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I" I MUSICOLOGIA I motetti di J osquin Desprez: interpretazione attraverso l'analisi di Carlo Fiore Il\'TRODUZIONE Questo lavoro parte dalla scelta di una significativa porzione della produzione motettistica di ]osquin come valido estrat- to da un corpus di opere che, articolato in tre grandi gruppi - messe, motetti e chan- sons - offre un'esorbitante ricchezza di so- luzi<?r: i espressive, formali e di approccio La decisione di privilegiare i mo- tetti e avvenuta perché essi, pur non vin- colati dalle restrizioni fonnali e testuali ti- piche delle messe, mantengono uno stile che li innalza, nella gerarchia St1hstica propria dell'epoca, a un livello di medietas e di varietà inventiva che le chansons non raggiungono.1 Dei 1110tetti di ]osquin verranno analiz- zati l'impianto formale, i rapporti testo- musica, la testura generale e le caratteristi- che retoriche che ne penneano la scrittura anche. in funzi.one di un consapevole procCiO esecutivo. Questo repertorio infat- 1. In realtà la -gerarchia stilistica. di cui parliamo possiamo ravvisarla oggi con piti chiarezza di quan- to non avvenisse all'epoca: si tratta - in prospettiva stonca - di giustificare una caratteristica del livello poietico delle composizioni certamente piti significa- tIva e -comoda. per uno studioso contemporaneo che non effettivamente documentabile nel passato. 54 ti appare contraddistinto dalla compattez- za di un messaggio che, di dirit- to, puo essere definito .multimediale •. 2 quanto riguarda le metodologie di analiSI adoperate, si ricorrerà a una indagi- ne -funzionale- al senso espressivo della pagina musicale, che non ricorra in manie- ra preconcetta e aprioristica a detenninate scuole analitiche piuttosto che ad altre: l'osservazione di implicazioni retoriche priva di riferimenti, ove opportu- nI, a pm generali schematizzazioni fornlali. nel motivare andamenti agogico-dinamici non si escluderà l'anaIi.,i di tipo gestaltico come non verranno disdegnate considera- zioni basate sulle problematiche diretta- mente esecutive (gestione dell'organico co- rale, opportunità di raddoppi strumentali). La valutazione della figura di ]osquin che proporremo, dovrebbe configurarsi come una .interpretazione storica- a piti li- Anche le testimonianze trattatistiche suonano più co- me una nominalistica che come il riferi- mento a una realtà concreta. 2. Ci sembra questo il tennine più adatto a indi- care. la complessa rete di riferimenti linguistici che alla base della tecRica compositiva di Jo- Squillo velli: se, da un lato, come scrive Carl Dahlhaus:3 .un'interpretazione storica non si sforza di inserire un'opera in un proces- so storico nel quale essa ottiene una valu- tazione relativa alla sua posizione cronolo- gica, bensl tenta di sviluppare una descri- zione della struttura dell'opera a partire da implicazioni storiche in essa incluse L .. l il suo soggetto non è l'opera nella storia ma la storia nell'opera>; dall'altro non possia- mo negare che, nel caso di ]osquin, la sua importanza come fulcro nell'evoluzione formale ed estetica della polifonia vada valutata in relazione all'assoluta unicità che la caratterizza. Da queste premess vediamo come l'atteggiamento prevalent degli studi sull'autore abbia evaso il prc blema: l'insistenza delle analisi sino ad O! gi prodotte su aspetti ·statici· delle comp( sizioni (la modalità, la filologia testuai< consegna un'immagine del nostro comp( sitore come di un monumento da contell plare e proteggere, del quale si intui.,ce valenza espressiva ma non si tenta di del nirla. Tutto ciò si collega con l'ancora s. stanziale assenza di una scuola analiti( che si occupi con continuità e complete za della musica pre-tonale. 4 1. I MOTETIl DI ]OSQUIN DESPREZ, OSSERVAZIONI PREliMINARI Rispetto al Medioevo, nuovi raffinatis- certi versi, di un tentativo di autodifes:1 simi artigiani contribuiscono, a partire abilità faticosamente acqui'iite (e di profE dall'epoca dell'Ars Nova - anche in relazio- sionalità) contro l'ipotesi di una conce ne con un flusso migratori0 5 di musicisti renza dilagante e dannosa; questo non mai verificatosi prima - al fiorire di piti ela- un elemento sempre rilevante per l'a borati procedimenti di scrittura che com- proccio diretto al prodotto musicale r portano essenzialmente tre conseguenze: aiuta la comprensione, pur difficolto.' il progressivo abbandono della politestua- dell'atteggiamento creativo tra Quattrc lità, in favore cii un unico testo che favori- Cinquecento, quando alla laboriosa ricel sca la compattezza espressiva; il vertigino- d'invenzioni si sovrapponeva una fortif so sviluppo del contrappunto, inteso an- ma gelosia verso i propri mezzi creativi. che come artificio oscuro e specchio del li- Gli artifici contrappuntistici appaio vello di competenza raggiunto; la neces- significativi di vari aspetti della vita musi. sità di disporre di organici specializzati, le pre-rinascimentale: mettono in evider all'interno dei quali il solista non è piti COSI la bravura del loro inventore, contribuis( spiccatamente importante come lo era nel- no alla definizione del .mestiere· di mus la pratica gregoriana. 6 sta, incidono sull'evoluzione della pra La personalità creativa di ]osquin De- vocale e stnl1nentale, nonché sull'afferm sprez emerge quando queste linee di con- si di una sensibilità di tipo sempre piti dotta sono già ampiamente tracciate. Il cordaie (pur nel generale predominio d! compositore è obbligato a specializzarsi e linea) a scapito della tradizione monocl si presenta definitivamente come un pro- (del filone gregoriano e lirico) che ha fessionista nel senso moderno del termine: mai ceduto il posto, nelle piti import< diviene dunque comprensibile il perché di celebrazioni, alla pitl .lussuosa- un'arte contrappuntistica COSI esclusiva co- ]osquin, agli occhi dello studioso r me quella dei fiamminghi. Si tratta, per demo, come anche dell'ascoltate 3. Cfr. C. DAHUlAus, Ecco mormorar l'onde, Sag- gi() d'interpretazione di un madrigale di in VI, Milano, Ricordi, 1992. 4. Il meritorio esempio costituito dalla rdccolta di analisi Music before 1600, curata da Mare Everist, non basta a ritenere avviata una sistematica pratica analitica della musica pee-tonale. S. In I Fiamminghi in Italia, cfr. AA. VV., Glt 0/- Cremona, Cleup, 1984, Nanie I3ridgman scrive: -Questa invasione di maestri stranieri - ai qua- li si deve il nome collettivo di Fiamminghi, Fran· Oltremontani - inizia un po' dappertutto a pa dalla seconda decade del secolo. È celto che. r nando a Roma, la corte papale aveva portato co molti musicisti ff'dnCesi e che l'esempio della car la pontifIcia fu poi seguito dalle altre cappelle e principesche •. 6. Da qui ci si rialbccia alla piLi volte des< evoluzione del termine concerto. concetto "re prima ancora che stnunentale.

ENCYLOPÉDIE DES NUISANCES

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ENCYLOPÉDIE DES NUISANCES

Mensaje dirigido a todo@s aquell@s que no quieren administrar la nocividad sino suprimirla

&

En nombre de la razón

Urticca Propagaciones, invierno 2013.

Serie Cómplices de Pensamiento

Mensaje dirigido a tod@s aquell@s que no quieren administrar la nocividad sino suprimirla

ENCYLOPÉDIE DES NUISANCES

Nuestra época puede tener la certeza, al menos, de una cosa: no se descompondrá en paz. Los resultados de su inconsciencia han ido acumulándose hasta llegar a poner en peligro la seguridad material, la conquista de la cual constituía su única justificación. Y en lo que concierne a la vida propiamente dicha -costumbres, comunicación, sensibilidad, creación- la época no ha traído consigo más que podredumbre y regresión.

Toda sociedad es, en principio, en tanto que organización de la supervivencia colectiva, una forma de apropiación de la naturaleza. Debido a la crisis actual del uso de la naturaleza, de nuevo se plantea, y esta vez universalmente, la cuestión social. Por no haber sido resuelta antes de que los medios materiales, científicos y técnicos, permitieran alterar fundamentalmente las condiciones de vida, la cuestión social reaparece junto con la necesidad vital de cuestionar las jerarquías irresponsables que monopolizan dichos medios.

Con el fin de remediar lo dicho anteriormente, los dueños de la sociedad han decidido unilateralmente decretar el estado de urgencia ecológico. Pero, ¿que buscan con su catastrofismo interesado, ensombreciendo la descripción de un desastre hipotético y

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pronunciando discursos tanto más alarmistas cuanto que se refieren a problemas sobre los cuales la población atomizada no posee ningún medio de acción directa? ¿No será la ocultación del desastre real, para el que no hace falta ser físico, climatólogo o demógrafo para pronunciarse al respecto? Porque comprobamos a cada momento el constante empobrecimiento del mundo causado por la economía moderna, que se desarrolla en todos los dominios a expensas de la vida: con sus devastaciones, destruye las bases biológicas, somete todo el espacio-tiempo social a las necesidades policiales de su funcionamiento y reemplaza toda realidad, antaño normalmente accesible, por un sucedáneo, cuyo contenido de autenticidad residual es proporcional al precio (ya no es necesario crear almacenes reservados a la nomenklatura, el mercado se encargará de ello).

Cuando los administradores de la producción se percatan de la fragilidad de su mundo al contemplar la nocividad de sus resultados, aún sacan de ello argumentos para presentarse, avalados por sus expertos, como salvadores. El estado de urgencia ecológico es a la vez una economía de guerra, que moviliza la producción al servicio de los intereses comunes definidos por el Estado, y una guerra de la economía dirigida contra la amenaza de los movimientos de protesta que la critiquen sin rodeos.

La propaganda de los dirigentes del Estado y de la industria presenta como única perspectiva de salvación la prosecución del desarrollo económico, corregido con las medidas que la defensa de la supervivencia impone: gestión regulada de los "recursos", inversiones para economizar la naturaleza, o sea, para transformarla integralmente

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en materia de gestión económica, desde el agua del subsuelo hasta el ozono de la atmósfera.

La dominación no cesa de perfeccionar, a todos los efectos, sus medios represivos: en "Cigaville", decorado urbano construido en Dordogne después de Mayo del 68 para entretener a los gendarmes móviles, se simulan en las calles colindantes "falsos ataques de comandos antinucleares"; en la central nuclear de Belleville, los responsables aprenden técnicas de manipulación de la información simulando un accidente grave. Pero el personal destinado al control social se dedica más que nada a la prevención de cualquier desarrollo de la crítica de los fenómenos nocivos que apunte hacia la crítica de la economía que los engendra. Se predica la disciplina a los ejércitos del consumo, como si fueran nuestras fastuosas extravagancias las que hubieran roto el equilibrio ecológico y no, en cambio, el absurdo de una producción impuesta; se pregona un nuevo civismo según el cual todo el mundo es corresponsable de la gestión de los fenómenos nocivos, en perfecta igualdad democrática: desde el contaminador de base, que cada mañana libera clorofluorocarbonados cuando se afeita, al industrial químico... y la ideología de la supervivencia ("Todos unidos para salvar la Tierra, o el Loira, o a las crías de foca") sirve para inculcar esa clase de "realismo" y de "sentido de la responsabilidad" que lleva a la gente a asumir los efectos de la inconsciencia de los expertos y, por tanto, a dar un relevo a la dominación, puesto que le proporciona sobre la marcha, de un lado, una oposición de las llamadas constructivas y, del otro, arreglos de detalle.

El ecologismo es el principal agente de la censura de la crítica social

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latente en la lucha contra los fenómenos nocivos[1], es decir, esa ilusión según la cual se podrían condenar los resultados del trabajo alienado sin atacar al propio trabajo y a la sociedad fundada en la explotación del trabajo. Ahora que todos los hombres de Estado se vuelven ecologistas, los ecologistas no dudan en declararse partidarios del Estado. A decir verdad, no han cambiado un ápice desde sus veleidades “alternativas” de los años setenta. Pero hoy ocurre que en todas partes les ofrecen cargos, funciones, créditos, y los ecologistas lo aceptan todo sin la menor objeción, tan verdad es que nunca rompieron en realidad con la sinrazón dominante.

Los ecologistas son, en el terreno de la lucha contra los fenómenos nocivos, lo que son, en el terreno de las luchas obreras, los sindicalistas: meros intermediarios interesados en la conservación de las contradicciones, cuya regulación ellos mismos aseguran; unos negociadores abocados al regateo (en este caso la revisión de las normas y de las tasas de nocividad reemplazan a los porcentajes de subida de los salarios); meros defensores de lo cuantitativo en el momento en que el cálculo económico se extiende a nuevos dominios (el aire, el agua, los embriones humanos, la sociabilidad sintética); en definitiva, son los nuevos comisionistas de un sometimiento a la economía, el precio del cual tiene que integrar, ahora, el costo de un “entorno de calidad”. Ya se puede vislumbrar una redistribución del territorio entre zonas sacrificadas y zonas protegidas, coadministrada por expertos “verdes”, una división espacial que regulará el acceso jerarquizado a la mercancía-naturaleza. Pero radioactividad, habrá para todos.

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Decir que la práctica de los ecologistas es reformista sería honrarles demasiado, puesto que dicha práctica se inscribe, directa y deliberadamente, en la lógica de la dominación capitalista, que extiende sin para mediante sus propias destrucciones el terreno en donde se ejercita. En medio de tal producción cíclica de males y de remedios agravantes, el ecologismo no habrá sido sino el ejército de guerra de una época de burocratización, en la que con mayor frecuencia la “racionalidad” es definida sin contar ni con los individuos concernidos ni con ningún conocimiento realista, con las catástrofes renovadas que todo ello implica.

No faltan ejemplos recientes que muestran a qué velocidad se instala la administración de los fenómenos nocivos que integra al ecologismo. Dejando aparte ya a las multinacionales de la “protección de la naturaleza” como por ejemplo el World Wild Fund y Greenpeace, "Amigos de la Tierra" ampliamente financiados por la Secretaría de Estado para el Medio Ambiente, o Verdes estilo Waetcher[2], compinchados con la Lyornnaise des Eaux[3] en la explotación del mercado del saneamiento, existen semioponentes a la nocividad de todo pelo, que siempre se han limitado a una crítica técnica de los fenómenos nocivos y siempre han rechazado la crítica social, cooptados por las instancias estatales de control y de regulación, cuando no por la misma industria de la descontaminación. Por ejemplo, un laboratorio independiente como la CRII-RAD[4], fundado tras lo de Chernobil -independiente del Estado pero no de las instituciones regionales y locales-, tomó por único objetivo “la defensa de los consumidores" mediante la contabilidad de sus becquerelios. Tal clase de "defensa" neosindical del oficio de consumidor -el último de los oficios- lleva a no atacar a la desposesión que, al privar a los

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individuos de todo poder de decisión en la producción de sus condiciones de existencia, garantiza que deberán de continuar soportando lo que otros escogieron y continuar dependiendo de especialistas incontrolables para enterarse, o no, de la nocividad que ello trajo consigo. No nos puede sorprender que después la presidenta de la CRII-RAD, Michéle Rivasi, haya sido nombrada para un puesto en la Agencia Nacional de Calidad del Aire; en ese lugar su independencia podrá realizarse al servicio de la del Estado. Tampoco nos extrañará que los expertos tímidamente antinucleares del GSIEN[5], a fuerza de considerar científico el no pronunciarse radicalmente contra el delirio nuclearista, salgan fiadores de la nueva puesta en marcha de la central de Fessenheim, antes de que un nuevo escape "accidental" de radiactividad no viniera, poco después, a aportar el dictamen pericial de su realismo; ni tampoco que los boyscouts de "Robin des bois"[6], trepando por el "partenariado", se asocien con un industrial en la producción de "residuos limpios" y defiendan el proyecto "Geofix" de basura química en los Alpes de la Alta Provenza.

El objetivo de esta intensa actividad de lavado es previsible en su totalidad: una "descontaminación" basada en el modelo de lo que fue “la extinción del pauperismo" por medio de la abundancia al servicio del mercado (camuflaje de la miseria visible, empobrecimiento real de la vida); los costosos y por lo tanto provechosos paliativos sucesivamente aplicados a estragos anteriores, entremezclando las destrucciones -que continúan y continuarán- con reconstrucciones fragmentarias y saneamientos parciales. Ciertos fenómenos nocivos, homologados como tales por los expertos, serán tomados en consideración en la medida exacta en que su tratamiento constituya

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una actividad económica rentable. Otros, en general los más graves, continuarán existiendo clandestinamente, al margen de la norma, como por ejemplo las dosis débiles de radiación o las manipulaciones genéticas que preparan los Sidas del mañana. Finalmente, y por encima de todo, el desarrollo prolífico de una nueva burocracia encargada del control con el pretexto de la racionalización, no conseguirá más que profundizar en esa irracionalidad específica que explica todas las demás, desde la corrupción ordinaria hasta las catástrofes extraordinarias: la división de la sociedad entre dirigentes especialistas de la supervivencia y "consumidores" ignorantes e impotentes de dicha supervivencia, último rostro de la sociedad de clases. ¡Desgraciados aquellos que necesiten de especialistas honestos y de dirigentes ilustrados!

No es por una especie de purismo extremista ni, menos aún, por una política del estilo "cuanto peor, mejor", por lo que hay que desmarcarse violentamente de todos los ordenadores ecologistas de la economía: es simplemente por realismo ante el devenir patente de todo el asunto. El desarrollo consecuente de la lucha contra la nocividad exige la clarificación, mediante tantas denuncias ejemplares como hagan falta, de la oposición entre los ecolócratas -aquellos que sacan poder de la crisis ecológica- y aquellos que no tienen intereses distintos del conjunto de los individuos desposeídos y del movimiento que les puede situar en condiciones de suprimir la nocividad, gracias al "desmantelamiento razonado de la producción entera de mercancías". Si los que quieren suprimir la nocividad se hallan por fuerza en el mismo terreno que los que quieren administrarla, deben, en cambio, estar presentes en él como enemigos, so pena de verse reducidos al papel de figurantes frente a los proyectores de los escenógrafos de la

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ordenación territorial. Sólo pueden realmente ocupar el terreno, es decir, encontrar los medios de transformarlo, afirmando, sin concesiones, la crítica social de la nocividad y de sus gestores, tanto de los instalados como de los postulantes.

El camino que va desde la contestación de las jerarquías irresponsables hasta la instalación de un control social que domine conscientemente los medios materiales y técnicos, pasa por una crítica unitaria de la nocividad y, por consiguiente, por el redescubrimiento de todos los anteriores puntos de aplicación de la insumisión: el trabajo asalariado, a cuyos productos socialmente nocivos les corresponde el efecto destructor sobre los propios asalariados, hasta el punto de no poder soportarlo sino con gran provisión de tranquilizantes y drogas de todas clases; la colonización total de la comunicación por el espectáculo, puesto que a la falsificación de las realidades le ha de corresponder la falsificación de la expresión social de las mismas; el desarrollo tecnológico que acrecienta exclusivamente, a expensas de toda autonomía individual o colectiva, la sumisión al poder cada vez más concentrado; la producción de mercancías en tanto que producción de fenómenos nocivos; y finalmente, "el Estado en tanto que fenómeno nocivo absoluto, que controla dicha producción y organiza su percepción, programando sus umbrales de tolerancia".

El destino final del ecologismo ha demostrado, hasta a los más ingenuos, que no se puede luchar de verdad contra nada si se aceptan las separaciones de la sociedad dominante. La agravación de la crisis de la supervivencia y los movimientos de protesta que suscita empujan a una fracción del personal tecnocientífico a no identificarse con la

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insensata huida hacia delante de la renovación tecnológica. Entre aquellos que, de esta forma, se aproximan a un punto de vista crítico, todavía muchos, dejándose llevar por su inclinación socioprofesional, tratarán de reciclar su status de experto hacia una contestación "razonable" y, por tanto, tratarán de que prevalezca una denuncia fragmentada de la sinrazón en el poder, ateniéndose sólo a los aspectos puramente técnicos, es decir, a los que parezcan técnicos. En contra de una crítica todavía separada y especializada de los fenómenos nocivos, la defensa de las simples exigencias unitarias de la crítica social no significa solamente la reafirmación, en tanto que objetivo total, de que no se trata de convencer a los expertos en el poder para que cambien, sino de abolir las condiciones que hacen necesarios a los expertos y a la especialización del poder; también es un imperativo táctico de una lucha que no ha de hablar el lenguaje de los especialistas si realmente quiere hallar aliados, cuando se dirija a todos aquellos que no tienen ningún poder en tanto que especialistas de lo que fuere.

Del mismo modo que antes se contraponía -y aún hoy se sigue haciendo- el interés general de la economía a las reivindicaciones de los asalariados, en la actualidad, los planificadores de la basura y demás doctorados en desperdicios no se privan de denunciar el egoísmo ciego e irresponsable de quienes se yerguen contra un fenómeno nocivo local -ya sean residuos, autopista, tren de alta velocidad, etc.- sin pararse a considerar que en algún lugar hay que meterlo. Sólo cabe una respuesta digna ante tal chantaje al interés general: afirmar que, cuando no se desean fenómenos nocivos en parte alguna, se han de rechazar ejemplarmente dondequiera que se hallen. Y en consecuencia, hay que preparar las luchas contra los fenómenos nocivos mediante la expresión de las razones universales de cualquier

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protesta particular. El hecho de que individuos que sólo se representan a sí mismos, sin invocar ninguna cualificación ni especialidad, se tomen la libertad de asociarse para proclamar y poner en práctica el juicio que les merece este mundo parecerá poco realista a la gente de una época paralizada por el aislamiento y el sentimiento de fatalidad que suscita. Sin embargo, ante tanto pseudosuceso fabricado en cadena, un hecho se empeña en ridiculizar tanto los cálculos desde arriba como el cinismo desde abajo: todas las aspiraciones a una vida libre y todas las necesidades humanas, empezando por las más elementales, convergen en la urgencia histórica de poner punto final a los estragos de la demencia económica. De tan inmensa reserva de rebeldía únicamente puede salir una total falta de respeto a las irrisorias o innobles necesidades en las cuales la sociedad presente se reconoce.

Quienes, en un conflicto particular, crean que no hay que dejar estar las cosas cuando su protesta dé resultados parciales, han de considerarla un momento de la autoorganización de los individuos desposeídos en pos de un movimiento antiestatista y antieconómico general: esta ambición les servirá de criterio y de eje de referencia para juzgar y condenar, adoptar o rechazar, tal o cual medio de lucha contra los fenómenos nocivos. Hay que apoyar todo lo que favorezca la apropiación directa por parte de los individuos asociados de su propia actividad, comenzando por su actividad crítica contra tal o cual aspecto de la producción de fenómenos nocivos; hay que combatir todo lo que contribuya a desposeerles de los primeros momentos de su lucha y, por tanto, a reforzar su pasividad y su aislamiento. ¿De qué modo serviría a la lucha de los individuos por el control de sus condiciones de existencia -en una palabra, a la lucha por la realización

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de la democracia- todo aquello que perpetúa la vieja mentira de la representación separada, ya sean representantes incontrolados o bien portavoces abusivos? La desposesión se ve reconducida y ratificada, claro está, no sólo por el electoralismo, sino también por la ilusoria búsqueda de la "eficacia mediática" que, transformando a los individuos en espectadores de una causa cuya formulación y extensión ya no controlan, los convierte en masa de maniobra de diversos lobbies, más o menos competidores entre sí en la manipulación de la imagen de la protesta.

En consecuencia, hay que tratar como recuperadores a todos los que con su pretendido realismo intentan abortar, gracias a la organización de jaleo mediático, las tentativas de expresión directa, sin intermediarios ni avales de especialistas, del disgusto y de la ira que suscitan las calamidades de un modo de producción -sirvan como ejemplo el intento de desacreditar la protesta de los habitantes de Montchanin[7] por parte de Vergés[8] con su presencia en tanto que abogado de cualquier causa dudosa, y la ignominia de la moderna "mafia de la emoción" apoderándose de los "niños de Chernobil" para convertirlos en tema de "Téléthon"[9] (9). En el momento en que el Estado ofrece a las protestas locales el terreno de los procedimientos jurídicos y administrativos para que se pierdan en él, hay que denunciar la ilusión de una victoria sancionada por abogados y expertos: a tal fin baste con recordar que un conflicto de tal clase no se zanja nunca en función del derecho, sino en función de una correlación de fuerzas extrajurídica, tal como lo demuestran, por ejemplo, la construcción del puente de la isla de Re, realizada a pesar de varios juicios ganados en contra, y el abandono de la central nuclear de Plogoff que en absoluto fue resultado de un procedimiento legal.

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Los medios han de variar junto con las ocasiones, y ha de quedar claro que todos los medios son buenos si se enfrentan a la apatía ante la fatalidad económica y si promueven deseos de intervención contra la suerte que nos está destinada. Si los movimientos contra la nocividad, en Francia, son todavía débiles, hoy por hoy constituyen el único terreno práctico en donde la existencia social vuelve a discutirse. Los dirigentes estatales son muy conscientes del peligro que esto representa para una sociedad cuyas razones oficiales no soportan que se las examine. Paralelamente a la neutralización mediante la confusión mediática y a la integración de los líderes ecologistas, los dirigentes procuran no dejar que ningún conflicto particular se convierta en un impedimento para sus propósitos, cosa que daría a la contestación un polo de unificación y al mismo tiempo un lugar material de reunión y de comunicación crítica. Por esa razón fue decidido el "aparcamiento" de toda decisión concerniente a los lugares de emplazamiento de depósitos radiactivos o a la ordenación de la cuenca del Loira, a fin de fatigar a la base de las diversas protestas y permitir la instalación de una red de representantes responsables dispuestos a servir de "indicadores sociales" -para medir la temperatura local-, a escenificar la "concertación" y a hacer pasar por buenas las victorias amañadas.

Se nos objetará -se nos objeta ya- que, de todos modos, es imposible la supresión completa de los fenómenos nocivos y que, por ejemplo, ahí están los residuos nucleares, que van a quedarse con nosotros más o menos una eternidad. El argumento evoca de cerca el de un torturador que, tras haber cortado una mano a su víctima, va y le dice que, ya

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puestos, por favor se deje cortar de buen grado la otra, porque si sólo las necesitaba para aplaudir, para eso hay máquinas. ¿Qué opinión nos merecería el que aceptara discutir el tema "científicamente"?

Resulta un hecho cierto que las ilusiones de progreso económico han llevado, durante mucho tiempo, a la historia humana por mal camino, y que las consecuencias de tal extravío, caso de que se pudieran remediar, serán legadas como herencia envenenada a la sociedad liberada, no solamente en forma de desperdicios sino también y sobre todo en forma de una determinada organización material de la producción que necesitará ser transformada de arriba abajo para poder prestar servicio a una sociedad libre. Hubiera sido mejor no tener esos problemas, pero puesto que están ahí, consideramos que el asumir colectivamente el proceso de su paulatina desaparición constituye la única perspectiva posible de la reanudación de la verdadera aventura humana, de la historia como emancipación.

La aventura comienza de nuevo cuando los individuos hallan en la lucha las formas de una comunidad práctica que sirva para llevar más lejos las consecuencias de su protesta inicial y para desarrollar la crítica de las condiciones que les son impuestas. La verdad de una comunidad semejante reside en el hecho de que constituye por sí misma una "unidad más inteligente que todos sus miembros". El signo de su fracaso será la regresión hacia una especie de neofamilia, o sea, hacia una unidad menos inteligente que cada uno de sus miembros. Un largo periodo de reacción social trae como consecuencia, junto con el aislamiento y el desconcierto, la caída de la gente en el temor a las divisiones y los conflictos a la hora de intentar construir un terreno

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práctico común. Sin embargo, justamente cuando se es minoritario y se necesitan aliados, conviene formular una base de acuerdo muy precisa y, a partir de ella, entablar alianzas y boicotear todo lo que tenga que boicotearse.

Ante todo, a fin de delimitar el terreno de la colaboración y de las alianzas, hacen falta criterios que no sean morales, o sea, basados en una proclamación de buenas intenciones o en una supuesta buena voluntad, etc., sino prácticos e históricos. Una regla de oro: no juzgar a la gente según sus opiniones, sino según lo que sus opiniones hacen de ella. Creemos que en este texto hemos dado unos cuantos elementos útiles para la definición de tales criterios. Si queremos precisarlos mejor y trazar una línea de demarcación desde donde se organice eficazmente la solidaridad, harán falta discusiones fundadas en el análisis de las condiciones concretas en las que cada cual se halle inmerso y en la crítica de las tentativas de intervención que se den, comenzando por la presente contribución.

La crítica social, la actividad que la desarrolla y la comunica, nunca ha sido un lugar tranquilo. Hoy en día, un lugar así no existe -la basura universal ha llegado hasta las cumbres del Himalaya- y los individuos desposeídos no han de elegir entre la tranquilidad y los disturbios de un duro combate, sino entre disturbios y combates tanto más terribles por cuanto que son otros quienes los dirigen, en su provecho además, y disturbios y combates que extiendan y dirijan ellos mismos por su cuenta. El movimiento contra los fenómenos nocivos triunfará como movimiento de emancipación antieconómico y antiestatista o no triunfará.

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Junio de 1990

[1] La palabra NUISANCE, extendida entre la gente de habla francesa hacia 1965, que aquí hemos traducido por los términos aproximados de “nocividad” o de “fenómenos nocivo”, en los diccionarios consultados viene explicada sintéticamente como “cosa, persona, acción, etc., que causa molestia o perjuicio”. Se dan como ejemplos ilustrativos a los mosquitos, los niños impertinentes, el orinar en las paredes, el ruido ambiental y el tirar basuras en lugares inapropiados. Los diccionarios que, en tanto que herramientas de la falsa conciencia de la época , contribuyen a la parálisis conceptual, mediante la cual dicha época presenta de sí misma una imagen inmutable y sin contradicciones, donde las "nuisances" son simples bagatelas. Quienes escriben los diccionarios no aprecian en absoluto el aspecto proteico de las palabras y detestan a la evolución de su significado tanto como a la propia realidad cambiante; efectúan auténticos trabajos de ocultación que podrían delatarse fácilmente tomando ejemplos mejor indicados de innegables "nuisances": las instituciones, el trabajo asalariado, la contaminación, las centrales nucleares, el sistema productivo, el urbanismo, la alimentación industrial, las neoenfermedades, el racismo, los aparatos represivos, los expertos, los dirigentes, etc. Las palabras no solamente se usan para describir la realidad sino para transformarla; por consiguiente, su sentido camina contra las fuerzas que obstaculizan dicha transformación. Las palabras se reelaboran para

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revelar la verdad de un mundo que yace escondido bajo la hojarasca de un lenguaje caduco. Por eso, en dirección contraria a todos los diccionarios existentes, L´ENCYCLOPÉDIE DES NUISANCES trata de hacer pública la dimensión histórica de las palabras, que, para el caso de "nuisance", equivale a la revelación de la característica más común de la organización social actual y del más abundante de los efectos de la producción moderna.

Pero los dirigentes no han de tolerar que la historia, a la que tratan de suprimir, les saque mucho trecho. Así, recientemente, el término ha conocido una redefinición ecologista. La última edición de uno de los diccionarios aludidos añade: "Conjunto de factores de origen técnico (ruidos, degradaciones, poluciones, etc.) o social (aglomeraciones, promiscuidad) que perjudican la calidad de vida. 'Nuisances' acústicas, visuales, olfativas, químicas. 'Nuisances' para el vecindario de las autopistas". Si el ecologismo ha entrado en el poder, por qué no iba a entrar en los diccionarios.

[2] Waetcher es un líder especialmente soporífero de Los Verdes franceses y diputado europeo.

[3] Lionesa de Aguas es una multinacional del tratamiento de aguas

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[4] CRII-RAD es la Comisión Regional independiente de Información sobre la Radiactividad.

[5] GSIEN es una agrupación de científicos para la información sobre la energía nuclear.

[6] Robin de los Bosques es un grupúsculo más activista que Greenpeace, de donde procede, especializado en operaciones espectaculares como escalar torres de refrigeración de centrales nucleares.

[7] Montchain es una ciudad de la región francesa de Morvan, en cuya proximidad existe un vertedero industrial que, clandestina e ilegalmente, durante años, acogió residuos tóxicos de la industria química europea (y probablemente los bidones que contenían la dioxina de Séveso).

[8] Vergés es un inmundo abogado, antiguo estalinista y tercermundista, especialista del pleito con escándalo en los procesos que impliquen al Estado francés como, por ejemplo, la defensa del torturador nazi Klaus Barbie.

[9] "Téléthon" es un reality show televisivo ultracretinizante que apela a la caridad popular para llevar a cabo obras de beneficencia.

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Publicado en el estado español en el libro Contra el Despotismo de la Velocidad [Editorial Virus]

Traducción de Miguel Amorós

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En nombre de la razón

Encyclopédie des Nuisances

Este texto se redactó el 12 de enero de 2001 y fue distribuido el día 8 de febrero en Montpellier durante el juicio a la "Caravana Intercontinental" en la que participaban José Bové y René Riesel.

Los hechos que van a ser juzgados en Montpellier este 8 de febrero del 2001 (el sabotaje de un tipo de arroz transgénico experimental del CIRAD [1], por iniciativa de la "Caravana Intercontinental" [2]) marcaron, en junio de 1999, el punto culminante de la campaña llevada a cabo durante casi dos años contra las aplicaciones agrícolas de la ingeniería genética. El objetivo perseguido era el de "llegar hasta el final lo que se empezó, pasando de los golpes de mano contra compañías privadas a las primeras ofensivas, necesariamente frontales, contra la investigación pública. No la investigación pública imposible de hallar a laque una virtud sui generis convertiría en santuario exonerándola de cualquier responsabilidad en este mundo tal como va, sino la investigación pública real, cogida con las manos en la masa que ella misma produce" [3].

La introducción de los "Organismos Genéticamente Modificados agrícolas" que hubiera pasado desapercibida sin esa clase de campaña de información, despertó en general gran indignación y un aura de simpatía envolvió a quienes se opusieron de tal suerte al nuevo umbral de la artificialización de la vida. Y es que con una dispersión tal de

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quimeras genéticas comenzaba a ser aplicado a gran escala el proyecto de someter irreversiblemente el corazón de la vida natural --su reproducción autónoma-- a la lógica industrial; que esta esterilización se presentaba en la agricultura como un ataque a todos los antiguos vínculos con la naturaleza que se creían a salvo; y que, finalmente, reconfortaba pensar que existía entre los más directamente amenazados --los agricultores-- una capacidad de reacción desaparecida en cualquier otra parte, que incluso podía tomarse como un detalle para con la seguridad alimentaria de los habitantes de la ciudad. Pero la tentativa de suplantar la naturaleza, de sustituirla por una tecnoesfera burocráticamente gestionable, solamente ha comenzado a ser juzgada por lo que es. La expulsión de la naturaleza, su confinamiento en unos cuantos parques multifuncionales protegidos, no sólo significaría el fin de todo el campesinado (en los lugares donde todavía existe) y de todo el saber adquirido en la apropiación razonable del medio, sino también el fin de la propia razón humana, la cual sólo puede constituirse encontrando, en forma de naturaleza exterior e interior del ser humano, un límite, es decir, algo que se le resistía: "ese afuera que el hombre necesita para no cerrarse consigo mismo, o sea, para no hundirse en el solipsismo, en el delirio lógico de la omnipotencia". A contrario, ya se puede comprobar con sólo mirar a los niños criados "sin tierra"[4], con ordenador, en qué consiste la "formación" de un ser que no tiene ante sí sino al universo interactivamente maleable de las representaciones digitalizadas.

En el momento en que la dominación se propone, a base de ciegos experimentos genéticos, encerrar a la humanidad en una prisión tecnológica y después tirar la llave, los días están más contados que nunca. No a causa de la próxima venida de un improbable

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perfeccionamiento totalitario: no cabe la menor duda de que la tecnoesfera funcional que nos preparan [5] será tan segura como cualquier macrohospital ultramodemo gestionado mediante informática; sino debido a que cuando los hombres sean aún más dependientes --por no haber salido a tiempo y por propia voluntad del encarcelamiento industrial-- quedarán muy pocas cosas en las que la libertad podrá ejercitarse, y en consecuencia, sucesivas debacles high tech nos privarán de las comodidades de la vida artificial y nos arrojarán brutalmente a un mundo devastado. Los hombres, asustados por haber sido librados a sí mismos, debilitados, sin memoria y, por consiguiente, sin imaginación para hacer otra cosa bajo el yugo de la necesidad que no sea reciclar los vestigios de viejas sumisiones, ¿hacia qué nuevos protectores se dirigirán entonces?

Tras el ejemplo de los sabotajes de quimeras agrícolas, al tiempo que el desastre de un modo de producción se hace tan patente (particularmente con el desarreglo climático, cuyos efectos sobre la vida natural son más directos aún que los de las manipulaciones genéticas), se dan las condiciones para que una oposición antiindustrial surja y se declare como tal. Si no se extiende hasta abarcar al conjunto de todas las constricciones tecnológicas, el terreno de la lucha "anti OGM' permanecerá ocupado, es decir parasitado por- diversos sucedáneos de crítica, que por otra parte se combinan con suma facilidad en la mantecosa retórica antimundialista: bien la denuncia complaciente al estilo de Attac [6] o Monde Diplomatique, en donde la indignación se santifica a sí misma como sumum de la conciencia sin que jamás nadie diga nada en contra de la vida moderna (bien al contrario, todos quedan boquiabiertos ante los espacios de libertad que abre el cibermilitantismo), y todavía menos en contra del

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Estado, al cual se remiten para instaurar, puede que algún día, la transparencia y la felicidad ciudadana; bien el consumismo ecológicamente correcto, que reclama "buenos productos", incluso una "vida sana", para poder continuar soportando la industrialización total del mundo (hay que ver hasta qué punto el corporativismo apenas disimulado de un Bové, procesado con Riesel en el proceso de Montpellier, contribuye a alimentar el ilusionismo publicitario de la agroindustria etiquetada de producto de la tierra); o bien, finalmente, el izquierdismo prolongado, siempre en busca de causas justas con las que sostener su bluff activista, y que por encima de todo no quiere reflexionar sobre las alternativas reales de la oposición a las necrotecnologías, prefiriendo remojar todo esto en su típica sopa de eslóganes "anticapitalistas" (tal izquierdismo "movimentista" [7] por otra parte sirve de buen grado como peón manifestante y masa de maniobra a los neoestatistas y "ciudadanistas", como se ha visto recientemente en Niza). En los diferentes consuelos ofrecidos por la falsa conciencia --pues resulta consolador pensar en un capitalismo que no fuera el mismísimo proceso de la mecanización del mundo, sino sólo su excrecencia mercantil--, encontrarnos un mismo compromiso ilusorio entre lo que hay que admitir por fuerza y lo que se quiere continuar creyendo.

Por lo tanto hay que llegar hasta las últimas consecuencias de la crítica si queremos combatir al racionalismo tecnológico en nombre de la razón (y no en el de una de las múltiples ilusiones de evasión individual del mundo industrial que esta sociedad insiste en proporcionar: espiritualidades sintéticas, naturismo sectario, irracionalismo iluminado, cibervida en el campo, etc.). Cuando un biólogo algo menos descerebrado que sus cófrades se da cuenta de que

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un hombre remendado genéticamente, con intercambio estandar de piezas defectuosoas, comprendido el cerebro, perdería "toda identidad, toda conciencia de sí" [8], conviene entender que solamente en la medida en que dicha "conciencia de sí" ya se ha extinguido, resulta posible plantear como si de una buena nueva se tratase la dependencia total prometida de las prótesis tecnológicas y mangoneos genéticos, sin ni siquiera ver que esta sórdida promesa es además una soberana mentira, como toda la seudomedicina que pretende adaptar el ser humano a un medio mórbido. Por supuesto, las chapuzas de la transgénesis fracasarán en llevarnos a nosotros, miserablemente inmortales, a un país de Jauja cibernético. Pero, ¿en qué estado quedará la "conciencia" de los hombres que esperaron todo eso, que aceptaron ser los dóciles cobayas de tales experiencias de criogenia in vivo?

Antes de que la presión de la necesidad acabe imponiendo sin más a la naturaleza moribunda los procedimientos de urgencia y decolocación del gota a gota (por ejemplo, de cara a la necesidad de adaptar los cultivos al nuevo régimen climático), todavía se recurre, con el fin de justificar el ensañamiento tecnológico, a la atávica e insaciable curiosidad humana, o incluso al gusto no menos inveterado del hombre por la aventura, la novedad, la variedad, etc. En realidad, un individuo sensato, es decir, cualquiera que no haya renunciado al uso razonado de los sentidos, no hallará nada que satisfaga o cuando menos despierte su curiosidad en esa empresa de simplificación que no procede nunca sino mediante la desvitalización, la esterilización metódica: nunca salimos del laboratorio, que lo abarca todo, y acabamos encontrando por doquier los mismos presupuestos mecanicistas y los mismos procedimientos técnicos ¿Y en esa uniformización lúgubre consiste la anunciada aventura? La aventura y

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el descubrimiento, consistirían más bien en la liberación de las trabas que imponen nuestras prótesis y nuestras pantallas, en el reencuentro con la vida de las sensaciones experimentadas, sin filtro digital, en el ir a pie hacia el reencuentro con el mundo de las necesidades materiales, de las realidades tangibles sobre las que uno puede actuar por símismo; consistirían también en el experimentar de paso las formas de comunidad capaces de escoger conscientemente tanto los útiles técnicos como los modos de asociación y ayuda mutua pertinentes. Y son también dichas comunidades, libres puesto que restringidas, las que prodrían realmente plantar cara a las urgencias que a partir de ahora impone el deterioro de la supervivencia administrada, mucho mejor en cualquier caso que la sociedad de la supervivencia administrada, mucho mejor en cualquier caso que la sociedad de masas apostando por el gigantismo, que no "resuelda" [9] los problemas más que amplificándolos.

Una crítica de la sociedad industrial no puede dejar de lado la refutación de todo el sistema de necesidades (recordemos solamente la forma en que las luchas antinucleares se marchitaron y desaparecieron por no haber cuestionado las necesidades que justificaban los excesos energéticos). Lo cual impone primero un claro desmarque de todos los progresismos , cortando en seco las discusiones metafísicas sobre el carácter virtuoso (o no) de la investigación científica, pública o privada: ¿con qué buenas intenciones o qué perspectiva de brillante porvenir podría acreditarse, si todos nos ahogamos bajos sus efectos? En el mundo del monopolio industrial y mercantil de las ciencias, las artes y los oficios, nadie es científico inocentemente. Por encima de una elemental solidaridad, el proceso de Montpellier puede ser la ocasión que se presenta para defender las mejores razones del sabotaje de las

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quimeras de Estado, las que van a tratar de oscurecer las previsibles tiradas sobre la "investigación pública" y su "control ciudadano". Que cada cual tome sus disposiciones al respecto para que la insignificancia no tenga por esta vez el monopolio de la palabra, y que los que no tengan nada que decir no sean como de costumbre los únicos en expresarse. Sin lo cual la "movilización" por este proceso tendrá que añadirse a la lista de no acontecimientos fastidiosamente festivos, verbenas a la moda de Millau [10] y demás desfiles carnavalescos de buenos sentimientos. Encyclopédie des Nuisances, 12 de enero del 2001.

NOTAS

[1] Centre International de Recherche Agronomique pour le Développement . (NdT)

[2] La Caravana Continental fue una iniciativa de la organización Acción Global de los Pueblos, que trajo a Europa a más de quinientos campesinos de la India, América Latina y Africa para reivindicar "un mundo en donde las colectividades locales controlarán la economía local, en donde la centralización de los poderes económicos y políticos desaparecerá, en donde el crecimiento económico y el consumo desenfrenado cederán el sitio a perspectivas sociales tales como la igualdad y la calidad de vida, en donde el militarismo y la agresión no serán sino un mal recuerdo" (Manifiesto de la Caravana Intercontinental). (NdT)

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[3] René Riesel, texto para la revista L'Ecologiste, en su número de otoño del 2000, recogido en la nueva edición aumentada de las Déclarations sur l'agriculture transgénique et ceux qui prétendent s'y opposer, Ediciones de la Encyclopédie des Nuisances, París 2001.

[4] Es decir, sin vínculos con la naturaleza, como esos cultivos hors sol , que ocurren en un medio completamente artificial. (NdT)

[5] Por ejemplo, probando a echar limaduras de hierro en el océano austral afín de estimular la fotosíntesis del plantón, y por consiguiente, aumentar su capacidad de absorción del anhídrido carbónico, con lo cual el incremento de los gases de efecto invernadero dejaría de ser un problema.

[6] La Association pour la Transaction des Taxations financières pour l'Aide aux citoyens, nacida en 1998, por iniciativa del mensual Monde Diplomatique , es la organización "ciudadanista" por excelencia que cree que con la imposición de la tasa Tobin a los movimientos internacionales de capital se logrará el idilio necesario entre Capital y Estado, base de la democracia. (NdT)

[7] Mouvementisme , nueva forma del militantismo izquierdista basada en la explotación político- mediática de conflictos relacionados con la marginación social de sectores importantes de la población -

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precariedad, paro, vivienda, papeles, derechos sociales, etc.- mediante la creación de asociaciones cuasivirtuales que pasan por movimientos sociales. (NdT)

[8] Artículo del New York Times Magazine citado en Courrier international , 21 diciembre del 2000.

[9] En francés, "resuelve" y "resuelda" suenan igual. (NdT)

[10] Manifestación de campesinos y ciudadanos ocurrida el 12 de agosto de 1999, en el curso de la cual un Mc Donald en construcción sufrió algunos desperfectos. Según los convocantes, se trataba de una acción simbólica contra el imperialismo económico y en defensa del hecho diferencial de los campesinos productores de queso roquefort: "Los ciudadanos entendieron que meterse con el territorio, la tradición y los productos de calidad con denominación de origen era lo mismo que ir contra la relación entre el campesinado, sus costumbres y el consumidor" (François Dufour, en El Món no és un negoci, Pagès editors, Lérida).(NdT)

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