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Storia dell’arte Einaudi E Eakins, Thomas (Filadelfia 1844-1916). Entrò nel 1861 nella Pennsylvania Academy of the Fine Arts e seguí anche corsi di anatomia al Jefferson Medical College. Nel 1866 completò in Fran- cia la sua formazione, entrando nello studio di Gérôme, ove praticò assiduamente il disegno. Un soggiorno in Spa- gna (1869-70) gli rivelò Velázquez e Ribera. Tornato in patria (1870) non lasciò piú Filadelfia, e divenne l’inter- prete della classe media urbana, con i suoi ritratti e le scene d’interno e all’aperto (Max Schmitt al canottaggio, 1871: New York, mma). Considerava la pittura un docu- mento scientifico, vicino alla matematica, nella quale amava esercitarsi, e alla fotografia, che praticava (studi di nudi maschili all’aperto, in posa e in movimento). La Cli- nica del dott. Gross (1875: Filadelfia, Jefferson Medical College) è una delle sue opere piú note. Le scene all’aper- to, precise e luminose, sono soprattutto dedicate alle gare di canottaggio disputate sullo Schuylkill River (la Gara dei fratelli Biglin: Washington, ng), nonché ai bagni, ai nuota- tori nudi (The Swimming Hole, 1883: Fort Worth Tex., am). S’interessò pure di boxe e dell’atmosfera del ring (Tra due rounds, 1899: Filadelfia, am) e della condizione sociale dei negri (la Caccia alla quaglia: New Haven, ag). I ritratti costituiscono una parte importante della sua opera. Uno dei piú celebri è quello del suo illustre con- temporaneo ed amico Walt Whitman (1887: Filadelfia, Pennsylvania Academy of Fine Arts), che egli inoltre fo- tografò. Insegnò all’accademia e la diresse dal 1882. Con Homer, E è il principale rappresentante del realismo ame- ricano, e negli anni ’60 ha attratto l’attenzione di espo-

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Storia dell’arte Einaudi

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Eakins, Thomas(Filadelfia 1844-1916). Entrò nel 1861 nella PennsylvaniaAcademy of the Fine Arts e seguí anche corsi di anatomiaal Jefferson Medical College. Nel 1866 completò in Fran-cia la sua formazione, entrando nello studio di Gérôme,ove praticò assiduamente il disegno. Un soggiorno in Spa-gna (1869-70) gli rivelò Velázquez e Ribera. Tornato inpatria (1870) non lasciò piú Filadelfia, e divenne l’inter-prete della classe media urbana, con i suoi ritratti e lescene d’interno e all’aperto (Max Schmitt al canottaggio,1871: New York, mma). Considerava la pittura un docu-mento scientifico, vicino alla matematica, nella qualeamava esercitarsi, e alla fotografia, che praticava (studi dinudi maschili all’aperto, in posa e in movimento). La Cli-nica del dott. Gross (1875: Filadelfia, Jefferson MedicalCollege) è una delle sue opere piú note. Le scene all’aper-to, precise e luminose, sono soprattutto dedicate alle garedi canottaggio disputate sullo Schuylkill River (la Gara deifratelli Biglin: Washington, ng), nonché ai bagni, ai nuota-tori nudi (The Swimming Hole, 1883: Fort Worth Tex.,am). S’interessò pure di boxe e dell’atmosfera del ring(Tra due rounds, 1899: Filadelfia, am) e della condizionesociale dei negri (la Caccia alla quaglia: New Haven, ag). Iritratti costituiscono una parte importante della suaopera. Uno dei piú celebri è quello del suo illustre con-temporaneo ed amico Walt Whitman (1887: Filadelfia,Pennsylvania Academy of Fine Arts), che egli inoltre fo-tografò. Insegnò all’accademia e la diresse dal 1882. ConHomer, E è il principale rappresentante del realismo ame-ricano, e negli anni ’60 ha attratto l’attenzione di espo-

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nenti della Pop Art. La maggior parte delle sue opere sitrova a Filadelfia (am), a New York (mma, Brooklyn Mu-seum), a Washington (Corcoran Gall.) e a Fort Worth nelTexas (am). (sr).

Earl, Ralph(Worcester County Mass. 1751 - Bolton Conn. 1801).Autodidatta, lavorò nel Connecticut. Fu soprattutto ri-trattista, ma si provò pure nella pittura di storia e nelpaesaggio. Visse in Inghilterra tra il 1778 e il 1785. Il suodisegno secco ed ingenuo conferisce ai quadri un caratterearcaico, che i sei anni trascorsi a Londra nello studio diBenjamin West non riuscirono a cancellare. È abbondan-temente rappresentato nei musei americani: Roger Sher-man (1775-77 ca.: New Haven, ag), William Carpenter(1779: Worcester, am). (sc).

Earlom, Richard(Londra 1743-1822). Allievo di Cipriani, incise soprattut-to alla maniera nera e per primo impiegò, in tale tecnica,la puntasecca. Cominciò lavorando per l’editore Boydell,per il quale eseguí nel 1777 le duecento lastre dell’edizio-ne del Liber veritatis di Claude Lorrain. È noto soprattut-to per composizioni floreali riprese da Van Huysun e VanOs. (jns).

East-Anglian styleStile della miniatura britannica, fiorito dagli ultimi annidel xiii sec. al 1340 ca. Nella regione dell’East Anglia edelle Midlands esistettero numerosi ateliers di miniatura;tuttavia la documentazione non è né sufficientemente ab-bondante né abbastanza decisiva per stabilire l’origineesatta dei manoscritti piú importanti. Centri principali fu-rono Norwich, Peterborough e Nottingham.I manoscritti dello stile E-A sono caratterizzati dall’im-piego di bordure dalla complessa decorazione, che incor-niciano la pagina e servono di pretesto per la rappresenta-zione di ogni sorta di scene marginali, nonché di perso-naggi isolati, animali ed uccelli, grottesche, in mezzo aduna profusione di foglie e di fiori, insieme naturali e sti-lizzati. L’accento posto sui diversi elementi decorativivaria a seconda dei centri. Non si conosce la provenienzadel piú antico gruppo di manoscritti qualificati E-A, dei

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quali il primo per data, importante nella formazione diquest’arte, è il Salterio Alfonso (Londra, bm, add. 24684),iniziato per le nozze del figlio di Edoardo I con Margaret,figlia del conte d’Olanda, e completato dopo la morte diAlfonso nel 1284. Due altri manoscritti un po’ piú recentisono l’Historia scholastica di Petrus Comestor (ivi, roy.3.D.VI), donata da Edoardo duca di Cornovaglia (mortonel 1300) al priorato di Ashridge, e il Windmill Psalter(Salterio dei mulini a vento: New York, pml, ms 102).L’origine dello stile di questi manoscritti pone alcuni pro-blemi; vi si scorgono rapporti col Nord-Est della Franciae con le Fiandre, ma non è noto per quale via tale influssopossa essersi esercitato. A Peterborough convivono duestili. Il primo è rappresentato dal Salterio detto «di Peter-borough» (Bruxelles, Bibl. reale, 9961-2), la cui iconogra-fia è tratta da un ciclo di pitture del coro della cattedraledi Peterborough, e dal Salterio Ramsey (New York, pml,ms 302; e Sankt Paul di Lavanttal in Carinzia, msXXV.2.19). Tali manoscritti presentano ampie bordureche delimitano interamente le scene marginali. Nel secon-do stile, le inquadrature scompaiono lasciando il posto ainiziali istoriate, e il disegno lineare delle scene è acque-rellato a colori leggeri. Si attribuisce all’atelier di Peterbo-rough il Salterio di Cambridge (Corpus Christi College,ms 53), nonché il Salterio della regina Mary (Londra, bm,roy. 2.B.VII) e l’Apocalisse (ivi, roy. 19.B.XV). Uno stilediverso compare col Salterio Ormesby (Oxford, BodleianLibrary, ms Douce 366) e col Salterio Gorleston (Malvern,Dyson Perrins, ms 13), che accentuano nuovamente leampie bordure e i saldi contorni del disegno. Un gruppointermedio può aver centro a Nottingham, per esempio ilSalterio Tickhill (New York, Public Library, SpencerColl., ms 26), che fu miniato da fra John Tickhill, prioredel monastero di Worksop, presso Nottingham.Manoscritti piú tardi, localizzati nel Norfolk, comprendo-no il Salterio Saint Omer (Londra, bm, add. 39810) - ini-ziato nel 1330 ca. per i membri della famiglia Saint Omerdi Mulbarton nel Norfolk, la cui esecuzione è piú delicatadi quella dei salteri del gruppo Ormesby-Gorleston - e ilSalterio De Lisle (ivi, Arundel 83), la cui prima partevenne eseguita per Sir William Howard di East Winch,presso Lynn, e la seconda donata da Robert De Lisle asua figlia nel 1339. La prima parte contiene miniature ditaglio e concezione monumentali, che rivelano un forte

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influsso francese; la seconda è probabilmente influenzatadall’Italia. Il salterio eseguito prima del 1340 per SirGeoffrey Luttrell (ivi, add. 42130) segna il declino dellaminiatura E-A. Le grottesche sono di dimensione esagera-ta, e talvolta alquanto grossolane, benché il manoscrittosia notevole per le sue scene di vita quotidiana. Lo stiledel Salterio Saint Omer ebbe inoltre influenza su mano-scritti piú tardi, in particolare su quelli della famigliaBohun, della fine del xiv sec. (mast).

Eastlake, Charles Lock(Plymouth 1793 - Pisa 1865). Recatosi a Londra nel 1809per seguire corsi presso la Royal Academy, tornò poi aPlymouth, dove fece il ritratto di Napoleone vinto. Dopoil 1816 risiedette soprattutto a Roma, fino al momento incui venne eletto membro della Royal Academy nel 1830.Tornato a Londra, continuò a lavorare imitando conmolto gusto i pittori italiani del Rinascimento, e nel con-tempo rivestí cariche ufficiali. Fu pure presidente dellaRoyal Academy (1850) e direttore della National Gallery(1855). Mentre occupava quest’ultima carica, acquisí nu-merose opere di grande valore (in particolare italiane delxiv e del xv sec.) che, unitamente ai suoi scritti, contri-buirono molto a promuovere l’arte del suo tempo. (wv).

EbboPosta all’ingresso del cañon dell’Ardèche, la grotta di E,dotata di incisioni preistoriche, si apre con un porticomaestoso. Una galleria lunga 250 metri, tagliata da unpozzo al di là del quale compaiono le prime incisioni, sfo-cia nel santuario. Tre composizioni, annunciate da due ca-valli in fila, reiterano uno stesso tema, ove bue e cavallosono accompagnati da stambecchi. Il pannello principale,inciso su una roccia sovrastante il vuoto, contiene ungrande toro di due metri di lunghezza (che reca sul fiancocerchi e bastoncelli) e otto cavallini dalla testa accurata-mente incisa, nonché un mammut, nettamente posteriore.Gli altri due complessi, preceduti da cervi, sono meno no-tevoli; la decorazione del santuario si conclude con duecavalli in fila. La grotta è la piú importante del complessoparietale del Rodano. Lo stile, molto omogeneo e non ri-conducibile al campo franco-cantabrico, ricorda quellodelle caverne italiane o delle tavolette incise di Parpalló.La modernizzazione apportata dai Magdaleniani nella

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forma di bisonti dello stile IV antico di Leroi-Gourhan,consente di asserire l’esistenza di un’arte del Rodano, giàin possesso, per quanto riguarda l’organizzazione di unsantuario, di una tradizione anteriore al Magdalenianomedio (12 000 a. C.). (yt).

Eccentrici di Yangzhou(gli Otto Maestri). Nella pittura cinese, questo appellativotradizionale (si può dire piú semplicemente «gli E Qing»oppure «gli Otto di Yangzhou») designa un gruppo di pit-tori letterati della seconda metà del xvii sec. che benefi-ciarono del mecenatismo dei mercanti di quella ricca cittàcommerciale meridionale, ove poterono consacrarsi in per-fetta tranquillità alla loro arte e persino, fatto eccezionaleper un dilettante letterato, sostentarsene. Chiamati «ec-centrici» o «bizzarri» perché si contrapposero all’ortodos-sia allora imperante, lavorarono in uno stile calligrafico li-bero e disteso, che ebbe grandissimo influsso sui loro suc-cessori, e anche sulla pittura giapponese del nanga. Oltrea Jin Nong ed a Luo Ping, che incontestabilmente domi-nano il gruppo, questi artisti furono Gao Xiang, HuangShen, Li Fangyin, Li Shan, Min Zhen e Wang Shishen,Min Zhen è talvolta sostituito in quest’elenco da ZhengXle. A torto vi è stato talvolta incluso Gao Fenghen; eglipraticò sí uno stile «bizzarro», ma non abitò maiYangzhou, contrariamente a Hua Yan, che tuttavia nonviene annoverato tra gli otto E. (ol).

EchaveLa dinastia degli E – tutti e tre battezzati Baltazar – oc-cupa l’intero secolo d’oro della pittura messicana dal 1580al 1680 ca., e ben ne riflette il susseguirsi degli stili, dalmanierismo al barocco: la pinacoteca Virreinal di Città diMessico li documenta con un certo numero di opere carat-teristiche, sufficienti a rivelare la personalità di ciascuno.Il fondatore, E Orio, detto el Viejo (nato nel 1550 ca.), èun basco di nobile famiglia di Zumaya, la cui formazioneartistica (Escorial? Siviglia? Italia?) resta ignota. Solleci-tato da un pittore suo compatriota stabilitosi a Città diMessico da alcuni anni, lo raggiunse nel 1573 e ne diven-ne il genero nel 1582. La sua lunga e brillante carrieraproseguí fino alla morte nel 1630. Fu artista di transizio-ne, di formazione manierista: alcuni suoi grandi quadri adue registri e con numerose figure (Martirio di sant’Anto-

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nio, 1617) richiamano i pittori sivigliani dell’inizio del se-colo, come Uceda e Alonso Vázquez. Fu disegnatore sa-piente e vigoroso, e alcune ricerche di colore e di atmosfe-ra rivelano l’influsso veneziano (Scene dell’infanzia di Cri-sto delle pale di Xochimilco e di Santiago Tlateloco,1609). In alcuni quadri per monasteri (Cristo nell’ortodegli Ulivi, dipinto per i gesuiti; Estasi di san Francesco),certi effetti di chiaroscuro servono a tradurre una sensibi-lità profonda e patetica.Il figlio E Ibia (1610-42), la cui carriera fu assai breve,diede prova, specie nella bella Immacolata del 1622, diuna candida grazia e di una soavità di colori che fannopensare a Roelas, a Siviglia e al suo contemporaneo messi-cano Luis Juarez. Dipinse inoltre numerosi quadretti surame, nei quali svolgono un ruolo importante il paesaggioe i cieli, e che gli procurarono il soprannome di «E deiblu».Infine l’ultimo pittore della famiglia, E Rioja (1632-82),assai influenzato dallo zurbaranismo che conquistò il Mes-sico poco prima della metà del secolo (Adorazione deimagi, 1654) nel Sepolcro del 1665 o nel Martirio di san Pie-tro di Arbuls dimostra un vigore un po’ brutale e una sen-sibilità drammatica e tenebrista che già preannuncianoVillalpando, il grande maestro della pittura barocca messi-cana della fine del secolo. (pg).

Echevarría, Juan de(Bilbao 1875 - Madrid 1930). Curioso il destino diquest’artista solitario, a lungo considerato un dilettante eoggi pienamente rivalutato. Apparteneva a una famigliad’industriali di Bilbao; fu allievo del liceo d’Angoulême epassò per il college di Eton, proseguendo poi gli studid’ingegneria in Sassonia. Tornato a Bilbao, dopo una crisispirituale seguita alla morte della madre abbandonò l’im-presa paterna, stabilendosi poi a Parigi. Dipinse un gran-dissimo numero di opere, molto influenzato da Gauguin eCézanne, amico di Degas e di Vuillard come di Picasso edegli spagnoli di Montmartre, espose dal 1908 al Salond’automne e tornò in Spagna solo nel 1914. Stabilitosi aMadrid, non aderí a nessun gruppo specifico, frequentan-do piuttosto gli scrittori. La sua opera ha contribuitoquanto quella di Iturrino, ad introdurre in Spagna un’arte«moderna», piú vicina a quella dei nabis che a quella deifauves. Soltanto con il tempo – e specialmente con la

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grande retrospettiva del 1955 al mam di Madrid – ha as-sunto una piena valutazione critica. Molto varia, la suaproduzione comprende paesaggi castigliani (Avila) e ba-schi (Pasajes, Ondarroa), dal sentimento intenso quantoquello dei paesaggi di Zuloaga, ma di piú schematica co-struzione; vedute urbane suggestive, spesso riprese da unbalcone di Madrid; tipi popolari, baschi o gitani, di unagrave tristezza, nature morte fiori o vasellame, di una leg-gerezza e freschezza di toni rare nella pittura spagnola.Egli fu anche il miglior ritrattista della Spagna del tempo:ritrasse gli scrittori della sua generazione, Unamuno, Ba-roja, Juan Ramón Jimenez, Maeztu, Valle Inclán, di cuiha lasciato immagini «espressioniste». È ben rappresenta-to in musei di Bilbao e di Madrid. (pg).

Eckersberg, Christoffer Wilhelm(Blaakro (Jutland meridionale) 1783 - Copenhagen 1853).Formatosi presso l’accademia di Copenhagen, venne in-fluenzato dal neoclassicismo francese durante il suo sog-giorno a Parigi (1810-13), dove studiò sotto la guida diDavid (settembre 1811 - giugno 1813). La sua corrispon-denza e il suo diario sono una fonte preziosa sulla perso-nalità e l’insegnamento di David. E eseguí allora composi-zioni storiche come Agar e Ismaele nel deserto (1812-13).Si dimostrò attento ai valori cromatici in alcuni studi dalvero (Studio di nudo, 1813: Copenhagen, smfk). Parigi e idintorni gli ispirarono pure delicate vedute: il Limitare delBois de Boulogne (1812: Copenhagen, C. L. Davids Sam-ling), i Dintorni di Meudon e il Pont Royal (1813: Co-penhagen, smfk). A Roma, dove soggiornò a partire dal1813, prese contatto col suo compatriota Thorvaldsen, dicui fece un monumentale ritratto (1814: Copenhagen, Ac-cademia reale di belle arti), e dipinse il Ritratto di giovanedonna, già detto «di Anna Magnani» (1814: Copenhagen,Hirschsprungske Samling), nonché quadri di storia (Alcio-ne, 1813: Copenhagen, smfk; il Passaggio del Mar Rosso,1813-16: ivi) e soprattutto una bella serie di vedute diRoma e dintorni, in parte eseguite dal vero e caratterizza-te da un disegno preciso, da un raffinato luminismo e datonalità assai chiare (Veduta della Via Sacra: Copenhagen,ncg; Veduta dal Colosseo, Villa Borghese, Villa Albani,Fontana Acetosa: Copenhagen, smfk; Piazza San Pietro, ilColosseo: Copenhagen, Museo Thorvaldsen; il Colonnatodi San Pietro: Copenhagen, C. L. Davids Samling). Dopo

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Valenciennes e prima di Corot, egli si pose tra gli inter-preti piú delicati del paesaggio romano. S’ispirò pure, tal-volta, alla vita popolare italiana (Davanti alla Porta santadi San Pietro, 1814-15; Carnevale romano, 1814: Copenha-gen, smfk), che descrisse con gusto assai sicuro. L’abitu-dine alle composizioni chiaramente e saldamente struttu-rate, che aveva apprese presso David – unitamente a uninnato senso dei valori luminosi e ad un’autentica since-rità dinanzi al reale – lo condussero cosí a mettere apunto uno stile, che sarà quello dell’età dell’oro danese.Tornato a Copenhagen nel 1816, divenne membrodell’accademia, poi professore; ricevette nel 1828 ca. l’in-carico di quadri illustranti la storia danese per il palazzodi Christiansborg: compito in parte contrario alla sua na-tura. Nei nudi (Donna allo specchio: Copenhagen, Hirsch-sprungske Samling) e nei ritratti (il Barone e la baronessaBille Brahe, 1817: Copenhagen, ncg; La Signora Loven-skjold e sua figlia, 1817: Copenhagen, smfk; la FamigliaNathanson, 1818: ivi; Emile Henriette Massmann, 1820:ivi, le Sorelle Nathanson, 1820: ivi) affermò invece unclassicismo di rigorosa eleganza. Ha lasciato ammirevolipaesaggi della campagna e delle coste danesi, luminosi esempre costruiti con una nettezza che non esclude un ac-cento lirico. Divenne uno specialista nelle vedute di portie battelli, che descrisse con un’esattezza che attesta la suaperfetta conoscenza della costruzione dei velieri e dellanavigazione (Copenhagen, smfk e Hirschsprungske Sam-ling, Parigi, Louvre). Come teorico pubblicò opere sullaprospettiva (1833-41). L’influsso del suo insegnamento fudecisivo per la formazione di Wilhelm Bendz, ConstantinHansen e Christen K°bke. (hb + sr).

Eckert, Walter(Leobersdorf (Bassa Austria) 1913). Studiò architettura alpolitecnico di Vienna dal 1932 al 1934 e, dal 1935 al1939, pittura presso l’accademia di belle arti, ove fu allie-vo di Boeckl. Divenne presidente della Secessione nel1965 e nel 1967 ottenne una cattedra all’accademia chenel medesimo anno lo elesse rettore. Influenzato daMunch, da Picasso e, in minor grado, dai surrealisti, E sirivelò pure sensibile alla scultura di Wotruba. Poco primadella guerra disegnò una serie di ritratti espressivi chevennero presentati nel 1947 col titolo Personalità e am-biente. Nel 1951 espose presso la Gall. Würthle di Vienna

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incisioni raffinate, oniriche o figurative, insieme a naturemorte realizzate con grande economia di mezzi. Verso il1958 ha iniziato a dipingere personaggi la cui silhouette ri-corda i menhir o monumenti dell’età della pietra (Donnaseduta, 1963: Vienna, Museo del xx secolo). (jmu).

Eckmann, Otto(Amburgo 1865 - Badenweiler 1902). Fu allievo dellascuola di arti decorative di Amburgo e di quella di No-rimberga; infine dell’accademia di Monaco. Dipinse in unprimo tempo ritratti e paesaggi molto colorati, che esposea Monaco dal 1890; nel 1894, dopo aver venduto tutte lesue tele presso Bangel a Francoforte, mutò orientamento,e divenne un importante esponente dello Jugendstil na-scente. Nell’ambiente di Julius Brinckmann, fondatoredel Museo di arti decorative di Amburgo, E conobbe lestampe e i motivi decorativi giapponesi (di cui Deneken,assistente di Brinckmann, pubblicò una raccolta a Berlinonel 1896); da allora iniziò a dedicarsi alle arti decorative.Frequentò la scuola di tessuto fondata da Deneken nelvillaggio di Scherrebek, alla frontiera danese e vi eseguínel 1897 il suo celebre Arazzo dei cinque cigni, esposto aMonaco lo stesso anno (Norimberga, Gewerbemuseum).Creò modelli di mobili, tessuti e ceramiche (per Villeroy eBoch di Mettlach); tuttavia, il suo ruolo fu importante so-prattutto nel campo tipografico: disegnò alfabeti e orna-mentazioni librarie per gli editori E. A. Seeman di Lipsiae Fischer di Berlino, e collaborò fin dalla loro creazionealle riviste «Pan» (per la quale eseguí iniziali dalla decora-zione floreale esuberante e stilizzata) e «Jugend». Nel1897 divenne professore alla scuola di arti decorative diBerlino e, nel 1899, disegnò la pagina di copertina dellarivista berlinese «Die Woche», pagina che restò immutatafino al 1924. (gl).

Eclettici arcaicizzantiCon questo appellativo vengono designati due gruppi dipittori professionisti cinesi della fine dell’epoca Ming, ches’ispirarono direttamente ai maestri Tang o Song. Ilprimo gruppo è costituito da Zhou Chen e dai suoi disce-poli o seguaci, tra cui Tang Yin e Qiu Ying; si trattò diveri e propri eclettici, operanti in tutti i generi. Il secon-do gruppo, dalle tendenze piú nettamente arcaicizzanti (lesue fonti risalgono fino alle Sei Dinastie), raccoglie pittori

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di personaggi; i piú celebri furono Chen Hongshu e DingYunpeng. (ol).

EcouenMusée national de la Renaissance Il castello di E (Val-d’Oise), costruito dal connestabile Anne de Montmorency(1493-1567) tra il 1535 e 1540, venne completato nel1555 ca. con la partecipazione di Charles Billart e dell’ar-chitetto Jean Bullant, che impose uno stile severo diretta-mente ispirato ai modelli antichi. La decorazione interna,di grande ricchezza, è quasi interamente scomparsa. Lacappella dalla volta dipinta a motivi araldici, era ornata inorigine dalla Pietà di Rosso (Parigi, Louvre) e dall’Adora-zione dei pastori di Jean de Gourmont (ivi). Al piano terre-no e al primo piano sussistono i camini dipinti, esempiounico in Francia, i cui temi, di ispirazione religiosa, sonocircondati da cornici nello stile di Fontainebleau, a imita-zione di stucchi e di cuoi. I dipinti mostrano l’influsso diRosso e del Primaticcio e sono probabilmente dovuti adartisti della loro cerchia, alcuni forse di nazionalità fran-cese come riteneva L. Dimier. Su una quietanza si è ri-scontrato il nome di Jacques Patin alla data 1561, ma nonsi sa quale ne fosse esattamente il ruolo. Un disegno diNicolò dell’Abate al Louvre, con l’arme del connestabile,si riconduce forse ad una parte della decorazione che sa-rebbe oggi scomparsa.Il castello è oggi divenuto museo del Rinascimento france-se, raccogliendo le collezioni di tale epoca un tempo con-servate al museo di Cluny, e opere eseguite per il castello,in particolare piastrelle di pavimenti in ceramica di Mas-séot Abaquesne. (sb).

EcuadorQuito, ultima capitale degli Incas e oggi dell’E, dovetteessere uno dei piú precoci centri della pittura sudamerica-na; l’attività non ebbe mai rallentamenti fino alla finedell’epoca coloniale.XVI secolo Sin dal 1534 il francescano fiammingo J. Jo-doko Ricke aveva fondato a San Francisco di Quito unascuola d’arti e mestieri destinata alla formazione di artistiindigeni confrontabile per importanza col celebre collegiodi San José de Los Naturales a Città di Messico; un mo-naco originario di Lovanio, F. Gonzalo Gosseal, vi formòtutto un gruppo di pittori e di miniatori. L’influsso delle

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incisioni fiamminghe e tedesche fu evidente a Quito forsepiú che in qualsiasi altro paese. Sin dalla fine del xvi sec.spiccano alcuni nomi di pittori, in primo luogo quello deldomenicano F. Pedro Bedon, che, dopo un soggiorno didieci anni (1576-85) a Lima, ove fu allievo di BernardoBitti, tornò a Quito restandovi fino alla morte nel 1641;la sua Vergine del rosario di San Domingo, di un soave ma-nierismo, è opera molto apprezzabile anche se non moltopersonale. Un’atmosfera locale si coglie nel curioso qua-dro, firmato da Adrian Sanchez Galque nel 1599 (Ma-drid, Museo de America), che rappresenta tre meticci diQuito in costumi spagnoli.XVII secolo Domina il Seicento ecuadoriano la figura delpittore meticcio Miguel de Santiago. Pittore prediletto eprolifico dei conventi di Quito, specialmente degli agosti-niani, si rivela narratore gradevole nella sua Vita disant’Agostino e di san Tommaso di Villanova (Quito chio-stro di Sant’Agostino), e abile regista di grandi composi-zioni: la Regola di sant’Agostino (chiesa di Sant’Agostino)comprende non meno di ottanta personaggi. Appare nellesue Vergini, utilizzato con intelligenza, l’influsso del Mu-rillo; particolarmente nella Vergine dell’eucaristia (1680:Quito, San Francesco). Nicolas de Goribar, suo nipote eallievo, lo proseguí degnamente con cicli di grandi figuresolenni (Re di Giuda in San Domingo, e soprattutto i se-dici Profeti che decorano i pilastri della chiesa della Com-pagnia). Ispirate ad incisioni manieriste italiane, tali figu-re eroiche sono di una qualità pittorica eccezionale in Su-damerica, al punto che taluni critici come il marchese diLozoya le giudicano incomparabilmente superiori ad altreopere dell’artista e le attribuiscono a Zurbarán: il che ap-pare quanto meno dubbio.XVIII secolo Viene proseguita onorevolmente la tradizio-ne, con una ripresa dell’imitazione di figure europee: lestampe bibliche dai bavaresi Joseph e Johann Klauber(1748) sembra riscuctessero un successo particolarmentevivo. Pittori come Antonio Astudillo (Vita di san PietroNolasco al Téjar), come i fratelli Vicente e FranciscoAlban (tra il 1747 e il 1790), come Manuel Samaniego,piacciono per la vivacità dei colori e il fascino dei paesag-gi. La prova della vitalità della scuola di Quito è che inquesto periodo essa esporta pitture in altre regioni suda-mericane, particolarmente in Colombia. (pg).

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Edelfelt, Albert Gustav(Porvoo 1854 - Haikko 1905). È il piú importante espo-nente della scuola realista finlandese di Parigi. Si formòintorno al 1870 ad Anversa e si trasferí a Parigi nel 1874.Con i compagni Bastien-Lepage e Dagnan-Bouveret subí(1878) l’influsso del manifesto dell’Assommoir di Zola. Isuoi primi successi negli ambienti parigini furono dovutiai ritratti (Pasteur, 1886: Parigi, Institut Pasteur). Qual-che tempo dopo, la pittura all’aperto e l’influsso dell’im-pressionismo comparvero piú nei piccoli schizzi che nellegrandi tele (Giardino del Lussemburgo, 1887: oggi a Hel-sinki). Intorno al 1890 E fu influenzato dal romanticismoreligioso (Cristo e la Maddalena, 1891: ivi) e da un rinno-vato interesse per la decorazione murale; l’Inaugurazionedell’Accademia di Turku, eseguita per l’università di Hel-sinki, è andata distrutta nel 1944. E è ben rappresentatoin musei di Helsinki e di Göteborg. (ssk).

Edelinck, Gérard(Anversa 1640 - Parigi 1707). Formatosi ad Anversa pres-so Galle il Giovane, fu a Parigi sin dal 1666. Sposò la ni-pote di Nanteuil, diresse un laboratorio ai Gobelins e ri-produsse a bulino, con precisione mirabile, parecchi di-pinti contemporanei, specialmente di Le Brun (la Famigliadi Dario ai piedi di Alessandro) e di ritrattisti come Largil-lière e Rigaud. La sua opera incisa (339 pezzi) contienenumerosi ritratti dei grandi personaggi e delle celebritàdel suo tempo (Philippe de Champaigne, 1676). (as).

edenNella pittura giapponese, rotoli illustrati di «biografie perimmagini» di santi, diffuse in epoca Kamakura (xii-xiv

sec.). I piú importanti sono lo Ho-nensho-nin e l’Ippensho-nineden; il Kegonshu- so-shi eden è piú noto col nome diKegon’engi. (ol).

EdimburgoNational Gallery of Scotland Museo scozzese fondato nel1850 per ospitare la National Gallery e la Royal ScottishAcademy, e aperto nel 1859. La Royal Institution com-prendeva una collezione di quadri di maestri antichi fiam-minghi e italiani, di cui i piú celebri erano: tre Van Dyckdel periodo genovese (Nobile italiano, la Famiglia Lomelli-

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ni, San Sebastiano) e Mosè salvato dalle acque di G. B. Tie-polo; una collezione di pitture contemporanee apparte-nente alla Royal Scottish Academy (William Dyce, DavidScott, Wilkie); tele olandesi, in particolare Rive del fiumedi Ruisdael, donato da Sir James Erskine of Torrie. Nonsi ebbero fondi destinati a nuovi acquisti prima della rior-ganizzazione dell’amministrazione, decisa dal NationalGalleries of Scotland Act nel 1906; la Scottish NationalPortrait Gallery venne allora collocata in un edificio di-stinto, e la Royal Scottish Academy dispose di nuovi loca-li (ove nel contempo erano esposte la raccolta di dipinti ela collezione di disegni antichi lasciata in testamento nel1879 da David Laing).Il museo contiene oggi una collezione assai rappresentati-va di pittura scozzese (Ramsay: G. Bristow, la Moglie delpittore, John Wanchope, Flora Macdonald, Mrs DanielCunyngham; e soprattutto Raeburn: Mrs G. Kinnear, il Te-nente colonnello Lyon, Mrs Kennedy of Dunure, RobertWalker mentre pattina, Lord Newton, Autoritratto), nonchéun nucleo piú ridotto, ma di qualità notevole, riguardantealtre scuole. Citiamo in particolare la Vecchia che cuoce leuova di Velázquez, Hendrickje Stoffels di Rembrandt, ilCristo nella casa di Marta e Maria di Vermeer, Feste vene-ziane di Watteau, Vaso di fiori di Chardin, Diego Martellidi Degas, Visione dopo il sermone e Tre tahitiane di Gau-guin, Mrs Graham e Mrs Hamilton Nisbet di Gainsborou-gh, Somer Hill di Turner, Dedham Vale di Constable.Sono state recentemente acquisite opere del Cinquecentoitaliano (Giulio Romano, Lotto, Tintoretto), del xvii sec.olandese (Hobbema, L’interno della chiesa di San Bavonedi Haarlem, 1648, di Saenredam), quadri storici di GavinHamilton e Benjamin West. Il museo ospita pure unaserie di capolavori prestati dal duca di Sutherland: la Ma-donna Bridgewater e la Sacra Famiglia della palma di Raf-faello, le Tre età dell’uomo, Diana e Callisto e Diana e At-teone di Tiziano, un Autoritratto di Rembrandt, cinquedei sette Sacramenti dipinti da Poussin per Chantelou.Espone inoltre il grande Polittico della Trinità di VanGoes, prestato dalla regina d’Inghilterra. Nel 1861 LadyMurray lasciò al museo una collezione di disegni di anti-chi maestri, e disegni di Ramsay; e nel 1901 Henri Vau-gham donò una collezione di acquerelli di Turner. Il riccoGabinetto dei disegni ha sede in uno specifico edificio(Ainslie Place). (jh).

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Edlinger, Josef Georg von(Graz 1741 - Monaco 1819). Dopo aver viaggiato in Ger-mania, nel 1770 si stabilí a Monaco, facendosi assai pre-sto un nome come ritrattista di corte. Il Ritratto del contedi Haimhausen (Darmstadt, Museo dell’Assia) rivela un at-tento studio psicologico del modello ottenuto medianteuna fattura ampia, pur rispettando le convenzioni di que-sto genere aristocratico. Ma l’artista produsse prestoopere di completa originalità, a cui giunse attraverso isuoi instancabili studi dal vero e la sua conoscenza deipittori olandesi, in particolare Hals e Rembrandt. L’acu-tezza dell’osservazione, il senso del colore, il tocco nervo-so che scava il viso, conferiscono alla Testa di vecchio(oggi ad Augsburg) una forza espressiva poco comune inun’epoca in cui domina il neoclassicismo. (jhm).

EdoAntico nome di Tokyo, designa inoltre il periodo deiTokugawa. (sr).

Eeckhout, Albert(Groninga? 1607-12 - 1665 ca.). Fu, con Post, tra i mi-gliori pittori che il principe Giovanni Maurizio di Nassau,detto «Maurizio il Brasiliano», condusse con sé durante ilsuo governatorato in Brasile (1637-44). Nel 1645 è citatoa Groninga, poi abita ad Amersfoort. Dal 1653 al 1663ca. lo si trova come pittore di corte presso il principe elet-tore di Sassonia a Dresda. Nel 1664 è segnalato di nuovoa Groninga. Dopo aver forse subito l’influsso di Jacobvan Campen, come si può dedurre dalle grandi naturemorte di quest’ultimo allo Huis ten Bosch dell’Aja, E di-venne, al seguito del principe Maurizio, specialista di sto-ria naturale: le Due tartarughe, schizzo a olio su carta(L’Aja, Mauritshuis). Una sorta di sensibilità naïve per ildocumento etnografico, sorprendente per l’epoca al puntoda far pensare all’esotismo fantastico del doganiere Rous-seau, rende particolarmente impressionante la serie deigrandi ritratti di indigeni brasiliani conservati a Copenha-gen (nm) grazie al dono del principe Giovanni Maurizio are Federico III di Danimarca nel 1654 (una parte di taliopere spetta al pittore zelandese Beckx, 1643). Quanto aiquadri di E donati da Maurizio a Luigi XIV nel 1679 –contemporaneamente a quelli di Post –, essi servirono ai

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Gobelins da cartoni per il famoso arazzo delle Indie tessu-to nel 1689-90, che doveva riscuotere immenso successo;questi ultimi dipinti di E sono purtroppo scomparsi, men-tre i quattro notevoli volumi di schizzi disegnati compo-nenti un Theatrum rerum naturalium Brasiliae, che si crede-vano perduti, sono stati ritrovati a Cracovia (Bibl. Jagel-lon) e consentono di farsi un’idea del disegnatore e deisuoi studi di indi nudi, che ricordano la maniera di Flincko Backer e che rinviano alla bottega di Lambert Jacobsz,ove appunto Flinck e Backer esordirono, e che forse lostesso E conobbe. (jf).

Eeckhout, Gerbrand van den(Amsterdam 1621-74). Allievo di Rembrandt tra il 1635 eil 1645 e, secondo Houbraken, tra i suoi migliori amici (Ilsogno di Giacobbe (1669: conservato a Dresda) è stato at-tribuito allo stesso Rembrandt) manifesta una profonda eintelligente comprensione dell’arte del maestro – ancorabarocca verso gli anni ’40 del secolo – nei suoi numerosidipinti religiosi, come il Calvario di Avignone, Isacco chebenedice Giacobbe (1642: New York, mma), Giuseppementre interpreta i sogni (1643: Greenville, Bob Jones Uni-versity), l’Ultima cena (1664: Amsterdam, Rijksmuseum),o Pietro che guarisce il paralitico (1667: San Francisco, DeYoung Memorial Museum) e in alcuni disegni di libera evigorosa fattura, che meritano attenzione. Di pari valoresono i suoi ritratti, sia ancora rembrandtiani come il Ri-tratto di Jan Pietersz van den Eeckhout (1644: Grenoble,mba), sia dignitosi e pomposi al modo di Van der Helst,di Tempel e della generazione barocca degli anni ’50, peresempio nel Governatore delle Indie orientali (1669: ivi).Infine, E si esercitò anche nella pittura di genere alla ma-niera di Pieter de Hooch, Ter Borch e Ochtervelt, comeattesta il Corpo di guardia (1654) conservato a Strasburgo,e nella pittura di storia (la Continenza di Scipione, 1669:Lilla, Palais des Beaux-Arts). Fu anche notevole disegna-tore (Paesaggio italiano, 1643: Bruxelles, mrba). (jf).

Egedius, Halfdan(Drammen 1877 - Oslo 1899). Ebbe il primo successo asedici anni con Sera di sabato (Oslo ng), ispirata alla natu-ra e al folklore pittoresco del Telemark, come i dipintisuccessivi: il Sognatore (1895: ivi), e Gioco e danza (ivi).Pittore sensibile e affascinante delle feste contadine not-

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turne, E, come Erik Werenskiold e Gerhard Munthe, fuillustratore delle saghe norvegesi. Morí giovanissimo. (lø).

Egg, Augustus Leopold(Londra 1816 - Algeri 1863). Appartenne alla cerchia diFrith e di Dickens; si specializzò in scene aneddotiche. Lasua opera è caratterizzata da un sentimento di tristezzapoco comune in tale genere in epoca vittoriana. L’influssodei preraffaelliti accentuò la tendenza moraleggiante dellasua arte, come rivela la trilogia della Tate Gallery a Lon-dra: Passato e presente 1858. (wv).

Egger, Hans (Jean)(Hüttenberg (Corinzia) 1897 - Klagenfurt 1937). Fre-quentò l’accademia di Monaco dal 1918 al 1922 e dal1925 al 1930 soggiornò a Parigi, dove espose regolarmen-te al Salon des Tuileries e alla Gal. Sloden. Come dimo-strano un’opera giovanile che fa pensare a Richard Gerstl,Casa in campagna (Vienna, Museo del xx secolo), e il Pae-saggio con campanile (Vienna, ög), E si inserisce nella cor-rente dell’espressionismo austriaco. A Parigi acquistò unafattura elegante e leggera, mentre il viaggio che effettuòin Scandinavia nel 1930 gli diede l’occasione di confron-tarsi con la pittura di Munch. (jmu).

Egger-Lienz, Albin(Striebach (Lienz, Tirolo) 1868 - Rentsch (Bolzano)1926). Frequentò l’accademia di Monaco dal 1884 al1893; dal 1899 al 1911 visse a Vienna. Insegnò pressol’accademia di Weimar nel 1912-13; tornò poi nella regio-ne natale, dove restò fino alla morte. Dipinse soprattuttoi paesaggi del Tirolo, rappresentandone la vita e la lottaper la libertò, con uno stile aneddotico, ispirato da unaparte alla pittura monacense di genere e di storia,dall’altra a quella del suo compatriota Defregger. Dal1905 ca. subí l’influsso di Hodler; quattro anni dopo siorientò verso una fattura piú densa, che si apparentaall’espressionismo. La Danza macabra del 1809 (Der Toten-tanz Anno Neun, 1906-1908: Vienna, ög) segna una tran-sizione. E-L dipinge ormai, a grandi tratti, la vita rustica;i contadini simboleggiano le varie tappe e situazioni dellavita. Il suo talento si esprime con maggior veemenza so-prattutto nelle scene di guerra (gli Anonimi, 1916: Vien-

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na, Museo dell’esercito) e in allegorie moderne (Primigiorni di primavera; La vita, 1915: castello di Bruck, Ostti-roler Heimatmuseum; Resurrezione, 1924: conservato aInnsbruck). Piú pittoresco lo stile delle opere successive al1922 (Benedicite, 1928: Vienna, ög). Tempesta, il Sacrificioper i morti, il Resuscitato sono i titoli degli affreschi chel’artista eseguí a Lienz nel 1925 per la cappella comme-morativa della grande guerra. (jmu).

EginaA circa cinquecento metri da E, località principaledell’omonima isola dell’arcipelago greco di fronte al Pireo,venne costruita nel 1282 l’Omorphi Ecclesia («chiesabella»). L’edificio dedicato ai santi di nome Teodoro,venne decorato con affreschi successivi, alcuni dei qualituttora in buono stato. I dipinti, datati 1289, si riallaccia-no alla tradizione dell’arte monastica e popolare del xii

sec., della quale si hanno numerosi esempi nelle isole gre-che dell’Egeo e nelle città costiere del Peloponneso edell’Attica. Presentano pure elementi comuni con la pittu-ra cappadoce. La Vergine in trono tra due angeli e la seriedei vescovi adornano l’abside. Sull’arco trionfale il tronodell’Etimasia, inquadrato da angeli entro medaglioni, se-para le due figure dell’Annunciazione. Le scene evangeli-che, dipinte sulle volte, comprendono solo pochi perso-naggi, rappresentati in atteggiamento rigido e in stile li-neare. (sdn).

EgittoPreistoria I graffiti rupestri eseguiti in epoca preistorica,e quelli attribuibili a questo periodo, sono numerosi es’incontrano principalmente tra Luxor e la seconda casca-ta o nel Gebel ‘Uwayna-t, all’estremità sud-ovest. I segnisono profondamente incisi o picchiettati. I piú antichi, distile naturalistico, rappresentano giraffe o struzzi; quellirappresentanti buoi dalle lunghe corna, elefanti, cammelli,appartengono a una fase piú recente, neolitica e forse pre-dinastica. Compare in seguito una tendenza verso la stiliz-zazione e il geometrismo. H. A. Winkler, che ha studiatole incisioni del wa-dı- Hammamat tra il Nilo e il MarRosso, ne distingue quattro gruppi: le piú antiche, operadei primi cacciatori, sono rozze e senza traccia di influen-ze neolitiche, gli abitanti delle montagne incidono in se-guito barche dallo scafo centinato e soggetti che hanno

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grandi somiglianze con le raffigurazioni libiche; un grup-po di barche con prora e poppa verticali sembra essereopera di un popolo invasore proveniente dall’Est attraver-so il Mar Rosso; le incisioni piú recenti, spesso martellate,rappresentano uomini assai stilizzati armati di un grandearco rotondo. (yt).Epoca faraonica La pittura dell’antico E comprendecampi assai diversi. Vasi in terracotta vennero decorati,fin da epoca preistorica, con disegni geometrici: barche,animali e personaggi umani stilizzati. La pittura su vasinon scompare dalla tradizione faraonica: durante ilNuovo Regno, ad esempio, il collo delle giare è talvoltaornato da ghirlande floreali; piú raramente, la pancia dellagiara reca la figura di un cavallo al galoppo o di altri ani-mali. Il libro illustrato è verosimilmente invenzione egi-zia: un certo numero di rotoli di papiro sono ornati conimmagini rappresentanti scene talvolta profane, talvoltareligiose. La piú celebre di tali opere è il Libro dei morti.Si tracciavano schizzi su schegge di calcare o su cocci divasellame (ostraca). Le bare e i sarcofaghi si prestavano auna decorazione pittorica ispirata al Libro dei morti. Inepoca romana, la maschera in cartone o in gesso, con cuisi copriva il volto della mummia, viene sostituita da un ri-tratto dal vero dipinto su una tavoletta di legno legata alcorpo mediante bende. La categoria piú importante è pe-raltro costituita dalle pitture murali cui possono aggiun-gersi i rari pavimenti dipinti giunti sino a noi, scoperti nelpalazzo di Tell al-‘Ama-rna e trasferiti in museo al Cairo.Templi, tombe reali e private, palazzi e case erano ricca-mente ornati. Gli edifici civili, in mattone crudo, nonhanno resistito al tempo: i rari esempi di decorazione con-servati (appartenenti all’epoca di Akhnaton (1360 ca. a.C.) sono in cattivo stato. Le pareti dei templi erano scol-pite con bassorilievi ravvivati a pittura, procedimentoquesto impiegato anche nelle tombe, nei mastaba dell’An-tico Regno e negli ipogei di tutti i periodi. Capita tuttaviache la pittura non sia semplicemente una coloritura, maanche un complemento della scultura. Cosí, in un medesi-mo quadro, taluni dettagli sono insieme scolpiti e dipinti,mentre altri sono solamente dipinti, sia per motivi simbo-lici, sia per ottenere un effetto di lontananza o di traspa-renza. Uno studio approfondito della pittura egizia esigela conoscenza dei numerosi ipogei scavati nelle montagneche circondano la valle del Nilo per un migliaio di chilo-

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metri. Tra gli esempi di pittura appartenenti all’AnticoRegno, si possono citare quelli dei mastaba o degli ipogeidella necropoli memfita, particolarmente a S. aqqara- eMeydu-m, ma i luoghi piú celebri sono Benı- H. asan e Meirper il Medio Regno, Tebe per il Nuovo Regno. Inquest’ultima località i faraoni venivano inumati nella fa-mosa Valle dei Re, mentre i notabili avevano le loro cap-pelle funerarie e le loro tombe al di qua delle falesie diDeir al-Bah. rı- e di Deir al-Medı-na. Un artista dell’AnticoRegno inventò una tecnica che non ebbe futuro: incrosta-re nella pietra impasti di colore che davano un’illusione dipittura. Il procedimento, unico nel suo genere, si trovasulla facciata della tomba di un figlio di Snefr, Neferma-t.Il metodo tradizionale risale ad epoca predinastica, comeci dimostra un frammento scoperto a Hierakonpolis, at-tualmente conservato al museo del Cairo. Consisteva neldipingere la parete disegnando sia direttamente sul calca-re, se liscio, sia su una sottile preparazione di stucco so-stenuto da un impasto di argilla e paglia coprente la pare-te mal squadrata, sia ancora su questo medesimo impasto,prima coperto da una tinta bianca o da una gialla comefondo per le raffigurazioni, sia, infine, su uno strato digesso leggermente inciso. Cronologicamente, il calcare di-pinto risale al Medio Regno (particolarmente a Benı-H. asan) e all’inizio della XVIII dinastia a Tebe, il procedi-mento basato sullo stucco si generalizza dalla metà di taledinastia, l’impasto dipinto in argilla e paglia appartieneessenzialmente all’epoca ramesside (XIX e XX dinastia);il gesso leggermente modellato e ravvivato con pittura èstato di solito impiegato nelle tombe reali di questo perio-do, particolarmente in quella della regina Nefertiti. Unavolta preparata la parete, l’artista tracciava linee orizzon-tali per separare i registri, e per ciascuno di essi – ricor-rendo, ove necessario, ad articolazioni fissate in base a uncanone convenzionale – abbozzava i suoi dipinti. Distac-cava i personaggi e gli altri elementi della scena dipingen-do subito il fondo (grigio-blu, bianco o giallo a secondadelle varie epoche). Quando affrontava la figura umana, aquanto sembra cominåava col dipingere le carni: colorocra rosso piú o meno intenso per gli uomini, giallo, rosao bruno pallido (colore della pelle abbronzata) per ledonne. Le vesti venivano rese, a seconda del loro grado ditrasparenza o di opacità, mediante uno o piú strati dibianco; i gioielli multicolori venivano rappresentati come

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insieme prima di essere dettagliati; l’acconciatura eraspesso riservata alla fase finale. Man mano che l’esecuzio-ne procedeva l’abbozzo iniziale diveniva gradatamentemeno netto; il pittore circondava allora l’opera con unnuovo contorno tracciato a pennello rosso o, piú di rado,nero. Durante l’Antico Regno si potevano avere una o piúscene diverse su uno solo dei registri; a partire dal MedioRegno, la composizione procede per sovrapposizione egiustapposizione, costituendo una specie d’interminabileprocessione su diversi registri, la cui lettura logica avvienedal basso verso l’alto. L’altezza media dei registri variatra i trenta e i quaranta centimetri. Rare le figure che rag-giungono quella di un metro e mezzo, poiché le piccole di-mensioni delle tombe non avrebbero consentito composi-zioni di grandi dimensioni, quali s’incontrano negli im-mensi ipogei reali. Dal punto di vista estetico d’altronde,per restare nello spirito egizio, occorre isolare ogni dipin-to e analizzarlo senza preoccuparsi del contesto. La tavo-lozza dell’artista faraonico è semplicissima; il procedimen-to è quello della tempera. Trovava i coloranti in natura.Dominano gli ocra: rosso, giallo e marrone piú o meno di-luiti; secondo viene il bianco di calce, seguito dall’azzurroe dal verde, anch’essi frequenti e ottenuti partendo dauna mistura la cui base è un composto di rame; il nero,fatto di fuliggine, aderiva male alla parete, e perciò, incerti punti è completamente scomparso. Le tre categoriedi temi trattati e sviluppati dai pittori dell’epoca faraoni-ca sono le scene religiose ed infernali, i vari episodi delculto funerario e i molteplici aspetti della vita quotidiana.L’immaginazione dei teologi, e di conseguenza degli arti-sti, si è concessa piena libertà nella rappresentazionedell’aldilà. Le tombe della Valle dei Re e alcuni ipogei diepoca tarda sono ricchi d’illustrazioni di quanto potrem-mo definire «discesa agl’inferi». Tali raffigurazioni dove-vano consentire al re defunto di seguire il circuito nottur-no del dio-sole Re- ‘ navigando sul suo battello per milionidi anni. Esse si ispirano a molti libri, i cui originali su pa-piro sono scomparsi, le piú importanti fra tali opere sonoil Libro delle porte, il Libro di quel che c’è nell’aldilà e ilLibro delle caverne. Per dare maggiormente l’illusione dipapiri srotolati sulle pareti, i pittori dell’inizio dellaXVIII dinastia si sono accontentati di disegni schematici,che dànno l’impressione di schizzi pro-memoria. Tale è inparticolare il caso nelle tombe di Tutmosi III e di Ameno-

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fi II. Il Libro dei morti è anch’esso riprodotto a grandescala, almeno parzialmente, nelle tombe dell’epoca rames-side, particolarmente quelle della regina Nefertiti e dei la-voratori della necropoli tebana sepolti a Deir al-Medı-na.Durante la XVIII e la XIX dinastia, età d’oro della pittu-ra egizia, le tombe dette «dei notabili» non comportanoscene cosmogoniche o infernali, ma piuttosto aspetti delculto dei morti. Per discrezione, non vengono quasi mairaffigurate l’imbalsamazione e la deposizione nella tomba;le cerimonie rituali sono invece rappresentate abbondan-temente. La prima fra tali manifestazioni è il pellegrinag-gio post mortem al santuario di Osiride ad Abido, pellegri-naggio che deve garantire ai defunti il favore del signoredell’aldilà. Compiuto questo sacro dovere, si procede allatraslazione del corpo dalla città dei vivi, posta sulla rivadestra del Nilo, a quella dei morti, scavata nelle montagnedella riva sinistra. Numerose imbarcazioni trasportano ilcorteo funebre: alla loro testa una barca contiene il cata-falco; seguono i battelli ove hanno preso posto sacerdoti,prefiche, membri della famiglia ed amici, e poi quelli ovesono state accatastate le suppellettili funerarie e le offer-te. Giunti al sepolcro, i sacerdoti funerari fanno innalzaredinanzi alla porta la bara antropomorfa e una statua deldefunto, onde assolvere a un rito detto «apertura dellabocca», gesto simbolico di apertura degli organi di senso.Il tutto è accompagnato da libagioni, fumigazioni e la-mentazioni. Calata la mummia nella tomba, si consacranole offerte alimentari e floreali e ci si mette a tavola per unpasto funebre in segno di comunione col defunto. Ispiran-dosi al Libro dei morti, talvolta i pittori hanno rappresen-tato l’importante episodio del giudizio di Osiride e, piúraramente, l’accesso ai campi di Ialu, soggiorno dei beati:paese simile all’Egitto, dove crescono il grano e il lino, lepalme da datteri e i cespugli fioriti, e dove scorre unfiume celeste disseminato di isole. Quel che conferiscealle pitture egizie il loro fascino incomparabile sono lescene tratte dalla vita quotidiana. Libero dalle convenzio-ni imposte dalle esigenze teologiche o liturgiche, l’artistasi vale dell’osservazione diretta e introduce nella propriaopera dettagli pittoreschi, ove esprime la sua personalità eil suo talento. Cosí il banchetto funebre assumerà l’aspet-to di un festino vero e proprio innaffiato di vino e dibirra e rallegrato da musica e danze; i convitati, pur diaspetto ieratico, diventeranno, secondo un’espressione di

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Flaubert, «borghesi in cimbali». I lavori dei campi, la cuimissione è procurare al defunto pane e vesti per l’eter-nità, verranno descritti con una vivacità che farà dimenti-care allo spettatore di trovarsi in una cappella funeraria.Le scene di lavoro artigiano ci rivelano in modo evidentela sorte della classe lavoratrice. Se per avventura vengonorappresentati tributari stranieri al cospetto del faraone, itratti etnici sono annotati in modo eccellente. Quanto aglianimali, particolarmente nelle scene di caccia e di pesca,essi sono di un’esattezza che determina oggi tanto la gioiadegli zoologi, quanto l’ammirazione degli appassionatid’arte. La storia dell’E faraonico copre tre millenni. Senumerose testimonianze di architettura e scultura ci per-mettono di analizzarne l’evoluzione, per quanto riguardala pittura, le lacune esistenti ci costringono a trattare ab-bondantemente alcuni periodi e a passarne altri sotto si-lenzio. Durante i due secoli della XVIII dinastia, adesempio, possiamo segmre le tendenze dell’arte pittoricaquasi di generazione in generazione, mentre per i milleanni che separano il Nuovo Regno dalla conquista romananon ne possediamo che rari esempi.L’Antico Regno (2800-2400 ca. a. C.) Poiché l’AnticoRegno è poco rappresentato, bisogna volgersi ai bassorilie-vi per definirne lo stile pittorico. Gli Egizi consideravanoquesto periodo come la loro età dell’oro. Ogni volta che lebotteghe riprendevano la loro attività dopo eventi sfavo-revoli al fiorire delle arti, pittori e scultori tornavano perun certo tempo allo stile dell’epoca delle piramidi. Similirinascenze artistiche si sono prodotte tre se non quattrovolte nel corso dei numerosi secoli della storia egizia. Lastabilità politica che si riflette nelle costruzioni monumen-tali, nelle maestose statue dei re, nei rilievi dal fine mo-dellato, caratterizza ugualmente le rare pitture conserva-tesi, dalle linee pure e dai colori sobri, la cui composizio-ne, quasi architettonica per la simmetria delle figure, pos-siede un rigore matematico. Queste qualità sono propriedelle botteghe reali di Memfi, la capitale; gli imitatori diprovincia non raggiunsero mai una simile perfezione. Èvero che i dignitari del regno venivano inumati nella ne-cropoli del faraone; essi non vennero sepolti nelle lorocittà d’origine, come Meir, che verso la fine della VI di-nastia (2400 ca. a. C.), quando il potere centrale si di-sgregò per far posto a un regime feudale.Il Medio Regno (2100-1700 ca. a. C.) Del periodo feuda-

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le seguito all’Antico Regno ci è nota soltanto la tomba diAnkhtifi a Moalla: i goffi disegni che vi si vedono nonforniscono indubbiamente un esempio sufficiente per giu-dicare quest’epoca, che comunque annuncia l’aridità stili-stica dell’XI dinastia (2100-2000 ca. a. C.). Le pitturedella tomba di Iti a el-Gebele-n (trasferite su tela, esse sitrovano oggi a Torino), sono, come quelle della tomba diDjar a Tebe, gli esemplari piú caratteristici di questo stile.Sarà la XII dinastia a riallacciarsi alla tradizione: le tombedei re a Benı- H. asan e quella di Antefoker nella necropolitebana recuperano lo stile del Medio Regno. Si tratta co-munque meno di una copia servile dell’Antico Regno chedi uno sforzo tendente a far rivivere il classicismo. Si puòrilevare una certa durezza nella composizione dei dipinti,un gusto per il ritmo e la simmetria, ma si sente che l’arti-sta non si è ancora completamente liberato dalle conven-zioni: i gesti dei personaggi sono angolosi e anche se rap-presentati in movimento, gli animali appaiono in pose sta-tiche. Quanto ai colori, essi sono purtroppo rovinati aBenı- H. asan, quelli della tomba di Antefoker sono freddi eprivi di sfumature.Il Nuovo Regno (1500-1100 ca. a. C.) Grazie all’abbon-danza e alla varietà dei materiali disponibili, il NuovoRegno ci appare come l’epoca maggiore della pittura egi-zia. Dai regni di Hatshepsut e di Tutmosi III fino allafine della XX dinastia (1500-100 a. C.), gli artisti tebanihanno prodotto senza posa opere di prim’ordine, in unaserie ininterrotta che consente, meglio che per qualsiasialtro momento della storia faraonica, di studiare l’evolver-si dello stile di generazione in generazione. Nella pitturadel Nuovo Regno sono trattati tutti i generi cari agli anti-chi; si ha inoltre il vantaggio che essi si concentrano nellanecropoli di Tebe, capitale dei faraoni fin dall’XI dina-stia.La XVIII dinastia Sia l’arte di Tutmosi III, il cui regnocopre la prima metà del xv sec. a. C., sia quella del primoinizio della XVIII dinastia mantengono affinità con glistili dell’Antico e del Medio Regno, per la severità dell’as-setto, per una certa rigidezza dei movimenti, per la curadella simmetria compositiva e per l’impiego di colori spic-cati e opachi su fondo azzurro cielo. Sotto Amenofi II(1448-1422 a. C.), figlio di Tutmosi III, e sotto TutmosiIV (1422-1411 a. C.), i gesti si fanno piú morbidi e aggra-ziati, le scene sono composte con maggiore libertà e fanta-

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sia, i colori sono piú sfumati, piú leggeri e talvolta traspa-renti, lo sfondo assume una tonalità neutra, il grigio-blu.La sintesi di queste diverse formule si colloca nell’epocadi Amenofi III (1411-1375 a. C.): le opere migliori sonodi una purezza che volentieri si vorrebbe definire classica,fatta di sobrietà e di riserbo. Questa delicatezza comparepure nella scelta e nella gradazione dei toni, che si armo-nizzano meglio col bianco, sempre piú adottato per glisfondi. Il regno di Amenofi IV - Akhnaton (1375-1385 a.C.) costituisce una frattura le cui conseguenze verrannoavvertite solo piú tardi, sotto i Ramessidi. Durante ilregno di Tutankhamon (1350 a. C.), nell’intento di tem-perare gli eccessi dello stile «amarniano» di Amenofi IV,nacque un’arte manierata e seducente; ma il suo ruolo fueffimero. Per converso il trapasso dalla XVIII alla XLXdinastia, che stilisticamente possiamo collocare verso laseconda metà del xiv sec. a. C., è contrassegnato da unadoppia tendenza: reazionaria, dunque accademica, da unlato; originale, al punto da preannunciare lo stile pittore-sco di taluni pittori ramessidi, dall’altro.La XIX dinastia dei Ramessidi L’era dei Ramessidi fuassai lunga: occupò il xiii e il xii sec. a. C. È un periodoche si tende a disprezzare, in quanto prelude alla deca-denza. Le opere migliori sono spesso un miscuglio di vir-tuosismo e di trascuratezza; accanto a pezzi di stile ancoratradizionale, numerosi personaggi presentano il craniooblungo e rasato del tipo caro all’epoca amarniana diAmenofi IV, con le braccia magre e gesticolanti, le gambesottili e di sproporzionata lunghezza, le vesti ampie e tal-volta agitate, le collane e gli altri gioielli di un lusso sfar-zoso. Nell’intento di animare ad ogni costo le propriecomposizioni, il pittore della XIX dinastia moltiplica idettagli aneddotici e perde in grandezza quanto acquistain originalità; lo schizzo prende ormai il sopravvento sullaqualità propriamente pittorica delle scene. Questa scarsacura e questa scarsa misura si manifestano pure nella pre-parazione delle pareti, con semplice impasto di argilla epaglia spennellato di bianco o di giallo; e la moda deifondi gialli, generalizzandosi, comporta per compensazio-ne l’impiego di colori vivaci. Occorre assegnare, entroquest’arte ramesside, un posto particolare alle tombe deilavoratori della necropoli, raccolte a Deir al-Medı-na. Lepitture, eseguite piú affrettatamente (tanto da essere tal-volta monocrome) rispetto alle cappelle funerarie dei no-

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tabili della medesima epoca, si distinguono però per fre-schezza d’ispirazione e spontanea vivacità. Per quantoschematica, questa rapida rassegna dimostra che la pitturaegizia ha conosciuto le tre fasi di una classica evoluzione:formazione, apogeo e declino. L’apogeo si collocaall’epoca della XVIII dinastia. Conformista agli inizi, lapittura egizia del Nuovo Regno tende ad affrancarsi dalleregole arcaiche, diviene piú morbida e aggraziata, infinetrova il suo nuovo canone, che senza ritornare alla seve-rità vigorosa dell’«età dell’oro», possiede un’elegante so-brietà, in cui si coglie un ragionato senso dell’equilibrio.Poi, si espande bruscamente in una crisi di lirismo, chepresto degenera in formule ripetitive fino a sprofondarenel piú freddo accademismo.La bassa epoca Alcuni studiosi raccolgono nella bassaepoca le dinastie dalla XXI alla XXIV (1100-700 ca. a.C.), che in realtà costituiscono l’epoca detta «libica», o«terzo periodo intermedio» successivo all’era dei Rames-sidi. Si preferisce però riservare la denominazione allafase delle ultime dinastie faraoniche: la XXV (etiopica), laXXVI (saitica), la XXVII (persiana), la XXVIII, XXIX eXXX (indigene), che segnano la fine dell’indipendenzaegizia prima della conquista di Alessandro Magno. Questoperiodo va dal 700 ca. al 330 a. C. Conosciamo pocol’arte pittorica della bassa epoca. Escludendo le bare di-pinte e i papiri funerari, quasi non resta che una tombasaitica nella necropoli tebana, ove si hanno poche scenedipinte: quella di Pedineith (n. 197), del tempo di Psam-metico II (590 ca. a. C.); ma i resti di dipinti mitologicituttora visibili rivestono scarso interesse, perché non ca-ratterizzano sufficientemente lo stile della XXVI dinastia.La scultura saitica generalmente s’ispira all’arte classicadell’Antico Regno; le pitture di Pedineith imitano invecele tombe reali del Nuovo Regno. Ci si deve spingere finoal regno di Alessandro per cogliere un certo rinnovamentodell’arte e della pittura in E, particolarmente a Ermopoli.(am).Periodo cristiano Nella sua accezione piú vasta, l’E cri-stiano comprende non soltanto la valle del Nilo propria-mente detta, dal Mediterraneo ad Aswa-n (Delta e AltoE), ma anche, a est, i territori compresi tra il Delta e lafrontiera araba, e ad ovest la Libia e la Pentapoli (cioè lecinque città di Cirene, Barca, Arsinoe, Berenice e Apollo-nia). In epoca classica, e fino alla totale islamizzazione, il

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paese è stato dominato da due culture: una, alessandrina,si sviluppava soprattutto nel Delta, mentre l’altra, piú au-toctona, si espandeva nel Medio e Alto E. Questa secon-da è designata col nome di «cultura copta», relativa cioèagli antichi egiziani cristianizzati. Oggi, essi formano unaminoranza di cinque o sei milioni ca. di fedeli, raccoltiprincipalmente a sud di Asyu-t. e sottoposti all’autorità delpatriarca copto di Alessandria, che risiede soprattutto alCairo. Queste due culture hanno concesso ampio spazioalla pittura nella decorazione delle chiese e dei manoscrit-ti. Le testimonianze sono numerose; sfortunatamente, perquanto riguarda gli affreschi, si tratta ormai soltanto diresti che vanno sempre piú degradandosi. L’E copto sem-bra non sia ricorso al mosaico parietale per l’ornamenta-zione dei suoi edifici. La pittura che può chiamarsi «ales-sandrina», di carattere assai spiccatamente ellenistico,consiste anzitutto nelle opere conservate ad Alessandriastessa o nei suoi immediati dintorni. Ma se ne hanno pureesempi molto piú a sud, particolarmente ad Antinoe enell’oasi di el-Kharga, situata nel deserto libico, ove fusempre molto importante l’elemento greco. La Cappelladella Pace e la Cappella dell’Esodo, nella necropoli di Ba-ghawa-t (v-vi sec.), il cui complesso iconografico è comple-tamente conservato, offrono un bell’esempio non soltantodella tecnica e delle norme estetiche seguite, ma anche deitemi utilizzati nella decorazione. Si tratta sempre di temifunerari, come si addice a una necropoli, che vanno messiin rapporto con i dipinti nelle catacombe, tanto frequentinell’èra cristiana, particolarmente a Roma e a Napoli. Nelcampo della decorazione di libri, questa pittura di caratte-re ellenistico si ritrova nelle illustrazioni di un’enormeopera a carattere teologico, storico e scientifico: la Topo-grafia cristiana scritta da Cosma Indicopleuste, viaggiatorealessandrino. Tre manoscritti tardi ce ne conservano iltesto e le immagini; in essi la critica è concorde nel rico-noscere copie dall’originale dell’autore. L’ornamentazioneè varia: oltre ai ritratti, scene di carattere storico del Vec-chio e del Nuovo Testamento. La parte piú curiosa sta inuna serie di disegni cosmografici che riallacciano queste il-lustrazioni a quelle che accompagnano alcuni libri scienti-fici dell’antichità classica. Accanto a questa pittura ales-sandrina, che ha superato di poco il vi sec., si è sviluppatala pittura copta, mantenutasi fino ai giorni nostri. Le pro-duzioni attuali ricordano quelle dell’alto medioevo. È una

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pittura popolare nata nelle cerchie monastiche, caratteriz-zata dalla rigidezza e dall’assoluta frontalità, dalla sempli-cità della gamma cromatica (rosso, verde, nero, azzurro, egiallo in sostituzione dell’oro), dalla totale assenza di rilie-vo e di prospettiva, dall’allinearsi di personaggi tozzi, rap-presentati in costumi sempre identici. Gli esempi piú an-tichi si trovano in alcuni fogli di papiro oggi conservati aLeningrado, resti preziosi di una Cronaca alessandrina pre-cedente i primi anni del vii sec. Appartengono ad un’ana-loga ispirazione le illustrazioni di una serie di manoscrittisu pergamena scoperti all’inizio del xx sec. nel conventodi San Michele di al-Fayyu- m e oggi raccolti a New York(pml). Il disegno di tutti questi esemplari, assai rozzo, èquasi privo di valore artistico. Non cosí per i grandi com-plessi monastici di pitture murali rivelati dagli scavi di J.Clédat ad al-Ba-wı-t. (1904) e di H. Quibell a S. aqqara-(1907). Le pareti delle cappelle sia funerarie che di cultodi questi due conventi, detti «dell’Apa Apollo» e«dell’Apa Geremia», sono letteralmente coperte di affre-schi rappresentanti Cristo in trono, santi allineati, Verginiin trono; spesso ricorre l’iconografia della Vergine che al-latta (Virgo lactans), probabilmente perché essa ha sosti-tuito nella pietà cristiana l’immagine, molto diffusa du-rante il paganesimo, di Iside che dà il seno a Oro. Lamaggior parte degli affreschi di questi due conventi è an-data distrutta: alcuni hanno trovato asilo nel Museo coptodel Vecchio Cairo. Lo stile da essi rivelato costituiscel’apporto piú bello dell’arte dal vi all’viii sec. La pitturache s’incontra nei secoli seguenti manifesta un’arte diver-sa, piú vicina a quella bizantina che a quella copta pro-priamente detta. I contatti dei cristiani d’E con le civiltàfatimide ayyubide e poi mamelucca hanno avuto, a partiredall’anno 1000, influssi sulla pittura. Nel xii-xiii sec. nac-que una serie nuova di manoscritti di lusso bilingui(copto-arabo), ornati al modo dei corani di arabeschi scin-tillanti d’oro nei quali s’inscrive, in molteplici forme, lacroce. Accanto a queste decorazioni aniconiche, le scenepiú movimentate sono quelle dedicate alla vita di Cristo:si accostano ad illustrazioni dei manoscritti arabi dellascuola di Mossul e di Baghda-d. Quando è assente il movi-mento, i tratti fisici dei personaggi, l’arredo o la cornicein cui essi sono inscritti si arabizzano, i temi restano cri-stiani, collegati alla tradizione paleocristiana e bizantina,ma ormai affondano nel circostante ambiente della civiltà

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islamica. Gli esemplari piú belli di quest’arte arabo-cri-stiana si trovano oggi a Parigi (bn, copte 13; e Institutcatholique, ms 1). La pittura murale di quest’epoca restainvece fedele alla tradizione monumentale che s’incontraad al-Ba-wı-t. e a S.aqqara- ; ma le opere conservate a Isna- , aSan Simeone nel deserto di Aswa-n, nei monasteri Biancoe Rosso di Sawha- g, nei conventi del wa-dı- an-Nat.ru- n(Abu- Maqar e Deir as-Surya-nı-), manifestano una tale ric-chezza decorativa e una tale ampiezza di concezione chesi può dire che tale pittura appartenga a uno stile nuovo.Tema molto in auge è quello della Majestas Domini, o Cri-sto in maestà, che nella medesima epoca s’impone nellechiese romaniche. Non può escludersi a priori un’influen-za occidentale. Alcune pitture recano firme di artisti ar-meni. (jle).Periodo musulmano La povertà delle vestigia pittorichedell’E musulmano contrasta vivamente con la profusionedi documenti dell’epoca faraonica e rende difficile unostudio complessivo della pittura del paese. Le truppe mu-sulmane del generale ‘Amr Ibn al-‘As, compagno del pro-feta Maometto, sbarcate in E nel 682 impiantarono, se-condo il costume arabo un campo a Fust.a- t., che si tra-sformò a poco a poco in un’importante città e divenne lacapitale dell’E musulmano; ma i primi documenti artisticidi Fust.a- t. risalgono agli inizi del califfato abbaside.Nell’868 l’E si trova sotto il dominio del Tulunidi, picco-la dinastia fondata da Ibn Tu- lu- n, che riuní l’E e la Siria eriuscí a renderli praticamente indipendenti dal califfato diBaghda-d. Sfortunatamente possediamo solo infimi fram-menti di pittura monumentale di questo periodo, essi tut-tavia, unitamente ai temi del vasellame dipinto e special-mente alle ceramiche lucide (ricchi fondi al Museo arabodel Cairo), denotano una stretta parentela con lo stile fio-rente allora in Ira-q, specie a Sa-marra- , il che si spiega fa-cilmente col fatto che Ibn T.u- lu- n da Sa-marra- appunto eravenuto nella valle del Nilo. In assenza di testimonianzedipinte, che gli scavi di Fust.a-t. non ci hanno dato, per co-noscere la storia della pittura in E disponiamo soltantodei racconti dei cronisti e dei documenti della Geniza (xi-xii sec.). Essi concernono l’E fatimide e citano specialistiin pittura murale. Da ciò si apprende che la diffusione diquest’arte era assai piú ampia di quanto suggerissero lenostre scoperte moderne. Si dovrà attendere l’inizio delxiv sec. per trovare manoscritti illustrati originari dell’E.

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Il mondo musulmano aveva appena subito il colpo dell’in-vasione mongola, che in pittura si tradusse in un’infiltra-zione di elementi cinesi, cui neppure l’E, piú lontano,poté interamente sfuggire. La dinastia mamelucca che al-lora regnava sul paese incoraggiava le varie arti tradizio-nali. L’illustrazione del libro vi svolgeva un notevoleruolo e si distinse per uno stile nuovo, ove compaionocomposizioni rigide e formalistiche. Si trovano un po’ do-vunque configurazioni geometriche molto minuziose, esempre uguali, mentre scompaiono le scene realistiche e lerappresentazioni in cui potrebbe insinuarsi qualche ele-mento di satira sociale. Il regime mirava alla solidità: sidiede cura di garantire un ordine ben stabilizzato che siesprimesse persino nell’arte. I manoscritti illustrati si ri-fanno sempre al repertorio delle opere letterarie e scienti-fiche, ma si risveglia pure un interesse per un generenuovo, quello delle opere militari, il cui valore artistico èperaltro minimo. Con la conquista turca dell’E nel 1517,la pittura cade in una sorta di dormiveglia prima di scom-parire. L’E, impoverito da un generale deterioramentodelle sue condizioni economiche e sociali, altro ormai nonè se non una semplice provincia sperduta nell’immensosultanato ottomano. (so).Epoca contemporanea L’attività pittorica in E durante ilxix sec. e fino al 1910 presenta due tendenze. La prima,l’arte folkloristica indigena, attinge alle tradizioni dell’an-tico E, assimilate dai capti e sviluppate dai musulmani:ampiamente diffusa tra il popolo, si estende fino agli og-getti d’uso quotidiano e alle decorazioni murali, costituiteda primitive immagini che introducono scrittura sacra eornamentazione geometrica. A questa si affianca la cor-rente esotica degli «orientalisti» che vivono in E dopo laspedizione napoleonica e che beneficiano della clientela difunzionari miranti ad occidentalizzare la cultura egiziana.Nel 1891 gli orientalisti, tra i quali Emile Bernard, orga-nizzarono al Cairo la prima esposizione d’arte; nel corsodelIa successiva (1892) tutte le opere esposte trovaronoacquirenti. La scuola di belle arti, fondata al Cairo nel1908, ebbe Muh. ammad H. asan tra i suoi primi diplomati.Questi venivano formati dagli orientalisti, divenuti gli ar-tisti ufficiali dell’E e gli arbitri della Società degli amicidell’arte, creata nel 1818, che organizzò il salon annualeal Cairo, nonché mostre di pittori stranieri. L’influssodegli orientalisti fu preponderante in occasione della

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prima esposizione egiziana, tenutasi al Cairo nel 1911.Ah. mad Sabrı- e Yu- suf Ka-mil sono i primi pittori accade-mici di tendenza impressionista; mentre Ra-ghib ‘Ayyadpossiede uno stile lineare e un colore uniforme che ricor-dano l’arte copta. Muh. ammad Na- gı- unisce – in tele cherappresentano l’élite intellettuale araba, il paesaggio egi-ziano e scene abissine – caratteri desunti dall’antico E edeffetti impressionisti. Muh. ammad Sa’ı-d, ammiratore diGiotto e della stilizzazione armaniana, debuttò nel 1927in stile naïf, pieno di grandiosità e di gravità. La sua viva-ce tavolozza si riallaccia al gusto popolare, e i personaggisono sottoposti a una deformazione espressiva. Dopo il1930 Muh. ammad Sa’ı-d dipinge invece gradevoli ritratti,teneramente romantici, e nudi voluttuosi, affidando unruolo maggiore all’abilità professionale. Questa sintesi diOriente e Occidente riflette il conflitto sociale tra il dise-gno ufficiale occidentalizzante e il movimento nazionaledei fellah. Malgrado le apparenze eclettiche, l’E fu unodei primi paesi in cui si espresse la tendenza a un movi-mento espressionista autonomo. All’inizio degli anni ’40Badı-l-Dimm Abu- Gha-zı-, critico d’arte e piú tardi mini-stro della cultura, asseriva che «grazie al suo sforzo perso-nale e alla sua strenua lotta, H. a-mid ‘Abdalla- ha creatouna nuova scuola di pittura egiziana, con una sua propriapersonalità, le sue leggi e la sua filosofia», il che è statoconfermato dopo il 1950 dalla critica internazionale. Ilruolo educativo di ‘Abdalla- consistette nell’eliminazionedell’elemento pittoresco dalla rappresentazione dello spa-zio fisico e nella subordinazione del soggetto alle esigenzecostruttive. H. a-mid ‘Abdalla- respinse l’arte ufficiale persviluppare un suo proprio stile in contatto con la realtà fi-sica egiziana. Nel 1933 i suoi quadri, di colore fluido,sono popolati di segni magici; poi, verso il 1945, egliadotta una pittura murale piú strutturata, fatta di segnifollcloristici inscritti in grandi piani di colore, si dà infinenel 1957 a improvvisazioni calligrafiche astratte che spes-so rievocano un’immagine attraverso il disegno del movi-mento. Tah. ya- H. alı-m rimane fedele ai principî di ‘Abdalla-e, dopo il 1956, data della sua partenza per l’Europa, neprolunga l’espressionismo. Ella esprime intuitivamente lapropria sensibilità delicata e la propria forte personalità invaste composizioni rutilanti. Il grafismo, la tessitura e ilcontrasto tra le forme generano un dinamismo spaziale. Ilperiodo 1940-50 vide la successiva formazione di gruppi,

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tra i quali notevole il gruppo Arte e libertà, creato nel1940 e organizzatore di due mostre dei surrealisti Ramsı-sYu- na-n e Fu’a-d Ka-mil, nonché il gruppo Arte contempo-ranea (1946-49), che comprendeva H. a-mid Nada- , Ma-hirRa- ’ib Samı-r Rafi‘ e Kama- l Yu- suf. ‘Abd al-H. a-dı- al-Gazza-r, il piú fantasioso del gruppo, subí l’influsso di Delvaux esi serví di immagini popolari come simboli per illustrare ipropri commenti di carattere sociale. Il pessimismo intri-de il suo mondo di giocolieri, di superstizione, di esorci-smo e di incubi. È un mondo abbandonato e pietrificato,rappresentato in disegni pazientemente fatti a penna e indipinti brutali, ove si trovano apatiche sagome pesante-mente modellate, in prospettive surrealiste. A partire dal1960, ‘Abd al-H. a-dı- al-Gazza-r evolve verso l’astrattismo.Il movimento espressionista si è imposto a partire daglianni ’50. I suoi temi prediletti sono la terra e il popoloegiziano, trattati con la semplicità del folklore, ma entrouna concezione astratta. Ingı- Effla- t.u- n abbandonò assaipresto i brevi fraseggi plastici di color sordo a favore diun ritmo rapido nel quale sono incorporati caratteri arabi,animando il campo di un colore intenso e luminoso.Quest’espressione dinamica e rozza si contrappone allatendenza geometrica di Yu- sif Re’fat, ‘Abd ar-Rah. ma-n an-Na-∫ir e Sa’ad Da-mil. Gazbiyya Sirri cominciò con zonedelimitate di colore che divennero poi geometricamenteordinate, prima di pervenire alle sue recenti visioni urba-ne fatte di piani di colori cangianti, sotto un insieme disegni oppressivi. Gli altri pittori pongono l’accento suglieffetti di materiali complessi e sui toni modulati: cosí‘Abd al-H. a-mid ad-Dawa-khilı-, Ah. mad Salı-m, ‘Abd al-Wahhab Mu- rsı-, Is.ma’il T.aha Sayyid ‘Abd ar-Rosul, S.a-fyaH. ilmı- al-H. usayn, Kama- l Amı-n, Ah. mad Newe-r, SayyidKhalı-fah e George Boghu- rı-, nonché l’eccellente incisoreH. usayn al-Gibelı-. Dal 1960, un sempre maggior numerodi pittori e di incisori passa dall’espressionismo a una pit-tura calligrafica astratta; mentre altri hanno improvvisa-mente rotto con la loro precedente tecnica impressionistao surrealista per adottare «una pittura informale impre-gnata da una certa nostalgia della realtà». Tra questi ulti-mi, si possono citare Sayf Wanlı-, S.ele-h. T.a-hir, Ramsı-s Yu-na-n, Fu‘a-d Ka-mil. Altri artisti associano alla pittura ma-teriali diversi o compongono oggetti, come Munı-r Kan‘a-ne S.a- lih. Rid.a- . Fath. i an-Nagdı- dipinge paesaggi visionari eprecise figure matematiche disposte sul campo della tela.

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‘Umar an-Nagdı- è passato dall’espressionismo a una pittu-ra vigorosa, ricca di colori e di sottile tessitura, che servedi sfondo a frasi arabe di violenta improvvisazione. Tra ipittori calligrafi di talento si possono infine citare Abu-Khalı-l Lut.f, Muh. ammad T.aha H. usayn, Ramzı- Mus.t.afa- ,Ra’u- f ‘Abd al-Maagı-d e Yu- suf Sı-dah. (hah).

Egmont, Justus van(Laida 1601 - Anversa 1674). Dopo la morte del padre, sistabilí con la madre ad Anversa, ove divenne nel 1615 al-lievo di Kaspar van den Hoecke. Dopo un viaggio in Ita-lia, iniziato nel 1618, entrò nella bottega di Rubens. Inquesto periodo eseguí un’Ultima cena per la cattedrale diMalines e collaborò al ciclo della Vita di Maria de’ Medici,destinato al palazzo del Lussemburgo a Parigi. Nel 1628divenne maestro nella ghilda di San Luca ad Anversa e,quando Rubens partí per la Spagna, si stabilí a Parigi, ovedivenne pittore di Luigi XIII, poi di Luigi XIV. Assai ap-prezzato in Francia come ritrattista (serie di ritratti nelcastello di Balleroy in Normandia), partecipò pure allegrandi decorazioni dirette da Simon Vouet. Nel 1648 feceparte del gruppo dei dodici fondatori dell’accademia dipittura e scultura. Nel 1649 viene menzionato a Bruxel-les, e dal 1653 lo si ritrova ad Anversa. Nell’ultimo perio-do della sua vita, dipinse soprattutto cartoni per varieserie di arazzi, di cui le piú note sono la Storia di Cesare(1659) e la Storia di Marco Antonio e Cleopatra (1661).Possessore di una vasta fortuna, si era costituito nella suasontuosa dimora di Anversa un’importante collezione diquadri, tra i quali figuravano opere di Rubens, Van Dyck,Holbein, J. Boeckhorst, P. van Mol e F. Pourbus II. (wl).

Egorov, Aleksej Egorovi™(steppe calmucche, 1776 - San Pietroburgo 1851). Allievodi Akimov e di Ugrjumov, ospite dell’accademia di bellearti a Roma ove si legò a Canova, E insegnò dal 1812 al1840, con spirito neoclassico, all’accademia di San Pietro-burgo, ove ebbe come allievi Brjullov e Bruni. Di lui si ci-tano innumeri dipinti per le chiese di Leningrado, di Pe-terhof e di Carskoe Selo, quadri di storia di stile neoclas-sico e ritratti (Flagellazione di Cristo, 1814: Leningrado,Museo russo; la Principessa Golicyn: Mosca, Gall.Tret’jakov; Ritratto di V. P. Suchanov, 1812: ivi). (bl)..

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Egremont(George O’Brien Wyndham, terzo conte di) (Londra 1751- Petworth 1837). Fu tra i piú colti amatori d’arte del suotempo, vice presidente della British Institution, amico dinumerosi artisti, che spesso invitava a Petworth nel Sus-sex, dove impiantò persino uno studio per Turner, raccol-se una collezione di pitture e sculture inglesi contempora-nee: una delle rare gallerie dell’epoca che sussista fino adoggi. E acquistò paesaggi di Wilson e Gainsborough, non-ché diciotto Turner (in particolare Jessica e i due Tramontisul lago a Petworth), tredici dei quali si trovano ancoranella medesima sala; tra le composizioni con figure, LaMorte del cardinal Beaufort di Reynolds, tele di Füssli, Hil-ton, Hoppner, Northcote, Opie, Thomson e Wilkie, oltrea tre magnifici Blake e ai ritratti di Reynolds e Gainsbo-rough. E amava anche le tele piú antiche; ereditò un’im-portante raccolta, cominciata da Algernon Percy, decimoconte di Northumberland (1602-1688), proseguita da Al-gernon Seymour, settimo duca di Somerset (1684-1750),che ricostruí Petworth a partire dal 1688, e accresciuta daCharles Wyndham, secondo conte di Egremont (1710-63),che aveva comperato dipinti in Italia. Tale collezione com-prendeva numerosi ritratti inglesi, opere di Holbein e altripittori del xvi sec., il complesso piú importante, dopoquello di Windsor, di Van Dyck (Strafford, Sir Robert eLady Shirley), una bellissima serie di Lely e l’importanteserie delle Belle di Kneller. Vi erano inoltre numerosi di-pinti fiamminghi antichi, tra i quali l’Adorazione di Bosch,e un piccolo numero di opere italiane, tra cui un Bonifaciode’ Pitati e un ritratto di Bronzino; oltre ad essi otto pic-coli quadri di Elsheimer; Giacobbe e Labano di ClaudeLorrain e l’Accampamento di Watteau, ma la maggiorparte delle tele straniere proveniva dall’Olanda del xvii

sec. (cinque ritratti di Rembrandt, un ritratto di Hals, nu-merosi Cuyp, tra i quali un Paesaggio presso Nimega, alcuniBoth, Hobbema, Jacob van Ruisdael e Salomon van Ruy-sdael). Alcuni dipinti sono stati venduti, tra cui quattroRembrandt, lo Hals e il Watteau, ma il complesso dellacollezione si trova tuttora a Petworth, divenuta proprietàdel National Trust nel 1947. (jh).

Egry, Jozsef(Úljak 1883 - Badacsonytomaj 1951). Studiò prima aVienna (1904), poi a Parigi (Académie Julian, 1906) e a

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Budapest (1906-1908) sotto la guida di K. Ferenczy. Lesue prime composizioni sono influenzate dall’Art Nou-veau. Durante una convalescenza sulle rive del lago Bala-ton egli trovò il suo stile personale (Cantina, 1916). Pitto-re della luce, preferí spesso all’olio, troppo materico, l’ef-fetto brillante e trasparente dell’acquerello. Fu tra i prin-cipali maestri della scuola post-Nagybánya. È rappresenta-to a Budapest (gn). (dp).

Ehrenberg, Wilhelm Schubert van(Anversa 1630-76). Lavorò soprattutto ad Anversa, ovefu maestro nella ghilda di San Luca nel 1663. Specialistadi architetture, eseguí numerosi Interni di chiesa (Vienna,km) e collaborò con Minderhout, Biset, Coques, H. Jans-sens, che dipingevano le figure umane dei suoi quadri.Sue opere sono conservate in musei di Amburgo, Oslo,Bruxelles e Anversa. (jv).

Ehrenstrahl, David Klöker von(Amburgo 1628 - Stoccolma 1698). Fu allievo ad Amster-dam di L. Jacobsz; tornò poi in Svezia (1652) come pitto-re di corte presso la regina madre Maria Eleonora. Tra il1654 e il 1661 effettuò viaggi di studio in Italia, in Fran-cia e in Inghilterra. Determinanti per la sua evoluzionefurono i rapporti con Pietro da Cortona a Roma e con LeBrun a Parigi. Tornato in Svezia occupò una posizione diprimo piano e si vide affidare dalla regina madre EdvigeEleonora una serie di grandi incarichi: dipinti per la ca-mera da letto della regina stessa (1668 ca.) e per la saladetta «di Ehrenstrahl» nel castello di Drottningholm(1690 ca.), nonché il Concilio delle Virtú, nel soffitto peril palazzo della nobiltà a Stoccolma (1669-74). In questeampie composizioni allegoriche, E diede prova di un fa-stoso talento nello spirito del barocco italiano e francese.I suoi numerosi ritratti uniscono agli effetti decorativil’indagine caratteriale: ritratti equestri del MarescialloCarl-Gustav Wrangel (1652: Skokloster), di Carlo XI(1671: Drottningholm), effigi del poeta Georg Stiernhielm(1671: castello di Gripsholm) e del Maresciallo Erik Dahl-bergh (1664: Uppsala, Università). Accanto agli incarichiufficiali, E eseguí scene piú familiari, con soggetti di ani-mali, il cui realismo attesta l’influsso olandese: Galli ce-droni (1675: Drottningholm), e Galli selvatici (1675: Stoc-colma, nm). E è l’iniziatore del paesaggio svedese di fore-

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sta. In una serie di oltre venti dipinti rappresenta a gran-dezza naturale i Cavalli di re Carlo XI in paesaggi (castellidi Gripsholm e di Strömsholm) di stile monumentale e dipiú libera esecuzione. La sua arte, riflesso dello spiritod’indipendenza che si affermava in epoca carlina, ebbe in-flusso profondo sul xviii sec. (tp).

Eibisch, Eugeniusz(Lublino 1896). Ottenuto il diploma presso l’accademia dibelle arti di Cracovia nel 1920 completò gli studi a Parigidal 1922 al 1939, esponendo nel 1925 al Salon d’automnee nel 1926 presso gli Indépendants. Legato a Bernheim,creò opere che suscitarono grande interesse tra i collezio-nisti, tra i quali Netter, Châtelard, Laporte. Mostre per-sonali presso Bernheim nel 1925 e alla Gai. Da Silva aMarsiglia nel 1936 ne imposero la fama in Francia. Tor-nato in Polonia nel 1939, nominato rettore dell’accademiadi belle arti di Cracovia nel 1945 e docente in quella diVarsavia nel 1950, E prese parte attiva a tutte le manife-stazioni artistiche polacche, ottenendo due volte il premiodi stato (1960, 1964) e, nel 1960, il premio nazionaledella fondazione Guggenheim. Nel 1962 partecipò allaXXXI Biennale di Venezia. Il museo di Varsavia, che neconserva alcune opere (particolarmente Fanciulla in costu-me rosa, 1966) gli ha dedicato una retrospettiva nel 1967.Squisito colorista, E rievoca nei suoi dipinti, per sfumatu-re (ritratti, nature morte, paesaggi), un universo intimocui partecipano parimenti l’uomo e gli oggetti. (wj).

Eight (The)Primo movimento dell’arte statunitense del xx sec. Deveil nome (Gli Otto) all’unione di otto pittori che – tutti re-spinti dall’Accademia nazionale di disegno – esposero allaMacbeth Gall. di New York nel febbraio 1908: Arthur B.Davies, William Glackens, Robert Henry, Ernest Law-son, George Luks, Maurice Prendergast, Everett Shinn,John Sloan. Erano uniti tra loro da viva amicizia, e da uncomune disprezzo per la mediocrità dei circoli artisticiamericani ufficiali. Condividevano lo stesso entusiasmoper l’arte moderna europea, in particolare per quella diManet, tutti poi ritenevano che il soggetto andasse libera-to dallo «sdolcinato idealismo» allora di moda. Quattromembri del gruppo, Henry, Luks, Sloan e Shinn, s’impe-gnarono risolutamente in una specie di «cronaca realista»

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e dipinsero, senza la minima trasposizione, soggetti di vo-luta grossolanità. Non sostituirono scene di genere bor-ghesi all’allegoria accademica, ma rappresentarono spessola povertà, la fatica e la miseria. La reazione alla loro mo-stra fu violenta; i critici e il pubblico raffinato li conside-rarono apostoli della bruttezza, e ciò procurò loro il so-prannome di «scuola del bidone della spazzatura» (Ash-Can School). Il talento, assai diverso, di Prendergast, de-licato disegnatore influenzato dal neoimpressionismo e dalfauvisme, e di A. B. Davies, la cui fantasia lirica sfioraval’astrattismo, vennero sommersi dalla reazione del pubbli-co di fronte a questo realismo aspro e nuovo. Lo stessoaccadde per Lawson e Glackens, vicini all’impressionismosia nella tecnica sia nei soggetti, analoghi a quelli dei mae-stri francesi. Il colore, la composizione, il disegno come ilsoggetto delle opere esposte dal gruppo nel 1908 venneroconsiderati caratteristiche tipiche della prima avanguardiaamericana del xx sec.; ma i diversi linguaggi degli E noncostituivano uno stile unico. La tematica scelta valse lorola simpatia di giovani artisti come George Bellows, GuyPene du Bois, Glenn O. Coleman, Edward Hopper, fis-sando le premesse del realismo americano e preparando ilterreno alla pittura sociale (Reginald Marsh) e allaPop’Art. (dr).

Eikaas, Ludvig(Jölster 1920). Fu allievo di Jean Heiberg all’accademia dibelle arti di Oslo. I suoi primi dipinti, per la maggiorparte interni di studio (composizioni con figure di unamateria ricca e ampia) presentano una stilizzazione inparte astratta. Da un viaggio in Italia (1959) ha riportatoun certo numero di studi raffinati a guazzo e acquerello. Isuoi ritratti sono quasi sempre caratterizzazioni acute,fondate su un’osservazione molto esatta del modello(Synnøve 1959: Oslo, ng). Come incisore ha predilettol’incisione su legno, ricercando la semplicità e talvoltal’effetto monumentale, in principal modo nei suoi ritrattidi artisti. Ha eseguito anche sculture. Dal 1970 è docentepresso l’accademia di belle arti di Oslo. (lø).

EindhovenStedelijk Van Abbe Museum Nel 1937 H. van Abbe(Amsterdam 1880 - Eindhoven 1940), fabbricante di siga-ri, donò alla città di E nei Paesi Bassi un edificio costrui-

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to nel 1936 dall’architetto A. J. Kropholler. La città sitrovò cosí dotata di un museo: ma bisognava ancora arric-chirlo di opere d’arte. A causa di difficoltà finanziarie edella guerra, solo dal 1945 ad E cominciò a formarsi unavera e propria collezione. Fondata sull’arte del xx sec.,essa costituisce uno dei piú importanti complessi olandesidi arte contemporanea. Nel 1951 il celebre dipinto diChagall Omaggio ad Apollinaire fu una delle prime grandiacquisizioni, cui si aggiunsero opere olandesi e straniere.Vanno in particolare citati la Donna in verde di Picasso, laSquadra di Cardiff di Delaunay, la Potenza della musica diKokoschka, nonché tele di Braque Léger e Dufy. La scuo-la di Parigi è rappresentata da Bazaine, Bissière, Manes-sier, gli espressionisti tedeschi e fiamminghi da Beck-mann, Permeke, De Smet, gli olandesi del gruppo De Stijlda Mondrian e Van der Leck; il gruppo Cobra da Appel eCorneille. Dopo il 1960 la collezione si è arricchita diopere di Fontana, Manzoni, Yves Klein, Mack. Uno sfor-zo particolare è stato inoltre intrapreso per promuovere inEuropa la conoscenza dell’arte degli Stati Uniti; a questoscopo sono stati esposti, oltre ad un panorama della scuo-la di New York (1945-67), Christo e Morris Louis. Sonostate acquisite tele di Stella e Indiana, opere di Buren,Dibbets, Penck, Lütertz, Toroni, Immendorff, Polke, OnKawara, Poons, Broodthaers. Una quindicina di mostreall’anno animano questo museo giovane e attivissimo.(hbf).

Eisen, François(Bruxelles 1695 - Parigi 1778). Ottenne incarichi di di-pinti religiosi a Valenciennes e si stabilí poi a Parigi (1762ca.), dove eseguí scene di genere imitate dai maestri mi-nori fiamminghi del xvii sec. (l’Altalena, 1770: conservatoa Bourgen-Bresse).Il figlio Charles (Valenciennes 1720 - Bruxelles 1778) fu aBruxelles suo allievo, poi a Parigi allievo di Lebas (1742-46), e fece carriera all’Accademia di San Luca, ove diven-ne direttore aggiunto nel 1774. La sua opera è fatta so-prattutto di illustrazioni che ricordano l’arte di Gravelot(Contes di La Fontaine, ed. dei Fermiers généraux, 1762).I quadri ne riprendono il tono galante (Bordeaux, mba).Alcune composizioni eleganti, dal colore chiaro e dal dise-gno un po’ facile, lo indicano come buon continuatoredell’arte di Carle van Loo (Annunciazione: Douai, colle-

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giata di Saint-Pierre). Fu insegnante di disegno di Mmede Pompadour. (cc).

Eisler, Georg(Vienna 1928). Dal 1942 al 1946 ha frequentato variescuole d’arte inglesi; nel 1943 ha conosciuto a LondraKokoschka, che ha esercitato su di lui durevole influenza.Dal 1946 al 1950 è stato allievo di Herbert Boeckl pressol’accademia di belle arti di Vienna. Stabilitosi in questacittà, è divenuto membro della Secessione nel 1960; ne èstato eletto presidente nel 1968. La sua prima personaleha avuto luogo nel 1958. Immediatamente dopo la guerra,si è legato allo scultore e incisore Hrdlicka, al pittoreMartinz e all’incisore Schönwald, tutti e tre artisti figura-tivi. Con loro organizza, nel febbraio 1969, una collettivadal titolo Figura. E ha cominciato dipingendo ritratti, pae-saggi di periferia e di quartieri industriali; in seguito haaffrontato altri temi, come il corpo umano, rappresentatoin interni o all’aperto, poi il mondo del jazz e della danza.Gli si devono pure eccellenti disegni di nudi. Mentre,prima del 1957, i quadri d’interni e i paesaggi emananoun’atmosfera intima e paradisiaca, dal 1963-64 il suo uni-verso pittorico rivela una tendenza alla monumentalità. Iltema della folla negli spazi aperti, per la strada, nell’auto-bus o in metropolitana lo impegna sempre di piú, uniscele tecniche moderne a quelle della pittura classica. Il suostile si caratterizza per un tocco veemente e per toni spez-zati. Insieme all’influsso della pittura del Rinascimentoitaliano, di Tintoretto e Tiziano, ha risentito anchedell’esempio di Daumier, Courbet, Marées, nonché diespressionisti come Soutine, Kokoschka e Gerstl. Lescene dipinte nel corso degli ultimi anni rappresentano ilmito moderno, che può nascere dalla strada o da scene dicabaret, e persino in quadri politici, come gli Spettatori,dipinto nel 1968 in seguito agli eventi che sconvolsero laCecoslovacchia. (jmu).

Eitoku(Kano- Kuninobu, detto) (1543-90). Cominciò operandonella tradizione cinese della scuola Kano-, seguendo ilnonno Motonobu e il padre Naonobu; ma le sue operegiovanili, come le gru e i pini delle porte scorrevoli nelloJukoin del Daitokuji di Kyoto (1566 ca.), manifestano giàuna forte ricerca decorativa. Nobunaga gli chiese nel

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1576 di decorare il suo castello di Azuchi, ove egli lavoròquattro anni, dando libero sfogo al suo genio irruente.Qui utilizzò per la prima volta l’applicazione della fogliad’oro nella decorazione murale, ove, per contraccolpo, lapolicromia crebbe d’intensità e i profili ebbero maggioreimportanza. Ad E venne pure affidata da Hideyoshi ladecorazione del castello di Osaka (1583) e del palazzo diJuraku a Kyoto (1587), che egli eseguí con l’aiuto di unanumerosa bottega comprendente in particolare i suoi fra-telli minori So-shu- e Naganobu, i suoi figli Mitsunobu eTakanobu e il suo allievo favorito, Sanraku. Morí stronca-to dal lavoro all’età di 47 anni, benché la maggior partedelle sue opere sia oggi andata perduta, egli resta ugual-mente l’autentico creatore dello stile decorativo fastoso evigoroso dell’epoca Momoyama. (ol).

Ekaïn, LesScoperta nell’estate del 1969 e subito riconosciuta auten-tica da J.-M. de Barandiaran, la grotta degli E (Cestona,quarantasei chilometri da San Sebastian) è notevole per lavarietà e l’ammirevole stile dei dipinti paleolitici che rac-chiude. La parte sino ad oggi esplorata è composta da unostretto vestibolo, difficile da superare, che sfocia su uncorridoio largo una decina di metri. Una piccola galleriaha inizio sulla sinistra, e un incrocio si apre a destra su unlungo corridoio. Le figure sono ripartite in cinque zonerelativamente lontane le une dalle altre. Il primo gruppo ècollocato all’inizio della piccola galleria di sinistra. Si trat-ta di un complesso composto da qualche linea dorsale diequidi, tracciata in nero spesso, e da una bellissima testadi cavallo dipinta in nero. La curva della criniera è netta-mente distaccata dalla parte anteriore mediante una zonaintatta, non dipinta. All’ingresso della galleria è inciso uncervide, a tratto fine. Lo segue un pesce, a contorno nero.Sulla parete opposta si hanno alcuni tratti di difficile de-cifrazione, oltre a un capride nero che sembra nell’atto dibalzare. Il gruppo principale è posto all’incrocio tra la gal-leria di destra e il largo corridoio. Qui un grande bloccostaccato viene ad ostruire parzialmente il passaggio. Sifronteggiano in contrapposizione due grandi pitture mura-li di rara qualità, il cui livello artistico è pari a quelle diNiaux. Siano semplicemente schizzati a tratto delicato,nero o rosso, o parzialmente trattati a tinta uniformenera, o anche dipinti in sovrapposizioni rossa e nera, bi-

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sonti, cavalli, cervidi e alcuni segni astratti costituisconoun pannello centrale perfettamente classico. Numerosidettagli applicati ai corpi, in particolare il doppio trattosulla spalla e la zona lasciata intatta chiara, a forma di M,del sottoventre, consentono di attribuire tali affreschi allostile IV antico di Leroi-Gourhan. Numerosi cavalli pre-sentano però le zampe anteriori e posteriori marcate daanelli, il che è piuttosto raro nell’arte franco-cantabrica.Le figure a tinta rossa e nera sembra siano state eseguitedue volte: una in rosso, l’altra in nero. La presenza di dueorsi dipinti a largo tratto nero suggerisce qualche accosta-mento alle grotte di Santimamine (Biscaglia) e di Las Mo-nedas (Santander). Un altro gruppo importante è situatonella medesima galleria, una trentina di metri piú avanti.In una sorta di alcova, una mezza dozzina di cavalli sisuccedono in direzione dell’ingresso della galleria. Anchequi le tecniche pittoriche sono varie: contorno al trattonero, con o senza campitura di tinta piatta nera e rossa. Idettagli – musi, orecchie, criniere – sono spesso incisi edipinti. Le estremità delle membra non sono sempre con-dotte a termine. Due cavalli sono legati l’uno all’altro dauna serie di bastoncelli verticali a forma di griglia. Ilprimo cavallo è caratterizzato da una freccia e da unsegno a doppio tratto. Un altro segno (tettiforme?) domi-na questi due animali. È l’unico luogo della grotta sino adoggi noto ove i segni astratti siano relativamente numero-si. La grotta di E è molto importante per l’arte preistori-ca. La qualità delle pitture e delle incisioni, l’abile impie-go di tecniche diverse e di sovrapposizioni di colori, non-ché l’originalità di alcuni dettagli, come gli anelli dellezampe dei cavalli, consentono di paragonarla ai massimisantuari di quest’epoca, che potrebbe situarsi nel Magda-leniano III-IV. (yt).

Ekeland, Arne(Eidsvoll 1908). Si formò presso Axel Revold nell’accade-mia di belle arti di Oslo (1828). All’inizio degli anni ’30sviluppò uno stile personale, caratterizzato da rapporticon l’arte primitiva, l’espressionismo tedesco, il surreali-smo, Picasso. Tale stile, fortemente espressivo e carico disimboli enigmatici, gli serví spesso per testimoniare un ar-dente impegno politico e sociale (la Cucitrice, 1936: coll.priv.; le Ultime fucilate, 1940: Oslo, ng). Altri dipinti co-municano invece un senso di calma sognante e visionaria

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(Scene di primavera, 1941). Dopo la guerra ha tentato perqualche anno, attorno al 1950, di adottare una forma piúrealista; ma a partire dal 1960 ca. è tornato all’espressio-nismo (Fuori dell’officina: Oslo, ng). Diciassette dipinti egran numero di disegni sono conservati a Oslo (ng). Harappresentato la Norvegia alla Biennale di Venezia nel1972. (lø)

Ekels, Jan il Giovane(Amsterdam 1759-93). Figlio e allievo di Jan il Vecchio,lavorò a Parigi e soprattutto ad Amsterdam; dipinse scenedi genere e interni: Giovane uomo mentre disegna, Contadi-no che accende la pipa (1787: Francoforte, ski) o lo Scritto-re (1784: Amsterdam, Rijksmuseum) in uno stile di gran-de purezza e in toni assai chiari. (jv).

ekphrasisSecondo la definizione di Ermogene, retore alessandrino,è «un discorso descrittivo che pone l’oggetto con tuttachiarezza davanti agli occhi»; un discorso dotato di unapropria forza di rappresentazione visiva (enargheia); «per-sone, cose, luoghi e tempi» sono i temi delle ekphraseische si pongono come sostituto verbale dell’oggetto stesso.La descrizione ecfrastica, quindi, non concerneva necessa-riamente opere d’arte. Nell’epica, nel romanzo, nelladrammaturgia, nella storiografia dei greci e dei latini ledescrizioni ecfrastiche compaiono con frequenza, sin daipoemi omerici, in forme sovente funzionalizzate alla nar-razione, ma poi vengono assumendo pure una propria au-tonomia di «forme chiuse», grazie anche all’uso che neviene fatto nelle scuole di retorica che conserveranno latradizione di ampie composizioni descrittive anche in etàbizantina. Quintiliano ritiene l’e tipica della tradizioneretorica alessandrina. Certo spazi ecfrastici si aprivanoanche negli scritti teorici sull’arte, ma la nostra conoscen-za di questi testi è estremamente frammentaria e mediatae non possiamo valutare il rapporto tra le forme precetti-stiche, note, e i momenti descrittivi. La letteratura classi-ca elabora anche, nell’epigramma, brevi composizioni de-stinate ad accompagnare gli oggetti e a metterne in evi-denza particolari qualità o funzioni. Il medioevo occiden-tale, che conosce forme ecfrastiche, sviluppa anche il titu-lus, un componimento poetico derivato dall’epigramma,anch’esso concepito non come sostitutivo, ma come com-

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plemento dell’opera figurativa, di cui i versi vengono adessere un commento, spesso encomiastico. Dalla tradizio-ne egigrammatica, il Rinascimento trarrà l’uso del sonettocelebrativo dell’oggetto artistico, in cui i topoi letterariprevalgono sulla realtà che ha motivato la composizionepoetica, e che talvolta viene usato per cantare opere fitti-zie.I momenti descrittivi abbondano nell’epica medievale;l’attenzione si sofferma sulle tende sui corni, sugli auto-mi, sui carri, sui letti, sui monumenti funebri, ma nontralascia alcuni oggetti canonici dell’e classica: i rilievi, lepitture, gli scudi, le coppe, i tessuti, su cui si fermeràanche lo sguardo dei poeti del Rinascimento. Cosí, adesempio, dalle immaginarie coppe intagliate poste in palionella III egloga virgiliana, e da quella di Adrasto cantatada Stazio, che hanno il loro precedente in una coppa teo-critea, dopo la coppa con le imprese di Ercole di Teodulfodi Orléans e il boccale decorato a smalto con le storie diTristano e Isotta dell’Escoufle, si giunge al vaso di legnod’acero dipinto dal Mantegna nell’Arcadia del Sannazza-ro. La forza di conservazione del topos letterario talvoltasi infrange contro una realtà che fornisce modelli innova-tivi: la coppa della tradizione classica diviene nell’Escoufleun boccale smaltato, ornato di un carbonchio sul coper-chio, talvolta è la forma letteraria a vincere su quellareale. E questo avviene non solo in contesti con un altotasso di letterarietà, quali i componimenti poetici, maanche nella prosa dei trattati d’arte; alcune descrizioni diVasari, per esempio, mostrano come la visione diun’opera possa essere condizionata dalla memoria erudita,come le immagini evocate dalla parola scritta si confonda-no con quelle dipinte: il putto che beve sangue anzichélatte nel Messacro degli Innocenti del Ghirlandaio è il ricor-do di una descrizione di Plinio e di esso non c’è traccianel dipinto. Talvolta avviene che l’oggetto fatto di paroletrovi una sua forma nel mondo delle cose, come nellacoppa di Teocrito e nello scudo di Achille fusi in argentonel 1811-13 e nel 1821-22 su disegni di Flaxman.Anticipate da timidi spunti descrittivi nei Commentari delGhiberti, che rinnovano il tono inventariale e precettisti-ca degli scritti sull’arte, e dalle immaginarie descrizioni-istruzioni del trattato del Filarete - cui si avvicinano lemaniacali letture di monumenti simbolici nel Polifilo - leekphraseis tornano trionfalmente nella trattatistica del

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Cinquecento con le descrizioni delle Vite di Vasari. Leekphraseis vasariane, pur inserite in uno schema concet-tuale che insiste sulla evoluzione e sul graduale perfezio-namento dei mezzi espressivi, mostrano una concezioneunitaria, con un precipuo interesse a mettere in evidenzanella pittura descritta l’appropriatezza e la varietà dellanarrazione; prescindendo dalla diversità dei mezzi stilisti-ci, adottano luoghi comuni per artisti diversi. I successivitentativi di descrivere pitture negli scritti d’arte si rifannoal modello vasariano.La teoria dell’ut pictura poesis, che evidenzia l’affinità trail lavoro del pittore e quello del poeta, anche allo scopo diinnalzare la pittura tra le arti liberali, offre uno spazioteorico per la riflessione degli artisti e dai loro commit-tenti sulle ekphraseis di opere d’arte perdute, conservatenella letteratura greca e latina. Gli artisti rinascimentali sisono provati a restituire forma pittorica ai dipinti diApelle, di Ezione e di Zeusi giunti a noi nelle descrizionidi Luciano; per primo Alberti proponeva ai pittori, comemodelli di invenzione, la Calunnia di Apelle, che ben si in-seriva nella sua concezione didascalica della pittura.Mezzo secolo piú tardi Botticelli dipingeva la prima rico-struzione del dipinto svincolata dalla funzione di illustra-zione di un testo, e qualche anno dopo l’interesse delMantegna per la pittura perduta si materializzava in undisegno, conservato da un’incisione di Moceto. Iniziavacosí la complessa fortuna di un’opera che doveva moltodella sua attrattiva al prestigio che, sin da Plinio, si ac-compagnava al nome del suo autore, ma anche alla icasti-cità della descrizione di Luciano e alla forza dell’allegoria,capace di suscitare interesse ancora in Ingres. L’attenzio-ne di Ingres per le ekphraseis antiche, come possibile fonted’ispirazione, è documentata da una serie di appunti con-cernenti le Immagini dei Filostrati, conservati nei suoiCahiers.. Alle Immagini di Filostrato minore, descrizionedi una collezione di dipinti con preteso intento educativo,una collezione forse immaginaria, aveva attinto già Tizia-no per Gli Andrii e La Festa di Venere e Floris si era ci-mentato con la ricostruzione dell’Ercole e i pigmei. Perlungo tempo artisti ed antiquari cercheranno insieme lapittura antica perduta nelle descrizioni ecfrastiche, nono-stante che lo stesso Rubens, che pure aveva dipinto la suacasa di Anversa con rifacimenti di dipinti del passato e siera cimentato con Le nozze di Alessandro e Rossane di

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Ezione, descritto da Luciano, avesse consigliato di desi-stere dalla ricerca, paragonando le larve conservate nellepagine dei classici all’ombra di Euridice che Orfeo nonriesce ad abbracciare. Ancora nel 1838 Huemmel dipingea guazzo un Matrimonio di Alessandro e Rossane, in cui ilricordo dell’affresco del Sodoma è inserito in una impec-cabile mise en scène archeologica, e, negli stessi anni, ilsuo amico G. B. Genelli si cimenta con la Famiglia deiCentauri di Zeusi, oggetto di un’e di Luciano. Poi lo stu-dio delle descrizioni di opere d’arte antica perdute escedal campo di interesse degli artisti e diviene competenzaesclusiva dei filologi e degli archeologi. (lf).

Ekster, Aleksandra(Belostok (Kiev) 1882 - Fontenay-aux-Roses 1949). Il suonome da nubile è Grigor’evi™; sposò nel 1908 il cuginoNikolaj Ekster. Si formò presso la scuola di belle arti diKiev, soggiornò a Parigi dal 1908 e venne introdottanell’ambiente cubista (Picasso, Braque, Apollinaire); Soffi-ci la presentò ai futuristi Marinetti e Papini. Viaggiandoregolarmente tra Parigi e Mosca, garantí il contatto tra gliambienti dell’avanguardia francese e russa fino alla guerra;le opere che eseguí nel corso di questo periodo appartengo-no al futurismo oppure al cubismo sintetico. Influenzatada Malevi™ e da Tatlin, pratica un astrattismo d’ispirazio-ne suprematista nel 1916 (Costruzione dinamica, guazzo sucarta, coll. priv.). Nello stesso anno comincia a lavorareper il teatro (scene e costumi per Salomè di Wilde, nel1917 a Mosca) e partecipa nel 1921 alle attività del gruppocostruttivista di Rod™enko. Nel 1924, la E si stabilisce aParigi, insegnando l’anno seguente presso l’accademia diLéger (Composizione purista, 1925: coll. priv.), la cui con-cezione del colore è vicina alla sua. Fornisce varie scene ecostumi per il teatro (Don Giovanni, 1929, balletto di E.Krüger a Colonia). La sua opera pittorica (Costruzione,1922-23, esposta alla Biennale di Venezia nel 1924, coll.priv.; guazzi, 1921-23) tende a realizzare una sintesi co-struttivista originale tra le linee-forza della composizione epiani colorati dinamici. La Gal. Jean-Chauvelin a Parigi leha dedicato una mostra nel maggio-giugno 1972. (sr).

El BurgalDel monastero benedettino di San Pedro di E B, fonda-zione dei conti di Pallars nella provincia di Lérida in Spa-

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gna, sussistono soltanto le rovine d’una chiesa costruitanel x sec. e rimaneggiata in epoca romanica. Si rifece allo-ra l’abside est, a cui fu aggiunta una bella decorazione(oggi a Barcellona, mac). Degli affreschi del catino rimanesoltanto una parte della mandorla del Pantocrator, con asinistra una figura di profeta e con la parte bassa dellaveste dell’arcangelo Michele. Immediatamente sotto, sullepareti dell’abside e della navata del coro, sono seduti laVergine, San Giovanni Battista e gli Apostoli. Una decora-zione sormontata da una greca orna la zona inferiore. Sutale fondo spicca una figura di donatrice con un cero inmano. L’iscrizione «Comitissa» designa una contessa diPallars: si è creduto di riconoscervi Lucia, la cui esistenzaè attestata dal 1081 al 1090 ca. Tale data consentirebbeforse di fissare la cronologia del Maestro di Pedret, autoredell’opera. Se ne ritrova lo stile in alcuni dettagli dall’ico-nografia consueta: a Esterri d’Aneu, per esempio, l’arcan-gelo Michele reca un rotolo sul quale compare l’iscrizione«Postulacius», riprodotta pure a Galliano presso Como.(jg).

Elefky, Eugenio(Gyor 1895). Studiò con Reti all’accademia di belle artidi Budapest dal 1913 al 1919. La sua opera è principal-mente composta da fini acquerelli dai colori trasparenti(Rovine di ponte Margherita, 1945), il cui stile si riallacciaalla scuola post-Nagybánya. È rappresentato a Budapest(gn). (dp).

elementarismoDottrina dissidente rispetto al neoplasticismo di Mon-drian, definita nel 1926 da Van Doesburg in un articolodella rivista «De Stili», in reazione al dogmatismo neopla-stico. Van Doesburg, rifiutando l’esclusivo ritmo orizzon-tale verticale dell’angolo retto, ammetteva gli angoli acuti,generatori di piani inclinati, che introducono nel quadrouna certa dinamica. Tale teoria venne accolta in particola-re da Domela e Vordemberge-Gildewart. (sr).

El Greco(Domenikos Theotokopoulos, detto) (Candia (Creta) 1541- Toledo 1614). I suoi primi anni a Creta e la sua forma-zione veneziana non sono ancora chiari. In base a docu-

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menti recentemente pubblicati, l’artista nacque nella capi-tale della Creta veneziana da famiglia probabilmente cat-tolica, di piccola borghesia urbana: esattori d’imposte, do-ganieri (il fratello maggiore Manussos, destituito per mal-versazione, terminerà la sua vita presso di lui a Toledo).Nel 1566 è menzionato a Candia come maestro pittore.Periodo italiano Non si sa se lavorasse a Venezia giàprima di questa data: in ogni caso, il suo soggiorno vene-ziano fu meno lungo di quanto un tempo si pensasse. Nel1570 si recò a Roma: il «giovane Candiota, allievo di Ti-ziano» che il miniaturista croato Giulio Clovio raccoman-dava al cardinal Alessandro Farnese, figura nel 1572 neiregistri dell’Accademia di San Luca. Nell’ambiente uma-nistico che frequentava la biblioteca di palazzo Farneseegli entrò in rapporto con ecclesiastici spagnoli, in parti-colare Pedro Chacón, canonico della cattedrale di Toledo.La costruzione d’importanti conventi e il vasto cantieredell’Escorial lo attirarono verso la potente Spagna. Nellaprimavera del 1577 giunse a Toledo, dove restò fino allamorte. Il periodo italiano di E G, a lungo trascurato, hasuscitato da piú di mezzo secolo l’attenzione degli storici;e numerosi dipinti, nei quali si nota il connubio tra influs-si bizantini e veneziani, sono stati assegnati al suo nome.Nessuna di tali attribuzioni è indiscussa, neppure quelledel polittico ritrovato a Modena (Gall. Estense) e firmato«Domenikos», ove il bizantinismo resta preponderante, edel San Francesco con le stigmate (Ginevra, coll. priv.; eNapoli, Istituto Suor Orsola Benincasa), che accordanoampio posto al paesaggio, di tradizione veneziana, matrattato in modo nervoso e tormentato. Nelle opere distile puramente veneziano, come la Guarigione del cieco(Parma, gn; e Dresda, gg) o il Cristo che scaccia i mercantidal Tempio (Washington, ng e Minneapolis, Inst. of Arts),la concezione dello spazio deriva soprattutto da Tintoret-to, e la ricchezza cangiante dei colori dalla tavolozza diTiziano. La tela piú compiuta di questo periodo è forsel’Annunciazione (1575 ca.: Madrid, Prado), dipinta in unagamma tutta veneziana. Il suo soggiorno romano ebbesulla sua opera influsso assai minore rispetto a quello deglianni di studio a Venezia; il ricordo dell’antichità classica,l’arte di Michelangelo e dei manieristi saranno avvertibilinella Pietà della coll. Johnson (Filadelfia, am) e in quelladella Hispanic Society di New York, nonché nei suoi di-pinti successivi (reminiscenze dell’Ercole Farnese e del

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Laocoonte, composizione piramidale, figure allungate ri-spetto al canone). Ma, anche in questo caso, E G devepiú a Tiziano che ad ogni altro maestro. Nel Giovinettoche accende una candela (1570 ca.: Napoli, Capodimonte)impiega una fonte di luce artificiale, ispirandosi alla Nati-vità di Tiziano (Firenze, Pitti) e aprendo la strada alle ri-cerche luministiche della fine del secolo. Durante il sog-giorno in Italia eseguí numerosi ritratti vicini a quelli ve-neziani: Giulio Clovio (Napoli, Capodimonte), G. B. Porta(Copenhagen, smfk), il Governatore di Malta VincentioAnastagi (New York, Frick Coll.) sono rappresentati conuna fedeltà minuziosa al modello, il che non esclude l’am-piezza della composizione.Periodo spagnolo Poco conosciuto in Italia, l’artista si af-fermò a Toledo con la trionfale Assunzione destinataall’altar maggiore del convento di San Domingo el Anti-guo (1577: Chicago, Art Inst.). In essa permane la ric-chezza veneziana del colore, e la composizione rivela l’in-fluenza dell’Assunta dei Frari di Tiziano, ma suggestionimanieriste si manifestano nell’assenza di profondità enelle pose movimentate. La Trinità (Madrid, Prado), checostituiva la cimasa della pala, è unica nella produzione diE G per il suo carattere scultoreo, direttamente ispirato aMichelangelo. Nella Resurrezione compare un nuovo E G,drammatico e misterioso. L’artista compone allora l’Espo-lio (Cristo spogliato della tunica, 1577-79: Toledo, Catte-drale) una delle sue creazioni piú originali: i sapienti ef-fetti di scorcio provano l’assimilazione delle lezioni delRinascimento italiano, ma la formula iconografica è d’ori-gine bizantina, e l’intensità del colore, con l’ossessivachiazza scarlatta della tunica di Cristo, suscita un’emozio-ne profonda. In questo dipinto compare inoltre un tipofemminile caro a E G – lungo viso affilato, grandi occhitristi – il cui modello fu forse la toledana Jeronima de LasCuevas, moglie (o amante) del pittore. Elementi medieva-li, trasfigurati dall’immaginazione visionaria dell’artista,ricompaiono anche nell’Allegoria della Lega Santa (oTrionfo del nome di Gesú: Escorial). Tale composizione,un tempo denominata il Sogno di Filippo II, sembra siastata dipinta per il re nel 1578, in occasione della mortedel fratellastro don Giovanni d’Austria, il vincitore di Le-panto. Il Martirio di san Maurizio (1582: Escorial),anch’esso eseguito per Filippo II, non incontrò il favoredel monarca e dei religiosi – senza dubbio per il suo irrea-

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lismo e per i colori aspri – ed E G cessò di lavorare per lacorte. Si dedicò allora soprattutto a «quadri devoti» carialla religiosità spagnola: San Francesco che riceve le stigmate(Madrid, coll. del marchese de Pidal), Cristo in croce. LaCrocifissione con due donatori (Parigi, Louvre) preannunciail capolavoro del maestro, il Seppellimento del conted’Orgaz (1586: Toledo, San Tomé). Questa composizioneper vetrata, austera e sontuosa, che associa tutta la corteceleste alla rappresentazione d’una cerimonia funebre, dàcome una sintesi di quella società toledana – chierici, giu-risti, capitani – che adottò il pittore e nelle sue tele si ri-conobbe. Meglio di qualsiasi artista spagnolo E G espres-se, in una serie di ritratti, la gravità solenne dei nobili ca-stigliani: il Cavaliere con la mano sul petto (Madrid,Prado), l’umanista Covarrubias (Parigi, Louvre), il Capita-no Julian Romero de Las Hazanas (Madrid, Prado), trattatiin bianco e nero in forma classica, austera ed esatta. Ilcardinai Niño de Guevara (New York, mma) unisce l’os-servazione psicologica alla solenne rappresentazione delgrande inquisitore. Durante gli ultimi trent’anni del suosoggiorno toledano, E G creò una nuova iconografia,conforme alle prescrizioni del concilio di Trento: santi pe-nitenti, scene della Passione e della Sacra Famiglia sono itemi replicati dall’artista o dalla sua bottega. La profon-dità dell’emozione religiosa, la fedeltà all’aspetto fisico eil calore della gamma cromatica (rossi scuri, gialli dorati)caratterizzano il Cristo che porta la croce (Madrid, Prado;New York, mma), la Maddalena pentita (Budapest, Sitges,Cau Ferrat), le Lacrime di san Pietro (Toledo, OspedaleTavera). La Sacra Famiglia (Madrid, Prado; Toledo, Ospe-dale Tavera; e Santa Cruz) è una delle sue creazioni piúfelici, per la grazia dolorosa e la splendente freschezza delcolore.Gli ultimi anni Dal 1595 ca. l’artista si allontana semprepiú dalla rappresentazione della realtà per trasporre sullatela la ricchezza estatica del suo mondo interiore. I corpisi allungano e perdono la loro carnale pesantezza, semprepiú simili alla fiamma che talvolta illumina il quadro.Quest’evoluzione è sorprendente nelle opere dipinte tra il1596 e il 1600 per il collegio di Santa Maria de Aragon aMadrid (Annunciazione: Villanueva y Geltrú, Museo Bala-guer; Adorazione dei pastori: ora a Bucarest; Battesimo diCristo: Madrid, Prado). L’accentuazione delle verticaliraggiunge il parossismo nella decorazione della Cappella

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di san Giuseppe a Toledo (1599), di cui restano in locosolo i quadri dell’altar maggiore (San Giuseppe e il Bambi-no Gesú, l’Incoronazione della Vergine), e da cui provieneSan Martino e il povero (1599: Washington, ng). Il paesag-gio di Toledo sotto un cielo tempestoso che occupa ilfondo del quadro è amplificato nella celebre Veduta di To-ledo (New York, mma). I temi trattati da E G all’iniziodella sua carriera vengono talvolta ripresi – Adorazione deipastori, Resurrezione (Madrid, Prado) – ma in un climad’angoscia e di tensione verso il trascendente. I toni fred-di, la pallida luce, i corpi immateriali e i volti emaciati ca-ratterizzano le cinque tele dipinte per l’Ospedale dellaCarità a Illescas presso Toledo (1603-1605): Sant’Ildefon-so mentre scrive e la Madonna della misericordia traspongo-no i temi medievali in un mondo estatico. Il San Domeni-co in preghiera (Toledo, Cattedrale), figura solitaria perdu-ta entro un paesaggio desolato, è tra le creazioni piú pate-tiche di E G, che dedicò anche parecchi quadri alla leg-genda francescana: San Francesco e frate Leone mentre me-ditano sulla morte, inciso da Diego de Astor nel 1609 (nu-merose versioni, specialmente a Madrid, Prado; a Ot-tawa, ng; a Valencia, Collegio del Patriarca) e la Visionedella torcia accesa (Codice, Ospedale del Carmine; Ma-drid, Museo Cerralbo). Durante gli ultimi anni E G con-tinuò a tradurre sulla tela le sue visioni, i suoi sogni e lesue aspirazioni, mentre la sua bottega (nella quale figura ilfiglio Jorge Manuel) eseguiva numerose repliche dei temipiú cari alla devozione spagnola: serie di Apostoli, figuredi santi (Toledo, Cattedrale e Museo del Greco). L’anato-mia tormentata, le deformazioni marcate, l’estremo allun-gamento rispetto al canone, il tocco ampio e i vasti drap-peggi, come l’autunnale splendore del colore, vengonoportati all’estremo nell’Assunzione dipinta dopo il 1607per la chiesa di San Vicente e oggi in museo a Toledo.L’esaltazione raggiunge il parossismo nel Quinto sigillodell’Apocalisse (New York, mma), assai vicino al Laocoon-te (Washington, ng), unico tema mitologico che E Gabbia trattato. La Veduta di Toledo (Toledo, Museo delGreco) dimostra la straordinaria sicurezza del pennellodel maestro poco prima della sua morte. L’ultima opera,rimasta incompiuta, venne dipinta per l’Ospedale Taveradi Toledo: Battesimo di Cristo. Per tutta la sua carriera,l’immaginazione creativa di E G uní e rielaborò i vari ele-menti di cui s’era nutrita: l’eredità cretese, le lezioni del

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Rinascimento italiano e l’atmosfera di Toledo. Dimentica-to fino al xix sec., riscoperto dalla «generazione del ’98»in Spagna e rivelato al pubblico francese da MauriceBarrès (Greco ou le Secret de Tolède, 1910), E G venneconsiderato artista solitario, stravagante e geniale. La cri-tica contemporanea cerca di determinare le componenti diquest’alchimia pittorica che conferisce all’allungamentodelle proporzioni - tratto comune a tutti i manieristi - unvalore mistico di aspirazione al trascendente. E G trassemodelli e ispirazione per la sua arte dalla tradizione arti-stica dei luoghi in cui lavorò, Venezia e Toledo; tuttaviail suo stile fu originale e non ebbe veri continuatori (il mi-gliore dei suoi seguaci, Luis Tristán, aderí presto al tene-brismo caravaggesco). La sua influenza sarà importanteper Velázquez, che ne ammirò molto le opere. (acl + pg).

Elisabetta II d’Inghilterra, regina di Gran Bretagna(Londra 1926). La collezione di quadri ereditati dalla regi-na è senza dubbio la piú varia e la piú importante dellaGran Bretagna, eccettuate quelle della National Gallery edella Tate Gallery. Gran parte di essa è esposta nei palaz-zi aperti al pubblico. La maggior parte degli antichi mae-stri italiani, fiamminghi e tedeschi raccolti dal principeAlberto, che la regina Vittoria espose alla ng, sono aHampton Court, insieme al Noli me tangere di Holbein,acquistato da Enrico VIII, e a quanto resta dei quadri ita-liani raccolti da Carlo I, in particolare i nove Trionfi diMantegna, il ritratto di Isabella d’Este di Giulio Romano,Andrea Odoni di Lotto e due Tintoretto, una raccolta ditele italiane del xvii e del xviii sec. comprendente operedi Fetti, di Marco e Sebastiano Ricci, nonché le seriedelle Belle di Lely e Kneller.Nel castello di Windsor si trovano quadri di tutte le scuo-le, tra cui ritratti di Holbein, in particolare Derick Born eSir Henry Guilford, il ritratto della Madre di Rembrandt(proveniente dalla collezione di Carlo I), importanti Ru-bens e Van Dyck, i Canaletto comperati presso il consoleSmith, i fondamentali Zoffany e Gainsborough, nonché iritratti di Lawrence per la camera di Waterloo. Tra que-ste opere, l’Inverno, l’Estate e la Famiglia Gerbier di Ru-bens, il doppio ritratto di Killigrew e Carew, nonché SanMartino che divide il mantello di Van Dyck e qualche qua-dro italiano e francese del xvii sec. vennero raccolti daFrederick, principe di Galles, all’inizio del xviii sec. La

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magnifica collezione di disegni di antichi maestri, conte-nente splendidi Michelangelo, Raffaello e Parmigianino,nonché serie senza pari di Leonardo, di Holbein, dei Car-racci, di Domenichino, Castiglione, Poussin, Canaletto eSandby si trova presso la Royal Library di Windsor (que-ste opere vengono esposte a rotazione). Una notevoleserie di cataloghi di tali disegni, inaugurata nel 1942, èoggi completa.Si trovano a Buckingham Palace la Donna alla spinetta conun uomo di Vermeer, i quadri tedeschi e fiamminghi rac-colti da Giorgio IV, nonché altri capolavori di Rubens edi Van Dyck. I Benjamin West commissionati da GiorgioIII sono in Kensington Palace. Un’immensa collezione diritratti di famiglia e di quadri storici aventi rapporto conla Corona è sparsa nei palazzi reali. Mostre temporanee,che illustrano i tesori della collezione, hanno luogo rego-larmente in Buckingham Palace (The Queen’s Gallery).(jh).

Elle, Ferdinand, detto il Vecchio(Malines 1580 ca. - Parigi 1649). Venne spesso designatocol nome di battesimo, che venne in seguito anteposto alcognome dei discendenti; il che rende particolarmentearduo distinguere tra i vari personaggi. Calvinista di origi-ne fiamminga, è segnalato a Parigi sin dall’inizio del1609. Secondo Bellori e Félibien, il giovane Poussin neavrebbe frequentato per qualche tempo la bottega. Vennenaturalizzato nel 1623 e fece una carriera di ritrattistache sembra sia stata brillante, benché la sua opera sia ogginota soltanto da alcune incisioni, che non consentono difarsi un’idea precisa della sua arte (ritratti di P. de Jode diA. de Loménie, di Jeanne de Chantal). Gli si attribuisce tal-volta un Ritratto di Poussin nel 1640 (Dresda, gg), incisonel 1698 dal nipote.Louis Ferdinand, o Ferdinand le Père (Parigi 1012-89),figlio del precedente, è quasi altrettanto poco noto.Anch’egli ritrattista, fu tra i membri fondatori dell’acca-demia nel 1648, Vi divenne professore nel 1659. Se neconosce un bel ritratto in piedi di Sir George Hay of Meg-ginch, datato 1649 (già coll. Miss Harley Bacon), e inci-sioni da altri ritratti dipinti nel 1650-60 ca. (il Duca deLesdiguières, François de Nesmond, il Maresciallo Fabert, ilConte di Dunois, quest’ultimo inciso da Nanteuil).Anch’egli praticò l’incisione di riproduzione. Come il fi-

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glio, venne espulso dall’accademia dal 1681 al 1686, datadella loro abiura.Louis Ferdinand il Giovane (Parigi 1648 - Rennes 1717).Si conservano parecchie sue opere: i ritratti del miniaturi-sta Samuel Bernard e dello scultore Regnaudin, donatiall’accademia per il suo definitivo accoglimento nel 1681(vi era stato ammesso nel 1676), si trovano oggi a Versail-les. Si stabilí a Rennes al piú tardi nel 1695, praticandoda allora anche la pittura di storia: Presentazione al Tem-pio (1702: Rennes, mba, ove si trovano pure tre disegni).I Ferdinand E sembra siano stati per tutto il secolo tra iprincipali rappresentanti di uno stile realistico del ritrattoa Parigi. (as).

El’ Lisickij(Lazar’ Markovi™ Lisickij, detto) (Po™inok 1890 - Mosca1941). Studia alla scuola politecnica di Darmstadt, da cuiesce con la laurea di ingegnere-architetto nel 1915. Finoal 1920 si dedica all’arte grafica, ispirata dal pensieroebraico (la Leggenda di Praga, 1917). Nel 1919 Chagall lochiama all’accademia di Vitebsk, che dirige, come inse-gnante di architettura ed arte grafica. Ma questo è l’annodel conflitto di tendenze che contrappone Chagall a Male-vi™. Questi diviene direttore dell’accademia, ormai desi-gnata come «Unovis». E L aderisce alle teorie supremati-ste ed inventa il proun, nuova realtà tridimensionale, spa-zio che si definisce tra la pittura e l’architettura. Questaprospettiva astratta lo porta alle sue creazioni piú origina-li (Storia di due quadrati, concepita all’Unovis, edita inOlanda nel 1922) e all’organizzazione di una sala nellaGall. Van Diemen a Berlino per la mostra di arte russacontemporanea. Da questo momento l’artista comincia adimpiegare i materiali piú vari (sabbia, mattone pestato),che arricchiscono la superficie pittorica e lavora con KartSchwitters per la pubblicazione della rivista «Merz»(Hannover, 1922), e con Il’ja Erenburg per la rivista«Oggetto», pubblicata in tre lingue (russo, tedesco, fran-cese) a Berlino (1922). Il disegno della Tribuna di Lenin(1920-24) ne riassume le ambizioni simboliche e grafiche:un fotomontaggio presenta il tribuno rivoluzionario chearringa dall’alto di una struttura d’acciaio. Nel 1925 E Lè in Svizzera e pubblica con Jean Arp l’opera Gli -ismidell’arte, che fa il punto sui movimenti d’avanguardia natitra il 1914 e il 1924. Questa pubblicazione illustra un

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altro aspetto dell’artista, l’incessante attività per la diffu-sione all’estero delle concezioni suprematiste e costruttivi-ste. Nel 1926 realizza quella che egli stesso riteneva la suaopera fondamentale, l’architettura interna del Gabinettoastratto all’esposizione d’arte internazionale di Dresda,poi esegue nel 1927-28 quella del museo di Hannover (di-strutta). Nel 1928 torna in Urss e si stabilisce a Mosca;insegna ai Vchutemas. I contatti che ha serbato all’estero(incontra Theo van Doesburg a Berlino nel 1921,Moholy-Nagy a Düsseldorf nello stesso anno e, attraversodi lui, ha rapporti col Bauhaus) gli consentono di parteci-pare all’organizzazione delle sale e dei padiglioni sovieticialle esposizioni internazionali e di concretare cosí i prin-cipî del proun. Produce inoltre plastici teatrali (particolar-mente per Mejerchol’d), prosegue l’opera grafica illustran-do libri e creando manifesti, e valorizza il suo talento diarchitetto in progetti di sistemazione interna (per Ginz-burg) ed esterna (progetto per il parco della culturaGor’kij). È rappresentato a New York (moma) e a Fila-delfia (am). (bdm).

Ellora-

Fa oggi la gloria di E, complesso di santuari rupestridell’India (stato del Maha- ra- s. t. ram, a nord-ovest diAuranga-ba-d), la decorazione scolpita; ma è consentitosupporre che la pittura abbia svolto un certo ruolo nell’or-namentazione di queste grotte. Una delle tracce piú im-portanti delle pitture parietali, oggi quasi totalmentescomparse, orna il soffitto del portico occidentale delKaila- sa, enorme tempio monolitico databile alla metàdell’viii sec. I dipinti dello strato antico risalgono senzadubbio alla fondazione del santuario, sono ancora visibilidue scene, la prima rappresenta Vis.n.u e Laks.mı- a cavallodi Garud.a (uccello mitico con testa umana), l’altra un per-sonaggio adorante, a cavallo di un leone cornuto, a sini-stra del quale danzano geni celesti. Tali dipinti sembranoillustrare una fase piú avanzata di quella di Ajan.t.a- nel vi

sec. Compare qui, assai netta una tendenza ad esasperarei tratti: il naso, il labbro inferiore e il mento sono stretti eappuntiti, gli occhi globulari e di essi quello piú lontano,visto di tre quarti, diviene sporgente: caratteri che, piúaccentuati si ritroveranno piú tardi nelle miniature giainadel Gujara-t e dell’India occidentale. Un’altra scena, √iva ePa-rvatı- sul toro Nandin, appartiene a una fase piú recente

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del soffitto del portico occidentale del Kaila- sa. I perso-naggi sono sovraccarichi di gioielli, e i loro movimentinon hanno piú la morbidezza caratteristica dello stratoantico di questo medesimo soffitto; i toni sono assai piúscuri. Con ogni verosimiglianza i due strati di pitturasono separati da circa un secolo. Affreschi, certo di qual-che decennio piú recenti, decorano la grotta giaina IndraSabha- (XXXII); gruppi di figure in volo, abbondante-mente ornate di gioielli, compaiono in pannelli fra le nu-vole; trattate quasi senza modellato, tali figure presentanoun’esecuzione talvolta piuttosto greve. (jf).

Eloy, Mario(Lisbona 1900-51). Autodidatta, durante un soggiorno aBerlino si appassionò all’espressionismo, soprattutto quel-lo di Hoffer. Il singolare carattere dei suoi Autoritratti(Lisbona, mac) ha raggiunto una forma di vero e propriodelirio (composizioni liriche e macabre, in coll. priv.), ovesi avverte la follia, in cui infine egli cadde. Resta tra lepersonalità piú importanti della «seconda generazione»dell’arte moderna portoghese. (jaf).

Elsheimer, Adam(Francoforte 1578 - Roma 1610). Formatosi tra il 1593 eil 1598 nella bottega del pittore Philip Uffenbach di Fran-coforte, lasciò la sua città natale e, passando per Monaco,si recò a Venezia, ove lavorò per qualche tempo con HansRottenhammer. Sembra venisse soprattutto impressionatodalle opere di Tiziano, Veronese e Tintoretto, il cui in-flusso si ritrova in particolare nella gamma luminosa a trecolori - azzurro-giallo-rosso - del quadretto su rame SacraFamiglia con angeli (1599: Berlino-Dahlem), o nel Sacrifi-cio di san Paolo a Listra (1599: Francoforte, ski). Ma E siispirerà anche, tanto dal punto di vista stilistico quantoda quello tecnico, ai lavori del Rottenhammer, che comelui amava dipingere su rame. Nel 1600 si stabilí a Roma,ove restò fino alla morte. Il paesaggio con figurette mito-logiche rappresentante l’Educazione di Bacco (Francoforte,ski) appartiene al suo primo periodo romano, malgrado ilmotivo dei dintorni di Roma dipinto sullo sfondo essoresta ancora legato alla concezione manierista del paesag-gio olandese, introdotta da Paul Brill. Proprio a Roma,del resto, E conobbe Brill e si legò a lui intimamente. Inseguito egli fu impressionato dalle innovazioni di Cara-

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vaggio e dalle sue opposizioni fortemente contrastate diluce e d’ombra, dalla monumentalità dei paesaggi di Anni-bale Carracci, e dai paesaggi gremiti di figure aneddotichedel Domenichino. Essi lo spinsero ad abbandonare la con-cezione olandese del paesaggio di fine xvi sec. per ade-guarsi alle novità del paesaggio italiano. Benché E abbiacontinuato a dipingere quadri di dimensione assai piccola,la composizione conferiva loro un’ampiezza monumentaleconfrontabile a quella della grande pittura italiana. Il suocelebre paesaggio l’Aurora (Braunschweig, Herzog-Anton-Ulrich-Museum) è un miscuglio tra ideale romantico,realtà idillica e una tecnica delicata che richiama addirit-tura la miniatura. Questo capolavoro del paesaggio tede-sco venne dipinto poco prima della morte di E. In esso lasemplicità e la resa di un sentimento fervido della naturasono diversi dal grandioso impianto decorativo del paesag-gio eroico di un Carracci o di un Poussin, e annuncianopiuttosto il paesaggio di un Rembrandt o di un ClaudeLorrain. Cosí pure l’effetto notturno di Filemone e Bauci(Dresda, gg) – primo quadro d’interno nel senso modernodel termine – fa del pittore il precursore degli intimistidella scuola olandese. E vi tratta il tema delle Metamorfosidi Ovidio, dando vita a un mondo favoloso nel quale sim-patizzano uomini e dèi, uniti da un sentimento d’intimacomprensione. Occorrerà attendere cinquant’anni, conl’opera tarda di Rembrandt, che conobbe questo dipinto,perché il tema venga trattato in modo consimile, come ap-parizione poetica e visionaria del divino. Tra le altreopere importanti di E, si possono citare paesaggi animatida figure (Apollo e Coronide: Corsham Court (GB), coll.di Lord Methuen; Tobia e l’angelo: Francoforte, hm), tal-volta con sorprendenti effetti di luce lunare (Fuga in Egit-to, 1609: Monaco, ap); scene di interni rischiarati dallaluce artifiåale (Giuditta: Londra, Apsley House) e compo-sizioni mitologiche e sacre che raggruppano numerosissi-me figure (Martirio di san Lorenzo: Londra, ng; Martirio disanto Stefano: Edimburgo, ng; Glorificazione della croce:Francoforte, ski; Battesimo di Cristo: Londra, ng; Scena disacrificio antico, detta Il Contento. Edimburgo, ng), conaccenti che toccano talvolta il fantastico (Incendio diTroia: Monaco, ap; Naufragio di san Paolo: Londra, ng).Segnaliamo inoltre che lo ski di Francoforte possiede unimportante nucleo di quadri dell’artista. E fu pure note-vole disegnatore. I suoi studi di figure, di un realismo in-

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tenso, servirono di modello a Rembrandt, che probabil-mente ne possedeva molti. Come per i dipinti, cosí pureper i disegni di paesaggi è difficile identificarne il luogoritratto; essi sono di solito acquerellati, con una tecnicamolto pittorica; i contorni sono indicati con leggerezza,con stile ampio. In essi non va mai ricercata una traduzio-ne realista, ma un’immagine composita, ideale, creata dalraggruppamento di vari motivi. I suoi paesaggi a guazzo,grigio scuro con risalti di bianco e qualche chiazza di colo-re, rivelano una padronanza completa nella resa dello spa-zio, che ritroveremo soltanto nell’opera tarda di Rem-brandt. L’arte di E ebbe in Germania soltanto seguaci dilivello secondario: Johann König e Thomas von Hagel-stein; egli trovò invece ammiratori tra i migliori rappre-sentanti della pittura barocca. Cosí, a Roma Rubens feceparte della sua cerchia, Rembrandt venne iniziato alla suaopera attraverso Hendrik Goudt e il suo maestro PieterLastman. E fu ancora E a preparare la via alla visionespaziale di Claude Lorrain e dai paesaggisti «romanisti»venuti dai Paesi Bassi (Poelenburgh, Pynas, Breenbergh,Uyttenbroeck). Certo è il suo influsso su Saraceni. In unalettera inviata a Roma da Rubens in occasione della suamorte si legge: «Secondo me, nessuno è mai stato alla suaaltezza nel campo delle figure piccole, del paesaggio e ditanti altri soggetti». (ga).

Elsner, Jakob(? 1460 ca. - Norimberga 1517). Fa parte degli artisti mi-nori di Norimberga della fine del xv sec., che, inizialmen-te legati alla tradizione, risentirono in seguito della lezio-ne di Dürer. Eseguí miniature e soprattutto ritratti; il piúantico è un piccolo trittico rappresentante sul pannellocentrale Konrad Imhoff, e sulle ante da un lato il suo stem-ma, dall’altro l’allegoria della Fortuna (1486: Monaco,nm). I ritratti successivi esprimono meglio la personalitàdel modello, ma l’esecuzione resta quella di un artigianocoscienzioso. E non venne particolarmente influenzatodalla concezione del ritratto di Dürer, il cui influsso si av-verte soltanto nei suoi dipinti tardi. Merita invece mag-giore attenzione come miniaturista. Le sue opere migliorisono due Libri dei pericopi eseguiti nel 1505 e nel 1507per l’elettore di Sassonia Federico il Saggio (Jena, Bibl.dell’università), e il Messale di Kress, completato nel 1513e conservato oggi a Norimberga. Per influsso delle stampe

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e delle miniature fiamminghe, la fattura, goffa e senza ri-lievo agl’inizi, raggiunge una qualità che consente di an-noverare le ultime miniature di E tra le piú affascinantidell’inizio del xvi sec. in Germania. (mwb).

Eluard, Paul(Paul-Eugène Grindel, detto) (Saint-Denis 1885 - Charen-ton-le-Pont 1952). Amico di De Chirico, Max Ernst e Pi-casso, fu egli stesso autore di collages: la Notte veneziana(1924), A ciascuno la sua ira (1938). Per la collaborazioneassidua alle riviste «La Révolution surrealiste, le Surréali-sme au service de la révolution» e «Minotaure», per lepoesie dedicate a pittori (Picasso, Ernst, Braque, Arp,Magritte, Man Ray, Miró, Klee, Masson, Tanguy, Dalí,Delvaux, Valentine Hugo), E, i cui temi poetici maggiorisono lo sguardo e la luce, svolse un ruolo eminente nellaformazione della poetica pittorica del surrealismo. Donnerà voir (1938), raccolta dei suoi testi sull’arte, precede dipoco la sua rottura con gli amici surrealisti e il ritorno, inoccasione della Resistenza, nelle file del partito comunistafrancese. La sua Anthologie des écrits sur l’art (3 voll. dal1952 al 1954) è nettamente improntata dall’influsso delrealismo socialista. (rp).

emaki o emakimonoTermine della pittura giapponese che significa «rotolo inlunghezza illustrato». Sotto questo nome è raggruppatoun centinalo di serie diverse, inaugurate nell’epoca diNara dall’Ingakyo-. Si distinguono, nelle epoche di Heiane di Kamakura, le illustrazioni di romanzi letterari o mili-tari (Genji monogatari, Ban Dainagon), i rotoli di edifica-zione religiosa (del tipo degli eden o degli engi), delle scia-gure del mondo (Jigokuzo-shi), delle caricature (Cho-ju- giga).(ol).

emblemaIl significato attuale del termine e – quale rappresentazio-ne visiva che accompagna, illustra o raffigura un motto,un sonetto o una massima filosofica – non compare innessuna lingua moderna prima del xvi sec. La parola, de-rivante dal greco ùmbßllw (metto dentro, in, su) è infattipresente negli autori greci e latini esclusivamente per de-signare elementi in rilievo e in materiale nobile inseritiquale ornamento di scudi, vasi, pareti e mosaici. Ricor-

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rente nelle fonti latine come «quadretto eseguito a piccoletessere» da inserire al centro di un mosaico piú grande,come «medaglione lavorato a mosaico finissimo» (e vermi-culatum), intarsio pregiato di pietra, legno o metallo (etessellatum) o rivestimento, incrostatura di piastre cesella-te d’oro o d’argento applicate per decorare vasi (come si-nonimo di crusta), l’espressione e è usata da Quintiliano(2.4.27) piú genericamente come ornamento, citazione perabbellire o rendere meno pesante un discorso. Il terminemantenne tali significati anche durante il medioevo enella letteratura umanistica.Fu nel 1531 con la pubblicazione di Augsburg dell’Emble-matum Liber di Andrea Alciato, colto umanista e giuristadi fama europea, che la parola e, ripresa dalle Adnotatio-nes in Pandectarum libros di Guillaume Budé (Parigi 1508)dove – secondo l’accezione latina – ancora designavaun’«opera musiva», assunse un nuovo valore. Gli Emble-mata dell’Alciato, infatti, si configurano all’inizio comesintesi di elementi visivi e di elementi verbali, combinatiin una relazione funzionale tale che mediante l’accosta-mento dell’immagine al testo letterario (composto di un«motto» e di un «epigramma») si faciliti la comprensionedel testo stesso, orientando il lettore a una piú agevole in-terpretazione di quelli che l’Alciato stesso definisce i «lin-guaggi segreti». Finalità dell’autore è fornire una raccoltadi «epigrammi speciali» che offrano eleganti modelli adartisti, incisori ed orefici («Quando il gioco della nocestanca i fanciulli, e il dado ai giovani cade di mano e lecartelle scritte agli uomini stanchi, noi demmo alle stampequesti e per ore festive, con disegni fatti da artisti conmano illustre affinché ornassero le decorazioni dei vestitie le insegne dei cappelli e qualcuno sia in grado di scrive-re con linguaggi segreti»: dalla Dedica). Le illustrazioninon avrebbero avuto inizialmente che il valore di «espres-sioni visive» ricavate dal testo scritto. La prima edizionecomprendeva xilografie piuttosto rozze, attribuite a JörgBreuil; raffigurazioni come la palma sotto il peso, Arionee il delfino, la leonessa di Crecopia, l’amore bendato chevince il fulmine o l’anguilla stretta nella foglia di fico ac-compagnano un testo di motti in latino e di epigrammi ri-presi dall’Antologia Planudea e tradotti dal greco in latino.L’Alciato trasse il materiale dalla Planudea, rifacendosialla descrizione di opere dei piú famosi autori greci. Gliepigrammi, derivati da una traduzione verbale di antiche

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figurazioni (emblemata), hanno prodotto a loro volta im-magini pertinenti ed equivalenti al testo, dette anch’esseemblemata.Da quel momento, dunque, il termine definí quella strut-tura tripartita (motto-immagine-epigramma) individuatadai piú prestigiosi studiosi di emblemi (Hecksker, 1959;Schöne, 1964; Praz, 1964) e rintracciabile soprattuttonella produzione posteriore, in cui l’immagine acquistòprogressivamente maggiore importanza. Già nell’edizioneparigina curata da Ch. Wechel nel 1536, infatti, epigram-mi e illustrazioni aumentarono di numero e queste ultimerisultano piú eleganti e complesse. Nella seconda metà delsecolo il testo venne tradotto e ampliato con innumerevolicommenti di interpreti differenti, tra cui il giurista Clau-dius Minois (Claude Mignault), che nell’edizione Plantindel 1571 definiva le caratteristiche dell’e, affermando cheesso «partecipa della natura del simbolo (ma è particolareanziché universale) dell’indovinello (ma non è altrettantodifficile), dell’apoftegma (ma è di natura visiva anzichéverbale) e del proverbio (ma è di carattere erudito, anzi-ché tenere conto del luogo comune)» (Panofsky).A favorire il cambiamento di significato del termine el’affermazione del nuovo genere emblematico contribuiro-no diverse sollecitazioni culturali: dalla Naturalis Historiadi Plinio il Vecchio, che riproduceva tra l’altro anche laStoria degli animali di Aristotele, alla letteratura favolisti-ca (da Esopo ad Apollonio Rodio); dalla lettura allegorica,anagogica e morale delle sacre scritture e dei miti,all’ampia diffusione del Physiologus, dei bestiari e dei lapi-dari medievali. Questi motivi infatti avevano arricchito dispunti aristotelico-tomistici la particolare sensibilità versol’ermetico e i suoi corrispondenti iconici che caratterizzòl’atteggiamento del circolo neoplatonico fiorentino e inparticolare la concezione ficiniana della docta religio. Ed èproprio in quest’ambito che noi rintracciamo la fonte piúsignificativa degli e alciatei. La riscoperta e l’esaltazionedella saggezza antica come sintesi di religione e filosofiaaveva alimentato presso i neoplatonici l’interesse per l’in-terpretazione filosofica delle immagini e dei simboli.La grande importanza dei geroglifici presso gli ambientiumanistici e la convizione di una occulta sapienza conte-nuta in essi sono indubbiamente da ricollegare alla diffu-sione degli Hieroglyphica di Orapollo, opera che circolò informa manoscritta nel corso del sec. xv, dopo che nel

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1419 il sacerdote fiorentino Cristoforo Buondelmontiaveva rintracciato nell’isola greca di Andro un testo attri-buito a un autore egizio del iv sec. d. C., erroneamenteritenuto tradotto dall’egizio in greco, che fu consideratouna chiave di lettura per circa centonovanta geroglifici.Testimonianza del successo del linguaggio ideograficonella letteratura e nella produzione artistica sono docu-mentate nel De re aedificatoria di L. B. Alberti (libroVIII, cap. iv), nel Trattato di architettura del Filarete (cap.xii), nel Trionfo di Cesare di Mantegna, nelle storie diIside e Osiride affrescate nell’appartamento Borgia in Va-ticano, in vari schizzi leonardeschi, in alcuni progetti nonrealizzati del Bramante a Roma, nella decorazione dellaCamera della Badessa nel convento di San Paolo a Parma,del Correggio, nelle Allegorie di G. Bellini. Il cultodell’Egitto e delle «lettere egizie» aveva inoltre influitonotevolmente anche sull’Hypnerotomachia Poliphili diFrancesco Colonna, opera di straordinario interesse per lastretta connessione tra il virtuosismo linguistico e le ric-che xilografie pubblicata a Venezia nel 1499 dall’officinatipografica di Aldo Manuzio. In essa le immagini che illu-strano il racconto – una storia d’amore allegorica – si di-stinguono per la varietà del materiale iconografico, fruttodi combinazioni e contaminazioni di elementi cristiani epagani, reperiti in antichità reali o fantasticate. Accanto afigurazioni simboliche e ad un repertorio derivatodall’arte ellenistica e medievale comparvero, col tempoanche «falsi» geroglifici moderni, realizzati con lo stessointento che animava i coevi esperimenti d’interpretazionilessicali. Anche nelle medaglie erano comparsi da tempoelementi geroglifici, basti ricordare quella dell’Alberti conil suo autoritratto (1438) in cui sotto il mento è mostratoil motivo dell’occhio alato, elemento che, circondato daun serto vegetale sarebbe stato ripreso poco dopo da Mat-teo de’ Pasti con l’agginnta del motto ciceroniano quid

tum? (ebbene?), allusione alla gloria e all’onniscienza di-vina. Le medaglie, d’altra parte, per la struttura stessa delgenere, in cui il linguaggio verbale e quello figurativosono strettamente uniti, costituiscono sicuramente unadelle fonti piú ricche degli e alciatei. Nel 1505 il mano-scritto di Orapollo era stato finalmente stampato nella ti-pografia aldina e nel 1517 dall’umanista Francesco Fasam-ni che ne aveva curato la traduzione, auspicando un usofigurativo dei motivi geroglifici «interpretati». Frattanto

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il termine ‘geroglifico’ aveva subito un ampliamento di si-gnificato fino a comprendere ogni segno figurativo o feno-meno verbale che esprimendo concetti in forma ambiguao arcana, fosse portatore di potenzialità allegoriche e sim-boliche. In tale ambito, dunque, con la cosiddetta «filoso-fia» dei geroglifici, iniziò a strutturarsi il fenomeno dell’ein quel culto della metafora che avrebbe avuto il suo cul-mine nel concettismo seicentesco. In tal senso l’usò espli-citamente l’Alciato nel De verborum significatione (Lione1531) dove affermava: «Le parole contrassegnano, le cosesono contrassegnate. Ma anche le cose contrassegnano,come i geroglifici di Oro e Cheremone; e a prova di ciònoi abbiamo compilato un libro il cui titolo è Emblema-ta». Il libro è dedicato all’umanista Konrad Peutinger, fi-gura di rilievo nell’ambiente intellettuale tedesco: a lui in-fatti Carlo V diede l’incarico di far risalire ad Osiride lapropria discendenza genealogica. Anche in Germania in-fatti l’Egitto, i geroglifici e il libro di Orapollo avevanoormai da tempo acquistato prestigio e ciò è attestato dauna xilografia di Albrecht Dürer per l’Arco di trionfo diMassimiliano (1515) in cui l’imperatore appare circondatoda diversi animali, il cui valore simbolico è chiaramenterintracciabile nel programma stabilito dall’umanista Willi-bad Pirckheimer, autore dell’Interpretatio quarundarum lit-terarum Aegyptacorum ex Oro Niliaco.Il genere emblematico ebbe successo e si diffuse subitoampiamente: la produzione emblematica era adatta, infat-ti, a rispondere alle finalità morali, didattiche e ideologi-che divenute dominanti nella cultura della seconda metàdel secolo. La sintesi delle due forme artistiche combinatein equilibrio poteva soddisfare quel desiderio di comples-sità e rarità che avrebbe assunto un valore primario nelcorso del Seicento.Tra gli emblemisti piú famosi è il bolognese Achille Boc-chi, che pubblicò nel 1555 il volume Symbolicarum quae-stionum con incisioni di Giulio Bonasoni, ritoccate daAgostino Carracci per l’edizione del 1574; Johannes Sam-bucus, autore degli Emblemata cum aliquot nimmis anti-quis operis pubblicato ad Anversa nel 1564 e il medico te-desco Joachim Camerarius che nel Symbolicarum et emble-matum centuriae tres (Norimberga 1590-1604) si ispirò congrande successo alla zoologia e alla botanica.Contemporaneamente si affianca all’e e spesso resta daquesto indistinta, nonostante gli sforzi dei trattatisti,

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l’«impresa», genere di origine antichissima, di cui si erafatto ampio uso nelle figurazioni simboliche del medioevocristiano e ancora molto diffuso nel Tre-Quattrocentonegli ambienti cortesi del gotico internazionale per deco-rare mobili, gualdrappe, abiti, cappelli, bandiere. Di eti-mologia incerta, secondo T. Tasso (Il Conte overo l’impre-sa, Napoli 1594) l’impresa indica un «intraprendere... ocominciare con fermo proponimento alcuna cosa chepossa farsi», rappresenterebbe quindi simbolicamente ciòche si vuole conseguire o di cui ci si vanta. Essa è compo-sta da un’«anima» (un’iscrizione o un motto) legata a un«corpo» (l’oggetto raffigurato) in una relazione di vicen-devole significazione. Infatti nel Dialogo delle Imprese mi-litari e Amorose pubblicate a Roma nel 1555, Paolo Gio-vio, vescovo di Nocera, codificando in cinque regole lacostruzione dell’impresa, evidenzia nella quinta, la piúimportante, l’impossibile autonomia di significato dei dueelementi corpo-anima. Nell’immensa trattatistica cheseguí nel corso del Cinquecento e del Seicento e che fucaratteristica dell’area italiana, le regole divennero nume-rose, si moltiplicarono le indicazioni e le interdizioni; nederivò un genere fisso il cui codice non fu rigido perchésempre rimaneggiato. Seppure tra loro e e insegne sembri-no a noi ormai indistinguibili, nonostante gli intenti degliautori che pure hanno lasciato indicazioni riguardo allacomposizione e alle funzioni, si possono delineare rispettoad essi due diversi ambiti di pensiero: alla corrente esote-rico-ermetica del neoplatonismo sembra proprio l’e, che siaccompagna al simbolo e al geroglifico nel suo intento dirivelare e nascondere; in esso la parola scritta diviene «fi-gura» che, ponendosi come chiave e cifra di un mondopensato come logogrifo, non rappresenta ma guida, indi-ca. L’impresa, invece, con i suoi proponimenti di naturamilitare e amorosa sembra corrispondere maggiormente alfilone laico-cavalleresco che, innestandosi su spunti retori-co-aristotelici, si avvicina alla cultura delle accademie. Manonostante le differenze, l’e-impresa, colto nel suo aspet-to di fenomeno unitario, rappresenta un tentativo di co-struzione di un linguaggio estremamente complesso che,organizzato attraverso combinazioni e associazioni per so-miglianza e contiguità, di metafore e di rimandi metoni-mici, dà vita ad un segno composito sovraccaricato di si-gnificati che si intrecciano gli uní agli altri producendouna forma labirintica. Il disagio che oggi si prova di fron-

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te a questo fenomeno che può apparire come un simbolo«vuoto», come una nervatura scheletrica, coglie la carat-teristica di quel tentativo di costruire significazione nelgrande sogno di riunire ciò che è diviso, di far parlare conla poesia ciò che è muto, la pittura, come suggerisce il ti-tolo stesso (Picta poesia, Ut pictura poesis erit) del libro di epubblicato a Lione da Bartholomaeus Anulus nel 1552.Nel corso del Seicento la letteratura emblematica ebbeuno sviluppo abnorme, che si accompagnò ad uno scadi-mento della qualità della produzione stessa. Se il mondo èconcepito come un’infinita successione di metafore («Gliangeli stessi, la Natura, il grande Iddio, nel ragionar congli uomini hanno espresso con argutezze o verbali o sim-boliche gli lor piú astrusi e importanti segreti», affermavaE. Tesauro nel Cannocchiale aristotelico, Venezia 1655),non esiste forma verbale o immagine che non sia segnoconvergente di significati analogici. La poesia stessa offríingegnose immagini emblematiche accostando realtà di-stanti, combinando elementi eterogenei e semanticamentelontani in modo nuovo e inconsueto, secondo i principîdell’«argutezza», teorizzata da Baltasar Gracián, autoredel testo piú rappresentativo della concezione retorica delSeicento, Agudeza y arte de ingenio (1648), che definiscecon entusiasmo gli e di Alciato opera di «ponderacion mi-steriosa». Imprese, e e geroglifici sono, dunque, «le pietrepreziose nell’oro di un discorso elegante».Nel clima del concettismo proliferano i trattati e le com-pilazioni di e. «Nulla res est sub sole quae materia». Em-blemati dare non possit», affermò Bohuslaus Balbiniusnel 1687, registrando la varietà delle fonti da cui gli em-blemi erano ispirati.Le sentenze oraziane, la poesia erotica classica e petrar-chesca diedero origine a numerose raccolte di cui le piúfamose sono Q. Horatii Flacci Emblemata (Anversa 1607)del pittore olandese O. Vaenius e Emblemata Amatoria(Amsterdam 1611) dello storico P. Corneliszoon Hoof;molti emblematisti trassero ispirazione dai proverbi edalla vita quotidiana; grande diffusione ebbero natural-mente e politici, geografici, di argomento erotico-satiricocon intento anticlericale; anche l’alchimia fu fonte d’idea-zione di e nell’opera di M. Maier Atalanta fugiens (Op-penheim 16 14).E e imprese per la forte potenzialità didattica furono benpresto utilizzati anche a scopo edificante. Al progressivo

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«emblematizzarsi della cultura» si affiancò dunque, comefenomeno parallelo e complementare, un processo di verae propria «popolarizzazione degli e» (A. Pinelli, 1976).Alla prima applicazione religiosa di Georgette de Monte-nay (Emblémes ou divises chretiennes, Lione 1571) seguononumerose compilazioni di e devozionali, tra cui vanno ri-cordati gli Amoris divini emblemata del 1605 del già citatoVaenius, che per primo pensò di utilizzare gli e d’amorevolgendoli ad un significato religioso. Soprattutto i gesuitine fecero ampio uso già alla fine del Cinquecento comeefficace strumento d’educazione e di propaganda popola-re. Va menzionata a questo proposito l’opera piú famosa,Pia desideria emblematis, elegiis et affectibus SS. Patrum illu-strata (Anversa 1624) del belga H. Hugo, con illustrazionidi Bolswert, ristampata piú volte e molto imitata. Per ilgusto singolare e bizzarro sono da ricordare gli e del CorIesu amanti sacrum, disegnati da A. Wierix, dove il cuorepresente in molte espressioni metaforiche della devozionepopolare detta appunto del Sacro Cuore, diventa il palco-scenico nel quale si svolgono le avventure di Gesú, chebatte alla sua porta, lo illumina mentre esso è infestato diturpi animali, ne spazza via le immondizie, ecc.Usati diffusamente nelle marche tipografiche, nelle meda-glie e per decorare i piú svariati oggetti (cofanetti, porcel-lane, monili, abiti, berrette, cassettoni, porte di chiese epalazzi, carrozze), e-imprese appaiono spesso come moti-vo ornamentale con valore allusivo in molte opere delCinquecento e del Seicento. Tra gli esempi piú noti le im-prese d’amore dipinte sulle coperte dei ritratti del cardi-nale Sperone Speroni di Tiziano, e del cardinale Bernardi-no de’ Rossi di L. Lotto; gli e e i geroglifici dipinti dalVasari nella Stanza degli Elementi e in altre a PalazzoVecchio, le imprese dipinte nelle sale di ricevimento deipalazzi Farnese a Roma e a Caprarola.Dalla letteratura emblematica inoltre sembra derivare di-rettamente l’ispirazione di molte opere, si pensi ad esem-pio al Naufragio di Rosso Fiorentino nella Galleria diFrancesco I a Fontainebleau, ai dipinti Ercole tra i Pigmeie Giove mentre dipinge di Dosso Dossi, direttamente sca-turiti dagli e alciatei.Il progressivo scadimento della produzione emblematisti-ca, soprattutto nella qualità delle immagini, e il radicalemutamento del gusto del sec. xviii fecero rapidamentetramontare il genere, che nel corso dell’Ottocento, spe-

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cialmente in Inghilterra, fu ancora un poco utilizzato ascopi educativi, e destinato a un pubblico meno colto.Nell’età dell’illuminismo e nella cultura classicista agli e sipreferirono i repertori iconografici, raccolte e classifica-zioni di allegorie, personificazioni e simboli, in cui le im-magini venivano curate con la stessa attenzione che erastata riservata agli e nei secoli precedenti. (rco).

Emeric-David, Toussaint-Bernard(Aix-en-Provence 1755 - Parigi 1839). Avvocato, poistampatore, poi di nuovo avvocato, nel 1809 si fece eleg-gere membro del Corpo legislativo; sembra dovesse lapassione per l’arte a un soggiorno piuttosto lungo aRoma e a Firenze, prima della rivoluzione francese. Inseguito a un concorso bandito dall’Institut de Francesulla perfezione della scultura antica, pubblicò nel 1805le Recherches sur l’art statuaire, ove la sua tesi di un’artegreca che riproduce fedelmente la realtà poggia sulle os-servazioni tecniche dello scultore neoclassico J.-B. Gi-raud, che nella sua dimora parigina aveva raccolto nume-rosi calchi portati dall’Italia. Ma alla «Natura ideale cheè solo in te» di E-D, Quatremère de Quincy, difensoreaccanito di un ideale trascendente e a priori, contrappone«l’arte è oltre la Natura» (l’Idéal, 1805), instaurando cosíuna lunga disputa di dottrine e di temperamenti, un altroepisodio della quale sarà costituito dall’arte medievale. Ineffetti, quando l’accademia, attraverso il suo dispoticosegretario, accettò le opinioni del veneziano Cicognarache denunciava l’assenza di arte plastica in Francia nelmedioevo, E-D dimostrò, con articoli fervidi e nuovi(«Revue encyclopédique», 1819-20) la vitalità e la qualitàdell’arte nazionale francese in quell’epoca. Le Recherchessur les sculpteurs en France jusqu’en 1632 (1826) costitui-scono un vero e proprio corpus per la storia della sculturamedievale, e contengono una preziosa nomenclatura delleopere. Membro dell’Académie des inscriptions nel 1816,nel 1838 lesse in quella sede il suo Mémoire sur la déno-mination et les règles de l’architecture dite gothique; mentrel’Histoire de la peinture au Moyen Age ( 1842), il Discourshistorique sur la peinture moderne (1812) e le Notices histo-riques sur les chefs-d’œuvre de la peinture moderne (1854)vennero pubblicati postumi a cura del bibliofilo Jacob.(pb).

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Emilia e RomagnaChe la Costituzione repubblicana del 1947 denominassela regione in forma composita, basta forse a suggerirequale complessità culturale si sia sedimentata entro l’areadefinita, all’incirca, dal corso del Po, dal crinale appenni-nico, dalla costa adriatica fra Goro e Cattolica. L’E «poli-tica» del 1859 (oltre agli ex ducati di Parma-Piacenza eModena-Reggio, includeva già la Romagna, che ebbe sem-pre consistenti relazioni con Bologna e Ferrara) non avevadunque suggellato un’effettiva omogeneità. Eppure,anche le dinamiche politico-amministrative avevano con-tribuito all’articolarsi di una mappa intercittadina. Sipensi solo quale imponente trapianto simbolico e patrimo-niale (che fu persino all’origine della Galleria Estense)corrispose nel 1598 alla «devoluzione» di Ferrara al Papa-to e al conseguente ritiro della corte estense a Modena.La struttura dell’amministrazione ecclesiastica fu talvoltaun fattore di collegamento artistico: la presenza di altaridei cremonesi Campi a Busseto si spiega meglio avendo amente che la città fu in diocesi di Cremona fino al 1603.I confini naturali, cosí forti sulla carta geografica, nono-stante un’enclave consistente come quella mantovana asud del Po, si rivelano robuste cerniere con altre aree, purnon immediatamente limitrofe. Nell’economia preindu-striale e prima della rivoluzione stradale, i crinali costitui-scono un fattore d’isolamento e, al tempo stesso, di salda-tura. E comunque il Granducato di Toscana scendevafino a Terra del Sole, a nove chilometri da Forlí. Ma ilcorso del Po e delle vie d’acqua allacciate, come la spondaadriatica, furono per l’economia dei prodotti artistici po-tenti tramiti di espansione e di recezione, contribuendoalla difformità della mappa culturale. Entro la quale l’asseviario aperto nel 187 a. C. dal console Emilio Lepido si èquasi sempre riproposto, nella storia figurativa, come pri-vilegiato tramite di aggregazione. Perlopiú si trattò di sal-dature instabili e parziali, mutevolmente parziali. Perchéè un fatto che questa parte della Padania, cosí segnatadalle realtà cittadine, non ha mai conosciuto, e pratica-mente non conosce neppure oggi, il ruolo di una città ege-mone. In effetti, appena si perde di vista il tratto conti-nuo della via Emilia, diventano altrettanto legittime con-siderazioni di geografia artistica attente all’intera fasciaadriatica o all’asse Bologna-Ferrara-Padova-Venezia o adaltre direttrici padane e transappenniniche. In questa

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voce non si cercherà pertanto di riassumere, accentuando-ne il carattere unitario, le vicende pittoriche «della regio-ne». Dando per scontato il peso delle individualità citta-dine, si tenterà invece di richiamare i momenti dinamici,le linee di forza che hanno collegato nel tempo alcuni cen-tri emiliani e romagnoli: fra di loro e verso l’esterno. Na-turalmente, la possibilità di dare consistenza a tali diret-trici rimane legata all’entità della documentazione figura-tiva pervenutaci dalle diverse fasi storiche.Della pittura murale romanica rimane pochissimo (adesempio in Sant’Antonino di Piacenza): in assoluto, comeè ovvio, ma anche relativamente a quanto è sopravvissutoin altre zone padane e subalpine. La decorazione del re-fettorio dell’abbazia di Nonantola, scoperta da pochianni, risale al tempo di Wiligelmo o poco oltre, ma nonrivela convergenze con lo scultore di Modena né, perquanto di qualità coltivata, rimanda a modelli bizantini.Neppure il capolavoro della miniatura dell’xi sec., il msA.123 della Biblioteca Angelica di Roma, va propriamen-te in direzione dell’imminente fioritura della plastica pa-dana; mentre ha riscontri omogenei, seppure piú scadenti,in altri episodi della decorazione libraria (Bologna, Bibl.Univ., ms 1576): minimo indizio di una possibile vena distile locale. L’alto e diramato livello dello scriptorium diNonantola sarà poi testimoniato, nella seconda metà delsec. xii, dal piú noto Evangelario, ancora presso l’abbazia.Neppure nel sec. xiii la pittura murale fa intravvedere unaconcatenazione di fatti specificatamente locale. Accanto aprobabili forme di persistenza (affreschi già sulla facciatadel duomo di Reggio), si registrano i segni incisivi dellarinnovata circolazione bizantina. Una maestranza itine-rante decorò, attorno alla metà del secolo, la volta delbattistero di Parma. Esplicitamente connesso al rinnova-mento paleologo dell’arte bizantina sarà il suggestivo ciclodi San Bartolo a Ferrara (ora alla pn), datato 1294. Origi-ne meno remota aveva avuto, a metà Duecento, la decora-zione del Santo Sepolcro, nel complesso bolognese diSanto Stefano: possibile opera di Marco Berlinghieri daLucca. Non è l’unico nesso toscano. Oltre alla diretta pre-senza di Giunta a Bologna (Croce in San Domenico), si dàinfatti una piú ampia diffusione della formula espressivadel pittore pisano a Bologna stessa (Maestro di SantaMaria in Borgo) e in Romagna. Provengano i riflessi giun-teschi dalla Toscana o dall’Umbria (come è piú probabile),

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rimane certa l’attenzione per i fatti artistici che si svolgo-no a sud dell’Appennino. Sicché non sorprenderà poi lapresenza di Cimabue a Bologna (Maestà ai Servi).In definitiva il primo fenomeno figurativo che ebbe carat-teri ben individuati, in grado di orientare una tradizionelocale, uscí dalle botteghe dei miniatori fiorite attornoallo Studio di Bologna. È uno sviluppo che si comincia aintravvedere fin dalla prima metà del Duecento in unaserie di manoscritti decorati con semplici «giochi dipenna», per farsi già consistente al tempo del «primo stilebolognese». Nell’ultimo terzo del Duecento e agl’inizi delTrecento si tocca una fase di altissima civiltà formale,dove si esprimono tratti inconfondibilmente occidentali ele piú sapienti memorie classiche di Bisanzio (Miniatoredi Gerona, Jacopino da Reggio, Maestro del 1311, Nerio).Meno aulici riflessi di questa cultura si ebbero nella pittu-ra murale (affresco nella chiesa della Trinità, in SantoStefano di Bologna, interessante anche per l’affinità conuna lunetta all’interno del duomo di Modena). Ma fuforse lapittura su scala maggiore la piú adatta ad accoglie-re, all’inizio del Trecento, i primissimi effetti della rivolu-zionaria spazialità assisiana e giottesca: nel battistero diParma, con il Maestro del 1302 e con i due maestri chelavorano in Sant’Antonio di Polesine, a Ferrara (una per-cezione sottile, del tutto gotica, dei corpi tridimensionali,caratterizza il primo caso, un senso piú fluido degli inter-valli spaziali, gli altri due). La capacità d’innestare le radi-cali innovazioni di Giotto nel ricordo di squisitezze paleo-loghe fu la virtú particolare del primo Giovanni da Rimi-ni, uno dei geni piú alti del suo secolo.Per quanto precoce si debba considerare la presenza diGiotto a Rimini (la Croce del Tempio Malatestiano vacerto prima del 1302), la diretta lezione del pittore fio-rentino non dovette cadere su un terreno incolto: da ciò,anche, il senso profondamente coerente e caratterizzatodella variante giottesca operata dai pittori di Rimini. Lascarsezza di date e l’omogeneità morfologica seguita allosconcertante impatto con Giotto possono spingere a con-siderare le opere della «scuola» riminese secondo due cri-teri opposti: uno tendenzialmente rinunciatario davantialla possibilità d’individuare definite personalità di artisti,l’altro quasi atomistico nella definizione di «mani» diver-se. Ma è piú probabile che la fioritura riminese si sia svol-ta in tempi precoci e circoscritti, ad opera di un numero

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contenuto di maestri (chi scrive, ad esempio, non dubitache Giovanni da Rimini sia una stessa persona col Mae-stro dell’Arengo e, piú tardi, col Maestro del coro diSant’Agostino). Semmai, ad accentuare l’impressione diun intreccio mal districabile, poterono contribuire le occa-sionali forme di associazione fra maestri diversi. L’orga-nizzazione gerarchica del lavoro artistico (la «bottega») fuforse l’aspetto meno ascoltato dell’esperienza giottesca.Le formule pittoriche dei riminesi, cosí intenerite e solen-ni, ebbero una sorprendente espansione geografica: scese-ro lungo la costa, risalendo le colline marchigiane; giunse-ro in Veneto e in Friuli; conquistarono precocementeanche l’entroterra emiliano, a Ferrara e Bologna (in en-trambe fu attivo Francesco da Rimini). Se si cerca di rin-tracciare le prime trame di una possibile identità artisticaregionale, l’asse verso l’interno diventa decisivo.Mentre la Romagna può anche diventare il deposito deipiú intenzionati e gelidi arcaismi adriatici del Maestro diForlí, a Bologna la poetica dei riminesi s’innesta su unacircolazione gotica di vastissimo raggio. Nella decorazionelibraria si esprime l’altissimo rango di un centro europeo.Nel secondo quarto del secolo, fra i miniatori, emergonoil Maestro del 1328, il Maestro del 1346 e, soprattutto,L’Illustratore. È stata la storiografia del nostro secolo(Longhi, Arcangeli) a riconoscere i valori originali ed asso-luti della pittura bolognese del Trecento: libera da presta-biliti controlli formali, essa è favolosa, antiastrattiva, ca-pace di passare improvvisamente dalle piú morbide anno-tazioni realistiche alla massima asprezza patetica. Di re-cente si è imposta la necessità di anticipare le date di al-cuni dei maggiori anonimi bolognesi (Bellesi, Volpe). LoPseudo-Jacopino di Francesco non rievoca dunque la pas-sata stagione riminese; ne è, invece, uno sviluppo direttoe, insieme, reattivo. Lo stesso Vitale, per certi aspetti cosíaffine al riminese Maestro di Santa Maria in Porto Fuori,non è l’isolato patriarca di una linea espressionistica chenel secondo Trecento si opporrà all’accademismo toscano.L’alternativa si fa piú serrata. Quando alla metà deglianni ’30 giunse a Bologna il polittico di Giotto (oggi allapn) e una squadra di suoi allievi – probabilmente – lavoròal castello di Galliera, la pittura bolognese aveva già im-boccato la sua strada. E tuttavia un bolognese come ‘Dal-masio’ si trovò ad operare direttamente nel clima delpost-giottismo orientato da Maso di Banco, a Firenze e

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Pistoia (città che, nel secondo Trecento e talvolta ancorapiú tardi, sarà luogo di scambio fra i due versanti figurati-vi dell’Appennino).Con larghe ondate espansive, gli espressionisti bolognesiandarono a lavorare al nord: verso il Friuli, la valledell’Adige, Mantova. Al confronto, ha consistenza assaipiú ridotta (almeno a giudicare da quanto è sopravvissuto)l’espansione lungo la via Emilia; per quanto si debba orasegnalare un’inversione di traiettoria fra Bologna e la Ro-magna (a Imola, Faenza e Forlí si registrano infatti pre-senze bolognesi). Anche l’altro tratto della via Emilia puòforse presentare qualche aspetto di continuità interna fraalcuni affreschi del battistero di Parma, altri nel duomodi Modena, l’oratorio di Tassarola nel Reggiano. A unmomento di saldatura con Bologna corrisponde l’esordiodi Tommaso da Modena, poi coinvolto nelle migrazioniverso nord-est. Il modenese Serafini è tramite di una cir-colazione che lega la sua città, Ferrara e Mantova. Leonde migratorie dei trescanti alimentarono l’integrazioneneo-giottesca dell’ultimo Trecento padano. Fra Bologna,Ferrara Rimini e Verona o Padova si strinse una fitta retedi relazioni. Senza contraddire la naturalezza antiastratti-va dei bolognesi del secondo quarto del secolo, anzi allaluce di essa, si ripensò le misure compositive della Cappel-la degli Scrovegni e il Giotto «laico» del perduto salonedel Palazzo della Ragione. Per niente regressivo, il neo-giottismo fu fenomeno piú largamente padano, essenzialeanche nella lievitazione «gotico-internazionale» di un cen-tro come Bologna. Motivazioni indipendenti e diverseebbe il neogiottismo toscano: a tale radice si richiamal’Augustinus attivo a Forlí (affreschi staccati nella pinaco-teca).Da questo caso non si deve però ricavare l’idea di unaprevalente gravitazione toscana della Romagna. Già in etàtardo-gotica emerge quell’incrocio di flussi culturali diver-sificati che rimarrà poi sempre come il carattere piú origi-nale di quest’area figurativa. Traiettorie venete (a Verruc-chio si trova una Croce di Niccolò di Pietro, mentre in Bi-tino da Faenza, attivo a Rimini, è stata riconosciuta unafisionomia sostanzialmente veneta); marchigiane; umbre(a Cesena è documentato il grande folignate Bartolomeodi Tommaso, a Rimini si trova un’opera del conterraneoOttaviano Nelli), bolognesi; ferraresi, s’incrociarono daallora nel tessuto policentrico e lungo le naturali vie di co-

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municazione della Romagna. Del resto il policentrismo èun carattere primario del gotico «internazionale», nonsolo ai piú alti livelli dello scambio cortigiano. Il ferrareseAntonio Alberti (noto dal 1420 al 1442, attivo in Marchee a Città di Castello) sarà ancora un buon esempio di que-ste relazioni interregionali. Va comunque sottolineato cheil maggior pittore emiliano del gotico «internazionale»,Giovanni da Modena, che lavorò prevalentemente a Bolo-gna, ottenne consensi significativi lungo la via Emilia: daImola (dove opera lo straordinario Giovanni da Riolo deltrittico del 1433 in San Domenico) ai piccoli centri attor-no a Modena (Maestro della Sagra di Carpi, attivo ancheper i Malatesta di Rimini, come miniatore, e Maestro diVignola), fino a Parma (dove, sia pure in misura meno de-terminante, Giovanni da Modena entra nella complessamiscela culturale del Maestro della Cappella Valeri induomo). Parma, e particolarmente Piacenza, si configura-no, ancora piú che in altri momenti della loro storia arti-stica, come un’enclave lombarda. L’interna fascia appenni-nica dà qualche segno di autonoma vitalità. È possibile,ad esempio, che il piccolissimo Maestro di Borsigliana, sesi può identificare con Pietro da Talada, avesse base sullamontagna reggiana e trovasse clientela oltre il crinale, inGarfagnana e fino in Versilia. Cosí è verosimile che lefasce montane di Bologna o Modena abbiano filtrato findall’origine alcune presenze del tardo-gotico fiorentino(Lorenzo Monaco a Tavèrnola di Grizzana o il Maestro diBorgo alla Collina a Sassoguidano, presso Pavullo).La recente riscoperta di un affresco che Paolo Uccello ese-guí negli anni ’30 in San Martino a Bologna è apparsatanto piú sorprendente perché i pittori locali - e gli emilia-ni in genere - non dimostrano di essere stati colpiti dallanatura intellettuale di quel modello. Una nuova esperien-za pittorica matura solo piú tardi, dopo la metà del seco-lo. Ed è una cultura fortemente caratterizzata, capaceanche di non contraddire il fondo espressivo della piú re-mota tradizione locale, ma con una metodica dello stileportata ad estremi tali da fissare un tono sensibilmentediverso da quello della pittura rinascimentale a Firenze oVenezia. Né per questo ebbe maturazione unitaria e cir-coscritta entro i confini dell’attuale regione. Piero dellaFrancesca trovò maggiori possibilità di dialogo nella Pada-nia tardo-gotica che a Firenze. Si è recentemente insistitosu precedenti connessioni di Modena e Ferrara con il

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maestro di Piero, Domenico Veneziano. A uno sguardocomplessivo, l’attenzione/reazione a Piero rimane l’ele-mento piú continuo dell’innovazione quattrocentesca inEmilia. Piero lavorò a Rimini nel 1451 (ne sopravvivel’opera nel Tempio Malatestiano), fu a Ferrara attornoagli stessi anni, ed è ricordato in antico un suo soggiornobolognese.Piero non è che una delle ragioni della singolare emergen-za della pittura a Ferrara; dove la corte aveva già tenutorelazioni artistiche di altissimo livello (Pisanello, JacopoBellini). Roger van der Weyden, a metà secolo, radicò nelgenio dei ferraresi una speciale attitudine per la luciditàdella materia pittorica. Decisiva fu poi l’apertura versoPadova, la Padova di Donatello e di Squarcione. Il ferra-rese Bono lavora a Padova. Né va trascurato il ruolo diquei plasticatori, come il fiorentino Baroncelli, venuto aFerrara da Padova, che oggi classifichiamo come scultori,ma che i documenti del tempo chiamano invece, in forzadella natura policroma delle loro terrecotte, pittori.Principale vettore della cultura pierfrancescana in E fu labottega degli intarsiatori (e pittori) Lorenzo e CristoforoCanozi da Lendinara. Attivi inizialmente a Ferrara finiro-no per scindere le loro botteghe fra Padova (Lorenzo) eModena (Cristoforo). A partire dagli anni ’60, Modenadiventa un centro particolarmente vivace anche grazie adAgnolo e Bartolomeo Degli Erri, al Bonascia, al Maestrodella pala Grossi, che è quasi un equivalente pittorico delprimo Mazzoni, il plasticatore. La specializzazione opera-tiva della bottega di Cristoforo Canozi comportava unamobilità che probabilmente fu il piú forte elemento d’in-tegrazione lungo la via Emilia; che, per ragioni diverse, fudunque «pierfrancescana» da Rimini a Parma. A Parmalavorarono a piú riprese Cristoforo e il figlio BernardinoCanozi. Ma la situazione pittorica vera e propria dellacittà rimase eccentrica rispetto al pur irregolare triangoloFerrara-Bologna-Modena. A Parma, fra la fine del Quat-tro e il primo Cinquecento, non si guarda solo verso laLombardia. Ci si spinge fino a Venezia, sia ad opera deilocali Caselli e Filippo Mazzola che commissionando lavo-ri a Cima da Conegliano (oggi alla pn). Un miniatore-pit-tore di levatura eccezionale, il Marmitta, è attentissimoalla Ferrara di Ercole de Roberti, ma è anche al correntedella cultura pinturicchiesca del centro Italia.Piú scontata è la gravitazione veneziana dei pittori roma-

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gnoli. La situazione figurativa della zona appare intreccia-ta e composita come forse non mai. A poca distanza dallaRavenna veneziana del Rondinelli, Faenza è città di forte,per quanto non esclusiva, attrazione fiorentina. Lo è orache vi si è trapiantato Biagio di Antonio, ancor piú lo saràin pieno Cinquecento. Mentre tra Faenza e Imola emergeun fascinosissimo quanto problematico gruppo di operevalenzano-ferraresi, da Forlí giunge a Roma Melozzo. Ese non è facile scoprirne le radici locali, è certo che l’emi-grazione dalla Romagna verso Roma non si ridusse a que-sto caso soltanto.È ancora difficile tentare un bilancio del Quattrocentobolognese. Il grande altare di Ant. e B. Vivarini alla Cer-tosa (ora alla pn) non deve aver avuto gran peso. Un esitomolto alto e specifico dei flussi squarcioneschi e pierfran-cescani è l’altare di San Clemente, realizzato da MarcoZoppo al suo ritorno dal Veneto. Squarcionesco, nel suomomento piú acuto (Santi del museo di Santo Stefano) èanche Tomaso Garelli, che in altre occasioni sembra di-pendere piuttosto dalle derivazioni fiorentine e castagne-sche di Donatello. L’arrivo dei due grandi ferraresi Cossae Roberti (è andata distrutta la Cappella Garganelli, daloro affrescata in San Pietro) è l’episodio cruciale dellapittura tardoquattrocentesca a Bologna. Fu qualcosa dipiú complesso di un semplice fenomeno di espansione fer-rarese. Si aprí un nuovo capitolo della pittura padana, an-corato a Bologna e capace di ulteriori sviluppi (Maestrodelle storie del pane). Un ruolo essenziale ebbe la cortedei Bentivoglio.Piú in generale, fra Quattrocento e Cinquecento, le corticreano situazioni figurative fortemente individualizzate e,al tempo stesso, connesse in un sistema di relazioni congli altri centri cortigiani. In questa mappa culturale si ri-conoscono pittori come il Costa e il Francia (la fisionomiadel quale deve a Venezia non meno di quanto normalmen-te si addebita ai modelli fiorentini). La dinamicadell’informazione e dell’aggiornamento tende cosí ad assu-mere caratteri migratori e di natura sovraregionale. I dolcivocaboli protoclassici di Perugino e Pinturicchio si diffu-sero anche nella Ferrara post-robertiana (Niccolò Pisano,Maestro della Santa Maria Egiziaca), a Bologna (dove sicolloca un altare di Perugino negli stessi anni in cui se neaccoglie un altro di Filippino Lippi), a Faenza (ad operadi un «umbro-fiorentino» come il Bertucci), e in forma

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meno addolcita a Modena e Parma. La diretta esperienzadi Roma fu però decisiva per la fermentazione di quell’ar-cheologismo fantastico che si richiama in modo emblema-tico (ma non esclusivo) al nome del bolognese Aspertini.I trasferimenti temporanei a Roma continuarono con in-tensità anche nelle successive fasi cinquecentesche. Degliotto pittori impegnati nei lavori per le feste dell’Agone –a Roma nel 1514 – tre vengono da Modena, Reggio,Parma. Il fenomeno è tipico del secolo e ha, se si vuole,portata europea. Già a considerarlo da questa sola regio-ne, è tanto fitto nei casi e nei diversi atteggiamenti men-tali di partenza, da impedire ogni tentativo di ricapitola-zione: come ridurre a un rapporto costante le esperienzeromane di un Aspertini, di un Correggio, di un Gerolamoda Carpi, di un Parmigianino e, piú tardi ancora, di unPasserotti? Tantomeno ci si dovrà attendere, al ritorno daRoma, esiti di regolarizzata impronta classicista. All’iniziodel secolo scorso, al tempo del grande letterato PietroGiordani, l’E poteva vantare un sufficiente campione delclassicismo cinquecentesco con Innocenzo da Imola, in se-guito diffamato come accademico. I contrastanti canoni digusto degli ultimi due secoli rischiano di farci appiattire lacomplessa vicenda delle poetiche figurative dibattute in Enel primo Cinquecento. Quest’area, ben integrata al con-testo figurativo della Padania, conobbe atteggiamenti al-ternativi al classicismo centro-italiano, «eccentrici» (è ter-mine che ha ormai assunto una sua specificità storiografi-ca). Oppure, di quelle armoniche misure intellettuali, daràversioni piú appassionatamente sentimentali. Accanto alpulviscolo delle migrazioni, ebbero un ruolo fondamentalegli spostamenti inversi: spostamenti di opere (Raffaellosugli altari di Bologna e Piacenza; mentre la corte di Fer-rara si rivolge a Tiziano come a Raffaello) e spostamentidi artisti (Genga in Romagna, Peruzzi a Bologna, Girola-mo da Treviso fra Bologna e Faenza). Il passaggio perModena di Filippo da Verona (un altro veronese, Zenone,sarà a Rimini nel 1521) testimonia che non si trattava al-lora di opporre Giorgione a Raffaello. Di entrambi sinutrí, ad esempio, il genio di Dosso Dossi.Eppure, anche una personalità altissima come quella diDosso non basta a fissare il tono «medio» dell’ambienteferrarese dal secondo al quarto decennio del secolo. E se èdifficile condensare una vicenda dove la stratificazione lo-cale si combina al volgersi rapido delle stagioni culturali,

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diventa tanto meno possibile restringere in poche defini-zioni i caratteri regionali di questo svolgimento. Caratteriunitari, evidentemente, non ci furono né potevano esser-ci. Si potrà solo segnalare qualche forma di raccordo.Un’importante cerniera fu quella che nella prima stagioneclassicista collegò Bologna alla Romagna interna: attraver-so il romagnolo Marchesi, ad esempio, l’impatto delGenga a Cesena si diffuse fino a Bologna. La parte occi-dentale della regione sembra quasi trasferire nell’ambitodei fatti pittorici l’accresciuto particolarismo politico.Modena, dove Dosso fu ripetutamente presente e, in ma-niera già diversa, Reggio guardano a Ferrara ma finisconoper esprimere un tono figurativo che è alle radici di Nic-colò dell’Abate: il modenese passato a Bologna e destina-to poi a dar vita, col Primaticcio e altri emiliani, a quellagrande propaggine del manierismo che fiorirà alla corte diFrancia, a Fontainebleau. Nella formazione di Niccolòdell’Abate entra anche il Pordenone, il grande anticlassicofriulano attivo a Piacenza e Cortemaggiore come a Cre-mona. È un esempio fra i tanti che servirebbero ad evi-denziare come i centri occidentali della regione gravitinospesso verso le città poste di là dal Po, rientrino insommanella «Lombardia». Il fatto che un pittore del rango diLelio Orsi abbia potuto aver base in un piccolo centrocome Novellara, non lontano da Reggio, non è solo unaconferma del ramificatissimo sistema culturale del manie-rismo; ha anche valenze di topografia artistica, centratesulla Mantova rinnovata da Giulio Romano e sulla Parmacorreggesca piuttosto che su altri centri regionali.Torniamo indietro: per le sorti del manierismo in E fu de-terminante che il Parmigianino, dopo il sacco di Roma,rientrasse a Bologna prima che in patria. Una culturasquisitamente «alta» come quella manieristica continueràa risentire profondamente delle emigrazioni e delle immi-grazioni artistiche. Su di un artista di provenienza roma-na e di nascita lombarda il Tibaldi, s’impernierà la secon-da stagione del manierismo bolognese; mentre i bolognesiP. Fontana, Samacchini, Sabbatini lavoreranno spessolontano da casa, in cantieri di cruciale rilevanza. Le pre-senze di Vasari a Bologna e Rimini non contano solo perse stesse (specie la prima); possono aver fissato un puntodi ritorno culturale. Il cantiere fiorentino, ovvero vasaria-no, di Palazzo Vecchio è la destinazione di romagnolicome Marchetti e P. P. Menzocchi, che vi si riferiscono

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come al loro piú naturale capoluogo figurativo. Eppure lasempre multigravitante Romagna trovò nel ravennateLonghi l’esempio di una possibile identità provinciale,non ignara ma sufficientemente indipendente dai codicimanieristici. Fra Cinquecento e Seicento la zona di Rimi-ni, che è sempre aperta agli artisti veneti (in particolare ilVeronese in San Giuliano), conosce una piú sostanzialeomogeneità culturale con l’area marchigiana, sia sulla basedelle formule baroccesche (Visacci) che dell’amoroso ma-nierismo internazionale del Picchi del Laurentini, delPiazza e, per certi aspetti, del geniale fiorentino Boscoli.Ferrara mantiene ancora una sua particolare fisionomianei decenni attorno alla sua fine politica (1598): con l’ele-gia possente di Bastianino, con l’avidissima memoria pit-torica del Bastarolo, con la lirica piú veneteggiante diScarsellino, fino al Bonone, che guarda al moderno natu-ralismo già attraverso le esperienze dei caravaggeschi. Adintendere questi due ultimi artisti sarà però necessario ri-farsi al nodo bolognese dei Carracci. Occorre prima ac-cennare all’ultima stagione del manierismo a Parma, cheebbe un raggio molto vasto (il parmigianinesco Bertoja la-vorò piú volte a Roma), anche internazionale (fiammingoe rudolfino), e che finirà per rafforzare la faccia piú sofi-sticata della tradizione parmense, quella del Parmigianino.L’altra faccia era quella di Correggio, ed ebbe ben altropeso. Tanta parte della pittura moderna, barocca e neo-classica, sarà un continuo, sempre variato, ripensamentodi Correggio. Per oltre due secoli Parma diventa la tappaobbligata di ogni viaggio artistico. A riconsiderare il pit-tore, in pieno Cinquecento, avevano cominciato i marchi-giani-romani Taddeo Zuccari e Barocci, come il bolognesePasserotti. Ma Correggio sarà un riferimento altrimentirisolutivo al tempo delle riforme antimanieristiche che sisvolgono verso la fine del secolo a Bologna e in Toscana.Il correggismo dei Carracci ha un senso particolare, dicerniera regionale. La loro ricognizione (non è diminuiti-vo parlare di eclettismo, se non si perde di vista la decisi-va istanza naturalistica del loro avvio) ebbe raggio extra-regionale ed approdò prestissimo alla sponda veneta, ma ilraccordo che Annibale Carracci stabilí alla metà del nonodecennio fra il Barocci di Ravenna (Martirio di san Vitale:oggi a Milano, Brera) e la Parma di Correggio ha ancheun senso di coesione territoriale. Da Bologna si guardaParma. Correggio non entra una volta per tutte nel baga-

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glio poetico dei cugini bolognesi. Specialmente Ludovicotornò piú volte su Correggio, e con esiti sempre nuovi.Bellori parla dei viaggi a Modena, Reggio, Parma fatti daigiovani Domenichino e Albani, allievi dell’accademia diLudovico. E dalla farnesiana Parma passarono in definiti-va i destini romani di Annibale, uno dei crocevia dellastoria artistica dell’Occidente.A Roma, dove fu stabilmente dal 1595 e dove pose le basidel nuovo classicismo, Annibale non fu il solo bolognese.A parte il limitato contributo del fratello Agostino allavolta Farnese e una fuggevole comparsa a Roma del cugi-no Ludovico (tanto fuggevole da assumere poi il senso,quasi, di una scelta di civiltà), Annibale divenne presto ilpunto di riferimento per Domenichino e Albani. A Romamaturò definitivamente Guido Reni, che a lungo manten-ne come poli di attività Bologna e l’Urbe. Un aggiorna-mento su Annibale romano fu necessario al Massari. Altribolognesi si faranno piú stabilmente romani, come il pae-saggista Viola o, piú tardi, il Savonanzi e il reniano Se-menti. L’asse carraccesco Parma-Bologna (destinato a rin-novarsi nella decorazione del palazzo del Giardino, aParma) si ripropone a Roma con Lanfranco e Badalocchio.Nella Roma classicista del primo Seicento prende consi-stenza una linea emiliana. Ludovico Carracci era invecerimasto a Bologna. A parte il Cesi, l’austero poeta del rin-novato spirito cattolico, controllava pienamente la situa-zione. Tale controllo non era casuale, nasceva da unachiara consapevolezza strategica, come possono suggerirele lettere che Ludovico inviava al giovane Tiarini per sol-lecitarlo a rientrare in patria (Malvasia). In una letterascritta nel ’17, due anni prima di morire, Ludovico descri-ve lo straordinario via vai della Bologna artistica («qua sifa massa dalli primi pittori»; «... tutti desiderano rigoderela patria, e sono li primi pittori d’Italia»). Il peso di Lu-dovico sulla tradizione bolognese è incalcolabile. Per duesecoli – attraverso copie, riprese, allusioni, formule cano-nizzate – essa si appoggiò sulla sua opera, con effetti dicoesione linguistica e di omogeneità territoriale. La nozio-ne di scuola, in origine piú concettuale che geografica, eranata nell’ambiente classicista dei bolognesi a Roma. Se inun primo momento l’articolazione fra scuola lombarda(Correggio) e scuola romana (centrata su Raffaello) potevamettere in crisi la compattezza dell’eredità carraccesca (eMassari, ad esempio non ebbe difficoltà a conciliare Lu-

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dovico con Annibale), con Félibien e l’affacciarsi di unanozione piú territoriale di scuola, Parma e Bologna metto-no capo a due distinte tradizioni. Al contrario Malvasia,l’acutissimo storico seicentesco della pittura bolognese, te-neva ben viva la connessione con il «lombardo» Correg-gio. La «tenerezza e animosità» sono cosí contrapposteall’ideale «statuino» del classicismo romano illustrato daBellori. Ludovico non arretra davanti ad Annibale e ilchiostro bolognese di San Michele in Bosco, dove il Car-racci aveva lavorato con i migliori allievi, è l’immagine al-ternativa alla volta Farnese. Per Malvasia le vicende piúrecenti della pittura bolognese facevano corpo con lo spes-sore secolare del patrimonio artistico della città. Un patri-monio che lo scrittore censí sistematicamente nelle Pitturedi Bologna: la guida riedita per sette volte fino al 1792che, della gestione e trasformazione di quel patrimonio,sarà strumento essenziale. È un patrimonio coerente. Die-tro le sacre immagini del Reni, Malvasia fa intravvederela dizione devota del Francia e del piú lontano Lippo diDalmasio. Negli affreschi dei diversi pittori trecenteschiche lavorarono nell’oratorio di Mezzaratta (ora staccati epresso la pn) riconosce quel confronto d’intelligenze che èla regola propulsiva della pratica accademica. Una nozionedi origine normativa come quella di «scuola» non corri-sponde alla complessità reale del «territorio» figurativo,ma esercita un condizionamento effettivo, è una forzastorica. Il controllo dei pittori bolognesi sulle committen-ze delle città emiliane e romagnole non poté certo esserealtrettanto forte che in patria (dove, a differenza del seco-lo precedente, fu assoluto) ma la diffusione dei loro dipin-ti nella regione, o in città vicine, come Mantova, è feno-meno assai piú consistente che in passato. Non per questosi cancella la diversità delle situazioni locali. Lo confer-merà, a suo tempo, anche l’approdo definitivo, di naturapiú sistematica ed empirica, della nozione di scuola. L’ar-ticolazione in scuole dell’attuale territorio emiliano-roma-gnolo non ha infatti confronti nella Storia pittorica delLanzi: oltre alla scuola parmense e a quella modenese, chefanno parte del gruppo delle «lombarde», esistono lescuole di Ferrara e di Bologna. Quest’ultima assorbe di-versi momenti della storia pittorica romagnola. Gli svolgi-menti seicenteschi, e tanto meno quelli settecenteschi,non potevano consentire tale inquadramento. In realtà larinuncia del Lanzi a formare una scuola romagnola prende

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atto di quella che era sempre stata la fertilissima disper-sione policentrica della zona, rinnovatasi appunto, anchenel Seicento. I bolognesi Albani e Massari giungono finoa Rimini, dove lavora anche Guercino. Ciò non segna unacesura fra Romagna e Marche. Infatti i bolognesi arrivanolungo tutta la costa adriatica (Ludovico Carracci a Fano,Reni ad Ascoli, oltre al Guercino ad Ancona); donde la ri-salita del pesarese Cantarini. Nel Seicento la Romagnavide anche episodi di naturalismo: a Faenza col Manzoni,e soprattutto, col Cagnacci e il Centino, a Rimini (la «pic-cola Siviglia nostrana» di Arcangeli). I dipinti veneti ten-dono forse a diminuire nel corso del secolo, mentre l’assedella penetrazione toscana sembra spostarsi verso Forlí.Modena e Parma sono sedi di corte. Ciò implica due ele-menti di differenziazione. 1) Un piú eterogeneo combi-narsi di presenze esterne e transitorie (ma il radicamentoa Parma di Schedoni, che pure è pittore moderno, ha unsenso fortemente evocativo della grande stagione cinque-centesca). 2) La raccolta a corte di grandi collezionid’arte, destinate a seguire le dinamiche dinastiche o eco-nomiche delle famiglie regnanti: molti quadri farnesiani,provenienti anche da Roma, passarono poi a Napoli; icento migliori quadri della «mostruosa e inarrivabile» gal-leria di Modena furono venduti nel 1745 e trasferiti aDresda, dove vennero raggiunti pochi anni dopo dallaMadonna che Raffaello aveva dipinto per San Sisto diPiacenza. In precedenza, tuttavia, il trasferimento a cortedei migliori dipinti poteva significare una repressione sim-bolica delle sedi che avevano accolto in origine quei capo-lavori. La cultura dei centri minori nel Seicento ha ancorala possibilità di esprimere un caso, sorretto da un piccolocontesto pittorico, come quello del Guercino che lasceràCento per Bologna solo dopo la morte del Reni.Per tutto il Seicento e ancora a lungo nel Settecento, lapittura bolognese ha il primato, mantenendo anzi unruolo sovraregionale. Alla tradizione locale sono parimentifedeli, su registri diversi, sia la linea classicista che dal Pa-sinelli passa a Cignani e giunge a Franceschini e Creti, siaquella «indipendente» del Crespi. Entrambe sono canalidi un’imponente diffusione di gusto: ad esempio verso laFirenze granducale col Crespi, verso le corti tedesche colCignani, verso Roma o Genova col Franceschini. Ben in-seriti nel circuito delle committenze extracittadine e delgrande mercato, i bolognesi praticano con prestigio

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un’altra parte dell’ordinamento figurativo, che è anche unaspetto economico e sociale della moderna figura dell’arti-sta: quello della didattica. Un soggiorno a Bologna, nello«studio» di un pittore come Dal Sole, è la tappa obbligataper molti giovani artisti, anche non emiliani. Dal secondodecennio del Settecento, il mondo artistico bologneseruota attorno all’Accademia Clementina; magari polemi-camente, come capita al Crespi. Attraverso l’Accademiapassano anche le relazioni esterne dell’ambiente bologne-se. I pittori che dominano la situazione nel secondo Sette-cento, Ubaldo e Gaetano Gandolfi, per quanto memoridelle quinte compositive di Ludovico Carracci, sono ilfrutto di tale diramazione culturale. Il legame con Vene-zia, utile per Ubaldo, è un elemento di struttura nel Set-tecento bolognese. Gaetano spinge le sue attenzioni finoall’arte francese. Ma un campo, in particolare, registra lastraordinaria fortuna in Italia e fuori dell’arte bolognese,quello della «quadratura» (Mitelli, Colonna) e della sceno-grafia (Bibbiena). È uno specifico primato tecnico di di-mensioni che scavalcano ampiamente il raggio regionale.Un indice di diversa natura, piú larga e capillare, comequello rappresentato dai dipinti da altare, segnala che Bo-logna è, per le città emiliane e romagnole, un punto di ri-ferimento, per quanto la situazione stia mutando. PerModena, che era la città piú bolognesizzata, è già signifi-cativo che un artista dotato come lo Zoboli finisca aRoma. L’apertura dei confini figurativi del ducato diParma non era concepibile a Bologna. Sebastiano Ricci, ilfiorentino Galeotti, Zoffany e, con molta probabilità,Ignazio Stern soggiornarono nel ducato. E troviamoopere di Benefial a Fiorenzuola d’Arda, di Balestra a Bus-seto; di Piazzetta, G. B. Tiepolo, Conca, Batoni a Parma;di Pittoni, Cignaroli, Ceruti a Piacenza, oltre ai cicli delnapoletano Traversi a Parma, Castellarquato, Borgo Taro.La fondazione dell’Accademia (1752) consolidò una vastacircolazione di esperienze (al concorso del 1771 partecipòGoya) e corrispose all’inizio di una vivace stagione pitto-rica. Baldrighi, Ferrari e Callani dettero alla città una fi-sionomia artistica spiccata, del tutto indipendente da Bo-logna.Per la Romagna e per la sua gravitazione bolognese fu ca-pitale che Carlo Cignani si trasferisse a Forlí fin dal 1686.Era un pittore di fama europea, in grado di creare un se-guito locale. In Romagna lavorarono poi altri bolognesi

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(Creti a Rimini, Marchesi a Forlí, Bigari a Rimini e Faen-za), ma non si deve pensare che nel corso del Settecentole iniziative artistiche romagnole passassero tutte sotto illoro controllo. Vanno infatti crescendo le commissioni ro-mane. Caposaldo di quest’altra gravitazione è la cupoladel Giaquinto a Cesena, affrescata poco prima che il pit-tore pugliese si trasferisse da Roma alla corte di Spagna.La tendenza che è ben espressa anche da fenomeni colle-zionistici come quello dei Merenda a Forlí, si consolidafino al neoclassicismo maturo di Camuccini e Wicar, adesempio, che lavorarono per Ravenna. Ma la Romagnanon è solo ricettiva di opere. Pur nella straordinaria inter-relazione culturale del momento, Faenza è una piccola ca-pitale della decorazione neoclassica, grazie al geniale pie-montese Giani. Accanto a lui lavora il mantovano Berto-lani. A contatto con Giani cresce il Piani. Legata alla de-corazione della maiolica è anche la permanenza a Faenzadel lombardo Comerio. Tale situazione, che si esprime inuna vasta dimensione del mestiere artistico, s’inquadrabene attraverso la fondazione, nel 1797, della Scuolafaentina comunale del Disegno.Giunto all’ultima «epoca» di una «scuola», Lanzi si trovaspesso a sottolineare i buoni esiti 0 le aspettative legatealla fondazione di un’accademia locale. A Bologna, la vec-chia Accademia Clementina fu soppressa in età napoleoni-ca e, come a Milano e a Venezia, si istituí un’accademianazionale. In apparenza potrebbe significare che la città siavviava a riguadagnare il primato artistico sulle città vici-ne. Ma la restaurazione ridarà fiato alle vecchie accademiedi Parma, Modena, Ravenna; e solo in età unitaria sarà ri-definito il ruolo dell’istituzione bolognese. Se si cerca difare attenzione ai quadri geografici dello sviluppo artistico- nell’Ottocento ma anche nel nostro secolo - le istituzionididattiche sono una linea da seguire con particolare cura.D’altra parte alla pratica accademica si legano anche note-voli aspetti di mobilità: sia di studenti che di docenti (ilgrande purista toscano Puccinelli insegnò a Bologna e, perconverso, il maggior pittore emiliano dello scorso secolo, ilFontanesi, finí per insegnare anche a Lucca).Se si pensa alla sfortuna critica dell’accademia, si com-prende subito quanto poco sia collaudata una storia arti-stica fondata su tali percorsi istituzionali. Quando nonsiano in questioni congiunture d’avanguardia (la Bolognadel 1914 proposta da Ragghianti, la Ferrara metafisica), la

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definizione «geografica» dell’arte piú recente passa piut-tosto attraverso l’intimo rispecchiamento del volto fisicodei luoghi da parte di alcuni paesisti del secolo passato(come L. Bertelli), o si affida a forme rinnovate del mitodell’artista. È il caso di Morandi e della sua bolognesità,intesa come un aspetto della sua moralità estetica. Matroppo spesso si finisce per considerare i luoghi di vitacome semplici questioni di anagrafe o di celebrazione mu-nicipale. Se comunque in chiusura di questa voce non sientra poi effettivamente nel merito della geografia artisti-ca degli ultimi due secoli, non è perché il problema delcentro e della periferia, o delle gravitazioni reciproche,non esista piú ma perché i fili di tale approccio si sonofatti cosí numerosi, mobili ed intricati, e perché tale ap-proccio corrisponde cosí poco alle nostre consuetudini,che diventa impossibile fare una ricapitolazione piú chesintetica di tale problema. In realtà, chi gira per le chieseminori, o che non erano state saturate dall’arredo storico,e incontra dipinti di altare del secondo Ottocento (nelmodenese, ad esempio), ha la sensazione di riconoscere si-tuazioni locali caratterizzate, né piú né meno come neidue secoli precedenti. Certo, si tratta di rapporti di com-mittenza, e non di mercato. Ma è anche vero che taleomogeneità di mercato rimanda ancora una volta alla tra-smissione del mestiere dell’artista. In questo senso, per ri-chiamare un solo caso, ma rilevante, il ruolo di aggrega-zione e di stimolo svolto da Virgilio Guidi negli anni incui insegnò all’accademia di Bologna, per oltre un decen-nio a partire dal 1935, è simile a tanti altri piú antichiepisodi che sono stati ricordati nel corso di queste pagine.L’altra faccia della geografia istituzionale ottocentesca ri-guarda i musei e la funzione attiva della tradizione artisti-ca. Dalle soppressioni di età rivoluzionaria e sulle ceneridel collezionismo principesco sorsero i maggiori musei diBologna, Ferrara, Parma, Modena: i centri della geografiafigurativa (le scuole) del Lanzi. Mentre il sistema dell’artematurato dal Sei al Settecento aveva riconosciuto il pri-mato della Bologna «accademica» dei Carracci, del Reni,del Domenichino, l’Ottocento romantico e meno accade-mico spostò sensibilmente i bolognesi dal baricentro delgusto. Il discorso con cui Roberto Longhi inaugurò il suoinsegnamento all’università di Bologna, nel 1934, fece rie-mergere clamorosamente alcuni momenti della tradizionefigurativa locale: come quello espressionista e lirico dei

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trecentisti, o quello di Aspertini e della sua archeologiagrottesca, come l’apertura naturale dei Carracci. E sichiuse nel nome di Morandi, vero moderno, nella sua«lentezza meditata». Mentre l’opinione di Longhi suiCarracci andrà definendosi in altre direzioni, FrancescoArcangeli ha ricondotto quei momenti della pittura bolo-gnese a un piú continuo filo di tradizione, diverso e alter-nativo rispetto a quello colto, classicista, umanistico.Questa tradizione non è fedeltà di modelli formali; incondizioni di stile del tutto mutate, torna invece a con-frontarsi con i problemi a cui è legata la condizionedell’uomo. Il passato si proietta sul presente: Bologna staallora vivendo una sua grande stagione pittorica, quellainformale. Nella definizione di Arcangeli quei pittori sono«gli ultimi naturalisti». Contemporaneamente viene rigua-dagnata all’intelligenza storiografica e alla sensibilità mo-derna anche l’altra faccia della tradizione emiliana, quellaclassicista. È il frutto di un programma culturale consape-vole e non servile rispetto agli stereotipi critici del pubbli-co: la serie di biennali d’arte antica organizzate da CesareGnudi (mie).

Emperaire, Achille(Aix-en-Provence 1829-98). Intimo amico di Cézanne,posò per il famoso ritratto (Parigi, mo). Se ne ignora laformazione, tranne un breve passaggio presso Couture,un’ammirazione per Delacroix che caratterizza alcuni suoibozzetti (Amazzone: Aix-en-Provence, mba), e un discretoinflusso di Cézanne che traspare dalle sue nature morte.E creò un’arte originale di cui testimoniano i Nudi (ivi),di magistrale audacia per la singolarità dell’impaginazione,l’ampiezza delle forme, la sottigliezza pur nella violenzadei contrasti luminosi. (ht).

EmpoliNumerosi pittori fiorentini, dal xiv al xvii sec., hanno la-vorato nella cittadina toscana di E, o hanno eseguito di-pinti destinati alle sue chiese. Il Museo della Collegiataconserva cosí, provenienti da varie scuole, opere impor-tanti di Bicci di Lorenzo, Lorenzo Monaco, Masolino (af-fresco della Pietà), Filippo Lippi, Botticini, Pontormo e diJacopo Chimenti da E. Una cappella nella chiesa diSant’Agostino serba ancora resti notevoli di un ciclo diaffreschi dipintovi nel 1424 ca. da Masolino. (sr).

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Empoli, l’(Jacopo Chimenti, detto) (Firenze 1551-1640). Fu scolarodi Maso da San Friano ma nella giovinezza subí anchel’influsso del Vasari (Apparizione della Vergine a san Luca esant’Ivo, 1579: Parigi, Louvre). In un secondo tempo rico-nobbe i maestri ideali in Andrea del Sarto e in Fra Barto-lomeo, eseguendo tuttavia anche copie da Pontormo eguardando a Santi di Tito. Suo merito è di essersi saputomantenere fedele all’ideale di eleganza e di chiarezza pro-pri del classicismo toscano pur accogliendo elementi natu-ralistici – effetti di luce sui panneggi di seta, sulle materiepreziose –, mediati chiaramente da Gentileschi. Nonignorò, verso la fine del xvi sec., le nuove esperienze ve-neteggianti portate a Firenze da Passignano e da Ligozzi.Molte le commissioni chiesastiche anche nei primi decen-ni del Seicento. La sua opera migliore (Vergine e quattroSanti, 1628: Firenze, Annunziata; Vocazione di Pietro eAndrea, 1606: chiesa dell’Impruneta) spicca nel contestodella pittura fiorentina coeva per la castità formale, cheprecorre con singolare esito il purismo ottocentesco. Di-pinse anche, tra il 1621 e il 1626, nature morte, entro latradizione del bolognese Passerotti. Ricchissima la suaproduzione grafica, costituita in massima parte da studi difigura, preparatori per i dipinti. (eb).

«Emporium»Rivista mensile fondata nel 1895, edita dall’Istituto diArti Grafiche di Bergamo. Nata sul modello dell’inglese«The Studio», particolarmente curata nel progetto graficoe nel corredo illustrativo, toccava argomenti di storiadell’arte e di cultura in generale. Fu soprattutto la rivistapiú attenta ed informata sulla situazione dell’arte italiananei primi decenni del secolo ricca di segnalazioni di mo-stre e di eventi artistici, dalle biennali veneziane fino allemostre di ambito regionale. A partire dal 1900, e fino al1930, ne fu direttore V. Pica, intelligente divulgatoredella cultura europea fin-de-siècle, che ebbe anche unruolo importante nella diffusione dell’impressionismo inItalia. A Pica si deve anche l’importante ruolo svolto daE nella promozione della grafica europea e italiana con-temporanea. La rivista si occupò inoltre di cartellonistica,e dedicò ampio spazio alle arti decorative (vedi gli articlidi R. Calzini e R. Papini sulle biennali di Monza) e allastoria delle arti grafiche (si vedano, ad esempio, gli artico-

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li di A. Bertarelli e F. Novati sulla storia dell’incisione inItalia). E fu diretta in seguito da A. Podestà fino al di-cembre del 1964, anno in cui cessò le pubblicazioni.(came).

encaustoProcedimento di pittura a cera, che presenta numerosipregi ma che è stato poco utilizzato a causa delle diffi-coltà operative. I colori asciugano rapidamente, i ritocchisono agevoli e per farli non occorre raschiare, la superficienon si scrosta, la cera dà rilievo alla trasparenza e resisteall’umidità e alle muffe. La cera colorata viene riscaldatae poi stesa, liquida, su una tavolozza calda. La si applicaancora liquida sulla tela mediante un comune pennello;quando si è solidificata la si modella mediante un ferrocaldo detto «cauterio». La tecnica dell’e si adatta a qual-siasi tipo di supporto: legno, tela preparata, cartone,carta, pietra, ardesia o gesso. Nel caso di pitture murali sipredispone un supporto, come per la tempera. È noto daitesti latini (Plinio, Vitruvio) che nell’antichità si dipingen-va a e su avorio, su legno levigato e sulle pareti; tropposcarse, tuttavia, sono le informazioni antiche relative aquesta tecnica. Nel xviii sec. si cercò di ricostruire il pro-cedimento per riutilizzarlo. Caylus fu tra i primi studiosiad occuparsene. La sua opera Mémoire sur la peinture àl’encaustique des Anciens (1753) creò una polemica con glienciclopedisti. Nel 1755 il pittore Bachelier pubblicò asua volta Mémoire sur la peinture à l’encaustique, comuni-cando le proprie esperienze. L’opera descrive quattro pro-cedimenti anziché i cinque di Caylus, ma neanch’essariusá a precisare il procedimento usato dagli antichi. In-tervenne persino Diderot, pubblicando un opuscolo ano-nimo, L’Histoire et le secret de la peinture en cire (1755). Sieseguirono ad e numerose opere. Caylus presentòall’Académie una Testa di Minerva eseguita su legno daVien. Altre prove vennero tentate da Calau e Bachelier. Iprocedimenti dell’italiano Vincenzo Requeno, esposti neisuoi Saggi sul ristabilimento dell’antica arte de’ Greci e Ro-mani pittori (Parma 1787), vennero ripresi dallo spagnoloGarcia de la Huerta. Molte decorazioni murali venneroeseguite a e, particolarmente in Italia. Dell’Era e Unter-berger riprodussero in e le Logge Vaticane di Raffaelloper Caterina II di Russia. Nel xix sec. il procedimentotornò in auge presso i pittori, che si collegavano in tal

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modo alla grande tradizione della pittura murale (Flan-drin, Mottez); la storia di tale tecnica e delle sue applica-zioni fu messa a punto nel volume l’Encaustique et les au-tres procédés de peinture chez les Anciens da Ch. Henry eH. Cros. Riproposte di pittura ad e sono tornate anche inquesto secolo nell’ambito della cultura figurativa novecen-tista (Ferruzzi). (db).

Enckell, Knut Magnus(Hamina 1870 - Stoccolma 1925). Influenzato dall’arte diPuvis de Chavannes e di Carrière, fu la figura centraledella colonia finno-scandinava a Parigi verso il 1890, e trai pittori piú notevoli di tendenza simbolista; le sue rap-presentazioni di adolescenti, nel 1892-93, sono ispirate almisticismo caro a Péladan. In seguito, sarà colpito dallavisione dell’antichità di Böcklin. Poco prima del 1900ruppe col simbolismo; nel 1908 abbandonò i colori scuriper una tavolozza chiara e una fattura vicina all’impres-sionismo. A lui si debbono affreschi per la chiesa di Tam-pere (Resurrezione dei morti 1907) e vetrate per la chiesadi Pori. L’Ateneum di Helsinki ne conserva parecchieopere (Ragazzo e cranio, 1902; il Risveglio, 1894; Fantasia,1895). (ssk).

Ender, Thomas(Vienna 1793-1875). Entrò a dodici anni nell’accademiadi Vienna e, dopo il 1810, continuò a formarsi da solocon lo studio dei grandi paesaggisti del xvii sec., e soprat-tutto con lunghe escursioni nelle contrade montane au-striache. L’arciduca Giovanni, principe di Stiria, e il can-celliere Metternich presero il giovane artista sotto la loroprotezione e gli commissionarono in seguito alcune vedutedal vero. Benché dipingesse numerosi paesaggi a olio, ènoto soprattutto come acquerellista. Ne vennero moltoammirate le vedute della campagna austriaca, di topogra-fica esattezza, composte con gusto e con un gradevole co-lore. A parte i paesaggi montani, suo tema favorito fu la«veduta», che riprese dall’arte italiana. Il piú importantegruppo di suoi acquerelli venne realizzato nel corso di unviaggio in Brasile: s’imbarcò a Trieste nel 1817 sulla fre-gata Austria, in compagnia di numerosi naturalisti, e rag-giunse Rio de Janeiro toccando Malta, Gibilterra e Made-ra. Tale viaggio era stato organizzato in occasione dellenozze tra l’arciduchessa Leopoldina, figlia dell’imperatore

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Francesco I, e Dom Pedro principe ereditario e reggentedel Portogallo, divenuto poi imperatore del Brasile. E,che mal sopportava il clima del paese, restò in Brasile soloun anno; tornò in patria con circa settecento disegni e ac-querelli, che vennero conservati nel museo brasilianodell’imperatore Francesco I. Nel 1837 l’imperatore Ferdi-nando trasferí la raccolta nella biblioteca dell’accademiadi Vienna, ove rimase, nel magazzini, per un centinaiod’anni. Nel 1950 una mostra parziale rivelò al pubblico levedute di Rio de Janeiro con i suoi palazzi e chiese, i mo-numenti e gli edifici di San Paolo, le diverse etnie, lepiante esotiche, i paesaggi tropicali; essa fu seguita nel1954 da un’altra mostra in occasione del quarto centena-rio della fondazione di San Paolo. E venne nominato nel1836 professore dell’accademia di Vienna.Johann (Vienna 1793-1854), suo fratello gemello, si recòin Italia nel 1818, accompagnando il conte Szenchenyi, fuaccolto nel 1825 nell’Accademia di San Luca e dipinsepaesaggi, architetture e costumi. Piú tardi si specializzònel ritratto. (g + vk).

Engebrechtsz, Cornelis(Laida 1468-1533). Si formò probabilmente nella bottegadi Colijn de Coter, che lavorava ad Anversa. Una tra lesue prime opere, il tondo del Cristo morto (1500-1505: inmuseo a Aix-en-Provence) per la sua calma e la sua conte-nuta emozione resta debitrice, attraverso Colijn de Coter,dell’arte di Van der Weyden; ma, dal 1508, lo stile calli-grafico e raffinato del tardogotico è già avvertibile neltrittico della Crocifissione (Laida, sm), le cui ante rappre-sentano il Serpente di bronzo (a destra) e il Sacrificio d’Isac-co (a sinistra). Opere come il Compianto di Cristo (inmuseo a Gand; Monaco, ap) o il trittico della Deposizionedalla croce (1512 ca.: Leida, sm, e Amsterdam, Rijksmu-seum) con i donatori e i loro santi patroni raffiguratiall’interno delle ante, per l’esasperazione delle pieghe edei contorni, per i colori rari e preziosi, appartengono altardogotico. Punto culminante di questo «stile manieri-sta» è il quadro rappresentante Costantino e sant’Elena(Monaco, ap), ove le forme stirate ed eleganti, i dettaglidelle vesti o dell’armatura, accordandosi con colori ricer-cati (azzurri, arancio, viola), conferiscono all’operaun’esasperata tensione. Citiamo ancora la Deposizionedalla croce (ivi), la Sacra Famiglia (oggi a Sigmaringen), il

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Cristo a casa di Lazzaro (Amsterdam, Rijksmuseum), il Cri-sto che si congeda dalla madre (ivi), il Calvario (ad Anver-sa), e tre opere dove il paesaggio svolge un ruolo piuttostoimportante: Maria e il Bambino (Londra, ng), la Storia delcapitano siriaco Naaman (Vienna, km), e il Discorso dellamontagna (Berlino-Dahlem). E è uno degli ultimi rappre-sentanti del tardogotico in Olanda; l’importanza della suabottega, ove, oltre ai suoi tre figli, lavorarono Luca diLeida e Aertgen, fece di Leida un centro artistico rivaledi Anversa. Pittore prezioso, il cui stile esasperato e grafi-co ricercava gli effetti e le contrapposizioni cromatiche,egli conclude un’epoca; ad aprire la strada al nuovo stilesarà un suo allievo, Luca di Leida. (jv).

Enger, Erling(Faberg 1899 - ? 1990). Dapprima boscaiolo, intraprendestudi artistici presso l’accademia di belle arti di Oslo, por-tandoli a termine solo nel 1930. Durante un viaggio inGermania nel 1932 scopre l’espressionismo tedesco, masolo nel 1940 ca. trova il proprio stile, ispirato dall’incan-to suscitato dalla vita nella foresta e dal folklore del suopaese d’infanzia, Enebakk, qualche decina di chilometri aest di Oslo. Un viaggio attraverso il Mediterraneo, nel1947, gli ispira composizioni fantastiche, influenzate tal-volta dal surrealismo: la Voce della guida (1948: coll.priv.). La ng di Oslo ne conserva Giovanetto che salutauna signora elegante (1940), il Garzone di fattoria (1943ca.), la Famiglia (1948), e un gran numero di disegni e ac-querelli. (lø).

Engert, Erasmus Ritter von(Vienna 1796-1871). Ha lasciato pochi dipinti, ma le sueopere sono personali e caratterizzate da una sensibilitàassai moderna, costituiscono una perfetta illustrazionedelle nuove tendenze realiste dell’arte austriaca e dellasua rottura con le esasperazioni romantiche. Nell’AveMaria del 1829 (Vienna, og) la dolcezza nazarena delledue donne in preghiera si armonizza col paesaggio daicontorni precisi; nel quadro Un giardino alla periferia diVienna, dipinto nel 1828 (Berlino Ovest, ng), si trovanogià espresse tutte le caratteristiche del Biedermeier vien-nese. A partire dal 1828 E si dedicò soprattutto al restau-ro di quadri antichi. Dopo aver insegnato disegno pressol’accademia degli ingegneri di Vienna, dal 1840 si occupò

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della conservazione dei quadri della celebre Akademiedella città; in seguito venne nominato conservatore e re-stauratore della Galleria imperiale del Belvedere, di cuidivenne direttore nel 1857. Gli si devono i restauri di al-cuni capolavori di arte antica e la redazione di un catalo-go ragionato della Galleria viennese del Belvedere, com-parso nel 1858 e tradotto in francese nel 1870.E non va confuso con Eduard Ritter von Engerth, di cuinon fu parente e che, anch’egli a Vienna, fu pittore distoria e ritrattista, direttore della Galleria imperiale e re-dattore di un catalogo in tre volumi (1882-87) contenentenotizie sulla situazione della galleria nell’epoca (1891) incui venne trasferita nell’edificio, recentemente costruito,del Kunsthistorisches Museum sulla Ringstrasse. (g +vk).

engiRotoli di «leggende locali» che illustrano le leggende o iracconti concernenti un luogo santo. Questo genere dellapittura giapponese, inaugurato dallo Shigisan’engi sotto iFujiwara nel xii sec., venne ripreso in epoca Kamakura,principalmente nei Kegon’engi e nei Kitano tenjin’engi..(ol).

En’i(xiii sec.). È autore dell’Ippensho-nin eden (Vita illustratadel prete Ippen), pittura in dodici makimono a colori suseta, datata 1299 (Tokyo mn). Redatta dieci anni dopo lamorte del fondatore della setta buddista Jishu- , questa bio-grafia venne illustrata con 48 scene. Vero e proprio spec-chio della vita durante l’epoca Kamakura, l’Ippensho-nineden concilia perfettamente lo spirito realistico e decorati-vo giapponese nella descrizione dei personaggi con le le-zioni della liricità cinese dei Song nell’esecuzione dei pae-saggi di sfondo. (ol).

Enrico VIII, re d’Inghilterra(Greenwich 1491 - Westminster 1547) Fu re d’Inghilterrae d’Irlanda dal 1509 al 1547. Le posizioni intellettuali diquesto monarca andavano oltre il suo gusto artistico; laprotezione che accordò alle arti ebbe soprattutto lo scopodi eclissare i suoi rivali, Carlo V e Francesco I. I primianni del suo regno, dal 1509 al 1530 ca., furono contras-

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segnati da un’ostentazione senza pari nelle feste di corte.Cominciò poi, attorno al 1530, il rinnovamento architet-tonico, in accordo con gli eventi della Riforma; la politicaesigeva il massimo splendore degli apparati regali e pone-va nelle mani del re i beni confiscati al clero. Vennero al-lora modificati e ampliati i palazzi ceduti dal cardinaleWolsey Hampton Court e Whitehall. Molti artisti e arti-giani italiani, francesi, fiamminghi e tedeschi, in partico-lare Hans Holbein (che eseguí numerosi ritratti del re),entrarono al suo servizio. Dopo la sua morte la monarchiainglese non conobbe altri tentativi di gareggiare con l’evo-luzione artistica del Rinascimento italiano. (rs).

Ensor, James(Ostenda 1860-1949). Di padre inglese e madre fiammin-ga, mostrò assai presto grande disposizione per il disegno;due pittori di Ostenda gli diedero lezioni. Sin dall’età diquindici anni eseguiva piccole vedute dei dintorni dellacittà, notevoli per l’esattezza delle notazioni e la sensibi-lità all’atmosfera (la Pianura fiamminga, 1876: Bruxelles,coll. priv.). Dal 1877 al 1880 frequentò l’accademia diBruxelles, ove approfittò soprattutto dei consigli del di-rettore, Jean Portaels, che aveva introdotto in Belgiol’orientalismo. L’insegnamento ufficiale non gli andòtroppo a genio, ma studiò attentamente i maestri antichi,fece numerosi schizzi da Hals, Rembrandt, Goya, Collote, piú vicini a lui, Turner, Daumier, Manet. Nel 1879inaugurò il suo «periodo scuro» (fino al 1882 ca.), in par-ticolare con tre Autoritratti di formato assai piccolo, ovel’acutezza irrequieta dell’osservazione viene resa da unostile denso, con impasti lavorati a spatola. Un certo im-pressionismo, quale si praticava in Belgio, accordando alladigradazione dei toni maggiore importanza che al colorechiaro propriamente detto, alleggerisce peraltro gli «inter-ni borghesi» ispirati dalla vita quotidiana di Ostenda (Si-gnora in blu, 1881: Bruxelles, mrba; Pomeriggio a Ostenda,1881: Anversa, mba). Lo stesso realismo e la stessa francapadronanza di esecuzione caratterizzano le nature mortecontemporanee (la Natura morta con cineserie, 1880: ivi) ei quadri di personaggi tipici di Ostenda un po’ piú tardi(il Rameur, 1883: ivi), che verranno ripresi da Permeke.Lo schiarirsi della tavolozza, acquisito nel 1882, si accom-pagnò a una rapida evoluzione dello spirito dell’opera. In-sofferente della mediocrità dell’ambiente di Ostenda

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(«Un’abominevole prurito d’idiozia, questo è lo spiritodella popolazione», in Ecrits de James Ensor, Bruxelles1944), trovò rifugio e comprensione a Bruxelles pressoErnest e Mariette Rousseau, che ne furono i primi colle-zionisti. Espose sul principio, non senza difficoltà, in varicircoli artistici di Bruxelles (la Chrysalide, l’Essor), poinel 1884 fu membro fondatore del gruppo dei Vingt, cheperaltro talvolta ne accolse gli invii con una certa reticen-za. Le maschere – quelle del carnevale di Ostenda, cuiegli amava partecipare, e che il negozio dei genitori gliaveva reso familiari sin dall’infanzia – occupavano ormai,con le loro implicazioni psicologiche ed estetiche, unposto privilegiato nella sua tematica. La maschera compa-re nel 1879 come scena isolata di carnevale (Maschera cheguarda un battelliere negro: coll. priv.); ma i quadri piú si-gnificativi si distribuiscono tra il 1887 e il 1891. La ma-schera ha come corollario lo scheletro, che fa spesso essostesso la parte del travestito (Maschere che si disputano unimpiccato, 1891: Anversa, mba) o è manifestazione inelut-tabile del destino umano: Scheletro che guarda cineserie(1885: coll. priv.), capolavoro il cui umorismo macabro einsolito è assorbito dall’alacrità del fare e dalla delicatezzadel colore. Tra il 1887 e il 1890 ca. le scene religiose sonotra le piú audaci, per la ricca sonorità dei timbri (Tenta-zione di sant’Antonio, 1887: New York, moma), l’irrealtàdella grafia e dello spazio in moto che le accoglie (la Cadu-ta degli angeli ribelli, 1889: Anversa, mba; Cristo che placale acque, 1891: Ostenda, Museo Ensor). L’Ingresso di Cri-sto a Bruxelles (1888: Malibu, J. P. Getty Museum),summa ensoriana per eccellenza, che i Vingt rifiutarono,non mescola invece alcuna seduzione alla sua virulenza sa-tirica. L’opera associa la maschera al tema religioso, ese-guita a Ostenda, fu preceduta da sei grandi studi a car-boncino (1885-86) intitolati Le Aureole di Cristo o le sensi-bilità della luce. Il dipinto è lo sviluppo della terza «aureo-la», la Vivida e raggiante entrata a Gerusalemme (1885:conservato a Gand); e l’intento iniziale, un po’ mistico esimbolista, si è trasformato considerevolmente. In qualchemodo E regola i conti con la società entro la quale è co-stretto a vivere, sotto la copertura d’una «moralità» allafiamminga, illustrata nel xvi sec. da Bosch, Bruegel e daimanieristi, nella quale il tema biblico concorre alla satirasociale. La fragile e minuscola figura di Cristo è un’ultimascintilla di serenità trascinata dall’onda immensa della

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folla, i cui volti distinti, in primo piano, hanno tutti l’ariadi maschere, simbolo d’ipocrisia. La tessitura rugosa e ilcolore discorde della maschera di carnevale hannoanch’essi consentito all’artista di innovare, e di collegareal campo dell’arte dissonanze armoniche ed eccessi espres-sivi rari. «La maschera mi dice, – scrive E, – freschezzadi toni, espressione acutissima, decorazione sontuosa,grandi gesti inattesi, moti disordinati, squisita turbolen-za» (loc. cit.). Un certo numero dei migliori quadri di Edopo il 1888 si colloca nella scia dell’Entrata di Cristo(l’intrigo, 1890: Anversa, MBA; il Cristo dei dolori, 1899:Gand, coll. priv.), opera troppo eccezionale per fare scuo-la in Belgio, e di cui si ritrova il brio esuberante soltantoun poco, e in ritardo, in Van den Berghe. Durante questoperiodo fecondo E non abbandonò peraltro il paesaggio(vedute della spiaggia e del porto di Ostenda), né la natu-ra morta, trattati in una gamma assai chiara che utilizzaampiamente il bianco. Come disegnatore e acquafortista(prime acquaforti nel 1886) sfrutta tanto la linea che glieffetti d’ombra e di luce, talvolta molto rembrandtiani.S’incontrano qui, interpretati dall’incisione (a meno cheessa stessa non abbia ispirato una tela) i medesimi sogget-ti dei quadri, composizioni originali (la Cattedrale, ac-quaforte, 1886 e 1896) e annotazioni intimiste (il Riverbe-ro, acquaforte, 1888). Gli effetti di folla, resi con umori-smo mediante un tratto rapido e corsivo, trionfano nellaBattaglia degli speroni d’oro (acquaforte, 1895) e nei Bagnia Ostenda (acquaforte, 1899). Gli autoritratti, dipinti, di-segnati e incisi, attestano un’ossessione dell’io che am-mette l’intento parodistico (Ensor col cappello fiorito,1883: Ostenda, Museo Ensor), lo strambo, il burlesco ma-cabro (Il mio ritratto nel 1960, acquaforte ove si rappre-senta ridotto allo stato di scheletro). Tale fertilità d’in-venzione e la sicurezza di mano con cui essa s’incarnavanon riuscirono a prolungarsi molto al di là del 1900. A E,che realizzò l’essenziale del suo lavoro in meno divent’anni, restava da vivere ancora mezzo secolo, duranteil quale l’effervescenza della sua creazione sembra perderequella capacità di rigenerazione che la caratterizzava:ormai, «si dà sistematicamente all’autoplagio» (P. Hae-saerts, in James Ensor, Bruxelles 1957). Si succedono levedute di Ostenda, sempre con una tonalità assai pallida(Porto di Ostenda al crepuscolo con la tempesta, 1933: Pari-gi, coll. priv.); riprese talvolta quadri del periodo scuro,

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ma non con la stessa felicità. Fatto barone nel 1929, vissead Ostenda circondato da una tardiva fama: spesso si ab-bandonava a lunghe improvvisazioni al pianoforte; cessòdi dipingere molti anni prima di morire. Benché sia im-portante tanto per il surrealismo (col quale ha in comuneil gusto dell’oggetto strano, affascinante), quanto perl’espressionismo, l’evoluzione di queste due correnti dellapittura belga ed europea seguí strade sensibilmente diver-se da quelle da lui aperte. L’opera incisa, dal 1886 al1922, comprende 138 pezzi, cui si aggiungono serie di li-tografie: Scene della vita di Cristo (31 litografie, 1921), e laGamma d’amore (22 litografie, 1929). È ben rappresenta-to in musei belgi (Anversa, Bruxelles e Ostenda), nonchéa New York (MOMA), Parigi (Signora in miseria, 1882: MO)e in importanti coll. priv. I musei di Zurigo e di Anversagli hanno dedicato un’importante retrospettiva nel 1983.(mas + sr).

EpinalMusée départemental des Vosges Venne creato nel 1822dal consiglio generale del dipartimento. Un edificio, anti-co ospizio di mendicità sotto il primo impero, posto sullapunta a monte dell’isola, doveva ospitare una collezionedi quadri provenienti dai principi di Salm-Salm (Senones),depositati come beni pubblici, dopo la rivoluzione france-se, in prefettura. La pittura antica è caratterizzata dalpredominio del xvii sec., sia francese che straniero, indue raccolte principali: quella dei principi di Salm, con laVergine Maria di Rembrandt (1661) e opere di Bruegel deVelours, Brill, Ruisdael, Jouvenet, Coypel, La Hyre,Vouet, Lemoine; quella detta «del duca di Choiseul», colcelebre Giobbe irriso dalla moglie di Georges de La Tour,e quadri di Bassano e Rosa. A tali complessi si aggiunserodonazioni dello stato (Vignon, Van Loo) e acquisti: Hu-bert Robert, Coello. La collezione di Paul Oulmont, la-sciata nel 1920 alla città, che la mise in deposito almuseo, comprende disegni, guazzi e acquerelli di La-gneau, Nanteuil, Guardi, Tiepolo, Boucher, Greuze, Fra-gonard, Lespinasse, Vestier, Boissieu. La sezione di pittu-ra contemporanea è rappresentata dal lascito Chevalier(Marquet, Odilon Redon, Segonzac, Laprade, Guillaume),nonché dalla donazione Corbin (Cournault, scuola diNancy) e dalla donazione Marinot (dipinti e disegni diMaurice Marinot).

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Musée international de l’Imagerie Creato nel 1951 comeMusée de l’Imagerie populaire d’interesse nazionale, nel1957 è divenuto internazionale. Illustra la storia dell’im-magine popolare dalla fine del xiv sec. e presenta una rac-colta completa dei pezzi prodotti a E dal xvii sec. (aj).

Epinal, Fabbrica d’immagini popolari diVenne fondata da Jean-Charles Pellerin (Epinal 1756-1836), incisore in legno de prime immagini erano stampa-te per mezzo di legni d’albero da frutta incisi in taglio dirisparmio, e colorate a tre o quattro colori al massimo condegli stampini, o meglio con delle sagome traforate), e di-rettore di un laboratorio che conobbe una celebrità dav-vero straordinaria. Come nella maggior parte dei centriproduttori d’immagini di espressione popolare in Francia(Chartres, Orléans, Le Mans), i primi «santini», o imma-gini protettrici, nacquero a E nel xvii sec. Prima di essi lostampatore Pierre Houion ristampava nel 1617 I re e iduchi d’Aquitania da Teodorico I in poi, con ritratti diAmbroise-Ambroise incisi in legno. Queste opere hanno ilmedesimo spirito, e preannunciano le due immagini diClaude Cardinet, primo produttore delle figurine di E.Stampatore-libraio e fornitore della Maison de ville, siguadagnava appena il pane col suo commercio; e, comemolti suoi compatrioti, lasciò E tornandovi nel 1672 acondizione di avere una mercede fissa. Una di queste im-magini, San Nicola, è datata 1664; le immagini venivanoallora vendute stampate in nero; e gli acquirenti, improv-visandosi decoratori, ritagliavano alcune parti della com-posizione per incollarvi brandelli di tessuto e di carta co-lorata, talvolta argentati o dorati. L’immagine popolare,tanto a E che altrove, è essenzialmente protettiva, dun-que religiosa: tale protezione dei santi riguardava non sol-tanto le persone, ma anche i loro beni: case e bestiameper i contadini. Jean Bouchard, sullo scorcio del xvii sec.,eseguí una magnifica xilografia, la Sacra Famiglia, vigoro-samente intagliata in una tavola di pero. Nel xviii sec. laLorena si riprese dai terribili anni della guerra e, a E, lafabbrica d’immagini proseguí: esse erano opera di fabbri-canti di carte da gioco o cartiers. Jean Nicolas Vatot, natoa Nancy nel 1705, si stabilí nel 1731 come stampatore emercante-libralo a E. Sussiste un solo esempio della suaproduzione in questo campo, Cantico spirituale in lode delsantissimo sacramento, perfettamente equilibrata nella xilo-

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grafia e nella coloritura a tre tinte, che «cantano» magni-ficamente. Lasciarono poi un bell’insieme i Didier, prove-nienti dalla Mosa; le loro immagini, tanto per l’audacequalità grafica quanto per la bellezza delle chiazze di colo-re, vere e proprie miniature, dànno alla città di E una me-ritata fama; il piú anziano dei fratelli, Jean-Charles, vedesuccedergli nell’impresa il maggiore dei suoi sei figli, Jean-Charles Didier II. Antoine-Marcel Raquin, nato a E nel1756, divenne autore di immagini sposando la figlia diJean-Charles Didier, non avendo licenza di stampatore,incise egli stesso le lettere dei compianti o i cantici che in-quadrano il soggetto delle sue immagini. Bastien è notosoltanto per un’immagine, la Crocifissione, magnifica xilo-grafia dai vivi colori; era stato orologiaio, e morí a E nel1785. La rivoluzione determinò, a E come altrove, lascomparsa delle immagini religiose, comportando la di-struzione dei legni incisi e delle riserve di figure. I piccoliproduttori non riuscirono a sopportare questa soppressio-ne del mestiere con cui si guadagnavano il pane, e il con-cordato consentí ai centri di Rennes, E, Metz Nancy,Montbéliard, Strasburgo di continuare a produrre insie-me immagini religiose, storiche e militari. Ma nella secon-da metà del xix sec. restava la sola E, con Jean-CharlesPellerin, creatore dell’«industria» dell’immagine popola-re: egli comprese il bisogno di un repertorio per bambini,insieme istruttivo e divertente. Incise egli stesso,agl’inizi; poi assunse professionisti, tra cui Réveillé,Georgin, Canivet, Vernoeil, Boulay, Victor Roy, Thié-bault. Georgin incise, tra il 1830 e il 1845, l’epopea im-periale, battaglie e grandi personaggi del primo impero;dopo la sua morte nel 1863, Charles Pinot, incisore-dise-gnatore, inaugurò un repertorio ancora pieno di fascino,ma assai lontano dalla rude bellezza dei predecessori. Lafabbrica Pellerin, sempre nelle mani della stessa famiglia,adottò la litografia, da poco inventata, che moltiplicò isoggetti piú vari: racconti e leggende, canzoni, alfabeti,rebus, immagini militari di tutti i reggimenti, teatri, aqui-loni, mestieri, lotterie, grida di Parigi, ombre cinesi, gio-chi svariati. Dal 1854 al 1856 il disegnatore a penna JulesChaste fu autore di numerosi fogli singoli; nel 1858 com-parve il procedimento detto gillotage; i torchi moderni so-stituirono quelli antichi; nel 1860 Pinot, guastatosi conPellerin, fondò con Sagaire una nuova fabbrica d’immagi-ni, che funzionò fino al 1888 e fu ricomperata da Charles

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Pellerin. Attualmente la casa Pellerin resta l’unica image-rie del mondo. (aj).

Episcopi (o Salvolini), Giustino(Casteldurante, prima del 1516-1609). Non si hanno noti-zie sulla formazione del pittore, il quale fu dal 1541 aRoma, attivo tra gli aiuti di Perin del Vaga nella Sala Pao-lina a Castel Sant’Angelo. Il linguaggio dell’E mostra unaradice raffaellesca, mutuata attraverso le rielaborazionidegli allievi, cui si saldano l’influenza di Raffaellino delColle e di Taddeo Zuccari. L’influsso di quest’ultimo èravvisabile nelle opere che E ha lasciato a Urbania (l’anti-ca Casteldurante), dove è documentato dal 1558. Nel1570 data la Lapidazione di santo Stefano nella chiesa diSanto Stefano a Piobbico. (mrv).

Equipo CrónicaGruppo di artisti spagnoli, derivato nel 1965 dalla Cróni-ca de la Realidad (ramo valenciano di Estampa popular).Composto agl’inizi da numerosi membri, rapidamente siridusse ai soli Manuel Valdés e Rafael Solbes fino al1981, data della morte di quest’ultimo. Trae dalla culturaspagnola, e dalla realtà quotidiana (simboli urbani, icono-grafia pubblicitaria), gli elementi di una figurazione nar-rativa impegnata da cui sviluppa un’arte di contestazionepolitica e sociale. L’impiego dei fumetti consente una co-municazione piú semplice, piú chiara e anche piú incisi-va; l’uso di opere preesistenti (di Picasso, Velázquez,Goya, Ribera, Zurbarán) che fungono da sfondo agli eroidei fumetti provoca una rimessa in questione della strut-tura dell’immagine nelle sue relazioni con la struttura so-ciale, nonché una riflessione sulle ambiguità della crea-zione artistica. Il gruppo è rappresentato a Parigi(mnam), Stoccolma (mm), Valencia, Grenoble, Marsiglia.(sr).

Erbslöh, Adolf(New York 1881 - Irschenhausen 1947). Nel 1888 tornòdagli Stati Uniti in Germania con la famiglia, che si sta-bilí a Barmen. Si formò a Karlsruhe, poi, a partire dal1904, a Monaco. Cofondatore con Kandinsky, che ne fupresidente, della Nuova associazione degli artisti (1909),E favorí il desiderio di rinnovamento che animava allora

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la vita artistica monacense. I suoi nudi, in particolare, diampia concezione e di vigorosa struttura, attestano una ri-cerca di sintesi che non è priva di relazioni con quella diJawlensky (Nudo con giarrettiera, 1909: Monaco, np); ma ilrispetto per il soggetto vieta al pittore ogni eccesso di sti-lizzazione. Di poco posteriori, i paesaggi ricordano sia lapoetica del Kandinsky di Murnau (Ferrovia aerea, 1912:Brema, kh), sia il cubismo lirico derivante da Delaunay,di cui E, grande collezionista delle opere dei suoi contem-poranei, possedeva un San Severino, presentato alla primamostra di Der Blaue Reiter. (mas).

ErcolanoPiccola città della Campania, sei chilometri a est di Na-poli, sulle prime pendici del Vesuvio. Venne inghiottitada un torrente di lava e di fango nell’eruzione del vulca-no del 79 d. C., insieme a Pompei, centro della piú riccadocumentazione rimasta della pittura antica. Lo spessoredella lava solidificata (da dodici a venti metri) e la pre-senza sul luogo della piccola città moderna di Resinahanno protetto le rovine, ma spiegano anche le difficoltàincontrate negli scavi, che si sono succeduti, con lunghiperiodi d’interruzione, dal 1709 in poi, e che hanno ri-portato alla luce solo una parte degli edifici della città.Tra le numerose pitture murali che essi ci hanno cosí re-stituito (per la maggior parte conservate a Napoli, mn) sitrovano esempi dei «primi stili» della pittura campana equadri figurati, ma in numero minore rispetto a Pompei;le nature morte, il tema dei giochi e dei mestieri degliAmorini (casa dei Cervi), le cerimonie del culto di Iside,erano soggetti particolarmente apprezzati in epoca flavia.La basilica, ancora parzialmente inesplorata, possedevanicchie decorate da una serie di dipinti ispirati ai ciclieroici greci (Achille e Chirone, Riconoscimento di Telefoda parte di Ercole, Teseo vincitore del Minotauro), che sem-bra provengano dall’arte greca classica (v-iv sec. a. C.) edellenistica (di Pergamo in particolare). Con i cinque pre-ziosi dipinti monocromi neoattici su marmo, giustamentecelebri (tra i quali le Giocatrici di astragali e i Centauri),viene documentata la cultura dei ricchi campani deltempo. Bei mosaici, sia murali (per i ninfei e le fontane)che pavimentali completavano la decorazione delle lorodimore. (mfb).

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Ercole de’ Roberti → Roberti, Ercole de’

Eretria, Pittore di(attivo ca. 430-420 a. C.). Pittore di vasi attici, cosí deno-minato dal luogo del ritrovamento della sua opera piú fa-mosa, un epinetron (strumento femminile per cardare lalana) votivo. Si conoscono circa ottanta piccoli vasi a figu-re rosse decorate da questo pittore. Il disegno non presen-ta sempre la stessa accuratezza, ed è spesso difficile di-stinguere le opere dell’artista da quelle della sua bottega.I vasi piú belli, nei quali i personaggi non sono alti piú diqualche centimetro, attestano notevole delicatezza e mor-bidezza di tratto; le scene mitologiche qui sono puri pre-testi per valorizzare gli atteggiamenti e i drappeggi dellefigure femminili: Nozze di Alceste sull’epinetron di Eretria(Atene, mn), o, sull’oon (uovo) della coll. Stathatos, nellostesso museo, Gioco della morra, la cui posta è certamentela giovane sposa che Afrodite disputa, per conto dellosposo, alla madre. (cr).

ErfurtImportante città di pellegrinaggio fino al 1500 ca., poten-te centro commerciale e sede di un’università sin dal1392, E (oggi nella Germania orientale) fu, durante tuttoil medioevo, importante centro culturale. Le opere conser-vate sono quasi tutte di mano di artisti diversi, e non sipuò parlare di una vera e propria tradizione pittorica loca-le. L’autore della Crocifissione della chiesa dei Predicatori,rimasto anonimo, manifesta gli influssi piú vari; si trattaverosimilmente di un pittore itinerante di passaggio perE. Alla generazione seguente si riallacciano gli splendidipannelli appartenenti a un altare della chiesa degli Agosti-niani (oggi all’Angermuseum), rappresentanti l’Annuncia-zione, la Nascita di Cristo, l’Adorazione dei magi e, su unamedesima tavola, Cristo sul monte degli Ulivi e il Cristomorto; l’autore di questo polittico si è formato in una bot-tega locale. I personaggi dal modellato delicato si aggiranoin una cornice architettonica bizzarramente traforata,l’accentuato rilievo e gli scorci bruschi costituiscono unsorprendente contrasto con i contorni fluidi delle figure ecompare qui il tentativo di suggerire la profondità spazia-le. Durante la seconda metà del xv sec. si sviluppano bot-teghe di pittura anche in altre città della Turingia. L’altarmaggiore della Reglerkirche di E, eseguito nel 1455 ca.,

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costituisce l’unico esempio di questo sviluppo. Il polittico,che si apre su um reliquiario riccamente scolpito, quandoè chiuso presenta quattro pannelli dedicati all’Incoronazio-ne di spine, alla Pentecoste, alla Flagellazione e all’Ascensio-ne. L’autore di questi pannelli sembra essersi formatonella regione del medio Reno. E apparteneva allora alladiocesi di Magonza, cosí che non vi è da stupirsi che unpittore originario del medio Reno scegliesse la città turin-gia, allora al culmine del suo sviluppo. Lo stesso artistaeseguí per E numerosi polittici di notevole qualità; gli siattribuiscono due ante, conservate a Karlsruhe: Crocifis-sione e Ascensione. Al declino economico e politico di Enella seconda metà del xv sec. corrisponde un graduale af-fievolirsi dell’attività pittorica. (mwb).

Angermuseum La galleria di quadri di E venne inaugura-ta nel 1886, con il nome di Museo municipale. Era com-posta essenzialmente di opere lasciate in eredità dal pitto-re Friedrich Nerly. A partire dal 1912 venne completatametodicamente acquistando in particolare dipinti su tavo-la del xiv, xv e xvi sec., originari dalla Germania centra-le, paesaggi di pittori tedeschi del xviii, xix e xx sec.,nonché dipinti provenienti dalle residenze vicine. Tra leopere, circa trecento, si notano lavori di H. BaldungGrien (la Creazione degli animali e della prima coppiaumana), A. Graff, J. P. Hackert, J. E. Hummel (Paesaggiocon arcobaleno), C. D. Friedrich (la Foresta d’autunno), E.Gaertner, K. Blechen, G. F. Kersting, H. Reinhold, C.Rottmann e M. Liebermann. È largamente rappresentatala scuola di Weimar della fine del xix sec. L’importantecollezione di pittura moderna tedesca venne confiscatadai nazisti poterono essere salvate soltanto le pitture mu-rali di Erich Heckel, eseguite tra il 1922 e il 1924. (hbs).

Erhardt, Hans Martin(Emmendingen 1935). Ha studiato dal 1956 al 1960nell’accademia di Karlsruhe, dove è stato allievo di Grie-shaber. E possiede una tecnica classica, con la quale trattapaesaggi e nature morte, temi per i quali è stato paragona-to a Morandi e a Chardin. Le forme concise suggerisconoun paradossale «dinamismo» statico: una sola linea evocala pianura renana; una sola curva una montagna. La predi-lezione dell’artista per un colore satinato e vellutato lo haindotto a usare soprattutto il pastello (studi di torsi e di

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teste). E, che si è stabilito a Karlsruhe, ha illustrato testidi Kafka, Sarduy, Butor e soprattutto Beckett. (gm).

Erichsen, Thorvald(Trondheim 1868 - Oslo 1939). Studiò a Oslo, poi pressoK. Zahrtmann a Copenhagen, nel 1892 e nel 1899-1900.Nel 1893-94, e in seguito a piú riprese, soggiornò in Ita-lia; i suoi primi dipinti, dai colori scuri e dal disegno rigo-roso sono tipici dello stile «danese-fiorentino» degli anni’90 dell’Ottocento. Il suo grande Paesaggio di Telemark(1900: Oslo, ng) è una visione pittoresca dai colori lumi-nosi, ispirata dall’impressionismo. A Parigi scopre nel1903 la pittura di Bonnard, cui si ispira per un altro deisuoi capolavori: Nel giardino (1903: Bergen, coll. RasmusMeyers). Nella stessa epoca crea composizioni popolate dastrani personaggi: Uomini intorno a un dio (1905: inmuseo a Lillehammer); ma, attento alle variazioni dei va-lori atmosferici, esegue quadri di paesaggi e fiori, in tonisempre piú chiari e vaporosi. Come Monet, amava dipin-gere serie su un unico tema, e poteva ripetere il medesimomotivo fino a quaranta volte. (lØ).

Erichsen, Vigilius(Copenhagen? 1722-82). Lavorò in Russia dal 1757 al1772, eseguendo, particolarmente dopo il 1762, molti ri-tratti dell’imperatrice Caterina II, che lo apprezzavamolto (Copenhagen, palazzo di Amalienborg). Dopo il suoritorno a Copenhagen, venne nominato pittore di corte. Ilsuo ritratto della Regina madre Juliana Maria (Copenha-gen, smfk) attesta la vivacità del suo colore e il suo vir-tuosismo nella resa delle stoffe. (hb).

EriduScavi iracheni hanno messo in luce nel 1947 a E (oggiAbu- √ahrayn: antica località dell’Ira-q nella Mesopotamiameridionale) un vasellame a decorazione geometrica mo-noctoma, in bruno-nero su fondo rossastro, che risale alvi millennio a. C. ed è detto «di E» malgrado le sue ana-logie con la ceramica dipinta di Arpa∫iyya e di Sa-marra-nel Nord del paese. Esempi di tale produzione sono con-servati nei musei di Baghda-d. (asp).

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Erixson, Sven(Tumba (Stoccolma) 1899 - Saltsjöbaden 1970). Si dedicòalla decorazione e all’insegnamento del disegno. Nelleprime tele, che rappresentano i dintorni di Stoccolma, siriallacciò ai naïfs svedesi del periodo attorno al 1910. Trail 1923 e il 1929 viaggiò in Europa e risiedette a Parigi.L’influsso degli espressionisti (Kokoschka, Nolde e Souti-ne), e insieme la rivelazione dei paesaggi meridionali im-mersi nel sole e della vita piena di colore della loro popo-lazione, affrettò la formazione del suo stile narrativo dalcromatismo fortemente contrastato in giallo, rosso, azzur-ro e nero, e dalla composizione dinamica: Den gulamarken (La terra gialla, 1929: Lidköping, Casa del popo-lo). Divenne, intorno al 1930, interprete del lavoro edella vita urbana, e principale rappresentante di una pit-tura naïve molto colorata connessa al realismo sociale, ilcui centro era il gruppo di artisti fondato a Stoccolma nel1932, col nome di Färg och form (Colore e forma). E di-pinse scene della natura nordica, soggetti popolari di festae di lavoro (Danslokal i Telemarken (Sala da ballo nel Te-lemark), 1931: Stoccolma, nm), e immagini di vita fami-liare. Nei quadri di cavalletto si integrano, a partire dal1940, elementi tratti dall’astrattismo. E ha pure realizza-to una serie di opere decorative: pitture murali, come ilgrande affresco Liv-Död-Liv (Vita-morte-vita, 1938-40)nella cappella della Santa Croce nello Skogskyrkogården(Cimitero della foresta) a Stoccolma, «tessuti» come lescintillanti Melodier vid torget (Melodie al mercato 1937-39) per la sala da concerti di Göteborg, nonché pannellidecorativi su lastre di vetro (Stoccolma, Statens Skogfor-skoningsinstitut, 1955-56), e infine scenografie teatrali.(tp).

Ermels, Johann Franciscus(Reilkirch sulla Mosella 1641 - Norimberga 1693). Siformò a Colonia nella bottega di Johann Hulsmann; inOlanda subí l’influsso di Jan Both, e si orientò verso ilpaesaggio. Stabilitosi a Norimberga nel 1660, debuttòcome pittore di storia, e raggiunse il grado di maestrol’anno dopo. La sua opera principale è la Resurrezione delpolittico Muffel (1663: Norimberga, chiesa di San Sebal-do). Paesaggista, aderí all’arte fiammingo-italiana comeWilhelm von Bemmel, che si era stabilito a Norimberganel 1662 e aveva introdotto in Germania una corrente

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classica. La pittura di E rivela anche alcune affinità conquella di O. Harms, cui sembra egli s’ispirasse per dipin-gere le sue rovine. Un cielo tempestoso e figure campestrianimano spesso i suoi paesaggi, dominati dai bruni. Moltoapprezzato ai suoi tempi per i paesaggi, venne in seguitoconsiderato un pittore accademico, e cadde prestonell’oblio. Tuttavia, nel 1756, Bullinger incideva ancoraqualche sua veduta. è rappresentato nella collezione delLiechtenstein (Vaduz), nello ski di Francoforte e nell’ap

di Monaco. (hm).

Ermenëv, Ivan Alekseevi™(? 1749 - ? dopo il 1797). Diplomatosi presso l’accademiadi San Pietroburgo, dal 1775 al 1779 studiò presso J.-S.Duplessis a Parigi ove tornò nel 1788. Tra i suoi disegnimolti dei quali trattano soggetti allegorici in gioria di Ca-terina II, si distinguono otto acquerelli che rappresentanogruppi di contadini e di mendicanti russi, trattati col rea-lismo pungente dei Gueux di Callot cui si mescola unostrano senso monumentale. Nel 1789 E fu testimone dellapresa della Bastiglia: Gentot incise la sua rappresentazio-ne di questo evento in base ai suoi schizzi. (bl).

ErmopoliCentro egizio del culto di Thoth, assimilato dai Greci aHermes, E (in arabo A∫mu- nayn) è situata trecento chilo-metri a sud del Cairo, sulla riva sinistra del Nilo. Sonostate scoperte e restaurate rovine della città antica, sper-dute in un pittoresco palmeto. Risalgono talvolta alMedio Regno. Le vestigia piú spettacolari appartengonoperò all’epoca tolemaica (330-300 a. C.). La necropoli,dodici chilometri ca. a ovest della città nel deserto di Tu-nat al-Gabal, è dominata dalla catena libica. L’edificio piúimportante è la tomba di Petosiris (gran sacerdote diThoth, 300 a. C. ca.), costruita ad imitazione dei templiegizi di epoca recente. Le iscrizioni contenute sono di altotenore morale: rivelano un misticismo profondo che nonmanca di richiamare i libri sapienziali della Bibbia. I bas-sorilievi dipinti che adornano le pareti sono anch’essi diestremo interesse: si tratta del primo tentativo di fusionetra l’arte faraonica e l’estetica greca. Dietro questa tombasi trova un’intera città dei morti, con «case» di tipo traegizio ed ellenistico, ove in determinati anniversari si riu-nivano i viventi. Queste tombe-casa comprendono parec-

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chie camere, le cui pareti stuccate sono dipinte con scenefunerarie egizie, imitazioni di legno e di marmi in stilepompeiano, o decorazioni e rappresentazioni mitologiched’ispirazione alessandrina. Datano dal iii sec. a. C. al ii d.C. Tra le piú note sono quella di Isidora, una fanciulla an-negata nel 120 a. C., e quella di Neith, del i sec. a. C.,decorata con motivi tratti dal Libro dei morti. (am).

Erni, Hans(Lucerna 1909). Figlio di un meccanico, fece apprendista-to come disegnatore tecnico; poi studiò a Parigi,all’Académie Julian, e a Berlino. Influenzato da un latodal Picasso della maniera neoclassica, e dall’altro dal grup-po di Abstraction-Création, cui aderí, trovò nel 1939 (af-fresco per l’esposizione nazionale svizzera a Zurigo) il suoproprio linguaggio, i cui due poli sono una figurazioneumana realistica e un astrattismo a tendenza decorativa.Attraverso virtuosi linearismi intese indirizzarsi diretta-mente alla massa degli uomini, parlando loro un linguag-gio che concilia la sua fede in un umanesimo progressistae le realtà del mondo della macchina (le Tre Grazie di Lu-cerna, 1935: Lucerna, Stazione ferroviaria, le Conquistedell’uomo, 1954) affreschi: Neuchâtel, Museo di etnogra-fia). (cg).

Ernst, Max(Brühl (Renania) 1891 - Parigi 1976). La sua opera è nelcontempo una delle piú originali e delle piú apertamentepartecipi della storia dell’arte moderna. Per la sua posizio-ne alla testa del movimento dada e del surrealismo, E ètra i pionieri della Nouvelle Réalité; e ciò soltanto graziealla sua immaginazione, in ciò che essa possiede d’irridu-cibilmente singolare. Sin dall’adolescenza la lettura dei ro-mantici gli fece scoprire il tesoro della fantasia germanicamentre l’amicizia di Macke, che incontrò a Bonn, lo ini-ziò all’espressionismo. Scoprí Van Gogh, Kandinsky ealtri maestri dell’arte moderna, e i suoi primi quadri subi-rono di volta in volta tutti questi influssi. Le contempora-nee incisioni (1911-12) su linoleum si apparentano a quel-le di Die Brücke. Espose nel 1913 al primo salone d’au-tunno tedesco, organizzato da Walden a Berlino, e nellostesso anno a Bonn e a Colonia, tra gli «espressionisti re-nani». Sotto le armi, riuscí ugualmente a dipingere (Batta-glia di pesci, acquerello, 1917: coll. priv.). La guerra gli

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procurò una crisi di nichilismo, traversata da vari sussulti;ed è allora che fece la scoperta fondamentale per la suaevoluzione linguistica del movimento dada. Ritrovò nel1919 a Colonia Hans Arp, che aveva conosciuto nel 1914;insieme a Baargeld fondarono la celebre «Centrale W/3»;la sua attività, sulle prime politica, divenne puramente ar-tistica. Mentre il dadaismo a Colonia proseguiva sul suoitinerario, E elaborava, oltre alle otto litografie di Fiatmodes, pereat ars (1919), ove alcuni manichini fanno evo-luzioni entro una scenografia alla De Chirico, una tecnicapersonale del collage fondata sull’«incontro fortuito tradue realtà distinte su un piano non appropriato», le cuiprime testimonianze sono i fatagagas (fabrication de ta-

bleaux garantis gazométriques), la cui paternità E condi-vide con Arp (Laocoonte, 1920: coll. priv.). Infine, quan-do nel 1920 Dada scomparve bruscamente da Colonia, Esi recò a Parigi su invito di Breton, esponendo nella galle-ria Au Sans Pareil nel maggio 1921. I dipinti dei primianni ’20 si allontanano da De Chirico preannunciando legrandi strade del surrealismo (l’Elefante Célèbes, 1921:Londra, Tate Gall.; Seestück, 1921: Parigi, coll. priv.,Edipo re, 1922: ivi). I collages degli stessi anni furono rea-lizzati partendo da frammenti di cataloghi di acquisti percorrispondenza di enciclopedie tecniche, di illustrazioni diJules Verne, di fotografie diverse e d’interventi grafici (lePleiadi, 1921: coll. priv.). Mentre Dada si disgregavasotto la spinta del surrealismo, E attraversava anch’egliuna crisi di coscienza. Assai legato a Breton, Eluard, De-snos, Péret (l’Appuntamento degli amici, 1922: Colonia,wrm), evolvette, contemporaneamente agli altri membridel gruppo, verso un’esplorazione dell’inconscio piú meto-dica di quella di Dada. I temi si precisarono: un cosmofisso – astri, mare immobile, città, foreste minerali (laGrande foresta, 1927: Basilea, km), fiori fossilizzati – nelquale il tema dell’uccello introduceva un dinamismo signi-ficativo del desiderio di libertà e di espansione dell’artista(Alle 100 000 colombe 1925: Parigi, coll. priv.). La tecni-ca, arricchita dal procedimento del frottage messo a puntonel 1925 (fogli di carta posati sui tasselli di un pavimentoe soffregati a mina di piombo, poi estensione del procedi-mento ad altri oggetti), eccelle nella rappresentazione diquest’universo massiccio, nel quale E non si stancava discoprire associazioni analogiche (il Fiume Amore, frottage,1925: Houston, Menil Coll; lo Start del castagno, frottage,

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1925: Zurigo, coll. priv.). Questa tecnica e quest’universoda allora si approfondirono piú che diversificarsi. Roman-zi-collages (la Donna 100 teste, 1929; Una settimana dibontà, 1934), frottages (Storia naturale, 1926), impronte,fotomontaggi esplorarono e accoppiarono, secondo il ca-priccio della fantasia, elementi incompatibili, il cui acco-stamento incongruo suscita una conturbante poesia (laDonna 100 teste apre la sua augusta manica, collage, 1929:Houston, Menil Coll.). I dipinti, dal canto loro, prosegui-rono con maggior ampiezza e gravità l’espressionedell’universo immaginario di E, la cui poesia visionaria siinserisce nella grande tradizione onirica del romanticismotedesco (Vecchio, donna e fiore 1923: New York, moma);Visione provocata dall’aspetto notturno della porte Saint-Denis, 1927: Bruxelles, coll. priv.; Monumento agfi uccelli,1927: coll. priv.; il Nuotatore cieco, 1934: Stati Uniti,coll. priv.; la Città intera, 1935-36: Zurigo, kh; Barbariche marciano verso ovest 1935: Coll. priv.). Con l’approssi-marsi della seconda guerra mondiale, l’angoscia ne perva-se sempre piú l’opera. Scolpiva e dipingeva grandi compo-sizioni ove la vita sembra paralizzata (Un po’ di calma,1939: coll. priv.; l’Europa dopo la pioggia II, 1940-42:Hartford, Wadsworth Atheneum). Infine, avendo rottocon i surrealisti dal 1938, emigrò in America (1941). Sta-bilitosi a New York, esercitò un forte influsso sui giovanipittori americani, cui sembra davvero facesse scoprire,con Masson, la tecnica del dripping poi adottata da Pol-lock e dai suoi epigoni (l’Occhio del silenzio, 1943-44:Saint Louis Mo., Washington University Gall. of Art; ilPianeta impazzito, 1942: conservato a Tel-Aviv; Testad’uomo sconcertata dal volo d’una mosca non euclidea,1947: coll. priv.). Nel 1943 incontrò Dorothea Tanning:fu l’inizio di un periodo pacificato, di grande fecondità.Nel 1946 essi si stabilirono a Sedona, nelle montagnedell’Arizona; tornarono definitivamente in Francia solonel 1955. In attivo raccoglimento, E eseguí allora oscuree poetiche composizioni scolpite o dipinte, ove il temadella coppia (il Capricorno: bronzo, 1948: Parigi, mnam)si mescola alle sue tenebre familiari e alle reminiscenzedella sua infanzia renana (Notte renana 1944: Parigi, coll.priv.). Dopo il suo ritorno in Francia risiedette sia a Pari-gi, sia a Huismes in Turenna, continuando a produrre ab-bondantemente, sempre invaso dal medesimo fervore poe-tico (Per una scuola di aringhe, 1965: Parigi, coll. priv.;

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Configurazioni, collages e frottages, 1974). La sua opera, trale piú illustri del xx sec., è rappresentata nella maggiorparte dei grandi musei europei e americani, e soprattuttoin importanti coll. priv. (Venezia, Fond. Peggy Gug-genheim; Houston, Menil Coll.). (sr).

Errard, Charles, padre(Bressuire (Deux-Sèvres) 1570 - Nantes 1629 ca.). Stabili-tosi a Nantes, venne chiamato a corte nel 1615. Gli sidebbono due affreschi, oggi assai rovinati, nella cattedraledi Nantes (Pentecoste e Trasfigurazione). è autore di alcuneacquaforti (Autoritratto, 1628; Ritratto di Jérôme Bachot,1631).Charles Errard figlio (Nantes 1606 ca. - Roma 1689), fi-glio del precedente, fu tra i piú celebri pittori francesi delsuo tempo, e uno dei dodici fondatori dell’accademia dipittura (1648), di cui divenne rettore (1655), poi direttore(1657); fu infine primo direttore dell’Accademia di Fran-cia a Roma (1666-83) e principe dell’Accademia di SanLuca. Dipinse a Parigi per Notre-Dame (quadro di maggiodegli orafi del 1645), per il Palais-Royal (decorazione ini-ziata nel 1646), per il Louvre (1653-55), per le Tuileriescon N. Coypel (1657), piú tardi per Versailles, Saint-Ger-main e Fontainebleau. Solo di recente il suo catalogo pit-torico ha assunto una qualche consistenza. è stato indivi-duato, per esempio, un importante dipinto, Rinaldo Ab-bandona Armida (Bouxviller, Museo storico), ordinato nel1639 da François-Annibal d’Estrée per la propria galleria.Sussiste al Louvre un piccolo disegno, il Ritratto di Fréartde Chambray; l’Albertina di Vienna e la Kunstbibliothekdi Berlino possiedono ciascuna un suo disegno di fronte-spizio a soggetto allegorico. Se ne conosce la vita megliodelle opere: viaggiò col padre in Italia nel 1627. Tornatoin Francia venne apprezzato da Sublet de Noyers, sovrin-tendente alle costruzioni reali, e inviato a Roma, ove stu-diò le antichità e acquisí fama di eccellente disegnatore.Conosciamo le dispute del pittore all’accademia conAbraham Bosse, e cosí pure la rivalità che piú tardi, nelmomento in cui ne declinava il prestigio, lo contrappose aLe Brun. La decisione di creare un’Accademia di Franciaa Roma (1666) e la partenza di E sono in parte conse-guenza di tale rivalità. Si attribuisce a E, insieme a NoëlCoypel, la decorazione del soffitto della Grande Chambredel parlamento della Bretagna a Rennes. (jpc).

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Erró(Gudmundur Gudmundson, detto) (Olafsvik (Islanda)1932). Studiò alle accademie di belle arti di Reykjavik epoi di Oslo, viaggiò in vari paesi (1953-57) e si stabilí aParigi nel 1958. Partecipò ai diversi movimenti d’avan-guardia e presto s’inserí, dopo aver subito l’influsso diMatta, nella corrente della figurazione narrativa, di cui èuno dei membri piú attivi, e quello piú dotato di talento.Impiega abbondanti riferimenti culturali, accumulandonelle sue composizioni barocche dettagli ripresi dall’interobagaglio artistico, non senza dar prova di uno humourbeffardo che ne fa un polemista notevole (i Mostri, 1968;le Prospettive, 1972; l’0vest visto dall’Est, 1977). è rappre-sentato a Parigi (mnam), Grenoble, Marsiglia, New York(moma). (jjl).

Ertborn, Florent Joseph van(Anversa 1783 - L’Aja 1840). Borgomastro di Anversa ein seguito governatore della provincia di Utrecht, fu colla-boratore personale di Guglielmo I d’Olanda, che ne feceil proprio ciambellano. Uomo colto, s’interessò dell’arte edella letteratura del suo tempo e divenne membrodell’istituto reale olandese. Raccolse una notevole colle-zione di quadri, principalmente del xv e del xvi sec., chelasciò in eredità alla città natale. Questo complesso di 141opere costituisce ancor oggi il gioiello delle collezionidell’mba di Anversa, con opere come Santa Barbara e laVergine alla fontana di J. van Eyck (quest’ultimo dipintoappartenne a Margherita d’Austria a Malines), il Ritrattodi Philippe de Croy di Van der Weyden, quello di Giovan-ni di Candida di Memling, la Fuga in Egitto di Patinir, laCrocifissione di Antonello da Messina e un capolavoro diFouquet, la Vergine col Bambino Gesú (prj).

Erté(Romain de Tirtov, detto) (San Pietroburgo 1892 - Parigi1990). Discendente di una grande famiglia dell’aristocra-zia di Kronstadt, abbandonò a diciannove anni il suopaese e s’iscrisse a Parigi all’Académie Julian. Vi restòuna sola settimana, poi lavorò senza successo per una pic-cola casa di mode. Propose allora i suoi schizzi al sartoPaul Poiret, che immediatamente lo assunse. Il suo suc-cesso fu immediato (Bal de l’Opéra, 1913), rafforzato da

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quello dei costumi da lui creati nel medesimo anno perMata Hari, che danzava Le Minaret al Théâtre de la Re-naissance. Dalla moda, E fece il passo che lo portò al tea-tro: vestí Mistinguett (1916) e Gaby Deslys (1917-19, alteatro Fémina), e divenne il grande allestitore delle Folies-Bergère (1921-29). Dal 1915 eseguí alcuni disegni per lo«Harper’s Bazaar»; fu un successo che proseguí per oltrevent’anni. Noto in tutto il mondo, soprannominato «ilGenio» dall’America della moda e del cinema, creò nume-rose scenografie di film (Ziegfield Folies), teatro (La Prin-cesse lointaine di Edmond Rostand: teatro Sarah-Bernhardt, 1929), spettacoll di varietà (The Golden Calfper The Golden Fables; George White’s Scandals, NewYork, 1926; Milano, Gall. di Milano). Rari sono i pittoriche siano cosí poco mutati in mezzo secolo: il suo gustodella perfezione, le linee modern style, gli effetti di simme-tria e di asimmetria, la precisione maniacale del dettagliosono le componenti essenziali delle sue creazioni. Invento-re di «costumi collettivi», ove la riunione di piú personag-gi compone un oggetto unico (piramide umana, «acconcia-tura-sipario»), scoprí in seguito il «costume-oggetto» (robe-cage), che turba lo sguardo con un gioco di falsi sfondi.Eterno dandy, si poneva al di là delle mode; non cessò mail’attività di scenografo, da Macbeth alle Mammelle di Tire-sia (Opéra-Comique a Parigi, 1947), a Cosi fan tutte alloshow Zizi Jeanmaire (Casino di Parigi, 1969). (em).

Es, Jacob van(Anversa? 1590? - ? 1666). Pittore di nature morte e difiori; se ne conoscono una sessantina di quadri, trenta deiquali firmati. Sono ospitati in varie coll. priv. e in museidi Anversa, Bruxelles (Ostriche e pesci), Colonia, Fran-coforte, Gand, Lilla, Nancy, Oxford Parigi (Louvre),Praga (Grappoli d’uva e noci), Strasburgo (Vaso di fiori),Stoccolma. Assai apprezzate ai suoi tempi, le sue compo-sizioni ripetono lo stesso schema invariato; pur serbandoancora una certa arcaica rigidezza che rammenta Beert, sidistinguono per l’estrema semplicità compositiva e la pla-sticità delle forme dipinte. E ebbe due allievi rimastioscuri: Jacques Gillis e Jan van Thienen. (jl).

Escalante, Juan Antonio Frias de(Cordova 1633 - Madrid 1670). Esordí a Madrid conFrancisco Rizi e fu tra i maestri piú originali della scuola

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madrilena. Le sue composizioni, molto influenzatedall’arte veneziana ricordano Tintoretto e Veronese, spe-cialmente i dipinti della serie del convento della Miseri-cordia di Madrid, oggi dispersi: Sacrificio d’Isacco (1668:oggi a Villanueva y Geltrú), Mosè e l’acqua della roccia(1668: Madrid, mm) Abramo e Melchisedec (Madrid, chie-sa di San José). Il suo senso del movimento e una tavoloz-za chiara manifestano la conoscenza della pittura fiam-minga, ma lo avvicinano anche ai pittori veneziani con-temporanei, come Sebastiano Mazzoni o Francesco Maf-fei: Comunione di santa Rosa da Viterbo (Madrid, Prado).(aeps).

Escher, Maurits Cornelis(Leeuwarden 1898 - Laren 1972). La sua opera consiste inuna combinazione di elementi fantastici e matematici.Dopo studi di architettura, acquisí formazione d’incisoreall’accademia di Haarlem, sotto l’influsso di Jesserun deMesquita. Dal 1923 al 1935 abitò a Roma, da cui effettuònumerosi viaggi in Italia e in Spagna. Il paesaggio italianofu, fino al 1937, l’ispiratore principale delle sue litografiee incisioni su legno, contraddistinte dal virtuosismo tecni-co e da una resa realistica che tuttavia si avvale di angolivisuali insoliti e di dettagli singolari (Castrovalva, litogra-fia, 1930). Dopo il 1937 introduce la ripartizione regolaredella superficie piana secondo motivi realistici, ispirata aimosaici moreschi. Le forme geometriche sono inoltre fre-quentemente alla base di stampe di un’estrema raffinatez-za tecnica, nelle quali E sfrutta le illusioni spaziali (Relati-vità, litografia 1953), le metamorfosi (Rettili, litografia,1943) e le serie infinite (Cerchio-limite III, legno, 1959).Nel corso degli ultimi anni, la sua opera serví sempre piúspesso di illustrazione a trattati scientifici riguardanti lamatematica, la geologia, la psicologia della percezione e lafisica. La sua opera completa si trova all’Aja (gm). (lbc).

Eschimesi → Inuit

Escorial, ElMonastero spagnolo (Nuova Castiglia, provincia di Ma-drid), che fino al xix sec. ospitò la piú ricca collezione dipittura del paese. La costruzione dell’edificio, che dovevaessere insieme palazzo e pantheon, ebbe inizio nel 1563.Tredici anni dopo Navarrete s’impegnò a dipingere tren-

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tadue quadri per gli altari della basilica, ma la sua prema-tura morte nel 1579 non gli consentí di completare laserie dei santi, disposti a coppie, che dovevano decoraregli altari: i suoi continuatori, Sánchez Coello, Diego deUrbino, Luis de Carvajal, dipinsero i martiri e i dottori inuno stile meno veneziano, piú plastico, vigoroso e grave.La scomparsa di Navarrete e l’assenza di affrescatori inSpagna (Becerra era morto nel 1570) indussero Filippo IIa fare appello ad artisti italiani, che lavorarono al suo ser-vizio dal 1575 alla sua morte. Un primo gruppo di artistiresidente in Spagna da qualche anno decorò con grotte-sche le sale capitolari e la sacrestia, sembra che il pittorepiú apprezzato di tale gruppo, formatosi intorno ai figli diG. B. Castello (il Bergamasco), Fabrizio Castello e Nico-las Granelo, sia stato Francesco da Urbino, cui si attribui-sce il Giudizio di Salomone. Romulo Cincinato, assuntonel 1567, fu incaricato di dipingere un Martirio di sanMaurizio, molto accademico, in sostituzione di quello diEl Greco, che non era piaciuto al re e al suo seguito. Dal1580 un nuovo gruppo di artisti giunge dall’Italia: LucaCambiaso (1583-1585), Federico Zaccaro (1585-88) e Pel-legrino Tibaldi (1588-94), per decorare a fresco la chiesa eil chiostro, ma Cambiaso morí dopo aver dipinto sullevolte della chiesa l’Incoronazione della Vergine e il Giudi-zio universale, in uno stile solenne che si armonizza conl’architettura dell’edificio. Il suo Martirio di san Lorenzorivela ricerche d’illuminazione e di composizione assai piúpersonali. Zaccaro fu congedato tre anni dopo il suo arri-vo, suoi sono otto dipinti del polittico sormontante l’alta-re maggiore, i pannelli dell’altare delle reliquie (ritoccati),gli affreschi per il chiostro grande (sostituiti, eccettouno). Alcune opere dello Zuccari furono sostituite da teledi Tibaldi, soprannominato il «Michelangelo riformato»,che eseguí numerosi affreschi nel chiostro. La decorazionedella biblioteca ne è il capolavoro; la volta, sapientementeripartita, è popolata di allegorie e di figure illusionistichedai colori vivi. Le scene storiche o leggendarie che illu-strano ciascuna delle arti liberali, attribuite a BartoloméCarducho, allievo di Zaccaro, hanno un sorprendente ri-lievo, dovuto all’accentuazione delle luci e delle ombre. Ilcompletamento della decorazione del monastero – voltedelle navate della basilica e dello scalone monumentale –ebbe luogo cento anni dopo, grazie a un altro pittore ita-liano, Luca Giordano, chiamato nel 1692 (Adorazione

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della Trinità nella volta dello scalone e quattro scene nellabasilica). Questo complesso di affreschi era completato dauna collezione di dipinti raccolti da Filippo II e dai suoisuccessori. Il re aveva donato all’E 250 «pitture devote»,distribuite in tutto l’edificio. Le tele di Tiziano erano ingran numero, accanto alle opere di Hieronymus Bosch.Filippo II che aveva ereditato dai suoi avi la passione perla pittura fiamminga, apprezzava pure Van der Weyden ePatinir. Le collezioni furono notevolmente arricchite daFilippo IV, che incaricò Velázquez di costituire un museo,dove furono raccolti capolavori italiani del xvi e xvii sec.,in parte provenienti dalla collezione di Carlo I (Raffael-lo?, La Sacra Famiglia detta la Perla, oggi al Prado), e qua-dri di Veronese, Rubens e Van Dyck, che svolsero unruolo decisivo nell’evoluzione della pittura spagnola. Ulti-ma grande opera d’arte di cui il monastero fu dotato, daparte di Carlo II, è il celebre quadro di Claudio Coello laSagrada Forma – adorazione di un’ostia miracolosa daparte della corte e del clero – che decora l’altare della sa-crestia, prolungandone le volte con effetto illusionistico, eche è inoltre una sorprendente galleria di ritratti. Sotto ilregno di Giuseppe Bonaparte, le collezioni vennero trasfe-rite a Madrid; dopo la Restaurazione numerose tele furo-no incorporate nella raccolta del Prado. Le opere piú cele-bri dell’E sono, dal 1963, raggruppate a seconda dellescuole nei «nuovi musei» costituiti in occasione del quar-to centenario dalla fondazione del monastero. (acl).

Esone(ultimi decenni del v sec. a. C.). Autore soprattutto di le-citi con fondo bianco, protrae non senza un certo accade-mismo lo stile e il repertorio della generazione preceden-te. La sua opera piú celebre è il vaso sul quale sono rap-presentate le imprese di Teseo (Madrid, ma). (cr).

Espinal, Juan de(Siviglia ? - morto nel 1783). Allievo e genero di Domin-go Martinez, grande decoratore sivigliano della primametà del xviii sec., di cui ereditò la bottega nel 1749, fula figura piú interessante nell’ambiente di Siviglia in quelperiodo. Pur non opponendosi al neoclassicismo (sarà ilprimo direttore della nuova scuola di disegno aperta a Si-viglia da cui si diffusero i principî neoclassici), fu tuttaviail continuatore d’una tradizione basata su Murillo e che

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rimase tipicamente sivigliana, pur riflettendo, nella suaeleganza, le influenze della pittura francese del tempo(San Carlo Borromeo dà la comunione agli appestati di Mila-no, 1778: Siviglia, chiesa di San Nicola di Bari). Suaopera principale sono ventisei quadri illustranti la Storia disan Girolamo, che dipinse tra il 1770 e il 1780 per i gero-nimiti di Buenavista. Questi grandi quadri, conservati perla maggior parte al museo di Siviglia, narrano tutta la vitadel santo, le sue penitenze, i suoi viaggi, il suo insegna-mento e la sua morte. Alcuni dipinti, come la Bottega deicopisti che lavorano per il santo, o la sua Predicazione da-vanti a un uditorio di dame del gran mondo, attestanouna viva curiosità degli ambienti umani e sono tra le mi-gliori scene di costume del xviii sec. in Spagna. Dal 1776al 1781 realizzò la sua opera piú audace, la decorazione atempera della cupola della scalinata del palazzo arcivesco-vile, ove l’architettura finta si ispira al barocco italiano.(pg).

Espinosa, Jacinto Jerónimo(Cocentaina 1600 - Valencia 1667). Formatosi a Valenciapresso il padre, anch’egli pittore, nel rigoroso rispettodello stile di Ribalta, è la figura piú importante dellascuola valenciana. Esattamente contemporaneo di Zur-barán, rappresenta come lui, nella zona del Levante, lapiú pura tradizione del «realismo tenebrista», usa caldetonalità di colori rossastri e terrosi. Alcune sue composi-zioni monacali e religiose (Sacra Famiglia, 1660 ca.: Valen-cia, mba, Ciclo della Misericordia, 1661: ivi; Comunionedella Maddalena, 1665: ivi) sostengono facilmente il con-fronto con le opere migliori di Zurbarán. Fu inoltre ritrat-tista di raro vigore (Fra Jeronimo Mos: ivi). (aeps).

esposizioni → mostre

espressionismoTendenza artistica che si sviluppò tra la fine del xix sec. eil 1925 ca., ma soprattutto nell’atmosfera di disagio e diturbamento che precedette la guerra del 1914; dal puntodi vista pittorico, essa si presenta come una netta reazio-ne all’impressionismo, di cui si rifiutavano l’obiettività el’ottimismo scientistico. Terra d’elezione dell’e è stata laGermania con Conrad Fiedler, Theodor Lipps e Worrin-ger, del quale esce nel 1908 Abstraktion und Einfühlung;

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con loro l’accento si sposta sull’irriducibile determinazio-ne del creatore (innerer Drang, o inner necessity, l’«esigen-za interiore», principio fondamentale che Kandinsky ri-prenderà), nonché sul processo di deterioramento dei rap-porti tra uomo e mondo esterno, tradito dal grado piú omeno estremo di stilizzazione astratta. L’e matura in anniin cui si trasformano i riferimenti culturali: l’intera Euro-pa riscopre i suoi «primitivi», le arti di popoli lontani(Africa Oceania, America settentrionale, Estremo Orien-te) soppiantano il classicismo greco-romano. I tedeschi re-cuperano il gotico e Grünewald (prima monografia nel1911), i belgi Bruegel, i francesi gli affreschi romanici e idipinti del xv sec. Si riscopre El Greco. La varietà dellesollecitazioni spiega la diversità delle opere, tanto piú chei precursori immediati dell’e provengono da orizzontiassai disparati.I precursori Il norvegese Edvard Munch, l’olandese Vin-cent van Gogh, il belga James Ensor, cui può aggiungersiil francese Toulouse-Lautrec, hanno contribuito al formar-si della temperie degli anni a cavallo del secolo. Ensor fuil piú precoce, eseguendo nel 1888 l’Entrata di Cristo aBruxelles (Malibu J. P. Getty Museum), violenta satira dalcolore squillante, la cui risonanza fu però limitata.L’opera di V. van Gogh ha conosciuto maggiore diffusio-ne e ha fornito una piú vasta base teorica, col conferire alcolore una potenza simbolica ed espressiva ancora inedita(Campo di grano con corvi, 1890: Amsterdam, Museo VanGogh). Munch evidenzia perfettamente gli stretti rapportiche intercorsero agli inizi tra simbolismo ed e (come Hod-ler in Svizzera e Klimt in Austria), e il Grido (1893;Oslo, ng), che è un manifesto vero e proprio, deve la pro-pria efficacia non meno alle stilizzazioni grafiche dello Ju-gendstil che alla nuova concezione della forma e del colo-re. L’idea di considerare Lautrec un precursore dell’epotrà forse sorprendere, ma una parte della sua tematica,il suo gusto dell’ellissi, lo stridore della tavolozza nefanno, sotto molti aspetti, un fratello spirituale dei tede-schi (la Donna tatuata, 1894; Berna, coll. priv.). Quel cheavvicina tali artisti è, da un lato, l’importanza dell’espe-rienza vissuta, il doloroso inserimento nella società, edall’altro, dal punto di vista tecnico, il primato conferitoal colore.La Germania: Die Brücke (1905-13) è notevole che, nellaGermania guglielmina, l’idealismo postromantico di

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Marées e di Böcklin abbia potuto toccare piú la giovanegenerazione che i rappresentanti apparentemente piú mo-derni dell’impressionismo tedesco: Slevogt, Liebermann elo stesso Corinth. Equivaleva a conferire maggiore inte-resse al disegno e all’impianto che al tocco, mentre il rin-novamento dell’arte grafica induceva a studiare le incisio-ni su legno del xv e xvi sec., e l’arte gotica veniva consi-derata tipicamente germanica (Worringer: Formproblemeder Gotik, 1911). Ma anche le lezioni straniere davanofrutti: Munch espone a Berlino nel 1892 con grande cla-more; all’inizio del secolo, Gauguin, Cézanne, Lautrec,Van Gogh vengono esposti a Berlino (1903), a Monaco(1904), a Dresda (1905). L’impatto con Gauguin acuí iltema della nostalgia del paradiso perduto, dell’unione trauomo e natura in un universo liberato da ogni ipocrisia edalla nozione di peccato. Prima dei pittori di Die Brücke,Paula Modersohn-Becker, che fece parte del gruppo sim-bolista di Worpswede, si ispirò a Gauguin per tradurreun’espressività ancora contenuta e meditativa. Ma a Dre-sda alcuni giovani artisti come Kirchner, Heckel, Sch-midt-Rottluff, Pechstein trassero da tutti questi suggeri-menti sollecitazioni molto forti che si tradussero in unapittura di grande sintesi espressiva. Die Brücke si qualifi-ca per il lavoro strettamente comunitario, l’importauza ela qualità delle realizzazioni grafiche (soprattutto incisio-ne su legno), il colore ripartito in zone piatte, e un eroti-smo deliberato (Kirchner, Donna con divano azzurro,1910: Minneapolis, Inst. of Art, Schmidt-Rottluff, Duedonne, incisione su legno, 1910). Per alcuni anni DieBrücke riuscí a conciliare le due tendenze conflittuali cheavevano già contrapposto Gauguin e Van Gogh: la solitu-dine nella natura e gli intimi scambi a livello di gruppo.Proprio quest’ultimo aspetto doveva respingere EmilNolde, molto piú anziano, e attivo nel gruppo dal 1906-1907; le sue ricerche testimoniano un tormento religiosodel tutto estraneo ai suoi giovani compagni. Nolde tradu-ce in segni potenti il suo misticismo di fondo (Leggenda diMaria Egiziaca, 1912: Amburgo, kh). Die Brücke era rela-tivamente isolata a Dresda; nella scia di Pechstein, glialtri artisti si stabilirono a Berlino, ove dovevano trovareun ambiente assai piú aperto. Esposero presso HerwarthWalden, nella galleria Der Sturm, che doveva ben prestoimporre universalmente il termine ‘espressionismo’. Essoviene riferito nel 1911 a una scelta di tele di fauves fran-

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cesi presentate alla Secessione berlinese. La rapidità degliscambi e delle trasformazioni, oltre al ruolo svolto daWalden, dovevano contribuire non poco a rendere la no-zione di e assai complessa; nel 1912 vengono qualificatecome «espressioniste» tre mostre organizzate da DerSturm in cui comparivano opere assai diverse: tedesche(Der Blaue Reiter), francesi (Braque, Derain, Friesz, Vla-minck) e belghe (Ensor, Wouters). Der Blaue Reiter pre-sentava omogeneità ancora minori di Die Brücke, ma eraallora la punta dell’avanguardia tedesca. Sono poche leanalogie tra Kandinsky, Marc, Jawlensky e Macke. Il de-nominatore comune è il ruolo del colore, ma ciascuno loconcepisce a suo modo: emancipazione del soggetto perKandinsky, legato ad una simbologia panteistica perMarc, concezione della forma nello spazio in Macke, spi-ritualità per Jawlensky, piú vicino a Die Brücke nella suapredilezione per il tema del volto umano. L’e, «colorazio-ne particolare dell’anima» (secondo lo scrittore IvanGoll), conosce in questo periodo accezioni diverse. Lamessa a nudo del carattere e del dramma umano va dipari passo col desiderio acuto di rinnovare il meccanismodella percezione. I contatti con il futurismo a Berlino(Der Sturm, 1912) vi introdussero un altro elemento: unritmo febbrile, che travolgeva forme e concetti e riflette-va il clima della guerra imminente, testimoniato soprat-tutto da Ludwig Meidner, fondatore del gruppo DiePathetiker. Una simile accelerazione doveva necessaria-mente cogliere di sorpresa i membri di Die Brücke. Men-tre Pechstein seguiva l’esempio di Matisse, Kirchner,nella scia di Munch, esprimeva la sua angoscia della me-tropoli; Heckel, dopo aver meditato Cézanne e Delaunay,conferiva al paesaggio una trasparenza nuova. I primistudi generali sull’e appaiono nel 1914 e nel 1916, e sonorispettivamente dovuti a Paul Fechter, a Hermann Bahr eallo stesso Walden. In quell’epoca mal si distinguono leantinomie tra cubismo o futurismo e movimento tedesco:ciascuno è in qualche modo una sfaccettatura di un mede-simo slancio di emancipazione nei riguardi del naturali-smo. L’accento posto sull’opera di Cézanne, recentementescoperta e considerata una delle fonti dell’e, potrebbe pe-raltro sorprendere. Il fatto è che tali tentativi di sistema-tizzazione corrispondono ai vasti confronti internazionaliche ebbero luogo in Germania poco prima della guerra,nell’esposizione del Sonderbund (Colonia, 1912; panora-

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ma di ricerche sul colore) e nel primo salone d’autunno te-desco a Berlino (Der Sturm, 1913).L’espressionismo viennese A Vienna l’e presenta maggio-re coerenza. Ne è causa in parte il simbolismo di Klimt, lecui intenzioni si concretano in un disegno, spesso al servi-zio di un intenso erotismo, e in parte quello di Hodler(che espose alla Secessione viennese nel 1903). L’efficaciadell’immagine poggia in ambedue i casi su una tensionegrafica portata all’estremo, spesso deformante, il cuierede doveva essere soprattutto Egon Schiele. Schiele,improntato da Van Gogh (esposto a Vienna nel 1906), neriprese il profondo sentimento di frustrazione sessuale ed’isolamento irrimediabile, che d’altra parte si attenuaro-no fortemente una volta sposatosi l’artista (Nudo sedutocol braccio alzato, 1910; Vienna, coll. priv.). Oskar Koko-schka infine garantisce il collegamento tra Vienna e Berli-no, ove operò per Walden. Meno aspro di Schiele, ma dilui piú ricettivo tra il 1907 e il 1914 produce una serie diritratti disegnati e dipinti, che sono autentici tentativid’introspezione (Herwarth Walden, 1910: Stoccarda, sg);ma la cui immediata leggibilità è assai lontana dalle tra-sposizioni di Die Brücke o di Jawlensky.Espressionismo e fauvisme I tedeschi giudicarono i fauvesespressionisti quando conobbero i loro quadri. Confrontipiú recenti (Il Fauvisme e gli esordi dell’Espressionismo te-desco Paris-München 1966) hanno consentito di megliodefinire i termini di una simile identificazione. In primoluogo i f auves sono soprattutto pittori; e gli espressionistitedeschi incisori. In Francia il modo di stendere il coloreè assai diverso, e cosí pure lo spirito stesso della pittura èdi una lievità ancora naturalista. Talvolta peraltro i fauveshanno raggiunto una convincente intensità espressiva:Vlaminck assai presto (Al banco, 1900: conservato adAvignone); Matisse soprattutto nel 1906 (Gitana: a Saint-Tropez) e nel 1909 (Algerina: Parigi, mnam; Nudo, paesag-gio soleggiato: San Francisco, coll. priv.), nel periodo incui il suo sforzo di semplificazione delle forme si apparen-ta alle stilizzazioni di origine grafica di Die Brücke, De-rain in particolare nel notevole piccolo quadro Personaggiin un prato (1906-1907: Parigi, mamv); Van Dongen, conpiú spontanea spigliatezza (Anita, 1905: coll. priv.). De-rain ha anch’egli inciso su legno, con maggiore perseve-ranza e successo di Matisse (ispirandosi al periodo«negro» di Picasso: illustrazioni per l’Enchanteur pourris-

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sant di Apollinaire, 1909), e anche Vlaminck, le cui tavolericordano, per l’equilibrio tra bianchi e neri, quelle dei te-deschi (il Ponte di Chatou, 1914 ca.). Rouault è inveceun’individualità al margine, la cui situazione in Francia èassai simile a quella di Nolde in Germania. Prima del1914, egli si esprime al meglio nei grandi acquerelli consa-crati a temi religiosi (Ecce homo, 1905: New York, coll.priv.) oppure ispirati dallo spettacolo spietato della vita(Ragazza allo specchio, 1906: Parigi, mnam).Il periodo della guerra La prima guerra mondiate sconvol-se il movimento espressionista, la cui stessa complessitàpoteva farne prevedere la dissoluzione. Un conflitto diquattro anni conturbava le posizioni artistiche acquisite, esi venivano imponendo altri atteggiamenti rispetto all’artedel vivere, il piú netto dei quali, nell’affermare una rottu-ra radicale col passato, era quello di Dada a Zurigo. Gliartisti allora piú rappresentativi traducevano le propriereazioni personali, per esempio Kirchner e Kokoschkaambedue traumatizzati dalla guerra, nei loro patetici auto-ritratti (Kirchner, Autoritratto da soldato, 1915: SaintLouis, coll. priv.; Kokoschka, Autoritratto, 1917: Wup-pertal, coll. priv.). Kandinsky era in Russia, Jawlensky inSvizzera, Marc e Macke erano scomparsi durante la guer-ra. Questi svariati fenomeni di dispersione indicano chela giovane generazione doveva partire da premesse diver-se. Futurismo e dadaismo intervengono nei primi quadridi Grosz e di Dix, mossi da un acceso antimilitarismo. Larivendicazione sociale, il bisogno di trasformare la società,le cui contraddizioni l’e aveva appena denunciato, ispira-no quadri come i Funerali di Oscar Panizza di Grosz(1917-18: Stoccarda, sg), mentre gli Autoritratti di Dix(1914-15) preludono al feroce repertorio d’immagini deglianni ’20. Max Beckmann era stato in un primo tempopiuttosto ostile all’e, e la Strada del 1914 (coll. MathildeBeckmann) contrasta fortemente con le contemporaneescene berlinesi di Kirchner. L’esperienza della guerra gliispirò successivamente numerose grandi composizioni, ilcui impianto complesso e la cui veemenza derivano dallapittura gotica; la Notte ( 1918-19: Düsseldorf, knw), ca-polavoro di questa serie, è sintomatica della confusione edell’angoscia che imperavano in Germania alla fine dellaguerra. Eccellente incisore, soprattutto a punta secca,Beckmann resta fedele in ciò alla tradizione espressioni-sta, e s’impegna a scrutare il proprio stesso viso

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(Fumatore, 1916; Autoritratto a bulino, 1917), ma già conun intento di obiettività, con una distanza rispetto a sestesso che sono altrettanti segni di un’irreversibile evolu-zione. Mentre in Germania si verificavano questi impor-tanti mutamenti, i paesi a nord della Francia (Belgio eOlanda) dànno vita ad altri filoni del movimento espres-sionista. In Belgio il punto di partenza si colloca nella co-lonia di artisti di Laethem-Saint-Martin, ove prima del1914 si raccoglievano Servaes, Van de Woestyne, DeSmet, Van den Berghe, Permeke. A Laethem regnava unsimbolismo primitivistico illustrato soprattutto da Van deWoestyne e dallo scultore e disegnatore Georges Minne.La mostra dei primitivi fiamminghi (Bruges, 1902) e so-prattutto l’alta figura di Bruegel ebbero un ruolo impor-tante nella rivalutazione di soggetti popolari (Servaes,Raccoglitori di patate, 1909: Bruxelles, mrba). La guerradisperse gli artisti: mentre Permeke, ferito, va in Inghil-terra, De Smet e Van den Berghe si rifugiano ad Amster-dam. Il primo esegue in Inghilterra alcuni grandi quadri,considerati poi i manifesti dell’e in Fiandra, nonostanteessi rivelino nell’impaginazione un forte legame con ilsimbolismo (lo Straniero, 1916: ivi). Gli altri due pittoritrovano ad Amsterdam un ambiente assai piú aggiornatosulle innovazioni europee di quello di Laethem. Il france-se Le Fauconnier, di formazione cubista, diede vita (dal1915 al 1918 ca.) a un e a carattere onirico o sociale assaipersonale (il Segnale, 1915). Parallelamente a Le Faucon-nier, l’olandese Jan Sluyters ebbe tra il 1915 e il 1917 unabreve parentesi espressionista, che trae spunto dal piccolovillaggio di Staphorst; l’influsso del periodo olandese diVan Gogh e quello del cubismo si fondono in abile sintesi(Famiglia di contadini di Staphorst, 1917: Haarlem, MuseoFrans Hals). I belgi scoprirono anch’essi, attraverso le ri-viste, l’e tedesco e l’arte negra. De Smet scelse comeSluyters un luogo privilegiato, Spakenburg, villaggio dipescatori del Zuideræe, e dal cubismo trasse la semplifica-zione del disegno (Donna di Spakenburg, 1917: oggi adAnversa). Van den Berghe si accosta a Die Brücke; inte-ressato all’arte negra, produsse in quest’epoca potenti in-cisioni su legno (Attesa, 1919).Fra le due guerre (1919-39) Questo periodo vide da unlato la fine dell’e propriamente detto in Germania, edall’altro il costituirsi, partendo da altre fonti e su temidiversi, di tendenze espressionistiche periferiche.

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Germania II declino dell’e pittorico corrispose all’esten-dersi del movimento, che dopo la guerra conquista il tea-tro ed il cinema: lo stile delle scenografie è ispirato daiquadri. Le condizioni politiche e sociali sono in Germaniatali da orientare l’interesse dei giovani artisti verso unaforma di testimonianza piú legata alla realtà contempora-nea, a detrimento della soggettività. La tensione dell’edelle origini si smorza Schmidt-Rottluff resterà uno degliartisti piú fedeli allo stile della sua giovinezza (Uomo chepasseggia per la strada, incisione su legno, 1923), mentreKirchner lascerà una produzione diseguale, fino al suici-dio nel 1938. Dix ha dato senza dubbio le immagini piúviolente del dopoguerra (fino al 1923), quelle di unmondo di sfruttatori e di prostitute a contatto di gomitocon miserabili vittime (i Giocatori di skat o Mutilati diguerra che giocano a carte, 1920: coll. priv.). Questa visio-ne dell’atroce culmina nella Trincea (1920-23, scomparsadurante la seconda guerra mondiale), ma ci si avvede giàche le semplificazioni equilibrate dell’anteguerra sonostate totalmente sostituite dall’eccesso descrittivo iperna-turalistico. Nel 1923-24, le cinquanta acquaforti dellaGuerra offrono il documento piú implacabile sul conflitto(Ferito che torna nelle retrovie, battaglia della Somme).L’evoluzione di Grosz fu ancor piú rapida; membro delclub Dada di Berlino, considerava la caricatura un’arma;in lui la lotta politica prevalse sulla creazione di nuovimezzi espressivi. Beckmann svuotò progressivamente lesue composizioni, a profitto di uno stile piuttosto statico,insieme evocativo e freddo (Ballo a Baden-Baden, 1923:Monaco, coll. priv.). Un linguaggio analogo viene adotta-to da Carl Hofer nei suoi quadri di saltimbanchi, di tristiclown abitatori di un universo astratto tagliato fuori dallesue fonti vive, simile a quello della repubblica di Weimar(Gente del circo, 1922 ca.: Essen, Folkwang Museum).Con una diversa modalità, Käthe Kollwitz e Barlach con-tribuiscono ambedue con l’opera grafica al clima partico-lare di questo periodo. Il lungo itinerario di K. Kollwitzl’ha condotta, attraverso i suoi disegni ed incisioni, dalrealismo simbolista della fine del xix sec. a un e di testi-monianza e di lotta a favore degli oppressi (la Vedova, in-cisione su legno, 1922-23 ca.); Barlach, molto improntatodalla scultura gotica, subisce in particolare la persecuzionenazista a causa del pessimismo dei suoi tipi popolari (Vec-chia con bastoni; la Falciatrice, disegni, 1935). Ma questi

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due artisti appartenevano ancora al xix sec. nei primi annidella loro carriera. Il fenomeno nuovo, di cui si prendecoscienza tra il 1924 e il 1925, è l’abbandono dell’e peruna Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit) o di un reali-smo magico stilisticamente contrapposto all’e su tutti ipunti, e del quale diverranno capofila Dix soprattutto,poi Beckmann e Grosz. A quest’arte di constatazione, cheesaspera taluni effetti fino all’insolito, risponde nel mede-simo momento la nascita del surrealismo, che in qualchemisura doveva svolgere, almeno del suo aspetto di «pre-monizione», il medesimo ruolo svolto dall’e prima del1914. Belgio Dopo la guerra il Belgio conobbe invece, col ri-torno dei vecchi pittori di Laethem lo sviluppo di un coe-rente movimento espressionista. La rivista «Sélection» ela galleria omonima, a Bruxelles, patrocinarono l’e «fiam-mingo», cosí denominato per analogia con la Germania.Ma la prima mostra (agosto 1920) rendeva omaggio al cu-bismo e alla scuola di Parigi. Il fatto fondamentale del do-poguerra è che si estrapolano dal cubismo disciplina e vi-gore espressivo, come fino a poco prima si era chiesto alcolore che esaltasse l’espressione delle sensazioni e deisentimenti. L’aspetto sociale esiste nei fiamminghi quantoin Germania, ma in Permeke, De Smet, Van den Berghe,Tytgat è piú rurale che urbano. Permeke è l’unico a con-ferire ai suoi personaggi una dimensione monumentale (ilPane nero, 1923: Gand, coll. priv.; il Guardiacaccia, 1927:Courtrai, coll. priv.), mentre le scene di genere sono piúnumerose in lui che nei suoi compagni (De Smet, la Vitanella fattoria, 1928: Bruxelles, coll. priv.). Non mancanole analogie con alcuni pittori stranieri impegnati in una fi-gurazione moderna, come Léger in Francia e Schlemmerin Germania, che non si saprebbe come collocare nell’e,mentre Van den Berghe adottò prestissimo elementi fre-quenti nel realismo magico o nel surrealismo (serie diguazzi sul tema della Donna, 1925). Frans Masereel, inci-sore su legno, ha denunciato con rara fedeltà le taredell’epoca, la metropoli divorante; ma le sue immagininon si attengono alla trasposizione realistica, cui ambiva-no invece gli incisori tedeschi prima del 1914 (la Città,cento legni, 1925: Parigi). Dopo il 1930 la saturazione delmercato artistico, il ritorno offensivo del realismo e il suc-cesso stesso del movimento sono cause del declino dell’efiammingo; tuttavia Permeke continuò ad arricchire il suo

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mondo col ciclo rustico di Jabbeke, ricollegandosi allagrande tradizione di Bruegel e di Van Gogh (il Mangiatoredi patate, 1935: Bruxelles, mrba). I paesaggi brabantini diJean Brusselmans, ostile a Permeke, offrono una delle ul-time manifestazioni dell’e, e preannunciano l’astrattismodel secondo dopoguerra. In margine al movimento, Ser-vaes creò tra il 1919 e il 1922 una serie di opere religioseche rinnovavano l’espressione moderna dell’«arte sacra»,come avevano fatto Rouault in Francia e Nolde in Ger-mania, le sue forme esangui, sprigionate da una rete grafi-ca aggrovigliata, fecero scandalo (Via crucis disegnata e di-pinta; due Pietà: Bruxelles, mrba). Olanda Le Fauconnier diede vita alla scuola di Bergen,con Sluyters, Leo Gestel e Charley Toorop; ma si avvici-narono, in breve tempo, alle posizioni della Neue Sachli-chkeit tedesca. Nel 1918, a Groningen, H. N. Werkmane Jan Wiegers fondano il gruppo De Ploeg (L’aratro).Werkman scelse una figurazione assai spoglia, quasiastratta, Wiegers, legato a Kirchner, si orientò verso un evicino a quello di Die Brücke (Paesaggio con alberi rossi:Amsterdam, sm). Herman Kruyder, altro esponente di ri-lievo dell’e olandese, gravita nell’area fiamminga come DeSmet e Van den Berghe. Un poco piú tardi Hendrik Cha-bot ha trattato, con uno stile aspro, soggetti vicini a quellidi Permeke (l’Ortolano, 1935: ivi). Francia Tra il 1920 e il 1930 anche in Francia l’e matu-ra sull’esperienza cubista. La ricerca di una sobrietà esem-plare nell’espressione comportò qualche ambiguità: i qua-dri di Dufresne degli anni 1918-20, di calma possenza edai colori sobri prefigurano in modo sorprendente lo stiledei fiamminghi: il Meccanico di Léger (1920: Ottawa, ng)è una figura archetipica, pressoché unica nell’opera delmaestro, ma i cui discendenti immediati sono i personaggidi Gromaire e soprattutto di Permeke. Tali premesse con-sentono di scoprire per qualche anno un certo numero diaffinità tra fiamminghi e francesi. I primi quadri diGoerg, per la voluta stilizzazione, ricordano le tele fiam-minghe contemporanee (gli Importanti, 1922 ca.: Parigi,coll. priv.); ma l’opera dell’incisore doveva prevalere, conun accento satirico che non risparmia alcun aspetto dellavita sociale del tempo (la Gaîté Montparnasse, acquaforte,1925). Gromaire ha sempre protestato contro la qualificadi «espressionista», che collegava alla cultura germanica;tuttavia un certo numero di suoi quadri – che trasfigura-

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no il soggetto in simbolo, facendone il fulcro emozionale– ben corrispondono all’e del dopoguerra (Lotteria allafiera, 1923: Parigi, mnam). La serie di dieci legni incisiHomme de troupe, eseguita alla fine della guerra, è di rarapotenza suggestiva. Il ritorno ai temi sociali è un fenome-no comune alle varie tendenze europee: temi contadini(La Patellière), urbani (Gromaire, Goerg), che fustiganola vita facile della borghesia o portano l’attenzione sullacondizione proletaria. Sotto questo aspetto l’Apprendistaoperaio di Rouault (1925: Parigi, mnam) è un quadro rive-latore dello spirito del momento, e si distingue entroun’opera impegnata in una definizione umana piú genera-le (serie litografata del Miserere). Il tema della prostitutadi bordello torna frequentemente, piú o meno interpreta-to, da Rouault a Pascin ed a Fautrier, la cui impressionan-te serie di nudi eseguita nel 1926-27 costituisce uno deicomplessi piú originali. Intorno al 1930 viene a caderequesta relativa omogeneità di soggetti o di stili. Si deveattendere la guerra di Spagna per ritrovare un’ardente vo-lontà di testimonianza che assoggetti le forme alle esigen-ze espressive. L’opera fondamentale diviene Guernica diPicasso (1937: Madrid, Prado), accompagnata da numero-si studi, il piú loquente dei quali è Donna che piange(1937: Londra, Tate Gall.). Sottraendosi totalmente allecategorie sociostoriche che abbiamo tentato di definire,l’e picassiano si era manifestato precocemente (Figure inriva al mare, 1931: Parigi, Museo Picasso) con esemplareinvenzione e virulenza, fecondata dai contatti dell’artistacol surrealismo. Tra le reazioni suscitate dal conflitto spa-gnolo vanno citati la serie dei Massacri di Pierre Tal Coat(1937), i Goerg del 1938 (le Sventure della guerra: Parigi,coll. priv.), confrontabili con le tele piú esacerbate diDix, i bulini di H. G. Adam (il Dolore, 1938: Parigi, bn). Pittura e rivoluzione nel Messico Nel corso del medesimoperiodo, soltanto la coerenza dei messicani Rivera, Siquei-ros, Orozco, Tamayo e, in grado minore, dei brasilianiPortinari e Segali, corrisponde a quella del gruppo fiam-mingo. Pur riferendosi come i fiamminghi alla loro terratradizionale, esaltando le proprie origini indie, i messicanivi aggiungono però una dimensione rivoluzionaria e socia-le che li conduce ad essere piú decoratori (grandi affreschimurali) che pittori di cavalletto. Nelle loro tele piú riusci-te, uguagliano la liricità di Permeke (Rivera: la Sgranatrice,1926: Città di Messico, coll. priv.). I cicli di decorazioni

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murali inaugurati da Rivera nel 1921 nella scuola naziona-le preparatoria di Città di Messico hanno avuto il meritodi rimettere in auge la pittura monumentale; tuttavia,malgrado l’interesse del disegno e l’evidente dignità deitemi (lotta del proletariato, glorificazione del lavoroumano), troppo spesso un enfatico realismo prevale sulleesigenze stilistiche (Rivera: scuola nazionale di agricolturadi Chapingo, 1927; Orozco: università di Guadalajara,1936). Tamayo, piú giovane, evitò d’impegnarsi in unfolklore che implicava una certa sottomissione alla visioneconvenzionale; in lui l’influsso di Picasso fu liberatorio (ilCantore, 1950: Parigi, mnam). Portinari e Segali sviluppa-rono in Brasile un e analogo, ove la tensione acuta del di-segno e la violenta stilizzazione delle forme richiamano,anche qui, Picasso (Portinari: Sepoltura nell’amaca, 1944San Paolo, mac). (mas + sr). Italia In Italia l’e ha rappresentato una realtà piuttostomarginale, pur essendo noto a molti artisti. Le concitatesperimentazioni futuriste da una parte, il simbolismo divi-sionista e il classicismo accademico, dall’altra, si divideva-no l’attenzione degli intellettuali e degli addetti ai lavori,lasciando poco margine ad una cultura figurativa tantopoco in sintonia con le tradizioni locali. Ciò nonostantetraluce, in alcuni pittori, un’attenzione particolare versocerti aspetti del linguaggio o delle tematiche piú inquietan-ti dell’e. Primo tra tutti, Umberto Boccioni, le cui operetra il 1908 e il 1910 mostrano segni evidenti di un forteinteresse per la pittura di un Ensor o di un Munch (Il lutto1910: coll. priv.). Su di un versante del tutto diverso GinoRossi si è appropriato, negli anni 1908-14, di alcuni carat-teri tra i piú squisitamente pittorici del movimento tede-sco, vale a dire quella riduzione di volumi a sintesi croma-tiche aspre. L’e di Lorenzo Viani, invece, si cala in unavocazione di impegno sociale a cui la forte aggressività deimodelli nordici offre un’occasione piú adeguata di esplica-zione. All’interno delle biografie artistiche di altri artistiancora è possibile individuare momenti di riflessione suquanto l’e aveva elaborato ma non si tratta mai di adesio-ne a una qualche corrente del movimento. (sr).

espressionismo astrattoNoto pure come Scuola di New York, e piú comunemente(ma a torto) come Action Painting o «pittura gestuale»,fu il primo movimento autentico d’arte astratta nato negli

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Stati Uniti che avesse risonanza internazionale. Praticatoper quasi un ventennio, diede luogo ad analoghe correntiin Europa, in Giappone e nell’America del Sud (l’infor-male, il tachisme). Ma la fonte è specificamente america-na, e New York ne è la culla. I due principali elementiformali dell’e a erano allora costituiti dagli stili contrap-posti dell’astrattismo post-cubista e del surrealismo, svi-luppatisi a Parigi, che avevano attirato l’attenzione di unpiccolo gruppo di audaci artisti americani, dal 1925 al1950 ca. L’esperienza amara della crisi degli anni ’30 e glisconvolgimenti dovuti alla seconda guerra mondiale sonoun ulteriore fattore che intervenne nell’origine del movi-mento. Benché il regionalismo e la scena di genere venis-sero già considerati, negli Stati Uniti, come stile «moder-no», durante la crisi artisti di rilievo aderirono ai fap (Fe-derai Arts Projects) e alla wpa (Works Progress Admini-stration) e s’interessarono alle realtà della vita americana,prendendo coscienza a livelli diversi dei problemi sociali.Tale esperienza collettiva spiega il contenuto emotivo eumano dell’e a, benché quest’ultimo non vada confusocon le realizzazioni in se stesse. Un altro fattore, di fon-damentale importanza, fu la presenza a New York di nu-merosi grandi artisti parigini, rifugiatisi negli Stati Unitiin seguito all’aggressione nazista (Mondrian, Léger, Mas-son, Ernst, Breton, Matta, Kart Seligmann e Dalí), cheesercitarono un enorme influsso all’inizio degli anni ’40.Infine, il doppio esempio degli astrattisti e dei surrealistisfociò in qualcosa di completamente nuovo verso il 1945.Già Arshile Gorky, uno degli iniziatori della nuova scuo-la, si era liberato del vocabolario surrealista europeo tra-sformando i suoi motivi biomorfi; tale conflitto, che simanifestava nelle sue fasi successive sulla tela, divennefonte feconda non soltanto per la qualità pittorica dellascuola di New York, ma anche per la concezione stessadell’Action Painting, quale la formulò il critico HaroldRosenberg. Tale concezione, applicata a un settore delmovimento newyorkese (la traccia gestuale contrappostaal campo colorato), considera la pittura un’azione intima-mente legata alla biografia dell’artista e cancella ogni di-stinzione tra arte e vita. Il significato del quadro sta nelquadro stesso, testimonianza della sua propria genesi, dalprimo segno alla realizzazione finale. «L’artista disponedella propria energia intellettuale ed emotiva come se sitrovasse in una situazione vissuta». Malgrado la sua popo-

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larità presso i pittori, la teoria di Rosenberg che contene-va implicitamente l’evoluzione dell’arte americana, sem-plificava eccessivamente e si prestava facilmente alla crea-zione di un mito. Ma l’importanza conferita al procedi-mento nonché alle dimensioni delle opere contribuirono arendere il nuovo stile un fenomeno specificamente ameri-cano, comprendente espressioni tanto personali quantoquella di Pollock. Rothko, Reinhardt, Stili e Newman(pittori ancora fedeli alla zona di colore), benché avesseroattinto alle medesime fonti, erano meno gestuali dei colle-ghi. Inoltre le dimensioni e l’aspetto geometrico piuttostonetto delle loro opere, che si allontanavano dall’influssosurrealista, ebbero un’importante presa sulla giovane ge-nerazione di pittori astratti che cominciarono a farsi co-noscere all’inizio degli anni ’60 (Kelly, Stella, Noland,Parker). Moltissimi artisti, verso il 1955, negli Stati Uniticome altrove, cercarono d’imitare la prima generazionedei pittori di New York, soprattutto De Kooning e Pol-lock; tra loro emersero autentici talenti, per esempio SamFrancis, Grate Hartigan e Joan Mitchell. Il movimentoespressionista astratto fu dominante a New York finoall’avvento della Pop’Art all’inizio degli anni ’60, quandola pittura americana tornò a dividersi in movimenti con-trapposti, con caratteristiche nuove (Minimal Art,Pop’Art). Durante gli anni piú intensi dell’e a, vale a diredal 1942 alla fine del 1959, era nato e si era diffuso aNew York un genere di pittura veramente nuovo. Oggi èpossibile rendersi conto di quanto gli elementi distintividi questo linguaggio (angoscia, conflitto e formato digrande scala) riflettessero le condizioni del mondo in senoal quale era stato creato. (dr).

«Esprit nouveau, L’»Rivista quindicinale fondata a Parigi nel 1920 da PaulDermée; scomparve nel 1925. A. Ozenfant e Jeanneret nefurono i collaboratori principali. Il suo sottotitolo origina-le, «Revue internationale d’esthétique», si mutò presto in«Revue internationale illustrée de l’activité contemporai-ne, arts, lettres, sciences, architecture». Fu la prima rivi-sta dedicata all’estetica del proprio tempo e a tutte le suemanifestazioni, successive in pittura a Cézanne, in lette-ratura a Mallarmé e a Rimbaud, in musica a Wagner.Ogni numero conteneva studi sulle realizzazioni industria-li e i grandi personaggi della pittura e della letteratura, e

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presentava analisi estetiche sulle arti nuove (music-hall,cinema, circo). Essa rifletteva nel contempo l’attualità in-ternazionale. Abbondantemente illustrata e documentata,presentava un quadro internazionale della letteratura edell’arte contemporanee. (ep).

Esquivel, Antonio María(Siviglia 1806 - Madrid 1857). Formatosi all’accademia dibelle arti di Siviglia si stabilí a Madrid nel 1831; nomina-to «pittore da camera» nel 1843, fu docente di anatomiaall’Academia de San Fernando di Madrid, e scrisse untrattato sull’argomento (pubblicato nel 1848). Dipinsequadri religiosi, scene mitologiche e bibliche (Adamo edEva, Giuseppe e la moglie di Putifarre) ove il nudo haun’importanza piuttosto insolita nella pittura spagnola,nonché un gran numero di ritratti, eleganti e malinconici,che lo pongono tra i migliori romantici spagnoli. è benrappresentato in musei di Madrid (mam e Museo romanti-co), e soprattutto a Siviglia, ove gli è riservata un’ampiasala. (jdlap).

Esselens, Jacob(Amsterdam 1626-87). Paesaggista e mercante, viaggiòmolto in Italia e in Inghilterra. La sua pittura (Paesaggio,veduta di spiaggia: Amsterdam, Rijksmuseum; Spiaggiaolandese: Lilla, mba) è influenzata da Adriaen van deVelde e da Poelenburgh. (jv).

EssenFolkwang Museum Fu il primo museo tedesco risoluta-mente orientato verso l’arte moderna. Deve la propria esi-stenza all’iniziativa di un mecenate ed erudito, K. E.Osthaus. Volendo creare nella zona della Ruhr, esclusiva-mente industriale e povera di manifestazioni artistiche,un centro di cultura, Osthaus fondò nel 1901 un museo aHagen. Le prime collezioni erano composte di opere diespressionisti tedeschi e di pittori di Der Blaue Reiter(Nolde, Rohlfs, Kirchner, Heckel, Schmidt-Rottluff,Marc, Kandinsky), opere francesi impressioniste e post-impressioniste (Manet: Esecuzione, 1871, e Cantante Faurein veste di Amleto, 1877; Renoir: Lisa; Van Gogh: ArmandRoulin, Barche sul Rodano; Cézanne: Casa di Bellevue;Gauguin: sei dipinti, tra cui Cavalieri sulla spiaggia, Fan-

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ciulla con ventaglio, Racconti barbari) e buoni esempi deifauves (Derain, Matisse, Braque). Vi si trovavano pure al-cuni dipinti di Munch e Hodler, nonché una collezione distampe. All’inizio del secolo il museo venne ristrutturatoda Henry van de Velde.Dopo la morte del fondatore nel 1921, il museo fu vendu-to ad un’associazione privata di E che, d’accordo con leautorità cittadine, uní le collezioni di Hagen con quelle diE, composte di opere romantiche di espressionisti tede-schi di Van Gogh e di Signac. Si ebbe cosí il FolkwangMuseum proprietà comune dell’associazione e della cittàdi E. Fino al 1933, fu noto come uno dei musei tedeschipiú ricchi di arte moderna. Ma, tra il 1935 e il 1937,come tutti i musei tedeschi, fu vittima del fanatismo hi-tleriano. Oltre 1400 opere posteriori al 1900 vennero pro-scritte e scomparvero. Il museo fu distrutto durante laguerra; la sua ricostruzione venne intrapresa nel 1956; furiaperto al pubblico nel 1960. Da allora le collezioni sisono rapidamente ricostituite grazie alle donazioni diamatori privati e agli acquisti della città di E e della re-gione Renania-Vestfalia. Il museo serba l’originale impo-stazione come museo d’arte moderna, con un ampliamen-to verso la pittura francese della prima metà dell’Ottocen-to: Corot, Delacroix, Courbet (la Barca, 1860), Daumier(Ecce Homo), Monet (la Cattedrale di Rouen) e verso l’arteromantica tedesca (Friedrich, Paesaggio con arcobaleno,1809 ca.; Carus; Feuerbach, la Romana, 1860). Soprattut-to, si è considerevolmente arricchito di opere delle princi-pali tendenze dell’arte contemporanea: l’espressionismo(Nolde, Al caffè, 1911; Heckel, Paesaggio di Alsen, 1913;Kirchner, La torre rossa a Halle, 1915), Der Blaue Reiter(Macke, la Boutique de modes, 1914; Marc, Cavallo in unpaesaggio, 1910), Bauhaus, fauvisme, cubismo, verismo(Dix, la Grande città, 1927, trittico), surrealismo, Scuoladi Parigi, astrattismo, tachisme, rappresentati da Feinin-ger Schlemmer (Figura seduta vista di schiena 1936), Léger(Casa sotto gli alberi, 1913; Natura morta con braccio,1927), Klee, Kandinsky (Paesaggio con chiesa I, 1913), Cé-zanne (Cava a Bibémus), Munch, Rouault, Matisse (Asfo-deli, 1907), Ensor, Hartung, Picasso, Derain (Collioure, ilvillaggio e il mare, 1905), Braque (Bottiglia e giornale,1911), Delaunay (Torre Eiffel, 1910-11; Finestra sulla città,1912), Mondrian (Composizione, 1911), Ernst, Beck-mann, Manessier, Dubuffet, Appel, Tápies. Vanno ag-

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giunte una sezione di pittura americana successiva al 1945(Sam Francis, Tobey, Rothko Louis, Stella), e un’impor-tante raccolta di stampe. (pvo).

EstahónLa decorazione dipinta del catino dell’abside della piccolachiesa di Santa Eulalia (xii sec.) a E (Spagna, provincia diLérida), oggi conservata a Barcellona (mac) è la replica diquella di Esterri de Cardós, nella stessa regione dell’altaNoguera Pallaresa: il Cristo in gloria, circondato dal tetra-morfo (il leone di san Marco somiglia a un orso), da dueserafini e dagli arcangeli Michele e Gabriele, reca rotolicon la scritta scorretta «Postulacius» e «Peticius». Iltutto spicca su uno sfondo di fasce colorate. Sulle paretiinferiori, al posto dell’apostolado si trovano il Battesimo diCristo e figure di sante (Maria, Agnese, Eulalia, Lucia), do-vuti a un seco-pbr talvolta identificato con Eneco, abatedi Oña, canonizzato nel 1165. Lo stile di questi affreschideriva da quello del Maestro di Pedret che lavorò forsenon lontano, a Esterri de Aneu. (jg).

EsteA questa casa principesca, una delle piú antiche d’Italia,Ferrara dovette la sua prosperità e il suo splendore. Mece-nati, umanisti e letterati, i principi estensi non solo attira-rono all’interno del loro stato gli artisti piú illustri deltempo ma favorirono anche lo sviluppo, a Ferrara, di unascuola pittorica profondamente originale. Originaria delfeudo d’Este, piccola cittadina del Veneto, questa fami-glia s’impadroní di Ferrara, concessa in demanio dal papaverso il 1240, ottenendo poco dopo dall’imperatore Mo-dena, Reggio, Rovigo e altri territori. Raggiunse il suoapogeo nel Rinascimento quando si elevò, grazie soprat-tutto al suo mecenatismo, al livello delle piú importantisignorie. Le numerose «delizie» (Belfiore, Belriguardo,Belvedere e Schifanoia, unica che ancora sussiste) testi-moniano l’alto livello di raffinatezza della vita condottadagli E.Lionello (?-1450), umanista colto e appassionato, accolsea corte numerosi artisti di fama. A Ferrara, l’Arco del Ca-vallo e il campanile del duomo ricordano la presenza di L.B. Alberti. Insieme a numerose medaglie, Pisanello lasciòmirabili Ritratti di Ginevra (Parigi, Louvre) e di Lionellod’Este (Bergamo, Carrara); quest’ultimo si fece ritrarre

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anche da Jacopo Bellini ai piedi della Vergine (Parigi,Louvre). Rogier van der Weyden dipinse un trittico, oggiperduto, che suscitò grande ammirazione. Il mma di NewYork conserva il Ritratto di Francesco d’Este di Van derWeyden ( 1450). Infine anche Piero della Francesca la-vorò a Ferrara, con ogni probabilità verso il 1449.Borso (1413-71) affidò a Cosmè Tura il compito di deco-rare Belfiore e a Taddeo Crivelli di miniare la celebreBibbia (Modena, Bibl. Estense). Durante il suo principatola pittura ferrarese prese una svolta decisiva con CosmèTura e Francesco Cossa preparando il suo pieno sviluppoavvenuto sotto i regni di Ercole I (1431-1505) e di Alfon-so I (1476-1534) quando lavorarono a Ferrara Ercole de’Roberti Bianchi-Ferrari, Lorenzo Costa, Mazzolino DossoDossi e Bagnacavallo. Contemporanearnente la corte diFerrara commissionava alcune opere al Mantegna (Madon-na, oggi a Milano, Brera, eseguita per Eleonora d’Aragonamoglie di Ercole I), a Giovanni Bellini, a Tiziano; e, se-guendo l’esempio di Lionello, Alfonso I fece acquistaretre dipinti di Van der Weyden. Gran parte di questi qua-dri si trovano oggi in musei di Europa e Stati Uniti: il Fe-stino degli Dei di Giovanni Bellini (Washington, ng), iBaccanali di Tiziano (Londra, ng, e Madrid, Prado), altreopere, passate in eredità a Lucrezia d’Este, duchessa diUrbino, figurano oggi a Roma (Gall. Doria e Borghese).Ercole II (1508-59) e Alfonso II (1533-97) proseguironoin questa politica di acquisti, ma furono gli ultimi principid’Este che regnarono a Ferrara.Nel 1598 le circostanze politiche costrinsero il duca Cesa-re (?-1628) ad abbandonare una parte dei suoi stati allaSanta Sede e a trasferire la sua capitale a Modena. Il ducasalvò ben poco delle ricchezze artistiche che erano stateriunite nelle varie residenze principesche di Ferrara. Ilsuo successore Francesco I (1610-58) tornò alle tradizionidei mecenati della sua famiglia riunendo nella galleria in-stallata nel nuovo palazzo ducale di Modena opere di Cor-reggio, Andrea del Sarto, Salvator Rosa, Parmigianino,Tiziano, Veronese, l’Alabani, Guercino, Holbein, e chia-mando artisti stranieri quali Velázquez (che fece numerosiritratti del principe, di cui uno è conservato ancor ogginella Gall. Estense di Modena) Sustermans (Famiglia diFrancesco d’Este, ivi), Van Gelder, Mignard e Jean Bou-langer, che eseguí alcuni affreschi per il palazzo di Sassuo-lo.

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L’arricchimento della galleria proseguí sotto il regno diAlfonso IV (1634-62); ma, poiché le condizioni fianziariedivenivano man mano sempre piú precarie, il duca Fran-cesco II (1660-94) vendette nel 1674 una gran parte dellesue collezioni all’Elettore di Sassonia, re di Polonia, Au-gusto III. Cento delle migliori opere della galleria di Mo-dena vennero trasferite a Dresda (Correggio, Tiziano,Velázquez, Holbein, un gran numero di opere di artistibolognesi).Il suo successore Francesco III (1698-1780) cercò di col-mare il vuoto con il trasferimento degli affreschi di Nic-colò dell’Abate e l’acquisizione di opere, soprattutto diartisti bolognesi. Questa politica di acquisti, proseguitadai suoi successori, fu interrotta dalla conquista napoleo-nica, ma venne in seguito ripresa dal duca Francesco IV(1779-1846). Ritornato a Modena nel 1814, arricchí note-volmente la sua galleria, soprattutto con opere di artisti diModena, del Rinascimento, e stranieri, egli diede allaGalleria Estense la sua fisionomia attuale; questa venneaperta al pubblico nel 1854. Nel 1859 la sovranità delloStato italiano successe, a Modena, alla dominazione dellafamiglia estense. (gb + rr).

EsterházyLa collezione di opere d’arte raccolte in Ungheria dopo ilxvii sec. dai principi E si componeva di oggetti d’arte digrande valore: armi, stampe, disegni e soprattutto dipinti,tra i quali alcuni capolavori: Crivelli, Raffaello, Correggioe Tiepolo, i piú interessanti dei quali vennero acquistatida Miklós E (1765-1833) alla fine del xviii sec. e all’ini-zio del xix. La galleria di quadri era collocata, dal 1815 al1865, nella dimora posseduta a Vienna dalla famiglia E.Con la collezione di stampe e disegni, venne acquistatadallo stato ungherese nel 1871 ed esposta, con la denomi-nazione Galleria nazionale, nel palazzo dell’accademiadelle scienze. Il complesso costituí in seguito uno deifondi principali del Museo di belle arti di Budapest. (dp).

Esterri de AneuLa chiesa di Santa Maria Esterri de Aneu (Spagna, pro-vincia di Lérida) era adorna di importanti pitture muralidi epoca romanica, oggi trasportate a Barcellona (mac).Sul catino dell’abside è dipinta l’Adorazione dei magi.Questi, coperti da un semplice berretto, si accostano alla

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Vergine Madre, seduta al centro in una mandorla. Comespesso nel Pallars (Estahón, El Burgal), la composizionetermina con le due grandi figure di Michele e Gabriele,che recano rotoli con le iscrizioni errate «Postulacius» e«Peticius». Gli affreschi delle pareti sono conservati me-glio: due serafini purificano coi carboni ardenti le labbradi Elia e di Isaia; le ruote simboleggiano i troni. L’insie-me spicca contro un fondo a fasce colorate. A destra èritto un angelo, a sinistra due chierici, senza dubbio dona-tori. Il disegno, abile e rapido, e la tavolozza piuttostoricca, avvicinano l’opera allo stile del Maestro di Pedret,un allievo del quale ha eseguito un personaggio con uncero in mano nella vicina chiesa di San Pedro (Barcellona,mac). (jg).

Esterri de CardósCome quella di Estahón, l’abside di E de C (Spagna, pro-vincia di Lérida), ornata di pitture murali del xii sec., èdominata dal Pantocrator entro il tetramorfo, cinto da se-rafini e arcangeli portatori del labarum: Gabriele tiene ilrotolo con la scritta «Postulacius», Michele quello con«Peticius» di Aneu. Si notano sul fondo a strisce colorateun curioso fregio di corna e coppe (forse offerte) e unenorme orso che sostituisce il leone di san Marco. I restidi un apostolado sono visibili sulle pareti. Lo stile è popo-lare, ed è stato influenzato da quelli del Maestro di SanClemente di Tahull e del Maestro di Pedret. (jg).

Estes, Richard(Evanston Ill. 1936). Studiò all’Art Institute di Chicago elavora oggi a New York. Come la maggior parte degliiperrealisti, di cui fa parte, trae i temi dal mondo dellavita urbana: cimiteri di auto, interno vuoto di una vetturadella metropolitana, vetrine di negozi, scene di strada in-gombre di automobili, donde però è curiosamente banditaogni presenza umana. Il pittore ha descritto il suo mododi lavorare: dopo aver preso numerose fotografie del sog-getto scelto, ne seleziona una che gli serve da canovaccio,eliminando dal motivo tutto ciò che lo renda confuso, or-ganizzandolo in funzione della tela da dipingere. L’inter-vento dell’artista si nota pure nel fatto che, a differenzadella fotografia, che comprende zone sfocate e zone nette,le sue tele accordano la medesima importanza a tutte lecose, dando cosí l’impressione di una «messa a fuoco» ge-

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nerale. Ne consegue una sorta di mineralizzazione che siestende all’intero quadro e, indirettamente, abolisce glieffetti prospettici realisti su cui poggia l’organizzazionedell’opera. Tuttavia la fattura, ben lungi dall’essere secca-mente descrittiva, procede per piccoli tocchi che rivelanouna sensibilità propriamente pittorica. (sr).

Esteve, Agustín(Valencia 1753 - Madrid? 1820 ca.). Studiò a Valencia e aMadrid, quindi lavorò per i duchi d’Osuna. Dopo il 1780,e fino al 1808, collaborò con Goya nell’esecuzione dicopie. Si fece un certo nome come ritrattista mondano,ma gli mancò la potenza di Goya, di cui aveva assimilatola maniera. Sue opere sono conservate in museo a Valen-cia (Duchessa d’Alba, 1738) e a Madrid (Prado: Ritrattodel conte de la Cimera), nella collezione dei duchi d’Alba epresso la Hispanic Society di New York (il Marchese diVillafranca e sua moglie). (jdlap).

Estève, Maurice(Culan (Cher) 1904). Giunto a Parigi nel 1919 ca., fre-quentò le accademie libere di Montparnasse e lavoròcome tipografo. Nel 1923 soggiornò per un anno in Spa-gna, dove diresse, a Barcellona, un laboratorio di disegniin una fabbrica di tessuti. Tornato a Parigi frequentònuovamente l’Académie Colarossi fino al 1927, e comin-ciò ad esporre ai salons d’autunno, delle Tuileries e deiSurindépendants. Nel 1937, sotto la direzione di RobertDelaunay, partecipò alla decorazione dei padiglionidell’aviazione e delle ferrovie francesi all’esposizione in-ternazionale di Parigi. Durante l’occupazione, nel 1941comparve alla mostra dei Jeunes Peintres de traditionfrançaise alla Gal. Braun, unitamente a Bazaine, Gischia,Lapicque, Manessier, Pignon. Tenendo conto nel contem-po delle costanti della scuola francese e dei superamentigià operati da Cézanne, Gauguin, Bonnard e dai cubisti,tentò varie sintesi, ogni volta corrette dalla sua sensibi-lità. Dopo aver dipinto nel 1929 un Imbarco per Citera ri-dotto a puri elementi geometrici, realizzò varie composi-zioni figurative, piú o meno stilizzate, introducendo inciascuna di esse una particolare proposta formale e spazia-le (Toeletta verde, 1934; Canapè azzurro, 1935; Cantata diJ. S. Bach, 1938), prima di soffermarsi su una soluzionecromatica all’ordinamento delle sue sensazioni ottiche con

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la Fanciulla dalla caffettiera del 1941 e soprattutto con laFanciulla dal boccale del 1942 (Parigi, coll. priv.), oves’impegnò a fornire una dimensione pittorica agli spazimultipli che separano gli oggetti familiari. Subito dopo,sviluppò dall’osservazione della realtà reticoli di lineestrutturali (l’AIbero sbrancato, 1944) che, associati al colo-re piú intenso, costituiscono la base del sistema costrutti-vo che doveva mettere a punto negli anni successivi intele sempre meno figurative (il Timoniere, 1947: Oslo,coll. Reidun Moltzau). Vennero poi, simultaneamente,trasposizioni puramente geometriche in tonalità piatte(Natura morta fondo giallo o il Ring, 1952), e altre nellequali la vibrazione del tocco tempera con una luce natura-le il rigore della costruzione mentale (Trofeo, 1952: Rou-baix, coll. Lefebvre; Omaggio a Jean Fouquet, 1952: Pari-gi, coll. A. Frénaud). Con tali opere, E aveva infine fissa-to il proprio itinerario creativo e raccolto gli elementi fon-damentali del proprio linguaggio, che si sviluppa da allorasenza rotture notevoli. La sua opera è stata analizzata daP. Francastel in uno studio del 1956. Essa comprende,oltre alle tele, numerosi disegni e acquerelli. Grazie alledonazioni dell’artista, nel 1985 è stato aperto a Bourgesun Museo E nell’antico Hôtel des Echevins. Una sua re-trospettiva, dopo quelle del 1956 a Copenhagen e del1961 a Oslo, si è tenuta a Parigi al Grand-Palais nel1986. (rvg + sr).

EsztergomKeresztény Múzeum Il Museo cristiano di questa cittàungherese, sulla riva destra del Danubio, è ospitato nelpalazzo primaziale. Creato nel 1875, è il piú ricco museoungherese fuori della capitale. Vi sono particolarmentenumerose ed importanti le opere ungheresi medievali (Ko-lozsvári, il Maestro M. S.). Ma soprattutto vi si trova uneccezionale complesso di «primitivi» italiani alcuni deiquali, acquisiti all’asta Ramboux di Colonia nel 1867,vennero legati testamentariamente dal vescovo ArnoldIpolyi (1823-86); altri, acquistati all’asta Bertinelli diRoma nel 1879, sono dovuti alla generosità del primateJános Simor (1813-91). Tra questi pannelli si possono ci-tare opere di Duccio (Geremia), Pietro di Giovanni Am-brosi, Giovanni di Paolo, Matteo di Giovanni Boccati(Calvario), Pesellino (Madonna), Crivelli, e alcuni dipintifiamminghi e olandesi (Hemessen). La biblioteca della ba-

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silica, già menzionata in un documento del 1397, conser-va 1590 manoscritti, in particolare numerosi codici minia-ti ungheresi dal xii al xvi sec. (Graduale Bakocz). (dp).

Etcheberri’ Ko KarbiaGrotta situata a Camou-Cihigue nei Pirenei atlantici;ospita un santuario magdaleniano di difficile accesso,composto da due complessi lontani uno dall’altro ma colmedesimo tema iconografico: bisonte-cavallo e stambec-chi. Nella prima zona le figure, eseguite in nero o in argil-la marrone, piuttosto rovinate, sono accompagnate dapunti e chiazze d’ocra. Il secondo complesso adorna ilfondo della caverna: cinque cavalli, in parte incisi, unostambecco e un bisonte sono tracciati in nero; il bisonte,di fronte a un cerchio di punti rossi, ricorda quello dellaprofonda galleria di Niaux. Lo stile convenzionale, laprofondità del santuario e il tema trattato hanno consen-tito a Leroi-Gourhan di datarne la decorazione al Magda-leniano. (yt).

EtiopiaL’E venne convertita al cristianesimo nel 340 da un siria-no, san Frumenzio, consacrato vescovo di Aksu- m dal pa-triarca di Alessandria sant’Atanasio, col nome di Salama.Sin dalle sue origini cristiane essa ha dunque legami diret-ti con la Siria e l’Egitto, presto rafforzati da quelli stabili-ti dalla monarchia con Bisanzio, capitale religiosa delmondo cristiano d’Oriente. Nel corso dei sedici secolidella sua esistenza, attingendo alle fonti artistiche dei varipaesi con i quali era in relazione, l’E ha creato un’arte re-ligiosa specifica, che si esprime sia nell’architettura chenella pittura. Innumerevoli sono le opere dipinte, sia mu-rali, sia su pergamena, sia persino, ma piú raramente,sotto forma di icone. Il catalogo di esse è ben lungidall’essere completo, a causa delle difficoltà di accesso allechiese e ai conventi ove le pitture sono raccolte. I mano-scritti, ornati da semplici decorazioni o da personaggi escene storiche, sono meno testimonianze di miniaturapropriamente detta quanto piuttosto libri coperti da dise-gni dal tratto netto, ravvivati da colori piatti e naturaliche si riducono al rosso al verde, al nero, all’azzurro e algiallo in sostituzione dell’oro. Questa produzione ha co-minciato ad attrarre l’attenzione degli storici dell’artesolo da qualche decina d’anni, ma se ne possono già indi-

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viduare i principî e anche determinare approssimativa-mente la cronologia.Influssi copti e bizantini In una prima fase, che giungefino al xvi sec., gli artisti adottano i temi diffusi nelmondo cristiano d’Oriente: scene della vita di Cristo (nonsi conosce alcuna iconografia tratta dal Vecchio Testa-mento), ritratti di grandi santi nazionali, immagini degliangeli e della Vergine, raffigurata sotto la forma dellaVergine che allatta, ripresa dalla tradizione copta, dellaVergine tenera (eleusa) o della Vergine che indica la via(hodigitria), ereditate dalla tradizione bizantina. Begliesempi murali se ne trovano nella chiesa di Biet Maryamdi Lalibelà (xii sec.) e, per la pittura su pergamena, in unaserie molto ricca di manoscritti (generalmente evangeliari)del xiv-xv sec. Esistettero opere piú antiche, ma sonotutte scomparse. Capolavoro di questa decorazione è cer-tamente l’Evangeliario dell’isola di Kebran Gabriel nellago Tana. Esso è conservato totalmente nella chiesadell’isola, e offre un mirabile esempio della trasformazio-ne cui il genio etiope ha sottoposto il modello bizantinodal quale il libro è stato copiato.Influssi europei Col xvi sec. ha inizio una nuova fasedella storia della pittura cristiana in E, successiva all’arri-vo nel paese di pittori stranieri, particolarmente venezia-ni. Pittori provenienti da Venezia sono storicamente atte-stati sin dall’inizio del xv sec., ma solo sotto re LebnàDenghel (1508-40) se ne vedono in buon numero, operan-ti per il Negus o per le ricche chiese. Quest’attività è con-fermata da due tipi di documenti recentemente trovati nelpaese: opere di carattere occidentale «etiopizzate» daiscrizioni spesso erronee, il che dimostra che si tratta dipittori che ignoravano la lingua; e opere di artisti etiopiche s’ispirano alla pittura occidentale. In questo campo ilcapolavoro sembra essere la Vergine con uccello dell’isoladi Dega Istefanos, nel lago Tana. Quest’attività stranieraha preparato la terza fase della pittura etiope, che si è im-posta all’inizio del xvii sec. a partire dal 1632, quando iNegus si stabilirono a Gondar. L’epoca coincide con quel-la della restaurazione della monarchia cristiana, che stavaper scomparire durante le guerre condotte dall’ima-mAh. mad Gra-ñ.Pittura di Gondar L’arrivo di missionari latini, soprattut-to gesuiti portoghesi, spagnoli e italiani, introdusse nelpaese, sin dalla fine delle ostilità, immagini della Vergine

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di Santa Maria Maggiore di Roma, il cui influsso è tale chel’E ne ha fatto l’immagine-tipo della Vergine fino ai gior-ni nostri. Tecnicamente si crea una pittura diversa daquella antica: le tele applicate succedono all’affresco; e leforme, che restano rigide, introducono il movimento. Aquesta pittura si dà il nome di «pittura di Gondar». Essaè caratterizzata dalla monumentalità, dalla ricerca di de-corazione nelle vesti, e da un tentativo di impiegare leombre e le luci nel trattamento dei volti. Gli esempi piúbelli sono oggi visibili a Parigi, presso il Musée del’Homme, grazie alle tele portate da Gondar dalla missio-ne Dakar-Gibuti diretta dall’etnologo francese M. Griaule(1934). Il medesimo stile interviene nelle illustrazioni diuna serie di manoscritti lussuosi consacrati ai Miracolidella Vergine (Ta’amra Maryam) a partire dall’inizio delxvii sec. La pittura di Gondar si degrada però progressi-vamente durante il secolo seguente, a causa della sua inca-pacità di assimilare la tecnica occidentale (effetti di con-trasto e di prospettiva). Gli etiopi producono ormai sol-tanto opere grevi, impastate, eseguite secondo procedi-menti stereotipi, il che spiega il discredito in cui la loropittura è caduta agli occhi degli amatori o degli storici.Queste opere grossolane sono le antenate dirette deglistriscioni rappresentanti la storia della regina di Saba op-pure scene di caccia e di vita rurale, che fanno la deliziadei turisti per il loro carattere pittoresco e folkloristico.Infine, solo in rarissime eccezioni possono riscontrarsi in-dizi di ispirazione dall’Africa nera. La pittura etiope, difonte cristiana, appartiene esclusivamente alla pittura cri-stiana orientale. (jle).

etrusca, pitturaUn certo numero di dipinti etruschi è noto da secoli, manon sempre essi sono stati apprezzati nel giusto valore. Acausa, infatti, della predilezione per l’ideale classico, intali dipinti si è voluto scorgere principalmente il riflessodiretto, prezioso e unico prima dell’epoca romana, dellagrande pittura greca, quasi totalmente scomparsa. Fortu-natamente i mezzi moderni di prospezione del sottosuolo(Tarquinia) da alcuni anni hanno consentito di arricchireconsiderevolmente il patrimonio della pittura etrusca e diprecisare meglio l’importanza artistica e documentaria diquest’arte. In mancanza del sostegno dei testi, insufficien-ti e non ancora decifrati, sono le creazioni degli artisti e

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degli artigiani etruschi che ci forniscono notizie sulla po-tenza politica ed economica dei Tyrseni, o Rasenna, mari-nai e un po’ pirati, industriali e grandi mercanti che, per-correndo in lungo e in largo il Mediterraneo a partire dalvii sec. a. C., costituirono una potente lega di dodici città– tra le quali Caere (oggi Cerveteri), Veio, Vulci, Tarqui-nia e Perugia –, furono padroni di due terzi d’Italia e nelvi sec. persino di Roma, prima di declinare sotto i colpidei Romani e di un’interna disgregazione sociale. Intera-mente sottomesse a partire dal iii sec., le città della dode-capoli serbarono però le proprie istituzioni, le proprie tra-dizioni artistiche e i propri costumi, fino all’inizio dell’im-pero romano. La loro civiltà brillò di folgorante splendoresin dalle sue prime manifestazioni in terra toscana senzache sia possibile spiegarsi le cause (etniche, politiche ocommerciali) della sua comparsa. Il mondo etrusco èun’entità complessa, nella quale si mescolano numerosi in-flussi greci e orientali, e resta di difficile definizione; fioríin epoca arcaica (vii sec. - 450 ca.: fasi orientaleggiante earcaica), poi in epoca ellenistica (iv-i sec.), durante laquale l’arte dei toscani si mostra originale rispetto a quel-la delle province della comunità artistica mediterranea. Laceramica dipinta etrusca imita e segue l’evolversi del va-sellame greco; i suoi prodotti, che hanno talvolta un ca-rattere locale, sono di qualità assai inferiore a quella degliinnumerevoli vasi greci importati. Ceramisti ellenici stabi-litisi nel paese crearono? adattandosi al gusto della loroclientela locale? le idrie di Caere? i vasi detti «pontici» afigure nere: lo stile del Pittore di Micali (ultimo quartodel vi sec.) è stato accostato a quello della tomba degliAuguri a Tarquinia (id.). La coppa del Museo Rodin a Pa-rigi, che s’ispira ad un’opera della scuola di Duride, segnanel 430 ca. l’inizio dei vasi a figure rosse in Etruria; masolo ora cominciano a nascere laboratori e centri di produ-zione veri e propri. Quelli di Falerii Veteres (oggi CivitaCastellana) creano il piú bel vasellame etrusco dipinto apartire dalla fine del v sec. con la partecipazione di grecidell’Italia meridionale? le fabbriche di Tarquinia, Cerve-teri, Vulci, Chiusi (vasi plastici dipinti) e Volterra (crateria colonnette ornate con teste femminili) sembra fosseroattivissimi nel iv e iii sec. Qua e là si notano tentativi perintrodurre nella decorazione dei vasi la policromia e ilchiaroscuro (piatto dell’Elefante: Roma, Villa Giulia). Glietruschi, come i greci, ornavano i propri edifici pubblici e

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privati con pitture decorative. Nei santuari e ad esempio,nell’insediamento privato di Acquarona presso Viterbo(vii sec. a. C.), sono stati ritrovati importanti frammentidi una decorazione architettonica di alta qualità: placchetraforate, acroteri ed antefisse in argilla dipinti a colorivivaci (a Veio o Cerveteri); alcuni di tali frammenti sonoornati unicamente con motivi dipinti (Gorgoneion); esisto-no anche placche rettangolari dipinte, o pinakes, in terra-cotta: genere inventato, si diceva, dal pittore Craton diSicione, e assai diffuso nel mondo arcaico poste origina-riamente le une accanto alle altre rivestivano in fregi con-tinui le pareti delle tombe o delle costruzioni. Oggi sitende a porre in dubbio il significato funerario dei sogget-ti raffigurati sulle dieci placche dette di Boccanera (Lon-dra, bm) e Campana (Parigi, Louvre), trovate nel xix sec.nella necropoli di Cerveteri (cerimonie funebri o scenemitologiche?); in ogni caso, la tecnica e lo stile sono ana-loghi a quelli dei frammenti piú recentemente raccoltientro la cinta della città (Perseo che uccide Medusa, vi sec.a. C.: Roma, Villa Giulia). Plinio il Vecchio (Storia natura-le, 35. 17.154) parla della decorazione dipinta, arcaica, dialcuni edifici di questa città. Analogamente le sedici plac-che in frammenti di Veio (alcune a Roma, Villa Giulia)dovevano essere fissate mediante chiodi sulle pareti inter-ne di un tempio dell’inizio del v sec. (combattimenti,scena di pesca, cavalieri). Ma la parte piú cospicua dellapittura etrusca oggi conosciuta appartiene all’arte funera-ria. Carattere distintivo dello spirito etrusco era infatti lapreoccupazione per la sorte degli estinti e per gli uffici re-ligiosi da praticare per loro. Tutti i popoli dell’antichitàne partecipavano in grado diverso; ma la vastità delle ne-cropoli etrusche, la cura posta nella sistemazione delletombe, vere e proprie dimore dei morti, l’abbondanza e laricchezza del loro arredo funerario ne sottolineano l’in-tensità, legata all’antica credenza mediterranea nella so-pravvivenza degli estinti nella tomba e nel loro bisogno diprotezione, nutrimento e comodità. I dipinti funerari nonsi possono perciò interpretare come semplice decorazione,o come espressione sentimentale della pietà familiare, poi-ché erano destinati, almeno in origine, a perpetuare con-cretamente gli effetti benefici dei banchetti serviti pressola tomba e dei riti celebrati in occasione dei funerali edelle feste in onore dello scomparso. Si tratta di formulenello stesso tempo augurali e religiose. La pittura funera-

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ria etrusca ha conosciuto dal vii al i sec. a. C. uno svilup-po continuo e sorprendente, che nell’antichità ha riscon-tro soltanto in Egitto; eppure, si conosce solo una minimaparte di quanto in origine esisteva nelle necropoli toscane,poiché numerose tombe sono andate distrutte o non sonoancora state dissepolte. Le scoperte recenti hanno in partecompensato le perdite, purtroppo numerosissime, di ipo-gei dipinti, alcuni dei quali, ritrovati nei secoli preceden-ti, sono a noi noti ormai solo da descrizioni e schizzi diviaggiatori (in particolare la tomba del Cardinale). Lealtre sepolture, soggette a degrado a causa dei mutamentidi temperatura, dell’umidità, del salnitro, devono essereoggetto di minuziosa e continua sorveglianza. Per meglioconservarle, si procede sempre piú spesso al distacco e allaricomposizione su nuovi supporti dei complessi pittoriciquali si trovavano entro la tomba: è il caso delle tombeGolini a Orvieto e delle tombe delle Bighe, del Triclinio,delle Olimpiadi e della Nave a Tarquinia. I pittori delletombe etrusche restano per noi misteriosi. Sono tutti ano-nimi salvo un’eccezione (una firma nella tomba dei Gioco-lieri a Tarquinia); la varietà dell’ispirazione, le notevolidifferenze qualitative tra i dipinti di una stessa epoca onecropoli, e tra l’una e l’altra città, ci impediscono ancoradi distinguere chiaramente le scuole, le botteghe, i mae-stri, e di definirne gli stili originali. Alcuni pittori nonerano probabilmente nulla piú che buoni artigiani; mentrealtri erano veri artisti. C’erano tra loro greci immigrati?Una delle rare notizie letterarie che possediamo a questoproposito menziona la venuta, precisamente a Tarquinia,di tre artisti che accompagnavano Demarato di Corinto,cacciato dalla sua città nel 657 a. C.; uno di essi, Eugram-mos, era abile nell’arte del disegno (Plinio, Storia naturale,24.154; Vitruvio, 3.3.5). Si vedrà come gli influssi greco-orientali abbiano segnato la nascita della decorazione mu-rale in Etruria, e senza dubbio gli etruschi hanno appresola tecnica pittorica dai greci. Oggi ci s’impegna semprepiú a scoprire, mediante l’analisi dai procedimenti pittori-ci adottati per tali dipinti, le varie «mani», nonché la per-sonalità degli artisti. Tale ricerca è consentita dagli esamiradiologici dalle analisi fisico-chimiche e dai restauri degliaffreschi in pericolo. Per quel che riguarda le tecniche pit-toriche, la prima fase, costituita dalla preparazione dellasuperficie da decorare, aveva grande importanza. Questofondo era costituito dalla roccia scavata: tufo a Veio, a

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Caere (Cerveteri) e a Chiusi, calcare argilloso a Tarquinia.Nelle tombe piú antiche i colori stemperati con qualche li-quido adesivo, venivano posati direttamente sulla roccialevigata che, naturalmente umida, tendeva ad assorbirlileggermente. Di solito l’artista incideva o tracciava, sullapreparazione fresca, un disegno preparatorio: ma rettifi-che a pennello spesso modificavano il primo risultato, for-nendo cosí preziose indicazioni sulla spontaneità dell’arti-sta. Sembra che in alcune tombe piú recenti questa tecni-ca dell’affresco sia stata sostituita da quella a tempera supreparazione asciutta. In epoca arcaica i colori, composticon sostanze minerali e vegetali, erano semplici e poconumerosi, analoghi a quelli della pittura greca della stessaepoca. Questi erano stesi uniformemente all’interno dellefigure, nettamente definite dalla linea di contorno, cosíche la vicinanza e le opposizioni tra i toni provocavanoeffetti sorprendenti. Le conquiste tecniche della pitturagreca classica ed ellenistica si riflettono sulle opere etru-sche solo a partire dal iv sec.; s’impiegano allora la pro-spettiva, le ombre per il modellato, i passaggi di tono epersino gli effetti luministici per chiazze di colore;quest’ultimo procedimento verrà felicemente sfruttatonella pittura greco-romana dell’inizio dell’impero, ma pa-rallelamente lo spirito conservatore e convenzionaledell’ambiente artistico locale si attiene all’impiego delcontorno lineare delle immagini. Con mezzi modesti, ipittori etruschi hanno ottenuto effetti straordinari e d’in-negabile originalità; tuttavia, la loro arte è solo parzial-mente autonoma e originale. Sarebbe però inesatto soste-nere che la pittura etrusca sia valida soltanto in quanto ri-flette creazioni greche. Essa ne imita gli schemi composi-tivi e le formule stilistiche, ma senza passività; il suo con-tenuto e le sue motivazioni spirituali erano troppo diversida quelli dei modelli perché essa non fosse costretta a cer-care un linguaggio diverso atto ad esprimerli. L’originalitàdegli artisti toscani risiede nelle loro reazioni alle innova-zioni provenienti dall’esterno; e la presenza, molto proba-bile, di pittori greci emigrati in Etruria (dalle colonie gre-che dell’Asia Minore nel vi sec. e forse da Atene ai tempidelle guerre persiane) è fondamentale sotto questo aspet-to. I loro discepoli locali non riuscirono però a raggiunge-re il livello dei modelli né a suscitare impulsi innovatori efecondi nei loro successori. In tal senso, si può considera-re la pittura etrusca come una «provincia» della pittura

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mediterranea e come una creazione piú artigianale che ar-tistica.Il periodo arcaico: fase orientaleggiante Durante la faseprimitiva (fine del vii - inizio del vi sec.) la decorazionedipinta delle tombe a motivi orientaleggianti sembra dif-fusa nell’intera Etruria centrale e meridionale, ove se netrovano resti piú o meno isolati a Veio, a Cerveteri, aCosa, a Chiusi. Sfortunatamente questi risultano moltodanneggiati e quindi di difficile valutazione. Nei motiviorientaleggianti, schematizzati, irrigiditi e dai colori fan-tastici si avvertono influssi del disegno cretese primitivo.Modelli orientali affluiscono in Etruria nel vii sec. Nellepiú antiche tombe dipinte note, a Cerveteri e a Veio,nella seconda metà del secolo, i motivi esotici e le compo-sizioni tratte dal repertorio mitologico greco s’ispirano di-rettamente alla decorazione dei vasi dipinti, dei tessuti edei piccoli oggetti in avorio, in oro e in bronzo fabbricatinelle botteghe che allora prosperavano sulle rivedell’Egeo: teorie di animali reali e fantastici (tomba delleAnatre a Veio tombe degli Animali dipinti e dei Leoni di-pinti a Cerveteri), pantere, leoni che passano, cervi si di-spiegavano anche sulle pareti di alcune tombe di Chiusi, icui colori sono scomparsi come quelli dei dipinti prece-denti, e di cui soltanto rilievi antichi ci serbano il ricordo.Il pittore sembra mirasse principalmente a decorare le pa-reti della tomba nel modo in cui i tessuti e i tappeti orien-tali riccamente istoriati, dai vivi colori, ornavano le dimo-re aristocratiche dell’epoca. Questa è l’impressione pro-dotta dalle scene figurate su ambo i lati della porta inter-na della tomba Campana di Veio (inizio del vi sec.): fregidi palmette e di fiori di loto, una caccia, un cavaliere,leoni e sfingi, oggi cancellati. Cosí pure i sei gruppi di cer-chi concentrici multicolori dipinti su una parete dellaprima camera di questa tomba imitano probabilmente gliscudi di bronzo ritrovati appesi ai muri delle tombe delvii sec. (tomba Regolini Galassi a Cerveteri). Tale usopermarrà anche in seguito: si trovano scudi scolpiti nelletombe dei Rilievi, degli Scudi e degli Assedi a Cerveteri(iv-iii sec.), oppure dipinti, accanto ad altri pezzi di arma-tura, sulle pareti della tomba Giglioli a Tarquinia (ii sec.).VI secolo - metà del V secolo ca.: l’apogeo A partire dallametà del vi sec., la pittura etrusca è rappresentata quasiesclusivamente da Tarquinia, il cui primato proseguesenza interruzione fino al termine del periodo ellenistico.

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I pittori di Tarquinia dànno prova di un’attività intensa espesso originale, che sin dall’inizio della fase ionico-etru-sca (seconda metà del vi sec.) si manifesta in affreschi mi-rabili, che vanno dalla metà del vi sec. all’inizio del v: inessi gli apporti ionici ed eolici si fanno preponderanti,senza tuttavia escludere le manifestazioni di autentichepersonalità artistiche né l’espressione delle tendenze con-servatrici dell’ambiente locale. Queste ultime appuntocontribuiranno a prolungare fino alla fine del v sec. l’in-flusso dell’arte attica di stile severo. In questo periodo in-fatti l’Etruria, isolata dal suo declino politico e dalla suagrave crisi economica, resta in disparte rispetto ai grandiprogressi realizzati in Grecia da scultori e pittori di genio;la sua impoverita ispirazione si confina alla ripetizione dimotivi desueti, a Tarquinia come a Chiusi e Orvieto.L’arte del pittore toscano sta essenzialmente nel disegno.Talvolta secca e netta (tomba dei Leopardi), talvolta purae delicata (tomba del Triclinio), la linea coglie gli atteggia-menti e i movimenti in pochi tratti, determinando ilritmo elegante e nobile della composizione (tomba del Ba-rone). Suggerisce i volumi dei corpi (tomba delle Bighe),ne gonfia le forme molli, tozze e pesanti (tombe Cardarel-li, degli Auguri, delle Leonesse); intensifica le curve o esa-gera l’andamento ondulato delle membra, di cui allungasmisuratamente le estremità (tomba Francesca Giustinia-ni). La stilizzazione ardita dei corpi è senza dubbio la ma-nifestazione piú sorprendente del senso etrusco della vita,ma anche della sua indifferenza alla resa anatomica esatta.I colori intensi, persino stridenti e violentemente contra-stati, sono spesso di grande ricchezza decorativa. Nel piúantico ipogeo dipinto di Tarquinia, la tomba della Capan-na (metà del vi sec. ca.), il colore nerastro viene semplice-mente impiegato per sottolineare l’architettura della casadei vivi, indicando gli elementi fondamentali della suastruttura, nonché la falsa porta che si ritiene aperta sullacamera principale, ove si suppone che il defunto debbasoggiornare per l’eternità. I soggetti animali vengono rele-gati in pochi settori decorativi particolari, gli elementizoomorfi scompariranno soltanto nel corso del v sec. Leimposte del soffitto sono spesso dipinte a bande di motivigeometrici multicolori: scacchiere, cerchi concentrici(tombe Bartoccini, delle Leonesse, del Maestro delleOlimpiadi), piantine di fiori (tombe Cardarelli, dei Fiorel-lini). Strisce alternativamente rosse e nere, graziosi fregi

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di melegrane, di fiori di loto e di palmette stilizzate dise-gnano frontoni, cornici e plinti, sottolineando cosí l’archi-tettura della stanza. Sui muri scorrono le volute stretta-mente geometriche delle onde marine tra le quali giocanoi delfini (tombe delle Leonesse, del Letto funebre). Talimotivi puramente ornamentali, dal tracciato secco e preci-so, racchiudono, sottolineano ed equilibrano gli episodidella vita familiare o le cerimonie funebri che occupano lamaggior parte delle pareti. In giardini di sogno dal delica-to fogliame azzurrastro si slanciano seminudi i danzatori ele ballerine sontuosamente acconciate. Sui triclini, copertidi drappeggi e di cuscini variopinti, uomini e donne daicapelli arricciati con civetteria e coronati di mirto conver-sano animatamente, o si scambiano doni con gesti prezio-si. Talvolta il lato pittoresco di una scena di genere svia lanostra attenzione, per esempio dallo sforzo dei lottatori indirezione di uno spettatore affaticato (tomba della Scim-mia a Chiusi). L’osservazione si fa beffarda: gli spettatoridella tomba delle Bighe, sistemati nelle tribune, commen-tano i giochi con molti gesti; altrove, un topo si è inerpi-cato in equilibrio instabile su un ramo un altro è salitosulla schiena di un uomo semisdraiato e sembra annusarlo(tombe del Topo, delle Olimpiadi). Altrove, ancora, iltono si fa grave; l’estinto viene vegliato sul suo catafalco(tomba del Morto); al festino come pasto lieto si sostitui-sce l’offerta di una coppa di vino in onore della defuntache, in piedi, l’accetta salutando solennemente con lemani levate al cielo (tomba del Barone). Nell’atmosferaarmoniosa e felice che qui regna, si ritrova quell’amoredella vita agiata, quel gusto del piacere, del lusso, dellamusica, che secondo gli antichi caratterizzava l’oligarchiaetrusca. Talvolta le pareti della tomba paiono abolite: lescene di caccia e pesca (nella tomba che prende lo stessonome) si sviluppano in un vasto paesaggio in cui l’uomosvolge ormai solo un ruolo secondario; la tomba del Cac-ciatore è un padiglione di caccia, in legno coperto da untessuto multicolore, sotto un velario trasparente dissemi-nato di piccole scacchiere che lasciano intravvedere, allabase delle pareti, le ondulazioni della campagna e delmare descritte dal punto di vista che si ha dalla spianatadi Monterozzi.Periodo classico ed ellenistico (metà del vv secolo ca. - i

secolo a. C.) Della grande arte classica, nota in Etruriada importazioni dirette e attraverso l’Italia meridionale,

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l’arte locale serba soltanto le conquiste tecniche, e nonl’equilibrio spirituale e formale. La linea resta fondamen-tale, ma il colore diluito traduce fedelmente la realtà ap-parente e dà l’illusione del rilievo plastico. I toni, moltovari, sono coerenti, trapassanti in un delicato sfumato, so-prattutto nei volti (Velia nella tomba dell’Orco); il chiaro-scuro modella liberamente le forme nello spazio (sarcofagodelle Amazzoni a Tarquinia).L’originalità degli ultimi grandi pittori etruschi si esprimenella visione insieme fantastica e realistica dei grandi festi-ni infernali (tomba degli Scudi), nella malinconia tranquillae raffinata dei ritratti funerari, nonché nella tensione dram-matica degli episodi mitici e storici della tomba François.La pittura di Tarquinia si trasforma a partire dal iv sec. Lafede nella sopravvivenza dell’estinto nel suo sepolcro si af-fievolisce lentamente, sostituita dalla credenza in un regnodelle Ombre, fantastico e tenebroso, che corrisponde piú omeno all’Ade greco; l’indifferenza arcaica è sostituita da unsenso d’inquietudine nei riguardi dell’aldilà. Le sconfittedegli eserciti etruschi sotto i colpi dei loro nemici, la crisieconomica e il senso di una prossima scomparsa sono senzadubbio all’origine di queste interrogazioni sul destinodell’uomo al termine della sua vita terrestre, di questidubbi e di questa visione incupita dell’aldilà. Tale medita-zione ininterrotta sulla morte, sulla sua natura e sui suoifiní sembra, d’altronde, una caratteristica notevole e co-stante del popolo etrusco. Demoni inflessibili e orrendi,Charun e Tuchulcha, simboleggiano questo timore dellamorte, concepita ora come colpo fatale che prostra edestingue la vita (tomba degli Charun, dell’Orco). La realtàcede il passo all’immaginario o con esso si mescola, gliestinti lasciano i loro cari (tomba Tartaglia), procedendosulla strada degli Inferi sotto lo sguardo severo dei geni psi-copompi (tombe del Cardinale, del Tifone): dinanzi a unvelo di nebbia partecipano all’eterno banchetto nell’Averno(tomba degli Scudi). Le rappresentazioni greche dell’Ade,piú o meno derivanti dagli affreschi della Nekyia, eseguitida Polignoto di Taso a Delfi nel v sec., hanno senza dub-bio ispirato questi dipinti intrisi di malinconia. Le tombe,piú grandi, accolgono parecchie generazioni di famiglie ari-stocratiche e le iscrizioni enumerano i titoli dei loro capi, iltema della morte sembra cosí legarsi al culto degli antenatie con esso, alla celebrazione dell’orgoglio nobiliare dell’ari-stocrazia etrusca in decadenza, di cui l’artista si sforza di

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individualizzare le fattezze, in modo realistico ed espressi-vo. Il ritratto compare sia in pittura che in scultura (effigidi Larth Velcha e dei suoi parenti nella tomba degli Scudi,di Velia nella tomba dell’Orco, di Vel Satie nella tombaFrançois a Vulci). Nello stesso tempo ricompaiono i mitigreci, rari in precedenza (tomba dei Tori nel vi sec.), maper ornare le pareti della monumentale tomba Françoisvengono scelte leggende marziali e crudeli: sacrificio deiprigionieri troiani da parte di Achille ai màni di Patrocloduello fratricida dei figli di Edipo; altre scene, non menosanguinose, rievocano le lotte metà leggendarie e metà sto-riche che avevano contrapposto i condottieri di Vulci, i fra-telli Vibenna, ai Tarquini di Roma. Le ultime manifestazio-ni della pittura etrusca annunciano l’arte storica romana eil suo gusto narrativo, ma qui l’accento cade sul dramma, ein queste scene il sangue scorre come nelle rappresentazionipiú antiche del gioco tragico del Phersu (tombe degli Augu-ri o delle Olimpiadi). (mfb).

Etty, William(York 1787-1849). Si formò presso la Royal Academy(1807), di cui divenne membro nel 1828. Fu allievo diLawrence. è tra i rari artisti inglesi che si siano interessatial nudo. Gli servirono spesso di pretesto i soggetti mitolo-gici (Pandora, 1824: Leeds, ag; Ero e Leandro, 1829: coll.priv.); e in questo caso i suoi nudi risultano un po’ con-venzionali. Spesso dimostra soltanto conoscenze anatomi-che, talvolta si ispira a un tipo femminile piuttosto sen-suale dipinto con disinvoltura in una calda gamma croma-tica (Nudo in piedi: Londra, Tate Gall.). Nel 1815-16viaggiò in Europa (Parigi); si recò poi in Italia tra il 1821e il 1823 (Roma, Venezia). Piú tardi tornò a Parigi (1830)e viaggiò in Belgio e Olanda (1840-41). Oltre che nellaTate Gallery, è rappresentato a Edimburgo (ng), a Man-chester (ag), a Port Sunlight (Arrivo di Cleopatra in Silicia,1821), e a Parigi (Louvre). (wv).

Eufranore(iv sec. a. C.). I dipinti di E, nato certamente ad Atene,sono oggi conosciuti solo da fonti letterarie. Tra i piú ce-lebri citiamo una pittura murale della Battaglia di Manti-nea, un’Apoteosi di Teseo e Ulisse che simula la pazzia: se-condo gli antichi, questi dipinti erano pieni di dignità e diequilibrio. (mfb).

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Eufronio(attivo 510-500 a. C. ca. come pittore, 500-490 ca. comevasaio). Dipinse su grandi vasi e su coppe scene di vita(atleti, banchetti) e scene mitologiche. Utilizzò in pieno lepossibilità della tecnica a figure rosse, in particolare perrendere i dettagli della muscolatura, che egli studiò conaltrettanta cura degli scultori suoi contemporanei. La suaopera giustamente piú famosa è un cratere al Louvre diParigi: il lato principale reca il gruppo della Lotta tra Erco-le ed Anteo, le cui forme massicce sono valorizzate dallefigure femminili presso le quali spiccano; ma il profilo ag-graziato di Leagro a cavallo su una coppa di Monaco (sa),possiede la medesima qualità. (cr).

Eugèn, principe(castello di Drottningholm 1865 - Stoccolma 1947). Feceapprendistato di pittore a Parigi come allievo di Puvis deChavannes. Si dedicò interamente alla pittura di paesag-gio interpretando i luoghi della Svezia centrale con sem-plificazioni decorative espresse con grande sensibilità. Daquando si stabilí, nel 1905 a Waldemarsudde-Stoccolma, isuoi motivi principali furono crepuscoli tipici di Stoccol-ma, ove l’acqua, le rocce e le barche bianche sono trattatecon toni azzurrastri, velati, al modo impressionista. Eglifu pure tra i rinnovatori della pittura monumentale (Cittàin riva all’acqua, 1916-23: Stoccolma, Municipio), doveappare l’influsso del cubismo di André Lhote. Altrettantoimportante è la sua opera di mecenate e di collezionista.Le sue simpatie per la sinistra (venne soprannominato «ilprincipe rosso») lo indussero a dare appoggio morale aimovimenti modernisti del mondo artistico svedese. Le sueraccolte di Waldermarsudde, lasciate nel 1947 alla città diStoccolma che le ha esposte in un museo di stato, offronouna visione sostanziale dell’evoluzione e dello sviluppodella pittura svedese dal 1880 al 1940 ca., con opere diErnst Josephson, Carl Hill, Ivan Agueli, Karl Isakson,Isaac Grünewald. Le collezioni comprendono pure unascelta di dipinti danesi, norvegesi e finlandesi risalentiallo stesso periodo. (tp).

Eugenio di Savoia Carignano, detto il principe Eugenio(Parigi 1663 - Vienna 1736). Figlio di Eugenio Mauriziodi Savoia-Carignano e di Olimpia Mancini, E è celebre

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non soltanto per le sue vittorie militari sui turchi e i fran-cesi, al servizio dell’Austria, ma anche per la protezioneaccordata alle lettere e alle arti. Allevato alla corte diFrancia, trascorse la maggior parte degli anni della suamaturità in Austria e soprattutto a Vienna, dove nel 1714cominciò a farsi costruire le proprie residenze estive, iBelvedere inferiore e superiore, per ospitare la sua colle-zione di dipinti (quattrocento quadri) e la sua biblioteca.Per la decorazione interna di tali palazzi ricorse ad artistifrancesi e italiani. Nel 1711 un allievo di Le Brun, Dori-gny, fu incaricato di dipingere i soffitti dello scalone edella grande galleria dei Belvedere, e Ignace Parrocel ese-guí i grandi dipinti rappresentanti le vittorie del principeE. Questi commissionò quadri anche ad italiani, originarisoprattutto di Bologna e Napoli, come G. M. Crespi,Burrini, Dal Sole, Del Po, Carlone e Solimena. I dipintidi questi artisti costituiscono oggi una parte delle collezio-ni del Kunsthistorisches Museum di Vienna (Crespi: Eneae Caronte, Chirone ed Achille, Solimena: Deposizione dallacroce). Ma il principe E manifestò soprattutto vivissimapassione per i libri e le stampe. Cominciò a costituire lasua collezione di stampe nel 1712 a Londra; nel 1717 essaaveva già acquistato un’importanza tale che il mercanteparigino Jean Mariette, suo principale fornitore, si recò dipersona a Vienna, accompagnato dal figlio Pierre-Jean.Quest’ultimo, che avrebbe posseduto piú tardi la piúricca collezione di disegni dell’epoca, trascorse diversimesi a Vienna per classificare le stampe del principe E ele cartelle di ritratti incisi, cui vanno aggiunti 302 disegnicomprati all’Aja nel 1730. Il principe E, che non si sposòmai, lasciò tutti i suoi beni (circa quattrocento quadri)all’unica discendente dei Savoia-Carignano, la nipote Vit-toria di Savoia allora cinquantenne. Nel 1741 ella vendet-te 178 dipinti a Carlo Emanuele III, capo di casa Savoiae re di Sardegna; i dipinti vennero spediti da Vienna aTorino, ove costituiscono il fulcro delle collezioni fiam-minghe e olandesi della Galleria Sabauda (Bruegel de Ve-lours: la Kermesse; Teniers il Giovane: Donna e bambino;Potter: Quattro tori; Saenredam: Interno di chiesa; Mierisil Vecchio: Autoritratto, 1659). La biblioteca, compren-dente circa quindicimila volumi a stampa cinquecentoalbum e cartoni d’incisioni, disegni e miniature e 240 ma-noscritti, venne acquistata nel 1737 dall’imperatore CarloVI per arricchire la biblioteca imperiale; il fondo è attual-

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mente suddiviso tra la bn e l’Albertina di Vienna. (eg +gb).

Euston Road SchoolEuston Road è una strada nella zona centrosettentrionaledi Londra; ha dato nome a una scuola di disegno e pitturafondata e diretta dal 1937 al 1939 da Graham Bell, Wil-liam Coldstream, Victor Pasmore e Claude Rogers; il me-todo d’insegnamento consisteva nel dipingere i soggettidal vero, rendendoli con obiettività, senza ricorrere allastilizzazione, seguendo l’esempio di Sickert, Degas, Cé-zanne (agli esordi) e Bonnard. L’appellativo designò, perestensione, gli artisti che diedero vita alla scuola e la di-ressero, nonché i loro allievi (tra i quali LawrenceGowing). (abo).

Eutichio(attivo alla fine del xiii sec. - inizio del xiv sec.). Il suonome – che ne rivela la probabile origine greca – comparein iscrizioni delle chiese jugoslave di San Clemente diOcrida (1295), di San Nicola presso Skopje (tra il 1307 eil 1320) e di Staro Nagoricino (1317). Alcuni critici riten-gono che E fosse il fratello di Michele, col quale ha lavo-rato nelle due ultime chiese citate, nonché in quella chereca l’iscrizione Michael tou Astrapou in San Clemente diOcrida. (sdn).

Eutimide(515-500 ca. a. C.). Fu pittore di vasi attici contempora-neo di Eufronio, con cui rivaleggia nelle due anfore diMonaco (sa). Nelle scene tratte dai miti (Ratto di Coroneda parte di Teseo) o dalla vita (partenza del guerriero, ban-chetti, atleti), costruí figure solide, un poco massicce,meno studiate nei dettagli di quelle di Eufronio, ma conricerche di scorcio o di tre quarti, del tutto nuove perl’epoca. (cr).

Evans, Arthur John(Nash Mills (Hertfordshire) 1851 - Boar’s Hill (Oxford-shire) 1941). Dopo aver condotto ricerche archeologichein Scandinavia e nei Balcani, fu direttore dell’AshmoleanMuseum di Oxford (1884) ed effettuò fruttuose campa-gne di scavi in Sicilia e nella Magna Grecia. Intraprese i

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primi scavi regolari a Creta a partire dal 1900. Scoperse,restaurò e pubblicò le sue ricerche sul palazzo e le necro-poli di Cnosso, che dovevano renderlo celebre (The Palaceof Minos at Knossos, 4 voll., Londra 1921-35), rivelandocosí la civiltà cretese durante l’Età del bronzo, che egliqualificò «minoica», dal nome del mitico re cretese Mi-nosse, e risuscitando un’arte scomparsa da oltre tremilaanni, della quale la pittura è senza dubbio la piú preziosamanifestazione. (mfb).

Evelyn, John(Wotton (Surrey) 1620-1706). Letterato, dal 1641 attiròl’attenzione del conte di Arundel che ne sollecitò l’inte-resse per le arti figurative. Divenne un’autorità in materiad’incisione, e pubblicò nel 1662 un’opera sull’arte d’inci-dere, dal titolo Sculptura.. Ha lasciato un interessanteDiario (pubblicato nel 1818-19), fonte d’informazioni suisuoi viaggi in Olanda, Italia Francia, e sugli artisti e per-sonaggi celebri che vi incontrò. (jns).

Evenepoel, Henri(Nizza 1872 - Parigi 1899). Seguí dapprima i corsi seralidell’Académie de Saint-Josse, poi s’iscrisse all’accademiadi Bruxelles, al corso d’arte decorativa; ricevette analogoinsegnamento nello studio di Galland, quando si recò aParigi nell’ottobre 1892, prima di entrare nell’atelier diGustave Moreau, dove incontrò Matisse e Rouault. Rea-lizzò numerosi manifesti nel 1894, per alcuni organismibelgi; ma la vita quotidiana di Parigi lo affascinava, comeattestano numerosi schizzi ove sono frequenti gli studi dicarattere; e presso Durand-Ruel ebbe la rivelazione diManet, il cui influsso, avvertibile sin dall’Uomo in rosso(1894: Bruxelles mrba) è ancora molto evidente nello Spa-gnolo a Parigi (1899: Gand, mba). Quadri come la Cantinadel Sole d’oro (1896: Bruxelles, coll. priv.) e il Caffè diHarcourt (1897: Francoforte, ski), si collocano tra gli im-pressionisti (evocazione dell’atmosfera collettiva) e Lau-trec (acutezza espressiva dei tipi), benché il vigoredell’esecuzione sia tutto settentrionale. Quest’attenzionespontanea alla vita immediata spiega la predilezione di Eper il ritratto; tra i migliori sono quelli che ha lasciatodella cugina Louise (che amò corrisposto) e dei suoi duefigli (Signora col cappello bianco, 1897: Londra, coll.priv.). Si espresse mediante una tavolozza in generale at-

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tutita dalle tonalità molto prossime tra loro (l’Annegatodel pont des Arts, 1895: oggi a Ixelles), fino al suo soggior-no in Algeria (fine del 1897 - inizio del 1898), deciso perristabilire una salute già vacillante e per allontanarlo dallacugina. I paesaggi, le scene di costume dipinte a Blida e aTipasa si caratterizzano per il colore piú caldo e il piúnetto disegno delle figure umane; la semplificazione impa-ginativa e l’economia degli accordi cromatici preannuncia-no persino talvolta, le audacie dei fauves (Donne col nar-ghilé,1898: Gand, coll. priv.). L’artista trae da quellabreve esperienza una padronanza nuova che si riscontranella Passeggiata della domenica (1899: Liegi, mba) e negliultimi ritratti, sempre sobriamente costruiti ma di fatturapiú untuosa, e che accolgono, in contrappunto delicatocon la gamma degli ocra e dei neri, una zona di azzurrotenero, una nota di rosa o d’oro leggeri (Henriette dalgrande cappello, 1899: Bruxelles, mrba). Scomparve a ven-tisette anni, lasciando un’opera di qualità già assai omoge-nea dal 1897 in poi. Il suo gusto dell’osservazione diretta,realistica alla maniera del Nord, si sfuma nel vivo interes-se per inedite modalità compositive (ispirate in particolaredalla fotografia), che lo lega strettamente al suo tempo. èrappresentato nella maggior parte dei musei belgi, nonchéa Parigi (Ritratto di Milcendeau, 1899: mo). (mas).

Everbroeck, Frans van(attivo nel xvii sec.). Nel 1654 è iscritto ad Anversa comeapprendista di Joris van Son; è accolto tra i maestri nel1661. Ebbe come allievo Pieter van Lint nel 1672. Le sueghirlande di fiori e frutta intorno a un medaglione recanterappresentazioni bibliche o mitologiche ricordano operesimili del suo maestro, di Seghers e di J. van Kessel. èrappresentato particolarmente a Karlsruhe (Natura mortadi uva: kh). (wl).

Everdingen, Cesar Boetius van(Alkmaar 1606 (secondo Houbraken 1617 o 1621) -1678).Fu allievo di Jan van Bronckhorst a Utrecht; iscritto nel1632 alla ghilda dei pittori di Alkmaar, nel 1651 a quelladi Haarlem, di cui fu commissario nel 1653-54 e decanonel 1655-56, infine citato ad Amsterdam nel 1661, nel1648 e nel 1650 lavorò alla Huis ten Bosch presso l’Aja,decorandovi la sala d’Orange. Dipinse ritratti: WillemBaert (1671: Amsterdam, Rijksmuseum), Elisabeth van

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Kessel (1671: ivi), Albert Capelman (1635: Leida, sm),Anna Bloem (1635: ivi), nonché scene di storia e di gene-re: Socrate, le sue due mogli e Alcibiade (oggi a Strasbur-go), Diogene in cerca di un uomo (1652: L’Aja, Maurit-shuis) Bacco, le ninfe e l’amore (Dresda, gg), Suonatrice dicetra (Rouen, mba), in bei toni grigio-bruni e porcellanati,ove la sobrietà compositiva si unisce a una tendenza cara-vaggesca alla contrapposizione dei volumi, modellati datoni chiari e raffinati, e alla fermezza plastica (Busto didonna romana, 1665: Vorden, coll. Staring; le CinqueMuse: L’Aja, Huis ten Bosch).Il fratello Allaert (Alkmaar 1621 - Amsterdam 1675) ebbeper maestri, secondo Houbraken, Roelandt Savery a Utre-cht e Molyn a Haarlem. Sposatosi nel 1645 a Haarlem eiscritto nello stesso anno nella ghilda della città, divennenel 1657 cittadino di Amsterdam. Fu importante per lasua formazione un viaggio effettuato verso il 1640 inScandinavia: ne riportò vedute di località norvegesi o sve-desi, ove s’impone la grandiosità selvaggia della natura;coste rocciose battute dal mare o potenti cascate entromontagne boscose. Per la fattura accurata, per la sua preci-sione di osservatore attento e per la finezza della sua luce,egli si afferma, da buon discepolo di Molyn, come uno deimigliori rappresentanti del paesaggio realistico olandesenella prima metà del secolo, accanto a Van Goyen e Aertvan der Neer; si lega pure alla visione grandiosa di unHercules Seghers o di un Cornelis Ursom, come dimostrail suo Fiordo conservato a Karlsruhe. Jacob van Ruisdaelgli deve chiaramente alcuni suggerimenti che, privati dellaloro pittoresca esattezza, divengono spettacoli emozionan-ti. Quasi tutti i grandi musei olandesi possiedono Paesaggiscandinavi di E (in particolare quattro sono al Rijksmu-seum di Amsterdam). La Veduta del castello di Montjour,presso Ambléve nelle Ardenne (L’Aja, Mauritshuis) si se-gnala per la delicatezza delle sue tonalità. Ancora in Fran-cia, ove E è ben rappresentato, oltre a quelli del Louvre diParigi citiamo buoni esempi a Strasburgo, Amiens, Nancy,Bordeaux, Lione e Rouen (Paesaggio scandinavo, 1670).Vanno pure menzionate alcune belle Marine tempestose(Chantilly, Museo Condé, Alkmaar), che non mancaronod’impressionare il suo allievo Backhuyzen. E è celebreanche come incisore. Oltre a numerosi paesaggi scandina-vi, incise una serie di 57 acqueforti sulle astuzie di Renard(disegni preparatori a Londra, bm). (if).

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Evola, Giulio Cesare (Julins)(Roma 1898-1974). Nato da famiglia aristocratica, fre-quentò giovanissimo i futuristi. Nel 1919 partecipò allaGrande esposizione nazionale futurista e nel 1920-21all’Exposition d’art moderne di Ginevra. In questi anni,il contatto con il movimento Dada lo colloca in una lineadefinibile come futur-dadaismo. Nel ’20 fu allestita unasua personale alla Casa d’Arte Bragaglia. Nello stessoanno pubblicò Arte astratta posizione teoretica e La paroleobscure du paysage intérieur. Collaborò alle riviste dadaiste«Noi» di Prampolini e «Blue». Dopo alcune mostre a Pa-rigi e Berlino, nei primi anni ’20, abbandonò la pittura esi dedicò alla filosofia, influenzato dall’idealismo gentilia-no e dal pensiero di Nietzsche, divenendo uno dei filosofipiú amati dalla destra italiana. (cmc).

èvoraMuseu regional Fondato nel 1914, il museo della cittàportoghese di è, nel distretto di Alentejo, ha come nucleoiniziale la collezione dell’arcivescovo fra Manuel do Ce-naculo (1721-1814), cui furono poi aggiunte opere d’arteprovenienti da conventi, palazzi e chiese della città. Aquest’ultimo gruppo appartiene uno dei migliori comples-si di pittura fiamminga esistente in Portogallo: l’anticopolittico dell’altar maggiore della cattedrale, eseguitoverso il 1500 da una bottega di Bruges (Vergine in gloria,basato su uno schema di Van der Goes (?), e dodici pan-nelli, posteriori, di Scene della vita della Vergine), vannoinoltre aggiunti i sei pannelli della Passione di Cristo pro-venienti da una cappella della cattedrale, che costituironoforse la predella della pala centrale. Alcune opere di mae-stri portoghesi del xvi sec. ricordano oggi, nel museo, lagrande attività pittorica sviluppatasi a è, tanto nellaprima metà del secolo (Francisco Henriques, fra Carlos,Gregorio Lopes, Garcia Fernandes) che nella seconda(maestri locali). Il museo serba pure un’interessante colle-zione di ritratti del sec., e dipinti di Josefa d’Ayalla(Sacra Famiglia, Agnello mistico). Tra le opere d’arte dellechiese cittadine, segnaliamo due pale d’altare della chiesadi Sant’Antonio: l’Ultima Cena di Bento Coelho da Sil-veira (1705 ca.) e il Sant’Agostino di Vieira Lusitano(1740 ca.). (fg).

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Eworth, Hans(attivo ad Anversa nel 1540 - Londra, dopo il 1574).Iscritto come libero maestro nella ghilda di San Luca diAnversa nel 1540, si recò in Inghilterra verso il 1549, la-vorando, si dice, a Londra fino al 1573. I suoi quadri,identificati grazie al monogramma HE, si distribuisconodal 1549 al 1567. I primi ritratti si ispirano allo stile diJan van Scorel, di Holbein nel periodo inglese e, piú tardi,di Clouet. Tra essi, i piú importanti sono quelli di ThomasWyndham (1550: Longford Castle, coll. del conte di Rad-nor) e di Sir John Luttrell (1550: Londra, Courtauld Inst.),che tradisce l’influsso del manierismo francese. Sotto ilregno di Maria Tudor, E, che eseguí numerose miniaturee grandi ritratti della regina (1554: Londra, Society ofAntiquaries), sembra fosse il pittore ufficiale di corte; macadde in disgrazia all’avvento di Elisabetta I nel 1558. Fuda allora sostenuto dall’aristocrazia e dalla nobiltà cattoli-ca, fino a quando venne incaricato della decorazione dellefeste di corte, dal 1570 al 1573. I suoi due capolavorisono la Duchessa di Suffolk e Adrian Stoke (1559: Voelas(Galles), coll. J. C. Wynne-Finch) e Mrs Jonn Wakeman(1566: già a Cornbury Park, coll. Oliver Watney). E eser-citò il suo influsso su Nicholas Hilliard. (rs).

Exechia(attivo durante tutto il terzo quarto del vi sec. a. C.).Dopo un periodo in cui lo stile è ancora incerto, le operedel 530-525 ne fanno senza dubbio il massimo pittore at-tico a figure nere sia per la saldezza e la sicurezza del trat-to sia per la raffinatezza con cui utilizza tutte le possibi-lità dell’incisione e dei risalti bianchi e rossi. Ha decoratotanto coppe che grandi vasi e placchette funerarie di ter-racotta. I suoi vasi piú spesso riprodotti sono un’anforadel Vaticano, nella quale conferisce dimensione epica allafamiliare scena di Aiace e Achille che giocano a dadi, e unagrande coppa «a occhi» di Monaco (sa), una delle sue ul-time opere, il cui interno è interamente occupato dal temadi Dioniso a bordo di una nave, ove spicca una gran piantadi vite, in mezzo ai delfini. (cr).

Exeter, John, quinto conte di(morto nel 1700). La sua raccolta, costituita alla fine delxvii sec. in Italia, ove E effettuò tre viaggi, era considera-ta da Defoe una delle migliori d’Inghilterra. Conteneva

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soprattutto una serie di tele del xvii sec. italiano, compo-sta di opere (autentiche o attribuite) di Domenichino,Guercino, Guido Reni, Carlo Dolci, Carlo Maratta eLuca Giordano, cui vanno aggiunti dipinti del xvi sec. delParmigianino, di Bassano e di Barocci. E protesse Anto-nio Verrio che lavorò per lui a Burghley House(Northamptonshire) per dodici anni, eseguendovi il suocapolavoro, la Sala celeste, prima del 1696; tre Veronese,l’Assunzione di Poussin (oggi a Washington, ng), opere diGainsborough e l’Agrippina di Benjamin West, venneroaggiunti alla collezione dal nono conte della dinastia nellaseconda metà del xviii sec. Ad eccezione di 39 tele ven-dute presso Christie nel giugno 1888, tra cui l’Old Lon-don Bridge di Claude de Jongh (1630: Iveagh Bequest,Kenwood), la collezione intatta, sempre a Burghley, èl’unica dell’epoca ad esserci pervenuta. (jh).

exultetRotolo di pergamena manoscritto e illustrato con miniatu-re contenente il Praeconium paschale dall’incipit «Exultetiam angelica turba coelorum», inno che veniva intonatodurante la liturgia della luce nella veglia pasquale del Sa-bato Santo. Il testo, attribuito erroneamente a sant’Ago-stino, svolge due idee parallele: la celebrazione della vitto-ria riportata da Cristo sulla morte e sulla notte e l’incita-mento agli angeli, alla terra e alla Chieesa perché gioisca-no dell’evento; l’iconografia delle miniature si incentraquindi su questi temi. Conclusa la processione e dispostoil cero pasquale acceso sul candelabro, il diacono cantavadall’ambone l’inno srotolando la pergamena che presenta-va le immagini rovesciate rispetto al testo affinché i fedelipotessero seguire il canto attraverso le illustrazioni. Gli efurono generalmente prodotti nei monasteri benedettinidell’Italia meridionale (dei pochi noti, ventotto esemplariprovengono da tale area) e si datano dall’xi al xiv sec. Trai piú celebri, si ricordano gli e nel Museo diocesano diGaeta, tre rotoli databili dalla fine del x al xii sec., e idue conservati nella cattedrale di Bari. L’esemplare baresepiú antico (denominato Bari I) risale al sec. xi; si tratta diun rotolo illuminato, manoscritto con scrittura beneventa-na, composto da otto parti cucite, opera di calligrafo me-ridionale e miniatore greco (le miniature raffiguranol’Ascensione, il Tetramorfo, Angeli con tromba e la letteraE decorata, la Personifcazione della Terra e l’Esaltazione

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del cero, la lettera V di Vere con il Pantocratore, l’Anastasise la Rosa dei venti, l’Apicoltura, un Papa tra due diaconi edue imperatori: la Deèsis con il primicerio Silvestro); l’altroe è del xii sec. (Bari 2), un rotolo alluminato in sei particucite insieme (le miniature rappresentano: il Battesimo diCristo e la Trasfigurazione, la Discesa dello Spirito Santo, lalettera E di Exultet una Scena liturgica, la Processione el’Esaltazione del cero, la lettera V di Vere con Cristo introno Serafini, Cristo entro la mandorla, l’Apicoltura).Vanno menzionati infine l’esemplare del duomo di Saler-no (della prima metà del sec. xii) composto da undici foglipergamenacei e quello del mc di Pisa vicino ai modi delMaestro di San Martino. (svr).

ex votoIl termine (da tradursi ‘da un voto’, ‘a causa di un voto’)si riferisce a un dono offerto a seguito di un interventomiracoloso per scioglimento di un voto. è un e v, adesempio, la basilica di Superga eretta nel sec. xviii da Vit-torio Amedeo II di Savoia dopo l’assedio di Torino; cosícome la chiesa napoletana di Santa Maria del Pianto co-struita dal viceré di Napoli, conte di Penaranda di Braca-monte, per la cessazione della peste del 1656 e decoratada tele «votive» di Andrea Vaccaro (1658 ca.) e LucaGiordano (1660 ca.). Nella medesima occasione MattiaPreti eseguí una serie di grandi affreschi (1656; perduti,noti da bozzetti oggi a Napoli, Capodimonte) sulle setteporte della città. Altri celebri dipinti a carattere votivosono ancora la Madonna di Foligno di Raffaello (1511-12:Roma, pv), offerta da Sigismondo de’ Conti la cui casaera stata risparmiata da un fulmine, e la cosiddetta Paladella peste (nota anche come Pala del voto) di Guido Reni(Bologna, pn) eseguita nel 1630 e portata processional-mente in San Domenico, dove fu esposta alla fine dellapestilenza. Meno prestigioso, ma dovuto probabilmente aun’analoga circostanza, il grande tabellone di Noël Quille-rier già nel duomo di Foligno (1626 ca.; oggi nelle canoni-che) reca al centro a caratteri cubitali la scritta ex voto.Tra gli esempi piú interessanti è anche la tavoletta esegui-ta per il cardinale Fedra Inghirami (1503-1508 ca.) che siconserva a Roma in San Giovanni in Laterano. Accanto aqueste commissioni civiche o di grande rilievo, in generelegate a eventi eccezionali e che riguardavano la colletti-vità si diffuse fin dal xiv sec. l’uso di far eseguire riquadri

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votivi ad affresco sulle pareti delle chiese, con la raffigu-razione della Vergine, di santi e con scritte commemoran-ti il donatore. Sono probabilmente questi dipinti, spessodi carattere popolare, o anche le tavolette raffiguranti imiracoli della Vergine o dei santi nelle predelle dei politti-ci, gli antecedenti delle tavolette figurate che oggi vengo-no correntemente indicate con il termine e v. In sensostretto, questo circoscrive oggi per lo piú l’uso di dipintiad olio o ad acquerello (è frequente anche la riproduzionein metallo sbalzato, di parti anatomiche o di grandi«cuori» votivi appesi intorno ad un’immagine particolar-mente venerata).L’interesse per questa particolare produzione devozionaleè andato accrescendosi in questi ultimi tempi; si è giunticosí una schedatura e all’analisi di gran parte di questopatrimonio sia in Italia che all’estero (un resoconto recen-te è stato pubblicato da Clemente nel 1986). Le raccolteconosciute sono situate nella quasi totalità in luoghi di an-tica devozione popolare (per esempio il santuario dellaMadonna della Madia, Monopoli, presso Bari; quello dellaMadonna di Montenero presso Livorno; il santuario dellaMadonna dei Bagni a Deruta e quello di Crea nell’Asti-giano).Nel santuario di San Romedio in Val di Non è conservatauna delle piú antiche tavolette votive conosciute (1490). Itemi delle tavolette, illustrati con uno stile popolare nar-rativo e diretto sono tratti dalla vita quotidiana (incidentisul lavoro, malattie), nei quali si è voluto vedere un inter-vento miracoloso. Spesso viene rappresentata la figura deldonatore, accompagnata da scritte collegate alla vicendaillustrata. In alcuni casi sono documentate botteghe spe-cializzate nella produzione di questo particolare genere diarte popolare (ad esempio quelle per il santuario della Ma-donna dell’Arco a Napoli o per quello della Consolata diTorino). Una raccolta di particolare interesse è quella con-servata nel Museo etnografico G. Pitré di Palermo. (sr).

Eybl, Franz(Vienna 1806-80). A dieci anni entrò nella sezione profes-sionale dell’accademia di Vienna, studiò paesaggio dal1817 al 1820, eseguí disegni dall’antico dal 1820 al 1823;si dedicò in seguito una pittura di storia e terminò la suaformazione nel 1829, specializzandosi da allora nel ritrat-to, in un primo tempo di piccole dimensioni, eseguito con

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tecnica molto accurata; in seguito il formato si amplia evengono aggiunti numerosi accessori (il Paesaggista FranzWipplinger, 1833: Vienna, ög). E disegnò circa quattro-cento ritratti, litografati tra il 1830 e il 1854, e insieme aKriehuber divenne il ritrattista piú in voga della societàviennese: suoi modelli furono membri della corte, aristo-cratici austriaci e ungheresi, alti prelati, ufficiali superiori,ma anche artisti, studiosi ed esponenti dell’alta borghesia.Nel 1835 intraprese un viaggio nel Salzkammergut, doveeseguí i suoi dipinti all’aperto ritraendovi laghi e monta-gne. Uno dei quadri piú piacevoli di quest’epoca rappre-senta il pittore Franz Steinfeld che traversa il Gosauseein una barca condotta da una fanciulla vestita a festa(1837: coll. priv.). Nominato conservatore della Kaiserli-che Gemäldegalerie del Belvedere (1853), E si dedicò so-prattutto alla copia di antichi maestri e a lavori di restau-ro. Tale mutamento di attività va forse attribuito all’av-vento della fotografia, che fece diminuire l’interesse per ilritratto litografato. (g + vk).

Eyck, Barthélemy d’ → Maestro di re Renato

Eyck, Jan van(? 1390-1400 ca. - Bruges 1441). Le prime menzioni di Eriguardano pagamenti per il suo servizio presso il ducaGiovanni di Baviera dal 1422 al 1424. Il suo luogo di na-scita viene identificato, ma senza completa certezza, conMaaseick, villaggio nella valle della Mosa appartenentealla diocesi di Liegi. Le sue prime opere note sembranoessere le miniature di alcuni fogli del Libro d’ore di Mila-no-Torino, eseguite per il duca Guglielmo IV di Bavieraprima del 1417 o, piú verosimilmente, per il duca Gio-vanni tra il 1422 e il 1424 (il Bacio di Giuda, San Giulianoe santa Marta in barca, Preghiera di un principe sovrano (giàa Torino, bn: distrutte); Nascita di san Giovanni Battista,Messa funebre: Torino, mc). Lo spirito generale di talicomposizioni rientra in una nuova concezione della realtà,ma la linea delle figure e la raffinatezza del colore indica-no il persistere delle tradizioni dello stile internazionale.A partire dal maggio 1425, troviamo il pittore, in veste divalletto di camera, al servizio del duca Filippo il Buono,che non lascerà piú fino alla morte. Dal 1426 al 1429abita a Lilla. Nel 1426 compie due volte viaggi segreti,forse per eseguire ritratti di qualche principessa che il

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duca, vedovo, pensava di prendere in sposa. Dal 19 otto-bre 1428 al Natale 1429 partecipa all’ambasceria che sireca a Lisbona per concludere le nozze di Filippo il Buonocon Isabella di Portogallo. Dopo il 1429, a quanto pare sistabilisce a Bruges, dove acquista una casa nel 1431. Pocosi conosce della sua attività al servizio del duca di Borgo-gna, se non che nel 1433 lavorò al palazzo del Couden-berg a Bruxelles. Sembra risalga ai suoi esordi la Verginein chiesa (Berlino-Dahlem), che rappresenta un interno ri-schiarato da una luce altrettanto preziosa e immateriale diquella dei fogli di Torino e che riscosse ampio successo,attestato dall’esistenza di almeno due copie di quest’operadi mano di artisti piú tardi (Gossaert e il Maestro del1499).La prima data certa riguardante la produzione artistica diE è quella del compimento dell’altare dell’Agnello mistico:1432. La sorprendente vastità del programma condusse ilpittore ad adottare formule diverse. La tavole inferiori,all’interno del polittico, presentano personaggi di propor-zioni piuttosto piccole in un vasto paesaggio: si richiama-no ancora allo stile delle miniature e sono forse dovutealla collaborazione del pittore col fratello Hubert. Invecenelle tavole superiori figurano personaggi grandi circa lametà rispetto alla scala naturale, di dimensioni molto di-verse rispetto ai precedenti. I piú stupefacenti sonoAdamo ed Eva, che costituiscono i primi nudi monumen-tali della pittura nordeuropea. L’esterno del polittico pre-senta una profonda unità di concezione: la proporzionedei pannelli da un livello all’altro è assai equilibrata e cor-risponde a un intento monumentale. Le figure dei donato-ri, Jodocus Vydt e sua moglie Elisabeth Borluut, s’inscrivo-no in potenti forme sotto le arcate ove pregano, mentrel’Annunciazione viene rappresentata, al secondo registro,entro un interno che si apre, mediante una finestra, suuna piazza medievale. Il complesso di queste tavole è ar-monizzato secondo una gamma cromatica monocroma, piúsorda di quella dell’interno, che rammenta la grisaille, econferisce loro un carattere piú scultoreo e decorativo.Dal 1432 si succedono alcune opere datate: Ritratto di Ty-motheos (1432: Londra, ng), identificato col musicistaGilles Binchois; l’Uomo dal turbante rosso (1433: ivi), dicui soltanto il volto emerge dall’ombra e nel quale, senzala minima prova, si è voluto scorgere sia un autoritratto,sia l’effige del cognato del pittore, a causa della sua somi-

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glianza con Marguerite van Eyck (Bruges, mba). La medesi-ma data (1433) figura sul piccolo pannello di una Verginecol Bambino (Melbourne, ng), rivelatosi replica antica diun originale perduto. Risale al 1434 uno dei capolavoridel pittore, il ritratto di Giovanni Arnolfini e sua moglie(Londra, ng): le due solenni figure compaiono in primopiano, mentre dietro di loro si sviluppa un prezioso inter-no, che la luce anima di numerosi bagliori giocando suglispecchi e sui rami. Al di sopra di uno specchio posto die-tro la coppia, che ne riflette il dorso, si può leggere«Johannes de Eyck fuit hic» ed effettivamente si distin-gue, in questo medesimo specchio, una terza forma, quel-la di un uomo, il pittore, che in teoria si collocherebbe alposto dello spettatore, all’ingresso della camera rappresen-tata: particolare rivelatore di una predilezione per l’illu-sionismo. Nel 1436 E esegue il ritratto di un orafo diBruges, Jean de Leeuw (Vienna, km) e soprattutto la Vergi-ne del canonico Van der Paele (Bruges, mba) il massimo di-pinto dell’artista dopo l’Agnello mistico. Malgrado la so-lennità della scena, ambientata in una chiesa, il dignitarioviene rappresentato con un realismo tinto di un umorismodiscreto. Nel 1437 due opere di piccolo formato raffigura-no un mondo microscopico: la Santa Barbara (oggi ad An-versa), incompiuta, descrive, dietro la santa di gotica fi-nezza, l’animazione di un cantiere ove si edifica la torre,attributo del personaggio; e un piccolo trittico (la Verginecol Bambino tra san Michele (che presenta un donatore) esanta Caterina: Dresda gg), che traspone in un mondo mi-niaturistico i caratteri della Vergine del canonico Van derPaele. Il 1439 è l’anno di due opere di assai diversa desti-nazione. La prima è il già citato Ritratto di Marguerite vanEyck dipinta a mezza figura in severa posa dietro una cor-nice marmorea. L’altra, la Vergine dalla fontana (conserva-ta ad Anversa), è nello stile delle opere di piccolo forma-to: un mondo prezioso e cristallino cinge la fine formadella Vergine. Infine, E lavora probabilmente nel 1440-41 alla Madonna di Nicolas van Maelbeche (Gran Bretagna,coll. priv.), lasciata incompiuta e destinata alla chiesa diSaint-Martin a Ypres.Accanto a tali opere, datate da una scritta sulla corniceoriginale, spesso associata al motto a(c ixh xan («als ikhkan», come posso), vanno citati alcuni quadri importantidi piú difficile collocazione. Il sorprendente Ritratto dicardinale (Vienna, km), del quale si conserva anche un di-

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segno preparatorio (Dresda, Gabinetto dei disegni), nonpuò piú venire identificato col cardinal Albergati, comevoleva la tradizione. Il Ritratto di Baudoin de Lannoy (Ber-lino-Dahlem) è successivo al 1431. La Vergine con Bambi-no, proveniente dalle coll. del duca di Lucca (Francoforte,ski) è vicina allo stile dell’Agnello mistico. Infine, la Ma-donna del cancelliere Rolin (Parigi, Louvre), dipinta per ilconsigliere del duca di Borgogna e destinata alla sua cap-pella nella cattedrale di Autun, potrebbe risalire al 1430ca. Tra la Vergine e il donatore, attraverso un tripliceporticato, compare un paesaggio urbano singolarmenteesatto: i dettagli essenziali sono tratti da Liegi, ma il pit-tore ha modificato, con la sua fantasia, alcuni aspetti delmodello. La Madonna dal certosino (New York, FrickColl.) pone qualche problema; la sua proposta identifica-zione con un’opera commissionata dal priore Jan Vos èpossibile, ma è meno probabile che il dipinto possa datar-si soltanto in base alla nomina del monaco a priore a Bru-ges nel 1441. Alcuni altri dipinti sono di attribuzione in-certa. è il caso di due ante dedicate alla Crocifissione e alGiudizio universale (New York, mma), che mostranoun’arte piú illustrativa e piú arcaica rispetto a quella delleopere certe. Ed è forse anche il caso di due versioni di unSan Francesco con le stigmate (Filadelfia, am, Coll. John-son; e Torino, Gall. Sabauda) e dell’Annunciazione (Wa-shington, ng; già a Leningrado, Ermitage); e soprattuttodi un San Girolamo nella sua cella (Detroit, Inst. of Arts),datato 1442, anno posteriore alla morte dell’artista. Infi-ne, vengono spesso ritenuti copie di opere perdute di Eun Cristo che porta la croce (conservato a Budapest) e undisegno per un’Adorazione dei magi (Berlino-Dahlem),probabili testimonianze di opere giovanili. Si crede puredi poter affermare che E sia il creatore di due importanticomposizioni, fondamentali per la nascita e lo sviluppo inEuropa di una pittura profana, note oggi soltanto da de-scrizioni o interpretazioni tarde: una Donna che fa la toe-letta e un Mercante che fa i conti.I testi del xvi sec. assegnavano al pittore il merito di averinventato la tecnica a olio. In realtà, l’uso di essa era co-nosciuto in precedenza ma sembra davvero che E neabbia generalizzato l’adozione. Il suo metodo resta quan-to mai personale, e sembra fondato sulla sovrapposizionedi strati di pittura di diversa natura e trasparenza.Hubert van Eyck (morto a Gand nel 1426). Una quartina

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la cui autenticità è stata spesso messa in dubbio, leggibilesulla cornice dell’Agnello mistico, assicura che il polittico èstato iniziato da Hubert van E e terminato, dopo la suamorte, dal fratello Jan. Alcune menzioni in archivi diGand nel 1425 e 1426 sembra riguardino il medesimopersonaggio, di cui conosciamo anche l’epitaffio da un ri-lievo di Mark van Vaernewyck (1568). La povertà di taledocumentazione ha autorizzato un’audace ipotesi (KarlVoll ed Emile Renders), che ha avuto assai ampia acco-glienza: il pittore Hubert sarebbe pura figura leggendaria,immaginata certamente per attribuire a un artista diGand una parte importante nell’esecuzione del polittico.Malgrado l’attrattiva di una concezione tanto radicale,sembra difficile negare l’esistenza di menzioni d’archiviodi assai antica tradizione infatti sin dal 1517 Antonio deBeatis segnalava la collaborazione dei due maestri al polit-tico di Gand. Resta, peraltro, molto difficile individuareil ruolo svolto da Hubert nell’esecuzione dell’Agnello mi-stico; esso è stato oggetto di ipotesi quanto mai varie, nes-suna delle quali definitiva. Tutte concordano però nelloscorgere la parte essenziale dell’opera di Hubert nel pan-nello inferiore al centro (Adorazione dell’Agnello), anchese si deve ammettere che esso è stato oggetto di successivirimaneggiamenti, in parte dovuti al fratello Jan. Se si ri-nuncia ad attribuire a Hubert alcune miniature del Librod’ore di Milano-Torino, lo si ritiene spesso autore di duedipinti: le Tre Marie al sepolcro (Rotterdam, bvb) e l’An-nunciazione (New York, mma, coll. Friedsam). La sua arteappare in tal caso ancora legata allo stile internazionale,che determina la fluidità delle eleganti figure di questeopere, nelle quali si discerne pure un preciso realismo, cheanalizza il mondo nella sua complessità e soprattutto nellasua ricchezza. Nondimeno, tali dati contraddistinguonoquest’arte rispetto a quella di Jan solo per sfumature, e sipuò ben comprendere la tentazione di accettare la tesi cheritiene Hubert figura leggendaria. (ach).

Eyck, Nicolas van(Anversa 1617-79). Capitano della guardia civile di An-versa e pittore di soggetti militari, fu allievo di Th. Rom-bouts nel 1633. La sua Rivista della guardia civile sullapiazza di Meir (Anversa, Municipio), ricorda i cortei diVan Alsloot e le scene di genere di Teniers. Egli anima iquadri con una folla di piccole figure un po’ goffe e sec-

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che. Anche la Presa di Malines da parte dei Pezzenti (inmuseo a Malines) e la sua Sosta di soldati in un villaggio(Vienna, km) restano assai inferiori ai quadri di battagliedi S. Vrancx o di P. Snayers, di cui egli subisce diretta-mente l’influsso.I suoi due figli, Nicolaes e Jan Karel, furono anch’essipittori. (php).

Eycken, Jean-Baptiste van(Bruxelles 1809-53). Allievo di Navez, si interessò sempremolto al disegno (IlParmigianino sorpreso nella sua bottegadai soldati di Carlo V, 1849: conservato a Roulers). Ma fupure influenzato dal romanticismo francese di Delarochee di Ary Scheffer (Deposizione dalla croce, 1848: Bruxel-les, Archivi generali del regno). La chiesa di Notre-Dame-de-la-Chapelle a Bruxelles ne conserva un complesso inte-ressante, che in particolare comprende le quattordici bellestazioni della Via Crucis, dalla composizione armoniosa, ela decorazione di una cappella (1851), ove sperimentò di-verse tecniche di pittura murale, purtroppo male invec-chiate. (tb).

Eysen, Louis(Manchester 1845 - Monaco 1899). Si formò presso lo ski

di Francoforte, dove Stix gli insegnò l’incisione su legno eHausmann la pittura a olio. Illustratore a Berlino e a Mo-naco dal 1865 al 1869, si uní al gruppo gravitante attornoa Leibl, che, come Thoma e Scholderer, di cui sarà perqualche tempo allievo, eserciterà sulla sua pittura un in-flusso profondo. Un soggiorno a Parigi nel 1869 lo confer-merà su questa via. Allievo di Bonnat, E si sentí piuttostoattratto da Courbet e dalla scuola di Barbizon. Tornato inGermania nel 1870, s’inserí nel gruppo di Cronberg, fre-quentato talvolta da Leibl. Dipinse una serie di paesaggidel Taunus in stile impressionista, per la maggior partevedute della natura (il limitare di un bosco, praterie, cimedi alberi) avvolte da una ricca luce colorata e da un’atmo-sfera vibrante. Ad essi succedono paesaggi del Tirolo me-ridionale, dipinti a Merano nel 1878. Eseguí anche scenerustiche (Contadini che giocano a carte: conservato a Inn-sbruck) e ritratti (la Madre dell’artista: Berlino Ovest, ng),ove si avverte l’influsso di Leibl. Oltre ai paesaggi, le na-ture morte hanno un fascino particolare che rammentaScholderer e Manet. Solo nel 1905 la mostra postuma

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(Berlino, Monaco, Francoforte e Karlsruhe) rivelerà E alpubblico. L’artista è ben rappresentato nello ski di Fran-coforte. (hm).

Ezione → Aezione

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Elenco degli autori e dei collaboratori.

aaa Aracy Abreu Amaralaba Annie Bauduinabc Antonio Bonet Correaabl Albert Blankertabo Alan Bownessabu Andrea Buzzoniaca Annie Caubetacf Anna Colombi Ferrettiach Albert Châteletacl Annie Cloulasacs Arlette Calvet-Sérullazad Anne Distelada Antonietta Dell’Agliadg Adriano de Gusmãoaem Andrea Emilianiaeps Alfonso Emilio Pérez Sánchezag Andreina Griseriagc Alessandra Gagliano Candelaago Annemarie Goersaj André Jacqueminalb Agnès Angliviel de La Baumelleam Arpag Mekhitarianamm Anna Maria Muraamr Anna Maria Rybkoan Antonio Natalianc Angela Catelloapp Anne Prache-Paillardaq Ada Quazzaar Artur Rosenaueras Antoine Schnapperasp Agnès Spycketav Auguste Viatteaz Adachiara Zevibc Bernard Crochet

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bdm Brigitte Pérouse de Montclosbdr Barbara Drudibl Boris Losskybp Béatrice Parentbt Bruno Toscanobz Bernard Zumthorcame Carlo Meliscc Claire Constanscdb Carlo Del Bravocdr Charles Durand-Ruelcfs Christine Farese Sperkencg Charles Goergcge Clara Gelaoch Carol Heitzchw Christopher Waltercmc Carla Maria Camagnicmg Catherine Mombeig Goguelco Carla Olivetticpe Claude Pecquetcpi Claudio Pizzorussocr Claude Rolleycre Claudie Ressortcv Carlo Volpecvo Caterina Volpida Dimitre Avramovdb Dominique Bozoddd Daniela De Dominicisdg Danielle Gaboritdgc Daniela Gallavotti Cavallerodp Denis Patakydr Daniel Robbinsdt Daniel Ternoisdv Dora Vallierea Egly Alexandreeb Evelina Boreaec Enrico Castelnuovoeg Elisabeth Gardnerelr Elena Ramaem Eric Michauden Enrica Neriep Evelyne Pomeyer Elisabeth Rossiererb Elena Rossetti Brezzies Elisabetta Sambo

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fa François Avrilfc Françoise Cachinfd’a Francesca Flores d’Arcaisff Fiorella Frisoniffe Filippo Ferrofg Flávio Gonçalvesfh Françoise Henryfir Fiorenza Rangonifm Françoise Maisonfrm Frieder Mellinghofffp Federica Piranifv Françoise Viattefzb Franca Zava Boccazziga Götz Adrianigb Germaine Barnaudgbe Gilles Béguingbo Geneviève Bonnefoigh Guy Habasquegibe Giordana Benazzigl Geneviève Lacambregm Gunter Metkengmb Georges M. Brunelgp Giovanni Previtaligr Giovanni Romanogrc Gabriella Repaci-Courtoisgs Gunhild Schüttegsa Giovanna Saporigv Germain Viatteg+vk Gustav e Vita Maria Künstlerhah Hamed Abdallahhb Henrik Bramsenhbf Hadewych Bouvard-Fruytierhbs Helmut Börsch-Supanhl Hélène Lassallehm Helga Muthhn Henry Nesmeht Hélène Toussainthz Henri Zerneric Isabelle Compinij Ionel Jianouils Isabella Lo Salvoim Ines Millesimiin Ingebourg Neumeisterivj Ivan Jirous e Vera Jirousova

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jaf José-Augusto Françajbg Josette Bottineau-Goryjbr Jura Brüschweilerjc Jean Couraljcl Jean Clairjdlap Joaquín de la Puentejf Jacques Foucartjf j Jean-François Jarrigejg Jacques Gardellesjgc Jean-G. Copansjh John Hayesjhm Jean-Hubert Martinjho Jaromir Homolkajhr James Henry Rubinjjl Jean-Jacques Lévêquejl Jean Lacambrejlas Jacques Lassaignejle Jules Leroyjm Jennifer Montagujmu Johann Muschikjnc Jolanda Nigro Covrejns John Norman Sunderlandjpc Jean-Pierre Cuzinjpm Jean-Patrice Marandeljps Jean-Pierre Samoyaultjr Jean Rudeljro Jean-René Ostiguyjs Jeanne Sheehyjt Jacques Thuillierjth Jacques Thirionjv Jacques Vilainjw Jacques Wilhelmka Katarina Ambrozickp Kruno Prijateljlaw Lucie Auerbacher-Weillb Luciano Bellosilba Liliana Barroerolbc Liesbeth Brandt Corsiuslc Luce Caylalcv Liana Castelfranchi Vegaslf Lucia Faedolf s Lucia Fornari Schianchilg Louis Grodeckilh Luigi Hyerace

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lm Laura Malvanolma Lucia Masinal° Leif \stbylv Luisa Vertovamas Marcel-André Staltermast Margaret Alison Stonesmat Marco Tanzimb Mina Baccimbe Marie Bécetmbo Massimo Bonellimbr Manfred Brunnermcv Maria Cionini Visanimdl Martina De Lucamdp Matias Diaz-Padronmfb Marie-Françoise Briguetmfe Massimo Ferrettimga Maximilien Gauthiermgcm Marie-Geneviève de La Coste-Messelièremgm Maria Grazia Messinamha Madeleine Hallademk Michael Kitsonmlc Maria Letizia Casanovamlg Maria Letizia Gualandimni Mara Nimmomo Marina Onestimp Mario Pepempe Maria Perosinompf Mimma Pasculli Ferraramr Marco Roscimri Monique Ricourmrs Maria Rita Silvestrellimrv Maria Rosaria Valazzims Maurice Sérullazmt Miriam Talmtb Marie-Thérèse Baudrymtf Marie-Thérèse de Forgesmtmf Marie-Thérèse Mandroux-Françamvc Maria Vera Crestimwb Michael W. Bauernd Nicole Dacosnhu Nicole Hubertnm Nelly Munthenmi Nicoletta Mislernr Nicole Reynaud

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ns Nicola Spinosaok Old≈ich Kulíkol Olivier Lépineorp Orietta Rossi Pinellipa Paolo Ambroggiopb Paul Bonnardpdb Pierre du Bourguetpfo Paolo Fossatipg Paul Guinardpge Pierre Georgelphp Pierre-Henri Picoupm Peter Murrayppd Pier Paolo Donatipr Pierre Rosenbergprj Philippe Roberts-Jonesps Pietro Scarpellinipv Pierre Vaissepva Poul Vadpvo Paul Vogtrch Raymond Charmetrco Raffaella Cortirf Rossella Fabianirg Renzo Grandrla Riccardo Lattuadarlm Roberto Lamberellirm Robert Mesuretrn Riccardo Naldirp René Passeronrpa Riccardo Passonirr Renato Rolirs Roy Strongrt Rossana Torlontanorvg Roger van Gindertaelsag Sophie-Anne Gaysb Sylvie Béguinsbo Silvia Bordinisc Sabine Cottéscas Serenella Castrisd Suzanne Dagnaudsde Sylvie Deswartesdn Sirarpie Der Nersessiansg Silvia Ginzburgsk Stefan Kosakiewiczsls Serge L. Stromberg

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so Solange Oryspo Sebastiano Porrettasr Segreteria di redazionesro Serenella Rolfissk Salme Sarajas-Kortesvr Sandra Vasco Roccasvs Sven Seilersz Stanislas Zadoratb Thérèse Burollettc Thérèse Charpentiertp Torsten Palmervb Victor Beyerdvd Vojislav Djuricve Vadime Elisseeffvg Viviana Gravanowb Walther Buchowieckiwj Wladyslawa Jaworskawl Willy Laureyssensws Werner Schmalenbachwv William Vaughanwz Walter Zaninixdes Xavier de Salasxm Xénia Muratovayt Yvette Taborinzf Zahra Farzanah

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Elenco delle abbreviazioni.

Accademia Galleria dell’Accademia, FirenzeAccademia Gallerie dell’Accademia, VeneziaAlbertina Graphische Sammlung Albertina, Viennaag Art Galleryam Art Museum, Museum of Art, Musée

d’art, Museu de Arte, Muzeul de artaam Altes Museum, Berlino EstAmbrosiana Pinacoteca Ambrosiana, Milanoap Alte Pinakothek, Monaco di Bavieraba Bibliothèque de l’Arsenal, Parigibc Biblioteca civica, Biblioteca comunaleBerlino-Dahlem Dahlem Museum, Berlino Ovestbifa Barber Institute of Fine Arts, Birmin-

ghambl British Library, Londrabm Biblioteca municipalebm British Museum, Londrabn Biblioteca nazionaleBrera Pinacoteca di Brera, Milanobv Biblioteca Vaticana, Romabvb Museum Boymans - van Beuningen, Rot-

terdamCapodimonte Museo e Gallerie nazionali di Capodi-

monte, NapoliCarrara Galleria dell’Accademia Carrara, Berga-

moCastello Museo del Castello Sforzesco, MilanoCastelvecchio Museo di Castelvecchio, VeronaCloisters The Metropolitan Museum of Art - The

Cloisters, New Yorkcm Centraal Museum der Gemeente Utre-

cht, UtrechtEscorial Monasterio de San Lorenzo de El Esco-

rial (prov. di Madrid)

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Fogg Museum William Hayes Fogg Art Museum, Har-vard University, Cambridge Mass.

gam Galleria d’arte modernagg Gemaldegaleriegm Gemeentemuseum, L’Ajagn Galleria nazionalegnaa Galleria nazionale d’arte antica, Romagnam Galleria nazionale d’arte moderna, Romagnu Galleria nazionale dell’Umbria, Perugiahm Historisches Museumkh Kunsthalle, Kunsthauskk Kupferstichkabinett, Berlinokm Kunstmuseum, Museum für Kunstknw Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen,

DüsseldorfKrollöller-Müller Rijksmuseum Kröller-Müller, Otterlo

(Olanda)Louvre, enba Ecole nationale des beaux-arts, ParigiLouvre, mam Musée du Louvre, salles du Palais de

Tokyo (ex Musée national d’art moder-ne), Parigi

ma Museo archeologicomaa Museu nacional de arte antiga, Lisbonamac Museo de arte de Cataluña, Barcellonamac Museum van Hedendaagse Kunst, Gandmac Museu nacional de arte contemporânea,

Lisbonamac Museo español de arte contemporáneo,

Madridmac Museu de arte contemporânea, San

Paolo del Brasilemad Musée des arts décoratifs, Parigimam Museo d’arte moderna, Musée d’art mo-

derne, Museo de arte modernomamv Musée d’art moderne de la ville de Paris,

ParigiMarciana Biblioteca nazionale marciana, VeneziaMauritshuis Koninklijk Kabinet van Schilderijen

(Mauritshuis), L’Ajamba Musée des beaux-arts, Museo de bellas

artesmbk Museum der bildenden Künste, Lipsiamc Museo civicomfa Museum of Fine Arts

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mm Museo municipalemm Moderna Museet, Stoccolmamma Metropolitan Museum of Art, New Yorkmmb Museum Mayer van den Bergh, Anversamn Museo nazionalemnam Musée national d’art moderne, Centre

national d’art et de culture GeorgesPompidou, Parigi

mo Musée d’Orsay, Parigimoma Museum of Modern Art, New Yorkmpp Museo Poldi Pezzoli, Milanomrba Musées royaux des beaux-arts, Bruxellesmsm Museo di San MarcoMuseo Wilhelm-Lehmbruck-Museum, DuisburgMuseo Musée de peinture et de sculpture, Gre-

nobleMuseo Groninger Museum voor Stad en Lande,

GroningaMuseo Museo provinciale (sez. Archeologica e

Pinacoteca), LecceMuseo Musée-Maison de la culture André Mal-

raux, Le HavreMuseo Malmö Museum, MalmõMuseo Westfälisches Landesmuseum für Kunst

und Kulturgeschichte, MünsterMuseo Musée Saint-Denis, ReimsMuseo Musée d’art et d’industrie, Saint-Etien-

neMuseo Musée de l’hôtel Sandelin, Saint-OmerMuseo Museo di storia ed arte, SondrioMuseo Museo provinciale d’arte, TrentoMuseo Ulmer Museum, Ulmmvk Museum für Võlkerkumde und Schwei-

zerisches Museum für Volkskunde Basel,Basilea

ncg Ny Carlsberg Glyptotek, Copenhagenng Nationalgalerie, National Gallery, Ná-

rodni Galerienm Nationalmuseum, National Museumnmm National Maritime Museum, Greenwichnp Neue Pinakothek, Monaco di Bavieranpg National Portrait Galleryõg Österreichische Galerie, Viennapac Padiglione d’arte contemporanea, Milano

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pc Pinacoteca comunalePetit-Palais Musée du Petit PalaisPitti Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenzepml Pierpont Morgan Library, New Yorkpn Pinacoteca nazionalepv Pinacoteca vaticana, Romara Royal Academysa Staatliche Antikensammlungen, MonacoSans-Souci Staatliche Schlõsser und Garten, Pot-

sdamsb Stadtbibliotheksb Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di

Bavierasg Staatsgaleriesgs Bayerische Staatsgemäldesammlungen,

Monaco di Bavieraski Städelsches Kunstinstitut, Francofortesks Staatliche Kunstsammlungen, Städtische

Kunstsammlungenslm Schweizerisches Landesmuseum, Zurigosm Staatliches Museum, Städtisches Mu-

seum, Stedelijk Museumsmfk Statens Museum for Kunst, Copenhagenvam Victoria and Albert Museum, Londrawag Walters Art Gallery, Baltimorawag Walker Art Gallery, Liverpoolwag Whitworth Art Gallery, Manchesterwrm Wallraf-Richartz Museum, ColoniaYale Center Yale Center for British Art, New Haven

Conn.

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