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Economia e politica nel mondo Settembre - dicembre 2014 Risposto da Roberto Zanre' su 1 Settembre 2014 a 0:08 Non eri quello ferrato coi numeri? :-) :-) Scherzo dai :-) :-) Se non si segue la discussione è difficile capirci qualcosa. Lo so. E io sono stanco di ripetere sempre le stesse cose. Che dici, diciamo un bel chissenefrega? Non avevi detto che passavi per i Colli Euganei? giorgio varaldo ha detto: roberto sorry in questo aggrovigliolamento non ci ho capito una fava Risposto da Roberto Zanre' su 2 Settembre 2014 a 20:03 Anche la Svizzera non cresce: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-09-02/svizzera-pil-quot... Risposto da giovanni de sio cesari su 2 Settembre 2014 a 21:40 Per chi fosse eventualmente interessato Ho pubblicato in italiano il proclama istitutivo dello Stato islamico Riporto l’introduzione di seguito Per leggere il testo :http://www.americacallsitaly.org/politica/from%20isis%20to%20is%20.htm Pubblichiamo di seguito la traduzione di una parte del proclama che ha istituito il califfato dello Stato Islamico, gia prima noto con l’acronico di ISIS (o ISIL ) operante fra Siria e Iraq. "Riteniamo importante leggere direttamente documenti del genere perchè essi solo ci possono dare una idea del clima culturale e psicologico in cui le vicende avvengono, un clima che è estremamente lontano dalla nostra moderna sensibilità occidentale. Il documento all’inizio non si scosta da altri consimili di altre consimili organizzazioni jihadiste. Il presupposto è che solo l’islam (cioè l’abbandono alla volontà di Dio) può dare all’uomo non solo il paradiso nell’altro mondo, ma anche felicità e prosperità in questo. Il popolo arabo era arretrato e misero : ma poichè hanno ascoltato la voce di Dio (il corano) divennero i conquistatori e dominatori del mondo, furono non solo i più prosperi ma anche i piu elevati culturalmente. Da quando hanno cominciato ad abbandonare la strada tracciato da Dio (shari’a) e sono stati sedotti dai modelli dei miscredenti occidentali (di satana) allora hanno cominciato a decadere. Solo il rifiuto radicale dei modelli occidentali ( la democrazia, il laicismo. lo stato nazionale) e il ritorno integrale ai comportamenti delle origini (salaf) possono porre termine al l’umiliazione e alla miseria e riportare i credenti nel vero Dio al ruolo che spetta loro che sono i “migliori”. Di particolare nel proclama vi è il ritorno al califfato. I califfi erano i successori di Maometto alla guida della ummah ( comunita dei fedeli) e anche quando poi si istituirono di fatto molteplici stati islamici indipendenti tuttavia mantennero un loro ruolo ideale, un po come gli imperatori cristiani medioevali. Il califfato, passato in ultimo al sultano turco, fu abolito nel 1924 ai tempi della rivoluzione laicista di Kemal Ataturk. Il califfo dovrebbe riunire tutti i

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Economia e politica nel mondo Settembre - dicembre 2014

Risposto da Roberto Zanre' su 1 Settembre 2014 a 0:08 Non eri quello ferrato coi numeri? :-) :-) Scherzo dai :-) :-) Se non si segue la discussione è difficile capirci qualcosa. Lo so. E io sono stanco di ripetere sempre le stesse cose. Che dici, diciamo un bel chissenefrega? Non avevi detto che passavi per i Colli Euganei? giorgio varaldo ha detto: roberto sorry in questo aggrovigliolamento non ci ho capito una fava

Risposto da Roberto Zanre' su 2 Settembre 2014 a 20:03 Anche la Svizzera non cresce: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-09-02/svizzera-pil-quot...

Risposto da giovanni de sio cesari su 2 Settembre 2014 a 21:40 Per chi fosse eventualmente interessato Ho pubblicato in italiano il proclama istitutivo dello Stato islamico Riporto l’introduzione di seguito Per leggere il testo :http://www.americacallsitaly.org/politica/from%20isis%20to%20is%20.htm Pubblichiamo di seguito la traduzione di una parte del proclama che ha istituito il califfato dello Stato Islamico, gia prima noto con l’acronico di ISIS (o ISIL ) operante fra Siria e Iraq. "Riteniamo importante leggere direttamente documenti del genere perchè essi solo ci possono dare una idea del clima culturale e psicologico in cui le vicende avvengono, un clima che è estremamente lontano dalla nostra moderna sensibilità occidentale. Il documento all’inizio non si scosta da altri consimili di altre consimili organizzazioni jihadiste. Il presupposto è che solo l’islam (cioè l’abbandono alla volontà di Dio) può dare all’uomo non solo il paradiso nell’altro mondo, ma anche felicità e prosperità in questo. Il popolo arabo era arretrato e misero : ma poichè hanno ascoltato la voce di Dio (il corano) divennero i conquistatori e dominatori del mondo, furono non solo i più prosperi ma anche i piu elevati culturalmente. Da quando hanno cominciato ad abbandonare la strada tracciato da Dio (shari’a) e sono stati sedotti dai modelli dei miscredenti occidentali (di satana) allora hanno cominciato a decadere. Solo il rifiuto radicale dei modelli occidentali ( la democrazia, il laicismo. lo stato nazionale) e il ritorno integrale ai comportamenti delle origini (salaf) possono porre termine al l’umiliazione e alla miseria e riportare i credenti nel vero Dio al ruolo che spetta loro che sono i “migliori”. Di particolare nel proclama vi è il ritorno al califfato. I califfi erano i successori di Maometto alla guida della ummah ( comunita dei fedeli) e anche quando poi si istituirono di fatto molteplici stati islamici indipendenti tuttavia mantennero un loro ruolo ideale, un po come gli imperatori cristiani medioevali. Il califfato, passato in ultimo al sultano turco, fu abolito nel 1924 ai tempi della rivoluzione laicista di Kemal Ataturk. Il califfo dovrebbe riunire tutti i

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Economia e politica nel mondo III - 2014

mussulmani superando fazioni, nazionalismi e divisioni per creare un unico stato islamico. In realtù appare del tutto ingiustificato che un califfo sia eletto da una oscura assemblea (dell’ISIS ) che elegge un personaggio altrettanto oscuro (al Al-Baghdadi): ci sarebbe bisogno almeno di un pronunciamento generale del mondo islamico attraverso le sue più prestigiose autorità che invece si sono tutte dichiarate contrarie. Nella seconda parte del documento , che per brevità non riportiamo, si cerca di rispondere a questa obiezione affermando che le condizioni contingenti non rendono possibile una tale consultazione e che i successi che riporteranno giustificherà la scelta: nel frattempo si fa però obbligo a tutti i mussulmani di dare supporto al califfo . quelli che non lo faranno saranno sgozzati o sventrati Tra parentesi in corsivo riportiamo vari chiarimenti su termini e usi, non sempre noti

Risposto da giovanni de sio cesari su 2 Settembre 2014 a 21:46 Roberto mi pare di essere d’accordo con te quanto dici . tuttavia, come giustamente osservi, bisogna che chiariamo bene quello che diciamo: mi riprometto di farlo la prossima volta Roberto Zanre' ha detto: Giovanni, non credo fosse questo il senso di quello che ho scritto, che mi sembra completamente travisato (ma, evidentemente, sono io che non so spiegarmi). Faccio un esempio, sperando di avere più fortuna di altre volte: il Califfo arringa la folla, i suoi soldati, i simpatizzanti, i credenti, eccetera. Li arringa giocando sull'emotività e le componenti irrazionali dell'uomo. Parlerà di Dio, di infedeli, del paradiso, della guerra santa, dell'occidente che è satana, eccetera. Farà leva cioè su argomenti che accendono l'adrenalina e la carica emotiva. Tra i suoi ascoltatori poi arruola i combattenti e i fiancheggiatori, eccetera. Anche i nessi logici che userà spesso saranno solo apparenti (come fanno tutti i politici). Non mi aspetto che lui abbia gli stessi obiettivi dettati dai discorsi che fa. Lui ha ben chiaro il vero obiettivo. Poiché è possibile immaginare che abbia almeno il sospetto che non potrà raggiungere la vittoria militare, è possibile immaginare che ritenga utile arrivare ad un altro obiettivo. Chiamiamolo secondario. Io ho fatto una proposta possibile. La creazione di un sentimento collettivo più forte di quello che c'è già ora tra i musulmani sparsi per il Mondo: chiamiamolo "Califfato virtuale", innestato nel seno delle nostre società. Può essere una sciocchezza quello che ho scritto, va bene lo stesso. Un motivo B c'è senz'altro. Sciocco o intelligente, non ha importanza. D'altra parte, in un post qui sopra hai appena scritto che esistono i "pretesti", la "propaganda" (sono cose che dico da tre mesi... vorresti dire che la propaganda non serve per agire sulla componente emotiva e irrazionale degli uomini?) e poi esistono imotivi "veri" (penso si possa dire che i motivi veri sono noti a chi ha il potere, giusto? Oppure non li conoscono nemmeno i governanti? Non mi sembra una posizione plausibile). Sinceramente, molti degli interventi che si stanno facendo ultimamente non fanno altro che ribadire quello che molti di noi sostengono da molto tempo (venendo definiti, a seconda dei casi e un po' in contraddizione, sognatori, dietrologisti, complottisti). Volevo ben dire, infatti, che tra persone colte e intelligenti non condividessimo queste banalità !

Risposto da Roberto Zanre' su 3 Settembre 2014 a 0:02 ... e se lo dice Kissinger, forse dovremmo un po' riflettere anche noi. Grazie Laura per questo contributo. laura sgaravatto ha detto: Analisi di Henry Kissinger sulla crisi del modello Occidentale Pubblicato il 2 settembre 2014 da Giuseppe Spadaro 21 3

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0 4 Henry Kissinger al Corriere parla della crisi che attraversa il modello dei Paesi Occidentali: “Il concetto di ordine mondiale che ha governato sinora i rapporti internazionali è entrato in una crisi irreversibile“. Per il politico statunitense di origine tedesca e membro del partito repubblicano “gli anni che vanno all’incirca dal 1948 al nuovo secolo hanno segnato un breve periodo nella Storia umana in cui si è assistito alla nascita di un ordine mondiale composto da un amalgama di idealismo americano e di concezioni tradizionali europee, per quel che riguarda la sovranità degli Stati e l’equilibrio del potere” tuttavia, “vaste aree del pianeta non hanno mai veramente condiviso tali principi”. “E ora, prosegue, l’ordine stabilito e proclamato dall’Occidente si trova oggi a un punto di svolta”. Kissinger giudica un “fallimento” l’assenza di “un meccanismo efficace a disposizione delle grandi potenze per consultarsi e adottare misure collaborative sui problemi più urgenti e drammatici” al posto degli attuali “vertici multilaterali” occorre invece procedere “dietro la spinta di convinzioni condivise”, pena non tanto “una guerra tra Stati (anche se questo è un rischio reale in alcune regioni), quanto un’ evoluzione verso sfere di influenza contraddistinte da particolari strutture interne e forme di governo” e “una conflittualità protratta tra regioni”. Kissinger segnala l’urgenza di “un ordine mondiale di Stati in grado di garantire governi partecipativi e dignità individuale, e disposti a collaborare sullo scacchiere internazionale rispettando regole condivise”. Da parte loro gli Stati Uniti dovranno fare “una riflessione su due livelli apparentemente contraddittori. L’attuazione di principi universali dovrà essere accompagnata dal riconoscimento della realtà di altre regioni, ognuna con la sua storia, la sua cultura e la necessità di tutelare la propria sicurezza”.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 6 Settembre 2014 a 1:01 Esportazione dello sviluppo, come esportazione della democazia? http://comune-info.net/2014/09/guardiane-vita/

Risposto da Giampaolo Carboniero su 6 Settembre 2014 a 1:43 Dove ci porterà "questo" tipo di sviluppo, si può ancora definire progresso? http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/07/ecuador-trivelle-e-illeg...

Risposto da giovanni de sio cesari su 6 Settembre 2014 a 22:18 Roberto Con ritardo ritorno sul complottismo. Sono assolutamente d’accordo con te che esiste la propaganda, i pretesti, che alcuni elementi sono enfatizzati oltre ogni misura e altri sottaciuti oltre ogni misura, che esiste quindi una frattura fra quelli che dirigono (diciamo cosi) e quelli che seguono. Io direi anche che non si tratta di un fatto particolare di questa o quella situazione, ma che si proprio di una struttura della politica. Dicevo ad esempio che i grillini mostrano di non avere alcuna capacità politica proprio perché sembrano non aver capito questo fatto (parlavo a proposito di Di Battista) Infatti ogni autorità politica ha bisogno del consenso e la maggior parte delle persone non sono in grado di approfondire difficili questioni. Tuttavia quando si parla di complottismo ci si riferisce di solito a un altra cosa: che gli avvenimento sarebbero mossi da intenzioni e fatti sconosciuti e non dalle cause storicamente definibili. Faccio qualche esempio.

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Certamente Cavour fece finta di non sapere, di non appoggiare i Garibaldini e poi con la scusa di aiutarli in pratica li emarginò (e Garibaldi fini a Caprera): insieme di propaganda e falsità che comunemente viene definita grande abilità politica. Ma il complottismo sarebbe pensare che il regno di Napoli sarebbe caduto perche i generali napoletani sarebbero stati corrotti dal danaro inglese. Cosi, come dicevo, Hitler cominciò la II GM liberando Danzica (che infatti lo accolse con entusiasmo). Sarebbe complottismo però pensare la II GM sarebbe nata dai fabbricanti di cannoni degli ambienti plutocratici e giudaici (convinzione ancora corrente presso gli arabi). Passando all’ISIS (IS), si intende che la decapitazione venga enfatizzata il più possibile per fare accettare all’opinione pubblica recalcitrante un intervento militare. Il complottismo sarebbe pensare che lo sgozzatore sia un agente della Cia. Sono cose diverse: nei primi casi la propaganda accompagna una politica storicamente ben rintracciabile (unità con la monarchia per Cavour, conquista dello spazio vitale per Hitler, re la minaccia dei salafiti), mentre nei secondi gli avvenimenti avrebbero una causa del tutto nascosta. Si pensa che una sparuta minoranza , anzi pochi individui, una spectra formata da capitalisti, generali, cardinali e altri malvagi muoverebbe il mondo intero. Non che i complotti non esistano; anzi un gran numero di persone crede di poter cambiare il mondo con complotti. Ma in generale i complotti hanno scarso o nessun risultato. Nessuno storico infatti spiega gli avvenimenti storici con oscuri complotti, ma tutti esaminando le cause che si vedono. La fortuna del complottismo nasce dal fatto che poiché si tratta di fatti non conosciuti per definizione non sono nemmeno confutabili. Si può discutere all’infinito con un complottista in modo inconcludente. Il rigetto del complottismo va fatto su un piano logico e storiografico. Roberto Zanre' ha detto: Giovanni, non credo fosse questo il senso di quello che ho scritto, che mi sembra completamente travisato (ma, evidentemente, sono io che non so spiegarmi). Faccio un esempio, sperando di avere più fortuna di altre volte: il Califfo arringa la folla, i suoi soldati, i simpatizzanti, i credenti, eccetera. Li arringa giocando sull'emotività e le componenti irrazionali dell'uomo. Parlerà di Dio, di infedeli, del paradiso, della guerra santa, dell'occidente che è satana, eccetera. Farà leva cioè su argomenti che accendono l'adrenalina e la carica emotiva. Tra i suoi ascoltatori poi arruola i combattenti e i fiancheggiatori, eccetera. Anche i nessi logici che userà spesso saranno solo apparenti (come fanno tutti i politici). Non mi aspetto che lui abbia gli stessi obiettivi dettati dai discorsi che fa. Lui ha ben chiaro il vero obiettivo. Poiché è possibile immaginare che abbia almeno il sospetto che non potrà raggiungere la vittoria militare, è possibile immaginare che ritenga utile arrivare ad un altro obiettivo. Chiamiamolo secondario. Io ho fatto una proposta possibile. La creazione di un sentimento collettivo più forte di quello che c'è già ora tra i musulmani sparsi per il Mondo: chiamiamolo "Califfato virtuale", innestato nel seno delle nostre società. Può essere una sciocchezza quello che ho scritto, va bene lo stesso. Un motivo B c'è senz'altro. Sciocco o intelligente, non ha importanza. D'altra parte, in un post qui sopra hai appena scritto che esistono i "pretesti", la "propaganda" (sono cose che dico da tre mesi... vorresti dire che la propaganda non serve per agire sulla componente emotiva e irrazionale degli uomini?) e poi esistono imotivi "veri" (penso si possa dire che i motivi veri sono noti a chi ha il potere, giusto? Oppure non li conoscono nemmeno i governanti? Non mi sembra una posizione plausibile). Sinceramente, molti degli interventi che si stanno facendo ultimamente non fanno altro che ribadire quello che molti di noi sostengono da molto tempo (venendo definiti, a seconda dei casi e un po' in contraddizione, sognatori, dietrologisti, complottisti). Volevo ben dire, infatti, che tra persone colte e intelligenti non condividessimo queste banalità !

Risposto da Giampaolo Carboniero su 7 Settembre 2014 a 2:17 Giovanni, non sempre c'è la tracciabilità delle ragioni o delle opportunità nelle decisioni politiche; nel momento in cui Bush dichiarava il possesso delle armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein, veniva tacciato di complottismo chi dissentiva,dando motivazioni diverse; il tempo poi ha dimostrato chi aveva ragione. Forse dipende

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dalla qualità e quantità di mezzi di persuasione di cui qualche politico dispone e dalla segretezza delle sue azioni il fatto che le ragioni della propria politica siano diversamente considerate. giovanni de sio cesari ha detto: Roberto Con ritardo ritorno sul complottismo. Sono assolutamente d’accordo con te che esiste la propaganda, i pretesti, che alcuni elementi sono enfatizzati oltre ogni misura e altri sottaciuti oltre ogni misura, che esiste quindi una frattura fra quelli che dirigono (diciamo cosi) e quelli che seguono. Io direi anche che non si tratta di un fatto particolare di questa o quella situazione, ma che si proprio di una struttura della politica. Dicevo ad esempio che i grillini mostrano di non avere alcuna capacità politica proprio perché sembrano non aver capito questo fatto (parlavo a proposito di Di Battista) Infatti ogni autorità politica ha bisogno del consenso e la maggior parte delle persone non sono in grado di approfondire difficili questioni. Tuttavia quando si parla di complottismo ci si riferisce di solito a un altra cosa: che gli avvenimento sarebbero mossi da intenzioni e fatti sconosciuti e non dalle cause storicamente definibili. Faccio qualche esempio. Certamente Cavour fece finta di non sapere, di non appoggiare i Garibaldini e poi con la scusa di aiutarli in pratica li emarginò (e Garibaldi fini a Caprera): insieme di propaganda e falsità che comunemente viene definita grande abilità politica. Ma il complottismo sarebbe pensare che il regno di Napoli sarebbe caduto perche i generali napoletani sarebbero stati corrotti dal danaro inglese. Cosi, come dicevo, Hitler cominciò la II GM liberando Danzica (che infatti lo accolse con entusiasmo). Sarebbe complottismo però pensare la II GM sarebbe nata dai fabbricanti di cannoni degli ambienti plutocratici e giudaici (convinzione ancora corrente presso gli arabi). Passando all’ISIS (IS), si intende che la decapitazione venga enfatizzata il più possibile per fare accettare all’opinione pubblica recalcitrante un intervento militare. Il complottismo sarebbe pensare che lo sgozzatore sia un agente della Cia. Sono cose diverse: nei primi casi la propaganda accompagna una politica storicamente ben rintracciabile (unità con la monarchia per Cavour, conquista dello spazio vitale per Hitler, re la minaccia dei salafiti), mentre nei secondi gli avvenimenti avrebbero una causa del tutto nascosta. Si pensa che una sparuta minoranza , anzi pochi individui, una spectra formata da capitalisti, generali, cardinali e altri malvagi muoverebbe il mondo intero. Non che i complotti non esistano; anzi un gran numero di persone crede di poter cambiare il mondo con complotti. Ma in generale i complotti hanno scarso o nessun risultato. Nessuno storico infatti spiega gli avvenimenti storici con oscuri complotti, ma tutti esaminando le cause che si vedono. La fortuna del complottismo nasce dal fatto che poiché si tratta di fatti non conosciuti per definizione non sono nemmeno confutabili. Si può discutere all’infinito con un complottista in modo inconcludente. Il rigetto del complottismo va fatto su un piano logico e storiografico. Roberto Zanre' ha detto: Giovanni, non credo fosse questo il senso di quello che ho scritto, che mi sembra completamente travisato (ma, evidentemente, sono io che non so spiegarmi). Faccio un esempio, sperando di avere più fortuna di altre volte: il Califfo arringa la folla, i suoi soldati, i simpatizzanti, i credenti, eccetera. Li arringa giocando sull'emotività e le componenti irrazionali dell'uomo. Parlerà di Dio, di infedeli, del paradiso, della guerra santa, dell'occidente che è satana, eccetera. Farà leva cioè su argomenti che accendono l'adrenalina e la carica emotiva. Tra i suoi ascoltatori poi arruola i combattenti e i fiancheggiatori, eccetera. Anche i nessi logici che userà spesso saranno solo apparenti (come fanno tutti i politici). Non mi aspetto che lui abbia gli stessi obiettivi dettati dai discorsi che fa. Lui ha ben chiaro il vero obiettivo. Poiché è possibile immaginare che abbia almeno il sospetto che non potrà raggiungere la vittoria militare, è possibile immaginare che ritenga utile arrivare ad un altro obiettivo. Chiamiamolo secondario. Io ho fatto una proposta possibile. La creazione di un sentimento collettivo più forte di quello che c'è già ora tra i musulmani sparsi per il Mondo: chiamiamolo "Califfato virtuale", innestato nel seno delle nostre società. Può essere una sciocchezza quello che ho scritto, va bene lo stesso. Un motivo B c'è senz'altro. Sciocco o intelligente, non ha importanza. D'altra parte, in un post qui sopra hai appena scritto che esistono i "pretesti", la "propaganda" (sono cose che dico da tre mesi... vorresti dire che la propaganda non serve per agire sulla componente emotiva e irrazionale degli uomini?) e

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poi esistono i motivi "veri" (penso si possa dire che i motivi veri sono noti a chi ha il potere, giusto? Oppure non li conoscono nemmeno i governanti? Non mi sembra una posizione plausibile). Sinceramente, molti degli interventi che si stanno facendo ultimamente non fanno altro che ribadire quello che molti di noi sostengono da molto tempo (venendo definiti, a seconda dei casi e un po' in contraddizione, sognatori, dietrologisti, complottisti). Volevo ben dire, infatti, che tra persone colte e intelligenti non condividessimo queste banalità !

Risposto da giovanni de sio cesari su 7 Settembre 2014 a 9:05 Giampaolo Ma io dicevo che bisogna intendersi sul significato di complottismo. Rilevare che le vere ragioni dell’intervento in Iraq era la convinzione che solo la democrazia avrebbe potuto tagliare alla radice il terrorismo era prendere atto di quello che Bush apertamente e chiaramente affermava: non c’entra il complottismo che invece affermava ad esempio che un bin laden era manovrato alla CIA, che il terrorismo era una invenzione USA e cose del genere. Negli esempi precedenti : tutti sapevano che Cavour aveva idee diverse dai garibaldini o che Hitler non voleva semplicemente liberare Danzica : Il complotto sarebbe la corruzione dei generali napoletani o i famigerati ambienti plutocratici e giudaici (contro l’oro, contro giuda sarà il sangue a far la storia, diceva un inno fascista) A margine Anche se Saddam non aveva armi atomiche, tuttavia vi era la reale possibilità che riuscisse a procurarsele e le passasse ad al qaeda, pericolo immane naturalmente. Lo stesso Saddam non volle collaborare a dare prove sicure. La cosa fu poi alcuni anni dopo spiegata da Tarek Aziz (il ministro caldeo) che spiegò che Saddam volle restare nell’ambiguità per timore dell’Iran che temeva piu degli USA confidando fino all’ultimo che avrebbe comunque fermato l’invasione divenendo un eroe del mondo arabo (io personalmente ricordo quanto questa idea fosse comune anche in Egitto e quanta incredulità e frustazione alla vittoria schiacciante degli Usa: se vuoi lo racconto). A riprova poi dell’assurdità delle tesi complottiste rilevo come la CIA non riusci nemmeno a far finta di aver trovato una qualche arma, cosa che io veramente ritenevo del tutto ovvio e semplice. Quelli che avrebbero organizzato addirittura il 9/11 non sarebbero stati capaci di portare una qualche arma nucleare in Iraq : una assurdità. In realta il ruolo della CIA è enfatizzato per opposte ragioni sia dai sostenitori che dagli avversari : gli insuccessi sono clamorosi continui direi quasi la regola. Ma questi sono dettagli che non c’entrano con il discorso generale sul complottismo. Giampaolo Carboniero ha detto: Giovanni, non sempre c'è la tracciabilità delle ragioni o delle opportunità nelle decisioni politiche; nel momento in cui Bush dichiarava il possesso delle armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein, veniva tacciato di complottismo chi dissentiva,dando motivazioni diverse; il tempo poi ha dimostrato chi aveva ragione. Forse dipende dalla qualità e quantità di mezzi di persuasione di cui qualche politico dispone e dalla segretezza delle sue azioni il fatto che le ragioni della propria politica siano diversamente considerate. giovanni de sio cesari ha detto: Roberto Con ritardo ritorno sul complottismo. Sono assolutamente d’accordo con te che esiste la propaganda, i pretesti, che alcuni elementi sono enfatizzati oltre ogni misura e altri sottaciuti oltre ogni misura, che esiste quindi una frattura fra quelli che dirigono (diciamo cosi) e quelli che seguono. Io direi anche che non si tratta di un fatto particolare di questa o quella situazione, ma che si proprio di una struttura della politica. Dicevo ad esempio che i grillini mostrano di non avere alcuna capacità politica proprio perché sembrano non aver capito questo fatto (parlavo a proposito di Di Battista) Infatti ogni autorità politica ha bisogno del consenso e la maggior parte delle persone non sono in grado di approfondire difficili questioni. Tuttavia quando si parla di complottismo ci si riferisce di solito a un altra cosa: che gli avvenimento sarebbero mossi da intenzioni e fatti sconosciuti e non dalle cause storicamente definibili. Faccio qualche esempio. Certamente Cavour fece finta di non sapere, di non appoggiare i Garibaldini e poi con la scusa di aiutarli in pratica li emarginò (e Garibaldi fini a Caprera): insieme di propaganda e falsità che comunemente viene definita grande abilità politica.

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Ma il complottismo sarebbe pensare che il regno di Napoli sarebbe caduto perche i generali napoletani sarebbero stati corrotti dal danaro inglese. Cosi, come dicevo, Hitler cominciò la II GM liberando Danzica (che infatti lo accolse con entusiasmo). Sarebbe complottismo però pensare la II GM sarebbe nata dai fabbricanti di cannoni degli ambienti plutocratici e giudaici (convinzione ancora corrente presso gli arabi). Passando all’ISIS (IS), si intende che la decapitazione venga enfatizzata il più possibile per fare accettare all’opinione pubblica recalcitrante un intervento militare. Il complottismo sarebbe pensare che lo sgozzatore sia un agente della Cia. Sono cose diverse: nei primi casi la propaganda accompagna una politica storicamente ben rintracciabile (unità con la monarchia per Cavour, conquista dello spazio vitale per Hitler, re la minaccia dei salafiti), mentre nei secondi gli avvenimenti avrebbero una causa del tutto nascosta. Si pensa che una sparuta minoranza , anzi pochi individui, una spectra formata da capitalisti, generali, cardinali e altri malvagi muoverebbe il mondo intero. Non che i complotti non esistano; anzi un gran numero di persone crede di poter cambiare il mondo con complotti. Ma in generale i complotti hanno scarso o nessun risultato. Nessuno storico infatti spiega gli avvenimenti storici con oscuri complotti, ma tutti esaminando le cause che si vedono. La fortuna del complottismo nasce dal fatto che poiché si tratta di fatti non conosciuti per definizione non sono nemmeno confutabili. Si può discutere all’infinito con un complottista in modo inconcludente. Il rigetto del complottismo va fatto su un piano logico e storiografico.

Risposto da Roberto Zanre' su 7 Settembre 2014 a 10:54 Direi anche che si potevano dire certe cose qualche anno fa, non certo oggi, dopo Wikileaks e il lavoro del grande Snowden. Oggi sappiamo che la "realtà supera persino le ipotesi peggiori". In ogni caso, io volevo solo sottolineare che il "complottismo" è generalizzato... Quello che cambia e' che la teoria viene negata rispetto a chi ci sta simpatico e utilizzata ampiamente rispetto a chi ci sta antipatico. Dico così per brevità. Così, nonostante le prove ex post, non fu un colossale e plateale complotto l'Iraq. Oppure, solo per fare un esempio "caldo", non è frutto di un disegno inconfessabile l'espansionismo NATO ad Est (preparato, studiato, strategico), tuttavia è frutto di un riprovevole espansionismo stile zarista, quella che potrebbe anche apparire invece una residuale difesa di piccole porzioni di territorio da parte della Russia (con relativi "complotti" tra ribelli e establishment russi). In questi ultimi mesi, sono io che ho additato come "complottiste" certe posizioni e dei media occidentali. Ripeto: c'è asimmetria percettiva persino in questo. Giampaolo Carboniero ha detto: Giovanni, non sempre c'è la tracciabilità delle ragioni o delle opportunità nelle decisioni politiche; nel momento in cui Bush dichiarava il possesso delle armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein, veniva tacciato di complottismo chi dissentiva,dando motivazioni diverse; il tempo poi ha dimostrato chi aveva ragione. Forse dipende dalla qualità e quantità di mezzi di persuasione di cui qualche politico dispone e dalla segretezza delle sue azioni il fatto che le ragioni della propria politica siano diversamente considerate. giovanni de sio cesari ha detto: Roberto Con ritardo ritorno sul complottismo. Sono assolutamente d’accordo con te che esiste la propaganda, i pretesti, che alcuni elementi sono enfatizzati oltre ogni misura e altri sottaciuti oltre ogni misura, che esiste quindi una frattura fra quelli che dirigono (diciamo cosi) e quelli che seguono. Io direi anche che non si tratta di un fatto particolare di questa o quella situazione, ma che si proprio di una struttura della politica. Dicevo ad esempio che i grillini mostrano di non avere alcuna capacità politica proprio perché sembrano non aver capito questo fatto (parlavo a proposito di Di Battista) Infatti ogni autorità politica ha bisogno del consenso e la maggior parte delle persone non sono in grado di approfondire difficili questioni.

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Tuttavia quando si parla di complottismo ci si riferisce di solito a un altra cosa: che gli avvenimento sarebbero mossi da intenzioni e fatti sconosciuti e non dalle cause storicamente definibili. Faccio qualche esempio. Certamente Cavour fece finta di non sapere, di non appoggiare i Garibaldini e poi con la scusa di aiutarli in pratica li emarginò (e Garibaldi fini a Caprera): insieme di propaganda e falsità che comunemente viene definita grande abilità politica. Ma il complottismo sarebbe pensare che il regno di Napoli sarebbe caduto perche i generali napoletani sarebbero stati corrotti dal danaro inglese. Cosi, come dicevo, Hitler cominciò la II GM liberando Danzica (che infatti lo accolse con entusiasmo). Sarebbe complottismo però pensare la II GM sarebbe nata dai fabbricanti di cannoni degli ambienti plutocratici e giudaici (convinzione ancora corrente presso gli arabi). Passando all’ISIS (IS), si intende che la decapitazione venga enfatizzata il più possibile per fare accettare all’opinione pubblica recalcitrante un intervento militare. Il complottismo sarebbe pensare che lo sgozzatore sia un agente della Cia. Sono cose diverse: nei primi casi la propaganda accompagna una politica storicamente ben rintracciabile (unità con la monarchia per Cavour, conquista dello spazio vitale per Hitler, re la minaccia dei salafiti), mentre nei secondi gli avvenimenti avrebbero una causa del tutto nascosta. Si pensa che una sparuta minoranza , anzi pochi individui, una spectra formata da capitalisti, generali, cardinali e altri malvagi muoverebbe il mondo intero. Non che i complotti non esistano; anzi un gran numero di persone crede di poter cambiare il mondo con complotti. Ma in generale i complotti hanno scarso o nessun risultato. Nessuno storico infatti spiega gli avvenimenti storici con oscuri complotti, ma tutti esaminando le cause che si vedono. La fortuna del complottismo nasce dal fatto che poiché si tratta di fatti non conosciuti per definizione non sono nemmeno confutabili. Si può discutere all’infinito con un complottista in modo inconcludente. Il rigetto del complottismo va fatto su un piano logico e storiografico. Roberto Zanre' ha detto: Giovanni, non credo fosse questo il senso di quello che ho scritto, che mi sembra completamente travisato (ma, evidentemente, sono io che non so spiegarmi). Faccio un esempio, sperando di avere più fortuna di altre volte: il Califfo arringa la folla, i suoi soldati, i simpatizzanti, i credenti, eccetera. Li arringa giocando sull'emotività e le componenti irrazionali dell'uomo. Parlerà di Dio, di infedeli, del paradiso, della guerra santa, dell'occidente che è satana, eccetera. Farà leva cioè su argomenti che accendono l'adrenalina e la carica emotiva. Tra i suoi ascoltatori poi arruola i combattenti e i fiancheggiatori, eccetera. Anche i nessi logici che userà spesso saranno solo apparenti (come fanno tutti i politici). Non mi aspetto che lui abbia gli stessi obiettivi dettati dai discorsi che fa. Lui ha ben chiaro il vero obiettivo. Poiché è possibile immaginare che abbia almeno il sospetto che non potrà raggiungere la vittoria militare, è possibile immaginare che ritenga utile arrivare ad un altro obiettivo. Chiamiamolo secondario. Io ho fatto una proposta possibile. La creazione di un sentimento collettivo più forte di quello che c'è già ora tra i musulmani sparsi per il Mondo: chiamiamolo "Califfato virtuale", innestato nel seno delle nostre società. Può essere una sciocchezza quello che ho scritto, va bene lo stesso. Un motivo B c'è senz'altro. Sciocco o intelligente, non ha importanza. D'altra parte, in un post qui sopra hai appena scritto che esistono i "pretesti", la "propaganda" (sono cose che dico da tre mesi... vorresti dire che la propaganda non serve per agire sulla componente emotiva e irrazionale degli uomini?) e poi esistono i motivi "veri" (penso si possa dire che i motivi veri sono noti a chi ha il potere, giusto? Oppure non li conoscono nemmeno i governanti? Non mi sembra una posizione plausibile). Sinceramente, molti degli interventi che si stanno facendo ultimamente non fanno altro che ribadire quello che molti di noi sostengono da molto tempo (venendo definiti, a seconda dei casi e un po' in contraddizione, sognatori, dietrologisti, complottisti). Volevo ben dire, infatti, che tra persone colte e intelligenti non condividessimo queste banalità !

Risposto da giovanni de sio cesari su 7 Settembre 2014 a 12:52 Roberto

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Non m ricordo in nessun modo che qualcuno negasse che la intenzione di Bush fosse quella di debellare il terrorismo portando la demcorazia in M. O. o che per questo fosse definito complottista. Non mi pare che Wikileaks abbia rilevato un solo fatto che non fosse ampiamente scontato: ha messo solo in imbarazzo la diplomazia che quei fatti diplomaticamente negava ( senza che nessuno ci credesse veramente, è ovvio ) Per il resto se tu definisci complottismo la propaganda allora chiaramente tutto il mio discorso che si fonda sulla chiara distinzione non regge piu ,ovviamente : basta intendersi su cosa vogliamo dire con un termine. Roberto Zanre' ha detto: Direi anche che si potevano dire certe cose qualche anno fa, non certo oggi, dopo Wikileaks e il lavoro del grande Snowden. Oggi sappiamo che la "realtà supera persino le ipotesi peggiori". In ogni caso, io volevo solo sottolineare che il "complottismo" è generalizzato... Quello che cambia e' che la teoria viene negata rispetto a chi ci sta simpatico e utilizzata ampiamente rispetto a chi ci sta antipatico. Dico così per brevità. Così, nonostante le prove ex post, non fu un colossale e plateale complotto l'Iraq. Oppure, solo per fare un esempio "caldo", non è frutto di un disegno inconfessabile l'espansionismo NATO ad Est (preparato, studiato, strategico), tuttavia è frutto di un riprovevole espansionismo stile zarista, quella che potrebbe anche apparire invece una residuale difesa di piccole porzioni di territorio da parte della Russia (con relativi "complotti" tra ribelli e establishment russi). In questi ultimi mesi, sono io che ho additato come "complottiste" certe posizioni e dei media occidentali. Ripeto: c'è asimmetria percettiva persino in questo.

Risposto da Roberto Zanre' su 7 Settembre 2014 a 13:15 Ma scusa Giovanni. Chi veniva definito "complottista" ai tempi della guerra in Iraq? Chi diceva le cose ovvie, che ora tutti dovrebbero sapere. Oggi ci dite che erano ovvie (ma sono state ancora negate, proprio qualche settimana fa su questo spazio. Ricordo benissimo) e che siamo ingenui. Una volta complottisti. Oggi ingenui :-) Molto difficile discutere così :-) Non si tratta di una diversa definizione (e comunque, non di una definizione da vocabolario). Si tratta, come detto precedentemente, anche del fatto che ogni uomo percepisce "complotto" l'agito del "nemico, diverso, straniero, antipatico" di turno. Percepisce invece in modo molto bonario, il proprio agire, o l'agire "dell'affine, dell'amico, del simile, del simpatico". Acquisisco però che hai affermato che i complotti esistono. Bene. E' un passo avanti. Perché viene invece spesso negato, suscitando ilarità (ricordo che ad Antonino è stato alcune volte risposto in questo modo). Attendo dunque almeno uno o due esempi (di complotti) in questo senso, in modo da non lasciare sempre tutto sul generico (sto dicendo come esercizio dialettico. Sei del tutto esonerato da questa richiesta bonaria). E comunque, bisognerebbe ricominciare tutto il discorso. Stiamo senz'altro parlando di cose anche diverse. Ci siamo persi per strada. Sempre contento del tuo argomentare :-) grazie mille. giovanni de sio cesari ha detto: Roberto Non m ricordo in nessun modo che qualcuno negasse che la intenzione di Bush fosse quella di debellare il terrorismo portando la demcorazia in M. O. o che per questo fosse definito complottista. Non mi pare che Wikileaks abbia rilevato un solo fatto che non fosse ampiamente scontato: ha messo solo in imbarazzo la diplomazia che quei fatti diplomaticamente negava ( senza che nessuno ci credesse veramente, è ovvio ) Per il resto se tu definisci complottismo la propaganda allora chiaramente tutto il mio discorso che si fonda sulla chiara distinzione non regge piu ,ovviamente : basta intendersi su cosa vogliamo dire con un termine.

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Roberto Zanre' ha detto: Direi anche che si potevano dire certe cose qualche anno fa, non certo oggi, dopo Wikileaks e il lavoro del grande Snowden. Oggi sappiamo che la "realtà supera persino le ipotesi peggiori". In ogni caso, io volevo solo sottolineare che il "complottismo" è generalizzato... Quello che cambia e' che la teoria viene negata rispetto a chi ci sta simpatico e utilizzata ampiamente rispetto a chi ci sta antipatico. Dico così per brevità. Così, nonostante le prove ex post, non fu un colossale e plateale complotto l'Iraq. Oppure, solo per fare un esempio "caldo", non è frutto di un disegno inconfessabile l'espansionismo NATO ad Est (preparato, studiato, strategico), tuttavia è frutto di un riprovevole espansionismo stile zarista, quella che potrebbe anche apparire invece una residuale difesa di piccole porzioni di territorio da parte della Russia (con relativi "complotti" tra ribelli e establishment russi). In questi ultimi mesi, sono io che ho additato come "complottiste" certe posizioni e dei media occidentali. Ripeto: c'è asimmetria percettiva persino in questo.

Risposto da giorgio varaldo su 11 Settembre 2014 a 14:05 interessanti novità in medio oriente gli attacchi aerei USA prima effettuati solo da aerei imbarcati da qualche giorno - riferisce Jane's international - sono condotti anche da bombardieri B2 che fanno scalo alla base aerea Al-Udeid sita in bahrein è difficile pensare che questo avvenga senza l'autorizzazione delle autorità locali quindi brusco cambio di rotta araba nel confronti di ISIS

Risposto da Maria Teresa Calà su 13 Settembre 2014 a 12:54 Roberto abbraccio questa tua teoria, io non riesco a NON collegare la NATO agli USA, anche se della Nato facciamo parte anche noi, ma vedo il mio Paese succube delle scelte che vengono prese dall'USA. Io penso che l'Europa abbia bisogno di avere un rapporto sereno con la Russia senza che l'America ci costringa a fare qualcosa che torna a Suo vantaggio ma a ns. svantaggio. Inoltre credo che l'Italia abbia già ampiamente dato e gradirei fosse sganciata da questa sussidiarietà continua!! Non so ma ho un pensiero ...... "chissà che c'è sotto" Roberto Zanre' ha detto: Direi anche che si potevano dire certe cose qualche anno fa, non certo oggi, dopo Wikileaks e il lavoro del grande Snowden. Oggi sappiamo che la "realtà supera persino le ipotesi peggiori". In ogni caso, io volevo solo sottolineare che il "complottismo" è generalizzato... Quello che cambia e' che la teoria viene negata rispetto a chi ci sta simpatico e utilizzata ampiamente rispetto a chi ci sta antipatico. Dico così per brevità. Così, nonostante le prove ex post, non fu un colossale e plateale complotto l'Iraq. Oppure, solo per fare un esempio "caldo", non è frutto di un disegno inconfessabile l'espansionismo NATO ad Est (preparato, studiato, strategico), tuttavia è frutto di un riprovevole espansionismo stile zarista, quella che potrebbe anche apparire invece una residuale difesa di piccole porzioni di territorio da parte della Russia (con relativi "complotti" tra ribelli e establishment russi). In questi ultimi mesi, sono io che ho additato come "complottiste" certe posizioni e dei media occidentali. Ripeto: c'è asimmetria percettiva persino in questo. Gianpaolo, la mancanza di tracciabilità delle ragioni o delle opportunità nelle decisioni politiche nn è anche questa una forma di "complotto" a danno di cittadini ignari???? Io per esempio sono contraria alle sanzioni nei confronti della Russia eppure sembra che l'Europa accondiscenda alla volontà USA. Giampaolo Carboniero ha detto: Giovanni, non sempre c'è la tracciabilità delle ragioni o delle opportunità nelle decisioni politiche; ...........

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Settembre 2014 a 14:51

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Mi salvo l'articolo... laura sgaravatto ha detto: Sta funzionando, la politica economica di Abe? di Koichi Hamada (professore alla Università di Yale, Professore Emerito alla Università di Tokio, consigliere speciale per l’economia del Primo Ministro Shinzo Abe) TOKIO – Lo scorso aprile il Governo del Giappone ha messo in atto un aumento della tassa sui consumi da tempo previsto, dal 5 all’8 per cento, il primo di un incremento in due tempi, che è previsto porti la aliquota al 10 per cento nel 2015. L’aumento – un aspetto della ‘Abenomics’, la strategia a tre punte del Primo Ministro Shinzo Abe per rivitalizzare l’economia del Giappone – intende mostrare l’impegno del Governo alla stabilizzazione a lungo termine del bilancio. Ma esso ha anche comportato una pesante colpo macroeconomico per il Giappone. I dati prri del PIL mostrano una contrazione del 6,8% su base annua nel secondo trimestre di quest’anno – la più ampia dal terremoto e dallo tsunami che devastarono il paese nel 2011. Inoltre, la spesa per i consumi è caduta per una quantità record, contribuendo ad un declino totale reale (corretto per l’inflazione) del 5,9% dallo scorso luglio. Ma non ci sono solo cattive notizie. La politica monetaria espansiva – la seconda delle cosiddette tre ‘frecce’ della Abenomics, dopo lo stimolo della spesa pubblica – ha spinto in basso il tasso di disoccupazione ad appena il 3,8%. La percentuale dei posti di lavoro disponibili sui richiedenti ha superato il pareggio, ed il deflatore del PIL [1] si è ristretto sino allo zero. Tali dati hanno sollevato due opposti punti di vista. Alcuni economisti si preoccupano che i dati negativi del secondo trimestre smorzino le aspettative di inflazione, di conseguenza mettendo a repentaglio il programma di incoraggiamento della crescita di Abe. Contemporaneamente, la Banca del Giappone (BOJ) enfatizza i risultati positivi della sua politica monetaria – ed è esitante nel proseguire con le misure espansive. Se il primo punto di vista fosse corretto, la BOJ avrà bisogno di facilitare ulteriormente la politica monetaria per contrastare la diminuzione dell’inflazione. Se avesse ragione la BOJ, essa dovrebbe mantenere il suo approccio attuale, mentre il Governo dovrebbe o posporre il prossimo aumento delle tasse sui consumi o realizzarlo con due aumenti dell’1%, anziché con un solo del 2%. Naturalmente, i dati del secondo trimestre mostrano la risposta del momento dell’economia al rialzo fiscale. Ma non dovrebbe essere presa alcuna decisione sino a che non saranno rilasciati i dati del terzo trimestre, fornendo un quadro più chiaro di quello che accadrà all’economia giapponese dopo che avrà assorbito il primo aumento dell’aliquota. Fortunatamente, questo è precisamente quello che Abe intende fare. In ogni caso, il successo della politica monetaria è difficile da negare. Come si ridurrà il limite della deflazione, tuttavia, l’impatto generale della politica monetaria si indebolirà, dato che esso influenza in modo crescente i prezzi più che la produzione. Questa è la ragione per la quale è tempo che i dirigenti del Giappone spostino la loro concentrazione sulla prima e sulla seconda ‘freccia’ sul lato della domanda, alla terza ‘freccia’ diretta verso l’offerta: una nuova strategia della crescita. Quando c’è un eccesso sufficiente di offerta nell’economia, promuovere la produttività dal lato dell’offerta è praticamente inutile, senza sforzi per incoraggiare la domanda. Questo significa che non era appropriato concentrarsi sulla crescita sinché il differenziale della deflazione si restringeva in modo considerevole – vale a dire, sino ad oggi. La terza freccia non consiste in un tradizionale approccio basato sulla politica industriale. Al contrario, essa enfatizza la riforma del mercato del lavoro, la deregolamentazione e la riduzione della aliquota della tassa sulle società. Una componente chiave della strategia di Abe è l’espansione della forza lavoro – una sfida importante, dato che la società giapponese sta invecchiando rapidamente. Una soluzione logica sarebbe integrare maggiormente il lavoro proveniente dall’estero nell’economia giapponese. Ma gli sforzi per promuovere l’immigrazione si scontrano con barriere sociali e culturali considerevoli. Una soluzione più semplice sarebbe mobilitare maggiormente le donne in età lavorativa, che sono ancora – o intendono stare – entro le mura domestiche. Con la rimozione delle barriere alla occupazione con le quali le donne fanno i conti – siano esse ostacoli pratici, come i servizi insufficienti per l’infanzia, o condizionamenti sociali – il Giappone potrebbe sostanzialmente incrementare il tasso di partecipazione della forza lavoro femminile, creando un inestimabile riserva contro la scarsità nella crescita del lavoro. Il secondo imperativo per incoraggiare la crescita è la rimozione dei regolamenti statali eccessivamente ingombranti. Nel sistema attuale, ci vogliono 34 anni per approvare l’istituzione di una nuova scuola medica – è questa la conseguenza della collusione tra burocrati statali e medici.

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Il programma di Abe si pronuncia a favore della introduzione di una serie di zone economiche speciali meno strettamente regolamentate, ognuna delle quali con un obbiettivo specifico – ad esempio, adottare nuove tecnologie sanitarie o attrarre imprese straniere. Una iniziativa del genere si può sperare contribuisca ad impedire l’ostruzionismo da parte delle autorità. Nello stesso tempo, il Governo dovrebbe collaborare con i sindacati per incoraggiare la flessibilità e l’efficienza nel mercato del lavoro. Infine, la strategia di Abe richiede una riduzione della tassazione sulle società – uno strumento potente per incrementare la base fiscale in un mondo nel quale i paesi sono in competizione per attrarre società multinazionali. In effetti, tasse più basse sono vitali per incrementare gli investimenti stranieri e nazionali in Giappone. Alcune di queste iniziative, in particolare le deregolamentazioni, senza dubbio incontreranno resistenze da parte dei burocrati, preoccupati di perdere la loro influenza. Ma, nella misura in cui Abe, accompagnato dal suo Segretario Capo di Gabinetto Yoshihide Suga, resterà fermo nei suoi obbiettivi prefissati, il futuro economico del Giappone si manterrà luminoso.

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Settembre 2014 a 15:03 Cara Maria Teresa, io abito relativamente vicino a basi americane molto molto grandi. Ebbene, dentro queste basi ci sono alcuni comandi NATO di importanza strategica. Resto sul generico, volutamente. Pensare che nella testa di questi comandi ci sia una reale e costante differenza tra FFAA USA e FFAA NATO è ingenuo. Quello che conta, comunque, è che la differenza non viene vissuta completamente a livello politico. A seconda dei casi e delle opportunità, si mostra una o l'altra faccia della stessa medaglia. In ogni caso, molto importante è il rapporto dei contributi dei vari paesi NATO. Primi USA, seconda Turchia, se non ricordo male. Se fossi il principale contributore, penserei automaticamente di avere un peso maggiore. Ci mancherebbe non fosse così. È naturale. Se poi pensiamo che la NATO viene vissuta come un cappello militare di protezione dell'Europa (abbiamo cioè delegato la nostra difesa), soprattutto in alcuni paesi europei, il cerchio si chiude e diventa impossibile anche solo discutere di qualsiasi ristrutturazione della difesa europea. È semplicemente un discorso chiuso. Inoltre, conosco alcune persone civili che hanno lavorato all'interno di queste basi militari americane. Interessanti i discorsi, ma che non sono riferibili in pubblico. P.S. Lasciamo perdere il discorso di quante armi nucleari siano "nascoste" da queste parti. Maria Teresa Calà ha detto: Roberto abbraccio questa tua teoria, io non riesco a NON collegare la NATO agli USA, anche se della Nato facciamo parte anche noi, ma vedo il mio Paese succube delle scelte che vengono prese dall'USA. Io penso che l'Europa abbia bisogno di avere un rapporto sereno con la Russia senza che l'America ci costringa a fare qualcosa che torna a Suo vantaggio ma a ns. svantaggio. Inoltre credo che l'Italia abbia già ampiamente dato e gradirei fosse sganciata da questa sussidiarietà continua!! Non so ma ho un pensiero ...... "chissà che c'è sotto" Roberto Zanre' ha detto: Direi anche che si potevano dire certe cose qualche anno fa, non certo oggi, dopo Wikileaks e il lavoro del grande Snowden. Oggi sappiamo che la "realtà supera persino le ipotesi peggiori". In ogni caso, io volevo solo sottolineare che il "complottismo" è generalizzato... Quello che cambia e' che la teoria viene negata rispetto a chi ci sta simpatico e utilizzata ampiamente rispetto a chi ci sta antipatico. Dico così per brevità. Così, nonostante le prove ex post, non fu un colossale e plateale complotto l'Iraq. Oppure, solo per fare un esempio "caldo", non è frutto di un disegno inconfessabile l'espansionismo NATO ad Est (preparato, studiato, strategico), tuttavia è frutto di un riprovevole espansionismo stile zarista, quella che potrebbe anche apparire invece una residuale difesa di piccole porzioni di territorio da parte della Russia (con relativi "complotti" tra ribelli e establishment russi). In questi ultimi mesi, sono io che ho additato come "complottiste" certe posizioni e dei media occidentali. Ripeto: c'è asimmetria percettiva persino in questo.

Page 13: Economia e politica nel mondo - api.ning.com · Risposto da giovanni de sio cesari su 6 Settembre 2014 a 22:18 Roberto Con ritardo ritorno sul complottismo. Sono assolutamente d [aordo

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Gianpaolo, la mancanza di tracciabilità delle ragioni o delle opportunità nelle decisioni politiche nn è anche questa una forma di "complotto" a danno di cittadini ignari???? Io per esempio sono contraria alle sanzioni nei confronti della Russia eppure sembra che l'Europa accondiscenda alla volontà USA. Giampaolo Carboniero ha detto: Giovanni, non sempre c'è la tracciabilità delle ragioni o delle opportunità nelle decisioni politiche; ...........

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Settembre 2014 a 15:12 Grazzie.. Laura'... me ppaiono 'nteressanti. Nu ciò tempo ora de legerli... me sarvo li artigoli pe' leggeli più ttardi... Te sso riconoscente :-) Granita alla mandorla... eh... te possino... :-) P.S. i romani scusino la mia scarsità... laura sgaravatto ha detto: a RRRobbè te nomino bagnino ad honorem...te salvi tutti l'articoli...senza distinzioni (il lo la i gli le....un uno una...) e me fai un piacere ...salva pure Raffaello e la Scuola di Atene ! :))) io intanto "affogo" in una granita alla mandorla...sotto un sole fantastico...mare da una parte e un draghetto sbuffante dall'altra chiamato Etna ... :)))

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 13 Settembre 2014 a 15:49 Ma dove sei? Ci sono segnali di Catania ovunque a parte il romanesco improbabile! O sei verso Taormina? Un consiglio : visto che ti piace la granita di mandorla prendila per colazione alle ore 10 , macchiata con caffè e da mangiare con brioche di pasticceria e non di panificio. Buon divertimento laura sgaravatto ha detto: a RRRobbè te nomino bagnino ad honorem...te salvi tutti l'articoli...senza distinzioni (il lo la i gli le....un uno una...) e me fai un piacere ...salva pure Raffaello e la Scuola di Atene ! :))) io intanto "affogo" in una granita alla mandorla...sotto un sole fantastico...mare da una parte e un draghetto sbuffante dall'altra chiamato Etna ... :)))

Risposto da Maria Teresa Calà su 13 Settembre 2014 a 17:40 Lauretta...... ma nn mi dire, sei in Sicilia ??? Perché nn me lo hai detto venivo con te a mangiare una bella granita con brioche. Sarei felice di vederti!!!! Quant'è bella la mia terra pensa ti trovi in "Sicilia terra fra fuoco e mare" ciao cara se vuoi …….. sono a disposizione laura sgaravatto ha detto: a RRRobbè te nomino bagnino ad honorem...te salvi tutti l'articoli...senza distinzioni (il lo la i gli le....un uno una...) e me fai un piacere ...salva pure Raffaello e la Scuola di Atene ! :))) io intanto "affogo" in una granita alla mandorla...sotto un sole fantastico...mare da una parte e un draghetto sbuffante dall'altra chiamato Etna ... :)))

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 13 Settembre 2014 a 18:58 Beata te, qui Giove Pluvio imperversa tutti i giorni! laura sgaravatto ha detto: a RRRobbè te nomino bagnino ad honorem...te salvi tutti l'articoli...senza distinzioni (il lo la i gli le....un uno una...) e me fai un piacere ...salva pure Raffaello e la Scuola di Atene ! :))) io intanto "affogo" in una granita alla mandorla...sotto un sole fantastico...mare da una parte e un draghetto sbuffante dall'altra chiamato Etna ... :)))

Risposto da Cristina Favati su 13 Settembre 2014 a 21:40 http://www.lavoce.info/per-ripresa-non-ci-scorciatoie/

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Settembre 2014 a 23:31 Cristina, si tratta di un commento serio su cui meditare. Ma il problema è sempre lo stesso: sarà capace il governo di tagliare la spesa pubblica come annunciato ? Cristina Favati ha detto: http://www.lavoce.info/per-ripresa-non-ci-scorciatoie/

Risposto da Roberto Zanre' su 14 Settembre 2014 a 0:23 Anche questa e' un'osservazione non più superabile con delle scrollate di spalle. Mi chiedo: come mai chi per anni ha visto erodere il proprio potere di acquisto deve ancora oggi sentirsi dire di essere disponibile (volete che sia ragionevole e che sorrida per questo) a fare ulteriori sacrifici? E, invece, come mai questi signori che vanno in TV a parlare come se detenessero la verità e a sciacquarsi la bocca con tanti paroloni (e invece sono molto molto ignoranti e spesso le sparano proprio grosse) non rinunciano mai ai loro compensi? Che so, potrebbero accontentarsi della metà, cioè di solo 13 milioni di euro? Oppure di 1/10, cioè di 2,7 milioni di euro? Oppure di 1/100, cioè di 270 mila euro? Quanti anni deve lavorare un dipendente FIAT per guadagnare 1/100 di questa liquidazione? Quindici anni? (Dunque per guadagnare altrettanto dovrebbe vivere e lavorare per 1500 anni? Va bene, calcoliamo le tasse sui 27 milioni e diciamo 700 anni?). Mi chiedo, ma ogni goccia di sudore di questi "DEI" pagani moderni, quanto vale? Ogni molecola di CO2 che emettono costa così tanto? Se questo non suscita forti interrogativi nemmeno in un Circolo PD, allora siamo alla frutta. Ed è più che giusto che le persone comincino a dire: NO, non ci sto più. Sandra Del Fabro ha detto: So che non c'entra ma cosa farà Montezemolo dei 27 milioni della sua liquidazione?

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Fabio Colasanti ha detto: Cristina, si tratta di un commento serio su cui meditare. Ma il problema è sempre lo stesso: sarà capace il governo di tagliare la spesa pubblica come annunciato ? Cristina Favati ha detto: http://www.lavoce.info/per-ripresa-non-ci-scorciatoie/

Risposto da giorgio varaldo su 14 Settembre 2014 a 0:40 in un circolo PD nessuno si è scandalizzato per la liquidazione di 1,2 milioni ed una pensione di 520.000 euro all'anno data ad antonio malaschini o della liquidazione da 1,5 milioni data allex segretatio della ARS giovanni tomasello. almeno montezemolo ha fatto guadagnar alla ferrari una montagna di quattrini e la sua liquidazione - seppur eticamente criticabile - non è a carico delle finanze pubbliche Roberto Zanre' ha detto: Anche questa e' un'osservazione non più superabile con delle scrollate di spalle. Mi chiedo: come mai chi per anni ha visto erodere il proprio potere di acquisto deve ancora oggi sentirsi dire di essere disponibile (volete che sia ragionevole e che sorrida per questo) a fare ulteriori sacrifici? E, invece, come mai questi signori che vanno in TV a parlare come se detenessero la verità e a sciacquarsi la bocca con tanti paroloni (e invece sono molto molto ignoranti e spesso le sparano proprio grosse) non rinunciano mai ai loro compensi? Che so, potrebbero accontentarsi della metà, cioè di solo 13 milioni di euro? Oppure di 1/10, cioè di 2,7 milioni di euro? Oppure di 1/100, cioè di 270 mila euro? Quanti anni deve lavorare un dipendente FIAT per guadagnare 1/100 di questa liquidazione? Quindici anni? (Dunque per guadagnare altrettanto dovrebbe vivere e lavorare per 1500 anni? Va bene, calcoliamo le tasse sui 27 milioni e diciamo 700 anni?). Mi chiedo, ma ogni goccia di sudore di questi "dei pagani moderni", quanto vale? Ogni molecola di CO2 che emettono costa così tanto? Se questo va bene anche in un Circolo PD, allora siamo alla frutta. Ed è più che giusto che le persone comincino a dire: NO, non ci sto più. Sandra Del Fabro ha detto: So che non c'entra ma cosa farà Montezemolo dei 27 milioni della sua liquidazione? Fabio Colasanti ha detto: Cristina, si tratta di un commento serio su cui meditare. Ma il problema è sempre lo stesso: sarà capace il governo di tagliare la spesa pubblica come annunciato ? Cristina Favati ha detto: http://www.lavoce.info/per-ripresa-non-ci-scorciatoie/

Risposto da Roberto Zanre' su 14 Settembre 2014 a 0:52 Preciso meglio: quello che fa un circolo PD in effetti non mi interessa. E nemmeno quello che fa e dice un partito come il PD. Di certo io mi scandalizzo eccome per qualunque emolumento che superi la soglia della decenza (posso arrivare persino a 20 volte il salario minimo). E sono per un tetto fissato per legge a qualunque tipo di "stipendio". Chi lo supera commette un reato. Se beccato restituisce alla collettività. Punto e basta.

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P.S. Di tutto quello che ho scritto, la tua risposta è sempre questa :-) Come mai? P.S. Davvero la Ferrari ha guadagnato una montagna di quattrini per merito esclusivo di Montezemolo? Proverei a veder senza ingegneri, tecnici, addetti vari, operai... cosa concluderebbe il Monte. Tant'è che ora viene sostituito. Guarda Giorgio che da un po' di anni anche nel mondo liberista è entrato il concetto del merito condiviso e dell'importanza del lavoro di squadra. giorgio varaldo ha detto: in un circolo PD nessuno si è scandalizzato per la liquidazione di 1,2 milioni ed una pensione di 520.000 euro all'anno data ad antonio malaschini o della liquidazione da 1,5 milioni data allex segretatio della ARS giovanni tomasello. almeno montezemolo ha fatto guadagnar alla ferrari una montagna di quattrini e la sua liquidazione - seppur eticamente criticabile - non è a carico delle finanze pubbliche Roberto Zanre' ha detto: Anche questa e' un'osservazione non più superabile con delle scrollate di spalle. Mi chiedo: come mai chi per anni ha visto erodere il proprio potere di acquisto deve ancora oggi sentirsi dire di essere disponibile (volete che sia ragionevole e che sorrida per questo) a fare ulteriori sacrifici? E, invece, come mai questi signori che vanno in TV a parlare come se detenessero la verità e a sciacquarsi la bocca con tanti paroloni (e invece sono molto molto ignoranti e spesso le sparano proprio grosse) non rinunciano mai ai loro compensi? Che so, potrebbero accontentarsi della metà, cioè di solo 13 milioni di euro? Oppure di 1/10, cioè di 2,7 milioni di euro? Oppure di 1/100, cioè di 270 mila euro? Quanti anni deve lavorare un dipendente FIAT per guadagnare 1/100 di questa liquidazione? Quindici anni? (Dunque per guadagnare altrettanto dovrebbe vivere e lavorare per 1500 anni? Va bene, calcoliamo le tasse sui 27 milioni e diciamo 700 anni?). Mi chiedo, ma ogni goccia di sudore di questi "dei pagani moderni", quanto vale? Ogni molecola di CO2 che emettono costa così tanto? Se questo va bene anche in un Circolo PD, allora siamo alla frutta. Ed è più che giusto che le persone comincino a dire: NO, non ci sto più. Sandra Del Fabro ha detto: So che non c'entra ma cosa farà Montezemolo dei 27 milioni della sua liquidazione? Fabio Colasanti ha detto: Cristina, si tratta di un commento serio su cui meditare. Ma il problema è sempre lo stesso: sarà capace il governo di tagliare la spesa pubblica come annunciato ? Cristina Favati ha detto: http://www.lavoce.info/per-ripresa-non-ci-scorciatoie/

Risposto da Roberto Zanre' su 14 Settembre 2014 a 12:16 Naturalmente possiamo fare altri calcoli forfettari. Seguendo un'altra linea, potremmo dire quanto segue (pensando non alle liquidazioni ma agli emolumenti annuali, per esempio 5 milioni di euro/anno). Con la cifra che guadagna inun anno mediamente un super manager: 1 super manager come il Monte: si potrebbe far lavorare per circa 280 anni un operaio, 1 super manager come il Zemolo: si potrebbero far lavorare circa 280 operai per un anno, Ogni 1000 super manager: si potrebbero far lavorare circa 280 mila operai per un anno. Oppure. Pensiamo a un aumento medio di circa il 15-20% dello stipendio di un operaio (diciamo circa 3 mila euro all'anno, per comodità).

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1 super manager: aumento del 15-20% del salario per circa 1.700 operai. 1000 super manager: aumento del 15-20% del salario per 1.700.000 operai. Se volete rinfrescarvi la memoria con dei numeri persino difficili da comprendere: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-22/crescono-compensi... Personalmente del socialismo non mi interessa molto. Mi pare che la storia pregressa abbia parlato purtroppo in modo chiaro. Quello che non va è questa idea patologica secondo cui il "successo" di un'attività imprenditoriale dipenderebbe esclusivamente da dei super manager. Non è così. Basterebbe porre un grande limite a questi emolumenti e i gravi problemi che ci affliggono acquisterebbero una dimensione più abbordabile (non sto dicendo che verrebbero ti). Roberto Zanre' ha detto: Anche questa e' un'osservazione non più superabile con delle scrollate di spalle. Mi chiedo: come mai chi per anni ha visto erodere il proprio potere di acquisto deve ancora oggi sentirsi dire di essere disponibile (volete che sia ragionevole e che sorrida per questo) a fare ulteriori sacrifici? E, invece, come mai questi signori che vanno in TV a parlare come se detenessero la verità e a sciacquarsi la bocca con tanti paroloni (e invece sono molto molto ignoranti e spesso le sparano proprio grosse) non rinunciano mai ai loro compensi? Che so, potrebbero accontentarsi della metà, cioè di solo 13 milioni di euro? Oppure di 1/10, cioè di 2,7 milioni di euro? Oppure di 1/100, cioè di 270 mila euro? Quanti anni deve lavorare un dipendente FIAT per guadagnare 1/100 di questa liquidazione? Quindici anni? (Dunque per guadagnare altrettanto dovrebbe vivere e lavorare per 1500 anni? Va bene, calcoliamo le tasse sui 27 milioni e diciamo 700 anni?). Mi chiedo, ma ogni goccia di sudore di questi "DEI" pagani moderni, quanto vale? Ogni molecola di CO2 che emettono costa così tanto? Se questo non suscita forti interrogativi nemmeno in un Circolo PD, allora siamo alla frutta. Ed è più che giusto che le persone comincino a dire: NO, non ci sto più. Sandra Del Fabro ha detto: So che non c'entra ma cosa farà Montezemolo dei 27 milioni della sua liquidazione? Fabio Colasanti ha detto: Cristina, si tratta di un commento serio su cui meditare. Ma il problema è sempre lo stesso: sarà capace il governo di tagliare la spesa pubblica come annunciato ? Cristina Favati ha detto: http://www.lavoce.info/per-ripresa-non-ci-scorciatoie/

Risposto da Cristina Favati su 14 Settembre 2014 a 12:34 Mi pare che molto spesso i super manager abbiano prodotto solo danni e che i loro compensi siano davvero fuori controllo. Indecenti. Roberto Zanre' ha detto: Naturalmente possiamo fare altri calcoli forfettari. Seguendo un'altra linea, potremmo dire quanto segue (pensando non alle liquidazioni ma agli emolumenti annuali, per esempio 5 milioni di euro/anno). Con la cifra che guadagna in un anno mediamente un super manager: 1 super manager come il Monte: si potrebbe far lavorare per circa 280 anni un operaio, 1 super manager come il Zemolo: si potrebbero far lavorare circa 280 operai per un anno,

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Ogni 1000 super manager: si potrebbero far lavorare circa 280 mila operai per un anno. Oppure. Pensiamo a un aumento medio di circa il 15-20% dello stipendio di un operaio (diciamo circa 3 mila euro all'anno, per comodità). 1 super manager: aumento del 15-20% del salario per circa 1.700 operai. 1000 super manager: aumento del 15-20% del salario per 1.700.000 operai. Se volete rinfrescarvi la memoria con dei numeri persino difficili da comprendere: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-22/crescono-compensi... Personalmente del socialismo non mi interessa molto. Mi pare che la storia pregressa abbia parlato purtroppo in modo chiaro. Quello che non va è questa idea patologica secondo cui il "successo" di un'attività imprenditoriale dipenderebbe esclusivamente da dei super manager. Non è così. Basterebbe porre un grande limite a questi emolumenti e i gravi problemi che ci affliggono acquisterebbero una dimensione più abbordabile (non sto dicendo che verrebbero ti). Roberto Zanre' ha detto: Anche questa e' un'osservazione non più superabile con delle scrollate di spalle. Mi chiedo: come mai chi per anni ha visto erodere il proprio potere di acquisto deve ancora oggi sentirsi dire di essere disponibile (volete che sia ragionevole e che sorrida per questo) a fare ulteriori sacrifici? E, invece, come mai questi signori che vanno in TV a parlare come se detenessero la verità e a sciacquarsi la bocca con tanti paroloni (e invece sono molto molto ignoranti e spesso le sparano proprio grosse) non rinunciano mai ai loro compensi? Che so, potrebbero accontentarsi della metà, cioè di solo 13 milioni di euro? Oppure di 1/10, cioè di 2,7 milioni di euro? Oppure di 1/100, cioè di 270 mila euro? Quanti anni deve lavorare un dipendente FIAT per guadagnare 1/100 di questa liquidazione? Quindici anni? (Dunque per guadagnare altrettanto dovrebbe vivere e lavorare per 1500 anni? Va bene, calcoliamo le tasse sui 27 milioni e diciamo 700 anni?). Mi chiedo, ma ogni goccia di sudore di questi "DEI" pagani moderni, quanto vale? Ogni molecola di CO2 che emettono costa così tanto? Se questo non suscita forti interrogativi nemmeno in un Circolo PD, allora siamo alla frutta. Ed è più che giusto che le persone comincino a dire: NO, non ci sto più. Sandra Del Fabro ha detto: So che non c'entra ma cosa farà Montezemolo dei 27 milioni della sua liquidazione? Fabio Colasanti ha detto: Cristina, si tratta di un commento serio su cui meditare. Ma il problema è sempre lo stesso: sarà capace il governo di tagliare la spesa pubblica come annunciato ? Cristina Favati ha detto: http://www.lavoce.info/per-ripresa-non-ci-scorciatoie/

Risposto da giorgio varaldo su 14 Settembre 2014 a 14:06 romiti ha portato la FIAT sull'orlo del fallimento enrico bondi è stato più bravo la lucchini la ha fatta fallire. bruciati? ma neanche per sogno ci ha penato la politica a ridar loro la verginità perduta Cristina Favati ha detto: Mi pare che molto spesso i super manager abbiano prodotto solo danni e che i loro compensi siano davvero fuori controllo. Indecenti.

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Risposto da Roberto Zanre' su 14 Settembre 2014 a 14:28 Infatti, anche grazie a questa politica malsana vengono riciclati, passati da un'azienda all'altra, poi super pagati, poi riciclati di nuovo, poi immessi nella politica, poi di nuovo fuori, eccetera... e, soprattutto, grazie a questa politica, non se ne parla nemmeno di studiare modi intelligenti di porre dei limiti ai loro emolumenti. giorgio varaldo ha detto: romiti ha portato la FIAT sull'orlo del fallimento enrico bondi è stato più bravo la lucchini la ha fatta fallire. bruciati? ma neanche per sogno ci ha penato la politica a ridar loro la verginità perduta Cristina Favati ha detto: Mi pare che molto spesso i super manager abbiano prodotto solo danni e che i loro compensi siano davvero fuori controllo. Indecenti.

Risposto da Fabio Colasanti su 14 Settembre 2014 a 16:50 Anch'io considero i compensi dei manager privati una cosa indecente. Ma ne abbiamo discusso a lungo già qualche anno fa. Dopo aver espresso tutti i malumori possibili, abbiamo cercato delle soluzioni e l'unica che trovammo fu di avere una tassazione più progressiva con almeno un paio di aliquote nuove più alte. In Svizzera hanno preso una prima misura (l'iniziativa Mindel) che ha dato più poteri agli azionisti nel fissare i compensi dei manager. C'è stato poi un referendum sul fissare la remunerazione massima a 12 volte quella del dipendente medio, ma l'iniziativa è stata bocciata.

Risposto da giorgio varaldo su 14 Settembre 2014 a 17:44 trovo inutile gridare contro le retribuzioni d'oro dei privati. ed in special modo quando non riusciamo neanche a mettere un freno a quelle d'oro del settore pubblico. e tanto per rinfrescare le idee http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/20/alti-dirigenti-pubblici-...

Risposto da Roberto Zanre' su 14 Settembre 2014 a 20:16 Tanto per precisare :-) Io non sto gridando contro le retribuzioni scandalose (private o pubbliche, non mi interessa). Più semplicemente preferisco che le cose non vadano dimenticate e solo così un giorno potranno essere risolte. Ho già detto di limiti imposti per legge e senza fare un referendum. Però possiamo anche farlo, in Italia. Ci sto (ma non si può). Andare "oltre" deve diventare un reato. Come oggi lo è il fumare in un locale. giorgio varaldo ha detto: trovo inutile gridare contro le retribuzioni d'oro dei privati. ed in special modo quando non riusciamo neanche a mettere un freno a quelle d'oro del settore pubblico. e tanto per rinfrescare le idee

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http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/20/alti-dirigenti-pubblici-...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Settembre 2014 a 23:52 Mi pare che dividere il problema distinguendo fra privato e pubblico sia piuttosto strumentale ed ideologico; sempre dalle nostre tasche escono, o qualcuno vuol dire che i super manager privati vengono pagati dagli azionisti carità cristiana, senza ricadute sulle politiche dei prezzi? giorgio varaldo ha detto: romiti ha portato la FIAT sull'orlo del fallimento enrico bondi è stato più bravo la lucchini la ha fatta fallire. bruciati? ma neanche per sogno ci ha penato la politica a ridar loro la verginità perduta Cristina Favati ha detto: Mi pare che molto spesso i super manager abbiano prodotto solo danni e che i loro compensi siano davvero fuori controllo. Indecenti.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Settembre 2014 a 0:00 Giampaolo, se io compro una Fiat, non contribuisco minimamente al salario astronomico del CEO della Volkswagen. Il problema è indiretto, etico e lo si può combattere solo dando più potere agli azionisti come fatto in Svizzera (ma non cambia gran ché) o tassando di più tutti i redditi alti. Nel caso delle imprese pubbliche le cose sono ben diverse. Lo stato è l'azionista principale e ha la possibilità legale (e il dovere) di fissare un tetto ai compensi dei manager se lo ritiene giusto. Giampaolo Carboniero ha detto: Mi pare che dividere il problema distinguendo fra privato e pubblico sia piuttosto strumentale ed ideologico; sempre dalle nostre tasche escono, o qualcuno vuol dire che i super manager privati vengono pagati dagli azionisti carità cristiana, senza ricadute sulle politiche dei prezzi? giorgio varaldo ha detto: romiti ha portato la FIAT sull'orlo del fallimento enrico bondi è stato più bravo la lucchini la ha fatta fallire. bruciati? ma neanche per sogno ci ha penato la politica a ridar loro la verginità perduta

Risposto da Roberto Zanre' su 15 Settembre 2014 a 0:06 Certo, i soldi che guadagnano i vari CEO arrivano da un altro mondo. E' noto che la Volkswagen produce profitti... ma è in perdita perché paga i propri manager per beneficenza. In ogni caso: se compro una FIAT contribuisco al guadagno astronomico dei manager FIAT? se compro una FIAT contribuisco al guadagno misero degli operai FIAT? Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, se io compro una Fiat, non contribuisco minimamente al salario astronomico del CEO della Volkswagen. Il problema è indiretto, etico e lo si può combattere solo dando più potere agli azionisti come fatto in Svizzera (ma non cambia gran ché) o tassando di più tutti i redditi alti.

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Nel caso delle imprese pubbliche le cose sono ben diverse. Lo stato è l'azionista principale e ha la possibilità legale (e il dovere) di fissare un tetto ai compensi dei manager se lo ritiene giusto. Giampaolo Carboniero ha detto: Mi pare che dividere il problema distinguendo fra privato e pubblico sia piuttosto strumentale ed ideologico; sempre dalle nostre tasche escono, o qualcuno vuol dire che i super manager privati vengono pagati dagli azionisti carità cristiana, senza ricadute sulle politiche dei prezzi? giorgio varaldo ha detto: romiti ha portato la FIAT sull'orlo del fallimento enrico bondi è stato più bravo la lucchini la ha fatta fallire. bruciati? ma neanche per sogno ci ha penato la politica a ridar loro la verginità perduta

Risposto da giorgio varaldo su 15 Settembre 2014 a 0:32 non mi pare tanto strumentale ne tanto ideologico. il danaro per pagare il CeO di FIAT o AUDI-VW lo do se decido di acquistare beni prodotti da quelle case, non sono obbligato farlo e decido di darlo alla casa che ritengo migliore ossia quella con il CeO che ha lavorato meglio il danaro per pagare gli stipendi dei satrapi di stato li debbo scucire dalle mie tasse e senza possibilità di sindacare sul lavoro di codesti signori. a me sembrano due situazioni ben diverse ... Giampaolo Carboniero ha detto: Mi pare che dividere il problema distinguendo fra privato e pubblico sia piuttosto strumentale ed ideologico; sempre dalle nostre tasche escono, o qualcuno vuol dire che i super manager privati vengono pagati dagli azionisti carità cristiana, senza ricadute sulle politiche dei prezzi? giorgio varaldo ha detto: romiti ha portato la FIAT sull'orlo del fallimento enrico bondi è stato più bravo la lucchini la ha fatta fallire. bruciati? ma neanche per sogno ci ha penato la politica a ridar loro la verginità perduta Cristina Favati ha detto: Mi pare che molto spesso i super manager abbiano prodotto solo danni e che i loro compensi siano davvero fuori controllo. Indecenti.

Risposto da giorgio varaldo su 15 Settembre 2014 a 12:59 da quanto ha sentenziato la corte costituzionale almeno sino a quando verrà to il titolo V della costituzione non mi pare nemmeno sia possibile re gli stipendi d'oro dei satrapi di stato . Sandra Del Fabro ha detto: sono diverse perchè la legge ti permette di eleggere i tuoi rappresentanti per cambiare gli ordinamenti cosa che non avviene finora nel privato per i compensi dei manager giorgio varaldo ha detto: non mi pare tanto strumentale ne tanto ideologico. il danaro per pagare il CeO di FIAT o AUDI-VW lo do se decido di acquistare beni prodotti da quelle case, non sono obbligato farlo e decido di darlo alla casa che ritengo migliore ossia quella con il CeO che ha lavorato meglio il danaro per pagare gli stipendi dei satrapi di stato li debbo scucire dalle mie tasse e senza possibilità di sindacare sul lavoro di codesti signori. a me sembrano due situazioni ben diverse ... Giampaolo Carboniero ha detto:

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Mi pare che dividere il problema distinguendo fra privato e pubblico sia piuttosto strumentale ed ideologico; sempre dalle nostre tasche escono, o qualcuno vuol dire che i super manager privati vengono pagati dagli azionisti carità cristiana, senza ricadute sulle politiche dei prezzi? giorgio varaldo ha detto: romiti ha portato la FIAT sull'orlo del fallimento enrico bondi è stato più bravo la lucchini la ha fatta fallire. bruciati? ma neanche per sogno ci ha penato la politica a ridar loro la verginità perduta Cristina Favati ha detto: Mi pare che molto spesso i super manager abbiano prodotto solo danni e che i loro compensi siano davvero fuori controllo. Indecenti.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 Settembre 2014 a 17:02 La commedia continua: diminuire gli stipendi degli AD di ENI e ENEL non si può perchè sono società quotate in Borsa, sebbene lo stato ne sia il principale azionista, diminuire lo stipendio dei satrapi di stato non si può perchè bisogna attendere la riforma, vietare i doppi incarichi non si può perchè... vattelapesca, evitare i conflitti di interesse non si può perchè bisogna attendere una legge che non vedrà mai la luce, ecct., ecct., restano solo gli stipendi dei dipendenti, troppo ricchi ed esosi, sia privati che pubblici. Questo per me vuol semplicemente dire nascondersi dietro un dito. P.S. Le FF.AA. sono ancora di proprietà dello stato? Se è vero che il 70% del bilancio va al personale, i vari generali e colonnelli, indispensabili a quanto pare, quanto guadagnano? http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/30/stelle-greche-e-torri-tr... http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/04/armamenti-nel-2014-nient... Siamo già in guerra, senza saperlo, vista l'assenza di spending review nel settore, o la Nato, viste la varie crisi opportunamente, casualmente sorte, ci ha già chiesto un incremento di spesa militare?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 Settembre 2014 a 20:01 Una nuova chicca della legalità mercantile, come la intendono gli "sviluppatori" del mondo: dopo i danni, verificati , provocati dalle miniere e altre attività industriali che hanno inquinato gravemente i fiumi e ridotto al 2% la disponibilità di acqua potabile alla popolazione e dopo che, di conseguenza, il governo ha negato la concessione mineraria, la Oceana Gold ha citato in un tribunale americano lo stato di El Salvador per danni; peccato che El Salvador non abbia il gas della Russia di cui poter chiudere i rubinetti.

Risposto da Roberto Zanre' su 15 Settembre 2014 a 20:02 Dobbiamo svegliarci. Non possiamo più accettare che gli unici stipendi diminuibili siano quelli dei dipendenti che guadagnano già adesso una miseria. Dobbiamo dire: basta. E' arrivato il momento che si accomodino i ricchi. Giampaolo Carboniero ha detto: La commedia continua: diminuire gli stipendi degli AD di ENI e ENEL non si può perchè sono società quotate in Borsa, sebbene lo stato ne sia il principale azionista, diminuire lo stipendio dei satrapi di stato non si può perchè bisogna attendere la riforma, vietare i doppi incarichi non si può perchè... vattelapesca, evitare i conflitti di interesse non si può

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perchè bisogna attendere una legge che non vedrà mai la luce, ecct., ecct., restano solo gli stipendi dei dipendenti, troppo ricchi ed esosi, sia privati che pubblici. Questo per me vuol semplicemente dire nascondersi dietro un dito. P.S. Le FF.AA. sono ancora di proprietà dello stato? Se è vero che il 70% del bilancio va al personale, i vari generali e colonnelli, indispensabili a quanto pare, quanto guadagnano? http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/30/stelle-greche-e-torri-tr... http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/04/armamenti-nel-2014-nient... Siamo già in guerra, senza saperlo, vista l'assenza di spending review nel settore, o la Nato, viste la varie crisi opportunamente, casualmente sorte, ci ha già chiesto un incremento di spesa militare?

Risposto da Roberto Zanre' su 15 Settembre 2014 a 20:21 Riflettiamo... Giampaolo Carboniero ha detto: Una nuova chicca della legalità mercantile, come la intendono gli "sviluppatori" del mondo: dopo i danni, verificati, provocati dalle miniere e altre attività industriali che hanno inquinato gravemente i fiumi e ridotto al 2% la disponibilità di acqua potabile alla popolazione e dopo che, di conseguenza, il governo ha negato la concessione mineraria, la Oceana Gold ha citato in un tribunale americano lo stato di El Salvador per danni; peccato che El Salvador non abbia il gas della Russia di cui poter chiudere i rubinetti.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 15 Settembre 2014 a 20:26 La strada è quella dell'aumento delle aliquote fiscali progressive sui redditi elevati ( l'avevano già fatto negli USA ai tempi del New Deal, mentre in Francia Hollande ha avuto molte difficoltà). Questo darebbe risorse suppletive e avrebbe un effetto di calmiere sulle retribuzioni. Cfr anche la mia risposta sul tema del CLUP nel diario di settembre. Roberto Zanre' ha detto: Dobbiamo svegliarci. Non possiamo più accettare che gli unici stipendi diminuibili siano quelli dei dipendenti che guadagnano già adesso una miseria. Dobbiamo dire: basta. E' arrivato il momento che si accomodino i ricchi. Giampaolo Carboniero ha detto: La commedia continua: diminuire gli stipendi degli AD di ENI e ENEL non si può perchè sono società quotate in Borsa, sebbene lo stato ne sia il principale azionista, diminuire lo stipendio dei satrapi di stato non si può perchè bisogna attendere la riforma, vietare i doppi incarichi non si può perchè... vattelapesca, evitare i conflitti di interesse non si può perchè bisogna attendere una legge che non vedrà mai la luce, ecct., ecct., restano solo gli stipendi dei dipendenti, troppo ricchi ed esosi, sia privati che pubblici. Questo per me vuol semplicemente dire nascondersi dietro un dito. P.S. Le FF.AA. sono ancora di proprietà dello stato? Se è vero che il 70% del bilancio va al personale, i vari generali e colonnelli, indispensabili a quanto pare, quanto guadagnano? http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/30/stelle-greche-e-torri-tr... http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/04/armamenti-nel-2014-nient... Siamo già in guerra, senza saperlo, vista l'assenza di spending review nel settore, o la Nato, viste la varie crisi opportunamente, casualmente sorte, ci ha già chiesto un incremento di spesa militare?

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Settembre 2014 a 0:14

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Roberto, bell'espressione di uno stato d'animo. Hai mai provato a fare due conti su quanti ricchi ci sono e quanti poveri? Si può e si deve lottare contro le differenze di reddito enormi che vediamo crescere da trenta anni a questa parte. Va fatto per motivi di coesione sociale e per motivi etici. Ma non ci si può illudere di risolvere in questa maniera i problemi delle finanze pubbliche dei paesi o la perdita di competitività prezzo della nostra economia. Roberto Zanre' ha detto: Dobbiamo svegliarci. Non possiamo più accettare che gli unici stipendi diminuibili siano quelli dei dipendenti che guadagnano già adesso una miseria. Dobbiamo dire: basta. E' arrivato il momento che si accomodino i ricchi. Giampaolo Carboniero ha detto: La commedia continua: diminuire gli stipendi degli AD di ENI e ENEL non si può perchè sono società quotate in Borsa, sebbene lo stato ne sia il principale azionista, diminuire lo stipendio dei satrapi di stato non si può perchè bisogna attendere la riforma, vietare i doppi incarichi non si può perchè... vattelapesca, evitare i conflitti di interesse non si può perchè bisogna attendere una legge che non vedrà mai la luce, ecct., ecct., restano solo gli stipendi dei dipendenti, troppo ricchi ed esosi, sia privati che pubblici. Questo per me vuol semplicemente dire nascondersi dietro un dito. P.S. Le FF.AA. sono ancora di proprietà dello stato? Se è vero che il 70% del bilancio va al personale, i vari generali e colonnelli, indispensabili a quanto pare, quanto guadagnano? http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/30/stelle-greche-e-torri-tr... http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/04/armamenti-nel-2014-nient... Siamo già in guerra, senza saperlo, vista l'assenza di spending review nel settore, o la Nato, viste la varie crisi opportunamente, casualmente sorte, ci ha già chiesto un incremento di spesa militare?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Settembre 2014 a 1:45 Intanto cominciamo a farlo; poi rifaremo i conti per vedere quanto manca. Fabio Colasanti ha detto: Roberto, bell'espressione di uno stato d'animo. Hai mai provato a fare due conti su quanti ricchi ci sono e quanti poveri? Si può e si deve lottare contro le differenze di reddito enormi che vediamo crescere da trenta anni a questa parte. Va fatto per motivi di coesione sociale e per motivi etici. Ma non ci si può illudere di risolvere in questa maniera i problemi delle finanze pubbliche dei paesi o la perdita di competitività prezzo della nostra economia. Roberto Zanre' ha detto: Dobbiamo svegliarci. Non possiamo più accettare che gli unici stipendi diminuibili siano quelli dei dipendenti che guadagnano già adesso una miseria. Dobbiamo dire: basta. E' arrivato il momento che si accomodino i ricchi. Giampaolo Carboniero ha detto: La commedia continua: diminuire gli stipendi degli AD di ENI e ENEL non si può perchè sono società quotate in Borsa, sebbene lo stato ne sia il principale azionista, diminuire lo stipendio dei satrapi di stato non si può perchè bisogna attendere la riforma, vietare i doppi incarichi non si può perchè... vattelapesca, evitare i conflitti di interesse non si può perchè bisogna attendere una legge che non vedrà mai la luce, ecct., ecct., restano solo gli stipendi dei dipendenti, troppo ricchi ed esosi, sia privati che pubblici. Questo per me vuol semplicemente dire nascondersi dietro un dito. P.S. Le FF.AA. sono ancora di proprietà dello stato? Se è vero che il 70% del bilancio va al personale, i vari generali e colonnelli, indispensabili a quanto pare, quanto guadagnano? http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/30/stelle-greche-e-torri-tr... http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/04/armamenti-nel-2014-nient...

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Siamo già in guerra, senza saperlo, vista l'assenza di spending review nel settore, o la Nato, viste la varie crisi opportunamente, casualmente sorte, ci ha già chiesto un incremento di spesa militare?

Risposto da Roberto Zanre' su 16 Settembre 2014 a 2:23 Infatti in un post di qualche ora fa avevo detto proprio questo: cominciamo con la riduzione (cioè, anche tramite tassazione...) dei redditi dei ricchi... poi se necessario riprendiamo con quello che stiamo facendo da tempo, cioè l'impoverimento della classe media. Fino adesso abbiamo cominciato con l'impoverimento dei miserabili, promettendo il contributo dei ricchi. Ora è tempo di cominciare dai ricchi, promettendo in futuro il contributo ulteriore dei miserabili. Un po' di fiducia, insomma. I conti li sappiamo fare anche noi. Non si tratta di stato d'animo, bensì di calcolo razionale. Giampaolo Carboniero ha detto: Intanto cominciamo a farlo; poi rifaremo i conti per vedere quanto manca. Fabio Colasanti ha detto: Roberto, bell'espressione di uno stato d'animo. Hai mai provato a fare due conti su quanti ricchi ci sono e quanti poveri? Si può e si deve lottare contro le differenze di reddito enormi che vediamo crescere da trenta anni a questa parte. Va fatto per motivi di coesione sociale e per motivi etici. Ma non ci si può illudere di risolvere in questa maniera i problemi delle finanze pubbliche dei paesi o la perdita di competitività prezzo della nostra economia. Roberto Zanre' ha detto: Dobbiamo svegliarci. Non possiamo più accettare che gli unici stipendi diminuibili siano quelli dei dipendenti che guadagnano già adesso una miseria. Dobbiamo dire: basta. E' arrivato il momento che si accomodino i ricchi. Giampaolo Carboniero ha detto: La commedia continua: diminuire gli stipendi degli AD di ENI e ENEL non si può perchè sono società quotate in Borsa, sebbene lo stato ne sia il principale azionista, diminuire lo stipendio dei satrapi di stato non si può perchè bisogna attendere la riforma, vietare i doppi incarichi non si può perchè... vattelapesca, evitare i conflitti di interesse non si può perchè bisogna attendere una legge che non vedrà mai la luce, ecct., ecct., restano solo gli stipendi dei dipendenti, troppo ricchi ed esosi, sia privati che pubblici. Questo per me vuol semplicemente dire nascondersi dietro un dito. P.S. Le FF.AA. sono ancora di proprietà dello stato? Se è vero che il 70% del bilancio va al personale, i vari generali e colonnelli, indispensabili a quanto pare, quanto guadagnano? http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/30/stelle-greche-e-torri-tr... http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/04/armamenti-nel-2014-nient... Siamo già in guerra, senza saperlo, vista l'assenza di spending review nel settore, o la Nato, viste la varie crisi opportunamente, casualmente sorte, ci ha già chiesto un incremento di spesa militare?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Settembre 2014 a 13:54 Non solo Roberto; siccome pare che i ricchi nostrani abbiano investito soprattutto nel mattone, la riforma del catasto sarebbe a costo zero, si potrebbe in seguito applicare una equa tassa patrimoniale,quella che stiamo già pagando ai comuni, si potrebbe inoltre inaugurare una reale politica di contrasto alla corruzione ( 60 Mld.?), all'evasione ( 120- 140 Mld.?,con bonus ai virtuosi), il sequestro dei beni mobili e immobili non solo ai criminali ( già lo facciamo poco), ma anche a evasori e corrotti e corruttori, quello che ci dovrebbe interessare sarebbe, prioritariamente, la restituzione del maltolto e poi bene venga anche la galera , a pagamento per costoro; abbiamo inserito nelle statistiche anche il PIL criminale e non riusciamo a recuperarlo ( 200 o più Mld.), solo dopo vedrei se è necessario "rimettere le mani nelle

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tasche degli italiani" ( di berlusconiana memoria); la scusa per non cominciare a fare tutto ciò è sempre la stessa: con questa maggioranza ibrida non si può, siamo sotto ricatto dei soliti noti; io mi domando, un domani, speriamo presto, che gli italiani potranno scegliere un altro governo, che differenza percepiranno fra csx e cdx? Io che ho imparato, a mie spese, a essere malizioso, vedo una fosca prospettiva: bruciato il PD ( la sua componente socialdemocratica), l'alternativa sarà fra il M5S e un nuovo inedito PD-FI-NCD, con una sx ancora una volta ai margini della politica; che non sia proprio questo il disegno sotteso a tutte le manovre degli ultimi anni? Speriamo che il personale politico del M5S cresca in fretta.

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Settembre 2014 a 14:42 Giampaolo, solo una precisazione su di un dettaglio. La revisione del PIL dovuta alle nuove regole armonizzate su come tener conto delle attività illegali ha portato ad una revisione del livello del PIL del 2014 di 11 miliardi di euro, pari allo 0.8 per cento del PIL precedentemente stimato (variazioni corrispondenti sono state fatte anche sul livello del PIL degli anni precedenti).

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 16 Settembre 2014 a 17:12 La questione più interessante sarebbe comprendere quanto invece del PIL complessivo va in tasca alla corruzione ed alla delinquenza organizzata . Personalmente non mi stupisce che la parte del PIl prodotta dalle attività illegali sia bassa . Il parassitismo di queste attività è tipico. Il problema è che s'impossessano di una bella fetta della ricchezza prodotta dagli altri . Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, solo una precisazione su di un dettaglio. La revisione del PIL dovuta alle nuove regole armonizzate su come tener conto delle attività illegali ha portato ad una revisione del livello del PIL del 2014 di 11 miliardi di euro, pari allo 0.8 per cento del PIL precedentemente stimato (variazioni corrispondenti sono state fatte anche sul livello del PIL degli anni precedenti).

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Settembre 2014 a 2:25 Spero tu non voglia intendere e far capire che il mercato criminale muove solo 11 Mld. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, solo una precisazione su di un dettaglio. La revisione del PIL dovuta alle nuove regole armonizzate su come tener conto delle attività illegali ha portato ad una revisione del livello del PIL del 2014 di 11 miliardi di euro, pari allo 0.8 per cento del PIL precedentemente stimato (variazioni corrispondenti sono state fatte anche sul livello del PIL degli anni precedenti).

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Settembre 2014 a 3:02 I maledetti, tanti miliardi e subito, una parte della loro attività per lo sviluppo della vita (dice la pubblicità), alla faccia dei pericoli per il resto del mondo, voglio vedere se riescono a comprarsi la Corte, e spero che la gente si svegli:

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http://www.intopic.it/notizia/5856809/ http://www.intopic.it/notizia/6433404/ http://www.intopic.it/notizia/6436444/

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Settembre 2014 a 17:01 Enrico Letta trova dei paralleli tra il referendum in Scozia e l'attentato di Sarajevo. http://www.corriere.it/esteri/14_settembre_16/se-scozia-ci-ricorda-...

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Settembre 2014 a 22:45 Giampaolo, volevo solo sottolineare le scemenze scritte da tanti giornali in questi giorni. Gli uffici statistici europei e mondiali tengono già conto delle attività "sommerse" che includono per definizione anche le attività illegali da oltre venti anni. Le modifiche introdotte con il SEC 2010 riguardano solo alcune convenzioni contabili e cambiano poco o nulla. Quindi le affermazioni apparse, per esempio su Micromega, che l'inclusione delle attività illegali sarebbe stata una maniera nascosta di "allentare" i vincoli dei criteri di Maastricht o che l'Italia cercava di risolvere i suoi problemi di bilancio grazie alla presa in conto della prostituzione e della droga si dimostrano essere delle stupidaggini come avevo scritto. Giampaolo Carboniero ha detto: Spero tu non voglia intendere e far capire che il mercato criminale muove solo 11 Mld. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, solo una precisazione su di un dettaglio. La revisione del PIL dovuta alle nuove regole armonizzate su come tener conto delle attività illegali ha portato ad una revisione del livello del PIL del 2014 di 11 miliardi di euro, pari allo 0.8 per cento del PIL precedentemente stimato (variazioni corrispondenti sono state fatte anche sul livello del PIL degli anni precedenti).

Risposto da giorgio varaldo su 17 Settembre 2014 a 23:14 dal punto di vista statistico scorporare le attività lecite da quelle illecite è un nonsenso. il dato del PIL non tiene conto della provenienza del danaro neanche ora quindi non riesco a capire il motivo di tutte queste critiche.

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Settembre 2014 a 12:37 Carico un breve commento sulla campagna per il referendum scozzese del direttore di un think tank di Bruxelles, l'EPC. Traccia dei paralleli interessanti tra la campagna per il referendum in Scozia e la discussione (forse tra breve campagna per il referendum) sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea. Allegati:

pub_4800_the_benefits_of_union (1).pdf, 255 KB

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Risposto da Cristina Favati su 19 Settembre 2014 a 19:41 Vi segnalo questo articolo http://www.lavoce.info/ununica-via-per-ripresa-delleurozona/

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Settembre 2014 a 1:59 Io sarei contento se gli inglesi votassero come gli scozzesi. Fabio Colasanti ha detto: Carico un breve commento sulla campagna per il referendum scozzese del direttore di un think tank di Bruxelles, l'EPC. Traccia dei paralleli interessanti tra la campagna per il referendum in Scozia e la discussione (forse tra breve campagna per il referendum) sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Settembre 2014 a 2:07 Cristina, sarebbe più etico che costoro, prima di continuare a proporre le solite purghe, chiedessero scusa per le sviste o le dimenticanze o gli errori teorici precedenti, non erano quelli dell'austerità e del taglio radicale della spesa pubblica a tutti i costi, senza se e senza ma, pena il diluvio universale? Di questi economisti, buoni per tutte le stagioni, ne ho piene le tasche, non sarebbe più utile dare ascolto ai premi Nobel dell'economia, che propongono tutt'altre soluzioni? Cristina Favati ha detto: Vi segnalo questo articolo http://www.lavoce.info/ununica-via-per-ripresa-delleurozona/

Risposto da Roberto Zanre' su 20 Settembre 2014 a 6:21 Ho trovato questo articolo (purtroppo sul Fatto Quotidiano): http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/16/cina-ricchi-in-fuga-vers... Leggendo la prima parte dell'articolo (fuga dei ricchi cinesi) verrebbe da confermare l'idea che una persona che si arricchisce, invece di riconoscere di esserci riuscito "grazie al sistema" (avete mai visto un aborigeno che vive in una foresta girare con la Ferrari e avere un grande conto in banca?), tende a sentirsi nel diritto di "separarsi" dalla società che gli ha permesso questo (pagando meno tasse, trasferendo i capitali, fuggendo in un altro paese in questo caso). Poi c'è la seconda parte: ci sono persone che chiedono di "entrare" in Cina. Forse attirate proprio da "quel sistema", che evidentemente permette di arricchirsi. Allora è una questione di "gratitudine"? Poiché so bene che questo stato d'animo e' raro, penso che dovrebbe essere il "sistema" ad adottare misure adatte a "trattenere" una parte dei capitali guadagnati grazie al fatto che esso esiste.

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Settembre 2014 a 13:07 Roberto,

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Più o meno la stessa cosa potrebbe dirsi di chi riceve una formazione scolastica di tanti anni e poi vai a lavorare in un altro paese. Non è un'idea campata in aria. Un mio amico molto caro è scappato dalla Cecoslovacchia nell'agosto del 1968 (per fortuna sua era in vacanza nell'Europa occidentale e ha deciso di non rientrare nel paese) e ha ottenuto asilo politico in Danimarca. Negli anni ottanta, prima della caduta del regime, aveva ottenuto di poter rientrare nel paese (dove aveva madre, padre e una sorella) a condizione di rimborsare al governo cecoslovacco il costo degli anni di università che aveva frequentato. Posso anche immaginare che la Cina decida di mettere una tassa sui ricchi che lasciano il paese. Ma puoi immaginare che un qualsiasi paese occidentale ponga delle restrizioni, finanziarie o altre, a chi vuole andare via dal sua paese? Roberto Zanre' ha detto: Ho trovato questo articolo (purtroppo sul Fatto Quotidiano): http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/16/cina-ricchi-in-fuga-vers... Leggendo la prima parte dell'articolo (fuga dei ricchi cinesi) verrebbe da confermare l'idea che una persona che si arricchisce, invece di riconoscere di esserci riuscito "grazie al sistema" (avete mai visto un aborigeno che vive in una foresta girare con la Ferrari e avere un grande conto in banca?), tende a sentirsi nel diritto di "separarsi" dalla società che gli ha permesso questo (pagando meno tasse, trasferendo i capitali, fuggendo in un altro paese in questo caso). Poi c'è la seconda parte: ci sono persone che chiedono di "entrare" in Cina. Forse attirate proprio da "quel sistema", che evidentemente permette di arricchirsi. Allora è una questione di "gratitudine"? Poiché so bene che questo stato d'animo e' raro, penso che dovrebbe essere il "sistema" ad adottare misure adatte a "trattenere" una parte dei capitali guadagnati grazie al fatto che esso esiste.

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Settembre 2014 a 14:16 La televisione ha mostrato le immagini di 150 profughi dalla Siria che sono stati accolti in Francia (e salutati all'aeroporto dal ministro degli esteri Laurent Fabius). Le loro domande sono state esaminate dal consolato francese ad Erbil e sono stati portati in Francia con un aereo di linea francese. I 150, soprattutto curdi siriani, sono stati scelti sulla base del fatto che hanno parenti in Francia. Ma secondo gli stessi servizi televisivi, il consolato francese ad Erbil avrebbe ricevuto oltre 10mila domande di asilo !

Risposto da Giampaolo Carboniero su 26 Settembre 2014 a 23:39 Il sistema più economico per disfarsi dei rifiuti hitech, quindi il più giusto? http://comune-info.net/2014/09/terra-inquinata-mondo-agbogbloshie/

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Settembre 2014 a 0:00 Giampaolo, pensi che ci sia anche un solo politico o analista serio al mondo che risponda positivamente? Allora che senso ha la tua domanda? Mi sembra come postare la foto di una serie di cadaveri sgozzati dall'Isis e chiedere se questa non sia una buona maniera di ridurre l'eccesso di popolazione nel mondo. Ma perché è tanto difficile avere discussioni serie? Giampaolo Carboniero ha detto: Il sistema più economico per disfarsi dei rifiuti hitech, quindi il più giusto? http://comune-info.net/2014/09/terra-inquinata-mondo-agbogbloshie/

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 27 Settembre 2014 a 1:58 Certo che nessun politico o analista serio non dirà mai qualcosa del genere in pubblico, però tutti lo sanno e non pervengono proposte; per te cosa vuol dire, hanno ulteriore bisogno di confermarmi che così va bene? Il caso dell'IS mi sembra proprio non comparabile, neanche tirandolo per i capelli. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, pensi che ci sia anche un solo politico o analista serio al mondo che risponda positivamente? Allora che senso ha la tua domanda? Mi sembra come postare la foto di una serie di cadaveri sgozzati dall'Isis e chiedere se questa non sia una buona maniera di ridurre l'eccesso di popolazione nel mondo. Ma perché è tanto difficile avere discussioni serie? Giampaolo Carboniero ha detto: Il sistema più economico per disfarsi dei rifiuti hitech, quindi il più giusto? http://comune-info.net/2014/09/terra-inquinata-mondo-agbogbloshie/

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Ottobre 2014 a 0:30 Quello che sta succedendo ad Hong Kong ci mette di fronte ad un nuovo dilemma. Siamo in una situazione che ricorda quella delle primavere arabe. Un minimo di realismo ci impone di non esprimerci e di non sostenere apertamente i giovani che chiedono elezioni democratiche (quello che propone Pechino è una versione cinese delle liste di "nominati" contro le quali molti sono insorti nelle nostre discussioni; Pechino propone che gli abitanti di Hong Kong possano scegliere solo all'interno di una sola lista di nomi proposti dal partito). Del resto il governo cinese – che sta cercando (inutilmente) di sopprimere ogni riferimento alle manifestazioni dalle fonti di informazione e dall'internet – ha ricordato a tutti gli altri paesi che ad Hong Kong si sta discutendo di una "questione interna cinese" e li ha invitati esplicitamente a non interferire. Quello che fa particolarmente male è che mentre il caso delle primavere arabe ci ha ricordato che una democrazia in paesi con un livello di istruzione molto basso e con divisioni religiose e tribali tanto forti è una scommessa molto difficile, ho l'impressione che gli abitanti di Hong Kong sarebbero perfettamente capaci di autogovernarsi e di gestire in maniera corretta il concetto di "un paese, due sistemi". Purtroppo una democrazia vera per Hong Kong spingerebbe poi tanti a chiedere qualcosa di simile anche nel resto della Cina. Speriamo che non si arrivi ad uno spargimento di sangue. Ricordiamo tutti Tien an men.

Risposto da giovanni de sio cesari su 1 Ottobre 2014 a 10:08 Fabio, anche se le finalità appaiono le stesse, io non credo che la primavera araba possa paragonarsi alla rivoluzione degli ombrelli. Hong Kong non rappresenta la Cina, è un ‘altra Cina. Non ha partecipato alle vicende della Cina nell’ultimo secolo e mezzo, ha ordinamenti copiati dagli inglesi, perfino la common law, è una specie di Inghilterra con gli occhi a mandorla. Con gli accordi fra i pragmatici inglesi e l’ancora piu pragmatico Deng è tornata alla madre patria ma conservando i propri ordinamenti: praticamente non è cambiato nulla. Ora la Cina cerca attraverso il meccanismo del comitato dei 1400 di limitare quell’autonomia che dovrebbe durare fino al 2047, se non erro. E' nell’interesse di ambedue le parti non esasperare il conflitto i cui esiti drammatici sarebbero negativi per ambedue. Non credo che ci sia il pericolo dell’effetto contagio che l’occidente (e anche il governo cinese) sopravvaluta. Il dissenso in Cina è un

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fatto elitario, non trova corrispondenza nelle masse. Anche Tien an men fu un fatto locale, il resto della Cina rimase indifferente se non ostile e fu represso con una violenza che a noi pare eccessiva: ma i cinesi sono fatti cosi: distruggono il nemico non si limitano a vincerlo, come facciamo noi. Fabio Colasanti ha detto: Quello che sta succedendo ad Hong Kong ci mette di fronte ad un nuovo dilemma. Siamo in una situazione che ricorda quella delle primavere arabe. Un minimo di realismo ci impone di non esprimerci e di non sostenere apertamente i giovani che chiedono elezioni democratiche (quello che propone Pechino è una versione cinese delle liste di "nominati" contro le quali molti sono insorti nelle nostre discussioni; Pechino propone che gli abitanti di Hong Kong possano scegliere solo all'interno di una sola lista di nomi proposti dal partito). Del resto il governo cinese – che sta cercando (inutilmente) di sopprimere ogni riferimento alle manifestazioni dalle fonti di informazione e dall'internet – ha ricordato a tutti gli altri paesi che ad Hong Kong si sta discutendo di una "questione interna cinese" e li ha invitati esplicitamente a non interferire. Quello che fa particolarmente male è che mentre il caso delle primavere arabe ci ha ricordato che una democrazia in paesi con un livello di istruzione molto basso e con divisioni religiose e tribali tanto forti è una scommessa molto difficile, ho l'impressione che gli abitanti di Hong Kong sarebbero perfettamente capaci di autogovernarsi e di gestire in maniera corretta il concetto di "un paese, due sistemi". Purtroppo una democrazia vera per Hong Kong spingerebbe poi tanti a chiedere qualcosa di simile anche nel resto della Cina. Speriamo che non si arrivi ad uno spargimento di sangue. Ricordiamo tutti Tien an men.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 1 Ottobre 2014 a 23:42 E io che pensavo che il Porcellum e l'Italicum fossero prerogativa dei paesi democratici; siamo noi ad aver copiato o sono i cinesi? Per questo non si può parlare? Perchè ci stiamo avviando verso l'imitazione della "migliore" democrazia al mondo? Fabio Colasanti ha detto: Quello che sta succedendo ad Hong Kong ci mette di fronte ad un nuovo dilemma. Siamo in una situazione che ricorda quella delle primavere arabe. Un minimo di realismo ci impone di non esprimerci e di non sostenere apertamente i giovani che chiedono elezioni democratiche (quello che propone Pechino è una versione cinese delle liste di "nominati" contro le quali molti sono insorti nelle nostre discussioni; Pechino propone che gli abitanti di Hong Kong possano scegliere solo all'interno di una sola lista di nomi proposti dal partito). Del resto il governo cinese – che sta cercando (inutilmente) di sopprimere ogni riferimento alle manifestazioni dalle fonti di informazione e dall'internet – ha ricordato a tutti gli altri paesi che ad Hong Kong si sta discutendo di una "questione interna cinese" e li ha invitati esplicitamente a non interferire. Quello che fa particolarmente male è che mentre il caso delle primavere arabe ci ha ricordato che una democrazia in paesi con un livello di istruzione molto basso e con divisioni religiose e tribali tanto forti è una scommessa molto difficile, ho l'impressione che gli abitanti di Hong Kong sarebbero perfettamente capaci di autogovernarsi e di gestire in maniera corretta il concetto di "un paese, due sistemi". Purtroppo una democrazia vera per Hong Kong spingerebbe poi tanti a chiedere qualcosa di simile anche nel resto della Cina. Speriamo che non si arrivi ad uno spargimento di sangue. Ricordiamo tutti Tien an men.

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Ottobre 2014 a 7:08 Ancora un fatto per le nostre discussioni. http://www.huffingtonpost.it/umberto-de-giovannangeli/51-milioni-pr...

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Risposto da Fabio Colasanti su 3 Ottobre 2014 a 22:45 http://www.dw.de/un-record-numbers-of-migrants-crossing-to-europe/a...

Risposto da Salvatore Venuleo su 7 Ottobre 2014 a 18:37 http://www.repubblica.it/esteri/2014/10/07/news/rushdie_usare_la_fo...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 8 Ottobre 2014 a 17:00 Io vorrei tornare a porre al centro della discussione il tema del post, perchè non ci si può riferire alle azioni politiche e l'economia mondiali parlando di sole guerre; quando si è "costretti" a fare una guerra si dovrebbe avere già disponibile una strategia per il dopo, affinchè non si ripetano le stesse cause; una domanda: stiamo combattendo per il petrolio, per il potere di qualcuno o per la convivenza pacifica tra i popoli? E allora, quali sono i desideri e le necessità di "tutti" i popoli? Quale qualità e tipo di mondo, quale strategia economica? Quali azioni strategiche dovrebbe finanziare la Banca Mondiale, anzichè la finanza o altre attività collegate? Intanto il pianeta... http://www.parchiperkyoto.it/biodiversita-onu-il-mondo-non-ha-rispe...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 10 Ottobre 2014 a 12:50 Firmate anche voi, per favore; lo studio e l'informazione sono l'unica possibilità di sviluppo per "tutti" i popoli, non solo per Maud: http://www.change.org/p/lo-studio-%C3%A8-la-nostra-unica-arma-2?utm...

Risposto da Fabio Colasanti su 10 Ottobre 2014 a 13:37 Il premio Nobel per la pace è appena stato assegnato a due persone che si battono per l'istruzione dei bambini nei paesi emergenti. Giampaolo Carboniero ha detto: Firmate anche voi, per favore; lo studio e l'informazione sono l'unica possibilità di sviluppo per "tutti" i popoli, non solo per Maud: http://www.change.org/p/lo-studio-%C3%A8-la-nostra-unica-arma-2?utm...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 Ottobre 2014 a 0:26 E questo avrebbe risolto il problema, o dobbiamo continuare a spingere?

Risposto da Roberto Zanre' su 11 Ottobre 2014 a 1:00

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Grazie Laura. laura sgaravatto ha detto: Ci dobbiamo muovere, e anche in fretta, per non rimanere un passo indietro. A dirlo è Jeremy Rifkin, economista e politologo americano, probabilmente tra i più grandi pensatori del nostro tempo. A Milano, e poi a Mantova, per parlare del suo ultimo libro "La società a costo marginale zero" MILANO - "Bisogna puntare all'energia rinnovabile, e bisogna farlo subito". E' questa la ricetta di Jeremy Rifkin, che di economia se ne intente, per uscire dalla crisi. "Bisogna seguire il modello di Cina, Danimarca e Germania - spiega, l'autore di "La società a costo marginale zero, che con la cancelliera Angela Merkel ci lavora gomito a gomito - ho incontrato Matteo Renzi, è giovane e so che è anche un grande sostenitore dell'economia digitale: ma wifi e banda larga non bastano, l'Italia deve fare di più". L'INCONTRO - Non una classica presentazione del libro quella di ieri a Milano, all'Hotel Four Season, dove Jeremy Rifkin ha incontrato i giornalisti prima di partire per Mantova, atteso al Festivaletteratura per discutere del suo libro "La società a costo marginale zero" e dell'economia del futuro oggi alle 14.30 in Piazza Castello. Il suo è un entusiasmo travolgente, un grande pensatore che sembra avere il potere (o la fortuna) di aver assaggiato un pezzettino di futuro. Vede oltre. E ce lo spiega. COSTO MARGINALE ZERO - Con l'Internet delle cose, il mondo sta cambiando, "anche piuttosto rapidamente", sottolinea Rifkin. "Attualmente, quella tedesca è la terza economia mondiale dopo l'America e la Cina. Fino ad ora, in una società prettamente capitalista, le aziende hanno sempre cercato di ridurre il costo marginale, ma nessuno si aspettava una rivoluzione di così tali dimensioni da portare addirittura i costi prossimi allo zero - spiega - produrre e condividere informazioni a costo marginale zero con la rete. E' accaduto con la musica, i video, sta succedendo anche con i social media, con l'editoria, con i libri." LA CONDIVISIONE - Anni fa la cosa più importante era la proprietà, possedere una cosa, ora invece è la condivisione l'elemento fondamentale. "Ci sono milioni di giovani della nuova generazione che mettono a disposizione la propria creatività ai terzi - commenta - ed è una cosa che va gestita bene, per sfruttarla al meglio". Per spiegarlo, cita Gandhi: "Non produzione di massa ma produzione da parte delle masse. Lui non aveva la tecnologia per farlo, adesso c'è. E' una cosa troppo bella per non essere realizzata." PENSATORE DEL FUTURO - Secondo Jeremy Rifkin, abbiamo già vissuto due rivoluzioni industriali (la prima 'vinta' dall'Inghilterra con la ferrovia e la seconda l'America con il petrolio). Ora stiamo vivendo la terza rivoluzione industriale e "La Cina si sta preparando molto bene - fa notare Jeremy Rifkin - è sta investendo circa 82 miliardi di dollari per lo sviluppo e per l'Internet delle cose (comunicazione, energia e logistica)." Non è un caso, infatti, che il libro "La società a costo marginale zero" abbia venduto, solo lì, oltre 400mila copie. IL CAMBIAMENTO NECESSARIO - "Bisogna cambiare la piattaforma energetica perchè costa sempre di più e porta al cambiamento climatico. Non capisco cosa stia aspettando l'Italia: si parla di attualità, riforme, ed è necessario farle ma non è sufficiente. L'Italia deve cambiare il proprio modello energetico. Non può restare nel XX secolo, ancora con carburanti fossili e con il nucleare perchè così rimarrà un passo indietro - sostiene Jeremy Rifkin - Ci sono voluti oltre 20 anni per sviluppare l'internet delle comunicazioni, quindi ce ne vorranno altri 20 per quello dell'energia e ancora altri 20 per quello della logistica. Se nel 1989 vi avessero detto che 24 dopo il 40% della popolazione mondiale avrebbe comunicato a costo marginale zero...ci avreste creduto?"

Risposto da Roberto Zanre' su 11 Ottobre 2014 a 1:01 L'anno scorso rimasi deluso per la non assegnazione del Nobel per la pace a Malala. Sono contento che si sia riparato all'errore.

Risposto da Fabio Colasanti su 11 Ottobre 2014 a 19:03 Riporto qui un interessante intervento di Giovanni messo per errore nella discussione "Diario settembre". Fabio

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Aggiuigevo pure che noi che da 70 anni ci stiamo rimproverando perche abbiamo permesso la shoah, non dovremmo stare solo a guardare questi orrori Per i turchi è difficile intervenire . La Tiuchia non è mai intervenuta nei fatti del medio oriente perche dopo la rivoluzione di Kemal Ataturk non si è piu considerato una paese islamico e guarda all’europa. Ora pero con il governo di Erdogan ha riscoperto le sue radici islamiche ( moderate): i rapporti con Israele ( unico stato islamico a ricoscerlo) sono diventati diffcili. Quando la Siria è entrata nel tunnel della guerra civile che è pure un confitto fra sunniti e sciiti , fra laici e religiosi la Turchia si è allora schierata apertamente contro Assad. Le vicende pero sono precipitate con la radicalizzazione della opposizione in senso religioso fino alla formazione del califfato Questo poi è finito con lo scontrarsi soprattutto con i Curdi anche essi mussulmani sunniti ma in genere di tendenza laica Una parte consistente della popolazione della Turchia è in realtà curda e per oltre 40 anni è infuriato un conflitto a volte sanguinoso per le sue aspirazioni secessioniste o almeno autonomiste. Quindi le manifestazioni delle citta turche ( con decine di morti ) sono in realta dei Curdi che vorrebbero che l’esercito turco loro nemico ma dello stato di cui comunque fanno parte intervenisse a difesa dei loro connazionali crudelmente minacciati dal fanatismo islamico . Erdogan si trova quindi davanti a un difficile dilemma: dovrebbe intervenire a favore di quei curdi che in pratica hanno costituito una loro entità nazionale ( anche se ufficialmente non riconosciuta) ad di fuori dei suoi confini che potrebbe essere una calamita per i curdi della Turchia .Dovrebbe combattere contro quelli che sono gli avversari principali di Assad di Siria sostenuto ampiamente dagli sciiti, avversari degli sunniti appoggiati dalla Turchia sunnita. D’altra parte l’ingresso in azione dell’esercito turco , modernamente addestrato ed armato, con standard NATO altererebbe tutti gli equilibri del Medio Oriente. Potrebbe distruggere facilmente non solo il califfato ma con altrettanta facilita abbattere il regimo di Assad in Siria , soccorrere i sunniti arabi di Iraq contro il prevalere degli sciiti e altro ancora. In prospettiva sarebbe anche in grado di battere gli Israeliani . Insomma si potrebbe configurare una sfera di influenza estesissima quasi una rinascita dell’impero ottomano in un Medio Oriente polverizzato dagli scontri etnici e religiosi che l’impero ottomano aveva comunque saputo contenere Una prospettiva che inquieta tutti. Tenete anche presente che anche fra i curdi (islamici sunniti) esiste una fazione jhadisti (ansar al islam , mi pare si definisca ma non sono sicuro) e che fra quelli del califfato vi sono anche dei volontari curdi.

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Ottobre 2014 a 11:11 http://www.eunews.it/2014/10/14/renzi-il-ttip-ha-lappoggio-totale-e...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Ottobre 2014 a 18:00 Io spero che quell'accordo salti o, come minimo, venga messo a conoscenza del pubblico, con tutte le sue ricadute, e venga poi indetto un referendum per la sua approvazione ( visto che il gradimento del governo non è sufficiente per poter dire che è d'accordo tutto il popolo, o una sua maggioranza qualificata, non certo rappresentata da un governo che "non è stato eletto") Fabio Colasanti ha detto: http://www.eunews.it/2014/10/14/renzi-il-ttip-ha-lappoggio-totale-e...

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Ottobre 2014 a 18:34 Giampaolo, la clausola sulla protezione degli investimenti contro la quali tanti strillano è una clausola che i paesi industrializzati (noi compresi) hanno insistito da decenni per avere in tutti gli accordi commerciali oggi esistenti per proteggersi contro le decisioni estemporanee che ogni stato potrebbe prendere. E' strano che oggi qualcuno scopra questa clausola e vi si opponga quando questa esiste in tutti gli altri accordi commerciali.

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Giampaolo Carboniero ha detto: Io spero che quell'accordo salti o, come minimo, venga messo a conoscenza del pubblico, con tutte le sue ricadute, e venga poi indetto un referendum per la sua approvazione ( visto che il gradimento del governo non è sufficiente per poter dire che è d'accordo tutto il popolo, o una sua maggioranza qualificata, non certo rappresentata da un governo che "non è stato eletto") Fabio Colasanti ha detto: http://www.eunews.it/2014/10/14/renzi-il-ttip-ha-lappoggio-totale-e...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Ottobre 2014 a 19:39 Per me deve far parte del rischio d'impresa se i contraenti non partecipano delle stesse regole democratiche; se un'impresa distrugge l'ambiente di un paese, o arreca danni gravi, e per questo viene sanzionata, è una sua mancanza il non aver ricercato il consenso della gente del posto, ma solo, magari a pagamento, dei suoi vertici, come succede spesso nel caso di paesi sorretti da regimi dittatoriali o poco democratici. So già quale può essere una delle obiezioni: esistono dittatori bravi e giusti e quelli cattivoni e disonesti che non rispettano i patti. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, la clausola sulla protezione degli investimenti contro la quali tanti strillano è una clausola che i paesi industrializzati (noi compresi) hanno insistito da decenni per avere in tutti gli accordi commerciali oggi esistenti per proteggersi contro le decisioni estemporanee che ogni stato potrebbe prendere. E' strano che oggi qualcuno scopra questa clausola e vi si opponga quando questa esiste in tutti gli altri accordi commerciali. Giampaolo Carboniero ha detto: Io spero che quell'accordo salti o, come minimo, venga messo a conoscenza del pubblico, con tutte le sue ricadute, e venga poi indetto un referendum per la sua approvazione ( visto che il gradimento del governo non è sufficiente per poter dire che è d'accordo tutto il popolo, o una sua maggioranza qualificata, non certo rappresentata da un governo che "non è stato eletto") Fabio Colasanti ha detto: http://www.eunews.it/2014/10/14/renzi-il-ttip-ha-lappoggio-totale-e...

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Ottobre 2014 a 19:56 Giampaolo, le imprese operano sulla base delle regole in vigore e nessuno si sogna di dire il contrario. E' diverso il caso in cui un'impresa realizza un impianto secondo le regole in vigore e, a lavori finiti, si sente dire: "Ci dispiace, abbiamo cambiato idea, cambiamo le regole, l'impianto non può più funzionare. Per decenni le nazioni avaanzate hanno chiesto e ottenuto che in tutti gli accordi commerciali ci sia una norma che protegga gli investimenti da cambiamenti delle regole di questo tipo (Telecom Italia si è trovata di fronte a situazioni del genere in Bolivia e Argentina). Questo è il senso della regola del TTIP di cui tanto si discute. Tu stesso hai recentemente criticato delle misure retroattive del governo italiano sulle sovvenzioni ai pannelli solari. La norma del TTIP vuole dare stabilità e proteggere contro casi del genere. Giampaolo Carboniero ha detto: Per me deve far parte del rischio d'impresa se i contraenti non partecipano delle stesse regole democratiche; se un'impresa distrugge l'ambiente di un paese, o arreca danni gravi, e per questo viene sanzionata, è una sua mancanza il non aver ricercato il consenso della gente del posto, ma solo, magari a pagamento, dei suoi vertici, come succede spesso nel caso di paesi sorretti da regimi dittatoriali o poco democratici. So già quale può essere una delle obiezioni: esistono dittatori bravi e giusti e quelli cattivoni e disonesti che non rispettano i patti.

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Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, la clausola sulla protezione degli investimenti contro la quali tanti strillano è una clausola che i paesi industrializzati (noi compresi) hanno insistito da decenni per avere in tutti gli accordi commerciali oggi esistenti per proteggersi contro le decisioni estemporanee che ogni stato potrebbe prendere. E' strano che oggi qualcuno scopra questa clausola e vi si opponga quando questa esiste in tutti gli altri accordi commerciali. Giampaolo Carboniero ha detto: Io spero che quell'accordo salti o, come minimo, venga messo a conoscenza del pubblico, con tutte le sue ricadute, e venga poi indetto un referendum per la sua approvazione ( visto che il gradimento del governo non è sufficiente per poter dire che è d'accordo tutto il popolo, o una sua maggioranza qualificata, non certo rappresentata da un governo che "non è stato eletto") Fabio Colasanti ha detto: http://www.eunews.it/2014/10/14/renzi-il-ttip-ha-lappoggio-totale-e...

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2014 a 19:56 Trovo inutili e faziose queste polemiche su presunti pericoli ambientali. Qualsiasi progetto industriale trivellazioni comprese richiede autorizzazioni se e' in accordo alle prescrizioni si concedono i permessi se non in accordo si negano. Troppo semplice?

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Ottobre 2014 a 22:45 Sandra, senza un minimo di stabilità legislativa nessuna impresa farà mai investimenti. Per recuperare il costo di tanti investimenti servono almeno quindici o venti anni di operazioni. Se non c'è questa prospettiva, ma perché mai qualcuno deve fare l'investimento. Se può andrà a farlo dove la situazione è più stabile. I paesi del terzo mondo hanno accettato clausole di protezione degli investimenti come quella che è prevista nel TTIP (e in tutti gli altri accordi commerciali) perché si sono resi conto che era l'unica maniera di attrarre investimenti. I paesi industrializzati (noi compresi) abbiamo chiesto queste clausole per evitare di trovarci - come poi è successo a volte nonostante queste clausole - con imprese che hanno fatto investimenti che sono andati completamente perduti. La clausola prevede certo che le leggi possano cambiare, ma non in maniera radicale e ingiustificata. Lo stesso principio è applicato in tutti gli accordi commerciali del WTO: un paese può introdurre nuove norme, ma queste devono avere una giustificazione oggettiva. Non è possibile introdurre norme senza una giustificazione oggettiva (spesso delle norme arbitrarie sono introdotte solo per motivi protezionistici). Comunque una clausola come quella del TTIP esiste in quasi tutti gli accordi commerciali firmati dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Sandra Del Fabro ha detto: Ma se nel frattempo cambiano le leggi , l'impresa si deve adeguare! Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, le imprese operano sulla base delle regole in vigore e nessuno si sogna di dire il contrario. E' diverso il caso in cui un'impresa realizza un impianto secondo le regole in vigore e, a lavori finiti, si sente dire: "Ci dispiace, abbiamo cambiato idea, cambiamo le regole, l'impianto non può più funzionare. Per decenni le nazioni avaanzate hanno chiesto e ottenuto che in tutti gli accordi commerciali ci sia una norma che protegga gli investimenti da cambiamenti delle regole di questo tipo (Telecom Italia si è trovata di fronte a situazioni del genere in Bolivia e Argentina). Questo è il senso della regola del TTIP di cui tanto si discute. Tu stesso hai recentemente criticato delle misure retroattive del

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governo italiano sulle sovvenzioni ai pannelli solari. La norma del TTIP vuole dare stabilità e proteggere contro casi del genere.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2014 a 23:32 Oltre al cambio in corsa delle leggi cosa spaventa gli investitori e' la mancanza di certezze per quanto riguarda l'applicazione del diritto E queste sentenze aggirano qualsiasi tipo di accordo sottoscritto dalla politica . E specialmente per il nostro paese la riforma della magistratura e' estremamente necessaria.

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Ottobre 2014 a 23:44 Giorgio, per questo motivo importante che tu indichi e anche per tanti altri (per esempio, i sette/otto anni necessari per la conclusione di un processo civile). giorgio varaldo ha detto: Oltre al cambio in corsa delle leggi cosa spaventa gli investitori e' la mancanza di certezze per quanto riguarda l'applicazione del diritto E queste sentenze aggirano qualsiasi tipo di accordo sottoscritto dalla politica . E specialmente per il nostro paese la riforma della magistratura e' estremamente necessaria.

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Ottobre 2014 a 11:06 I governi degli stati membri hanno accettato di rendere pubblico il documento del 17 giugno 2013 con le istruzioni alla Commissione per negoziare il TTIP. http://www.ictsd.org/bridges-news/bridges/news/eu-releases-ttip-neg... I governi hanno quindi accettato una richiesta che la Commissione europea aveva formulato già parecchio tempo fa. http://europa.eu/rapid/press-release_STATEMENT-14-306_en.htm E questo è il testo delle istruzioni che la Commissione aveva ricevuto. http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-11103-2013-DCL-1/en...

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Ottobre 2014 a 17:15 Sandra, sul primo punto non vedo in che misura le "multinazionali" sarebbero diverse dalle altre imprese e come si potrebbe cercare di attrarre nel nostro paese investimenti in genere, ma "escludendo le multinazionali". Tra l'altro come definisci le multinazionali? Come imprese che operano in più di un paese? Allora quasi tutte le piccole e medie imprese del nostro nord-est sarebbero delle multinazionali. Tutti i trattati commerciali che sono stati fatti con i paesi in via di sviluppo sono sempre stati - e volutamente - asimmetrici, nel senso che hanno offerto ai paesi poveri vantaggi commerciali anche senza offerte equivalenti da parte loro. Il problema è che anche con trattati commerciali che li favoriscono non si riesce a compensare i mille svantaggi che esistono nei loro paesi e che fanno si che pochissimi vogliano andare ad investire li. Va però notato che dopo essere stata per tanto tempo il continente ignorato dalla globalizzazione anche l'Africa ha adesso cominciato a crescere. Negli ultimi anni i paesi dell'Africa sub-sahariana sono cresciuti più rapidamente dell'economia gobale.

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Purtroppo molti paesi hanno la palla al piede pesantissima di tante guerre tribali, del terrorismo islamico più o meno forte e, adesso, dell'epidemia di ebola. Sarebbe necessario concedere a questi paesi aiuti economici più forti e non legarli a forniture nazionali (molto spesso gli aiuti al terzo mondo sono stati in realtà un aiuto alle nostre ditte). Una maniera di liberare questi aiuti dal vicolo dell'utilizzare i fondi per acquistare merci prodotte nel paese donatore (che a volte non sono quello di cui il paese ha bisogno) è di farli passare attraverso l'Unione europea. Nell'insieme il mondo industrializzato da in aiuti pubblici una cifra bassa, inferiore a quello 0.7 per cento del PIL che le Nazioni Unite avevano proposto come obiettivo. Un problema aggiuntivo è che noi leghiamo la concessione degli aiuti al rispetto dei diritti umani e a riforme democratiche. Questo fa si che questi paesi abbiano poca voglia di riceverli. Preferiscono di gran lunga fare accordi commerciali con la Cina che non si occupa dei loro affari interni e non chiede nulla sul piano dei diritti politici nei paesi. Un'ultima considerazione. L'aiuto più forte che si potrebbe dare a questi paesi è di comprare i loro prodotti e aiutare la loro crescita economica in questa maniera. Purtroppo la produzione di questi paesi è concentrata nell'agricoltura, nei prodotti alimentari e in produzioni industriali semplici. Sulle produzioni industriali noi europei siamo abbastanza aperti, ma sull'agricoltura e sui prodotti alimentari siamo molto protezionisti (vogliamo i prodotti a km zero). Sandra Del Fabro ha detto: A proposito del TTIP volevo aggiungere alle considerazioni già fatte altre due. Un pericolo per le nostre economie può venire anche dalla penetrazione di multinazionali con tutto ciò che comporta (a parte i possibili investimenti che creerebbero lavoro) come scarsa possibilità di controllo delle scelte nel campo del lavoro e dei salari ma soprattutto perché in questo momento dovrebbero essere le nostre economie-sto pensando all'Italia in particolare- a investire nel nuovo e nella soddisfazione dei bisogni della gente. Cioè di nuovo saremmo al carro di multinazionali per un'economia di consumi dettata dall'alto. Un'altra osservazione riguarda il fatto che si continua in epoca di globalizzazione a creare ricchezza e commercio dove già c'è perpetrando quella esclusione dei popoli africani , ad esempio, che ha conseguenze pesanti in termini di emigrazione, guerre, caduta nel terrorismo, epidemie terribili che dilagano là dove c'è più povertà e ignoranza. Come si potrebbero configurare dei trattati con i Paesi africani che siano di vantaggio commerciale per gli Europei e di reale crescita del benessere della popolazione per loro?

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Ottobre 2014 a 19:09 Sandra, le multinazionali sono sottoposte alle stesse regole sulla concorrenza di ogni altra impresa. Quello della tassazione è un problema diverso. Siamo ancora molto lontani da una soluzione, ma qualcosa si muove. Il governo irlandese, sotto la pressione della Commissione europea che aveva minacciato una procedura di infrazione per aiuti di stato illegali (i vantaggi fiscali offerti dal governo irlandese sono stati considerati dalla Commissione come "aiuti di stato") ha appena annullato una serie di vantaggi che offriva a molte società. Per quanto riguarda il protezionismo europeo in campo agricolo, bisogna discuterne con le organizzazioni dei nostri agricoltori. Sono loro che fanno pressione perché noi non si importino prodotti agricoli da tanti paesi. Sandra Del Fabro ha detto: Per il primo punto pensavo alle grandi multinazionali che non permttono sviluppo di aziende competitive e che facilmente sfuggono a controlli vuoi fiscali, vuoi di strategie imprenditoriali. Per il secondo punto abbiamo purtroppo lasciato l'Africa alla Cina che si comporta come una potenza coloniale, riuscendo a comperare terre e risorse i cui benefici non ricadono sulle popolazioni locali. L'Europa dovrebbe riprendere un ruolo che è quasi connaturato sia per i rapporti storici che per la contiguità geografica. Accordi con quei governi per sviluppare piccole, medie imprese e creare scambi commerciali alla pari. Un altro grosso problema è il protezionismo agricolo europeo, non sarebbe possibile un commercio più equo in campo alimentare? Fabio Colasanti ha detto: Sandra, sul primo punto non vedo in che misura le "multinazionali" sarebbero diverse dalle altre imprese e come si potrebbe cercare di attrarre nel nostro paese investimenti in genere, ma "escludendo le multinazionali". Tra l'altro come definisci le multinazionali? Come imprese che operano in più di un paese? Allora quasi tutte le piccole e medie imprese del nostro nord-est sarebbero delle multinazionali.

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Tutti i trattati commerciali che sono stati fatti con i paesi in via di sviluppo sono sempre stati - e volutamente - asimmetrici, nel senso che hanno offerto ai paesi poveri vantaggi commerciali anche senza offerte equivalenti da parte loro. Il problema è che anche con trattati commerciali che li favoriscono non si riesce a compensare i mille svantaggi che esitono nei loro paese e che fanno si che pochissimi vogliano andare ad investire in quiei paesi. Va però notato che dopo essere stata per tanto tempo il continente ignorato dalla globalizzazione anche l'Africa ha adesso cominciato a crescere. Negli ultimi anni i paesi dell'Africa sub-sahariana sono cresciuti più dell'economia gobale. Purtroppo molti paesi hanno la palla al piedo pesantissima di tante guerre tribali, del terrorismo islamico più o meno forte e, adesso, dell'epidemia di ebola. Sarebbe necessario concedere a questi paesi aiuti economici più forti e non legarli a forniture nazionali (molto spesso gli aiuti al terzo mondo sono stati in realtà un aiuto alle nostre ditte). Una maniera di liberare questi aiuti dal vicolo dell'utilizzare i fondi per acquistare merci prodotte nel paese donatore (che a volte non sono quello di cui il paese ha bisogno) è di farli passare attraverso l'Unione europea. Nell'insieme il mondo industrializzato da in aiuti una cifra bassa, inferiore a quello 0.7 per cento del PIl che le Nazioni Unite avevano proposto come obiettivo. Un problema aggiuntivo è che noi leghiamo la concessione degli aiuti al rispetto dei diritti umani e a riforme democratiche. Questo fa si che questi paesi abbiano poca voglia di riceverli. Preferiscono di gran lunga fare accordi commerciali con la Cina che non si occupa dei loro affari interni e non chiede nulla sul piano dei diritti politici nel paese. Sandra Del Fabro ha detto: A proposito del TTIP volevo aggiungere alle considerazioni già fatte altre due. Un pericolo per le nostre economie può venire anche dalla penetrazione di multinazionali con tutto ciò che comporta (a parte i possibili investimenti che creerebbero lavoro) come scarsa possibilità di controllo delle scelte nel campo del lavoro e dei salari ma soprattutto perché in questo momento dovrebbero essere le nostre economie-sto pensando all'Italia in particolare- a investire nel nuovo e nella soddisfazione dei bisogni della gente. Cioè di nuovo saremmo al carro di multinazionali per un'economia di consumi dettata dall'alto. Un'altra osservazione riguarda il fatto che si continua in epoca di globalizzazione a creare ricchezza e commercio dove già c'è perpetrando quella esclusione dei popoli africani , ad esempio, che ha conseguenze pesanti in termini di emigrazione, guerre, caduta nel terrorismo, epidemie terribili che dilagano là dove c'è più povertà e ignoranza. Come si potrebbero configurare dei trattati con i Paesi africani che siano di vantaggio commerciale per gli Europei e di reale crescita del benessere della popolazione per loro?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 19 Ottobre 2014 a 20:17 Penso che nessun popolo chiuderà una fabbrica di trattori o altri investimenti utili simili; qui si parla di investimenti che creano danni ambientali gravissimi, che toccano direttamente la vita delle persone; sarei curioso di conoscere quali paesi democratici del terzo mondo hanno, democraticamente, accettato queste clausole di protezione ( curioso termine per definire la licenza assoluta di inquinare e distruggere senza pagare dazio), torno a dire: proprio perchè si tratta di grossi investimenti e a lungo termine, sono le imprese che devono convincere i popoli della bontà dell'investimento, non comprarsi l'acquiescenza del dittatore di turno (se lo fanno, è giusto che sia a loro rischio e pericolo); Poi ci si dovrebbe chiarire quali siano le motivazioni radicali e ingiustificate per cui tali protezioni possono saltare ( un inquinamento quale quello del Golfo del Messico è una motivazione radicale e ingiustificata? O quello successo a El Salvador?) All'estero, nel tanto "beneamato" terzo mondo, le imprese applicano le stesse precauzioni o regole cui sono soggete in patria o no? Certo, se a uno che stai facendo morire di fame, allunghi un tozzo di pane, quello ti prometterà qualunque cosa, se non ha alternative, ma quando avrà la pancia piena, anche lui pretenderà le stesse cose che pretendiamo noi in casa nostra. E se il governo Renzi approverà quelle clausole e poi, per qualche motivazione radicale e giustificata, un governo successivo chiuderà qualche pozzo, io, fossi il governo successivo, manderei l'ufficiale esattoriale a casa di Renzi per pagare l'eventuale penale commisurata da qualche tribunale americano. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, senza un minimo di stabilità legislativa nessuna impresa farà mai investimenti. Per recuperare il costo di tanti investimenti servono almeno quindici o venti anni di operazioni. Se non c'è questa prospettiva, ma perché mai qualcuno deve fare l'investimento. Se può andrà a farlo dove la situazione è più stabile. I paesi del terzo mondo hanno accettato clausole di protezione degli investimenti come quella che è prevista nel TTIP (e in tutti gli altri accordi commerciali) perché si sono resi conto che era l'unica maniera di attrarre investimenti.

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I paesi industrializzati (noi compresi) abbiamo chiesto queste clausole per evitare di trovarci - come poi è successo a volte nonostante queste clausole - con imprese che hanno fatto investimenti che sono andati completamente perduti. La clausola prevede certo che le leggi possano cambiare, ma non in maniera radicale e ingiustificata. Lo stesso principio è applicato in tutti gli accordi commerciali del WTO: un paese può introdurre nuove norme, ma queste devono avere una giustificazione oggettiva. Non è possibile introdurre norme senza una giustificazione oggettiva (spesso delle norme arbitrarie sono introdotte solo per motivi protezionistici). Comunque una clausola come quella del TTIP esiste in quasi tutti gli accordi commerciali firmati dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Sandra Del Fabro ha detto: Ma se nel frattempo cambiano le leggi , l'impresa si deve adeguare! Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, le imprese operano sulla base delle regole in vigore e nessuno si sogna di dire il contrario. E' diverso il caso in cui un'impresa realizza un impianto secondo le regole in vigore e, a lavori finiti, si sente dire: "Ci dispiace, abbiamo cambiato idea, cambiamo le regole, l'impianto non può più funzionare. Per decenni le nazioni avaanzate hanno chiesto e ottenuto che in tutti gli accordi commerciali ci sia una norma che protegga gli investimenti da cambiamenti delle regole di questo tipo (Telecom Italia si è trovata di fronte a situazioni del genere in Bolivia e Argentina). Questo è il senso della regola del TTIP di cui tanto si discute. Tu stesso hai recentemente criticato delle misure retroattive del governo italiano sulle sovvenzioni ai pannelli solari. La norma del TTIP vuole dare stabilità e proteggere contro casi del genere.

Risposto da giorgio varaldo su 19 Ottobre 2014 a 20:49 come dice il manzoni inutile cercare lontano il cambio delle regole in corsa lo ha fatto anni fa il friuli (mi pare fosse governatore illy) per l'acciaieria di servola introducendo limiti di inquinamento ambientale più ristretti di quelli europei poi quando le centraline di rilevamento poste di fronte alla cokeria dimostrarono che l'inquinamento derivava in massima parte dal traffico stradale di questi limiti più ristretti di quelli europei se ne è persa traccia Giampaolo Carboniero ha detto: Penso che nessun popolo chiuderà una fabbrica di trattori o altri investimenti utili simili; qui si parla di investimenti che creano danni ambientali gravissimi, che toccano direttamente la vita delle persone; sarei curioso di conoscere quali paesi democratici del terzo mondo hanno, democraticamente, accettato queste clausole di protezione ( curioso termine per definire la licenza assoluta di inquinare e distruggere senza pagare dazio), torno a dire: proprio perchè si tratta di grossi investimenti e a lungo termine, sono le imprese che devono convincere i popoli della bontà dell'investimento, non comprarsi l'acquiescenza del dittatore di turno (se lo fanno, è giusto che sia a loro rischio e pericolo); Poi ci si dovrebbe chiarire quali siano le motivazioni radicali e ingiustificate per cui tali protezioni possono saltare ( un inquinamento quale quello del Golfo del Messico è una motivazione radicale e ingiustificata? O quello successo a El Salvador?) All'estero, nel tanto "beneamato" terzo mondo, le imprese applicano le stesse precauzioni o regole cui sono soggete in patria o no? Certo, se a uno che stai facendo morire di fame, allunghi un tozzo di pane, quello ti prometterà qualunque cosa, se non ha alternative, ma quando avrà la pancia piena, anche lui pretenderà le stesse cose che pretendiamo noi in casa nostra. E se il governo Renzi approverà quelle clausole e poi, per qualche motivazione radicale e giustificata, un governo successivo chiuderà qualche pozzo, io, fossi il governo successivo, manderei l'ufficiale esattoriale a casa di Renzi per pagare l'eventuale penale commisurata da qualche tribunale americano. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, senza un minimo di stabilità legislativa nessuna impresa farà mai investimenti. Per recuperare il costo di tanti investimenti servono almeno quindici o venti anni di operazioni. Se non c'è questa prospettiva, ma perché mai qualcuno deve fare l'investimento. Se può andrà a farlo dove la situazione è più stabile. I paesi del terzo mondo hanno accettato clausole di protezione degli investimenti come quella che è prevista nel TTIP (e in tutti gli altri accordi commerciali) perché si sono resi conto che era l'unica maniera di attrarre investimenti.

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I paesi industrializzati (noi compresi) abbiamo chiesto queste clausole per evitare di trovarci - come poi è successo a volte nonostante queste clausole - con imprese che hanno fatto investimenti che sono andati completamente perduti. La clausola prevede certo che le leggi possano cambiare, ma non in maniera radicale e ingiustificata. Lo stesso principio è applicato in tutti gli accordi commerciali del WTO: un paese può introdurre nuove norme, ma queste devono avere una giustificazione oggettiva. Non è possibile introdurre norme senza una giustificazione oggettiva (spesso delle norme arbitrarie sono introdotte solo per motivi protezionistici). Comunque una clausola come quella del TTIP esiste in quasi tutti gli accordi commerciali firmati dalla seconda guerra mondiale ad oggi.

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Ottobre 2014 a 14:20 http://www.euractiv.it/it/news/salute-consumatori/10128-ebola-ue-qu...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Ottobre 2014 a 17:48 Spero abbiate tutti guardato Report ieri sera; parlava proprio del TTIP e delle sue possibili ripercussioni;non solo, nella premessa veniva anche spiegato che tale trattato è stato richiesto ( imposto?) da un paio di associazioni mondiali, cui partecipano le principali Corporations mondiali e, in Italia, Telecom, ENI, Aspen Institute; è possibile rivedere la parte relativa qui: http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-9ed45d77-878... Mi ha impressionato in particolar modo l'ignoranza dei politici cui era stata chiesta qualche delucidazione in merito: la maggior parte non sa neanche di cosa si tratta; e questi poi dovranno decidere sulla sua accettazione o meno? Sulla qualità e grandezza del suo impatto sulle nostre economie? Riguardo poi alla segretezza sugli accordi che si stanno discutendo, mi pare di essere stato trattato da complottista in passato; mi piacerebbe, e penso di non essere il solo, sapere cosa è stato finora trattato nelle "segrete" stanze, quali accordi, su cosa, in che termini, anche dopo Luglio 2013.

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Ottobre 2014 a 17:54 Sul TTIP. C'è qualcuno che veramente crede che gli standard sulla sicurezza alimentare negli Stati Uniti siano inferiori a quelli europei? Non ho ancora avuto risposta alla domanda se si possa pensare che la mozzarella prodotta in Germania presenti rischi per la sicurezza alimentare superiori a quella prodotta in Campania.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Ottobre 2014 a 20:35 Certo; mi è bastato sentire che Negli USA è permesso, per la carne, utilizzare ormoni della crescita, che quasi dimezzano il tempo di allevamento, mentre in Europa tali ormoni sono proibiti; che negli USA non c'è lobbligo di segnalare in etichetta la presenza di OGM; che l'ambasciatore americanio si è lamentato perchè anche negli USA non è consentito chiamare parmigiano un formaggio che si produce che so, in Texas; per il resto penso dipenda molto da come viene prodotta e dalla qualità delle materie prime utilizzate, sia in Campania che in Germania. Fabio Colasanti ha detto: Sul TTIP. C'è qualcuno che veramente crede che gli standard sulla sicurezza alimentare negli Stati Uniti siano inferiori a quelli europei?

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Economia e politica nel mondo III - 2014

Non ho ancora avuto risposta alla domanda se si possa pensare che la mozzarella prodotta in Germania presenti rischi per la sicurezza alimentare superiori a quella prodotta in Campania.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Ottobre 2014 a 20:39 Illy, un notorio anti-capitalista. giorgio varaldo ha detto: come dice il manzoni inutile cercare lontano il cambio delle regole in corsa lo ha fatto anni fa il friuli (mi pare fosse governatore illy) per l'acciaieria di servola introducendo limiti di inquinamento ambientale più ristretti di quelli europei poi quando le centraline di rilevamento poste di fronte alla cokeria dimostrarono che l'inquinamento derivava in massima parte dal traffico stradale di questi limiti più ristretti di quelli europei se ne è persa traccia Giampaolo Carboniero ha detto: Penso che nessun popolo chiuderà una fabbrica di trattori o altri investimenti utili simili; qui si parla di investimenti che creano danni ambientali gravissimi, che toccano direttamente la vita delle persone; sarei curioso di conoscere quali paesi democratici del terzo mondo hanno, democraticamente, accettato queste clausole di protezione ( curioso termine per definire la licenza assoluta di inquinare e distruggere senza pagare dazio), torno a dire: proprio perchè si tratta di grossi investimenti e a lungo termine, sono le imprese che devono convincere i popoli della bontà dell'investimento, non comprarsi l'acquiescenza del dittatore di turno (se lo fanno, è giusto che sia a loro rischio e pericolo); Poi ci si dovrebbe chiarire quali siano le motivazioni radicali e ingiustificate per cui tali protezioni possono saltare ( un inquinamento quale quello del Golfo del Messico è una motivazione radicale e ingiustificata? O quello successo a El Salvador?) All'estero, nel tanto "beneamato" terzo mondo, le imprese applicano le stesse precauzioni o regole cui sono soggete in patria o no? Certo, se a uno che stai facendo morire di fame, allunghi un tozzo di pane, quello ti prometterà qualunque cosa, se non ha alternative, ma quando avrà la pancia piena, anche lui pretenderà le stesse cose che pretendiamo noi in casa nostra. E se il governo Renzi approverà quelle clausole e poi, per qualche motivazione radicale e giustificata, un governo successivo chiuderà qualche pozzo, io, fossi il governo successivo, manderei l'ufficiale esattoriale a casa di Renzi per pagare l'eventuale penale commisurata da qualche tribunale americano. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, senza un minimo di stabilità legislativa nessuna impresa farà mai investimenti. Per recuperare il costo di tanti investimenti servono almeno quindici o venti anni di operazioni. Se non c'è questa prospettiva, ma perché mai qualcuno deve fare l'investimento. Se può andrà a farlo dove la situazione è più stabile. I paesi del terzo mondo hanno accettato clausole di protezione degli investimenti come quella che è prevista nel TTIP (e in tutti gli altri accordi commerciali) perché si sono resi conto che era l'unica maniera di attrarre investimenti. I paesi industrializzati (noi compresi) abbiamo chiesto queste clausole per evitare di trovarci - come poi è successo a volte nonostante queste clausole - con imprese che hanno fatto investimenti che sono andati completamente perduti. La clausola prevede certo che le leggi possano cambiare, ma non in maniera radicale e ingiustificata. Lo stesso principio è applicato in tutti gli accordi commerciali del WTO: un paese può introdurre nuove norme, ma queste devono avere una giustificazione oggettiva. Non è possibile introdurre norme senza una giustificazione oggettiva (spesso delle norme arbitrarie sono introdotte solo per motivi protezionistici). Comunque una clausola come quella del TTIP esiste in quasi tutti gli accordi commerciali firmati dalla seconda guerra mondiale ad oggi.

Risposto da giorgio varaldo su 20 Ottobre 2014 a 21:55 anticapitalista non lo so pasticcione di sicuro Giampaolo Carboniero ha detto: Illy, un notorio anti-capitalista.

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giorgio varaldo ha detto: come dice il manzoni inutile cercare lontano il cambio delle regole in corsa lo ha fatto anni fa il friuli (mi pare fosse governatore illy) per l'acciaieria di servola introducendo limiti di inquinamento ambientale più ristretti di quelli europei poi quando le centraline di rilevamento poste di fronte alla cokeria dimostrarono che l'inquinamento derivava in massima parte dal traffico stradale di questi limiti più ristretti di quelli europei se ne è persa traccia

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Ottobre 2014 a 5:20 Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza". Think tank transparency: Bruegel awarded five stars by Transparify - to us, transparency is a prerequisite for accountability by Erik Dale and on 7th May 2014 In a new report, Transparify has rated Bruegel as one of the most transparent think tanks worldwide and in Europe, achieving five stars for its detailed disclosure of funding. The report points to Bruegel’s “exemplary transparency” and highlights its role in “setting the gold standard for the field as a whole". To ensure Bruegel’s institutional transparency and independence, the management team, overseen by the Board and Members, pursues balanced funding, with goals limiting the proportion received from corporations, states, institutions and other sources. Regularly and independently audited, Bruegel is truly committed to reaching the highest transparency standards. In our annual reports you will find detailed information on who finances Bruegel’s research, how much they each contribute, and how the money is spent. On our resident scholars’ profiles you will see their individual annual declarations of outside interests (e.g. our Director), including financial compensations and political affiliations. We also require all scholars to sign our statement of research integrity, which commits them to avoid partisanship, parochialism, and capture of special interests. Bruegel takes no institutional standpoint, and we rarely communicate on institutional matters, but we want to recognize think tank transparency as an issue that is highly important for our sector and ourselves. A lack of transparency can undermine the work of think tanks as a whole and Bruegel welcomes improvements in the area. Think tanks have become increasingly important players in the democratic landscape, providing key research and input on policy decisions that affect the lives of millions of people, companies and institutions. With greater influence on the democratic process, the need to hold think tanks accountable for the integrity of their research is more pressing than ever. For Bruegel, transparency is a prerequisite for accountability. We are therefore grateful for the opportunity Transparify’s report affords think tanks by providing a methodical approach to evaluating transparency and enabling the public to assess how much to trust particular institutions. We also welcome Transparify’s acknowledgement that financial disclosure is only one aspect of institutional transparency. Bruegel first took steps to address this in 2006, a year after starting operations. We continue to innovate with the kind of information disclosed by our organization, our colleagues, and our associates: people are not only motivated by money! Finally, we share Transparify’s observation that the individual organisation’s approach to transparency is more important than geographic location. Think tanks and other research organisations have the tools to improve their transparency now – despite national legislation and other obstacles. We hope they take advantage of them. Erik Dale, Online Editor

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Matt Dann, Secretary General

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Ottobre 2014 a 8:44 http://www.corriere.it/cultura/14_ottobre_21/italia-si-scopre-tropp...

Risposto da mariella alois su 21 Ottobre 2014 a 10:39 Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza", almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza". Think tank transparency: Bruegel awarded five stars by Transparify - to us, transparency is a prerequisite for accountability by Erik Dale and on 7th May 2014 In a new report, Transparify has rated Bruegel as one of the most transparent think tanks worldwide and in Europe, achieving five stars for its detailed disclosure of funding. The report points to Bruegel’s “exemplary transparency” and highlights its role in “setting the gold standard for the field as a whole". To ensure Bruegel’s institutional transparency and independence, the management team, overseen by the Board and Members, pursues balanced funding, with goals limiting the proportion received from corporations, states, institutions and other sources. Regularly and independently audited, Bruegel is truly committed to reaching the highest transparency standards. In our annual reports you will find detailed information on who finances Bruegel’s research, how much they each contribute, and how the money is spent. On our resident scholars’ profiles you will see their individual annual declarations of outside interests (e.g. our Director), including financial compensations and political affiliations. We also require all scholars to sign our statement of research integrity, which commits them to avoid partisanship, parochialism, and capture of special interests. Bruegel takes no institutional standpoint, and we rarely communicate on institutional matters, but we want to recognize think tank transparency as an issue that is highly important for our sector and ourselves. A lack of transparency can undermine the work of think tanks as a whole and Bruegel welcomes improvements in the area. Think tanks have become increasingly important players in the democratic landscape, providing key research and input on policy decisions that affect the lives of millions of people, companies and institutions. With greater influence on the democratic process, the need to hold think tanks accountable for the integrity of their research is more pressing than ever. For Bruegel, transparency is a prerequisite for accountability. We are therefore grateful for the opportunity Transparify’s report affords think tanks by providing a methodical approach to evaluating transparency and enabling the public to assess how much to trust particular institutions.

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We also welcome Transparify’s acknowledgement that financial disclosure is only one aspect of institutional transparency. Bruegel first took steps to address this in 2006, a year after starting operations. We continue to innovate with the kind of information disclosed by our organization, our colleagues, and our associates: people are not only motivated by money! Finally, we share Transparify’s observation that the individual organisation’s approach to transparency is more important than geographic location. Think tanks and other research organisations have the tools to improve their transparency now – despite national legislation and other obstacles. We hope they take advantage of them. Erik Dale, Online Editor Matt Dann, Secretary General

Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Ottobre 2014 a 11:22 Ti sei appena lamentato di uno degli atti del governo; perchè non "scendi" in politica anche tu? giorgio varaldo ha detto: anticapitalista non lo so pasticcione di sicuro Giampaolo Carboniero ha detto: Illy, un notorio anti-capitalista. giorgio varaldo ha detto: come dice il manzoni inutile cercare lontano il cambio delle regole in corsa lo ha fatto anni fa il friuli (mi pare fosse governatore illy) per l'acciaieria di servola introducendo limiti di inquinamento ambientale più ristretti di quelli europei poi quando le centraline di rilevamento poste di fronte alla cokeria dimostrarono che l'inquinamento derivava in massima parte dal traffico stradale di questi limiti più ristretti di quelli europei se ne è persa traccia

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Ottobre 2014 a 12:41 Mariella, per quanto riguarda Bruegel, mi rimetto a quello che Open Society ha scritto per motivare il riconoscimento che gli hanno dato. Per l'EPC posso parlare in maniera documentata visto che sono nel suo consiglio di amministrazione. I finanziamenti principali nel 2013 sono venuti dalla Fondation Roi Baudouin (400mila euro), dalla Compagnia San Paolo di Torino (100mila) e dalla Commissione europea (126mila euro). A questi si aggiungono oltre quattrocento soci (società, ambasciate, uffici di rappresentanza, studi legali e altro) che hanno contribuito con circa 750mila euro di quote associative. Tutti i think tank hanno bisogno di fondi, ma l'importante per garantirne l'indipendenza è che non dipendano troppo da una fonte in particolare. Il più grosso finanziatore dell'EPC è la Fondazione Re Baldovino del Belgio che ha una reputazione impeccabile, anche come non ingerenza negli affari dei tanti organismi che finanzia. Il resto degli introiti per arrivare alla cifra di 2.5 milioni di entrate totali è costituita dal pagamento per studi effettuati dall'EPC, molti finanziati dalle istituzioni europee in seguito a bandi d'appalto competitivi. Non ho il dettaglio dei finanziamenti del CEPS, ma posso immaginare che la struttura delle sue entrate sia simile a quella dell'EPC. Penso però che il CEPS abbia un quota maggiore delle sue entrate proveniente dal pagamento per studi effettuati. Ricordo poi quello che ho scritto per l'IIC di Londra, di cui sono presidente. Abbiamo circa 250mila sterline all'anno di entrate da quote associative che provengono da oltre cinquanta società e organismi pubblici. La quota più alta pagata da un socio è di 12mila sterline. Quindi nessun socio fornisce più del 5 per cento del bilancio dell'istituto. Nel bilancio di Bruegel, pubblicato sul sito, c'è il dettaglio di quanto pagato da ogni governo e ogni società. Riporto qui di seguito quanto pagato nel 2013 da ogni governo membro dell'orga nizzazione. Anche qui nessun socio contibuisce per più del 4 per cento delle entrate globali. Nessuno "domina" Bruegel ed è in grado di determinare le

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conclusioni dei suoi studi. Bruegel critica regolarmente la politica economica tedesca (domani c'un altro seminario sul "riequilibrio nell'eurozona" in cui si saranno di nuovo forti critiche). Non dimentichiamo che la prima proposta di "eurobonds" è stata fatta da Jacob Von Weizäcker quando lavorava da Bruegel. Cyprus 33 203,00 Luxembourg 33 203,00 Ireland 66 406,00 Slovakia 44 270,67 Austria 99 609,00 Denmark 99 609,00 Finland 99 609,00 Hungary 99 609,00 Sweden 99 609,00 Belgium 132 812,00 Netherlands 132 812,00 Poland 132 812,00 France 199 218,00 Germany 199 218,00 Italy 199 218,00 Spain 199 218,00 United Kingdom 199 218,00 mariella alois ha detto: Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza".

Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Ottobre 2014 a 18:56 Basta fermarsi alle dichiarazioni di intenti e non investigare più a fondo; probabilmente non sisono ancora resi conto che viviamo in una nuova era, in cui è necessario, per avere credibilità, essere come la moglie di Cesare. mariella alois ha detto: Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno)

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CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza". Think tank transparency: Bruegel awarded five stars by Transparify - to us, transparency is a prerequisite for accountability by Erik Dale and on 7th May 2014 In a new report, Transparify has rated Bruegel as one of the most transparent think tanks worldwide and in Europe, achieving five stars for its detailed disclosure of funding. The report points to Bruegel’s “exemplary transparency” and highlights its role in “setting the gold standard for the field as a whole". To ensure Bruegel’s institutional transparency and independence, the management team, overseen by the Board and Members, pursues balanced funding, with goals limiting the proportion received from corporations, states, institutions and other sources. Regularly and independently audited, Bruegel is truly committed to reaching the highest transparency standards. In our annual reports you will find detailed information on who finances Bruegel’s research, how much they each contribute, and how the money is spent. On our resident scholars’ profiles you will see their individual annual declarations of outside interests (e.g. our Director), including financial compensations and political affiliations. We also require all scholars to sign our statement of research integrity, which commits them to avoid partisanship, parochialism, and capture of special interests. Bruegel takes no institutional standpoint, and we rarely communicate on institutional matters, but we want to recognize think tank transparency as an issue that is highly important for our sector and ourselves. A lack of transparency can undermine the work of think tanks as a whole and Bruegel welcomes improvements in the area. Think tanks have become increasingly important players in the democratic landscape, providing key research and input on policy decisions that affect the lives of millions of people, companies and institutions. With greater influence on the democratic process, the need to hold think tanks accountable for the integrity of their research is more pressing than ever. For Bruegel, transparency is a prerequisite for accountability. We are therefore grateful for the opportunity Transparify’s report affords think tanks by providing a methodical approach to evaluating transparency and enabling the public to assess how much to trust particular institutions. We also welcome Transparify’s acknowledgement that financial disclosure is only one aspect of institutional transparency. Bruegel first took steps to address this in 2006, a year after starting operations. We continue to innovate with the kind of information disclosed by our organization, our colleagues, and our associates: people are not only motivated by money! Finally, we share Transparify’s observation that the individual organisation’s approach to transparency is more important than geographic location. Think tanks and other research organisations have the tools to improve their transparency now – despite national legislation and other obstacles. We hope they take advantage of them. Erik Dale, Online Editor Matt Dann, Secretary General

Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Ottobre 2014 a 19:12 Questi think tanks fanno ricerche anche sulle rinnovabili, sulla decrescita, sulla sostenibilità, su soluzioni economiche alternative a quelle as usual, hanno mai invitato Piketty, Lovins, Rifkin, o altri economisti che seguono scuole economiche diverse?

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Se sono finanziati dagli stati, quando mai potranno parlare della loro sparizione all'interno di un unico soggetto politico europeo? Penso che l'attività di quei pensatoi dipenda comunque molto dal tipo di interessi prevalenti della maggioranza dei finanziatori, per cui difficilmente si potranno applicare a una ricerca pura e disinteressata, come potrebbero fare, p.e., nel campo della fisica, tanti laboratori pubblici. ( La Mazzuccato, in Stato Innovatore, ci dà un'idea della differenza di obiettivi, e quindi di risultati sperati, fra la ricerca privata e quella pubblica). Faccio fatica a pensare che un Re Baldovino finanzierebbe un'istituto che studiasse come re la monarchia in Belgio. Fabio Colasanti ha detto: Mariella, per quanto riguarda Bruegel, mi rimetto a quello che Open Society ha scritto per motivare il riconoscimento che gli hanno dato. Per l'EPC posso parlare in maniera documentata visto che sono nel suo consiglio di amministrazione. I finanziamenti principali nel 2013 sono venuti dalla Fondation Roi Baudouin (400mila euro), dalla Compagnia San Paolo di Torino (100mila) e dalla Commissione europea (126mila euro). A questi si aggiungono oltre quattrocento soci (società, ambasciate, uffici di rappresentanza, studi legali e altro) che hanno contribuito con circa 750mila euro di quote associative. Tutti i think tank hanno bisogno di fondi, ma l'importante per garantirne l'indipendenza è che non dipendano troppo da una fonte in particolare. Il più grosso finanziatore dell'EPC è la Fondazione Re Baldovino del Belgio che ha una reputazione impeccabile, anche come non ingerenza negli affari dei tanti organismi che finanzia. Il resto degli introiti per arrivare alla cifra di 2.5 milioni di entrate totali è costituita dal pagamento per studi effettuati dall'EPC, molti finanziati dalle istituzioni europee in seguito a bandi d'appalto competitivi. Non ho il dettaglio dei finanziamenti del CEPS, ma posso immaginare che la struttura delle sue entrate sia simile a quella dell'EPC. Penso però che il CEPS abbia un quota maggiore delle sue entrate proveniente dal pagamento per studi effettuati. Ricordo poi quello che ho scritto per l'IIC di Londra, di cui sono presidente. Abbiamo circa 250mila sterline all'anno di entrate da quote associative che provengono da oltre cinquanta società e organismi pubblici. La quota più alta pagata da un socio è di 12mila sterline. Quindi nessun socio fornisce più del 5 per cento del bilancio dell'istituto. Nel bilancio di Bruegel, pubblicato sul sito, c'è il dettaglio di quanto pagato da ogni governo e ogni società. Riporto qui di seguito quanto pagato nel 2013 da ogni governo membro dell'orga nizzazione. Anche qui nessun socio contibuisce per più del 4 per cento delle entrate globali. Nessuno "domina" Bruegel ed è in grado di determinare le conclusioni dei suoi studi. Bruegel critica regolarmente la politica economica tedesca (domani c'un altro seminario sul "riequilibrio nell'eurozona" in cui si saranno di nuovo forti critiche). Non dimentichiamo che la prima proposta di "eurobonds" è stata fatta da Jacob Von Weizäcker quando lavorava da Bruegel. Cyprus 33 203,00 Luxembourg 33 203,00 Ireland 66 406,00 Slovakia 44 270,67 Austria 99 609,00 Denmark 99 609,00 Finland 99 609,00 Hungary 99 609,00 Sweden 99 609,00 Belgium 132 812,00 Netherlands 132 812,00 Poland 132 812,00 France 199 218,00 Germany 199 218,00 Italy 199 218,00 Spain 199 218,00 United Kingdom 199 218,00 mariella alois ha detto: Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono:

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BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza".

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Ottobre 2014 a 22:07 Giampaolo, cosa dovrebbero fare secondo te i think tank indipendenti? Lascio da parte quelli che sono ufficialmente l'espressione di un gruppo di interesse per i quali il problema non si pone. Un think tank per lavorare ha bisogno di soldi. Senza soldi non si fa nulla. L'unica maniera di essere indipendenti è quella di non dipendere in maniera significativa da uno o più grossi finanziatori la cui uscita di scena potrebbe condizionare il lavoro futuro. In tutti i casi che ho citato i think tank hanno fatto si che al massimo ogni socio contribuisca per il 4 o 5 cinque per cento del bilancio totale. Per di più tutti i think tank pubblicano la lista dei finanziatori per trasparenza. Che altro dovrebbero fare? E' facile fare critiche, ma bisogna poter offrire soluzioni. Criticare una soluzione che non pu│ essere cambiata è assolutamente sterile e inutile. Che significa concretamente per i think tank "essere come la moglie di Cesare". Vorrei avere una spiegazione di questa frase. Giampaolo Carboniero ha detto: Basta fermarsi alle dichiarazioni di intenti e non investigare più a fondo; probabilmente non sisono ancora resi conto che viviamo in una nuova era, in cui è necessario, per avere credibilità, essere come la moglie di Cesare. mariella alois ha detto: Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza".

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Economia e politica nel mondo III - 2014

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Ottobre 2014 a 22:34 Giampaolo, Bruegel è finanziato, in buona parte, da alcuni governi (ho pubblicato le quote di ogni paese; non tutti i paesi finanziano Bruegel). L'EPC e il CEPS non ricevono fondi dai governi. Non vedo proprio perché qualcuno dovrebbe fare ricerche su come sopprimere la monarchia in Belgio. In Europa abbiamo molte monarchie e in Belgio la monarchia è importante per la sopravvivenza del paese. Queste sono le home page dei tre centri di cui Mariella ha parlato: http://www.bruegel.org/ http://www.epc.eu/ http://www.ceps.be/ E queste sono le pagine che presentano le loro attività. Ognuno dei tre centri è più specializzato in certi campi. Bruegel è specializzato nella macroeconomia e nella governance economica; il CEPS copre vari temi compresa l'energia e lo sviluppo sostenibile e l'EPC fa del lavoro interessante nel campo delle migrazioni, delle relazioni internazionali e della partecipazione dei giovani ai processi decisionali (Futurelabs). http://www.ceps.be/research-areas-list http://www.bruegel.org/research/ http://www.epc.eu/prog_intro.php Giampaolo Carboniero ha detto: Questi think tanks fanno ricerche anche sulle rinnovabili, sulla decrescita, sulla sostenibilità, su soluzioni economiche alternative a quelle as usual, hanno mai invitato Piketty, Lovins, Rifkin, o altri economisti che seguono scuole economiche diverse? Se sono finanziati dagli stati, quando mai potranno parlare della loro sparizione all'interno di un unico soggetto politico europeo? Penso che l'attività di quei pensatoi dipenda comunque molto dal tipo di interessi prevalenti della maggioranza dei finanziatori, per cui difficilmente si potranno applicare a una ricerca pura e disinteressata, come potrebbero fare, p.e., nel campo della fisica, tanti laboratori pubblici. ( La Mazzuccato, in Stato Innovatore, ci dà un'idea della differenza di obiettivi, e quindi di risultati sperati, fra la ricerca privata e quella pubblica). Faccio fatica a pensare che un Re Baldovino finanzierebbe un'istituto che studiasse come re la monarchia in Belgio.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 22 Ottobre 2014 a 2:38 Che se anche quelle organizzazioni non dipendono da pochi, grandi finanziatori, saranno sempre comunque finanziate da persone, enti, o istituzioni che convergono sulle stesse idee, per cui funzionano solo da moltiplicatori della stessa idea o serie di idee, non da ricercatori liberi. Se, p.e., io facessi una campagna di crownfunding in cui dico che voglio studiare la pace e come ottenerla, sicuramente non verrò finanziato da chi invece vuole la guerra e il riarmo diffuso; lo stesso penso succeda per quelle organizzazioni che sono orientate culturalmente verso una qualche scuola economica: difficilmente da loro sortirà una qualche soluzione diversa da quelle già continuamente proposte, ma usciuranno solo approfondimenti, analisi, tabelle, ecct. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, cosa dovrebbero fare secondo te i think tank indipendenti? Lascio da parte quelli che sono ufficialmente l'espressione di un gruppo di interesse per i quali il problema non si pone. Un think tank per lavorare ha bisogno di soldi. Senza soldi non si fa nulla. L'unica maniera di essere indipendenti è quella di non dipendere in maniera significativa da uno o più grossi finanziatori la cui uscita di scena potrebbe condizionare il lavoro futuro. In tutti i casi che ho citato i think tank hanno fatto si che al massimo ogni socio contribuisca per il 4 o 5 cinque per cento del bilancio totale. Per di più tutti i think tank pubblicano la lista dei finanziatori per trasparenza.

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Che altro dovrebbero fare? E' facile fare critiche, ma bisogna poter offrire soluzioni. Criticare una soluzione che non pu│ essere cambiata è assolutamente sterile e inutile. Che significa concretamente per i think tank "essere come la moglie di Cesare". Vorrei avere una spiegazione di questa frase. Giampaolo Carboniero ha detto: Basta fermarsi alle dichiarazioni di intenti e non investigare più a fondo; probabilmente non sisono ancora resi conto che viviamo in una nuova era, in cui è necessario, per avere credibilità, essere come la moglie di Cesare. mariella alois ha detto: Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza".

Risposto da Giampaolo Carboniero su 22 Ottobre 2014 a 2:45 Posto sotto i membri, p.e., della CEPS; guardando l'elenco, non puoi già immaginare che tipo di energia e sviluppo sostenibile questi enti o imprese sono disponibili a finanziare? http://www.ceps.be/system/files/CEPS_Corporate_Members.pdf Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, Bruegel è finanziato, in buona parte, da alcuni governi (ho pubblicato le quote di ogni paese; non tutti i paesi finanziano Bruegel). L'EPC e il CEPS non ricevono fondi dai governi. Non vedo proprio perché qualcuno dovrebbe fare ricerche su come sopprimere la monarchia in Belgio. In Europa abbiamo molte monarchie e in Belgio la monarchia è importante per la sopravvivenza del paese. Queste sono le home page dei tre centri di cui Mariella ha parlato: http://www.bruegel.org/ http://www.epc.eu/ http://www.ceps.be/ E queste sono le pagine che presentano le loro attività. Ognuno dei tre centri è più specializzato in certi campi. Bruegel è specializzato nella macroeconomia e nella governance economica; il CEPS copre vari temi compresa l'energia e lo sviluppo sostenibile e l'EPC fa del lavoro interessante nel campo delle migrazioni, delle relazioni internazionali e della partecipazione dei giovani ai processi decisionali (Futurelabs). http://www.ceps.be/research-areas-list http://www.bruegel.org/research/ http://www.epc.eu/prog_intro.php

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Giampaolo Carboniero ha detto: Questi think tanks fanno ricerche anche sulle rinnovabili, sulla decrescita, sulla sostenibilità, su soluzioni economiche alternative a quelle as usual, hanno mai invitato Piketty, Lovins, Rifkin, o altri economisti che seguono scuole economiche diverse? Se sono finanziati dagli stati, quando mai potranno parlare della loro sparizione all'interno di un unico soggetto politico europeo? Penso che l'attività di quei pensatoi dipenda comunque molto dal tipo di interessi prevalenti della maggioranza dei finanziatori, per cui difficilmente si potranno applicare a una ricerca pura e disinteressata, come potrebbero fare, p.e., nel campo della fisica, tanti laboratori pubblici. ( La Mazzuccato, in Stato Innovatore, ci dà un'idea della differenza di obiettivi, e quindi di risultati sperati, fra la ricerca privata e quella pubblica). Faccio fatica a pensare che un Re Baldovino finanzierebbe un'istituto che studiasse come re la monarchia in Belgio.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Ottobre 2014 a 11:14 Giampaolo, credo che tu abbia un'idea sbagliata di cosa sono i think tank e di cosa ci si possa aspettare da quelli che si proclamano indipendenti. Ogni think tank si può occupare solo di alcune cose (i tre think tank di cui stiamo parlando hanno tra le venti e le trenta persone). E' chiaro con non possono occuparsi di tutto. Del resto ognuno indica chiaramente i pochi campi di cui si occupa. L'importante è che gli studi che effettuano e le discussioni che organizzano siano seri e non parziali. Poi nessuno può aspettarsi che questo o quell'altro think tank si occupino anche della vita delle formiche o di chissà quale altra cosa. Ogni think tank sceglie un campo di attività nel quale si specializza e cerca il sostegno di organizzazioni che abbiano un interesse a che nei campi identificati ci sia della ricerca di qualità e independente. Io sono presidente di un think tank che si occupa di telecomunicazioni, audiovisivo e internet. Cerco soci tra le società che si occupano di queste cose e tra le agenzie di regolamentazione in questi campi. Le società e le organizzazioni che accettano di diventare membri dell'IIC non ne hanno nessun vantaggio paticolare. I seminari e le conferenze che organizziamo riuniscono oratori e partecipanti di livello professionale molto alto (per i regolatori vengono quasi sempre i presidenti o i membri del consiglio). Gli oratori vengono senza ricevere alcun pagamento e si pagano le spese di viaggio e le spese di soggiorno. Per partecipare ai nostri seminari non si pagava nulla. Dall'anno scorso abbiamo introdotto una quota molto bassa (120 sterline per due giorni) solo per evitare la pratica spiacevole delle persone che si iscrivevano - tanto il seminario era gratis - e poi non venivano. Questo era un problema perché cerchiamo di limitare il numero dei partecipanti a non più di settanta/ottanta per seminario. Visto che gli oratori e i soci non pagano, il numero dei "paganti" non supera la ventina di persone per seminario (il che significa che le quote pagate non coprono che una frazione infima dei costi di organizzazione di un seminario/conferenza). A nessuno verrebbe mai in mente di criticarci perché non ci occupiamo, per esempipo, di efficienza energetica. Ci saranno altri think tank che si occupano di questo e saranno sostenuti da chi ha un interesse in quel campo. I membri dell'IIC sono organizzazioni che considerano che valga la pena di pagare 5mila o 12mila sterine all'anno per far si che ci sia qualcuno che organizzi seminari e conferenze di qualità nei loro campi di attività. Tra un'ora sarò ad un seminario organizzato da Bruegel e non dovrò pagare nulla. Anche le manifestazioni organizzate dell'EPC sono gratuite. Il CEPS fa pagare una quota di 50 euro a chi non è membro. Chi è membro di Bruegel, dell'EPC o del CEPS pensa che valga la pena di pagare delle quote associative (anche alte, vedi quelle di Bruegel) perché ci sia qualcuno che faccia ricerca di buona qualità. Se un think tank "indipedente" fosse percepito di parte sui suoi temi di attività perderebbe immediatamente gran parte dei soci/membri. I membri dei think tank indipendenti non hanno nessun vantaggio diretto, a parte una certa pubblicità. Giampaolo Carboniero ha detto: Che se anche quelle organizzazioni non dipendono da pochi, grandi finanziatori, saranno sempre comunque finanziate da persone, enti, o istituzioni che convergono sulle stesse idee, per cui funzionano solo da moltiplicatori della stessa idea o serie di idee, non da ricercatori liberi. Se, p.e., io facessi una campagna di crownfunding in cui dico che voglio studiare la pace e come ottenerla, sicuramente non verrò finanziato da chi invece vuole la guerra e il riarmo diffuso; lo stesso penso succeda per quelle organizzazioni che sono orientate culturalmente verso una qualche scuola economica: difficilmente da loro sortirà una qualche soluzione diversa da quelle già continuamente proposte, ma usciuranno solo approfondimenti, analisi, tabelle, ecct.

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Risposto da mariella alois su 22 Ottobre 2014 a 14:36 per saperne di piu' sul fenomeno dei TinkTanks,il loro proliferare non solo a bruxelles,ma in tutta europa un interessante studio datato 2012 http://ec.europa.eu/bepa/pdf/publications_pdf/brief-policy/berl_pap...

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Ottobre 2014 a 14:57 Grazie, in modo asciutto, a Mariella per questi link. mariella alois ha detto: Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni?

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Ottobre 2014 a 15:00 ... Grazie. Fabio Colasanti ha detto: Mariella, per quanto riguarda Bruegel, mi rimetto a quello che Open Society ha scritto per motivare il riconoscimento che gli hanno dato. Per l'EPC posso parlare in maniera documentata visto che sono nel suo consiglio di amministrazione. I finanziamenti principali nel 2013 sono venuti dalla Fondation Roi Baudouin (400mila euro), dalla Compagnia San Paolo di Torino (100mila) e dalla Commissione europea (126mila euro). A questi si aggiungono oltre quattrocento soci (società, ambasciate, uffici di rappresentanza, studi legali e altro) che hanno contribuito con circa 750mila euro di quote associative. Tutti i think tank hanno bisogno di fondi, ma l'importante per garantirne l'indipendenza è che non dipendano troppo da una fonte in particolare. Il più grosso finanziatore dell'EPC è la Fondazione Re Baldovino del Belgio che ha una reputazione impeccabile, anche come non ingerenza negli affari dei tanti organismi che finanzia. Il resto degli introiti per arrivare alla cifra di 2.5 milioni di entrate totali è costituita dal pagamento per studi effettuati dall'EPC, molti finanziati dalle istituzioni europee in seguito a bandi d'appalto competitivi. Non ho il dettaglio dei finanziamenti del CEPS, ma posso immaginare che la struttura delle sue entrate sia simile a quella dell'EPC. Penso però che il CEPS abbia un quota maggiore delle sue entrate proveniente dal pagamento per studi effettuati. Ricordo poi quello che ho scritto per l'IIC di Londra, di cui sono presidente. Abbiamo circa 250mila sterline all'anno di entrate da quote associative che provengono da oltre cinquanta società e organismi pubblici. La quota più alta pagata da un socio è di 12mila sterline. Quindi nessun socio fornisce più del 5 per cento del bilancio dell'istituto. Nel bilancio di Bruegel, pubblicato sul sito, c'è il dettaglio di quanto pagato da ogni governo e ogni società. Riporto qui di seguito quanto pagato nel 2013 da ogni governo membro dell'orga nizzazione. Anche qui nessun socio contibuisce per più del 4 per cento delle entrate globali. Nessuno "domina" Bruegel ed è in grado di determinare le conclusioni dei suoi studi. Bruegel critica regolarmente la politica economica tedesca (domani c'un altro seminario sul

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"riequilibrio nell'eurozona" in cui si saranno di nuovo forti critiche). Non dimentichiamo che la prima proposta di "eurobonds" è stata fatta da Jacob Von Weizäcker quando lavorava da Bruegel. Cyprus 33 203,00 Luxembourg 33 203,00 Ireland 66 406,00 Slovakia 44 270,67 Austria 99 609,00 Denmark 99 609,00 Finland 99 609,00 Hungary 99 609,00 Sweden 99 609,00 Belgium 132 812,00 Netherlands 132 812,00 Poland 132 812,00 France 199 218,00 Germany 199 218,00 Italy 199 218,00 Spain 199 218,00 United Kingdom 199 218,00 mariella alois ha detto: Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza".

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Ottobre 2014 a 15:07 In ogni caso, Giampaolo, e' la struttura stessa di questi organismi che è ingabbiata dentro linee precostituite. Queste osservazioni sono di un'evidenza disarmante. Immaginare che da questi pensatoi potrebbe venire fuori qualcosa di originale o di rivoluzionario sarebbe una perdita di tempo. Chiunque faccia parte di organizzazioni, società, comunità, eccetera sa bene fin dove si può arrivare. I binari sono prefissati. Le oscillazioni sono ben contenute. Sono contento che questo argomento riguardi esplicitamente le opinioni delle persone. Oppure anche su questo stiamo parlando di numeri e di fatti? Giampaolo Carboniero ha detto:

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Questi think tanks fanno ricerche anche sulle rinnovabili, sulla decrescita, sulla sostenibilità, su soluzioni economiche alternative a quelle as usual, hanno mai invitato Piketty, Lovins, Rifkin, o altri economisti che seguono scuole economiche diverse? Se sono finanziati dagli stati, quando mai potranno parlare della loro sparizione all'interno di un unico soggetto politico europeo? Penso che l'attività di quei pensatoi dipenda comunque molto dal tipo di interessi prevalenti della maggioranza dei finanziatori, per cui difficilmente si potranno applicare a una ricerca pura e disinteressata, come potrebbero fare, p.e., nel campo della fisica, tanti laboratori pubblici. ( La Mazzuccato, in Stato Innovatore, ci dà un'idea della differenza di obiettivi, e quindi di risultati sperati, fra la ricerca privata e quella pubblica). Faccio fatica a pensare che un Re Baldovino finanzierebbe un'istituto che studiasse come re la monarchia in Belgio. Fabio Colasanti ha detto: Mariella, per quanto riguarda Bruegel, mi rimetto a quello che Open Society ha scritto per motivare il riconoscimento che gli hanno dato. Per l'EPC posso parlare in maniera documentata visto che sono nel suo consiglio di amministrazione. I finanziamenti principali nel 2013 sono venuti dalla Fondation Roi Baudouin (400mila euro), dalla Compagnia San Paolo di Torino (100mila) e dalla Commissione europea (126mila euro). A questi si aggiungono oltre quattrocento soci (società, ambasciate, uffici di rappresentanza, studi legali e altro) che hanno contribuito con circa 750mila euro di quote associative. Tutti i think tank hanno bisogno di fondi, ma l'importante per garantirne l'indipendenza è che non dipendano troppo da una fonte in particolare. Il più grosso finanziatore dell'EPC è la Fondazione Re Baldovino del Belgio che ha una reputazione impeccabile, anche come non ingerenza negli affari dei tanti organismi che finanzia. Il resto degli introiti per arrivare alla cifra di 2.5 milioni di entrate totali è costituita dal pagamento per studi effettuati dall'EPC, molti finanziati dalle istituzioni europee in seguito a bandi d'appalto competitivi. Non ho il dettaglio dei finanziamenti del CEPS, ma posso immaginare che la struttura delle sue entrate sia simile a quella dell'EPC. Penso però che il CEPS abbia un quota maggiore delle sue entrate proveniente dal pagamento per studi effettuati. Ricordo poi quello che ho scritto per l'IIC di Londra, di cui sono presidente. Abbiamo circa 250mila sterline all'anno di entrate da quote associative che provengono da oltre cinquanta società e organismi pubblici. La quota più alta pagata da un socio è di 12mila sterline. Quindi nessun socio fornisce più del 5 per cento del bilancio dell'istituto. Nel bilancio di Bruegel, pubblicato sul sito, c'è il dettaglio di quanto pagato da ogni governo e ogni società. Riporto qui di seguito quanto pagato nel 2013 da ogni governo membro dell'orga nizzazione. Anche qui nessun socio contibuisce per più del 4 per cento delle entrate globali. Nessuno "domina" Bruegel ed è in grado di determinare le conclusioni dei suoi studi. Bruegel critica regolarmente la politica economica tedesca (domani c'un altro seminario sul "riequilibrio nell'eurozona" in cui si saranno di nuovo forti critiche). Non dimentichiamo che la prima proposta di "eurobonds" è stata fatta da Jacob Von Weizäcker quando lavorava da Bruegel. Cyprus 33 203,00 Luxembourg 33 203,00 Ireland 66 406,00 Slovakia 44 270,67 Austria 99 609,00 Denmark 99 609,00 Finland 99 609,00 Hungary 99 609,00 Sweden 99 609,00 Belgium 132 812,00 Netherlands 132 812,00 Poland 132 812,00 France 199 218,00 Germany 199 218,00 Italy 199 218,00 Spain 199 218,00 United Kingdom 199 218,00 mariella alois ha detto: Scusa fabio

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"al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza".

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Ottobre 2014 a 15:07 Interessante davvero. Grazie. mariella alois ha detto: per saperne di piu' sul fenomeno dei TinkTanks,il loro proliferare non solo a bruxelles,ma in tutta europa un interessante studio datato 2012 http://ec.europa.eu/bepa/pdf/publications_pdf/brief-policy/berl_pap...

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Ottobre 2014 a 15:45 Roberto, questo tuo commento mi sembra veramente sbagliato. Criticare in questa maniera i think tank è come criticare i partiti politici, è come criticare le associazioni culturali, è come criticare le bocciofile. Sembri partire da un assunto che non ha giustificazione – i think tank dovrebbero fare il bene dell'umanità o almeno sviluppare idee rivoluzionarie - per poi criticarlo e, en passant, criticare o svalutare in maniera generica il lavoro di tutti i think tank e contribuire al generico malumore contro le mille cose che non vanno bene nel nostro mondo. Milioni di critiche sono giustificate, quelle contro i think tank no. Si può rimpiangere il fatto che non ci siano più think tank che si occupano di temi ambientali, della povertà o di altri temi. Ma criticare i think tank di per se è illogico e ingiustificato. I think tank sono delle associazioni volontarie che si danno uno scopo particolare così come milioni e milioni di altre associazioni volontarie in tutti i paesi. Nessuno si aspetta da loro che risolvano tutti i problemi del mondo, ma ci si aspetta che contribuiscano – ognuno nel campo di attività che si è scelto – a far avanzare la riflessione. Molte di queste associazioni (think tank) hanno un obiettivo politico dichiarato e si appoggiano a partiti politici, sindacati, associazioni industriali od altro. Non dichiarano nemmeno di essere indipendenti. Altri cercano invece di essere il più indipendenti possibile e cercano fonti di finanziamento molto diversificate per non essere condizionati dall'eventuale interruzione di un finanziamento grosso. Per molti di questi organismi l'essere visti come veramente "indipendenti" è una condizione per la loro sopravvivenza; se questa indipendenza venisse meno, una buona parte dei finanziatori li lascerebbe e molti oratori e esperti non collaborerebbero volentieri con organismi percepiti come di parte. Ci sono quindi meccanismi di autodifesa insiti nel sistema stesso. Dire che la "struttura di questi organismi sarebbe ingabbiata dentro linee precostitite" non ha senso. Non esistono linee "precostituite" dall'esterno. Ogni organizzazione, ogni think tank si da le regole e le strutture che vuole. Il Club

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di Roma è un think tank e non mi sembra che nel 1970, quando è apparso sulla scena mondiale, fosse molto "ingabbiato dentro linee precostituite". Non ci sono "binari prefissati" ! Quello che ha indubbiamente un ruolo è il fatto che sarà più facile trovare finanziamenti per temi dove ci sono interessi economici o interessi politici (se il mio IIC si occupasse di povertà nel mondo forse avrebbe maggiori difficoltà a farsi finanziare). Sappiamo tutti che la disponibilità finanziaria ha un'influenza su tante cose dai media alla politica, ma da qui a parlare di "binari prefissati", di "linee precostituite" ci corre un mondo. Ci sono tanti think tank che si occupano di povertà, di temi ambientali, di istruzione neo paesi poveri e di tante altre cause nobili. Forse ce ne dovrebbero essere di più, ma nessuno impedisce che nascano o si sviluppino. Roberto Zanre' ha detto: In ogni caso, Giampaolo, e' la struttura stessa di questi organismi che è ingabbiata dentro linee precostituite. Queste osservazioni sono di un'evidenza disarmante. Immaginare che da questi pensatoi potrebbe venire fuori qualcosa di originale o di rivoluzionario sarebbe una perdita di tempo. Chiunque faccia parte di organizzazioni, società, comunità, eccetera sa bene fin dove si può arrivare. I binari sono prefissati. Le oscillazioni sono ben contenute. Sono contento che questo argomento riguardi esplicitamente le opinioni delle persone. Oppure anche su questo stiamo parlando di numeri e di fatti?

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Ottobre 2014 a 15:45 ... Interessante. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, Bruegel è finanziato, in buona parte, da alcuni governi (ho pubblicato le quote di ogni paese; non tutti i paesi finanziano Bruegel). L'EPC e il CEPS non ricevono fondi dai governi. Non vedo proprio perché qualcuno dovrebbe fare ricerche su come sopprimere la monarchia in Belgio. In Europa abbiamo molte monarchie e in Belgio la monarchia è importante per la sopravvivenza del paese. Queste sono le home page dei tre centri di cui Mariella ha parlato: http://www.bruegel.org/ http://www.epc.eu/ http://www.ceps.be/ E queste sono le pagine che presentano le loro attività. Ognuno dei tre centri è più specializzato in certi campi. Bruegel è specializzato nella macroeconomia e nella governance economica; il CEPS copre vari temi compresa l'energia e lo sviluppo sostenibile e l'EPC fa del lavoro interessante nel campo delle migrazioni, delle relazioni internazionali e della partecipazione dei giovani ai processi decisionali (Futurelabs). http://www.ceps.be/research-areas-list http://www.bruegel.org/research/ http://www.epc.eu/prog_intro.php Giampaolo Carboniero ha detto: Questi think tanks fanno ricerche anche sulle rinnovabili, sulla decrescita, sulla sostenibilità, su soluzioni economiche alternative a quelle as usual, hanno mai invitato Piketty, Lovins, Rifkin, o altri economisti che seguono scuole economiche diverse? Se sono finanziati dagli stati, quando mai potranno parlare della loro sparizione all'interno di un unico soggetto politico europeo? Penso che l'attività di quei pensatoi dipenda comunque molto dal tipo di interessi prevalenti della maggioranza dei finanziatori, per cui difficilmente si potranno applicare a una ricerca pura e disinteressata, come potrebbero fare, p.e., nel campo della fisica, tanti laboratori pubblici. ( La Mazzuccato, in Stato Innovatore, ci dà un'idea della differenza di obiettivi, e quindi di risultati sperati, fra la ricerca privata e quella pubblica). Faccio fatica a pensare che un Re Baldovino finanzierebbe un'istituto che studiasse come re la monarchia in Belgio.

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Risposto da Roberto Zanre' su 22 Ottobre 2014 a 15:46 Perfetto... Giampaolo Carboniero ha detto: Che se anche quelle organizzazioni non dipendono da pochi, grandi finanziatori, saranno sempre comunque finanziate da persone, enti, o istituzioni che convergono sulle stesse idee, per cui funzionano solo da moltiplicatori della stessa idea o serie di idee, non da ricercatori liberi. Se, p.e., io facessi una campagna di crownfunding in cui dico che voglio studiare la pace e come ottenerla, sicuramente non verrò finanziato da chi invece vuole la guerra e il riarmo diffuso; lo stesso penso succeda per quelle organizzazioni che sono orientate culturalmente verso una qualche scuola economica: difficilmente da loro sortirà una qualche soluzione diversa da quelle già continuamente proposte, ma usciuranno solo approfondimenti, analisi, tabelle, ecct. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, cosa dovrebbero fare secondo te i think tank indipendenti? Lascio da parte quelli che sono ufficialmente l'espressione di un gruppo di interesse per i quali il problema non si pone. Un think tank per lavorare ha bisogno di soldi. Senza soldi non si fa nulla. L'unica maniera di essere indipendenti è quella di non dipendere in maniera significativa da uno o più grossi finanziatori la cui uscita di scena potrebbe condizionare il lavoro futuro. In tutti i casi che ho citato i think tank hanno fatto si che al massimo ogni socio contribuisca per il 4 o 5 cinque per cento del bilancio totale. Per di più tutti i think tank pubblicano la lista dei finanziatori per trasparenza. Che altro dovrebbero fare? E' facile fare critiche, ma bisogna poter offrire soluzioni. Criticare una soluzione che non pu│ essere cambiata è assolutamente sterile e inutile. Che significa concretamente per i think tank "essere come la moglie di Cesare". Vorrei avere una spiegazione di questa frase. Giampaolo Carboniero ha detto: Basta fermarsi alle dichiarazioni di intenti e non investigare più a fondo; probabilmente non sisono ancora resi conto che viviamo in una nuova era, in cui è necessario, per avere credibilità, essere come la moglie di Cesare. mariella alois ha detto: Scusa fabio "al soldo di qualcuno " forse no ,ma parlare di" indipendenza",almeno finanziaria , di tali organismi é quantomeno improprio http://www.lobbyfacts.eu I piu' importanti thinktanks brussels-based sono: BRUEGEL(4milioni €anno) http://www.bruegel.org EPC http://www.epc.eu (2,5 milioni€/anno) CEPS http://www.ceps.eu (6milioni€/anno) come possono definirsi indipendenti quando i principali membri e sostenitori sono EU governi e istituzioni? Fabio Colasanti ha detto: Qualche tempo fa avevamo discusso di un articolo velenoso che sosteneva che tutti i think tanks sarebbero "al soldo di qualcuno". Avevo spiegato che il giudizio era assolutamente erroneo, che ci sono molti think tanks che sono ufficialmente l'espressione di alcuni interessi (di un partito, di un sindacato, di un gruppo di imprese, ecc.), ma che ce ne sono tanti che sono veramente indipendenti e avevo citato l'esempio di due di cui avevo esperienza diretta. Ho casualmente scoperto che il think tank economico più conosciuto di Bruxelles, Bruegel, di cui Mario Monti è stato per qualche tempo presidente fino al momento in cui si dimise essendo diventato il nuovo primo ministro italiano, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento per la sua "trasparenza".

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Risposto da Roberto Zanre' su 22 Ottobre 2014 a 15:47 Grazie. Giampaolo Carboniero ha detto: Posto sotto i membri, p.e., della CEPS; guardando l'elenco, non puoi già immaginare che tipo di energia e sviluppo sostenibile questi enti o imprese sono disponibili a finanziare? http://www.ceps.be/system/files/CEPS_Corporate_Members.pdf Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, Bruegel è finanziato, in buona parte, da alcuni governi (ho pubblicato le quote di ogni paese; non tutti i paesi finanziano Bruegel). L'EPC e il CEPS non ricevono fondi dai governi. Non vedo proprio perché qualcuno dovrebbe fare ricerche su come sopprimere la monarchia in Belgio. In Europa abbiamo molte monarchie e in Belgio la monarchia è importante per la sopravvivenza del paese. Queste sono le home page dei tre centri di cui Mariella ha parlato: http://www.bruegel.org/ http://www.epc.eu/ http://www.ceps.be/ E queste sono le pagine che presentano le loro attività. Ognuno dei tre centri è più specializzato in certi campi. Bruegel è specializzato nella macroeconomia e nella governance economica; il CEPS copre vari temi compresa l'energia e lo sviluppo sostenibile e l'EPC fa del lavoro interessante nel campo delle migrazioni, delle relazioni internazionali e della partecipazione dei giovani ai processi decisionali (Futurelabs). http://www.ceps.be/research-areas-list http://www.bruegel.org/research/ http://www.epc.eu/prog_intro.php Giampaolo Carboniero ha detto: Questi think tanks fanno ricerche anche sulle rinnovabili, sulla decrescita, sulla sostenibilità, su soluzioni economiche alternative a quelle as usual, hanno mai invitato Piketty, Lovins, Rifkin, o altri economisti che seguono scuole economiche diverse? Se sono finanziati dagli stati, quando mai potranno parlare della loro sparizione all'interno di un unico soggetto politico europeo? Penso che l'attività di quei pensatoi dipenda comunque molto dal tipo di interessi prevalenti della maggioranza dei finanziatori, per cui difficilmente si potranno applicare a una ricerca pura e disinteressata, come potrebbero fare, p.e., nel campo della fisica, tanti laboratori pubblici. ( La Mazzuccato, in Stato Innovatore, ci dà un'idea della differenza di obiettivi, e quindi di risultati sperati, fra la ricerca privata e quella pubblica). Faccio fatica a pensare che un Re Baldovino finanzierebbe un'istituto che studiasse come re la monarchia in Belgio.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Ottobre 2014 a 15:47 Mariella, mille grazie. Consiglio a chi interessato di leggere la descrizione di cos'è un think tank, la loro genesi e le conclusioni sui think tank a carattere europeo (si tratta di poche pagine). mariella alois ha detto: per saperne di piu' sul fenomeno dei TinkTanks,il loro proliferare non solo a bruxelles,ma in tutta europa un interessante studio datato 2012 http://ec.europa.eu/bepa/pdf/publications_pdf/brief-policy/berl_pap...

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Risposto da Roberto Zanre' su 22 Ottobre 2014 a 15:50 Grazie... Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, credo che tu abbia un'idea sbagliata di cosa sono i think tank e di cosa ci si possa aspettare da quelli che si proclamano indipendenti. Ogni think tank si può occupare solo di alcune cose (i tre think tank di cui stiamo parlando hanno tra le venti e le trenta persone). E' chiaro con non possono occuparsi di tutto. Del resto ognuno indica chiaramente i pochi campi di cui si occupa. L'importante è che gli studi che effettuano e le discussioni che organizzano siano seri e non parziali. Poi nessuno può aspettarsi che questo o quell'altro think tank si occupino anche della vita delle formiche o di chissà quale altra cosa. Ogni think tank sceglie un campo di attività nel quale si specializza e cerca il sostegno di organizzazioni che abbiano un interesse a che nei campi identificati ci sia della ricerca di qualità e independente. Io sono presidente di un think tank che si occupa di telecomunicazioni, audiovisivo e internet. Cerco soci tra le società che si occupano di queste cose e tra le agenzie di regolamentazione in questi campi. Le società e le organizzazioni che accettano di diventare membri dell'IIC non ne hanno nessun vantaggio paticolare. I seminari e le conferenze che organizziamo riuniscono oratori e partecipanti di livello professionale molto alto (per i regolatori vengono quasi sempre i presidenti o i membri del consiglio). Gli oratori vengono senza ricevere alcun pagamento e si pagano le spese di viaggio e le spese di soggiorno. Per partecipare ai nostri seminari non si pagava nulla. Dall'anno scorso abbiamo introdotto una quota molto bassa (120 sterline per due giorni) solo per evitare la pratica spiacevole delle persone che si iscrivevano - tanto il seminario era gratis - e poi non venivano. Questo era un problema perché cerchiamo di limitare il numero dei partecipanti a non più di settanta/ottanta per seminario. Visto che gli oratori e i soci non pagano, il numero dei "paganti" non supera la ventina di persone per seminario (il che significa che le quote pagate non coprono che una frazione infima dei costi di organizzazione di un seminario/conferenza). A nessuno verrebbe mai in mente di criticarci perché non ci occupiamo, per esempipo, di efficienza energetica. Ci saranno altri think tank che si occupano di questo e saranno sostenuti da chi ha un interesse in quel campo. I membri dell'IIC sono organizzazioni che considerano che valga la pena di pagare 5mila o 12mila sterine all'anno per far si che ci sia qualcuno che organizzi seminari e conferenze di qualità nei loro campi di attività. Tra un'ora sarò ad un seminario organizzato da Bruegel e non dovrò pagare nulla. Anche le manifestazioni organizzate dell'EPC sono gratuite. Il CEPS fa pagare una quota di 50 euro a chi non è membro. Chi è membro di Bruegel, dell'EPC o del CEPS pensa che valga la pena di pagare delle quote associative (anche alte, vedi quelle di Bruegel) perché ci sia qualcuno che faccia ricerca di buona qualità. Se un think tank "indipedente" fosse percepito di parte sui suoi temi di attività perderebbe immediatamente gran parte dei soci/membri. I membri dei think tank indipendenti non hanno nessun vantaggio diretto, a parte una certa pubblicità. Giampaolo Carboniero ha detto: Che se anche quelle organizzazioni non dipendono da pochi, grandi finanziatori, saranno sempre comunque finanziate da persone, enti, o istituzioni che convergono sulle stesse idee, per cui funzionano solo da moltiplicatori della stessa idea o serie di idee, non da ricercatori liberi. Se, p.e., io facessi una campagna di crownfunding in cui dico che voglio studiare la pace e come ottenerla, sicuramente non verrò finanziato da chi invece vuole la guerra e il riarmo diffuso; lo stesso penso succeda per quelle organizzazioni che sono orientate culturalmente verso una qualche scuola economica: difficilmente da loro sortirà una qualche soluzione diversa da quelle già continuamente proposte, ma usciuranno solo approfondimenti, analisi, tabelle, ecct.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Ottobre 2014 a 16:19 Ancora sul TTIP. Posto un lungo articolo di un think tank non certo conservatore e non certo filo-americano, la fondazione Notre Europe di Jacques Delors. Commentano i risultati di uno studio che mostra come l'immagine di un'Europa più attenta degli Stati Uniti alla prevenzione dei rischi sia uno stereotipo non giustificato dai fatti. Gli autori trovano molti casi in cui un blocco è più "prudente" dell'altro con i casi di disequilibrio ripartiti in maniera equa.

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La preoccupazione che il TTIP serva alle imprese americane per abbassare gli standard europei non avrebbe quindi alcun fondamento perché questi non sono sistematicamente più "alti". Allegati:

precautionprincipleuseu-fabry-garbasso-ne-jdi-july14.pdf, 472 KB

Risposto da giorgio varaldo su 27 Ottobre 2014 a 16:59 riguardo agli standard USA in molti settori gli standard sono più restrittivi di quelli europei. automotive in primo piano, tessile (per il quale in europa gli standard sembrano fatti a misura delle produzioni di basso livello cinese pakistana nelle pelli e sud est asiatico in genere) materiale elettrico di consumo e piccoli utensili sono i settori nei quali il consumatore europeo se l'europa se adottasse gli standard USA avrebbe indubbi vantaggi. se mai le maggiori critiche al TTIP dovrebbero venire dagli USA e non dall'europa Fabio Colasanti ha detto: Ancora sul TTIP. Posto un lungo articolo di un think tank non certo conservatore e non certo filo-americano, la fondazione Notre Europe di Jacques Delors. Commentano i risultati di uno studio che mostra come l'immagine di un'Europa più attenta degli Stati Uniti alla prevenzione dei rischi sia uno stereotipo non giustificato dai fatti. Gli autori trovano molti casi in cui un blocco è più "prudente" dell'altro con i casi di disequilibrio ripartiti in maniera equa. La preoccupazione che il TTIP serva alle imprese americane per abbassare gli standard europei non avrebbe quindi alcun fondamento perché questi non sono sistematicamente più "alti".

Risposto da mariella alois su 27 Ottobre 2014 a 18:40 mariella alois ha detto: Sul TTIP, posto qui una nota informale dell'on.A. Mosca ,membro PD del Parlamento europeo , che riassume in modo chiaro e eccellente lo stato attuale dei negoziati.Sottolinea inoltre : -l'impatto favorevole che tali negoziati avrebbero proprio sull'Italia e le sue PMI . -il principale contenuto del mandato negoziale dato dagli stati membri alla commissione europea e reso pubblico grazie all'intervento di un membro del governo Renzi. Ecco penso che tanti pregiudizi e informazioni distorte sul TTIP siano sorte proprio da una mancanza di trasparenza sul mandato negoziale della CE e che sarebbe stato opportuno rendere pubblico sin dall'inizio di tali negoziati. ttipSandra Del Fabro ha detto: scusa , non ho ancora letto l'articolo ma, se il senso è quello che tu riassumi, speriamo bene. Vedi Fabio, tu, correttamente, stai cercando di capire le conseguenze di ogni tipo che possono derivarci da questo accordo. Me il nostro presidente del Consiglio ti risulta che abbia mai menzionato dei possibili problemi ? Fabio Colasanti ha detto: Ancora sul TTIP. Posto un lungo articolo di un think tank non certo conservatore e non certo filo-americano, la fondazione Notre Europe di Jacques Delors. Commentano i risultati di uno studio che mostra come l'immagine di un'Europa più attenta degli Stati Uniti alla prevenzione dei rischi sia uno stereotipo non giustificato dai fatti. Gli autori trovano molti casi in cui un blocco è più "prudente" dell'altro con i casi di disequilibrio ripartiti in maniera equa. La preoccupazione che il TTIP serva alle imprese americane per abbassare gli standard europei non avrebbe quindi alcun fondamento perché questi non sono sistematicamente più "alti". Allegati:

TTIP.txt, 9 KB

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 27 Ottobre 2014 a 19:43 Dipende dai settori mi pare; finchè riguarda le merci ( per merci intendo solo prodotti, macchine, tessuti, ecct.) , io non avrei obiezioni; le sollevo però, e non sono il solo, per quanto riguarda la legislazione sulle etichettature, sulla tracciabilità, sul divieto dell'uso di certi ormoni o sostanze chimiche negli alimenti, nelle regole che riguardano la gestione dei servizi, che il TTIP pretenderebbe tutti privatizzati ( compresa sanità, acqua, ecct.); se veramente l'Europa perseguisse la trasparenza, dovrebbero essere resi pubblici tutti i vari incontri che le varie multinazionali hanno finora avuto con le autorità comunitarie, quali gli argomenti sinora trattati, quali e quanti portatori di interessi sono stati invitati e a discutere cosa ( come si fa in genere nelle discussione di grandi progetti). Caro Fabio, per me è inutile che tu, e vari altri think tank, comunque tutti accomunati dalla stessa scuola liberista, continui a tentare di dimostrare che l'approvazione del TTIP rappresenta un beneficio per tutta l'Europa: fino a prova contraria, finchè non sarà resa trasparente e pubblica la discussione di questi accordi, visti i nomi, e gli interessi di coloro che hanno promosso questo trattato e che spingono fortemente per la sua approvazione, visti i suoi effetti anche sulla vita democratica dei popoli, sulla mancata clausola di recesso (come avviene abitualmente nelle contrattazioni commerciali europee), io considero questo accordo, spacciato come accordo commerciale, ma con sottesi risultati in tutti i campi che riguardano la nostra vita civile, contrario al progetto europeo e al tipo di società che finora esso aveva perseguito e farò di tutto per convincere chiunque delle mie ragioni. Fabio Colasanti ha detto: Ancora sul TTIP. Posto un lungo articolo di un think tank non certo conservatore e non certo filo-americano, la fondazione Notre Europe di Jacques Delors. Commentano i risultati di uno studio che mostra come l'immagine di un'Europa più attenta degli Stati Uniti alla prevenzione dei rischi sia uno stereotipo non giustificato dai fatti. Gli autori trovano molti casi in cui un blocco è più "prudente" dell'altro con i casi di disequilibrio ripartiti in maniera equa. La preoccupazione che il TTIP serva alle imprese americane per abbassare gli standard europei non avrebbe quindi alcun fondamento perché questi non sono sistematicamente più "alti".

Risposto da Giampaolo Carboniero su 27 Ottobre 2014 a 19:58 E allora mi sai dire perchè gli USA rifiutano l'etichettature della tracciabilità degli alimenti? Perchè non vogliono la dicitura OGM sulle etichette? Perchè dovrebbe essere un trattato, commerciale?, a decidere se privatizzare o meno certi servizi in uno stato, e non i suoi cittadini? Cerca di informarti sull'ampiezza e la qualità degli argomenti del TTIP, prima di avventare certe considerazioni. Già, ma forse la differenza nelle valutazioni dipende dal fatto che io sono un sinistrorso perdente, un fanatico ambientalista, un sovversivo collettivista, e chi più ne ha più ne metta. giorgio varaldo ha detto: riguardo agli standard USA in molti settori gli standard sono più restrittivi di quelli europei. automotive in primo piano, tessile (per il quale in europa gli standard sembrano fatti a misura delle produzioni di basso livello cinese pakistana nelle pelli e sud est asiatico in genere) materiale elettrico di consumo e piccoli utensili sono i settori nei quali il consumatore europeo se l'europa se adottasse gli standard USA avrebbe indubbi vantaggi. se mai le maggiori critiche al TTIP dovrebbero venire dagli USA e non dall'europa Fabio Colasanti ha detto: Ancora sul TTIP. Posto un lungo articolo di un think tank non certo conservatore e non certo filo-americano, la fondazione Notre Europe di Jacques Delors. Commentano i risultati di uno studio che mostra come l'immagine di un'Europa più attenta degli Stati Uniti alla prevenzione dei rischi sia uno stereotipo non giustificato dai fatti. Gli autori trovano molti casi in cui un blocco è più "prudente" dell'altro con i casi di disequilibrio ripartiti in maniera equa. La preoccupazione che il TTIP serva alle imprese americane per abbassare gli standard europei non avrebbe quindi alcun fondamento perché questi non sono sistematicamente più "alti".

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Risposto da Fabio Colasanti su 27 Ottobre 2014 a 20:15 Giampaolo, vedo che gli argomenti non possono nulla contro "la fede". Libero ognuno di tenersi le proprie convinzioni. Il fatto che la clausola del TTIP che viene criticata (quella sulla protezione degli investimenti) sia già in tutti gli accordi comerciali (1400) firmati negli ultimi sessanta anni non conta nulla. Il fatto che questi accordi abbiano portato a solo 53 casi contro paesi dell'Unione europea non viene nemmeno notato. Che contro i grossi paesi dell'Unione europea ci siano stati solo sei casi e che questi siano respinti è vento. Che ci sia stata un consultazione pubblica sulla clausola per la protezione degli investimenti non conta. Che l'Unione europea abbia pubblicato anche il mandato dato ai negoziatori viene ignorato. Il fatto che il TTIP entrerà in vigore solo dopo il voto del Parlamento europeo (che non credo possa essere su di un testo segreto) e quello degli stati membri è una quisquilia. No la "verità" è che tutto quello che riguarda il TTIP sarebbe ancora oggi segreto. Ci sono poi dei think tank, abbastanza insospettabili (francesi e socialisti) che accettano che gli standard europei non sono poi più alti di quelli americani e che quindi non ci sono rischi di un "abbassamento" dei nostri standard attraverso il TTIP. Ma che ci si può aspettare dai think tank? Stiamo a vedere a che conclusioni arriverà il gruppo messo su dal circolo PD di Bruxelles. Ah, dimenticavo che il PD è neo-liberista ... (Come Matteo Renzi che ha dichiarato che il TTIP è nel nostro interesse perché porterà a più esportazioni e più crescita). Mi rendo conto di non utilizzare un linguaggio molto serio e di cadere proprio nella derisione che spesso critico. Ma non so più che altri argomenti portare visto che questi non vengono mai confutati sul fondo. Per finire sappi che nelle istituzioni comunitarie si scrivono quasi sempre resoconti di tutti gli incontri con ogni tipo di lobbisti e che questi sono perfino obbligatori per alcune industrie (per esempio quella del tabacco). Chiunque può richiedere questi resoconti alle istituzioni comunitarie basandosi sull regolamento 1049 del 2001. Esiste perfino una NGO che si occupa di tutte le pratiche amministrative per chiunque voglia fare richieste di questo tipo; si chiama "asktheeu.org". Al segretariato generale della commissione c'è un'unità che si occupa quasi unicamente della gestione di tutte le richieste che arrivano. Il TTIP è stato promosso da tutti i governanti europei perché sanno che l'aumento del commercio internazionale è nell'interesse di tutti e quando si sono resi conto che a livello internazionale non si andava avanti (fallimento dei negoziati conosciuti come "Doha round") hanno ripiegato su accordi con alcuni paesi o gruppi di paesi. Potresti poi precisare cosa intendi quandi scrivi che il TTIP avrebbe risultati "in tutti i campi che riguardano la nostra vita civile, contrario al progetto europeo e al tipo di società che finora esso aveva perseguito"? Potresti dare degli esempi? Giampaolo Carboniero ha detto: Dipende dai settori mi pare; finchè riguarda le merci ( per merci intendo solo prodotti, macchine, tessuti, ecct.) , io non avrei obiezioni; le sollevo però, e non sono il solo, per quanto riguarda la legislazione sulle etichettature, sulla tracciabilità, sul divieto dell'uso di certi ormoni o sostanze chimiche negli alimenti, nelle regole che riguardano la gestione dei servizi, che il TTIP pretenderebbe tutti privatizzati ( compresa sanità, acqua, ecct.); se veramente l'Europa perseguisse la trasparenza, dovrebbero essere resi pubblici tutti i vari incontri che le varie multinazionali hanno finora avuto con le autorità comunitarie, quali gli argomenti sinora trattati, quali e quanti portatori di interessi sono stati invitati e a discutere cosa ( come si fa in genere nelle discussione di grandi progetti). Caro Fabio, per me è inutile che tu, e vari altri think tank, comunque tutti accomunati dalla stessa scuola liberista, continui a tentare di dimostrare che l'approvazione del TTIP rappresenta un beneficio per tutta l'Europa: fino a prova contraria, finchè non sarà resa trasparente e pubblica la discussione di questi accordi, visti i nomi, e gli interessi di coloro che hanno promosso questo trattato e che spingono fortemente per la sua approvazione, visti i suoi effetti anche sulla vita democratica dei popoli, sulla mancata clausola di recesso (come avviene abitualmente nelle contrattazioni commerciali europee), io considero questo accordo, spacciato come accordo commerciale, ma con sottesi risultati in tutti i campi che riguardano la nostra vita civile, contrario al progetto europeo e al tipo di società che finora esso aveva perseguito e farò di tutto per convincere chiunque delle mie ragioni. Fabio Colasanti ha detto: Ancora sul TTIP. Posto un lungo articolo di un think tank non certo conservatore e non certo filo-americano, la fondazione Notre Europe di Jacques Delors.

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Commentano i risultati di uno studio che mostra come l'immagine di un'Europa più attenta degli Stati Uniti alla prevenzione dei rischi sia uno stereotipo non giustificato dai fatti. Gli autori trovano molti casi in cui un blocco è più "prudente" dell'altro con i casi di disequilibrio ripartiti in maniera equa. La preoccupazione che il TTIP serva alle imprese americane per abbassare gli standard europei non avrebbe quindi alcun fondamento perché questi non sono sistematicamente più "alti".

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Ottobre 2014 a 20:21 Mariella, il mandato negoziale contiene le istruzioni ai negoziatori. Sarebbe un po' strano pubblicare un documento dove si dice che chiederemo, faccio un esempio inventato, venti cose, ma che quelle che per noi sono veramente importanti sono solo la numero 3, la 5, la 11, la 15 e la 18. Il mandato è stato pubblicato ora perché il negoziato è quasi chiuso. mariella alois ha detto: Sul TTIP, posto qui una nota informale dell'on.A. Mosca ,membro PD del Parlamento europeo , che riassume in modo chiaro e eccellente lo stato attuale dei negoziati.Sottolinea inoltre : -l'impatto favorevole che tali negoziati avrebbero proprio sull'Italia e le sue PMI . -il principale contenuto del mandato negoziale dato dagli stati membri alla commissione europea e reso pubblico grazie all'intervento di un membro del governo Renzi. Ecco penso che tanti pregiudizi e informazioni distorte sul TTIP siano sorte proprio da una mancanza di trasparenza sul mandato negoziale della CE e che sarebbe stato opportuno rendere pubblico sin dall'inizio di tali negoziati.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Ottobre 2014 a 20:25 Giampaolo, l'etichettatura dei prodotti per indicare la presenza di OGM è un obbligo legislativo europeo. Questa non è assolutamente rimessa in causa dal TTIP. La clausola sulla protezione degli investimenti riguarda solo modifiche legislative introdotte dopo la firma dell'accordo. Giampaolo Carboniero ha detto: E allora mi sai dire perchè gli USA rifiutano l'etichettature della tracciabilità degli alimenti? Perchè non vogliono la dicitura OGM sulle etichette? Perchè dovrebbe essere un trattato, commerciale?, a decidere se privatizzare o meno certi servizi in uno stato, e non i suoi cittadini? Cerca di informarti sull'ampiezza e la qualità degli argomenti del TTIP, prima di avventare certe considerazioni. Già, ma forse la differenza nelle valutazioni dipende dal fatto che io sono un sinistrorso perdente, un fanatico ambientalista, un sovversivo collettivista, e chi più ne ha più ne metta.

Risposto da giorgio varaldo su 27 Ottobre 2014 a 20:29 giampaolo ho citato settori dei quali ho conoscenza non dico approfondita ma almeno non superficiale.e l'osservazione riguardante le critiche non avendo citato altri settori mi pare ovvio riguardino solo quelli citati: infatti ho seri dubbi che la california voglia allentare i vincoli richiesti ai veicoli circolanti in tale stato. non conosco il settore alimentare ed infatti me ne sono ben guardato sia da citarlo che da esprimere giudizi. mi domando quale sia il motivo di si tanta acredine nella risposta... Giampaolo Carboniero ha detto: E allora mi sai dire perchè gli USA rifiutano l'etichettature della tracciabilità degli alimenti? Perchè non vogliono la dicitura OGM sulle etichette? Perchè dovrebbe essere un trattato, commerciale?, a decidere se privatizzare o meno certi servizi in uno stato, e non i suoi cittadini? Cerca di informarti sull'ampiezza e la qualità degli argomenti del TTIP, prima di avventare certe considerazioni.

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Già, ma forse la differenza nelle valutazioni dipende dal fatto che io sono un sinistrorso perdente, un fanatico ambientalista, un sovversivo collettivista, e chi più ne ha più ne metta. giorgio varaldo ha detto: riguardo agli standard USA in molti settori gli standard sono più restrittivi di quelli europei. automotive in primo piano, tessile (per il quale in europa gli standard sembrano fatti a misura delle produzioni di basso livello cinese pakistana nelle pelli e sud est asiatico in genere) materiale elettrico di consumo e piccoli utensili sono i settori nei quali il consumatore europeo se l'europa se adottasse gli standard USA avrebbe indubbi vantaggi. se mai le maggiori critiche al TTIP dovrebbero venire dagli USA e non dall'europa Fabio Colasanti ha detto: Ancora sul TTIP. Posto un lungo articolo di un think tank non certo conservatore e non certo filo-americano, la fondazione Notre Europe di Jacques Delors. Commentano i risultati di uno studio che mostra come l'immagine di un'Europa più attenta degli Stati Uniti alla prevenzione dei rischi sia uno stereotipo non giustificato dai fatti. Gli autori trovano molti casi in cui un blocco è più "prudente" dell'altro con i casi di disequilibrio ripartiti in maniera equa. La preoccupazione che il TTIP serva alle imprese americane per abbassare gli standard europei non avrebbe quindi alcun fondamento perché questi non sono sistematicamente più "alti".

Risposto da Giampaolo Carboniero su 27 Ottobre 2014 a 21:20 Convengo con te sulla trasparenza che dovrebbe essere stata applicata fin dall'inizio, le intepretazioni avrebbe dovuto darle ognuno nel leggere i termini di questi accordi, ricavandone i pro e i contro secondo la sua intelligenza e competenza, e su questo sarei disponibilissimo a ragionarne; ma, al solito, abbiamo i sacerdoti che ci spiegano il sacro verbo, senza, semplicemente, esporci quali sono questi dieci comandamenti. mariella alois ha detto: mariella alois ha detto: Sul TTIP, posto qui una nota informale dell'on.A. Mosca ,membro PD del Parlamento europeo , che riassume in modo chiaro e eccellente lo stato attuale dei negoziati.Sottolinea inoltre : -l'impatto favorevole che tali negoziati avrebbero proprio sull'Italia e le sue PMI . -il principale contenuto del mandato negoziale dato dagli stati membri alla commissione europea e reso pubblico grazie all'intervento di un membro del governo Renzi. Ecco penso che tanti pregiudizi e informazioni distorte sul TTIP siano sorte proprio da una mancanza di trasparenza sul mandato negoziale della CE e che sarebbe stato opportuno rendere pubblico sin dall'inizio di tali negoziati. ttipSandra Del Fabro ha detto: scusa , non ho ancora letto l'articolo ma, se il senso è quello che tu riassumi, speriamo bene. Vedi Fabio, tu, correttamente, stai cercando di capire le conseguenze di ogni tipo che possono derivarci da questo accordo. Me il nostro presidente del Consiglio ti risulta che abbia mai menzionato dei possibili problemi ? Fabio Colasanti ha detto: Ancora sul TTIP. Posto un lungo articolo di un think tank non certo conservatore e non certo filo-americano, la fondazione Notre Europe di Jacques Delors. Commentano i risultati di uno studio che mostra come l'immagine di un'Europa più attenta degli Stati Uniti alla prevenzione dei rischi sia uno stereotipo non giustificato dai fatti. Gli autori trovano molti casi in cui un blocco è più "prudente" dell'altro con i casi di disequilibrio ripartiti in maniera equa. La preoccupazione che il TTIP serva alle imprese americane per abbassare gli standard europei non avrebbe quindi alcun fondamento perché questi non sono sistematicamente più "alti".

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 27 Ottobre 2014 a 21:43 Perchè non sono stati resi pubblici dall'inizio gli incontri delle corporations con le autorità europee? Con un gruppo di amici abbiamo, come tu raccomandi, scritto al presidente Van Rompuy, e altri politici, finora senza risposta; il fatto che tu consideri trasparenza l'aver pubblicato le istruzioni alla commissione, senza considerare alla stessa stregua la pubblicazione degli incontri preparatori, o il quasi concluso trattato, non mi soddisfa; nella mia piccola esperienza ho constatato che se non c'è niente da nascondere, più persone invitavo alla discussione di qualche progetto o indirizzo, meno supposizioni o ambiguità suscitavo, per cui chiedo semplicemmente che anche in questo caso la UE applichi le stesse procedure che chiede al mio Comune per approvare, ad es., un PAT o un progetto finanziato dalla UE ( incontri pubblici con gli stakeholders, ass.ni, categorie interessate, ecct.; mi risulta invece che nella discussione del TTIP siano state invitate solo certe categorie, certi interessi, e non tutti rappresentativi della generalità degli stessi); a Mariella ho risposto che io voglio vedere la tavola dei dieci comandamenti, non dei sacerdoti che me le interpretino. E non si tratta di "fede", quella la riservo ad altri campi. Fabio Colasanti ha detto: Mariella, il mandato negoziale contiene le istruzioni ai negoziatori. Sarebbe un po' strano pubblicare un documento dove si dice che chiederemo, faccio un esempio inventato, venti cose, ma che quelle che per noi sono veramente importanti sono solo la numero 3, la 5, la 11, la 15 e la 18. Il mandato è stato pubblicato ora perché il negoziato è quasi chiuso. mariella alois ha detto: Sul TTIP, posto qui una nota informale dell'on.A. Mosca ,membro PD del Parlamento europeo , che riassume in modo chiaro e eccellente lo stato attuale dei negoziati.Sottolinea inoltre : -l'impatto favorevole che tali negoziati avrebbero proprio sull'Italia e le sue PMI . -il principale contenuto del mandato negoziale dato dagli stati membri alla commissione europea e reso pubblico grazie all'intervento di un membro del governo Renzi. Ecco penso che tanti pregiudizi e informazioni distorte sul TTIP siano sorte proprio da una mancanza di trasparenza sul mandato negoziale della CE e che sarebbe stato opportuno rendere pubblico sin dall'inizio di tali negoziati.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Ottobre 2014 a 22:31 Giampaolo, nel TTIP non c'è assolutamente nulla che riguardi la privatizzazione dei servizi pubblici. Posto un certo numero di documenti e correggo un'informazione che avevo dato prima rispondendo a Mariella: il negoziato sul TTIP è molto meno avanzato di quanto pensassi. C'è ancora molto da fare. I documenti postati sono: a) Il mandato dato ai negoziatori (ho trovato solo la versione inglese) b) La clausola sulla protezione degli investimenti contenuta nel trattato analogo con il Canada. Quella del TTIP dovrebbe essere quasi identica (questo documento è in italiano). c) Un riassunto su cosa il TTIP dovrebbe essere (in inglese). Allegati:

TTIP Negotiating Mandate.pdf, 554 KB

ISDS - CETA.pdf, 192 KB

TTIP Overview.pdf, 194 KB

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Ottobre 2014 a 22:35

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Aggiungo una breve nota sul TTIP e la trasparenza dei negoziati. Allegati:

TTIP transparency.pdf, 579 KB

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Ottobre 2014 a 22:39 Sandra, come ben sai non condivido affatto le paure sugli OGM e non considero affatto la Monsanto una società "famigerata". Ma le leggi sull'etichettatura dei prodotti che contengono OGM in Europa esistono già e su questo punto non è previsto che cambi nulla. Francamente non capisco le paure. Sandra Del Fabro ha detto: Mi intrometto solo per farti capire perchè ad esempio i capelli mi si rizzano in testa a sentir parlare dell'agro-alimentare americano, cioè dovremmo produrlo, produrre OGM o invece del pollo biologico ci troviamo l'hamburger agli ormoni al supermercato? Non so, ma tu capisci cosa significa per me trovarmi "sulla porta di casa" la famigerata MONSANTO, abbi pietà e cerca di capire!!

Risposto da mariella alois su 27 Ottobre 2014 a 23:00 Sandra ,Giampaolo ri-posto la nota in pdf.sperando si legga meglio. Riguardo le indicazioni geografiche riprendo paragrafo :Il nostro impegno sulle IG "Come piu' volte ricordato ,non c'é ancora niente di chiuso per cui sarà ns impegno insistere con garnde forza sul punto del riconoscimento delle indicazioni geografiche. La nostra speranza é quella di poter ottenere un risultato simile a quello raggiunto nell'accordo recentemente concluso (e in corso di verifica)con il Canada,dove l'Unione europea ha ottenuto il riconoscimento di quasi 200 prodotti con indicazione geografica ; Il ns lavoro sarà focalizzato anche sul contrasto al fenomeno dell'italian sounding,ossia l'utilizzo di denominazioni geografiche,immagini e marchi che evocano l'Italia per la promozione e la commercializzazione di prodotti in realtà per niente riconducibili al ns Paese".... Ecco intanto possiamo rassicurarci che i nostri rappresentanti ,in Italia e in Europa seguono e sono ben sensibilizzati sulle tematiche che interessano piu' da vicino l'Italia. Posso anche immaginare che le lobby dell'agro-alimentare ,e non solo , son ben all'opera, e danno gli input necessari ai nostri parlamentari . Non dimentichiamo che tali negoziati consentono ormai da tempo ormai lo sviluppo armonioso degli scambi commerciali Allegati:

TTIP.pdf, 3 MB

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Ottobre 2014 a 23:21 Sandra, per rispondere alla tua domanda riporto qui di seguito una versione ridotta del documento che ho postato sulla clausola di protezione degli investimenti prevista nell'accordo con il Canada (CETA). Quella da inserire nel TTIP dovrebbe essere più o meno identica. Ho to le parti procedurali (costituzione dei collegi di arbitri, prescrizioni, procedure, ecc.). Il testo ti dovrebbe dare un'idea di cosa sia previsto. Il testo dice chiaramente che la procedura di arbitrato prevista non potrà mai portare alla di una disposizione legislativa adottata dai parlamenti dei due contraenti. Un'altra cosa interessante è che il documento afferma che clausole simili esisterebbero già in 3000 accordi commerciali e non in 1400 come credevo e avevo scritto.

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DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INVESTIMENTI NELL'ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO UE-CANADA (CETA) Il CETA segna una svolta nell’approccio europeo alla politica d'investimento. Si tratta del primo accordo che pone tutti gli investitori dell’UE su un piano di parità. Si tratta inoltre del primo accordo che introduce innovazioni importanti nella tutela degli investimenti, che garantiscono un elevato livello di protezione mantenendo al tempo stesso il diritto dell’UE e del Canada di regolamentare e di perseguire obiettivi legittimi di interesse pubblico come la protezione della salute, della sicurezza o dell’ambiente. Nell'ambito del CETA si sta anche istituendo il sistema più avanzato di risoluzione delle controversie tra investitori e Stato. Il CETA rappresenta un’importante cesura con il passato, su due diversi livelli: 1) norme più chiare e precise in materia di protezione degli investimenti, ovvero le norme, di cui al CETA, che saranno applicate dai collegi arbitrali; 2) norme nuove e più chiare sullo svolgimento dei procedimenti nei collegi arbitrali. 1. Il CETA stabilisce norme nuove e precise in materia di investimenti Il CETA stabilisce chiaramente fin dall’inizio che l’UE e il Canada conservano il diritto di regolamentare e di conseguire obiettivi politici legittimi, ad esempio nel settore della salute pubblica, della sicurezza, dell’ambiente, della morale pubblica e della promozione e protezione della diversità culturale. È introdotta una norma precisa e specifica per il trattamento degli investitori e degli investimenti. A differenza di altri accordi, la norma relativa al "trattamento giusto ed equo" di cui al CETA non fissa un livello minimo, né riguarda un concetto in evoluzione. Si tratta piuttosto di un testo chiaro e compiuto che definisce con precisione la norma sul trattamento, senza lasciare un'indesiderata discrezionalità agli arbitri. Sia l’UE che il Canada devono accettare di riesaminare la norma affinché possa essere riveduta. Una violazione dell’obbligo di trattamento giusto ed equo può verificarsi solo nei casi seguenti: - diniego di giustizia in procedimenti penali, civili o amministrativi; - violazione fondamentale del giusto processo, compresa una violazione fondamentale della trasparenza, nei procedimenti giudiziari e amministrativi; - arbitrarietà manifesta; - discriminazione mirata per motivi manifestamente illeciti quali genere, razza o credo religioso; - trattamenti abusivi degli investitori, come coercizione, costrizione o vessazioni. Il concetto di "legittime aspettative" è limitato a situazioni in cui una specifica promessa o rappresentazione è stata fatta dallo Stato. Il CETA chiarisce cosa costituisce "espropriazione indiretta". Per la prima volta in un accordo UE è stata concordata una terminologia dettagliata per chiarire cosa costituisce un’espropriazione indiretta, al fine di evitare ricorsi contro provvedimenti legittimi di interesse pubblico: - le misure legittime di interesse pubblico adottate per la protezione della salute, della sicurezza o dell'ambiente non costituiscono espropriazione indiretta, fatta eccezione per rari casi in cui esse risultino evidentemente eccessive in rapporto all'obiettivo perseguito; - l’espropriazione indiretta può verificarsi esclusivamente quando l’investitore è sostanzialmente privato dei diritti fondamentali di proprietà, come il diritto di utilizzare, godere e disporre dei propri investimenti; - è introdotta una dettagliata analisi caso per caso, per determinare se si sia verificata un’espropriazione indiretta. Il solo fatto che una misura determini un aumento dei costi per gli investitori non dà luogo di per sé all’accertamento di espropriazione; Il rilascio di licenze obbligatorie in conformità alle disposizioni dell'OMC che garantiscono l'accesso ai medicinali non può essere considerato espropriazione. Il CETA non offre protezione alle cosiddette società di comodo (shell companies) o società fittizie (mailbox companies). Per avere la qualifica di "investitore" è necessario svolgere un'attività commerciale concreta nel territorio di una delle parti. La protezione è concessa anche solo nel momento in cui gli investitori hanno già impegnato notevoli risorse nello Stato ospitante, e non quando essi stanno soltanto progettando di farlo.

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( ... ) Il CETA introduce la completa trasparenza nelle controversie ISDS: tutti i documenti (osservazioni delle parti, decisioni del tribunale) saranno disponibili al pubblico su un sito web finanziato dall'UE. Tutte le udienze saranno aperte al pubblico. Le parti interessate (ONG, sindacati) potranno presentare le proprie osservazioni. Si tratta di elementi obbligatori, che non possono essere negati dal tribunale o dalle parti di una controversia. Conformemente alla prassi seguita dai tribunali nazionali/locali nell’Unione e in Canada, le informazioni possono essere negate in caso di segreti aziendali e informazioni considerate riservate a norma del diritto nazionale dello Stato destinatario. Tali casi sono definiti in modo chiaro. Dei 3 000 accordi esistenti con meccanismo ISDS, solo quelli di cui gli Stati Uniti e il Canada sono parte contemplano disposizioni relative alla trasparenza. In altri casi i documenti non sono disponibili né l'accesso è consentito. ( ... ) É chiaramente stabilito che l’ISDS nel quadro del CETA non può comportare l’abrogazione di una misura adottata dai Parlamenti dell’Unione, di uno Stato membro o del Canada; il massimo che può essere richiesto ad un paese è un risarcimento, e solo per le perdite effettivamente subite. Nell’ambito dell'ISDS non è neppure possibile imporre ammende, come può esserlo secondo le leggi nazionali. Si tratta di una precisazione importante, non presente nella maggior parte dei 3 000 accordi. ( ... ) La parte soccombente paga le spese. Ciò è importante in quanto in nessuno degli accordi esistenti esistono regole chiare, con il risultato che spesso anche se un governo si difende con successo deve comunque sostenere tutti i costi. Questo è il primo accordo ISDS che include tali disposizioni. ( ... ) Controllo delle parti (UE e Canada) Come ulteriore garanzia, il CETA stabilisce con chiarezza che l’Unione e il Canada hanno il diritto di adottare interpretazioni vincolanti e di presentare osservazioni qualora non siano soggetti convenuti. In questo modo si intende consentire alle parti di controllare e influire sull’interpretazione dell’accordo. La capacità di adottare interpretazioni vincolanti è una valvola di sicurezza in caso di errori da parte dei collegi arbitrali (la probabilità dei quali è in ogni caso ta dalla chiara redazione delle pertinenti norme di protezione degli investimenti). ( ... )

Risposto da Roberto Zanre' su 28 Ottobre 2014 a 0:58 ... Fabio Colasanti ha detto: Sandra, per rispondere alla tua domanda riporto qui di seguito una versione ridotta del documento che ho postato sulla clausola di protezione degli investimenti prevista nell'accordo con il Canada (CETA). Quella da inserire nel TTIP dovrebbe essere più o meno identica. Ho to le parti procedurali (costituzione dei collegi di arbitri, prescrizioni, procedure, ecc.). Il testo ti dovrebbe dare un'idea di cosa sia previsto. Il testo dice chiaramente che la procedura di arbitrato prevista non potrà mai portare alla di una disposizione legislativa adottata dai parlamenti dei due contraenti. Un'altra cosa interessante è che il documento afferma che clausole simili esisterebbero già in 3000 accordi commerciali e non in 1400 come credevo e avevo scritto. DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INVESTIMENTI NELL'ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO UE-CANADA (CETA) Il CETA segna una svolta nell’approccio europeo alla politica d'investimento. Si tratta del primo accordo che pone tutti gli investitori dell’UE su un piano di parità. Si tratta inoltre del primo accordo che introduce innovazioni importanti nella tutela degli investimenti, che garantiscono un elevato livello di protezione mantenendo al tempo stesso il diritto dell’UE e del Canada di regolamentare e di perseguire obiettivi legittimi di interesse pubblico come la protezione della salute, della sicurezza o dell’ambiente. Nell'ambito del CETA si sta anche istituendo il sistema più avanzato di risoluzione delle controversie tra investitori e Stato. Il CETA rappresenta un’importante cesura con il passato, su due diversi livelli:

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1) norme più chiare e precise in materia di protezione degli investimenti, ovvero le norme, di cui al CETA, che saranno applicate dai collegi arbitrali; 2) norme nuove e più chiare sullo svolgimento dei procedimenti nei collegi arbitrali. 1. Il CETA stabilisce norme nuove e precise in materia di investimenti Il CETA stabilisce chiaramente fin dall’inizio che l’UE e il Canada conservano il diritto di regolamentare e di conseguire obiettivi politici legittimi, ad esempio nel settore della salute pubblica, della sicurezza, dell’ambiente, della morale pubblica e della promozione e protezione della diversità culturale. È introdotta una norma precisa e specifica per il trattamento degli investitori e degli investimenti. A differenza di altri accordi, la norma relativa al "trattamento giusto ed equo" di cui al CETA non fissa un livello minimo, né riguarda un concetto in evoluzione. Si tratta piuttosto di un testo chiaro e compiuto che definisce con precisione la norma sul trattamento, senza lasciare un'indesiderata discrezionalità agli arbitri. Sia l’UE che il Canada devono accettare di riesaminare la norma affinché possa essere riveduta. Una violazione dell’obbligo di trattamento giusto ed equo può verificarsi solo nei casi seguenti: - diniego di giustizia in procedimenti penali, civili o amministrativi; - violazione fondamentale del giusto processo, compresa una violazione fondamentale della trasparenza, nei procedimenti giudiziari e amministrativi; - arbitrarietà manifesta; - discriminazione mirata per motivi manifestamente illeciti quali genere, razza o credo religioso; - trattamenti abusivi degli investitori, come coercizione, costrizione o vessazioni. Il concetto di "legittime aspettative" è limitato a situazioni in cui una specifica promessa o rappresentazione è stata fatta dallo Stato. Il CETA chiarisce cosa costituisce "espropriazione indiretta". Per la prima volta in un accordo UE è stata concordata una terminologia dettagliata per chiarire cosa costituisce un’espropriazione indiretta, al fine di evitare ricorsi contro provvedimenti legittimi di interesse pubblico: - le misure legittime di interesse pubblico adottate per la protezione della salute, della sicurezza o dell'ambiente non costituiscono espropriazione indiretta, fatta eccezione per rari casi in cui esse risultino evidentemente eccessive in rapporto all'obiettivo perseguito; - l’espropriazione indiretta può verificarsi esclusivamente quando l’investitore è sostanzialmente privato dei diritti fondamentali di proprietà, come il diritto di utilizzare, godere e disporre dei propri investimenti; - è introdotta una dettagliata analisi caso per caso, per determinare se si sia verificata un’espropriazione indiretta. Il solo fatto che una misura determini un aumento dei costi per gli investitori non dà luogo di per sé all’accertamento di espropriazione; Il rilascio di licenze obbligatorie in conformità alle disposizioni dell'OMC che garantiscono l'accesso ai medicinali non può essere considerato espropriazione. Il CETA non offre protezione alle cosiddette società di comodo (shell companies) o società fittizie (mailbox companies). Per avere la qualifica di "investitore" è necessario svolgere un'attività commerciale concreta nel territorio di una delle parti. La protezione è concessa anche solo nel momento in cui gli investitori hanno già impegnato notevoli risorse nello Stato ospitante, e non quando essi stanno soltanto progettando di farlo. ( ... ) Il CETA introduce la completa trasparenza nelle controversie ISDS: tutti i documenti (osservazioni delle parti, decisioni del tribunale) saranno disponibili al pubblico su un sito web finanziato dall'UE. Tutte le udienze saranno aperte al pubblico. Le parti interessate (ONG, sindacati) potranno presentare le proprie osservazioni. Si tratta di elementi obbligatori, che non possono essere negati dal tribunale o dalle parti di una controversia. Conformemente alla prassi seguita dai tribunali nazionali/locali nell’Unione e in Canada, le informazioni possono essere negate in caso di segreti aziendali e informazioni considerate riservate a norma del diritto nazionale dello Stato destinatario. Tali casi sono definiti in modo chiaro. Dei 3 000 accordi esistenti con meccanismo ISDS, solo quelli di cui gli Stati Uniti e il Canada sono parte contemplano disposizioni relative alla trasparenza. In altri casi i documenti non sono disponibili né l'accesso è consentito. ( ... )

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É chiaramente stabilito che l’ISDS nel quadro del CETA non può comportare l’abrogazione di una misura adottata dai Parlamenti dell’Unione, di uno Stato membro o del Canada; il massimo che può essere richiesto ad un paese è un risarcimento, e solo per le perdite effettivamente subite. Nell’ambito dell'ISDS non è neppure possibile imporre ammende, come può esserlo secondo le leggi nazionali. Si tratta di una precisazione importante, non presente nella maggior parte dei 3 000 accordi. ( ... ) La parte soccombente paga le spese. Ciò è importante in quanto in nessuno degli accordi esistenti esistono regole chiare, con il risultato che spesso anche se un governo si difende con successo deve comunque sostenere tutti i costi. Questo è il primo accordo ISDS che include tali disposizioni. ( ... ) Controllo delle parti (UE e Canada) Come ulteriore garanzia, il CETA stabilisce con chiarezza che l’Unione e il Canada hanno il diritto di adottare interpretazioni vincolanti e di presentare osservazioni qualora non siano soggetti convenuti. In questo modo si intende consentire alle parti di controllare e influire sull’interpretazione dell’accordo. La capacità di adottare interpretazioni vincolanti è una valvola di sicurezza in caso di errori da parte dei collegi arbitrali (la probabilità dei quali è in ogni caso ta dalla chiara redazione delle pertinenti norme di protezione degli investimenti). ( ... )

Risposto da Roberto Zanre' su 28 Ottobre 2014 a 1:01 ... Sandra Del Fabro ha detto: MA DAVVERO NON CONOSCI LA MONSANTO? Qui il maiuscolo è voluto. Mi pare strano...I defolianti in Vietnam ti dicono niente? O la morale non c'entra con l'economia? Comunque ecco un florilegio sulla Monsanto da Wikipedia e altri siti.. In parallelo all'enorme successo commerciale, la notorietà dell'azienda è anche dovuta alle costanti critiche sollevate ad essa da associazioni contrarie all'uso delle biotecnologie (ad esempio Greenpeace) e alle numerose cause legali che Monsanto ha intrapreso per proteggere la propria proprietà intellettuale e tutelare i propribrevetti. In questo contesto sono da considerare anche le diverse cause intentate contro l'azienda: per esempio una causa risalente al 2004 contro i produttori dell'Agente Arancio (di cui uno è Monsanto), defoliante, tossico per l'uomo, usato durante laGuerra del Vietnam dall'esercito statunitense, il quale provocò e provoca ancora oggi gravi danni alle popolazioni locali, creando zioni strutturali e malformazioni, non favorevoli alla vita, al corpo umano. In tempi più recenti, è stata criticata anche la produzione e la vendita di un ormone sintetico (Posilac) per l'allevamento, secondo i detrattori non adeguatamente testato e da loro ritenuto Monsanto - Agrochimica gruppo Pharmacia Metà del suo fatturato annuale (34mila miliardi di lire) proviene dalla produzione di erbicidi, di ormoni di sintesi e di sementi geneticamente te. Il resto proviene dalle attività farmaceutiche. E' il terzo produttore del mondo di pesticidi e controlla il 10% del mercato mondiale. E' una delle maggiori aziende del mondo nella produzione di sementi geneticamente ti (capaci di resistere agli stessi erbicidi prodotti dalla stessa Monsanto). Nel 1997, negli Stati Uniti, ha pagato una multa di 50mila dollari per pubblicità ingannevole. Aveva definito l'erbicida Roundup un prodotto "biodegradabile ed ecologico". Ancora nel 1997, in occasione della conferenza sul clima di Kyoto, la multinazionale ha fatto pressioni affinché la conferenza non inserisse gli HFC (idro fluoro carburi, sostanze pericolose perché contribuiscono in misura notevole all'effetto serra) fra i gas da ridurre. Nel 1999 è stata denunciata per abuso di posizione dominante nel settore delle biotecnologie. Sempre nel 1999 è stata denunciata perché testava i suoi prodotti sugli animali. Controlla i marchi: Mivida Misura Un'intera nazione, l'India, denuncia la multinazionale Monsanto, produttrice mondiale di sementi transgeniche, di bioterrorismo. La multinazionale statunitense 'ruberebbe' piante locali per svilupparne versioni geneticamente te senza ricompensare le popolazioni o i Paesi da cui provengono le piante originali.

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Già in passato l'attivista e ambientalista indiana Vandana Shiva ha reso note le responsabilità della Monsanto e della Cargill in centinaia di suicidi tra contadini, spinti a questo gesto perché soffocati dalle pressioni per corporativizzare i metodi di coltivazione tradizionale, sistema noto come “Green Revolution”. Pur di non lasciare il proprio terreno alle banche, molti agricoltori si sono uccisi bevendo i pesticidi delle multinazionali. Secondo un rapporto del Center for Human Rights and Global Justice (CHRGJ) ogni 30 minuti un contadino indiano si toglie la vita. Dal 1995 sono 250.000 i lavoratori della terra che si sono suicidati. Il rapporto si sofferma in particolare sulla crisi del settore cotoniero. L’industria è progressivamente finita nelle mani di multinazionali straniere che hanno promosso l’utilizzo del cotone transgenico Bt, perché più produttivo e resistente a malattie. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, come ben sai non condivido affatto le paure sugli OGM e non considero affatto la Monsanto una società "famigerata". Ma le leggi sull'etichettatura dei prodotti che contengono OGM in Europa esistono già e su questo punto non è previsto che cambi nulla. Francamente non capisco le paure. Sandra Del Fabro ha detto: Mi intrometto solo per farti capire perchè ad esempio i capelli mi si rizzano in testa a sentir parlare dell'agro-alimentare americano, cioè dovremmo produrlo, produrre OGM o invece del pollo biologico ci troviamo l'hamburger agli ormoni al supermercato? Non so, ma tu capisci cosa significa per me trovarmi "sulla porta di casa" la famigerata MONSANTO, abbi pietà e cerca di capire!!

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Ottobre 2014 a 9:50 La Turchia fa capire che in cambio del suo sostegno alla lotta contro l'IS vuole il via libera all'adesione all"Unione europea. http://www.euractiv.com/sections/global-europe/turkey-prepared-join...

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Novembre 2014 a 23:26 Quanti danni fanno l'ignoranza e le religioni ! http://www.corriere.it/esteri/14_novembre_04/pakistan-coppia-cristi...

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Novembre 2014 a 14:21 Sono molto rattristato dalla parabola politica di Barack Obama che si è espressa attraverso il risultato delle elezioni di ieri. Si è arrivati al punto che alcuni candidati democratici gli hanno chiesto di non andare a sostenerli nella campagna elettorale perché il suo intervento avrebbe fatto più male che bene (Michelle era invece la benvenuta). Non si venga a dire che il risultato è dovuto all'influenza dei soldi nella campagna elettorale o ai tanti altri difetti del sistema elettorale statunitense (soprattutto quello del disegno delle circoscrizioni elettorali). Questi sono enormi, ma erano presenti nella stessa misura anche nel 2008, nel 2010 e nel 2012. Non dimentichiamo poi che nel 2008 Barack Obama aveva raccolto molti più fondi del candidato repubblicano. E l'economia americana ha anche ricominciato a crescere in maniera sostenuta, anche se è troppo presto perché questo si traduca in un clima di euforia diffusa. Il grosso problema, a detta di moltissimi osservatori, è l'incapacità di decidere di Barack Obama o, meglio, la percezione che non decida. È una persona intelligentissima, ha una cultura notevole; è un analista fino della realtà mondiale, ma non sembra decidere e prendere azioni. Molti sondaggi dicono che gli americani pensano che sulla crisi dell'ebola il presidente sia intervenuto in ritardo lasciando che le prime decisioni prudenziali – scoordinate e illogiche

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– fossero prese dai governatori. Nella stessa maniera, sulla Siria ha fatto grandi minaccie contro Assad, ma non è intervenuto; ha forse ottenuto senza spargimento di sangue la consegna delle armi chimiche, ma la percezione è stata di un non intervento. Contro l'Isis non ha voluto impegnare l'esercito – seguendo i sondaggi – ma oggi gli viene rimproverato di non aver deciso gran ché. So che alcuni non saranno d'accordo, ma il Financial Times scrive che anche nei confronti di Putin sulla crisi ucraina Barack Obama è apparso esitante. In molto casi non è che Barack Obama non abbia ottenuto risultati, ma ha non ha dato l'impressione di aver fatto scelte chiare. In tutti i paesi si ha bisogno - anche troppo - di leader che sappiano decidere e, soprattutto, che siano visti come capaci di farlo casomai si presentasse una situazione che lo richieda. Queste considerazioni mi fanno capire meglio il consenso di cui gode Matteo Renzi, anche se la sua maniera di parlare a volte mi irrita profondamento.

Risposto da Salvatore Venuleo su 5 Novembre 2014 a 14:49 D'accordo, Fabio. Ma chi sa che Barack ha fatto bene a decidere con prudenza piuttosto che precipitare il suo Paese in crisi peggiori, dovrebbe dirlo. Lo stesso vale per noi in Italia. Meglio essere incompresi che procurare disastri. E' una scelta etica. Meglio formulare pensieri divergenti che accodarsi ai cori vincenti. Ognuno formuli il suo pensiero divergente, lo proponga e custodisca a futuro memoria. Io ad esempio insisto che siamo lontanissimi dall'obiettivo-limite di una democrazia reale, se chi vota pensa che gli immigrati in Italia siano il 30% della popolazione (anziché il 4%). Ne consegue l'obiettivo prioritario dell'istruzione. Con nuovi obiettivi, metodi e tempi. L'istruzione, non solo o non tanto la scuola. Perciò mi annoia il discutere di tagli o investimenti nella scuola, in assenza di una idea vera e nuova di cultura diffusa e di istruzione. P.S. Mio pensierino divergente. P.S2. Ammesso (e non concesso) che Obama abbia fatto meno o peggio dei suoi predeccesori, resta il fatto simbolico del primo Presidente nero. Che gli americani lo sappiano o no, ciò cambierà gli Usa e il mondo più di una riformetta qualsiasi. Fabio Colasanti ha detto: Sono molto rattristato dalla parabola politica di Barack Obama che si è espressa attraverso il risultato delle elezioni di ieri. Si è arrivati al punto che alcuni candidati democratici gli hanno chiesto di non andare a sostenerli nella campagna elettorale perché il suo intervento avrebbe fatto più male che bene (Michelle era invece la benvenuta). Non si venga a dire che il risultato è dovuto all'influenza dei soldi nella campagna elettorale o ai tanti altri difetti del sistema elettorale statunitense (soprattutto quello del disegno delle circoscrizioni elettorali). Questi sono enormi, ma erano presenti nella stessa misura anche nel 2008, nel 2010 e nel 2012. Non dimentichiamo poi che nel 2008 Barack Obama aveva raccolto molti più fondi del candidato repubblicano. E l'economia americana ha anche ricominciato a crescere in maniera sostenuta, anche se è troppo presto perché questo si traduca in un clima di euforia. Il grosso problema, a detta di moltissimi osservatori, è l'incapacità di decidere di Barack Obama o, meglio, la percezione che non decida. È una persona intelligentissima, ha una cultura notevole; è un analista fino della realtà mondiale, ma non sembra decidere e prendere azioni. Molti sondaggi dicono che gli americani pensano che sulla crisi dell'ebola il presidente sia intervenuto in ritardo lasciando che le prime decisioni prudenziali – scoordinate e illogiche – fossero prese dai governatori. Nella stessa maniera, sulla Siria ha fatto grandi minaccie contro Assad, ma non è intervenuto; ha forse ottenuto senza spargimento di sangue la consegna delle armi chimiche, ma la percezione è stata di un non intervento. Contro l'Isis non ha voluto impegnare l'esercito – seguendo i sondaggi – ma oggi gli viene rimproverato di non aver deciso gran ché. So che alcuni non saranno d'accordo, ma il Financial Times scrive che anche nei confronti di Putin sulla crisi ucraina Barack Obama è apparso esistante. In molto casi non è che Barack Obama non abbia ottenuto risultati, ma ha non ha dato l'impressione di aver fatto scelte chiare. In tutti i paesi si ha bisogno - anche troppo - di leader che sappiano decidere e, soprattutto, che siano visti come capaci di farlo casomai si presentasse una situazione che lo richieda. Queste considerazioni mi fanno capire meglio il consenso di cui gode Matteo Renzi, anche se la sua maniera di parlare a volte mi irrita profondamento.

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Risposto da Fabio Colasanti su 5 Novembre 2014 a 15:09 Salvatore, intanto il risultato è che per i prossimi due anni non potrà far nulla. La tua domanda riporta al problema di sempre: dire la cosa giusta - ossia il 100 per cento del proprio programma - e perdere le elezioni o annunciare il 60 per cento del proprio programma, vincere le elezioni e realizzare quel sessanta per cento? Ho già ricordato che molti hanno visto il film "Lincoln" come un invito a Barack Obama ad scendere a qualche compromesso - come aveva fatto Lincoln - per ottenere qualcosa. Salvatore Venuleo ha detto: D'accordo, Fabio. Ma chi sa che Barack ha fatto bene a decidere con prudenza piuttosto che precipitare il suo Paese in crisi peggiori, dovrebbe dirlo. Lo stesso vale per noi in Italia. Meglio essere incompresi che procurare disastri. E' una scelta etica. Meglio formulare pensieri divergenti che accodarsi ai cori vincenti. Ognuno formuli il suo pensiero divergente, lo proponga e custodisca a futuro memoria. Io ad esempio insisto che siamo lontanissimi dall'obiettivo-limite di una democrazia reale, se chi vota pensa che gli immigrati in Italia siano il 30% della popolazione (anziché il 4%). Ne consegue l'obiettivo prioritario dell'istruzione. Con nuovi obiettivi, metodi e tempi. L'istruzione, non solo o non tanto la scuola. Perciò mi annoia il discutere di tagli o investimenti nella scuola, in assenza di una idea vera e nuova di cultura diffusa e di istruzione. P.S. Mio pensierino divergente. P.S2. Ammesso (e non concesso) che Obama abbia fatto meno o peggio dei suoi predeccesori, resta il fatto simbolico del primo Presidente nero. Che gli americani lo sappiano o no, ciò cambierà gli Usa e il mondo più di una riformetta qualsiasi. Fabio Colasanti ha detto: Sono molto rattristato dalla parabola politica di Barack Obama che si è espressa attraverso il risultato delle elezioni di ieri. Si è arrivati al punto che alcuni candidati democratici gli hanno chiesto di non andare a sostenerli nella campagna elettorale perché il suo intervento avrebbe fatto più male che bene (Michelle era invece la benvenuta). Non si venga a dire che il risultato è dovuto all'influenza dei soldi nella campagna elettorale o ai tanti altri difetti del sistema elettorale statunitense (soprattutto quello del disegno delle circoscrizioni elettorali). Questi sono enormi, ma erano presenti nella stessa misura anche nel 2008, nel 2010 e nel 2012. Non dimentichiamo poi che nel 2008 Barack Obama aveva raccolto molti più fondi del candidato repubblicano. E l'economia americana ha anche ricominciato a crescere in maniera sostenuta, anche se è troppo presto perché questo si traduca in un clima di euforia. Il grosso problema, a detta di moltissimi osservatori, è l'incapacità di decidere di Barack Obama o, meglio, la percezione che non decida. È una persona intelligentissima, ha una cultura notevole; è un analista fino della realtà mondiale, ma non sembra decidere e prendere azioni. Molti sondaggi dicono che gli americani pensano che sulla crisi dell'ebola il presidente sia intervenuto in ritardo lasciando che le prime decisioni prudenziali – scoordinate e illogiche – fossero prese dai governatori. Nella stessa maniera, sulla Siria ha fatto grandi minaccie contro Assad, ma non è intervenuto; ha forse ottenuto senza spargimento di sangue la consegna delle armi chimiche, ma la percezione è stata di un non intervento. Contro l'Isis non ha voluto impegnare l'esercito – seguendo i sondaggi – ma oggi gli viene rimproverato di non aver deciso gran ché. So che alcuni non saranno d'accordo, ma il Financial Times scrive che anche nei confronti di Putin sulla crisi ucraina Barack Obama è apparso esistante. In molto casi non è che Barack Obama non abbia ottenuto risultati, ma ha non ha dato l'impressione di aver fatto scelte chiare. In tutti i paesi si ha bisogno - anche troppo - di leader che sappiano decidere e, soprattutto, che siano visti come capaci di farlo casomai si presentasse una situazione che lo richieda. Queste considerazioni mi fanno capire meglio il consenso di cui gode Matteo Renzi, anche se la sua maniera di parlare a volte mi irrita profondamento.

Risposto da Roberto Zanre' su 5 Novembre 2014 a 15:33 Sono d'accordissimo con questo discorso.

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Non fare danni e' il primo comandamento di un governante serio. Decidere per decidere, decidendo male... no grazie. Ne faccio a meno. La realtà è che viviamo in un mondo schizofrenico. Data l'azione A, gli esseri umani (soprattutto quelli che hanno studiato un po' ) trovano che l'azione non A, o quella B, eccetera, sarebbe stata migliore. Una volta credevo anch'io nel decisionismo e nella mia vita devo dire che sono un "decisionista". Ma col tempo ho capito che non si deve confondere il "non decidere" con la capacità di "vedere" i problemi nella loro complessità. Se questa visione "olistica" (e rara) è presente e porta a "dialogare" e a "cercare" i dettagli, il confronto, la riflessione, eccetera, allora è una cosa preziosa e meritevole. Nessun uomo, tra l'altro, è in grado di fare scelte accurate e, soprattutto, di poterlo fare "per sempre". Potrà sperare di fare qualcosa di giusto, ma prima o poi commette grossi errori. Obama secondo me si inscrive tra queste rare persone. Viene criticato per la sua "mollezza" in politica estera. Non potremo mai avere prove certe e dimostrare che questa sua politica potrebbe avere risparmiato al mondo tragedie e guai molto gravi. Una cosa la possiamo dire, però. Abbiamo visto a cosa ha portato il decisionismo stupido dei suoi rozzi predecessori. Salvatore Venuleo ha detto: D'accordo, Fabio. Ma chi sa che Barack ha fatto bene a decidere con prudenza piuttosto che precipitare il suo Paese in crisi peggiori, dovrebbe dirlo. Lo stesso vale per noi in Italia. Meglio essere incompresi che procurare disastri. E' una scelta etica. Meglio formulare pensieri divergenti che accodarsi ai cori vincenti. Ognuno formuli il suo pensiero divergente, lo proponga e custodisca a futuro memoria. Io ad esempio insisto che siamo lontanissimi dall'obiettivo-limite di una democrazia reale, se chi vota pensa che gli immigrati in Italia siano il 30% della popolazione (anziché il 4%). Ne consegue l'obiettivo prioritario dell'istruzione. Con nuovi obiettivi, metodi e tempi. L'istruzione, non solo o non tanto la scuola. Perciò mi annoia il discutere di tagli o investimenti nella scuola, in assenza di una idea vera e nuova di cultura diffusa e di istruzione. P.S. Mio pensierino divergente. P.S2. Ammesso (e non concesso) che Obama abbia fatto meno o peggio dei suoi predeccesori, resta il fatto simbolico del primo Presidente nero. Che gli americani lo sappiano o no, ciò cambierà gli Usa e il mondo più di una riformetta qualsiasi. Fabio Colasanti ha detto: Sono molto rattristato dalla parabola politica di Barack Obama che si è espressa attraverso il risultato delle elezioni di ieri. Si è arrivati al punto che alcuni candidati democratici gli hanno chiesto di non andare a sostenerli nella campagna elettorale perché il suo intervento avrebbe fatto più male che bene (Michelle era invece la benvenuta). Non si venga a dire che il risultato è dovuto all'influenza dei soldi nella campagna elettorale o ai tanti altri difetti del sistema elettorale statunitense (soprattutto quello del disegno delle circoscrizioni elettorali). Questi sono enormi, ma erano presenti nella stessa misura anche nel 2008, nel 2010 e nel 2012. Non dimentichiamo poi che nel 2008 Barack Obama aveva raccolto molti più fondi del candidato repubblicano. E l'economia americana ha anche ricominciato a crescere in maniera sostenuta, anche se è troppo presto perché questo si traduca in un clima di euforia. Il grosso problema, a detta di moltissimi osservatori, è l'incapacità di decidere di Barack Obama o, meglio, la percezione che non decida. È una persona intelligentissima, ha una cultura notevole; è un analista fino della realtà mondiale, ma non sembra decidere e prendere azioni. Molti sondaggi dicono che gli americani pensano che sulla crisi dell'ebola il presidente sia intervenuto in ritardo lasciando che le prime decisioni prudenziali – scoordinate e illogiche – fossero prese dai governatori. Nella stessa maniera, sulla Siria ha fatto grandi minaccie contro Assad, ma non è intervenuto; ha forse ottenuto senza spargimento di sangue la consegna delle armi chimiche, ma la percezione è stata di un non intervento. Contro l'Isis non ha voluto impegnare l'esercito – seguendo i sondaggi – ma oggi gli viene rimproverato di non aver deciso gran ché. So che alcuni non saranno d'accordo, ma il Financial Times scrive che anche nei confronti di Putin sulla crisi ucraina Barack Obama è apparso esistante. In molto casi non è che Barack Obama non abbia ottenuto risultati, ma ha non ha dato l'impressione di aver fatto scelte chiare. In tutti i paesi si ha bisogno - anche troppo - di leader che sappiano decidere e, soprattutto, che siano visti come capaci di farlo casomai si presentasse una situazione che lo richieda. Queste considerazioni mi fanno capire meglio il consenso di cui gode Matteo Renzi, anche se la sua maniera di parlare a volte mi irrita profondamento.

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Risposto da giorgio varaldo su 5 Novembre 2014 a 16:30 roberto fai un gran bel discorso peccato che per gli USA i prossimi due anni con camera e senato repubblicani e presidente dem saranno di stallo. e mi pare che per un paese il non decidere sia un danno ben più grave del decidere solo in parte. e questo discorso sugli USA mette in risalto la diversa mentalità esistente nelle due sponde dell'atlantico, purtroppo il nostro limite è che pretendiamo di spiegare tutto cosa succede al mondo interpretandone i fatti secondo la nostra mentalità. e le conclusioni alle quali arriviamo sono ovviamente smentite dai fatti non sarebbe meglio un pochino di umiltà ed almeno ammettere che il nostro modo di pensare non è che sia poi tanto universale? Roberto Zanre' ha detto: Sono d'accordissimo con questo discorso. Non fare danni e' il primo comandamento di un governante serio. Decidere per decidere, decidendo male... no grazie. Ne faccio a meno. La realtà è che viviamo in un mondo schizofrenico. Data l'azione A, gli esseri umani (soprattutto quelli che hanno studiato un po' ) trovano che l'azione non A, o quella B, eccetera, sarebbe stata migliore. Una volta credevo anch'io nel decisionismo e nella mia vita devo dire che sono un "decisionista". Ma col tempo ho capito che non si deve confondere il "non decidere" con la capacità di "vedere" i problemi nella loro complessità. Se questa visione "olistica" (e rara) è presente e porta a "dialogare" e a "cercare" i dettagli, il confronto, la riflessione, eccetera, allora è una cosa preziosa e meritevole. Nessun uomo, tra l'altro, è in grado di fare scelte accurate e, soprattutto, di poterlo fare "per sempre". Potrà sperare di fare qualcosa di giusto, ma prima o poi commette grossi errori. Obama secondo me si inscrive tra queste rare persone. Viene criticato per la sua "mollezza" in politica estera. Non potremo mai avere prove certe e dimostrare che questa sua politica potrebbe avere risparmiato al mondo tragedie e guai molto gravi. Una cosa la possiamo dire, però. Abbiamo visto a cosa ha portato il decisionismo stupido dei suoi rozzi predecessori. Salvatore Venuleo ha detto: D'accordo, Fabio. Ma chi sa che Barack ha fatto bene a decidere con prudenza piuttosto che precipitare il suo Paese in crisi peggiori, dovrebbe dirlo. Lo stesso vale per noi in Italia. Meglio essere incompresi che procurare disastri. E' una scelta etica. Meglio formulare pensieri divergenti che accodarsi ai cori vincenti. Ognuno formuli il suo pensiero divergente, lo proponga e custodisca a futuro memoria. Io ad esempio insisto che siamo lontanissimi dall'obiettivo-limite di una democrazia reale, se chi vota pensa che gli immigrati in Italia siano il 30% della popolazione (anziché il 4%). Ne consegue l'obiettivo prioritario dell'istruzione. Con nuovi obiettivi, metodi e tempi. L'istruzione, non solo o non tanto la scuola. Perciò mi annoia il discutere di tagli o investimenti nella scuola, in assenza di una idea vera e nuova di cultura diffusa e di istruzione. P.S. Mio pensierino divergente. P.S2. Ammesso (e non concesso) che Obama abbia fatto meno o peggio dei suoi predeccesori, resta il fatto simbolico del primo Presidente nero. Che gli americani lo sappiano o no, ciò cambierà gli Usa e il mondo più di una riformetta qualsiasi. Fabio Colasanti ha detto: Sono molto rattristato dalla parabola politica di Barack Obama che si è espressa attraverso il risultato delle elezioni di ieri. Si è arrivati al punto che alcuni candidati democratici gli hanno chiesto di non andare a sostenerli nella campagna elettorale perché il suo intervento avrebbe fatto più male che bene (Michelle era invece la benvenuta). Non si venga a dire che il risultato è dovuto all'influenza dei soldi nella campagna elettorale o ai tanti altri difetti del sistema elettorale statunitense (soprattutto quello del disegno delle circoscrizioni elettorali). Questi sono enormi, ma erano presenti nella stessa misura anche nel 2008, nel 2010 e nel 2012. Non dimentichiamo poi che nel 2008 Barack Obama aveva raccolto molti più fondi del candidato repubblicano. E l'economia americana ha anche ricominciato a crescere in maniera sostenuta, anche se è troppo presto perché questo si traduca in un clima di euforia.

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Il grosso problema, a detta di moltissimi osservatori, è l'incapacità di decidere di Barack Obama o, meglio, la percezione che non decida. È una persona intelligentissima, ha una cultura notevole; è un analista fino della realtà mondiale, ma non sembra decidere e prendere azioni. Molti sondaggi dicono che gli americani pensano che sulla crisi dell'ebola il presidente sia intervenuto in ritardo lasciando che le prime decisioni prudenziali – scoordinate e illogiche – fossero prese dai governatori. Nella stessa maniera, sulla Siria ha fatto grandi minaccie contro Assad, ma non è intervenuto; ha forse ottenuto senza spargimento di sangue la consegna delle armi chimiche, ma la percezione è stata di un non intervento. Contro l'Isis non ha voluto impegnare l'esercito – seguendo i sondaggi – ma oggi gli viene rimproverato di non aver deciso gran ché. So che alcuni non saranno d'accordo, ma il Financial Times scrive che anche nei confronti di Putin sulla crisi ucraina Barack Obama è apparso esistante. In molto casi non è che Barack Obama non abbia ottenuto risultati, ma ha non ha dato l'impressione di aver fatto scelte chiare. In tutti i paesi si ha bisogno - anche troppo - di leader che sappiano decidere e, soprattutto, che siano visti come capaci di farlo casomai si presentasse una situazione che lo richieda. Queste considerazioni mi fanno capire meglio il consenso di cui gode Matteo Renzi, anche se la sua maniera di parlare a volte mi irrita profondamento.

Risposto da Arturo Hermann su 5 Novembre 2014 a 17:40 Obama è stato sconfitto, ma non è stata una debacle, penso che abbia ancora buoni margini. Per il resto, anche qui si ripropone la contraddizione centrale delle nostre "economie miste": l'aumento costante della spesa pubblica sul PIL. I conservatori hanno buon gioco a dire che bisogna ridurla ma, come osservato in numerose occasioni, la spesa pubblica, oltre a svolgere altre importanti funzioni, è fondamentale per lo sviluppo della domanda aggregata e quindi dei profitti delle imprese. Si può quindi realisticamente pensare di razionalizzarla - e ciò è essenziale, in particolare togliendola dal controllo delle lobby per indirizzarla verso obiettivi di sviluppo economico e sociale - ma senza grandi riduzioni. Vi sono inoltre importanti trasformazioni strutturali, che tendono a rendere sempre più difficile per la domanda aggregata eguagliare l'offerta di piena occupazione. Ovviamente il dibattito è acceso. è difficile dimostrare conclusivamente qualcosa quando vi sono molte variabili in gioco. Per me, l'unica strategia vincente per un partito progressista è evidenziare con chiarezza queste contraddizioni, senza inseguire politiche ultra-liberiste, evidenziando la necessità di costruire un sistema economico diverso, basato sui valori dell'iniziativa individuale, della solidarietà e del progresso. TABELLA 1 Spesa pubblica totale in percentuale del GDP

Paesi 2009 Australia 37.19 Austria 52.97 Belgium 54.11 Canada 44.37 Chile 24.62 Czech Republic 45.95 Denmark 58.42 Estonia 45.17 Finland 55.86 France 56.74 Germany 47.50 Greece 52.85 Hungary 50.54 Iceland 51.05 Ireland 48.17

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Israel 44.27 Italy 51.83 Japan 42.03 Korea 33.08 Luxembourg 42.19 Mexico 23.51 Netherlands 51.35 New Zealand 42.33 Norway 47.31 Poland 44.51 Portugal 49.85 Slovak Republic 41.54 Slovenia 49.16 Spain 45.80 Sweden 55.15 Switzerland 34.15 Turkey 39.44 United Kingdom 51.45 United States 42.18 Area Euro 50.84

Fonte: Ocse

Risposto da giovanni de sio cesari su 5 Novembre 2014 a 21:53 Fabio qualche commento. La legge sulle blasfemia è una legge, che ricalca una norma della Sharia, che punisce severamente tutti quelli che abbiano in qualche modo offeso il profeta Maometto o altri personaggi o principi o simboli della fede islamica a prescindere della fede che egli segua. Di per se non sembra una legge ingiustificata in quanto tutte le religioni vanno ovviamente rispettate e quindi magari si potrebbe chiedere la estensione delle nome anche alla altre religioni. Il problema, pero, è che la legge nella sua indeterminatezza in effetti si è rivelato un mezzo iniquo per perseguitare i non mussulmani, in modo particolare i cristiani del Pakistan. Infatti non solo ogni atteggiamento di critica all’Islam viene etichettato come blasfemia che sarebbe invece cosa del tutto diversa: ma soprattutto le accuse sono strumentali, false, mai veramente dimostrate. Le folle però sono aizzate da personaggi che vogliono far salire la tensione religiosa : si raccontano, si esagerano, si inventano anche del tutto, fatti mai avvenuti che avrebbero compiuti i cristiani tanto che le folle islamiche cominciano ad agitarsi ad abbandonarsi a violenze: i giudici sotto la minaccia della folla e di fronte alla concreta possibilità di essere indicati essi stessi come nemici della fede islamica condannano senza prove e con processi farse. Le condanne naturalmente avvalorano ancora di più le voci e la furia popolare in un crescendo di un circolo vizioso che è difficile spezzare Cosi si arriva a massacri indiscriminati che passano però quasi inosservati nell’opinione pubblica internazionale purtroppo. La legge sulla blasfemia fu introdotta nell’ordinamento pakistano dal generale Zia-ul-Haq negli anni ’80. Per compiacere gli ambienti più intransigenti e varie volte si è ventilata la possibilità della sua abrogazione. I vari governi succedutosi da allora mostrano di essere contrari, ma non osano cancellare la norma in un paese già in guerra civile con i talebani nel timore di rafforzarli. Il Pakistan è un campo di battaglia fra estremisti e moderati nel quale spesso la violenza finisce sulle minoranze religiose cristiane e non cristiane : in particolare ricordo con dolore l’assassinio del ministro per le minoranza Shahbaz Bhatti (ricordato nell’articolo) che io ho avuto il piacere e l’onore di incontrare varie volte personalmente.

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Diciamo che questi fatti terribili, sono a mio parere, contro quei principi che sono sentiti veramente come universali (a differenza dei diritti umani come parita dei sessi, liberta e democrazia) : infatti sono condannati anche dal mondo islamico stesso nel suo insieme. Fabio Colasanti ha detto: Quanti danni fanno l'ignoranza e le religioni ! http://www.corriere.it/esteri/14_novembre_04/pakistan-coppia-cristi...

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Novembre 2014 a 22:52 Giovanni, grazie. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio qualche commento. La legge sulle blasfemia è una legge, che ricalca una norma della Sharia, che punisce severamente tutti quelli che abbiano in qualche modo offeso il profeta Maometto o altri personaggi o principi o simboli della fede islamica a prescindere della fede che egli segua. Di per se non sembra una legge ingiustificata in quanto tutte le religioni vanno ovviamente rispettate e quindi magari si potrebbe chiedere la estensione delle nome anche alla altre religioni. ( ... )

Risposto da Roberto Zanre' su 6 Novembre 2014 a 3:27 Giorgio. Rileggiti. Che cosa stai dicendo? Non si capisce. Comunque, interpretando il tuo discorso (e forse sbaglio), guarda che la situazione venutasi a creare è "nell'altra sponda dell'oceano". Direi che i "pragmatici" americani si sono messi in questa situazione da soli (come altre volte nel passato). Non ci trovo nulla da imputare alla mentalità "teorica". Questo e' perfettamente un risultato del "pragmatismo pasticcione". E se i repubblicani bloccheranno (come faranno) del tutto le cose, la responsabilità dello stallo sarà di tutti i politici americani. Non vedo che ci sia da prendersela con la mentalità europea. giorgio varaldo ha detto: roberto fai un gran bel discorso peccato che per gli USA i prossimi due anni con camera e senato repubblicani e presidente dem saranno di stallo. e mi pare che per un paese il non decidere sia un danno ben più grave del decidere solo in parte. e questo discorso sugli USA mette in risalto la diversa mentalità esistente nelle due sponde dell'atlantico, purtroppo il nostro limite è che pretendiamo di spiegare tutto cosa succede al mondo interpretandone i fatti secondo la nostra mentalità. e le conclusioni alle quali arriviamo sono ovviamente smentite dai fatti non sarebbe meglio un pochino di umiltà ed almeno ammettere che il nostro modo di pensare non è che sia poi tanto universale? Roberto Zanre' ha detto: Sono d'accordissimo con questo discorso. Non fare danni e' il primo comandamento di un governante serio. Decidere per decidere, decidendo male... no grazie. Ne faccio a meno. La realtà è che viviamo in un mondo schizofrenico. Data l'azione A, gli esseri umani (soprattutto quelli che hanno studiato un po' ) trovano che l'azione non A, o quella B, eccetera, sarebbe stata migliore. Una volta credevo anch'io nel decisionismo e nella mia vita devo dire che sono un "decisionista". Ma col tempo ho capito che non si deve confondere il "non decidere" con la capacità di "vedere" i problemi nella loro complessità. Se questa visione "olistica" (e rara) è presente e porta a "dialogare" e a "cercare" i dettagli, il confronto, la riflessione,

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eccetera, allora è una cosa preziosa e meritevole. Nessun uomo, tra l'altro, è in grado di fare scelte accurate e, soprattutto, di poterlo fare "per sempre". Potrà sperare di fare qualcosa di giusto, ma prima o poi commette grossi errori. Obama secondo me si inscrive tra queste rare persone. Viene criticato per la sua "mollezza" in politica estera. Non potremo mai avere prove certe e dimostrare che questa sua politica potrebbe avere risparmiato al mondo tragedie e guai molto gravi. Una cosa la possiamo dire, però. Abbiamo visto a cosa ha portato il decisionismo stupido dei suoi rozzi predecessori. Salvatore Venuleo ha detto: D'accordo, Fabio. Ma chi sa che Barack ha fatto bene a decidere con prudenza piuttosto che precipitare il suo Paese in crisi peggiori, dovrebbe dirlo. Lo stesso vale per noi in Italia. Meglio essere incompresi che procurare disastri. E' una scelta etica. Meglio formulare pensieri divergenti che accodarsi ai cori vincenti. Ognuno formuli il suo pensiero divergente, lo proponga e custodisca a futuro memoria. Io ad esempio insisto che siamo lontanissimi dall'obiettivo-limite di una democrazia reale, se chi vota pensa che gli immigrati in Italia siano il 30% della popolazione (anziché il 4%). Ne consegue l'obiettivo prioritario dell'istruzione. Con nuovi obiettivi, metodi e tempi. L'istruzione, non solo o non tanto la scuola. Perciò mi annoia il discutere di tagli o investimenti nella scuola, in assenza di una idea vera e nuova di cultura diffusa e di istruzione. P.S. Mio pensierino divergente. P.S2. Ammesso (e non concesso) che Obama abbia fatto meno o peggio dei suoi predeccesori, resta il fatto simbolico del primo Presidente nero. Che gli americani lo sappiano o no, ciò cambierà gli Usa e il mondo più di una riformetta qualsiasi. Fabio Colasanti ha detto: Sono molto rattristato dalla parabola politica di Barack Obama che si è espressa attraverso il risultato delle elezioni di ieri. Si è arrivati al punto che alcuni candidati democratici gli hanno chiesto di non andare a sostenerli nella campagna elettorale perché il suo intervento avrebbe fatto più male che bene (Michelle era invece la benvenuta). Non si venga a dire che il risultato è dovuto all'influenza dei soldi nella campagna elettorale o ai tanti altri difetti del sistema elettorale statunitense (soprattutto quello del disegno delle circoscrizioni elettorali). Questi sono enormi, ma erano presenti nella stessa misura anche nel 2008, nel 2010 e nel 2012. Non dimentichiamo poi che nel 2008 Barack Obama aveva raccolto molti più fondi del candidato repubblicano. E l'economia americana ha anche ricominciato a crescere in maniera sostenuta, anche se è troppo presto perché questo si traduca in un clima di euforia. Il grosso problema, a detta di moltissimi osservatori, è l'incapacità di decidere di Barack Obama o, meglio, la percezione che non decida. È una persona intelligentissima, ha una cultura notevole; è un analista fino della realtà mondiale, ma non sembra decidere e prendere azioni. Molti sondaggi dicono che gli americani pensano che sulla crisi dell'ebola il presidente sia intervenuto in ritardo lasciando che le prime decisioni prudenziali – scoordinate e illogiche – fossero prese dai governatori. Nella stessa maniera, sulla Siria ha fatto grandi minaccie contro Assad, ma non è intervenuto; ha forse ottenuto senza spargimento di sangue la consegna delle armi chimiche, ma la percezione è stata di un non intervento. Contro l'Isis non ha voluto impegnare l'esercito – seguendo i sondaggi – ma oggi gli viene rimproverato di non aver deciso gran ché. So che alcuni non saranno d'accordo, ma il Financial Times scrive che anche nei confronti di Putin sulla crisi ucraina Barack Obama è apparso esistante. In molto casi non è che Barack Obama non abbia ottenuto risultati, ma ha non ha dato l'impressione di aver fatto scelte chiare. In tutti i paesi si ha bisogno - anche troppo - di leader che sappiano decidere e, soprattutto, che siano visti come capaci di farlo casomai si presentasse una situazione che lo richieda. Queste considerazioni mi fanno capire meglio il consenso di cui gode Matteo Renzi, anche se la sua maniera di parlare a volte mi irrita profondamento.

Risposto da Roberto Zanre' su 6 Novembre 2014 a 3:29 Arturo, trovo i tuoi ragionamenti molto "pragmatici".

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Arturo Hermann ha detto: Obama è stato sconfitto, ma non è stata una debacle, penso che abbia ancora buoni margini. Per il resto, anche qui si ripropone la contraddizione centrale delle nostre "economie miste": l'aumento costante della spesa pubblica sul PIL. I conservatori hanno buon gioco a dire che bisogna ridurla ma, come osservato in numerose occasioni, la spesa pubblica, oltre a svolgere altre importanti funzioni, è fondamentale per lo sviluppo della domanda aggregata e quindi dei profitti delle imprese. Si può quindi realisticamente pensare di razionalizzarla - e ciò è essenziale, in particolare togliendola dal controllo delle lobby per indirizzarla verso obiettivi di sviluppo economico e sociale - ma senza grandi riduzioni. Vi sono inoltre importanti trasformazioni strutturali, che tendono a rendere sempre più difficile per la domanda aggregata eguagliare l'offerta di piena occupazione. Ovviamente il dibattito è acceso. è difficile dimostrare conclusivamente qualcosa quando vi sono molte variabili in gioco. Per me, l'unica strategia vincente per un partito progressista è evidenziare con chiarezza queste contraddizioni, senza inseguire politiche ultra-liberiste, evidenziando la necessità di costruire un sistema economico diverso, basato sui valori dell'iniziativa individuale, della solidarietà e del progresso. TABELLA 1 Spesa pubblica totale in percentuale del GDP

Paesi 2009 Australia 37.19 Austria 52.97 Belgium 54.11 Canada 44.37 Chile 24.62 Czech Republic 45.95 Denmark 58.42 Estonia 45.17 Finland 55.86 France 56.74 Germany 47.50 Greece 52.85 Hungary 50.54 Iceland 51.05 Ireland 48.17 Israel 44.27 Italy 51.83 Japan 42.03 Korea 33.08 Luxembourg 42.19 Mexico 23.51 Netherlands 51.35 New Zealand 42.33 Norway 47.31 Poland 44.51 Portugal 49.85 Slovak Republic 41.54 Slovenia 49.16 Spain 45.80 Sweden 55.15 Switzerland 34.15 Turkey 39.44 United Kingdom 51.45

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United States 42.18 Area Euro 50.84

Fonte: Ocse

Risposto da Roberto Zanre' su 6 Novembre 2014 a 3:30 Su Obama ed elezioni di midterm: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/05/midterm-usa-sud-elegge-s... A parte le chiacchiere strumentalizzatrici, direi che un'utile riflessione potrebbe essere questa (la classe media viene impoverita... ): http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/05/midterm-leconomia-vola-c...

Risposto da giorgio varaldo su 6 Novembre 2014 a 7:45 in italia ogni provvedimento che riduce la assistenza sanitaria pubblica non sarebbe gradito dall'opinione pubblica in USA il provvedimento che aumenta la assistenza sanitaria pubblica non è gradito all'opinione pubblica siamo quindi in presenza di mentalità diverse pertanto chi in italia volesse interpretare i fatti USA secondo la mentalità italiana non comprenderebbe nulla e viceversa quindi se vogliamo capire cosa succede al di la dell'atlantico dovremmo calarci in quella mentalità. non mi pare di aver citato la mentalità europea in termini di causa dello stallo politico USA bensì solo in termini di comprensione della situazione Roberto Zanre' ha detto: Giorgio. Rileggiti. Che cosa stai dicendo? Non si capisce. Comunque, interpretando il tuo discorso (e forse sbaglio), guarda che la situazione venutasi a creare è "nell'altra sponda dell'oceano". Direi che i "pragmatici" americani si sono messi in questa situazione da soli (come altre volte nel passato). Non ci trovo nulla da imputare alla mentalità "teorica". Questo e' perfettamente un risultato del "pragmatismo pasticcione". E se i repubblicani bloccheranno (come faranno) del tutto le cose, la responsabilità dello stallo sarà di tutti i politici americani. Non vedo che ci sia da prendersela con la mentalità europea. giorgio varaldo ha detto: roberto fai un gran bel discorso peccato che per gli USA i prossimi due anni con camera e senato repubblicani e presidente dem saranno di stallo. e mi pare che per un paese il non decidere sia un danno ben più grave del decidere solo in parte. e questo discorso sugli USA mette in risalto la diversa mentalità esistente nelle due sponde dell'atlantico, purtroppo il nostro limite è che pretendiamo di spiegare tutto cosa succede al mondo interpretandone i fatti secondo la nostra mentalità. e le conclusioni alle quali arriviamo sono ovviamente smentite dai fatti non sarebbe meglio un pochino di umiltà ed almeno ammettere che il nostro modo di pensare non è che sia poi tanto universale?

Risposto da Roberto Zanre' su 6 Novembre 2014 a 8:42

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Economia e politica nel mondo III - 2014

Ok, accolgo l'osservazione. Ma allora questa plausibile osservazione vale per molti dei nostri commenti. Come dici tu, vale anche per molte osservazioni "americane" sull'Italia e sull'Europa. Dunque d'ora in poi prenderemo le "loro" osservazioni nei nostri confronti per quel che sono :-) Ho postato alcuni articoli sui risultati di midterm. Come a me pare plausibile - al di là di facili, frettolose e al solito strumentali osservazioni sui perché della "sconfitta" di Obama - che aver disatteso le aspettative della classe media (anzi, avendola impoverita) rappresenti la principale causa della disaffezione dell'elettorato nei confronti di Obama. A parte le differenze di approccio all'agenda sociale e politica, mi pare che potremo aspettarci una cosa simile anche in Italia. È proprio quello che sostengo da qualche mese a questa parte: non so più se Renzi potrà trasformare il suo consenso in voti alle prossime elezioni politiche (naturalmente mi auguro di sbagliarmi. Spero tutti si rendano conto quale sarebbe l'alternativa). Soprattutto se saranno tra oltre un anno e se i vari jobs act, Salva Italia, eccetera non avranno avuto i loro effetti sociali. P.S. Sto cercando qualcuno che sabato sera faccia un po' tardi (almeno mezzanotte). Tu sei dei nostri? giorgio varaldo ha detto: in italia ogni provvedimento che riduce la assistenza sanitaria pubblica non sarebbe gradito dall'opinione pubblica in USA il provvedimento che aumenta la assistenza sanitaria pubblica non è gradito all'opinione pubblica siamo quindi in presenza di mentalità diverse pertanto chi in italia volesse interpretare i fatti USA secondo la mentalità italiana non comprenderebbe nulla e viceversa quindi se vogliamo capire cosa succede al di la dell'atlantico dovremmo calarci in quella mentalità. non mi pare di aver citato la mentalità europea in termini di causa dello stallo politico USA bensì solo in termini di comprensione della situazione Roberto Zanre' ha detto: Giorgio. Rileggiti. Che cosa stai dicendo? Non si capisce. Comunque, interpretando il tuo discorso (e forse sbaglio), guarda che la situazione venutasi a creare è "nell'altra sponda dell'oceano". Direi che i "pragmatici" americani si sono messi in questa situazione da soli (come altre volte nel passato). Non ci trovo nulla da imputare alla mentalità "teorica". Questo e' perfettamente un risultato del "pragmatismo pasticcione". E se i repubblicani bloccheranno (come faranno) del tutto le cose, la responsabilità dello stallo sarà di tutti i politici americani. Non vedo che ci sia da prendersela con la mentalità europea.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 6 Novembre 2014 a 13:13 Per tener desta l'attenzione, non dimenticare, soprattutto sono problemi più per gli europei che non per gli USA: http://www.gadlerner.it/2014/11/05/rapporto-dal-kurdistan-il-paese-...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 Novembre 2014 a 17:41 Discutibile o meno si tratta comunque di una strategia a medio-lungo termine, che manca assolutamente, p.e., all'Europa, divisa tra baruffe, rivalità, furbizie e particolarismi, come l'Italia nel '500; e sappiamo come allora è andata a finire. laura sgaravatto ha detto: La Cina punta al dominio dell'Asia con la Nuova Via della Seta

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In una valle fiancheggiata da cime innevate sul confine cinese con il Kazakistan, l’ambizione di Beijing di ridisegnare la mappa geopolitica dell’Asia sta prendendo forma. Questo remoto avamposto, un tempo importante crocevia per i mercanti della Via della Seta, è il luogo in cui la Cina sta costruendo una delle sue più nuove città. Coprendo ora più del doppio dell’area di New York City, Horgos aveva appena 85.000 abitanti quando è stata fondata a settembre, riunendo diverse cittadine e villaggi in una zona celebre per i campi di lavanda. Il progetto cinese di trasformare il dormiente valico di frontiera in un hub ferroviario, energetico e logistico internazionale per la “Cintura Economica della Via della Seta” è stato inaugurato dal presidente Xi Jinping l’anno scorso al fine di istituire nuove infrastrutture commerciali e di trasporto tra la Cina, l’Asia centrale e l’Europa. Per i diplomatici e gli analisti che hanno studiato i progetti pubblicati, Horgos è un piccolo tassello di un più ampio sforzo da parte della Cina finalizzato a legare le regioni circostanti in maniera più stretta attraverso pipeline, strade, ferrovie e porti. Come ha scritto il Wall Street Journal, i piani includono un accordo di libero scambio nell’Asia-Pacifico, una Banca Asiatica per gli investimenti per le Infrastrutture da 50 miliardi di dollari e un Fondo della Via della Seta da 40 miliardi di dollari che Xi ha annunciato la scorsa settimana, promettendo aiuti in aggiunta a investimenti erogati da società cinesi private e statali. Domenica, in un discorso ai direttori commerciali, ha riferito che il piano della Cina promuoverà la crescita e migliorerà le infrastrutture nella regione per sostenere la realizzazione di un “sogno dell’Asia-Pacifico”, richiamando il suo slogan politico interno “Sogno Cinese” finalizzato al ringiovanimento della nazione. “Con la crescita della forza complessiva della nazione”, ha aggiunto, “la Cina ha la capacità e la volontà di fornire più beni pubblici al Sud Est asiatico e al mondo intero”. L’iniziativa contrasta in parte con le recenti decisioni militari della Cina, che si è resa ostile a molti vicini e ha indotto gli Usa a lanciare la strategia della “svolta asiatica,” con la concentrazione di maggiori risorse militari nella regione. Attualmente Beijing sta provando a convincere i paesi dell’Asia, e non solo, che è nei loro interessi accettare la Cina come potenza leader del Continente. La road map cinese per la riconfigurazione dell’ordine asiatico, incentrato su Beijing e basato su nuove infrastrutture, costituisce lo sfondo del summit dei leader, incluso il presidente Usa Barack Obama, previsto presso un complesso sulla riva del lago artificiale fuori Beijing. Il summit annuale della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (Apec), tenuto a Beijing per la prima volta, si concentrerà come sempre sugli scambi commerciali e sugli investimenti tra i 21 membri e sarà improntato a promuovere per la prima volta un “piano per la connettività regionale” nei prossimi dieci anni. Ma quest’anno il summit dell’Apec riguarda anche il simbolo del presidente Xi Jinping, in quanto ospite dei leader regionali in un momento in cui Beijing sta cercando di rivendicare un ruolo di egemonia economica e militare in Asia. Inoltre, sabato Xi ha incontrato i leader del Pakistan, del Myanmar e di cinque altre nazioni non-Apec per discutere delle infrastrutture. Alcuni studiosi cinesi ed esteri, incluso Zhai Kun, un professore di relazioni internazionali della Peking University, paragonano lo sforzo della Cina al piano Marshall che ha aiutato a ricostruire l’Europa dopo il 1945. Altri lo paragonano al sistema tributario attraverso il quale la Cina ha dominato l’Asia orientale per gran parte degli ultimi due millenni. Ma i rappresentati del governo cinese non si sono resi disponibili ad approfondire su questa storia. Settimana scorsa Xi ha specificato che la nuova banca per le infrastrutture e il Fondo della Via della Seta “integreranno, e non sostituiranno” gli istituti di credito esistenti.

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Tuttavia, il progetto ha stimolato il dibattito tra i governi occidentali e quelli asiatici, con alcuni che accoglievano positivamente la conduzione cinese verso lo sviluppo e altri diffidenti. Alcuni funzionari occidentali temono che un flusso di denaro per lo sviluppo cinese possa minare gli standard di governance degli istituti di credito esistenti come la Banca Mondiale, specialmente se i canali cinesi sovvenzionano le proprie compagnie o progetti per motivazioni politiche o che danneggiano l’ambiente. Stando alle indiscrezioni, in vista del summit dell’Apec, gli Usa hanno bloccato gli sforzi della Cina per l’inizio delle negoziazioni su un accordo di libero scambio regionale, la Free-Trade Area dell’Asia-Pacifico, perché entrava in conflitto con l’alternativa sostenuta da Washington nota come Trans-Pacific Partnership che include la Cina. Beijing ha continuato a promuovere l’accordo che preferiva negli incontri presummit, ma ha ottenuto solo l’appoggio per un obiettivo di lungo termine. Inoltre, gli Usa hanno fatto pressioni contro il fatto che grandi economie si unissero alla Banca Asiatica di Investimenti per le Infrastrutture, istituita in ottobre dalla Cina e da altri 20 stati come alternativa alla Banca Mondiale, su cui gli Usa esercitano una certa influenza, e la Banca Asiatica di Sviluppo, controllata dal Giappone. Sabato, in una conferenza stampa a Beijing, il segretario di stato John Kerry ha chiarito che gli Usa, in quanto Paese del Pacifico, tengono molto seriamente ai loro interessi regionali. Inoltre ha sollecitato gli Stati della regione a istituire leggi e norme attraverso le istituzioni multilaterali “in cui tutte le voci possono essere ascoltate”. Un rappresentante del Dipartimento di Stato ha riferito che gli Usa vedono i progetti della Cina per la Via della Seta come “complementari agli sforzi Usa finalizzati a promuovere la connettività economica” ma ritengono essenziale che qualsiasi nuovo organo internazionale di finanziamento confermi gli standard degli organi esistenti sulla governance, sulla tutela ambientale e sociale, sulla sostenibilità dell’approvvigionamento e del debito. La Cina ha a lungo cercato di estendere la propria influenza in Asia attraverso gli aiuti e gli investimenti, e di guadagnarsi l’accesso alle risorse energetiche dell’Asia centrale. Alcuni sforzi ora in corso sono versioni rilanciate di progetti preesistenti. Ma la spinta si è estesa e ha assunto una maggiore urgenza sotto Xi, che ha articolato un ruolo più esteso per la Cina nel mondo rispetto al suo predecessore. Nei discorsi dell’ultimo anno ha delineato una visione che combina progetti di infrastrutture in corso con nuovi ambiziosi progetti, che insieme potrebbero arrivare a decine di miliardi di dollari di spesa. Durante una visita in Asia centrale a settembre 2013 Xi ha proposto la Cintura Economica della Via della Seta, uno dei pilastri dell’iniziativa. Poi ha lavorato alla costruzione di un corridoio di trasporto che colleghi l’Oceano Pacifico al Mar Baltico e che colleghi l’Asia orientale all’Asia meridionale e il Medio Oriente per servire un mercato combinato di circa tre miliardi di persone. In quel viaggio, ha supervisionato la firma di accordi dal valore di 30 miliardi di dollari in Kazakistan, inclusi i progetti sul petrolio e sul gas, e ha concordato di distribuire 3 miliardi di dollari in prestiti e infrastrutture al Kirghizistan. Durante un viaggio in Indonesia, il mese successivo, ha presentato un altro pilastro, un corridoio di scambio marittimo che ha chiamato la Via della Seta marittima del XXI secolo. Consiste nella crescita o nell’espansione dei porti e dei parchi industriali all’interno del Sud Est asiatico e in zone che comprendono lo Sri Lanka, il Kenya e la Grecia, insieme all’obiettivo di espandere il commercio bilaterale con il Sud Est asiatico a mille miliardi di dollari per il 2020, più del doppio del suo livello dello scorso anno. Nell’occasione, ha invocato lo spirito di Zheng He, un ammiraglio eunuco cinese che ha guidato una flotta di navi del tesoro in Africa nel XV secolo ed è il simbolo dell’era del potere marittimo cinese. A maggio, in un summit dei leader della regione a Shanghai, Xi è stato più esplicito sui suoi obiettivi in un discorso dedicato a un “nuovo concetto di sicurezza asiatica”. “Sta alla gente dell’Asia gestire gli affari dell’Asia, risolvere i problemi dell’Asia e tutelare la sicurezza dell’Asia”, ha affermato facendo appello ai Paesi asiatici per “far avanzare il processo di uno sviluppo comune e di un’integrazione regionale”. Sebbene Xi non abbia menzionato specificatamente gli Usa, molti analisti cinesi e occidentali concordano che il suo appello abbia mandato un a Washington, per cui dovrebbe accettare un ruolo minore nella regione che, stando alla Banca Asiatica di Sviluppo, necessita un investimento nelle infrastrutture di 8 mila miliardi di dollari per il 2020. “Sta riportando questi concetti che erano nell’aria da sempre”, ha commentato Chris Johnson, un ex analista della Cia specializzato sulla Cina, ora presso il Center for Strategic and International Studies, “traducendoli in realtà, finanziandoli e dicendo a tutti di essere serio al riguardo”. I piani di Xi sembrano riflettere una visione del mondo in cui la Cina sostiene sempre di più le potenze in via di sviluppo, piuttosto che lavorare a fianco degli Usa all’interno

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dell’ordine internazionale esistente dominato dall’Occidente. Xi è lontano dal chiarire se tutti i beneficiari designati della generosità cinese accetteranno l’offerta. I progetti cinesi passati hanno per esempio incontrato delle difficoltà in Myanmar, incluso il progetto di una diga da 3,6 miliardi di dollari che è stato sospeso nel 2011, mentre un collegamento ferroviario proposto al Pakistan è stato rimandato per le incertezze politiche. Ma alcuni singoli progetti sembrano prendere slancio e nuove fonti di finanziamento, come una banca per lo sviluppo che i cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) hanno istituito a luglio con sede a Shanghai. A Kuantan, in Malesia, una società statale cinese l’anno scorso ha iniziato a sviluppare congiuntamente un porto per container d’alto mare e un parco industriale e quest’anno ha concordato un investimento da 1 miliardo di dollari attraverso una sussidiaria per un impianto siderurgico nella zona, un progetto che entrambi i Paesi descrivono come parte di una nuova Via della Seta marittima. In un viaggio nell’Asia meridionale a settembre il presidente Xi ha inaugurato la costruzione di una città portuale finanziata dai cinesi per 1,4 miliardi di dollari a Colombo, la capitale dello Sri Lanka. Quel mese ha sovrinteso l’avvio della costruzione di una nuova sezione di un gasdotto, sempre a finanziamento cinese, che passa attraverso il Tajikistan e il Kirghizistan. Le iniziative della Cina non implicano una tregua negli sforzi relativi alle rivendicazioni territoriali. Ma la Cina sta lavorando molto al fine di presentarsi come un alleato dello sviluppo in un momento in cui alcuni Paesi dell’Asia stanno valutando i mezzi provenienti da Washington per coprire i progetti infrastrutturali e di sicurezza militare. Nel 2011 il Segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha proposto una “Iniziativa per la Nuova Via della Seta” progettata per migliorare i servizi di collegamento dell’Afghanistan con l’Asia centrale e meridionale, ma i funzionari Usa sostengono che l’avanzamento sarà lento. Per contro, la Cina ha le risorse e la volontà politica di confermare i suoi piani, sostengono gli esperti cinesi. “Per la Cina è una questione di primaria importanza, tutti i dipartimenti governativi sono concentrati su questo”, afferma Zhai della Peking University. “Inoltre, il presidente Xi ha dieci anni per promuoverlo, mentre invece Clinton ne ha avuti solo due o tre”. La portata delle ambizioni della Cina è evidente a Horgos. Per anni il confine è stato chiuso a causa delle tensioni sino-sovietiche. Sebbene il confine sia stato riaperto nel 1983, il commercio era insignificante fino a poco tempo fa per le continue tensioni e gli scarsi servizi di collegamento. La situazione è cambiata nell’arco degli ultimi anni. Prima è arrivato un gasdotto dal Turkmenistan che entra in Cina a Horgos. Poi la Cina ha costruito un’autostrada sul confine. Nel 2012, una connessione ferroviaria transazionale è stata completata ed è stata istituita una zona di libero scambio sulla frontiera. La Cina ha promosso Horgos a città in settembre, dando al governo locale maggiori poteri per sviluppare il territorio. Le mappe ufficiali e le dichiarazioni riportano Horgos come il maggiore porto terreno della Cina sulla Cintura Economica della Via della Seta. Il potenziamento ha dilatato la superficie di Horgos di almeno 100 volte, sostiene Wu Hao, vicedirettore della zona di libero scambio di Horgos. Più di 20 miliardi di yuan (3,25 miliardi di dollari) sono stati investiti nella sezione cinese della zona commerciale, che comprende cinque mercati all’ingrosso in cui i commercianti kazaki comprano pneumatici, pellicce, elettronica e beni di consumo cinesi. Un hotel di lusso e un centro espositivo sono in costruzione e saranno pronti per il 2017, aggiunge Wu. Ci sono anche nuovi magazzini, complessi di villette e aree industriali, un valico di frontiera rapido per grossi autocarri e una nuova stazione della ferrovia. Il lato kazako della zona di libero scambio è rimasto indietro, con solo un piccolo ammasso di container e di tende che vendono il cioccolato russo e altri generi alimentari. I commercianti kazaki lamentano che Almaty, la città kazaka più vicina, è a cinque ore di una strada dissestata. I funzionari kazaki dichiarano che inizieranno a costruire centri commerciali e hotel e a finire l’adeguamento della strada verso Almaty l’anno prossimo. Questo è una degli ultimi segmenti di un’autostrada che collega il porto cinese sulla costa orientale di Lianyungang con San Pietroburgo, la cui apertura è prevista per il 2016. I treni stanno già trasportando le merci dalla Cina via Horgos attraverso il Kazakistan e la Russia fino a Buisburg, un porto tedesco. Ci mettono circa 15 giorni, rispetto ai circa 40 del trasporto in nave. Invece, a settembre una spedizione di automobili dall’Europa è entrata in Cina per la prima volta attraverso la ferrovia. La testimonianza di Zhang Jian è significativa. Ha iniziato a vendere verdura sulla strada a Yining, circa 60 miglia da Horgos, nel 1983. Oggi è proprietario di una società che lo scorso anno ha esportato 60 milioni di dollari di frutta e verdura in Asia centrale. Al momento pianifica di costruire per il prossimo anno un impianto per il confezionamento e la lavorazione al fine di esportare prodotti agricoli attraverso il Kazakistan alla Russia, dove la domanda è elevata a causa delle sanzioni imposte per la crisi in Ucraina. “Horgos era una piccola cittadina che non dava nell’occhio”,

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commenta mentre i dipendenti caricano uno dei suoi autocarri con l’aglio che deve essere spedito oltre il confine. “Ora si è trasformata in una città, la sua reputazione crescerà ancora di più”.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 Novembre 2014 a 19:21 Un sorriso a "denti stretti": http://www.youtube.com/watch?v=y6XFDd25cwE&index=4&list=PLE...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 Novembre 2014 a 19:24 La storia dell'umanità? http://www.youtube.com/watch?v=WfGMYdalClU

Risposto da Roberto Zanre' su 11 Novembre 2014 a 21:48 ... Giampaolo Carboniero ha detto: Per tener desta l'attenzione, non dimenticare, soprattutto sono problemi più per gli europei che non per gli USA: http://www.gadlerner.it/2014/11/05/rapporto-dal-kurdistan-il-paese-...

Risposto da Roberto Zanre' su 11 Novembre 2014 a 21:50 ... laura sgaravatto ha detto: La Cina punta al dominio dell'Asia con la Nuova Via della Seta

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In una valle fiancheggiata da cime innevate sul confine cinese con il Kazakistan, l’ambizione di Beijing di ridisegnare la mappa geopolitica dell’Asia sta prendendo forma. Questo remoto avamposto, un tempo importante crocevia per i mercanti della Via della Seta, è il luogo in cui la Cina sta costruendo una delle sue più nuove città. Coprendo ora più del doppio dell’area di New York City, Horgos aveva appena 85.000 abitanti quando è stata fondata a settembre, riunendo diverse cittadine e villaggi in una zona celebre per i campi di lavanda. Il progetto cinese di trasformare il dormiente valico di frontiera in un hub ferroviario, energetico e logistico internazionale per la “Cintura Economica della Via della Seta” è stato inaugurato dal presidente Xi Jinping l’anno scorso al fine di istituire nuove infrastrutture commerciali e di trasporto tra la Cina, l’Asia centrale e l’Europa. Per i diplomatici e gli analisti che hanno studiato i progetti pubblicati, Horgos è un piccolo tassello di un più ampio sforzo da parte della Cina finalizzato a legare le regioni circostanti in maniera più stretta attraverso pipeline, strade, ferrovie e porti. Come ha scritto il Wall Street Journal, i piani includono un accordo di libero scambio nell’Asia-Pacifico, una Banca Asiatica per gli investimenti per le Infrastrutture da 50 miliardi di dollari e un Fondo della Via della Seta da 40 miliardi di dollari che Xi ha annunciato la scorsa settimana, promettendo aiuti in aggiunta a investimenti erogati da società cinesi private e statali. Domenica, in un discorso ai direttori commerciali, ha riferito che il piano della Cina promuoverà la crescita e migliorerà le infrastrutture nella regione per sostenere la realizzazione di un “sogno dell’Asia-Pacifico”, richiamando il suo slogan politico interno “Sogno Cinese” finalizzato al ringiovanimento della nazione. “Con la crescita della forza complessiva della nazione”, ha aggiunto, “la Cina ha la capacità e la volontà di fornire più beni pubblici al Sud Est asiatico e al mondo intero”. L’iniziativa contrasta in parte con le recenti decisioni militari della Cina, che si è resa ostile a molti vicini e ha indotto gli Usa a lanciare la strategia della “svolta asiatica,” con la concentrazione di maggiori risorse militari nella regione. Attualmente Beijing sta provando a convincere i paesi dell’Asia, e non solo, che è nei loro interessi accettare la Cina come potenza leader del Continente. La road map cinese per la riconfigurazione dell’ordine asiatico, incentrato su Beijing e basato su nuove infrastrutture, costituisce lo sfondo del summit dei leader, incluso il presidente Usa Barack Obama, previsto presso un complesso sulla riva del lago artificiale fuori Beijing. Il summit annuale della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (Apec), tenuto a Beijing per la prima volta, si concentrerà come sempre sugli scambi commerciali e sugli investimenti tra i 21 membri e sarà improntato a promuovere per la prima volta un “piano per la connettività regionale” nei prossimi dieci anni. Ma quest’anno il summit dell’Apec riguarda anche il simbolo del presidente Xi Jinping, in quanto ospite dei leader regionali in un momento in cui Beijing sta cercando di rivendicare un ruolo di egemonia economica e militare in Asia. Inoltre, sabato Xi ha incontrato i leader del Pakistan, del Myanmar e di cinque altre nazioni non-Apec per discutere delle infrastrutture. Alcuni studiosi cinesi ed esteri, incluso Zhai Kun, un professore di relazioni internazionali della Peking University, paragonano lo sforzo della Cina al piano Marshall che ha aiutato a ricostruire l’Europa dopo il 1945. Altri lo paragonano al sistema tributario attraverso il quale la Cina ha dominato l’Asia orientale per gran parte degli ultimi due millenni. Ma i rappresentati del governo cinese non si sono resi disponibili ad approfondire su questa storia. Settimana scorsa Xi ha specificato che la nuova banca per le infrastrutture e il Fondo della Via della Seta “integreranno, e non sostituiranno” gli istituti di credito esistenti.

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Tuttavia, il progetto ha stimolato il dibattito tra i governi occidentali e quelli asiatici, con alcuni che accoglievano positivamente la conduzione cinese verso lo sviluppo e altri diffidenti. Alcuni funzionari occidentali temono che un flusso di denaro per lo sviluppo cinese possa minare gli standard di governance degli istituti di credito esistenti come la Banca Mondiale, specialmente se i canali cinesi sovvenzionano le proprie compagnie o progetti per motivazioni politiche o che danneggiano l’ambiente. Stando alle indiscrezioni, in vista del summit dell’Apec, gli Usa hanno bloccato gli sforzi della Cina per l’inizio delle negoziazioni su un accordo di libero scambio regionale, la Free-Trade Area dell’Asia-Pacifico, perché entrava in conflitto con l’alternativa sostenuta da Washington nota come Trans-Pacific Partnership che include la Cina. Beijing ha continuato a promuovere l’accordo che preferiva negli incontri presummit, ma ha ottenuto solo l’appoggio per un obiettivo di lungo termine. Inoltre, gli Usa hanno fatto pressioni contro il fatto che grandi economie si unissero alla Banca Asiatica di Investimenti per le Infrastrutture, istituita in ottobre dalla Cina e da altri 20 stati come alternativa alla Banca Mondiale, su cui gli Usa esercitano una certa influenza, e la Banca Asiatica di Sviluppo, controllata dal Giappone. Sabato, in una conferenza stampa a Beijing, il segretario di stato John Kerry ha chiarito che gli Usa, in quanto Paese del Pacifico, tengono molto seriamente ai loro interessi regionali. Inoltre ha sollecitato gli Stati della regione a istituire leggi e norme attraverso le istituzioni multilaterali “in cui tutte le voci possono essere ascoltate”. Un rappresentante del Dipartimento di Stato ha riferito che gli Usa vedono i progetti della Cina per la Via della Seta come “complementari agli sforzi Usa finalizzati a promuovere la connettività economica” ma ritengono essenziale che qualsiasi nuovo organo internazionale di finanziamento confermi gli standard degli organi esistenti sulla governance, sulla tutela ambientale e sociale, sulla sostenibilità dell’approvvigionamento e del debito. La Cina ha a lungo cercato di estendere la propria influenza in Asia attraverso gli aiuti e gli investimenti, e di guadagnarsi l’accesso alle risorse energetiche dell’Asia centrale. Alcuni sforzi ora in corso sono versioni rilanciate di progetti preesistenti. Ma la spinta si è estesa e ha assunto una maggiore urgenza sotto Xi, che ha articolato un ruolo più esteso per la Cina nel mondo rispetto al suo predecessore. Nei discorsi dell’ultimo anno ha delineato una visione che combina progetti di infrastrutture in corso con nuovi ambiziosi progetti, che insieme potrebbero arrivare a decine di miliardi di dollari di spesa. Durante una visita in Asia centrale a settembre 2013 Xi ha proposto la Cintura Economica della Via della Seta, uno dei pilastri dell’iniziativa. Poi ha lavorato alla costruzione di un corridoio di trasporto che colleghi l’Oceano Pacifico al Mar Baltico e che colleghi l’Asia orientale all’Asia meridionale e il Medio Oriente per servire un mercato combinato di circa tre miliardi di persone. In quel viaggio, ha supervisionato la firma di accordi dal valore di 30 miliardi di dollari in Kazakistan, inclusi i progetti sul petrolio e sul gas, e ha concordato di distribuire 3 miliardi di dollari in prestiti e infrastrutture al Kirghizistan. Durante un viaggio in Indonesia, il mese successivo, ha presentato un altro pilastro, un corridoio di scambio marittimo che ha chiamato la Via della Seta marittima del XXI secolo. Consiste nella crescita o nell’espansione dei porti e dei parchi industriali all’interno del Sud Est asiatico e in zone che comprendono lo Sri Lanka, il Kenya e la Grecia, insieme all’obiettivo di espandere il commercio bilaterale con il Sud Est asiatico a mille miliardi di dollari per il 2020, più del doppio del suo livello dello scorso anno. Nell’occasione, ha invocato lo spirito di Zheng He, un ammiraglio eunuco cinese che ha guidato una flotta di navi del tesoro in Africa nel XV secolo ed è il simbolo dell’era del potere marittimo cinese. A maggio, in un summit dei leader della regione a Shanghai, Xi è stato più esplicito sui suoi obiettivi in un discorso dedicato a un “nuovo concetto di sicurezza asiatica”. “Sta alla gente dell’Asia gestire gli affari dell’Asia, risolvere i problemi dell’Asia e tutelare la sicurezza dell’Asia”, ha affermato facendo appello ai Paesi asiatici per “far avanzare il processo di uno sviluppo comune e di un’integrazione regionale”. Sebbene Xi non abbia menzionato specificatamente gli Usa, molti analisti cinesi e occidentali concordano che il suo appello abbia mandato un a Washington, per cui dovrebbe accettare un ruolo minore nella regione che, stando alla Banca Asiatica di Sviluppo, necessita un investimento nelle infrastrutture di 8 mila miliardi di dollari per il 2020. “Sta riportando questi concetti che erano nell’aria da sempre”, ha commentato Chris Johnson, un ex analista della Cia specializzato sulla Cina, ora presso il Center for Strategic and International Studies, “traducendoli in realtà, finanziandoli e dic

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Risposto da giovanni de sio cesari su 12 Novembre 2014 a 9:30 "richiamando il suo slogan politico interno “Sogno Cinese” per chi fosse interessato: ma che sono questi sogni cinesi ? sono il corrispondente cinese delle” american way of life” I cinesi si sono sempre considerati il paese di mezzo, il centro della civiltà considerando quindi tutti gli altri popoli come barbari, ora si affacciano dopo quasi due secoli di emarginazione sullo scenario mondiale e non sono disposti ad accettare la egemonia culturale dell’Occidente. Tuttavia essi non intendono nemmeno tornare all’antica pretesa di essere “la civiltà” in opposizione alla barbarie secondo il detto: nulla di importante può essere fatto altrove che non possa essere fatto meglio in Cina . Aspirano invece a un concetto di civiltà che non sia legato solo a valori occidentali ma che tenga conto anche di quello che essi definiscono “sogni cinesi” contrapposti al american way of life Nel secolo scorso i paesi occidentali hanno rivendicato a se stessi il concetto di civiltà, hanno considerato i propri valori come valori universali e si sono quindi arrogati il diritto di indicare agli altri popoli quello che è bene e quello che è male. In sostanza è lo stesso processo per cui l’impero romano come quello cinese si autodefinì “ la civiltà“ misurando tutti gli altri popoli in base alla maggiore o minore lontananza dai propri modelli Quando poi il primato occidentale è passato agli Stati Uniti sono stati questi a rivendicare nei fatti il ruolo di giudici dell’umanità intera. Si è parlato quindi di una minaccia culturale cinese ( a parte quella economica) come un pericolo per i valori universali (cioè occidentali) che la Cina non condividerebbe e non capirebbe e che inoltre la Cina, priva di essi, non sarebbe capace di sostenere veramente e a lungo lo sviluppo economico moderno. In parole povere: poiche non è capace di democrazia il suo sviluppo si arresterà Ma i cinesi obbiettano che la globalizzazione non significa globalizzare i valori occidentali ma l’integrazione di diverse culture e modelli di sviluppo, delle diversità insomma Nella nuova era, il mondo ha bisogno di “sogni cinesi” perché il “modello Cina” propone valori universali. La logica della “trasformazione di civiltà” si trova nella realizzazione di “sogni del mondo” attraverso “sogni cinesi” e fornendo sistemi spirituali e beni che hanno origine in Cina, ma appartengono al mondo intero . Questa sarebbe il principale trasmesso dal percorso della Cina di sviluppo pacifico con l’ascesa di una grande potenza, del rinnovamento nazionale e la trasformazione della civiltà Osservano che la civiltà occidentale manca di slancio nel muoversi nell’incertezza del mondo incerto, non è nemmeno capace di superare la crisi del debito.. Attraverso il rinnovamento della sua civiltà tradizionale la Cina può gettare le basi per diventare un paese leader nel mondo. La Cina punta al dominio dell'Asia con la Nuova Via della Seta

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 12 Novembre 2014 a 17:30 Grazie Laura per questo post. Penso che sarebbe sicuramente interessante non far cadere l'argomento trasformando questa discussione in un gruppo di lavoro con vari sottogruppi che affrontaseero diverse realtà socio-economiche.Reperendo materiali , documenti e aprendo discussioni di confronto su problemi specifici interni alle diverse realtà . Che ne dite? La realtà cinese è poi particolarmente interssante non solo per la sua impressionante crescita economica ma per un'analisi del suo modello politico-economico. Si è aggiunta anche la recente buona notizia della volontà espressa del governo Cinese e dal governo americano di ridurre il livello delle emissioni tossiche.

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Risposto da Roberto Zanre' su 12 Novembre 2014 a 18:09 Non sono così sicuro che il modello politico cinese riuscirà a sopravvivere, così com'è, nel tempo. Di certo per ora è funzionale alla stabilità e alla grande e razionale crescita economica.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 12 Novembre 2014 a 18:22 D'accordo Giovanni, probabilemente inoltre, il maggiore pericolo per la Cina sarebbe rappresentato da un cambio di regime, ma se l'attuale fosse capace di democratizzarsi un po', nel senso di dare migliore rappresentanza a tutte le componenti di quella nazione, potrebbe veramente diventare un punto di riferimento globale. giovanni de sio cesari ha detto: "richiamando il suo slogan politico interno “Sogno Cinese” per chi fosse interessato: ma che sono questi sogni cinesi ? sono il corrispondente cinese delle” american way of life” I cinesi si sono sempre considerati il paese di mezzo, il centro della civiltà considerando quindi tutti gli altri popoli come barbari, ora si affacciano dopo quasi due secoli di emarginazione sullo scenario mondiale e non sono disposti ad accettare la egemonia culturale dell’Occidente. Tuttavia essi non intendono nemmeno tornare all’antica pretesa di essere “la civiltà” in opposizione alla barbarie secondo il detto: nulla di importante può essere fatto altrove che non possa essere fatto meglio in Cina . Aspirano invece a un concetto di civiltà che non sia legato solo a valori occidentali ma che tenga conto anche di quello che essi definiscono “sogni cinesi” contrapposti al american way of life Nel secolo scorso i paesi occidentali hanno rivendicato a se stessi il concetto di civiltà, hanno considerato i propri valori come valori universali e si sono quindi arrogati il diritto di indicare agli altri popoli quello che è bene e quello che è male. In sostanza è lo stesso processo per cui l’impero romano come quello cinese si autodefinì “ la civiltà“ misurando tutti gli altri popoli in base alla maggiore o minore lontananza dai propri modelli Quando poi il primato occidentale è passato agli Stati Uniti sono stati questi a rivendicare nei fatti il ruolo di giudici dell’umanità intera. Si è parlato quindi di una minaccia culturale cinese ( a parte quella economica) come un pericolo per i valori universali (cioè occidentali) che la Cina non condividerebbe e non capirebbe e che inoltre la Cina, priva di essi, non sarebbe capace di sostenere veramente e a lungo lo sviluppo economico moderno. In parole povere: poiche non è capace di democrazia il suo sviluppo si arresterà Ma i cinesi obbiettano che la globalizzazione non significa globalizzare i valori occidentali ma l’integrazione di diverse culture e modelli di sviluppo, delle diversità insomma Nella nuova era, il mondo ha bisogno di “sogni cinesi” perché il “modello Cina” propone valori universali. La logica della “trasformazione di civiltà” si trova nella realizzazione di “sogni del mondo” attraverso “sogni cinesi” e fornendo sistemi spirituali e beni che hanno origine in Cina, ma appartengono al mondo intero . Questa sarebbe il principale trasmesso dal percorso della Cina di sviluppo pacifico con l’ascesa di una grande potenza, del rinnovamento nazionale e la trasformazione della civiltà Osservano che la civiltà occidentale manca di slancio nel muoversi nell’incertezza del mondo incerto, non è nemmeno capace di superare la crisi del debito.. Attraverso il rinnovamento della sua civiltà tradizionale la Cina può gettare le basi per diventare un paese leader nel mondo. La Cina punta al dominio dell'Asia con la Nuova Via della Seta

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Risposto da Fabio Colasanti su 12 Novembre 2014 a 19:22 Giampaolo, a parte che la storia ha mostrato che è difficile "democratizzarsi un poco" - quando il processo comincia non lo si controlla più - da che punto di vista trovi il modello cinese un "punto di riferimento globale"? A me sembra un esempio di capitalismo primitivo - che finora ha bellamente ignorato ogni considerazione ambientale, di protezione della salute, di protezione dei lavoratori e che se ne è fregato dei consumatori - sotto la direzione di una clique di ultraricchi. Nel Congresso del Popolo cinese (il loro parlamento) ci sono oltre sessanta miliardari e la ricchezza personale media dei deputati cinesi è quattro volte quella del deputato medio al parlamento americano (prova del fatto che ricchezza in Cina rima con controllo politico e corruzione). L'unico elemento positivo che riconosco al "modello cinese" è l'esistenza di una visione a medio-lungo termine di dove il paese deve andare. Ma quello che individuo in questa visione non mi piace proprio. Vedo nella Cina un grosso pericolo per la pace mondiale di qui a qualche decennio. Giampaolo Carboniero ha detto: D'accordo Giovanni, probabilemente inoltre, il maggiore pericolo per la Cina sarebbe rappresentato da un cambio di regime, ma se l'attuale fosse capace di democratizzarsi un po', nel senso di dare migliore rappresentanza a tutte le componenti di quella nazione, potrebbe veramente diventare un punto di riferimento globale. giovanni de sio cesari ha detto: "richiamando il suo slogan politico interno “Sogno Cinese” per chi fosse interessato: ma che sono questi sogni cinesi ? sono il corrispondente cinese delle” american way of life” I cinesi si sono sempre considerati il paese di mezzo, il centro della civiltà considerando quindi tutti gli altri popoli come barbari, ora si affacciano dopo quasi due secoli di emarginazione sullo scenario mondiale e non sono disposti ad accettare la egemonia culturale dell’Occidente. Tuttavia essi non intendono nemmeno tornare all’antica pretesa di essere “la civiltà” in opposizione alla barbarie secondo il detto: nulla di importante può essere fatto altrove che non possa essere fatto meglio in Cina . Aspirano invece a un concetto di civiltà che non sia legato solo a valori occidentali ma che tenga conto anche di quello che essi definiscono “sogni cinesi” contrapposti al american way of life Nel secolo scorso i paesi occidentali hanno rivendicato a se stessi il concetto di civiltà, hanno considerato i propri valori come valori universali e si sono quindi arrogati il diritto di indicare agli altri popoli quello che è bene e quello che è male. In sostanza è lo stesso processo per cui l’impero romano come quello cinese si autodefinì “ la civiltà“ misurando tutti gli altri popoli in base alla maggiore o minore lontananza dai propri modelli Quando poi il primato occidentale è passato agli Stati Uniti sono stati questi a rivendicare nei fatti il ruolo di giudici dell’umanità intera. Si è parlato quindi di una minaccia culturale cinese ( a parte quella economica) come un pericolo per i valori universali (cioè occidentali) che la Cina non condividerebbe e non capirebbe e che inoltre la Cina, priva di essi, non sarebbe capace di sostenere veramente e a lungo lo sviluppo economico moderno. In parole povere: poiche non è capace di democrazia il suo sviluppo si arresterà Ma i cinesi obbiettano che la globalizzazione non significa globalizzare i valori occidentali ma l’integrazione di diverse culture e modelli di sviluppo, delle diversità insomma Nella nuova era, il mondo ha bisogno di “sogni cinesi” perché il “modello Cina” propone valori universali. La logica della “trasformazione di civiltà” si trova nella realizzazione di “sogni del mondo” attraverso “sogni cinesi” e fornendo sistemi spirituali e beni che hanno origine in Cina, ma appartengono al mondo intero . Questa sarebbe il principale trasmesso dal percorso della Cina di sviluppo pacifico con l’ascesa di una grande potenza, del rinnovamento nazionale e la trasformazione della civiltà Osservano che la civiltà occidentale manca di slancio nel muoversi nell’incertezza del mondo incerto, non è nemmeno capace di superare la crisi del debito.. Attraverso il rinnovamento della sua civiltà tradizionale la Cina può gettare le basi per diventare un paese leader nel mondo.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 12 Novembre 2014 a 20:56 Giampaolo io non credo che ci sarà una processo di democratizzazione (nel significato occidentale) in Cina. La democrazia è una invenzione europea poi diffusasi nel mondo attraverso il primato europeo. Ma in Cina questo non è mai successo. Ovviamente non c’era nel passato come dovunque ma nemmeno nell’ultimo secolo. Dopo la caduta dell’impero si affermo prima il KUOMITANG poi il maoismo: tutti profondamente anti democratici. La Cina moderna è una creazione personale (si fa per dire) di Deng Xiaoping , che riusci dopo contrasti fortissimi a imporre la repressione di Tien an men. Il regime cinese si contrappone proprio idealmente alla democrazia con il concetto di héxié shèhuì (societa armoniosa). Diversamente però dall’occidente non cerca di esportare il proprio modello politico nel mondo. Quando parlano di sogni cinesi che possono essere patrimonio mondiale noncredo che pensano al sistema politico. Giampaolo Carboniero ha detto: D'accordo Giovanni, probabilemente inoltre, il maggiore pericolo per la Cina sarebbe rappresentato da un cambio di regime, ma se l'attuale fosse capace di democratizzarsi un po', nel senso di dare migliore rappresentanza a tutte le componenti di quella nazione, potrebbe veramente diventare un punto di riferimento globale.

Risposto da giovanni de sio cesari su 12 Novembre 2014 a 21:06 Fabio Si. Tutto vero: fra l’altro Xi Jimping si è molto risentito quando i giornalisti americani hanno scoperto il suo ingente patrimonio familiare. Tuttavia bisognerebbe vedere i fatti nel contesto : per esempio i membri del congresso vengono cooptati non eletti ed è d’uso scegliere fra gli imprenditori di maggior successo, i nuovi eroi della Cina. Perche pensi che possano mettere in pericolo la pace nel mondo. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, a parte che la storia ha mostrato che è difficile "democratizzarsi un poco" - quando il processo comincia non lo si controlla più - da che punto di vista trovi il modello cinese un "punto di riferimento globale"? A me sembra un esempio di capitalismo primitivo - che finora ha bellamente ignorato ogni considerazione ambientale, di protezione della salute, di protezione dei lavoratori e che se ne è fregato dei consumatori - sotto la direzione di una clique di ultraricchi. Nel Congresso del Popolo cinese (il loro parlamento) ci sono oltre sessanta miliardari e la ricchezza personale media dei deputati cinesi è quattro volte quella del deputato medio al parlamento americano (prova del fatto che ricchezza in Cina rima con controllo politico e corruzione). L'unico elemento positivo che riconosco al "modello cinese" è l'esistenza di una visione a medio-lungo termine di dove il paese deve andare. Ma quello che individuo in questa visione non mi piace proprio. Vedo nella Cina un grosso pericolo per la pace mondiale di qui a qualche decennio.

Risposto da Fabio Colasanti su 12 Novembre 2014 a 22:10 Giovanni, In Cina c'è un fortissimo nazionalismo, particolarmente forte tra i giovani, che si nutre del risentimento nei confronti dei demoni occidentali che hanno privato l'impero del centro del suo giusto posto nell'ordine delle cose. Il nazionalismo è talmente diffuso e forte che arriva a limitare – un poco – la libertà d'azione del governo. Ho letto di un certo numero di accordi internazionali sottoscritti dal governo (roba piccola sulla sovranità di isole e piccole rettifiche di confine) che non sarebbero stati poi applicati per l'ostilità degli studenti e della popolazione. Federico Rampini ha scritto dei contatti che tiene ancora oggi con gli studenti di tanti paesi che ha avuto a Berkeley, ma

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sottolinea che è si è visto obbligato ad interrompere la corrispondenza con quasi tutti gli ex-studenti cinesi per il nazionalismo illogico che traspariva da quello che scrivevano una volta rientrati in patria. Tra qualche decennio potrebbero nascere tensioni per l'approvvigionamento di alcune materie prime e soprattutto di cibo. Già oggi la Cina ha comprato superfici vastissime in Africa (un decimo del Madagascar) per assicurarsi rifornimenti di generi alimentari. Se queste tensioni dovessero diventare forti, ho paura che la Cina possa compiere atti illogici e pericolosi. Le spese militari cinesi sono aumentate enormemente negli ultimi anni. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Si. Tutto vero: fra l’altro Xi Jimping si è molto risentito quando i giornalisti americani hanno scoperto il suo ingente patrimonio familiare. Tuttavia bisognerebbe vedere i fatti nel contesto : per esempio i membri del congresso vengono cooptati non eletti ed è d’uso scegliere fra gli imprenditori di maggior successo, i nuovi eroi della Cina. Perche pensi che possano mettere in pericolo la pace nel mondo. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, a parte che la storia ha mostrato che è difficile "democratizzarsi un poco" - quando il processo comincia non lo si controlla più - da che punto di vista trovi il modello cinese un "punto di riferimento globale"? A me sembra un esempio di capitalismo primitivo - che finora ha bellamente ignorato ogni considerazione ambientale, di protezione della salute, di protezione dei lavoratori e che se ne è fregato dei consumatori - sotto la direzione di una clique di ultraricchi. Nel Congresso del Popolo cinese (il loro parlamento) ci sono oltre sessanta miliardari e la ricchezza personale media dei deputati cinesi è quattro volte quella del deputato medio al parlamento americano (prova del fatto che ricchezza in Cina rima con controllo politico e corruzione). L'unico elemento positivo che riconosco al "modello cinese" è l'esistenza di una visione a medio-lungo termine di dove il paese deve andare. Ma quello che individuo in questa visione non mi piace proprio. Vedo nella Cina un grosso pericolo per la pace mondiale di qui a qualche decennio.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 13 Novembre 2014 a 2:43 Nessun commento su Israele che autorizza 200 nuovi insediamenti nei territori che dovrebbero far parte dello stato palestinese?

Risposto da giorgio varaldo su 13 Novembre 2014 a 8:17 La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da giovanni de sio cesari su 13 Novembre 2014 a 10:02 Fabio Si puo avvenire, si tratta indubbiamente di una timore diffuso: che pero io personalmente non condivido. Il nazionalismo cinese è diverso da quello occidentale che spesso viene messo in correlazione con l’imperialismo che poi sfocio nella formazione dei grandi imperi coloniali. La Cina non ha mai avuto questa tendenza , non è mai uscita dal suo ambito (a prescindere dell’episodio del tutto occasionale di Zeng He) Se si fosse spinta oltre i suoi limiti territoriali probabilmente avrebbe colonizzato il mondo prima di noi. I cinesi pero hanno una ipersensibilità abenorme per i confini territoriali a causa degli avvenimenti storici dell’800.-900. Per questo non si firmano accordi

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per le isolette contese con tutti i vicini ma questo in effetti non mette in dubbio i pacifici rapporti commerciali con essi. Ma a prescindere dalla mentalità tradizionale la Cina è un paese moderno in espansione economica. è molto più facile e soprattutto economico comprare risorse che conquistarle con le armi. ( io non credo alle guerre del petrolio) Certo se il mondo arrivasse a uno stadio di non avere piu sufficienti risorse vitali per tutti, noi tutti combatteremmo per sopravvivere: uno scenario da fantascienza, speriamo bene Ovviamente tutte opinioni personali Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, In Cina c'è un fortissimo nazionalismo, particolarmente forte tra i giovani, che si nutre del risentimento nei confronti dei demoni occidentali che hanno privato l'impero del centro del suo giusto posto nell'ordine delle cose. Il nazionalismo è talmente diffuso e forte che arriva a limitare – un poco – la libertà d'azione del governo. Ho letto di un certo numero di accordi internazionali sottoscritti dal governo (roba piccola sulla sovranità di isole e piccole rettifiche di confine) che non sarebbero stati poi applicati per l'ostilità degli studenti e della popolazione. Federico Rampini ha scritto dei contatti che tiene ancora oggi con gli studenti di tanti paesi che ha avuto a Berkeley, ma sottolinea che è si è visto obbligato ad interrompere la corrispondenza con quasi tutti gli ex-studenti cinesi per il nazionalismo illogico che traspariva da quello che scrivevano una volta rientrati in patria. Tra qualche decennio potrebbero nascere tensioni per l'approvvigionamento di alcune materie prime e soprattutto di cibo. Già oggi la Cina ha comprato superfici vastissime in Africa (un decimo del Madagascar) per assicurarsi rifornimenti di generi alimentari. Se queste tensioni dovessero diventare forti, ho paura che la Cina possa compiere atti illogici e pericolosi. Le spese militari cinesi sono aumentate enormemente negli ultimi anni.

Risposto da giovanni de sio cesari su 13 Novembre 2014 a 10:10 Sandra ha scritto : Una società armoniosa...Come potrebbe essere? Forse è interessante anche per noi? per chi fosse eventualmente interessato Il regime attuale cinese contrappone al concetto di democrazia proveniente dall’Occidente quello di Società Armoniosa (in cinese pinyin: héxié shèhuì). Il concetto è stato elaborato dall precedente leader cinese Hu Jintao ed approvata nel corso del Congresso Nazionale del Popolo del 2005. Esso si pone come una concezione socio-economica che dovrebbe essere il risultato ultimo a cui la Cina dovrebbe guardare. Innanzitutto essa tende a costruire il “Xiaokang”, un stato di benessere economico diffuso in tutto il paese. Ma non si limitata alla sfera economica ma mira a estendersi a ogni aspetto della realtà sociale e instaurare una società in cui tutti i gruppi e gli individui cooperino tutti per il bene di tutti. Una specie di “utopia“ che prende il posto di quella marxiana di una società senza classi in cui, cadute le catene dell’egoismo tutti collaborino liberamente : ma la visione marxista si fondava sulla lotta di classe che nel maoismo si tradusse nell’odio di classe portato fino ad estremi parossistici. Ma poi disse Deng Xiaoping : se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati . Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizioni come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico. Ma in Cina il concetto di Società Armoniosa è stato soprattutto usato per interventi di censura perche alcune idee sono “cattive e dannose” e lo stato ha il dovere di intervenire: dal punto di vista economico il progresso economico è il bene e tutto quello che si oppone ad esso è il male: come conseguenza pratica si abbattono le casupole dei poveri per edificare i grattacieli di ricchi.

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La Società Armoniosa si configura secondo molti, come un ritorno a Confucio la cui figura in Cina, dopo la demonizzazione maoista conosce un crescendo di rivalutazione ed esaltazione: un ennesimo neo-confucianesimo quindi. Però pure su questo bisogna intendersi. Il confucianesimo si sostanzia nell’idea fondamentale che una società è prospera e felice se ciascuno svolge bene il suo compito: i governante governa, il soldato combatte, il contadino coltiva. i genitori si occupano dei figli e il figlio rispetta i genitori. Un mondo ordinato quindi, non conflittuale ne egualitario basato sull’etica del dovere. Confucio poi si riferisce ai compiti di ciascuno secondo lo spirito e gli usi dei tempi. Ora non si deve pensare che si voglia tornare ai compiti come delineati oltre duemila anni, ma solo che ciascuno deve svolgere il suo ruolo ma secondo il mondo moderno. Ad esempio la emancipazione delle donne, uno dei pochi meriti storici del comunismo cinese non è messa in discussione e nessuno ripropone il ruolo estremamente subalterno ed infelice delle donne della società agricola cinese. Pertanto il tradizionalismo cinese è molto diverso da quello islamico che invece vorrebbe ritornare a una società in cui doveri e diritti e funzioni fossero uguali a quelli di mille anni fa, cosi come stabiliti per sempre da Dio. Quindi la Società Armoniosa cinese è cosa diversa dal marxismo, dal liberismo dall’islamismo tradizionalista . E’ l’dea che lo stato deve e instaurare e mantenere l’armonia nello stato e combattere tutto quello che all’interno e all’esterno possa turbare quell’armonia: questo è stato sempre tradizionalmente il compito dello stato cinese, dell’imperatore che rischiava di essere travolto se non si dimostrava in grado di assolvere a questo compito. Il comunismo è crollato definitivamente dappertutto, l’islamismo fondamentalista pare senza prospettive, il liberismo occidentale pare in crisi come l’Occidente stesso : che forse il futuro del mondo sarà caratterizzato dalla Società Armoniosa? Nessuno può saperlo: ma io, come occidentale, mi auguro di no.

Risposto da Salvatore Venuleo su 13 Novembre 2014 a 10:39 La "società armoniosa" è comunque una società governata dal dispotismo. Non credo proprio che possa indicarci una via per il futuro. Credo fermamente nella democrazia, pur con i problemi e i rischi che comporta. Credo nella direzione della "democrazia reale" in cui ognuno possa sentire le decisioni politiche come co-determinate dai propri interessi e valori. Qualcosa di simile affermò fra gli altri Alexander Dubcek: La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di espri... Sandra Del Fabro ha detto: Una società armoniosa...Come potrebbe essere? Forse è interessante anche per noi? giovanni de sio cesari ha detto: Giampaolo io non credo che ci sarà una processo di democratizzazione (nel significato occidentale) in Cina. La democrazia è una invenzione europea poi diffusasi nel mondo attraverso il primato europeo. Ma in Cina questo non è mai successo. Ovviamente non c’era nel passato come dovunque ma nemmeno nell’ultimo secolo. Dopo la caduta dell’impero si affermo prima il KUOMITANG poi il maoismo: tutti profondamente anti democratici. La Cina moderna è una creazione personale (si fa per dire) di Deng Xiaoping , che riusci dopo contrasti fortissimi a imporre la repressione di Tien an men. Il regime cinese si contrappone proprio idealmente alla democrazia con il concetto di héxié shèhuì (societa armoniosa). Diversamente però dall’occidente non cerca di esportare il proprio modello politico nel mondo. Quando parlano di sogni cinesi che possono essere patrimonio mondiale noncredo che pensano al sistema politico. Giampaolo Carboniero ha detto: D'accordo Giovanni, probabilemente inoltre, il maggiore pericolo per la Cina sarebbe rappresentato da un cambio di regime, ma se l'attuale fosse capace di democratizzarsi un po', nel senso di dare migliore rappresentanza a tutte le componenti di quella nazione, potrebbe veramente diventare un punto di riferimento globale.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 13 Novembre 2014 a 12:09

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Giovanni ti ringrazio per queste interessanti informazioni sul concetto di società armoniosa e sull'evoluzione culturale dell gruppo dirigente del partito comunista cinese. In fondo, dopo la risposta di Mao all'evidenza del privilegio e della corruzione presente nello stesso partito con l'enunciazione del principio della continuazione della lotta di classe all'interno della fase socialista , dopo la presa del potere da parte del proletariato, sono interessanti questi successivi sviluppi. Mao individuò la presenza delle " contraddizioni in seno al popolo" per lanciare la " Rivoluzione culturale": Una rivoluzione rivolta all'anima delle persone ed perchè il loro cuore diventasse " rosso" come deve essere quello di un rivoluzionario. La Cina fu sconvolta da questa rivoluzione e Mao si rivolse principalmente ai giovani , alle sue guardie rosse per " rottamare" una classe dirigente rea di aver abbandonato i principi maoisti per arricchirsi . ritaglirsi una bella fetta di potere e minare lo stesso leader Mao. Quello che Mao aveva cercato di sconfiggere all'interno di una serrata lotta di potere fra diversi gruppi dirigenti era quello che a mio avviso deteriora invariabilmente qualsiasi organizzazione totalizzante della società : la limitazione dell'iniziativa , la sua subordinazione ai processi di formazione totalizzanti delle decisioni , la formazione di aree di parassitismo e di privilegio che possono essere messe in discusione solo appunto con una rivoluzione culturale/politica dell'intera società . Un percorso alla fine troppo dispendioso , a volte inefficace , troppo lento prima che inizi ad intervenire su contraddizioni ormai esplosive. La successiva scelta di permettere l'iniziativa privata e l'arricchimento individuale come premio per lo sviluppo complessivo della società cinese è stato vincente anche se all'interno di un rigido controllo da parte di un gruppo dirigente visto come garante della continuità storico/culturale del comunismo . Lo stesso concetto di società armoniosa si sposa concettualmente certamente con la tradizione culturale cinese ma non presenta serie contraddizioni con la fase finale del comunismo dove ognuno riceve "secondo i suoi bisogni ". Quello che dal punto di vista occidentale è il limite dell'organizzazione del potere in Cina è stato invece la garanzia della continuità che altrimenti sarebbe stata travolta dallo straordinario sviluppo economico. Quello che sarebbe interessante capire , avendone le opportune informazioni , è la capacità di tenuta di questo modello. Se s'intravedono già delle contraddizioni insanabili o se invece esistano meccanismi virtuosi di coivolgimento della popolazione nel ricambio e controllo della classe dirigente: Se è previsto un cammino possibile di crescita e di responsabilità che permetta al cittadino d'intervenire sulle decisioni che riguardano il proprio destino . giovanni de sio cesari ha detto: Sandra ha scritto : Una società armoniosa...Come potrebbe essere? Forse è interessante anche per noi? per chi fosse eventualmente interessato Il regime attuale cinese contrappone al concetto di democrazia proveniente dall’Occidente quello di Società Armoniosa (in cinese pinyin: héxié shèhuì). Il concetto è stato elaborato dall precedente leader cinese Hu Jintao ed approvata nel corso del Congresso Nazionale del Popolo del 2005. Esso si pone come una concezione socio-economica che dovrebbe essere il risultato ultimo a cui la Cina dovrebbe guardare. Innanzitutto essa tende a costruire il “Xiaokang”, un stato di benessere economico diffuso in tutto il paese. Ma non si limitata alla sfera economica ma mira a estendersi a ogni aspetto della realtà sociale e instaurare una società in cui tutti i gruppi e gli individui cooperino tutti per il bene di tutti. Una specie di “utopia“ che prende il posto di quella marxiana di una società senza classi in cui, cadute le catene dell’egoismo tutti collaborino liberamente : ma la visione marxista si fondava sulla lotta di classe che nel maoismo si tradusse nell’odio di classe portato fino ad estremi parossistici. Ma poi disse Deng Xiaoping : se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati . Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizioni come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico. Ma in Cina il concetto di Società Armoniosa è stato soprattutto usato per interventi di censura perche alcune idee sono “cattive e dannose” e lo stato ha il dovere di intervenire: dal punto di vista economico il progresso economico è il bene e tutto quello che si oppone ad esso è il male: come conseguenza pratica si abbattono le casupole dei poveri per edificare i grattacieli di ricchi. La Società Armoniosa si configura secondo molti, come un ritorno a Confucio la cui figura in Cina, dopo la demonizzazione maoista conosce un crescendo di rivalutazione ed esaltazione: un ennesimo neo-confucianesimo quindi.

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Però pure su questo bisogna intendersi. Il confucianesimo si sostanzia nell’idea fondamentale che una società è prospera e felice se ciascuno svolge bene il suo compito: i governante governa, il soldato combatte, il contadino coltiva. i genitori si occupano dei figli e il figlio rispetta i genitori. Un mondo ordinato quindi, non conflittuale ne egualitario basato sull’etica del dovere. Confucio poi si riferisce ai compiti di ciascuno secondo lo spirito e gli usi dei tempi. Ora non si deve pensare che si voglia tornare ai compiti come delineati oltre duemila anni, ma solo che ciascuno deve svolgere il suo ruolo ma secondo il mondo moderno. Ad esempio la emancipazione delle donne, uno dei pochi meriti storici del comunismo cinese non è messa in discussione e nessuno ripropone il ruolo estremamente subalterno ed infelice delle donne della società agricola cinese. Pertanto il tradizionalismo cinese è molto diverso da quello islamico che invece vorrebbe ritornare a una società in cui doveri e diritti e funzioni fossero uguali a quelli di mille anni fa, cosi come stabiliti per sempre da Dio. Quindi la Società Armoniosa cinese è cosa diversa dal marxismo, dal liberismo dall’islamismo tradizionalista . E’ l’dea che lo stato deve e instaurare e mantenere l’armonia nello stato e combattere tutto quello che all’interno e all’esterno possa turbare quell’armonia: questo è stato sempre tradizionalmente il compito dello stato cinese, dell’imperatore che rischiava di essere travolto se non si dimostrava in grado di assolvere a questo compito. Il comunismo è crollato definitivamente dappertutto, l’islamismo fondamentalista pare senza prospettive, il liberismo occidentale pare in crisi come l’Occidente stesso : che forse il futuro del mondo sarà caratterizzato dalla Società Armoniosa? Nessuno può saperlo: ma io, come occidentale, mi auguro di no.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 13 Novembre 2014 a 18:46 No comment: http://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_spesa_militare giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 13 Novembre 2014 a 19:06 Concordo con il tuo augurio, perchè non succeda però,anche l'Occidente dovrebbe andare "oltre" la società mercatista che lo arricchì attraverso le politiche coloniali. giovanni de sio cesari ha detto: Sandra ha scritto : Una società armoniosa...Come potrebbe essere? Forse è interessante anche per noi? per chi fosse eventualmente interessato Il regime attuale cinese contrappone al concetto di democrazia proveniente dall’Occidente quello di Società Armoniosa (in cinese pinyin: héxié shèhuì). Il concetto è stato elaborato dall precedente leader cinese Hu Jintao ed approvata nel corso del Congresso Nazionale del Popolo del 2005. Esso si pone come una concezione socio-economica che dovrebbe essere il risultato ultimo a cui la Cina dovrebbe guardare. Innanzitutto essa tende a costruire il “Xiaokang”, un stato di benessere economico diffuso in tutto il paese. Ma non si limitata alla sfera economica ma mira a estendersi a ogni aspetto della realtà sociale e instaurare una società in cui tutti i gruppi e gli individui cooperino tutti per il bene di tutti. Una specie di “utopia“ che prende il posto di quella marxiana di una società senza classi in cui, cadute le catene dell’egoismo tutti collaborino liberamente : ma la visione marxista si fondava sulla lotta di classe che nel maoismo si tradusse nell’odio d i classe portato fino ad estremi parossistici. Ma poi disse Deng Xiaoping : se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è

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nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati . Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizioni come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico. Ma in Cina il concetto di Società Armoniosa è stato soprattutto usato per interventi di censura perche alcune idee sono “cattive e dannose” e lo stato ha il dovere di intervenire: dal punto di vista economico il progresso economico è il bene e tutto quello che si oppone ad esso è il male: come conseguenza pratica si abbattono le casupole dei poveri per edificare i grattacieli di ricchi. La Società Armoniosa si configura secondo molti, come un ritorno a Confucio la cui figura in Cina, dopo la demonizzazione maoista conosce un crescendo di rivalutazione ed esaltazione: un ennesimo neo-confucianesimo quindi. Però pure su questo bisogna intendersi. Il confucianesimo si sostanzia nell’idea fondamentale che una società è prospera e felice se ciascuno svolge bene il suo compito: i governante governa, il soldato combatte, il contadino coltiva. i genitori si occupano dei figli e il figlio rispetta i genitori. Un mondo ordinato quindi, non conflittuale ne egualitario basato sull’etica del dovere. Confucio poi si riferisce ai compiti di ciascuno secondo lo spirito e gli usi dei tempi. Ora non si deve pensare che si voglia tornare ai compiti come delineati oltre duemila anni, ma solo che ciascuno deve svolgere il suo ruolo ma secondo il mondo moderno. Ad esempio la emancipazione delle donne, uno dei pochi meriti storici del comunismo cinese non è messa in discussione e nessuno ripropone il ruolo estremamente subalterno ed infelice delle donne della società agricola cinese. Pertanto il tradizionalismo cinese è molto diverso da quello islamico che invece vorrebbe ritornare a una società in cui doveri e diritti e funzioni fossero uguali a quelli di mille anni fa, cosi come stabiliti per sempre da Dio. Quindi la Società Armoniosa cinese è cosa diversa dal marxismo, dal liberismo dall’islamismo tradizionalista . E’ l’dea che lo stato deve e instaurare e mantenere l’armonia nello stato e combattere tutto quello che all’interno e all’esterno possa turbare quell’armonia: questo è stato sempre tradizionalmente il compito dello stato cinese, dell’imperatore che rischiava di essere travolto se non si dimostrava in grado di assolvere a questo compito. Il comunismo è crollato definitivamente dappertutto, l’islamismo fondamentalista pare senza prospettive, il liberismo occidentale pare in crisi come l’Occidente stesso : che forse il futuro del mondo sarà caratterizzato dalla Società Armoniosa? Nessuno può saperlo: ma io, come occidentale, mi auguro di no.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 13 Novembre 2014 a 19:31 Classico esempio del comportamento "tafazziano" dei nostri imprenditori; si arricchiranno esportando in Cina, migliorando la qualità di vita dei "ricchi" cinesi e trascurando del tutto i propri mercati interni; in un prossimo futuro, quando i "ricchi" cinesi cominceranno a soddisfare i nostri mercati interni, cosa faranno i nostri imprenditori? laura sgaravatto ha detto: è un po' datato l'articolo... ma per dire che non sono poki i "benestanti" in Cina .... Il Grande Balzo cinese, 201 milioni di ricchi Nel 2015 saranno pari alla popolazione di Italia, Francia e Germania messe insieme Centro del mondo La Cina si avvia a diventare da fabbrica del mondo a centro dei consumi mondiali Made in Italy Le esportazioni verso l' Oriente di Grana Padano e Parmigiano Reggiano sono cresciute del 170% L' hanno preso in parola. O meglio, hanno preso le sue parole e le hanno trasformate in realtà. Che realtà: Deng Xiaoping diceva ai concittadini ancora intossicati dal pauperismo maoista, agli inizi degli anni Ottanta: «Diventare ricchi è glorioso» (zhifu guangrong). Trent' anni di riforme più tardi, i «ricchi» cinesi sono 95 milioni, più dei cittadini dell' intera Germania. Ma è il futuro che impressiona, quello che accadrà entro poco, almeno secondo un rapporto del centro studi di Confindustria. Nel 2015, infatti, cioè tra quattro anni, i benestanti della Repubblica Popolare - popolazione totale: un miliardo 350 milioni - saranno 201 milioni, ovvero quanti sono i cittadini di Italia, Francia e Germania messe insieme. La Cina dei ricchi batte i Grandi d' Europa, insomma. Ma il traguardo sarà superato e messo in soffitta nello spazio di un amen: nel 2020, i nuovi paperoni cinesi saranno 424 milioni, sempre secondo lo studio di Confindustria. E allora la popolazione eguagliata sarà quella dell' intera Europa Occidentale. Va bene, queste cifre da

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capogiro valgono fino a un certo punto. Va bene, in percentuale, i ricchi in Cina saranno sempre una minoranza in quell' immenso Paese. Però che minoranza. Con un reddito (a parità di potere d' acquisto) di 30 mila dollari, paragonabile a quello degli europei, questi cittadini potranno permettersi un livello di vita che ai loro genitori - non ai loro nonni - doveva apparire solo pochi anni fa non solo irraggiungibile ma, soprattutto, un' utopia. E non soltanto per motivi ideologici (che pure avevano la loro importanza nella Cina del passato). Oggi seconda potenza economica mondiale dietro gli Stati Uniti e davanti al Giappone, appena superato, la Repubblica Popolare si avvia a diventare da fabbrica del mondo a centro dei consumi mondiali. Un piccolo dato italiano che può aiutare a capire perché quando una farfalla sbatte le ali a Pechino noi tutti ne subiamo le conseguenze. Nel 2010, secondo la Coldiretti il valore delle esportazioni di vino italiano verso la Cina sono più che raddoppiate (+109%). Il mercato di putaojiu - il vino in cinese - è un' invenzione della Cina post-riforme. Un po' come quello delle auto di lusso, Ferrari in testa (300 auto vendute nel 2010): da zero a valori miliardari in pochi decenni. Lo stesso vale per i prodotti agro-alimentari tipici del nostro Paese: qui l' aumento delle esportazioni verso l' Oriente di Grana Padano o Parmigiano Reggiano è a più 170% (la Coldiretti precisa che i volumi restano limitati, data la scarsa propensione dei cinesi verso i latticini), mentre per i diversi prodotti l' aumento delle esportazioni, in valore complessivo, è pari al 57%. Numeri, numeri, numeri. Dietro queste cifre, tuttavia, non si nascondono aride statistiche. Ma una realtà in divenire che, giustamente, ha portato a battezzare il ventunesimo secolo, il «secolo cinese». Questi dati sottolineano come i nuovi ricchi d' Oriente diventeranno un' importante fonte di domanda mondiale e dunque, spiegano nel loro studio a Viale dell' Astronomia, un popolo di consumatori «molto rilevante per le imprese italiane, in particolare per i produttori di beni di fascia medio-alta, che devono fare i conti con la debolezza della domanda dei consumatori occidentali». In base alle stime di Confindustria, nei prossimi dieci anni i consumi della classe benestante cinese dovrebbero passare dal 36% del Pil nel 2010 al 50% nel 2020, pari a 5.575 miliardi, ossia il 10,3% dei consumi mondiali. Aumentare il contributo dei consumi alla crescita del gigante asiatico è anche uno degli obiettivi prioritari del dodicesimo Piano quinquennale di Pechino per il periodo 2011-16. Tuttavia Confindustria avverte che la Cina è un Paese immenso e quindi «diventa essenziale per le imprese, non solo avere una stima della dimensione presente e futura della classe benestante, ma anche localizzarla, distinguendo tra province e tra aree urbane e rurali». Insomma, va bene cercare di vendere buon vino e abiti firmati ai cinesi, ma attenti a non sbagliare destinazione. Nelle campagne aspettano ancora di entrare nell' epoca dei consumi: la rivoluzione borghese, lontano dalle città, non è ancora arrivata. Paolo Salom RIPRODUZIONE RISERVATA **** Prodotti nostrani Passione I cinesi hanno una vera e propria passione per tutto quello che è «made in Italy» Auto Nel settore auto di lusso, la Ferrari ha venduto, nel 2010, 300 vetture nella Repubblica Popolare Vino La Coldiretti segnala che l' export di vino italiano in Cina è aumentato del 109 per cento Formaggi Grana Padano e Parmigiano Reggiano segnano vendite a più 170%

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Novembre 2014 a 21:00 ... Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, In Cina c'è un fortissimo nazionalismo, particolarmente forte tra i giovani, che si nutre del risentimento nei confronti dei demoni occidentali che hanno privato l'impero del centro del suo giusto posto nell'ordine delle cose. Il nazionalismo è talmente diffuso e forte che arriva a limitare – un poco – la libertà d'azione del governo. Ho letto di un certo numero di accordi internazionali sottoscritti dal governo (roba piccola sulla sovranità di isole e piccole rettifiche di confine) che non sarebbero stati poi applicati per l'ostilità degli studenti e della popolazione. Federico Rampini ha scritto dei contatti che tiene ancora oggi con gli studenti di tanti paesi che ha avuto a Berkeley, ma sottolinea che è si è visto obbligato ad interrompere la corrispondenza con quasi tutti gli ex-studenti cinesi per il nazionalismo illogico che traspariva da quello che scrivevano una volta rientrati in patria. Tra qualche decennio potrebbero nascere tensioni per l'approvvigionamento di alcune materie prime e soprattutto di cibo. Già oggi la Cina ha comprato superfici vastissime in Africa (un decimo del Madagascar) per assicurarsi rifornimenti di generi alimentari. Se queste tensioni dovessero diventare forti, ho paura che la Cina possa compiere atti illogici e pericolosi. Le spese militari cinesi sono aumentate enormemente negli ultimi anni. giovanni de sio cesari ha detto:

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Fabio Si. Tutto vero: fra l’altro Xi Jimping si è molto risentito quando i giornalisti americani hanno scoperto il suo ingente patrimonio familiare. Tuttavia bisognerebbe vedere i fatti nel contesto : per esempio i membri del congresso vengono cooptati non eletti ed è d’uso scegliere fra gli imprenditori di maggior successo, i nuovi eroi della Cina. Perche pensi che possano mettere in pericolo la pace nel mondo. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, a parte che la storia ha mostrato che è difficile "democratizzarsi un poco" - quando il processo comincia non lo si controlla più - da che punto di vista trovi il modello cinese un "punto di riferimento globale"? A me sembra un esempio di capitalismo primitivo - che finora ha bellamente ignorato ogni considerazione ambientale, di protezione della salute, di protezione dei lavoratori e che se ne è fregato dei consumatori - sotto la direzione di una clique di ultraricchi. Nel Congresso del Popolo cinese (il loro parlamento) ci sono oltre sessanta miliardari e la ricchezza personale media dei deputati cinesi è quattro volte quella del deputato medio al parlamento americano (prova del fatto che ricchezza in Cina rima con controllo politico e corruzione). L'unico elemento positivo che riconosco al "modello cinese" è l'esistenza di una visione a medio-lungo termine di dove il paese deve andare. Ma quello che individuo in questa visione non mi piace proprio. Vedo nella Cina un grosso pericolo per la pace mondiale di qui a qualche decennio.

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Novembre 2014 a 21:04 Cioè vorresti dirmi che la Cina sta cercando di imitare gli USA? I quali hanno portaerei e sottomarini dappertutto e oltre 500 basi militari sparse per il mondo? Cioè la Cina sta in modo pallido cercando di imitare gli USA? :-) giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Novembre 2014 a 21:06 Giovanni, buon discorso. Concordo. Sulla fantascienza... meglio che vi informiate anche riguardo alle risorse... giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Si puo avvenire, si tratta indubbiamente di una timore diffuso: che pero io personalmente non condivido. Il nazionalismo cinese è diverso da quello occidentale che spesso viene messo in correlazione con l’imperialismo che poi sfocio nella formazione dei grandi imperi coloniali. La Cina non ha mai avuto questa tendenza , non è mai uscita dal suo ambito (a prescindere dell’episodio del tutto occasionale di Zeng He) Se si fosse spinta oltre i suoi limiti territoriali probabilmente avrebbe colonizzato il mondo prima di noi. I cinesi pero hanno una ipersensibilità abenorme per i confini territoriali a causa degli avvenimenti storici dell’800.-900. Per questo non si firmano accordi per le isolette contese con tutti i vicini ma questo in effetti non mette in dubbio i pacifici rapporti commerciali con essi. Ma a prescindere dalla mentalità tradizionale la Cina è un paese moderno in espansione economica. è molto più facile e soprattutto economico comprare risorse che conquistarle con le armi. ( io non credo alle guerre del petrolio) Certo se il mondo arrivasse a uno stadio di non avere piu sufficienti risorse vitali per tutti, noi tutti combatteremmo per sopravvivere: uno scenario da fantascienza, speriamo bene Ovviamente tutte opinioni personali

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Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, In Cina c'è un fortissimo nazionalismo, particolarmente forte tra i giovani, che si nutre del risentimento nei confronti dei demoni occidentali che hanno privato l'impero del centro del suo giusto posto nell'ordine delle cose. Il nazionalismo è talmente diffuso e forte che arriva a limitare – un poco – la libertà d'azione del governo. Ho letto di un certo numero di accordi internazionali sottoscritti dal governo (roba piccola sulla sovranità di isole e piccole rettifiche di confine) che non sarebbero stati poi applicati per l'ostilità degli studenti e della popolazione. Federico Rampini ha scritto dei contatti che tiene ancora oggi con gli studenti di tanti paesi che ha avuto a Berkeley, ma sottolinea che è si è visto obbligato ad interrompere la corrispondenza con quasi tutti gli ex-studenti cinesi per il nazionalismo illogico che traspariva da quello che scrivevano una volta rientrati in patria. Tra qualche decennio potrebbero nascere tensioni per l'approvvigionamento di alcune materie prime e soprattutto di cibo. Già oggi la Cina ha comprato superfici vastissime in Africa (un decimo del Madagascar) per assicurarsi rifornimenti di generi alimentari. Se queste tensioni dovessero diventare forti, ho paura che la Cina possa compiere atti illogici e pericolosi. Le spese militari cinesi sono aumentate enormemente negli ultimi anni.

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Novembre 2014 a 21:12 Bel discorso, Giovanni. Non ho capito come facciano in Cina a far convivere il concetto di società armoniosa con le enormi differenze economiche, di benessere, di opportunità. Intuisco che per loro non vi sia contraddizione. Mi spieghi meglio, per favore? giovanni de sio cesari ha detto: Sandra ha scritto : Una società armoniosa...Come potrebbe essere? Forse è interessante anche per noi? per chi fosse eventualmente interessato Il regime attuale cinese contrappone al concetto di democrazia proveniente dall’Occidente quello di Società Armoniosa (in cinese pinyin: héxié shèhuì). Il concetto è stato elaborato dall precedente leader cinese Hu Jintao ed approvata nel corso del Congresso Nazionale del Popolo del 2005. Esso si pone come una concezione socio-economica che dovrebbe essere il risultato ultimo a cui la Cina dovrebbe guardare. Innanzitutto essa tende a costruire il “Xiaokang”, un stato di benessere economico diffuso in tutto il paese. Ma non si limitata alla sfera economica ma mira a estendersi a ogni aspetto della realtà sociale e instaurare una società in cui tutti i gruppi e gli individui cooperino tutti per il bene di tutti. Una specie di “utopia“ che prende il posto di quella marxiana di una società senza classi in cui, cadute le catene dell’egoismo tutti collaborino liberamente : ma la visione marxista si fondava sulla lotta di classe che nel maoismo si tradusse nell’odio di classe portato fino ad estremi parossistici. Ma poi disse Deng Xiaoping : se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati . Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizioni come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico. Ma in Cina il concetto di Società Armoniosa è stato soprattutto usato per interventi di censura perche alcune idee sono “cattive e dannose” e lo stato ha il dovere di intervenire: dal punto di vista economico il progresso economico è il bene e tutto quello che si oppone ad esso è il male: come conseguenza pratica si abbattono le casupole dei poveri per edificare i grattacieli di ricchi.

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La Società Armoniosa si configura secondo molti, come un ritorno a Confucio la cui figura in Cina, dopo la demonizzazione maoista conosce un crescendo di rivalutazione ed esaltazione: un ennesimo neo-confucianesimo quindi. Però pure su questo bisogna intendersi. Il confucianesimo si sostanzia nell’idea fondamentale che una società è prospera e felice se ciascuno svolge bene il suo compito: i governante governa, il soldato combatte, il contadino coltiva. i genitori si occupano dei figli e il figlio rispetta i genitori. Un mondo ordinato quindi, non conflittuale ne egualitario basato sull’etica del dovere. Confucio poi si riferisce ai compiti di ciascuno secondo lo spirito e gli usi dei tempi. Ora non si deve pensare che si voglia tornare ai compiti come delineati oltre duemila anni, ma solo che ciascuno deve svolgere il suo ruolo ma secondo il mondo moderno. Ad esempio la emancipazione delle donne, uno dei pochi meriti storici del comunismo cinese non è messa in discussione e nessuno ripropone il ruolo estremamente subalterno ed infelice delle donne della società agricola cinese. Pertanto il tradizionalismo cinese è molto diverso da quello islamico che invece vorrebbe ritornare a una società in cui doveri e diritti e funzioni fossero uguali a quelli di mille anni fa, cosi come stabiliti per sempre da Dio. Quindi la Società Armoniosa cinese è cosa diversa dal marxismo, dal liberismo dall’islamismo tradizionalista . E’ l’dea che lo stato deve e instaurare e mantenere l’armonia nello stato e combattere tutto quello che all’interno e all’esterno possa turbare quell’armonia: questo è stato sempre tradizionalmente il compito dello stato cinese, dell’imperatore che rischiava di essere travolto se non si dimostrava in grado di assolvere a questo compito. Il comunismo è crollato definitivamente dappertutto, l’islamismo fondamentalista pare senza prospettive, il liberismo occidentale pare in crisi come l’Occidente stesso : che forse il futuro del mondo sarà caratterizzato dalla Società Armoniosa? Nessuno può saperlo: ma io, come occidentale, mi auguro di no.

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Novembre 2014 a 21:19 Giuseppe Ardizzone ha detto: Giovanni ti ringrazio per queste interessanti informazioni sul concetto di società armoniosa e sull'evoluzione culturale dell gruppo dirigente del partito comunista cinese. In fondo, dopo la risposta di Mao all'evidenza del privilegio e della corruzione presente nello stesso partito con l'enunciazione del principio della continuazione della lotta di classe all'interno della fase socialista , dopo la presa del potere da parte del proletariato, sono interessanti questi successivi sviluppi. Mao individuò la presenza delle " contraddizioni in seno al popolo" per lanciare la " Rivoluzione culturale": Una rivoluzione rivolta all'anima delle persone ed perchè il loro cuore diventasse " rosso" come deve essere quello di un rivoluzionario. La Cina fu sconvolta da questa rivoluzione e Mao si rivolse principalmente ai giovani , alle sue guardie rosse per " rottamare" una classe dirigente rea di aver abbandonato i principi maoisti per arricchirsi . ritaglirsi una bella fetta di potere e minare lo stesso leader Mao. Quello che Mao aveva cercato di sconfiggere all'interno di una serrata lotta di potere fra diversi gruppi dirigenti era quello che a mio avviso deteriora invariabilmente qualsiasi organizzazione totalizzante della società : la limitazione dell'iniziativa , la sua subordinazione ai processi di formazione totalizzanti delle decisioni , la formazione di aree di parassitismo e di privilegio che possono essere messe in discusione solo appunto con una rivoluzione culturale/politica dell'intera società . Un percorso alla fine troppo dispendioso , a volte inefficace , troppo lento prima che inizi ad intervenire su contraddizioni ormai esplosive. La successiva scelta di permettere l'iniziativa privata e l'arricchimento individuale come premio per lo sviluppo complessivo della società cinese è stato vincente anche se all'interno di un rigido controllo da parte di un gruppo dirigente visto come garante della continuità storico/culturale del comunismo . Lo stesso concetto di società armoniosa si sposa concettualmente certamente con la tradizione culturale cinese ma non presenta serie contraddizioni con la fase finale del comunismo dove ognuno riceve "secondo i suoi bisogni ". Quello che dal punto di vista occidentale è il limite dell'organizzazione del potere in Cina è stato invece la garanzia della continuità che altrimenti sarebbe stata travolta dallo straordinario sviluppo economico. Quello che sarebbe interessante capire , avendone le opportune informazioni , è la capacità di tenuta di questo modello. Se s'intravedono già delle contraddizioni insanabili o se invece esistano meccanismi virtuosi di coivolgimento della popolazione nel ricambio e controllo della classe dirigente: Se è previsto un cammino possibile di crescita e di responsabilità che permetta al cittadino d'intervenire sulle decisioni che riguardano il proprio destino . giovanni de sio cesari ha detto:

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Sandra ha scritto : Una società armoniosa...Come potrebbe essere? Forse è interessante anche per noi? per chi fosse eventualmente interessato Il regime attuale cinese contrappone al concetto di democrazia proveniente dall’Occidente quello di Società Armoniosa (in cinese pinyin: héxié shèhuì). Il concetto è stato elaborato dall precedente leader cinese Hu Jintao ed approvata nel corso del Congresso Nazionale del Popolo del 2005. Esso si pone come una concezione socio-economica che dovrebbe essere il risultato ultimo a cui la Cina dovrebbe guardare. Innanzitutto essa tende a costruire il “Xiaokang”, un stato di benessere economico diffuso in tutto il paese. Ma non si limitata alla sfera economica ma mira a estendersi a ogni aspetto della realtà sociale e instaurare una società in cui tutti i gruppi e gli individui cooperino tutti per il bene di tutti. Una specie di “utopia“ che prende il posto di quella marxiana di una società senza classi in cui, cadute le catene dell’egoismo tutti collaborino liberamente : ma la visione marxista si fondava sulla lotta di classe che nel maoismo si tradusse nell’odio di classe portato fino ad estremi parossistici. Ma poi disse Deng Xiaoping : se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati . Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizioni come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico. Ma in Cina il concetto di Società Armoniosa è stato soprattutto usato per interventi di censura perche alcune idee sono “cattive e dannose” e lo stato ha il dovere di intervenire: dal punto di vista economico il progresso economico è il bene e tutto quello che si oppone ad esso è il male: come conseguenza pratica si abbattono le casupole dei poveri per edificare i grattacieli di ricchi. La Società Armoniosa si configura secondo molti, come un ritorno a Confucio la cui figura in Cina, dopo la demonizzazione maoista conosce un crescendo di rivalutazione ed esaltazione: un ennesimo neo-confucianesimo quindi. Però pure su questo bisogna intendersi. Il confucianesimo si sostanzia nell’idea fondamentale che una società è prospera e felice se ciascuno svolge bene il suo compito: i governante governa, il soldato combatte, il contadino coltiva. i genitori si occupano dei figli e il figlio rispetta i genitori. Un mondo ordinato quindi, non conflittuale ne egualitario basato sull’etica del dovere. Confucio poi si riferisce ai compiti di ciascuno secondo lo spirito e gli usi dei tempi. Ora non si deve pensare che si voglia tornare ai compiti come delineati oltre duemila anni, ma solo che ciascuno deve svolgere il suo ruolo ma secondo il mondo moderno. Ad esempio la emancipazione delle donne, uno dei pochi meriti storici del comunismo cinese non è messa in discussione e nessuno ripropone il ruolo estremamente subalterno ed infelice delle donne della società agricola cinese. Pertanto il tradizionalismo cinese è molto diverso da quello islamico che invece vorrebbe ritornare a una società in cui doveri e diritti e funzioni fossero uguali a quelli di mille anni fa, cosi come stabiliti per sempre da Dio. Quindi la Società Armoniosa cinese è cosa diversa dal marxismo, dal liberismo dall’islamismo tradizionalista . E’ l’dea che lo stato deve e instaurare e mantenere l’armonia nello stato e combattere tutto quello che all’interno e all’esterno possa turbare quell’armonia: questo è stato sempre tradizionalmente il compito dello stato cinese, dell’imperatore che rischiava di essere travolto se non si dimostrava in grado di assolvere a questo compito. Il comunismo è crollato definitivamente dappertutto, l’islamismo fondamentalista pare senza prospettive, il liberismo occidentale pare in crisi come l’Occidente stesso : che forse il futuro del mondo sarà caratterizzato dalla Società Armoniosa? Nessuno può saperlo: ma io, come occidentale, mi auguro di no.

Risposto da Roberto Zanre' su 13 Novembre 2014 a 21:22 Esatto... e come classifichiamo questo sguardo così evidentemente distorto? Giampaolo Carboniero ha detto: No comment:

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Economia e politica nel mondo III - 2014

http://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_spesa_militare giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da giorgio varaldo su 13 Novembre 2014 a 22:38 la cina ha messo in servizio la prima portaerei la lianoning ex varjag ucraina e sta costruendo una nuova portaerei prevista per il 2018 e conta di mettere in servizio la prima portaerei nucleare entro il 2020. Sempre la marina cinese ha in servizio 6 sommergibili a propulsione nucleare tipo SSN e sta sviluppando una classe di sommergibili lanciamissili di prossima entrata in servizio le industrie aeronautiche stanno costruendo il nuovo aereo stealth (classe F35) e nel campo dei radar militari ha sviluppato tecnologie avanzatissime inoltre ha in servizio un esercito di 2.250.000 persone come faccia a far tutte ste cose con la somma citata da wikipedia è un mistero, è probabile che molte spese militari siano caricate sul bilancio di altri ministeri Giampaolo Carboniero ha detto: No comment: http://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_spesa_militare giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da giovanni de sio cesari su 13 Novembre 2014 a 23:14 Laura Parisi non è propriamente negativo perche crede che comunque la Cina ha fatto grandi progressi e che, anche se manca la liberta, i Cinesi non ne sentono la mancanza perche non l’hanno mai conosciuta. Si rende conto tra i primi che quello che si vede in Cina e che tanta abbaglia tanti intellettuali della gauche è, in realtà, solo una finzione. Celebre la sua definizione della Cina: un immenso seminario dove 700 milioni di persone studiano il pensiero di Mao sotto la guida di una gerarchia religiosa” Il primo pero che fa un’ analisi scientifica e approfondita della Rivoluzione cinese è Simon Leys, un sinologo belga che setaccia tutti i testi cinesi del tempo: attraverso essi comprende quello che poi tutti scopriranno in seguito ma che allora, per il clima generale, rimase praticamente quasi inascoltato: l’inganno dei Cento Fiori, la improvvisazione e la ignoranza, l’emarginazione sistematica di tecnici e intellettuali che portava inevitabilmente alla catastrofe, la lotta sotterranea nei vertici con intrighi degni della Città Proibita laura sgaravatto ha detto: http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/parise2.htm

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Risposto da giovanni de sio cesari su 13 Novembre 2014 a 23:18 laura sgaravatto ha detto: Cina e Tibet http://unacitta.it/newsite/intervista_stampa.asp?rifpag=homecosasuc... per chi fosse eventualmente interessato Sul Tibet sono fioriti due miti, uno in Occidente e uno in Cina. Quello occidentale tutto lo conosciamo ovviamente; il Tibet è il luogo della meditazione, dello spirito, della interiorità contrapposto alla vita frenetica, al business, al consumismo caratteristici dell’Occidente, una alternativa insomma spirituale ed ideale al quotidiano e prosaico mondo della produzione e dei beni materiali: potremmo dire, con Fromm, dell’”essere” rispetto all’”avere”. In Cina è fiorito invece un mito opposto: il Tibet rappresenta la superstizione, il feudalesimo, l’arretratezza: in sintesi: quello che la Cina era un tempo e che ora non vuole più essere. Gli avvenimenti in Tibet sono conseguentemente per gli Occidentali la repressione sanguinosa della liberta dei diritti umani, la oppressione di un popolo piccolo, illustre e pacifico di cui il Dalai Lama è il legittimo e massimo rappresentante. Per i Cinesi invece si tratta di manovre di una cricca di feudatari spodestati, che, presumibilmente appoggiati dai nemici della Cina, creano violenze e spargono terrore con falsi pretesti religiosi. Il sentimento dei cinesi è unanime, non è condizionato dalle diverse tendenze politiche: conservatori e innovatori possono discordare su tutto ma non sulla questione del Tibet. ( articolo intero : http://cronologia.leonardo.it/storia/mondiale/cina023.htm Dagli archivi risulterebbe che i servi non potevano uscire dalle terre che lavoravano, non potevano sposare al di fuori di esse, sarebbero insomma considerati solo degli strumenti di lavoro. Inoltre le pene per quelli che infrangevano le leggi o si ribellano erano crudeli e feroci. La proprietà delle terre era riservata a una classe di nobili e ai monasteri mentre i pastori e i contadini si trovavano in una durissima condizione servile La Cina comunista quindi rivendica il merito di aver liberato il popolo tibetano dalla oppressione dei pochi proprietari e insiste sul carattere classista della società tibetana e sul trattamento inumano e oppressivo a cui erano sottoposti i servi articolo intero:http://www.giovannidesio.it/it%20notizie%2010/100313%20tibet%20feud...

Risposto da giovanni de sio cesari su 13 Novembre 2014 a 23:21 Certo, Roberto chiarisco subito conpiacere Il concetto di armonia della società non implica quello di uguaglianza Nella Cina confuciana ( come in europa o nelle altre civilta) si intende che ognuno devo svolger il compito a cui è chiamato con coscienza dedizione ecc. dall’imperatore all’ ’ultimo contadino. Ci sono doveri diversi ( non diritti che è cosa recente) per uomini e donne,, soldati e contadini, figli e genitori ( concetti analoghi troviamo per es. in S. Paolo) Hu Jintao nel lancio dello slogan della Societa Armoniosa lo ha reso moderno, come dicevo presupponendo compiti e ruoli ben diversi da quelli confuciani: Rientra pero il conetto di Deng Xiaoping: se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo Quindi benvenuti i miliardari se hanno creato imprese che fanno progredire il popolo , sono gli eroi moderni cinesi ai quali viene anche offerto dei posti al Congresso del popolo ( come noi Agnelli fu fatto senatore) La cosa è complicata dal

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fatto che la Cina si ritiene comunque un paese comunista il cui fine è pur sempre la creazione di una società equalitaria: ma questo stadio viene rimandato a un futuro non precisato ne precisabile. Roberto Zanre' ha detto: Bel discorso, Giovanni. Non ho capito come facciano in Cina a far convivere il concetto di società armoniosa con le enormi differenze economiche, di benessere, di opportunità. Intuisco che per loro non vi sia contraddizione. Mi spieghi meglio, per favore?

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Novembre 2014 a 23:44 Preferisco una situazione dove sono gli Stati Uniti ad avere una spesa militare record rispetto ad una dove questo record fosse della CIna. Penso di non essere il solo. Giampaolo Carboniero ha detto: No comment: http://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_spesa_militare giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Novembre 2014 a 23:53 Giampaolo, non vedo cosa ci sia di illogico. Quando i nostri imprenditori vendono ai "ricchi cinesi" non fanno un favore a questi, fanno un favore a se stessi e ai loro operai. I nostri imprenditori non "trascurano" affatto i nostri mercati. Vendono dove c'è qualcuno disposto a comprare. Al momento da noi ci sono meno persone disposte a comprare. In ogni caso, la produzione italiana di beni e servizi va per un terzo in esportazioni e per due terzi al mercato interno. Chi "soddisfa i nostri mercati interni" non sono i ricchi cinesi, ma sono soprattutto i lavoratori cinesi con salari bassi. Ora che i salari in Cina stanno salendo, alcune imprese hanno cominciato a ritornare in Europa. Giampaolo Carboniero ha detto: Classico esempio del comportamento "tafazziano" dei nostri imprenditori; si arricchiranno esportando in Cina, migliorando la qualità di vita dei "ricchi" cinesi e trascurando del tutto i propri mercati interni; in un prossimo futuro, quando i "ricchi" cinesi cominceranno a soddisfare i nostri mercati interni, cosa faranno i nostri imprenditori?

Risposto da Fabio Colasanti su 14 Novembre 2014 a 0:05 Posto dei dati più recenti (2013) sulle spese militari per paese (quelle che qualcuno ha pubblicato prima erano del 2009).

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Visto chi sono i paesi al secondo, terzo e quarto posto (Cina, Russia e Arabia Saudita) e visto che l'Europa si rifiuta di spendere per la difesa, sono ancora più contento che gli Stati Uniti spendano quello che stanno spendendo. E, ripeto, sono sicuro di non essere il solo (ricordate la famosa dichiarazione di Berlinguer che si sentiva più sicuro nella Nato che nel Patto di Varsavia?). In ogni caso ci sono alcune incertezze sulle cifre. Posto due tabelle prodotte da istituti diversi.

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Risposto da giorgio varaldo su 14 Novembre 2014 a 0:37 la cina si sta dotando di portaerei SSN da attacco di SSBN lanciamissili di aerei stealth J20 (classe F35) di missili ICBM con testate MIRV dotate di più testare termonucleari a rientro in atmosfera indipendente (un missile puà colpire più obiettivi) manca per il momento una componente aerea da bombardamento pesante (B52, B1, B2) ma sulle riviste specializzate compaiono sempre più spesso notizie dello sviluppo di un bombardiere stealth classe LRS-B USA e del PAK-DA russo quindi è ipotizzabile che entro i prossimi 10-15 anni la cina assieme ed USA e russia possa dotarsi della triade (aerei da bombardamento missili ICBM e sottomarini SSBN) è difficile ipotizzare se e quando in termini di armamenti la cina potrà superare gli USA sicuramente entro pochi anni supererà la russia. Roberto Zanre' ha detto: Cioè vorresti dirmi che la Cina sta cercando di imitare gli USA? I quali hanno portaerei e sottomarini dappertutto e oltre 500 basi militari sparse per il mondo? Cioè la Cina sta in modo pallido cercando di imitare gli USA? :-) giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da Roberto Zanre' su 14 Novembre 2014 a 1:21 La Cina e' molto molto lontana dal livello di armamenti degli USA. Per adesso chi gira per il mondo a seminare guerre disastrose sono gli USA (solo recentemente Afghanistan, Iraq... e i risultati sono sotto gli occhi di tutti). Inoltre, quante basi militari ha la Cina sparse per il mondo? Gli USA, se non ricordo male, oltre 500. Forse un giorno la Cina diventerà "pericolosa" (cosa che ritengo molto improbabile. Se non altro la mentalità è molto diversa da quella aggressiva americana). Per adesso possiamo dire, con prove certe, che "pericolosi" sono gli USA. Per me gli USA possono fare quello che vogliono... mi basterebbe che andassero a mettere le loro basi lontano da casa mia. Risparmiami, caro Giorgio, la filastrocca sulla sicurezza che gli americani ci garantirebbero. Semplicemente la ritengo una filastrocca, alla quale ormai non crede quasi più nessuno. giorgio varaldo ha detto:

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la cina si sta dotando di portaerei SSN da attacco di SSBN lanciamissili di aerei stealth J20 (classe F35) di missili ICBM con testate MIRV dotate di più testare termonucleari a rientro in atmosfera indipendente (un missile puà colpire più obiettivi) manca per il momento una componente aerea da bombardamento pesante (B52, B1, B2) ma sulle riviste specializzate compaiono sempre più spesso notizie dello sviluppo di un bombardiere stealth classe LRS-B USA e del PAK-DA russo quindi è ipotizzabile che entro i prossimi 10-15 anni la cina assieme ed USA e russia possa dotarsi della triade (aerei da bombardamento missili ICBM e sottomarini SSBN) è difficile ipotizzare se e quando in termini di armamenti la cina potrà superare gli USA sicuramente entro pochi anni supererà la russia. Roberto Zanre' ha detto: Cioè vorresti dirmi che la Cina sta cercando di imitare gli USA? I quali hanno portaerei e sottomarini dappertutto e oltre 500 basi militari sparse per il mondo? Cioè la Cina sta in modo pallido cercando di imitare gli USA? :-) giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da Roberto Zanre' su 14 Novembre 2014 a 1:28 Da osservare che solo Francia, Regno Unito, Germania, Italia, insieme, spendono più della Russia: 200 contro 88 - oppure circa 70, a seconda dello studio. A dire il vero questa cifra (solo 4 paesi) e' superiore a quanto spende oggi la Cina. Fabio Colasanti ha detto: Posto dei dati più recenti (2013) sulle spese militari per paese (quelle che qualcuno ha pubblicato prima erano del 2009).

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Visto chi sono i paesi al secondo, terzo e quarto posto (Cina, Russia e Arabia Saudita) e visto che l'Europa si rifiuta di spendere per la difesa, sono ancora più contento che gli Stati Uniti spendano quello che stanno spendendo. E, ripeto, sono sicuro di non essere il solo (ricordate la famosa dichiarazione di Berlinguer che si sentiva più sicuro nella Nato che nel Patto di Varsavia?). In ogni caso ci sono alcune incertezze sulle cifre. Posto due tabelle prodotte da istituti diversi.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Novembre 2014 a 1:52 E lo fanno, naturalmente, per difendere i nostri interessi; non ti passa mai per la testa che è proprio la quantità della spesa militare USA a spingere altri ad armarsi? O dovrebbero pensare che gli USA lo fanno per "uso interno"? Fabio Colasanti ha detto: Posto dei dati più recenti (2013) sulle spese militari per paese (quelle che qualcuno ha pubblicato prima erano del 2009).

Visto chi sono i paesi al secondo, terzo e quarto posto (Cina, Russia e Arabia Saudita) e visto che l'Europa si rifiuta di spendere per la difesa, sono ancora più contento che gli Stati Uniti spendano quello che stanno spendendo. E, ripeto, sono sicuro di non essere il solo (ricordate la famosa dichiarazione di Berlinguer che si sentiva più sicuro nella Nato che nel Patto di Varsavia?). In ogni caso ci sono alcune incertezze sulle cifre. Posto due tabelle prodotte da istituti diversi.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Novembre 2014 a 1:54 E naturalmente, Giorgio, queste armi, dopo averle costruite, le metteranno in frigorifero per le prossime generazioni. giorgio varaldo ha detto:

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la cina si sta dotando di portaerei SSN da attacco di SSBN lanciamissili di aerei stealth J20 (classe F35) di missili ICBM con testate MIRV dotate di più testare termonucleari a rientro in atmosfera indipendente (un missile puà colpire più obiettivi) manca per il momento una componente aerea da bombardamento pesante (B52, B1, B2) ma sulle riviste specializzate compaiono sempre più spesso notizie dello sviluppo di un bombardiere stealth classe LRS-B USA e del PAK-DA russo quindi è ipotizzabile che entro i prossimi 10-15 anni la cina assieme ed USA e russia possa dotarsi della triade (aerei da bombardamento missili ICBM e sottomarini SSBN) è difficile ipotizzare se e quando in termini di armamenti la cina potrà superare gli USA sicuramente entro pochi anni supererà la russia. Roberto Zanre' ha detto: Cioè vorresti dirmi che la Cina sta cercando di imitare gli USA? I quali hanno portaerei e sottomarini dappertutto e oltre 500 basi militari sparse per il mondo? Cioè la Cina sta in modo pallido cercando di imitare gli USA? :-) giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Novembre 2014 a 1:56 Amory Lovins considera questa pazzesca corsa agli armamenti come un risultato indotto dall'esaurimento delle materie prime e dell'utilizzo dei combustibili fossili.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Novembre 2014 a 1:59 L'importante, per giustificare certe posizioni, è ragionare per compartimenti stagni, non in termini assoluti o per statistiche; se considerassimo la spesa pro capite per gli armamenti, la Cina sarebbe ben lontana dai primi posti della classifica; tanto per dimostrare che con le cifre si può giocare come si vuole e dimostrare quanto fa comodo. Roberto Zanre' ha detto: Da osservare che solo Francia, Regno Unito, Germania, Italia, insieme, spendono più della Russia: 200 contro 88 - oppure circa 70, a seconda dello studio. A dire il vero questa cifra (solo 4 paesi) e' superiore a quanto spende oggi la Cina. Fabio Colasanti ha detto: Posto dei dati più recenti (2013) sulle spese militari per paese (quelle che qualcuno ha pubblicato prima erano del 2009). Visto chi sono i paesi al secondo, terzo e quarto posto (Cina, Russia e Arabia Saudita) e visto che l'Europa si rifiuta di spendere per la difesa, sono ancora più contento che gli Stati Uniti spendano quello che stanno spendendo. E, ripeto, sono sicuro di non essere il solo (ricordate la famosa dichiarazione di Berlinguer che si sentiva più sicuro nella Nato che nel Patto di Varsavia?). In ogni caso ci sono alcune incertezze sulle cifre. Posto due tabelle prodotte da istituti diversi.

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Novembre 2014 a 2:10 Erano cifre "false" quelle di Wikipedia, ma ora sono diventate vere; mah, e poi sono io a essere prevenuto. giorgio varaldo ha detto: la cina si sta dotando di portaerei SSN da attacco di SSBN lanciamissili di aerei stealth J20 (classe F35) di missili ICBM con testate MIRV dotate di più testare termonucleari a rientro in atmosfera indipendente (un missile puà colpire più obiettivi) manca per il momento una componente aerea da bombardamento pesante (B52, B1, B2) ma sulle riviste specializzate compaiono sempre più spesso notizie dello sviluppo di un bombardiere stealth classe LRS-B USA e del PAK-DA russo quindi è ipotizzabile che entro i prossimi 10-15 anni la cina assieme ed USA e russia possa dotarsi della triade (aerei da bombardamento missili ICBM e sottomarini SSBN) è difficile ipotizzare se e quando in termini di armamenti la cina potrà superare gli USA sicuramente entro pochi anni supererà la russia. Roberto Zanre' ha detto: Cioè vorresti dirmi che la Cina sta cercando di imitare gli USA? I quali hanno portaerei e sottomarini dappertutto e oltre 500 basi militari sparse per il mondo? Cioè la Cina sta in modo pallido cercando di imitare gli USA? :-) giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Novembre 2014 a 3:14 Grazie Laura. laura sgaravatto ha detto: http://www.scenarieconomici.com/images/stories/2014%2004%2004%20DB%...

Risposto da giorgio varaldo su 14 Novembre 2014 a 8:59 speriamo tutti che le armi siano come le assicurazioni sugli incidenti , si pagano si fanno e ci si augura di non averne mai bisogno. un invito a ragionare non solo in termini di valore assoluto bensì di trend (variazioni) ed in questi ultimi anni mentre USA ed europa diminuiscono le spese militari l'oriente sia medio che estremo le aumenta. Giampaolo Carboniero ha detto: E naturalmente, Giorgio, queste armi, dopo averle costruite, le metteranno in frigorifero per le prossime generazioni. giorgio varaldo ha detto: la cina si sta dotando di portaerei SSN da attacco di SSBN lanciamissili di aerei stealth J20 (classe F35) di missili ICBM con testate MIRV dotate di più testare termonucleari a rientro in atmosfera indipendente (un missile puà colpire più obiettivi) manca per il momento una componente aerea da bombardamento pesante (B52, B1, B2) ma sulle riviste specializzate compaiono sempre più spesso notizie dello sviluppo di un bombardiere stealth classe LRS-B USA e del PAK-DA russo

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quindi è ipotizzabile che entro i prossimi 10-15 anni la cina assieme ed USA e russia possa dotarsi della triade (aerei da bombardamento missili ICBM e sottomarini SSBN) è difficile ipotizzare se e quando in termini di armamenti la cina potrà superare gli USA sicuramente entro pochi anni supererà la russia. Roberto Zanre' ha detto: Cioè vorresti dirmi che la Cina sta cercando di imitare gli USA? I quali hanno portaerei e sottomarini dappertutto e oltre 500 basi militari sparse per il mondo? Cioè la Cina sta in modo pallido cercando di imitare gli USA? :-) giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da Roberto Zanre' su 14 Novembre 2014 a 9:01 Tra l'altro, quello che osservo e' un perfetto esempio di come I NUMERI non sempre costituiscano la base dei ragionamenti. A volte si', a volte no. Questi istogrammi sono talmente evidenti - come lo e' la storia contemporanea - che non lasciano dubbi su chi stia esercitando una politica militare espansiva e "occupante". In questo caso però deve funzionare l'interpretazione. In altri casi i numeri invece non possono lasciare spazio alle interpretazioni :-) La realtà è che sempre ogni dato, numero, eccetera, dice alcune cose e non altre... Inoltre sempre noi costruiamo dati per "dimostrare" quello che vogliamo e, ancora più spesso, interpretiamo i dati tramite il filtro della nostra ideologia, oppure cultura, oppure sensibilità :-) Roberto Zanre' ha detto: Da osservare che solo Francia, Regno Unito, Germania, Italia, insieme, spendono più della Russia: 200 contro 88 - oppure circa 70, a seconda dello studio. A dire il vero questa cifra (solo 4 paesi) e' superiore a quanto spende oggi la Cina. Fabio Colasanti ha detto: Posto dei dati più recenti (2013) sulle spese militari per paese (quelle che qualcuno ha pubblicato prima erano del 2009). Visto chi sono i paesi al secondo, terzo e quarto posto (Cina, Russia e Arabia Saudita) e visto che l'Europa si rifiuta di spendere per la difesa, sono ancora più contento che gli Stati Uniti spendano quello che stanno spendendo. E, ripeto, sono sicuro di non essere il solo (ricordate la famosa dichiarazione di Berlinguer che si sentiva più sicuro nella Nato che nel Patto di Varsavia?). In ogni caso ci sono alcune incertezze sulle cifre. Posto due tabelle prodotte da istituti diversi.

Risposto da Fabio Colasanti su 14 Novembre 2014 a 9:03 Giampaolo, qual'è la rilevanza delle cifre per le spese militari per abitante? Che importanza ha che dietro le portaerei di un paese ci siano trecento milioni di abitanti con un'alta spesa pro-capite o mille e trecento milioni di abitanti con una spesa pro capite più bassa?

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Giampaolo Carboniero ha detto: L'importante, per giustificare certe posizioni, è ragionare per compartimenti stagni, non in termini assoluti o per statistiche; se considerassimo la spesa pro capite per gli armamenti, la Cina sarebbe ben lontana dai primi posti della classifica; tanto per dimostrare che con le cifre si può giocare come si vuole e dimostrare quanto fa comodo.

Risposto da giorgio varaldo su 14 Novembre 2014 a 9:41 roberto anche a te l'invito di ragionare in termini di variazioni . che la cina sia lontana dagli USA dipende anche dalla storia :negli anni della rivoluzione culturale la cina non era in grado di costruire neanche pedalò oggi è in grado di costruire portarerei e sommergibili a propulsione nucleare missili ICBM ed aerei stealth. come ci ricorda giovanni la cina non ha tradizioni imperialiste ma rispetto al passato non è autosufficiente in campo alimentare quindi l'aumento delle spese militari è anche funzione di assicurare gli approvvigionamenti dall'africa ed il cambio di modello di marina verso task forces basate su portaerei ne è la riprova. per il momento non c'è necessità ma in uno scenario futuro in ipotetico madagascar che voglia rinegoziare il proprio rapporto con la cina magari in seguito a cambio di linea politica è facile prevedere possa esser teatro di intervento militare cinese . e sempre citando l'esperienza sinologa dell'amico giovanni la mentalità cinese non prevede la sconfitta bensì l'annientamento del nemico. l'attuale differenza di armamenti fra cina ed USA non deve trarre in inganno. e sempre riguardo alla cina riporto l'esperienza di un ex collega (io non ho mai seguito quel mercato quindi non ho esperienze dirette) che è stato uno dei primi occidentali a visitare le zone industriali della manciuria : in una grande miniera di bauxite negli anni 80 la frantumazione della roccia era fatta a mano con martello e cesta di vimini da decine di migliaia di omini e donnine cinesi ed a distanza di venti anni da mega impianti completamente meccanizzati. ed al posto della giunca di ieri oggi vi sono portaerei e sommergibili nucleari... domani? Roberto Zanre' ha detto: La Cina e' molto molto lontana dal livello di armamenti degli USA. Per adesso chi gira per il mondo a seminare guerre disastrose sono gli USA (solo recentemente Afghanistan, Iraq... e i risultati sono sotto gli occhi di tutti). Inoltre, quante basi militari ha la Cina sparse per il mondo? Gli USA, se non ricordo male, oltre 500. Forse un giorno la Cina diventerà "pericolosa" (cosa che ritengo molto improbabile. Se non altro la mentalità è molto diversa da quella aggressiva americana). Per adesso possiamo dire, con prove certe, che "pericolosi" sono gli USA. Per me gli USA possono fare quello che vogliono... mi basterebbe che andassero a mettere le loro basi lontano da casa mia. Risparmiami, caro Giorgio, la filastrocca sulla sicurezza che gli americani ci garantirebbero. Semplicemente la ritengo una filastrocca, alla quale ormai non crede quasi più nessuno. giorgio varaldo ha detto: la cina si sta dotando di portaerei SSN da attacco di SSBN lanciamissili di aerei stealth J20 (classe F35) di missili ICBM con testate MIRV dotate di più testare termonucleari a rientro in atmosfera indipendente (un missile puà colpire più obiettivi) manca per il momento una componente aerea da bombardamento pesante (B52, B1, B2) ma sulle riviste specializzate compaiono sempre più spesso notizie dello sviluppo di un bombardiere stealth classe LRS-B USA e del PAK-DA russo quindi è ipotizzabile che entro i prossimi 10-15 anni la cina assieme ed USA e russia possa dotarsi della triade (aerei da bombardamento missili ICBM e sottomarini SSBN) è difficile ipotizzare se e quando in termini di armamenti la cina potrà superare gli USA sicuramente entro pochi anni supererà la russia. Roberto Zanre' ha detto: Cioè vorresti dirmi che la Cina sta cercando di imitare gli USA? I quali hanno portaerei e sottomarini dappertutto e oltre 500 basi militari sparse per il mondo? Cioè la Cina sta in modo pallido cercando di imitare gli USA? :-)

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giorgio varaldo ha detto: La cina sta facendo enormi investimenti militari : la marina militare si sta dotando di portaerei oceaniche e l'aeronautica di aerei stealth. E questo tipo di armamenti di impostazione offensiva serve per conquistare il controllo dei mari. Questa corsa agli armamenti ha provocato la risposta di corea del sud e giappone ed anche in questi stati si assiste a forti aumenti di spesa per armamenti.

Risposto da giovanni de sio cesari su 14 Novembre 2014 a 13:29 Roberto, Certo bisogna sempre prima capire a cosa effettivamente si riferiscano le cifre e poi vanno interpretate scorporando, confrontando valutando. Non ho idea sull’argomento specifico. Noterei solo una cosa: l’armata popolare di liberazione, per motivi storici, cercava di procurarsi direttamente il necessario (si voleva evitare le requisizioni sui contadini, la tragedia di ogni guerra antica). Quindi aveva una sua attività economica che andava al di la delle cose militari. Quando cominciò lo sviluppo con le riforme di Deng Xiaoping allora anche l’economia dell’armata ebbe il suo boom: in pratica gli ufficiali diventavano manager di industrie, esercizi commerciali alberghi e centri vacanze. Con Jiang Zemin invece si limito le attività extra dei militari e si affermo il principio universale che l’esercito è mantenuto dallo stato. Non so pero fino a che punto questa riforma sia stata effettivamente realizzata. Potrebbe darsi che i conti della armata nascondino in parte questa peculiarità cinese. chi sa. Bisogna pur tener presente che tutto quello che riguarda la Cina è sempre dubbio perche le autorità mantengono un controllo molto stretto e capillare su ogni tipo di informazione. Per esempio L’attuale premier Xi Jimping spari per 15 giorni prima di essere nominato: nessuno sa che successe in quei giorni. Roberto Zanre' ha detto: Tra l'altro, quello che osservo e' un perfetto esempio di come I NUMERI non sempre costituiscano la base dei ragionamenti. A volte si', a volte no. Questi istogrammi sono talmente evidenti - come lo e' la storia contemporanea - che non lasciano dubbi su chi stia esercitando una politica militare espansiva e "occupante". In questo caso però deve funzionare l'interpretazione. In altri casi i numeri invece non possono lasciare spazio alle interpretazioni :-) La realtà è che sempre ogni dato, numero, eccetera, dice alcune cose e non altre... Inoltre sempre noi costruiamo dati per "dimostrare" quello che vogliamo e, ancora più spesso, interpretiamo i dati tramite il filtro della nostra ideologia, oppure cultura, oppure sensibilità :-)

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Novembre 2014 a 17:41 Le considero rilevanti per giudicare se un'economia è o meno, o quanto, fondata sull'industria degli armamenti. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, qual'è la rilevanza delle cifre per le spese militari per abitante? Che importanza ha che dietro le portaerei di un paese ci siano trecento milioni di abitanti con un'alta spesa pro-capite o mille e trecento milioni di abitanti con una spesa pro capite più bassa? Giampaolo Carboniero ha detto: L'importante, per giustificare certe posizioni, è ragionare per compartimenti stagni, non in termini assoluti o per statistiche; se considerassimo la spesa pro capite per gli armamenti, la Cina sarebbe ben lontana dai primi posti della classifica; tanto per dimostrare che con le cifre si può giocare come si vuole e dimostrare quanto fa comodo.

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Risposto da Roberto Zanre' su 14 Novembre 2014 a 18:09 Giorgio, ti avevo fatto una domanda. Questa: vuoi dire che la Cina aspira a fare quello che hanno fatto gli USA per oltre 50 anni? Mi pareva che giudicaste "pericolosa" la Cina... gli argomenti sono tutti futuribili... e comunque li abbiamo già visti all'opera con la politica estera statunitense. Felice che quel tipo di politica venga giudicata "pericolosa". È quello che sostengo da molto tempo :-) Non sono un ingenuo... semplicemente colgo in fretta le contraddizioni :-) giorgio varaldo ha detto: roberto anche a te l'invito di ragionare in termini di variazioni . che la cina sia lontana dagli USA dipende anche dalla storia :negli anni della rivoluzione culturale la cina non era in grado di costruire neanche pedalò oggi è in grado di costruire portarerei e sommergibili a propulsione nucleare missili ICBM ed aerei stealth. come ci ricorda giovanni la cina non ha tradizioni imperialiste ma rispetto al passato non è autosufficiente in campo alimentare quindi l'aumento delle spese militari è anche funzione di assicurare gli approvvigionamenti dall'africa ed il cambio di modello di marina verso task forces basate su portaerei ne è la riprova. per il momento non c'è necessità ma in uno scenario futuro in ipotetico madagascar che voglia rinegoziare il proprio rapporto con la cina magari in seguito a cambio di linea politica è facile prevedere possa esser teatro di intervento militare cinese . e sempre citando l'esperienza sinologa dell'amico giovanni la mentalità cinese non prevede la sconfitta bensì l'annientamento del nemico. l'attuale differenza di armamenti fra cina ed USA non deve trarre in inganno. e sempre riguardo alla cina riporto l'esperienza di un ex collega (io non ho mai seguito quel mercato quindi non ho esperienze dirette) che è stato uno dei primi occidentali a visitare le zone industriali della manciuria : in una grande miniera di bauxite negli anni 80 la frantumazione della roccia era fatta a mano con martello e cesta di vimini da decine di migliaia di omini e donnine cinesi ed a distanza di venti anni da mega impianti completamente meccanizzati. ed al posto della giunca di ieri oggi vi sono portaerei e sommergibili nucleari... domani? Roberto Zanre' ha detto: La Cina e' molto molto lontana dal livello di armamenti degli USA. Per adesso chi gira per il mondo a seminare guerre disastrose sono gli USA (solo recentemente Afghanistan, Iraq... e i risultati sono sotto gli occhi di tutti). Inoltre, quante basi militari ha la Cina sparse per il mondo? Gli USA, se non ricordo male, oltre 500. Forse un giorno la Cina diventerà "pericolosa" (cosa che ritengo molto improbabile. Se non altro la mentalità è molto diversa da quella aggressiva americana). Per adesso possiamo dire, con prove certe, che "pericolosi" sono gli USA. Per me gli USA possono fare quello che vogliono... mi basterebbe che andassero a mettere le loro basi lontano da casa mia. Risparmiami, caro Giorgio, la filastrocca sulla sicurezza che gli americani ci garantirebbero. Semplicemente la ritengo una filastrocca, alla quale ormai non crede quasi più nessuno. giorgio varaldo ha detto: la cina si sta dotando di portaerei SSN da attacco di SSBN lanciamissili di aerei stealth J20 (classe F35) di missili ICBM con testate MIRV dotate di più testare termonucleari a rientro in atmosfera indipendente (un missile puà colpire più obiettivi) manca per il momento una componente aerea da bombardamento pesante (B52, B1, B2) ma sulle riviste specializzate compaiono sempre più spesso notizie dello sviluppo di un bombardiere stealth classe LRS-B USA e del PAK-DA russo quindi è ipotizzabile che entro i prossimi 10-15 anni la cina assieme ed USA e russia possa dotarsi della triade (aerei da bombardamento missili ICBM e sottomarini SSBN) è difficile ipotizzare se e quando in termini di armamenti la cina potrà superare gli USA sicuramente entro pochi anni supererà la russia.

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 Novembre 2014 a 19:42 Danni, economici e ambientali, dovuti all'errato, primitivo e semplicistico intervento dell'uomo con la vista corta e incapace di guardare al futuro http://www.treehugger.com/sustainable-agriculture/area-fertile-land...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Novembre 2014 a 13:57 Una goccia più una goccia... Allegati:

Politica nel Mondo - Avaaz - Dal clima a Monsanto_ stiamo vincendo..pdf, 92 KB

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Novembre 2014 a 15:50 http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2014/11/15/erdogan-ame... Sapevo che l'ammiraglio cinese Zheng He era nato in una famiglia mussulmana e che aveva viaggiato fino all'oceano indiano e all'Africa orientale, ma questa dei navigatori mussulmani arrivati a Cuba nel dodicesimo secolo non la conoscevo. So che alcuni affermano di viaggi regolari dall'Africa alle Americhe prima di Colombo e che anche navigatori arabi sarebbero partiti dalla penisola iberica verso le Americhe nel dodicesimo e tredicesimo secolo. Ma che prove abbiamo di questi viaggi? Forse Giovanni potrà aiutarci.

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Novembre 2014 a 15:51 Giampaolo, ma allora non è tutto nero ! Gli stati stanno facendo qualcosa per lottare contro il riscaldamento globale. Perfino gli Stati Uniti stanno facendo qualcosa. Giampaolo Carboniero ha detto: Una goccia più una goccia...

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Novembre 2014 a 17:43 Sandra, Giovanni ti risponderà sul fondo. Ma l'analogia con la torta è sbagliata. Da due secoli e mezzo l'aumento della torta è spettacolare. Nel periodo dopo la seconda guerra mondiale abbiamo avuto forti aumenti della torta. Oggi ci preoccupiamo - giustamente - perché la torta sta crescendo molto meno che nel passato. Ma da due secoli e mezzo la torta è sempre andata aumentando e nessuno prevede che smetta di crescere. Ci sono diverse correnti di pensiero su quanto rapidamente potrà crescere nei prossimi decenni, ma nemmeno i più pessimisti parlano di un arresto della sua crescita. Non farti fuorviare dal caso dell'Italia in questo momento, siamo un'anomalia nel panorama economico mondiale. Sandra Del Fabro ha detto:

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"se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati. Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizione come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico." Riporto questo stralcio dalla presentazione che Giovanni fa della "Società Armoniosa" cinese. Per commentare quanto illusoria sia l'idea che l'arricchimento di alcuni comporti un aiuto per gli altri, se di una torta per dieci dai a cinque persone una fetta grande, è evidente che le altre avranno una fettina minuscola. Come si è rivelata illusoria l'idea di lasciar agire il mercato in Occidente, come è sotto gli occhi di tutti.

Risposto da giovanni de sio cesari su 16 Novembre 2014 a 18:18 Fabio Che gli islamici di Spagna o Marocco abbiano scoperto l’America è una diceria molto diffusa nel mondo arabo ma è priva di qualsiasi base: forse sarebbe stato pure possibile ma non si capirebbe perche mai la notizia non sarebbe stata poi riportata. per quanto riguarda Zheng He : Un ex ufficiale di marina americano,Gavin Menzies, ha nel 2002 sostenuto in articoli vari e in un libro dal titolo," 1421: The Year China Discovered the World " che Zheng He avrebbe anche raggiunto e esplorato l’America: si ipotizza pure che una carta di Zeng He sia arrivata, a mezzo di mercanti italiani, fino a Portoghesi che si sarebbero basati quindi su queste notizie per i propri viaggi. La affermazione si basa su un mappamondo cinese ritenuto dell’ epoca di Zheng He nel quale appare anche il disegno delle coste americane . La tesi non solo non ha alcun fondamento ma appare assolutamente assurda ed è stata rigettata da tutti gli esperti, sia europei che Cinesi , ed è veramente sorprendente che abbia ricevuta tanta attenzione. Innanzitutto il mappamondo è una evidente copia cinese del 700 di una carta europea: appare addirittura la dicitura “america” che secondo l’autore sarebbe stata aggiunta in seguito. Appaiono chiaramente i contorni di tutto il continente americano cosa assolutamente inconcepibile anche se Zheng He avesse veramente, come ipotizza il fantasioso autore, oltrepassato il Capo di Buona Speranza e raggiunto in qualche punto il continente americano. D’altra parte, un resoconto di tutte le terre visitate fu redatto da un apposito incaricato , Ma Huan, (che parlava anche l’arabo) e non si vede perchè questi avrebbe dovuto tacere di una scoperta cosi importante. A parte tutto però la scoperta dell’America contraddicerebbe proprio il senso dei viaggi di Zheng He: i Cinesi non intendevano affatto scoprire nuove terre ma stabilire una egemonia sulle terre gia conosciute: se avessero voluto scoprire nuove terre non si sarebbero dirette verso occidente ma ad est inoltrandosi nell’Oceano Pacifico: in questo caso di terre ne avrebbero scoperte tante e avrebbero prima o dopo raggiunto anche le Americhe. Ma i Cinesi non erano interessati al mondo al di la della Cina che, secondo la loro concezione, non poteva avere nulla di interessante Nota Zengh He è un titolo onorifico, si chiamava Ma Ho era un Hui cioe un mussulmano cinese. Quando sei stato a Xi’an avrai certamente visitato il caratteristico quartiere degli Hui , con le loro moschee in stile cinese. il pittoresco mercato simile a suk Gli Hui attualmente sono considerati una minoranza etnica anche se non lo sono affatto perche si tratta di Han ( cinesi propriamente detti) Molti Hui sono emigrati poi in Tibet su incoraggiamento del governo, presumo, per essere cinesi del tutto alieni da suggestioni buddiste Fabio Colasanti ha detto: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2014/11/15/erdogan-ame... Sapevo che l'ammiraglio cinese Zheng He era nato in una famiglia mussulmana e che aveva viaggiato fino all'oceano indiano e all'Africa orientale, ma questa dei navigatori mussulmani arrivati a Cuba nel dodicesimo secolo non la conoscevo. So che alcuni affermano di viaggi regolari dall'Africa alle Americhe prima di Colombo e che anche navigatori arabi sarebbero partiti dalla penisola iberica verso le Americhe nel dodicesimo e tredicesimo secolo. Ma che prove abbiamo di questi viaggi? Forse Giovanni potrà aiutarci.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 16 Novembre 2014 a 19:06 Sandra Una precisazione: riportare punti di vista poco noti della Cina non significa condividerli Nel merito : dicono che in Cina ci sono 200 milioni di ricchi .che significa, presumo, persone che hanno un livello di vita paragonabile a quello occidentale: sono piu di qualche anno fa e meno di quanto saranno fra qualche anno: e comunque infinitamente piu di quanti ce ne erano ai tempi di Mao . Quello che diceva Deng quindi fino ad ora si è avverato. Dicono tutti gli osservatori che fino a che il trend continuerà il regime reggerà Sandra Del Fabro ha detto: "se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati. Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizione come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico." Riporto questo stralcio dalla presentazione che Giovanni fa della "Società Armoniosa" cinese. Per commentare quanto illusoria sia l'idea che l'arricchimento di alcuni comporti un aiuto per gli altri, se di una torta per dieci dai a cinque persone una fetta grande, è evidente che le altre avranno una fettina minuscola. Come si è rivelata illusoria l'idea di lasciar agire il mercato in Occidente, come è sotto gli occhi di tutti. giovanni de sio cesari ha detto: Sandra ha scritto : Una società armoniosa...Come potrebbe essere? Forse è interessante anche per noi? per chi fosse eventualmente interessato Il regime attuale cinese contrappone al concetto di democrazia proveniente dall’Occidente quello di Società Armoniosa (in cinese pinyin: héxié shèhuì). Il concetto è stato elaborato dall precedente leader cinese Hu Jintao ed approvata nel corso del Congresso Nazionale del Popolo del 2005. Esso si pone come una concezione socio-economica che dovrebbe essere il risultato ultimo a cui la Cina dovrebbe guardare. Innanzitutto essa tende a costruire il “Xiaokang”, un stato di benessere economico diffuso in tutto il paese. Ma non si limitata alla sfera economica ma mira a estendersi a ogni aspetto della realtà sociale e instaurare una società in cui tutti i gruppi e gli individui cooperino tutti per il bene di tutti. Una specie di “utopia“ che prende il posto di quella marxiana di una società senza classi in cui, cadute le catene dell’egoismo tutti collaborino liberamente : ma la visione marxista si fondava sulla lotta di classe che nel maoismo si tradusse nell’odio di classe portato fino ad estremi parossistici. Ma poi disse Deng Xiaoping : se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati . Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizioni come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico. Ma in Cina il concetto di Società Armoniosa è stato soprattutto usato per interventi di censura perche alcune idee sono “cattive e dannose” e lo stato ha il dovere di intervenire: dal punto di vista economico il progresso economico è il bene e tutto quello che si oppone ad esso è il male: come conseguenza pratica si abbattono le casupole dei poveri per edificare i grattacieli di ricchi. La Società Armoniosa si configura secondo molti, come un ritorno a Confucio la cui figura in Cina, dopo la demonizzazione maoista conosce un crescendo di rivalutazione ed esaltazione: un ennesimo neo-confucianesimo quindi. Però pure su questo bisogna intendersi. Il confucianesimo si sostanzia nell’idea fondamentale che una società è prospera e felice se ciascuno svolge bene il suo compito: i governante governa, il soldato combatte, il contadino coltiva. i genitori si occupano dei figli e il figlio rispetta i genitori. Un mondo ordinato quindi, non conflittuale ne egualitario basato sull’etica del dovere. Confucio poi si riferisce ai compiti di ciascuno secondo lo spirito e gli usi dei

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tempi. Ora non si deve pensare che si voglia tornare ai compiti come delineati oltre duemila anni, ma solo che ciascuno deve svolgere il suo ruolo ma secondo il mondo moderno. Ad esempio la emancipazione delle donne, uno dei pochi meriti storici del comunismo cinese non è messa in discussione e nessuno ripropone il ruolo estremamente subalterno ed infelice delle donne della società agricola cinese. Pertanto il tradizionalismo cinese è molto diverso da quello islamico che invece vorrebbe ritornare a una società in cui doveri e diritti e funzioni fossero uguali a quelli di mille anni fa, cosi come stabiliti per sempre da Dio. Quindi la Società Armoniosa cinese è cosa diversa dal marxismo, dal liberismo dall’islamismo tradizionalista . E’ l’dea che lo stato deve e instaurare e mantenere l’armonia nello stato e combattere tutto quello che all’interno e all’esterno possa turbare quell’armonia: questo è stato sempre tradizionalmente il compito dello stato cinese, dell’imperatore che rischiava di essere travolto se non si dimostrava in grado di assolvere a questo compito. Il comunismo è crollato definitivamente dappertutto, l’islamismo fondamentalista pare senza prospettive, il liberismo occidentale pare in crisi come l’Occidente stesso : che forse il futuro del mondo sarà caratterizzato dalla Società Armoniosa? Nessuno può saperlo: ma io, come occidentale, mi auguro di no.

Risposto da giorgio varaldo su 16 Novembre 2014 a 19:06 visto che si parla di cina un dato forse utile per capire cosa sia diventata in pochi decenni la cina attuale nei primi 8 mesi del 2014 la produzione di acciaio in cina è stata di 550 Mt (milioni di tonnellate) e nel resto del mondo (europa, CSI, americhe, africa asia cina esclusa ed oceania) di 545 Mt. se si pensa che ai tempi del grande balzo in avanti era di poche decine di migliaia di tonnellata all'anno sino a ridursi praticamente a zero durante la rivoluzione culturale la società armoniosa ha ottenuto successi allora inimmaginabili.

Risposto da giorgio varaldo su 16 Novembre 2014 a 19:43 coalizione anti ISIS l'italia invia 4 tornado in kuwait http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2014/11/16/isis-italia-invia-... questi aerei dovrebbero appartenere al 150 mo stormo di piacenza ed essere del tipo IDS/ECR specializzati in ricognizione e guerra elettronica.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Novembre 2014 a 20:23 Sandra, è lo stesso paradigma dei liberisti occidentali, coniugato nell'armonioso politichese della nomenklatura cinese;anche da noi si chiede di far pagare meno tasse airicchi, così, poi, possono far arricchire anche gli altri ( Campa cavallo, si dice dalle mie parti; un po' come il detto "stai sereno"). Sandra Del Fabro ha detto: "se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati. Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizione come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico."

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Riporto questo stralcio dalla presentazione che Giovanni fa della "Società Armoniosa" cinese. Per commentare quanto illusoria sia l'idea che l'arricchimento di alcuni comporti un aiuto per gli altri, se di una torta per dieci dai a cinque persone una fetta grande, è evidente che le altre avranno una fettina minuscola. Come si è rivelata illusoria l'idea di lasciar agire il mercato in Occidente, come è sotto gli occhi di tutti. giovanni de sio cesari ha detto: Sandra ha scritto : Una società armoniosa...Come potrebbe essere? Forse è interessante anche per noi? per chi fosse eventualmente interessato Il regime attuale cinese contrappone al concetto di democrazia proveniente dall’Occidente quello di Società Armoniosa (in cinese pinyin: héxié shèhuì). Il concetto è stato elaborato dall precedente leader cinese Hu Jintao ed approvata nel corso del Congresso Nazionale del Popolo del 2005. Esso si pone come una concezione socio-economica che dovrebbe essere il risultato ultimo a cui la Cina dovrebbe guardare. Innanzitutto essa tende a costruire il “Xiaokang”, un stato di benessere economico diffuso in tutto il paese. Ma non si limitata alla sfera economica ma mira a estendersi a ogni aspetto della realtà sociale e instaurare una società in cui tutti i gruppi e gli individui cooperino tutti per il bene di tutti. Una specie di “utopia“ che prende il posto di quella marxiana di una società senza classi in cui, cadute le catene dell’egoismo tutti collaborino liberamente : ma la visione marxista si fondava sulla lotta di classe che nel maoismo si tradusse nell’odio d i classe portato fino ad estremi parossistici. Ma poi disse Deng Xiaoping : se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati . Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizioni come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico. Ma in Cina il concetto di Società Armoniosa è stato soprattutto usato per interventi di censura perche alcune idee sono “cattive e dannose” e lo stato ha il dovere di intervenire: dal punto di vista economico il progresso economico è il bene e tutto quello che si oppone ad esso è il male: come conseguenza pratica si abbattono le casupole dei poveri per edificare i grattacieli di ricchi. La Società Armoniosa si configura secondo molti, come un ritorno a Confucio la cui figura in Cina, dopo la demonizzazione maoista conosce un crescendo di rivalutazione ed esaltazione: un ennesimo neo-confucianesimo quindi. Però pure su questo bisogna intendersi. Il confucianesimo si sostanzia nell’idea fondamentale che una società è prospera e felice se ciascuno svolge bene il suo compito: i governante governa, il soldato combatte, il contadino coltiva. i genitori si occupano dei figli e il figlio rispetta i genitori. Un mondo ordinato quindi, non conflittuale ne egualitario basato sull’etica del dovere. Confucio poi si riferisce ai compiti di ciascuno secondo lo spirito e gli usi dei tempi. Ora non si deve pensare che si voglia tornare ai compiti come delineati oltre duemila anni, ma solo che ciascuno deve svolgere il suo ruolo ma secondo il mondo moderno. Ad esempio la emancipazione delle donne, uno dei pochi meriti storici del comunismo cinese non è messa in discussione e nessuno ripropone il ruolo estremamente subalterno ed infelice delle donne della società agricola cinese. Pertanto il tradizionalismo cinese è molto diverso da quello islamico che invece vorrebbe ritornare a una società in cui doveri e diritti e funzioni fossero uguali a quelli di mille anni fa, cosi come stabiliti per sempre da Dio. Quindi la Società Armoniosa cinese è cosa diversa dal marxismo, dal liberismo dall’islamismo tradizionalista . E’ l’dea che lo stato deve e instaurare e mantenere l’armonia nello stato e combattere tutto quello che all’interno e all’esterno possa turbare quell’armonia: questo è stato sempre tradizionalmente il compito dello stato cinese, dell’imperatore che rischiava di essere travolto se non si dimostrava in grado di assolvere a questo compito. Il comunismo è crollato definitivamente dappertutto, l’islamismo fondamentalista pare senza prospettive, il liberismo occidentale pare in crisi come l’Occidente stesso : che forse il futuro del mondo sarà caratterizzato dalla Società Armoniosa? Nessuno può saperlo: ma io, come occidentale, mi auguro di no.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Novembre 2014 a 20:29

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Ma dopo due secoli e mezzo la natura sta cominciando a presentarci il conto; solo una cecità interessata può illudersi, e illudere, che si possa continuare con questo "tipo di sviluppo", come se in questi decenni non avessimo imparato niente. I campanelli d'allarme continuano a suonare, inscoltati a quanto pare. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, Giovanni ti risponderà sul fondo. Ma l'analogia con la torta è sbagliata. Da due secoli e mezzo l'aumento della torta è spettacolare. Nel periodo dopo la seconda guerra mondiale abbiamo avuto forti aumenti della torta. Oggi ci preoccupiamo - giustamente - perché la torta sta crescendo molto meno che nel passato. Ma da due secoli e mezzo la torta è sempre andata aumentando e nessuno prevede che smetta di crescere. Ci sono diverse correnti di pensiero su quanto rapidamente potrà crescere nei prossimi decenni, ma nemmeno i più pessimisti parlano di un arresto della sua crescita. Non farti fuorviare dal caso dell'Italia in questo momento, siamo un'anomalia nel panorama economico mondiale. Sandra Del Fabro ha detto: "se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati. Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizione come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico." Riporto questo stralcio dalla presentazione che Giovanni fa della "Società Armoniosa" cinese. Per commentare quanto illusoria sia l'idea che l'arricchimento di alcuni comporti un aiuto per gli altri, se di una torta per dieci dai a cinque persone una fetta grande, è evidente che le altre avranno una fettina minuscola. Come si è rivelata illusoria l'idea di lasciar agire il mercato in Occidente, come è sotto gli occhi di tutti.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Novembre 2014 a 20:31 Sandra, selezione "economica" non naturale. Sandra Del Fabro ha detto: Immagino che questo ritorno in Europa lo interpreti come un buon esempio di autoregolamentazione del mercato, dopo aver fatto soffrire gente da noi e da loro (disoccupazione qui, sfruttamento là), mi sembra assomigli a un principio naturale dove esiste la selezione naturale ma che sia così' poco umano Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, non vedo cosa ci sia di illogico. Quando i nostri imprenditori vendono ai "ricchi cinesi" non fanno un favore a questi, fanno un favore a se stessi e ai loro operai. I nostri imprenditori non "trascurano" affatto i nostri mercati. Vendono dove c'è qualcuno disposto a comprare. Al momento da noi ci sono meno persone disposte a comprare. In ogni caso, la produzione italiana di beni e servizi va per un terzo in esportazioni e per due terzi al mercato interno. Chi "soddisfa i nostri mercati interni" non sono i ricchi cinesi, ma sono soprattutto i lavoratori cinesi con salari bassi. Ora che i salari in Cina stanno salendo, alcune imprese hanno cominciato a ritornare in Europa. Giampaolo Carboniero ha detto: Classico esempio del comportamento "tafazziano" dei nostri imprenditori; si arricchiranno esportando in Cina, migliorando la qualità di vita dei "ricchi" cinesi e trascurando del tutto i propri mercati interni; in un prossimo futuro, quando i "ricchi" cinesi cominceranno a soddisfare i nostri mercati interni, cosa faranno i nostri imprenditori?

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Economia e politica nel mondo III - 2014

Risposto da Arturo Hermann su 16 Novembre 2014 a 20:32 La realtà è che nonostante notevoli progressi (alcuni forse un po' gonfiati) continuano a persistere in Cina enormi sacche di miseria, degrado urbano e ambientale, ingiustizia sociale e violazioni dei diritti umani. Quello che in Cina salva un po' la situazione non sono le tanto decantate politiche neo-liberiste ma le tanto avversate politiche "Keynesiane": lavori pubblici giganteschi, alcuni utili altri meno, come la costruzione di intere città fantasma. Ciò significa che il modello di sviluppo fin qui seguito in Cina e altrove è, per dire il minimo, men che perfetto, quindi sarebbe utile considerarne i gravi limiti. Anche perché l'attuale crisi economica, diretta conseguenza di tali limiti, rende impraticabile il vecchio paradigma della produzione export-oriented. Vi sono infatti l'emergenza ambientale e la difficoltà crescente per la domanda effettiva a raggiungere l'offerta di pieno impiego. http://www.firstonline.info/a/2011/12/02/india-e-cina-buona-la-cres...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Novembre 2014 a 21:16 Come andò allora: http://www.theguardian.com/world/ng-interactive/2014/jul/23/a-globa...

Risposto da giorgio varaldo su 16 Novembre 2014 a 21:18 sandra questo 60% (ed anche di più) dipende dalle leggi della fisica e non è bile. Sandra Del Fabro ha detto: Sentivo ieri un esperto in TV sostenere che viene sprecato ben il 60% dell'energia prodotta da combustibili fossili, sarebbe già molto re gli sprechi Giampaolo Carboniero ha detto: Ma dopo due secoli e mezzo la natura sta cominciando a presentarci il conto; solo una cecità interessata può illudersi, e illudere, che si possa continuare con questo "tipo di sviluppo", come se in questi decenni non avessimo imparato niente. I campanelli d'allarme continuano a suonare, inscoltati a quanto pare. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, Giovanni ti risponderà sul fondo. Ma l'analogia con la torta è sbagliata. Da due secoli e mezzo l'aumento della torta è spettacolare. Nel periodo dopo la seconda guerra mondiale abbiamo avuto forti aumenti della torta. Oggi ci preoccupiamo - giustamente - perché la torta sta crescendo molto meno che nel passato. Ma da due secoli e mezzo la torta è sempre andata aumentando e nessuno prevede che smetta di crescere. Ci sono diverse correnti di pensiero su quanto rapidamente potrà crescere nei prossimi decenni, ma nemmeno i più pessimisti parlano di un arresto della sua crescita. Non farti fuorviare dal caso dell'Italia in questo momento, siamo un'anomalia nel panorama economico mondiale. Sandra Del Fabro ha detto: "se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati.

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Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizione come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico." Riporto questo stralcio dalla presentazione che Giovanni fa della "Società Armoniosa" cinese. Per commentare quanto illusoria sia l'idea che l'arricchimento di alcuni comporti un aiuto per gli altri, se di una torta per dieci dai a cinque persone una fetta grande, è evidente che le altre avranno una fettina minuscola. Come si è rivelata illusoria l'idea di lasciar agire il mercato in Occidente, come è sotto gli occhi di tutti.

Risposto da Roberto Zanre' su 16 Novembre 2014 a 21:29 ... Hermann Arturo Hermann ha detto: La realtà è che nonostante notevoli progressi (alcuni forse un po' gonfiati) continuano a persistere in Cina enormi sacche di miseria, degrado urbano e ambientale, ingiustizia sociale e violazioni dei diritti umani. Quello che in Cina salva un po' la situazione non sono le tanto decantate politiche neo-liberiste ma le tanto avversate politiche "Keynesiane": lavori pubblici giganteschi, alcuni utili altri meno, come la costruzione di intere città fantasma. Ciò significa che il modello di sviluppo fin qui seguito in Cina e altrove è, per dire il minimo, men che perfetto, quindi sarebbe utile considerarne i gravi limiti. Anche perché l'attuale crisi economica, diretta conseguenza di tali limiti, rende impraticabile il vecchio paradigma della produzione export-oriented. Vi sono infatti l'emergenza ambientale e la difficoltà crescente per la domanda effettiva a raggiungere l'offerta di pieno impiego. http://www.firstonline.info/a/2011/12/02/india-e-cina-buona-la-cres...

Risposto da Roberto Zanre' su 16 Novembre 2014 a 21:32 ... Prima GM Giampaolo Carboniero ha detto: Come andò allora: http://www.theguardian.com/world/ng-interactive/2014/jul/23/a-globa...

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Novembre 2014 a 21:43 Giovaanni, grazie. Anche per le belle foto. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Che gli islamici di Spagna o Marocco abbiano scoperto l’America è una diceria molto diffusa nel mondo arabo ma è priva di qualsiasi base: forse sarebbe stato pure possibile ma non si capirebbe perche mai la notizia non sarebbe stata poi riportata. ( ... )

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Risposto da Fabio Colasanti su 16 Novembre 2014 a 21:49 Sandra, potresti indicarmi un solo testo economico che parli di autoregolazione dell'economia in questa maniera? Ti diverti a presentare le terorie economiche in termini grotteschi per poterle poi criticare facilmente. Ma tu attacchi cose che nessuno sostiene. E' lo stesso problema del cosiddetto "neo-liberismo". Tu ed altri vi divertite ad attaccare il "neo-liberismo" anche se non c'è un solo paese al mondo che lo pratichi nella maniera che descrivete. Sandra Del Fabro ha detto: volevo riferirmi all'ideologia del darwinismo sociale per cui l'economia si regolerebbe da sola anche a costi gravi per una parte della popolazione come una specie può essere selezionata dal suo ambiente e non importa se ci rimette qualcuno. Solo che noi abbiamo elaborato una carta dei diritti umani universali, che fine ha fatto? Giampaolo Carboniero ha detto: Sandra, selezione "economica" non naturale. Sandra Del Fabro ha detto: Immagino che questo ritorno in Europa lo interpreti come un buon esempio di autoregolamentazione del mercato, dopo aver fatto soffrire gente da noi e da loro (disoccupazione qui, sfruttamento là), mi sembra assomigli a un principio naturale dove esiste la selezione naturale ma che sia così' poco umano

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Novembre 2014 a 22:05 Sandra, non ci si capisce. Anche l'accendere un fuoco per scaldarsi durante un campeggio in montagna ha una resa energetica molto bassa: il rapporto tra la quantità di energia che si brucia e quella che viene ricevuta dalle persone che si accucciano attorno al fuoco è molto alto (la resa è bassa). Ma non credo che qualcuno voglia sostenere che l'accendere un fuoco durante il campeggio sia una forma di generazione di energia insostenibile e da abbandonare. Sandra Del Fabro ha detto: non ne parlava evidentemente in questo senso, se è come dici tu è un'energia insostenibile comunque giorgio varaldo ha detto: sandra questo 60% (ed anche di più) dipende dalle leggi della fisica e non è bile. Sandra Del Fabro ha detto: Sentivo ieri un esperto in TV sostenere che viene sprecato ben il 60% dell'energia prodotta da combustibili fossili, sarebbe già molto re gli sprechi

Risposto da giorgio varaldo su 16 Novembre 2014 a 22:12 ok visto che le regole della natura non si cambiano per decreto legge che si fa? non si usano più i motori endotermici neanche per produrre energia? e visto che il rendimento dei pannelli fotovoltaici si aggira attorno al 15-20% che si fa non si usano neanche quelli? ovviamente no. quando si parla di efficienza occorre almeno aver un minimo di conoscenza.. e quel signore che hai ascoltato tu anche se aveva conoscenza in materia la ha usata in modo distorto. un pochino di cautela nel cercare notizie non guasterebbe mai in ogni caso l'efficienza energetica di cui parla giampaolo - e col quale mi trovo d'accordo .- non ha nulla a che fare con le dichiarazioni di quel tipo!!

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Sandra Del Fabro ha detto: non ne parlava evidentemente in questo senso, se è come dici tu è un'energia insostenibile comunque giorgio varaldo ha detto: sandra questo 60% (ed anche di più) dipende dalle leggi della fisica e non è bile. Sandra Del Fabro ha detto: Sentivo ieri un esperto in TV sostenere che viene sprecato ben il 60% dell'energia prodotta da combustibili fossili, sarebbe già molto re gli sprechi

Risposto da Arturo Hermann su 16 Novembre 2014 a 23:05 Giocare a rimpiattino con le teorie è divertente ma poco produttivo.... il Darwinismo, Da Herbert Spencer, agli economisti classici e neoclassici fino ai nostri giorni, ha costituito, perfino per vari economisti più eterodossi il key concept del loro pensiero. Il mercato, ad esempio, è stato interpretato quasi unanimemente come un meccanismo di selezione. Quindi, in particolare per gli economisti più liberisti, il meccanismo di selezione del mercato, per quanto spiacevole possa essere, diventa un fenomeno "necessario" in quanto derivante da una "legge naturale". Quindi, nella loro opinione, ogni tentativo di sfuggire a questa legge produce più danni che benefici. A questa visione si oppongono gli economisti più eterodossi, i quali fanno notare che assimilare il mercato alla giungla è del tutto fantasioso: (i) primo perché gli uomini, a differenza degli animali, creano in modo cosciente il loro ambiente; di conseguenza, il mercato diventa non più un meccanismo astratto ma un fenomeno endogeno, creato dalle persone attraverso un preciso sistema di norme e di istituzioni; (ii) se così è, segue una conclusione fondamentale, ossia che le persone possono determinare diverse forme del mercato in base ai loro sistemi di valori, quindi non vi è nulla di deterministico e necessario nell'evoluzione storica. Anche sulle energie non rinnovabili, il problema esiste eccome, vi è un'importante branca che lo studia http://www.economiaeambiente.it/la-bioeconomia/

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Novembre 2014 a 23:47 Sandra, non lo vedo tanto come un funzionamento "naturale" dell'economia. Lo vedo molto di più come un comportamento normale di ogni persona dotata di buon senso. Immagino che anche tu, a parità di altre condizioni, preferisca il prodotto meno caro. Immagino che anche tu, se ti offrissero due lavori sostanzialmente uguali, sceglieresti quello meglio pagato. Sandra Del Fabro ha detto: Non puoi isolare le mie parole dal contesto. Tu hai notato come il basso costo della manodopera cinese abbia avvantaggiato degli imprenditori italiani, ora che, secondo te, il costo del lavoro in Cina aumenta, gli imprenditori tornano in Italia. Non è forse vero che questo è per te un funzionamento "naturale" dell'economia? Io stavo riflettendo che questa naturalità si compie a spese di vite umane, cioè di disoccupazione in Italia e sfruttamento in Cina durante la delocalizzazione e mi chiedevo se questa "naturalità" è compatibile con la nostra coscienza Fabio Colasanti ha detto: Sandra, potresti indicarmi un solo testo economico che parli di autoregolazione dell'economia in questa maniera? Ti diverti a presentare le terorie economiche in termini grotteschi per poterle poi criticare facilmente. Ma tu attacchi cose che nessuno sostiene. E' lo stesso problema del cosiddetto "neo-liberismo". Tu ed altri vi divertite ad attaccare il "neo-liberismo" anche se non c'è un solo paese al mondo che lo pratichi nella maniera che descrivete. Sandra Del Fabro ha detto:

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volevo riferirmi all'ideologia del darwinismo sociale per cui l'economia si regolerebbe da sola anche a costi gravi per una parte della popolazione come una specie può essere selezionata dal suo ambiente e non importa se ci rimette qualcuno. Solo che noi abbiamo elaborato una carta dei diritti umani universali, che fine ha fatto?

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Novembre 2014 a 0:09 Sandra, ho scritto esplicitamente "a parità di altre condizioni". Per un cliente con una coscienza etica un prodotto "fair trade" non è la stessa cosa di un altro prodotto. Quindi in questo caso non siamo in una condizione di "parità di altre condizioni". Sandra Del Fabro ha detto: no, non è così, c'è una coscienza diffusa ad acquistare prodotti liberi da sfruttamento, possibilmente del commercio equo e solidale e rispettosi dell'ambiente. Questo è il buon senso. Per il lavoro neanche perchè dipende dalle condizioni del lavoro e dalla corrispondenza con le tue capacità e valori Fabio Colasanti ha detto: Sandra, non lo vedo tanto come un funzionamento "naturale" dell'economia. Lo vedo molto di più come un comportamento normale di ogni persona dotata di buon senso. Immagino che anche tu, a parità di altre condizioni, preferisca il prodotto meno caro. Immagino che anche tu, se ti offrissero due lavori sostanzialmente uguali, sceglieresti quello meglio pagato.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Novembre 2014 a 0:23 Sandra, giriamo in tondo perché tu mi citi sempre casi di prodotti che sono diversi. Il prodotto "fair trade", il prodotto acquistato direttamente dal contadino, il prodotto a km zero sono, per chi da importanza queste cose, prodotti "diversi" dagli altri. La mia domanda retorica era relativa a due prodotti praticamente o perfettamente uguali : immagina due confezioni identiche di biscotti offerte da due supermercati differenti posti uno di fronte all'altro ma a prezzi diversi. Una persona normale sceglierà quella che costa di meno. Questo non è un esempio della "legge del profitto" (o cose simili), questo è il comportamento normale di ogni persona dotata di un po' di buon senso. Sandra Del Fabro ha detto: Non è così perchè il prodotto meno caro è il prodotto pagato meno al contadino o all'operaio. Perchè si stanno sviluppando reti alternative nell'agricoltura ad esempio? Perchè i gruppi d'acquisto solidale pagano direttamente il produttore che guadagna di più e fornisce cibi più sani, a km 0 Fabio Colasanti ha detto: Sandra, ho scritto esplicitamente "a parità di altre condizioni". Per un cliente con una coscienza etica un prodotto "fair trade" non è la stessa cosa di un altro prodotto. Quindi in questo caso non siamo in una condizione di "parità di altre condizioni". Sandra Del Fabro ha detto: no, non è così, c'è una coscienza diffusa ad acquistare prodotti liberi da sfruttamento, possibilmente del commercio equo e solidale e rispettosi dell'ambiente. Questo è il buon senso. Per il lavoro neanche perchè dipende dalle condizioni del lavoro e dalla corrispondenza con le tue capacità e valori Fabio Colasanti ha detto: Sandra,

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non lo vedo tanto come un funzionamento "naturale" dell'economia. Lo vedo molto di più come un comportamento normale di ogni persona dotata di buon senso. Immagino che anche tu, a parità di altre condizioni, preferisca il prodotto meno caro. Immagino che anche tu, se ti offrissero due lavori sostanzialmente uguali, sceglieresti quello meglio pagato.

Risposto da giorgio varaldo su 17 Novembre 2014 a 0:52 discussione davanti a tre pacchi di wafer alla COOP pacco numero uno di marca xxxxxxx prodotto negli stabilimenti loacker di ala di trento costo il più elevato pacco numero due di marca COOP prodotto per conto di COOP negli stabilimenti loacker di ala di trento costo inferiore al precedente controlliamo le tabelle dei componenti esattamente uguale al primo pacco numero tre di marca non commerciale prodotto negli stabilimenti loacker di ala di trento costo il più basso guardiamo la tabella dei componenti esattamente identica ai primi due quindi tre prodotti identici venduti a prezzo diverso ovvio abbiamo acquistato il terzo, Sandra Del Fabro ha detto: ti torno a dire Fabio che compro il prodotto più caro perché di solito è di qualità migliore e rispetta le normative Fabio Colasanti ha detto: Sandra, giriamo in tondo perché tu mi citi sempre casi di prodotti che sono diversi. Il prodotto "fair trade", il prodotto acquistato direttamente dal contadino, il prodotto a km zero sono, per chi da importanza queste cose, prodotti "diversi" dagli altri. La mia domanda retorica era relativa a due prodotti praticamente o perfettamente uguali : immagina due confezioni identiche di biscotti offerte da due supermercati differenti posti uno di fronte all'altro ma a prezzi diversi. Una persona normale sceglierà quella che costa di meno. Questo non è un esempio della "legge del profitto" (o cose simili), questo è il comportamento normale di ogni persona dotata di un po' di buon senso. Sandra Del Fabro ha detto: Non è così perchè il prodotto meno caro è il prodotto pagato meno al contadino o all'operaio. Perchè si stanno sviluppando reti alternative nell'agricoltura ad esempio? Perchè i gruppi d'acquisto solidale pagano direttamente il produttore che guadagna di più e fornisce cibi più sani, a km 0 Fabio Colasanti ha detto: Sandra, ho scritto esplicitamente "a parità di altre condizioni". Per un cliente con una coscienza etica un prodotto "fair trade" non è la stessa cosa di un altro prodotto. Quindi in questo caso non siamo in una condizione di "parità di altre condizioni".

Risposto da Roberto Zanre' su 17 Novembre 2014 a 1:29 ... Hermann Arturo Hermann ha detto: Giocare a rimpiattino con le teorie è divertente ma poco produttivo.... il Darwinismo, Da Herbert Spencer, agli economisti classici e neoclassici fino ai nostri giorni,

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ha costituito, perfino per vari economisti più eterodossi il key concept del loro pensiero. Il mercato, ad esempio, è stato interpretato quasi unanimemente come un meccanismo di selezione. Quindi, in particolare per gli economisti più liberisti, il meccanismo di selezione del mercato, per quanto spiacevole possa essere, diventa un fenomeno "necessario" in quanto derivante da una "legge naturale". Quindi, nella loro opinione, ogni tentativo di sfuggire a questa legge produce più danni che benefici. A questa visione si oppongono gli economisti più eterodossi, i quali fanno notare che assimilare il mercato alla giungla è del tutto fantasioso: (i) primo perché gli uomini, a differenza degli animali, creano in modo cosciente il loro ambiente; di conseguenza, il mercato diventa non più un meccanismo astratto ma un fenomeno endogeno, creato dalle persone attraverso un preciso sistema di norme e di istituzioni; (ii) se così è, segue una conclusione fondamentale, ossia che le persone possono determinare diverse forme del mercato in base ai loro sistemi di valori, quindi non vi è nulla di deterministico e necessario nell'evoluzione storica. Anche sulle energie non rinnovabili, il problema esiste eccome, vi è un'importante branca che lo studia http://www.economiaeambiente.it/la-bioeconomia/

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Novembre 2014 a 2:20 Sandra, io ti parlo di due prodotti uguali, identici offerti a prezzi diversi. E tu mi che compreresti quello più caro "perché di solito è di qualità migliore". Se è di qualità migliore non è un prodotto identico all'altro ! Immagina che due banchi al mercato, uno vicino all'altro, offrano la stessa confezione di Baci Perugina a prezzi leggermente diversi. Ogni persona normale comprerebbe quella meno cara, non ti sembra? Sandra Del Fabro ha detto: ti torno a dire Fabio che compro il prodotto più caro perché di solito è di qualità migliore e rispetta le normative Fabio Colasanti ha detto: Sandra, giriamo in tondo perché tu mi citi sempre casi di prodotti che sono diversi. Il prodotto "fair trade", il prodotto acquistato direttamente dal contadino, il prodotto a km zero sono, per chi da importanza queste cose, prodotti "diversi" dagli altri. La mia domanda retorica era relativa a due prodotti praticamente o perfettamente uguali : immagina due confezioni identiche di biscotti offerte da due supermercati differenti posti uno di fronte all'altro ma a prezzi diversi. Una persona normale sceglierà quella che costa di meno. Questo non è un esempio della "legge del profitto" (o cose simili), questo è il comportamento normale di ogni persona dotata di un po' di buon senso. Sandra Del Fabro ha detto: Non è così perchè il prodotto meno caro è il prodotto pagato meno al contadino o all'operaio. Perchè si stanno sviluppando reti alternative nell'agricoltura ad esempio? Perchè i gruppi d'acquisto solidale pagano direttamente il produttore che guadagna di più e fornisce cibi più sani, a km 0 Fabio Colasanti ha detto: Sandra, ho scritto esplicitamente "a parità di altre condizioni". Per un cliente con una coscienza etica un prodotto "fair trade" non è la stessa cosa di un altro prodotto. Quindi in questo caso non siamo in una condizione di "parità di altre condizioni". Sandra Del Fabro ha detto: no, non è così, c'è una coscienza diffusa ad acquistare prodotti liberi da sfruttamento, possibilmente del commercio equo e solidale e rispettosi dell'ambiente. Questo è il buon senso. Per il lavoro neanche perchè dipende dalle condizioni del lavoro e dalla corrispondenza con le tue capacità e valori Fabio Colasanti ha detto: Sandra,

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non lo vedo tanto come un funzionamento "naturale" dell'economia. Lo vedo molto di più come un comportamento normale di ogni persona dotata di buon senso. Immagino che anche tu, a parità di altre condizioni, preferisca il prodotto meno caro. Immagino che anche tu, se ti offrissero due lavori sostanzialmente uguali, sceglieresti quello meglio pagato.

Risposto da giovanni de sio cesari su 17 Novembre 2014 a 11:32 io credo che il commercio equo solidale sia cosa diversa dal commercio e basta. Ho avuto qualche esperienza in merito quando cercavamo di aiutare un villaggio ucraino: mia moglie metteva un banchetto “equo solidale” e vendeva artigianato russo. Pero chiaramente non si faceva pagare, pagava lei invece trasporto e altro, non pagava tasse e soprattutto la gente comprava con l’idea di fare della solidarietà. Quando uno scultore italiano cerco di fare qualcosa di piu ampio (il viaggio che qualcuno ha letto descritto da mia moglie) ci rendemmo conto della sua impossibilità. Rimane pur sempre un fatto marginale E però vero che il prezzo ha un diverso peso nella decisione di comprare qualcosa. Nessun consumatore pensa che due prodotti siano uguali anche se lo sono: si compra una macchina tedesca perche si pensa che sia più efficiente, si compra un abito italiano perche è uno status symbol spesso nel comprare un prodotto si scarta il prezzo piu basso e quello piu alto e cosi via, Tutti i giorni qualcuno mi telefona per offrirmi un gestore di qualcosa piu economico io non ascolto nemmeno. Se non fosse cosi la pubblicita non avrebbe il posto enorme che ha nella nostra società. Quindi anche estendere l’idea di prodotti solidali potrebbe diffondersi: le pellice per esempio sono praticamente sparite dall’abbigliamento femminile in base a campagne naturaliste Non credo pero he la cosa si possa effettivanete affermare al di la del marginalita per i molti motivi che ho sperimentato

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Novembre 2014 a 12:38 Giovanni, è un fatto che ogni produttore cerca di differenziare il suo prodotto o farlo percepire come differente. Se il suo prodotto fosse percepito come identico a quello di altri produttori l'unico elemento di differenziazione sarebbe il prezzo. Il punto che ho cercato inutilmente di spiegare a Sandra è che ogni persona normale se posta di fronte a due prodotti assolutamente uguali ottenibili senza differenze di sforzo (le due confezioni identiche dello stesso prodotto in due banchi vicini al mercato) sceglie il prodotto che costa di meno. Nella stessa maniera, una persona di fronte a due lavori sostanzialmente uguali come sforzo, immagine, impegno e ogni altro elemento preferirà quello meglio pagato. Questi comportamenti io li considero comportamenti logici di ogni persona normale. Per Sandra sono invece dei comportamenti tipici dell'economia di mercato (del capitalismo). giovanni de sio cesari ha detto: io credo che il commercio equo solidale sia cosa diversa dal commercio e basta. Ho avuto qualche esperienza in merito quando cercavamo di aiutare un villaggio ucraino: mia moglie metteva un banchetto “equo solidale” e vendeva artigianato russo. Pero chiaramente non si faceva pagare, pagava lei invece trasporto e altro, non pagava tasse e soprattutto la gente comprava con l’idea di fare della solidarietà. Quando uno scultore italiano cerco di fare qualcosa di piu ampio (il viaggio che qualcuno ha letto descritto da mia moglie) ci rendemmo conto della sua impossibilità. Rimane pur sempre un fatto marginale E però vero che il prezzo ha un diverso peso nella decisione di comprare qualcosa. Nessun consumatore pensa che due prodotti siano uguali anche se lo sono: si compra una macchina tedesca perche si pensa che sia più efficiente, si compra un abito italiano perche è uno status symbol spesso nel comprare un prodotto si scarta il prezzo piu basso e quello piu alto e cosi via, Tutti i giorni qualcuno mi telefona per offrirmi un gestore di qualcosa piu economico io non ascolto nemmeno. Se non fosse cosi la pubblicita non avrebbe il posto enorme che ha nella nostra società. Quindi anche estendere l’idea di prodotti solidali potrebbe diffondersi: le pellice per esempio sono praticamente sparite dall’abbigliamento femminile in base a campagne naturaliste

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Non credo pero he la cosa si possa effettivanete affermare al di la del marginalita per i molti motivi che ho sperimentato

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 14:29 Una cogenerazione diffusa abbasserebbe di molto questa percentuale; anche questa è innovazione. giorgio varaldo ha detto: sandra questo 60% (ed anche di più) dipende dalle leggi della fisica e non è bile. Sandra Del Fabro ha detto: Sentivo ieri un esperto in TV sostenere che viene sprecato ben il 60% dell'energia prodotta da combustibili fossili, sarebbe già molto re gli sprechi Giampaolo Carboniero ha detto: Ma dopo due secoli e mezzo la natura sta cominciando a presentarci il conto; solo una cecità interessata può illudersi, e illudere, che si possa continuare con questo "tipo di sviluppo", come se in questi decenni non avessimo imparato niente. I campanelli d'allarme continuano a suonare, inscoltati a quanto pare. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, Giovanni ti risponderà sul fondo. Ma l'analogia con la torta è sbagliata. Da due secoli e mezzo l'aumento della torta è spettacolare. Nel periodo dopo la seconda guerra mondiale abbiamo avuto forti aumenti della torta. Oggi ci preoccupiamo - giustamente - perché la torta sta crescendo molto meno che nel passato. Ma da due secoli e mezzo la torta è sempre andata aumentando e nessuno prevede che smetta di crescere. Ci sono diverse correnti di pensiero su quanto rapidamente potrà crescere nei prossimi decenni, ma nemmeno i più pessimisti parlano di un arresto della sua crescita. Non farti fuorviare dal caso dell'Italia in questo momento, siamo un'anomalia nel panorama economico mondiale. Sandra Del Fabro ha detto: "se il fine è quello di portare tutti al benessere non c’è nulla di male se alcuni lo raggiungano prima degli altri e aiutano gli altri a raggiungerlo”: quindi la conclusione pratica fu “arricchitevi tutti, come meglio potete”. Ma nella Cina di oggi le differenze economiche e quindi anche sociali si approfondiscono sempre di più: la Cina è diventata il maggior mercato del mondo per i generi di lusso per una minoranza di privilegiati. Il concetto di Società Armoniosa si distingue anche da quello occidentale della società liberistica –democratica che poggia sulla competizione, sia pure entro limiti e regole stabilite: il principio cardine dell’occidente moderno è che tutte le ideologie sono in competizione come lo sono anche gli interessi economici e che solo dalla loro selezione nasce il progresso sia civile che economico." Riporto questo stralcio dalla presentazione che Giovanni fa della "Società Armoniosa" cinese. Per commentare quanto illusoria sia l'idea che l'arricchimento di alcuni comporti un aiuto per gli altri, se di una torta per dieci dai a cinque persone una fetta grande, è evidente che le altre avranno una fettina minuscola. Come si è rivelata illusoria l'idea di lasciar agire il mercato in Occidente, come è sotto gli occhi di tutti.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 14:32 Visto che è sempre implicita, nelle nostre discussioni, la critica al marxismo, trovami un paese in cui questo sarebbe stato applicato. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, potresti indicarmi un solo testo economico che parli di autoregolazione dell'economia in questa maniera? Ti diverti a presentare le terorie economiche in termini grotteschi per poterle poi criticare facilmente. Ma tu attacchi cose che

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nessuno sostiene. E' lo stesso problema del cosiddetto "neo-liberismo". Tu ed altri vi divertite ad attaccare il "neo-liberismo" anche se non c'è un solo paese al mondo che lo pratichi nella maniera che descrivete. Sandra Del Fabro ha detto: volevo riferirmi all'ideologia del darwinismo sociale per cui l'economia si regolerebbe da sola anche a costi gravi per una parte della popolazione come una specie può essere selezionata dal suo ambiente e non importa se ci rimette qualcuno. Solo che noi abbiamo elaborato una carta dei diritti umani universali, che fine ha fatto? Giampaolo Carboniero ha detto: Sandra, selezione "economica" non naturale. Sandra Del Fabro ha detto: Immagino che questo ritorno in Europa lo interpreti come un buon esempio di autoregolamentazione del mercato, dopo aver fatto soffrire gente da noi e da loro (disoccupazione qui, sfruttamento là), mi sembra assomigli a un principio naturale dove esiste la selezione naturale ma che sia così' poco umano

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 14:35 C'è molta differenza fra bruciare legna, rinnovabile e a bilancio 0 per la CO2, e petrolio o gas o carbone, non rinnovabili e che aumentano la CO2 in atmosfera. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, non ci si capisce. Anche l'accendere un fuoco per scaldarsi durante un campeggio in montagna ha una resa energetica molto bassa: il rapporto tra la quantità di energia che si brucia e quella che viene ricevuta dalle persone che si accucciano attorno al fuoco è molto alto (la resa è bassa). Ma non credo che qualcuno voglia sostenere che l'accendere un fuoco durante il campeggio sia una forma di generazione di energia insostenibile e da abbandonare. Sandra Del Fabro ha detto: non ne parlava evidentemente in questo senso, se è come dici tu è un'energia insostenibile comunque giorgio varaldo ha detto: sandra questo 60% (ed anche di più) dipende dalle leggi della fisica e non è bile. Sandra Del Fabro ha detto: Sentivo ieri un esperto in TV sostenere che viene sprecato ben il 60% dell'energia prodotta da combustibili fossili, sarebbe già molto re gli sprechi

Risposto da giorgio varaldo su 17 Novembre 2014 a 14:40 eh no giampaolo i rendimenti dei cicli termici non dipendono dalle fonti di energia utilizzate bensì dalle leggi della fisica e della termodinamica. che vi possano esser altri vantaggi sono completamente d'accordo con te ma almeno utilizziamo termini corretti! Giampaolo Carboniero ha detto: Una cogenerazione diffusa abbasserebbe di molto questa percentuale; anche questa è innovazione. giorgio varaldo ha detto: sandra questo 60% (ed anche di più) dipende dalle leggi della fisica e non è bile. Sandra Del Fabro ha detto:

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Sentivo ieri un esperto in TV sostenere che viene sprecato ben il 60% dell'energia prodotta da combustibili fossili, sarebbe già molto re gli sprechi Giampaolo Carboniero ha detto: Ma dopo due secoli e mezzo la natura sta cominciando a presentarci il conto; solo una cecità interessata può illudersi, e illudere, che si possa continuare con questo "tipo di sviluppo", come se in questi decenni non avessimo imparato niente. I campanelli d'allarme continuano a suonare, inscoltati a quanto pare.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Novembre 2014 a 14:40 Giampaolo, il marxismo come tale non è stato applicato in nessun paese perché non poteva essere applicato. Comunque nei paesi del "socialismo reale" si è eviluppata un'economia centralizzata ispirata dalle teorie marxiste. In ogni caso, questi paesi si proclamavano "marxisti" o "marxisti-leninisti". Non esiste invece un solo paese che si dichiari "neo-liberale". Giampaolo Carboniero ha detto: Visto che è sempre implicita, nelle nostre discussioni, la critica al marxismo, trovami un paese in cui questo sarebbe stato applicato. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, potresti indicarmi un solo testo economico che parli di autoregolazione dell'economia in questa maniera? Ti diverti a presentare le terorie economiche in termini grotteschi per poterle poi criticare facilmente. Ma tu attacchi cose che nessuno sostiene. E' lo stesso problema del cosiddetto "neo-liberismo". Tu ed altri vi divertite ad attaccare il "neo-liberismo" anche se non c'è un solo paese al mondo che lo pratichi nella maniera che descrivete.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 14:48 Sarebbe più adeguato il termine "normale" al posto di "naturale"; l'economia della natura, se così si può definire, funziona in maniera ben diversa; tanto per esemplificare, in natura ogni sottoprodotto di un processo è materia prima per un sotto-processo, in una catena continua, fino alla ricostituzione delle materie organiche che ridanno inizio a un nuovo ciclo. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, non lo vedo tanto come un funzionamento "naturale" dell'economia. Lo vedo molto di più come un comportamento normale di ogni persona dotata di buon senso. Immagino che anche tu, a parità di altre condizioni, preferisca il prodotto meno caro. Immagino che anche tu, se ti offrissero due lavori sostanzialmente uguali, sceglieresti quello meglio pagato. Sandra Del Fabro ha detto: Non puoi isolare le mie parole dal contesto. Tu hai notato come il basso costo della manodopera cinese abbia avvantaggiato degli imprenditori italiani, ora che, secondo te, il costo del lavoro in Cina aumenta, gli imprenditori tornano in Italia. Non è forse vero che questo è per te un funzionamento "naturale" dell'economia? Io stavo riflettendo che questa naturalità si compie a spese di vite umane, cioè di disoccupazione in Italia e sfruttamento in Cina durante la delocalizzazione e mi chiedevo se questa "naturalità" è compatibile con la nostra coscienza Fabio Colasanti ha detto: Sandra,

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potresti indicarmi un solo testo economico che parli di autoregolazione dell'economia in questa maniera? Ti diverti a presentare le terorie economiche in termini grotteschi per poterle poi criticare facilmente. Ma tu attacchi cose che nessuno sostiene. E' lo stesso problema del cosiddetto "neo-liberismo". Tu ed altri vi divertite ad attaccare il "neo-liberismo" anche se non c'è un solo paese al mondo che lo pratichi nella maniera che descrivete. Sandra Del Fabro ha detto: volevo riferirmi all'ideologia del darwinismo sociale per cui l'economia si regolerebbe da sola anche a costi gravi per una parte della popolazione come una specie può essere selezionata dal suo ambiente e non importa se ci rimette qualcuno. Solo che noi abbiamo elaborato una carta dei diritti umani universali, che fine ha fatto?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 14:54 E naturalmente i clienti con una coscienza etica non vengono contemplati nelle regole e leggi economiche, complicherebbero troppo i risultati cui si vuole giungere. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, ho scritto esplicitamente "a parità di altre condizioni". Per un cliente con una coscienza etica un prodotto "fair trade" non è la stessa cosa di un altro prodotto. Quindi in questo caso non siamo in una condizione di "parità di altre condizioni". Sandra Del Fabro ha detto: no, non è così, c'è una coscienza diffusa ad acquistare prodotti liberi da sfruttamento, possibilmente del commercio equo e solidale e rispettosi dell'ambiente. Questo è il buon senso. Per il lavoro neanche perchè dipende dalle condizioni del lavoro e dalla corrispondenza con le tue capacità e valori Fabio Colasanti ha detto: Sandra, non lo vedo tanto come un funzionamento "naturale" dell'economia. Lo vedo molto di più come un comportamento normale di ogni persona dotata di buon senso. Immagino che anche tu, a parità di altre condizioni, preferisca il prodotto meno caro. Immagino che anche tu, se ti offrissero due lavori sostanzialmente uguali, sceglieresti quello meglio pagato.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Novembre 2014 a 15:01 Falso. Ho ben spiegato a Sandra qualche post fa che per una persona che fa attenzione a queste cose un prodotto "etico", o "bio", o "a km zero" non è un prodotto uguale ad un altro ed è quindi un prodotto diverso che può spuntare un prezzo più alto. L'economia riconosce l'esistenza di preferenze degli individui. Giampaolo Carboniero ha detto: E naturalmente i clienti con una coscienza etica non vengono contemplati nelle regole e leggi economiche, complicherebbero troppo i risultati cui si vuole giungere. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, ho scritto esplicitamente "a parità di altre condizioni". Per un cliente con una coscienza etica un prodotto "fair trade" non è la stessa cosa di un altro prodotto. Quindi in questo caso non siamo in una condizione di "parità di altre condizioni". Sandra Del Fabro ha detto:

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no, non è così, c'è una coscienza diffusa ad acquistare prodotti liberi da sfruttamento, possibilmente del commercio equo e solidale e rispettosi dell'ambiente. Questo è il buon senso. Per il lavoro neanche perchè dipende dalle condizioni del lavoro e dalla corrispondenza con le tue capacità e valori Fabio Colasanti ha detto: Sandra, non lo vedo tanto come un funzionamento "naturale" dell'economia. Lo vedo molto di più come un comportamento normale di ogni persona dotata di buon senso. Immagino che anche tu, a parità di altre condizioni, preferisca il prodotto meno caro. Immagino che anche tu, se ti offrissero due lavori sostanzialmente uguali, sceglieresti quello meglio pagato.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 15:07 Per me c'è molta diversità fra l'identità di un prodotto ( scientificamente impossibile) e la sua percezione che coinvolge le persone nelle scelte: dipende, come dice anche Giovanni, dalla pubblicità, o dalla cortesia del venditore, dall'ambiente in cui la merce viene venduta, ecct.; secondo me non si può prevedere il comportamento di una singola persona, si può solo dedurre il comportamento "medio" con la statistica dei grandi numeri; e non è detto che la stessa scelta sia motivata dalle stesse ragioni. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, è un fatto che ogni produttore cerca di differenziare il suo prodotto o farlo percepire come differente. Se il suo prodotto fosse percepito come identico a quello di altri produttori l'unico elemento di differenziazione sarebbe il prezzo. Il punto che ho cercato inutilmente di spiegare a Sandra è che ogni persona normale se posta di fronte a due prodotti assolutamente uguali ottenibili senza differenze di sforzo (le due confezioni identiche dello stesso prodotto in due banchi vicini al mercato) sceglie il prodotto che costa di meno. Nella stessa maniera, una persona di fronte a due lavori sostanzialmente uguali come sforzo, immagine, impegno e ogni altro elemento preferirà quello meglio pagato. Questi comportamenti io li considero comportamenti logici di ogni persona normale. Per Sandra sono invece dei comportamenti tipici dell'economia di mercato (del capitalismo). giovanni de sio cesari ha detto: io credo che il commercio equo solidale sia cosa diversa dal commercio e basta. Ho avuto qualche esperienza in merito quando cercavamo di aiutare un villaggio ucraino: mia moglie metteva un banchetto “equo solidale” e vendeva artigianato russo. Pero chiaramente non si faceva pagare, pagava lei invece trasporto e altro, non pagava tasse e soprattutto la gente comprava con l’idea di fare della solidarietà. Quando uno scultore italiano cerco di fare qualcosa di piu ampio (il viaggio che qualcuno ha letto descritto da mia moglie) ci rendemmo conto della sua impossibilità. Rimane pur sempre un fatto marginale E però vero che il prezzo ha un diverso peso nella decisione di comprare qualcosa. Nessun consumatore pensa che due prodotti siano uguali anche se lo sono: si compra una macchina tedesca perche si pensa che sia più efficiente, si compra un abito italiano perche è uno status symbol spesso nel comprare un prodotto si scarta il prezzo piu basso e quello piu alto e cosi via, Tutti i giorni qualcuno mi telefona per offrirmi un gestore di qualcosa piu economico io non ascolto nemmeno. Se non fosse cosi la pubblicita non avrebbe il posto enorme che ha nella nostra società. Quindi anche estendere l’idea di prodotti solidali potrebbe diffondersi: le pellice per esempio sono praticamente sparite dall’abbigliamento femminile in base a campagne naturaliste Non credo pero he la cosa si possa effettivanete affermare al di la del marginalita per i molti motivi che ho sperimentato

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 15:10 Non mi pareva si parlasse di rendimento dei cicli termici, ma dell'efficienza nell'utilizzo dei combustibili fossili.

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giorgio varaldo ha detto: eh no giampaolo i rendimenti dei cicli termici non dipendono dalle fonti di energia utilizzate bensì dalle leggi della fisica e della termodinamica. che vi possano esser altri vantaggi sono completamente d'accordo con te ma almeno utilizziamo termini corretti! Giampaolo Carboniero ha detto: Una cogenerazione diffusa abbasserebbe di molto questa percentuale; anche questa è innovazione. giorgio varaldo ha detto: sandra questo 60% (ed anche di più) dipende dalle leggi della fisica e non è bile. Sandra Del Fabro ha detto: Sentivo ieri un esperto in TV sostenere che viene sprecato ben il 60% dell'energia prodotta da combustibili fossili, sarebbe già molto re gli sprechi Giampaolo Carboniero ha detto: Ma dopo due secoli e mezzo la natura sta cominciando a presentarci il conto; solo una cecità interessata può illudersi, e illudere, che si possa continuare con questo "tipo di sviluppo", come se in questi decenni non avessimo imparato niente. I campanelli d'allarme continuano a suonare, inscoltati a quanto pare.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 15:14 Alla stessa maniera in cui, nei paesi cosiddetti capitalistici, si è sviluppata un'economia "ispirata" alle teorie liberali; tutti "dicono" di ispirarsi a teorie utili per raggiungere il benessere dei popoli, poi, tra il dire ... e il fare, è tutta un'altra questione. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, il marxismo come tale non è stato applicato in nessun paese perché non poteva essere applicato. Comunque nei paesi del "socialismo reale" si è eviluppata un'economia centralizzata ispirata dalle teorie marxiste. In ogni caso, questi paesi si proclamavano "marxisti" o "marxisti-leninisti". Non esiste invece un solo paese che si dichiari "neo-liberale". Giampaolo Carboniero ha detto: Visto che è sempre implicita, nelle nostre discussioni, la critica al marxismo, trovami un paese in cui questo sarebbe stato applicato. Fabio Colasanti ha detto: Sandra, potresti indicarmi un solo testo economico che parli di autoregolazione dell'economia in questa maniera? Ti diverti a presentare le terorie economiche in termini grotteschi per poterle poi criticare facilmente. Ma tu attacchi cose che nessuno sostiene. E' lo stesso problema del cosiddetto "neo-liberismo". Tu ed altri vi divertite ad attaccare il "neo-liberismo" anche se non c'è un solo paese al mondo che lo pratichi nella maniera che descrivete.

Risposto da Cristina Favati su 17 Novembre 2014 a 15:15 http://www.infodata.ilsole24ore.com/2014/11/17/ecco-il-decennio-per... Da leggere.

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Risposto da Fabio Colasanti su 17 Novembre 2014 a 15:18 Cristina, l'articolo è effettivamente molto interessante. Giorgio l'ha postato nella discussione "Che politica economica" e l'abbiamo parzialmente commentato li. Cristina Favati ha detto: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2014/11/17/ecco-il-decennio-per... Da leggere.

Risposto da giorgio varaldo su 17 Novembre 2014 a 15:23 e quale sarebbe la differenza? chiamala efficienza chiamala rendimento chiamala come ti pare ma il rapporto fra energia teoricamente disponibile ed energia effettivamente utilizzata è sempre quello qualsiasi sia la fonte energetica. Giampaolo Carboniero ha detto: Non mi pareva si parlasse di rendimento dei cicli termici, ma dell'efficienza nell'utilizzo dei combustibili fossili. giorgio varaldo ha detto: eh no giampaolo i rendimenti dei cicli termici non dipendono dalle fonti di energia utilizzate bensì dalle leggi della fisica e della termodinamica. che vi possano esser altri vantaggi sono completamente d'accordo con te ma almeno utilizziamo termini corretti! Giampaolo Carboniero ha detto: Una cogenerazione diffusa abbasserebbe di molto questa percentuale; anche questa è innovazione.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Novembre 2014 a 15:32 Posto il link ad un editoriale di Angelo Panebianco. So che a molti non piacerà, ma mi sembra cogliere il segno in vari punti. Tra l'altro, mi ha colpito quello che dice sui tanti che non vedono il mondo come è, ma come vorrebbero che fosse (il "wishful thinking"). http://www.corriere.it/editoriali/14_novembre_17/califfo-roma-non-s...

Risposto da Arturo Hermann su 17 Novembre 2014 a 17:06 Negare l'evidenza serve a poco: neo-liberismo significa semplicemente i liberisti di oggi ed è una precisa corrente di pensiero - per la precisione la versione "più estrema" del liberalismo classico - che conosce varie sfumature, e varie applicazioni di policy. Anche sul fairtrade, cosa c'entrano i prodotti omogenei, è come voler comparare un abito fatto a mano con uno prodotto in serie. Sul faitrade vi sono interessanti iniziative, http://www.fairtrade.net/products.html ed è auspicabile che siano sviluppate al massimo, anche con esplicite politiche di sostegno a livello nazionale e sovranazionale.

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In questo modo si potrebbe superare il neoliberismo dominante, attraverso un percorso di economia sociale che preveda l'interazione strategica tra sviluppo dei prodotti locali, turismo responsabile, culture locali, scienza ed innovazioni orientate alle tecnologie pulite.

Risposto da giorgio varaldo su 17 Novembre 2014 a 17:38 vorrei sbagliarmi ma a primo acchito l'impressione è che sia una trading company Arturo Hermann ha detto: Negare l'evidenza serve a poco: neo-liberismo significa semplicemente i liberisti di oggi ed è una precisa corrente di pensiero - per la precisione la versione "più estrema" del liberalismo classico - che conosce varie sfumature, e varie applicazioni di policy. Anche sul fairtrade, cosa c'entrano i prodotti omogenei, è come voler comparare un abito fatto a mano con uno prodotto in serie. Sul faitrade vi sono interessanti iniziative, http://www.fairtrade.net/products.html ed è auspicabile che siano sviluppate al massimo, anche con esplicite politiche di sostegno a livello nazionale e sovranazionale. In questo modo si potrebbe superare il neoliberismo dominante, attraverso un percorso di economia sociale che preveda l'interazione strategica tra sviluppo dei prodotti locali, turismo responsabile, culture locali, scienza ed innovazioni orientate alle tecnologie pulite.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Novembre 2014 a 18:52 Mentre la penso come Gentiloni sui rapporti con la Russia e non mi piace il modo con cui Panebianco liquida la questione , sono invece molto d'accordo su quanto dice rispetto allo Stato Islamico ed i suoi discorsi aggressivi contro Roma e l'Occidente. Non c'è affatto da scherzare e non ci sono margini di mediazione con persone che continuano a decapitare gli ostaggi occidentali rei ,come l'ultimo ragazzo, di avere avuto la generosità ed il coraggio, dopo essere diventato di religione islamica, di andare in quei posti per aiutare la popolazione vittima delle difficoltà della guerra. L'Italia è nel centro del Mediterraneo e questo aumenta i problemi: Siamo per posizione geografica e strategica nel centro di un mare che è il confine elastico con il medioriente ed il Nord Africa. Siamo inoltre la sede internazionale della Chiesa Cattollica. I movimenti di popolazione che premono verso di noi possono essere pericolosi. Non possiamo pensare solo in termini di accoglienza e dobbiamo cominciare a ragionare anche in termini di sicurezza. Dobbiamo pertanto avere un'efficienza ed una capacità di gestione e controllo dlel'immigrazione ben diversa da come l'abbiamo gestita fino ad oggi. Dobbiamo in generale porci molto diversamente dal passato il problema della sicurezza. Fabio Colasanti ha detto: Posto il link ad un editoriale di Angelo Panebianco. So che a molti non piacerà, ma mi sembra cogliere il segno in vari punti. Tra l'altro, mi ha colpito quello che dice sui tanti che non vedono il mondo come è, ma come vorrebbero che fosse (il "wishful thinking"). http://www.corriere.it/editoriali/14_novembre_17/califfo-roma-non-s...

Risposto da Roberto Zanre' su 17 Novembre 2014 a 18:56 ... Cristina Favati ha detto: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2014/11/17/ecco-il-decennio-per... Da leggere.

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Risposto da Roberto Zanre' su 17 Novembre 2014 a 18:57 Giuseppe... sei migliore di Panebianco :-) Giuseppe Ardizzone ha detto: Mentre la penso come Gentiloni sui rapporti com la Russia e non mi piace il modo con cui Panebianco liquida la questione , sono invece molto d'accordo su quanto dice rispetto allo Stato Islamico ed i suoi discorsi aggressivi contro Roma e l'Occidente . Non c'è affatto da scherzare e non ci sono margini di mediazione con persone che continuano a decapitare gli ostaggi occidentali rei ,come l'ultimo ragazzo, di avere avuto la generosità ed il coraggio, dopo essere diventato di religione islamica, di andare in quei posti per aiutare la popolazione vittima delle difficoltà della guerra. L'Italia è nel centro del Mediterraneo e questo aumenta i problemi: Siamo per posizione geografica e strategica nel centro di un mare che è il confine elastico con il medioriente ed il Nord Africa . Siamo inoltre la sede internazionale della Chiesa Cattollica. I movimenti di popolazione che premono verso di noi possono essere pericolosi . Non possiamo pensare solo in termini di accoglienza e dobbiamo cominciare a ragionare anche in termini di sicurezza. Dobbiamo petanto avere un'efficienza ed una capacità di gestione e controllo dlel'immigrazione ben diversa da come l'abbiamo gestita fino ad oggi . Dobbiamo in generale porci molto diversamente dal passato il problema della sicurezza. Fabio Colasanti ha detto: Posto il link ad un editoriale di Angelo Panebianco. So che a molti non piacerà, ma mi sembra cogliere il segno in vari punti. Tra l'altro, mi ha colpito quello che dice sui tanti che non vedono il mondo come è, ma come vorrebbero che fosse (il "wishful thinking"). http://www.corriere.it/editoriali/14_novembre_17/califfo-roma-non-s...

Risposto da giorgio varaldo su 17 Novembre 2014 a 19:01 dall'editoriale di panebianco esce molto bene il ministro della difesa roberta pinotti su come ha gestito in modo equilibrato la questione F35 . avrebbe potuto trovare facile presa negli ambienti meno attenti ai problemi della difesa e bloccare la partecipazione italiana al programma privando così la marina militare della componente aerea. ed in uno scenario come quello ipotizzato da panebianco riguardo al califfato senza il controllo del mediterraneo il nostro paese ben difficilmente avrebbe potuto contar qualcosa anzi avremmo dovuto as usual implorare la presenza dell'ombrello protettivo USA o di francia ed UK. so che mi attirerò gli strali di molti ma pazienza faccio conto di esser in moto e quando arrivo ad un incrocio e vedo una auto ferma per richiamare l'attenzione del conducente gli sparo un bel colpo di clakson.. che molto spesso causa un vaffa... beh meglio esser mandato affa cne in ospedale!! Giuseppe Ardizzone ha detto: Mentre la penso come Gentiloni sui rapporti com la Russia e non mi piace il modo con cui Panebianco liquida la questione , sono invece molto d'accordo su quanto dice rispetto allo Stato Islamico ed i suoi discorsi aggressivi contro Roma e l'Occidente . Non c'è affatto da scherzare e non ci sono margini di mediazione con persone che continuano a decapitare gli ostaggi occidentali rei ,come l'ultimo ragazzo, di avere avuto la generosità ed il coraggio, dopo essere diventato di religione islamica, di andare in quei posti per aiutare la popolazione vittima delle difficoltà della guerra. L'Italia è nel centro del Mediterraneo e questo aumenta i problemi: Siamo per posizione geografica e strategica nel centro di un mare che è il confine elastico con il medioriente ed il Nord Africa . Siamo inoltre la sedde internazionale della Chiesa Cattollica. I movimenti di popolazione che premono verso di noi possono essere pericolosi . Non possiamo pensare solo in termini di accoglienza e dobbiamo cominciare a ragionare anche in termini di sicurezza. Dobbiamo petanto avere un'efficienza

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ed una capacità di gestione e controllo dlel'immigrazione ben diversa da come l'abbiamo gestita fino ad oggi . Dobbiamo in generale porci molto diversamente dal passato porci il problema della sicurezza. Fabio Colasanti ha detto: Posto il link ad un editoriale di Angelo Panebianco. So che a molti non piacerà, ma mi sembra cogliere il segno in vari punti. Tra l'altro, mi ha colpito quello che dice sui tanti che non vedono il mondo come è, ma come vorrebbero che fosse (il "wishful thinking"). http://www.corriere.it/editoriali/14_novembre_17/califfo-roma-non-s...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Novembre 2014 a 19:23 Sono d'accordo con te Giorgio . L'unica perplessità è sui difetti tecnici più volte sollevati su questi F 35. giorgio varaldo ha detto: dall'editoriale di panebianco esce molto bene il ministro della difesa roberta pinotti su come ha gestito in modo equilibrato la questione F35 . avrebbe potuto trovare facile presa negli ambienti meno attenti ai problemi della difesa e bloccare la partecipazione italiana al programma privando così la marina militare della componente aerea. ed in uno scenario come quello ipotizzato da panebianco riguardo al califfato senza il controllo del mediterraneo il nostro paese ben difficilmente avrebbe potuto contar qualcosa anzi avremmo dovuto as usual implorare la presenza dell'ombrello protettivo USA o di francia ed UK. so che mi attirerò gli strali di molti ma pazienza faccio conto di esser in moto e quando arrivo ad un incrocio e vedo una auto ferma per richiamare l'attenzione del conducente gli sparo un bel colpo di clakson.. che molto spesso causa un vaffa... beh meglio esser mandato affa cne in ospedale!! Giuseppe Ardizzone ha detto: Mentre la penso come Gentiloni sui rapporti com la Russia e non mi piace il modo con cui Panebianco liquida la questione , sono invece molto d'accordo su quanto dice rispetto allo Stato Islamico ed i suoi discorsi aggressivi contro Roma e l'Occidente . Non c'è affatto da scherzare e non ci sono margini di mediazione con persone che continuano a decapitare gli ostaggi occidentali rei ,come l'ultimo ragazzo, di avere avuto la generosità ed il coraggio, dopo essere diventato di religione islamica, di andare in quei posti per aiutare la popolazione vittima delle difficoltà della guerra. L'Italia è nel centro del Mediterraneo e questo aumenta i problemi: Siamo per posizione geografica e strategica nel centro di un mare che è il confine elastico con il medioriente ed il Nord Africa . Siamo inoltre la sedde internazionale della Chiesa Cattollica. I movimenti di popolazione che premono verso di noi possono essere pericolosi . Non possiamo pensare solo in termini di accoglienza e dobbiamo cominciare a ragionare anche in termini di sicurezza. Dobbiamo petanto avere un'efficienza ed una capacità di gestione e controllo dlel'immigrazione ben diversa da come l'abbiamo gestita fino ad oggi . Dobbiamo in generale porci molto diversamente dal passato porci il problema della sicurezza. Fabio Colasanti ha detto: Posto il link ad un editoriale di Angelo Panebianco. So che a molti non piacerà, ma mi sembra cogliere il segno in vari punti. Tra l'altro, mi ha colpito quello che dice sui tanti che non vedono il mondo come è, ma come vorrebbero che fosse (il "wishful thinking"). http://www.corriere.it/editoriali/14_novembre_17/califfo-roma-non-s...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Novembre 2014 a 19:34 Il motore a scoppio di 50 anni fa sfruttava sempre lo stesso principio fisico, ma oggi si dice che un motore moderno è più efficiente in quanto, a parità di percorso consuma meno carburante; in un sistema a cogestione si sfrutta l'energia che altrimenti andrebbe dispersa in calore, per cui aumenta l'efficienza complessiva della macchina, diminuendo quindi lo spreco; nel vecchio progetto Totem ideato da un ing. della FIAT, ora ceduto alla VW, un motore della 127,

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alimentato a metano, produceva energia elettrica, il liquido di raffreddamento serviva ad alimentare un impianto di riscaldamento. giorgio varaldo ha detto: e quale sarebbe la differenza? chiamala efficienza chiamala rendimento chiamala come ti pare ma il rapporto fra energia teoricamente disponibile ed energia effettivamente utilizzata è sempre quello qualsiasi sia la fonte energetica. Giampaolo Carboniero ha detto: Non mi pareva si parlasse di rendimento dei cicli termici, ma dell'efficienza nell'utilizzo dei combustibili fossili. giorgio varaldo ha detto: eh no giampaolo i rendimenti dei cicli termici non dipendono dalle fonti di energia utilizzate bensì dalle leggi della fisica e della termodinamica. che vi possano esser altri vantaggi sono completamente d'accordo con te ma almeno utilizziamo termini corretti! Giampaolo Carboniero ha detto: Una cogenerazione diffusa abbasserebbe di molto questa percentuale; anche questa è innovazione.

Risposto da giorgio varaldo su 17 Novembre 2014 a 22:53 giampaolo è normale che confrontando apparati costruiti a distanza di 50 anni vi sia stato un miglioramento della tecnologia --avvenuto anche per altre tipologie di macchine termiche quindi la situazione non cambia per informazione il sistema VW è stato sviluppato autonomamente e non venduto dalla FIAT Giampaolo Carboniero ha detto: Il motore a scoppio di 50 anni fa sfruttava sempre lo stesso principio fisico, ma oggi si dice che un motore moderno è più efficiente in quanto, a parità di percorso consuma meno carburante; in un sistema a cogestione si sfrutta l'energia che altrimenti andrebbe dispersa in calore, per cui aumenta l'efficienza complessiva della macchina, diminuendo quindi lo spreco; nel vecchio progetto Totem ideato da un ing. della FIAT, ora ceduto alla VW, un motore della 127, alimentato a metano, produceva energia elettrica, il liquido di raffreddamento serviva ad alimentare un impianto di riscaldamento. giorgio varaldo ha detto: e quale sarebbe la differenza? chiamala efficienza chiamala rendimento chiamala come ti pare ma il rapporto fra energia teoricamente disponibile ed energia effettivamente utilizzata è sempre quello qualsiasi sia la fonte energetica. Giampaolo Carboniero ha detto: Non mi pareva si parlasse di rendimento dei cicli termici, ma dell'efficienza nell'utilizzo dei combustibili fossili. giorgio varaldo ha detto: eh no giampaolo i rendimenti dei cicli termici non dipendono dalle fonti di energia utilizzate bensì dalle leggi della fisica e della termodinamica. che vi possano esser altri vantaggi sono completamente d'accordo con te ma almeno utilizziamo termini corretti! Giampaolo Carboniero ha detto: Una cogenerazione diffusa abbasserebbe di molto questa percentuale; anche questa è innovazione.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Novembre 2014 a 2:44 Il TOTEM è stato costruito all'interno della FIAT, che l'haprodotto solo in piccole quantità; un albergo delle vicinanze ne ha installati, a suo tempo, du, sia per produrre elettricità che per riscaldare le stanze e le suites. http://it.wikipedia.org/wiki/TOTEM_%28cogeneratore%29

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Novembre 2014 a 2:06 Non è vero che conta solo il prezzo, per fortuna! http://thinkprogress.org/climate/2014/11/20/3594822/poll-carbon-lim...

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Novembre 2014 a 19:19 Ricordate le discussioni di qualche settimana fa? Ricordate che alcuni sostenevano che l'aspetto religioso non c'entrava nulla con la violenza che vediamo in tante parti del mondo? http://www.corriere.it/esteri/14_novembre_22/kenya-attacco-milizie-...

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Novembre 2014 a 0:09 Stiamo assistendo ad un aggravarsi delle relazioni tra Unione europea e Russia. Nel corso degli ultimi mesi c'è stato un irrigidirsi delle posizioni della cancelliera Merkel di fronte ad un Putin che viene visto come sempre più isolato nella sua posizione di nuovo zar che non si rende conto delle reazioni che le sue azioni provocano nel mondo. Il ministro degli esteri Lavrov ha dichiarato che l'occidente vorrebbe un "regime change" a Mosca (su questo ha sicuramente ragione; le differenze d'opinione sono su come ottenerlo). Già al vertice Asean che si è tenuto a Milano vi era stato uno scontro forte tra la signora Merkel e Putin. Per la fermezza della sua posizione Angela Merkel aveva avuto lodi da molti giornalisti compresa Lucia Annunziata sull'Huffington Post. Lucia Annunziata aveva denunciato il comportamento di Putin e nel suo articolo ("Meno male che c'è Angela") aveva contrastato la fermezza della Merkel alla vacuità dei discorsi di circostanza pronunciati da Renzi e dagli altri leader. Lucia Annunziata aveva scritto che gli altri leader avevano pronunciato i discorsi preparati dal loro staff prima dell'incontro mentre la sola Merkel aveva detto cose che riflettevano l'asprezza delle discussioni con Putin e la sua posizione di chiusura. La cosa si è aggravata cinque giorni fa in Australia dove la cancelliera ha tenuto un discorso molto più duro; alcuni giornalisti hanno scritto che era visibilmente arrivata al limite della sopportazione, che perfino il suo "body language" tradiva l'irritazione fortissima nei confronti di Putin. Quest'ultimo non ha apprezzato le critiche ricevute ed è partito dal G20 prima del previsto. http://www.zeit.de/news/2014-11/17/international-die-sydney-rede-me... http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/germany/angela-merkel/11236622/Angela-Merkel-warns-Russia-could-seek-to-destabilise-whole-of-the-European-peaceful-order.html http://www.nytimes.com/2014/11/18/world/europe/russia-deports-german-polish-diplomats-retaliation.html?_r=0 La Germania e la Russia hanno espulso un diplomatico per parte dalle ambasciate. Si parla di incursioni non autorizzate di aerei russi nel cielo europeo e dell'uso dimostrativo di navi russe al largo di Sydney dirante il G20 Lo Spiegel online scrive che la Germania comincia vedere la Russia di Putin come un "adversary" invece di un partner http://www.spiegel.de/international/ La versione tedesca di Spiegel Online indica che la cancelliera vuole che ad una riunione prevista tra qualche giorno a St Petersburg ci siano più tedeschi contrari alla Russia di quanto previsto. La Germania è il paese che più ha da perdere da un raffreddamento ulteriore delle relazioni con la Russia. Al tempo stesso, la Merkel avrà sicuramente dei pregiudizi dovuti al suo passato, ma è sicuramente il leader europeo che meglio conosce Vladimir Putin.

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Ricordo tutto questo per chi crede che la posizione europea nei confronti della Russia sia unicamente dettata dagli Stati Uniti.

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Novembre 2014 a 0:33 Speriamo quindi che la nuova linea europea non venga dettata dalla Germania, come ormai appare evidente in molti campi. Non vorrei che passassimo dalla padella (USA) alla brace (Germania e i suoi stati lacchè). Quello che manca in tutto questo discorso e' la visione strategica. Quali sono gli interessi europei? L'interesse dell'Italia coincide con quello tedesco? Siamo proprio sicuri che siano state dette le "dietrologie" che si nascondono sotto il nuovo "affaire Ucraina/Russia"? Perché l'Europa partorisce così tanti politici mediocri e privi di visione di lungo termine? Possiamo lasciare ANCHE la politica estera europea (oltre che quella economica) in mano a questi nani politici che abbiamo in Europa? E' evidente che io penso da tanto tanto tempo che la risposta sia no. Non siamo tutti sciocchi :-) Fabio Colasanti ha detto: Stiamo assistendo ad un aggravarsi delle relazioni tra Unione europea e Russia. Nel corso degli ultimi mesi c'è stato un irrigidirsi delle posizioni della cancelliera Merkel di fronte ad un Putin che viene visto come sempre più isolato nella sua posizione di nuovo zar che non si rende conto delle reazioni che le sue azioni provocano nel mondo. Il ministro degli esteri Lavrov ha dichiarato che l'occidente vorrebbe un "regime change" a Mosca (su questo ha sicuramente ragione; le differenze d'opinione sono su come ottenerlo). Già al vertice Asean che si è tenuto a Milano vi era stato uno scontro forte tra la signora Merkel e Putin. Per la fermezza della sua posizione Angela Merkel aveva avuto lodi da molti giornalisti compresa Lucia Annunziata sull'Huffington Post. Lucia Annunziata aveva denunciato il comportamento di Putin e nel suo articolo ("Meno male che c'è Angela") aveva contrastato la fermezza della Merkel alla vacuità dei discorsi di circostanza pronunciati da Renzi e dagli altri leader. Lucia Annunziata aveva scritto che gli altri leader avevano pronunciato i discorsi preparati dal loro staff prima dell'incontro mentre la sola Merkel aveva detto cose che riflettevano l'asprezza delle discussioni con Putin e la sua posizione di chiusura. La cosa si è aggravata cinque giorni fa in Australia dove la cancelliera ha tenuto un discorso molto più duro; alcuni giornalisti hanno scritto che era visibilmente arrivata al limite della sopportazione, che perfino il suo "body language" tradiva l'irritazione fortissima nei confronti di Putin. Quest'ultimo non ha apprezzato le critiche ricevute ed è partito dal G20 prima del previsto. http://www.zeit.de/news/2014-11/17/international-die-sydney-rede-me... http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/germany/angela-merkel/11236622/Angela-Merkel-warns-Russia-could-seek-to-destabilise-whole-of-the-European-peaceful-order.html http://www.nytimes.com/2014/11/18/world/europe/russia-deports-german-polish-diplomats-retaliation.html?_r=0 La Germania e la Russia hanno espulso un diplomatico per parte dalle ambasciate. Si parla di incursioni non autorizzate di aerei russi nel cielo europeo e dell'uso dimostrativo di navi russe al largo di Sydney dirante il G20 Lo Spiegel online scrive che la Germania comincia vedere la Russia di Putin come un "adversary" invece di un partner http://www.spiegel.de/international/ La versione tedesca di Spiegel Online indica che la cancelliera vuole che ad una riunione prevista tra qualche giorno a St Petersburg ci siano più tedeschi contrari alla Russia di quanto previsto. La Germania è il paese che più ha da perdere da un raffreddamento ulteriore delle relazioni con la Russia. Al tempo stesso, la Merkel avrà sicuramente dei pregiudizi dovuti al suo passato, ma è sicuramente il leader europeo che meglio conosce Vladimir Putin.

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Ricordo tutto questo per chi crede che la posizione europea nei confronti della Russia sia unicamente dettata dagli Stati Uniti.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Novembre 2014 a 9:25 Laura, questo è un vero problema nel funzionamento delle grosse banche. La struttura degli incentivi fa si che molti "trader" corrano rischi insensensati. Se la scommessa va bene, loro avranno fatto guadagnare tanti soldi alla banca e saranno ricompensati con enormi premi ("bonuses"); se la scommessa va male, paga la banca e il trader non perde soldi (forse però lo licenzieranno). Se la perdita è enorme, la banca rischia il fallimento e deve essere salvata con soldi pubblici. Per re questo problema si stanno introducendo varie misure. a) L'Unione europea ha imposto un tetto ai premi per i traders (un tetto ai "bonuses"), questo dovrebbe scoraggiarli dal correre rischi estremi. Anche gli americani credo stiano facendo qualcosa del genere. b) Si è chiesto di separare le attività rischiose dalle attività bancarie normali (anche se l'Europa non lo sta facendo). L'idea è che se una banca fa follie, fallisce la parte che corre rischi, ma non c'è bisogno di salvarla. La parte della banca che fa attività normale continua la sua attività. c) In Europa si è sono stabilite regole su come le banche devono "fallire" (facendo pagare gli azionisti e chi ha prestato grosse somme alle banche) e si è creato un fondo, alimentato dalle stesse banche, per intervenire quando una banca rischia il fallimento. In questa maniera l'eventuale fallimento di una banca non dovrebbe essere sulle spalle dei contribuenti. d) Si è imposto a tutte le banche di avere più capitale proprio in maniera da sopportare meglio eventuali situazioni difficili. laura sgaravatto ha detto: Goldman Sachs, JP Morgan e Morgan Stanley hanno esposto se stesse a rischi finanziari catastrofici, a disastri ambientali e a potenziali manipolazioni del mercato attraverso investimenti in petrolio, metalli e attività energetiche. E' quanto emerge da un rapporto del Senato americano, che cita uno studio di due anni fa della Federal Reserve di New York, in cui si sostiene che le tre banche citate più quattro gruppi finanziari non identificati sono a corto di una cifra fino a 15 miliardi di dollari per coprire "perdite da scenari estremi". Dall'analisi condotta in due anni dalla Commissione permanente d'inchiesta del Senato Usa è emerso che il coinvolgimento di Goldman Sachs, JP Morgan e Morgan Stanley nel mercato delle materie prime fisiche ha messo le tre banche in una posizione tanto vulnerabile quanto quella del colosso petrolifero BP, al centro di cause legali e di multe miliardarie come risultato della marea nera di greggio che si riversò nel 2010 nel Golfo del Messico in seguito all'esplosione della piattaforma Deepwater Horizon. "Immaginate se BP avesse avuto una banca", ha dichiarato il senatore repubblicano, John McCain, che fa parte della Commissione. "I costi derivanti dal versamento del petrolio in mare l'avrebbero portata al fallimento, imponendo un nuovo salvataggio da parte dei contribuenti". Secondo la Commissione, dove oggi testimonieranno i vertici di Goldman, JP Morgan e Morgan Stanley, la presenza delle banche nel mercato delle commodity fisiche ha dato loro accesso a informazioni privilegiate delle quali hanno approfittato per manipolare il mercato o per trarne vantaggio in operazioni di trading. La Commissione critica anche le autorità competenti. L'accusa è di non aver agito in modo adeguato per tenere a freno il business delle commodity delle banche. Il tutto avviene mentre la Banca centrale americana sta già considerando una restrizione delle attività delle banche in questo comparto. Dan Tarullo, membro della Federal Reserve e a capo delle politiche di regolamentazione, testimonierà, a sua volta, domani.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 24 Novembre 2014 a 10:37 Fabio , infatti quello che nel dibattito politico la sinistra europea continua a non sottolineare è la necessità della separazione fra l'attività d'investimento e di possibile speculazione che deve essere a totale rischio delle banche.

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Attività separata da quella di amministrazione dei risparmi e del credito. Si parla continuamente dello strapotere della finanza senza mai entrare in maniera puntuale sull'argomento e senza iniziare delle precise battaglie poltiche per cambiare i punti di fragilità del sistema . Fabio Colasanti ha detto: Laura, questo è un vero problema nel funzionamento delle grosse banche. La struttura degli incentivi fa si che molti "trader" corrano rischi insensensati. Se la scommessa va bene, loro avranno fatto guadagnare tanti soldi alla banca e saranno ricompensati con enormi premi ("bonuses"); se la scommessa va male, paga la banca e il trader non perde soldi (forse però lo licenzieranno). Se la perdita è enorme, la banca rischia il fallimento e deve essere salvata con soldi pubblici. Per re questo problema si stanno introducendo varie misure. a) L'Unione europea ha imposto un tetto ai premi per i traders (un tetto ai "bonuses"), questo dovrebbe scoraggiarli dal correre rischi estremi. Anche gli americani credo stiano facendo qualcosa del genere. b) Si è chiesto di separare le attività rischiose dalle attività bancarie normali (anche se l'Europa non lo sta facendo). L'idea è che se una banca fa follie, fallisce la parte che corre rischi, ma non c'è bisogno di salvarla. La parte della banca che fa attività normale continua la sua attività. c) In Europa si è sono stabilite regole su come le banche devono "fallire" (facendo pagare gli azionisti e chi ha prestato grosse somme alle banche) e si è creato un fondo, alimentato dalle stesse banche, per intervenire quando una banca rischia il fallimento. In questa maniera l'eventuale fallimento di una banca non dovrebbe essere sulle spalle dei contribuenti. d) Si è imposto a tutte le banche di avere più capitale proprio in maniera da sopportare meglio eventuali situazioni difficili.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Novembre 2014 a 14:16 La realtà è sempre più complessa di quanto tutti noi si pensi. Le convenzioni internazionali non permettono il lavoro dei bambini al di sotto dei quindici anni (quattordici nei paesi emergenti). Eppure qualche mese fa, un paese ha sfruttato alcune eccezioni previste in queste convenzioni e ha autorizzato, a titolo eccezionale e sotto alcune condizioni, il lavoro anche dei bambini fino a dodici anni e, sotto alcune condizioni più restrittive, fino a dieci anni ! Scandalizzati? Come si fa a non esserlo. Eppure non si tratta di un paese "neo-liberista" (come ho detto mille volte, non esistono), si tratta della Bolivia di Evo Morales. Se c'è un campione della sinistra e del nazionalismo economico questo proprio Evo Morales che ha nazionalizzato le proprietà di alcune multinazionali (Telecom Italia ne sa qualche cosa), ha introdotto varie misure di protezione dell'ambiente, di protezione delle culture indigene e di protezione dei deboli. Eppure ha pensato che nelle condizioni della Bolivia fosse necessario autorizzare il lavoro dei bambini. Che pensarne?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 24 Novembre 2014 a 14:54 Semplicemente che non è di sinistra, comunque lui voglia autodefinirsi o essere definito, di seguito un'analisi della situazione boliviana: https://camminardomandando.wordpress.com/testi-da-scaricare/sarela-... http://vociglobali.it/2012/02/05/bolivia-riesplode-il-conflitto-amb... Fabio Colasanti ha detto: La realtà è sempre più complessa di quanto tutti noi si pensi. Le convenzioni internazionali non permettono il lavoro dei bambini al di sotto dei quindici anni (quattordici nei paesi emergenti). Eppure qualche mese fa, un paese ha sfruttato alcune eccezioni previste in queste convenzioni e ha autorizzato, a titolo eccezionale e sotto alcune condizioni, il lavoro anche dei bambini fino a dodici anni e, sotto alcune condizioni più restrittive, fino a dieci anni !

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Scandalizzati? Come si fa a non esserlo. Eppure non si tratta di un paese "neo-liberista" (come ho detto mille volte, non esistono), si tratta della Bolivia di Evo Morales. Se c'è un campione della sinistra e del nazionalismo economico questo proprio Evo Morales che ha nazionalizzato le proprietà di alcune multinazionali (Telecom Italia ne sa qualche cosa), ha introdotto varie misure di protezione dell'ambiente, di protezione delle culture indigene e di protezione dei deboli. Eppure ha pensato che nelle condizioni della Bolivia fosse necessario autorizzare il lavoro dei bambini. Che pensarne?

Risposto da Roberto Zanre' su 25 Novembre 2014 a 0:56 Krugman: laura sgaravatto ha detto: L’economia alle basse. L’inflazione e la crescita dei tassi di interesse che non ci sono mai stati. Di Paul Krugman New York Times 23 novembre 2014 Sei anni fa la Federal Reserve toccò il fondo. Stava tagliando più o meno febbrilmente il tasso di riferimento sui finanziamenti federali, il tasso di interesse che si utilizza per indirizzare l’economia, nel vano tentativo di superare la recessione e la crisi finanziaria. Ma era arrivata al punto nel quale non si poteva più fare tagli, perché i tassi di interesse non possono andare sotto lo zero. Il 16 dicembre del 2008 la Fed stabilì il suo tasso di interesse fissato come obbiettivo tra lo 0 e lo 0,25 per cento, dove rimane ancora oggi. Il fatto che si siano spesi sei anni al cosiddetto limite inferiore dello zero è sorprendente e deprimente. Quello che è ancora di più sorprendente e deprimente, se volete la mia opinione, è con quanta lentezza il nostro dibattito economico si sia messo al passo con la nuova realtà. Ogni cosa cambia quando l’economia è al suo livello più basso – o, per usare il termine tecnico, in una trappola di liquidità (tralasciamo la spiegazione). Ma per lunghissimo tempo, nessuno tra quelli che avevano il potere di fare le scelte politiche l’avrebbe creduto. Cosa intendo dicendo che tutto cambia? Come scrissi a quei tempi, in una economia al punto più basso “le normali regole dell’economia non si applicano più: la virtù diventa vizio, la cautela è rischiosa e la prudenza è folle”. La spesa pubblica non è in competizione con l’investimento privato – in effetti essa promuove la spesa delle imprese. I banchieri centrali, che normalmente coltivano una immagine di rigidi combattenti contro l’inflazione, hanno bisogno di fare esattamente l’opposto, convincendo i mercati e gli investitori che spingeranno in alto l’inflazione. Le “riforme strutturali”, che solitamente significano rendere più semplice il taglio dei salari, è più probabile che distruggano posti di lavoro, invece di crearne. Tutto questo può sembrare esagerato e radicale, ma non è così. Di fatto, è quello che l’analisi economica convenzionale dice che accade quando i tassi di interesse raggiungono lo zero. Ed è anche quello che ci racconta la storia. Se avevate prestato attenzione alle lezioni del Giappone dopo la bolla, o nello stesso senso all’economia americana negli anni ’30, eravate più o meno pronti per quella sorta di mondo speculare della politica economica nel quale abbiamo vissuto a partire dal 2008. Ma, come ho detto, nessuno volle crederci. In linea di massima, coloro che hanno responsabilità nella cosa pubblica e le Persone Molto Serie [1], sono più soliti procedere sulla base di presentimenti che di una analisi economica scrupolosa. E’ vero, talvolta hanno trovato economisti accreditati che sostenevano le loro posizioni, ma li hanno usati un po’ come gli ubriachi si servono dei pali della luce; come sostegni, non per l’illuminazione. E quello che le viscere di queste persone serie, anno dopo anno, dicevano loro era di temere – e di fare – precisamente le cose sbagliate. Di conseguenza abbiamo sentito ripetere in continuazione che i deficit di bilancio erano il nostro problema economico più pressante, che i tassi di interesse sarebbero schizzati alle stelle da un momento all’altro se non avessimo imposto una severa austerità alle finanze pubbliche. Avrei potuto ben spiegarvi che si trattava di una scemenza, e in effetti lo feci, e di fatto il rialzo dei tassi di interesse non c’è mai stato – ma le richieste di tagliare la spesa pubblica senza un attimo di esitazione sono costate milioni di posti di lavoro ed hanno danneggiato profondamente le nostre infrastrutture. C’è stato anche raccontato di continuo che stampare moneta – non è quello che in verità la Fed stava facendo, ma lasciamo perdere – avrebbe condotto “ad una perdita di valore della valuta ed all’inflazione”. La Fed, va detto a suo credito, resistette a queste pressioni, ma altre banche centrali non lo fecero. La Banca Centrale Europea, in particolare, elevò i tassi nel 2011 per sbarrare la strada ad una inesistente minaccia inflazionistica. Alla fine cambiò

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indirizzo, ma senza riuscire a rimettersi in carreggiata. A questo punto l’inflazione europea è assai al di sotto dell’obbiettivo ufficiale del 2 per cento, e il continente è a tu per tu con una aperta deflazione. Ma questi pessimi annunci sono soltanto acqua che scorre sotto il ponte? L’epoca dell’economia ai minimi termini non sta per l’appunto tramontando? Non contateci. E’ vero che con il tasso di disoccupazione in calo negli Stati Uniti, la maggioranza degli analisti di aspetta che la Fed prima o poi alzi i tassi di interesse, nel corso del prossimo anno. Ma l’inflazione è bassa, i salari sono deboli, e la Fed sembra comprendere che elevare i tassi troppo presto sarebbe disastroso. Nel frattempo, l’Europa sembra più lontana che mai da un decollo dell’economia, mentre il Giappone sta ancora lottando per venir fuori dalla deflazione. Per non dire che la Cina, che ad alcuni di noi comincia a rassomigliare al Giappone degli ultimi anni ’80, potrebbe unirsi al club delle economie ai minimi termini più presto di quanto di pensi. Dunque, le realtà inaspettate della politica economica quando si raggiunge il limite inferiore dello zero è probabile che restino rilevanti per lungo tempo, il che fa diventare molto importante che le persone influenti le comprendano. Sfortunatamente, sono in pochi a farlo; uno degli aspetti più stupefacenti del dibattito economico negli anni recenti è stata la misura nella quale coloro le cui dottrine economiche hanno fatto fallimento dinanzi alla prova dei fatti, si rifiutano di ammettere gli errori, tanto meno di imparare da essi. I leader intellettuali della nuova maggioranza del Congresso continuano a ragionare come se fossimo in un racconto di Ayn Rand [2]; i dirigenti tedeschi ripetano che il problema dei debitori è che non hanno sofferto abbastanza. Tutto ciò non è di buon auspicio per il futuro. Quello che le persone al potere non conoscono, o peggio quello che credono di conoscere ma non sanno, può con assoluta certezza farci del male.

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Novembre 2014 a 8:20 Laura, grazie per questo articolo. Päul Krugman ha perfetttamente ragione. Se la prende contro la maggioranza repubblicana che si oppone ad un aumento delle spese pubbliche negli Stati Uniti, se la prende con i tedeschi che rimangono prigionieri delle loro ossessioni e se la prende, senza citarli, con i dirigenti europei che non si rendono conto di quanto la situazione anche in Europa sia cambiata tra il 2010/2011 ed oggi. In quegli anni avevamo una situazione di crisi per molti paesi (i tassi di interesse sui nostri titoli a dieci anni avevano raggiunto valori tra il sette e l'otto per cento), ma oggi siamo in una situazione molto vicina alla situazione di tassi di interesse "zero" della quale lui e tanti altri economisti parlano. Oggi gli unici due paesi dell'eurozona che non possono permettersi rischi dal punto di vista delle finanze pubbliche sono la Grecia e, forse, il Portogallo. Tutti gli altri paesi in difficoltà non hanno alcun bisogno di compensare l'aumento del disavanzo provocato dal rallentamento economico e potrebbero anche permettersi qualche aumento discrezionale di spesa per abbassare il costo del lavoro, per agire sui problemi sociali più urgenti, per realizzare qualche opera pubblica e per investire di più sulla ricerca e sull'università. laura sgaravatto ha detto: L’economia alle basse. L’inflazione e la crescita dei tassi di interesse che non ci sono mai stati. Di Paul Krugman New York Times 23 novembre 2014 Sei anni fa la Federal Reserve toccò il fondo. Stava tagliando più o meno febbrilmente il tasso di riferimento sui finanziamenti federali, il tasso di interesse che si utilizza per indirizzare l’economia, nel vano tentativo di superare la recessione e la crisi finanziaria. Ma era arrivata al punto nel quale non si poteva più fare tagli, perché i tassi di interesse non possono andare sotto lo zero. Il 16 dicembre del 2008 la Fed stabilì il suo tasso di interesse fissato come obbiettivo tra lo 0 e lo 0,25 per cento, dove rimane ancora oggi. Il fatto che si siano spesi sei anni al cosiddetto limite inferiore dello zero è sorprendente e deprimente. Quello che è ancora di più sorprendente e deprimente, se volete la mia opinione, è con quanta lentezza il nostro dibattito economico si sia messo al passo con la nuova realtà. Ogni cosa cambia quando l’economia è al suo livello più basso – o, per usare il termine tecnico, in una trappola di liquidità (tralasciamo la spiegazione). Ma per lunghissimo tempo, nessuno tra quelli che avevano il potere di fare le scelte politiche l’avrebbe creduto. Cosa intendo dicendo che tutto cambia? Come scrissi a quei tempi, in una economia al punto più basso “le normali regole dell’economia non si applicano più: la virtù diventa vizio, la cautela è rischiosa e la prudenza è folle”. La spesa pubblica non è in competizione con l’investimento privato – in effetti essa promuove la spesa delle imprese. I banchieri centrali, che normalmente coltivano una immagine di rigidi combattenti contro l’inflazione, hanno bisogno

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di fare esattamente l’opposto, convincendo i mercati e gli investitori che spingeranno in alto l’inflazione. Le “riforme strutturali”, che solitamente significano rendere più semplice il taglio dei salari, è più probabile che distruggano posti di lavoro, invece di crearne. Tutto questo può sembrare esagerato e radicale, ma non è così. Di fatto, è quello che l’analisi economica convenzionale dice che accade quando i tassi di interesse raggiungono lo zero. Ed è anche quello che ci racconta la storia. Se avevate prestato attenzione alle lezioni del Giappone dopo la bolla, o nello stesso senso all’economia americana negli anni ’30, eravate più o meno pronti per quella sorta di mondo speculare della politica economica nel quale abbiamo vissuto a partire dal 2008. Ma, come ho detto, nessuno volle crederci. In linea di massima, coloro che hanno responsabilità nella cosa pubblica e le Persone Molto Serie [1], sono più soliti procedere sulla base di presentimenti che di una analisi economica scrupolosa. E’ vero, talvolta hanno trovato economisti accreditati che sostenevano le loro posizioni, ma li hanno usati un po’ come gli ubriachi si servono dei pali della luce; come sostegni, non per l’illuminazione. E quello che le viscere di queste persone serie, anno dopo anno, dicevano loro era di temere – e di fare – precisamente le cose sbagliate. Di conseguenza abbiamo sentito ripetere in continuazione che i deficit di bilancio erano il nostro problema economico più pressante, che i tassi di interesse sarebbero schizzati alle stelle da un momento all’altro se non avessimo imposto una severa austerità alle finanze pubbliche. Avrei potuto ben spiegarvi che si trattava di una scemenza, e in effetti lo feci, e di fatto il rialzo dei tassi di interesse non c’è mai stato – ma le richieste di tagliare la spesa pubblica senza un attimo di esitazione sono costate milioni di posti di lavoro ed hanno danneggiato profondamente le nostre infrastrutture. C’è stato anche raccontato di continuo che stampare moneta – non è quello che in verità la Fed stava facendo, ma lasciamo perdere – avrebbe condotto “ad una perdita di valore della valuta ed all’inflazione”. La Fed, va detto a suo credito, resistette a queste pressioni, ma altre banche centrali non lo fecero. La Banca Centrale Europea, in particolare, elevò i tassi nel 2011 per sbarrare la strada ad una inesistente minaccia inflazionistica. Alla fine cambiò indirizzo, ma senza riuscire a rimettersi in carreggiata. A questo punto l’inflazione europea è assai al di sotto dell’obbiettivo ufficiale del 2 per cento, e il continente è a tu per tu con una aperta deflazione. Ma questi pessimi annunci sono soltanto acqua che scorre sotto il ponte? L’epoca dell’economia ai minimi termini non sta per l’appunto tramontando? Non contateci. E’ vero che con il tasso di disoccupazione in calo negli Stati Uniti, la maggioranza degli analisti di aspetta che la Fed prima o poi alzi i tassi di interesse, nel corso del prossimo anno. Ma l’inflazione è bassa, i salari sono deboli, e la Fed sembra comprendere che elevare i tassi troppo presto sarebbe disastroso. Nel frattempo, l’Europa sembra più lontana che mai da un decollo dell’economia, mentre il Giappone sta ancora lottando per venir fuori dalla deflazione. Per non dire che la Cina, che ad alcuni di noi comincia a rassomigliare al Giappone degli ultimi anni ’80, potrebbe unirsi al club delle economie ai minimi termini più presto di quanto di pensi. Dunque, le realtà inaspettate della politica economica quando si raggiunge il limite inferiore dello zero è probabile che restino rilevanti per lungo tempo, il che fa diventare molto importante che le persone influenti le comprendano. Sfortunatamente, sono in pochi a farlo; uno degli aspetti più stupefacenti del dibattito economico negli anni recenti è stata la misura nella quale coloro le cui dottrine economiche hanno fatto fallimento dinanzi alla prova dei fatti, si rifiutano di ammettere gli errori, tanto meno di imparare da essi. I leader intellettuali della nuova maggioranza del Congresso continuano a ragionare come se fossimo in un racconto di Ayn Rand [2]; i dirigenti tedeschi ripetano che il problema dei debitori è che non hanno sofferto abbastanza. Tutto ciò non è di buon auspicio per il futuro. Quello che le persone al potere non conoscono, o peggio quello che credono di conoscere ma non sanno, può con assoluta certezza farci del male.

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Novembre 2014 a 8:49 Triste. http://www.eunews.it/2014/11/24/ue-solidale-soltanto-a-parole-solo-...

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Novembre 2014 a 12:36 Le tensioni aumentano

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http://www.euractiv.com/sections/europes-east/russia-blocks-lithuan... http://www.euractiv.com/sections/europes-east/georgia-cries-fouls-m...

Risposto da Fabio Colasanti su 1 dicembre 2014 a 2:41 Anche il Brasile fa quello che tutte le organizzazioni internazionali raccomandano. laura sgaravatto ha detto: http://www.ilvelino.it/it/article/2014/11/28/brasile-joaquim-levy-e...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 3 dicembre 2014 a 1:27 Lo dovrebbero fare anche gli altri europei. laura sgaravatto ha detto: http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/02/la-francia-riconosc...

Risposto da Fabio Colasanti su 3 dicembre 2014 a 1:41 Interessante. La continuazione della guerra secolare tra sunniti e sciiti. http://www.repubblica.it/esteri/2014/12/03/news/iraq_caccia_iranian...

Risposto da giorgio varaldo su 3 dicembre 2014 a 12:44 una notizia che rappresenta un cambiamento epocale http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2014/12/02/isis-arrestati-m...

Risposto da giorgio varaldo su 3 dicembre 2014 a 16:33 Non avevo visto il post di fabio ed ho fatto un doppione.. A parte le ovvie dichiarazioni ufficiali di facciata e' impensabile che non vi sia stato nessun coordinamento fra iran e coaluzione anche semplicenente per comunicare i dati dei trasponder identificativi IFF ed evitare che fossero abbattuti dalle forze curde o dagli aerei della coalizione. Pertanto la notizia va letta in un cambio di politica iraniana : ai tempi di ahmaddinejab una qualsiasi forma di cooperazione con il grande satana sarebbe stata impensabile. Mi piacerebbe conoscere l'opinione dell'amuco giovanni se trova qualche minuto!

Risposto da Giampaolo Carboniero su 3 dicembre 2014 a 18:42 Queste perdite saranno, alla fine, scaricate sui bilanci degli stati? http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-12-02/il-crol...

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Risposto da Fabio Colasanti su 3 dicembre 2014 a 19:42 Solo se gli Hedge Funds fossero necessari al funzionamento del sistema finanziario. Ma non lo sono. Giampaolo Carboniero ha detto: Queste perdite saranno, alla fine, scaricate sui bilanci degli stati? http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-12-02/il-crol...

Risposto da giorgio varaldo su 3 dicembre 2014 a 23:20 si potrà riconoscere lo stato di palestina un minuto dpo quando toglierà dal proprio statuto la distruzione dello stato di israelei Sandra Del Fabro ha detto: Sì, sarebbe importante Giampaolo Carboniero ha detto: Lo dovrebbero fare anche gli altri europei. laura sgaravatto ha detto: http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/02/la-francia-riconosc...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 4 dicembre 2014 a 0:27 E dopo che Israele avrà abbattuto il muro delle vergogna, e avrà restituito i territori occupati, e...; si vede che la Svezia, la Spagna, la Francia, e gli altri, sono tutti antisemiti, non come noi, che durante la guerra li abbiamo protetti. giorgio varaldo ha detto: si potrà riconoscere lo stato di palestina un minuto dpo quando toglierà dal proprio statuto la distruzione dello stato di israelei Sandra Del Fabro ha detto: Sì, sarebbe importante Giampaolo Carboniero ha detto: Lo dovrebbero fare anche gli altri europei. laura sgaravatto ha detto: http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/02/la-francia-riconosc...

Risposto da giorgio varaldo su 4 dicembre 2014 a 12:26 la spagna come l'italia attribuisce alla palestina uno status privilegiato ma nessun riconoscimento. la mossa del governo francese ha una precisa valenza economica in quanto punta a rilanciare le esportazioni belliche francesi verso i paesi arabi e tentando di acquisire quote di mercato attualmente coperte da USA e russia.

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interessante la posizione del governo hollande e della sinistra francese riguardo alle forniture militari: evidentemente oltre alpe pecunia non olet rimane sempre la constatazione di una europa assente in politica estera e dei singoli stati che procedono in completa autonomia . Non è che una simile europa possa aver una politica estera credibile Giampaolo Carboniero ha detto: E dopo che Israele avrà abbattuto il muro delle vergogna, e avrà restituito i territori occupati, e...; si vede che la Svezia, la Spagna, la Francia, e gli altri, sono tutti antisemiti, non come noi, che durante la guerra li abbiamo protetti. giorgio varaldo ha detto: si potrà riconoscere lo stato di palestina un minuto dpo quando toglierà dal proprio statuto la distruzione dello stato di israelei Sandra Del Fabro ha detto: Sì, sarebbe importante Giampaolo Carboniero ha detto: Lo dovrebbero fare anche gli altri europei. laura sgaravatto ha detto: http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/02/la-francia-riconosc...

Risposto da Fabio Colasanti su 4 dicembre 2014 a 13:18 Giorgio, un'osservazione. L'Europa è l'insieme dei suoi stati membri. Questi in materia di politica estera hanno sempre voluto tenersi le mani libere per fare quello che vogliono e non hanno mai accettato di avere regole comuni. Il massimo che hanno accettato è stato di avere il povero "Alto rappresentante per la politica estera" che non ha poteri. Non esiste, non puo' esistere una "Europa" distinta, separata dagli stati membri. giorgio varaldo ha detto: la spagna come l'italia attribuisce alla palestina uno status privilegiato ma nessun riconoscimento. la mossa del governo francese ha una precisa valenza economica in quanto punta a rilanciare le esportazioni belliche francesi verso i paesi arabi e tentando di acquisire quote di mercato attualmente coperte da USA e russia. interessante la posizione del governo hollande e della sinistra francese riguardo alle forniture militari: evidentemente oltre alpe pecunia non olet rimane sempre la constatazione di una europa assente in politica estera e dei singoli stati che procedono in completa autonomia . Non è che una simile europa possa aver una politica estera credibile Giampaolo Carboniero ha detto: E dopo che Israele avrà abbattuto il muro delle vergogna, e avrà restituito i territori occupati, e...; si vede che la Svezia, la Spagna, la Francia, e gli altri, sono tutti antisemiti, non come noi, che durante la guerra li abbiamo protetti. giorgio varaldo ha detto: si potrà riconoscere lo stato di palestina un minuto dpo quando toglierà dal proprio statuto la distruzione dello stato di israelei Sandra Del Fabro ha detto: Sì, sarebbe importante Giampaolo Carboniero ha detto: Lo dovrebbero fare anche gli altri europei. laura sgaravatto ha detto:

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http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/02/la-francia-riconosc...

Risposto da giorgio varaldo su 4 dicembre 2014 a 15:04 fabio la realtà e quella da te descritta e non si intravedono possibilità di cambiamento almeno per i prossimi anni. presumo - non ho chiaro il meccanismo decisionale - che nel caso delle sanzioni alla russia le decisioni prese dalla UE sono vincolanti per i singoli paesi. quindi non essendo vincolanti ogni paese è libero di applicare le decisioni europee nei confronti dello stato di palestina - ammesso siano state prese potresti chiarire questo aspetto? grazie!! Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, un'osservazione. L'Europa è l'insieme dei suoi stati membri. Questi in materia di politica estera hanno sempre voluto tenersi le mani libere per fare quello che vogliono e non hanno mai accettato di avere regole comuni. Il massimo che hanno accettato è stato di avere il povero "Alto rappresentante per la politica estera" che non ha poteri. Non esiste, non puo' esistere una "Europa" distinta, separata dagli stati membri. giorgio varaldo ha detto: la spagna come l'italia attribuisce alla palestina uno status privilegiato ma nessun riconoscimento. la mossa del governo francese ha una precisa valenza economica in quanto punta a rilanciare le esportazioni belliche francesi verso i paesi arabi e tentando di acquisire quote di mercato attualmente coperte da USA e russia. interessante la posizione del governo hollande e della sinistra francese riguardo alle forniture militari: evidentemente oltre alpe pecunia non olet rimane sempre la constatazione di una europa assente in politica estera e dei singoli stati che procedono in completa autonomia . Non è che una simile europa possa aver una politica estera credibile Giampaolo Carboniero ha detto: E dopo che Israele avrà abbattuto il muro delle vergogna, e avrà restituito i territori occupati, e...; si vede che la Svezia, la Spagna, la Francia, e gli altri, sono tutti antisemiti, non come noi, che durante la guerra li abbiamo protetti. giorgio varaldo ha detto: si potrà riconoscere lo stato di palestina un minuto dpo quando toglierà dal proprio statuto la distruzione dello stato di israelei Sandra Del Fabro ha detto: Sì, sarebbe importante Giampaolo Carboniero ha detto: Lo dovrebbero fare anche gli altri europei. laura sgaravatto ha detto: http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/02/la-francia-riconosc...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 5 dicembre 2014 a 1:52 E la Svezia? http://www.ilpost.it/2014/10/04/paesi-riconoscono-palestina/ giorgio varaldo ha detto: la spagna come l'italia attribuisce alla palestina uno status privilegiato ma nessun riconoscimento.

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la mossa del governo francese ha una precisa valenza economica in quanto punta a rilanciare le esportazioni belliche francesi verso i paesi arabi e tentando di acquisire quote di mercato attualmente coperte da USA e russia. interessante la posizione del governo hollande e della sinistra francese riguardo alle forniture militari: evidentemente oltre alpe pecunia non olet rimane sempre la constatazione di una europa assente in politica estera e dei singoli stati che procedono in completa autonomia . Non è che una simile europa possa aver una politica estera credibile Giampaolo Carboniero ha detto: E dopo che Israele avrà abbattuto il muro delle vergogna, e avrà restituito i territori occupati, e...; si vede che la Svezia, la Spagna, la Francia, e gli altri, sono tutti antisemiti, non come noi, che durante la guerra li abbiamo protetti. giorgio varaldo ha detto: si potrà riconoscere lo stato di palestina un minuto dpo quando toglierà dal proprio statuto la distruzione dello stato di israelei Sandra Del Fabro ha detto: Sì, sarebbe importante Giampaolo Carboniero ha detto: Lo dovrebbero fare anche gli altri europei. laura sgaravatto ha detto: http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/02/la-francia-riconosc...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 6 dicembre 2014 a 0:03 Argomentazioni sorrette da dati, e non è una giornalista o un'opinionista: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/04/petrolio-perche-il-bitum...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 6 dicembre 2014 a 0:47 Meglio che se la sbrighino gli stati, meglio informare poco la gente, potrebbe creare problemi: http://www.econewsweb.it/it/2014/dec/01/a-lima-al-via-le-prove-gene...

Risposto da Roberto Zanre' su 6 dicembre 2014 a 0:54 ... giorgio varaldo ha detto: la spagna come l'italia attribuisce alla palestina uno status privilegiato ma nessun riconoscimento. la mossa del governo francese ha una precisa valenza economica in quanto punta a rilanciare le esportazioni belliche francesi verso i paesi arabi e tentando di acquisire quote di mercato attualmente coperte da USA e russia. interessante la posizione del governo hollande e della sinistra francese riguardo alle forniture militari: evidentemente oltre alpe pecunia non olet rimane sempre la constatazione di una europa assente in politica estera e dei singoli stati che procedono in completa autonomia . Non è che una simile europa possa aver una politica estera credibile

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Giampaolo Carboniero ha detto: E dopo che Israele avrà abbattuto il muro delle vergogna, e avrà restituito i territori occupati, e...; si vede che la Svezia, la Spagna, la Francia, e gli altri, sono tutti antisemiti, non come noi, che durante la guerra li abbiamo protetti. giorgio varaldo ha detto: si potrà riconoscere lo stato di palestina un minuto dpo quando toglierà dal proprio statuto la distruzione dello stato di israelei Sandra Del Fabro ha detto: Sì, sarebbe importante Giampaolo Carboniero ha detto: Lo dovrebbero fare anche gli altri europei. laura sgaravatto ha detto: http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/02/la-francia-riconosc...

Risposto da Roberto Zanre' su 6 dicembre 2014 a 1:02 Giampaolo Carboniero ha detto: Argomentazioni sorrette da dati, e non è una giornalista o un'opinionista: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/04/petrolio-perche-il-bitum...

Risposto da Fabio Colasanti su 6 dicembre 2014 a 2:04 Giorgio, Le sanzioni contro la Russia (e altri paesi) sono vincolanti per tutti gli stati membri. Tutto quello che riguarda il commercio è una responsabilità dell'Unione europea e non degli stati membri. Ma in più c'è il fatto che le sanzioni sono state decise all'unanimità. Sarebbe strano che un paese non applicasse le misure che ha votato. Le sanzioni contro i prodotti israeliani che vengono dai territori occupati sono anche delle misure commerciali definite a livello comunitario. Ma il riconoscimento della Palestina come stato è una misura di politica estera presa a livello nazionale e non esiste la possibilità giuridica di una decisione "europea" presa alla maggioranza. Quindi ogni paese fa quello che vuole. giorgio varaldo ha detto: fabio la realtà e quella da te descritta e non si intravedono possibilità di cambiamento almeno per i prossimi anni. presumo - non ho chiaro il meccanismo decisionale - che nel caso delle sanzioni alla russia le decisioni prese dalla UE sono vincolanti per i singoli paesi. quindi non essendo vincolanti ogni paese è libero di applicare le decisioni europee nei confronti dello stato di palestina - ammesso siano state prese potresti chiarire questo aspetto? grazie!!

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 dicembre 2014 a 3:06 Obama se lo può permettere, L'Europa non più. laura sgaravatto ha detto:

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http://italian.ruvr.ru/news/2014_12_04/Obama-Stati-Uniti-e-Unione-E...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 dicembre 2014 a 3:11 Altra chicca: la Monsanto & Co.( e amici) stanno portando in giudizio lo Stato del Vermont, perchè quei comunisti vogliono introdurre l'obbligo di etichettare i prodotti OGM; qui da noi, invece, si continua a raccontare la fola che con il TTIP questo da noi non succederà mai: tempo al tempo,le lobbies sono potenti e onnipresenti!

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 dicembre 2014 a 3:19 Certo, scusa, confondo sempre l'idea che io ho di Europa con il coacervo di staterelli della realtà. P.S. Questa situazione non ricorda anche a te, per caso, la situazione dell'Italia del '500 e '600, con tutti quegli staterelli rissosi, talmente occupati e compresi delle loro beghe da non accorgersi degli invasori che scorrazzavano per lo stivale? Magari anche, qualcuno, chiamato in aiuto da una di quelle Signorie, Granducati, ecct.? laura sgaravatto ha detto: l'America ha bisogno di UNA EUROPA...........penso

Risposto da Fabio Colasanti su 11 dicembre 2014 a 6:54 Giampaolo, ricordi per caso come si è usciti da quella situazione? Vorresti rifare la stessa esperienza? Giampaolo Carboniero ha detto: Certo, scusa, confondo sempre l'idea che io ho di Europa con il coacervo di staterelli della realtà. P.S. Questa situazione non ricorda anche a te, per caso, la situazione dell'Italia del '500 e '600, con tutti quegli staterelli rissosi, talmente occupati e compresi delle loro beghe da non accorgersi degli invasori che scorrazzavano per lo stivale? Magari anche, qualcuno, chiamato in aiuto da una di quelle Signorie, Granducati, ecct.? laura sgaravatto ha detto: l'America ha bisogno di UNA EUROPA...........penso

Risposto da Giampaolo Carboniero su 12 dicembre 2014 a 0:48 Io no, ma vedrai che con buona volontà le nostre teste d'uovo europee, politici e non, ci arriveranno, perchè, soprattutto, non saranno loro ma altri, a fare quell'esperienza. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, ricordi per caso come si è usciti da quella situazione? Vorresti rifare la stessa esperienza? Giampaolo Carboniero ha detto: Certo, scusa, confondo sempre l'idea che io ho di Europa con il coacervo di staterelli della realtà.

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P.S. Questa situazione non ricorda anche a te, per caso, la situazione dell'Italia del '500 e '600, con tutti quegli staterelli rissosi, talmente occupati e compresi delle loro beghe da non accorgersi degli invasori che scorrazzavano per lo stivale? Magari anche, qualcuno, chiamato in aiuto da una di quelle Signorie, Granducati, ecct.? laura sgaravatto ha detto: l'America ha bisogno di UNA EUROPA...........penso

Risposto da Giampaolo Carboniero su 12 dicembre 2014 a 1:06 Scrivete anche voi! https://secure.avaaz.org/it/lima_summit_100_clean_eu/?baxKjbb&v...

Risposto da Fabio Colasanti su 12 dicembre 2014 a 1:54 http://www.corriere.it/esteri/14_dicembre_10/cia-torture-coraggio-u...

Risposto da Fabio Colasanti su 12 dicembre 2014 a 14:46 Una voce autorevole che ripete quello che ho scritto tante volte: gli Stati Uniti (che certo sono all'origine della crisi finanziaria del 2007/2008) stanno facendo molto per ri-regolare le banche. L'Europa purtroppo no. Come ho ricordato tante volte, il motivo principale è che gli Stati Uniti non hanno banche pubbliche e quindi il governo ha potuto essere molto duro con il settore. Purtroppo in Spagna, Francia, Germania e Italia i legami tra politica e mondo bancario sono forti e malsani ed i governi sono troppo teneri con il mondo delle banche. Per di più le nostre imprese dipendono dai crediti bancari per la quasi totalità del loro finanziamento, mentre negli Stati Uniti le imprese hanno molti altri mezzi per finanziarsi. http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1500-the-european-uni...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 dicembre 2014 a 2:00 Il problema è nato all'origine della crisi; le banche americane hanno potuto commerciare i famosi titoli tossici proprio perchè private e all'epoca la deregulation dei governi lo ha loro permesso; in Europa, proprio perchè le banche sono di proprietà pubblica ,o regolate dal pubblico, il problema non sarebbe nato; ad inoculazione avvenuta l'intervento degli USA ha potuto essere più mirato per le ragioni che dici e la difficoltà dell'intervento degli stati europei è sotto gli occhi di tutti, con lo svantaggio che la nostra economia, appunto, dipende molto di più dal credito bancario; altro esempio, per me, che certi meccanismi non possono essere trasferiti tali e quali su situazioni diverse, pena il loro differente risultato. Fabio Colasanti ha detto: Una voce autorevole che ripete quello che ho scritto tante volte: gli Stati Uniti (che certo sono all'origine della crisi finanziaria del 2007/2008) stanno facendo molto per ri-regolare le banche. L'Europa purtroppo no. Come ho ricordato tante volte, il motivo principale è che gli Stati Uniti non hanno banche pubbliche e quindi il governo ha potuto essere molto duro con il settore. Purtroppo in Spagna, Francia, Germania e Italia i legami tra politica e mondo bancario sono forti e malsani ed i governi sono troppo teneri con il mondo delle banche. Per di più le nostre imprese dipendono dai crediti bancari per la quasi totalità del loro finanziamento, mentre negli Stati Uniti le imprese hanno molti altri mezzi per finanziarsi. http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1500-the-european-uni...

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Economia e politica nel mondo III - 2014

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 dicembre 2014 a 2:07 Dal fatto che di tali decisioni non si discuta più io ricavo la convinzione che ormai il potere politico è sottomesso a quello finanziario, con annessi e connessi, comprese le ricadute sulle nostre democrazie; nonostante tutte le buone intenzioni e le dichiarazioni di principio, p.e., non riesco a fidarmi del trattato TTIP, troppo magnificato proprio da quelle banche e poteri. laura sgaravatto ha detto: Le grandi banche sono state pizzicate a speculare alla grande sulle commodity, sulle materie prime, sui cereali e su altri prodotti alimentari. leggi anche: Le pericolose metamorfosi delle banche too big to fail Prima il Libor poi i tassi Forex. La manipolazione dei mercati cont... Attenti ai Gattopardi di Wall Street La Commissione d’indagine del senato americano, diretta dal democratico Carl Levin e dal repubblicano John McCain, ha pubblicato un dossier di 400 pagine dal titolo “Wall Street bank involvement with physical commodities” per denunciare con dovizia di dettagli come le “too big to fail” stiano manipolando, ovviamente a loro vantaggio, i mercati delle commodity. Naturalmente tutto ciò con riverberi sui mercati internazionali. Per due anni la Commissione ha indagato sui casi più eclatanti che evidenziano come «il massiccio coinvolgimento di Wall Street nelle commodity mette a rischio la nostra economia, le nostre imprese e l’integrità dei nostri mercati. Bisogna reintrodurre – continua la Commissione – la separazione tra banca e commercio per prevenire che Wall Street utilizzi informazioni non di pubblico dominio a suo profitto e a spese dell’industria e quindi dei cittadini». Ciò non vale soltanto per gli Stati Uniti ma per il mondo intero. La Commissione sta procedendo con delle audizioni pubbliche per dimostrare come alcune banche abbiano fatto aumentare artificialmente i prezzi delle materie prime e speculato in derivati sulle stesse, sfruttando gli “effetti provocati” dalle manipolazioni. Il senatore Levin avverte anche di possibili futuri rischi sistemici per l’economia dovuti al fatto che le banche sono coinvolte in imprese esposte ad alti rischi di catastrofi ambientali. Sono state analizzate in particolare le attività delle solite maggiori banche americane, tra cui la Goldman Sachs, la JP Morgan Chase, la Morgan Stanley e la Bank of America. La Goldman avrebbe “assunto” il controllo del mercato dell’alluminio. Nel 2010 ha acquistato la Metro International Trade Services di Detroit, che gestisce lo stoccaggio certificato dalla London Metal Exchange, la principale borsa mondiale dei metalli. Nei suoi magazzini ci sarebbe l’85% di tutto l’alluminio contrattato alla borsa di Londra per il mercato americano. Trattasi di 1,6 milioni di metri cubi di alluminio pari al 25% dell’interno consumo annuale in Nord America. La banca ha aumentato la sua proprietà diretta di alluminio passando da una quantità pari a 100 milioni di dollari a 3 miliardi. Possiede, tra l’altro, anche un’impresa che commercia uranio e due grandi miniere di carbone in Colombia. Il meccanismo messo in atto sembra piuttosto semplice. Attraverso varie manipolazioni e fittizi spostamenti di ingenti quantità da un magazzino all’altro la Goldman Sachs sarebbe riuscita a determinare ritardi nelle consegne del metallo alle industrie acquirenti. Invece dei 40 giorni necessari nel 2010, lo scorso settembre il tempo di consegna è stato di ben 600 giorni. Ovviamente ciò ha prodotto un aumento sul costo dello stoccaggio, la cui percentuale su quello totale è passata dal 6% del 2010 al 20% di oggi. Naturalmente tutto a beneficio di Metro-Goldman. La conseguenza è stata un’impennata dei prezzi dell’alluminio tanto che molte imprese colpite hanno denunciato la manipolazione, tra cui la Coca Cola. Sembra che al “giochetto degli spostamenti” abbiano partecipato anche altre banche come la Deutsche Bank e l’hedge fund inglese Red Kite, I profitti realizzati con l’aumento dei prezzi di stoccaggio per la Goldman sono stati soltanto una piccola parte del guadagno. Il vero business lo hanno fatto con le speculazioni sui future dell’alluminio e con altri derivati costruiti in base alla manipolazione dei prezzi e alla posizione di monopolio dello stoccaggio. Da parte sua la JP Morgan Chase ha ammassato grandi quantità di materie prime per un valore di mercato di 17,4 miliardi di dollari pari al 12% del suo capitale di base, il cosiddetto Tier 1. Poiché sono stati superati abbondantemente i limiti permessi, la banca furbescamente ha sottostimato di quasi due terzi tale valore prima di rendicontarlo alla Federal Reserve. E’ arrivata anche a possedere fino al 60% di tutto il rame negoziato sui mercati mondiali. Nel campo energetico possiede 25 milioni di barili di petrolio e controlla 19 centri di immagazzinamento di gas.

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La Morgan Stanley invece controlla 58 milioni di barili di petrolio. Possiede 100 petroliere e circa 8.000 km di oleodotti. E’ padrona di 18 centri di immagazzinamento di gas. Contemporaneamente sta costruendo la propria centrale di compressione del gas ed è la fornitrice privilegiata di carburante per alcune grandi compagnie aeree. La Bank of America ha 35 centri di stoccaggio di petrolio e 54 di gas. In altre parole, all’ombra di una troppo abusata “globalizzazione” che tutto giustifica, le banche fanno sempre meno gli istituti di credito e, forti anche dei capitali ottenuti a tassi di favore dal governo, si mettono in diretta competizione con le imprese che operano nei settori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, della lavorazione e dello sfruttamento delle materie prime fino a determinarne i comportamenti e la stessa sopravvivenza. Appare chiaro l’intreccio perverso tra banche e organismi di controllo che evidentemente non hanno fatto il loro dovere. Avviata l’indagine senatoriale, la Goldman Sachs si è affrettata a licenziare due suoi importanti operatori coinvolti nelle manipolazione. Si è scoperto però che prima essi avevano lavorato per la Federal Reserve di New York. Del resto è noto che l’attuale capo della Fed di New York, William Dudley, è stato un alto dirigente della Goldman fino al 2005 È certamente importante che la Commissione d’indagine del Senato lavori su questi casi specifici. In passato la stessa Commissione in verità aveva denunciato le responsabilità delle grandi banche americane nella crisi finanziaria globale dei mutui subprime, dei derivati Otc e dei titoli tossici. Il fatto che, a distanza di anni, si debba ancora denunciare simili gravi comportamenti, dovrebbe suonare come un vero allarme sui rischi sistemici di una finanza che purtroppo continua a ritenersi l’ agnello d’oro da adorare sempre. Ci saremmo aspettati che a Brisbane si fosse parlato anche di ciò.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 dicembre 2014 a 4:40 Giampaolo, la deregulation, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, ha certo permesso la crisi del 2007/2008. Ma la distinzione che fai tra banche private e banche pubbliche è completamente sbagliata, cosi come quello che scrivi sui "titoli tossici". Negli Stati Uniti e in Europa tutte le banche sono società di diritto privato sottoposte alla stessa regolamentazione (fanno eccezione solo alcune banche speciali come la Cassa Depositi e Prestiti, la KfW e cose simili, che comunque non sono presenti sul mercato al dettaglio, ma che devono comunque rispettare la stessa legislazione che si applica a tutte le banche). Il fatto che in alcuni paesi le azioni siano in parte detenute da poteri pubblici non cambia nulla dal punto di vista giuridico, dal punto di vista della legislazione applicabile e, più importante, non cambia nulla dal punto di vista del comportamento. Le banche che hanno commesso le assurdità più grosse prima della crisi sono state proprio alcune banche controllate dal settore pubblico (Dexia in Belgio/Francia, le casse di risparmio – Bankia – in Spagna e le Landesbanken in Germania). I titoli che tu chiami "titoli tossici" sono le cosiddette "Asset Backed Securities" (il raggruppamento di crediti commerciali e mutui in titoli venduti sul mercato; la crisi è partita da questi titoli). Immagina che la Banca Centrale Europea sta cercando di sviluppare il mercato europeo di questi titoli perché le operazioni che vuole fare per immettere liquidità nell'economia (Quantitative Easing) si dovrebbero basare sull'acquisto di questi titoli e sulla conseguente riduzione dell'esposizione delle banche, che potrebbero quindi concedere nuovi prestiti. Il problema che la BCE sta incontrando è che in Europa non ce ne sono abbastanza e la banca centrale sta incoraggiando le banche ad emetterne di più (la BCE sta pensando di comprare titoli di stato perché il mercato dei titoli che tu consideri "tossici" è ancora troppo piccolo). Questo mostra quanto siano sbaglaiate le caratterizzazioni generali. Questi titoli sono "tossici" se usati male, sono "benefici" se usati bene. Non va poi dimenticato che negli Stati Uniti lo sviluppo dei titoli "bidone" (Asset Backed Securities basate su mutui concessi a persone che avevano poche possibilità di ripagarli) era stato incoraggiato come una misura "sociale" che permetteva anche ai più poveri di avere accesso alla proprietà dell'abitazione ed è stato incoraggiato fortemente dai due giganti americani dei mutui, Freddie Mac e Fannie Mae, che erano invece due istituti semi-pubblici (ora nazionalizzati completamente). Infine, l'Irlanda e la Spagna si sono trovate in difficoltà non per aver avuto finanze pubbliche fuori controllo, ma per un'espansione illogica e irrazionale del credito immobiliare che ha creato due bolle speculative pazzesche. Queste bolle solo state permesse dall'irresponsabilità dei governi (che non volevano "fischiare la fine della ricreazione") e alimentate, soprattutto in Spagna, dalle banche pubbliche controllate dalla politica. In Spagna tutti i problemi sono

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stati nelle casse di risparmio (che hanno perfino fatto appello - Bankia, operazione di fusione di tante casse di risparmio - all'azionariato popolare, rovinando miglialia di piccoli risparmiatori), mentre le grandi banche private sono passate indenni attraverso la crisi. Le bolle immobiliari di Irlanda e Spagna sono state il pagliaio dove è stato buttato il cerino delle ABS americane. I fatti non sostengono l'ideologia. Giampaolo Carboniero ha detto: Il problema è nato all'origine della crisi; le banche americane hanno potuto commerciare i famosi titoli tossici proprio perchè private e all'epoca la deregulation dei governi lo ha loro permesso; in Europa, proprio perchè le banche sono di proprietà pubblica ,o regolate dal pubblico, il problema non sarebbe nato; ad inoculazione avvenuta l'intervento degli USA ha potuto essere più mirato per le ragioni che dici e la difficoltà dell'intervento degli stati europei è sotto gli occhi di tutti, con lo svantaggio che la nostra economia, appunto, dipende molto di più dal credito bancario; altro esempio, per me, che certi meccanismi non possono essere trasferiti tali e quali su situazioni diverse, pena il loro differente risultato. Fabio Colasanti ha detto: Una voce autorevole che ripete quello che ho scritto tante volte: gli Stati Uniti (che certo sono all'origine della crisi finanziaria del 2007/2008) stanno facendo molto per ri-regolare le banche. L'Europa purtroppo no. Come ho ricordato tante volte, il motivo principale è che gli Stati Uniti non hanno banche pubbliche e quindi il governo ha potuto essere molto duro con il settore. Purtroppo in Spagna, Francia, Germania e Italia i legami tra politica e mondo bancario sono forti e malsani ed i governi sono troppo teneri con il mondo delle banche. Per di più le nostre imprese dipendono dai crediti bancari per la quasi totalità del loro finanziamento, mentre negli Stati Uniti le imprese hanno molti altri mezzi per finanziarsi. http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1500-the-european-uni...

Risposto da Fabio Colasanti su 15 dicembre 2014 a 5:02 Giampaolo, almeno negli Stati Uniti di queste cose si discute. E una delle persone dietro a questa inchiesta è addirittura un ex-candidato repubblicano alla Casa Bianca. Perfino i conservatori americani si preoccupano. Negli Stati Unite molte persone sono licenziate, alcune sono perfino finite in galera. Da noi invece il mondo politico è nelle mani delle banche, visti i legami malsani tra politica e banche che esistono in Francia, Germania, Spagna e Italia. Da noi perfino sulla separazione tra banche d'affari e banche di investimento si esita. Mandare in galera i responsabili di grossi fallimenti (chissà se il caso MPS non sia uno che lo meriterebbe) da noi è impensabile. Giampaolo Carboniero ha detto: Dal fatto che di tali decisioni non si discuta più io ricavo la convinzione che ormai il potere politico è sottomesso a quello finanziario, con annessi e connessi, comprese le ricadute sulle nostre democrazie; nonostante tutte le buone intenzioni e le dichiarazioni di principio, p.e., non riesco a fidarmi del trattato TTIP, troppo magnificato proprio da quelle banche e poteri. laura sgaravatto ha detto: Le grandi banche sono state pizzicate a speculare alla grande sulle commodity, sulle materie prime, sui cereali e su altri prodotti alimentari. leggi anche: Le pericolose metamorfosi delle banche too big to fail Prima il Libor poi i tassi Forex. La manipolazione dei mercati cont... Attenti ai Gattopardi di Wall Street La Commissione d’indagine del senato americano, diretta dal democratico Carl Levin e dal repubblicano John McCain, ha pubblicato un dossier di 400 pagine dal titolo “Wall Street bank involvement with physical commodities” per denunciare con dovizia di dettagli come le “too big to fail” stiano manipolando, ovviamente a loro vantaggio, i mercati delle commodity. Naturalmente tutto ciò con riverberi sui mercati internazionali.

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Per due anni la Commissione ha indagato sui casi più eclatanti che evidenziano come «il massiccio coinvolgimento di Wall Street nelle commodity mette a rischio la nostra economia, le nostre imprese e l’integrità dei nostri mercati. Bisogna reintrodurre – continua la Commissione – la separazione tra banca e commercio per prevenire che Wall Street utilizzi informazioni non di pubblico dominio a suo profitto e a spese dell’industria e quindi dei cittadini». Ciò non vale soltanto per gli Stati Uniti ma per il mondo intero. La Commissione sta procedendo con delle audizioni pubbliche per dimostrare come alcune banche abbiano fatto aumentare artificialmente i prezzi delle materie prime e speculato in derivati sulle stesse, sfruttando gli “effetti provocati” dalle manipolazioni. Il senatore Levin avverte anche di possibili futuri rischi sistemici per l’economia dovuti al fatto che le banche sono coinvolte in imprese esposte ad alti rischi di catastrofi ambientali. Sono state analizzate in particolare le attività delle solite maggiori banche americane, tra cui la Goldman Sachs, la JP Morgan Chase, la Morgan Stanley e la Bank of America. La Goldman avrebbe “assunto” il controllo del mercato dell’alluminio. Nel 2010 ha acquistato la Metro International Trade Services di Detroit, che gestisce lo stoccaggio certificato dalla London Metal Exchange, la principale borsa mondiale dei metalli. Nei suoi magazzini ci sarebbe l’85% di tutto l’alluminio contrattato alla borsa di Londra per il mercato americano. Trattasi di 1,6 milioni di metri cubi di alluminio pari al 25% dell’interno consumo annuale in Nord America. La banca ha aumentato la sua proprietà diretta di alluminio passando da una quantità pari a 100 milioni di dollari a 3 miliardi. Possiede, tra l’altro, anche un’impresa che commercia uranio e due grandi miniere di carbone in Colombia. Il meccanismo messo in atto sembra piuttosto semplice. Attraverso varie manipolazioni e fittizi spostamenti di ingenti quantità da un magazzino all’altro la Goldman Sachs sarebbe riuscita a determinare ritardi nelle consegne del metallo alle industrie acquirenti. Invece dei 40 giorni necessari nel 2010, lo scorso settembre il tempo di consegna è stato di ben 600 giorni. Ovviamente ciò ha prodotto un aumento sul costo dello stoccaggio, la cui percentuale su quello totale è passata dal 6% del 2010 al 20% di oggi. Naturalmente tutto a beneficio di Metro-Goldman. La conseguenza è stata un’impennata dei prezzi dell’alluminio tanto che molte imprese colpite hanno denunciato la manipolazione, tra cui la Coca Cola. Sembra che al “giochetto degli spostamenti” abbiano partecipato anche altre banche come la Deutsche Bank e l’hedge fund inglese Red Kite, I profitti realizzati con l’aumento dei prezzi di stoccaggio per la Goldman sono stati soltanto una piccola parte del guadagno. Il vero business lo hanno fatto con le speculazioni sui future dell’alluminio e con altri derivati costruiti in base alla manipolazione dei prezzi e alla posizione di monopolio dello stoccaggio. Da parte sua la JP Morgan Chase ha ammassato grandi quantità di materie prime per un valore di mercato di 17,4 miliardi di dollari pari al 12% del suo capitale di base, il cosiddetto Tier 1. Poiché sono stati superati abbondantemente i limiti permessi, la banca furbescamente ha sottostimato di quasi due terzi tale valore prima di rendicontarlo alla Federal Reserve. E’ arrivata anche a possedere fino al 60% di tutto il rame negoziato sui mercati mondiali. Nel campo energetico possiede 25 milioni di barili di petrolio e controlla 19 centri di immagazzinamento di gas. La Morgan Stanley invece controlla 58 milioni di barili di petrolio. Possiede 100 petroliere e circa 8.000 km di oleodotti. E’ padrona di 18 centri di immagazzinamento di gas. Contemporaneamente sta costruendo la propria centrale di compressione del gas ed è la fornitrice privilegiata di carburante per alcune grandi compagnie aeree. La Bank of America ha 35 centri di stoccaggio di petrolio e 54 di gas. In altre parole, all’ombra di una troppo abusata “globalizzazione” che tutto giustifica, le banche fanno sempre meno gli istituti di credito e, forti anche dei capitali ottenuti a tassi di favore dal governo, si mettono in diretta competizione con le imprese che operano nei settori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, della lavorazione e dello sfruttamento delle materie prime fino a determinarne i comportamenti e la stessa sopravvivenza. Appare chiaro l’intreccio perverso tra banche e organismi di controllo che evidentemente non hanno fatto il loro dovere. Avviata l’indagine senatoriale, la Goldman Sachs si è affrettata a licenziare due suoi importanti operatori coinvolt i nelle manipolazione. Si è scoperto però che prima essi avevano lavorato per la Federal Reserve di New York. Del resto è noto che l’attuale capo della Fed di New York, William Dudley, è stato un alto dirigente della Goldman fino al 2005 È certamente importante che la Commissione d’indagine del Senato lavori su questi casi specifici. In passato la stessa Commissione in verità aveva denunciato le responsabilità delle grandi banche americane nella crisi finanziaria globale dei mutui subprime, dei derivati Otc e dei titoli tossici. Il fatto che, a distanza di anni, si debba ancora denunciare simili gravi comportamenti, dovrebbe suonare come un vero allarme sui rischi sistemici di una finanza che purtroppo continua a ritenersi l’ agnello d’oro da adorare sempre. Ci saremmo aspettati che a Brisbane si fosse parlato anche di ciò.

Risposto da giorgio varaldo su 15 dicembre 2014 a 7:44

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http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/oceania/2014/12/15/presi-osta...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 dicembre 2014 a 13:13 Mi danno fastidio le tue continue lezioni di economia e finanza; se vuoi capire quanto dico cerca di sforzarti di parlare con un profano che si esprime come può; io definisco titoli tossici, e mi pareva di essermi spiegato, i titoli speciali, quelli definiti titoli spazzatura, posseduti per la maggior parte dalle banche e emessi da altre banche, mi sembra di aver letto da qualche parte che i titoli finanziari circolanti nel mondo superano stanno all'economia reale in una proporzione di 7:1; normale? E finchè non verranno ti i paradisi fiscali è inutile star qui a parlare di regolamentare le banche, ormai non è più sufficiente dividere le loro attività fra attività commerciali e di investimento: si tratta solo di fumo negli occhi. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, la deregulation, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, ha certo permesso la crisi del 2007/2008. Ma la distinzione che fai tra banche private e banche pubbliche è completamente sbagliata, cosi come quello che scrivi sui "titoli tossici". Negli Stati Uniti e in Europa tutte le banche sono società di diritto privato sottoposte alla stessa regolamentazione (fanno eccezione solo alcune banche speciali come la Cassa Depositi e Prestiti, la KfW e cose simili, che comunque non sono presenti sul mercato al dettaglio, ma che devono comunque rispettare la stessa legislazione che si applica a tutte le banche). Il fatto che in alcuni paesi le azioni siano in parte detenute da poteri pubblici non cambia nulla dal punto di vista giuridico, dal punto di vista della legislazione applicabile e, più importante, non cambia nulla dal punto di vista del comportamento. Le banche che hanno commesso le assurdità più grosse prima della crisi sono state proprio alcune banche controllate dal settore pubblico (Dexia in Belgio/Francia, le casse di risparmio – Bankia – in Spagna e le Landesbanken in Germania). I titoli che tu chiami "titoli tossici" sono le cosiddette "Asset Backed Securities" (il raggruppamento di crediti commerciali e mutui in titoli venduti sul mercato; la crisi è partita da questi titoli). Immagina che la Banca Centrale Europea sta cercando di sviluppare il mercato europeo di questi titoli perché le operazioni che vuole fare per immettere liquidità nell'economia (Quantitative Easing) si dovrebbero basare sull'acquisto di questi titoli e sulla conseguente riduzione dell'esposizione delle banche, che potrebbero quindi concedere nuovi prestiti. Il problema che la BCE sta incontrando è che in Europa non ce ne sono abbastanza e la banca centrale sta incoraggiando le banche ad emetterne di più (la BCE sta pensando di comprare titoli di stato perché il mercato dei titoli che tu consideri "tossici" è ancora troppo piccolo). Questo mostra quanto siano sbaglaiate le caratterizzazioni generali. Questi titoli sono "tossici" se usati male, sono "benefici" se usati bene. Non va poi dimenticato che negli Stati Uniti lo sviluppo dei titoli "bidone" (Asset Backed Securities basate su mutui concessi a persone che avevano poche possibilità di ripagarli) era stato incoraggiato come una misura "sociale" che permetteva anche ai più poveri di avere accesso alla proprietà dell'abitazione ed è stato incoraggiato fortemente dai due giganti americani dei mutui, Freddie Mac e Fannie Mae, che erano invece due istituti semi-pubblici (ora nazionalizzati completamente). Infine, l'Irlanda e la Spagna si sono trovate in difficoltà non per aver avuto finanze pubbliche fuori controllo, ma per un'espansione illogica e irrazionale del credito immobiliare che ha creato due bolle speculative pazzesche. Queste bolle solo state permesse dall'irresponsabilità dei governi (che non volevano "fischiare la fine della ricreazione") e alimentate, soprattutto in Spagna, dalle banche pubbliche controllate dalla politica. In Spagna tutti i problemi sono stati nelle casse di risparmio (che hanno perfino fatto appello - Bankia, operazione di fusione di tante casse di risparmio - all'azionariato popolare, rovinando miglialia di piccoli risparmiatori), mentre le grandi banche private sono passate indenni attraverso la crisi. Le bolle immobiliari di Irlanda e Spagna sono state il pagliaio dove è stato buttato il cerino delle ABS americane. I fatti non sostengono l'ideologia. Giampaolo Carboniero ha detto:

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Il problema è nato all'origine della crisi; le banche americane hanno potuto commerciare i famosi titoli tossici proprio perchè private e all'epoca la deregulation dei governi lo ha loro permesso; in Europa, proprio perchè le banche sono di proprietà pubblica ,o regolate dal pubblico, il problema non sarebbe nato; ad inoculazione avvenuta l'intervento degli USA ha potuto essere più mirato per le ragioni che dici e la difficoltà dell'intervento degli stati europei è sotto gli occhi di tutti, con lo svantaggio che la nostra economia, appunto, dipende molto di più dal credito bancario; altro esempio, per me, che certi meccanismi non possono essere trasferiti tali e quali su situazioni diverse, pena il loro differente risultato. Fabio Colasanti ha detto: Una voce autorevole che ripete quello che ho scritto tante volte: gli Stati Uniti (che certo sono all'origine della crisi finanziaria del 2007/2008) stanno facendo molto per ri-regolare le banche. L'Europa purtroppo no. Come ho ricordato tante volte, il motivo principale è che gli Stati Uniti non hanno banche pubbliche e quindi il governo ha potuto essere molto duro con il settore. Purtroppo in Spagna, Francia, Germania e Italia i legami tra politica e mondo bancario sono forti e malsani ed i governi sono troppo teneri con il mondo delle banche. Per di più le nostre imprese dipendono dai crediti bancari per la quasi totalità del loro finanziamento, mentre negli Stati Uniti le imprese hanno molti altri mezzi per finanziarsi. http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1500-the-european-uni...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 dicembre 2014 a 13:15 Scusa, ma io, commentando il post di Laura, cosa avrei detto, a parte le precisazionio tecniche? Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, almeno negli Stati Uniti di queste cose si discute. E una delle persone dietro a questa inchiesta è addirittura un ex-candidato repubblicano alla Casa Bianca. Perfino i conservatori americani si preoccupano. Negli Stati Unite molte persone sono licenziate, alcune sono perfino finite in galera. Da noi invece il mondo politico è nelle mani delle banche, visti i legami malsani tra politica e banche che esistono in Francia, Germania, Spagna e Italia. Da noi perfino sulla separazione tra banche d'affari e banche di investimento si esita. Mandare in galera i responsabili di grossi fallimenti (chissà se il caso MPS non sia uno che lo meriterebbe) da noi è impensabile. Giampaolo Carboniero ha detto: Dal fatto che di tali decisioni non si discuta più io ricavo la convinzione che ormai il potere politico è sottomesso a quello finanziario, con annessi e connessi, comprese le ricadute sulle nostre democrazie; nonostante tutte le buone intenzioni e le dichiarazioni di principio, p.e., non riesco a fidarmi del trattato TTIP, troppo magnificato proprio da quelle banche e poteri. laura sgaravatto ha detto: Le grandi banche sono state pizzicate a speculare alla grande sulle commodity, sulle materie prime, sui cereali e su altri prodotti alimentari. leggi anche: Le pericolose metamorfosi delle banche too big to fail Prima il Libor poi i tassi Forex. La manipolazione dei mercati cont... Attenti ai Gattopardi di Wall Street La Commissione d’indagine del senato americano, diretta dal democratico Carl Levin e dal repubblicano John McCain, ha pubblicato un dossier di 400 pagine dal titolo “Wall Street bank involvement with physical commodities” per denunciare con dovizia di dettagli come le “too big to fail” stiano manipolando, ovviamente a loro vantaggio, i mercati delle commodity. Naturalmente tutto ciò con riverberi sui mercati internazionali. Per due anni la Commissione ha indagato sui casi più eclatanti che evidenziano come «il massiccio coinvolgimento di Wall Street nelle commodity mette a rischio la nostra economia, le nostre imprese e l’integrità dei nostri mercati. Bisogna reintrodurre – continua la Commissione – la separazione tra banca e commercio per prevenire che Wall Street utilizzi informazioni non di pubblico dominio a suo profitto e a spese dell’industria e quindi dei cittadini». Ciò non vale soltanto per gli Stati Uniti ma per il mondo intero.

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La Commissione sta procedendo con delle audizioni pubbliche per dimostrare come alcune banche abbiano fatto aumentare artificialmente i prezzi delle materie prime e speculato in derivati sulle stesse, sfruttando gli “effetti provocati” dalle manipolazioni. Il senatore Levin avverte anche di possibili futuri rischi sistemici per l’economia dovuti al fatto che le banche sono coinvolte in imprese esposte ad alti rischi di catastrofi ambientali. Sono state analizzate in particolare le attività delle solite maggiori banche americane, tra cui la Goldman Sachs, la JP Morgan Chase, la Morgan Stanley e la Bank of America. La Goldman avrebbe “assunto” il controllo del mercato dell’alluminio. Nel 2010 ha acquistato la Metro International Trade Services di Detroit, che gestisce lo stoccaggio certificato dalla London Metal Exchange, la principale borsa mondiale dei metalli. Nei suoi magazzini ci sarebbe l’85% di tutto l’alluminio contrattato alla borsa di Londra per il mercato americano. Trattasi di 1,6 milioni di metri cubi di alluminio pari al 25% dell’interno consumo annuale in Nord America. La banca ha aumentato la sua proprietà diretta di alluminio passando da una quantità pari a 100 milioni di dollari a 3 miliardi. Possiede, tra l’altro, anche un’impresa che commercia uranio e due grandi miniere di carbone in Colombia. Il meccanismo messo in atto sembra piuttosto semplice. Attraverso varie manipolazioni e fittizi spostamenti di ingenti quantità da un magazzino all’altro la Goldman Sachs sarebbe riuscita a determinare ritardi nelle consegne del metallo alle industrie acquirenti. Invece dei 40 giorni necessari nel 2010, lo scorso settembre il tempo di consegna è stato di ben 600 giorni. Ovviamente ciò ha prodotto un aumento sul costo dello stoccaggio, la cui percentuale su quello totale è passata dal 6% del 2010 al 20% di oggi. Naturalmente tutto a beneficio di Metro-Goldman. La conseguenza è stata un’impennata dei prezzi dell’alluminio tanto che molte imprese colpite hanno denunciato la manipolazione, tra cui la Coca Cola. Sembra che al “giochetto degli spostamenti” abbiano partecipato anche altre banche come la Deutsche Bank e l’hedge fund inglese Red Kite, I profitti realizzati con l’aumento dei prezzi di stoccaggio per la Goldman sono stati soltanto una piccola parte del guadagno. Il vero business lo hanno fatto con le speculazioni sui future dell’alluminio e con altri derivati costruiti in base alla manipolazione dei prezzi e alla posizione di monopolio dello stoccaggio. Da parte sua la JP Morgan Chase ha ammassato grandi quantità di materie prime per un valore di mercato di 17,4 miliardi di dollari pari al 12% del suo capitale di base, il cosiddetto Tier 1. Poiché sono stati superati abbondantemente i limiti permessi, la banca furbescamente ha sottostimato di quasi due terzi tale valore prima di rendicontarlo alla Federal Reserve. E’ arrivata anche a possedere fino al 60% di tutto il rame negoziato sui mercati mondiali. Nel campo energetico possiede 25 milioni di barili di petrolio e controlla 19 centri di immagazzinamento di gas. La Morgan Stanley invece controlla 58 milioni di barili di petrolio. Possiede 100 petroliere e circa 8.000 km di oleodotti. E’ padrona di 18 centri di immagazzinamento di gas. Contemporaneamente sta costruendo la propria centrale di compressione del gas ed è la fornitrice privilegiata di carburante per alcune grandi compagnie aeree. La Bank of America ha 35 centri di stoccaggio di petrolio e 54 di gas. In altre parole, all’ombra di una troppo abusata “globalizzazione” che tutto giustifica, le banche fanno sempre meno gli istituti di credito e, forti anche dei capitali ottenuti a tassi di favore dal governo, si mettono in diretta competizione con le imprese che operano nei settori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, della lavorazione e dello sfruttamento delle materie prime fino a determinarne i comportamenti e la stessa sopravvivenza. Appare chiaro l’intreccio perverso tra banche e organismi di controllo che evidentemente non hanno fatto il loro dovere. Avviata l’indagine senatoriale, la Goldman Sachs si è affrettata a licenziare due suoi importanti operatori coinvolti nelle manipolazione. Si è scoperto però che prima essi avevano lavorato per la Federal Reserve di New York. Del resto è noto che l’attuale capo della Fed di New York, William Dudley, è stato un alto dirigente della Goldman fino al 2005 È certamente importante che la Commissione d’indagine del Senato lavori su questi casi specifici. In passato la stessa Commissione in verità aveva denunciato le responsabilità delle grandi banche americane nella crisi finanziaria globale dei mutui subprime, dei derivati Otc e dei titoli tossici. Il fatto che, a distanza di anni, si debba ancora denunciare simili gravi comportamenti, dovrebbe suonare come un vero allarme sui rischi sistemici di una finanza che purtroppo continua a ritenersi l’ agnello d’oro da adorare sempre. Ci saremmo aspettati che a Brisbane si fosse parlato anche di ciò.

Risposto da Salvatore Venuleo su 15 dicembre 2014 a 20:41 @ Giampaolo, ti è sfuggita una frase poco garbata: "Mi danno fastidio le tue continue lezioni di economia e finanza". Penso che tu a posteriori ne sia dispiaciuto. So bene - detto fra amici - che ad alcuni, profani o non profani, talvolta produce un pizzico di irritazione l'implacabile pedagogia economica di Fabio. Sinceramente a me no. Credo che anche

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Economia e politica nel mondo III - 2014

tu convenga sul contributo di precisione e qualità che Fabio dà al circolo soprattutto (e non solo) su temi economici. Ciò nulla toglie al fatto che io possa convergere con te più che con Fabio nella visione del mondo in cui viviamo e che cerchiamo di capire. E che talvolta preferirei toni più "morbidi" da Fabio. Il confronto in questo ci aiuta. Siamo comunque assai più avanti di altri circoli nella qualità del confronto e del dialogo. Manteniamo almeno questo primato. Un saluto davvero amichevole a te e a Fabio.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 dicembre 2014 a 14:17 Aspettando, allegramente, la prossima crisi; imprevedibile, naturalmente, e sempre causata dai soliti debiti pubblici nazionali; aspetto i soliti commenti sulla credibilità del FQ, le lezioni di economia, il catastrofismo inutile e dannoso, ecct.: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/15/crisi-economica-nuova-on...

Risposto da Fabio Colasanti su 16 dicembre 2014 a 23:20 Povero paese ... http://www.repubblica.it/esteri/2014/12/16/news/pakistan_strage_di_... E pensabile di mettere anche questo sul conto dell'occidente?

Risposto da giorgio varaldo su 17 dicembre 2014 a 19:47 dopo la risposta della corte suprema indiana riguardo a girone e la torre non sarebbe il caso di ritirare le nostre truppe impegnate in tutte le missioni ONU e chiedere agli altri stati europei di far lo stesso?

Risposto da adriano succi su 17 dicembre 2014 a 22:22 Ho qualche perplessità (ogni tanto può succedere) riguardo alla tua opinione. I nostri due Militari, sono, per l' appunto, Militari, non turisti che passavano di là per caso. Sono accusati di avere ucciso delle persone. Speriamo che venga provato il contrario, ma, fino a quel momento, mi lascia perplesso la campagna che si è scatenata. Fortunatamente mi pare non siano mai stata in una prigione Indiana, come si può immaginare dai film, e mi sembra siano trattati con rispetto e decoro. Riguardo alla lentezza del Processo, è vero è vergognosa, ma proprio l' Italia, con quello che succede ai nostri Processi, può lamentarsene?

Risposto da Salvatore Venuleo su 17 dicembre 2014 a 22:26 Chi vorrebbe metterlo sul conto dell'occidente? In quale senso? Fabio Colasanti ha detto: Povero paese ... http://www.repubblica.it/esteri/2014/12/16/news/pakistan_strage_di_...

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E pensabile di mettere anche questo sul conto dell'occidente?

Risposto da giorgio varaldo su 17 dicembre 2014 a 22:42 il caso dei due marò è una impressionante conferma del pressapochismo italico riguardo a tutto ciò che riguarda il settore difesa. ricordiamoci che il guaio è iniziato grazie alle regole riguardanti la scorta armata da parte di militari su navi mercantili fatta dal ministro della difesa ignazio la russa: mentre tutte le regole degli altri paesi stabiliscono che al momento di uno scontro a fuoco il comando della nave viene assunto dai militari le regole di la russa lasciavano il comando ai civili . ed il comandante della enrico lexie ha ricevuto dalle autorità indiane l'ordine di raggiungere il porto indiano più vicino quando era ben oltre le 100 miglia fuori dalle acque territoriali indiane e nessuna nave indiana avrebbe potuto raggiungerla ma la compagnia armatrice avrebbe perso i contratti con il governo indiano..... il resto è solo una serie di concatenazioni non certo favorite dalla sciagurata azione dei magistrati di milano nel caso delle presunte tangenti pagate da FINMECCANICA ad alte autorità militari indiane che ha causato un terremoto nei vertici indiani e come era logico aspettarsi indagine finita nel nulla. se fossi un funzionario indiano non è che avrei molta compassione per un paese come l'italia... ricordiamoci inoltre che quando militati indiani in missione sotto l'egida ONU si sono trovati invischiati in un brutto affare di stupri e violenze l'india ha preteso ed ottenuto di processare i militari in india ( e sembra siano stati tutti assolti) quindi pensare di far pressioni sull'india meglio non contarci pensare di ottenere solidarietà in europa a meno di porre il veto - se è possibile - a qualsiasi rapporto UE india meno che mai pertanto l'unica strada percorribile è quella di fare pressioni su ONU

Risposto da Fabio Colasanti su 18 dicembre 2014 a 22:24 http://video.repubblica.it/rubriche/repubblica-domani/il-coraggio-d... http://www.corriere.it/esteri/14_dicembre_18/addio-castrismo-b5562d...

Risposto da Salvatore Venuleo su 18 dicembre 2014 a 22:35 Cade anche il muro che divideva due Paesi divisi da poche braccia di mare: Usa e Cuba. Si conferma il protagonismo di due uomini che cambiano la Storia: Francesco ed Obama. Francesco che riallaccia il filo di Giovanni XXIII. Verso ciò che unisce. Suo il lavoro di mediazione finale e decisiva di cui Castro e Obama gli danno atto. Obama che potrà pur deludere tanti americani, ma che si è occupato delle cose che contano. Vincere il tabu della sanità pubblica e vincere il tabu del nemico di fronte casa. Rimangono incise le parole con cui ringrazia Papa Francesco: "il cui esempio morale ci mostra quanto sia importante cercare di creare il mondo come dovrebbe essere, invece che limitarsi semplicemente ad adattarsi al mondo com'è".

Risposto da giorgio varaldo su 19 dicembre 2014 a 0:52 il lavoro di francesco sembra aver avuto successo. certo va bene dire il cui esempio morale ci mostra quanto sia importante cercare di creare il mondo come dovrebbe essere, invece che limitarsi semplicemente ad adattarsi al mondo com'è".

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se al posto di raul ci fosse stato fidel se al posto di barak ci fosse stato george.w molto probabilmente non saremmo qui a parlare della caduta del secondo muro quindi va bene sperare ma senza le adatte condizioni al contorno serve ben poco

Risposto da Fabio Colasanti su 19 dicembre 2014 a 9:27 E' vero che la situazione della Russia è peggiorata soprattutto per effetto del crollo del prezzo del petrolio. Ma le sanzioni avevano il preciso effetto di far star male l'economia russa; se non che sanzioni sono? Non c'è quindi da stupirsi se oggi la Russia sta male. Pensavamo forse che le sanzioni sarebbero state una cosa finta? Alcuni forse si. Ecco il commento caustico del bollettino Eurointelligence. The EU's confusion about sanctions We noted yesterday that the Europeans are horrified by the idea that sanctions might be working and that was reaffirmed clearly in last night's European Council, which ended at midnight. Federica Mogherini, who still seems to present the Italian position in her new role, said: "The fact that Russia finds itself in a difficult financial situation is not good news. Not for the people of Russia, of the Ukraine, not for Europe, not for the rest of the world."

Risposto da Fabio Colasanti su 21 dicembre 2014 a 3:26 http://27esimaora.corriere.it/articolo/i-terroristi-di-boko-haramch...

Risposto da giorgio varaldo su 21 dicembre 2014 a 23:54 oggi scambio di auguri con i consuoceri. da parte nostra un bel panduce vigia zena da parte dei consuoceri (visto che il consuocero è un vecchio noto purcitar) salsicce cotechini e macundele .. per il salame ancor presto è troppo fresco. questo piacevole intermezzo è venuto a mente leggendo la risposta di sandra al post di laura..beh ognuno faccia il moralista a casa propria.

Risposto da giorgio varaldo su 21 dicembre 2014 a 23:57 visto l'interesse degli animalisti per non sottoporre gli animali ad inutili sofferenze mi domando per quale motivo nessuno di loro si sia mai preso la briga di contestare il sistema di macellazione islamico ed ebraico (halal e kosher) che prevede la morte dell'animale per dissanguamento. certo non i maiali animali considerati impuri ma buoi caprini ed ovini si.

Risposto da giorgio varaldo su 22 dicembre 2014 a 0:33 http://www.gentedelfud.it/prodotto/dettaglio/marcundela/

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favolosa con le patate la polenta ed anche con le tagliatelle fatte in casa

Risposto da giorgio varaldo su 22 dicembre 2014 a 0:36 grazie laura! laura sgaravatto ha detto: http://iltirreno.gelocal.it/pontedera/cronaca/2014/11/02/news/corte... giorgio varaldo ha detto: visto l'interesse degli animalisti per non sottoporre gli animali ad inutili sofferenze mi domando per quale motivo nessuno di loro si sia mai preso la briga di contestare il sistema di macellazione islamico ed ebraico (halal e kosher) che prevede la morte dell'animale per dissanguamento. certo non i maiali animali considerati impuri ma buoi caprini ed ovini si.

Risposto da giorgio varaldo su 22 dicembre 2014 a 0:52 marcimek kuftasj (o qualcosa di simile ..) buonissime e poi una bella fetta di baklava!! ma l'uno mica esclude l'altro...ovvio non lo stesso giorno!! cmq a scanso di equivoci da noi si consuma carne una-due volte alla settimana con prevalenza di carni bianche (favoloso il pollo al curry con le mele e riso basmati) mentre più spesso si preferisce pesce e formaggi con tanta verdura . Riguardo ai primi minestroni e legumi in abbondanza con preferenza divisa fra purè di fave con cicoria e ceci in zimino cmq sandra se permetti un suggerimento ad udine c'è un ottimo ristorante egiziano le mille ed una notte in via gemona 10 con piatti arabi quasi tutti a base di vegetali .. da provare!!! Sandra Del Fabro ha detto: perché no un piatto turco a base di polpette di lenticchie? giorgio varaldo ha detto: http://www.gentedelfud.it/prodotto/dettaglio/marcundela/ favolosa con le patate la polenta ed anche con le tagliatelle fatte in casa

Risposto da Giampaolo Carboniero su 22 dicembre 2014 a 0:57 Quanti siamo in Europa? 500 Mil.c.ca? Da noi, 90 Mil. di bovini, 118 Mil.di suini, in massima parte alimentati a mangimi e insilati, quasi tutti in allevamenti cosiddetti modello, gonfiati di antibiotici ( in Europa, con l'Italia al terzo posto nel consumo, venduti 8.000 tonn. di antibiotici ad uso veterinario); con l'alimentazione odierna inoltre i bovini sono grandi produttori di gas metano, uno dei principali gas serra.

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Risposto da Fabio Colasanti su 22 dicembre 2014 a 2:50 Non solo un delitto del genere è sempre un delitto efferrato che non puo' ne essere compreso, ne giustificato. Ma in questo momento non ci voleva proprio. Rischia di bloccare il dibattito sul comportamento della polizia. laura sgaravatto ha detto: New York: due poliziotti uccisi. Forse vendetta per Brown e Garner Crimine orrendo a New York, due poliziotti sono stati uccisi a sangue freddo mentre erano seduti inermi nella loro vettura da un uomo di Baltimora. L’uomo, Ismaaiyl Brinsley, aveva scritto su Internet che avrebbe vendicato Michael Brown ucciso da un poliziotto bianco a Ferguson e Daniel Garner anche lui ucciso, soffocato da un gruppo di poliziotti bianchi a Staten Island.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 dicembre 2014 a 13:48 http://www.corriere.it/cronache/14_dicembre_22/occidente-ha-paura-m...

Risposto da Fabio Colasanti su 24 dicembre 2014 a 5:08 http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2014/12/23/balzo-del-pil-usa-vola-a-5-maggior-aumento-da-2003-_1496d1e9-edf9-4a9d-8f25-ef92feef19d0.html http://www.repubblica.it/economia/2014/12/23/news/borsaa_23_dicembr...

Risposto da giovanni de sio cesari su 27 dicembre 2014 a 21:44 Per chi fosse eventualmente interessato alla Corea del nord La vicenda del film The interview ha posto per un momento la Corea del nord al centro dell’attenzione del grande pubblico internazionale, cosa che avviene piuttosto raramente anche perchè di quel paese si sa ben poco, essendo esso chiuso come nessun altro al mondo. Il film in realtà a quanto dicono i critici, ha scarsi meriti artistici o di altro genere, ma è stato considerato offensivo dal presidente nord coreano Kim Jong-un e, per rivalsa, dalla Corea del nord sono partiti attacchi informatici che hanno posto in difficoltà la società produttrice Sony che aveva quindi rinunciato a proiettarlo per evitare maggiori complicazioni, ma il fatto è diventato un caso di liberta che non può essere ignorato. Dopo l’intervento di Obama, il film è stato quindi proiettato in America ed avrà probabilmente un successo di pubblico del tutto sproporzionato al suo valore artistico. E una vicenda che ci ricorda per tanti aspetti quella dei “versetti satanici” di Salman Rushdie o dei fumetti su Maometto editi in Danimarca e poi ripresi un po dovunque. L’episodio del tutto marginale e casuale tuttavia mette in luce il fanatismo nord coreano per la dinastia dei Kim, certo incomparabilmente più grottesco del fanatismo islamico. L’attuale presidente Kim Jong-un è il nipote del fondatore, Kim Il-sung che è stato poi proclamato alla sua morte niente di meno che Presidente Eterno e quindi è di diritto tuttora il presidente della Corea del nord, caso unico nella storia. A lui successe il figlio, Kim Jong-il , proclamato il Caro Leader che però governo poco perche afflitto da una malattia che lo porto' alla morte nel 2011 lasciando l’eredità al giovanissimo attuale presidente Kim Jong-un proclamato il “sole della nazione”. Questi ha studiato sotto falso nome in occidente in Svizzera, ma ha conservato intatta la mentalità familiare per niente contagiato dallo spirito democratico e libertario elvetico. Alla presa del potere nel dicembre 2011 Kim Jong-un era accompagnato da sette personaggi che rappresentavano i massimi dirigenti dello stato. Nessuno di essi attualmente compare più in pubblico: di sei di essi non si sa praticamente più niente, spariti completamente dalla informazione ufficiale come se non fossero mai esistiti. Il più importante di essi era Jang Song-taek. Questi aveva sposato una figlia del Presidente Eterno, sorella quindi del Caro Leader e zia dell’attuale leader. Durante la lunga malattia del Caro Leader aveva retto le sorti dello stato. Nel

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novembre del 2013 Jang Song-taek è stato improvvisamente accusato di complotto contro lo stato e giustiziato il mese dopo. Naturalmente nessuno crede all’esistenza di un tale complotto. Si è pensato a divergenza di linee politiche che in realtà sono effettivamente cambiate. Tuttavia la motivazione vera va ricercata nell’esercizio del terrore come pratica e puntello del potere assoluto. Non importa quanto tu ti sei dimostrato fedele, quanto alto sei salito nella scala del potere: all’improvviso puoi perdere tutto, anche la vita e perfino l’onore se il capo vuole cosi. Magari accade che dopo l’epurazione si venga ripescato e si torni ad essere potente per poi essere nuovamente epurato. Lo stesso Jang Song-taek, qualche anno prima era stato epurato per alcuni anni per essere poi rimesso in onore e divenire la seconda carica dello stato e praticamente governare il paese in nome del dittatore ufficiale. E un potere che si mantiene cosi e, per quanto possa sembrare strano, questo sistema funziona benissimo e si mantiene saldissimo. Il primo a usarlo fu Stalin con le sue incessanti purghe sanguinose con le quali fu rimossa e giustiziata tutta la classe dirigente del partito e della rivoluzione e poi i quadri intermedi e quindi anche milioni, decine di milioni di semplici cittadini, spariti per sempre nei buchi neri dei gulag. Lo stesso sistema è stato poi adottato in Estremo Oriente e utilizzato da Mao con una sottigliezza tutta orientale che stona con la rozzezza delle repressioni sovietica. La dinastia semi divina dei Kim sono il residuo e insieme il perfezionamento di questo metodo efficace e disumano di gestire il potere: come nel “1984” di Orwel ognuno grida il più forte possibile il suo plauso e entusiasmo per il capo nella speranza di potersi salvare, ma pure nella consapevolezza che, comunque, anche cosi la sua vita è semplicemente nelle mani del capo. Come un cristiano che per quanto si sforzi nel cammino della virtù si sente sempre peccatore e che solo la misericordia divina puo salvare: ma il cristiano pensa a un Dio di misericordia, di amore cose che mancano quasi del tutto a un a dinastia disumana come i Kim. Comunque effettivamente Kim Jong-un pare che abbia imboccata una linea diversa sia in politica interna che estera. .Ha attenuato il furore collettivista del regime inserendo una prudente e attenta politica degli incentivi. che pare abbia dato in agricoltura un qualche buon risultato : la fame e la carestia paiono non essere più un pericolo sempre imminente. Si è aperto anche a investimenti stranieri e a una certo sviluppo delle attività private maggiore di quanto si quanto si credi comunemente. Si potrebbe dire che ci si mette sulla via di Deng Xiaoping, ma bisogna vedere gli sviluppi In politica estera la Corea del nord pare voler ritornare all’alleanza tradizionale con la Russia e allontanarsi dalla Cina: questo spiega l’intervento di Putin di comprensione per Kim Jong-un nella vicenda del film, ma non ci si puo certo aspettare l’aiuto dei tempi belli dell’URSS. Putin ha ben altri problemi. Nel contempo la frontiera con la Cina è stata ben controllata mentre nei decenni precedenti era molto porosa, attraversata da contrabbandi di ogni genere, anche dalla tratta di ragazze coreane alcune delle quali destinate alla prostituzione e altre, più fortunate, a sposare contadini cinesi. Era anche la via unica di fuga dalla Corea del nord : un certo numero di persone riuscivano a passarla e dalla Cina poi in parte riuscivano a raggiungere la Corea del sud dove venivano accolti con un sostanzioso aiuto economico, ma nella quale poi difficilmente riuscivano a inserirsi tanto diversi erano ormai diventati dai loro connazionali.

Risposto da Fabio Colasanti su 28 dicembre 2014 a 0:15 Giovanni, grazie per questa sintesi che condivido. Purtroppo nelle relazioni internazionali si deve anche trattare e negoziare con regimi come quello dei Kim. Visto che discutiamo spesso delle responsabilità dell'Occidente in tanti campi, ricordo che il regime del Presidente Eterno è antecedente alla guerra di Corea che, in ogni caso, non è da attribuire all'occidente che in minima parte. Per trovare responsabilità "occidentali" bisognerebbe inserire nel concetto di "Occidente" anche il Giappone del 1910, ma mi sembra una cosa veramente tirata per i capelli. giovanni de sio cesari ha detto: Per chi fosse eventualmente interessato alla Corea del nord La vicenda del film The interview ha posto per un momento la Corea del nord al centro dell’attenzione del grande pubblico internazionale, cosa che avviene piuttosto raramente anche perchè di quel paese si sa ben poco, essendo esso chiuso come nessun altro al mondo. Il film in realtà a quanto dicono i critici, ha scarsi meriti artistici o di altro genere, ma è stato considerato offensivo dal presidente nord coreano Kim Jong-un e, per rivalsa, dalla Corea del nord sono partiti attacchi informatici che hanno posto in difficoltà la società produttrice Sony che aveva quindi rinunciato a proiettarlo per evitare maggiori complicazioni, ma il fatto è diventato un caso di liberta che non può essere ignorato. Dopo l’intervento di Obama, il

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film è stato quindi proiettato in America ed avrà probabilmente un successo di pubblico del tutto sproporzionato al suo valore artistico. E una vicenda che ci ricorda per tanti aspetti quella dei “versetti satanici” di Salman Rushdie o dei fumetti su Maometto editi in Danimarca e poi ripresi un po dovunque. L’episodio del tutto marginale e casuale tuttavia mette in luce il fanatismo nord coreano per la dinastia dei Kim, certo incomparabilmente più grottesco del fanatismo islamico. L’attuale presidente Kim Jong-un è il nipote del fondatore, Kim Il-sung che è stato poi proclamato alla sua morte niente di meno che Presidente Eterno e quindi è di diritto tuttora il presidente della Corea del nord, caso unico nella storia. A lui successe il figlio, Kim Jong-il , proclamato il Caro Leader che però governo poco perche afflitto da una malattia che lo porto' alla morte nel 2011 lasciando l’eredità al giovanissimo attuale presidente Kim Jong-un proclamato il “sole della nazione”. Questi ha studiato sotto falso nome in occidente in Svizzera, ma ha conservato intatta la mentalità familiare per niente contagiato dallo spirito democratico e libertario elvetico. Alla presa del potere nel dicembre 2011 Kim Jong-un era accompagnato da sette personaggi che rappresentavano i massimi dirigenti dello stato. Nessuno di essi attualmente compare più in pubblico: di sei di essi non si sa praticamente più niente, spariti completamente dalla informazione ufficiale come se non fossero mai esistiti. Il più importante di essi era Jang Song-taek. Questi aveva sposato una figlia del Presidente Eterno, sorella quindi del Caro Leader e zia dell’attuale leader. Durante la lunga malattia del Caro Leader aveva retto le sorti dello stato. Nel novembre del 2013 Jang Song-taek è stato improvvisamente accusato di complotto contro lo stato e giustiziato il mese dopo. Naturalmente nessuno crede all’esistenza di un tale complotto. Si è pensato a divergenza di linee politiche che in realtà sono effettivamente cambiate. Tuttavia la motivazione vera va ricercata nell’esercizio del terrore come pratica e puntello del potere assoluto. Non importa quanto tu ti sei dimostrato fedele, quanto alto sei salito nella scala del potere: all’improvviso puoi perdere tutto, anche la vita e perfino l’onore se il capo vuole cosi. Magari accade che dopo l’epurazione si venga ripescato e si torni ad essere potente per poi essere nuovamente epurato. Lo stesso Jang Song-taek, qualche anno prima era stato epurato per alcuni anni per essere poi rimesso in onore e divenire la seconda carica dello stato e praticamente governare il paese in nome del dittatore ufficiale. E un potere che si mantiene cosi e, per quanto possa sembrare strano, questo sistema funziona benissimo e si mantiene saldissimo. Il primo a usarlo fu Stalin con le sue incessanti purghe sanguinose con le quali fu rimossa e giustiziata tutta la classe dirigente del partito e della rivoluzione e poi i quadri intermedi e quindi anche milioni, decine di milioni di semplici cittadini, spariti per sempre nei buchi neri dei gulag. Lo stesso sistema è stato poi adottato in Estremo Oriente e utilizzato da Mao con una sottigliezza tutta orientale che stona con la rozzezza delle repressioni sovietica. La dinastia semi divina dei Kim sono il residuo e insieme il perfezionamento di questo metodo efficace e disumano di gestire il potere: come nel “1984” di Orwel ognuno grida il più forte possibile il suo plauso e entusiasmo per il capo nella speranza di potersi salvare, ma pure nella consapevolezza che, comunque, anche cosi la sua vita è semplicemente nelle mani del capo. Come un cristiano che per quanto si sforzi nel cammino della virtù si sente sempre peccatore e che solo la misericordia divina puo salvare: ma il cristiano pensa a un Dio di misericordia, di amore cose che mancano quasi del tutto a un a dinastia disumana come i Kim. Comunque effettivamente Kim Jong-un pare che abbia imboccata una linea diversa sia in politica interna che estera. .Ha attenuato il furore collettivista del regime inserendo una prudente e attenta politica degli incentivi. che pare abbia dato in agricoltura un qualche buon risultato : la fame e la carestia paiono non essere più un pericolo sempre imminente. Si è aperto anche a investimenti stranieri e a una certo sviluppo delle attività private maggiore di quanto si quanto si credi comunemente. Si potrebbe dire che ci si mette sulla via di Deng Xiaoping, ma bisogna vedere gli sviluppi In politica estera la Corea del nord pare voler ritornare all’alleanza tradizionale con la Russia e allontanarsi dalla Cina: questo spiega l’intervento di Putin di comprensione per Kim Jong-un nella vicenda del film, ma non ci si puo certo aspettare l’aiuto dei tempi belli dell’URSS. Putin ha ben altri problemi. Nel contempo la frontiera con la Cina è stata ben controllata mentre nei decenni precedenti era molto porosa, attraversata da contrabbandi di ogni genere, anche dalla tratta di ragazze coreane alcune delle quali destinate alla prostituzione e altre, più fortunate, a sposare contadini cinesi. Era anche la via unica di fuga dalla Corea del nord : un certo numero di persone riuscivano a passarla e dalla Cina poi in parte riuscivano a raggiungere la Corea del sud dove venivano accolti con un sostanzioso aiuto economico, ma nella quale poi difficilmente riuscivano a inserirsi tanto diversi erano ormai diventati dai loro connazionali.