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Educazione degli Educazione degli adulti adulti Prof.ssa Elena Marescotti Dispense a solo uso didattico interno Elena Marescotti 2011 Università degli Studi di Ferrara Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Scienze dell’educazione Anno Accademico 2010/2011 II parte: il concetto di ADULTO

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Educazione degli adultiEducazione degli adulti

Prof.ssa Elena Marescotti

Dispense a solo uso didattico interno Elena Marescotti 2011

Università degli Studi di FerraraFacoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in Scienze dell’educazioneAnno Accademico 2010/2011

II parte: il concetto di ADULTO

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ADULTO: suggestioni letterarie

«Ora che, passati gli anni, ho smesso d’arrovellarmi sulla catena d’infamiee di fatalità che ha provocato la mia detenzione, una cosa ho compreso:che l’unico modo di sfuggire alla condizione di prigioniero è capire come è fatta la prigione»

I. Calvino, Il conte di Montecristo,in Tutte le cosmicomiche, Milano, Mondadori, 1997, pp. 274-275

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L’uomo non entra una volta e definitivamente, a un dato momento della sua storia, in uno status fisso e stabilizzato che sarebbe lo status di un adulto. Al contrario: la sua esistenza è fatta di ingressi successivi che punteggiano il cammino della sua vita. L’uomo è “totalizzazione in corso” senza mai essere totalità compiuta […] Non vi è individuo, non vi è gruppo umano che possa essere definito veramente “adulto”, a meno che non si chiami adulta, relativizzando il termine, la capacità di cambiare e l’accettazione del cambiamento […] Se infatti si ammette che ogni impresa umana resta incompiuta, l’idea classica di un’etica che permetta di stabilizzare la vita deve essere abbandonata e far posto ad una riflessione mirante semplicemente a circoscrivere una strategia dell’esistenza. Per questo attingerò qui dal linguaggio di un’attività sociale – la politica – che è per sua natura problematica e strategica, il concetto di entrismo, che deve designare il moto permanente attraverso il quale l’uomo si sforza, fino alla fine della sua esistenza, di entrare nella vita […] Ora proprio questa ci sembra essere la situazione dell’uomo nel mondo. Un’adesione senza veri legami, un impegno che implica un incessante disimpegno. Il che potrebbe significare: qualunque sia il grado di disperazione, di solitudine, di alienazione in cui si trova, l’essere umano, dal momento che tutte le sue posizioni sono incompiute, resta capace di superare le sue schiavitù. Sotto la maschera degli status e dei ruoli, l’uomo entrista “milita” per un nuovo destino

G. Lapassade, L’entrée dans la vie. Essai sur l’inachèvement de l’homme, Paris, Les Editions de Minuit, 1963; tr. it., Il mito dell’adulto. Saggio sull’incompiutezza dell’uomo, Bologna, Guaraldi, 1971, pp. 271-273, passim.

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Adulto: etimologia

Adulto: dal latino adultus-adultum, cresciuto, sviluppato, participio passato del verbo adolesco-adolescere, crescere, svilupparsi.

Adolescente, che sta crescendo, che si sta sviluppando, è invece il participio presente dello stesso verbo, che reclama un tempo futuro per il compimento in progress della stessa azione del crescere e dello svilupparsi

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Come superare la contraddizione in termini?

La stessa espressione “educazione degli adulti” è, alla lettera, un’espressione ossimorica: se l’educazione è crescita, sviluppo, maturazione, e se l’adulto è colui che è cresciuto, sviluppato, maturato, l’accostamento tra i due termini pare inconciliabile e forzato, e, di conseguenza, la loro interazione inattuabile.

a) O si rinuncia, dunque, all’idea di educazione come trasformazione e ristrutturazione continua di quello che siamo, e la si concepisce, da un certo punto della vita in poi, tutt’al più come semplice aggiunta o recupero di qualcosa…

b) …O si rinuncia all’idea di adulto come soggetto che ha concluso l’avventura della costruzione della sua identità, che è compiuto, determinato, prodotto

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Questioni di fondo…

La prima opzione non è perseguibile: ad essa si oppongono molteplici ragioni e argomentazioni, che provengono tanto dalla ricerca scientifica (della Scienza dell’educazione, ma non solo) quanto dalla semplice osservazione e rielaborazione razionale di quanto avviene, quotidianamente, nella vita di ognuno di noi e fino all’ultimo istante della nostra esistenza. Di continuo, ogni essere vivente cambia, si trasforma: è lo stesso principio dell’essere in vita e dell’energia che l’attraversa e la sostiene. La portata e l’intenzionalità di tali cambiamenti sono, ovviamente, diverse, diversissime, ma la vita in quanto metamorfosi, plasticità, complessità e movimento è la conditio sine qua non dell’educazione.

Finché c’è vita c’è educazione, c’è possibilità di educazione, dunque.La stessa parola educazione, nella sua accezione etimologica primaria che

proviene dal verbo latino educare, allevare, nutrire, curare si intreccia alla vita nella sua forma basilare che è la sopravvivenza, per poi sussumerla e superarla tendendo a livelli via via più complessi e articolati (quelli dell’edocere, insegnare, istruire, ammaestrare, e dell’educere, trarre fuori, estrarre, far uscire).

Ma continua, necessariamente, ad essere avviluppata alla vita, sempre e per sempre.

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La seconda opzione, di conseguenza, è l’unica sostenibile: l’essere umano è compiuto, determinato, prodotto solo quando è, appunto, finito, quando la sua vita si è arrestata; fino a quel momento egli è nel presente per il futuro, e il suo passato è continuamente rimesso in circolo, rivitalizzato in queste due dimensioni; e tutte e tre, pertanto, circolarmente interconnesse, diventano le dimensioni in cui si persegue l’educazione e si invera la suscettibilità educativa dell’essere umano.

Definire e definirsi adulto, dunque, è alludere ad uno status, è ambire ad una situazione esistenziale compiuta solo in parte, è fare riferimento ad una metafora, ad una traslazione di significato da un ideale ad una situazione concreta, nella consapevolezza che – regola aurea di ogni uso traslato di pa role e concetti – tale passaggio non è né può essere mai esaustivo.Ed è proprio in questo scarto che trova spazio l’educazione.

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L’adulto in prospettive NON educative…

Nonostante non sia possibile rilevare né una congruenza tra i criteri comunemente adottati per sancire l’identità adulta né una loro affida bile continuità nel tempo e nello spazio (basti pensare alle molteplici possi bili sfasature, in prospettiva sia diacronica che sincronica, tra il raggiungimento della maggiore età normativamente stabilita, l’ingresso nel mondo del lavoro, la maturità sessuale, solo per ricordarne alcuni, tra le soglie e i passaggi), il principio sostanziale comune è quello di decretare il compimento della fase evolutiva per eccellenza – quella dell’infanzia e dell’adolescenza, appunto – e l’ingresso in una fase della vita contraddistinta dalla responsabilità sociale, dalla partecipazione al ciclo produttivo e, anche, da un sempre più accentuato decadimento fisico e mentale.

Come se l’adultità fosse un apice effettivamente raggiungibile, relativamente statico e stabile, rigidamente posto tra la curva ascendente della crescita e quella discendente dell’invecchiamento. Poco importa se, presi ad uno ad uno ed a seconda dei contesti e dei periodi storici, tali criteri anticiperanno o posticiperanno, da un punto di vista meramente cronologico, questa tappa esistenziale. Di fatto, in questa prospettiva, l’essere adulto segna in ogni caso il passaggio da un periodo di crescita e trasformazione – e quindi, di educazione – ad un periodo di stabilità che precede, nel presunto regolare ciclo naturale della vita, una presunta involuzione senile e la morte.

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L’adulto in prospettiva educativa…

Nell’ottica della Scienza dell’educazione, l’adulto non può essere considerato come colui che ha terminato la sua crescita, il suo sviluppo. Portando alle estreme conseguenze un simile discorso, si può affermare che tutti gli individui sono adolescenti, ovvero soggetti in crescita.

Scienza dell’educazione e riconoscimento dell’educabilità continua dell’individuo vanno di pari passo. L’una non può sussistere senza l’altra. Vale a dire che, laddove venisse meno la Scienza dell’educazione non vi sarebbe, di principio, alcuna garanzia logica di perseguimento continuo dell’educazione. E viceversa: laddove venisse meno l’idea dell’individuo come entità passibile di educazione – ossia di trasformazione migliorativa – da una certa età o situazione in poi, e su questo venisse organizzato il vivere sociale in generale e il sistema educativo e formativo in particolare, la Scienza dell’educazione subirebbe un duro colpo a livello di legittimità, poiché si troverebbe a mettere a punto un oggetto di studio che non solo non può sperimentare a pieno, ma non può neppure pensare in ottica universalistica.

Bambino, fanciullo, adolescente, adulto e anziano, allora, sono accomunati, innanzitutto, dall’essere – perennemente – nella condizione dell’educando.

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G. Vidari, voce Educando, in G. Marchesini (direttore), Dizionario delle Scienze pedagogiche, Milano, Società Editrice Libraria, 1929, vol. I, p. 443, passim.

L’educazione si riferisce soltanto all’uomo in quel momento di sua vita spirituale che corrisponde a quello in cui la pianta si coltiva, e l’animale si ag gioga o si addomestica o si addestra, cioè, quindi, al momento iniziale, così che possa definirsi la pedagogia come la scienza dell’educazione dell’uomo nel periodo di suo sviluppo, oppure essa si riferisce all’uomo in qualunque momento e fase di sua vita? […]

Se l’educazione si rivolge all’uomo in quanto soggetto cosciente e autocosciente, essa avrà ragione di essere sempre là dove la vita spirituale appaia, pur in gradi e forme diverse, in processo di continua elaborazione e di svolgimento; epperò nell’infante come nel fan ciullo, nell’adolescente e nel giovine, nell’uomo e nella donna, nel normale e nel deficiente, purché un qualche barlume di spiritualità vera, cioè attiva e non mecanizzata, vi brilli.

E l’educazione d’altra parte non ha più ragione né possibilità di essere là dove la vita dello spirito sia spenta o vada spegnendosi nella ripetizione meccanica di atti, nella incoscienza, nella insensibilità: se essa si rivolge essenzialmente all’uomo, l’uomo che si educa non può essere in largo senso che il giovine: quando l’uomo invecchia (e si può invecchiare a venti anni), cessa di essere soggetto di educazione.

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Adulto: parole chiaveIl Sé adulto si connota, dunque, prima di tutto, come «teatro del cambiamento»[1], in cui non solo

sperimentare quella «tensione anagogica» (dal greco anagoghé: elevazione, perfezionamento, miglioramento) che connota l’impegno dell’adulto nella ricerca del «proprio miglioramento»[2], ma anche in cui progettarne ed inventarne, accoglierne o respingerne, consapevo mente ed intenzionalmente, gli itinerari, le forme, i tempi, i modi, e i compagni di viaggio.

Età ambigua, quella dell’essere adulto, dell’incertezza, delle contraddizioni, delle complessità e, quindi, in altri termini, metaforicamente, condizione di «eterna adolescenza»[3].

Ma, anche, al contempo, età dell’autonomia, della consapevolezza, dell’intenzionalità, della maturità e della responsabilità, elementi tra loro circolarmente interrelati al punto da co stituire l’uno il presupposto e l’esito degli altri. Senza scendere nel dettaglio di ognuno dei concetti indicati, qui basti ribadire che, nel loro insieme, essi sottolineano con forza crescente l’evidenza degli effetti dell’educazione sull’individuo, vale a dire la realizzazione, pur sempre parziale, dello sviluppo delle sue potenzialità in direzione di una più piena appropriazione dello svolgersi della propria esistenza e partecipazione sociale. Di più. Credo che un individuo possa dirsi in situazione adulta quando cominciano a svilupparsi in lui quelle caratteristiche che consentono di farne un educatore, oltre che un educando

[1]. Cfr. D. Demetrio, L’età adulta. Teoria dell’identità e pedagogie dello sviluppo, Roma, La Nuova Italia scientifica, 1990, p. 115.

[2]. D. Demetrio, Manuale di educazione degli adulti, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 35.[3]. Cfr. L. Bellatalla, Adulto o eterno adolescente?, in L. Bellatalla, E. Marescotti, P. Russo, L’ossimoro intrigante. Studi di

Pedagogia degli adulti, Milano, FrancoAngeli, 2004, pp. 35-39.

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L’adulto nella letteratura pedagogica “generalista”

I primi decenni del Novecento: indizi di un adulto auto-educando

Dal secondo dopoguerra al Sessantotto: l’adulto come stadio della vita

Gli anni Settanta: l’adulto al centro dello snodo Educazione/Politica

Gli anni Ottanta: adultità e maturità nell’educazione permanente

Gli anni Novanta: l’epifania pedagogica dell’adulto

Dall’anno 2000 ai giorni nostri: l’adulto in estensione e in profondità

Uno sguardo alla situazione internazionale: un adulto in trasparenza

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Voce Adulto, in G. Genovesi, Lessico per la scuola. Dizionario delle

idee e delle attività scolastiche, Torino, UTET, 2001, pp. 52-53, passim

Dal punto di vista educativo non esiste mai un momento della vita dell’individuo che possa definirsi come coincidente con la fine della crescita.

Il crescere e il trasformarsi attraverso nuovi apprendimenti è un presupposto dell’attività e del pensiero educativi. Per cui, a rigore, il termine ‘cresciuto’, e quindi ‘adulto’, non può essere considerato altro che una metafora […]

In definitiva, in un’ottica educativa, il concetto di adulto insieme a quello d’adultità – termine coniato per indicare dimensioni e situazioni che denotano l’individuo adulto – può avere il suo significato più pieno allorché lo si intende come “cresciuto per cominciare ad assumersi le responsabilità derivanti dalla via associata” e, in prima istanza, quelle del lavoro, cioè di una professione che, nel momento stesso in cui gli permette d’offrire prodotti comunitariamente attesi e fruibili, gli permette anche d’esercitare al meglio il suo impegno etico-politico, ossia la sua dimensione morale

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F. Toriello, voce Adulto/Adultità, in V. Sarracino, N. Lupoli (a cura di), Le parole chiave della formazione, Napoli, Tecnodid, 2003, pp. 14-16.

L’adultoè soggetto a cambiamenti, ma non secondo una visione lineare e positivistica. La

condizione adulta indica un universo complesso piuttosto che un dato compiuto.L’adulto non è da considerare come un individuo destinato a regredire inevitabilmente

con il sopraggiungere della vecchiaia.Nel corso della vita impara, per riuscire a “gestire” questi stessi cambiamenti in una

duplice finalizzazione: di conservazione e di innovazione. In lui coesistono dimensioni legate alla vita stessa e alla variabilità dell’esperienze umane, situazioni di stabilità, ma anche situazioni di instabilità, regressioni fisiologiche e andirivieni (successi e insuccessi, sconfitte e vittorie…), in una logica sistemico-evolutiva.

Questo adulto si comporta come un sistema complesso, all’interno del quale si verificano situazioni di equilibrio/disequilibrio/riequilibrio, organizzazione e caoticità proprie di un sistema vivente che intende mantenere vivo il suo stesso funzionamento […]

È un individuo che va considerato lungo tutto il corso di vita, che conosce, allo stesso modo, momenti di maturità e di immaturità; si pone in atteggiamento capace di sostenere la provvisorietà e la pluralità dei cambiamenti che la sua stessa vita, in continua evoluzione, gli impone.

Tuttavia, l’adulto tende a finalizzare la sua crescita verso l’autonomia personale e sociale. In ciò egli intende essere “il decisore personale” del proprio processo di valutazione. Così come ogni sistema vivente umano, egli, decidendo della direzione del proprio sviluppo, è un individuo che provvede alla personale autoformazione.

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Per un verso l’individuo adulto “adulto”, appunto, lo è già. La sua maturazione psico-fisica si è variamente intrecciata a quella civico-sociale, culturale, di relazione, lavorativa, e la sua complessiva esperienza lo ha formato come tale. Può non esserci stata educazione intenzionale nelle fasi di questo processo, ma l’adulto è tale anche nella misura in cui sa attribuire, in proprio, tale intenzionalità, ricostruendo (e proseguendo) il suo vissuto con senso educativo, una volta incontratane e riconosciutane l’essenza. Così, solo per trascorso di lingua si potrà intendere l’educazione degli adulti in termini compensativi o di recupero, giacché essa guarda comunque al dispiegarsi di un futuro intenzionalmente deciso come diverso (e come migliore) rispetto al passato.

Ogni scienza, e così anche la Scienza dell’educazione, si muove, infatti, più nell’ottica della prevenzione che non in quella del rimedio: lo stesso recupero di un passato che non c’è stato – se si può accettare questo illogico – avviene nel presente e per il futuro. Tornare nel passato, rivisitarlo, conoscerlo, interrogarlo, metterne in relazione i contenuti, le cause, le conseguenze, e, più in generale, ripercorrerne le dinamiche e attribuirvi significati, è un esercizio tipicamente educativo, di ricerca, condotto in vista di una finalità che è con noi e davanti a noi, quella di “tornare a crescere”, conciliando ciò che già c’è (ma che attende di essere conosciuto, ovvero ri-esperito ad altri livelli) con ciò che verrà, se si vorrà

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D. Demetrio, L’età adulta. Teorie dell’identità e pedagogie dello sviluppo, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1990, p. 36.

Il passato, negato attraverso atti contrari ai costumi precedenti o risolto attraverso atti di volontà meno radicali, continua ad appartenere alla biografia del soggetto.

Da esso, il soggetto ha saputo prendere le distanze, può guardarlo come altro da sé senza per questo rinnegarlo. È in gioco, quando ciò si verifica, una dinamica prettamente evolutiva di tipo non cumulativo, e nemmeno sottrattivo, perché il soggetto non aggiunge o toglie: trasforma.

Ponendosi di fronte al passato, nel presente, ne ha una percezione dettata pur sempre dal presente, pertanto nuova, dal momento che nel corso della vita non si può più essere ciò che si è stati: il rinnovato rapporto con l’infanzia, con i modi infantili di esplorare il mondo è, nell’adulto, non regressivo, se è occasione e incentivo per l’innalzamento a un più alto livello di complessità della propria adultità. È desiderio di rigenerazione nel tempo presente e in funzione del futuro, non del passato.

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Così, quelle cinque parole chiave dell’identità adulta (autonomia, consapevolezza, intenzionalità, maturità e responsabilità), solitamente intese come traguardi raggiunti, dinanzi all’educazione si schiudono (liberando l’adulto e parimenti costringendolo ad andare avanti, ad andare oltre) e diventano, appunto, le chiavi di infinite porte, finalmente visibili, da aprire.

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L’autonomia diventa progressivo esercizio di autonomia, prerogativa che si invera facendosi nella consapevolezza di non poter mai essere svincolo assoluto ma, piuttosto, assunzione consapevole di vincoli, ovvero sempre più autodeterminati, sempre meno apaticamente subiti.

La consapevolezza diventa progressivo esercizio di consapevolezza, atto di scandagliata riflessione su se stessi e sul mondo, di partecipazione intenzionalmente assunta nelle relazioni che determinano le condizioni e le direzioni dell’esistenza.

L’intenzionalità diventa progressivo esercizio di intenzionalità, un interrogarsi e un rispondersi continuo sui desideri di cambiamento, sulle relative motivazioni e ragioni e, anche, un impegno etico-morale laddove si concretizza in azioni, in scelte di vita di cui si ha la responsabilità proprio perché sono state deliberatamente volute.

La responsabilità diventa progressivo esercizio di responsabilità, al banco di prova del proprio e dell’altrui giudizio, configurandosi come dispositivo autoregolatore nell’inevitabile intersecarsi dei comportamenti individuali con quelli collettivi.

La maturità, infine – sinonimo per eccellenza dell’adultità – diventa anch’essa progressivo esercizio: di quell’autonomo, consapevole, intenzionale e responsabile orientamento esistenziale che ogni individuo deve essere poter messo nella condizione di intraprendere.

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Tutto questo costituisce un patrimonio educativo e, massimamente, un “patrimonio adulto” le cui componenti – tanto quelle reali quanto quelle ideali – non saranno mai pienamente soddisfacenti, mai pienamente adeguate all’insopprimibile sogno, tipico degli adulti, di poter vivere meglio di quanto, fino a quel momento in cui da vagheggiamento diventa pervasivo e pressante bisogno, non sia ancora stato.

È forse l’avvertimento pieno di questo bisogno, unitamente all’azione che sollecita per ricercarne appagamento, che segna una prima transizione profonda all’adultità, accompagnandosi all’esigenza di educarsi e di educare.

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L’educazione, di principio, rifiuta il predeterminato: se così non fosse, dovremmo abbandonare qualsiasi aspettativa di trasformazione, e di miglioramento nella trasformazione; tutt’al più potremmo confidare nel caso o, con maggiori probabilità, arrenderci ed abbandonarci ad una pseudo-occasionalità del cambiamento, occultamente e calcolatamente pilotata da qualcun’altro.

Ma non rifiuta il determinato, anzi, ne fa oggetto di conoscenza: l’educazione si dà come costante compagna dell’adulto in tutti i suoi tentativi di interpretazione e di comprensione del mondo. Il confine tra determinato – l’oggi – e pre-determinato – quel domani che ineluttabilmente ne deriva – si dà come pericolosamente labile e, pertanto, richiede in primis all’adulto di essere costantemente vigilato e mantenuto come confine, affinché tra il prima e il dopo sia garantito uno spazio di intervento.L’autorità di ciò che è determinato non può essere negata: per essere messa in discussione va prima di tutto riconosciuta come tale, altrimenti non sarebbe neppure possibile immaginare alternative verosimili rispetto a quanto sembra già scritto e attende solo tempo per realizzarsi

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Inevitabile è, piuttosto (e primariamente) che, in ottica educativa, all’identità adulta

– nella sua componente reale e nella sua componente ideale, ma non dicotomicamente intese –

corrispondano delle sfide, come spazio-tempo in cui – utopisticamente, ma non più di tanto, a ben vedere – “i giochi non sono ancora fatti”