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ELIZABETH TARIRA UN ESEMPIO DI VITA

ELIZABETH TARIRA - help-zimbabwe.org · Ringrazio quindi Vincenza Giuntoli e Rosalba Sangiorgi, due missionarie ... Nel 1994 la raggiunge la dott.ssa Neela Naha, ginecologa indiana

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ELIZABETH TARIRAUN ESEMPIO DI VITA

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Introduzione

Siamo entusiasti di aver scoperto il potere “terapeutico” della gratuità! “L’acqua calda”, direbbero i saggi che hanno ribadito questa via in tutte le epoche, ma siamo alle solite, abbiamo bisogno di sperimentarlo di persona. Così, come sempre avviene quando si vive una grande gioia, sorge spontaneo gridarlo ai quattro venti: “Signori abbiamo la soluzione di tutti i mali! L’anima, la psiche e forse, di conseguenza, anche il corpo sembrano rigenerarsi, grazie all’atto di donazione gratuita”. Un medico, sentendo la mia testimonianza della gioia profonda che genera in noi volontari del Progetto Diga – Emergenza Zimbabwe, il poter lavorare per realizzare ciò che solo sei anni fa era un sogno, ovvero contribuire a garantire la sopravvivenza a migliaia di persone, ha esclamato: “questa è la Donoterapia!”Si tratta della gradevole sensazione di sentirsi utili che pervade nei momenti migliori della vita. Utili ad altri, senza prevedere un personale ritorno economico e neppure d’immagine. Con un semplicissimo gesto libero, realmente libero, siamo in grado di generare in noi una gioia che non ha eguali. Il suo lusso va in due direzioni, un duplice sorriso, per chi riceve e per chi dona. In realtà i due ruoli si fondono. Il concetto di “dono” è quindi doppiamente appropriato: nel caso del Progetto Diga, non saprei dire chi, tra noi e gli abitanti di St. Albert, riceva di più. L’acqua che disseta e irriga i campi in Zimbabwe è per noi la grati icazione interiore che cura.La fragranza dell’atto gratuito avvicina all’essenza di noi stessi e aiuta la ricerca di sé che è alla base del cammino evolutivo di ogni uomo.Il nostro progetto è solo un piccolo esempio di come ci si possa “curare” donando. L’abbraccio a colui che è diverso e lontano rompe le barriere spazio-temporali, smaschera l’illusione del noi e voi, è reale globalizzazione, nel senso di condivisione e, oserei dire, di spiritualità applicata. Viviamo in un’epoca in cui più che mai valutiamo il benessere sulla base della ricchezza materiale. Nonostante il caro prezzo che paghiamo sul piano psicologico - depressione, ansie, senso di inutilità e vuoto - noi ricchi del mondo restiamo ingabbiati nel fraintendimento che la ricchezza, il consumo di beni materiali, ci possa rendere felici. I materialmente poveri naturalmente ambiscono a tutto questo non sapendo che quel desiderare non ha ine. Il marketing, la logica dei consumi e della competitività che governano incontrastati le economie mondiali non tengono conto del

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dolore che generano. I poteri forti, sul piano economico, politico e religioso, attraverso il potentissimo strumento mediatico, persistono nella miope logica del pro itto che si è rivelata un fallimento sul piano della reale ricchezza dell’essere.Generalmente l’uomo comune si illude che “se avesse qualche soldo in più potrebbe...”, ma poi quando quel “soldo in più” arriva non si placa quasi mai. Così resta povero, ovvero desideroso di consumare, di poter spendere più di quel che ha a disposizione. Una pesante catena che solo l’atto di donazione può spezzare. Ecco perché è estremamente terapeutico.Altra rivelazione per noi del Progetto Diga è stata il legame, la coesione che ha generato tra noi. L’esserci incontrati per operare insieme questo cambiamento, che per ognuno è un piccolo salto evolutivo. Condividere questa gioia, imparando a lamentarci meno e fare di più. Uno stimolo reciproco tra persone che vanno nella stessa direzione, un po’ controtendenza, e che possono incontrarsi per fare insieme. Un cammino contagioso che si potrebbe, forse si dovrebbe, iniziare a intraprendere con le persone più prossime, con il vicino di casa, con chi incontriamo sulla via. Dietro l’angolo o in Zimbabwe, non importa come e dove, ciò che conta è mettersi in marcia.In ine questo moto di apertura verso l’altro può rivelarsi anche uno strumento pedagogico intrigante e divertente. Intrigante perché, per un magico intreccio tra tutti gli umani, avvicinarsi all’altro consente di avvicinarsi anche a noi stessi e divertente perché tra questi nessi si scoprono molte buffe sfaccettature di varietà umane. Insomma si tratta di un formidabile strumento di conoscenza e di crescita.La vita di Elizabeth Tarira è lo specchio della meravigliosa realtà che ho appena cercato di esprimere. Per questo motivo abbiamo deciso di raccontare di lei. L’esempio di coloro che lottano con determinazione per alleviare la sofferenza di molti è troppo prezioso.Ringrazio quindi Vincenza Giuntoli e Rosalba Sangiorgi, due missionarie che hanno vissuto con lei quarantatré anni di cammino medico missionario, per aver scritto la sua breve biogra ia che inizia con queste parole: “Non è facile parlare di lei, era una donna, gioiosa, intelligente, generosa, una donna eccezionale!”.

Marcello Girone Daloli

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Elizabeth Tarira

Elizabeth nasce a Chegutu, nell’allora Rhodesia del Sud, il 24 Marzo 1951. Il padre Philip era agricoltore e la madre Evelyn, ancora vivente, casalinga. Sin da bambina Elizabeth vive le ingiustizie del regime di apartheid dei coloni bianchi: scuole separate, mezzi di trasporto separati, quartieri separati...

Nel 1969, a 18 anni, fa visita allo zio sacerdote, superiore dell’All Souls Mission nel cui ospedale lavorano le missionarie dell’AFMM (Ass. Femminile Medico Missionaria), fondata a Roma dalla dott.ssa Adele Pignatelli.

Qui resta profondamente colpita dall’attività della dott.ssa Luisa Guidotti e delle due infermiere italiane. Un giorno accompagna la dott.ssa Guidotti a Mutemwa, il lebbrosario situato a 15 km dall’ospedale, il cui nome signi ica “tagliati fuori”. Questa visita cambiò la sua vita! Pensò: <<Se loro “straniere bianche” sono venute a curare la mia gente, perché non io?>>.

con Luisa Guidotti e un lebbroso

Nel 1970 chiede di diventare membro dell’AFMM (poi ASI, Associazione Sanitaria Internazionale) e inizia il suo cammino di preparazione spirituale e professionale.

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Quindi si trasferisce a All Souls per lavorare con la dott.ssa Guidotti sia all’ospedale che al lebbrosario di Mutemwa.

con Luisa Guidotti e un lebbroso

Nel 1974 Luisa Guidotti, d’accordo con la presidente dell’ASI Adele Pignatelli, la manda a Roma per studiare medicina.

In Rodhesia non era permesso agli studenti africani accedere all’università ed Elizabeth non aveva potuto conseguire neppure il diploma di scuola superiore.

Quell’anno a Roma deve quindi studiare privatamente per sostenere il dif icile esame di ammissione alla 4° classe dell’Istituto Magistrale. Lo supera e l’anno successivo frequenta la 4° magistrale. All’esame di stato, unica tra le studentesse della sua classe, è promossa con il massimo dei voti.Frequentato l’anno pre-universitario, nel 1976 può inalmente iscriversi alla facoltà di Medicina all’Università della Sapienza a Roma. La sua formazione professionale procede in comunione con la sua crescita umana e spirituale.

L’8 dicembre porta a compimento anche la sua preparazione spirituale nell’ASI e si consacra a Dio.

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con Adele Pignatelli

Nel 1979 un fatto gravissimo sconvolge la vita di tutte le missionarie dell’ASI. La dott.ssa Luisa Guidotti, colei che ha ispirato e guidato i primi passi di Elizabeth nella scelta missionaria, viene uccisa dai poliziotti bianchi, colpevole di aver curato i guerriglieri che combattevano per l’indipendenza del Paese. Elizabeth ritorna dal suo funerale in Rodhesia più determinata di prima.Nel 1982 si laurea in Medicina e Chirurgia (110/110). Successivamente si specializzerà in Medicina Tropicale presso l’università di Anversa in Belgio.Nel 1983 ritorna nell’ormai ex Rodhesia - nel 1980 emancipata dall’apartheid - che ha ripreso il nome originario di Zimbabwe. Inizia a lavorare come medico presso l’ospedale di St. Albert, dove si è trasferita l’ASI dopo la guerra d’indipendenza. Si dedica anima e corpo alla cura dei malati trascurando da subito la sua

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salute. Il lavoro nelle aree più depresse del paese la porta a contrarre la tubercolosi. Nel 1986 ritorna in Italia per curarsi.Nel 1988 si trasferisce all’ospedale rurale di Marjmont (vicino al Mozambico) a pochi chilometri dal campo di Mazowe, dove i profughi scappati dal Mozambico in guerra erano rimasti senza alcuna assistenza sanitaria. Qui per due anni si occupa della salute di oltre 30.000 rifugiati.Nel 1990 torna a St. Albert dove continua il programma HBC (Home based care). Inizia a migliorare lo standard dell’ospedale con una nuova camera operatoria, un reparto di isioterapia e nuovi ambulatori. E’ nominata direttore sanitario del St. Albert’s Mission Hospital e poi direttore distrettuale (District Medical Of icer) per conto del governo.Compiti che manterrà ino alla sua morte.Nel 1994 la raggiunge la dott.ssa Neela Naha, ginecologa indiana specializzata a Manchester consacrata a Dio come membro dell’ASI. Man mano che Elizabeth sarà chiamata a viaggiare in Occidente in cerca di fondi, Neela diverrà il punto di riferimento sanitario dell’ospedale. Nel 1999 Elizabeth inaugura un programma agricolo per garantire la sussistenza alimentare ai malati dell’ospedale (la denutrizione è alla base di molte patologie), oltre a un programma di adozione a distanza per gli orfani di genitori morti di AIDS.

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Nel 2000 torna a St. Albert, dopo essersi laureata in Medicina a Roma, Julia Musariri, la missionaria zimbabwese entrata nell’ASI nel 1980, pochi giorni prima della dichiarazione d’indipendenza dello Zimbabwe. Specializzata ad Anversa nella cura dei pazienti colpiti da AIDS, la dott.sa Jiulia Musariri, insieme alla dott.ssa Neela Naha, si farà carico delle incombenze sanitarie consentendo a Elizabeth di dedicarsi sempre di più alla gestione della struttura, dei progetti volti a sopperire alle emergenze umanitarie e di viaggiare per cercare fondi. La sua instancabile ricerca di aiuto si estende a organizzazioni umanitarie in Italia, Germania, United Kingdom e negli Stati Uniti.

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Elizabeth, Julia e Neela

Nel 2001 inizia il programma di prevenzione dell’AIDS per salvare i neonati da madri affette dalla malattia. Il primo in un ospedale rurale in Zimbabwe. Dal 2008 a St. Albert tutti i pazienti sospetti di sieropositività fanno il test per l’AIDS e iniziano le cure antiretrovirali.Se il paese col più alto tasso di sieropositività al mondo, 24,7% della popolazione nel 2006, è passato al 14,7% nel 2013, è merito di interventi come questo. Nel 2002, Elizabeth deve nuovamente occuparsi della sua salute: in occasione di uno dei suoi viaggi in Italia le viene diagnosticato un cancro al seno. Viene mastectomizzata e sottoposta a un doloroso ciclo di chemioterapia. Sembra guarita e torna a lavorare al St. Albert Mission Hospital.Nel 2004, per sopperire alla cronica mancanza di acqua negli otto mesi di siccità, inaugura gli scavi per l’edi icazione di un bacino che conservi l’acqua piovana. Per la mancanza di fondi interrompe i lavori che riprendono nel 2007 con il “Progetto Diga – Emergenza Zimbabwe” che in sei anni completa i

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lavori portando le tubature sino all’ospedale, migliorandone sensibilmente le condizioni igieniche. Vengono inoltre installati due impianti di potabilizzazione dell’acqua, irrigati 8 ettari di campi e ripristinate le linee elettriche e i pozzi prosciugati. Tutto ciò consente di garantire acqua potabile al villaggio, all’ospedale, alle due scuole (1.700 bambini) ai villaggi limitro i e alla missione. (Vedi ultima pagina)Durante l’epidemia di colera che in sei mesi, tra il 2008 e il 2009, ha infettato 96.600 Zimbabwani e ne ha uccisi 4.400, quando l’intero sistema sanitario è collassato, lasciando ospedali abbandonati nella capitale Harare, l’ospedale di St. Albert è diventato uno dei principali centri di accoglienza.Nel 2009 i vescovi nominano Elizabeth coordinatrice sanitaria dei 54 ospedali missionari dello Zimbabwe, compito che svolgerà con grande competenza e amore sino alla sua morte. Aumenta così la mole di lavoro che già sosteneva per gestire l’ospedale di St. Albert il cui indotto distrettuale è di 113.000 abitanti con 3 medici, 26 infermieri, 140 posti letto, acqua ed energia elettrica poche ore al giorno. Il tumore nel frattempo non si è fermato e nel 2011 compare una metastasi ossea, dopo pochi mesi le metastasi sono già diffuse in tutto il corpo.

Neela, Cristina ed Elizabeth

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Nel 2012 si sottopone ad altri cicli di chemio e radioterapia in Italia, ma è troppo tardi. Elizabeth si ri iuta di accedere a cure costose e decide di non proseguire le cure in Italia e torna al suo posto, a curare i malati in Zimbabwe.In una lettera Elizabeth chiedeva di pregare per la sua guarigione, dove “guarire non vuol dire liberarsi della malattia e dalla sofferenza, ma avere la forza di portare la croce con serenità... Avendo preso la decisione di tornare in Zimbabwe, ora mi sento completamente libera.”Gli ultimi mesi in Zimbabwe con grande sofferenza, in quanto intollerante agli oppiacei, continua a lavorare per tutti gli ospedali missionari. Viaggia molto, come sempre da sola guidando la jeep per centinaia di chilometri. “Vi assicuro che non mi arrendo”, aveva scritto, e così è stato. Elizabeth è l’espressione dello scon inato potere che muove lo Spirito Missionario.

Il 3 luglio, allo stremo delle forze, torna a St. Albert e non si alzerà più dal letto. Il 23 luglio il Signore la chiama a sé nella Sua gloria.Al suo funerale parteciparono oltre cinquemila persone: due vescovi, trenta sacerdoti e cariche istituzionali insieme a una folla di persone giunte anche da lontano. Fu celebrato all’aperto, perché la chiesa non può contenere le

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persone arrivate da ogni provincia. Durante la veglia lungo il percorso dalla chiesa all’ospedale, più di un chilometro, una grande folla venne a renderle omaggio reggendo le candele accese. Questa la risposta della sua gente a trent’anni di infaticabile lavoro a St. Albert al servizio degli Zimbabwani.

il suo funerale

Father Chasarira, parroco di St. Albert, durante l’omelia disse: “Siamo qui radunati per celebrare una vincente della vita eterna” e concluse con queste parole: “Preghiamo Elisabetta che ci dia il suo coraggio per la nostra vita.” Noi crediamo che la Mami (mamma), come la chiamavano tutti a St. Albert, continuerà ad aiutarli dal cielo, perché l’amore è eterno e senza con ini.Elizabeth è stata sepolta all’interno dell’area dell’ospedale, vicino ai suoi malati e l’ospedale sarà presto intitolato a lei.

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L’ASI

L’Associazione Sanitaria Internazionale, già Associazione Femminile Medico Missionaria, è stata fondata nel 1954 dalla dott.sa Adele Pignatelli dietro suggerimento di Mons. Montini, futuro Papa Paolo VI.L’ASI è formata da membri laici missionari a vita e da laici ausiliari, che s’impegnano per un periodo limitato a collaborare con l’ Associazione. In quasi 60 anni di vita l’ASI ha preparato almeno 50 medici e paramedici provenienti dall’Africa e dall’Asia che hanno lavorato e lavorano nei paesi in via di sviluppo. Alcune di loro, come la dott.sa Cécile Kyenge, da aprile 2013 ministro per l’integrazione, sono rimaste ad operare in Italia.

Oggi l’Associazione Sanitaria Internazionale, nonostante il suo prestigioso nome, conta solo 11 missionarie di cui 7 medici. Presso l’ospedale di St. Albert, oltre a Rosalba Sangiorgi, restano solo Neela Naha e Jiulia Musariri, oltre a Melania Nyamukuwa, assistente sociale che si occupa dei test AIDS e dei bambini in adozione a distanza. Tre medici, una isioterapista e un’infermiera sono presso l’ospedale di Hirjhur, in Karnataka (India). La presidente dell’ASI Vincenza Giuntoli e la sua collaboratrice Aleyamma Kuttikattu sono in sede a Roma.

Vincenza, Jackeline, Elizabeth, Aleyamma e Rosalba

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La missione di St. Albert sopravvive grazie agli aiuti di molti amici e ong. In particolar modo ricordiamo il sostegno di Rock No War che da quando è nata nel 1998, ha collaborato con il Gruppo Missionario Luisa Guidotti di Modena per la realizzazione di un ambulatorio, una casa per gli ospiti, oltre alla spedizione di container e alle adozioni a distanza.

Diverse persone si sono recate a St. Albert per contribuire in campo medico, tecnico, in visita o per conoscere i bambini in adozione a distanza. Lucia Orsetti, responsabile del “Gruppo Missionario Luisa Guidotti”, riferisce: <<Visitare l’ospedale di St. Albert, incontrare il personale, vedere tutti i miglioramenti conseguiti nonostante le poche risorse inanziarie, è un’esperienza che ha motivato ogni visitatore a chiedersi “Come posso aiutare?”>>.

Elena, Serenella, Maurizio, Maria Letizia, Gigi, Fabio, Elizabeth, Neela, Julia, Matteo, Giovanna e Lucia

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TESTIMONIANZE

Vincenza “Enza” Giuntoli, presidente dell’ASIElizabeth si occupava personalmente anche dello sdoganamento e dell’apertura a St. Albert dei container spediti dall’Italia. Passaggi a cui prestare particolare attenzione. Sei giorni prima di morire, quando le sue condizioni isiche erano molto deteriorate, è arrivata la notizia che due container per l’ospedale erano arrivati ad Harare. Occorrevano le carte per sdoganarli che erano sulla sua scrivania in ospedale. Elizabeth si alza dal letto per andare a prendere i documenti. Capisce che non sarebbe riuscita ma, vincendo i dolori acuti che l’af liggevano, si fa accompagnare in auto da Melania. Quest’ultimo sforzo dimostra quanto in cuor suo sentiva che doveva fare ino all’ultimo il suo dovere.Il suo profondo senso del dovere mi ricorda il periodo in cui abbiamo lavorato insieme a St. Albert, dal 1983 al 1986. Durante la stagione delle piogge la malaria cerebrale causava molte morti per anemia soprattutto tra i bambini. Così Elizabeth, appena arrivava un piccolo pallidissimo iniziava la paziente e amorevole ricerca di una vena per poter trasfondere il sangue.

Nel contempo mi mandava la mamma in laboratorio per determinarne il gruppo sanguigno. Se la donna era anemica per la malaria oppure aveva un gruppo sanguigno non compatibile con il iglio, chiamavo i ragazzi della scuola, che mi apostrofavano amichevolmente “sanguisuga”, ed Elizabeth, che nel frattempo era riuscita a trovare una vena nella testa del bambino,

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poteva trasfondere il sangue salvandogli la vita. Ricordo il giorno di Natale del 1983 in cui Elisabetta lavorò senza tregua. Quante vite salvate dalla malaria! Quale modo migliore per celebrare la nascita del Salvatore!La dipartita dal corpo non le impedirà di continuare ad aiutare quelli che ha tanto amato.Aleyamma Kuttikattu, membro dell’ASIHo conosciuto Elisabetta sin dalla sua entrata in Associazione. Il suo equilibrio e buonsenso la distinguevano dalle altre Africane. Era molto brava a fare amicizia con tutti, dai più piccoli ai più grandi. Non era una donna dalle mezze misure, per lei era o tutto o niente.Si dedicava corpo e anima a quello che faceva, senza guardare il proprio tornaconto. C’è molto da raccontare dei suoi atti eroici cominciando da come ha affrontato la sua malattia, specialmente la morte. Ma mi soffermo a parlare della sua sensibilità d’animo nel vedere i bisogni degli altri. Per esempio quando avevamo ospiti, c’erano molte lenzuola da stirare. Io quando andavo a stirare, vedevo tutto già stirato. Le dicevo Elisabetta ti stanchi troppo a fare questo lavoro. Mi rispondeva: inché posso fare, è una gioia per me fare questo. Una volta ho chiesto un aiuto per scrivere al computer. Ho visto con che pazienza e amore mi aiutava! Nel dare un piccolo aiuto agli altri lei trovava tanta gioia. Posso dire che la sua dedizione e amicizia verso gli altri le hanno guadagnato il nome di Mamma. Alla ine tutti la chiamavano Mamma. Aveva raggiunto un’unità d’amore con tutti.

Aleyamma, Carmen e Elizabeth (1971)

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Maria Carla Medri, amica dell’ASISono la nipote di Rosalba Sangiorgi medico missionario in Zimbabwe. Avevo solo otto anni quando a Roma, nella casa della associazione di cui fa parte mia zia, ho avuto la fortuna di conoscere Elizabeth Tarira, appena arrivata in Italia per imparare la lingua e iscriversi alla facoltà di medicina. “Fu amore a prima vista”. Il suo sorriso, la sua allegria mi conquistarono. Alle mie risate per il suo stentato italiano ripeteva: “tu Carla non devi ridere tu mi devi insegnare”.

Negli anni si è consolidata una profonda amicizia che in seguito ha coinvolto anche mio marito (il viaggio di nozze fu fatto in missione da lei) e i miei igli. Che dire degli episodi vissuti insieme. Sono stati molto felici e, gli ultimi, purtroppo molto dolorosi sapendo che stava per lasciarci. Ma Elizabeth non ha mai perso la forza e la voglia di sorridere e scherzare. È riuscita a farlo anche l’ultima volta che l’ho incontrata a Roma, prima della sua de initiva partenza per l’Africa, davanti alle estrose parrucche che indossava per nascondere la calvizie causata dalla chemioterapia. Di quei giorni ho sempre in mente ciò che mi disse: “sai io non voglio arrendermi e per farlo corro corro e Nostro Signore se mi vuole deve correre anche lui, mi deve proprio acchiappare…”.Il giorno che ho saputo della sua morte me la sono immaginata che, col sorriso sempre sulle labbra, correva e voltandosi verso Dio, diceva: “eccomi sono pronta”.

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Elizabeth è stata un esempio per la fede e la vita dedicata agli ultimi, ai più bisognosi.

Julia, membro dell’ASIPosso descrivere Elizabeth come donna per tutte le stagioni, una persona completa, come essere umano e come madre. L’ho incontrata per la prima volta il 5 Marzo del 1980 all’aeroporto di Fiumicino. Sprizzava gioia.Le sue parole di benvenuto nell’ASI furono: “Avremo molto lavoro per la nostra gente quando torneremo a casa. Là hanno bisogno di noi, hanno bisogno della nostra opera. Non vogliamo che lo Zimbabwe si vergogni di noi”.Aveva imparato l’italiano. “Per imparare bene l’italiano non parlerò più in inglese o in shona”. Mi ha colpito nel profondo. La preghiera era il suo sostegno. Aveva l’arte di fare amicizia. Diceva pane al pane, la Verità non veniva detta in termini diplomatici, ma come la Verità dovrebbe arrivare sempre e non in altro modo. Ho vissuto con lei la maggior parte del tempo ino alla ine della sua malattia. Non si è mai lamentata con noi. Abbiamo potuto vedere il suo grande dolore quando ormai il suo corpo non poteva più tollerare oppiacei e petidina. Per lei questo era il suo calvario. Si era offerta al cuore agonizzante di Gesù per la pace. Ci voleva un cuore di leone per essere in grado di farlo.

Neela, membro dell’ASIÈ così dif icile scrivere di Mamma, la Dott.ssa Elizabeth Tarira. Si potrebbe scrivere e scrivere, ma io ho scelto solo alcuni aspetti.Prima di tutto Elizabeth ha vissuto per concretizzare il suo ideale! L’ideale della propria vita, dello sviluppo della Chiesa in Zimbabwe e dell’organizzazione sanitaria del paese.Immediatamente dopo l’indipendenza dello Zimbabwe, quando entusiastici membri del ministero cercavano di rendere le prestazioni sanitarie gratuite, lei scrisse ancora ed ancora al Ministro della Salute, dicendo che in un paese come il nostro le prestazioni non potevano essere gratuite. Infatti dopo poco, con una restrizione economica, fu introdotta una quota per gli utenti e fu istituito il DOT, Trattamento con Osservazione Diretta. Era il 1996 quando il Ministero della Salute introdusse DOT nel paese. Era previsto che ogni paziente che faceva un trattamento Anti-TB (tubercolosi), dovesse ingoiare la sua pastiglia in presenza di un’infermiera specializzata. Per la Dottoressa Elizabeth Tarira questo non era possibile, così si oppose all’idea in presenza dei rappresentanti WHO (World Health Organization

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- Organizzazione Mondiale della sanità) di Ginevra. Pensava che la cosa migliore fosse educare i pazienti e qualcuno fra i parenti più stretti che stava con loro. Presto le autorità compresero che non era possibile che un’infermiera specializzata fosse presente in zone molto isolate, così adesso un’intervista DOT viene fatta di routine al paziente e ad un parente stretto, fornendo loro indicazioni esaurienti. Sia loro che le infermiere irmano la dichiarazione di aver compreso come devono assumere il trattamento Anti-TB.Elizabeth dava le sue opinioni con veemenza e combatteva con forza dicendo che, anche se i pazienti erano poveri, non si potevano fornire trattamenti gratuiti per la maternità. Sebbene il governo li volesse gratuiti, bisognava pur trovare qualche risorsa per sostenere la spesa.Si potrebbero fare molti altri esempi, come la gestione della malaria, partendo da PMTCT (Preventing Mother To Child Transmission “Prevenzione trasmissione verticale del virus HIV), CHBC (Child Home Basic Care” assistenza di base ai bambini), il progetto di una fattoria per l’autosuf icienza dell’ospedale e di una piccola diga. Le costruzioni e la capacità di reperire risorse per l’ospedale non possono essere tralasciate.

Neela, Julia ed Elizabeth

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Un altro aspetto che mi ha colpito era la sua vita di preghiera. Era una donna che pregava molto. Si aggiornava regolarmente nell’insegnamento della chiesa. L’ho vista seduta a pregare per ore prima di prendere decisioni importanti. Poggiava sulla Roccia che è Nostro Signore Gesù Cristo.Quando l’ospedale era inondato di pazienti e noi, gli altri medici, dimettevamo i pazienti prima di una completa guarigione, lei li riportava indietro dal cancello o dalla fermata dell’autobus e chiedeva spiegazioni sul motivo per cui il paziente era stato dimesso. Con la sua saggezza data da Dio, sapeva chi era il suo vicino ed offriva una mano d’aiuto come la Buona Samaritana.Io prego af inché noi tutti cerchiamo di seguire il suo esempio e proseguiamo con chiara visione restando saldi sulla Roccia.

Rossella D’Andrea, amica dell’ASICarissima Enza,è stata signi icativa la tua presenza accanto ad Elisabetta nell’ultima pagina della sua vita. Era il conforto che sicuramente si aspettava e con te, credimi, c’eravamo tutte ! Mi stringo a te, ma non per piangere, Elisabetta non lo vorrebbe! Apro, invece, lo scrigno della memoria.Tanti ricordi si affollano alla mia mente con immagini vive, reali. Un giorno mi recai a Subiaco, su invito di Adele, per trascorrere con voi una delle vostre belle giornate ed una giovanissima Elisabetta, con lo slancio dei suoi vent’anni, appena mi vide, corse ad abbracciarmi, così allegra, così accogliente! Gli anni scorrevano veloci e i suoi studi progredivano, così la sua operosità in favore dei sofferenti. E’ stato entusiasmante per me sentire ogni volta Elisabetta illustrare le attività di St Albert Hospital in Zimbabwe e osservare la sua instancabile dedizione per risolvere tante situazioni disperate. Poi nell’ultimo nostro incontro, la lettera nella quale rinunciava a quelle cure costose, mi ha fatto comprendere che Elisabetta non era più nostra: era troppo in alto per noi, irraggiungibile! Per Crucem ad Lucem! Io guardavo e percepivo la sua grande forza spirituale, il suo sguardo s’illuminava nella speranza della vita futura con la testimonianza coerente della sua intera esistenza consacrata al Signore.Ora la pensiamo immersa nella beatitudine trinitaria insieme alla nostra cara Adele che non dimentichiamo mai!Mia cara Enza, Elisabetta è presente più che mai. Fulgida luce interiore, con le sue mani protese verso il cielo, implora dal Signore benedizioni per la nostra Associazione.Ti abbraccio. Rossella

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IL NOSTRO SALUTO

Pier (Milano)L’amore eterno, quello della memoria, guadagnato sul campo tra sofferenze e sacri ici ci resti dentro come un grande insegnamento. Ciao Elizabeth, missionaria per sempre.

Rossella (Ferrara)Un abbraccio fortissimo ad Elizabeth, la piangeranno in molti. I suoi malati, i suoi bambini, la sua gente. Persone così non se ne vanno. Continuano a vivere e a darci il loro aiuto, se lo vogliamo cogliere. Grazie per l’opportunità che mi hai offerto.

Margherita (Ferrara)Quale amore più grande di dare la vita per i propri amici?

Federica (Milano)Vorrei essere capace di vivere un giorno solo come lei ha vissuto l’intera vita!

Raffaella (Ferrara)

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Elizabeth con la sua vita ci rende manifesto che la sofferenza, la fatica, lo scoramento sono di tutti, di chi ha bisogno di aiuto quanto di chi aiuta, ma che esiste un modo per affrontarli, superarli o forse scon iggerli giorno per giorno, che questo dobbiamo fare in quanto uomini.

Piergiorgio (Ferrara)Neanche in tre vite sarei riuscito a fare quello che lei ha fatto nel corso della sua breve... lei ha deciso di reagire alle avversità e di fare il possibile per la propria gente. Credo che a seguito di questo suo “ iat”, l’amore di Dio abbia teneramente invaso il suo cuore facendone un saldo rifugio e al tempo stesso, una fonte di grazia per gli altri.

Annalisa (Ferrara)La voglio ricordare così, con la sua forza d’animo, il suo instancabile lavoro, la sua passione per la vita, l’ironia dei suoi racconti, la simpatia africana, la golosità per la cioccolata e per il suo indelebile lavoro.

Fabio (Faenza)Ciao Elizabeth, amica, maestra, gigante, smisurato esempio di amore e tenacia… porteremo sempre con noi il tuo sorriso che spostava le montagne.

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Il gruppo di Formignana (Ferrara)Cara Elizabeth, sei venuta tra noi, ci hai parlato con semplicità di St. Albert; attraverso le tue parole abbiamo conosciuto un po’ il tuo paese e le sue necessità, abbiamo letto sul tuo volto l’affetto per noi e per i tuoi lontani e tramite te ci siamo sentiti vicini a loro e vogliosi di partecipare con il nostro modesto lavoro alla costruzione di una fratellanza solidale.Il tuo infaticabile e gioioso andare, nonostante le dif icoltà di salute, ci è di esempio per continuare sulla strada intrapresa. Tu ci hai fatto sentire importanti in quella rete di solidarietà che eri riuscita a tessere e di questo te ne saremo sempre grati e continueremo a pensare a te come all’amica Elizabeth che non ha smesso di volerci bene.

Marella (Firenze)Dobbiamo andare avanti ,insieme a lei, con lei per noi tutti. Un segno lasciato è un tesoro enorme da custodire e proteggere e far crescere nei nostri giorni e nelle nostre coscienze. Spero di imparare per migliorarmi tutti i giorni un pochino.Il vuoto è proporzionale al pieno che abbiamo incontrato di fronte a certe persone. Ma tutto rimane e niente si cancella con la morte.

Julia ed Elizabeth

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Carla (Sant’Antioco/Sardegna – Milano)Cara Elizabeth, anche se non mi è stata regalata la possibilità di incontrarti e conoscerti personalmente durante la tua missione terrena, indirettamente conoscendo Marcello e il suo piccolo grande progetto ho avuto l’onore di dedicarti tempo, energie, pensieri e cuore. Grazie per avermi dato la possibilità di sentirmi utile in questo mondo occidentale disallineato nei valori umani e nelle priorità delle cose importanti! Grazie per avermi dimostrato che, se i progetti sono sani e veri, con poco di ognuno di noi si fa tanto e tanto e tanto per migliorare la vita di molte persone. Adesso che la tua energia si espande, più forte sarà la determinazione di ognuno di noi a proseguire a fare bene per render indissolubile quanto da te iniziato. Buon cammino anima illuminata nella tua nuova valle zimbabwana.

Adele (Copparo)Carissima Elizabeth, la tua testimonianza è luce anche per il mio cammino. Grazie!

Ilaria (Roma)Cari amici, io sono stata all’ospedale di St. Albert nel 2010 e posso testimoniare l’importanza, non solo dell’operato di Elizabeth Tarira, ma anche del suo spirito. Sono profondamente addolorata. Che Dio benedica Elizabeth, un vero angelo in terra.

Loretta (Gruppo Missionario “Signore dei Fiori” – Copparo)Grazie Elizabeth per averci reso partecipi dei momenti di gioia, di fatica, di ansia e di attesa, in una parola dei tuoi progetti. L’acqua pura che sgorga dalla diga possa lavare e addolcire i cuori induriti dei governanti, dei capi perché siano più attenti e partecipi alle necessità dei loro popoli. Il Signore non vi lascerà soli!

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da sinistra: Rosalba Loretta ed Elizabeth (2005)

MarcelloCerto è che da quando ha preso in mano le redini della struttura sanitaria la vita di migliaia di persone ogni anno è migliorata. Con i fondi che lei raccoglieva da benefattori stranieri l’ospedale di St. Albert ha affrontato AIDS, malaria, denutrizione…e ha retto all’epidemia di colera diventando uno dei principali centri d’accoglienza in Zimbabwe. Dal 2009 era la coordinatrice di tutti i 52 ospedali cattolici missionari in Zimbabwe e ciò la portava a viaggiare molto, da sola con la jeep per centinaia di chilometri, anche negli ultimi mesi, dopo aver terminato il ciclo di chemio in Italia, con metastasi ossee, senza poter assumere oppiacei. A maggio, due mesi prima della sua dipartita, ho osservato, quasi con sconcerto, il potere dello spirito missionario che vinceva il dolore. Mi è venuta a prendere da sola in aeroporto e per tutto il mese non si è data tregua. “Vi assicuro che non mi arrendo” ci aveva scritto e così è stato. Io l’ho visto con i miei occhi.

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La missione della Mami continua. Il suo lavoro è indelebile. Come ha scritto lei citando il suo Maestro: “Se il chicco di grano non muore rimane solo, ma se muore produce molto frutta” (Gv.12,V 24). Personalmente sono grato a questa Missionaria per la chance che ha offerto a tutti noi che, nel nostro piccolo, contribuiamo in vari modi alla realizzazione del Progetto Diga e a farlo conoscere.Grazie Elizabeth!

Elizabeth e Marcello alla diga (maggio 2012)

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LETTERE DI ELIZABETH

St. Albert Hospital, 18 dicembre 2008(estratto)

Alcune settimane fa il consiglio direttivo dell’ospedale ha deciso di chiudere due reparti per carenza di personale. La decisione è stata presa perché il nostro personale deve andarsene per cercare cibo nei paesi con inanti (Mozambico, Zambia e Sud Africa). Lavorano per sette giorni e per sette giorni sono via a caccia di cibo. Qualsiasi anche minima cosa disponibile nel paese è troppo costosa.In un simile scenario di assoluta necessità, vi potreste chiedere quale sia la forma migliore per aiutarci. Noi vogliamo continuare a lavorare; noi vogliamo mantenere l’Ospedale aperto. Per essere in grado di fare ciò abbiamo bisogno che i servizi essenziali siano funzionanti. Abbiamo bisogno di medicinali, suture per i trattamenti, pellicole per i raggi X, reagenti per i laboratori e una piccola somma di denaro per mantenere in servizio il personale. Un piccolo incoraggiamento sotto forma di cibo rinforzerebbe la salute degli infermieri e del personale dell’ospedale consentendo loro di continuare a prestare servizio.

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St Albert Hospital, 16 febbraio 2009(estratto)

Perché non possiamo scomodarci per aiutare un bambino, un bambino che ha bisogno solo di cibo? Io mi rivolgo a tutti coloro che hanno cibo in abbondanza perché vengano in questa parte del Paese a nutrire i nostri bambini.La fame attanaglia la maggior parte delle famiglie e i poveri soffrono indicibili sofferenze, sfruttati, emarginati e senza alcuna possibilità che il loro grido d’aiuto possa essere ascoltato ed esaudito.

Non abbiamo davvero più cuore? Il tempo in cui le cose miglioreranno è ancora lontano per le tante persone che soffrono di ogni privazione. Ogni giorno che viene ognuno di questi poveri è costretto a pensare come fare a sopravvivere ino a sera..

St. Albert Hospital, maggio 2009(estratto)

Amici carissimi,Da parte di tutti gli ammalati, lo staff dell’ospedale, la missione e tutti i poveri intorno a noi; vogliamo porgere i nostri sentiti ringraziamenti per il container arrivato pieno di cose buone, pasta, riso, scatolami etc.E’ arrivato proprio quando tutti quanti non avevano niente da mangiare.

UN GRAZIE SPECIALE DALLO ZIMBABWE

Alcuni dei lavoratori in ospedale non riuscivano nemmeno a lavorare perché mancavano le forze. Quelli che erano un pò robusti sono venuti alla direzione dell’ospedale dicendo “se non date da mangiare a queste 13 persone moriranno di fame” Un grazie di cuore a voi; siamo riusciti a dargli da mangiare.Nessuno e’ morto di fame!

St. Albert Hospital, luglio 2010(estratto)

Lo Zimbabwe sta preparando la stesura della nuova Costituzione, ma il regime cerca di impedirlo. La crisi economica continua. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri più poveri.Noi, come ospedale, dobbiamo affrontare anche tante altre dif icoltà:L’anno scorso sono morte più di 4.000 persone a causa del colera: manca l’acqua potabile, e l’igiene è veramente scarsa.

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Quest’anno la gente muore di malaria, perché mancano le medicine per curarla. Nel nostro paese, per questa malattia stiamo usando medicine scadute come al solito date ad un paese povero dall’OMS(Organizzazione Mondiale della Sanità). Per grazia di Dio gli amici di Modena (Gruppo Missionario Luisa Guidotti) hanno inviato medicinali per un valore che supera i 46.000 Euro. Come vedete la Provvidenza ha pietà dei poveri. L’ospedale è sempre pieno di malati che vengono anche da altri ospedali della zona, dove non ci sono né medici, né medicinali!L’impianto di potabilizzazione sarà ultimato entro l’anno, se Dio vuole! Le altre cose di cui abbiamo bisogno arriveranno con un container, grazie a tanti amici. Una novità: gli amici di Modena di Rock No War ci hanno aiutato a costruire una casa per i nostri cari amici che vengono da tutto il mondo per darci una mano e il loro sostegno.

Il container arriverà anche con il materiale necessario per inire questa casa. Dobbiamo ultimare il tetto, l’impianto di acqua, quello l’elettrico, e dobbiamo dipingere i locali.

Quest’anno la pioggia non è stata suf iciente, i campi sono riarsi, il raccolto scarso e così nel Paese ci sarà la fame.

La luce elettrica praticamente non la conosciamo: viene tolta al mattino alle quattro ed erogata di nuovo alla notte, quando siamo a letto! Grazie a Dio

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l’ospedale ha un generatore, che viene impiegato per la sala operatoria, per le emergenze, per il laboratorio, la sala di raggi X etc. Viene acceso solo per due ore al giorno dalle ore 11 a 13. Oltre a queste abbiamo anche ricevuto molte altre cose che ci hanno dato la possibilità di lavorare bene. BHA NGO “Miglior Salute per L’Africa” (formata dagli amici di St. Albert Americani) ha acquistato per l’ospedale un apparecchio per sviluppare le lastre. Ora saremo inalmente capaci d’avere immagini radiologiche professionali.Tutte le undici cliniche che sono sotto la supervisione dell’ospedale di St. Albert sono state rimesse a nuovo, sono stati installati dei pannelli solari, assicurato il rifornimento d’acqua ed una comunicazione radio, sono state rifornite anche delle medicine di base. Grazie di cuore ad HELP NGO tedesco, nostro fedele partner in dall’anno 2000.La scuola professionale per gli orfani prosegue bene, solo che continueranno ino all’anno 2011 quando i fondi saranno initi.

Dopo tutta questa litania, che cosa devo aggiungere? Ringraziamo Dio che non siamo soli in queste dif icoltà, ci siete voi amici carissimi. Sappiamo bene che anche voi con la crisi economica mondiale, siete alle strette ma di solito, sono i poveri che aiutano gli altri poveri! La vostra solidarietà l’apprezziamo sempre.

Il programma di adozione a distanza va avanti molto bene, grazie a voi che aiutate questi bambini a frequentare la scuola. I vostri bambini/bambine sono oltre 600 adesso! Il lavoro aumenta sempre! Anche questo richiede di essere seguito costantemente, ma qualche volta, alcuni dei genitori adottivi non ricevono le letterine alla ine dell’anno. Chiediamo la vostra comprensione! Grazie! Abbiamo La volontà di fare tutto bene, ma la testa e le mani rimangono le stesse. Abbiamo bisogno di molte teste e molte mani!

Nonostante tutto detto; abbiamo ancora bisogno di altre cose per mandare avanti l’ospedale. Nessun introito entra come pagamento per i servizi, tranne qualche gallina, capretto, un sacco di mais.

1. Abbiamo un debito di oltre 17,000 dollari americani per la luce che riceviamo nella notte. L’ospedale è sempre in funzione anche la notte perciò consumiamo la luce.

2. Dobbiamo mantenere il trattore: solo per la revisione vogliono 1,400 dollari.

3. Per inire i lavori in loco per la nuova casa sopra citata dobbiamo

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mettere un serbatoio di acqua per questo ci vogliono 2,300 dollari.4. Siccome usiamo molto il carburante, abbiamo bisogno di comprare

un serbatoio per mettere il diesel questo costa 1,500 dollari.5. Per la isioterapia hanno bisogno di un apparecchio che costa 3,000

dollari.

Dio ci aiuterà perché Egli ascolta ed esaudisce il grido dei poveri.A Lui lode e gloria!

Elisabetta e Comunità ASI di St. AlbertRoma, 10 Marzo 2012 (ultima sua lettera)

“Se il chicco di grano non muore rimane solo, ma se muore produce molto frutta” Gv. 12 V 24 Questa non è una novità è un fatto che tutti sappiamo.Carissimi amici e carissime amiche,Questo non è un testamento ma una lettera circolare che ogni tanto vi scrivo perché mi siete sempre vicino e mi seguiate con le vostre preghiere e supporto morale nelle mie avventure di salute, ma ci seguiate anche nel nostro lavoro missionario. GRAZIE.

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Io so che tutti quanti avete molte domande da farmi circa la mia salute. Cerco di indovinare le domande e rispondo. Sapete già che sono sempre nelle buone mani, dalla famiglia spirituale e da voi amiche/amici sono stata sempre circondata con affetto fraterno e in ospedale tutti colleghi e gl’infermieri sempre premurosi di dare il meglio possibile. Adesso ho appena inito i cicli di chemioterapia e radioterapia, ma l’oncologo riteneva che continuassi i cicli di “anticorpi” per un periodo indeterminato anche forse per tutta la vita. A questa terapia rinuncio, non perché è costosa, la mia famiglia spirituale benché povera, insieme con voi amici in tutto il mondo; non era una cosa impossibile almeno per un po’ di tempo. E’ la provvidenza! Questa non ha limiti e ci credo fermamente. Il problema maggiore è che non ce la faccio più isicamente a sopportare gli effetti collaterali di questi “buoni veleni” che sono infusi intravenosi nel corpo. Non vi sto spiegando quello che succede perché non ha importanza e valore, ma avrà il merito se riesco a portare quella croce con serenità e con amore da parte di tutti i sofferenti di questo mondo, piccoli, grandi, giovani e vecchi che hanno questo brutto male.Ri iuto la terapia perché:1. Io non voglio, Dio permettendo, morire attaccata alla lebo/ iala di 8000 Euro tutta sola. Questa è la dose di ogni tre settimane! Vorrei morire povera come tanti poveri ammalati del mondo che muoiono senza quasi niente ma circondati dall’affetto di tutti altri poveri. In missione ho visto e vissuto queste realtà molte volte. Non dimentico che sono stata curata per dieci anni mentre quelle che hanno sofferto della stessa malattia quell’epoca non ci sono più da molti anni. Non posso continuare a soffocare la generosità di Italia verso l’indigente.2. Anche voi, penso che non vi piacerebbe sentire che sono passata da questo mondo così miseramente da sola. Sarebbe bello andarne felice, consolata da Dio e circondata da altri malati poveri. Pensate che uno di voi [se siete 100] potesse fare un gesto simbolico di dare una donazione solo di una iala per i bambini e mamme che hanno bisogno di cure semplice per sopravvivere. Quante vite si salverebbe? Nei paesi in via di sviluppo gente muore ancora di malaria, tifo, colera, diarrea, HIV/AIDS, morbillo ecc. tutte patologie preventivabili e curabili. Non voglio mettervi in crisi di coscienza, ma desidero che capiate le mie dif icoltà nel continuare terapie super lue. Sono certo che non direte “Ah! ha ri iutato la terapia per quello che e’ morta cosi”. Chi sa se muoio per il cancro o per qualcosa altro quando il giorno segnato dall’eternità’ arriva.3. Io sono una donna di poca fede, perciò conto molto sulle vostre preghiere. Alcuni dei miei amici sono credenti altri no, ma Dio ama ciascuno di noi con lo stesso amore. Mi consola molto questo racconto di Mk 2 v 2-5 amici

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hanno portato un malato da Gesù scoperchiando il tetto.......hanno messo il lettino davanti a lui Gesù vedendo la loro fede............ha detto ... iglio i tuoi peccati sono perdonati, alzarti e cammina.... Dico anche a voi mettetevi a fare sul serio. Pregate per me. Aprite il tetto, dove sta il Signore e mi mettete davanti a lui, vedrete che mi guarirà. Guarire non signi ica solo togliere la malattia ma anche dare la forza di portare la sofferenza come forse niente. Mi af ido alle vostre preghiere.4. Vi assicuro che non mi arrendo, continuerò la battaglia come il solito. Continuerò a prendere altri medicinali prescritti dall’oncologo-l’ormone terapia ogni giorno, la zometa per le povere ossa etc. Dopo alcuni accertamenti richiesti torno in missione, farò il mio lavoro normalmente inché la mia povera salute permetta.

Vi saluto ogni uno di voi con un bacio sereno e ringraziando di cuore per la vostra carissima amicizia. Bacioni affettuosi

Rosalba ed Elizabeth

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PROGETTO DIGA EMERGENZA ZIMBABWE

Lo Zimbabwe

- E’ il paese con il più basso indice di sviluppo umano (Hdi) al mondo.- Tra i più colpiti da AIDS, mortalità infantile, malaria e denutrizione.- Un bambino su dieci muore entro il quinto anno di età.- Nel 2008/2009 l’epidemia di colera ha provocato oltre 4.400 morti e 96.600 contagiati in sei mesi. - Grave carenza idrica.

L’ospedale di St. Albert

Riferimento sanitario del distretto di Centenary (2.744 kmq. - 119.000 abitanti) con 3 medici e 26 infermieri, 140 posti letto, assenza di linea telefonica, energia elettrica per poche ore (di notte) ogni anno assiste circa 140.000 persone, di cui 6.530 degenze e 3.300 parti.Grazie alla prevenzione nel distretto di competenza dell’ospedale l’AIDS è sceso dal 23% al 7% negli ultimi 10 anni.All’ospedale fanno capo 11 centri sanitari, in condizioni precarie, distribuiti nella Big Valley, una delle aree più aride e depresse del paese.

Il progetto diga

Per garantire l’accesso all’acqua durante la stagione secca (9 mesi):- Nel 2007 è stata terminata una piccola diga che raccoglie l’acqua nei 3 mesi di piogge. - Nel 2008 sono state interrate le tubature e installato un primo impianto di potabilizzazione.- Nel 2009/2010 è stato realizzato in Italia e installato un secondo impianto di potabilizzazione in grado di fornire acqua potabile a oltre 10.000 persone. Quattro ettari di campi sono stati dotati di un impianto d’irrigazione.- Nel 2011/2013 è stata adeguata l’impiantistica elettrica, ampliato di ulteriori 4 ettari l’impianto d’irrigazione, ripristinati 5 pozzi e sostituite tutte le pompe di adduzione dell’acqua.

Epidemia di colera

Nell’agosto 2008 in Zimbabwe è scoppiata un’epidemia di colera che a marzo 2009 (in 8 mesi) aveva contagiato oltre 96.600 persone di cui più di 4.400 sono morti. Questi i dati uf iciali. Il Sud Africa nonostante abbia chiuso le frontiere, ha registrato oltre 2.000 casi di infezione a causa dei clandestini in fuga. Si è trattato della peggiore epidemia degli ultimi 15 anni in tutta l’Africa. L’intera struttura sanitaria nazionale è collassata, oltre l’80% degli ospedali statali ha chiuso lasciando i corpi in putrefazione nelle camere mortuarie. La situazione era catastro ica, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha previsto che ci vorranno anni per riportarla a uno

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stato di normalità. Un’ecatombe per lo più taciuta, perlomeno in Italia, dai mass media.

L’ospedale di St. Albert ha accolto malati da molte altre regioni a causa della chiusura degli ospedali e, grazie a Dio... e a tutti coloro che ci hanno aiutato a portare acqua depurata a St. Albert, l’intero distretto di Centenary è stato di gran lunga il meno colpito (160 contagi e 19 decessi) e all’ospedale “solo” otto morti. Questo può fare l’acqua pulita!Per realizzare quanto sopra sintetizzato, oltre a tutto il lavoro dei volontari, sono stati spesi €.184.000. Il costo di una macchina di lusso in Occidente e della sopravvivenza di migliaia di persone e di generazioni future in Zimbabwe.

Stiamo andando avanti, se pur con grandi dif icoltà. Continua il fondamentale lavoro di formazione del personale di manutenzione, l’invio semestrale di container con farmaci, materiale scolastico, attrezzatura necessaria per la manutenzione, vestiti per bambini... e ahimè anche alimenti.

Per garantire la sussistenza idrica e alimentare all’ospedale, alle due scuole e all’intero villaggio è fondamentale la gestione dell’opera nel tempo assicurandosi il mantenimento delle opere compiute attraverso la formazione di personale locale per la manutenzione. L’obiettivo è rendere la comunità di St. Albert autosuf iciente, almeno dal punto di vista idrico e alimentare. E’ in gioco il futuro di migliaia di persone, per lo più bambini.

I fondi raccolti sono interamente spesi in loco, senza alcun costo organizzativo. Tutto il lavoro e le attività di raccolta fondi sono di

totale volontariato, prive di rimborsi spese.

ADOZIONI A DISTANZADi fronte all’ospedale due scuole ospitano 1.700 bambini e nella Big Valley molte scuole in condizioni spaventose cercano di istruire migliaia di bambini.Solo grazie alle adozioni a distanza è possibile garantire loro la sussistenza, le cure mediche e l’istruzione scolastica.

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PER ADERIRE

Cod. IBAN: IT73 I0615513005000000016000

intestato a ASI Ong/Onlus

(L’importo delle donazioni può essere detratto dalle imposte)

Le contenute dimensioni dell’ASI, l’associazione femminile che con i suoi due medici locali gestisce l’Ospedale, permettono di veri icare la trasparenza inanziaria e di creare un rapporto diretto con St. Albert.

Per informazioni www.help-zimbabwe.org

Marcello Girone Daloli tel. 368-382 6890mail: [email protected]

Finito di stampare nel mese di Gennaio 2014da Digital Print Service srl. - Segrate (Milano)