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n. 6, ottobre 2011 EAN European Astrosky Network ASTRONOMIA & INFORMAZIONE INDICE Editoriale Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese, 2011 QY39 PHA: il primo asteroide ―potenzialmente pericoloso‖ scoperto in Italia! Cristian FATTINNANZI, Giove 2011: Nuova campagna d’osservazione del pianeta gigante: il JUPITER PROJECT 2011 Andrea BOLDRINI, Il Binodobson 24”: il più grande binoculare amatoriale al mondo! Lorenzo BRANDI, Il Toro: una costellazione autunnale celata in millenarie leggende Rodolfo CALANCA, E’ scomparso Piero Tempesti Rodolfo CALANCA, In ricordo di Angioletta Coradini Webzine gratuita www.eanweb.com [email protected]

EAN European Astrosky Network - EanWeb · Cristian FATTINNANZI, Giove 2011: Nuova campagna d’osservazione del pianeta gigante: il JUPITER PROJECT 2011 Andrea BOLDRINI, Il Binodobson

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n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

E A N – E u r o p e a n A s t r o s k y N e t w o r k

A S T R O N O M I A & I N F O R M A Z I O N E

INDICE

Editoriale

Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese, 2011 QY39 PHA: il primo asteroide ―potenzialmente pericoloso‖

scoperto in Italia!

Cristian FATTINNANZI, Giove 2011: Nuova campagna d’osservazione del pianeta gigante: il JUPITER

PROJECT 2011

Andrea BOLDRINI, Il Binodobson 24”: il più grande binoculare amatoriale al mondo!

Lorenzo BRANDI, Il Toro: una costellazione autunnale celata in millenarie leggende

Rodolfo CALANCA, E’ scomparso Piero Tempesti

Rodolfo CALANCA, In ricordo di Angioletta Coradini

Webzine gratuita

www.eanweb.com

[email protected]

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REDAZIONE

Direttore editoriale: Rodolfo Calanca, [email protected]

Co-direttore: Angelo Angeletti, [email protected]

Redattore responsabile: Manlio Bellesi, [email protected]

Redattore: Lorenzo Brandi, [email protected]

Responsabile dei servizi web: Nicolò Conte [email protected]

SPONSOR

PROGETTI EAN

A S T R O N O M I A N O V A n . 5 , o t t o b r e 2 0 1 1

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EDITORIALE A CURA DELLA REDAZIONE EAN

LA REDAZIONE DI ASTRONOMIA NOVA

Da sinistra: Rodolfo Calanca, Angelo Angeletti, Manlio Bellesi, Lorenzo Brandi, Nicolò Conte

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Questi sono giorni dolorosi per l’astronomia italiana. Il 28 agosto scorso è venuto a mancare uno dei no-

stri grandi “vecchi”, Piero Tempesti. In questo numero della webzine diamo un ampio resoconto della

sua lunghissima attività astronomica e riportiamo, integralmente, il suo discorso, bello e commovente,

tenuto a Teramo il 23 ottobre 2006, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria. Ringra-

ziamo il prof. Oscar Straniero, direttore dell’Osservatorio di Collurania, per averci concesso sia

l’autorizzazione a riprodurre il discorso sia l’utilizzo di alcune foto che ritraggono il prof. Tempesti.

Altra dolorosa scomparsa è quella di Angioletta Coradini, grande esperta di planetologia, che ci ha lascia-

to pochi giorni fa, ad appena 65 anni, dopo lunga malattia. La ricordiamo qui con profonda commozione.

La webzine di ottobre è ricca di contributi. Diamo rilievo alla scoperta di un asteroide “Apollo”, il primo

scoperto in Italia su di un’immagine ripresa all’Osservatorio Astronomico di San Marcello Pistoiese, una

delle strutture più attive nella caccia ai piccoli corpi del Sistema solare: complimenti vivissimi ai bravissi-

mi scopritori!

Segnaliamo l’articolo di Cristian Fattinnanzi, grande astrofotografo di fama internazionale, che ha inizia-

to la campagna osservativa di Giove per la corrente opposizione. Cristian, insieme ad EAN, propone il

JUPITER PROJECT 2011, con il quale invita gli astrofili ad osservare il pianeta con due precisi obiettivi:

il primo, riguarda la realizzazioni di immagini di Giove, ottenute simultaneamente in diverse località del-

la Penisola e con strumenti diversi, successivamente elaborate in un’unica immagine che dovrebbe mo-

strare un miglior microcontrasto. Il secondo obiettivo è la caccia alle macchie di albedo sui satelliti medi-

cei. Ci auguriamo che moltissimi astrofili aderiscano al progetto promosso da Cristian.

Anche l’articolo di Lorenzo Brandi è ricco di interessanti informazioni sulla storia della costellazione del

Toro, un racconto che affonda le sue radici millenarie nelle tradizioni e nei miti dei popoli mediterranei.

Particolarmente suggestivo il racconto di Andrea Boldrini che ci dà un ampio resoconto sulla costruzione

del suo straordinario Dobson binoculare, costituito da due specchi di ben 0.60-m di diametro, probabil-

mente il più grande binoculare amatoriale al mondo! Le sensazioni e le emozioni che Andrea ci trasmette

quando descrive le sue osservazioni visuali con il grande strumento sono davvero uniche! Straordinario

Andrea!

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L’Osservatorio Astronomico di San Marcello Pi-

stoiese

L'Osservatorio astronomico, sito in località Pian dei Ter-

mini del comune di San Marcello Pistoiese, e' una strut-

tura pubblica realizzata nel 1991, alla quale si è aggiun-

ta, in anni recenti, una seconda cupola che accoglie un

telescopio di 0.6o-m.

Costruito per rispondere alle esigenze culturali e scienti-

fiche della popolazione, degli studenti e dei ricercatori,

ogni anno e' visitato da migliaia di persone. Gestito dal

Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese (GAMP), con

gli strumenti di cui è dotato, sono stati scoperti centi-

naia di nuovi asteroidi.

Le principali attività svolte all’Osservatorio sono le se-

guenti:

Informazione e promozione scientifica

Divulgazione con partecipazione del pubblico

Didattica: svolta con interventi, proiezioni,

d imo st raz ion i , osse rva z ion i ce le s t i .

Ricerca: e' attualmente indirizzata alla astrome-

t r i a d i a s t e r o i d i e c o m e t e e a l l a

scoperta di nuovi corpi minori del sistema solare.

L'osservatorio ha ottenuto dal Minor Planet Center il

codice 104 – San Marcello. In molti anni di attività,

sono stati scoperti 350 asteroidi di cui 250 numerati,

cioè hanno ottenuto un orbita definitiva.

Grazie a questi risultati è il primo in Italia come nume-

ro di asteroidi scoperti tra gli osservatori amatoriali, e

42° tra tutti gli osservatori a livello mondiale.

La scoperta di 2011 QY39 PHA

Nel corso della notte del 28 agosto 2011, dall' osservato-

rio astronomico di San Marcello Pistoiese, è stato sco-

perto l'asteroide potenzialmente pericoloso (PHA - Po-

tentially Hazardous Asteroids) denominato 2011 QY39.

Autori della scoperta i ricercatori del GAMP, Luciano

Tesi (presidente del Gruppo), Giancarlo Fagioli e Paolo

Bacci (socio anche dell'Associazione Astrofili Alta Valde-

ra di Peccioli) nell'ambito dei programmi di ricerca dei

corpi minori del sistema solare.

Le misure raccolte sono state inviate al Minor Planet

Center, USA, ente unico a livello mondiale dedito a mo-

nitorare l'orbita dei corpi minori del sistema solare.

Questo ente, dopo accurate verifiche, in data 3 settem-

bre scorso, ha pubblicato la circolare MPEC 2011-R13,

nella quale viene attribuita la scoperta dell'asteroide

all'osservatorio di San Marcello e sono indicati i para-

metri orbitali che fanno di questo oggetto un PHA.

2011 QY39: il primo asteroide “potenzialmente pericoloso” scoperto in Italia!

A cura del Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese

[email protected]

www.gamp-pt.net/

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

A sinistra, le cupole dell’Osservatorio di San Marcello Pistoiese, a destra, il telescopio di 0.6-m

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L' asteroide 2011 QY19, è il primo pianetino di tipo

“Apollo” scoperto in Italia.

Questa tipologia di oggetti ha un orbita particolare che

si interseca con quella terrestre, avendo una possibilità,

seppur minima, di collidere con in nostro pianeta. Essi

prendono il nome da 1862 Apollo, un pianetino scoperto

da Karl Reinmuth nel 1932 e successivamente smarrito;

rintracciato solamente nel 1973. Apollo è citerosecante

(cioè interseca l‟orbita di Venere), geosecante e areose-

cante (interseca l‟orbita della Terra e di Marte; non si

conosco però pianetini che penetrano all’interno

dell’orbita di Mercurio, che in tal caso si chiamerebbero

Vulcanoidi). All'epoca della scoperta, si trattava dell'u-

nico asteroide conosciuto in grado di intersecare l'orbita

terrestre.

Un oggetto del Sistema Solare potenzialmente pericolo-

so - Potentially Hazardous Object o PHO - è un asteroi-

de (PHA) o una cometa (PHC) che percorre un'orbita

che lo avvicina molto alla Terra (ad una distanza minore

di 0.05 UA) ed ha una grandezza sufficiente a provocare

danni in caso di impatto (deve avere un diametro mag-

giore di 150 metri).

Queste dimensioni sono sufficienti per causare danni

devastanti in caso di impatto su terra, oppure uno Tsu-

nami in caso di impatto sull'oceano.

Si pensa che eventi di tale portata possano verificarsi

una volta ogni 10000 anni. Un esempio di devastazione

prodotto dall’impatto di un asteroide si è avuto nel

1908 a Tunguska (Siberia). Esso aveva dimensioni di

circa 50 metri ed esplose a circa 8 Km dal suolo, distrug-

gendo completamente un’area di 2.400 chilometri qua-

drati.

Alla fine di agosto 2011 erano conosciuti 1244 PHA.

Gli scopritori Luciano Tesi, Giancarlo Fagioli e Paolo

Bacci, hanno utilizzato il telescopio da 60 centimetri,

munito di CCD e sono riusciti ad individuare l'asteroide

utilizzando la tecnica del blink: osservando le immagini

acquisite in sequenza è stato possibile apprezzare lo spo-

stamento dell'asteroide dovuto al suo moto proprio, rile-

vando con precisione la posizione in cui si trovava in un

determinato istante.

E' stato cosi possibile determinare con sufficiente preci-

sione l'orbita dell'oggetto che compie una rivoluzione

intorno al Sole in 1.52 anni. Il 28 ottobre l'asteroide pas-

serà a circa 12 milioni di km dalla terra, 34 volte la di-

stanza tra la Terra e la Luna.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Diagramma dell’orbita di 2011

QY39 e la relativa posizione

riferita al 6 settembre 2011,

prossima all’opposizione. Come

si vede dalla figura, il pianeti-

no è geosecante e areosecante,

ma non citerosecante e, tanto

meno, vulcanoide. Il grafico è

preso dal sito del JPL: http://

ssd.jpl.nasa.gov/sbdb.cgi

Immagine della scoperta dell’asteroide 2011 QY39

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Giove, con la sua nutrita coorte di satelliti, è un soggetto

straordinario per ogni astrofotografo: ogni notte riserva

una sorpresa e rivela particolari misteriosi e affascinan-

ti. Le sue caratteristiche sono davvero notevoli, vanno

infatti dalle sue gigantesche dimensioni fino ad una

struttura e composizione interna assai diversa da quella

terrestre. Infatti, Giove è costituito essenzialmente da

idrogeno ed elio, acido solfidrico e piccole percentuali di

idrocarburi.

Sotto la spessa ed impenetrabile coltre di nubi che lo

avvolge, troviamo un "guscio liquido" di idrogeno ed elio

che modifica le sue caratteristiche man mano che proce-

diamo in profondità. Solo nello strato più interno è rac-

chiuso un piccolo ed estremamente compresso nucleo di

roccia e ghiaccio.

Questo gigantesco pianeta ruota velocemente attorno al

suo asse in meno di dieci ore e questo causa uno schiac-

ciamento consistente ai poli, già ben visibile nei telesco-

pi amatoriali. La rotazione del pianeta è differenziale,

perciò il giorno gioviano non è uguale per tutto il piane-

ta. Alle latitudini equatoriali il giorno è più breve di cir-

ca cinque minuti rispetto alle altre zone del pianeta.

Su Giove avremo perciò due sistemi di coordinate diver-

se per misurare la longitudine delle strutture osservate:

il Sistema I viene usato per le longitudini comprese tra

-10° e +10° di latitudine mentre il Sistema II è valido per

tutte le altre zone.

Di Giove è osservabile, direttamente al telescopio, sola-

mente la spessa atmosfera che lo avvolge, ma ciò non

costituisce un limite perché chi lo osserva periodica-

mente sa bene quanto il suo aspetto sia mutevole, anche

a distanza di pochi giorni.

I suoi satelliti hanno affascinato i primi astronomi, a

partire da Galileo che li scoprì nel freddo mese di genna-

io del 1610 e li chiamo “stelle medicee”. Il termine satel-

lite fu introdotto, poco dopo, da un altro grande astro-

nomo, suo contemporaneo, il tedesco Giovanni Keplero,

allora al servizio dell’imperatore del Sacro Romano Im-

pero, Rodolfo II. I nomi dei quattro satelliti, Io, Europa,

Ganimede e Callisto, furono suggeriti da Simon Marius,

un acerrimo nemico dello stesso Galileo, nell’opera

Mundus Iovialis del 1614, nella quale affermava di averli

scoperti per primo, innescando con il grande Pisano una

prevedibile, durissima, querelle.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Giove: gli inizi di nuova campagna osservativa del pianeta gigante

Cristian Fattinnanzi

[email protected]

www.cristianfattinnanzi.it

Immagine di Giove ripresa dalla son-da spaziale Cassini su cui sono indica-te le bande principali, con la relativa denominazione, la Zona equatoriale e la Grande Macchia Rossa.

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Ad oggi si conoscono ben 63 satelliti, i cui nomi sono

ispirati a quelli di amanti o figlie del dio romano Giove.

Le mie osservazioni di Giove nel mese di agosto

2011

Avevo lasciato Giove con un’ultima immagine (vedi sot-

to) del 27 novembre dello scorso anno, ripresa al tele-

scopio di 0.36-m e con una focale di 8.4-m. Le condizio-

ni del seeing erano però state mediocri, appena 4/10,

pertanto non si era trattato di uno dei miei migliori ri-

sultati.

Agli inizi dello scorso mese di agosto, dopo aver prepa-

rato la mia strumentazione, essenzialmente costituita da

due riflettori di 0.25-m e 0.36-m di diametro e da una

telecamera DBK21, ho iniziato a fare delle levatacce

mattutine con l’obiettivo di riprendere il pianeta prima

dell’alba. Giove sarà in opposizione il 29 ottobre, di ma-

gnitudine –2.9 e 50” di diametro, ma era già ben osser-

vabile verso la metà di luglio. L’aspetto più apprezzato

di questa opposizione sarà la sua elevata altezza

sull’orizzonte, raggiungerà, infatti, alle nostre latitudini,

i 60°. E’ probabile quindi che le immagini che gli astro-

fotografi otterranno in questi mesi saranno di elevata

qualità media.

La prima serie di riprese la ottengo il 2 agosto verso le

3h UT con un seeing, non eccezionale, di 5/10 (40” il

diametro del pianeta, l’altezza sull’orizzonte era 54°).

Nelle mie note di quel giorno ho scritto: “E' una bella

emozione rivedere il gigante così alto sull'orizzonte,

dopo anni che strisciava lungo l'orizzonte! Le condizio-

ni atmosferiche erano solo di qualità media, ma l'eleva-

ta altezza di Giove ha aiutato molto e il risultato già

mostra dettagli interessanti. Speriamo di poter fare

anche meglio nell’immediato futuro!”.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Il mio riflettore di 0.25-m

Il mio secondo riflettore di 0.36-m con montatura a giorno

e telecamera DBK21 al fuoco newtoniano.

Per il setup strumentale che adotto sulla strumentazione, si

veda il video: www.youtube.com/watch?v=utwEz2SclxY

Giove ripreso alle 3h 22m UT del 2 agosto scorso con ri-

flettore di 0.36-m, focale 8.4m, webcam DBK 21 e filtro

taglia IR

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Alle 3h 19m UT elaboro altri 1300 frame: Ganimede è al

primo contatto apparente con il disco del pianeta, uno

spettacolo impagabile, davvero straordinario! Tra l’altro,

dopo un’attenta elaborazione, sul dischetto del satellite

appare una minuscola macchia di albedo. Nel corso di

questa opposizione, quando finalmente il seeing sarà

accettabile, mi dovrò ricordare di eseguire delle immagi-

ni ad altissima risoluzione dei principali satelliti, a caccia

di “ombre” sul loro disco!

Un risultato interessante lo avevo ottenuto su Ganimede

ed Europa il 20 agosto dello scorso anno. In questa op-

posizione, però, con il pianeta molto più alto in cielo, i

dettagli sul dischetto dei satelliti dovrebbero risaltare al

meglio. Invito tutti i miei lettori interessati

all’astrofotografia a fare altrettanto!

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Il 14 agosto, poco prima dell’alba, realizzo diversi

filmati con la DBK21. Le condizioni del seeing sono

appena accettabili, ma l’occasione di riprendere Ga-

nimede nel suo passaggio prospettico sopra il pianeta

è troppo intrigante!

La prima immagine del pianeta, con Ganimede in

bella evidenza (da notare che si percepisce perfetta-

mente il dischetto del satellite, che ha un diametro

apparente di 1”.6 e dista 7” dalla superficie del piane-

ta) l’ho ottenuta alle 2h 25m UT, dall’elaborazione di

2800 frame.

La telecamera CCD, a colori, DBK21 della Imaging

Source utilizza un sensore Sony ICX098BQ da 1/4 di

pollice, i fotoelementi sono quadrati di 5.6 micron,

l’area di cattura: 4.60x3.97 mm. Ha basso rumore e

può acquisire fino a 60 frame al secondo. E’ partico-

larmente indicata nella fotografia planetaria in alta

risoluzione.

Immagine di Giove, elaborazione di 2800 frame, ottenu-

ta il 14 agosto alle 2h 25m UT, con telescopio 0.36-m,

focale 8.4-m, DBK21. Giove aveva un diametro di 42”,

una magnitudine di –2.6, altezza sull’orizzonte: 53°.

Ganimede spicca a 7” dalla superficie del pianeta. Ben

visibile la Grande Macchia Rossa

Immagini ad altissima risoluzione di Ganimede e Europa

ripresi il 20 agosto 2010 con la solita strumentazione. Le

macchie d’albedo sono perfettamente visibili. Per apprezzare

al meglio le immagini si visiti il mio sito:

www.cristianfattinnanzi.it/index.php?

op-

tion=com_imagebrowser&view=gallery&folder=Immagini+Sistema+S

olare&Itemid=6

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Alle 3h 4om Ganimede è già sul disco del pianeta, dal

quale si stacca nettamente (immagine sopra).

Qualche volta il seeing è anche di buona qualità. Il 17

agosto nel mio diario d’osservazione scrivevo: “Questa

mattina il seeing è stato favorevole, finalmente ho otte-

nuto una buona immagine! La fatica della sveglia alle

4:30 è stata ripagata! “.

Riguardando l’immagine (vedi sotto), confermo quanto

avevo scritto a caldo: i dettagli sul disco del pianeta so-

no netti ed incisi.

L’ultima immagine che propongo in questa rassegna è

stata ripresa il 18 agosto (in alto a destra): con un seeing

discreto, la Grande Macchia Rossa campeggia splendi-

damente.

Ed ora un invito: partecipate insieme a me allo Jupiter

Project 2011!

Leggete nelle prossime pagine di che si tratta!

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Il logo dello JUPITER PROJECT 2011

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FINALITA’ DEL PROGETTO

1. Si propone l’organizzazione di riprese simultanee di

Giove, a livello nazionale. Le immagini simultanee

eventualmente raccolte durante queste sessioni os-

servative saranno elaborate ed opportunamente som-

mate. L’immagine finale, che sarà un’immagine me-

dia ottenuta con una successiva elaborazione, mo-

strerà sicuramente meno rumore delle singole imma-

gini di partenza, permettendo anche un aumento del-

la risoluzione. I dettagli sulla metodologia delle ri-

prese sono esposti più avanti in questo documento.

2. Il secondo importante obiettivo del progetto è di re-

gistrare delle macchie di albedo sulla superficie dei

quattro satelliti Medicei, risultato ormai raggiungibi-

le anche con una strumentazione amatoriale.

IL PROGRAMMA DELLE RIPRESE DIGITALI DI

GIOVE TRA OTTOBRE E DICEMBRE

E’ senz’altro necessario preparare un programma delle

riprese, per seguire al meglio questa opposizione.

Di seguito fornisco le informazioni tecniche essenziali

per poter approntare una efficace pianificazione delle

osservazioni, propongo, infine, un calendario per delle

riprese webcam simultanee, distribuite tra novembre e

dicembre prossimi, alle quali dovrebbero partecipare

tutti gli aderenti al progetto.

Le riprese con webcam o tele camere astronomiche

dovranno essere a colori (con sensori RGB o in tricro-

mia con quelli monocromatici) senza dimenticare il

filtro IR-cut: in questo modo otterremo immagini

dall’aspetto realistico, molto simile a quanto percepi-

sce l’occhio al telescopio.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

CRISTIAN FATTINNANZI LANCIA

UN APPELLO AGLI ASTROFILI:

ADERITE ALLO JUPITER PROJECT 2011

Per coinvolgere un numero consistente di appassio-

nati nello studio di questa opposizione di Giove e,

soprattutto, per fornire un supporto adeguato ai gio-

vani neofiti desiderosi di dare un significato scientifi-

co alle loro riprese digitali del pianeta, ho creduto

opportuno lanciare l’idea di costituire un Team di

ricerca i cui componenti - di qualsiasi età e livello di

conoscenze nell’ambito dell’astronomia digitale -

siano ampiamente disposti a lavorare di concerto e

che non disdegnino di mettere in comune gli even-

tuali risultati ottenuti.

Ciò premesso, sono concretamente a disposizione di

tutti coloro che intenderanno avvalersi della mia e-

sperienza e dei miei consigli, in particolare, per tutto

quanto concerne gli aspetti tecnico/operativi e stru-

mentali connessi alla ripresa digitale delle immagini,

con camere CCD o webcam, e la successiva elabora-

zione del materiale raccolto.

Invito i partecipanti al Progetto a prendere nota di

tutte le informazioni riguardanti le proprie riprese,

prima di tutto curando precisamente la tempificazio-

ne delle immagini, senza dimenticare di annotare se

possibile le condizioni atmosferiche vigenti durante

le osservazioni (turbolenza, trasparenza, vento, umi-

dità….). Questo insieme di dati e di informazioni

contribuiranno concretamente a rendere il più possi-

bile omogeneo e confrontabile l’aspetto finale delle

immagini acquisite. Nel seguito di questo documento

sono descritte le tecniche di ripresa consigliate e le

date alle quali (meteo permettendo!) si dovranno

eseguire, in sincrono, i video di Giove.

JUPITER PROJECT 2011

Un progetto EANweb —ASTRONOMIA NOVA

curato e diretto da CRISTIAN FATTINNANZICRISTIAN FATTINNANZI

[email protected]

www.cristianfattinnanzi.it/

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L’alternativa reflex digitale: le riprese con digicam

sono di notevole interesse, anche se non mancano

delle controindicazioni. In primo luogo, se non si ha

la possibilità di registrare un video siamo costretti a

riprendere una serie di foto, le lievi vibrazioni intro-

dotte dall’otturatore (che comunque “scatta” al mo-

mento della foto, nonostante il pre-sollevamento del-

lo specchio) degraderanno notevolmente i risultati.

L’immagine di Giove sul sensore CMOS delle digicam,

di così grandi dimensioni rispetto alle webcam, po-

trebbe ingannare l’utilizzatore che, vedendo Giove

occupare solo una frazione dell’area utile del display,

potrebbe essere tentato di ingrandire oltre misura le

dimensioni del disco planetario, con il rischio di otte-

nere una minor nitidezza, provocata dal maggior tem-

po necessario per una corretta esposizione. Il tempo

di posa, allungandosi oltre il decimo di secondo, non

faciliterà il “congelamento” della turbolenza atmosfe-

rica. Sarà preferibile regolarlo in modo da avere una

leggera sottoesposizione, per non rischiare di bruciare

le zone più chiare del pianeta in nessuno dei canali

colore (RGB). Le riprese dovranno essere eseguite in

formato RAW o JPG, alla massima risoluzione, e sen-

sibilità regolata su valori medio-alti (ISO da 200 a

1600), per contenere i tempi di posa. Le montature

più solide permetteranno riprese comunque interes-

santi e dai colori molto realistici.

E’ probabile che alcune decine di astrofili aderiranno al

progetto. Supponendo che essi siano una cinquantina e

che il diametro medio dei telescopi a loro disposizione

sia intorno ai 20 cm, con un semplice calcolo vediamo

che, sommando tutte le superfici ottiche, otteniamo la

copertura di un’area pari a quella di un telescopio da

150 cm!

La potenza ottica di cui disponiamo è quindi veramente

notevole ed anche i risultati che si potrebbero ottenere,

sfruttandola adeguatamente, potrebbero essere straor-

dinariamente interessanti.

Per “sommare”, in termini di risoluzione, i contributi di

ogni singolo osservatore, è necessario coordinare ade-

guatamente le riprese attraverso la precisa applicazione

di modalità operative comuni.

Per sincronizzare le riprese, stabiliremo l’ora CENTRA-

LE del filmato, tutti della durata di massimo 2 minuti,

nello stesso periodo dovranno essere eseguiti i 3 brevi

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

filmati coi filtri R, G, B per chi usa sensori in bianco e

nero. La focale va allungata fino ad un valore che per-

metta un buon compromesso tra ingrandimento e tem-

po di esposizione, gli altri i parametri di ripresa, si de-

termineranno in base alle istruzioni contenute sopra.

L’orario di inizio delle riprese coinciderà con le

mezz’ore: quindi i filmati “sincronizzati” potranno ini-

ziare alle h. XX:59’00” (per finire alle h. XX:01’:00”

dell’ora successiva) o alle XX:29’00” (per finire alle h.

XX:31’:00”), come indicato nella tabella sotto.

Ho indicato le notti tra SABATO e DOMENICA,

perché sono quelle che generalmente consento-

no la massima libertà di orario, ma potremo ag-

giungere sessioni di ripresa in altre nottate, nel

caso di eventi interessanti o condizioni atmo-

sferiche particolarmente favorevoli.

DATE E ORARI DI RIPRESA: OTTOBRE-

NOVEMBRE 2011

Ecco le date e gli orari (in TU, tempo universale) stabiliti

per l’inizio delle riprese dei filmati:

Tutti coloro che eseguiranno delle riprese webcam agli

orari e nelle notti indicate, contribuiranno

all’elaborazione di una singola immagine finale. Ogni

immagine “finale” sarà ovviamente relativa ad un preci-

so istante delle riprese. Per intenderci, ovviamente non

sommerò le immagini del 3 novembre con quelle del 4

novembre, ma prenderò tutte le immagini pervenute

relative alla stessa data e ora, tra quelle stabilite sopra.

Data Filmato centrato alle:

02 ottobre

2011

01:30 UT 02:00 UT 02:30 UT

09 ottobre

2011

01:00 UT 01:30 UT 02:30 UT

16 ottobre

2011

00:30 UT 01:00 UT 01:30 UT

23 ottobre

2011

00:00 UT 00:30 UT 01:00 UT

29/30 otto-

bre

23:30 UT 00:00 UT 00:30 UT

5/6 no-

vembre

23:00 UT 23:30 UT 00:00 UT

12 novem-

bre 2011

22:30 UT 23:00 UT 23:30 UT

19 novem-

bre 2011

22:00 UT 22:30 UT 23:00 UT

26 novem-

bre 2011

21:30 UT 22:00 UT 22:30 UT

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Pagina 12

5,6 micron, usando un telescopio da 250 mm di dia-

metro ciò significa allungare la focale fino a 8400

mm). Il numero “6” è una costante opportunamente

dimensionata.

La notevole luminosità di Giove ci consente di spinge-

re a fondo sulla focale. Spesso, però, è opportuno cer-

care un compromesso che ci consenta di utilizzare

tempi di posa rapidi, tipo intorno ad 1/50 di secondo,

potremo così “congelare” meglio il seeing. Ad esem-

pio, preferiremo 8 metri di focale anziché 10 metri

quando ad essa, corrisponderà una posa di 1/50 di

secondo contro 1/33, tempo sufficiente a ridurre al

minimo la turbolenza registrata.

Se utilizzeremo una webcam ne regoleremo attenta-

mente il guadagno, in modo che non superi mai il va-

lore di 230 ADU, eviteremo così di sovraesporre le

zone più luminose.

Le webcam consentono di riprendere Giove a colori.

In tal caso sarà necessario utilizzare un buon filtro

“IR-cut”, per far sì che venga esclusa la componente

infrarossa che, altrimenti, altererebbe il bilanciamen-

to cromatico dell’immagine del pianeta.

Con le webcam un po’ datate, in genere USB 1.1, alla

risoluzione video di 640x480 pixels, non conviene mai

superare la frequenza di ripresa di 15 fotogrammi al

secondo. Superando questa frequenza di ripresa si ot-

tiene una compressione dell’immagine che pregiudica

notevolmente la qualità dei risultati.

La durata dei filmati, a causa della rotazione del pia-

neta, può essere spinta fino a 2 minuti per strumenti

di diametro intorno ai 30 cm di diametro. Filmati di

questa durata, se non acquisiti in modalità compressa

(ad esempio “divx”), saranno molto “ingombranti” in

termini di megabyte. Assicuriamoci pertanto di avere

spazio sufficiente nell’hard-disk del nostro computer.

I possessori di camere CCD in B/N, potranno ripren-

dere il pianeta in determinate ed “esotiche” bande

spettrali (anche le webcam a colori, pur con qualche

limitazione, possono essere utilizzate per questo tipo

di riprese). … Questo tipo di riprese non potranno

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Le immagini da utilizzare per queste elaborazioni mi

dovranno pervenire, elaborate in maniera non ecces-

siva e complete di tutte le informazioni tecniche ne-

cessarie, al mio indirizzo e-mail.

In un articolo che apparirà su di un prossimo nume-

ro di ASTRONOMIA NOVA, illustrerò in dettaglio la

procedura necessaria per elaborare e sommare le

immagini di Giove.

Le notti più importanti, caratterizzate da una forte

partecipazione di osservatori, saranno quelle più vi-

cine all’opposizione: 23 ottobre, 29 ottobre e 5

novembre.

Raccomando la massima cura nella regolazione degli

orologi del PC.

ALCUNI CONSIGLI SULLE CORRETTE

TECNICHE DI RIPRESA DIGITALE DI GIOVE

Al fine di i migliori risultati nelle riprese digitali in

alta risoluzione del pianeta, riporto una serie di con-

sigli che potranno essere d’aiuto a chi utilizza le dif-

fusissime webcam o le più recenti camere CCD ad

alta velocità:

Prima di iniziare le riprese, attenderemo che le

ottiche si stabilizzino termicamente. Secondo il

tipo di strumento utilizzato, potranno essere ne-

cessari dai 10 ai 60 (o anche 120) minuti. Nel frat-

tempo prepareremo il computer e sincronizzere-

mo il suo orologio interno, controlliamo la colli-

mazione delle ottiche (attenzione alle “piume di

calore”, specialmente sugli strumenti a tubo chiu-

so!) e del cercatore. Queste operazioni contribui-

ranno in modo determinante a rendere più sem-

plice ed efficace il nostro lavoro di ripresa.

Applicare la webcam al telescopio con gli accesso-

ri adatti ad allungarne la focale. Se il seeing è fa-

vorevole, tramite Barlow o oculari in proiezione,

possiamo spingerci fino ad una focale “F” (in mm)

che si ottiene, per Giove, dalla seguente formula:

F = D x P x 6. La formula ci dice che focale “F”

dipende dal diametro del nostro strumento

“D” (in mm) e dalla lunghezza del lato del pixel

del nostro sensore “P”, espresso in micron (per le

Vesta, Toucam, SPC900, DBK 21 questo valore è

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però essere utilizzate nelle sessioni sincronizzate (che

saranno normali immagini a colori).

Tra tutti i tipi di strumenti, i riflettori sono quelli che

possono essere impiegati con il maggior profitto in

ogni regione dello spettro. Essi sono notoriamente

degli eccellenti telescopi tuttofare. Ma sarà bene che

le loro ottiche siano molto ben lavorate e che il fatto-

re d’ostruzione non superi il 30%. I diametri genero-

si, oltre i 40 cm, hanno un potenziale enorme, che

purtroppo, però, può essere sfruttato raramente, in

quelle serate cioè dal seeing particolarmente buono.

In genere i diametri consigliati (con un rapporto otti-

male tra ingombro e prestazioni e il cui impiego sia

limitato al territorio nazionale, notoriamente caratte-

rizzato da un seeing medio che supera i 2”.5), sono

quelli tra i 20 ed i 35 cm.

Per le riprese di Giove nella banda rossa o infrarossa

si potranno utilizzare anche i grossi rifrattori acro-

matici, i cui residui di colore saranno ridotti grazie

dall’utilizzo del filtro. Non forniranno però risultati

di qualità elevata nelle riprese a colori, proprio per-

ché il cromatismo residuo “impasterà” eccessiva-

mente le immagini.

E’ possibile, operando in un arco di tempo non supe-

riore ai 2 minuti, eseguire 2 riprese del pianeta: una

in modalità “bianco e nero”, con il filtro rosso o infra-

rosso, ed una a colori, col semplice filtro IR-cut. Ri-

badiamo che uno degli obiettivi del presente progetto

è di riprendere, in sincrono il pianeta, con più stru-

menti e, successivamente, unire i risultati ottenuti da

persone e luoghi diversi; è necessario però che i fil-

mati utilizzati per la luminanza (in questi casi quelli

con filtro IR) siano CENTRATI sull’orario prestabili-

to.

Per facilitare la somma delle immagini ottenuta, sarà

utile posizionare il sensore in modo che le bande ri-

sultino approssimativamente orizzontali ed il sud in

alto.

In fase di elaborazione, non eccedere mai con le ma-

schere di contrasto. Fare in modo che l’intera imma-

gine sia leggibile e nessuna zona risulti sovresposta.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

nelle riprese a colori allineare accuratamente i tre

canali R G B (con Iris o Photoshop), la cui traslazione

è prodotta dalla rifrazione atmosferica differenziale.

Evitare di rendere nero il fondo cielo, questa opera-

zione, con le dovute precauzioni di “rispetto” verso i

bordi del pianeta, si può fare eventualmente a fine

elaborazione.

Archiviare sempre i filmati originali. Non disponen-

do di spazio sull’hard-disk, masterizzarli su CD/DVD

oppure salvare i canali-somma in formato “FITS”

non elaborati, restituiti da IRIS (o software analoghi)

alla fine dell’elaborazione. Salvando i filmati sarà

possibile ripetere l’elaborazione con tecniche o sof-

tware diversi.

Chi volesse realizzare filmati che mostrino la rotazio-

ne del pianeta potrà riprendere il pianeta nell’arco

della stessa notte, eseguendo un filmato ogni circa 5

minuti. Anche se non si coprirà l’intera rotazione del

pianeta, otterremo comunque un documento impor-

tante, utile per lo studio dei dettagli visibili special-

mente se si potrà confrontarlo con analoghi lavori

ottenuti da altre località e con una strumentazione

simile alla nostra.

Cristian Fattinnanzi è uno dei più affermati astrofoto-

grafi a livello internazionale. Le sue immagini planetarie

sono pubblicate dalle maggiori riviste astronomiche, non

solo italiane.

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Sant’Agostino interrogato sul tempo risponde: “Quando

nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chie-

de e voglio spiegarglielo, non lo so”.

In un certo senso mi capita la stessa cosa allorquando

mi chiedono le ragioni di questo binodobson 24” e cosa

abbia mosso questo progetto. Io forse lo so ma non so

come spiegarlo! Non saprei bene ma sicuramente un

sentimento irrazionale è prevalso con forza. Un dàimon

della follia ha obnubilato la mia mente, calandomi nel

torpore dell’incoscienza! Quando poi mi sono ripreso, il

binodobson era già pronto nelle mie mani e da quel mo-

mento sono iniziati i miei dolori!

Martini, il costruttore tedesco a cui mi rivolsi

nell’ottobre 2010, www.dietermartini.de/, non aveva

mai costruito binodobson e la mia proposta rappresen-

tava per lui una grande scommessa e una ghiotta occa-

sione di primazialità nel settore. Accettò e si mise al la-

voro. Non aveva idee chiare e per rilanciare in bizzarria

creativa si scatenò anche lui (forse in preda del suo dài-

mon) in soluzioni complicate e di difficile applicazione.

Concepì un sistema di messa a fuoco macchinoso e di

sesquipedale articolazione. Tutto il gruppo ottico dei

terziari, con gli oculari in sede, venivano spostati trami-

te il giramento di un pomellone che contestualmente

andava anche a spostare i secondari attraverso le razze

collegate, in direzione alto-basso rispetto ai primari.

Quest’idea sicuramente buona in teoria, ha avuto però

un’applicazione sommaria creando una forte instabilità

dei singoli elementi. E anche le celle dei primari non

erano all’insegna della stabilità necessaria. A onor del

vero e a vantaggio di Martini sta il fatto che realizzando

solo la struttura, non ha avuto modo di testare lo stru-

mento con gli specchi nella loro sede e accorgersi dun-

que delle criticità sopravvenute e imprevedibili.

La prima uscita pubblica a Giugno 2011 è stata un vero

fallimento! Tutte le mie aspettative e quelle degli amici

astrofili, completamente deluse!

Era evidente che si imponeva un grande lavoro di modi-

fica, di rettifica e di importanti interventi strutturali.

L’obiettivo fondamentale e prioritario da realizzare è

stato quello di raggiungere una buona stabilità dello

strumento. La stabilità è stata la chiave di volta intorno

a cui si sono poggiate tutte le modifiche. Questo grande

strumento presuppone un esigente centramento delle

singole ottiche e una rigorosa collimazione tra di esse.

In quel momento così critico e depresso in cui ero cadu-

to, come un angelo custode si è proposto in soccorso il

mio amico Roberto Zacconi, esperto conoscitore di otti-

ca, e abilissimo talento di manualità. E’ intervenuto in

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t 0 b r e 2 0 1 1 Pagina 14

Il Binodobson 24”: il più grande binoculare amatoriale al mondo!

Andrea Boldrini

[email protected]

http://vaghestelledellorsa.com/

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questo progetto di modifica, per circa un mese e mezzo,

realizzando cambiamenti indispensabili tutt’ora in atto

che giammai da solo avrei realizzato. A lui devo l’ottima

funzionalità e la messa a punto di questo difficile stru-

mento! Inoltre in questi interventi di modifica ringrazio

anche l’amico Franco Salvati che generosamente con

perizia e talento ha installato il sistema di motorizzazio-

ne che ancora deve essere collegato elettronicamente

con l’Argo navis. Così come ringrazio Cristian Fattin-

nanzi per alcune modifiche nel gruppo dei terziari, Mas-

simo D’Apice per un supporto per la distanza interpupil-

lare che sarà perfezionato in futuro e tutti gli amici a-

strofili che mi hanno consigliato e sostenuto.

Come primo intervento abbiamo sostituito gli instabili

supporti degli specchi secondari. In loro luogo abbiamo

inserito le tradizionali raggiere in acciaio, alleggerendo

di non poco il peso di tutto il "cappello" e dando di con-

seguenza una maggiore stabilità. Questa modifica ha

implicato la rinuncia al sistema di messa a fuoco ideato

da Martini che prevedeva, come già accennato, unita-

mente al gruppo degli specchi terziari anche lo sposta-

mento dei secondari in direzione alto-basso rispetto ai

primari. Senza entrare nello specifico di tutte le modifi-

che che sono state apportate, lo strumento è oggi piena-

mente operativo e il 26 Agosto scorso ha fatto la sua pri-

ma uscita in campo dopo le modifiche. Questa volta la

rivincita è stata totale e trionfante. Le mirabilia osserva-

tive in "diretta fotonica" che questo strumento riesce a

produrre, esulano da qualsiasi altra esperienza. Il bino-

culare genera "l'ameno inganno" della tridimensionalità

e in alcuni oggetti questo gioco è sorprendente!

Pagina 15 A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t 0 b r e 2 0 1 1

A parte la visione certamente più confortevole rispetto

al mono, la cosa più emozionante e più sconvolgente è

quella di osservare in binoculare con due specchi da 60

cm!!! Ho fatto vedere la M8 a un mio amico visualista

con 40 anni di esperienza e ha stentato non poco a rico-

noscerla!!! Penso che soltanto dall'inclinazione del bi-

no sia riuscito a dedurre l'oggetto in osservazione.

E' come se alcuni oggetti Messier, ormai a noi tanto fa-

miliari poiché osservati sempre con diametri dai 10 cm

ai 40 cm, nella visione con il bino 24" assumessero altre

sembianze, altri particolari, altre morfologie, perdendo i

loro precedenti segni d'identità.

La visione binoculare a questi livelli introduce uno scon-

volgimento dei sensi: ci si inabissa come se indossassi-

mo una maschera da sub per scandagliare i fondali

dell'universo.

Parte interna del mirror box con i due grandi specchi pri-mari di 0.60-m di diametro

A sinistra:il sistema di

messa a fuoco del bino-

dobson prima di essere

sostanzialmente modi-

ficato.

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Pagina 16

M 17 presenta una vastità e pluralità di particolari da

doversi perdere negli intricati giochi nebulari e nelle

deboli piroette dell'omega.

La nebulosa del Velo, uno spettacolo indicibile, direi

mistico fino a perdere le parole: "Oh quanto è corto il

dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch'i'

vidi, è tanto, che non basta a dicer 'poco' ".

Anche il corpo partecipa con brivido allo spostamento

dello strumento e sebbene talora l'instabile scala che

siamo obbligati a salire ci ricordi la precarietà fragile

della nostra condizione, entrambi gli occhi, immersi ne-

gli oculari, scandagliano rapaci i remoti fumi tra i campi

stellari.

Un altro elemento di fondamentale importanza non rav-

visabile in altri strumenti monoculari è la sensazione di

galleggiamento e di sospensione di alcuni oggetti a me-

dio-basso ingrandimento come i globulari e le planeta-

rie.

Ad osservare M 13 con questo strumento si rischia di

cadere dalla scala!

Emerge con maggior precisione la sfericità del globulare

e alcune stelle più luminose sembrano più vicine rispet-

to alle altre dando la percezione del 3D. Senza parlare di

M27: enorme e dettagliata come una foto in B/N con

tutte le stelline in trasparenza!

Così come la Helix, tracimante per bellezza e definizio-

ne! Da cardiopalma la Crescent! Un grande cuore dise-

gnato nel cielo per astrofili amanti!

Poi la Nord America. Nella parte del golfo è un immenso

budello di fumo: spettrale immagine d'inquietanti simi-

litudini terrestri! E che dire della cometa Garradd in

transito nei pressi di M 71? Un mirabile e grazioso qua-

dretto ove i due corpi molto luminosi e definiti si inter-

facciano per breve tempo per poi allontanarsi pian pia-

no.

In ultimo la grande galassia di Andromeda M 31 e l'altra

galassia del Triangolo con l'appariscente nebulosa NGC

604. Nella prima si osservano nette le due bande scure e

alcune fioche increspature; nella seconda tra scintillanti

facelle, si materializzano, come minacciose piovre, le

lunghe spirali lattiginose.

E poi ancora altri oggetti quasi al limite come la Califor-

nia e la Testa di Cavallo entrambe ben definite.

Infine la percezione dei colori e dei toni cromatici ravvi-

sati da alcuni amici in nebulose come la Velo e M 42

sebbene quest’ultima fosse ancora bassa sull’orizzonte.

Personalmente non vedo il colore e la natura, in questo

senso, non mi ha dotato ma con questo strumento ho già

raccolto convinte e sorprendenti testimonianze!

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Particolare delle “antenne

con le palle” con cui si rego-

lano uno dei 3 punti flottan-

ti di ogni cella

Il “cappello” del binodobson con i secondari nei loro sup-porti a crociera

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Pagina 17

Arrivati “in sul primo albore” lo strumento perde di po-

tenza e noi, stanchi, ci corichiamo ebbri di un universo

mai visto prima!

Così è andata la sera del 26 Agosto 2011 a Forca Canapi-

ne con gli amici astrofili completamente stupefatti e

increduli! Alcuni di loro hanno poi redatto dei veri e

propri report emozionali sulla serata. Ecco ad esempio,

cosa scrive Andrea Storani, dopo aver osservato il dop-

pio ammasso del Perseo: “La visione di questo oggetto,

uno degli oggetti più spettacolari del cielo, consente di

sperimentare una delle principali peculiarità della vi-

sione al binodobson, l’effetto ottico di tridimensionalità.

Ad alti ingrandimenti ci si ritrova immersi (il parago-

ne non è affatto casuale) in un mare di stelle ed è un

piacere spostarsi tra un ammasso e l’altro, fino al pun-

to di perdersi nella vastità di questi due oggetti. Mi sof-

fermo sul più spettacolare dei due, NGC 869 e in parti-

colare su di un gruppetto di stelle disposte a semicer-

chio proprio al centro di esso. Immerse in una fitta cor-

nice di stelle di colore azzurro quest’asterismo spicca

per una maggiore luminosità, tanto che le sue compo-

nenti appaiono quasi di colore giallo. Questa diversa

luminosità e la particolare forma semicircolare fanno

si che sembrino in primo piano rispetto alle altre, come

se alla vista si animassero sino a formicolare, quasi

come si stesse osservando attraverso un fondale mari-

no…”.

Anche per l’astrofotografo Giancarlo Erriquez

l’esperienza ha un sapore mistico: “ E la nebulosa Velo

avrei giurato che fosse dipinta sul fondo degli oculari.

Per non parlare di tutti gli altri oggetti. Nasco astrofo-

tografo; ho solo un oculare, così, giusto per collimare lo

strumento. L'ultima volta che l'ho usato e' stato due

anni fa'. Ma l'altra sera, a Forca Canapine [splendida

località sui Monti Sibillini] , dopo aver goduto le visioni

nel tuo binodobson, posso dire che cio' che si riesce a

vedere ( e non dico a intravedere) non differisce molto

da una bella astrofotografia. Con la differenza della

tridimensionalita'. E non e' poco”.

Devo precisare un concetto importante sulla fruizione di

questo binodobson che per mia convinta scelta è desti-

nato a una condivisione “esoterica” strettamente riser-

vata agli astrofili.

Non si può permettere l'accesso visualistico “essoterico”

di questo strumento a chi non abbia osservato mai in

uno telescopio o a chi non abbia una minima esperienza

osservativa.

Occorre dunque una maieutica che solo gli astrofili pos-

sono trasmettere; occorre una frequentazione assidua

dello stellato, con uno studium costante e applicato, ve-

ro precipitato emozionale di questa passione!

Organizzo corsi di astronomia di primo livello, serate

osservative, star watching, serate pubbliche in osserva-

torio e nelle piazze e mi è capitato di sentirne molte.

Non ultima quella di un tipo che dopo aver osservato M

13 all'oculare del mio Ritchey Chretien LX200R

14" (sottolineo 14 pollici!!!) mi dice incalzandomi: "ma

non mi puoi far vedere un oggetto più emozionante?" .

Ebbene di fronte a queste amenità a questi florilegi

dell'incredibile rimani interdetto e non sai cosa rispon-

dere!

La cultura dell'immagine che tanto caratterizza la nostra

società e i media contemporanei, ci ha resi totalmente

insensibili, neutralizzando i "bastoncelli" della nostra

percezione e le profondità analitiche dell'episteme che

presuppongono metodo e precisione, estrema sensibilità

e anche grande intuito. Non è il semplice vedere ma il

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Il “cappello” nella parte del gruppo dei terziari; a destra: i focheggiatori elicoidali, vano gruppo terziari

e “antenne con le palle” per la regolazione dei primari

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Pagina 18

coinvolgimento simultaneo, direi a effetto blin-

king, dello spirito di geometria e lo spirito di finezza!

Invece oggi l'immagine deve scioccare e convincere, en-

trare nell'inconscio di ognuno con esclusive finalità con-

sumistiche. Come potrà mai allora una debole e povera

galessietta, fors'anche interagente con la sua compagna,

sperduta nell'immensità cosmica e percepibile nel suo

debole chiarore, emozionare quell’esinanito individuo

rimasto deluso su M 13?

Per questo chi vuole intraprendere un'esperienza astro-

fila di osservazione deve fare la sua graduale“gavetta”

essere come iniziato e percorrere un tragitto formativo e

“catartico” che riattivi e purifichi le sue capacità percet-

tive! Altrimenti l’osservazione al binodobson 24” farà

esclamare solo uno squallido “interessante!” e non la-

scerà nulla nella memoria delle grandi emozioni!

Osservare non è solo un'arte e una metodologia. E' di

più. E' sconfinamento che abbraccia anche le ragioni

del cuore e che coinvolge l'intera persona, l'unica forse

capace di comprendersi e di comprendere l'infinito.

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio di cuore: Franco Salvati e Roberto Zacconi per il

loro personale contributo, così come ringrazio gli amici Cri-

stian Fattinnanzi per alcune modifiche nel gruppo dei terziari,

Massimo D’Apice per un supporto per la distanza interpupilla-

re che sarà perfezionato in futuro e tutti gli astrofili che mi

hanno consigliato e incoraggiato. Infine ringrazio Maria Kent

Pasquarella che amorevolmente mi ha sempre sostenuto cre-

dendo in questa nostra "folle impresa”.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , 0 t t o b r e 2 0 1 1

Lo specchio di uno dei secondari nella sua sede

A sinistra: Roberto

Zacconi modifica il

mirror box; a destra:

Franco Salvati, nella

sua officina, installa il

Servocat.

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Pagina 18 A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Andrea Boldrini (a sinistra con il suo

spettacolare binodobson) è nato a Matelica

(Mc) nel 1963. Vive a Mergo (An) nelle Mar-

che. Ha conseguito il diploma di maturità

classica presso l’Istituto Salesiano di Mace-

rata e successivamente si è laureato in Giuri-

sprudenza presso l'Università della stessa

città. Ha inoltre conseguito il Diploma Uni-

versitario in Scienze Religiose presso l'Uni-

versità di Urbino. Ha insegnato diritto.

Svolge attività artistica come pittore

(professione principale da sempre) prenden-

do parte a mostre personali e collettive pres-

so gallerie, musei e luoghi pubblici in Italia e

all'estero.

E' un appassionato astrofilo: organizza corsi

di astronomia amatoriale, serate osservative

presso i Monti Sibillini con il più grande te-

lescopio trasportabile d’Italia, è Direttore

dell’Osservatorio “Migliorati” di Jesi.

********************************************

Questo articolo è stato pubblicato, in parte, an-

che sul sito di Salvatore Albano:

www.salvatorealbano.it/

A sinistra: Motorizzazione in altezza con motore “Servocat”; a destra: Motorizzazione

in azimut all’interno del rocker box

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Pagina 20

Sappiamo tutti che la Terra è animata da un moto di

rotazione attorno al proprio asse e da un moto di rivolu-

zione intorno al Sole. L’azione combinata dei due moti si

manifesta sulle stelle che, oltre a sorgere e tramontare,

manifestano un lento moto da ovest verso est. Pertanto

la volta stellata visibile a settembre ad esempio, è la

stessa di ottobre di un paio di ore prima.

Se non ci fosse il Sole pertanto basterebbero le 24 ore

per osservare tutte le costellazioni che è possibile osser-

vare da una determinata località. Se il Sole è nel Toro,

ovviamente, la costellazione si renderebbe visibile negli

stessi momenti in cui il Sole è sopra l’orizzonte, in pieno

giorno, rendendosi di fatto invisibile. Viceversa il mo-

mento di migliore visibilità si ottiene a sei mesi di di-

stanza.

Meno noto è un terzo moto della Terra, denominato pre-

cessione degli equinozi, che manifesta i suoi effetti su

tempi molto più lunghi. Fra i vari effetti sull’apparente

movimento stellare ha anche quello di far congiungere il

Sole con diverse costellazioni, anno dopo anno, alla stes-

sa data di calendario.

La convenzionale classificazione dei periodi dell’anno

sotto il segno dell’Ariete, del Toro, dei Gemelli e così via

è stata codificata una volta per tutte millenni fa, con o-

gni probabilità dagli astrologi mesopotamici, quando il

fenomeno della precessione non era ancora conosciuto.

Fu Ipparco, in Grecia, nel II secolo a.C. a scoprire il fe-

nomeno dandone anche una quantificazione. Durante il

succedersi dei secoli nessuno provvide ad aggiornare

però i modi di dire e pertanto, ancora oggi associamo al

Toro il passaggio del Sole, mediamente, tra i 21 di aprile

e di maggio. Ma le cose non stanno così. Poiché la pre-

cessione compie un giro completo in 26000 anni, essen-

do passati ben oltre due millenni, il Sole entra ufficial-

mente entro i confini del Toro, stabiliti una volta per

tutte da Eugene Delporte, per conto dell’Unione Astro-

nomica Internazionale nel 1928, il 14 maggio, quasi un

mese dopo rispetto al periodo previsto dai Sumeri. Di

conseguenza, il periodo di migliore visibilità della co-

stellazione viene slittato avanti di un mese, a novembre,

all’inizio dei primi freddi, anche se già nelle ore tarde di

queste sere è possibile osservarlo al suo sorgere.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Il Toro: una costellazione autunnale celata in millenarie leggende

Lorenzo Brandi

[email protected]

Bellissima incisione della

costellazione del Toro nel

“Firmamentum Sobie-

scianum, sive uranogra-

phia - Prodromus Astro-

nomiae” , 1690, di Joan-

nes Hevelius

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Chi conosce la costellazione sa che è un autentico scri-

gno. Le stelle, una diecina le più brillanti, annoverano

Aldebaran, una gigante rossa di magnitudine 0,9. Ven-

gono poi El Nath (la beta, in comproprietà con l’Auriga),

decisamente meno brillante di Aldebaran, agli antipodi

come aspetto essendo una gigante blu. Vengono poi al-

cune doppie come la θ, la , la la la la . Fatta

eccezione per la che è una variabile ad eclisse le altre

sono visibili come doppie già con binocoli o piccoli tele-

scopi. Ma il Toro dà il meglio di sé nel profondo cielo:

esso annovera tra i propri confini i due ammassi aperti

più noti ed appariscenti, come le Iadi, tra le quali si tro-

va intrufolata Aldebaran senza alcun legame fisico, e le

Pleiadi, che coprono una porzione di cielo grande quan-

to circa tre lune piene. Non va infine dimenticato M1, la

Nebulosa del Granchio (Crab Nebula) il residuo della

supernova esplosa nel 1054 d.C. Al centro si trova tutto-

ra visibile, ma solo con telescopi potenti, la stella che ha

prodotto la nebulosa con la sua esplosione.

A questo raggruppamento di stelle si è attribuita la de-

nominazione di Toro. Perché? Sappiamo benissimo che

le stelle di una costellazione ben difficilmente sono fisi-

camente legate tra loro, è solo il gioco prospettico che ce

le fa apparire raggruppate in una determinata zona di

cielo. Per giunta ogni cultura ha catasterizzato in cielo

figure diverse. Vederci un toro, è impresa ardua. Chiari-

sco anche il significato di catasterismo: Processo per cui

un eroe, una divinità o un oggetto viene trasformato in

un astro o in una costellazione; deriva dal greco:

[katasterizo] colloco fra le stelle, composto di [kata] in

giù e [aster] astro.

Si può ripercorrere il ragionamento degli antichi e im-

maginare, quasi per gioco, che le Iadi formino una “V”

nella quale si cela il centro del muso, che da una parte si

conclude sull’occhio iniettato di sangue rappresentato

da Aldebaran, mentre salendo ancora, simmetricamen-

te, la e la ζ rappresentano le estremità di due corna

molto allungate. È facile fare un discorso del genere col

senno di poi.

Certo l’idea di mettere lassù, in quella determinata por-

zione di cielo, un toro da qualche parte deve essere sca-

turita.

Il toro è un animale che ispira forza, robustezza, vigore

fisico, connotati visti ora con accondiscendenza, ora con

timore.

L’astrologia, non di rado congiunta all’astrolatria, ha

mosso i primi passi, maturi, proprio nel bacino mesopo-

tamico sulla fine del III millennio a.C. Facendo leva pro-

prio sulla precessione, in quel periodo il Toro era la co-

stellazione che conteneva tra i propri confini il punto

gamma, cioè l’intersezione tra l’eclittica e l’equatore ce-

leste. In concomitanza col passaggio del Sole nel Toro

cominciava la primavera.

Se andiamo a ritroso nel tempo, il Toro diviene costella-

zione equinoziale, mantenendo il suo status, dalla metà

del V fino alla fine del III millennio a.C. L’ipotetico os-

servatore, nato 5000 anni fa, avrebbe potuto godere

della sua vista a partire dalla fine della primavera.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Le stelle del Toro unite idealmente a rappresentare

la costellazione e, in filigrana, i lineamenti

della costellazione.

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Intorno al 2200 a.C. però la costellazione fu smembrata

in due parti: il Toro perse le sue estremità posteriori

che divennero l’Ariete, perdendo al tempo stesso anche

la leadership zodiacale, visto che una delle intersezioni

fra l’equatore celeste e l’eclittica veniva a trovarsi pro-

prio in quella regione che gli era stata tolta.

I ritrovamenti sembrano indicare che la costellazione

nasce durante quel lungo lasso temporale in cui costi-

tuiva lo sfondo del Sole equinoziale. Immaginiamo allo-

ra di essere trasportati indietro nel tempo: intorno al

3000-4000 a.C. La rossa Aldebaran e le altre stelle di

contorno sono lo scenario su cui si proietta il Sole che

riemerge dalle tenebre invernali. Gli antichi osservatori,

come ad esempio i Sumeri, immaginano celarsi sotto

quelle stelle un Toro. C’è una ragione precisa? Abbiamo

già detto che tra una stella ed un’altra della medesima

costellazione non c’è alcun apparentamento salvo quel-

lo prospettico, quindi le costellazioni nascono col preci-

puo intento di facilitare la memorizzazione delle posi-

zioni, vista l’importanza astrologico-calendariale. Certo,

la storia delle costellazioni ci insegna che ogni popolo ci

ha visto quel che ci voleva vedere. Alle volte però, i miti,

le figure ed anche i nomi, vogliono essere qualcosa di

più. Il mito aveva per i greci una funzione didascalica

ed esemplare. Il cielo, ritenuto immutabile, eterno, po-

teva essere dunque il supporto sul quale scrivere una

storia che doveva essere tramandata, come le pagine di

un libro. Si deve anche tener conto che nell’antichità

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

solo una piccolissima percentuale di popolazione sape-

va leggere e scrivere: il cielo era disponibile senza alcu-

na codifica linguistica, accessibile a tutti, alfabetizzati e

analfabeti.

Sul filo del ragionamento si può allora rilevare che le

figure celesti non sono create a caso, benché la fantasia

giochi innegabilmente un ruolo rilevante. Se guardiamo

il cielo con gli occhi di Omero (lasciando stare la tradi-

zione che lo vuole cieco), Esiodo, Arato possiamo ravvi-

sare alcune aree tematiche. Le più famose ed estese so-

no quelle delle Acque Celesti comprendente Eridano,

Pesci, Acquario, Pesce Australe, Balena, Delfino ed il

mezzo Capricorno meridionale di origine paleolitica; il

gruppo riguardante Cefeo, Cassiopea, Andromeda, Per-

seo, Pegaso e di nuovo la Balena, di origine più recente;

Ercole, Idra e Cancro che si rifanno tutte ad una storia

comune ma che non appaiono unite nel cielo; le Orse ed

il suo Guardiano Bootes; Ofiuco, Serpente e Scorpione,

risalenti al V-IV millennio a.C. Lo Scorpione lo trovia-

mo coinvolto con Orione (e situati reciprocamente agli

antipodi); e per finire, il mito del Toro, isolato o in as-

sociazione con Orione, o ancora con l’Aquila (anche in

questo caso non ravvicinati nel cielo).

I miti collegati alle volte appaiono molto più sottili di

quanto possa sembrare a prima vista. Facciamo alcuni

esempi, prima di addentrarci in un’analisi del toro cele-

ste. In apertura abbiamo parlato del fenomeno della

precessione, sconosciuto ad Esiodo ma noto a Tolomeo.

A sinistra la posizione del polo nord nel corso dei 26000 anni ; a destra il movimento dell'asse di rotazione, con ancora, ab-bozzate, le stelle “polari”.

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Un movimento rotatorio come quello della precessione

si spiega se l’asse terrestre (o quello celeste per come

vedevano le cose i Greci) è vincolato a ruotare attorno

ad un altro.

L’asse attorno a cui avviene il fenomeno si situa fra le

spire del Drago ed è identificato allegoricamente col

tronco dell’albero dalle mele d’oro nel giardino delle

Esperidi (con cui dovrà fare i conti Ercole durante una

delle sue mitiche fatiche), attorno al quale è avvinghiato

un drago a guardia perenne. Il Capricorno è simbolica-

mente rappresentato come mezzo pesce (che si immer-

ge nelle acque del profondo sud) e mezza capra (che

risale rapidamente il cielo) perché in esso il Sole dap-

prima si immerge verso il solstizio invernale per poi

risalire.

Le Pleiadi hanno la radice “plei” da πεω = "navigare"

che si riferisce al fatto che esse sorgevano in cielo quan-

do il tempo si faceva propizio alla navigazione.

Anche dietro la mitografia del Toro potrebbe celarsi

qualcosa di sottile. Di miti ce ne sono molti, e tutti con

delle varianti. Uno molto famoso racconta che Europa,

che significa “dagli occhi larghi”, era la figlia di Fenice,

il re che aveva dato nome alla Fenicia, e di Telefassa, la

“lungisplendente”, della cui bellezza Zeus si invaghì,

vedendola giocare con le compagne sulla spiaggia.

Per poterla avvicinare, assunse le sembianze di un toro

mansueto dal candore abbagliante, dagli occhi rossi e

con le corna a forma di falce di Luna.

Poi, docile, andò ad accosciarsi ai piedi della ragazza

che, attratta dalla sua bellezza e dalla mansuetudine,

cominciò a giocare con lui adornandolo di fiori, poi gli

salì in groppa. Il toro si slanciò allora verso il mare, in-

curante della preoccupazione della giovane che vedeva

allontanarsi sempre più la costa fenicia finché raggiun-

se Creta.

Qui nei pressi di una fonte all'ombra dei platani, che in

memoria di quell'amore ebbero il privilegio di non per-

dere le foglie, assunse le sembianze di un’aquila e sotto

questa forma si unì a lei. Dall'unione nacquero Minos-

se, Sarpedonte e Radamanto. Zeus donò ad Europa Ta-

lo, il bronzeo guardiano di Creta a perenne protezione

dell'amata, un cane che non mancava mai la preda e un

dardo che non falliva il bersaglio, e poi la diede in sposa

al re di Creta Asterion, che significa ”re delle stelle”, il

quale adottò i suoi figli. Dopo la morte ad Europa ven-

nero tributati onori divini, mentre il toro che aveva pre-

stato le sue sembianze a Zeus fu trasformato in costella-

zione, come pure l’aquila.

Un toro lo ritroviamo nelle vicende di Minosse (uno dei

figli di Europa), o meglio di sua moglie Pasifae, “colei

che illumina tutto”, che genererà il Minotauro, l’essere

mezzo uomo e mezzo toro, segregato nel labirinto co-

struito appositamente da Dedalo e che sarà finalmente

ucciso da Teseo con l’aiuto di Arianna, la figlia del re

cretese.

Il toro riecheggia molto nelle storie cretesi. Cosa vuol

dire? Che cosa significa? Ed il rapimento? Perché? Il

toro è il simbolo dell’energia primordiale. In sumero si

chiama “Gusidi”, cioè “toro conduttore”. In Egitto tro-

viamo il dio Apis, che contiene una radice che significa

“forza della natura”. Ed anche gli Ebrei in fuga

dall’Egitto, caduti nella tentazione idolatrica, innalze-

ranno il vitello d’oro (che in realtà non era un vitello ma

un toro). Date queste premesse, se si vuole trasporre un

toro in cielo, è naturale che il luogo deputato ad acco-

glierlo sia il punto equinoziale, simbolo della rinascita

della natura. In paesi caldi come il Mediterraneo meri-

dionale la forza della natura si associa facilmente al so-

le. Infatti il dio Apis è rappresentato come un toro con

un disco rosso, inequivocabile simbolo del Sole, appog-

giato sulle estremità delle corna. Ma passa il tempo e a

causa della precessione, perso il punto vernale, anche il

suo simbolismo si deve modificare in terra-elemento,

terra-generatrice e, sostiene Cattabiani nel suo Planeta-

rio, “per analogia divenne l’animale sacro alle divinità

lunari”. Così le corna finirono per rappresentare la falce

di Luna e tutte le eroine della vicenda (la

“lungisplendente”, “colei che illumina tutto”, colei

“dagli occhi larghi”) sono chiare allusioni alla Luna.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

François Boucher - Il ratto di Europa – Wallace Collection,

Londra

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Con la conquista dell’intero Mare Nostrum divenivano

l’ultimo baluardo prima dell’ignoto. Se così fosse però

non tornerebbero i racconti di Erodoto, a cui certamen-

te si ispirò Platone, che farebbe sfociare il Rodano

nell’Atlantico, nascere il Danubio sui Pirenei ed abitare

la Spagna dai Celti.

Se invece le colonne d’Ercole fossero spostate più ad

oriente e precisamente nel canale di Sicilia tutto torne-

rebbe a posto. I riguardi di Ercole, per usare le parole di

Dante, allora, non sarebbero stati posti ai confini e nei

confronti dell’ignoto, ma nei confronti della ben più

temibile flotta punica, l’invincibile armata cartaginese

che dominava incontrastata il Mediterraneo occidentale

e che certamente non l’avrebbe fatta passare liscia ad

un’incauta imbarcazione achea che si fosse avventurata

nei loro domini. Peraltro, seguendo una ricerca effet-

tuata da Castellani e resa pubblica nel libro Quando il

mare sommerse l’Europa, millenni fa, il Mediterraneo

era più basso di circa 200 metri, lo stretto di mare che

separa Capo Bon dal Lilibeo era molto più angusto, le

due coste potevano vedersi. Sarebbe più naturale porre

là i “riguardi” d’Ercole, dove comincia il massiccio

dell’Atlante (nel versante orientale e non in quello occi-

dentale). Allora, conclude Frau, la mitica Atlantide

sprofondata in un giorno ed in una notte di cui parla

Platone, posta oltre le colonne d’Ercole, non potrebbe

essere proprio la Sardegna, devastata al pari delle coste

fenicie? Effettivamente tutti i nuraghi di bassa quota a

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Se da un lato appare dunque ragionevole capire perché

ci sia un toro nel cielo e perché quelle determinate stel-

le siano state identificate con esso il significato del rapi-

mento rimane ancora oscuro. Alcuni archeologi hanno

scoperto tra le coste d’Israele e del Libano i resti di al-

cuni insediamenti distrutti, verosimilmente da una ca-

lamità, probabilmente un maremoto (o come si dice

oggi tsu-nami). Nella vicenda mitica si potrebbe celare

il ricordo di un cataclisma che sconquassò il Mediterra-

neo, che devastò le coste del mar di Levante, da cui pro-

veniva Europa, cedendo la palma di signora del Medi-

terraneo orientale alla terra di approdo: Creta. Anche il

mito di Teseo che col suo coraggio pone fine al sacrifi-

cio annuale dei 14 giovinetti ateniesi, orrido pasto del

Minotauro, si lega a quella fase storica arcaica durante

la quale la Grecia continentale subiva la sudditanza nei

confronti della civiltà minoica, dove tra l’altro la tauro-

machia era molto in voga.

Si tratta di eventi così remoti che trovare conferme tan-

gibili è arduo. In ogni caso, dando credito a questa ipo-

tesi, a quando far risalire l’evento? Probabilmente allu-

vioni e devastazioni lungo le coste del Mediterraneo ce

ne sono state tante.

La distruzione degli insediamenti potrebbe aver avuto

luogo in epoche diverse tra loro. Tuttavia esiste anche

un dato, scientificamente sicuro, riguardante un evento

tanto potente da aver investito un’ampia parte del Me-

diterraneo e che potrebbe essere stato lui da solo

l’artefice di morte, distruzione, devastazione, tanto sulle

coste del Libano che su quelle dell’odierno Israele.

Si potrebbe arguire che lo tsunami sia stato quello pro-

vocato dall’esplosione del vulcano di Santorini, intorno

al 1630 a.C., col conseguente scivolamento di buona

parte dell’isola sotto il livello del mare, avvenuto circa

1450 anni prima di Cristo.

Il giornalista Sergio Frau, col suo libro Le colonne

d’Ercole: un’inchiesta, sostiene che i nuraghi del meri-

dione sardo siano stati spazzati via da un simile catacli-

sma. Anzi arriva a dire che sia stato proprio

quell’evento a distruggere i nuraghi meridionali. Qual-

che reminiscenza di un simile evento deve essere rima-

sto anche in Grecia. Ci sono i racconti di Erodoto e poi

arriva Platone il quale, nel Crizia, parla di un’immane

catastrofe avvenuta novemila anni addietro. Ma se gli

anni di Platone fossero in realtà mesi, o lune?

Tutto tornerebbe, sostiene Frau, il quale si spinge oltre.

Le colonne d’Ercole, l’Ultima Tule del Mediterraneo,

furono poste là a Gibilterra da Eratostene, il che ben si

adattava al mondo romano.

L’isola di Santorini con l’indicazione della posizione del

cratere vulcanico e della vastissima caldera, ora som-

mersa dalle acque del Mediterraneo.

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sud di Barumini appaiono distrutti e sopra quelli in

quota coevi sono alle volte quasi intatti, segno evidente

che dal mare è venuta la distruzione e i primi rilievi di

Barumini hanno preservato quelli a quota maggiore.

L’ipotesi è intrigante. I libri che abbiamo citato, fatta

eccezione per Planetario, per quanto accurati nelle do-

cumentazioni tralasciano di investigare eventuali corre-

lazioni astronomiche. Per intanto dunque, fatta eccezio-

ne per le località geografiche di partenza e approdo di

Europa tra le varie ipotesi sui cataclismi ed il Toro non

sembrano esserci correlazioni. Tanto più che, si potreb-

be obiettare, il toro si trova forse lassù da molto tempo,

prima del cataclisma di Santorino. E poi cosa c’entra il

rapimento?

Sono tutte obiezioni perfettamente legittime alle quali

ci sentiamo solo di dare qualche spunto per ulteriori

riflessioni o indagini.

Bisogna innanzi tutto prendere in considerazione alcuni

fatti.

Pur con tutta l’incertezza legata alla frammentarietà dei

riscontri, calamità del genere non sono così rare. Il fatto

di essere al confine tra la zolla africana e quella europea

fa sì che il Mediterraneo sia soggetto a frequenti terre-

moti e tsu-nami conseguenti. In tempi molto più recen-

ti a quelli citati ne ha fatte le spese la città di Messina

(che nel 1908 subì più danni dal maremoto che dal ter-

remoto che l’aveva provocato). Negli ultimi 2000 anni

l’Italia ha subito 67 maremoti di varia intensità. Forse

l’evento spazza-Libano è un altro? Dall’osservazione

delle tracce di ossidiana nei fondali e da altre testimo-

nianze geologiche Paul Tremer, dell’Istituto Oceanogra-

fico di Francia, sostiene che un maremoto di entità su-

periore a quello avvenuto nell’Oceano Indiano a Natale

del 2004, tanto per intenderci, ha avuto luogo fra il

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

13000 ed il 6000 a.C. Dello stesso avviso sono anche

Enzo Boschi, Maria Pareschi, Massimiliano Favalli,

dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Essi

sostengono che il maremoto abbia avuto luogo intorno

al 6000 a.C. a causa dello scivolamento in mare del

fianco orientale dell’Etna. Le simulazioni al computer

hanno valutato gli effetti che si sarebbero potuti provo-

care sui lidi mediterranei. Sembra prendere consistenza

l’ipotesi che veramente tra il 6000 ed il 10000 a.C. (più

o meno al tempo in cui Platone fa risalire gli eventi)

avvenne uno tsu-nami di immani, gigantesche propor-

zioni. La Pareschi è poi giunta alla conclusione tutta

personale che Atlantide sia in realtà la Sicilia. In un

certo senso sembra che nella ricerca di correlazioni fra

leggende, miti antichi e resoconti storici si siano occu-

pati tutti: reporter, giornalisti, geologi, oceanografi.

Manca all’appello l’astronomo. Eppure il pretesto c’è. Il

ricordo dell’evento infatti potrebbe essersi trasformato

nei secoli successivi in un toro (vale la pena accennare

che il toro ed il cavallo sono gli animali sacri a Poseido-

ne, dio greco del mare), ben assimilabile alla forza di-

struttrice, ma anche elemento di rinascita, e per assicu-

rarne la memoria si traspone in cielo, dopo che il cata-

clisma ha avuto luogo.

C’è anche un’altra ipotesi da prendere in esame. Anche

se l’evento che ha ispirato Erodoto e Platone ha avuto

effettivamente luogo dopo la catasterizzazione del toro

si potrebbe sostenere che magari la storia di Europa,

del rapimento è più tarda e chi l’ha confezionata si è

servito di una figura già consolidata nell’immaginario

collettivo.

Si tratta di due soluzioni che tuttavia ancora non spie-

gano la storia del rapimento. Azzardiamo un’ipotesi che

per il momento non ha alcuna pretesa. Il rapimento

Due nuraghi sardi: a sinistra il nuraghe di S. Barbara, Macomer, a destra Su nuraxi, a Barumini

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potrebbe essere l’allegoria della leadership culturale e

politica nel bacino del Mediterraneo. In effetti le prime

civiltà che fiorirono furono quelle della Mezzaluna ferti-

le (Mesopotamia, Egitto, coste fenice) per poi passare a

Creta, la cui sudditanza fu avvertita anche dalla Grecia,

per poi proseguire oltre con la supremazia della Grecia

continentale ed infine con quella romana.

La tesi ha certamente bisogno di ricerche approfondite

e questo testo non ha altra pretesa che quello di suscita-

re tanto la curiosità da indurre qualcuno a dedicare un

po’del proprio tempo libero alla faccenda. Per poter

suffragare delle ipotesi del genere sarebbe opportuno

scovare nella letteratura e nelle arti figurative qualche

altro elemento a sostegno, oppure trovare argomenta-

zioni convincenti che fughino ogni dubbio circa la legit-

timità dell’accostamento toro (costellazione), Atlantide,

Creta. D’altra parte le storie sono sparse nel corso di

così tanti secoli che le tracce si fanno molto diluite.

In attesa di riscontri ci piace ipotizzare che il toro bian-

co dagli occhi rossi catasterizzato in tempi assai antichi

e l’altrettanto arcaiche leggende di una civiltà sommer-

sa dai flutti e chiamata Atlantide potrebbero riferirsi:

primo, ad un evento realmente accaduto; secondo, esse-

re ispirate dal medesimo evento.

Lorenzo Brandi si è laureato in Astronomia

all’Università di Bologna, presso la stessa Università, nel

2006 ha conseguito un Master di II livello: „Matematica

per le applicazioni’. Ha acquisito una certificazione per

attività didattiche e divulgative delle scienze che gli ha per-

messo di collaborare per alcuni anni con l’Istituto e Museo

di Storia della Scienza di Firenze. Dal 2003 è Tutor

(referente scientifico) a villa Demidoff presso il Laboratorio

di Didattica Ambientale. Ha tenuto lezioni del Planetario di

Firenze, presso la Fondazione Scienza e Tecnica. Le effe-

meridi astronomiche da lui prodotte sono state fornite alle

edizioni Chiaravalle e a Frate Indovino per la realizzazione

dei loro almanacchi e calendari e dal 2007 collabora con la

rivista 'le Stelle' e con 'la Stampa' di Torino per l’inserto

'Tutto Scienze & Tecnologia' per la pubblicazione di articoli

di carattere astronomico. E' docente precario di matemati-

ca e fisica nella scuola secondaria superiore.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ritiene plausibile che una fra-

na di gigantesche proporzioni, staccatasi dal fianco orientale dell’Etna, 8000

anni fa provocò lo sprofondamento in mare di ben 35 chilometri cubi di mate-

riali e la successiva generazione di uno tsunami, illustrato in queste immagi-

ni, le cui onde raggiunsero le coste del Libano in meno di 4 ore.

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e una sessantina dei più importanti astronomi italiani e

stranieri.

A titolo personale, posso dire di aver avuto l’onore e il

grande piacere di corrispondere con il Professore in

occasione della pubblicazione della mia recensione, da

lui molto apprezzata, del suo: “Il calendario e

l’orologio”.

Nel 2008 mi chiese una copia del mio libro sui transiti

di Venere perché si stava documentando sui metodi

utilizzati, nel corso dei secoli passati, per determinare

l’Unità Astronomica.

Nell’estate del 2010 mi inviò un’affettuosa cartolina di

saluto dal Teramo; naturalmente vi era raffigurata la

dolce collina che ospita l’Osservatorio di Collurania.

Credo di fare cosa gradita ai tanti che hanno letto ed

apprezzato i lavori di Piero Tempesti riproponendo, nel

seguito, la splendida allocuzione che pronunziò il 23

ottobre 2006 in occasione della cerimonia per il confe-

rimento della Cittadinanza Onoraria, tenutasi presso la

Sala Consiliare del Comune di Teramo.

Ringrazio il prof. Oscar Straniero, direttore

dell’Osservatorio INAF di Collurania, per avermi con-

cesso l’autorizzazione alla riproduzione sia

dell’allocuzione sia di alcune foto che ritraggono il prof.

Tempesti.

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E' con profondo dolore che apprendiamo la notizia del-

la scomparsa, avvenuta il 28 agosto a Treviso, del prof.

Piero Tempesti. E' una grave perdita per l'astronomia

italiana. Nonostante i suoi 94 anni, era lucidissimo ed

attivo. Continuava a lavorare ad un suo progetto di en-

ciclopedia della cosmologia che sarebbe stata pubblica-

ta in formato elettronico sul web.

Era nato a Firenze nel 1917, la passione per l'astronomi-

a lo prese in età giovanile quando frequentava

l’Osservatorio di Arcetri. Conseguita nel 1947 la laurea

in fisica, divenne assistente di astronomia all’Università

di Bologna, poi astronomo e direttore dell’Osservatorio

di Teramo (Collurania, 1958-1975) e infine professore

di spettroscopia all’Università di Roma “ La Sapienza”.

Nella ricerca si occupò soprattutto di fotometria di stel-

le doppie, novae e supernovae. Per la sua attività divul-

gativa nel 2000 l’Unione Astrofili Italiani gli conferì il

Premio Lacchini. Collaborò alle riviste “l’Astronomia” e

“Sapere” e al supplemento de “La Stampa” Tuttoscien-

ze.

Tra i suoi libri divulgativi ricordiamo: “I segreti delle

comete”, “Pulsar” (Biroma Editore, 1997), “Il calendario

e l’orologio” (Gremese Editore, 2006) e soprattutto i sei

volumi dell’enciclopedia “Alla scoperta del cielo” edita

da Curcio (1982-83), nella quale coinvolse Paolo Maffei

E’ scomparso Piero Tempesti

Un ricordo di Rodolfo Calanca

Il prof. Piero Tempesti al tele-

scopio Cooke negli anni Sessan-

ta (cortesia del prof. Oscar Stra-

niero, direttore dell’Osservatorio

Astronomico INAF di Collura-

nia, Teramo)

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Allocuzione pronunziata dal Prof. Piero Tempesti il

23 ottobre 2006 in occasione della cerimonia per il

conferimento della Cittadinanza Onoraria, tenutasi

presso la Sala Consiliare del Comune di Teramo

“Signor Sindaco, Signori consiglieri, concittadini qui

presenti,

Non credo di avere così grandi benemerenze di fron-

te alla città di Teramo da meritare l'onore di esserne

proclamato cittadino. Ma ciò che mi fa accettare in co-

scienza tanto onore è l'avere molto amato la specola di

Collurania e soprattutto la consapevolezza di essermi

sempre sentito pienamente cittadino di Teramo, fin dal

primo giorno dei lunghi anni qui trascorsi.. Anzi la mia

provenienza forestiera mi poneva al di fuori delle picco-

le questioni personali che agitano tutte le comunità e

mi fece afferrare l'anima della città, quella che al di so-

pra delle mutevoli vicende quotidiane ne caratterizza il

volto perenne

Ringrazio per tanto onore il Sindaco, il Consiglio

comunale, il direttore dell'Osservatorio, gli amici che

hanno promosso e sostenuto l'iniziativa, i cittadini tutti

che so averla accolta con grande favore. Se avessi avuto

bisogno di una prova del favore della cittadinanza, que-

sta me l'avrebbe data il caloroso affettuoso abbraccio

dei tanti teramani che mi sono venuti incontro, ieri ed

oggi, al mio ritorno qua dopo tanti anni. In particolare

mi ha colpito l'affettuosa stima mostratami da numero-

si giovani che all'epoca erano bambini o non erano an-

cora nati (anche se tale travaso generazionale di senti-

menti conferma che attorno alla mia figura si è creato

un mito). Grazie dal profondo dell'animo. Da oggi posso

dire che oltre che fiorentino sono teramano.

Non starò ora a parlare del percorso che dalla mia natìa

Firenze cinquant'anni fa mi ha condotto a Collurania.

Questa storia l'ha raccontata la dott. Angela Ghilardini

nella sua tesi di dottorato recentemente discussa. Una

tesi costruita con tale entusiastico impegno che dopo

tanti anni mi ha fatto rivivere la gioia che provavo ogni

volta che incontravo lo stesso entusiasmo in qualche

mio allievo. Colgo l'occasione per ringraziare gli amici

che hanno consentito ad inserire in tale tesi un loro ri-

cordo di me: Romolo Bosi, Italo d'Ignazio, Agostino Di

Paolantonio, Pasquale Limoncelli, Sandro Melarangelo

e Giammario Sgattoni: tutti protagonisti fin da allora

della vita culturale teramana. Li ringrazio chiudendo gli

occhi su qualche benevolo eccesso di elogi.

Cinquant'anni fa in Italia c'erano 11 osservatori a-

stronomici, 9 direttamente statali e due universitari.

Fra gli statali c'era quello di Teramo che aveva un suo

proprio direttore nominato per concorso nazionale. La

legge di riforma del 1956 attribuì la direzione di ciascun

osservatorio statale al titolare della Cattedra di Astro-

nomia della locale Università, come già era del resto

ovviamente per i due universitari. Per Collurania, non

essendoci né a Teramo né in Abruzzo una cattedra di

Astronomia, la direzione fu affidata al cattedratico

dell'Università di Napoli. Poiché Napoli era sede di

Osservatorio, quel professore si trovò ad esser direttore

di due Istituti: quello di Napoli e quello di Teramo. Due

enti - si badi bene - distinti: ciascuno col proprio bilan-

cio finanziario, il proprio Consiglio di Amministrazione,

il proprio organico di personale. Il professore di Napoli

- Massimo Cimino - pensò bene di delegare ad altri la

direzione di Collurania. E si rivolse a me.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Il prof. Tempesti, a sinistra, all’interno della specola che

ospita l’amatissimo rifrattore Cooke.

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divulgativo su Marte, era a Firenze, e mi dette l'indiriz-

zo ed una lettera di presentazione: con sorpresa vidi

che alloggiava nella stessa mia strada, addirittura era

mio dirimpettaio! Quando mi presentai, mi accorsi che

era quel signore di mezz'età che avevo già visto altre

volte senza sapere chi fosse. Mi accolse con fredda gen-

tilezza - quale si addice ad un professore di livello uni-

versitario che riceve in casa sua uno sconosciuto stu-

dentello, sia pure presentatosi con le credenziali di un

illustre collega. E mi accennò alle esperienze di fotome-

tria fotoelettrica che svolgeva a Teramo.

Chi avrebbe mai detto che vent'anni più tardi, con lo

stesso telescopio, avrei ripreso io - con tecniche ben più

avanzate - la fotometria fotoelettrica da lui inaugurata!

Quello - 68 anni fa - fu il mio primo indiretto incontro

con Teramo.

Con la scomparsa prematura di Maggini, nel 1941,

s'iniziò per Collurania un periodo di crisi. La ricerca fu

pressoché abbandonata. Non per inadeguatezza del

nuovo direttore - Giovanni Peisino, incaricato della di-

rezione dal Ministero - ma per la situazione generale

del paese. Era in corso la guerra e nell'immediato dopo-

guerra i finanziamenti ministeriali erano così scarsi che

ben poco si poteva fare oltre l'ordinaria manutenzione.

In quegli anni solo gli osservatori che avevano alle spal-

le una struttura universitaria poterono svolgere attività

scientifica di rilievo. Giovanni Peisino era un astrono-

mo competente ed attivo, ma il telescopio di Teramo

non era adatto per il campo di sua specializzazione e

dotarsi di strumenti competitivi in tale campo avrebbe

richiesto finanziamenti molto al di là del pensabile.

Avevo cominciato ad occuparmi di Astronomia fre-

quentando l'Osservatorio di Arcetri - a Firenze -

quando ero ancora studente liceale, maturando liceale.

Si sono compiuti giusto 70 anni nel luglio scorso da

quando varcai per la prima volta la soglia dell'Osserva-

torio di Arcetri. 70 anni nella professione: una profes-

sione intrapresa non come sbocco lavorativo dopo il

titolo di studio, ma quale realizzazione di una vocazio-

ne. Quando mi fu fatta la proposta di farmi carico delle

sorti di Collurania mi trovavo all'Osservatorio Astrono-

mico di Catania dove ero stato assegnato dal Ministero

della P. I. Ma si sapeva che aspiravo a cambiar sede.

L'Osservatorio di Teramo, fondato da Vincenzo Ce-

rulli nel 1891 e da lui donato allo Stato nel 1917, con il

suo telescopio che era uno dei massimi strumenti na-

zionali, aveva goduto una stagione di florida attività

scientifica ad opera dello stesso Cerulli, che era un a-

stronomo di prestigio internazionale e di Luigi Zappa

che ne fu il primo direttore come ente Statale. Ricorde-

remo qui le osservazioni di Marte a fine ottocento, la

scoperta nel 1910 di un asteroide a cui fu dato l'antico

nome della città di Teramo: Interamnia. Riguardo a

Marte, Cerulli nel 1898 propose un'interpretazione sul-

la natura delle macchie scure che il telescopio mostra

sulla superficie di questo pianeta: interpretazione rima-

sta nota come teoria ottica del Cerulli. Teoria che allora

riscosse ben poco consenso, ma quando settant'anni più

tardi la sonda Mariner 4 passando vicino a Marte ce ne

inviò le immagini, apparve evidente che Cerulli era nel

giusto. Poi Mentore Maggini. Nominato direttore nel

1926, oltre a ben note osservazioni di Marte, all'inizio

degli anni '30 intraprese le prime esperienze in Italia di

fotometria fotoelettrica astronomica. Non le prime in

assoluto - Maggini importò tali tecniche dalla Germania

- ma le prime in Italia. Il rendimento - qui come in Ger-

mania - era scarso. Lavoravano da pionieri, esperimen-

tavano una tecnica nuova, una tecnica che però vent'an-

ni più tardi, con dispositivi di nuova generazione, a-

vrebbe dominato in campo astronomico e permesso

enormi progressi nella conoscenza dell'universo.

Maggini - anche lui toscano, e ne fa fede il doppio

filare di cipressi che rende splendida Collurania - veni-

va ogni anno a Firenze a trovare la famiglia di origine.

Un giorno - ero matricola all'Università - fui informato

dal Direttore dell'Osservatorio di Arcetri che Maggini,

che io conoscevo più che altro per il suo ben noto libro

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Il prof. Tempesti durante la cerimonia per il conferi-

mento della cittadinanza onoraria.

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A lui però va il merito di aver ben curato l'Osservatorio

mantenendo efficienti strumenti e biblioteca con la

misera dote finanziaria a sua disposizione (per fortuna

che alla manutenzione degli edifici provvedeva il Genio

Civile!).

Quando mi fu offerto di prendere in mano Collura-

nia, Peisino era in procinto di andare in pensione. Il

progetto che era davanti a me era allettante per il mio

spirito. Riportare Collurania, dopo un ventennio di sta-

si, ad un'attività scientifica non certo competitiva con

gli altri ben più grandi e ricchi osservatori italiani, ma

ad onorevole livello. Ciò era possibile, malgrado che il

telescopio del Cerulli fosse ormai alquanto superato,

perché io ero specializzato nel campo della fotometria.

In tale campo il vecchio e glorioso telescopio avrebbe

potuto essere benissimo usato applicandovi un'oppor-

tuna strumentazione ausiliaria; un fotometro fotoelet-

trico, utilizzando dispositivi ben più efficienti di quelli

sperimentati dal Maggini e che si poteva realizzare con

una spesa modesta. Si trattava di riprendere il pro-

gramma del Maggini ma con tecnologie nuove

Si dirà: ma questo non poteva farlo anche il Peisino?

No, non poteva. Quando queste nuove tecniche, in un

campo non suo, sono arrivate in Italia, per lui ormai

sessantenne non era facile impadronirsene. D'altra par-

te negli ultimi vent'anni anch'io ho cominciato a tro-

varmi in situazione analoga di fronte all'esplodere delle

tecniche informatiche (CDROM, e-mail, digitalizzazio-

ne delle immagini e via dicendo) dove io mi muovo a

tentoni, quando addirittura non rinuncio, mentre i gio-

vani ci sguazzano dentro. Ed alla mia età dicendo giova-

ni intendo anche i cinquantenni.

Venni a visitare l'osservatorio di Teramo nell'aprile

del 1957. Quando mi trovai sul bel colle di Urania, rida-

re vigore a quell'Istituto mi apparve una scommessa

quanto mai invitante. Però mi domandai quale prezzo

era forse da pagare. Io da buon toscano cittadino mi

sarei male adattato a vivere in una città che non avesse

memoria storica e non ne conservasse testimonianza.

Feci un giro per la città, pensoso, guardandomi attorno.

Vidi i ruderi romani, ma fu soprattutto quando mi tro-

vai davanti al duomo, davanti a questo insigne monu-

mento - non un rudere, ma testimonianza ancora viva

del passato medioevale - che mi resi conto che avrei

potuto benissimo vivere in tale ambiente.

Presi servizio a Collurania nel gennaio 1958. Vincere la

scommessa si presentava non facile. Il personale

dell'Osservatorio era, oltre all'astronomo, costituito da

un tecnico meccanico e da un custode: tre in tutto! (per

avere un'idea, consideriamo che in quegli anni in Os-

servatori come quello di Arcetri, a Firenze, o quello di

Padova, lavoravano una trentina di persone). Quanto a

risorse finanziarie si disponeva di un contributo annuo

ministeriale di 600 mila lire più un contributo di

200.000 lire da parte della Provincia. 800.000 lire an-

nue era allora la retribuzione di un professore di liceo.

Per realizzare il fotometro fotoelettrico ottenni un con-

tributo di 1.600.000 lire dal Consiglio Nazionale delle

Ricerche, il CNR.

Realizzato il fotometro ebbe inizio un'intensa attivi-

tà di osservazione su sistemi stellari doppi, su stelle

novae e supernovae. Il nome di Collurania ricominciò

ad apparire frequentemente nelle Riviste astronomiche

professionali. (Fra l'altro, nel 1969 feci osservazioni

fotoelettriche dell'asteroide Interamnia scoperto 60

anni prima dal Cerulli trovando che gira su se stesso in

circa 8 ore, ricerca che feci come omaggio alla città). Il

contributo ministeriale nei primi anni '60 era stato sen-

sibilmente accresciuto. Inoltre nel 1964 ottenni un inca-

rico di insegnamento all'Università di Roma - La Sa-

pienza.

Trattandosi di un corso classificato "semestrale", il cari-

co didattico era di 25 lezioni annue: potevo quindi so-

stenerlo senza eccessive assenze da Collurania. Una

particolare situazione favorevole nell'ambito dell'Astro-

fisica universitaria romana, mi consentì di addivenire

ad un accordo con quell'Università, per cui Collurania

si sarebbe servita del centro di calcolo elettronico uni-

versitario e in cambio avrebbe ospitato studenti per

esercitazioni e per svolgimento di tesi di laurea. A tal

fine furono adattati ad uso di foresteria preesistenti

locali. Si direbbe che in quell'accordo ci fu un dare ed

un avere: in realtà fu per Collurania tutto un avere, per-

ché la presenza di studenti qualificati è linfa vitale per

un istituto scientifico. I primi studenti furono ospitati

nel 1965. Oggi in alcuni dei più prestigiosi Istituti a-

stronomici mondiali - quali i centri che gestiscono i

satelliti artificiali astronomici e le sonde inviate ad e-

splorare il sistema planetario - si trovano con funzioni

direttive diversi ricercatori che hanno avuto il battesi-

mo del cielo a Collurania.

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

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annunciavano una scoperta nel cielo, di reperire sulle

carte astronomiche la posizione dell'oggetto celeste,

puntare mediante le coordinate il telescopio, scegliere

nel cielo i necessari riferimenti fotometrici e intrapren-

dere le adeguate osservazioni. E sempre con un'abnega-

zione entusiastica, instancabile, sempre disposto ad

approntare gli strumenti, ad osservare il cielo.

Un paio di volte ci siamo trovati io e lui a passare la

notte di capodanno nella cupola aperta verso il cielo. In

tempi più recenti diverse sono le pubblicazioni scientifi-

che in cui il suo nome appare fra gli autori. È stato in-

dubbiamente il miglior tecnico meccanico di tutti gli

osservatori italiani. Negli anni novanta è stato chiama-

to a far parte di due spedizioni scientifiche nell'Antarti-

de.

Rodolfo Patriarca prese servizio nel 1966, dapprima

con una borsa di addestramento del CNR più volte rin-

novata, poi, quando fu accresciuto l'organico del perso-

nale, come tecnico calcolatore di ruolo.

Personalità del tutto diversa, ma pari a Di Paolantonio

per abnegazione ed entusiasmo. Aveva il compito preci-

puo di svolgere presso il centro di calcolo dell'Universi-

tà di Roma, a Frascati, dove si recava spessissimo, i

calcoli che approntava a Collurania. E svolgeva anche

con competenza ed estrema diligenza le mansioni di

bibliotecario. Purtroppo un malaugurato incidente stra-

dale ci privò, nel 1982, della sua collaborazione e della

sua presenza. Nel ventennale della sua scomparsa

scrissi su un periodico locale una memoria che qui de-

sidero rileggere. Premetto che quando incontrai Patri-

arca, il CNR aveva istituito una borsa di addestramento

per tecnico calcolatore da fruire presso l'Osservatorio di

Teramo e si era in attesa da un giorno all'altro della

pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del bando di con-

corso.

Di Paolantonio e Patriarca sono state due colonne por-

tanti per l'osservatorio. Senza di loro il mio progetto

sarebbe fallito. A questo punto bisogna dire che fui

alquanto incosciente ad affrontare quella scommessa.

Quali garanzie avevo di potermi valere di collaboratori

all'altezza di Di Paolantonio e di Patriarca? Non solo

nessuna garanzia, molto peggio: scarsa probabilità.

D'altra parte nell'assunzione del personale ho sempre

seguito un rigoroso criterio di idoneità alla mansione.

Non ho mai dato ascolto a sollecitazioni né tantomeno a

valutazioni di colore politico.

Nel 1986 Collurania, pochi anni dopo che io mi ero tra-

sferito a Roma essendo stato nominato professore asso-

ciato di Spettroscopia, anni in cui fu guidata diretta-

mente dal professore di Napoli Mario Rigutti, riottenne

la piena autonomia, con un proprio direttore di ruolo. E

in mano ad uomini di valore come Vittorio Castellani,

Amedeo Tornambé e Oscar Straniero, che fra l'altro

l'hanno dotata di un più potente e moderno telescopio,

si è saldamente inserita nell'ambiente scientifico inter-

nazionale. Una promozione di Collurania molto al di là

di quanto ero arrivato ad ottenere io. In altre parole, io

ho solo iniziato l'opera di rinascita. È merito loro averla

pienamente realizzata.

È con grande rimpianto che ricordo Vittorio Castel-

lani, il primo della nuova serie di Direttori e che ci ha

lasciati pochi mesi or sono. A lui vada il nostro pensie-

ro riconoscente per l'impulso dato a Collurania. Uomo

di grande valore scientifico e di grande umanità, valo-

rizzava i talenti che lo circondavano fu il primo infatti

ad inserire il personale scientifico e tecnico dell'Osser-

vatorio in programmi internazionali di ricerca ad ele-

vato livello.

Qui è da dire che se posso ritenere di aver vinto la

scommessa è perché ho avuto la fortuna di valermi di

due preziosi impareggiabili collaboratori. Il tecnico

Agostino di Paolantonio ed il calcolatore Rodolfo Patri-

arca. Nel 1960 stava per andare in pensione il tecnico

Pasquale Ciceroni che prestava servizio nell'officina

meccanica di Collurania fin dai tempi del Cerulli. Un

collaboratore valido e devoto. Il problema della sostitu-

zione si presentò difficile.

Dopo oltre un anno di ricerche a pieno campo nessuno

dei numerosi candidati che si erano presentati era ap-

parso all'altezza del compito. Un bel giorno - ricordo

che fu immediatamente dopo l'eclisse di Sole del 1961 -

si presentò spontaneamente il ventottenne Di Paolanto-

nio, che era stato capo officina della Bassetti. Mi resi

conto subito che poteva essere l'uomo adatto e dopo un

breve periodo di prova fu assunto. Ed è lui che ha co-

struito la parte meccanica del fotometro da applicare al

telescopio, opera quanto mai delicata. Si mostrò capa-

cissimo, di grande competenza ed abilità, ma andando

assai al di là della sua specifica mansione, acquisì le

nozioni astronomiche di base arrivando ad usare auto-

nomamente il telescopio. In mia assenza, era in grado

di decodificare i telegrammi cifrati che da Washington

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Dirò che da dirigenti locali del Partito Comunista

mi fu garbatamente rimproverato per non avere mai

fatto assunzioni proposte da quella parte. Cari amici -

fu in sintesi la risposta - dovevate presentarmi persone

idonee!

La massima oculatezza nelle assunzioni era imposta

anche dall'estrema scarsità del personale. La situazione

cominciò a migliorare nel 1966 quando fu possibile di-

sporre di un tecnico calcolatore retribuito con borse di

addestramento del CNR (Patriarca, appunto). Ma solo

nel 1970 si ebbe un forte allargamento dell'organico

ministeriale che salì a 9 unità fra cui finalmente un ad-

detto all'amministrazione che fino ad allora era rimasta

a mio carico, nonché un secondo posto di astronomo

che io affidai al dottor Roberto Burchi, ex studente ro-

mano che aveva svolto la sua tesi a Collurania. Con tale

apporto la produzione scientifica si incrementò sensi-

bilmente. Durante la mia epoca Burchi lavorò con il

vecchio strumento del Cerulli pubblicando numerosi

risultati; in seguito, fino ad anni recentissimi, ha lavo-

rato con il nuovo più potente telescopio istallato dai

miei successori. Lavoro che è sfociato in numerose pub-

blicazioni apparse nelle più quotate riviste astronomi-

che internazionali.

Inoltre nello stesso anno 1970 Collurania fu dichiarata

sede di un'unità di ricerca del CNR e ciò apportò finan-

ziamenti ed utilizzazione di ulteriore personale, sia pu-

re con contratti a tempo determinato. Fra i collaborato-

ri scientifici durante la mia epoca ricorderò il prof. Gino

Fulgenzi, teramano, anche lui tragicamente scomparso

alcuni anni fa lasciando un forte rimpianto. Laureato

all'Aquila con una tesi svolta a Collurania fu collabora-

tore a contratto, ma in precedenza, per alcuni anni, se-

guendo la sua inclinazione per le scienze astronomiche,

era stato collaboratore volontario a titolo gratuito,

quando ancora non c'era prospettiva di contratti, ed ha

compiuto numerose osservazioni col telescopio fotogra-

fico. Ricorderò ancora il dott. Renato De Santis, pure

teramano, che ci ha prematuramente lasciati pochi anni

or sono. Laureato in economia e commercio, ma dotato

di un'acuta mente matematica, collaborò - attraverso

borse di addestramento e contratti del CNR - compien-

do osservazioni al telescopio e studi teorici. Laureatosi

in Astronomia a Bologna non poté entrare nel persona-

le di ruolo per il superamento dei limiti di età. Sarebbe

stato un apporto prezioso data la sua attitudine alle de-

A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1

Memoria di Rodolfo Patriarca pubblicata su Piazza

Grande nel 2002

In ricordo di Rodolfo Patriarca

Il 2 febbraio scorso si sono compiuti vent'anni dalla

tragica scomparsa di Rodolfo Patriarca. Aveva 38 anni e

l'ingenuo candore di un ragazzo. Lo avevo conosciuto

per caso, nel 1966, quando a porta Romana mi chiese un

passaggio in direzione della Specola. Da poche parole di

conversazione intuii che aveva attitudini che ne avreb-

bero fatto l'ottimo tecnico calcolatore di cui l'Osservato-

rio di Collurania aveva bisogno. Preso servizio nell'esta-

te di quell'anno con una borsa di addestramento del

CNR, divenne in breve un validissimo e prezioso colla-

boratore. Ben presto ottenne dal Ministero della Pub-

blica Istruzione l'incarico del servizio e pochi anni dopo,

vinto il concorso, entrò a far parte del personale di ruo-

lo. Le sue mansioni istituzionali erano il coordinamento

e l'esecuzione della gran mole di calcoli necessaria per

sfruttare i dati di osservazione raccolti in gran copia,

notte per notte, con il telescopio. Ma la sua efficienza

era tale che insieme assolveva con competenza e entu-

siasmo la mansione di bibliotecario. Non un semplice

seppur efficiente esecutore; ma uno scrupoloso, assiduo,

entusiasta collaboratore. Senza mai guardare orologio e

calendario, faceva sue le esigenze del servizio; instanca-

bile, si alternava fra il suo ufficio a Collurania ed il Cen-

tro di calcolo dell'Università di Roma, a Frascati. Era

una colonna portante dell'Istituto. Timido ed insieme

intraprendente, ingenuo e insieme sagace, sempre in-

daffarato e sempre disponibile, portava nella compagi-

ne dell'Osservatorio il calore della sua fresca umanità.

Il maledetto incidente stradale del 2 febbraio 1982

che gli troncò la vita, lo strappò all'amore della giovane

moglie ed al futuro amore della figlia nascitura. E causò

una grave perdita per l'Osservatorio. Ma ancor più grave

fu la ferita nel cuore di tutti noi che per anni avevamo

lavorato con lui. Un rimpianto che i due decenni tra-

scorsi non hanno attutito e che ho sentito il bisogno di

esprimere pubblicamente nel ricordo del suo sorridente

entusiasmo.

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duzioni teoriche, ma comunque continuò fino all'ultimo

con le sue collaborazioni a tempo determinato, collabo-

razioni sfociate in numerose pubblicazioni su Riviste

internazionali. Con lui rimpiango uno studioso di alto

livello ed un caro amico.

Se Di Paolantonio e Patriarca sono stati due pietre an-

golari, non è che non sia stata importante anche l'opera

degli altri collaboratori. Il mio ringraziamento va a tut-

to il personale, sia stabile che temporaneo a contratto,

che durante la mia gestione ha prestato la sua opera

con capacità e diligenza sopportando e assecondando

le mie esigenze che so essere state sempre severe. E

inoltre è qui gradito dovere ricordare un amico dell'Os-

servatorio. Il rag. Enrico Adriano che negli anni in cui

ancora mancava il segretario-amministratore fornì vo-

lontariamente e disinteressatamente una prestazione

indispensabile. Io tenevo alla buona un brogliaccio del-

le entrate e delle uscite: poi alla fine dell'anno fornivo

ad Adriano i dati tolti dal brogliaccio e lui approntava

secondo le forme previste dalla legge il complicato bi-

lancio da presentare al Consiglio di Amministrazione e

poi alla Corte dei Conti. Anche Adriano è scomparso, ed

a lui va l'espressione della mia gratitudine. E non pos-

so non menzionare il valido sostegno alle mie iniziative

dato dal Consiglio di Amministrazione, costantemente

costituito oltre che da chi vi parla, dall'avv. Riccardo

Cerulli, pronipote del fondatore dell'Osservatorio e dal

dott. Luigi Anepeta, direttore della Ragioneria Provin-

ciale, oggi entrambi scomparsi. Due uomini egregi, che

ricordo con molta gratitudine. L'avvocato Cerulli è stato

inoltre uno strenuo sostenitore, fino al successo finale,

di tutte le iniziative volte a ridare a Collurania un pro-

prio direttore di ruolo, conformemente alla volontà del

fondatore. A lui, uomo di vedute moderne ma con la

nobiltà caratteriale del gentiluomo ottocentesco, vada il

nostro grande apprezzamento e il profondo rimpianto.

Qui si dirà che questa mia allocuzione è piena di rim-

pianti. È la condizione ineluttabile della mia età. A

quest'età ci si guarda attorno e si vede un panorama

cosparso di rimpianti.

Come ho già detto, il mio inserimento nella città è

stato completo. Non mi sono mai sentito forestiero. Ho

partecipato alla vita cittadina sia come consigliere co-

munale quale indipendente nel gruppo comunista, sia

come esponente del Centro culturale Gramsci, creatura

di Pasquale Limoncelli. Istituito nel 1961, il Centro

Gramsci, grazie all'infaticabile zelo di Limoncelli, svolse

Pagina 33

intensa attività chiamando a Teramo numerosi espo-

nenti della cultura nazionale nel campo dell'arte, della

storia, dello spettacolo, della scienza, raggiungendo in

pochi anni notevole prestigio e notorietà anche fuori

dall'ambito regionale. Militante della Sinistra in una

città a maggioranza bianca, ho sempre avuto ottimi rap-

porti con gli esponenti del governo cittadino. Sono sta-

to consigliere con due sindaci: Carino Gambacorta

(anche lui purtroppo ci ha lasciati) e Ferdinando Di

Paola: di entrambi conservo un ottimo ricordo. Gli

scontri politici, anche vivaci, non hanno mai sconfinato

nell'ambito personale se non per esprimere reciproca

stima. E posso dire che non sono mai stato ostacolato

né nella mia veste di direttore dell'Osservatorio né in

quella di privato cittadino. Anzi ovunque, in tutti gli

ambienti della città mi sono sempre sentito accolto

con cordiale e talvolta affettuoso rispetto.

E qui mi è grato ricordare la cordiale ed affettuosa

accoglienza di cui anche la compagna della mia vita si è

sentita circondata in tutti gli ambienti cittadini. La

splendida ragazza che incontrai 66 anni fa e che ha pa-

gato lungo una vita il prezzo della mia totale dedizione

alla scienza, al lavoro. Un prezzo che ha pagato anche

mentre io mi adoperavo per vincere la scommessa su

Collurania. L'età avanzata la trova ancora attiva e viva-

ce ma non le consente assenze da casa e soprattutto

lunghi viaggi. Per questo non è qui fra noi e se ne ram-

marica. Porto a tutti l'espressione del suo grato ricordo

ed il suo saluto affettuoso.

Come ho detto all'inizio, ho amato molto Collurania

e la città di Teramo. E mi sono sentito corrisposto dalla

cordiale stima dei cittadini. L'avermi conferito la citta-

dinanza è un onore che accetto di buon grado, anche se

non so quanto meritato, proprio come manifestazione

di questo sentimento reciproco. Ringrazio ancora il

Sindaco Giovanni Chiodi, ringrazio i Consiglieri per

tanto onore, ringrazio i presenti. Vorrei che fossero qui

oggi i tanti teramani scomparsi che mi hanno onorato

della loro amicizia. Vorrei farne i nomi ma mi astengo

per evitare le omissioni che certamente farei.

A novant'anni di età - li compio fra breve, il prossi-

mo marzo - mi guardo addietro e rivedo il mondo che

mi circondava nella mia adolescenza, nella mia gioven-

tù fiorentina. Accanto a questi ricordi, incancellabili e

struggenti, ci sono quelli, pure incancellabili, della mia

vita teramana. I ricordi della vostra e mia città, i ricordi

della mia e vostra Collurania”.

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Ecco i Video dell’installazione del telescopio REGINATO di 60 cm all’Osservatorio di Cervarezza (RE):

http://www.youtube.com/watch?v=n-o6CF6RBqA

http://www.youtube.com/watch?v=5HJd2VJdja0

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In ricordo di Angioletta Coradini

“Se ne va una delle menti più brillanti nell’immaginare

missioni e strumenti innovativi e più coscienziose

nell’analizzarne i dati e porli nel proprio contesto scien-

tifico”, ha commentato a caldo il Chief Scientist

dell’Agenzia Spaziale Italiana Enrico Flamini. ”Tuttavia

– ha sottolineato Flamini – il suo esempio e il largo nu-

mero di giovani formatisi alla sua scuola donano

all’Italia le basi solide necessarie al compimento di mis-

sioni di lunga durata, una per tutte Rosetta. Di quello

che finora abbiamo scoperto e scopriremo nei prossimi

anni le saremo per sempre grati”.

Con Angioletta Coradini “scompare una grande scien-

ziata italiana”: così il neo-presidente dell’Istituto nazio-

nale di Astrofisica (INAF), Giovanni Bignami, ricorda la

planetologa, “un’amica e una collega” con la quale ha

collaborato sia nell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), sia

nell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).

Angioletta, Nata a Rovereto (Trento) il primo luglio

1946, ha sempre lavorato a Roma, dove si era laureata

in Fisica nel 1970, prima nell’università La Sapienza,

poi presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e

infine presso l’INAF.

E’ stata una delle protagoniste della ricerca astronomi-

ca italiana e tra i primi ricercatori al mondo a studiare

le rocce lunari portate a Terra dalle missioni Apollo.

Direttrice dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplane-

tario dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (IFSI-INAF),

può essere considerata “la signora dei pianeti” per il

prestigio e la competenza che ha dimostrato fin

dall’inizio della sua carriera.

Si devono alle ricerche di Angioletta Coradini “gli occhi”

che stanno osservando Marte e Venere a bordo delle

missioni dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) Mars

Express e Venus Express. Si deve infatti al suo gruppo

la progettazione dello spettrometro Virtis (Visible and

Infrared Thermal Imaging Spectrometer), che si trova

anche a bordo della sonda dell’Esa Rosetta, in viaggio

verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, dove il

suo arrivo è previsto nel 2014.