fatto piacereche standovi così accanto vi abbia riscaldato?... Che brividi, che freddo! Con vita e averi posso servirvi:la contessa Matilde!... dunque, volevo dire che i favori delle donne si conquistano con il canto, quel cantoche il maestro Klingsohr vi metterà in grado di esercitare. Poco fa ho disprezzato le vostre canzoniperché vi rendiate conto che sono delle vere e proprie strimpellature, ma poiché quando vi parlai dell’arteautentica avete intuito il vero, ciò prova in voi una sufficiente disposizione. Forse siete destinato a seguirele orme del maestro Klingsohr: in tal caso potrete felicemente aspirare ai favori di Matilde. Orsù,incamminatevi, recatevi a Siebenbürgen... ma aspettate, voglio offrirvi (se non potete subito andare aSiebenbürgen) un piccolo libretto scritto dal maestro Klingsohr e che contiene non solo le regole del verocanto, ma anche alcune bellissime canzoni del maestro. Studiatelo diligentemente. »

E lo sconosciuto trasse fuori un libretto la cui copertina rosso-sangue scintillava alla luce della luna e loporse a Ofterdingen. Appena questi lo ebbe preso, lo sconosciuto fece un passo indietro e scomparvenel folto della foresta.

Page 56: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Heinrich cadde in un profondo sonno. Quando si svegliò il sole era già alto. Se non fosse stato per illibro rosso che giaceva sulle sue ginocchia, avrebbe pensato che tutta la vicenda con lo sconosciuto fossestata solo un vivido sogno.

La contessa Matilde. Avvenimenti di Wartburg

Certo, carissimo lettore, avrai avuto tu pure occasione di trovarti in una cerchia di belle donne e diuomini colti, una di quelle belle riunioni che potresti benissimo paragonare a una corona intrecciata deifiori più differenti che si superano l’un l’altro nel profumo e nello splendore dei colori. Come la dolcearmonia della musica permea ogni cosa risvegliando negli animi gioia e letizia, così la leggiadria di unadonna incomparabile si irradia ovunque creando la meravigliosa atmosfera in cui tutto si muove. Anche lealtre donne allora muovendosi entro la luminosità della sua bellezza e intonandosi alla musicalità delle sueparole sembrano più belle e più graziose del solito; gli uomini d’altra parte sentono dilatarsi i loro petti epossono così manifestare in canti e in parole, secondo le regole che il loro ordine permette,quell’entusiasmo che altrimenti sarebbe stato sepolto in loro. Così, più la regina si preoccupa con gestisemplici e delicati di distribuire in egual modo a ognuno i suoi favori, tanto più si nota allora come il suosguardo celestiale si posi su quel giovanetto che sta di fronte a lei silenzioso e i cui occhi brillanti dilacrime per la commozione annunciano la beatitudine dell’amore a lui dischiusosi. Qualcuno potrebbeinvidiare colui che è il preferito; ma non lo odia, anzi chi già è legato a lui da amicizia, proprio a causa delsuo amore lo ama di più.

Così era nella corte del langravio Ermanno di Turingia: nella bella corona di dame e di poeti la contessaMatilde, vedova del conte Kuno von Falkenstein, appariva veramente come il più bel fiore che irradia sututti la sua fragranza e il suo splendore.

Wolfframb von Eschinbach, profondamente toccato dalla sua grazia e dalla sua bellezza, fu preso da unbruciante amore al primo sguardo. Gli altri maestri, pure entusiasmati dalla leggiadria della contessa,lodavano nelle loro armoniose canzoni la sua bellezza e la sua dolcezza. Reinhard von Zwekhstein laconsiderava la donna dei suoi pensieri ed era sempre tra i primi in lizza; Walter von der Vogelweid silasciava infiammare dalle ardite espressioni del suo amore cavalleresco, mentre Heinrich Schreiber eJohannes Bitterolff si preoccupavano di esaltare donna Matilde con sublimi allegorie. Pertanto le canzonidi Wolfframb, simili ad ardenti, appuntiti dardi d’amore, partivano dal profondo del suo cuoreinnamorato e colpivano il cuore di Matilde. Gli altri maestri si erano accorti di questo; ma a essi sembravache la felicità di Wolfframb li illuminasse come luce solare, e ne traevano una grazia e una forza particolariper le loro canzoni.

La prima cupa ombra nella vita luminosa di Wolfframb fu il tragico segreto di Ofterdingen. Quando eglipensava quanto era amato dagli altri maestri (la bellezza di Matilde era egualmente aperta a tutti) e comeinvece nell’animo di Ofterdingen si fosse annidato con l’amore un astio tale che lo aveva spinto in unaarida solitudine, non poteva fare a meno di essere profondamente amareggiato. Spesso gli sembrava cheOfterdingen fosse solo preda di una follia che si sarebbe poi esaurita; d’altra parte sentiva con certezzache egli stesso non avrebbe potuto sopportare il fatto di dover lottare senza speranze per i favori diMatilde. E diceva tra sé: «Quale forza ha potuto dare un maggior diritto alla mia pretesa? Sono forse iodegno di preferenze?... Sono io migliore, più intelligente, più degno di essere amato di lui? Qual è ladistanza che ci separa?... Allora solo un destino ostile, che avrebbe potuto benissimo colpire anche me,ha messo a terra Heinrich e io, il fedele amico continuo la mia strada senza preoccupazioni, senza offrirgliuna mano».

Tali considerazioni lo indussero a partire per Eisenach e far di tutto per persuadere Ofterdingen aritornare alla Wartburg. Ma quando giunse a Eisenach, Heinrich von Ofterdingen era scomparso e

Page 57: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

nessuno sapeva dove fosse andato. Wolfframb ritornò tristemente alla Wartburg e annunciò al langravio eagli altri maestri la scomparsa di Ofterdingen. Solo allora fu evidente come essi lo amassero malgrado ilsuo carattere tetro e tormentato sino al sarcasmo più amaro. Lo si pianse per morto e per lungo tempo illutto si posò come un denso velo sui canti dei maestri togliendo loro ogni splendore; finché l’immaginedello scomparso, impallidendo, svanì in lontananza.

La primavera era arrivata e con essa la gioia e la serenità della vita rinnovata. I maestri cantori si eranodati convegno, nel giardino del castello, in una ridente radura racchiusa da begli alberi; si erano dispostiattorno a un nuovo pergolato per salutare con gioiose canzoni i fiori e le gemme appena spuntati.

Il langravio, la contessa Matilde e le altre dame si erano seduti in cerchio e Wolfframb von Eschinbachstava per cominciare una sua canzone, quando un giovane con il liuto in mano sbucò dal bosco. Congioioso stupore tutti riconobbero in lui Heinrich von Ofterdingen che si credeva morto. I maestri glimossero incontro salutandolo calorosamente. Senza farci molto caso, Heinrich si avvicinò al langravio equindi alla contessa Matilde e si inchinò rispettosamente. Egli era, disse, ormai completamente guarito dauna brutta malattia, e pregava, per suoi particolari motivi, che non lo riammettessero nel numero deimaestri; gli permettessero però di cantare le proprie canzoni come a tutti gli altri. Il langravio osservò chela sua assenza non gli toglieva il diritto di far parte del circolo dei maestri e non capiva perché Heinrichvolesse estraniarsi dalla bella riunione lì convenuta. Quindi il langravio lo abbracciò e gli assegnò il postoche aveva sempre occupato tra Walter von der Vogelweid e Wolfframb von Eschinbach. Subito si notòche l’aspetto di Ofterdingen era completamente mutato. Invece di camminare come al solito con il capopiegato e lo sguardo abbassato verso terra, egli ora avanzava con passo deciso, a testa alta. Il suo visoera pallido come una volta, ma il suo sguardo, che prima vagava come smarrito, ora sembrava trafiggereogni cosa. Invece della profonda malinconia ora aleggiava sulla sua fronte un’orgogliosa gravità e unostrano gioco di muscoli attorno alla bocca e alle guance esprimeva talvolta uno scherno inquietante. Nondegnò i maestri neppure di una parola, ma sedette silenzioso al suo posto. Mentre gli altri cantavano, egliguardava le nubi, si dondolava qua e là, contava sulle dita, sbadigliava: in breve mostrava in tutti i modipossibili la sua noia e il suo malumore.

Wolfframb von Eschinbach, dopo aver cantato una canzone in lode del langravio, riportò l’argomentosul ritorno dell’amico che si credeva perduto, e si espresse con animo così commosso che tutti sisentirono profondamente toccati. Heinrich von Ofterdingen corrugò la fronte e, volgendo le spalle aWolfframb, prese il liuto e intonò alcuni meravigliosi accordi. Si pose nel mezzo del cerchio e incominciòuna canzone così differente da quelle degli altri, così assolutamente nuova da suscitare non solo la piùgrande ammirazione ma anche un enorme stupore. Era come se con i suoi potenti accordi bussasse alleporte oscure di un regno sconosciuto e misterioso, evocando i segreti dell’ignota potenza che virisiedeva. Poi invocò le stelle e mentre le sue note bisbigliavano sommesse ognuno credeva di percepirela danza argentina delle sfere celesti. Ora gli accordi risuonavano più forti e profumi ardenti fluttuavanonell’aria e immagini di una voluttuosa felicità fiammeggiavano in quell’ormai svelato paradiso dei piaceri.Ognuno si sentiva scosso da brividi indefinibili. Come Ofterdingen ebbe finito ogni cosa ammutolì, poiuno scrosciante applauso. Donna Matilde si alzò, rapida avanzò verso Ofterdingen e gli pose sulla frontela corona che teneva in mano, come premio del canto.

Un vivo rossore si diffuse sul viso di Ofterdingen che si lasciò cadere sulle ginocchia e strinse con ardoreal petto le mani della bella donna. Come si alzò, il suo sguardo pungente e fiammeggiante colpì il fedeleamico Wolfframb von Eschinbach che stava avvicinandosi a lui, e che come folgorato da una potenzaostile retrocesse. Uno solo non partecipò all’entusiastico applauso generale, e fu il langravio, il quale,dopo che Ofterdingen ebbe cantato, rimase pensieroso e grave e a fatica riuscì a esprimere qualcheparola in lode della meravigliosa canzone. Ofterdingen ne fu visibilmente sdegnato.

Wolfframb von Eschinbach, a tarda sera, quando il crepuscolo era già sceso, dopo averlo cercato

Page 58: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

ovunque invano, riuscì a incontrare il diletto amico in un viale del giardino. Si affrettò verso di lui, lostrinse al petto e disse: «Dunque, mio amato fratello, sei diventato il primo maestro cantore della terra!Come hai potuto raggiungere ciò che né noi né tu stesso presagivi? Quale spirito era a tua disposizioneper mostrarti le meravigliose melodie di un altro mondo? Oh tu, sublime maestro, lascia che io ancora unavolta ti abbracci».

«È bene» disse Heinrich von Ofterdingen evitando l’abbraccio di Wolfframb «è bene che tu riconosca diquanto io mi sia portato al di sopra dei cosiddetti maestri e tanto più che io sia approdato, come nella miavera patria, là, verso cui invano tendete voi che siete su una via errata. Pertanto non devi farmene unacolpa se trovo sciocche e noiose le vostre meschine composizioni.»

«Così» rispose Wolfframb «tu che già ci hai tenuto in grande onore, proprio tu ci disprezzi e pensi chetra noi non ci sia più nulla in comune... L’amicizia, l’amore se ne è andato dal tuo animo, solo perché seiun maestro più grande di noi... ma anche me, anche me non stimi più degno del tuo amore, forse soloperché io non sono in grado di elevarmi come te nelle mie canzoni?... Oh, oh, Heinrich, se ti dicessi cosapassava nel mio cuore quando tu cantavi!...»

«Parla pure» disse Heinrich von Ofterdingen con un sorriso di scherno «parla pure: può essere Istruttivoper me.»

«Heinrich» cominciò Wolfframb in tono serio e deciso «Heinrich, è vero che la tua canzone conteneva insé una meravigliosa, inaudita armonia, e che i pensieri si elevavano su, fino alle sfere celesti; ma il mioanimo mi diceva che una simile canzone non poteva semplicemente scaturire da un animo umano, bensìdovesse essere il prodotto di una forza estranea, proprio come il negromante che concima con svariatimezzi magici la sua terra può far nascere le piante dei paesi più strani... Heinrich, tu sei diventato certo ungrande maestro del canto e potrai fare grandi cose, ma, dimmi, sei ancora in grado, quando vaghiattraverso le profonde ombre della foresta, di sentire il dolce saluto della brezza serale? Si commuoveancora il tuo cuore quando sente stormire gli alberi e mormorare il fiume? Ti guardano ancora i fiori con iloro puri e semplici occhi? Quando l’usignolo canta ti senti ancora morire di male d’amore?... Ah,Heinrich, c’era qualcosa nella tua canzone che mi dava un brivido inquietante; io pensavo a quella tuaterribile descrizione delle ombre dei morti vaganti sulle rive dell’Acheronte che una volta facesti allangravio quando egli ti chiese i motivi della tua mestizia. E allora pensai che tu avessi rinunciato a ogniamore e in compenso rimanesse solo il tesoro sconsolato del viandante sperduto nel deserto. Mi sembra,bisogna che te lo dica, mi sembra che tu abbia barattato con la tua maestria quelle gioie della vita a cui sipuò partecipare solo se si ha l’animo semplice e puro. C’è in me un oscuro presagio. Sto pensando a checosa ti ha allontanato dalla Wartburg e a come vi sei ritornato. Può accadere che tu abbia successo,come può darsi che la bella stella della speranza cui finora ho sempre mirato sia ormai per metramontata... e tuttavia, Heinrich, qua, stringi la mia mano; nessun rancore nei tuoi confronti troverà maispazio nel mio animo. Se, nonostante la felicità che ti inonda, dovessi trovarti un giorno sull’orlo di unabisso senza fondo, e, preso nel vortice della vertigine, tu stessi per precipitarvi senza possibilità disalvezza, io sarei con animo saldo dietro di te, per trattenerti con la forza delle mie braccia.»

Heinrich von Ofterdingen ascoltò in profondo silenzio le parole di Wolfframb von Eschinbach, poi sicoprì il viso con il mantello e scomparve velocemente nel fitto bosco.

Wolfframb sentì che si allontanava singhiozzando e sospirando.

La guerra di Wartburg

Dapprima gli altri maestri avevano molto apprezzato e ammirato le canzoni dell’orgoglioso Heinrich vonOfterdingen; ma in seguito presero a sostenere che esse avevano uno stile falso, un fasto vuoto, che anzi

Page 59: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

contenevano qualcosa di empio. Solo donna Matilde si era volta con tutta la sua anima verso di lui chelodava la sua bellezza e la sua grazia in un modo ritenuto da tutti i maestri (eccettuato Wolfframb vonEschinbach che non si permetteva alcun giudizio) pagano ed esecrabile.

Non passò lungo tempo che donna Matilde apparve assolutamente mutata in tutta la sua personalità.Essa guardava con alterigia dall’alto in basso gli altri maestri e privò dei suoi favori il povero Wolfframb.Si arrivò al punto in cui Heinrich von Ofterdingen istruì la contessa Matilde nell’arte del canto, così cheessa stessa componeva le canzoni cantandole nello stile di lui. Da questo momento però ogni grazia eogni leggiadria scomparvero dalla donna che era stata circuita. Trascurando tutte le qualità che sonoornamento delle donne elette, rinunciando a ogni tratto femminile, diventò un essere ibrido, odiata dalledonne e derisa dagli uomini.

Il langravio, temendo che la pazzia della contessa afferrasse come una brutta malattia anche le altre damedi corte, emise una severa disposizione per cui nessuna dama, pena l’esilio, poetasse; di questo gliuomini, terrorizzati dal destino di Matilde, lo ringraziarono calorosamente.

La contessa Matilde abbandonò la Wartburg e prese in affitto un castello non lontano da Eisenach doveHeinrich von Ofterdingen l’avrebbe seguita se il langravio non gli avesse ordinato di portare a termine lasfida che gli altri maestri gli avevano lanciato.

«Voi» disse il langravio Ermanno allo spavaldo cantore «con il vostro strano comportamento aveteturbato in maniera odiosa questa bella compagnia che avevo qui riunito. In quanto a me non riuscirete acircuirmi, giacché sin dal primo momento avevo compreso che le vostre canzoni non potevano provenireda un animo limpido, che erano il frutto dell’insegnamento di un falso maestro. A che vi servono sfarzo esplendore se sono destinati unicamente ad avvolgere un cadavere? Voi parlate di cose elevate, dei misteridella natura, ma non in quanto sgorgano dal cuore dell’uomo come dolci presagi di una vita più elevata,bensì come li vede l’astrologo che li afferra e li misura con metro e compasso. Vergognatevi, Heinrichvon Ofterdingen, di avere piegato il vostro spirito gagliardo alla disciplina di un maestro indegno.»

«Io non so» rispose Heinrich «io non so, mio signore, fin dove possiate arrivare con il vostro rancore econ i vostri rimproveri. Forse cambierete opinione quando saprete quale maestro mi ha aperto quel regnoche è la vera patria del canto. Avevo lasciato il vostro castello in grande mestizia e può darsi che queldolore che voleva annientarmi sia stato il vero stimolo al manifestarsi di quel bel fiore che, rinchiuso nelmio animo, anelava verso il soffio fecondo di una vita più alta. Per un caso strano mi capitò nelle mani unpiccolo libretto dove il più grande dei maestri cantori di questa terra, con grande erudizione, spiegava leregole dell’arte e inoltre vi aveva aggiunto alcune canzoni. Quanto più leggevo quel piccolo libretto tantopiù mi persuadevo che era cosa ben misera per un cantore limitarsi a tradurre in parole ciò che crede disentire nel cuore. E non basta... Mi sentivo sempre più legato a forze ignote che spesso cantavanoattraverso di me, benché fossi e rimanessi io il cantore. Il mio desiderio di vedere direttamente il maestroe di sentirgli esporre la vera dottrina diventò in me un istinto irresistibile. Così mi misi in viaggio perSiebenbürgen. Perché, mio signore, era proprio il maestro Klingsohr che cercavo e a cui devo l’arditoslancio sovrumano delle mie canzoni. Ora potrete più favorevolmente giudicare le mie aspirazioni.»

«Il duca d’Austria» disse il langravio «mi ha detto e scritto molte cose in lode del vostro maestro.Klingsohr è un uomo molto esperto nelle scienze occulte. Egli calcola il movimento degli astri e sariconoscerne i misteriosi legami con il corso della nostra vita. Metalli, piante, minerali non hanno segretiper lui, e poiché è anche esperto nella politica degli uomini, così è sempre vicino al duca con l’azione econ il consiglio. Non so come tutto questo però possa avere a che fare con la vera sensibilità del cantantee credo anzi che le canzoni del maestro Klingsohr, per quanto ben fatte ed elaborate, non riescanoassolutamente a toccare la mia anima. Ora... Heinrich von Ofterdingen, i miei maestri sdegnati per il tuoaltezzoso modo di comportarti desiderano misurarsi con te in una gara di canto che durerà alcuni giorni:

Page 60: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

che ciò avvenga.»

La sfida dei maestri ebbe inizio. Forse perché l’animo di Heinrich fuorviato dai falsi insegnamenti non erapiù in grado di esprimersi nell’atmosfera limpida di una sincera sensibilità, o forse perché un particolareentusiasmo aveva raddoppiato le forze degli altri maestri... in breve: ognuno, cantando con Ofterdingen,lo superò ottenendo quel premio per il quale invano egli si era battuto. Ofterdingen si corrucciò di questaignominia e nelle sue canzoni cominciò da una parte a indirizzare allusioni sarcastiche al langravio,dall’altra a celebrare le lodi di Leopoldo VII, duca d’Austria, che egli definiva l’astro radioso, l’unico evero cultore dell’arte. Poiché arrivò al punto di offendere con volgari parole le dame di corte e di lodarein modo empio e pagano la bellezza e la leggiadria di donna Matilde, fu inevitabile che tutti i maestri,compreso il mite Wolfframb von Eschinbach, presi da legittima ira, cancellassero senza riguardi la suamaestria con le canzoni più violente. Heinrich Schreiber e Johannes Bitterolff, smascherando l’artificiosofasto delle composizioni di Ofterdingen, dimostrarono l’inconsistenza e la miseria delle sue creazioniartistiche; ma Walter von der Vogelweid e Reinhard von Zwekhstein andarono oltre, e affermando che ilcomportamento volgare di Ofterdingen esigeva una dura vendetta, si mossero verso di lui impugnando laspada.

Così Heinrich von Ofterdingen vide calpestata la propria superiorità e minacciata la vita stessa. Pieno diira e di disperazione Heinrich fece appello alla nobiltà d’animo del langravio per la protezione della suavita, e che fosse anzi il più famoso cantore del tempo, il maestro Klingsohr, a decidere chi fosse ilvincitore della gara di canto.

«I vostri rapporti con i maestri» disse il langravio «sono arrivati ormai a un punto tale, per cui vi èqualcosa di ben più importante da decidere che la supremazia nel canto. Nelle vostre folli canzoni avetegravemente offeso me e le nobili dame della mia corte. Quindi la vostra disputa riguarda non solo lasupremazia nel canto, ma anche il mio onore e quello delle dame. Ciononostante tutto va risolto nella garadi canto e io vi concedo che sia il vostro maestro Klingsohr a decidere. Uno dei miei maestri che la sortedesignerà si porrà di fronte a voi e insieme deciderete sul tema del canto... Ma il carnefice sarà alle vostrespalle con la spada sguainata e colui che perderà verrà giustiziato all’istante... Andate... procurate che ilmaestro Klingsohr venga qui alla Wartburg entro il termine di un anno e che sia lui il giudice di questadisputa per la vita e per la morte.»

Heinrich von Ofterdingen partì e così per un po’ di tempo la calma ritornò alla Wartburg.

Le canzoni che cantano il dissidio tra i maestri e Heinrich ebbero allora per titolo:La guerra diWartburg .

Il maestro Klingsohr si reca ad Eisenach

Era trascorso quasi un anno quando alla Wartburg giunse la notizia che il maestro Klingsohr eraveramente arrivato ad Eisenach ed era andato ad abitare di fronte alla porta S. Giorgio presso uncittadino di nome Helgrefe.

I maestri si rallegrarono non poco perché ora poteva essere risolto il grave dissidio con Heinrich vonOfterdingen; ma nessuno più di Wolfframb era impaziente di vedere in faccia un uomo tanto famoso.

«Può essere» disse a se stesso «può essere, come la gente dice, che Klingsohr con le sue arti oscure sisia messo al servizio di forze occulte e che queste lo abbiano aiutato a impossessarsi di ogni ramo delsapere; ma anche il più nobile vino non cresce forse sulla lava ardente? Che cosa importa all’assetatoviandante che i grappoli a cui egli si ristora siano germogliati anche dall’inferno stesso? Perciò vogliogodere della profonda scienza e dell’insegnamento del maestro, senza indagare e senza trattenere più di

Page 61: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

quanto sia lecito a un animo puro e devoto.»

Wolfframb si mise subito in cammino per Eisenach. Come egli fu davanti alla casa di Helgrefe, vi trovòriunita una grande quantità di gente, che guardava su, come in attesa, verso il balcone. Vi riconobbe moltiallievi di canto, i quali non smettevano mai di dire una cosa o l’altra del famoso maestro. L’uno avevascritto le parole che Klingsohr aveva detto quando era entrato da Helgrefe, l’altro esattamente che cosa ilmaestro avesse mangiato a mezzogiorno, un terzo ci teneva a sottolineare che il maestro lo avevaguardato e aveva sorriso perché lo aveva riconosciuto dal berretto da cantore che egli portava propriocome Klingsohr, un quarto infine cominciò una canzone composta secondo lui nello stile di Klingsohr:insomma c’era un gran viavai.

Wolfframb von Eschinbach riuscì infine ad attraversare la calca ed entrò in casa. Helgrefe gli diedeamichevolmente il benvenuto e corse su per annunciarlo al maestro secondo il suo desiderio. Ma gli fudetto che il maestro era occupato nei suoi studi e in quel momento non poteva ricevere nessuno:ripassasse quindi dopo due ore. Wolfframb dovette rassegnarsi. Ritornato dopo due ore e avendo attesoancora un’ora, fu accompagnato su da Helgrefe.

Uno strano servitore vestito in seta variopinta lo introdusse in una camera. Vide un grande e imponentepersonaggio vestito di un lungo abito talare di velluto rosso cupo, con larghe maniche, guarnito dizibellino; questi si muoveva su e giù per la stanza con passi solenni. Il suo viso ricordava le immaginipagane del sommo Giove, tale era la gravità imperiosa della fronte e la fiamma minacciosa dei grandiocchi. Una nera barba accuratamente arricciata gli copriva mento e guance e sul capo portava uno stranoberretto, che poteva essere anche un panno attorcigliato. Il maestro aveva incrociato le braccia sul petto,e, mentre andava avanti e indietro, pronunciava con voce squillante parole che Wolfframb non potéassolutamente capire. Guardandosi attorno nella camera che era piena di libri e dei più strani oggetti,Wolfframb vide in un angolo un pallido ometto piuttosto anziano, alto non più di tre piedi, che sedeva suuna grande sedia davanti a un leggio e sembrava scrivere con una penna d’argento su un foglio dipergamena tutto ciò che il maestro Klingsohr diceva.

Trascorse un po’ di tempo prima che lo sguardo del maestro cadesse su Wolfframb von Eschinbach:allora, interrompendosi, si fermò in mezzo alla stanza. Wolfframb lo salutò con versi delicati nel «tononero»: disse che era venuto per istruirsi alla grande arte di Klingsohr e lo pregava di rispondergli in versiper poter subito ascoltare la sua arte.

Allora il maestro con occhi adirati lo squadrò dalla testa ai piedi e disse: «Ehi, chi siete voi, giovanotto,che osate con i vostri sciocchi versi irrompere in questa stanza e sfidarmi come se si trattasse di una garadi canto?... Ah, voi siete proprio Wolfframb von Eschinbach, il più inetto e il meno istruito fra coloro chelaggiù alla Wartburg Sl definiscono maestri cantori?!... No, mio caro ragazzo, dovete crescere ancora unpoco prima di pretendere di misurarvi con me».

Wolfframb von Eschinbach non si aspettava certo una simile accoglienza. Alle offensive parole diKlingsohr il sangue gli ribollì e mai così viva sentì in sé quella forza che il cielo gli aveva dato. Grave edeciso guardò negli occhi l’orgoglioso maestro e disse: «Sbagliate, maestro Klingsohr, a usare un tonocosì aspro invece di rispondermi gentilmente e amichevolmente come io vi ho salutato. So che voi misiete molto superiore in ogni scienza e anche naturalmente nell’arte del canto, ma ciò non vi autorizza aquesta vana millanteria che dovreste invece disprezzare come cosa indegna di voi. Maestro Klingsohr, iovi dico che ora più che mai credo a ciò che il mondo afferma di voi. È la potenza dell’inferno che viguida, è con gli spiriti del male che avete commercio con la pratica delle scienze occulte. La vostramaestria deriva proprio dal fatto che voi potete evocare dalle oscure profondità gli spiriti maligni, difronte ai quali l’animo umano è assalito dal terrore. Ed è questo terrore che vi procura la vittoria, nonl’amoroso struggimento che scaturisce invece dall’animo puro dei cantori per riversarsi nel cuore sensibile

Page 62: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

che, imprigionato da dolci catene, ne diventa il suddito. Per questo voi siete così orgoglioso come nessuncantore che sia rimasto puro di cuore potrà mai essere».

«Oh, oh» rispose il maestro Klingsohr «oh, oh, giovanotto, non salite troppo!... Per quello che riguarda imiei rapporti con le forze occulte, fate silenzio, perché non capite. Che io poi debba essere grato aqueste forze per la mia superiorità nel canto, questo è uno sciocco prodotto della vostra fanciullescascempiaggine. Ma ditemi un po’: da dove avete appreso la vostra arte del canto? Credete che io nonsappia come il maestro Friedebrand a Siegebrünnen in Scozia vi abbia prestato alcuni libri che voi,ingrato, non gli avete più restituiti, ma che ve li siete tenuti traendone le vostre canzoni? Io sarò statoaiutato dal diavolo, ma voi siete stato aiutato dal vostro cuore ingrato.»

Wolfframb fu quasi spaventato da questa accusa odiosa. Pose la mano sul petto e disse: «Che Dio miaiuti! Lo spirito della menzogna è molto forte in voi, maestro Klingsohr: come avrei mai potutodefraudare Friedebrand delle sue magnifiche opere? Sappiate, maestro Klingsohr, che io questi scritti meli sono tenuti per tutto il tempo che Friedebrand ha voluto lasciarmeli: poi glieli ho restituiti. Non vi sieteanche voi istruito sulle opere di altri maestri?».

«Può darsi» continuò Klingsohr senza fare molto caso alle parole di Wolfframb «può darsi benissimo,ma da dove voi avete preso la vostra arte? Che cosa vi autorizza a paragonarvi a me? Non sapete qualiprofondi studi ho compiuto a Roma, a Parigi, a Cracovia e quali viaggi ho intrapreso nei più lontani paesidell’Oriente indagando nei misteri dei saggi arabi, come io sia stato sempre il migliore in tutte le scuole dicanto, come abbia sempre riportato la palma contro tutti quelli che volevano misurarsi con me, infinecome sia diventato maestro nelle sette arti liberali?... Ma voi, voi che siete estraneo a ogni scienza e arte,voi che abitate nella squallida Svizzera, che siete un profano inesperto, come potreste arrivare all’arte delvero canto?»

L’ira di Wolfframb si era del tutto calmata, perché aveva potuto constatare che quanto più Klingsohrfaceva lo spaccone, tanto più dal suo animo scaturivano luminosi e chiari i più preziosi tesori del canto,proprio come i raggi del sole brillano più belli quando vittoriosi riescono a rompere le nubi che un ventotempestoso ha accumulato. Un dolce e mite sorriso si era posato sul suo viso ed egli parlò all’adiratomaestro Klingsohr in tono calmo e misurato.

«Mio caro maestro, potrei rispondervi che certo non ho studiato né a Roma né a Parigi, e che pure nonho fatto visita ai saggi arabi nel loro paese, ma sono stato molto vicino al mio grande maestroFriedebrand che sono andato a scovare nel profondo della Scozia, e ho ascoltato molti grandi cantori icui insegnamenti mi furono molto utili e, proprio come voi, riportai la palma del canto in parecchie corti diprincipi tedeschi; ma io credo che tutti gli insegnamenti e tutta l’intelligenza dei più grandi maestri non miavrebbero aiutato affatto se l’immortale potenza celeste non avesse posto nel mio animo quella scintillache ha acceso la meravigliosa stella del canto, se con animo devoto non mi fossi tenuto lontano da tuttociò che è falso e bugiardo, se non mi impegnassi, con puro entusiasmo, a esprimere nel canto solo i dolcie teneri aneliti che mi riempiono il cuore.»

E, senza rendersene conto, cominciò a cantare una magnifica canzone che aveva composto di recente.

Klingsohr, in preda alla collera, camminava su e giù per la camera; poi si fermò dinanzi a Wolfframb, losguardo fisso come volesse trapassarlo con i suoi occhi sfavillanti. Come Wolfframb ebbe finito gli posòle mani sulle spalle e gli parlò dolcemente e con calma: «Ora, Wolfframb, perché proprio voi lo volete,cantiamo pure a gara nelle più svariate tonalità le più differenti melodie. Ma andiamo in qualche altroposto, perché certo questa stanza non è adatta e poi dovreste bere con me un buon bicchiere di vino».

In quel momento l’ometto che scriveva balzò giù dalla sedia e nel cadere sul pavimento emise un forte

Page 63: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

lamento. Klingsohr si voltò rapidamente e lo spinse con i piedi dentro un armadio che si trovava sotto illeggio, e che richiuse. Wolfframb sentì l’ometto singhiozzare. Poi Klingsohr chiuse i libri che stavanoaperti un po’ dovunque e ogni volta che una copertina battendo si richiudeva, si sentiva attraverso lastanza uno strano suono, impressionante come un profondo sospiro di morte. Klingsohr prese quindi inmano delle stranissime radici simili a misteriose creature che sembravano agitare i filamenti e le nocchiecome se fossero braccia e gambe, sembrava anzi che ne guizzasse fuori un ghignante e distorto volto inminiatura. A questo punto ci fu un grande agitarsi negli armadi e un uccello dalle dorate ali splendentisibilò nella camera in un volo scomposto. Il crepuscolo aveva ormai invaso ogni cosa. Wolfframb si sentìpercorrere il corpo da un profondo brivido. In quel momento Klingsohr trasse fuori da una scatoletta unapietra che subito diffuse in tutta quanta la stanza una chiara luce solare. Poi tutto tornò tranquillo eWolfframb non vide e non udì più nulla di ciò che gli aveva fatto tanta paura.

Due servitori, abbigliati, come il domestico che aveva aperto la porta della stanza, con un’inconsuetaveste di seta variopinta, entrarono portando sontuosi abiti che fecero indossare al maestro Klingsohr.

Quindi Klingsohr e Wolfframb si recarono insieme alla cantina municipale.

Riconciliatisi, bevvero da buoni amici e poi, l’uno di fronte all’altro, cantarono negli stili più svariati.Nessun altro maestro era presente per poter giudicare chi dei due fosse il vincitore. Nessuno comunqueavrebbe scelto Klingsohr, perché, nonostante impiegasse tutte le sue arti e la sua intelligenza, non riuscìminimamente a eguagliare la potenza e il fascino delle semplici composizioni di Wolfframb.

Questi aveva appena finito una meravigliosa canzone quando Klingsohr appoggiandosi indietro sullapoltrona e abbassando lo sguardo disse con tono smorzato e cupo: «Poco fa voi, maestro Wolfframb, miavete chiamato petulante e spaccone, ma sbagliate se credete che il mio sguardo accecato da unasciocca vanità non sia in grado di riconoscere la vera arte del canto in qualunque luogo mi capiti diincontrarla: in mezzo a una selva o in un consesso di maestri, sia esso una contrada selvaggia o una salada concerto. Nessuno è qui a giudicarci, ma io vi dico, maestro Wolfframb, che voi mi avete superato eda questo mio riconoscimento potete constatare che anche la mia è autentica arte».

«Mio caro maestro» rispose Wolfframb von Eschinbach «può darsi che una felice ispirazione mi abbiaoggi consentito di cantare meglio del solito, ma è lontano da me il pensiero di pormi sopra di voi. Forseoggi il vostro animo è chiuso. Può succedere che talvolta qualcuno sia oppresso da un peso, come unluminoso prato da una densa nebbia, per cui i fiori non sono più in grado di sollevare le loro splendenticorolle. Ma anche se oggi vi considerate vinto, io tuttavia ho sentito qualcosa di sublime nelle vostre bellecanzoni e può darsi che domani siate voi a vincere.»

Klingsohr disse: «A che pro tutta questa vostra modestia?». E, alzatosi di scatto, andò a mettersi,voltando le spalle a Wolfframb, sotto la grande finestra e in silenzio si mise a guardare i pallidi raggi dellaluna che piovevano dall’alto.

Passati alcuni minuti egli si voltò e avanzando verso Wolfframb disse con un forte tono di voce, mentrel’ira gli accendeva lo sguardo: «Voi avete ragione, Wolfframb von Eschinbach! La mia scienza, chedomina le forze occulte, separa la profonda diversità dei nostri due esseri. Voi mi avete superato, ma laprossima notte vi manderò un individuo che si chiama Nasias. Iniziate con costui una gara di canto eattenzione che egli non vi superi».

Detto questo Klingsohr si precipitò fuori dalla cantina municipale.

Nasias arriva di notte da Wolfframb von Eschinbach

Page 64: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Ad Eisenach Wolfframb abitava presso un cittadino di nome Gottschalk, di fronte alla panetteria. Costuiera una brava persona che teneva il suo ospite in grande considerazione. Benché Klingsohr edEschinbach pensassero di essere soli là nella cantina municipale e non spiati da nessuno, tuttaviaqualcuno, probabilmente un giovane allievo cantore, che seguiva sempre, passo passo, il famoso maestroo che era riuscito ad afferrare qualche parola uscita dalle sue labbra, aveva trovato il mezzo di seguire lagara di canto.

In tutta la città si era diffusa la voce che Wolfframb von Eschinbach aveva battuto nel canto il grandemaestro Klingsohr e così anche Gottschalk lo aveva saputo. Felicissimo corse su dal suo ospite e chiesecome mai era accaduto che l’orgoglioso maestro si fosse lasciato superare nella gara di canto. Wolfframbgli raccontò fedelmente come erano andate le cose e non gli tacque il fatto che Klingsohr gli avrebbemandato un tale chiamato Nasias con il quale egli avrebbe dovuto sostenere una gara di canto.

Gottschalk impallidì per la paura, congiunse le mani e disse con voce mesta: «Santo cielo, non sapete,caro signore che il maestro Klingsohr traffica con gli spiriti maligni di cui dispone a suo piacimento?Helgrefe, presso il quale Klingsohr ha preso dimora, ha raccontato ai suoi vicini di casa le cose piùstrabilianti. Sembra che di notte si radunino da lui molte persone, benché nessuno le abbia mai visteentrare, che si mettono a cantare e a far baccano, mentre una luce abbagliante esce dalle finestre. Diomio, forse questo Nasias, da cui siete minacciato, è il Nemico stesso che vuole portarvi alla rovina!...Fuggite, caro signore, non state qui ad aspettare una simile visita. Fuggite, ve ne scongiuro!».

«Ehi» rispose Wolfframb von Eschinbach «ehi, mio caro signor affittacamere, non rientra nelle abitudinidei maestri cantori rifiutare l’offerta di una gara di canto! Che sia o non sia Nasias uno spirito maligno, iolo aspetto tranquillamente qui. Forse mi assorderà con le sue infernali canzoni, ma invano tenterà diintaccare la mia fede e di nuocere alla mia anima immortale.»

«Lo so, lo so» disse Gottschalk «voi siete un uomo coraggioso che non teme neppure il diavolo; seproprio volete rimanere qui permettetemi almeno di mettermi accanto la prossima notte il mio servo Jonasche è un brav’uomo, di spalle larghe e assolutamente insensibile al canto. Se di fronte alle chiacchiere deldiavolo doveste sentirvi indebolire e venir meno e se Nasias volesse nuocervi, Jonas lancerebbe un gridoe noi accorreremmo con l’acqua e le candele benedette. Il diavolo non tollera neppure l’odore delmuschio che un cappuccino ha portato addosso in un sacchetto. Voglio tenerne pronta una scorta, inmodo che, se Jonas griderà, io possa affumicare il maestro Nasias fino a togliergli il fiato per cantare.»

Wolfframb von Eschinbach sorrise per le bonarie preoccupazioni del suo affittacamere e si dichiaròdeciso a tutto, anche ad affrontare Nasias. Jonas, il brav’uomo dalle larghe spalle e refrattario al canto,poteva benissimo stargli vicino.

Venne la notte fatale. Tutto era ancora silenzio. I contrappesi dell’orologio della chiesa si mosserosibilando. Batterono le dodici. Un colpo di vento mugghiò attraverso la casa, voci sinistre echeggiarono,si udirono dei gemiti come di uccelli notturni messi in fuga. Wolfframb von Eschinbach era tuttoconcentrato nella sua bella e pura poesia e aveva quasi del tutto dimenticato il sinistro appuntamento.

Ma improvvisamente brividi di terrore gli attraversarono il petto, allora raccolse tutte le sue forze e siportò nel mezzo della camera. Un colpo sordo rintronò per tutta la casa. La porta si spalancò e dinanzi alui apparve una grande figura che avvolta in una luce infuocata lo guardava con occhi roventi. Davanti auna simile apparizione molti avrebbero perso ogni ardire, anzi sarebbero crollati a terra in preda alterrore. Wolfframb si mantenne saldo e domandò in tono fermo: «Che cosa venite a cercare qui?».

Quello rispose con odiosa voce stridula: «Io sono Nasias e sono venuto qui per misurarmi con voi nellagara di canto». Nasias aprì il mantello e Wolfframb vide che aveva sotto il braccio una quantità di libri.

Page 65: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Lasciatili cadere sul tavolo che gli stava a fianco, Nasias intonò una magnifica canzone che parlava deisette pianeti e della musica delle sfere celesti come è descritta nelSonno di Scipione usando le tonalitàpiù artistiche. Wolfframb si era seduto nella sua grande poltrona e con gli occhi fissi a terra ascoltavatutto ciò che Nasias produceva. Appena quest’ultimo ebbe terminato, Eschinbach incominciò a cantareuna bella e pia melodia di soggetto spirituale. Allora Nasias fece dei balzi qua e là e stava per fareversacci e scagliare contro il cantore i pesanti libri che aveva con sé, ma mentre la melodia di Wolfframbsi faceva sempre più limpida e potente, il bagliore infuocato di Nasias impallidiva e la sua figura semprepiù si raggrinziva finché si ridusse a due piedi di altezza; e gridava e miagolava e si arrampicava su e giùper gli armadi. Wolfframb quando ebbe finito di cantare fece per afferrarlo, ma quello improvvisamenteriprese la forma di prima e sibilò fuori fiamme e fuoco. «Ehi, ehi» esclamò Nasias con una voce paurosa ecupa «non farti beffe di me amico... Puoi essere un buon teologo e intenderti di tutte le sottigliezze e leteorie dei vostri libroni, ma tu non sei affatto un cantante che possa misurarsi con me o con il miomaestro. Cantiamo una bella canzone d’amore e vedremo che ne è della tua maestria.»

Nasias incominciò una canzone sulla bella Elena e sulle smisurate gioie del monte di Venere. In verità lacanzone era seducente ed era come se le fiamme che Nasias schizzava intorno a sé si trasformassero inalitanti effluvi di ardente desiderio, in mezzo ai quali le dolci note fluttuavano come giocosi amorini.Wolfframb ascoltò serenamente anche questa canzone con lo sguardo fisso a terra ma a un tratto glisembrò di muoversi negli ombrosi viali di un bel giardino, e che le soavi note di una musica sublimeguizzassero sopra un’aiuola fiorita penetrando come un’aurora fiammeggiante attraverso il cupo fogliame,mentre la canzone dell’Empio sprofondava nella notte come il sinistro uccello notturno precipitagracchiando nell’abisso dinanzi al giorno vittorioso. E quanto più le note chiare si diffondevano tanto più ilsuo petto era scosso da dolci presentimenti e da un’inesprimibile nostalgia. Ed ecco che lei, la sua unicavita, sbucava da un fitto boschetto nello splendore di tutta la sua bellezza e di tutta la sua grazia, e lefoglie e le lucide fonti mormoravano e sussurravano salutando la bella con sospiri d’amore. Essa eraportata sulle ali del canto come sulle ali di un bel cigno e, appena il suo sguardo celeste lo colpì, si accesenel suo cuore tutta la beatitudine dell’amore più puro e divino Invano egli tentava di esprimersi con leparole e con i suoni. Appena fu scomparsa egli si gettò estasiato sul prato fiorito affidando all’aria il nomedi lei. Nel suo ardente desiderio abbracciava i superbi gigli, baciava le rose con bocca ardente e tutti ifiori compresero la sua felicità e il vento del mattino, le sorgenti, i boschi parlavano con lui della gioiaindicibile di un amore eccelso.

... Così pensava Wolfframb mentre Nasias continuava nelle sue vane canzoni d’amore, e nel momento incui egli vedeva donna Matilde nel giardino della Wartburg essa gli stava veramente dinanzi come unavolta in tutta la sua grazia e leggiadria e come una volta lo guardava amorevole e casta. Wolfframb nonaveva percepito nulla dei canti dell’Empio: come questi tacque egli incominciò una canzone in cui lodavacon accenti magnifici e potenti la beatitudine celeste dell’amore puro.

L’Empio diventò sempre più inquieto sino a che incominciò con modi volgari a belare facendo balzi quae là nella stanza e commettendo ogni sorta di eccessi. Allora Wolfframb si alzò dalla sua poltrona e glicomandò nel santo nome di Cristo di andarsene. Nasias sprizzando attorno a sé violente fiamme arraffò isuoi libri ed esclamò con una risata piena di scherno: «Schnib, schnab, non sei che un rozzo profano,perciò riconosci a Klingsohr il primato!» e fuggì fuori dalla stanza come una tempesta lasciandovi unsoffocante odore di zolfo.

Wolfframb aprì la finestra, la fresca aria mattutina inondò la stanza e cancellò ogni traccia del Malvagio.Jonas si svegliò dal sonno profondo in cui era caduto e si meravigliò non poco che tutto fosse giàpassato. Chiamò il suo padrone a cui Wolfframb raccontò come erano andate le cose, e se Gottschalkprima teneva in grande onore il nobile Wolfframb, ora lo considerava come un santo che aveva vinto lapotenza malefica dell’inferno.

Page 66: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Come Gottschalk rivolse per caso lo sguardo verso l’alto, si accorse con sgomento che sopra la portaerano scritte a caratteri di fuoco le parole: «Schnib, schnab, non sei che un rozzo profano, perciòriconosci a Klingsohr il primato».

Così il Malvagio prima di sparire aveva lasciato scritto le ultime parole che aveva pronunciato comeun’eterna sfida.

«Non potrò più essere tranquillo» disse Gottschalk «non potrò più essere tranquillo nella mia casa, sino aquando quella scritta diabolica che deride il mio caro signor Wolfframb arde su quella parete.»

Egli corse difilato in cerca di muratori perché imbiancassero la scritta, ma fu vana fatica. Ogni volta chetentavano di passarvi un dito di densa calce, la scritta riappariva, anzi, appena si cercò di raschiare vial’intonaco, le parole appar vero ancora più evidenti sul rosso del mattone. Gottschalk emise degli altilamenti e pregò il signor Wolfframb, se gli era possibile, di costringere Nasias, con una canzone adatta, acancellare le ossessionanti parole. Wolfframb ridendo disse che questo non era in suo potere: si calmasseGottschalk perché forse, quando egli avrebbe lasciato Eisenach, la scritta sarebbe scomparsa per suoconto.

Era passato mezzogiorno, quando Wolfframb von Eschinbach con animo lieto e l’entusiasmo di chi stiaandando incontro alla più fulgida speranza, lasciò Eisenach. Poco lontano dalla città incontrò il conteMeinhard von Mühlberg e il coppiere Walter von Vargel con un folto seguito: erano riccamente vestiti emontavano cavalcature bardate. Wolfframb von Eschinbach li salutò e gli fu detto che essi erano statimandati dal langravio Ermanno ad Eisenach per accompagnare solennemente il maestro Klingsohr allaWartburg. Durante la notte Klingsohr era salito in una loggia della casa di Helgrefe per interrogare lestelle. Mentre eseguiva dei calcoli astrologici, alcuni allievi, che si trovavano presso di lui, notarono, dalsuo strano sguardo e da tutto quanto il suo modo di fare, che egli aveva tratto dalle stelle un importantesegreto. E non si peritarono a interrogarlo. Klingsohr allora si alzò da dove era seduto e solennementedisse: «Questa notte al re di Ungheria, Andrea II, è nata una bambina. Essa si chiamerà Elisabetta e perla sua devozione e la sua virtù sarà fatta in seguito santa da papa Gregorio IX. Sarà scelta come mogliedi Ludovico, figlio del vostro signore, il langravio Ermanno».

Questa profezia fu subito portata al langravio che ne fu profondamente commosso. Mutò anche il suomodo di pensare nei riguardi del famoso maestro, la cui scienza occulta gli aveva aperto una speranzacosì bella, e decise di farlo accompagnare alla Wartburg con tutto il fasto che si conveniva a un principe ea un grande signore.

Wolfframb pensò allora che la sfida dei cantori per la vita e per la morte non avrebbe potuto aver luogo,anche perché Heinrich von Ofterdingen non si era presentato. Invece i cavalieri assicurarono che illangravio aveva già ricevuto notizie dell’arrivo di Heinrich. Il cortile interno del castello veniva allestito perl’incontro e il carnefice Stempel di Eisenach era già partito per Wartburg.

Klingsohr lascia la Wartburg. Esito della sfida

In una bella e grande stanza della Wartburg il langravio Ermanno e il maestro Klingsohr erano riuniti acordiale colloquio. Klingsohr assicurò ancora una volta che la costellazione della notte precedente, sottoil cui segno Elisabetta era nata, non ammetteva dubbi e consigliò il langravio di inviare subito unalegazione al re d’Ungheria per chiedere la mano della neonata principessina per il figlio undicenneLudovico. Il langravio accolse volentieri tale consiglio e come egli si mise a lodare la sapienza delmaestro, questi cominciò a parlare in modo così dotto e affascinante sui misteri della natura, del micro edel macrocosmo, che il langravio, per quanto non del tutto digiuno di queste cose, fu preso da profondaammirazione.

Page 67: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Maestro Klingsohr» disse il langravio «sarei molto contento di poter sempre fruire della vostracompagnia così istruttiva. Abbandonate l’inospitale Siebenburgen e venite alla mia corte, che con voipotrà brillare nelle arti e nelle scienze come nessun’altra. I maestri cantori vi accoglieranno come lorosignore giacché sarete versato in questa arte come nella astrologia e in tutte le altre scienze. Orsù,rimanete sempre qui, e non pensate più di ritornare a Siebenbürgen.»

«Permettete invece, illustre principe» rispose Klingsohr «che io faccia oggi stesso ritorno ad Eisenach edi qui a Siebenbürgen. Del resto non è una città così inospitale e poi è l’ideale per i miei studi.Considerate inoltre che non posso offendere il mio sovrano, Andrea II: la mia esperienza in scienzeminerarie gli ha fatto scoprire alcuni ricchi filoni di metalli preziosi, e io ricevo da lui un appannaggioannuo di tremila marchi d’argento che mi assicurano la tranquillità necessaria a coltivare arte e scienza.Qui, invece, dovessi anche rinunciare a questo appannaggio, sarei solo motivo di contesa e di discordiafra i vostri maestri. La mia arte poggia su fondamenti diversi dai loro e vuole avere anche modi diversi diespressione. Può darsi tuttavia che la loro devozione e la loro ricchezza interiore (come essi la chiamano)consentano loro di comporre canzoni, e che essi, come bimbi timorosi, non osino spingersi in una terrasconosciuta. Non intendo disprezzarli per questo, ma schierarmi con loro non mi è possibile.»

«Così» disse il langravio «non assisterete alla sfida tra il vostro allievo Ofterdingen e gli altri maestri?»

«No» rispose Klingsohr «non potrei assolutamente, ma anche se potessi, non lo vorrei. Voi stesso, mionobile principe, dovete essere il giudice, perché voi solo potete confermare la voce del popolo, checertamente si farà sentire. Non considerate però Heinrich von Ofterdingen mio allievo. Anche se dotatodi valore, egli sembra limitarsi alla buccia amara del frutto, ma è incapace di gustare la dolcezza dellapolpa. Orsù, stabilite pure il giorno della sfida, io farò in modo che Heinrich von Ofterdingen si presentipuntualmente.» Le insistenti preghiere del langravio non riuscirono a smuovere il caparbio maestro, chelasciò la Wartburg colmo di ricchi doni.

Venne il giorno fatale in cui doveva aver luogo la sfida dei cantori. Nel cortile del castello erano statecostruite delle barriere come per un torneo. Nel mezzo furono posti due seggi addobbati di nero per icantori in lizza, dietro fu eretto un grande patibolo. Il langravio aveva scelto come giudici due nobilisignori della corte esperti di canto, Meinhard von Mühlberg e il coppiere Walter von Vargel, gli stessi cheavevano accompagnato il maestro Klingsohr alla Wartburg. Per essi e per il langravio fu anche costruitoun grande e sontuoso palco circondato dai seggi delle dame e degli altri spettatori. Per i maestri fu poicostruita una speciale panca addobbata di nero posta al fianco dei due concorrenti vicino al patibolo.

Migliaia di spettatori avevano preso posto, da tutte le finestre della Wartburg, anzi perfino dai tetti unagrande quantità di curiosi stava a guardare. Accompagnato dai giudici, il langravio avanzò dalla porta delcastello tra un cupo suono smorzato di timpani e di trombe e salì sul palco. I maestri avanzarono incorteo solenne con Walter von der Vogelweid in testa e presero i loro posti. Sopra il patibolo stava condue assistenti il carnefice di Eisenach, Stempel, un tipo gigantesco dalla selvaggia espressione alteraavvolto in un ampio mantello rosso-sangue dalle cui pieghe appariva l’impugnatura lucente di una enormespada. Davanti al patibolo prese posto padre Leonardo, confessore del langravio, che doveva assistere ilvinto nell’ora della morte.

Un silenzio carico di sinistri presagi, in cui si sarebbe potuto sentire anche il soffio più lieve, gravò sullafolla. Si attendeva con raccapriccio che l’inaudito si realizzasse. Allora si fece largo, con i segni della suadignità di maresciallo del langravio, Franz von Waldstromer, che ancora una volta espose le cause dellalite e l’irrevocabile ordine del langravio Ermanno, secondo il quale il vinto sarebbe stato giustiziato con laspada. Padre Leonardo sollevò il crocifisso e tutti i maestri, dinanzi al loro scanno, piegando il caposcoperto, giurarono in piena coscienza di obbedire all’ordine. Poi il carnefice Stempel agitò per tre volte

Page 68: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

nell’aria la lucente spada e disse con voce tonante che egli avrebbe giustiziato in perfetta coscienza coluiche gli sarebbe stato consegnato. Quindi risuonarono le trombe, Franz von Waldstromer si portò inmezzo alla lizza e per tre volte con grande energia chiamò:

«Heinrich von Ofterdingen... Heinrich von Ofterdingen... Heinrich von Ofterdingen...»

Heinrich, dopo aver atteso, non notato, vicino alla tribuna, che l’ultimo appello si smorzasse, apparveimprovvisamente accanto al maresciallo. Si inchinò dinanzi al langravio e disse in tono fermo di esserevenuto per volontà del langravio per misurarsi con qualunque maestro si fosse presentato e che sisottometteva alla decisione del giudice prescelto. Quindi il maresciallo si portò dinanzi ai maestri con unvaso d’argento, perché ciascuno tirasse a sorte. Appena Wolfframb aprì il suo biglietto, riconobbe ilsegno di chi era destinato alla sfida. Un terrore mortale stava per sopraffarlo quando si rese conto didover combattere contro l’amico, ma poi subito gli sembrò che una grazia celeste lo avesse prescelto perquella lotta. Vinto, sarebbe morto volentieri, ma vincitore, sarebbe volontariamente andato verso la mortepiuttosto che decretare quella di Ofterdingen per mano del carnefice. Con viso sereno e lieto egli sedetteal suo posto. Ma quando fu di fronte all’amico e lo guardò, uno strano brivido gli percorse il corpo. Egline riconobbe le fattezze, ma gli occhi ardenti che scintillavano nel viso mortalmente pallido erano quelli diNasias.

Heinrich von Ofterdingen incominciò la sua canzone e Wolfframb fu quasi terrorizzato quando si accorseche quella era la stessa canzone che Nasias aveva cantato quella notte fatale. Raccolse tutte le forze erispose al suo avversario con Una melodia così divina che nell’aria echeggiò il giubilo di mille voci e ilpopolo già voleva riconoscerlo vincitore.

A un cenno del langravio, Heinrich von Ofterdingen riprese a cantare. Egli cominciò una canzone le cuimeravigliose melodie emanavano una tale gioia di vita, che ogni cosa, come toccata dall’ardente soffio dipiante esotiche in piena fioritura, cadde in un dolce torpore. Lo stesso Wolfframb von Eschinbach si sentìcome rapito lontano in una terra straniera; non riusciva più a pensare né alla propria canzone né a sestesso.

In quel momento all’ingresso del campo si sentì un brusio, mentre gli spettatori si facevano da parte.Wolfframb, come colpito da una scarica elettrica, si svegliò all’improvviso dal sognante torpore, guardòinnanzi a sé e, Dio del cielo, vide donna Matilde che si avvicinava in tutta la sua grazia e leggiadria,proprio come in quel lontano giorno in cui l’aveva vista per la prima volta nel giardino della Wartburg. Losguardo che gettò su di lui esprimeva l’amore più profondo. E fu la gioia più sublime a prorompere nelcanto di Wolfframb, lo stesso canto con cui la fatale notte egli aveva vinto il Maligno.

Il popolo con fragorosi applausi lo riconobbe vincitore.

Il langravio si alzò insieme ai giudici: le trombe risuonarono, il maresciallo prese la corona dalle mani dellangravio per porgerla al vincitore. Stempel già si preparava a eseguire il suo compito, ma gli sgherri chestavano per afferrare il vinto si trovarono fra le mani una nuvola di fumo nero, che salì verso l’alto consibili e brontolii, svanendo in fretta nell’aria. Heinrich von Ofterdingen era sparito in un modoincomprensibile. Ognuno, i visi lividi per lo stupore e il terrore, correva urtandosi qua e là: si parlava difigure diaboliche, di spiriti malvagi. Il langravio riunì attorno a sé i maestri e così parlò: «Ora comprendoche cosa volesse veramente dire il maestro Klingsohr quando si esprimeva in un modo così sibillino sullasfida dei cantori di cui lui non voleva essere il giudice, e dobbiamo essergli grati che le cose siano andatecosì. Che sia stato Heinrich von Ofterdingen a sostenere la sfida oppure un altro inviato da Klingsohr alposto del suo allievo, la cosa non ha importanza. La sfida si è decisa in modo favorevole per voi, mieibravi maestri; ora potremo onorare unanimi e sereni la sublime arte del canto, cercando di promuoverlasecondo le nostre possibilità».

Page 69: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Alcuni uomini del langravio di guardia alla rocca dichiararono che pressappoco alla stessa ora in cuiHeinrich von Ofterdingen era stato vinto da Wolfframb von Eschinbach, una figura che assomigliava almaestro Klingsohr era uscita a briglie sciolte su un focoso cavallo nero dalle porte del castello.

Conclusione

La contessa Matilde si era diretta nel frattempo verso il giardino e Wolfframb von Eschinbach l’avevaseguita. Come si incontrarono ed essa sedette, sotto i begli alberi in fiore, su un sedile erboso, le maniraccolte in grembo e il bel capo pensoso reclinato, egli non seppe dirle nessuna dolce parola. Matildeabbracciò l’amato con ardente slancio. Entrambi versarono calde lacrime piene di dolce mestizia.

«Ah, Wolfframb» disse alla fine Matilde «sono stata sedotta da un brutto sogno! Come ho potuto, comeun fanciullo inesperto e accecato, cedere alle insidie del Maligno? Come ho potuto mettermi contro di te?Potrai perdonarmi?»

Wolfframb strinse Matilde fra le sue braccia e impresse per la prima volta baci ardenti sulla sua divinabocca di rosa. Le disse che era sempre vissuta nel suo cuore, che egli, nonostante le forze avverse,sempre le era rimasto fedele e come essa sola, la donna dei suoi pensieri, gli avesse ispirato quellacanzone che aveva fatto fuggire il Maligno.

«Oh mio adorato» disse Matilde «lascia che ti dica in quale meraviglioso modo tu mi hai salvata daimalvagi lacci che mi furono tesi. Una notte, non molto tempo fa, immagini strane e paurose micircondarono. Non so neppure se fosse una sensazione di piacere o di pena, io sentii sul mio cuoreun’oppressione tale che mi toglieva il respiro. Spinta da un irresistibile impulso cominciai a scrivere unacanzone seguendo proprio il metodo del sinistro maestro, ma fui stordita da strani suoni, allo stessotempo armoniosi e stridenti, ed era come se, invece di una canzone, stessi componendo una formulaterribile, capace di soggiogare le potenze oscure. Apparve una orrenda figura, mi afferrò con le suebraccia ardenti e sembrava volesse trascinarmi giù in un cupo abisso. A un tratto un canto soave risuonònelle tenebre: quei suoni armoniosi erano dolci come il chiarore delle stelle. La nera figura aveva a tuttaprima abbandonato la presa, poi allungò di nuovo le braccia roventi verso di me, ma non la mia personariuscì ad afferrare, solo la canzone che avevo scritto, con cui precipitò stridendo nell’abisso. Era la tuacanzone, la canzone che oggi cantasti, la canzone davanti alla quale l’Empio fuggì: fu quella che mi salvò.Ora sono tutta tua, le mie canzoni esprimono solo il mio amore fedele per te e la cui beatitudine senzalimiti non può essere espressa da parola alcuna.»

Di nuovo gli amanti caddero nelle braccia l’uno dell’altro e non potevano fare a meno di parlare deitormenti passati e del sublime attimo che li aveva riuniti.

Matilde, proprio nella notte in cui Wolfframb aveva pienamente vinto Nasias, aveva sentito in sognoquella canzone: il canto che Wolfframb aveva eseguito nell’estasi irraggiungibile di un purissimo amore eche aveva poi ripetuto alla Wartburg superando il suo avversario.

Una sera, sul tardi, Wolfframb von Eschinbach se ne stava solo nella sua camera a meditare nuovecanzoni, quando entrò il suo affittacamere Gottschalk che tutto contento disse: «Mio nobile e degnosignore, siete riuscito a vincere con la vostra grande arte il Maligno. L’odiosa scritta è sparita dalla vostracamera: a voi, tutti i miei più caldi ringraziamenti... Ma ho qui con me qualcosa per voi che è statoconsegnato a casa mia, perché io ve lo recapitassi» e così dicendo Gottschalk gli consegnò una letterapiegata e sigillata.

Wolfframb aprì la lettera. Era di Heinrich von Ofterdingen e così diceva: «Ti ringrazio, mio caro

Page 70: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Wolfframb, come può ringraziarti uno che sia guarito da una malattia che lo stava conducendo allapeggiore delle morti. Molte cose inaudite mi sono accadute... ma è meglio tacere sopra l’iniquità di untempo che sta dietro alle mie spalle come uno scuro, impenetrabile mistero. Certo ti ricorderai delleparole che dicesti quando io, pieno di folle orgoglio, mi gloriavo di affermare che mi sarei elevato al disopra di tutti i maestri. Allora dicesti che forse mi sarei trovato improvvisamente sull’orlo di un profondoabisso, preda del vortice delle vertigini e sul punto di precipitarvi; e che tu saresti stato dietro di me conanimo saldo a sostenermi con la tua forza. Wolfframb! È avvenuto veramente ciò che la tua anima ispirataaveva previsto. Io ero già sull’orlo dell’abisso e tu mi sostenesti proprio quando la vertigine fatale miaveva avvinto. La tua splendida vittoria, nel momento in cui ha annientato il tuo avversario, ha restituito ame la vita. Sì, Wolfframb, davanti alla tua canzone, caddero i fitti veli che mi avvolgevano e io potei dinuovo alzare gli occhi al cielo limpido. Non devo forse per questo doppiamente amarti?... Tu hairiconosciuto Klingsohr come un grande maestro. Egli lo è veramente; ma guai a colui che, dotato di sueproprie attitudini, osa indirizzarsi in quel regno tenebroso che a lui si è dischiuso... Io ho rinunciato almaestro ed ora non vagolo più sconsolato sulle rive del fiume infernale; la mia dolce patria mi è stataridata... Matilde!... no, per me non era la donna sublime, era solo un fantasma sinistro che miossessionava con immagini ingannevoli di un vano amore tenero... Dimentica quello che feci nella miafollia. Saluta i maestri e di’ loro della mia rinascita. Sta’ bene, mio amato Wolfframb, forse sentirai prestoparlare di me!...»

Era passato del tempo quando alla Wartburg giunse la notizia che Heinrich von Ofterdingen si trovavapresso la corte di Leopoldo VII arciduca d’Austria e che vi cantava molte belle canzoni. Poco dopo, illangravio Ermanno ricevette una copia di quelle canzoni con le relative melodie. Tutti i maestri sirallegrarono quando constatarono che Heinrich von Ofterdingen aveva rinunciato a ogni falsità e chemalgrado le tentazioni del Maligno aveva mantenuto il suo spirito puro e devoto.

Così Wolfframb von Eschinbach, grazie all’arte sublime del canto scaturita dal suo limpido animo, avevariportato una gloriosa vittoria sul Nemico, salvando l’amata e l’amico da una terribile fine.

MASTRO MARTINO IL BOTTAIOE I SUOI GARZONI

Benevolo lettore, quando vai passeggiando per una città dove i magnifici monumenti ti mostrano leeloquenti testimonianze dello splendore, della devota solerzia, della veracità di un’epoca ormai trascorsa,certo anche a te si aprirà il cuore a una mestizia piena di strane sensazioni.

Non hai l’impressione forse di entrare in una casa abbandonata?

Lì, sul tavolo c’è ancora aperta la Sacra Bibbia che il padre di famiglia era solito leggere, alla parete èancora appeso il tessuto riccamente lavorato che la padrona di casa aveva portato a termine; preziosidoni dell’ingegnosità umana, relegati nelle solennità, stanno sparsi nei lindi armadi. Sembra che da unmomento all’altro stia per apparire una padrona di casa pronta a farti un’accoglienza cordiale. Ma invanoattendi coloro che l’inarrestabile ruota del tempo ha travolto e allora ti abbandoni al dolce sogno che tirimette in contatto con gli antichi maestri, i quali con meravigliosa efficacia ti comunicano cose chepenetrano nel profondo dell’anima. E così tu puoi finalmente comprendere il significato profondo delleloro opere giacché vivi nella loro epoca ed essa, che ha saputo creare quei maestri e quelle opere, ti èdivenuta familiare.

Ma ahimè, non avviene forse che le belle immagini di sogno, proprio nel momento in cui credi distringerle con braccia amorose, se ne fuggono timidamente sulle luminose nubi del mattino dinanzi allarumorosa attività del giorno e tu allora insegui con gli occhi bruciati dalle lacrime quello splendoretremolante che sempre più va impallidendo? Così, al duro contatto della vita che fluttua attorno a te, ti

Page 71: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

svegli come da un bel sogno e null’altro rimane in te se non la profonda nostalgia che con un dolcebrivido scuote il tuo petto.

Tali erano le sensazioni, carissimo lettore, che si affollavano in colui che per te scrive questi fogliogniqualvolta si metteva a passeggiare per la famosa città di Norimberga. Ora indugiando dinanzi allamirabile architettura della fontana in piazza Mercato, ora ammirando il sepolcro in S. Sebaldo, o iltabernacolo in S. Lorenzo, oppure contemplando al castello o al palazzo comunale i grandi capolavori diAlbrecht Dürer, egli sempre si sentiva afferrare dal dolce sogno che lo trasportava entro la magnificenzadell’antica città imperiale. E pensava ai candidi versi di Padre Rosenblüth:

 

O Norimberga, nobile contrada,

la freccia del tuo onore ha colto nel segno,

dalla tua saggezza essa è scoccata

e la verità è germogliata in te.

E in tal modo parecchi quadretti della bella vita cittadina di quel tempo, dove l’arte e l’industria si davanofelicemente la mano, emersero limpidi in tutta la loro luminosità e gli si impressero nell’anima.

Permetti ora, carissimo lettore, che io ti offra uno di questi quadretti. Forse seguirai la descrizione convero piacere e forse tu stesso avrai l’impressione di essere di casa presso mastro Martino e sosteraivolentieri presso i suoi tini e i suoi bricchi. In questo caso accadrà davvero ciò che l’autore di questi foglidesidera di tutto cuore.

In qual modo il signor Martino fu eletto decano e come ringraziò

Il primo maggio del 1580, l’onorevole corporazione dei bottai e tinai della libera città di Norimbergaaveva tenuto, secondo le antiche abitudini e costumanze, la sua solenne adunanza. Poco tempo prima eramorto uno dei decani per cui bisognava eleggerne uno nuovo. La scelta cadde su mastro Martino.

In verità nessuno poteva eguagliarlo nella costruzione delle botti, robuste e leggiadre nello stesso tempo,nessuno era più bravo di lui nel conservare il vino nelle cantine, per cui tra i suoi clienti vi erano i piùdistinti signori della città: egli viveva perciò in pieno benessere per non dire nella ricchezza.

Come mastro Martino fu eletto, il consigliere municipale Jakobus Paumgartner, rettore dellacorporazione così parlò:

«Avete fatto molto bene, amici miei, a eleggere mastro Martino a vostro capo: la carica infatti nonpoteva capitare in migliori mani. Mastro Martino è altamente stimato da tutti quelli che conoscono la suaabilità e la sua vasta esperienza nell’arte di conservare e di fare invecchiare il vino. La sua attività, la suavita semplice e pia nonostante le ricchezze possono certo essere prese a modello. A voi perciò, mastroMartino, nostro degno decano, infiniti complimenti!»

E così dicendo Paumgartner si alzò e fece alcuni passi avanti a braccia tese aspettando che mastroMartino gli venisse incontro. Questi appoggiandosi con forza sui braccioli della sedia si alzò con quellalentezza e con quella fatica che il suo ben nutrito corpo imponeva. Poi con altrettanta lentezza si mosse

Page 72: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

verso l’abbraccio affettuoso di Paumgartner, contraccambiandolo però appena appena.

«Beh» fece Paumgartner un poco sorpreso «c’è qualcosa che non va in questa vostra elezione a nostrodecano?»

Mastro Martino, con un gesto che gli era solito, incassò la testa nelle spalle, tamburellò con le dita sulgrosso ventre, si guardò attorno con occhi furbi, il labbro inferiore sporgente, poi rivolgendosi aPaumgartner disse:

«Mio degno signore, come può essere che io non giudichi giusto ciò che mi spetta? Chi mai puòrinunciare alla ricompensa dovutagli per un lavoro ben fatto, chi mai scaccerà il debitore che si fa vivo persaldare finalmente il suo debito?... Ehi, voi, cari amici» (e così dicendo si volse verso i maestri chesedevano tutto attorno) «vi è venuta finalmente l’idea che lo debba essere il decano della vostra onorabilecorporazione!... Che volete voi da un decano? Deve essere veramente il più abile nel suo mestiere?Allora andate a vedere quella mia enorme botte tutta tirata a martello e senza fuoco, il mio verocapolavoro, e ditemi se qualcuno di voi può vantarsi di avere mai fatto qualcosa di altrettanto bello erobusto... Desiderate poi che il decano possegga denaro e beni? Venite allora a casa mia e io vi apriròtutte le mie casse e vi diletterete alla visione dell’oro e dell’argento... Il decano deve essere onorato datutti, signori e umili? Chiedetelo allora al nostro consigliere, chiedetelo ai principi e ai signori che abitanoattorno alla nostra città di Norimberga, chiedetelo al vescovo di Bamberg, chiedetelo a tutti costoro checosa pensano di mastro Martino. Bene! Penso che difficilmente sentirete note di biasimo.»

Detto questo il signor Martino si batté piacevolmente il grosso ventre e sorridendo di compiacimentocon gli occhi socchiusi, mentre il silenzio generale era interrotto soltanto qua e là da significativetossettine, continuò: «Ma io so benissimo che non devo solo congratularmi con voi perché il Signore almomento dell’elezione vi ha illuminato la mente... Infatti quando io ricevo la ricompensa per il lavoro,quando il debitore mi paga, allora firmo la ricevuta m questo modo: “Tommaso Martino, mastro bottaio,pagato, ringrazia”. Perciò siate con tutto il cuore ringraziati, in quanto, eleggendomi vostro decano, aveteestinto un debito. Per il resto vi prometto che reggerò la mia carica con tutta fedeltà e onestà. Se sarànecessario, sarò pronto a portare con il consiglio e con l’azione il mio aiuto alla corporazione e a ognunodi voi per quanto me lo permettano le mie forze. Mi preoccuperò di mantenere la nostra rinomataistituzione in quell’onore e in quella dignità in cui si trova oggi... Vi invito, illustre consigliere, amici emaestri, a un allegro pranzo per la prossima domenica. Ora con animo allegro e con in mano un buonbicchiere di Hocheimer o di Johannisberger o di qualsiasi altro vino della mia fornita cantina riflettiamosulle cose più immediate che dobbiamo fare per il bene comune. Di tutto cuore siete invitati».

I visi degli onorevoli maestri, che si erano notevolmente oscurati durante l’orgoglioso discorso di mastroMartino, ora si rasserenarono e al profondo silenzio seguì un gioioso cicaleccio in mezzo a cui risaltaronogli alti meriti del signor Martino e della sua scelta cantina.

Tutti promisero di essere presenti la domenica successiva, tesero la mano al neoeletto decano checordialmente la strinse premendosi anche un po’ al ventre questo o quel maestro come se volesseabbracciarlo.

Ciò che in seguito accadde nella casa di mastro Martino

Il consigliere Jakobus Paumgartner per tornare a casa sua doveva passare dinanzi alla dimora di mastroMartino. Quando, trovandosi dinanzi alla porta di casa di quest’ultimo, Paumgartner fece l’atto diproseguire, mastro Martino si tolse il piccolo berretto e con tutta riverenza inchinandosi nel limite delpossibile disse al consigliere:

Page 73: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Mio caro e degno consigliere, non disdegnate, vi prego, di entrare un’oretta nella mia povera casa.Permettete che io mi diletti e mi edifichi ai vostri saggi discorsi.»

«Eh, caro mastro Martino» rispose Paumgartner ridendo «mi trattengo volentieri da voi, ma perché diteche la vostra casa è povera? So benissimo che in fatto di sfarzo e di preziose suppellettili, nessuno dei piùricchi cittadini vi supera. Non avete forse costruito poco tempo fa un bellissimo edificio che èl’ornamento della nostra famosa città? Non parlo poi dell’arredamento, giacché nessun patrizio avrebbeda vergognarsene.»

Il vecchio Paumgartner aveva ragione: aperta infatti la porta lucente di ricche finiture in ottone, apparveuno spazioso vestibolo con il pavimento intarsiato, bei quadri alle pareti, armadi e sedie artisticamentelavorati, quasi fosse un salone. Ben volentieri ognuno seguiva l’indicazione scritta sopra una tavoletta,appesa, secondo le antiche abitudini, presso la porta:

Chi dentro vuole entrare

le scarpe deve nettare

o innanzi se le tolga

ne per questo se ne dolga.

Come deve comportarsi,

la persona intelligente

se lo porti sempre in mente.

Il giorno era caldo, l’aria nelle camere, ora che era sceso il crepuscolo, soffocante e umida: per cuimastro Martino introdusse il suo nobile ospite in una vasta e fresca stanza di soggiorno. Era quel luogodelle case dei ricchi borghesi che era ammobiliato come una cucina, ma non per essere usata bensì peressere ammirata con tutte quelle preziose suppellettili che venivano messe in mostra.

Appena entrato mastro Martino a voce alta chiamò. «Rosa, Rosa»; la porta subito si aprì e Rosa, l’unicafiglia di mastro Martino, fece il suo ingresso.

Carissimo lettore, a questo punto cerca di ricordarti nel modo più vivo possibile i capolavori del nostrogrande Albrecht Dürer. Possano dinanzi ai tuoi occhi animarsi a un tratto quelle meravigliose fanciulle,ricche di tanta grazia e di tanta dolcezza, così come appaiono nei suoi quadri. Pensa alla loro nobile edelicata figura, alla loro fronte arcuata, bianca come un giglio, a quell’incarnato che aleggia sopra leguance come un alito di rosa, a quelle fini labbra ardenti di un rosso ciliegia, a quegli occhi ombreggiatidalle scure ciglia che guardano attorno con espressione nostalgica come il raggio della luna attraverso ilcupo fogliame; pensa ai capelli di seta ingegnosamente annodati in graziose trecce, pensa alla bellezzacelestiale di quelle fanciulle, e avrai dinanzi a te la soave Rosa.

Come potrebbe il narratore descriverti altrimenti questa creatura celeste? Gli sia anche concesso diricordare qui un giovane e valente artista nella cui anima è penetrata una scintilla ardente del buon tempoantico. Si tratta del pittore tedesco che a Roma viene chiamato Cornelius.

Page 74: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Non sono né signorina né bella!» Come nei disegni di Cornelius per quella magnifica opera che è ilFaust di Goethe, Margherita ci appare in atto di dire queste parole, tale era Rosa quando inatteggiamento timido e pudico doveva arginare richieste troppo ardite.

Rosa si inchinò con umiltà tutta infantile dinanzi a Paumgartner, gli prese la mano e se la portò allelabbra. Le pallide guance del vecchio signore si colorirono intensamente, e come gli ultimi raggi del sole altramonto indorano improvvisamente il nero fogliame, così il fuoco di una gioventù ormai lontana brillò neisuoi occhi.

«Ah» disse con voce chiara Paumgartner «mio caro signor Martino, voi siete certo un benestante, unuomo ricco, ma il più bel regalo che il Signore vi ha fatto è senza dubbio la vostra deliziosa figliola Rosa.Se alla vista di questa fanciulla si dischiude il cuore a noi vecchi consiglieri, e non riusciamo a distogliereda lei i nostri deboli occhi, chi potrebbe fare una colpa ai giovani se rimangono lì di sasso quandoincontrano vostra figlia per strada, oppure se in chiesa si accorgono della sua presenza e non di quella delprete o se nelle feste con gran dispetto delle altre ragazze corteggiano solo lei con sospiri, con sguardid’amore, con paroline dolci come il miele? Insomma, mastro Martino, potete scegliervi il genero fra inostri giovani patrizi o dovunque vogliate.»

Mastro Martino fece il viso scuro, ordinò alla figlia di portare del buon vino vecchio e appena questatutta rossa in volto e con lo sguardo chino a terra se ne fu andata, disse al vecchio Paumgartner:

«Mio caro signore, è fuori dubbio che mia figlia sia adorna di una bellezza eccezionale e che anche inquesto il cielo mi abbia fatto ricco, ma come potete dire queste cose proprio in presenza della fanciulla,soprattutto quando a me non interessa affatto avere per genero un patrizio?»

«Tacete» rispose Paumgartner ridendo «tacete, mastro Martino, quello che è nel cuore viene poi semprein bocca... Non credete voi che anche a me il pigro sangue possa cominciare a martellare nel vecchiocuore quando vedo Rosa e voi non dovete prendervela se io apertamente vi dichiaro ciò che essa delresto già sa.»

Rosa portò il vino e due grandi bicchieri. Martino spinse nel mezzo della stanza il tavolo riccamenteintarsiato. I due vecchi signori si erano appena seduti e mastro Martino aveva appena riempito i bicchieri,quando si sentì davanti alla porta uno scalpiccio di cavalli. Si ebbe l’impressione che un cavaliere sifermasse e subito infatti si sentì la sua voce nel vestibolo. Rosa scese in fretta e ritornò dicendo che sitrattava del vecchio cavaliere Heinrich von Spangenberg che desiderava parlare con mastro Martino.

«Stasera siamo veramente fortunati perché è arrivato anche il più vecchio e illustre dei miei clienti. Certoavrà delle nuove ordinazioni e io dovrò fare nuove provviste.» Detto questo egli si affrettò, per quantopoteva, incontro all’ospite benvenuto.

In qual modo mastro Martino elevò l’arte sua su tutte le altre

Il vino scintillava nei bei bicchieri finemente molati e scioglieva ai tre vecchi la lingua e il cuore. L’anzianoSpangenberg, che nonostante l’età era ancora animato da una giovanile vitalità, si divertiva a raccontarequalche aneddoto della sua lieta giovinezza, cosicché il ventre di mastro Martino sobbalzava per il granridere ed era costretto ad asciugarsi continuamente le lacrime. Anche il signor Paumgartner dimenticò piùdel solito la sua dignità di consigliere e se la spassava con il buon vino e con l’allegra conversazione. Mariapparve Rosa, portando sotto il braccio una linda cesta da cui trasse la tovaglia candida e brillantecome neve caduta di fresco e, spostandosi velocemente di qua e di la, allestì la tavola con ogni sorta discelte vivande e poi con un dolce sorriso invitò i signori a non disdegnare tutte quelle pietanze che avevafrettolosamente preparato. Allora cessarono i discorsi e le risate: Paumgartner e Spangenberg non

Page 75: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

riuscivano a distogliere gli occhi dalla bella fanciulla e anche mastro Martino, affondato nella poltrona,con le mani incrociate, guardava con un sorriso compiaciuto quel suo affaccendarsi da padrona di casa.Rosa stava per allontanarsi quando il vecchio Spangenberg, come fosse stato un ragazzino, saltò su,prese la fanciulla alle spalle ed esclamò mentre le lacrime gli scendevano dagli occhi:

«O tu, deliziosa creatura del cielo, tu cara e dolce fanciulla...» e la baciò due o tre volte in fronte, poiritornò al suo posto come assorto in profondi pensieri.

Paumgartner bevve alla salute di Rosa.

«Certo» disse Spangenberg appena Rosa fu uscita «certo, mastro Martino, il cielo vi ha dato in vostrafiglia un gioiello che voi non sapete apprezzare abbastanza. Essa vi torna a grande onore e chi, aqualunque stato sociale appartenga, non ci terrebbe a diventare vostro genero?»

«Vedete» continuò Paumgartner «vedete, mastro Martino, che il nobile signore Spangenberg la pensaproprio come me?... Io vedo gia la mia bella Rosa moglie di un patrizio con un ricco diadema di perle neisuoi bei capelli biondi!»

«Cari signori» cominciò a dire mastro Martino piuttosto seccato «come potete continuare a parlare di unargomento al quale per il momento io non penso affatto? La mia Rosa ha appena diciotto anni e tenerellacome è non deve ancora pensare al fidanzato Per il futuro poi mi rimetto completamente nelle mani delSignore: ma una cosa è certa, che né un patrizio né qualsiasi altro toccherà la mano di mia figlia all’infuoridi quel bottaio che avrà dato prova di essere il più bravo fra tutti i maestri, naturalmente se piacerà a miafiglia, perché io non vorrei costringerla per nessuna ragione al mondo a fare qualcosa e tanto meno unmatrimonio che non sia di suo gradimento.»

Paumgartner e Spangenberg si guardarono meravigliati da una tale affermazione. Alla fine Spangenberg,raschiatasi la gola, cominciò:

«Dunque vostra figlia non può sposare chi non appartenga alla vostra categoria?»

«Che Dio la guardi da ciò» rispose Martino.

«Ma» continuò Spangenberg «se un bravo e giovane maestro di una nobile arte, come per esempio unorefice o qualunque altro valente artista, volesse sposare vostra figlia e a lei piacesse enormemente, allorache fareste voi?»

E Martino gettando il capo all’indietro:

«Fatemi vedere, gli direi, mio caro giovanotto, una grande botte che voi considerate come il vostrocapolavoro... e se non fosse in grado di mostrarmela gli aprirei gentilmente la porta e lo pregherei dicercare altrove.»

«Ma se» continuò Spangenberg «quel giovane amico vi dicesse: una così piccola opera non ve la possomostrare, ma venite con me sulla piazza del mercato e guardate quella magnifica casa che innalzasuperbamente nei cieli le sue slanciate guglie – ebbene quello è il mio capolavoro.»

«Ah, caro signore» interruppe impaziente mastro Martino «perché vi preoccupate tanto a volermipersuadere di un’altra cosa? Mio genero deve assolutamente praticare la mia attività perché lo giudico lamia arte come la più nobile su questa terra. Credete forse che sia sufficiente per mettere assieme unabotte inserire i cerchioni sopra le doghe? Non è forse già una cosa straordinaria che la nostra arte

Page 76: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

presupponga che si sappia custodire e curare quel vero dono celeste che è il buon vino affinché esso siarricchisca di tutta la forza e di tutta la dolcezza che entra in noi come un ardente spirito vitale? E orapassiamo alla costruzione vera e propria. E non dobbiamo prima prendere tutte le misure con ilcompasso perché l’opera riesca bene? Dobbiamo essere contemporaneamente maestri di aritmetica eartisti di geometria. Perché come potremmo altrimenti considerare la proporzione e il volume della botte?Eh, signori, mi sento ridere il cuore in petto quando metto insieme una bella botte; quando le doghe sonostate opportunamente preparate e i garzoni picchiano allegramente sui cunei con le mazze: clip, clap...clip, clap... questa sì che è musica! E la mia bella costruzione eccola lì, ed è giusto che io mi guardiattorno con una punta di orgoglio quando prendo in mano lo stiletto e incido sul fondo della botte il mioonorato marchio di fabbrica, conosciuto da tutti i più bravi vinaioli. Voi parlate, caro signore, di architetti,e una bella casa è sempre un ottimo lavoro, ma se io fossi un architetto e passassi dinanzi alla mia opera evedessi affacciato al balcone un losco individuo, un cialtrone buono a nulla, che ha acquistato la casa,proverei una vergogna immensa e per la rabbia e il dispetto mi verrebbe voglia di distruggere l’opera mia.Ma una cosa simile non può accadere per le mie costruzioni. Lì dentro vi abita lo spirito più puro che cisia sulla terra: il nobile vino. Dio benedica il mio lavoro.»

«Il vostro elogio» disse Spangenberg «è stato certo molto bello: vi fa onore avere tanta considerazioneper il vostro mestiere, ma non perdete la pazienza se insisto ancora. Ditemi, se venisse davvero unpatrizio a chiedere la mano di vostra figlia?... Sapete, quando la vita si impone così con le sue necessità,le cose si mettono differentemente da quello che si era pensato.»

«E io» esclamò piuttosto vivacemente mastro Martino «non potrei far altro che inchinarmi cortesementee dire: “Caro signore, se voi foste un bravo bottaio, ma così...”.»

«Ascoltatemi» lo interruppe Spangenberg «e se un bel giorno un elegante giovane su un cavallo superbocon un brillante seguito, vestito degli abiti più belli, si fermasse dinanzi alla vostra casa e chiedesse lavostra Rosa in sposa?»

«Eh, eh» esclamò mastro Martino con ancor maggiore vivacità «correrei il più velocemente possibile asprangare con i chiavistelli la porta di casa, e mi metterei a gridare: “Cavalcate oltre, cavalcate oltre,illustre cavaliere, le Rose come la mia non fioriscono per voi: può essere anche che vi piacciano la miacantina e le mie monete d’oro e nell’acquisto vorreste forse comprendere anche la ragazza, ma cavalcateoltre”.»

Il vecchio Spangenberg si alzò tutto rosso in viso, appoggiò le mani sul tavolo e si guardò attorno.

«Ora» cominciò dopo una pausa «ora voglio farvi ancora un’ultima domanda, mastro Martino. Sequesto cavaliere che si è fermato dinanzi alla vostra porta fosse mio figlio e se io stesso fossi con lui,avreste il coraggio di chiudere anche a lui la porta in faccia? E credereste che anche noi saremmo venutiper la vostra cantina e per le vostre monete?»

«Ma niente affatto» rispose mastro Martino «niente affatto, mio caro e grazioso signore, io vi aprirei daamico la porta e tutto nella mia casa dovrebbe essere a disposizione vostra e di vostro figlio, ma per ciòche riguarda Rosa io vi direi: “Se il cielo avesse disposto che il vostro bravo giovane fosse diventato unvalente bottaio, nessun altro genero su questa terra mi sarebbe stato più gradito di lui... ma così...”. Delresto, mio caro e degno signore, perché mi prendete in giro e mi tormentate con simili e strane domande?Ma guardate dove è mai andato a finire il nostro allegro conversare e i bicchieri sono ancora colmi;lasciamo dunque da parte il genero e le nozze di Rosa, io bevo alla salute del vostro figliolo che, da quelche sento, deve essere un bel giovane.»

E mastro Martino prese il suo bicchiere, Paumgartner fece lo stesso e disse: «Ogni discorso

Page 77: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

imbarazzante deve avere un termine e beviamo alla salute del vostro bravo figliolo».

Spangenberg toccò i bicchieri e con un sorriso un po’ forzato disse: «State tranquillo che parlavo perscherzo, perché soltanto una pazzia amorosa potrebbe spingere mio figlio, che può scegliersi la moglie trale più nobili famiglie, a sposare vostra figlia, trascurando la sua nascita e il suo rango. Comunque avrestepotuto rispondermi un po’ più cortesemente».

«Ah, mio caro signore» rispose mastro Martino «anche nello scherzo io non avrei potuto parlarealtrimenti di quello che avrei fatto se una simile cosa fosse veramente accaduta. Concedetemi che ancheio abbia il mio orgoglio e del resto voi stesso potete confermare che sono il più bravo fra tutti i bottai, chesono un intenditore di vino, che seguo fedelmente la relativa ordinanza del nostro defunto imperatoreMassimiliano, che da uomo pio respingo qualsiasi forma di empietà, e non faccio bruciare mai più di unamezza oncia di puro zolfo nella mia grande botte, il che è necessario per mantenere il vino, e voi, carisignori, avrete abbondantemente occasione di constatarlo.»

Spangenberg riprendendo il suo posto cercò di fare il viso lieto, mentre Paumgartner intavolava altridiscorsi. Ma come accade per le corde di uno strumento che una volta allentatesi non riescono più atenere l’accordatura e il maestro invano tenta e ritenta di trarne accordi armoniosi, così tra quei tre vecchinon vi erano parole o discorsi che si trovassero in sintonia.

Spangenberg chiamò i suoi servi e lasciò di malumore quella casa in cui era entrato così allegro e bendisposto.

La profezia della vecchia nonna

Mastro Martino rimase un po’ confuso per il congedo alquanto brusco del suo vecchio e affezionatocliente e disse a Paumgartner, che aveva vuotato proprio allora l’ultimo bicchiere e stava per andarsene:

«Non so proprio che cosa volesse quel vecchio signore con i suoi discorsi e perché poi alla fine si siamostrato così seccato.»

«Caro mastro Martino» incominciò Paumgartner «voi siete certo un gran brav’uomo ed è giusto cheognuno si tenga ciò che ha ottenuto con l’aiuto di Dio e gli ha dato ricchezze e onori. Ma questo nondeve degenerare in una forma di vanagloria: sarebbe contrario a ogni buon sentimento cristiano. Già ogginell’assemblea della corporazione non era giusto che vi poneste al di sopra di tutti gli altri maestri: che voinel vostro mestiere siate esperto più degli altri, va bene, ma che siate proprio voi a dirlo direttamente nonfa che suscitare rabbia e malumore. E stasera poi avete colmato la misura. Non sarete certo così ciecoda non ravvisare nei discorsi di Spangenberg se non un tentativo scherzoso per vedere sin dove arriva ilvostro orgoglio testardo. Certo avete gravemente offeso il degno signore nel voler attribuire solo a unvolgare interesse ogni tentativo di sposare vostra figlia. E malgrado ciò tutto sarebbe andato bene seaveste cambiato tono quando Spangenberg incominciò a parlare di suo figlio. Ecco, se voi aveste detto:“Certo, mio caro e degno signore, se voi venite da me con vostro figlio a chiedere la mia figliola, allorasarei talmente colpito da un simile onore che vacillerei nei miei propositi”. Se così aveste parlatol’immediata conseguenza sarebbe stata che il vecchio Spangenberg avrebbe del tutto dimenticato l’offesadi poco prima, vi avrebbe fatto una bella risata e tutto sarebbe andato a posto benone.»

«Rimproveratemi pure» disse mastro Martino «rimproveratemi pure, me lo merito, ma quando il vecchioparlava in quel modo mi si è stretta la gola e non avrei potuto rispondere altrimenti.»

«Ma poi» continuò Paumgartner «che cosa significa quella sciocca decisione di voler dare vostra figliasoltanto a un bottaio? Avete detto che il destino di vostra figlia deve essere affidato al cielo, invece voi,

Page 78: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

con terrena stoltezza, volete carpire le decisioni alla divina onnipotenza, in quanto stabilite testardamenteda quale piccola cerchia di persone deve essere scelto vostro genero. E questa può essere anche larovina vostra e della vostra Rosa. Lasciate perdere, mastro Martino, lasciare perdere questa puerilemania che non è cristiana, lasciate fare all’eterna potenza che porrà nel pio cuore di vostra figlia ladecisione più giusta.»

«Ah, mio degno signore» disse mastro Martino tutto umile «solo ora vedo quanto male ho fatto a nonesporvi subito tutto. Voi pensate che io sia stato spinto a questa decisione irrevocabile, cioè di sposareRosa a un mastro bottaio, solo dalla troppa stima che ho per la mia arte; non è così, c’è un altro motivo,ben più misterioso. Io non posso lasciarvi senza prima avervi detto tutto, non dovete rimanere in colleracon me neppure per una notte. Sedetevi, vi prego, fermatevi ancora un momento, qui c’è una bottiglia divino vecchio che il nobiluomo di cattivo umore ha rifiutato. Beviamocela insieme.»

Paumgartner fu meravigliato da quella insistenza a confidarsi che non era nella natura di mastro Martino;gli sembrava che il vecchio avesse un peso sul cuore e che volesse liberarsene. Appena Paumgartner si fuseduto ed ebbe bevuto il suo bicchiere di vino, mastro Martino incominciò a narrare:

«Voi sapete, mio caro e degno signore, che la mia brava moglie morì subito dopo la nascita di Rosa.Allora viveva ancora la mia vecchia nonna se pur si poteva chiamare vita quella di una persona sorda ecieca, quasi incapace di pronunciare parola, paralizzata in tutte le membra, costretta a letto giorno enotte. La mia Rosa dunque fu battezzata e la balia se ne stava con la neonata nella stanza dove giaceva lavecchia nonna. Io ero molto triste e quando guardavo quella bella bambina mi sentivo cosìprofondamente commosso che non ero capace di nessun lavoro e me ne stavo silenzioso e tutto rinchiusoin me stesso presso il letto della vecchia nonna che reputavo felice perché estranea ormai a ogni doloreterreno. E mentre guardavo il suo viso pallido a un tratto essa cominciò a sorridere in modo strano,sembrava persino che i lineamenti raggrinziti si distendessero e che le pallide guance si colorissero. Sisollevò, tese le braccia come animata improvvisamente da una forza straordinaria e in modo molto chiaroe con voce dolce chiamo: “Rosa, mia piccola Rosa”. La balia si alzò e le portò la bambina che essa simise a cullare, ma, caro signore, pensate alla mia meraviglia, anzi alla mia paura, quando la vecchia convoce chiara e forte incominciò a cantare questa canzone nella lieta “tonalità laudativa” del signor HansBerchler, albergatore di Strasburgo:

Fanciullina dalle rosse guance

Rosa, ascolta il tuo consiglio:

fuggi pene ed ansietà,

serba Dio nel tuo cuore,

evita scherni,

non coltivar follie.

Fulgida casetta egli recherà

dove aromi fluttueranno

e angeli splendenti

Page 79: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

giocosi canteranno.

Con mente pura ascolta

l’amore fedele,

fra le tue braccia stringi

chi la cassetta recò,

lascia il padre ché

il tuo sposo d’amore è degno.

La cassetta invero porterà

ricchezza, salute e gioia.

Fanciullina, apri gli occhi,

ascolta la parola fedele,

che tu possa fiorire

nella benedizione divina!

«Quando ebbe finito di cantare rimise la bambina con tutta delicatezza sulla coperta e ponendole la manorinsecchita e tremante sulla fronte le mormorò parole incomprensibili, ma dall’espressione del suo viso sicapiva che stava pregando. Poi ricadde riversa sui cuscini e nell’attimo in cui portavano via la bambina,emise un profondo respiro. Era morta.»

Quando mastro Martino ebbe finito Paumgartner disse: «Questa è una storia certo molto strana, ma noncapisco quale rapporto ci possa essere tra la canzone profetica della vecchia nonna e la vostra fissazionenel volere dare Rosa solamente a un bottaio».

«Ah» rispose mastro Martino «ma più chiaro di così non può essere: negli ultimi istanti della sua vita, equindi particolarmente illuminati dal Signore, la vecchia annuncia con voce profetica cosa si deve fare perla felicità di Rosa. Lo sposo che porta, con una “fulgida casetta”, ricchezza, fortuna, felicità, salute etesori, chi può essere se non un valente bottaio che abbia compiuto presso di me il suo capolavoro, lasua casetta risplendente? E in quale altra casetta “aromi fluttueranno” se non nella botte? E quando infattiil vino fermenta si sente un gorgoglio, un sussurrio, un brusio, come se dentro la botte deliziosi angioletti sirincorressero cantando allegre canzoni. Sì, sì, la vecchia nonna a nessun altro ha potuto alludere se non aun bottaio e così deve essere.»

«Voi» disse Paumgartner «spiegate le parole della vecchia nonna a modo vostro, caro Martino, a me lavostra spiegazione non va a genio e resto dell’opinione che dovreste rimettere tutto quanto al cielo e alcuore di vostra figlia, nel quale certo sta nascosta la giusta decisione.»

«E io» disse impaziente Martino «resto dell’opinione che mio genero, una volta per tutte, non può essereche un valente bottaio.»

Page 80: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Paumgartner stava quasi per arrabbiarsi per la testardaggine di Martino, ma si trattenne e si alzòdicendo: «Ormai è tardi, mastro Martino, smettiamola di bere e di parlare, tanto né l’una né l’altra cosa ciaiutano».

Quando uscirono nel vestibolo videro una giovane donna con cinque bambini il maggiore poteva avereotto anni e il minore sei mesi. La donna singhiozzava e si lamentava. Rosa si fece incontro ai due uomini edisse: «Dio del cielo! Valentino è morto: ecco sua moglie con gli orfanelli».

«Cosa? Valentino morto?» esclamò mastro Martino fuori di sé. «Che disgrazia, che disgrazia! Pensate,mio illustre signore» disse rivolgendosi a Paumgartner «Valentino era il mio miglior garzone, veramentediligente e bravo. Tempo fa si ferì in modo grave con una accetta mentre costruiva una botte, la feritapeggiorò sempre più: fu preso da una forte febbre ed è morto nel fiore degli anni!» Mastro Martino simosse verso la donna sconsolata che in lacrime andava lamentandosi che sarebbe morta nella miseria.

«Cosa pensate di me?» disse Martino. «Vostro marito si è fatto quella ferita lavorando per me e ora iodovrei abbandonarvi nella miseria? Certo no, ora voi appartenete alla mia casa. Domani o quandovorrete seppelliremo vostro marito e poi voi e i vostri figli andrete ad abitare nella mia fattoria: là c’è ilmio bel laboratorio, dove lavoro ogni giorno con i miei garzoni. Vi occuperete dei lavori di casa e iodesidero educare i vostri bravi ragazzi come se fossero miei. Inoltre sappiate che prenderò presso di meanche il vostro vecchio padre; anche lui è stato un bravo bottaio quando aveva ancora forza nellebraccia, e ora se non può più reggere mazza e ascia o non può più lavorare con la pialla, sarà ancoracapace di rifinire le doghe con il raschiatoio, insomma anche lui verrà a stare con noi a casa mia.»

Se mastro Martino non l’avesse sostenuta la donna sarebbe svenuta ai suoi piedi in preda al dolore e auna grande commozione. I ragazzi più grandi gli si attaccarono alla giacca e i due più piccoli che Rosaaveva preso in braccio tendevano le manine verso di lui come se avessero capito.

Il vecchio Paumgartner con le lacrime agli occhi disse sorridendo: «Mastro Martino, è impossibileprendersela con voi» e si avviò verso la sua abitazione.

Come fecero conoscenza i due garzoni Rinaldo e Federico

Su un bel poggio erboso, ombreggiato da alti alberi, riposava un giovane di bell’aspetto chiamatoFederico Il sole era già tramontato e rosse fiamme si levavano all’orizzonte. In lontananza si potevadistintamente scorgere la famosa città di Norimberga che si stendeva nella valle con le torri superbe e lecuspidi svettanti nell’oro del tramonto infuocato. Il giovanotto stava con un braccio appoggiato sulfagotto che aveva con sé e guardava con sguardi nostalgici giù nella valle; quindi colse alcuni fiori nelprato e li lanciò in aria verso il sole morente, poi guardò di nuovo tristemente attorno a sé mentre caldelacrime gli brillavano negli occhi. Alla fine alzò il capo, allargò le braccia come se stesse abbracciandouna figura amata e incominciò con voce chiara e piacevole a cantare:

O dolce patria,

ti rivedo ancora,

il cuore mio schietto e leale

mai ti abbandonò.

Page 81: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Roseo tramonto mostrati a me,

possa io scorgere solo rose

e gemme fiorenti d’amore.

L’anima osa salire a te con tenerezza.

O mio cuore traboccante

vuoi forse spezzarti?

Nel dolore e nella gioia tienti saldo.

Che dorato tramonto!

Raggio lucente, sii fedele messaggero,

a lei reca sospiri e lacrime

e se alla mia morte le roselline

interrogar ti dovessero, rispondi:

il suo cuore per amor si spense.

Come Federico finì di cantare trasse dalla sua bisaccia un pezzetto di cera, la riscaldò sul petto eincominciò a modellare una perfetta rosa con tutti i suoi petali. Durante il lavoro canticchiava qualchestrofa di quella canzone e si era talmente concentrato in se stesso da non accorgersi della presenza di unbel giovanetto che già da tempo stava dietro di lui e osservava intensamente il suo lavoro.

«Eh, amico mio» incominciò il giovanetto «è bello, sapete, questo lavoro che state facendo.»

Federico si guardò attorno spaventato, ma quando fissò lo sguardo negli scuri e buoni occhi del giovaneforestiero, ebbe l’impressione di conoscerlo da tanto e sorridendo rispose: «Caro signore, voi statecontemplando solo un trastullo che mi serve per passare il tempo durante il viaggio».

«Se voi» continuò il giovane forestiero «considerate trastullo questo fiore che riproduce in modo cosìfedele la natura, allora dovete essere veramente un gran bravo artista. Mi avete procurato un doppiodiletto: dapprima mi ha colpito la canzone che avete cantato nella dolce tonalità di Martin Häscher, e oraeccomi ad ammirare le vostre doti d’artista. Dove pensate di andare?»

«Lo scopo del mio viaggio» rispose Federico «sta davanti ai vostri occhi. Sto per ritornare nella miapatria, nella famosa città di Norimberga. Ma il sole è già definitivamente calato, pernotterò quaggiù nelvillaggio e domani prestissimo ripartirò per poter essere a mezzogiorno a Norimberga.»

«Bene» disse il giovanetto cordialmente «dobbiamo percorrere la stessa strada perché anch’io sonodiretto a Norimberga. Passerò con voi la notte al villaggio e domattina partiremo insieme. E orachiacchieriamo un po’.»

Page 82: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Il giovanetto, che si chiamava Rinaldo, si stese sull’erba vicino a Federico e continuò: «Se non sbagliovoi dovete essere un abile fonditore; lo noto dal vostro modo di modellare; oppure siete un orafo».

Federico guardò tristemente dinanzi a sé e umilmente incominciò: «Mio caro signore, voi mi consideratecerto molto più e meglio di quello che io non sia, vi dirò subito che ho imparato la professione del bottaioe che sto per recarmi a Norimberga presso un maestro assai famoso. Ora mi disprezzerete perché nonsono capace né di modellare né di fondere delle belle statue, ma solo battere i cerchioni per le botti e itini».

Rinaldo rise forte e disse: «Questa è bella; dovrei disprezzarvi perché siete un bottaio e io... io pure nonsono che un bottaio».

Federico lo guardò fisso negli occhi e non sapeva che cosa pensare perché gli abiti di Rinaldo non eranocerto quelli di un garzone bottaio che viaggia. La giacca di fine panno nero orlato di velluto, la graziosacravatta, il corto spadino, il berretto adorno di una lunga piuma ricadente, tutto faceva pensare a uncommerciante benestante, e tuttavia il suo aspetto e la figura stessa avevano un non so che di strano,qualcosa che faceva escludere l’ipotesi del commerciante. Rinaldo si accorse del dubbio di Federico,aprì la sua bisaccia, tirò fuori un grembiule di pelle da bottaio e il coltello e disse: «Guarda qui, amico,guarda qui! Pensi ancora che io non possa essere tuo collega? Lo so che il mio abbigliamento puòsembrare strano, ma io vengo da Strasburgo dove i bottai vanno in giro abbigliati come i nobili. Anch’iouna volta, come te, avevo voglia di fare qualcosa d’altro, ma ora tengo a quest’arte come a nessun’altrae vi ho riposto molte speranze. Non è la stessa cosa anche per te? Mi sembra però che la tua serenagiovinezza sia offuscata da una nube che non ti permette di guardarti attorno lietamente. La canzone chehai cantato poco fa era piena di nostalgia e di dolore, ma ogni tanto ne uscivano degli accenti comepotrebbero uscire dal mio stesso animo, mi sembra di sapere già quello che c’è dentro di te. Puoi dunqueconfidarti con me: non staremo insieme a Norimberga da buoni compagni?».

Rinaldo passò un braccio attorno a Federico guardandolo affettuosamente negli occhi. Allora questidisse: «Quanto più ti guardo, amico caro, tanto più mi sento attirato verso di te e chiaramente avverto nelmio cuore la meravigliosa voce che risuona come un’eco fedele al richiamo dello spirito amico. Io devodirti tutto e non perché io, povero uomo, debba confidarti importanti segreti, ma perché solo il cuoredell’amico fedele ha posto per il dolore dell’amico e io sin dal primo momento ti ho considerato un veroamico. Sono dunque un bottaio e posso vantarmi di conoscere il mio mestiere, ma fin dall’infanzia tutto ilmio animo era spinto verso un’arte più bella: volevo diventare un grande artista come maestro fonditore ecome orefice, come Peter Vischer o l’italiano Benvenuto Cellini. Con grande entusiasmo lavoravo conJohannes Holzschuer, il famoso cesellatore della mia città il quale senza essere realmente un fonditoresapeva indirizzarmi sulla giusta via. Non di rado in casa di Holzschuer veniva il signor Tobia Martino,mastro bottaio, con la sua bellissima figliola Rosa. Senza neppure rendermene conto, me ne innamorai.Lasciai la mia patria, andai ad Augusta per studiare scultura, ma allora nel mio cuore divamparonoardenti le fiamme dell’amore. Vedevo e sentivo solo Rosa; ogni fatica, ogni impegno che non miportassero a lei mi sembravano inutili. Scelsi perciò l’unica via possibile. Mastro Martino dà in sposa suafiglia soltanto a quel bottaio il quale riesca a compiere presso di lui l’opera migliore e che sia anchegradito a sua figlia. Così misi da parte la mia arte e mi istruii in quella del bottaio. Ora vado a Norimbergaper cercare lavoro presso mastro Martino. Ma ora che la mia città mi sta proprio di fronte e l’immaginedi Rosa come una fiamma viva è dinanzi ai miei occhi, vorrei liberarmi dallo sgomento, dall’ansia e dallapena. Ora vedo chiaramente la follia della mia impresa. Come faccio a sapere se Rosa mi ama o miamerà mai?».

Rinaldo aveva seguito la storia di Federico con sempre crescente attenzione. Quindi appoggiò il capo sulbraccio e mentre si portava le mani dinanzi agli occhi con voce sorda chiese: «Rosa non ti ha mai dato unsegno del suo amore?».

Page 83: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Ah» rispose Federico «quando lasciai Norimberga Rosa era ancora una bambina; essa mi vedevavolentieri, mi sorrideva con molta grazia quando nel giardino del signor Holzschuer non mi stancavo dicogliere fiori e di fare ghirlande, ma...»

«Allora non tutte le speranze sono perdute» esclamò improvvisamente Rinaldo in modo così aspro e conuna voce così spiacevole che Federico ne fu quasi impaurito. Quindi si drizzò, la spada tintinnò al suofianco e quando fu completamente in piedi le cupe ombre della notte scendendo sul suo viso pallido glideformarono i dolci lineamenti in modo tale che Federico spaventato esclamò: «Che cosa ti èaccaduto?». E facendo alcuni passi indietro urtò la bisaccia di Rinaldo. Si sentì allora risuonare la cordadi uno strumento e Rinaldo irato esclamò: «Ehi tu, stai rompendo il mio liuto!». Lo strumento era legatoalla bisaccia. Rinaldo lo sciolse e incominciò a suonare violentemente come se volesse far saltare lecorde. Poco dopo però la musica si fece dolce e melodiosa ed egli disse in tono mite: «Fratello caro,scendiamo giù al villaggio. Ho qui un buon rimedio per scacciare gli spiriti maligni che dovessero sbarrarcila strada con cattive intenzioni, soprattutto nei miei riguardi».

«Ehi, fratello caro» rispose Federico «che cosa mai ci potrebbero fare gli spiriti maligni? Ma, visto chesuoni così bene, continua pure.»

Le stelle d’oro erano già sorte nell’azzurro cupo del cielo. Il vento della notte carezzava con il suosussurro le praterie profumate. Più forte mormoravano i ruscelli e tutto attorno frusciavano gli scuri alberidella lontana foresta. Federico e Rinaldo si misero in cammino suonando e cantando e i dolci accentidelle loro nostalgiche canzoni risuonavano limpidi e chiari nell’aria come trasportati da ali luminose.Arrivati a una locanda, Rinaldo si tolse subito la bisaccia e il liuto e strinse affettuosamente al pettoFederico il quale sentì sulle sue guance le calde lacrime dell’amico.

Come Rinaldo e Federico furono accolti nella casa di mastro Martino

Quando la mattina seguente Federico si destò, si accorse che il suo nuovo amico, che si era coricatoaccanto a lui sul pagliericcio, non c’era più: anche il suo liuto e la sua bisaccia mancavano, per cui pensòche Rinaldo, per motivi ignoti, lo avesse lasciato e avesse preso un’altra strada. Ma Federico era appenauscito dalla casa che Rinaldo gli si fece incontro con la bisaccia sulle spalle, il liuto sotto il braccio evestito in modo completamente differente dal giorno prima. Si era tolto la penna dal berretto, si era levatola spada e invece della graziosa giacca guarnita di velluto si era messo un semplice giubbetto pocoappariscente.

«Eccomi qui» disse egli giocondamente all’amico meravigliato «eccomi, fratello, ora puoi considerarmiun compagno in tutto e per tutto e bravo collega... Però, per uno che è innamorato come te, hai dormitosaporitamente: guarda come il sole è già alto. Via, mettiamoci in cammino.»

Federico era silenzioso e tutto concentrato in se stesso; a stento rispondeva alle domande di Rinaldo epoco badava ai suoi scherzi. Rinaldo correva di qua e di là, emetteva grida di gioia e agitava il berrettoper aria. A mano a mano che si avvicinavano alla città anch’egli divenne più silenzioso. «Per l’ansia,l’angoscia, e per la dolce pena non posso più proseguire: riposiamoci un momento sotto questi alberi»disse Federico quando avevano quasi raggiunto la porta di Norimberga, e si buttò esausto sull’erba.Rinaldo sedette accanto a lui e dopo un po’ gli disse: «Amico mio, ieri sera devo esserti apparsoveramente strano; ma quando tu mi raccontasti del tuo amore ed eri così sconsolato, per la mia mentepassarono un mucchio di idee sciocche che mi turbarono e che avrebbero potuto rendermi pazzo se il tuobel canto e il mio liuto non avessero messo in fuga gli spiriti maligni. Stamane, quando il primo raggio disole mi svegliò, nella mia anima era di nuovo ritornata tutta la gioia di vivere. Corsi fuori e scorrazzandoqua e là fra i cespugli mi sono venute in mente tante belle cose e mi ricordai di una graziosa storia capitata

Page 84: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

proprio quando ero in Italia e te la voglio raccontare perché essa mostra in modo molto efficace che cosapuò la vera amicizia. Avvenne che un nobile principe, appassionato d’arte, avesse disposto un premioper un quadro di cui fu scelto il soggetto: magnifico, ma di difficile esecuzione. Due giovani pittori che,stretti da intima amicizia, lavoravano abitualmente insieme, decisero di concorrere al premio. Sicomunicarono vicendevolmente i loro progetti e parlarono a lungo sul modo di superare le difficoltà. Il piùvecchio dei due, molto esperto nel disegno e nella disposizione dei gruppi, ebbe ben presto ultimato ildisegno, mentre il più giovane già demoralizzato avrebbe rinunciato al lavoro se il primo non l’avesseincoraggiato continuamente dandogli buoni consigli. Ma quando incominciarono a dipingere, il piùgiovane, che era maestro nell’arte del colore, seppe dare più di un consiglio al maggiore che con ottimosuccesso seppe approfittarne sicché alla fine entrambi fecero un quadro così perfetto come mai avevanoeseguito. Appena compiuto il lavoro i due amici caddero nelle braccia l’uno dell’altro, ciascuno entusiastae felice del lavoro dell’altro, ciascuno convinto che il premio giustamente dovesse essere attribuitoall’amico. Avvenne che il più giovane ottenesse il premio e che questi allora tutto vergognoso dicesse:“Come ho potuto proprio io vincere il premio, quale è il mio merito di fronte all’amico, come avrei potutosenza il suo consiglio e senza la sua assistenza creare qualcosa di valore?”. Il più anziano allora disse: “Eforse tu non mi hai assistito con saggi consigli? Certo il mio quadro non è brutto, ma tu hai guadagnato ilpremio perché te lo sei meritato. Tendere verso la stessa meta sinceramente e coraggiosamente è degnodi due veri amici e l’alloro che ottiene il vincitore onora anche il vinto; io ora ti apprezzo ancor di più,perché hai lottato coraggiosamente e con la tua vittoria hai dato a me onore e gloria”. Non aveva forseragione il pittore, Federico? Lottare apertamente per lo stesso premio non dovrebbe forse unire semprepiù profondamente due amici, invece di dividerli? E negli animi nobili può mai trovare posto la piccolainvidia o il meschino odio?».

«Mai, mai» rispose Federico. «Siamo ormai diventati buoni amici e in breve tempo noi due faremo ilnostro capolavoro, la nostra bella botte tirata senza fuoco, ma il cielo mi guardi dal provare la minimainvidia, anche se la tua botte, caro fratello Rinaldo, dovesse riuscire meglio.»

«Bene» fece Rinaldo ridendo «ma basta ora con il tuo capolavoro che certo porterai a termine con gioiadi tutti i bravi bottai. E perché tu lo sappia, per quello che riguarda il calcolo della grandezza e delleproporzioni e il disegno della curvatura, avrai in me il tuo uomo. E anche per la scelta del legno potraifidarti di me. Riusciremo a scovare legno di quercia tagliata d’inverno senza buchi di tarli, senza striaturebianche o rosse, senza nodi, e potrai fidarti del mio occhio. Ti starò vicino in tutto e per tutto con l’operae con il consiglio. E non per questo il mio capolavoro sarà da meno.»

«Ma santo cielo» interruppe Federico «perché stiamo qui a chiacchierare su chi riuscirà a fare un lavoromigliore? Stiamo forse litigando? Il lavoro migliore per guadagnarci Rosa! Ma come ci viene in mente?Mi viene il capogiro!»

«Ehi, fratello» esclamò Rinaldo sempre ridendo «a Rosa io non avevo affatto pensato. Tu sei unsognatore; su, muoviti, e raggiungiamo la città.»

Federico saltò su e proseguì la strada con la mente distratta.

Arrivati all’albergo e dopo essersi lavati ed essersi tolti di dosso la polvere, Rinaldo disse a Federico:

«In verità, non so presso quale maestro cercare lavoro: qui non conosco nessuno e penso che potrestiportarmi con te da mastro Martino. Può darsi che mi accetti.»

«Mi togli un vero peso dal cuore» rispose Federico «perché se resti accanto a me, mi riuscirà più facilevincere l’ansia e il turbamento.» Così i due amici si mossero baldanzosi verso la casa del famoso bottaio.

Page 85: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Era proprio la domenica in cui mastro Martino aveva riunito a banchetto i maestri della corporazione.Così quando Rinaldo e Federico fecero il loro ingresso nella casa di Martino, sentirono subito un grantintinnio di bicchieri e il brusio confuso di una allegra compagnia.

«Ah» disse Federico sommessamente «siamo proprio arrivati in un momento inopportuno.»

«Penso che siamo invece arrivati a tempo giusto» rispose Rinaldo «perché dopo un buon pranzo mastroMartino sarà certamente più ben disposto a soddisfare i nostri desideri.»

Ed ecco apparire mastro Martino, al quale si erano fatti annunciare, vestito con gli abiti da festa e connaso e guance di un bel rosso acceso. Non appena si accorse di Federico esclamò ad alta voce:«Guarda qui Federico! Ragazzo mio, sei dunque ritornato? Bravo, e ti sei dedicato alla magnifica arte delbottaio? Quando si parla di te il signor Holzschuer fa sempre la faccia brutta e dice che con te si èperduto un grande artista, perché avresti potuto fare statuette e balaustre simili a quelle che ci sono in SanSebaldo o nella casa dei Fugger ad Augusta, ma tu hai fatto bene a scegliere quello che hai scelto. Che tusia il benvenuto!». E così dicendo prese Federico per le spalle e lo strinse cordialmente a sé come erasolito fare.

Federico all’accoglienza affettuosa di mastro Martino si sentì rivivere; ogni tristezza svanì e confranchezza e coraggio non solo espose al maestro i suoi desideri, ma lo pregò di accogliere ancheRinaldo.

«In realtà» disse mastro Martino «non avreste potuto arrivare in un momento più opportuno perché illavoro si accumula e mi mancano operai: siate perciò tutti e due i benvenuti! Deponete ora le vostrebisacce ed entrate; il pranzo è quasi finito, ma potete prendere posto a tavola e Rosa si occuperà di voi.»E detto ciò il signor Martino entrò con i due giovanotti.

Gli onorevoli maestri se ne stavano seduti a tavola con a capo il degno rettore della corporazioneJakobus Paumgartner e avevano i visi infuocati. Era arrivata proprio allora in tavola la frutta e il nobilevino brillava nei grandi calici. Si era arrivati al punto in cui ogni maestro parlava a voce alta di cosedifferenti e tutti credevano di capirsi e si rideva liberamente senza sapere quasi il perché. Ma comemastro Martino, tenendo i due giovanotti per mano, annunciò a voce alta che entrambi, provvisti di buonicertificati, erano stati assunti, allora si fece silenzio e ognuno incominciò a osservarli con compiacimento.Rinaldo si guardava attorno orgogliosamente, mentre Federico abbassò gli occhi girando il berretto fra lemani. Mastro Martino invitò i due giovani a prendere posto in fondo alla tavola; ma erano senz’altro iposti più fortunati perché appena Rosa comparve andò a sedersi tra loro servendoli premurosamente diraffinate vivande e di buon vino. Era un quadretto piacevolissimo: l’incantevole Rosa seduta in mezzo aidue bei giovani e circondata dai vecchi maestri; faceva pensare a una luminosa nuvoletta mattutinaapparsa nel cielo ancora scuro, oppure a dei bei fiori di primavera che fanno risplendere le loro corollesull’erba opaca. Federico dalla felicità e dal desiderio riusciva appena a respirare, e solo di nascostoguardava di tanto in tanto verso colei che gli colmava tutta l’anima: stava del resto con gli occhi fissi sulpiatto e non gli riusciva di mandar giù un solo boccone. Rinaldo invece non distoglieva gli occhilampeggianti dalla dolce fanciulla. E incominciò a narrare dei suoi viaggi in modo così interessante, comeRosa non aveva mai udito. Era come se le immagini del racconto prendessero vita davanti a lei mentreRinaldo parlava; era tutt’occhi e tutta orecchie e non seppe neppure come fu che Rinaldo, nella foga delnarrare, le afferrò la mano stringendola al petto.

«Ma Federico» disse improvvisamente Rinaldo «perché te ne stai rigido e silenzioso? Hai perso lafavella? Su, brindiamo alla salute della dolce fanciulla che ci ha accolto con tanta ospitalità.»

Federico con mano tremante afferrò il grosso calice che Rinaldo gli aveva riempito e dovette vuotarlo

Page 86: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

fino all’ultima goccia.

«Ora beviamo alla salute del nostro bravo maestro» esclamò Rinaldo, e riempì di nuovo i bicchieri percui Federico fu di nuovo costretto a vuotare il suo. Dentro di lui cominciarono allora a risvegliarsi glispiriti infuocati del vino, che gli agitarono il sangue stagnante, cosicché esso incominciò a martellargli neipolsi e nelle vene.

«Ah, ora mi sento meravigliosamente bene» mormorò Federico mentre un’ondata di rossore gli saliva alviso «mai sono stato così bene.» Rosa, che non poteva capire il vero significato delle sue parole, glisorrise con dolcezza indescrivibile. Allora Federico ormai libero da ogni timidezza disse: «Cara Rosa, viricordate ancora di me?».

«Ma caro Federico» rispose Rosa con gli occhi bassi «come avrei potuto dimenticarvi in così brevetempo? Mi ricordo... dal vecchio signor Holzschuer, allora ero ancora una bambina e voi nondisdegnavate di giocare con me e sapevate sempre raccontarmi qualcosa di carino. E quel piccolo edelizioso paniere di filo d’argento che mi regalaste per Natale lo conservo ancora come un caro ricordo.»

Negli occhi del giovane estasiato brillarono le lacrime ed egli voleva parlare, ma dal suo petto con unprofondo sospiro gli sgorgarono solo queste parole: «O Rosa, cara, cara Rosa».

«Ho sempre desiderato con tutto il cuore di rivedervi» continuò Rosa «ma non avrei mai immaginato chevi sareste dedicato all’arte del bottaio. Ah, quando io penso alle belle cose che facevate da mastroHolzschuer, devo dire che è veramente un peccato che voi non abbiate continuato in quell’arte.»

«Ah, Rosa» disse Federico «soltanto per amore vostro sono diventato infedele alla mia arte.»

Appena pronunciate queste parole, Federico per la vergogna e per l’ansia avrebbe voluto sprofondaresotto terra. La confessione sconsiderata gli era venuta alle labbra e Rosa, come se avesse intuito il suostato d’animo, volse il viso altrove mentre Federico cercava invano le parole.

Quand’ecco il signor Paumgartner batté con il coltello sul tavolo e annunciò ai convitati che il signorVollrad, illustre maestro cantore, avrebbe intonato una canzone. Questi si alzò, si schiarì la voce e cantòuna bella canzone sulla melodia di Hanns Vogelgesang: tutti si sentirono battere il cuore di gioia eFederico poté riprendersi dal suo turbamento. Dopo che il signor Vollrad ebbe cantato alcune bellecanzoni su altre tonalità, propose che se c’era qualcuno che si intendesse della magnifica arte dei maestricantori, volesse anch’egli intonare una canzone. Allora si alzò Rinaldo e disse che se glielo permettevanoavrebbe cantato accompagnandosi con il liuto una melodia italiana pur conservando lo stile tedesco. Esiccome nessuno ebbe nulla in contrario egli prese il suo strumento e dopo un breve, delizioso preludioincominciò a cantare:

Dov’è la fontanella

che sprizza vino buono?

Giù in fondo lo vedete

scorrere dorato,

da quella bella fonte

Page 87: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

gorgoglia il vino d’oro.

E chi l’ha fabbricata

sollecito e geniale?

L’allegra fontanella,

opra d’arte fina,

soltanto il bottaio

poteva costruirla.

Ardente di buon vino,

nel cuore puro amore,

così il bottaio vive

d’ogni cosa felice.

La canzone piacque immensamente a tutti, ma soprattutto a mastro Martino al quale gli occhi brillarono digioia e di estasi. Senza badare più a Vollrad che si dilungava un po’ troppo parlando della tonalità diHans Müller, mastro Martino si alzò dal suo posto e sollevando il bicchiere esclamò: «Vieni qua, bravobottaio e bravo cantore; vieni qua da me, devi vuotare il bicchiere con mastro Martino».

Rinaldo dovette assecondarlo e quando ritornò al suo posto disse all’orecchio del meditabondoFederico: «Tocca a te ora cantare; canta la canzone di ieri sera». «Sei impazzito?» rispose tuttoarrabbiato Federico. Allora Rinaldo a voce alta disse ai convitati: «Onorevoli signori e maestri, il miocaro fratello Federico è in grado di cantare una canzone molto più bella e ha una voce molto più dolcedella mia, ma oggi si sente la gola irritata per la polvere del viaggio, perciò un’altra volta vi canterà le suecanzoni nelle più belle tonalità».

Allora tutti si misero a lodare Federico come se avesse veramente cantato. Alcuni maestri pensaronopersino che la voce di Federico dovesse essere veramente più armoniosa di quella di Rinaldo, e il signorVollrad dopo che ebbe vuotato il bicchiere si mostrò convinto che Federico doveva sapere cantare lebelle melodie tedesche meglio di Rinaldo il quale forse si rifaceva troppo agli italiani. A questo puntomastro Martino buttò il capo all’indietro, diede qualche colpetto al suo rotondo ventre e disse: «Questisono i miei garzoni, miei, dico, del mastro bottaio Tobia Martino di Norimberga». E tutti i maestriassentirono col capo e dissero sorseggiando le ultime gocce dai bicchieri: «Certo, certo, sono i vostribravi garzoni, mastro Martino».

Alla fine tutti andarono a riposare. A Rinaldo e Federico mastro Martino assegnò una bella cameraciascuno in casa propria.

Come un terzo garzone arrivò da mastro Martino e quel che avvenne

Quando Rinaldo e Federico ebbero lavorato per alcune settimane nel laboratorio di mastro Martino,

Page 88: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

questi notò che per quello che riguardava misure con riga e compasso e calcoli non ce n’era uno uguale aRinaldo: altra cosa invece era se si doveva lavorare con la mazza e con l’accetta. Questo stancavaRinaldo e il lavoro si arenava per quanto egli vi si sforzasse. Federico invece piallava e martellava senzamai stancarsi. Ma quello che essi avevano in comune era il comportamento molto educato, il buonumoree una schietta allegria. Non risparmiavano mai, anche in pieno lavoro e soprattutto se era presente lagraziosa Rosa, le loro ugole, e cantavano con le loro belle voci che erano perfettamente intonate. E seFederico nel guardare Rosa cadeva nel tono triste, subito Rinaldo intonava una canzone scherzosa chediceva così: «La botte non è la cetra, la cetra non è la botte», così che spesso il vecchio signor Martinolasciava cadere la mazza che già aveva alzato pronta a colpire e per il gran ridere si teneva il ventre. I duegarzoni, specialmente Rinaldo, erano riusciti a entrare nelle grazie di mastro Martino e si poteva inoltrenotare che Rosa cercava ogni pretesto per fermarsi più spesso e più a lungo possibile nel laboratorio.

Un giorno mastro Martino entrò tutto pensieroso nel laboratorio all’aperto dove si era soliti lavorared’estate. Rinaldo e Federico stavano mettendo insieme una piccola botte. Mastro Martino con le bracciaincrociate si fermò dinanzi a loro e disse: «Miei cari ragazzi, non posso dirvi quanto sia contento di voi,ma ora mi trovo in grande imbarazzo. Mi scrivono dal Reno che questa nostra annata, per quantoriguarda il vino, sarà la migliore di quante se n’è avute finora. Un sapiente ha pronosticato che la cometache sta attraversando il cielo feconderà la terra con i suoi raggi miracolosi, così che questa farà scaturiredalle sue più profonde viscere quel calore che cuoce i metalli e lo incanalerà alle viti assetate, le qualirigogliosamente produrranno uva su uva e quel fuoco fluido che esse hanno assorbito si trasformerà insplendidi frutti. Questa costellazione riappare ora dopo circa trecento anni, e noi avremo vino in grandequantità. Inoltre il reverendissimo vescovo di Bamberg mi ha ordinato una botte molto capace. Ma noinon possiamo fare tutto questo: è necessario quindi che io mi cerchi un altro bravo garzone.Naturalmente non vorrei prendere il primo che passa per la strada, d’altra parte la necessità è impellente.Se voi conoscete qualche bravo garzone, non avete che da dirlo: lo prenderei subito e gli darei anche unabuona paga».

Aveva appena finito di parlare, quando si sentì un giovanotto gridare ad alta voce: «Ehi, è questo illaboratorio di mastro Martino?».

«Certo» rispose mastro Martino mentre si avvicinava al giovane «certo che è questo. Ma non ènecessario che facciate tanto baccano: non è il modo di comportarsi.»

«Ah, ah» disse ridendo il giovane «ma voi siete mastro Martino, con la vostra grossa pancia, con lavostra dignitosa pappagorgia, con gli occhi che ammiccano sempre, con quel naso rosso, proprio comemi è stato descritto. Salve, mastro Martino!»

«Ebbene, cosa volete da mastro Martino?» chiese questi di malumore.

«Sono garzone bottaio» rispose il giovanotto «e volevo chiedervi se c’è del lavoro per me.»

Mastro Martino fece un paio di passi indietro, meravigliandosi che proprio nel momento in cui avevapensato di prendersi un garzone se ne annunciasse uno; perciò misurò il giovanotto dalla testa ai piedi equesti a sua volta lo guardò arditamente con occhi sfavillanti. Notando l’ampio petto, la fortemuscolatura, i pugni vigorosi del giovanotto mastro Martino pensò: «Ho proprio bisogno di un tiposimile». E chiese di vedere i suoi attestati.

«Per il momento non li ho» rispose il giovanotto «ma me li procurerò nel più breve tempo possibile eintanto vi do la mia parola d’onore che lavorerò da garzone bravo e fedele, e ciò, penso, dovràbastarvi.»

Page 89: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

E senza aspettare la risposta di mastro Martino il giovanotto entrò nel laboratorio, buttò in un angoloberretto e bisaccia, si tolse la giacca, si mise il grembiule e disse: «Mastro Martino, ditemi subito chelavoro devo fare». Mastro Martino, un poco imbarazzato dall’ardito contegno del giovanotto, rifletté unmomento poi disse: «Bene, giovanotto, fatemi subito vedere se siete un bravo bottaio; prendetel’incornatoio e ultimate la capruggine di quella botte là».

Il giovanotto fece il lavoro che gli era stato ordinato con eccezionale forza, sveltezza e abilità, quindiridendo disse: «Mastro Martino, dubitate ancora che io sia un bravo bottaio?». Poi, mentre camminavasu e giù per il laboratorio esaminando gli arnesi e le riserve di legno, continuò: «Avete dei begli arnesi; mache cos’è quella piccola mazza laggiù? Serve forse ai vostri bambini per giocare? E quella piccola ascia,è per gli apprendisti?».

E prese la grossa e pesante mazza che Rinaldo quasi non riusciva neppure a sollevare e che Federicosolo a fatica maneggiava, e la poderosa ascia con la quale mastro Martino lavorava, e le sollevò in aria.Poi fece rotolare da una parte un paio di grosse botti come se fossero palloncini e afferrò una delle grandidoghe non ancora rifinite.

«Ehi, maestro» esclamò «questo è un buon legno di quercia e deve spezzarsi come vetro!» E detto ciòbatté la doga contro la mola ed essa si spezzò in due con grande fracasso.

«Ohi» disse mastro Martino «non vorrete alle volte scaraventare fuori una di queste grandi botti, oppuredistruggermi tutto il laboratorio? Se volete, invece della mazza potete adoperare una trave maestra eperché abbiate un’ascia proprio come la desiderate andrò a prendervi al palazzo comunale la spada diRolando che è lunga tre braccia.»

«Proprio quella vorrei» disse il giovanotto mentre gli occhi mandavano scintille. Ma subito li abbassò edisse con voce più smorzata: «Io pensavo, caro maestro, che voi per il vostro faticoso lavoro avestebisogno di un robusto garzone e perciò ho fatto un po’ troppo lo spaccone mettendo in mostra tutta lamia forza, ma prendetemi con voi e vedrete che farò quello che esigerete da me».

Mastro Martino guardò il giovane in viso e dovette riconoscere che mai gli era capitato di vedere deilineamenti così nobili. Gli pareva che quel giovane gli richiamasse vagamente il ricordo di una persona chelui aveva amato e tenuto in considerazione molto tempo addietro, ma non riusciva a farla riaffiorarechiaramente: in ogni caso esaudì il desiderio del giovanotto, permettendogli di consegnare in seguito gliattestati di lavoro.

Rinaldo e Federico avevano finito intanto di impostare la botte e stavano mettendo i primi cerchioni.Poiché, durante il lavoro, erano soliti cantare, anche questa volta non mancarono di farlo, intonando unacanzone nella «tonalità del cardellino» di Adam Puschmann. Allora Corrado (così si chiamava il nuovogarzone) gridò dal banco dove mastro Martino lo aveva messo a lavorare: «Ma cos’è questo cinguettio?Mi sembra che in questo laboratorio ci siano dei topi che fischiano; se volete cantare, cantate in modo darallegrare i cuori e da far venir voglia di lavorare. A volte lo faccio anch’io».

E incominciò una pazza canzone da caccia che imitava l’abbaiare delle mute dei cani, le grida deicacciatori con una voce così penetrante e così squillante da far risuonare le grandi botti e con esse tuttoquanto il laboratorio. Mastro Martino si tappò le orecchie con le mani e i ragazzi di Marta (la vedova diValentino), che stavano giocando nel laboratorio, si nascosero impauriti sotto il legname. In quel mentreentrò Rosa allarmata da tutto quello schiamazzo che certo non si poteva chiamare un canto. Non appenaCorrado vide Rosa, tacque di colpo, si alzò e le si avvicinò salutandola con nobile grazia. Quindi convoce dolce e una vivida fiamma negli occhi castani disse: «Mia bella signorina, quale dolce splendore dirose è entrato con voi in questo brutto laboratorio! E se io vi avessi visto prima, non avrei certo offeso le

Page 90: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

vostre delicate orecchie con la mia pazza canzone di caccia».

Poi rivolgendosi a mastro Martino disse: «Smettetela anche voi con questo orribile strepito. Fin quandoquesta bella signorina ci degnerà della sua presenza devono tacere mazze e tutti i cunei, vogliamo udiresolo la sua dolce voce e con la testa china ascoltare quello che essa comanda a noi suoi umilissimi servi».

Rinaldo e Federico si guardarono meravigliati, e mastro Martino disse ridendo: «Corrado, voi siete certoil più strambo tipo che si sia mai messo un grembiule di pelle; prima venite qui e come un rozzo gigante mifracassate tutto, poi vi mettete a gridare in modo tale da farci saltare i timpani, e infine a conclusione ditutte queste vostre pazzie prendete la mia figliola per una nobildonna e vi comportate come un cavaliereinnamorato».

«Conosco benissimo, caro mastro Martino, la vostra leggiadra figliola» rispose Corrado tutto calmo «evi dico che essa è la più stupenda ragazza della terra e voglia il cielo che essa degni del suo amore il piùnobile dei giovani e gli conceda di esserle paladino.»

Mastro Martino si teneva i fianchi; gli sembrava di soffocare, finché esplose in una risata tossendo esputando. Appena gli fu possibile parlare borbottò: «Bene, molto bene, mio carissimo giovanotto, seipadrone di considerare mia figlia come una nobildonna, ma malgrado tutto questo fa’ il bravo e torna altuo banco a lavorare».

Corrado rimase lì immobile con gli occhi bassi, si passò una mano sulla fronte e disse sommessamente:«È vero». E fece quello che Martino gli aveva detto. Rosa, come era solita fare, si sedette su una piccolabotte che Rinaldo aveva accuratamente spolverato e che Federico le aveva spinto vicino. Poi entrambi,dietro preghiera di mastro Martino, intonarono di nuovo la bella canzone che quel matto di Corradoaveva interrotto, mentre quest’ultimo silenzioso e pensieroso continuava a lavorare.

Quando ebbero finito la canzone mastro Martino disse: «Il cielo vi ha proprio fatto un bel dono, carigarzoni, voi non sapete quanto io apprezzi la nobile arte del canto. Anch’io una volta avrei volutodiventare un maestro cantore, ma la cosa non mi riuscì mai. Nonostante tutti i miei sforzi non raccoglievoche delusioni e beffe. Se improvvisavo, a volte facevo false aggiunte, a volte mi mancavano delle sillabe osbagliavo le strofe, oppure stonavo maledettamente. Ma voi riuscite tanto bene che si potrà dire che ciòche non poté il maestro, potranno invece i suoi garzoni. La prossima domenica, dopo la predica dimezzogiorno, all’ora solita, ci sarà nella chiesa di Santa Caterina una gara di canto e voi due, Rinaldo eFederico, con la vostra bella arte potrete ottenere lodi e onori perché prima della gara principale di cantoce ne sarà una di canto libero, a cui voi, come ogni forestiero che sia capace di cantare, potrete prendereparte. E voi, caro Corrado, potreste provare anche voi intonando la canzone di caccia».

«Non mi deridete» rispose Corrado senza guardarlo; «non mi deridete, caro maestro, ognuno al suoposto; mentre voi vi divertirete alla gara io andrò a spassarmela alla fiera.»

E le cose andarono come mastro Martino aveva supposto. Rinaldo cantò alcune canzoni in diversetonalità, gli altri maestri cantori applaudirono sebbene dovessero riconoscere che pur non avendo ilcantore dei difetti, aveva tuttavia qualcosa di straniero che non sapevano ben definire. Subito dopo toccòa Federico: questi si tolse il berretto e dopo alcuni secondi guardò attorno a sé e, lanciato verso la follauno sguardo che come una freccia ardente colpì al petto la leggiadra Rosa, che diede un gran sospiro,incominciò a cantare una canzone così bella nella delicata tonalità di Heinrich Frauenlob, che tutti imaestri dovettero unanimemente riconoscersi incapaci di superarlo.

Quando sopraggiunse la sera e la gara di canto ebbe termine, mastro Martino per finire bene la giornatasi recò con Rosa alla fiera. I due garzoni andarono con loro. Rosa camminava tra loro due. Federico,

Page 91: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

raggiante per le lodi dei maestri, in uno stato quasi di ebbrezza, tentava qualche ardita parola che Rosa,gli occhi bassi e tutta timida, sembrava non volesse afferrare. Essa si volgeva più volentieri verso Rinaldoche, secondo la sua abitudine, chiacchierava di cose allegre e non si vergognava di prendere a braccettoRosa. Già da lontano poterono udire l’allegro frastuono della fiera. Arrivati sul posto, dove i giovanisoprattutto si divertivano con giochi cavallereschi, sentirono che la gente gridava confusamente.

«Ha vinto, ha vinto ancora quel giovane forte! Contro di lui nessuno riesce a farcela!» Mastro Martinofattosi largo tra la folla si accorse che tutte le lodi e tutto quel giubilo popolare erano diretti al suo garzoneCorrado. Egli aveva superato tutti nella corsa, nel pugilato, nel lancio del giavellotto. Quando Martinosopraggiunse, Corrado stava appunto chiedendo se c’era qualcuno che volesse battersi con lui in unagara amichevole con spade spuntate. Molti giovani patrizi che erano abituati a tale esercizio cedetteroall’invito. Ma la cosa non durò molto, perché Corrado senza grande fatica superò tutti gli avversari,cosicché le lodi e gli apprezzamenti per la sua bravura e per la sua forza non finivano più. Il sole era giàcalato, il tramonto andava impallidendo e scendevano ormai le tenebre. Mastro Martino, Rosa e i duegarzoni si erano seduti presso una fontana. Rinaldo raccontava molte cose belle della lontana ItaliaFederico silenzioso e beato guardava negli occhi l’incantevole fanciulla. Ecco allora avvicinarsi Corradocon passi lievi ed esitanti, quasi incerto se dovesse sedersi vicino agli altri. Mastro Martino lo chiamò:«Corrado, venite qua, stasera avete combattuto coraggiosamente alla fiera e potete ben sedere tra i mieigarzoni, anch’essi ne sono felici. Non vergognatevi, amico, sedetevi pure con noi, ve lo permetto».

Corrado lanciò uno sguardo penetrante al maestro che gli aveva fatto l’invito benevolo e disse con vocecupa: «Di voi non ho paura e non vi ho del resto chiesto il permesso di sedermi qui, né ci verrò. Hobuttato nella polvere tutti i miei avversari in una gara cavalleresca e ora vorrei chiedere a questa bellasignorina, come premio delle mie vittorie, di darmi quel bel mazzolino che porta sul petto».

Detto questo Corrado si inginocchiò davanti a Rosa, la guardò direttamente in viso con i suoi limpidiocchi bruni e la pregò: «Dolce Rosa, come premio della mia vittoria datemi quel bel mazzolino: nonpotete rifiutarmelo».

Rosa staccò subito il mazzo e lo diede a Corrado mentre ridendo diceva: «So bene che a un eroicocavaliere quale voi siete, si addice un simile dono da parte di una dama, perciò prendete pure i miei fioriormai appassiti».

Corrado baciò il mazzo che gli era stato offerto e lo mise nel suo berretto, e mastro Martino disse,alzandosi: «Ma guarda un po’ che buffoneria! Beh, ora andiamo a casa che è già notte».

Il signor Martino camminava avanti a tutti, Corrado con molta grazia prese il braccio di Rosa, mentreRinaldo e Federico li seguivano di malumore. La gente che incontravano si fermava, li guardava e diceva:«Vedete, vedete il ricco bottaio Tobia Martino con la sua bella figliolina e i suoi bravi garzoni. Quella èveramente gente per bene!».

Come la signora Marta parlò a Rosa dei tre garzoni. Litigio di Corrado con mastro Martino

Le giovani fanciulle sono solite al mattino rivivere con il cuore e con la mente tutte le gioie del giorno difesta, e questo godimento rivissuto sembra loro quasi più bello della festa stessa. Così la leggiadra Rosase ne stava il mattino seguente tutta sola nella sua camera, e, con le mani intrecciate sul grembo, latestolina inclinata in attitudine pensosa lasciava che il fuso e il cucito riposassero. E ora riudiva le canzonidi Rinaldo e di Federico, ora vedeva l’abile Corrado che vinceva i suoi avversari e veniva a prendere dalei il premio della vittoria, ora mormorava tra sé qualche verso di una canzoncina, e poi sussurrava: «Èproprio il mio mazzo che volete?», mentre le sue guance si accendevano di un vivo rossore e dalle cigliaabbassate trapelava lo scintillio degli occhi e grandi sospiri le uscivano dal profondo del cuore. Ed ecco

Page 92: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

entrare Marta. Rosa fu felice di poterle narrare in modo particolareggiato tutto ciò che era avvenuto nellachiesa di Santa Caterina e alla fiera. Come Rosa ebbe finito Marta disse ridendo: «Ora, cara Rosa, voidovreste scegliere tra questi tre giovani pretendenti».

«In nome di Dio» disse Rosa spaventata e con il rossore che le si diffondeva sino agli occhi «in nome diDio, signora Marta, che cosa intendete dire?... io... tre pretendenti?»

«Non fingete di sapere nulla» continuò Marta «bisognerebbe non avere occhi, essere completamenteciechi per non capire che i nostri tre garzoni Rinaldo, Federico e Corrado sono pazzamente innamorati divoi!»

«Ma che cosa andate a pensare, Marta» sussurrò Rosa portandosi una mano davanti agli occhi.

«Ehi» continuò Marta sedendosi di fronte a Rosa e circondandola con un braccio «ehi, bella bambinavergognosa, via le mani dagli occhi, guardami in viso e prova poi a negare che hai già notato da tempoche i garzoni ti hanno nel cuore e nella mente. Negalo! Vedi che non puoi farlo? E sarebbe veramentestrano se gli occhi di una fanciulla non dovessero accorgersi di ciò. Non hai notato che appena entri nellaboratorio tutti gli occhi si staccano dal lavoro per volare verso di te e che tutto si anima di nuovovigore? E come Rinaldo e Federico intonano le loro canzoni più belle e perfino il selvatico Corrado si fapiù mite e più gentile, come ognuno si preoccupi di avvicinarsi a te e quale fuoco infine si accenda sul visodi colui che hai degnato di un dolce sguardo e di una benevola parola? Ehi, figliolina mia, non è forsebello che tanti giovani ammodo ti facciano la corte? Se poi tu abbia già scelto uno o l’altro dei tre, nonpotrei dirlo perché ti comporti molto amichevolmente con tutti per quanto io... beh, non parliamo diquesto. Se tu venissi da me e mi dicessi: “Signora Marta, consigliatemi voi a quale di questi giovani che sioccupano di me devo dare il mio cuore, la mia mano” allora io ti risponderei subito: “Se il tuo cuore nonti dice chiaramente e subito: ‘Ecco, è quello lì’, allora lasciali perdere tutti e tre. Del resto a me piaceRinaldo, ma mi piace anche Federico e anche Corrado e nello stesso tempo ho qualcosa da dire controtutti e tre”. Infatti, cara Rosa, quando vedo i tre garzoni lavorare così di lena, penso sempre al mio caroValentino e devo dire che egli, oltre a lavorare meglio, aveva qualcosa che quelli non hanno: si notava chenel lavoro ci metteva tutta l’anima, mentre mi sembra che i tre garzoni, quando lavorano, abbianotutt’altra cosa per il capo e che per loro il lavoro sia solo un peso che si sono volontariamente imposto eche ora portano con animo deciso. Il più simpatico per me è Federico: è veramente un’anima cara ebuona, mi sembra che appartenga di più al nostro mondo; comprendo tutto quello che egli dice, maquello che soprattutto mi piace in quel caro giovane è che egli vi ama in silenzio, con la timidezza di unbravo bambino e non osa quasi guardarvi e appena dite una parola diventa tutto rosso.»

Quando Marta disse queste parole una lacrima apparve negli occhi di Rosa. Si alzò e volgendosi versola finestra disse: «Anch’io voglio bene a Federico, ma per favore non disprezzatemi Rinaldo».

«E chi dice questo?» rispose Marta. «Certamente Rinaldo è il più bello dei tre. Che occhi! Quando titrapassa con i suoi sguardi ardenti a malapena riesci a resistere. Ma in tutto il suo modo di fare c’èqualcosa di strano che mi mette paura e mi allontana. Mi pare che mastro Martino, quando Rinaldolavora nel suo laboratorio, e gli deve far fare qualcosa, debba trovarsi nello stesso stato d’animo in cui mitroverei io se qualcuno mettesse nella mia cucina un arnese tutto splendente d’oro e di pietre preziose eio dovessi usarlo quotidianamente, mentre avrei appena il coraggio di toccarlo. Egli racconta, parla parlae tutto suona come una dolce musica e ci si sente trascinati, ma se penso un po’ sul serio a quel che dicenon ci capisco neppure una parola. E quando qualche volta scherza alla nostra maniera, e allora pensoche sia proprio come noi, improvvisamente mi guarda in un modo così dignitoso che quasi ne ho paura. Enon posso dire neppure che il suo comportamento sia quello di un cavaliere o di un patrizio, no, èqualcosa d’altro. In una parola, ho quasi l’impressione (Dio me ne guardi) che egli debba averecommercio con spiriti sovrumani, come se appartenesse cioè a un altro mondo. Corrado invece è un

Page 93: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

ragazzo selvaggio e sfrenato, ma anche lui ha qualcosa di terribilmente signorile, il che non si adatta certoal suo grembiule da bottaio. Inoltre si comporta come se lui solo dovesse comandare e gli altri dovesseroobbedire. Nel breve tempo da che egli è qui è riuscito con la sua voce squillante a sopraffare mastroMartino e a fargli fare quello che lui vuole. Ma è un ragazzo così buono e fondamentalmente onesto chenon ci si può arrabbiare con lui. Anzi, devo dire che, malgrado la sua selvatichezza, lo preferisco quasi aRinaldo, perché anche se parla a voce troppo alta lo si capisce bene. Scommetto che una volta è stato unuomo d’armi. Per questo sa maneggiare così bene la spada, e possiede quell’aria cavalleresca che certonon gli sta male. Via, cara Rosa, ditemi ora apertamente quale dei tre preferite.»

«Non fatemi delle domande così insidiose, cara Marta» rispose Rosa. «È certo in ogni caso che il miogiudizio su Rinaldo si discosta dal vostro. Egli è senz’altro diverso dagli altri e quando mi parla mi sembrache all’improvviso mi si dischiuda dinanzi all’animo un bel giardino pieno di magnifici fiori, di frutti egemme come non è possibile trovare sulla terra. E vi guardo dentro volentieri! Da quando Rinaldo è qui,molte cose mi appaiono differenti e quello che prima si agitava nel mio animo in modo confuso e oscuro,ora è diventato chiaro e nitido e posso vederlo distintamente.»

Marta si alzò e nell’andarsene minacciò con il dito Rosa e disse: «Ehi, ehi, Rosa, allora Rinaldo sarà ilprescelto, questo non me lo aspettavo».

«Vi prego, Marta» rispose Rosa mentre l’accompagnava alla porta «vi prego, non pensate a nulla, malasciamo tutto all’avvenire: quello che esso porterà sarà il volere del cielo al quale ognuno deve adattarsida buon credente e con umiltà.»

Nel frattempo, nel laboratorio di mastro Martino, il lavoro ferveva. Per poter soddisfare tutte leordinazioni, il bottaio aveva dovuto assumere altri manovali e apprendisti e si faceva un gran battere emartellare che si sentiva anche a grande distanza. Rinaldo aveva finito di misurare la grande botte che erastata costruita per il vescovo di Bamberg, e con Federico e Corrado era riuscito già a impostarla cosìbene, che mastro Martino sprizzava gioia da tutti i pori e continuava a dire: «Ma questo è veramente unbel lavoro, e sarà la botte più bella di quante siano state mai fatte, eccettuato il mia capolavoro».

I tre garzoni stavano adattando i cerchioni alle doghe così che tutto rintronava per il frastuono dellemazze. Il vecchio Valentino continuava a raschiare con il coltello ricurvo e Marta con i due bambinipiccoli in grembo se ne stava seduta dietro Corrado mentre gli altri lavoranti, battendo i cerchi, correvanoqua e là gridando e vociando. Regnava dunque allegro chiasso nel laboratorio sicché quasi nessuno siaccorse che il vecchio signor Johannes Holzschuer era entrato. Mastro Martino si mosse verso di lui e glichiese cortesemente che cosa desiderasse.

«Desidererei» rispose Holzschuer «rivedere il mio caro Federico che lavora laggiù con tanto impegno.Inoltre, mio caro mastro Martino, ho bisogno per la mia cantina di una buona botte e vi pregherei dicostruirmela. Ecco, quella botte là, magari, che stanno montando ora! Ho bisogno proprio di una così,potreste darmela? Non avete che da dirmi il prezzo.»

Rinaldo, che dopo una breve sosta stava ritornando al proprio lavoro, sentì le parole di Holzschuer evolgendo il capo verso di lui disse: «Caro signor Holzschuer, fatevi passare la voglia di questa nostrabotticella, perché essa è per il reverendissimo vescovo di Bamberg».

Mastro Martino con le braccia dietro la schiena, il piede sinistro sporto in avanti, il capo incassato nellespalle, mentre occhieggiava la sua botte, disse con tono superbo: «Mio caro maestro, avreste dovutonotare dal legno scelto, dalla bellezza del lavoro, che un simile gioiello è destinato a una cantinaprincipesca. Il mio garzone Rinaldo ha parlato bene, fatevi passare la voglia di questa botte, e quando lavendemmia sarà finita vi farò una bella botticella adatta alla vostra cantina».

Page 94: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Il vecchio Holzschuer, irritato dalla superbia di mastro Martino, rispose che il suo oro aveva lo stessovalore di quello del vescovo di Bamberg e che sperava di trovare anche altrove quel che voleva.

Mastro Martino, invaso dall’ira, a fatica riuscì a contenersi; egli non voleva offendere il vecchioHolzschuer tanto stimato in municipio e da tutti i cittadini. E siccome in quel momento Corrado stavabattendo la mazza con una tale forza da far tremare e rintronare tutto, allora mastro Martino scaricò su dilui la sua collera gridandogli: «Corrado, babbeo che non sei altro, che cosa batti così come un pazzo,vuoi forse rompermi la botte?».

«Oh, oh» disse Corrado guardandolo con disprezzo «e perché, ridicolo maestrucolo, non dovrei farlo?»E così dicendo batté un colpo tale sulla botte che il cerchione più robusto saltò via e rovesciò giù dallastretta asse dell’impalcatura Rinaldo; a giudicare poi dal rumore doveva anche essere saltata una doga. Inpreda alla collera mastro Martino balzò su, strappò di mano al vecchio Valentino un’asse che stavaraschiando e gridando: «Cane maledetto» assestò a Corrado un colpo sulla schiena.

Questi si voltò rapido, stette un attimo immobile come fuori di sé, poi digrignando i denti e con gli occhifiammeggianti di un’ira selvaggia urlò: «Battere me!». Con un salto fu giù dall’impalcatura, afferrò rapidoda terra un’ascia e menò un colpo così forte a mastro Martino che gli avrebbe certo portato via la testase Federico non avesse spinto a lato il padrone, cosicché l’ascia gli sfiorò solo il braccio, da cui peròsubito zampillò il sangue. Martino, grasso e lento com’era, perse l’equilibrio e cadendo sopra il banconedove lavorava un apprendista rotolò poi a terra. Tutti si scagliarono sull’infuriato Corrado che agitava peraria l’ascia insanguinata e con voce paurosa urlava: «All’inferno deve andare, all’inferno!».

E con una forza da gigante egli riusciva a tenere tutti lontano da sé e stava per assestare un secondocolpo che senza dubbio avrebbe fatto fuori il povero maestro che si lamentava e si dimenava per terra,quando apparve sulla porta, pallida come la morte, Rosa. Appena Corrado la vide rimase rigido conl’ascia sospesa in aria come pietrificato: poi gettò via l’ascia, incrociò le braccia sul petto e gridò con unavoce che penetrava fin nell’anima: «O gran Dio del cielo, che cosa ho fatto!». E scappò fuori dallaboratorio senza che nessuno si preoccupasse di inseguirlo.

Il povero mastro Martino fu rimesso in piedi con molta fatica e subito si vide che l’ascia lo aveva colpitosoltanto di striscio e che la ferita non era certo grave. Sollevarono anche il vecchio signor Holzschuer,che Martino aveva trascinato con sé nella caduta, e si dovettero calmare i bambini di Marta checontinuavano a gridare e a piangere per quello che era successo al buon Martino. Questi se ne stava lìtutto intontito e diceva che se quel diavolo di un garzone non gli avesse rovinato la bella botte, della feritanon gliene sarebbe importato molto.

Furono portate delle barelle per i due vecchi signori giacché anche il vecchio Holzschuer, nella caduta, siera fatto male. Continuava a inveire contro quel mestiere che aveva a propria disposizione simili micidialistrumenti, e scongiurava Federico di tornare a dedicarsi all’arte di fondere statue e metalli. Quando già letenebre erano scese, Federico e Rinaldo, che era stato colpito piuttosto duramente dal cerchione e sisentiva tutte le membra come paralizzate, si avviarono tristi verso la città. Improvvisamente sentironodietro una siepe dei sospiri e dei gemiti lievi. Mentre si fermavano, una lunga figura si alzò da terra; inessa subito riconobbero Corrado e impauriti balzarono indietro.

«Ah, miei cari compagni» disse Corrado con voce lamentosa «non spaventatevi così di me. Voi miprendete per un diabolico assassino, ma io non lo sono, non lo sono. Non ho potuto evitarlo, dovevoammazzarlo, quel grasso maestro! E ora dovrei venire con voi e fare ciò che sarebbe doveroso; ma no,no, ora tutto è finito e non mi rivedrete più. Salutate la deliziosa Rosa che amo perdutamente, ditele chemi porterò sul cuore per tutta la vita i suoi fiori e che me li metterò quando... ma forse in futuro sentirà

Page 95: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

parlare di me. Addio, addio, miei cari amici.» E scomparve attraverso i campi.

Rinaldo disse: «C’è qualcosa di strano in questo giovane; non dobbiamo misurare e soppesare la suaazione secondo la misura comune. Forse un giorno sapremo il segreto che gli pesa sul cuore».

Rinaldo lascia la casa di mastro Martino

Ora nel laboratorio di mastro Martino regnava una tristezza tanto grande quanto una volta era statal’allegria. Rinaldo, inabile al lavoro, rimase chiuso nella sua stanza. Martino, con il braccio ferito ancorafasciato, gridava e inveiva continuamente contro quel rozzo e cattivo garzone. Rosa e anche Marta con isuoi bambini evitavano il luogo dell’incidente e così il lavoro di Federico, che doveva portare a termineda solo la grossa botte, echeggiava vuoto e cupo come quando d’inverno in una foresta solitaria sispacca la legna.

Una profonda tristezza riempiva l’animo di Federico, perché ora egli credeva di vedere chiaramente ciòche da lungo tempo temeva. Non c’era più dubbio che Rosa amasse Rinaldo. Non solo essa gli dedicavatutta la sua amicizia e tenere parole, ma era ormai evidente che, ora che Rinaldo non andava più allaboratorio, altrettanto faceva Rosa e preferiva rimanere in casa per meglio prendersi cura dell’amato.

Una domenica, quando tutti se n’erano andati allegramente a spasso, mastro Martino, quasi guarito dallaferita, lo invitò con Rosa alla fiera; ma egli declinando l’invito, quasi distrutto dalla pena, si avviò tuttosolo verso quel villaggio, quella collina dove si era incontrato per la prima volta con Rinaldo. E là si gettònell’erba alta, piena di fiori e pensò come la bella stella della speranza, che lo aveva illuminato lungo tuttoil suo viaggio verso la patria, ora che era prossimo alla meta, fosse sparita nella notte profonda e cometutto questo suo affaccendarsi fosse simile alla sconsolata fatica del sognatore che tende con nostalgia lebraccia verso immagini vacue. Dai suoi occhi caddero allora lacrime sui fiori che reclinarono le lorocorolle come se anch’essi si dolessero della pena amara del giovane. E i profondi sospiri che glisgorgavano dal cuore oppresso si tramutarono, senza quasi che lui se ne avvedesse, in parole e inmusica. E cantò la seguente canzone:

Dove sei svanita

stella della mia speranza?

lungi da me ad altri forse

hai donato i tuoi dolci raggi.

Risvegliati, frusciante vento della notte,

colpisci il petto,

ridesta desideri di morte,

ogni pena mortale,

ché il cuore intriso di sanguinanti lacrime

Page 96: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

si spezzi in sconsolati ardori.

O cupi alberi, perché bisbigliate

intimi e soavi?

Perché voi splendori celesti

guardate quaggiù così invitanti?

Mostratemi la tomba,

mio unico porto di speranza,

là dove in pace riposerò.

Come accade che anche la tristezza più profonda, appena si manifesta attraverso le lacrime e le parole, sicambia subito in una dolce mestizia e nell’anima si accende persino un lieve raggio di speranza, cosìanche Federico, quando ebbe finito di cantare, si sentì rinfrancato e sollevato. Il vento della sera, gli scurialberi che egli aveva invocato nella sua canzone mormoravano e bisbigliavano con la loro voceconsolante, e come dolci sogni di una lontana beatitudine spuntavano nell’oscurità del cielo luci d’oro.Federico si alzò e discese la collina incamminandosi verso il villaggio. Gli sembrava che accanto a lui,come una volta, camminasse Rinaldo e tutte le parole di lui gli ritornavano alla mente. Quando poi pensòal racconto di Rinaldo sulla gara dei due amici pittori, gli caddero le bende dagli occhi. Era certo cheRinaldo doveva aver già visto e amato Rosa in precedenza. Solo questo amore lo spingeva aNorimberga nella casa di mastro Martino e con la sfida dei due pittori null’altro intendeva se non cheRinaldo e Federico dovevano battersi per la bella Rosa.

Federico riudiva ora le parole di Rinaldo: apertamente e senza imbroglio bisognava battersi per ilmedesimo premio e questo deve unire profondamente i veri amici invece di dividerli, perché negli animinobili mai può regnare una meschina invidia o un volgare odio. «Sì» esclamò a voce alta Federico «sì,amico mio, a te voglio rivolgermi con tutta sincerità; tu stesso devi dirmi se per me ogni speranza èperduta.»

Era già mattino avanzato quando Federico bussò alla camera di Rinaldo. Nessuno rispose. Federicospinse la porta che non era come al solito chiusa, ed entrò. Ma rimase impietrito all’istante. Rosa in tuttolo splendore della sua grazia, in tutta la sua seduzione, gli stava dinanzi in un quadro a grandezza naturale,appoggiato sul cavalletto. La spatola buttata sul tavolo, i colori ancora umidi sulla tavolozza, indicavanoche il lavoro era stato appena interrotto.

«O Rosa, Rosa! o santo cielo!» sospirò Federico. Ma Rinaldo, che era entrato dietro di lui, gli batté unamano sulle spalle e sorridendo disse: «Federico, che cosa te ne pare del mio quadro?».

Federico lo strinse al petto ed esclamò: «O uomo meraviglioso, o grande artista, tutto ora mi è chiaro,tu, tu hai vinto il premio per cui anch’io, meschino, ho voluto combattere. Che cosa sono io nei tuoiconfronti? Che cos’è mai la mia arte vicino alla tua? Ah, ma anch’io avevo qualcosa in mente! Nonderidermi, caro Rinaldo, vedi, io pensavo come doveva essere bello plasmare la deliziosa figura di Rosae fonderla nell’argento più fine, ma questa era un’idea puerile. Dunque, tu, tu... come essa ti sorride pienadi grazia in tutto lo splendore della sua bellezza! Ah, Rinaldo, Rinaldo, uomo veramente felice! Oggi sirealizza quello che dicesti un giorno: dovevamo lottare insieme e tu hai vinto, tu dovevi vincere, ma io

Page 97: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

rimango legato a te con tutto il mio affetto. Ora però devo abbandonare la casa, la patria, perché nonpotrei sopportare di vedere ancora una volta Rosa. Perdonami, mio carissimo amico. Oggi stesso, anzi inquesto momento io me ne vado per il vasto mondo dove mi spinge il mio tormento d’amore, la miamiseria assoluta!».

Federico voleva uscire dalla stanza, ma Rinaldo lo trattenne decisamente e gli parlò con dolcezza: «Tunon devi andartene da qui, perché forse le cose possono essere differenti da come tu credi. Ora èarrivato il tempo che io ti dica tutto ciò che finora ho taciuto. Devi sapere che io non sono un bottaio, maun pittore e spero che vedendo il quadro potrai notare che non sono certo uno dei peggiori. Nella miaprima giovinezza mi recai in Italia, il paese dell’arte, dove riuscii a far sì che grandi maestri siinteressassero di me e alimentassero con vivido fuoco la scintilla che in me ardeva. In breve tempo midistinsi e i miei quadri divennero noti in tutta Italia finché il potente duca di Firenze mi invitò alla sua corte.Allora non volevo sapere nulla dell’arte tedesca e senza aver visto mai alcun loro quadro, chiacchieravodell’aridità, del brutto tratto e della durezza dei vostri Dürer e dei vostri Cranach. Una volta, un mercantedi quadri portò nella galleria del duca una piccola Madonna del vecchio Albrecht Dürer: essa fece su dime una tale impressione che distolsi tutta la mia attenzione dall’opulenza dei quadri italiani eimmediatamente decisi di ritornare nella mia patria tedesca per conoscere quei capolavori verso cui ormaisi indirizzava ogni mia aspirazione.

«Venni qui a Norimberga e appena vidi Rosa mi sembrò di vedere in carne e ossa quella Maria che miaveva illuminato l’anima. A me successe la stessa cosa che a te, caro Federico: tutto il mio esseredivampò in luminose fiamme d’amore. Vedere Rosa! Solo a questo pensavo e tutto il resto mi era sparitodi mente: l’arte stessa aveva valore solo perché avrei potuto un’infinità di volte ritrarre Rosa. Pensai diavvicinarmi alla fanciulla seguendo l’ardito metodo degli italiani, ma ogni mio tentativo fu vano. Non c’eraalcun mezzo per entrare in casa di mastro Martino. Infine pensai di presentarmi a Rosa comepretendente, ma venni a sapere che mastro Martino aveva deciso di dare sua figlia al più bravo deimaestri bottai. Allora presi la strana decisione di recarmi a Strasburgo per imparare l’arte del bottaio epoi presentarmi a mastro Martino: per il resto mi rimettevo al cielo. Tu sai in qual modo portai a terminela mia decisione; ma devi sapere un’altra cosa: mastro Martino, alcuni giorni fa, mi ha detto che sonodiventato un bravo bottaio e mi vedrebbe volentieri come suo genero, inoltre si era accorto che io miravoa ottenere i favori di Rosa e che lei aveva simpatia per me.»

«Non può essere altrimenti» disse Federico con il più profondo dolore. «Rosa sarà tua: come potevo iomisero sperare in una simile felicità?»

«Tu dimentichi» continuò Rinaldo «tu dimentichi, fratello mio, che Rosa non ha mai confermato ciò che ilfurbo mastro Martino dice di aver capito. E vero che Rosa fino a oggi si è mostrata cortese e affabile, maun cuore innamorato si tradisce in ben altro modo. Promettimi, fratello, di aspettare ancora tre giorni e dilavorare nel laboratorio come al solito. Anch’io potrei rimettermi a lavorare, ma da quando hocominciato a dipingere con tutta l’anima questo quadro, mi fa ribrezzo quel vile mestiere. Non posso piùneppure prendere in mano la mazza, avvenga quel che deve avvenire. Il terzo giorno ti dirò apertamentecome stanno le cose tra me e Rosa. Se io dovessi essere quell’individuo felice a cui Rosa ha rivolto il suoamore, allora te ne andrai e vedrai che il tempo guarisce anche le più profonde ferite.»

Federico promise di attendere il suo destino.

Al terzo giorno (Federico aveva cercato di evitare Rosa) il cuore gli batteva per la paura e per l’attesaangosciosa. Come un sonnambulo vagava per il laboratorio e la sua indolenza diede motivo a mastroMartino di brontolare, contrariamente alle sue abitudini. Ma soprattutto doveva essere successo almaestro qualcosa che gli aveva tolto tutto il suo buonumore. Parlava di volgari insidie, di ingratitudinesenza specificare quel che volesse dire. Quando finalmente venne la sera e Federico ritornò in città, non

Page 98: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

lontano dalla porta gli venne incontro un cavaliere in cui riconobbe Rinaldo. Non appena questi scorseFederico gli gridò: «Eccoti qua, proprio come volevo». Balzò dalla sella, si mise le redini attorno albraccio e afferrò la mano dell’amico. «Facciamo un pezzo di strada insieme» disse. «Ora posso dirti ache punto è il mio amore.»

Federico notò che Rinaldo portava gli stessi abiti che aveva quando si erano incontrati la prima volta, eche il cavallo portava un sacco sulla groppa. L’amico gli appariva pallido e turbato.

«Su, allegro, amico!» disse Rinaldo piuttosto bruscamente. «Ora puoi battere le tue botti fin quandovuoi, ti cedo il posto; ho appena preso congedo dalla bella Rosa e dal degno mastro Martino.»

«Come?» disse Federico mentre le sue membra sembravano percorse da una corrente elettrica «te nevai proprio quando Martino ti vuole come genero e Rosa ti ama?»

«Caro fratello» rispose Rinaldo «la tua gelosia ti ha accecato. Ormai è più che evidente che Rosa miavrebbe sposato solo per obbedienza e sottomissione, ma nel suo cuore gelido non arde alcuna scintillad’amore. Che cosa buffa! Sarei diventato proprio un bravo bottaio, tutti i giorni della settimana sareistato con i garzoni a grattare cerchioni e a piallare doghe, e alla domenica sarei andato con la mia onoratamoglie a Santa Caterina o a San Sebaldo e alla sera alla fiera: e ogni anno sempre la solita storia.»

«Non scherzare» disse Federico interrompendo la risata di Rinaldo «non disprezzare la vita semplice emodesta dell’onesto borghese. Se Rosa non ti ama veramente, non è colpa sua: ma ti vedo cosìarrabbiato e così inquieto!»

«Hai ragione» disse Rinaldo «è il mio stupido modo di fare quando sono arrabbiato: faccio chiasso comeun bambino maleducato. Ho parlato a Rosa del mio amore e della buona disposizione paterna, alloraessa si è messa a piangere e la sua mano tremava nella mia. Rivolgendo il viso da un’altra parte hamormorato: “Certo, bisogna che mi sottometta al volere del padre”. Questo mi è bastato.

«La mia strana inquietudine, caro Federico, ti avrà manifestato il mio vero stato d’animo e anche tu avrainotato che per me pensare di possedere Rosa era un’illusione. Finito il suo quadro il mio animo sirasserenò e mi pareva talora stranamente che Rosa fosse il quadro e che questo fosse divenuto la veraRosa. Questo mestiere volgare di bottaio mi diventò odioso e come si delineò la possibilità di una vitaborghese e del matrimonio, ebbi come l’impressione di dover essere rinchiuso in un carcere e legato aceppi. Come potrebbe infatti quella creatura celestiale, che io porto nel cuore, diventare mia moglie? No,essa deve risplendere nella sua eterna giovinezza, nella sua grazia e nella sua armonia attraverso le opered’arte che il mio vivo spirito creerà. Quanta nostalgia ho di tutto questo! E come potrei rinnegare la miadivina arte? Presto mi tufferò di nuovo nei tuoi profumi ardenti, o magnifica terra, tu patria di tutte le arti!»

Gli amici erano arrivati al punto dove la strada che Rinaldo avrebbe preso volgeva a sinistra.

«Qui ci lasceremo» disse Rinaldo, e si strinse a lungo Federico al petto. Saltò sul cavallo e scomparve.

Federico rimase muto e impietrito poi, turbato dalle più strane sensazioni, si avviò verso casa.

In qual modo Federico venne scacciato dal laboratorio da mastro Martino

Il giorno seguente mastro Martino stava lavorando cupo e silenzioso alla grande botte del vescovo diBamberg. E Federico, che pensava con amarezza alla partenza di Rinaldo, non era capace di dire parola,

Page 99: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

e tanto meno di accingersi a cantare. Alla fine mastro Martino, messa da parte la mazza, incrociò lebraccia e disse a bassa voce: «Anche Rinaldo se n’è andato; era un valente pittore e fingendosi bottaiomi ha voluto prendere in giro. Se l’avessi capito, quando venne in casa mia e sembrava una persona aposto, gli avrei certo mostrato la porta. Un viso così aperto, onesto, ma un animo tutto menzogne einganno. Bene, ora se n’è andato, ma tu mi rimarrai vicino. E chissà che tu in qualche modo non mi possaessere ancora più vicino... Se diventerai un bravo maestro e se Rosa ti vorrà... Beh, comprendi, bisognache sappia conquistarti i favori di Rosa».

E con queste parole riprese la mazza e si mise a lavorare con grande energia. Federico si accorse che leparole di mastro Martino chissà come gli laceravano il cuore e che una strana angoscia cresceva in luidissipando ogni luce di speranza. Rosa ricomparve per la prima volta dopo lungo tempo in laboratorio,tutta pensierosa e con gli occhi rossi di pianto. Federico non poté fare a meno di notarlo, con suo grandedolore.

«Ha pianto per lui: lo ama ancora» disse fra sé e non cercò neppure di guardare in viso colei che egliamava indicibilmente.

La grande botte fu portata a termine e soltanto allora mastro Martino ammirando la sua opera così benriuscita tornò a essere allegro e di buonumore.

«Certo, figlio mio» disse egli battendo la mano sulle spalle di Federico «certo, se ti riesce di conquistare ifavori di Rosa e nello stesso tempo sarai capace di fare un bel lavoro, sarai mio genero. Poi potraientrare nella nobile corporazione dei maestri cantori e acquistarti grandi onori.»

Il lavoro di mastro Martino si accumulava sempre più, così che dovette prendere due garzoni, bravilavoratori, ma rozzi, induriti dal lungo peregrinare.

Invece degli allegri discorsi di prima, nel laboratorio di mastro Martino si sentivano ora scherzi volgari, eal posto delle delicate canzoni di Rinaldo e di Federico, odiosi canti osceni. Rosa evitava il laboratorio,così che Federico la vedeva solo raramente e di sfuggita. E quando egli la guardava pieno di nostalgia esospirava: «Ah cara Rosa, se potessi parlare ancora un po’ con voi, se tornaste a essere così amabilecon me come una volta quando Rinaldo era qui...», ella allora abbassava gli occhi tutta vergognosa esussurrava: «Avete qualche cosa da dirmi, caro Federico?». Ammutolito, immobile, Federico se ne stavalì e il momento divino se n’era già fuggito via come un lampo che brilla nel rosso tramonto e scomparenell’attimo stesso in cui lo si scorge.

Mastro Martino intanto insisteva perché Federico incominciasse il suo capolavoro. Egli stesso gli avevacercato il legno di quercia più bello e più puro, senza venature e senza striature, stagionato da cinqueanni, e nessuno al di fuori del vecchio Valentino doveva aiutarlo. E mentre al povero Federico per lavolgarità dei compagni il mestiere diventava ogni giorno più insopportabile, ora gli si serrava la gola alpensiero che quel capolavoro doveva per sempre decidere della sua vita. Quella strana angoscia che giàera nata in lui, quando mastro Martino gli aveva fatto degli elogi per la sua fedeltà al lavoro, diventavasempre più forte. Egli sapeva ormai che sarebbe vergognosamente finito in quel mestiere che eraassolutamente all’opposto di quello che desiderava il suo animo saturo solo di arte. Gli venne in menteRinaldo e il quadro di Rosa. E la sua arte gli apparve di nuovo in tutta la sua gloria. Spesso, quando lasensazione di quanto misera fosse la vita che stava conducendo lo sopraffaceva, con la scusa di sentirsipoco bene usciva e se ne andava alla chiesa di San Sebaldo. Lì, per ore intere stava in ammirazione dellameravigliosa costruzione di Peter Vischer e come in estasi poi diceva: «O Dio del cielo, concepireun’opera simile e realizzarla, c’è forse sulla terra qualcosa di più sublime?».

Quando poi doveva ritornare alle sue doghe e ai suoi cerchioni pensando che solo così poteva

Page 100: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

conquistarsi Rosa, gli sembrava che roventi artigli gli si conficcassero nel cuore ed egli dovessesoccombere sconsolato in un tormento senza nome. Spesso nel sogno gli appariva Rinaldo che gli dava idisegni per il suo lavoro di scultore in cui Rosa compariva sempre raffigurata meravigliosamente oracome un fiore ora come un angelo alato. Ma mancava qualcosa; e notava che Rinaldo aveva dimenticatodi disegnare il cuore di Rosa e che solo lui avrebbe potuto farlo. Allora gli sembrava che tutti i fiori e tuttele foglie di quel capolavoro si muovessero cantando ed esalando dolci profumi e i nobili metallimostrassero nel loro specchio scintillante la figura di Rosa. Allora egli tendeva le mani nostalgicamenteverso l’amata, ma la figura di lei svaniva come in una spessa nebbia ed era lei in persona, l’incantevoleRosa, che lo stringeva amorosamente al petto.

Ma quel suo lavoro di bottaio diventava sempre più asfissiante e allora egli volle cercare conforto e aiutopresso il suo vecchio maestro Johannes Holzschuer. Questi gli permise di cominciare presso di lui unapiccola opera che aveva in mente e per cui aveva risparmiato, già da lungo tempo, parte del guadagnoper potersi comprare l’argento e l’oro necessari. Fu così che Federico, il cui viso pallido rendevacredibile la scusa di una seria malattia, non si fece quasi mai vedere in laboratorio e passarono due mesisenza più lavorare attorno alla grande botte. Mastro Martino gli disse duramente che doveva almenolavorare quel poco che le sue forze gli consentivano, e Federico fu perciò costretto a ritornare ancorauna volta all’odiato ceppo e a riprendere in mano l’ascia. Mentre stava lavorando entrò mastro Martino,guardò i pezzi lavorati e tutto rosso in viso disse: «Ma che cos’è questo? Che lavoro mi combini,Federico? Chi ha piallato queste doghe? Uno che vuole diventare maestro oppure un sempliceapprendista che si è intrufolato da tre giorni nel laboratorio? Federico, rifletti, che diavolo ti ha preso? Ilmio bel legno di quercia, il capolavoro! Oh, ragazzo inetto e stupido!».

Sopraffatto da tutte le pene dell’inferno Federico non poté più a lungo trattenersi e gettata lontano l’asciaesclamò: «Maestro, ormai tutto è finito; anche se dovesse costarmi la vita e dovessi morire in una miseriasenza nome, non potrò più, mai più fare questo volgarissimo mestiere perché sono trascinato da una forzairresistibile verso la mia sublime arte. Certo io amo in modo inesprimibile la vostra Rosa, come nessunosu questa terra la può amare, e soltanto per amore di lei mi sono adattato a questo odioso mestiere. Maora l’ho perduta, lo so, e per il dolore potrei morire; ma non mi è possibile fare altrimenti. Devo ritornarealla mia bella arte, al mio vecchio degno maestro Johannes Holzschuer che ho vergognosamenteabbandonato».

Gli occhi di mastro Martino brillarono come candele accese. Per l’ira non riusciva quasi più ad articolareparola e balbettava: «Cosa? anche tu? Inganno e menzogna? Ingannare me, volgare mestiere quello delbottaio! Via dai miei occhi, vergognoso individuo, via di qua».

E così dicendo mastro Martino afferrò il povero Federico per le spalle e lo gettò fuori dal laboratorio.Una risata di scherno dei rozzi garzoni e degli apprendisti lo seguì. Solo il vecchio Valentino giunse lemani e guardando pensieroso dinanzi a sé disse: «Eppure avevo notato che quel buon ragazzo aveva inmente qualcosa di più grande delle nostre botti».

Marta pianse e i suoi bambini gridarono e si addolorarono per Federico con il quale spesso avevanogiocato e che aveva più volte portato loro dei dolci.

Conclusione

Per quanto mastro Martino fosse adirato con Rinaldo e con Federico, dovette tuttavia riconoscere checon loro erano scomparse dal laboratorio ogni gioia e ogni allegria. Dai nuovi garzoni non riceveva chequotidiane arrabbiature e noie. Doveva occuparsi di ogni piccolezza ed era già tanto riuscire a ottenere

Page 101: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

che anche il lavoro più elementare fosse fatto a dovere. Esaurito dalle preoccupazioni della giornataspesso sospirava: «Ah, Rinaldo, ah Federico! se non mi aveste ingannato così vergognosamente e fosterimasti i buoni bottai che eravate!». E arrivò al punto di lottare con la tentazione di abbandonare del tuttoil lavoro.

Con questo umore nero una sera se ne stava in casa, quando il signor Jakobus Paumgartner e il signorJohannes Holzschuer entrarono inattesi. Capì che essi volevano parlare di Federico e infatti il signorPaumgartner volse subito il discorso su di lui, e mastro Holzschuer incominciò a tessere tutte le lodipossibili del giovane. Diceva che era sicuro che con la sua diligenza e le sue attitudini Federico non solosarebbe diventato un eccellente orafo, ma anche un bravissimo fonditore di statue come poteva esserloPeter Vischer. Poi il signor Paumgartner incominciò a inveire contro il cattivo trattamento che il poveroragazzo aveva avuto da mastro Martino e tutti e due furono d’accordo nell’insistere che se Federicofosse diventato un bravo orafo e un bravo fonditore, mastro Martino, se Rosa fosse stata d’accordo,avrebbe dovuto dargliela in sposa. Mastro Martino li lasciò parlare entrambi, quindi si tolse la suapapalina e ridendo disse: «Cari signori, voi state prendendo le parti di questo bravo giovanotto che mi haingannato in modo vergognoso. Potrò perdonarlo, ma non pretendete che per lui possa cambiare la miadecisione. Con Rosa non c’è niente da fare».

Nello stesso momento entrò Rosa, pallida come una morta, gli occhi segnati dal pianto e in silenzio misesulla tavola i bicchieri per il vino.

«Devo dar ragione al povero Federico» riprese il signor Holzschuer «che volle lasciare per sempre la suapatria. Ha fatto un buon lavoro da me e se voi lo permettete, caro maestro, vuole offrirlo come ricordoalla vostra Rosa.» E così dicendo mastro Holzschuer trasse fuori una piccola coppa d’argentoartisticamente lavorata e la porse a mastro Martino che, amante com’era dei begli oggetti di valore, laprese e incominciò a rimirarla da ogni lato. In realtà era difficile trovare un lavoro d’argento più bello diquel piccolo boccale. Graziosi tralci di vite e rose si intrecciavano tutto intorno e attraverso le rose e iboccioli che sembravano dischiudersi, si affacciavano graziosi angioletti, che apparivano anche sul fondodorato della coppa. Se si versava del vino chiaro nella coppa sembrava che gli angeli vi si tuffasseroavanti e indietro in un gioco armonioso.

«Questo oggetto» disse mastro Martino «è veramente molto ben lavorato, e io me lo terrò a patto cheFederico voglia accettare da me il doppio del valore in monete d’oro.» Così dicendo mastro Martino siriempì il bicchiere e se lo portò alla bocca. In quel momento la porta si aprì adagio ed entrò Federico, nelcui viso pallido era impresso il mortale dolore del distacco da colei che adorava sopra ogni cosa in terra.Non appena Rosa lo scorse, gridò con voce penetrante: «O mio caro Federico» e gli cadde sul pettomezzo svenuta. Mastro Martino depose il bicchiere e come vide Rosa tra le braccia di Federico sgranògli occhi come se avesse visto un fantasma. Poi senza far parola prese di nuovo la coppa e vi guardòdentro. Si alzò di scatto dalla sedia e disse con voce forte: «Rosa, Rosa, ami Federico?».

«Ah!» mormorò Rosa «mi è impossibile nasconderlo più a lungo; lo amo come la mia vita. Il mio cuoresembrava spezzarsi quando voi lo cacciaste via.»

«Allora abbraccia la tua sposa, Federico, sì, sì, la tua sposa!» disse Martino.

Paumgartner e Holzschuer si guardarono smarriti per la meraviglia, ma mastro Martino con la coppa inmano continuò: «Oh Signore del cielo, forse che tutto non è avvenuto come la vecchia aveva predetto?“Fulgida casetta egli recherà / dove aromi fluttueranno / e angeli splendenti giocosi canteranno... fra le tuebraccia stringi / chi la casetta ha recato, / lascia il padre, ché / il tuo sposo d’amore è degno.” Oh, iosciocco pazzo, questa è la fulgida casetta, gli angeli, lo sposo... Ehi, voi signori, tutto è finito bene, ilgenero è trovato».

Page 102: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

Chi ha creduto, in un brutto sogno, di giacere nella nera notte senza fine della tomba e si è ritrovato poi,destandosi, nella luce primaverile tra profumi e canti mentre lo raggiunge la donna sopra ogni cosa amatae lo abbraccia e lei si perde nel cielo del suo dolce viso, quegli potrà comprendere in quale stato dibeatitudine si trovasse Federico. Incapace di parlare, si teneva stretta Rosa tra le braccia come se nonvolesse più lasciarla finché essa dolcemente si sciolse da lui e lo condusse al padre. Egli allora esclamò:«Mio caro maestro, è proprio vero? Mi concedete di sposare Rosa e di ritornare alla mia arte?».

«Sì, sì» disse mastro Martino «potrei forse desiderare altro ora che hai compiuto la predizione dellavecchia nonna? La tua botte rimarrà dove è.»

Federico sorrise trasfigurato da una vera ebbrezza e disse: «No, caro maestro, voi avete ragione;compirò allegramente la mia botte come ultimo lavoro da bottaio e poi ritornerò al forno per la fusione».

«Bravo figliolo» disse Martino mentre gli occhi gli scintillavano dalla gioia «sì, finisci quel tuo lavoro e poifaremo le nozze.»

Federico mantenne la parola, portò a termine la grande botte e tutti i maestri dichiararono che non erafacile fare un lavoro più bello: mastro Martino ne fu profondamente felice e riconobbe che il cielo non gliavrebbe potuto dare un genero migliore.

Giunse alla fine il giorno delle nozze: la botte di Federico piena di buon vino e tutta inghirlandata fuinnalzata nel vestibolo della casa dove si riunirono tutti i maestri bottai con a capo il consiglieremunicipale, Jakobus Paumgartner, e le loro mogli nonché i maestri orafi.

Il corteo stava per muoversi alla volta della chiesa di San Sebaldo dove si dovevano celebrare le nozze,quando per le strade risuonarono squilli di tromba e dinanzi alla porta di casa si sentirono cavalli nitrire escalpitare.

Mastro Martino si affacciò al balcone. Davanti alla casa stava il signor Heinrich von Spangenbergmagnificamente vestito e alcuni passi dietro di lui su un superbo destriero c’era un bel cavaliere, con laspada lucente al fianco e variopinte penne sul berretto tempestato di pietre preziose. Accanto al cavaliereMartino vide una meravigliosa dama pure magnificamente vestita che montava un palafreno più biancodella neve appena caduta. Paggi e servi in magnifici abiti variopinti formavano tutto attorno un cerchio. Letrombe tacquero e il vecchio signor von Spangenberg disse: «Ehi, mastro Martino, non siamo venuti quiper il vino della vostra cantina né per le vostre monete d’oro, ma solo per le nozze di Rosa; voletelasciarci entrare, caro maestro?».

Mastro Martino si ricordò delle sue parole, si vergognò un poco e scese per ricevere il nobiluomo. Ilvecchio signore scese da cavallo e salutando entrò in casa. Poi i paggi accorsero e sulle loro braccia ladama si lasciò scivolare dal cavallo; il cavaliere le offrì la mano e tutte e due seguirono il vecchio signore.

Appena mastro Martino ebbe guardato il giovane cavaliere fece un salto indietro, batté le mani e disse:«O Signore del cielo! Corrado!». Il cavaliere ridendo disse: «Certo, caro maestro, sono il vostro garzoneCorrado. Perdonatemi la ferita che vi ho fatto. Veramente avrei dovuto uccidervi come voi stessoammetterete, ma ormai le cose hanno preso un’altra piega».

Mastro Martino tutto confuso rispose che era meglio che non lo avesse ucciso e in quanto alla feritad’ascia era cosa da nulla. Quando Martino entrò con i nuovi ospiti nella stanza dove stavano gli sposi egli altri invitati, tutti rimasero colpiti dalla bellezza della dama che assomigliava perfettamente alla graziosasposa, tanto da parere gemella. Il cavaliere si avvicinò con nobile atteggiamento alla sposa e disse:

Page 103: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

«Permettete, deliziosa Rosa, che Corrado prenda parte alla festa in vostro onore. non è vero che nonsiete più arrabbiata con quello sconsiderato garzone che stava per darvi un grosso dispiacere?».

E siccome la sposa e lo sposo e mastro Martino si guardavano attorno confusi e meravigliati, il vecchiovon Spangenberg disse: «Bisogna che vi faccia uscire dal sogno. Questi è mio figlio Corrado e questa lasua bella sposa chiamata Rosa come la vostra bella figlia. Ricordatevi, mastro Martino, della nostraconversazione. Quando vi chiesi se avreste rifiutato vostra figlia anche a Corrado, c’era la sua ragione. Ilgiovane era innamorato pazzo di vostra figlia e riuscì a persuadermi a chiedervene la mano mettendo daparte ogni scrupolo. Quando però gli dissi che mi avevate risposto piuttosto scortesemente egli, dasventato, venne da voi come bottaio per conquistarsi i favori di Rosa e poi rapirvela. Ora voi l’aveteguarito con quel bel colpo sulla schiena; siate ringraziato giacché egli ha trovato una nobile signorina che èveramente quella Rosa che egli ebbe nel cuore fin da principio».

La dama frattanto con grande dolcezza aveva salutato la sposa e le aveva messo al collo, come dono dinozze, una ricca collana di perle.

«Guarda, cara Rosa» disse mentre dal petto si toglieva un mazzetto tutto avvizzito «questi sono i fiori chedesti una volta al mio Corrado come premio delle sue vittorie; li ha fedelmente conservati sino a quandovide me; allora ti divenne infedele e li ha consegnati a me: non avertene a male.»

E Rosa tutta rossa in viso abbassò gli occhi e disse: «Nobile signora, come potete parlare così? Avrebbemai potuto un nobile amare me, povera fanciulla? Solo voi potevate essere il suo amore e se anch’io michiamo Rosa, e come dicono vi assomiglio un poco, egli fece la corte a me credendo che foste voi».

Per la seconda volta il corteo stava per muoversi quando un giovane entrò vestito secondo l’usanzaitaliana, tutto di velluto nero con una graziosa collaretta di pizzo e ricche catene d’oro al collo. «Rinaldo,mio Rinaldo» esclamò Federico stringendo il giovane al petto. Anche la sposa e mastro Martino nefurono felici ed esclamarono: «Rinaldo, il nostro bravo Rinaldo è ritornato».

«Non ti avevo forse detto» disse Rinaldo ricambiando l’abbraccio «che tutto per te, mio carissimoamico, si sarebbe messo nel migliore dei modi? Lasciami festeggiare con te le nozze giacché sono venutoapposta da lontano e per eterno ricordo appendi nella tua casa il quadro che per te ho dipinto e portatocon me.»

Così dicendo Rinaldo chiamò due servitori che portarono un grande quadro dalla bella cornice d’oroche rappresentava mastro Martino nel suo laboratorio assieme ai suoi garzoni Rinaldo, Federico eCorrado mentre stavano lavorando alla grossa botte e la graziosa Rosa che stava entrando. Tutti furonomeravigliati dalla verosimiglianza e dallo splendore dei colori del quadro. «Ehi» disse Federico ridendo«questo è il tuo capolavoro come bottaio, il mio è là fuori nel vestibolo, ma presto ne farò un altro.»

«So tutto» rispose Rinaldo «e ti ritengo felice. Tieniti fedele alla tua arte che permette più della mia dipotertene stare in famiglia.»

Al banchetto di nozze Federico sedeva tra le due Rose; di fronte a lui stava mastro Martino fra Corradoe Rinaldo. Il signor Paumgartner riempì sino all’orlo la coppa di Federico e bevve alla salute di mastroMartino e dei suoi bravi garzoni. La coppa fece il giro e per primo il nobile cavaliere Heinrich vonSpangenberg e dopo di lui tutti gli altri onorevoli maestri che sedevano al tavolo bevvero alla salute dimastro Martino e dei suoi cari garzoni.

Page 104: E T a Hoffmann - L'Uomo Della Sabbia E Altri Racconti

E.T.A. HoffmannL'uomo della sabbia e altri raccontiTraduzione di Gerardo Fraccari

In copertina: Gustave Moreau,Giove e Semele (part.),1896 Parigi, Musée Gustave Moreau

ISBN 88-520-0016-X

© 1987 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., MilanoI edizione e-book Reader ottobre 2000

http://www.mondadori.com/libri

Indice

L'uomo della sabbiaLe avventure della notte di S. SilvestroIl consigliere KrespelLa sfida dei cantoriMastro Martino il bottaio e i suoi garzoni

1Le storie meravigliose di Peter Schlemihl,riferite da Adalbert von Chamisso, pubblicate dal Barone Federico De La Motte Fouquè.Norimberga, p. J. L. Schrag, 1814. (N.d.A.)

About this Title This eBook was created using ReaderWorks™Publisher Preview, produced by OverDrive, Inc.

For more information on ReaderWorks, visit us on the Web at "www.readerworks.com"