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ERODOTO108 numero 11 • estate 2015

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I BAMBINI DALLE SCARPE BLU, VUELVO AL SUR il sud fallisce, il sud rinasce, ti esalta e ti avvilisce, FUOCHI D’AFRICA, LA MONTAGNA DI DIO, LA CASA DEL SALE NERO e tanto altro...

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ERODOTO108numero 11 • estate 2015

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ERODOTO108 NUMERO 11

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SOMMARIO4 eDITORIALe Andrea Semplici

8 le Foto CHe FareteAntonio Sansone, Maria SilvanoFrancesco Cito, Andrea Semplici

16 IL RACCOnTO

I bambInI dalle sCarpe blUCarlos Acosta Guerrero

20 VIAGGIO MeDITeRRAneO

VUelVo al sUril sud fallisce, il sud rinasce, ti esalta e ti avvilisceFoto di Carmelo eramo e Andrea SempliciTesto di Franco Arminio

40 erodoto reportage

FUoCHI d’aFrICa42 OL DOYnO LenGAI / Tanzania

la montagna dI dIoFoto di Bruno Zanzottera/ParallelozeroTesto di Cristina D’Antonio

54 eL SOD / eTIOPIA DeL SuDla Casa del sale neroGiovanni Mereghetti

68 eRTA ALe / DAnCALIA eTIOPICAIl rosso e Il neroAndrea Semplici

www.erodoto108.com• Fondatore: Marco Turini • Direttore responsabile: Andrea Semplici • Redazione: Giovanni Breschi, Valentina Cabiale,Francesca Cappelli, Massimo D’Amato, Alessandro Lanzetta, Sergio Leone, Sara Lozzi, Isabella Mancini, Yuri Materassi, Andrea Semplici, Letizia Sgalambro, Marco Turini

• Designer: Giovanni Breschi /Casalta

• Web designer Allegra Adani

erodoto108 registrata al Tribunale di Firenze Stampa Periodica al n.5738 il 28/09/2009

www.erodoto108.com

In copertina:Ol Doyno Lengaifoto di Bruno Zanzottera/Paral-lelozero

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RuBRIChe

• una foto una storia36 LO SGuARDO DeL CAne.

LA CASA DeLLA PAeSOLOGIA A TReVICOTesto di Silvia La FerraraFoto di Salvatore Di Vilio

• quaderni a quadretti82 Le MuCChe Le hAnnO

RICOnOSCIuTe PeRFeTTAMenTeDisegni di Giacarlo IliprandiTesto di elena Dak

• il disegno98 LA DAnZA DeL SALTARIn

ALL’0MBRA DeL CAFFèIllustrazione di Robin SchieleTesto di Claudia Munera

• storie di libri100 Le LACRIMe DeL LIBRAIO

Testo e foto di Alberto Bile• gli occhi di erodoto102 InCOnTRO COn

AnDReA BOCCOnIIntervista di Arturo Valle

• storie di cibo112 BOZA, LA BeVAnDA

DeI GIAnnIZZeRIIsabella Mancini

• storie di ritratti, John berger120 JOhn, Che AVRà

nOVAnT’AnnI neL 2016Foto di Andrea SempliciTesto di Maria nadotti

• storie di cimiteri,Ferrara136 L’InSOSTenIBILe

LeGGeReZZA DI MICòLTesto e foto di Sandro Abruzzese

• oroscopodi Letizia Sgalambro

114 SGuARDI Giappone

Il sonno deI gIapponesIFoto di Andrea RauchTesto di Valentina Cabiale

124 Un treno per maCondodeglI appennInITesti di Marco Aime e Alessandro LanzettaFoto di Alessandro Lanzetta

92 VISIOnI di erodoto

abbIamo Un’IllUsIone: Fare mostre In lUogHI InadattITChAD Due acacie non troppo distantiDAnCALIA fra capanna e capannaLuCAnIA un cordino frai cerri di Accettura

108 InCOnTRI Viareggio

Zona d’ImpattoFoto e testo di Giulia Landucci

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Strana storia, questa di erodoto. Se conto gli anelli di età sul tronco delnostro albero metto assieme almeno tre anni. Sono pochi? Sono moltiper una non-rivista così piccola e priva di soldi? Sono accadute cose

importanti in questi mesi di primavera: erodoto è diventata un’associazionee, in un bel pomeriggio di sole, ci siamo finalmente incontrati con molti deicollaboratori. eravamo sotto i monti Pisani: grazie al festival Dèi Camminanti,che ci ha ospitato a Vicopisano. eravamo certi di aver imboccato un sentieroin salita, ma di avere anche le forze per poterlo affrontare. non ci sentivamopiù soli. ed era (ed è) così: attorno a noi, da Palermo al Monferrato, da Mi-lano a napoli, da Matera a Viareggio vi è una piccola pattuglia di ragazzi eragazze che vogliono e sanno fare i giornalisti, i fotografi, i disegnatori. hannopassione, saperi nuovi, determinazione. erodoto può essere, per loro, unpiccolo, invisibile palcoscenico sul quale provarsi. Lo credevamo davvero,dopo il finesettimana di Vicopisano. era stato stretto anche un patto, firmatocon inchiostro di nuvole, con la sorprendente sperimentazione della Casadella Paesologia di Trevico. una complicità per raccontare l’Italia interna e ilmondo più sconosciuto.

non è andata come speravamo. Questa non-rivista è un quadernoaperto. non nasconde litigi e tensioni, difficoltà e stanchezze. I mesidi questa primavera, per noi, sono stati aspri e solitari. A volte litigiosi.

e purtroppo i conflitti sono avvenuti via mail, mai una sana scazzottata. Crediamo di aver fatto qualcosa di piccolo e importante. Vogliamo conti-nuare a farlo. Ma qualcosa si è inceppato. e non sappiamo ancora rimetterein moto una macchina affaticata e trovare una maniera di scrollarci di dossouna fatica malinconica. non abbiamo capito come riuscire a valorizzare i no-stri collaboratori dispersi per l’Italia, come poter dar loro spazio e avere daloro quanto sanno fare. In un momento di stanchezza (‘devo proteggermi’),ci ha scritto una delle nostre collaboratrici migliori: ‘In erodoto non gira unsoldo, e questo è un problema: non è un modo di stare fuori dal sistema, ma,secondo me, è un modo per annegarci dentro’. Mi sa tanto che è così. erodoto è un tentativo, una ricerca, un camminare. Senza avere risposte:abbiamo solo domande. Anche se questa è un’illusione zapatista un po’ re-torica. In fondo, non cerchiamo nemmeno le risposte, ma una traccia da se-guire e per questo abbiamo bisogno di chi ci legge, di chi collabora con noi,di chi sa di giornalismo e una non-editoria in questi tempi tecnologici. So-prattutto abbiamo bisogno di chi sappia cosa fare di questa storia. Dob-biamo trovare il divertimento che ci ha tenuto in piedi finora. Solo che siamocerti che sia necessaria altra gente, gente nuova nella non-redazione. Manon sappiamo, né siamo d’accordo, su come farla ‘entrare’.

LA STRAnA STORIA DI eRODOTOe

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IALe

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eppure…

eppure, erodoto ‘esce’. Viene letto, molto letto. Come sempre, ci chie-diamo: ma sarebbe bello se fosse di carta? non abbiamo risposte, néla forza per farlo. esce sul web e raccoglie attorno a sé doni preziosi.

Guardate i nomi di questo numero 11: Francesco Cito, uno dei migliori fo-tografi italiani; Franco Arminio, poeta irpino, cantore del Sud e dell’Italia in-terna; Salvatore di Vilio e le sue fotografie meridionali; Carlos Acosta, scrittoree medico messicano, ci fa arrivare un racconto dolcissimo dal nord del suopaese (come dire: non vi è solo narcotraffico su quella frontiera); Maria na-dotti, saggista e traduttrice di John Berger in Italia, grande seminatrice dicultura nel nostro paese; Andrea Rauch che, da grafico celebre, è diventato,per noi, a Tokyo, fotografo-cronista; a Guido Cozzi, fotografo fiorentino, chie-diamo, all’ultimo momento, il dono di una sola fotografia e con generosità ciconsegna una preziosa immagine dell’eruzione del vulcano erta Ale; RobinSchiele, provetto disegnatore naturalista nicaraguense; Andrea Bocconi,scrittore di culto, che ci racconta dei viaggi e della scherma. e Marco Aime,uno degli antropologi italiani più attenti, che ci racconta del suo viaggio negliAppennini per incontrare Francesco Guccini. e che dire di Giancarlo Iliprandi,disegnatore e grafico che, novanta anni, trova il tempo per donarci magni-fici acquerelli africani….non vi è stato nemmeno bisogno di convincerli a col-laborare con noi: ci hanno regalato parole, foto, progetti, sogni. Abbiamocollaboratori non ancora maggiorenni e due grandi vecchi che sono felici dipartecipare alla nostra navigazione. Per questo erodoto vorrebbe sopravvi-vere alle sue difficoltà.

Ma più di questi scrittori, giornalisti, disegnatori e fotografi conosciutiarrivano nei nostri computer altri regali: Giulia Landucci, giovane gior-nalista viareggina, ci fa scoprire il gioco del surf in Versilia (questo

cerchiamo: qualcosa che ci sorprenda, mai avremmo immaginato che a Via-reggio si facesse surf come in California); Alessandro Lanzetta, fotografo fio-rentino, fa parte della nostra non-redazione: si è arrampicato nelle vallidell’Appenino tosco-emiliano grazie ai binari di un’antica ferrovia, la Porret-tana. Anche queste ci piacerebbe: costruire la mappa dei treni nascosti, lon-

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tani dall’Alta Velocità, vorremmo raccontare, come molti, un’Italia scono-sciuta e solitaria. Lo fanno i paesologi, noi potremmo dare mano a chi stacercando di cambiare le carte geografiche di questo paese. e ancora: Al-berto Bile, reporter napoletano, che per noi va a conoscere, al Vomero, la li-breria ‘IoCiSto’. La nostra Valentina Cabiale è calligrafa bravissima nelnarrarci il sonno dei giapponesi sulla metropolitana.

nelle prime pagine della non-rivista, troverete quattro foto: sono immaginiche, se volete, se siete disposti a viaggiare, potrete scattare questa estate:a Siena, a Matera, fra i calanchi di Aliano o nelle montagne di Topolò. Rac-contano qualcosa che accadrà nei prossimi mesi.

epoi c’è Carmelo eramo, fotografo e maestro ad Altamura, in Puglia. Ciha fatto vedere un suo lungo lavoro fra i paesi della Lucania. Ancorapaesologia. Paesi arresi, direbbe Franco Arminio. Paesi di vecchi (uo-

mini) seduti sulle panchine. Le foto ci sono piaciute. ne abbiamo discussoa lungo. Carmelo sa raccontare, è attento alla sua terra, ne vede la fragilitànostalgica, ma noi siamo anche certi che il Sud, questi paesi del Sud, oggi,abbiano la forza di ribaltare il loro destino. In questi paesi ci sono ragazzi eragazze capaci di sorprenderci. Capaci di baciarsi, di correre, di fare festa esconfiggere solitudine e abbandono. Sarà sufficiente la loro spavalderia acontraddire gli scoraggiatori militanti che incontriamo nei bar dei paesi? e’possibile un’alleanza fra gli uomini senza sorriso di Carmelo e la ribalderia deiragazzi che si impossessano delle più belle feste della Lucania? non lo sap-piamo, ma questo Sud ‘fallisce e rinasce, ti esalta e ti avvilisce’. noi vor-remmo raccontarlo.

epoi ci sono storie che lasciamo lì. Per contraddirci. Perché vorremmovederle moltiplicarsi: elena Dak è andata in Tchad, nel prossimo nu-mero (ci sarà un prossimo numero?), ospiteremo il racconto della sua

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transumanza assieme ai vanitosi mandriani Woodabe, e ha appeso i disegnidi Iliprandi alle acacie della savana. I pastori africani hanno trovato il ritrattodelle loro vacche in una straordinaria mostra aerea ed effimera. Mostre similisono avvenute nelle foreste di Montepiano, nelle Dolomiti Lucane, e in Dan-calia, in uno dei più inospitali deserti della Terra, ai confini fra etiopia ed eri-trea. ecco, noi vorremmo fare questo: realizzare mostre nei boschi, neideserti, in strada, sui traghetti, nei treni, sulle spiagge. Il nostro sogno èquello di sistemare fotografie su tante barchette (una foto come una vela) e,in una notte di inverno, farle salpare da una spiaggia del Veneto o della Ca-labria. Da Iesolo o da Capo Rizzuto. Vorremo compiere gesti inutili. Perchésono i più coraggiosi. e portare foto là dove sono state scattate, lontanodalle gallerie o dai musei, vorremmo ‘restituire’ i disegni alle genti che li hannoispirati. Queste vorrebbero essere le Mostre di erodoto. Come vorremmo fare I viaggi di erodoto: i fotografi Bruno Zanzottera e Gio-vanni Mereghetti e la giornalista Cristina D’Antonio sono andati per vulcaniafricani. ne sono usciti reportage splendidi. e’ un’Africa di fuoco, quella cheraccontiamo nelle pagine centrali della non-rivista. Vorremo tornare, con voi,in queste terre, vorremmo scalare l’Ol Doinyo Lengai in Tanzania e l’erta Alein Dancalia. Vorremmo discendere il ‘vulcano a rovescio’ di el Sod nel-l’estremo Sud dell’etiopia. Vorremmo viaggiare assieme. Portarci ed essereportati nelle terre di cui pubblichiamo i racconti.

e’ troppo sognare di poter realizzare mostre, organizzare viaggi, avere unluogo fisico dove ritrovarci, fare una non-rivista, ritrovarsi per imparare as-sieme dai migliori fotografi, scrittori e giornalisti?

Contraddizione

Questo è un editoriale malinconico nelle sue prime righe. Quasi una‘cerimonia degli addii’. L’annuncio di un saluto. Ma poi, con le nostrecontraddizioni, mettiamo in fila quanto abbiamo fatto in questi mesi

(c’è anche il blog, molto letto, molto discusso, molto faticoso; c’è la paginafb, molto cliccata, se questo ha un significato) e scopriamo così quanto la-voro c’è dietro a questa non-rivista. ne siamo orgogliosi e stremati. Vor-remmo affidarvi queste non-pagine, prendetele, stampatele, abbandonatelesui vagoni dei treni, fatene davvero barchette, salite su un albero e lanciateledall’alto della sua chioma. Fate mostre nei boschi (fatecelo anche sapere) eiscrivetevi ai viaggi di erodoto. non lasciateci soli. Inventatevi qualcosa.Scacciate la nostra malinconia. Impossessatevi della redazione (che avetestudiato informatica a fare se non siete capaci di scoprire password). Leg-gete questo numero e, intanto, progettatene un altro.

andrea semplici

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Festa dellaMadonna della BrunaMatera, 2 luglioFotografia di Antonio Sansone

le foto che farete

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le foto che fareteFestival della Stazione di Topolò/Postaja Topo-love Concerto della DobiaLab OrchestraDal 10 al 19 luglio www.stazioneditopolo.itFotografia di di Maria Silvano

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1le foto che fareteL’attesa del Palio, Siena 2 luglioFotografia di Francesco Cito

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1le foto che fareteFestival La Luna e i Calanchi“La danza di Caterina” Aliano 22-27 agostoFotografia di Andrea Semplici

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il racconto di Carlos aCosta Guerrero

I bambInI delle scarpe blu….La cosa più difficile fuquando dovemmo saltarefra i pini. Vi atterravamosopra con le nostre scarpe

e le cime di quegli alberi ondeggiavano, sembravanocadere, ma poi si rialzavano. Siamo saliti anche sopraalcune statue, sopra la scuola e sui tetti di edificigovernativi. E là, dalla strada, le ragazze ci inseguivano. E noi ridevamo di nuovo. Poi qualcuno disse:‘Andiamo alla stazione dei treni’…Eravamo in cinque e andavamo in giro sempre assieme: Pay, La Quina, Cali,Gerardo e io. Avevamo dodici, tredici anni e ci stavamo svegliando. Età felice.La migliore epoca del mondo. Ridevamo a crepapelle, ci divertivamo comepazzi. Eravamo delle vere pesti, re dei marciapiedi in quella cittadina ai piedidella Sierra Madre Orientale. Pay era castano e con i capelli corti; Cali,basso etarchiato; la Quina era il grasso del gruppo, Gerardo fu sempre il più lucido eha sempre portato i capelli lunghi. Non ha mai smesso di averli così lunghi. Io ero come sono oggi: ma-gro, capelli ricciuti e una manciata di lentiggini fra il naso e le guancie. Era-vamo diversi, ma una cosa ci accumunava a tutti noi: eravamo poveri.Vivevamo in un quartiere situato vicino al centro della città, case di adobe, difango e paglia, cielo di lamiera, strade senza marciapiedi, teatro delle nostre

Traduzione di Adriana AltamiranoTavole illustrate di enrico Guerrini

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scorribande e rifugio dove tornavamo dopo essere andati in giro a fare mara-chelle non più tanto innocenti. Il gioco e la risata erano i nostri migliori al-leati: la vita ci appariva facile, e tutto, ci faceva ridere. A volte facevamo leore piccole, ci sedevamo sull’uscio di casa e ognuno raccontava sogni e bugie.Cos’altro avrebbe potuto raccontare un ragazzetto di dodici anni a quattro coe-tanei, a tarda notte e addirittura senza luna?

Una domenica che eravamo in giro per le strade del centro, ci siamo accortidell’assenza di Pay. Fra urla e scherzi siamo andati a cercarlo. Lo abbiamoscoperto di fronte alla vetrina del più prestigioso calzaturificio della città:stava lì, a bocca aperta. ‘Vieni, andiamo, scemo’, lo chiamammo ridendo. Ma Pay non batteva ciglia. Ci siamo accorti che stava succedendo qualcosa. O stava per succedere. E siamo rimasti in silenzio. Il nostro amico continuava a fissare la vetrinacome un impossessato. Ci siamo avvicinati un po’ di più.Lì, nascosti, come se il venditore non volesse che i compratori le potessero ve-dere, c’erano i colpevoli del suo sbalordimento. Erano dentro a una scatolabianca, adornata con carta velina rossa. Erano nuove e brillanti. Adesso le ve-devamo anche noi: siamo entrati in uno stato d’ipnosi, eravamo senza parole.Erano lì, uniche, e ci salutavano: erano un paio di scarpe blu.

Nessuno disse parola, ci siamo guardati fra noi. Pochi mesi fa, a scuola, eracorsa la voce che chi avesse avuto un paio di scarpe blu sarebbe stato felice.Erano l’ultima moda. Possedere un paio di scarpe blu significava attirare l’at-tenzione delle ragazze. Le scarpe blu erano…E noi lo credevamo. In quei tempi credevamo quasi a tutto quello che ci ve-niva detto. Nessuno di noi, mai, aveva visto scarpe come quelle, eravamo con-vinti che fossero magiche. Da quando l’uomo è uomo, ha sempre creduto in

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quello che nonvede. Cosa ce ne frega. Uno a uno, in fila indiana, come eravamo abituati a fare, siamo entrati nel ne-gozio. Poche volte, forse nessuna, eravamo entrati così in un negozio. Esserepovero emargina, si sa, e noi lo sapevamo. Ma quella volta fu diverso. Ge-rardo era di fronte, poi Cali e dopo la Quina. Con una botta sulla spalla hosvegliato Pay. Alla fine sono entrato anch’io. Il venditore di scarpe ci accolsecon uno sguardo stranito e guardingo. Ma Gerardo è stato sempre molto furboe, non mi chiedete come, convinse quell’uomo che eravamo un gruppo di no-bili studenti, destinati a partecipare a una recita scolastica, diretta dalla profes-soressa di letteratura, la maestra Maria Elena, ‘che certamente lei conosce’.Gerardo continuò spiegando che avevamo bisogno di quelle scarpe blu per ilnostro costume di scena e siccome nella vetrina ce n’era un paio…

Ancora oggi non riesco a spiegarmi come sia stato possibile convincere il ven-ditore. Un dettaglio: non dimenticate che quel giorno era domenica e noi in-dossavamo, per quella ragione, i nostri migliori abiti. Forse questo ci aiutò.

Ognuno si mise le sue scarpe blu. Il venditore era meno diffidente, si addolcì.Le nostre facce divennero splendenti come il sole d’estate. E allora successe:prima che quell’uomo se ne accorgesse, ci siamo alzati e siamo usciti cor-rendo. Attraversammo il cristallo della vetrina senza romperlo. Uno a uno, infila indiana, come al solito. Corremmo per la strada, fra le macchine e lagente. Una volta lontani e al sicuro, Cali fece un salto e si ritrovò sopra un altomuro. Non avemmo nemmeno il tempo di pensare: saltammo anche noi e, inun attimo, eravamo di nuovo assieme. Abbiamo continuato a saltare di muroin muro in perfetto equilibrio. Alla fine ci ritrovammo sul tetto di una casa.Eravamo travolti dal ridere. Non riuscivamo a smettere. I visi erano accaldatidal vento. Là sotto, le ragazze della scuola ci guardavano ansiose, e urlando inostri nomi, ci inseguivano. Non potevamo crederci. La Quina puntò verso lapiazza e, di terrazzo in terrazzo, arrivammo fin là. Da lì, ci ritrovammo suglialberi. Correvamo di fronda in fronda.

La cosa più difficile fu quando dovemmo saltare fra i pini. Vi atterravamo so-pra con le nostre scarpe e le cime di quegli alberi ondeggiavano, sembravanocadere, ma poi si rialzavano. Siamo saliti anche sopra alcune statue, sopra lascuola e sui tetti di edifici governativi. E là, dalla strada, le ragazze ci insegui-vano. E noi ridevamo di nuovo. Poi qualcuno disse: ‘Andiamo alla stazionedei treni’. E ci siamo andati. Era alla periferia della città e tutto era in silenzio.C’erano dei vagoni fermi, abbiamo cominciato a saltarvi sopra, da un tettoall’altro, fino a quando il treno non cominciò a muoversi verso Sud. La loco-motiva fischiò allegramente e il fumo bianco annunziò la partenza. Il treno,piano piano, prese velocità. E prima di ritornare nel negozio di scarpe, fra urlidi gioia, riuscii a pensare: ‘Con questo treno se ne va la mia infanzia’.

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Lo sguardo del venditore tornò duro. ‘Volete sapere il prezzo?’, ci disse col-pendo con forza il nostro silenzio. Ci siamo guardati fra noi. Il Pay sorridevacome mai ho visto fare a un’altra persona. La Quina e Cali, tristi e mogi, già sislegavano i lacci delle scarpe. Gerardo provò a dire qualcosa all’uomo dallavoce aspra. Ed io sentivo un formicolio sullo sciame di lentiggini del mioviso.Ci siamo levati le scarpe. Era una domenica senza sole, come dimenticarlo.Abbiamo camminato verso i nostri rifugi, siamo tornati nel nostro quartiere.L’abbiamo fatto, come al solito, in fila indiana, e come sempre, senza fare pa-rola. Niente, nessuna ragazza ci seguiva.

Rabbia, coraggio: siate benvenuti nei nostri cuori. Una volta nella nostrastrada, ancora silenziosi, ognuno di noi è andato a casa sua. Guardai le miescarpe, e poi quelle dei miei amici. No, non erano blu. Vide le case di adobe,con le finestre in legno e il cielo di lamina, la strada appena acciottolata, senzamarciapiede; l’angolo senza luce elettrica, il vento e il suo polverone. Poiguardai le ombre di ognuno dei miei amici: erano già diversi. I loro capelli, iloro occhi, la loro maniera di camminare e di andarsene erano altri. Io stessomi sentii diverso. Era la verità: quel treno ci aveva portato via la fanciullezza. 19

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CARLOS ACOSTA GUERRERO, 60anni, messicano, medico pediatra epoeta (non so in quale ordine metterei suoi due mestieri). e’ nato ad anti-guo Morelos, cittadina dello stato ditamaulipas, estremo nord-ovest delMessico. Un tempo il suo paese sichiamava tampemol. ha pubblicatonumerose raccolte di poesia: Sucedea Diario, Escarbar, Espiral de Luz,Campanas en la Niebla, El Hombrede los Abrazos, Marotas, Décimas yEl Zarzo de los Pemoles. Vive a ciu-dad Mante tamaulipas.

ENRICO GUERRINI, 38 anni, artista fiorentino. Pittore con unalaurea in scenografia all'accade-mia di Belle arti di firenze e studidi comics.

ADRIANA ALTAMIRANO, 55anni, è figlia del Nord ovest delMessico. È nata a ciudad Mante,nello stato di tamaulipas. Neglianni ’70 e ’80 ha viaggiato per ilmondo. Si fermò a firenze, sisposò e adesso vive in questacittà. Sorprese gli invitati al suomatrimonio cucinando pollo allemandorle e peperoni e riso al va-pore. da alcuni anni, è una blog-ger: appassionata di cibo, dicucina e di storia del pensieroumano, ne racconta le avventurein saporisaperi.blogspot.it.

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CARMELO ERAMOANDREA SEMPLICIFOTOGRAFIe

un uomo si gode il sole a Grassano, uno dei paesi del confino di carlo levi. racconta: ‘I ragazzi se ne vanno e non tornano più.cosa tornerebbero a fare?’

Foto di Carmelo Eramo

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VUELVO AL SUR

FRANCO ARMINIOPAROLe

il sud fallisce, il sud rinasce, ti esalta e ti avvilisce

VIAGGIO MEDITERRANEOun POeTA IRPInO e un FOTOGRAFO PuGLIeSe CI RACCOnTAnO IL LORO SuD

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chi direbbe che questa èuna processione?lo è. sono ragazzi incorsa. le radici, in realtà, sono ali.e’ la Festa.e’ la processionedei pastori, all’alba dellafesta di maria santissimadella bruna. a matera. Ogni 2 di luglio

Foto di Andrea Semplici

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anziani a rotondella, ai confini della provincia di matera. un giorno della settimana.

I due uomini sono rimasti fermi su quella panchinaper ore. ‘Fotografo i vecchi perché solo

quelli ci sono nei paesi’.

Foto di Carmelo Eramo

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Il sud è bipolare, il sud fallisce,il sud rinasce, ti esalta e ti avvilisce,impasta nel presente il suo passato,il sud corrompe,arranca: chiasso e silenzio, terre gremite, terreabbandonate, Napoli e Montaguto,la costa di Amalfi egli Alburni,il Mediterraneo dei porti e il Mediterraneointeriore,il sud che va visto caso per caso, casa percasa, rapine antiche, rapine piemontesi, e rapine dioggi, quelle ispirate dalla lega, il sud che spreca eche si spreca, il sud di Cosentino e del vecchio diGreci che fa il caciocavallo e non è mai stato adAvellino, il sud che ha venduto le vacche, il sud cheha il mito della pensione, il sud delle città medie, lacamorra e la camorra d’ufficio, il sud di Cassano eRossi-Doria, di Salvemini e Scotellaro, il sud che c’èa Trani e a Giugliano, il sud delle accidie, deicontadini che lasciano al vento le buste di concime, ilsud dei centri commerciali, il sud con le radici inbocca, quello con i muscoli della modernità, con ipaesi palestrati dallo sviluppo, il sud degli edificicomunali quasi sempre orrendi, il sud che si è abituatoall’inefficienza, recrimina ma non si ribella, il suddei sindaci che fanno i medici, il sud delle casechiuse, dei cimiteri sempre ampliati, il sud estivo equello invernale, il sud alcolizzato, il sud che giocad’azzardo, che legge Il Corriere dello Sport, che

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parcheggia il suv sui marciapiedi, il sud dei giornalie delle televisioni locali in mano a chi si occupa dicostruzioni, (il padrone che è anche presidente dellasquadra locale), il sud dei genitori che hanno fatto lacasa per loro e per i figli, che però adesso non cisono, il sud scapolo e disoccupato, webmaster e spacciatore,il sud che non fa un lavoro preciso, è sempre inseritoin qualche progetto pilota, il sud che emigra e nontorna, il sud che resta ma volta le spalle alla piazza,il sud che vota ancora per De Mita, il sud che lascia ipaesi sui monti e scende a valle e gira in macchina, ilsud dei ragazzi che provano a tornare, i ragazzi cheguardano alla terra, il sud attento, il sud deipercettivi, il sud che si abbraccia, che ha consumatola patina provinciale, il sud che non sa che farsenedella grettezza e dei luminari dell’ingiuria, il sudche ammira, che inventa, che accoglie e unisce, il sudche cammina, mangia bene, bufale e friselle, ipomodori, e il pane, il grano e le pale eoliche, lediscariche e il latte nobile del Formicoso, il suddegli alberi che si sono salvati dalle betoniere, dellepiazze che si sono salvate dagli architetti, il sudnascosto, il sud rimosso, il sud che c’è dentro il Gargano, nell’oriente dell’Irpinia, il sud che hal’oceano davanti a Tropea, il sud che sa incrociarsiagli stranieri, il sud che ha smesso di fare case elasciarle a metà, il sud che pulisce davanti alla porta, che non passa col rosso, che ha imparato a fare l’olio e il vino, che fa l’amoree gioca a carte, il sud degli orti e delle galline, ilsud che fa teatro e fa poesia, il sud che scrive eproduce canti e filosofia, il sud dei rancorosi, il suddegli estremisti della moderazione, i leccaculo, iparassiti, i furbi, quelli che ti vogliono inculare

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senza che tu te ne accorga, il sud senzamiracoli e senza norma, il sud che non saluta isuoi vecchi, il sud che non crede e non spera,che si vende il voto e l’anima a vecchi notabilimiopi e ingordi, il sud con la pancia, coi piedipuzzolenti, il sud che fa i compleanni, lecresime, i matrimoni, il sud delle macchinegrandi e degli occhiali da sole, il sud cheinsegna al nord, che lavora nelle poste, il sudche fa il carabiniere, il sud dove non si puòsalire ma si può solo sprofondare, il sud che silamenta perché non c’è niente e perché non c’èla comunità di una volta, il sud che si divertea parlar male di tutti e di tutto, il sud che vadai medici e non li trova, il sud che guarda alnord e non si guarda dentro, il sud che non hapiù capitale, che non ha più centro, il sud delnuovo umanesimo delle montagne e delladesolazione che a volte è anche beatitudine, il sud che sa diventare decrepito, che sapassare il tempo, il sud che deve farla finitacon gli imbrogli e che non deve più mandareimbroglioni in Parlamento, il sud che saammirare, il sud che deve portare l’Italiadentro il suo mare, il sud del mito, computer epero selvatico, malattia e cura, sagra delfuturo.

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Il maggio di accettura nel giorno della pentecoste. Festa degli alberi nelle dolomiti

lucane. I ragazzi della cima stanno per trasportare l’agrifoglio fino al paese.

e’ un giorno di baci appassionati.

Foto di Andrea Semplici

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l’uomo usciva da un bar di Valsinni, paese del potentino. Indossava una giacca di velluto, i capelli quasi impomatati. Gli occhi malinconici. ‘mi è apparso come un gentiluomo’.

Foto di Carmelo Eramo

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I cimaioli di accettura, paesedelle dolomiti lucane.

e’ la domenica della pentecoste,giorno della Grande Festa

del maggio. I ragazzi, ebbri di felicità, vanno a prendersi unagrifoglio che dovrà unirsi a un

cerro nella piazza del paese.

Foto di Andrea Semplici

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‘Ho seguito quest’uomo a lungo.a un certo punto si è fermato

sotto quell’arco murato. e’ rimasto lì per più di un’ora.

sono convinto che se torno a Grassano lo trovo ancora lì’.

Foto di Carmelo Eramo

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I ragazzi della cima,ad accettura, si fannole magliette per ilgiorno della Festa.Queste ragazze erano straordinarie, leggete con atten-zione: se ripassate fra cento anni ci trovate sempre qua. ci mettono anche il punto finale. ci stanno dicendo: ‘Questo è la nostraterra, la nostra animale appartiene’.

FRANCO ARMINIO, 55 anni,nato a Bisaccia in Irpiniad’oriente. ha pubblicato unaventina di libri, tra versi eprosa.  collabora con “il Manifesto”,  e " il fatto quotidiano".  È direttore artistico del festival di aliano: laluna e i calanchi. ha aperto assieme a molte per-sone la casa della Paesologia a trevico.

CARMELO ERAMO, 41 anni,maestro di scuola e fotografo,pugliese di altamura. Insegna aibambini diversamente abili. co-mincia a fotografare a venti anni.da tre anni viaggia, con la mac-china fotografica, alla scoperta-riscoperta della sua terra. Unviaggio ancora in corso, forsesenza fine. Il suo sito: www.car-meloeramo.com

Foto di Andrea Semplici

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UNA STORIAUN

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O LO SGUARDO DEL CANE

TESTO DI SILVIA LA FERRARAFOTO DI SALVATORE DI VILIO

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LA CASA DELLA PAESOLOGIA A TREVICO

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Arminio che nella foto sta al centro difianco al cane bianco con la reflex inmano. Franco vive a Bisaccia, paesonedi fronte a Trevico, sull’altopiano delFormicoso. Un po’ fa il poeta e loscrittore, un po’ il maestro elementare,un po’ il paesologo in giro per l’Italiainterna, quella dell’osso, come lui lachiama, nei posti dove – dice – sisente la ferita e la piaga leopardiana èancora aperta. Capire cosa sia la pae-sologia è ininfluente in fondo e co-munque è affare semplice se si è poeti.Anche passivi, non praticanti, pigri oindolenti, ma attenti ai dettagli deiposti, degli animali, delle persone edelle parole. Arminio è prolifico e ge-nerosissimo: le sue poesie e prose mu-sicali sono appese ovunque sulla rete.Cercatele e seguite le tessiture di que-sto ragno adolescente, ruvido, so-gnante e lucidissimo. Andate in giro.Non serve altro, e sarete paesologianche voi, come tanti nel mondo chelo sono senza saperlo e non importa.Alcuni si trovano da qualche anno in

Il cane bianco non è di Trevico; eravenuto il giorno prima da Vallata,il paese sotto, dove stanno banco-

mat, supermercato e casello dell’auto-strada. C’era un sole bellissimo, il 7dicembre e un’aria purissima ed era-vamo andati a camminare per vedereTrevico da lontano; è li che lo abbiamoincontrato, in campagna, ma poic’erano i cacciatori che sparavano esiamo scappati sulla statale. E il canebianco sempre dietro. Così poi è salitocon noi sul tetto d’Irpinia, a 1.100metri, per la festa di apertura dellaCasa della paesologia.

La parola paesologia nel dizionario delT9 non c’è e nemmeno in quello diword o di open office e comunque èuna parola che non riesci mai a scri-verla giusta e pure quando la dici tisbagli perché la “e” si piazza dove ca-pita. Mio padre, ad esempio, dice pa-seologia e nun ce sta niente ‘a fa.

L’inventore della paesologia è Franco

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Si viene a Trevico per visitare il cielo,per guardare altri paesi da lontano.

Non è qui l’imbrogliodei nostri tempi,non è qui il Sud

dell’incuria e dell’inedia,questo è un paesesobrio e semplicecome una sedia.

Franco Arminio

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estate ad Aliano, in Lucania, al paesedi Carlo Levi dove per una settimanadanno vita a un festival in cui si vegliail mondo stremato con clemenza e arte.Nell’ottobre scorso hanno fatto un’as-sociazione che si chiama Comunitàprovvisorie e hanno deciso di cercarecasa in uno dei paesi vuoti, disattesi emarginali del Sud interno. Ci sono an-ch’io tra questi e mi sono commossal’8 dicembre quando abbiamo aperto laCasa della paesologia proprio nel miopaese, Trevico. C’era un sacco di gentea Casa Scola (che Ettore, nato a Tre-vico, ha donato al comune) e oggi,dopo solo otto mesi, gli associati sonopiù di 150. Da tutta Italia e dalla Fran-cia, persino. Eccoli lì, che si sparpa-gliano per il paese intorno ad Arminioe al cane bianco, nella nebbia che puòarrivare sempre tutto l’anno e ti fascordare colori, forme e pensieri. Cheli fa diventare confusi i pensieri, spar-pagliati, io non ci vedo delle personequa, io vedo i pensieri che abbiamonella testa che finalmente se ne esconoe si disperdono, si allargano allegri

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SALVAtoRE DI VILIo, 58 anni,fotografo campano, vive elavora a Succivo, in Terra diLavoro, provincia di Caserta.Ama raccontare che, stancodell’architettura e degli architetti,è nato una seconda volta con larolley di suo zio. Spinto dacuriosità umana, si dilettafotografando feste, riti e personenei loro luoghi. Il suo lavoroabbraccia la fotografia a 360°,con ironia, passione ecazzeggio, cercando dicampare. Per saperne di più:www.salvatoredivilio.it

nella nebbia, prendono il fresco e l’ariasotto gli occhi di un cane bianco. Esotto gli occhi di Salvatore Di Vilio, ilfotografo della paesologia, che ha tro-vato i pensieri in uscita dalle testementre magari guardava laggiù tra lanebbia, sotto l’arco di Port’Alba, die-tro al quale sta la Casa, sopra all’am-bulatorio del medico e di fronte allaFarmacia. È un policlinico, altro cheSan Giovanni Rotondo. Si guarisce aTrevico? O ci si ricorda meglio di es-sere malati? Sono stati documentaticasi nei quali il soggetto, sollevandosipiù vicino alle nuvole, sente qualcosache gli si abbassa di dentro, come sel’ego scendesse un po’ giù, al livellodel cane. Arminio dice spesso questacosa della postura del cane; dice che èrivoluzionaria perché ci decentra danoi stessi. Quando siamo ripartiti il 9 dicembre, ilcane bianco ci aspettava davanti allaporta e ci ha accompagnato per un po’.I pochi rimasti hanno detto che poi nonl’hanno visto più.

SILVIA LA FERRARA, 48 anni,irpina, romagnola e da più divent’anni emiliana. Insegna,viaggia e quando può cantail gregoriano.

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FOTO DIBRUNO ZANZOTTERA/PARALLELOZERO

LA MONTAGNA DI DIO

FUoCHI d’aFrICa/TanzaniaOL DOYnO LenGAI

L’Ol Doinyo Lengai è la montagnasacra dei Maasai, il vulcano più giovane della Rift Valley. Abitato da divinità opposte, generose e vendica-tive: possono donare pioggia e siccità.La sua lava è liquida, ‘fredda’, viscosa,può essere raccolta con un cucchiaio. Mille e settecento metri di dislivello, uncammino notturno. Si sale a mezzanotte…

TESTI DI CRISTINA D’ANTONIO

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Lakenatron Camp, campo tendato all’estremonord della Tanzania. Il Kenya è appena al dilà del lago di soda, che a tratti odora di uovo

marcio. Rosa di fenicotteri, vermiglio per l’alga che attira gli uccelli.Questo è l’ombelico del Maasailand, la terra dei Maasai. Il puntodi partenza per la salita all’Ol Doinyo Lengai. Il Vulcano di Dio.2898 metri di altezza, segnala la nostra cartina, un dislivello di1.750 metri. Sale dal fondo stepposo della Rift Valley, gigantescaincisione lunga seimila chilometri, disseminata di laghi, che corredal mar Rosso al Mozambico, attraversando l'ovest del Kenya ela Tanzania.una meta da appassionati, la montagna sacra dei Maasai. La vo-gliono abitata dal dio eng’ai. eng’ai-narok, il nero, il buono, simuove con il tuono e porta pioggia e prosperità. eng’ai-na-nio-kye, il rosso, il vendicatore, che è nel fulmine e produce carestia.Il bene e il male: due facce che convivono senza negarsi. Almenosull’Ol Doinyo Lengai. Ci arrivano i pochi viaggiatori che non ven-gono risucchiati dalla forza centripeta dei parchi del nord, Ma-nyara, ngorongoro, Serengeti. Ci viene chi ha orecchie per il ri-chiamo dei vulcani. e lui è unico al mondo: ha 370 mila anni, il piùgiovane della Rift Valley, ed è ancora in attività. Invece che lava ba-saltica, produce lava di carbonite di soda. Fredda, si fa per dire,perché non supera i 530 gradi centigradi. A viscosità bassissima,è liquida come olio. Cosa significhi, si capisce una volta guada-gnato il cratere. Con tutta la calma necessaria, per favore.Raggiungere il lago natron è già, di per sé, uno spostamento dailuoghi comuni. La strada è bella, e ti fa dimenticare in fretta il violasmagliante dei fiori di jacaranda e il profumo pungente del mangoselvatico. I ragazzini hanno il viso tracciato di gesso, segno chehanno subito la circoncisione, rito che segna l’ingresso nell’etàadulta. La poca ombra è data dal baobab e da cactus che assu-mono forme sfacciate. Il resto è polvere ed erba alta, oro chiaroe scuro, nubi che cambiano il contorno alle cose. e alla logica chedi solito ci appartiene. Si parla di una storia diffusa dalla Bbc: lapolizia locale ha arrestato sei persone per aver cacciato le stre-

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ghe, e averne venduto la pelle a trafficanti del Malawi e dello Zam-bia. un guadagno netto di un certo interesse: da 2.400 a 9.600dollari americani, a seconda dell’età della pelle. un patrimonio,quando il reddito medio è di 300 dollari. Streghe? Quali streghe?Le donne. Le donne vecchie. Quelle con gli occhi rossi. Sabine, lacuoca del campo, è giovane, florida e con gli occhi in salute. ep-pure è invasa dagli spiriti. Ce li fa ascoltare una sera, dopo cena. Imaschi atterriti si tengono a distanza, le femmine sono convinte chesia tutto vero e giusto. Allora diventa chiaro: il senso dell’intangibileappartiene alle donne. Streghe o non streghe, questo potere è sololoro.L’appuntamento per la scalata al vulcano è al buio. La partenzadalla base dell’Ol Doinyo Lengai è organizzata per mezzanotte. Fapiù fresco. e non vedi quanto è lungo il sentiero. Moses, uno deiportatori, ha la sua opinione. Quando sarai in cima, con la vallataai tuoi piedi, potrai finalmente dire: dio, che spettacolo. Fissi il nerodel cratere, l’unico lembo di cielo non trapuntato di stelle, e anti-cipi: dio, ma che fatica. La traccia dei passi di chi ti ha precedutoassume una pendenza preoccupante. Fendi l’erba, un piede die-tro l’altro. I Maasai impiegano quattro ore per la vetta. un gruppodi francesi, guide alpine esperte, il giorno dopo, hanno camminatoper sei ore e mezza. Chi non è avvezzo può impiegarci il doppio.Tanto vale mettere da parte l’ansia da prestazione e concedersi iltempo necessario. Salita e discesa valgono come esperienza di persé: sei un granello di polvere, ma hai l’intero universo a portata didita. Arranchi fino all’ultimo tratto: ripido come un’espiazione, va af-frontato con la luce del sole. Se ce l’hai fatta da solo, e non hai pre-ferito l’elicottero che parte da Arusha, è più che una sorpresa.Katia Krafft, fotografa e appassionata di eruzioni, insomma un’au-torità in materia, chiamava questo posto il suo vulcano giocattolo,dalle piccole colate, abbastanza fredde da poter essere raccoltecon un cucchiaio. Il cratere, colmo di nebbia all’alba, borbotta esputacchia. La lava assume tonalità vive solo al buio; per contra-sto. Altrimenti è nera. Per poco: l’aria fredda la trascolora velo-cemente. Facendola diventare marrone, grigia e poi bianca comezucchero. una glassa che si spalma tra i coni, mai simile a sestessa. Chi sale non sa infatti cosa aspettarsi: parossismi, alte fon-tane, laghetti. Bolle gigantesche, create dall’anidride carbonicapresente nel magma, che si dissolvono come fossero di sapone.hornitos che collassano sotto il peso delle gocce di pioggia.Schizzi improvvisi, innocui solo all’apparenza. Ma che importa?Adesso ci sei, e il vulcano ti appartiene. I Maasai preferiscono rac-contare che ci vengono per soldi. Lavorare come accompagna-tore è una fortuna. Quindi non vogliono parlare di dio, non con te,

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che potresti prenderti gioco delle loro convin-zioni. non si sacrificano più capre a eng’ai, di-cono. Ci si accontenta di sfamarlo con l’erba.Ma lascia tempo al tempo, lascia che la confi-denza abbia la meglio sui segreti, permetti diessere tu l’oggetto del loro studio, fatti toc-care, conduci conversazioni surreali, ognunonella propria lingua, e la storia cambia.Sapendo che è un popolo da avvicinare conprudenza. non è cambiato molto dall’incontrocon uno dei primi uomini bianchi che decise diinoltrarsi fin qui. Ludwig Von Krapft era un mis-sionario luterano. nel 1860 diede alle stampe ilresoconto dei suoi viaggi. Dei Maasai raccon-tava che vivono di latte, di burro, di miele e dipochissima carne. Che provano un vero di-sgusto per l’agricoltura, perché convinti che icereali indeboliscano il fisico. Che non toccanofrutta e verdura. Che agiscano con l’appoggiodi eng’ai, che ha concesso loro tutto il be-stiame del mondo. Ancora oggi, il furto di man-drie è l’assoluta normalità: se ogni anno qual-che migliaio di capi cambia padrone, lo sideduce dal sovrapporsi delle marcature, o daltaglio alle orecchie degli asini, sfrangiate comesciarpe. Resta l’uso di colpire con una frecciala giugulare della vacca: il sangue, raccolto inuna zucca, viene dato da bere alle donne gra-vide e ai malati. e viene ancora praticata l’escis-sione: nei villaggi come nelle città, anche se igenitori vantano un grado di istruzione supe-riore. Alla tradizione non si comanda: la ra-gazza che non passa sotto la lama del coltelloresta bambina, e in quanto tale non troveràmai marito. La differenza, rispetto al passato,sta nel suono delle radioline e nel vorticare sab-bioso delle biciclette. Due beni di consumo chela gente si concede appena messo assiemequalche soldo. Magari con le piastrelle di saleinfilate nei sacchi che aspettano, cippi preziosilungo la via, gli allevatori di altre zone. Sacchi disale che servono ad arricchire la povera ali-mentazione delle mucche.

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CRISTINA D'ANTONIO, 52 anni, milanese. ex moltecose, attualmente in forza a GQ. da quella volta sull'ol doinyo lengai è passato un certo tempo, ma fan-tastica ancora di tornarci. ci sono storie che ti entrano intesta più di altre, e questa è una di quelle.

BRUNO ZANZOTTERA, 56 anni. Nel 1979, compie ilsuo primo viaggio africano a bordo di una vetustaPeugeot 404 che lo porterà, attraverso il Sahara,sulle sponde dell’oceano atlantico. comicia così lasua avventura di fotoreporter. Nel 2008 ha creato,con alessandro gandolfi, davide Scagliola e Sergioramazzoti, l’agenzia fotografica Parallelozero.Nel 2014 realizza il suo primo documentario Il giocodelle perle di vetro, sull’uso africano delle perle divetro veneziano. collabora con le testate: Geofrance, Geo Int., National Geographic Italia, VSd, fi-garo mag, la vie, focus, elle, Gioia, oggi, Itinerari eluoghi, Jesus, africa

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GIOVANNI MEREGHETTILA CASA DELSALE NERO

un pozza d’acqua salmastra, profonda fino a cinque metri. Ogni giorno uomini borana vi si immergonoper estrarre il loro ‘oro nero’

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una pozza d’acqua salmastra densa come la pece e profonda fino a 5 metri

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kel Sodche in lingua amaricasignifica “casa del sale”,è il nome del villaggio

posto sul bordo del cratere di un vulcano spento. Al-cuni locali lo chiamano “black hole”, buco nero. Ilperchè lo si intuisce guardando il paesaggio dal ci-glio scosceso adiacente le ultime capanne del vil-laggio. un immensa voragine di 150 metri di dislivellocon al centro una macchia nera.una pozza d’acqua salmastra densa come la pecee profonda fino a 5 metri dove quotidianamente i Bo-rana, gli abitanti del posto, si immergono per estrarreil loro “oro nero”.Attorno alla cavità infernale si estende una vasta pia-nura, ma per conoscere la vita e vedere da vicino unnuovo modo di affrontare il quotidiano bisogna -proprio come fa Dante - incamminarsi verso il basso,verso l’origine, per poi risalire carichi di speranza.Questo angolo di mondo è raggiungibile percor-rendo il nastro di asfalto perfettamente diritto, chedalla cittadina di Yabelo - nel sud dell’etiopia - portaverso il confine kenyota. Questa strada - che sistringe sempre più all’avvicinarsi del Kenya - è unadiscesa impercettibile, quasi un imbuto che porta adun oasi medievale. Si può notare la leggera pen-denza solamente quando si percorre la strada insenso contrario e si sente il motore del fuoristradache soffre e a tratti arranca. L’arrivo di uno straniero al villaggio suscita sempreuna certa curiosità tra i locali, forse più per interesseeconomico che per altri motivi, ma è normale. Si sache in Africa è così, che il “bianco” è visto quasi sem-pre come un ricco da “spennare”.Il villaggio si unisce per studiare lo straniero, per ca-pire da dove viene, dove sta andando e soprattuttose è al corrente di come si vive a queste latitudini.

I Borana sono prevalentemente di religione islamica,anche se a parte la moschea - di tradizione islamica- al villaggio c’è ben poco. Rimane la fede interiore,che guida i lavoratori e protegge le famiglie dal pe-ricoloso e difficoltoso quotidiano.Agli stranieri che vogliono scendere nel cratere fanno

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pagare una tassa. Pochi birr, che sostengono andarealla comunità del villaggio per opere comuni. nelContinente nero sono sempre molto abili ad inven-tarsi le tasse per la sopravvivenza, che spesso fini-scono nelle tasche di pochi lasciando il resto dellapopolazione, come sempre, a tendere la mano e aelemosinare qualsiasi cosa. La pozza d’acqua sul fondo del cratere nasconde laricchezza dell’intero villaggio: il sale. L’operazione diestrazione non è per nulla semplice, i giovani “saltman” si devono immergere nell’acqua salata di co-lore nero e con l’ausilio di un bastone rudimentale,staccare dal fondo grosse quantità di fango mel-moso dove è contenuto il sale. un’immersione versoil “cuore nero” della terra, capace di donare il ne-cessario per sopravvivere.

Per vedere da vicino il lavoro di questi uomini biso-gna scendere fino alla pozzanghera. Il tragitto non èfacile, la mulattiera è ripida e scivolosa, le pietre le-vigate sono spesso ricoperte di terriccio, bisognafare attenzione a dove si mettono i piedi per evitaredi scivolare. Si incrociano spesso somarelli, che ca-richi all’inverosimile, trasportano i sacchi contenentiil materiale da raffinare, fino ai depositi siti nel villag-gio.Come nella Divina Commedia il viaggio richiede l’ap-poggio di una guida capace di mostrare la giusta viaper la conoscenza. Ma il nome Virgilio suona stranoa el Sod.Marcos, un giovane che fino a cinque anni fa facevaquesto mestiere, fa da guida nella discesa e in unquasi perfetto inglese racconta la sua storia e quelladegli altri ragazzi che ogni giorno si spezzano laschiena facendo questo infame lavoro.Marcos si svegliava presto la mattina, le prime oredella giornata sono meno calde, ma avvicinandosialle ore centrali della giornata la temperatura può sa-lire fino a 45-50 gradi. Il cratere è come un immensocatino, sul fondo non circola aria, si soffoca. Siscende l’impervio sentiero, mentre la chiacchieratacontinua tra le informazioni generali riguardanti i Bo-rana, gli estrattori di sale e la sua vita personale.Marcos per anni ha fatto questo mestiere, ma il suo

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sogno era quello di poter andare ad Arba Minch per poter studiare economiaall’università. Purtroppo non ce l’ha fatta, ma tale è stata la passione, che orasi occupa della parte amministrativa del consorzio locale che gestisce il com-mercio del sale.Il sentiero che si percorre per arrivare sul fondo del cratere è molto animato:si incontrano ragazzini che conducono gruppi di asini, bambini scalzi che gio-cano a fare i grandi, anziani che risalgono appoggiandosi a bastoni ricavati dallecanne di bambù, giovani dai fisici statuari che, non avendo altre scelte di vita,sono inesorabilmente finiti a fare i “salt men”. Marcos è molto discreto, quando nota difficoltà smette di parlare e aspetta chepassi il fiatone, poi continua il suo racconto. Dice: “ho letto che in europa l’età media è notevolmente superiore ai settan-t’anni, forse sarà la qualità di vita che avete. Voi mangiate tre volte al giorno,la vostra alimentazione è ricca di proteine, il clima vi aiuta molto, l’acqua da voinon manca mai ed è pura. Qui a el Sod e nei villaggi limitrofi la vita media diun uomo non supera i cinquant’anni. Le donne, se non fanno molti figli, vivonoun po’ di più. non credo sia solo un fattore legato alle condizioni di vita e aquelle lavorative. Da queste parti la mortalità infantile è ancora alta, molte ma-lattie non vengono curate per mancanza di strutture adeguate. La malaria vieneancora curata con erbe e piante endemiche. Da noi non esistono strutture sa-nitarie, la più vicina clinica è a Yabelo, 100 chilomentri a nord da qui”. e’ quasi passata un’ora da quando è iniziata la discesa verso il centro del cra-tere, il terreno inizia a farsi melmoso e si inizia a sprofondare con le suole dellescarpe. I Borana hanno lo stesso sangue di Abebe Bikila, il campione olim-pionico che nel 1960 vinse la maratona di Roma correndo scalzo. Loro l’im-pervio percorso che porta in fondo al cratere lo fanno a piedi nudi, senza maiinciampare, senza mai scivolare, sono rimasti dei veri camminatori, come i loroavi.Procedono con la forza di una locomotiva, indenni all’apparenza, nascondendodietro i loro occhi la stanchezza e la pesantezza del lavoro.Oggi la pozza nera è animata più del solito, il cielo è nuvoloso e la tempera-tura non è soffocante. Gli operai sono tutti giovani, Marcos dice che il più vec-chio ha 28 anni.

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Bisogna essere in ottime condizioni fisiche per fare questo lavoro, ma soprat-tutto bisogna essere esperti nell’immergersi in apnea ad occhi chiusi e scavaresul fondo aiutandosi con un bastone. Ci sono anche alcuni ragazzini, per loroè ancora un gioco farsi galleggiare nell’acqua salata, non sanno ancora chequesto, un giorno, potrebbe essere il loro lavoro, la loro condanna di vita.I giovani che fanno questo lavoro hanno i piedi cotti dalla salsedine, le mani bru-ciate, il petto e il viso tinto di nero. e’ un lavoro disumano che si tramanda dapadre in figlio. Chi finisce nel girone dantesco di el Sod, difficilmente ne esce,la sua vita sarà segnata per sempre, come un marchio a fuoco.Marcos dice che i più abili si immergono fino a 5 metri e stanno in apnea finoa 30 secondi, fino a quando la salinità e la densità dell’acqua li respinge versola superficie. Raggiungono la riva tenendo tra le braccia il blocco di sale mistoa fango appena pescato, come fosse un tesoro di valore inestimabile. una voltaposato sul bagnasciuga ritornano in acqua e si rituffano verso il fondo oscuroe silenzioso. Dieci ore al giorno in cambio di pochi birr, quelli appena sufficientiper aiutare la famiglia dei genitori o quella appena creata con una donna delvillaggio.

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Il “pescato” è una sorta di pasta con le sembianze del catrame, quello che poi,una volta lavorato e raffinato, diventerà una parte del sale dell’etiopia. L’altraparte viene prodotta dagli Afar, nella lontana e aspra Dancalia. Dal cratere di el Sod ogni anno vengono estratti 60.000 chilogrammi di sale,tutto da insaccare e trasportare fino al villaggio a dorso d’asino. I poveri asinivengono caricati all’inverosimile e guidati dai ragazzini o dagli anziani, risalgonoil difficile sentiero fino alla cima. La strada di ritorno è faticosa, se non c’è vento fa veramente caldo, si soffoca.Spesso gli asini scivolano e cadono. Fortunatamente non ci sono precipizi, ba-sta solamente l’abilità del conduttore che guida la carovana per rialzarli e con-tinuare il cammino verso casa.Marcos è molto legato alle tradizioni del proprio villaggio, è nato qui e tutt’oravive in una famiglia numerosa. Sono otto fratelli, tutti maschi, tutti lavorano im-piegati nell’estrazione del sale, alcuni nel cratere, altri invece si occupano dellaraffineria e dell’imballaggio. Si risale lentamente, a volte piegando la schiena e aggrappansi alle pietre comeappiglio, una sorta di arrampicata verso la speranza, un cammino verso il lon-

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Il “pescato” è una sorta di pasta con le sembianze del catrame, quello che poi, una volta lavorato e raffinato, diventerà una parte del sale dell’etiopia.

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tano paradiso. Ma si sa, la storia insegna chedall’inferno la salita è quasi impossibile. La cimadiventa un miraggio, ma seguendo gli asinelli cisi concentra più a non calpestare gli escrementiche lasciano sul sentiero e si è un po’ distoltidalla fatica. Si impiegano quasi due ore per arri-vare al villaggio, dove ad aspettarci ci sono ibambini con i secchi pieni di bottigliette di Fantae Coca Cola.Marcos dice che spesso passano gruppi di turi-sti, scendono il sentiero, fanno le foto ai lavora-tori, risalgono il cratere e scompaiono nel nulla dadove sono venuti. Vengono perché ci vedonocome fenomeni da baracconi, ci osservano consuperficialità, senza entrare nel dettaglio, senzavoler capire le nostre tradizioni, la nostra vita, ilnostro inferno quotidiano. noi cerchiamo di approfittare di questa “usanzabianca” offrendo loro qualche souvenir, chiedendo qualche t-shirt o semplice-mente, i bambini, allungando la mano, chiedono qualche birr in cambio di unafotografia. nonostante ciò non ci sentiamo inferiori a voi bianchi, siamo semplicementediversi. Voi avete la vostra frenesia e con la vostra testa vedete il mondo e lavita in modo differente. noi cerchiamo di mantenere le nostre tradizioni e ce letramandiamo di generazione in generazione, da sempre.Anche l’ultimo asinello col suo carico di sale ha raggiunto la cima del cratere,Marcos inizierà ora il suo lavoro. Ci sono i sacchi da contare e pesare, biso-gnerà pagare i ragazzi che hanno estratto il sale e organizzare il lavoro delgiorno successivo. Domani a el Sod sarà un altro giorno, uguale a quello di oggi, uguale a quellodi ieri. uguale a quello di tanti anni fa.

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GIOVANNI MEREGHETTI 52 anni, fotogiornalista milanese.free-lance dal 1980. ama i reportage geografici e sociali. haviaggiato dalla cambogia al Sahara. ha documentatol’immigrazione a Milano negli anni ’80 e il lavoro minorile inMalawi. autore di numerosi libri. fra gli altri: ‘Nuba’ per Bertelli;‘da capo Nord a tombuctou…passando per il modo’ sempreper Bertelli e ‘Veli’ per les cultures.

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REPO

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EFOTO

GRAF

ICO

FUoCHI d’aFrICaerta ale DAnCALIA eTIOPICA

ANDREA SEMPLICI

IL ROSSOE IL NERO

L’erta Ale è uno dei quattro vulcanial mondo sempre in attività. un lago di lava mugghia nella suacaldera. e’ uno degli spettacoli piùstraordinari del pianeta Terra. Il racconto della salita fino alfuoco.‘Grazie per la meraviglia’.

IN CAMMINO LUNGO SENTIERI DI LAVA

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…I nostri passi sono lenti. Laluna è alta nel

cielo. La lava è uno specchio metallico cheriflette la sua luce. C’è incanto in questa sa-lita. ‘La montagna che fuma’ gioca a ingan-nare. non pone ostacoli. La salita è continua,ma impercettibile. Priva di strappi. L’erta Alenasconde la sua terribile magnificenza dietroun profilo senza asperità. non assomiglia aun vulcano. non lascia intravedere una mi-naccia. e’ come se invitasse a salire. na-sconde il suo orgoglio: non mostra il suofuoco. Sono incerto: questa montagna vuoleproteggersi o sta tendendoci una trappola?L’erta Ale è rannicchiato su se stesso. e’come se avesse l’abilità attenta di una leo-nessa: è acquattato, pronto a sorprenderti….Abbiamo passi calmi. non contare i passi.Cammina. Ammira l’argento della lava e losplendore della luna. Tieni la torcia a portatadi mano, ma non accenderla. Il sentiero èchiaro. Dopo meno di un’ora di cammino,scaliamo un gradino. niente più sabbia-po-mice. I piedi, ora, non affondano più in unapolvere faticosa, ma salgono il pendio di unagrande colata, sfiorano le onde pietrificate diun antico, possente fiume di lava. Cammi-niamo sulla pelle del vulcano.

Dopo due ore di cammino, devo raccontarvidel vulcano. non ci vuole un grande fiato persalire l’erta Ale (grafia esatta: ertà ‘Alè), ma

noi non siamo allenati. Andiamo avanti per-ché vogliamo andare avanti. Siamo partiti da156 metri sul livello del mare. Là, accanto adue acacie, abbiamo lasciato i nostri fuori-strada. non dobbiamo inerpicarci poi molto:il bordo del cratere è a 572 metri sul livellodel mare. e’ un nanerottolo, l’erta Ale. Ma hadovuto faticare per conquistare la sua al-tezza. A suo modo, è un vulcano eccezio-nale: per il suo lago di lava perenne (una raritànelle geografie mondiali del magma) e per-ché le sue origini più lontane sono sottoma-

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L’erta Ale nasconde la sua terribile magnificenza

dietro un profilo senza asperità.

non assomiglia a un vulcano.non lascia intravedere

una minaccia. e’ come se invitasse a salire.

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rine. ha emesso i suoi primi vagiti di lavasotto il mare. era fra i vulcani più inquieti diuna formidabile dorsale oceanica, fondaledove si sono scontrate tre faglie tettoniche.Poi l’irrequietezza della crosta terrestre lo hafatto emergere e la sua adolescenza è avve-nuta negli anni della preistoria dell’umanità. I vulcanologi azzardano, nel certificato di na-scita di questo vulcano, una data recente:appena dodicimila anni fa, primi tempi del-l’Olocene, ultima stagione del Quaternario.

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Fotografia di Guido Cozzi

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Insomma, l’erta Ale, nella sua vita emersa, èun nostro contemporaneo. Altra cosa da ricordare: è un vulcano fuoriposto, questo. non so molto di classificazionigeologiche, ma l’erta Ale dovrebbe esserealle hawaii e non qui. e’, cioè, un vulcano ditipo hawaiano, questo. I vulcani hawaianisono figli di ‘punti caldi’ provocati da colonnedi fuoco che risalgono alla superficie dalleprofondità del mantello terrestre. In questivulcani la cima collassa e vi si apre una vastacaldera. All’interno di queste depressioni la-viche, spesso, si spalancano le pareti di pozzivertiginosi. I tecnici li chiamano pit crater. Lalava è basica, costituita di silicio. Densa, li-quida, nera. Il vulcano è effusivo: si è auto-costruito, è la sua lava ad aver formato leimpalcature che sorreggono la sua pelle ru-gosa di pietra nera. L’erta Ale, vulcano ha-waiano in Africa, è un vulcano ‘a scudo’: si èinnalzato con l’accumulo delle colate fuoriu-scite del suo ventre. ecco perché è un vul-cano gentile con chi vuole raggiungerne lasommità. Quando avremo raggiunto la vetta del vul-cano (il cielo sta già riflettendo i bagliori rossidella lava) ci troveremo di fronte una calderaellittica lunga mille e seicento metri. Le suesponde, nel punto più largo, sono distanti al-meno settecento metri. Due pozzi fannosprofondare la crosta lavica. Il più celebre, ilcratere Sud, è un cerchio perfetto: qui, a ot-tanta metri di profondità (ma il suo livellocambia di continuo) mugghia un perenne (al-meno da quanto se ne conosce l’esistenza,cioè da poco più di cento anni) lago di lava.Straordinario: solo altri tre vulcani al mondohanno simili onde di fuoco in continua agita-zione. Qualcuno riuscì a misurare la tempe-ratura di una sua fontana di lava: 1217 gradi.nemmeno tanto.

Quattro ore di cammino. Ora il fuoco è dav-vero vicino. Gli ultimi metri sono di fatica e di

silenzio. Il cielo è di un blu intenso, reso elet-trico dalla luna. Con ritmi da orchestra sinfo-nica, s’illumina di rosso. nessun rumore.nessuna esplosione. L’erta Ale gioca ancoraa nascondino: si mostra, invita a raggiun-gerlo, ma poi è come se si allontanasse. Isuoi fuochi di artificio sono senza lampi esenza botti. Sono davvero colpi di pennelloimmersi in una tinta di colore rosso acceso. Ilnostro silenzio è assoluto. Si sentono i nostripassi sulla lava che scricchiola. e’ un andareavanti cauto. Il fiato è appesantito. Si apronocrepe nel terreno, la crosta si rompe sotto ilnostro peso. Siamo impazienti e intimoriti.L’ultima salita si addolcisce all’improvviso,

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quasi un riconoscimento alla fatica degli uo-mini. ecco il balcone, ecco il belvedere, eccola caldera. e’ un dono grandioso. Del para-diso, non dell’inferno. ecco il fuoco: un cer-chio rosso, il colore delle fiamme, laperfezione di un’ipnosi. La luna sembra ri-specchiarsi nel pozzo del cratere. Gioca coni fumi e con il riflesso del fuoco. La bellezzanon ha parole. Rosso e nero: siamo arrivatiin cima. nessuno sa più cosa dire. non sopiù cosa scrivere. C’è vento. Sembra un rug-gito sommesso, il sudore si gela sotto le ma-glie. Siamo paralizzati. La prima volta chearrivammo quassù, scomparvero i pensieri.non ci fermammo in pace, proseguimmo su-

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1Questo racconto fa parte del libro

dancalia. Camminando

sul fondo di unmare scomparso

edito da Terre di Mezzo

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ANDREA SEMPLICI, 62 anni, fiorentino,giornalista e fotografo. da quasi tre anni,prova a coordinare il lavoro della reda-zione di erodoto108. Negli anni ’90 delsecolo scorso, per quattro volte, tentò diraggiungere il cuore della dancalia senzariuscirci. otto anni, nel 2007, decise diseguire le piste delle carovane del sale eraggiunse la Piana del Sale e il vulcanoerta ale. da allora, ogni anno, torna inquesta terra.

bito. Solo in un altro ritorno, avremmo impa-rato che sarebbe stato più saggio fermarsi.Ma quella notte, la prima a tu per tu con l’ertaAle, volemmo calarci subito nel cuore del vul-cano. Dader eto, la nostra guida, sfolgoranteDio del fuoco, scese subito lungo lo stra-piombo della caldera. noi eravamo diventatiautomi. Lo seguimmo senza una sola esita-zione. Senza chiedere. Senza paura. Sco-primmo allora che la paura era perfetta equindi riuscimmo ad affrontarla. Io non ve-devo dove mettevo i piedi. Dader eto era giàscomparso dalla nostra vista. Sentivo ilfreddo incunearsi nel collo. Ma stavamoscendendo nel vulcano. nella sua caldera.un balzo nel nero assoluto. I nostri piedi sullalava, sulle onde di pietra delle ultime ribellionidell’erta Ale. So che pensammo: ‘Grazie.

Grazie per essere qui. Grazie per la meravi-glia’. non so a chi fosse rivolto questo rin-graziamento. Ad Allah, al Dio dei vulcani, alledivinità della Dancalia, ai cavalli leggendariche proteggono l’erta Ale con la loro crinieradi fiamme…

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OL DOInYO LenGAITAnZAnIA

Viaggio nel nord della tanzania

si sale che è mezzanotte all’ol doinyo lengai. bisogna esse re su all’alba. e’ una salita faticosa e spettacolare. I maasai hanno piedi africani e salgono in quattro ore. I nostri passi, anchese allenati, impiegano molto dipiù: camminatori esperti calcolano almeno sei ore, ma ognuno si prenda il suotempo, cerchi di arrivare al cieloe al fuoco di uno dei più bei vulcani del mondo.

Un viaggio nel nord della tanza-nia deve dirigersi verso i grandilaghi natron e eyasi, perdersi neiparchi più celebri di tutta l’africa,il serengeti e il ngorongoro.

twende Viaggi, agenzia pado-vana, organizza da anni viaggi nelnord della tanzania. molte delleloro guide sono collegati ai pro-getti per dispensari in villaggidelle pianure attorno al vulcano. potete vedere i suoi programmiin: www.twendeviaggi.com.

la twende viaggi è a padova, via dei livello, 17. tel. 049.8764326.

eL SODeTIOPIA DeL SuD

Viaggio al sud.

Il vulcano di el sod è nelle terredei borana, popolazione che vivesui confini fra etiopia e Kenya. Il sud è l’africa nera. Incrocio di popolazioni. Il corso del fiume omo. I mercatidegli hamer. le cerimonie delsalto dei tori. la perdita dell’inno-cenza. I cambiamenti prodotti dalturismo. I piattelli labiali dei mursie dei surma. Il pozzi cantantidegli stessi borana. la ricerca diun cammini ancora inesplorati.la punta settentrionale del lagoturkana che confonde le sueacque con l’omo. le canoe ricavate da un solo, immensotronco. e il sale nero di el sod.

per un viaggio nel sud dell’etiopia: medir tour, agenzia di addis abeba.

www.medirtour.come e-mail: [email protected]

eRTA ALeDAnCALIA eTIOPICA

Viaggio in dancalia

Fu un giovane scrittore basco afarmi capire perché, ogni anno,tornavo in dancalia. mi disse: ‘Ho capito che in questa terra sitrova a disagio chi cerca il viag-gio come ozio. Chi separa iltempo delle proprie abitudini daquello del disorientamento. se vieni qui cercando avventure,non riuscirai ad andare oltre latua superficialità. In dancalia devimostrare, soprattutto a te stesso,di avere un’anima di poeta. siviene qui per cambiare punto divista’.

Un viaggio in dancalia, a volte, è un antidoto. Un antidoto controi luoghi comuni. Questa terra ti mette di fronte a una bellezza irraggiungibile e alla diversità.

Viaggio in dancalia dal 20 novembre al 6 dicembre.assieme ad andrea semplici.

per info: [email protected]/te.348.4080490

I VIaggI dI erodoto

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Sul foglio bianco compare per prima cosa la linea dell’orizzonte, tracciata‘sempre e unicamente’ con una penna sfera Bic medium. e’ il primo segnodi un mondo altro, fatto di disegni e acquerelli, che nasce dalle mani di Gian-

carlo Iliprandi. Abiti gonfi di vento, muscoli tesi nella corsa verso la preda, cornadi antilope arcuate, carovane ondeggianti sulle dune, uomini stesi a riposare,donne dagli occhi acuti o accolti da fasci di rughe, appaiono solo ‘dopo’ quellalinea. Si tratta di contesti sahariani o sporadiche puntate medio orientali e asiati-che: scene evocate su fogli di carta rigorosamente Fabriano formato F4, ruvida,del peso di 200 gr. .Giancarlo Iliprandi frequenta per otto anni l’Accademia delle Belle Arti di Brera stu-diando pittura e scenografia e si appropria della tecnica dell’acquerello con faci-lità. La realtà si scioglie sul foglio, le figure s’impastano con leggiadria e dinamismoe la carta si fa semplice supporto di una vita parallela: generazioni di uomini e ani-mali altri da quelli terrestri ma altrettanto vivi e pulsanti. Maria Grazia Marchelli, una grande viaggiatrice, gli aveva sempre parlato dei grandispazi sahariani, ma solo a partire dal 1988, Iliprandi viaggia per i deserti del Sahara.L’Algeria, il Tassili prima e l’Assekrem poi, offre la prima sabbia da calpestare el’ispirazione a cui dare concretezza con delle matite colorate. Atmosfere, ritmi,genti osservate e accolte dentro di sé, prendono forma attraverso le sue mani sulle

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A oltre settant’anni, Giancarlo va in Sahara per la prima volta. L’incontro con Elena. Parole e disegni, allora, si intrecciano sulle sabbie. Una piccola storia di una penna Bic,fogli di carta Fabriano e una Nikon F. E poi le transumanze della scrittrice dietro alla gente dei pascoli. Nascono così libri e affreschi che raccontano dei nomadi più vanitosi della Terra. Viaggio fra i Pheul Woodabe del Tchad.

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Testo di Elena DakDisegni di Giancarlo Iliprandi

‘Le MuCChe Le hAnnO RICOnOSCIuTe PeRFeTTAMenTe…’

Nel deserto, l’incontro fraun grande disegnatore e una scrittrice

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pagine di No Limits World e in carnet de voyage che lui stesso pubblica e regala agli amici più cari. Arriva più tardi il tempo del niger dove una scatola di acquerelli diventa lo strumento privilegiato per raccontare il deserto e poi irrompe il Tchad: decine di deserti vissuti secondo i ritmi del viaggio, del respiro e dell’imprevisto. In borsa tiene sempre una scatola da dodici acquerelli, due pennelli n. 8 o 10, un bicchierino di carta per l’acqua che prende direttamente dalla borraccia, un album per schizzi di carta povera formato tascabile, circa 8x12, e dei fogli di carta di Fabriano. Intasca, non manca mai un quaderno di scuola a righe per scrivere gli appunti. Ili-prandi non rinuncia alla macchina fotografica che per tanti anni è una nikon F convari obiettivi. un pubblico avvezzo alle suggestioni delle sabbie rincorre le sue raremostre, segue le sue partecipazioni al festival di Clermont Ferrand. I premi rico-noscono alle sue mani e al suo sguardo la capacità rara di raccontare con linee ecolori quello che nemmeno la realtà sa di essere. Anche io rincorrevo deserti e unviaggio in Oman di una quindicina di anni fa ci fece incontrare, per caso: mi oc-cupai dell’organizzazione logistica per lui e un gruppo di amici. Al ritorno per rin-graziarmi, mi omaggiò di un suo carnet di viaggio. Quel libriccino fu per me unarivelazione, un dono prezioso e fu l’inizio di una conoscenza e di una frequenta-zione che non si è mai interrotta. Perché, come dice Iliprandi, abbiamo un mede-simo modo di sentire il viaggio, i luoghi e i probabili incontri. Furono soprattutto i carnet dedicati al deserto della Libia, egitto e Tchad, ai nomadie al Sahara, le sue forme e genti, a ispirare le sue mani e ad ammaliare i miei occhi.Cominciai a fare grandi viaggi inseguendo i nomadi e quando fu il tempo di pub-blicare la Carovana del sale gli chiesi di illustrare quel viaggio che era scritto sullamia pelle. Spedii le bozze perché potesse decidere e ispirarsi. I miei deserti co-minciavano a intrecciarsi ai suoi. Il mio destino letterario poteva ricevere l’onore deisuoi disegni. Le sabbie e i libri diventavano pretesto per agganciare due destini. LaCarovana del sale fu illustrata dai suoi acquerelli e così pure Sana’a e la notte. nel-l’autunno dello scorso anno decisi di partire per seguire la transumanza dei pastoriPheul Woodabe nelle savane del Tchad. Li avevo già incontrati due anni prima inoccasione delle loro danze e chiesi a lui, stavolta prima di partire, se avesse tempoe voglia di fare alcuni disegni. Mille impegni, lezioni all’università e il titanico lavorodella biografia sembravano assorbire ogni attimo del suo tempo. Decisi di non in-sistere, ma gli inviai alcune delle foto scattate ai Woodabe. Pochi giorni prima dipartire per il Tchad, ricevetti una mail con due dozzine di disegni in cui perline az-zurre e rosse, corna di zebù e figure di donne prendevano forma come avevo spe-rato. Stampai i disegni e li portai ai pastori perché vedessero e si potesseroriconoscere. Di sé hanno detto che si vedevano come fantasmi, ma le mucche lehanno riconosciute perfettamente.

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Il tardo e instancabile viaggiare diGiancarlo Iliprandi verso lararefazione dei deserti sembraquasi una ricerca di pausa dalpieno dei segni e degli stimoli chehanno caratterizzato la sua ricca eintensa vita professionale. unrendere l’animo e l’occhiosilenziosi, pronti ad accogliere e ariconoscere la vita e le sfumaturedi colore là dove queste sonomeno evidenti, e dunque piùricche e preziose. Figli di questoandare verso l’essenziale sono isuoi acquerelli lievi, un segnoveloce e sicuro che ritrae comeun’istantanea l’irripetibilitàdell’attimo e poche pennellate dicolore a testimoniare lo stuporedello sguardo. La mano sapientedi Iliprandi ci regala un senso difelicità solare, un’arte del sottrarreche nel vuoto dei bianchi rivela lareale protagonista di questiappunti di viaggio: la luce.

pino Creanza

InstanCabIle VIaggIatore

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GIANCARLO ILIPRANDIclasse 1925, si è diplomato inpittura e scenografia pressol'accademia di Brera a Milano,avviando nel 1953 la suaattività professionale nelcampo della comunicazionevisiva. attualmente insegna alPolitecnico di Milano, che gliha conferito nel 2002 la laureaad honorem in disegnoIndustriale. Nel corso della suabrillante carriera ha ricevutonumerosi premi ericonoscimenti, tra cui ilPremio Internazionale alla XIIItriennale di Milano e quattrocompassi d'oro, di cui l'ultimoalla carriera nel 2011.Viaggiatore attento eappassionato, ha realizzatocon i suoi disegni molti libri ecarnet di viaggio, riscontrandoun vasto apprezzamento

ELEnA DAk, 45 anni, ve-neziana, è scrittrice e viag-giatrice. Dal '97 lavoracome guida per l'agenziaKel12. è laureata in Conser-vazione dei beni culturali,indirizzo antropologico,presso Cà Foscari. Ha at-traversato il Tenerè al se-guito di una carovana delsale. Ha scritto "La caro-

vana del sale" edito da Corbaccio e Sana'a e la

notte edito da Alpine Stu-dio. La trovate su www.elenadak.it

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nella savane del Tchad, a esempio. O nei deserti della Dancalia in etiopia.Le abbiamo anche distese, come panni, fra i cerridella foresta di Montepiano ad Accettura, in Lucania.Luoghi solitari. Le mostre fotografiche all’aria, fuoridai palazzi delle esposizioni, fuori dalle gallerie, dallesale comunali, dalle biblioteche.Le foto che tornano nei luoghi dove sono statescattate (o i disegni realizzati) per ‘restituire’ a chi in quelleterre vive quanto noi li abbiamo preso.

Vorremmo che le mostre di erodoto nei boschi simoltiplicassero. Vorremmo che molti avessero lasfrontatezza della scrittrice elena Dak che ha portatoi disegni di Giancarlo Iliprandi nella savana (e così ipastori Woodabe hanno potuto specchiarvisi) ocome la fotografa romana Iskra Coronelli cheorganizza mostre sui traghetti o sui treni notturni.ecco il racconto di tre mostre nel ‘nulla’. un nullaaffollato ebellissimo. Le foto, poi, possono essere mangiatedalle capre, afferrate dai pastori o dagli uomini deiboschi, oppure possono diventare albero, prato,cespuglio.

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ABBIAMO un’ILLuSIOne:FARe MOSTRe DI FOTOGRAFIe, DISeGnI, QuADRI In LuOGhI ‘InADATTI’.

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Due acacie non troppo distanti, un pezzo dicorda da arrosto preso dal cassetto della cu-cina prima di partire e alcune mollettine di pla-

stica blu. una mattina di sosta, nel corso dellatransumanza al seguito dei pastori Woodabe delTchad. Decido che questo angolo di brousse dovesiamo accampati, possa essere il luogo giusto perallestire una mostra temporanea e il cielo limpido faben sperare che almeno per alcune ore non piova.Qui, nella savana del Tchad, a sud della capitalen’Djamena, tra spine ed erbe ispide, all’ombra di al-beri solo apparentemente fragili, prende corpoun’esperienza eterea e provvisoria, che vede i foglispruzzati di acquerelli piegarsi al vento. I blu e irossi, le forme aggraziate dei volti e delle matasse diperline dipinte, le corna maestose dei bovini dise-gnati, dondolano dalla corda tra i fusti, in equilibrio arovescio: all’aria aperta, senza pareti, senza lucifisse, all’ombra di spine ingenerose, sotto una lucediversa ogni poco. La mostra senza pareti, accogliela natura intorno, i muggiti, i belati, le sagome dei

pastori di passaggio, il fumo del fuoco all’imbrunire.Lo stupore scaturisce dai volti degli uomini, dai bi-sbiglii delle donne, dal mento rivolto in su dei bimbi.Sono state le mani di Giancarlo Iliprandi, ‘dotate diun certo incantesimo nelle dita’, a tracciare linee estendere colori, traendo ispirazione dalle foto che hoscattato due anni prima durante un viaggio tra glistessi Woodabe. La mostra rimane allestita per al-cune ore, i fogli si fanno vivi come panni stesi alvento ad asciugare. un ragazzo da solo, si avvicinaa ciascun disegno, lo stacca dal filo come se solo iltatto gli permettesse di vedere bene, studia accura-tamente ogni dettaglio e ripone il foglio tra le puntedella molletta. Sullo sfondo mucche, asini, capre dipassaggio verso il pascolo. (ed)

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TChAD • Due acacie non troppo distanti

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DAnCALIA • fra capanna e capanna

hussein, notabile di hamed ela, è stato di parola. Lafatica di Paolo Ronc, fotografo di Trento, è stata pre-miata. Le foto del villaggio, dei suoi abitanti, degli

uomini della cava del sale, delle donne che sgobbano conle taniche dell’acqua, sono state appese a delle corde inuna sorta di piazza fra le capanne. Questa è la più straor-dinaria delle mostre fotografiche. hamed ela, il ‘pozzo dihamed’ è un avamposto del deserto di sale ai confini fraetiopia ed eritrea, è il terminale delle carovane del sale.Questa è Dancalia.Qui, nei mesi dell’inverno, da ottobre e marzo, vivonoquattrocento cavatori, gente che taglia pezzi di sale da unfondo marino disseccato. Solo una ventina di famiglie afarè stanziale. Sette anni fa, questo era un luogo isolato. Di-menticato. Solo gli uomini dei dromedari ne conoscevanol’esistenza. Oggi hamed ela è Far-east. Sono arrivate lecompagnie minerarie (con i camion, le ruspe, le trivelle, iprefabbricati con aria condizionata), è arrivato l’esercito(l’eritrea è a un passo), sono arrivate le puttane. Gli afar,gente di questa terra, hanno visto cambiare il loro mondo.

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Gli afar ci hanno donato le loro immagini, sonostati attori delle nostre fotografie, legioni di fo-tografi sono passati di qua, le foto di hamedela della fatica di questa gente, sono apparsesu tutte le riviste. Sono diventate mostre aRoma, a Parigi, a new York, a Toronto. Il web ècolmo delle immagini di hamed ela. Ben pochiriportano qui queste storie.

e tutti dicono questo posto è ‘un inferno’. Iopenso che hamed ela sia un posto intrigante,dove va in scena il gioco del mondo. Conquanto di schifoso ha addosso e con quantoha di umano. Paolo spiega: ‘era tempo di resti-tuire agli afr quanto avevamo preso’. era dav-vero tempo di portare queste foto fino adhamed ela. non so cosa abbiano capito gliafar, quando si sono trovati davanti le loro im-magini. Io ne ero così sorpreso ed emozionato

che quasi non ho scattato. Mi sono goduto lascena. nemmeno se avessi esposto al Momasarei stato così felice. hussein alla fine hadetto: ‘Tolgo le foto, altrimenti stanotte le man-giano le capre’.

Io ho pensato che sarei stato contento se lecapre si fossero sfamate così. Che sarei statoorgoglioso se qualche foto fosse diventata unpezzo di capanna. no, hussein ha il senso delbusiness (non a caso è un capo), ha conser-vato le foto nella sua capanna e lo scorsoanno, al mio nuovo ritorno, ha riservato unasorpresa: io e Paolo Ronc abbiamo una ‘per-manente’ ad hamed ela. (as)

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Al sabato di Pentecoste, primo giorno difesta, primo giorno del rito degli alberi neiboschi di Montepiano, uno dei cuori della

Lucania, sono apparse le foto scattate neglianni passati a rincorrere buoi, alberi, maggia-ioli, ragazzi della Cima, attori e protagonisti diuna delle più belle ‘cerimonie’ del Mediterra-neo. La festa di Accettura, paese delle Dolo-miti Lucane, a metà strada fra Matera ePotenza, è irraccontabile. Bisogna esserci, vi-verla, faticare, bere, mangiare, essere devoti aSan Giuliano, lavorare, percorrere chilometri suchilometri, crollare dalla stanchezza, ballarecon la ‘bassa musica’, inseguire la banda,spostare pietre, scendere dai boschi di Galli-poli con i ragazzi ebbri della Cima, camminarepasso dopo passo con i buoi nei Maggiaioli:solo così si ha qualche possibilità di capirne al-meno qualche frammento.La gente di Accettura, i suoi uomini e le suedonne, hanno dato molto ai miei giorni. Loscorso anno era tempo di restituire ‘qualcosa’.Le foto, a esempio. Le foto scattate in questianni. Le foto che raccontano la fatica collet-

LuCAnIA • un cordino fra i cerri di Accettura

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tiva, lo sforzo corale, l’essere comunità di que-sto paese. Foto che, come la festa, sono rac-conto provvisorio. Al sabato prima della Pentecoste, i buoi tra-sportano fuori dal bosco (è l’esbosco) il grandecerro, l’albero del Maggio. Abbiamo teso uncordino fra i grandi cerri e vi abbiamo appesole foto. Foto provvisorie, montate là dove il cor-teo dei paesani, a sera, si ferma per il cibo, peril pic-nic, con le tovaglie stese sull’erba, pergodersi il tempo del formaggio, delle frittate,del vino, dei salami. Le foto sono diventate de-corazione più che mostra. Il vento le ha agi-tate, le ha portate via. La gente dei buoi le hasollevate con una mano, per vederle meglio:hanno cercato i volti degli amici, dei parenti. Lefoto si sono macchiate di resina, di terra, divino, di sole. (as)

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LA DAnzA DeL SALTArín ALL’OMBrA DeL CAFFè

Caffè con aroma di….

In Centroamerica molte piantagioni dicaffè si coltivano sotto l’ombra digrandi alberi. Molti uccelli sono cosìattratti da queste coltivazioni, l’ombra èun buon luogo dove vivere. Ilmanachino codalunga è uno di questiuccelli. I maschi compiono acrobaziecomplesse per attrarre le femmine:piccoli gruppi di due o tre maschi siriuniscono per una coreografia dicorteggiamento: saltellano a turno,ripetutamente, ricadono nello stessopunto. Si scambiano di posto,atterranno nel posto che il compagnodi ballo ha lasciato libero con un balzoin avanti. Le femmine osservano escelgono. Il maschio più colorato, piùbello, il miglior danzatore, il ballerino piùtenace sarà il vincitore.

nel frattempo, anche i raccoglitori delcaffè compiono la loro danza…laseduzione del caffè.

ILLuSTrAzIOne DI rOBIn SCHIeLeTeSTO DI CLAuDIA MunerA

Il dISeGNo

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Café con aroma de...

en Centro América muchos cafetalesse cultivan bajo sombra, lo que atrae amuchas aves que encuentran en esoscultivos bajo la sombra de grandesarboles un lugar para vivir. el Saltaríncolilargo es una de estas especies. Losmachos del Saltarín realizandespliegues muy elaborados paraatraer a las hembras: pequeños gruposde 2 o 3 machos se reunen para hacerun baile de cortejo, donde saltan paracaer en el mismo punto repetidamentepor turnos para aterrizar en el lugarque el compañero acaba de dejar librearrastrándose hacia adelante. Mientrastanto las hembras observan y escogen.el macho más colorido y que realice elmejor baile por más tiempo será elganador. 

Mientras tanto, los trabajadores de lacosecha de café parece que tambiénrealizan su cortejo...la seducción delcafé

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1ROBIN SCHIELE, artista, disegnatore, illu-stratore nicaraguense. ha vissuto in Gua-temala, argentina e colombia. ha dedicatogran parte della sua vita a illustrare la bio-diversità e speciale la straordinaria faunadei boschi tropicali delle americhe, con ilfin di far conoscere la bellezza e la fragilitàdelle foreste della regione neotropicale.

CLAUDIA MÚNERA, biologa colombiana,vive a Managua, in Nicaragua. ha lavoratoin progetti di biodiversità e conservazionedi specie minacciate, così come di svilupposostenibile.

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Ho lo sguardo sul bloc-notesquando sento esitare lavoce di Alberto. La mia in-

tervista sta finendo. Alzo losguardo e lo vedo in lacrime.Non immaginavo niente del generequando, quattro ore prima, sono en-trato in questa libreria. Siamo a Na-poli, tra i bei palazzi di inizio No-vecento di Via Cimarosa, quartieredel Vomero. Io Ci Sto è la prima li-breria ad azionariato popolare d'Ita-lia, inaugurata giusto un anno fa, il21 luglio del 2014.

Il primo seme della libreria erastato piantato a maggio, appena duemesi prima: Ciro Sabatino, giorna-lista e operatore culturale, esortavai propri contatti Facebook a creareuna libreria pensata dai cittadini,in un quartiere dove librai storici sierano oramai arresi uno dopo l’al-tro. Ciro invitava i suoi amici a unsogno, li pregava di ‘starci’. Fu unbattibaleno: nacque subito l'asso-ciazione e le sottoscrizioni arriva-rono veloci (adesso sono più dimille). Si creò un’organizzazione, edopo solo due mesi una piccola

DI LIBRI ST

ORIE Le LACRIMe

DeL LIBRAIOLa prima libreria ad azionariato popolare d’Italia.un anno di vita, un gran successo e mille sotto-scrittori. Da Facebook allarealtà: il cammino diun sogno. un’inaugurazione senza libri. Albertovendeva per corrispondenza, oggi è sorpresodai lettori in carne e ossa. e poi una donnavuole ricordare sua madre…

folla festeggiava l'apertura della li-breria. Senza nemmeno un libro su-gli scaffali. La loro assenza, il trion-falismo mediatico e la mondanitàdell'evento spaventarono più di uncritico.Poi, però, i libri cominciarono adarrivare. A sceglierli, acquisirli,comprarli, riceverli in dono, cata-logarli, sistemarli e infine venderlici pensò (e ci pensa) Alberto DellaSala, 62 anni, unico libraio e unicodipendente di Io Ci Sto, aiutato dauna sessantina di volontari che siavvicendano nelle quattro salebianche.La libreria è luminosa, ordinata.Nella sala dedicata alla letteraturaper bambini, Elena Russo, unadelle fondatrici, e alcune volontariemi parlano a lungo. L'impressioneè che sia faticoso gestire quest'en-tusiasmo, l'eterogeneità delle atti-vità e l'inesperienza di molti mem-bri, ma, allo stesso tempo, i risultatiripagano della fatica. Bellissime al-cune idee: questa è la sola librerianapoletana dove si vendono libriad alta leggibilità per bambini af-fetti da dislessia. In più: le piccole

testo e foto di alberto Bile

Napoli • quartiere del Vomero

la faVola di “io Ci Sto”

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case editrici qui trovano uno spazioespositivo che non hanno altrove.Attraverso il fitto programma di at-tività collaterali, Io Ci Sto offre alquartiere, e alla città, non solo unalibreria, ma un luogo dove trascor-rere il tempo. Una donna, una sen-zatetto, ne è un’assidua frequenta-trice: ‘Me l'ha consigliato il dottore– racconta - Vai in un posto dovepuoi fermarti e rilassarti’. Dà anchelei una mano come può.Siamo lontani dall'asetticità deigrandi distributori, ma anche dalfascino riservato delle piccole, li-brerie storiche della città, dove il li-bro è unico e solo protagonista, evenderlo è l'unica fonte di (diffi-cile) sopravvivenza.Qui si punta molto su presentazionie conferenze, corsi d’inglese, ini-ziative per bambini e anziani, mu-sica, origami, scacchi, spettacoli divario genere. La libreria si nutredell'associazione, e viceversa:l'anima dell'una deve convivere,non senza difficoltà, con l'animadell'altra. ‘La gente deve sapere chesiamo prima di tutto una libreria -avverte Alberto - non siamo un cen-

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tro sociale o chissà cosa. Nessunopuò uscire da qui senza che sappiabene cosa siamo’.Di fronte a proposte di Book Sha-ring o Book Crossing, il libraio ri-corda la necessità, anche economi-che, della libreria: ‘A Nataleavevamo previsto certi incassi. Cisiamo sbagliati: sono stati tre voltepiù alti. Se continua così, finiamol'anno in pareggio. Sarebbe ecce-zionale. Siamo diventati un sim-bolo, ma dobbiamo stare attenti:aprendo, abbiamo fatto molto benealla città; chiudendo, le faremmoun male ancora più grande».

Alberto ha chiuso la propria libre-ria antiquaria per concentrarsi nelnuovo lavoro. Ha portato a Io CiSto la sua esperienza (e mille libridalla vecchia attività). Vorrebbevendere libri usati, sullo stile dei li-brai del centro storico, luogo privi-legiato dei bibliofili alla ricerca diuna trouvaille.Prima che me ne vada, Alberto mioffre un caffè a un bar di piazzettaFuga e mi spiega quanto la libreriasia favorita dalle vicine funicolari e

dalla metropolitana. Poi mi rac-conta di aver lavorato tutta la vitaprincipalmente per corrispondenza,incontrando ben poca gente nel suoufficio. A Io Ci Sto è meravigliatodalla quantità e qualità delle per-sone che incontra: ‘Un giorno unadonna ha voluto donare molto piùdella sottoscrizione consigliata. Hadetto che sua madre, un'amante deilibri, era morta da poco. Piuttostoche portarle i fiori, pensava di ono-rarla meglio così’. Alzo lo sguardo dal bloc-notes, il li-braio è in lacrime

ALBERTO BILE, 28 anni,na-poletano, reporter freelance. Una laurea in Scienze dellacomunicazione. Studi fra Italia,Spagna e colombia. oggiamerica latina e Mediterraneosono al centro dei suoi progetti.ha un sito,www.ovunquevada.it. e un progetto di reportage: arrebol, luci sulla colombia.

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LA SCheRMAe IL VIAGGIO

eppure volevo parlare di scherma. All’improv-viso mi era venuta voglia di saperne di fioretti espade. Soprattutto di duelli. O meglio: dell’at-

tesa del duello. Conosco un giovane libraio a Pisache è un provetto schermitore, e adesso scoprivoche Andrea Bocconi, da quando aveva dieci anni,tira di scherma. Mezzo secolo in pedana ed èanche bravo. e io, sciocco, sono venuto a parlarecon lui di viaggi, dello scrivere di viaggi, dei suoi libridi viaggio. non ho saputo reagire con prontezza e le nostreparole si sono distratte con il suo andare a piedi,con l’amore per l’India (al punto che ci porta il figlioe scrive ‘India formato famiglia’), con la sua scuoladi scrittura. Mi è rimasta la curiosità della scherma.

‘non viaggio per scrivere’. Ma poi capita che scriva e i suoi libri hanno successo. Perché raccontano la normalità dell’andare.Senza trucchi. Psicoterapeuta, schermitore e insegnante di parole, Andrea va a letto presto, tranne quando doveva giocare a scacchi. e un giorno sparì per mese, l’inverno dovevaancora finire e lui era in cammino per il Casentino. un passo da casa.

intervista di arturo Valle

iNCoNtro CoN aNdrea BoCCoNi

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Andrea sostiene che scrivere non è il suomestiere. eppure insegna a usare la parole.ed è psicoterapeuta. e’ esperto di duelli.Forse avrei voluto che il nostro incontrofosse stato un incrocio di spade per ripro-durne l’emozione. Ma c’era il sole, era unprimo pomeriggio e un’aria di pace attornoa noi. ho ritrovato nel parlare di Andrea latranquillità che mi ha dato il racconto delsuo viaggio, quasi invernale, a piedi per imonti del Casentino o l’incastro delle pa-role di ‘Viaggiare e non partire’. La pros-sima volta vandrò a trovarlo in palestra. epoi mi iscriverò a uno dei suoi corsi di scrit-tura.

Erodoto afferma di scrivere perché niente sia dimenticato. Erodoto viaggia per scrivere. Qualchetempo fa, Sabelli Fioretti ci tenne

a dire: viaggio perché non honient’altro da fare. Tu, invece,spieghi: io viaggio perché mi piace.

non ho mai firmato un contratto per scri-vere un libro di viaggio. Mai prima di

partire. non voglio essere obbligato a scri-vere. e’ vero: viaggio perché mi piace.Scriverne dopo è una mia scelta. e’ ancheuna maniera di ripercorrerlo. Ma non mimetto in cammino per scrivere. Temo labanalità del racconto di viaggio. non scrivosu commissione. Mi è accaduto solo unavolta, quando scrissi Il giro del mondo inaspettativa. Avevo scritto da poco Viag-giare non partire e volevo pubblicare unlibro di racconti. Gli editori ti guardanosempre storto quando proponi qualcosadel genere e allora feci un patto: mi impe-gnai a scrivere un altro libro di viaggio incambio della pubblicazione dei miei rac-conti. Sono affezionato a quel libro, ma ilviaggio lo avevo fatto venti anni prima. hodovuto rincorrere i miei ricordi. Scrivere non è il mio mestiere. Voglio sen-tirmi libero quando scrivo. negli ultimi anni,parto quando ho qualcosa da fare nei luo-ghi dove voglio andare: vado in India per-ché voglio mostrare quel paese a miofiglio. Parto per il Burkina Faso per un la-voro da fare con gli analfabeti in una scuolarurale.

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Un giorno sei partito a piedi. Un giro attorno a casa. Sei andato in Casentino. E ne è uscito un libro, Di buon passo. Un mese in viaggio.Davvero, non volevi scriverne?

Volevo fare questo viaggio a piedi. nonsapevo se ne avrei scritto o meno. non

ci pensavo. Prendo pochissimi appunti,non tengo un diario, al massimo annoto inomi dei luoghi per la mia memoria. Pen-savo che il viaggio in Casentino durasse unmese, invece ho camminato per ventiduegiorni. Per nove giorni, allora, mi sono na-scosto perché nessuno sapesse che erogià tornato. Solo dopo ho desiderato scri-verne. Perché volevo tirare fuori un distil-lato di quanto era accaduto. C’è unmomento per vivere le storie e un mo-mento per ripensarle. Se mi fermo a pen-sare mentre sto vivendo qualcosa è comese facessi l’amore e mi mettessi a rifletteresulla coreografia del luogo dove siamo.

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La scherma è la tua passione. Non traspare mai tuoi libri. Perché?

èpiù che una passione. e’ un’osses-sione. ho cominciato a tirare di

scherma a dieci anni. Per caso. non c’eraalcuna tradizione in famiglia. Per due anninon ho fatto altro che prendere botte. Poi èandata meglio, ma ero emotivo. Vomitavoprima delle gare. Stavo male. Ma un giornovinsi i campionati toscani. ero bravo. nonho mai smesso. e quando, a 42 anni, de-cisi di che era tempo di smettere, andai afare un campionato nazionale a squadrecon ragazzi che potevano essere miei figli.Salii in pedana e vinsi cinque a zero. Liguardai e dissi: ‘Ora tocca a voi, micaposso fare tutto io’. Scoprii che c’era unacategoria master. Parola elegante per diredi schermitori in là con gli anni. Solo recen-temente ho scritto di scherma. Tre raccontisul duello. Quello che accade la notteprima di un duello mi ha sempre affasci-nato. evariste Galois passa quelle ore acercare di completare le sue teorie mate-

matiche. non vi riesce. e muore. ecco,questo mi interessa. e’ una domanda chefaccio sempre a chi viene ai miei corsi discrittura. Ascolto le risposte: vi è chi pensache farebbe all’amore, chi dice che passe-rebbe la notte in preghiera, chi confessache cercherebbe di sabotare le capacitàdell’avversario. ecco, ho voglia di fare iconti con questa storia, di comprenderemeglio la mia passione per il combatti-mento. Il libro, finora, è stato rifiutato. L’edi-tore mi ha spiegato che da meprenderebbe a scatola chiusa un libro diviaggio, ma non di altro genere. Per laprima volta, ho preso un agente per cer-care di farlo pubblicare.

Ti dà fastidio essere classificato come ‘scrittore di viaggio’?

èanche un vantaggio. I libri di narrativaarrivano sugli scaffali e poi scompa-

iono. I libri di viaggio sono confinati in se-zioni particolari delle librerie. Accanto alleguide. e sopravvivono a lungo. Sono lon-gsellers. Ogni anno ricevo qualche decinadi euro da libri scritti molto tempo fa. Ma èvero, sì, sono stanco di essere incasellatocome scrittore di viaggio. non ne ho piùvoglia.

Eppure vi sono scrittori prigionieri di questa classificazione che vendono ancora molti libri e, allo stesso tempo, non possono esseredefiniti scrittori di viaggio. Pensa a Chatwin o a Kapuściński.

Ilibri di Chatwin non sono libri di viaggio,ma hanno avuto successo come tali.

Avrebbero avuto ugual fortuna se fosserostati considerati per quel che sono e cioègrandi romanzi? Sono stanco di essereconsiderato uno scrittore di viaggi. A voltemi chiedo se non ci siano dei limiti che nonposso scavalcare. Brera e Clerici sonoscrittori straordinari di sport, ma appenasono usciti da questa frontiera, non funzio-navamo poi molto’.

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Cosa è la scrittura di viaggio?

Il viaggio è già una trama. e’ già racconto.Ma è necessario rispettarne le caratteristi-

che. C’è un luogo e non può essere inter-cambiabile. C’è lo spostamento, l’andare, ilpellegrinaggio. Ci sono gli incontri. e, in-fine, ci sono gli eventi. C’è quello che ac-cade. Sono coordinate che ti tengonodentro una costruzione. e poi c’è l’io. Madeve essere un io ben equilibrato. nonpuoi esserci solo tu in un racconto di viag-gio. non puoi guardarti solo l’ombelico.Oggi alcuni scrittori si fanno pagare le va-canze per scrivere di loro stessi in viaggio.Allo stesso tempo, l’io non deve scompa-rire. Deve stare un po’ in disparte. Ci sonoscrittori che quando scrivono di viaggiosono insopportabili. Ce ne sono altri chenon amo quando scrivono romanzi e che

mi sorprendono quando raccontano il loroviaggio. Moravia e Busi, per fare un esem-pio. non è semplice: bisogna raccontarecosa sta accadendo e spiegare che tu haivisto quanto hai scritto. Devi essere ca-pace di compiere riprese soggettive. Ognivolta devi sistemare il cursore in una posi-zione giusta.

Hai citato Moravia. Ami l’India. Pensa al viaggio che Moravia e Pasolini hanno fatto assieme e ai due libri che poi hanno scritto. Sono uno completamente diversodall’altro. Eppure hanno fatto lo

stesso viaggio.

Odore dell’India di Pasolini è un librostraordinario. I due scrittori vedono e

scrivono due cose diverse. Manganelli

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andrea boCConI è nato aLucca. nel 1950. Vive nelle cam-pagne aretine. Sa di parole e di

duelli. A dieci anni cominciò a tiraredi scherma e non ha mai smesso,vincendo titoli e coppe. nella vitafa lo psicoterapeuta. e poi scrive.Sui labirinti della mente e sul viag-giare: con Guanda ha pubblicatopresso Guanda "Viaggiare e non

partire" (2002), "Il giro del mondo

in aspettativa" (2004), "La tarta-

ruga di Gauguin" (2005), "Di buon

passo" (2007), "In viaggio con

l'asino" (2009), "L'India formato fa-

miglia" (2011). Presso Trasciatti,"Radiopensieri" (2009). Presso Zo-nafranca, "La mente e oltre. Scritti

di psicosintesi" (2011). e’ respon-sabile dei laboratori di scrittura

creativa della Scuola del Viaggio(www.scuoladelviaggio.it )

scrive ancora altro. e bastano poche righe:scende dalla scaletta dell’aereo e raccontadi questa aria umida come la lingua di unavacca. e’ una meraviglia.

Hai scritto di camminare. Non ti sembra che molti ne parlino e pochi camminino?

Durante il mio viaggio a piedi in Casen-tino non ho incontrato nessuno sui

sentieri. Ma era marzo. Credo che adessola passione del camminare stia crescendo,stia diventando reale. Le comunità deicamminanti si sono infoltite. I viaggi a piedistanno avendo successo. Camminare èuna fisiologia della mente. ne sfida la pato-logia. I nostri sensi motori funzionano acinque chilometri all’ora, se vai più velocecominci a perdere dati, mente e corpo sidissociano, smarrisci la frequenza del tuocorpo, va in pezzi la sua unità. In tutte lepratiche di meditazione spirituale, c’è ilcamminare. nell’andare a piedi vi è la con-nessione con te stesso. e poi a me inte-ressa la solitudine e il silenzio.

Non ti pesa la solitudine?

èun privilegio. Sto bene da solo. Anchenei giorni più affollati, riesco a stare da

solo. Dico che vado a letto presto.

Vai davvero a letto presto?

Sì, mi piacciono le ore del mattino. Mialzo presto. Alle sei e mezzo passeg-

gio. non sono notturno. Anche a scuolapreferivo alzarmi alle cinque per studiareinvece di fare nottate. Solo poche volte, miè capitato l’opposto. Quando studiavo aFirenze e dovevo tornare a Lucca con untreno di notte. C’era un bar dove si gio-cava a scacchi. Il proprietario ci conoscevae ci lasciava le chiavi e noi giocavamo finoa quando non partiva l’ultimo treno…

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GIULIA LANDUCCI

ZONA D’IMPATTO

un bagnino e uno shaper raccontano una storia di mare e surf. Viaggio sulle spiagge del nord della Toscana, regno dei surfers italiani. Le storie dei pionieri delle tavole per volare sulleacque del mar Tirreno

Mentre le onde sbattono contro il pon-tile, facce curiose e divertite si spor-gono oltre la ringhiera. In mezzo al

mare decine di tavole colorate si conten-dono l’attenzione della folla. Negli anni ’80, in Italia, grazie all’eco delmito americano tra ritagli di giornale e filmcult come Un mercoledì da leoni, nasce lapassione per le onde. Uno stile di vita cheoggi coinvolge trentamila persone tra di-sciplina, rispetto per gli altri e attenzioneper l’ambiente.A Viareggio, Francesco Farina, bagnino, eMichele Puliti, shaper, raccontano come lapassione per il mare e la ricerca dell’ondaperfetta abbia influenzato un’intera genera-zione.

Onde da leoni a Viareggio

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La costa è ravvivata da piccoli rettangoli rossiche si muovono seguendo il vento. ‘Il mare è at-tivo anche oggi’, dice Giacomo, in piedi sugliscogli e la tavola salda sotto il braccio. Aspetta ilmomento giusto per buttarsi in acqua.

Il telefono squilla, Michele esce dal suo laborato-rio: ‘Facciamo settimana prossima, lunedì e mar-tedì meglio di no, c’è mare’, chiude il telefono ericomincia a lavorare. Fa lo shaper, disegna ecrea tavole da surf. Da sempre. Orgoglioso, mo-stra la foto di un bambino che tiene stretta unatavola dai disegni geometrici rossi, gialli e blu: èla prima che ha costruito. ‘Avevo undici anni, lelinee non sono tanto precise’, si giustifica. Spiegache prima dell’avvento di internet in Italia eranoarrivate solo alcune immagini, per lo più ritagli digiornali riguardanti pubblicità di marchi ameri-cani. Qualche parente si era spinto per lavoro finoin America portando in dono tavole da surf di se-conda mano dalla California. Così, era nata unaserie di tavole copia, tutte uguali, con cui all’inizioandavano tutti in mare.

‘Fare lo shaper in Italia?’ – sorride – ‘significa fareun mestiere totalmente fuori dagli schemi, molto

spesso è anche difficile farlo capire alla gente, tiguardano magari di traverso e ti dicono: e che la-voro è?!’. Molti italiani sono andati all’estero perportare avanti la professione. Anche Michele ciha pensato tante volte, ma nonostante i viaggi c’èqualcosa che lo riporta in questo pezzo di costa.‘Qua è dove è nato tutto, andare via sarebbecome annientare gli anni di lavoro e ricominciareda capo’.La storia ebbe inizio negli anni ’80, la Versilia erameta estiva di famiglie, accoglieva giovani im-prenditori e qualche intellettuale che si muove-vano al ritmo della Capannina, la storicadiscoteca di Forte dei Marmi. Tra i ragazzi delposto nasceva la passione per le onde. RaccontaMichele: ‘Abbiamo cominciato in tanti a fare le ta-vole, ad andare in mare, sulla scia dei ragazzi diViareggio, bisogna citarli. Sono quelli che da noihanno mandato avanti tutto’.

Giacomo, quel giorno al molo, lo aveva dettoprima di sparire tra le onde: ‘Per parlare di surf,bisogna parlare con Francesco, lavora sul mare,fa il bagnino’. Cinquant’anni, occhi sorridenti eabbronzatura di chi vive sempre sotto il sole,Francesco parla all’ombra della sua postazionementre controlla un gruppo di bambini che gio-cano urlando tra le onde.Racconta della sua adolescenza in Versilia: ‘Cisono dei fatti che non conosce nessuno, c’è statoun ragazzo, Renzo, è lui che ci ha detto come co-struire una tavola, anche se non ne aveva maifatto una’. Francesco, assieme a Michele Dini, suo compa-gno di scuola dalle medie fino all’istituto d’arte,costruiscono insieme la loro prima tavola: ‘Siandò subito in mare a provarla che però non erastata ancora scartavetrata, l’abbiamo sentita ad-dosso tutta la vetroresina, siamo usciti che era-vamo due maschere di sangue’, dice passandosile mani sopra il torace. ‘Avevamo dei pezzi di muta da sub, di quelle chesi passano sotto con i due bottoni - continuaFrancesco - roba che non esiste più, di gommadurissima. Uno andava in mare, poi si levava latuta bagnata e l’altro se la infilava. Siamo andatiavanti cosi tutto l’inverno’. L’anno successivo ilgiro si allarga, il surf stava cominciando lenta-mente a prendere piede, in molti non capivano,anzi: ‘I bagnini non erano abituati a vedere con ilmare mosso dei ragazzetti con le tavole da surf,quindi erano tutti contrari’. Il primo surf contest fuconvocato al bagno Pinocchio di Viareggio. ‘Cicacciavano regolarmente e noi andavamo dal-l’altra parte del porto. C’era spiaggia libera. An-davamo in vespa, con le tavole portate a braccio,

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Francesco Farina (in alto) all'interno del "bunker", ilsuo magazzino al bagno "Genova", Città Giardino,Viareggio.michele puliti all'interno della propria shaping rooma lavoro, Pietrasanta, "Olasurfboards".

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in due senza casco, erano altri tempi’.Fare surf in Italia significa anche essere un viag-giatore, sempre pronto a spostarsi quando le ma-reggiate si fanno consistenti. Negli anni anche ilmodo di viaggiare è cambiato. ‘Io sono della ge-nerazione dei viaggi in auto, andavo sempre aBiarritz’, ricorda Francesco. «Nel 1982 sono an-dato per la prima volta con mio padre e tutta la fa-miglia, avevo 18 anni, non avevo ancora lapatente’. Con il tempo sono arrivati anche i viaggiin aereo per raggiungere i santuari del surf, comele Hawaii, dall’altra parte del mondo. Una voltatornato a Viareggio confessa che alla prima ma-reggiata ‘mi sembrava che ci fosse la pentola del-l’acqua che bolliva, e che sono onde queste?’.Ma poi capisce che nel surf ‘per prendere leonde devi remare, ti devi dare da fare, non è chevengono da sole’.

Il sole lascia la linea dell’orizzonte, mentrescende il buio e sulla costa le luci dei bar si ac-cendono. In mezzo al mare c’è chi aspetta an-cora di prendere l’ultima onda. Nella zonad’impatto, lì dove frangono le onde.

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GIULIA LANDUCCI, 25 anni, vive e lavora aViareggio. Una laure in comunicazione al-l'Università di Bologna con il sogno di ‘scri-vere del mondo’. Viaggiatrice instancabile,appassionata di fotografia."

ITALIA, DOVE VOLANO LE TAVOLE

Gli scettici dovranno ricredersi, sparsi sul litorale italiano si possono contare oltre trecento ‘spot’ per correre sulle onde. ci sono però grandi differenze riguardo frequenza e qualità dell’onda. Secondo questielementi, i posti migliori in cui praticare surf sitrovano in Sardegna, Liguria, Toscana eLazio. a Varazze, a Levanto, al Forte deiMarmi e a Viareggio, a Santa Marinella, aCapo Mannu e Bova, in Calabria.Non perdete tempo, inutile chiedere a unsurfista quali siano le onde migliori da cavalcare, difficilmente vi svelerà il suo spotpreferito. Molto più affidabile è imparare a leggere le previsioni meteo e ad anticipare le mareggiate.

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non ci si può quasi cre-dere. una bevanda che sitramanda di generazione

in generazione ormai da un mil-lennio. Drink dei Giannizzerioggi è un eco di voci dei vendi-tori di strada: "Boozaaa". Sitrova senza problemi d'inverno,si beve caldo, con l'aggiungadei leblebi, ceci, tostati, e spol-verato di cannella. non è una bevanda solo turca:l'impero ottomano ha fatto dabacino di migrazioni di tradizioniculinarie e scoperte dei fornellidai Balcani fino alla costa dellaSpagna. Il boza è tra questebevande migranti. Lo potetetrovare in altre varianti anche inBosnia, in Albania, in Macedo-nia e Romania. e’ un saporeantico. Come antico è il localedove è possibile trovarlo. Ilboza trova patria in Bulgariacome come in uzbekistan. Lo

si beve da secoli, forse milleanni. Le versioni sono diverseda paese a paese ma l’idea è lastessa: una specie di cremanata dalla fermentazione digrano o altro tipo di frumento,come il bulgur.Ma questo di Istanbul sembraaver la forza magica di stregareIn Turchia si beve prevalente-mente nei mesi freddi e per lestrade passano i venditori cherilanciano il nome di questa be-vanda di angolo in angolo. Sevolete testarla nella sua ver-sione brevettata recatevi daVefa Bozacisi negozio nel quar-tiere di Vefa all’interno del più

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DI CIBOST

ORIE

Acidula, dolce, speziata è una bevanda antica che trova casa a Istanbul

testo e foto di isabella mancini

turChia

BOZA, LA BEVANDA DEI GIANNIZZERI

grande Fatih: il brevetto dellabevanda risale al 1876. Legger-mente alcolico (1%) vista la fer-mentazione è stato bevutoliberamente nel 16° secolo mafu poi bandito da Selim III vistoche gli abitanti della capitaledell’Impero amavano aggiun-gervi dell’oppio. Il sultano Meh-med IV, a nella seconda metàdel ’600, decise di vietarlo perla gradazione alcolica ma giànel 17° secolo alcuni viaggiatoririportano come la bevandafosse particolarmente diffusanella città di Istanbul. hacıSadık Bey, l’inventore, nel 1870,di questa ricetta, veniva dall’Al-bania. Dolce e leggermente aci-dulo è particolarmentepiacevole se accompagnato daceci tostati (leblebi) che è possi-bile acquistare nel negozio difronte.Per prepararlo in casa dovreteessere armati di molta pa-

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zienza: servono almeno quattrogiorni di attesa per la fermenta-zione. Se lo volete fare con ilbulgur dovete lasciarlo a molloper una notte in acqua fredda.La mattina va scolato e lasciatoa bollire in tanta acqua quantoè il bulgur per almeno tre ore.Preparate una ciotola grande divetro e copritela con un setac-cio. Versate il bulgur cotto econ un cucchiaio premete inmodo da far colare del “succodi bulgur”: questa è la primabase del boza! In un'altra cioto-lina mischiate acqua calda,zucchero e un po' di lievito e la-sciate riposare per dieci minuti.Aggiungete poi questo compo-sto al bulgur “pressato” copri-telo con una garza e lasciatelo lìper due o tre giorni: vedretedelle bolle sulla superficie, mi-schiate di tanto in tanto.Quando la fermentazione saràfinita aggiungete un po' di zuc-

chero, lievito vanigliato, e an-cora acqua se la consistenza ètroppo densa. Si conserva infrigo e si serve in bicchierinidopo averla cosparsa di can-nella (e ceci tostati!).Al Vefa Bozacisi farete inveceun piccolo viaggio nel passatograzie all'arredo in maioliche blue legno e potrete trovare in ven-dita la bevanda che però vaconservata, al massimo per cin-que giorni, in frigo. Se volete provare un’altra be-vanda particolare vi segnaliamoanche il salep. Latte, cannella,anche qui, e … farina di orchi-dea. I tuberi di questo fiore,amato nel mondo da millenni,viene lavato, bollito, seccato epoi trasformato in farina. e’ unabevanda ottima per l’invernoanche per le sue proprietà:aiuta contro gli effetti del raf-freddore, tosse e problemi re-spiratori. Gli effetti sono

amplificati dall’aggiunta di gin-ger o cardamomo. non vi rimane che organizzareun viaggio di sapori e profumiturchi.

Vefa bozacisidove: mollahüsrev mh., 34134Fatih/İstanbul, turchiaper il salep: emirgan sütiş (sakıp sabancı Caddesi, no:1/3; emirgan, sarıyer)Öz süt (İstinye park aVm).

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1ISABELLA MANCINI, 36anni fiorentina. Blogger divocazione. a 18 annicomincia a collaborare congiornali locali. Professionistadal 2006. curiosa,appassionata, auto-ironica,ama gli esseri viventi e l'arte,la fotografia e l'etnobotanica.

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GIAP

PONE

SGUA

RDI

nella metropolitana di Tokyo moltissimi giapponesi dor-mono. In piedi o seduti. uomini e donne; giovani, an-ziani. Dormono indipendentemente dalla lunghezza del

loro tragitto, qualche minuto o più di mezz’ora. Si sveglianosempre in tempo per scendere.

non so se sia più importante il fatto che i giapponesi dormanoin pubblico, e abbiano così tanto tempismo, o che noi euro-pei e occidentali li fotografiamo. Li invidiamo. Li guardiamo, cistupiamo un po’ e sorridiamo.

(C’è da premettere che nessuna delle due cose è davvero im-portante)

Chi dorme fa sempre un po’ ridere. Anche se tiene la boccachiusa e non carocolla in avanti e non si inclina sul vicino èammesso fotografare i (propri) bambini addormentati, i cani ei gatti capovolti sul divano (con gli uomini adulti ci vuole in ge-nere un po’ più di prudenza).

Dormono perché le loro notti

sono troppo brevi?

Dormono per stanchezza?

Per il piacere di dormire assieme?

Per non dover essere obbligati a

parlare con il vicino di viaggio?

Andrea e Valentina sono rimasti

svegli nel loro viaggio sotterraneo

nella capitale del Sol Levante…

l’obiettivo indiscreto e pubblico di un disegnatore italiano nella metropolitana di tokyo

IL SONNO DEI GIAPPONESI

Testo di Valentina cabiale Foto di andrea rauch

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Poi c’è un altro aspetto, di colore nero, che non fa sor-ridere: il sonno è simile alla morte, l’hanno detto escritto in tanti ma nella vita quotidiana non lo si pensa.non si sorride pensando che quello lì ha la stessa fac-cia che avrebbe se fosse morto. La sua foto non asso-miglia a quella di un dagherrotipo in bianco e nero,immobile se non da ore almeno da qualche minuto.Sorridiamo perché vediamo quell’uomo scoperto,come se fosse un po’ nudo, o con i calzini bucati. Privodi organizzazione, diamine. è uscito dalla rete, e sem-bra non saperlo.

Ma loro, i giapponesi, perché si rendono così pubbli-camente fotografabili? Forse passano in metropolitana moltissimo tempo. e in

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generale ne hanno poco per dormire. e vivono in casepiù piccole. Dormiranno in altri luoghi pubblici, in codaalla posta, in banca? Dove dormivano prima che fossecostruita la metropolitana, nel 1927? Le statistiche dicono che i lavoratori giapponesi sonoquelli che dormono di meno al mondo; in media 6 oree 22 minuti ogni notte, durante la settimana lavorativa(huffington Post, 18/08/2014). è già una spiegazionesufficiente. Ma forse dormono per non correre il rischiodi dover discutere, conversare. Oppure è il contrario: èil piacere del dormire insieme, in una società che è alcontrario nota per molte manifestazioni di solitudine edemarginazione: i suicidi soprattutto tra i giovani, i casi dibullismo, gli hikikomori – coloro che vivono rintanati incasa - , i molti anziani che muoiono da soli in casa, evengono trovati cadaveri settimane dopo nei lori ap-partamenti. Sembra da escludere che fingano. hanno la capacità fi-siologica di addormentarsi davvero, e subito; la legge-rezza del non avere obiettivi se non la propria fermata. Probabilmente dormono anche perché sanno che

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quasi tutti gli altri lo fanno, come se esistesse una sortadi accordo sociale basato sulla fiducia e sulla consa-pevolezza della dolcezza dell’abbandono condiviso.C’è certo qualcosa di rassicurante nel salire sulla metroe vedere che gli altri stanno dormendo. Forse dormono per essere altrove e oltre la modernità.Se odiassero la metropolitana, i modernissimi e iper-tecnologici giapponesi? noi non sappiamo neanche dicosa stiamo parlando. Fosco Maraini l’ha spiegata be-nissimo, la differenza tra occidentalismo e modernismo.Con occidentalizzazione intendeva l’aderenza non soloalle abitudini esteriori degli occidentali (il modo di ve-stire, ad esempio) ma soprattutto al loro modo di pen-sare la vita e la morte, alla loro scala di valori; mentre lamodernizzazione è quel processo di adozione di tec-nologie e procedimenti operativi derivati dalle scienze,un qualcosa che non ha nulla a che vedere con l’inte-

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riorità delle persone (ma forse qui si potrebbe obiettarea Maraini: alla lunga l’adozione di questa tecnologia noninfluenza anche l’interiorità, le forme di pensiero e diagire?). I giapponesi sono altamente modernizzati maassai poco occidentalizzati, concludeva Maraini nellaprefazione dei primi anni 2000 al monumentale “Oregiapponesi”. Per questo non li capiamo. Come non ca-piamo i gatti.

VALENTINA CABIALE, archeologa, 32 anni. laureatain lettere a torino, specializzata in archeologiamedievale a firenze. ama viaggiare ma soprattuttoleggere, non le biografie (proprie e altrui).

ANDREA RAUCH, 66 anni, nato a Siena, da venticinqueanni vive in Valdarno.ha collaborato con la Biennale diVenezia e il centre Georges Pompidou. I suoi manifesti(ne ha disegnati oltre 500) sono al Museum of Modernart di New York. Nel 1993 è stato considerato, dalla rivi-sta giapponese Idea, fra i migliori cento grafici al mondo.Noi lo amiamo per i suoi Pinocchio, per topolino, per ilGatto felix e per il suo giornalino di Gian Burrasca.

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DI RITRATTI

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STOR

IEJOhn BeRGeRDalla selva Lacandona alla Palestina, da Caravaggio a Pasolini, JB ha saputo tessere mille storie scavalcando geografie ed epoche. e’ un ‘guaritore di scrittori feriti’. Fu lui a raccontarci del futuro di Jonas ‘che avrà vent’anni nel 2000’.

‘Il numero delle vite che entrano nella nostra è incalcolabile’, hascritto John Berger in una pagina di Qui, dove ci incontriamo.Intorno a queste parole non ha voluto altro, se non la cornicebianca del foglio, per mettere meglio in risalto quella chepotrebbe sembrare una semplice constatazione ed è invece unriconoscimento emozionato e emozionante. L’io di ciascuno dinoi è il prodotto in continuo divenire della relazione che abbiamocon gli altri, con chi è entrato ‘materialmente’ nella nostra vita –per amicizia, amore, legame politico o professionale – e con tuttee tutti coloro che l’hanno ‘immaterialmente’ segnata transitandonei nostri sogni e fissandosi nei nostri ricordi, magari attraversoun libro, un film, un’opera d’arte. C’è nella frase di Berger un sapere forte della vita e unacognizione profonda della morte, l’indicazione di una familiaritàaltrettanto salda con il piacere e con il dolore, la percezione di unqui adesso inseparabile dagli infiniti altrove, prima e dopo di noi,che moltiplicano l’esistenza individuale facendone unosfaccettato contenitore di memorie e storie che ci precedono emediante noi permangono.Il sapere di cui JB dice nella sua frase è concreto e al contempoprofetico: accoglie e rivela, è dotato di naso, occhi, pelle maanche di un orecchio interiore che sembra essersi affinato per viad’esperienza e grazie a un costante esercizio dell’immaginazione.Proprio per questo suo dono JB è forse lo scrittore vivente piùamato e seguito da scrittori, artisti, filmmaker, fotografi, uomini edonne di teatro di tutto il mondo.

JOHN BERGER avrà 90 anni nel2016. e’ nato a londra nel 1926.oggi vive in un piccolo paese del-l’alta Savoia. e’ pittore, criticod’arte, sceneggiatore e scrittoregrandissimo. Nel 1972, con G. havinto il Booker Prize. ha coltivatoil comunismo, ha saputo dialo-gare con il subcomandante Mar-cos e raccontare la Palestina. hacollaborato con il regista svizzeroalain tanner in film belli e dolcis-simi. ha dedicato una infinita trilo-gia ai contadini europei. In Italia,fra gli altri, sono usciti: Sul guar-dare (Bruno Mondadori, 2003) ecapire la fotografia (contrasto,2014). Qui dove ci incontriamo eModi di vedere (Bollati Borin-ghieri)

John, che avrà novant’anni

nel 2016

Testo di Maria nadottiFotografia di Andrea Semplici

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Arundhati Roy lo descrive comeun ‘guaritore’, capace di ‘curaregli scrittori feriti’.Colum McCann dichiara: ‘Se do-vessi prendere con me un soloscrittore, sceglierei lui. Semplice-mente perché porterebbe con séanche tutti gli altri’.Geoff Dyer afferma: ‘Chiunque loabbia visto in azione avrà osser-vato la sua inesauribile capacitàdi dare. Tale capacità è dovuta inparte a una naturale e istintiva

generosità, in parte alla consape-volezza che l’impulso dell’artistaa raggiungere la perfezione nellavoro non può non andare dipari passo con la sua continuaevoluzione come uomo’. Iona heath scrive: ‘Quello diJohn Berger è il primo nome alquale confesserei pubblicamenteil mio attaccamento’.e Isabel Coixet: ‘non c’è nienteche lo rappresenti totalmente. etutto lo rappresenta. non l’homai visto tagliare la legna, masono sicura che ogni colpod’ascia contiene in sé tutto quelche dobbiamo sapere sulmondo, tutto quel che è neces-sario sapere’. Sally Potter, Tilda Swinton,Simon McBurney, elia Suleimane molte e molti altri si rivolgono alui per mettere a punto le loro

sceneggiature, i loro personaggi,le loro regie.Susan Sontag, Ryszard Kapu-scinski, Mahmud Darwish, JoséSaramago, Robert Kramer, – maquanti altri nomi vengono inmente – lo consideravano unamico, un compagno e un inter-locutore prezioso, con il quale di-scutere e ragionare per megliomettere a fuoco un pensiero.Sebastião Salgado, Paul Carlin,Alain Tanner, nicolas Philibert,

John Christie, Gavin Bryars, Ti-mothy neat, Mike Dibb, GianniCelati hanno lavorato al suofianco, realizzando insieme a luiopere indimenticabili comeJonas che avrà vent’anni nel2000 o epocali come la serie te-levisiva Ways of Seeing. Con il subcomandante Marcosha intrecciato un’intensa corri-spondenza che a fine 2007 èsfociata in un incontro nella SelvaLacandona. In Palestina lo consi-derano uno del posto, perché hacapito che cosa vuol dire viveresotto occupazione e non ha esi-tato a scriverne, da giornalista eda romanziere. Anche in questocaso il suo è stato un lavoro datessitore, da artista delle connes-sioni capace di far viaggiare lestorie mescolando luoghi geo-grafici ed epoche storiche e cre-

ando cortocircuiti temporali indif-ferenti a un principio d’ordine li-neare. Il suo segreto? Talento e me-stiere, certo, ma anche un’incre-dibile umanità e un’insuperabilecapacità d’attenzione. nel saggioIl narratore. Considerazioni sul-l’opera di nicola Leskov WalterBenjamin sottolineava che ‘l’an-tica connessione di anima, oc-chio e mano […] è quellaartigianale, che ritroviamo dove èdi casa l’arte di narrare. Pos-siamo chiederci se il rapportoche il narratore ha con la suamateria, la vita umana, non siaanch’esso un rapporto artigia-nale. Se il suo compito non siaproprio quello di lavorare la ma-teria prima delle esperienze – al-trui e proprie – in modo solido,utile e irripetibile’. e Berger è narratore benjami-niano anche quando sembra farealtro: commentare l’opera di unpittore, leggere un film, osservareun paesaggio. Lo è per via diquel che lo muove a guardare eper come lo fa. Se parla di Cara-vaggio, Beacon, Giacometti,henry Moore, Pasolini o Plato-nov, non è per mettere la sua let-tura a confronto con quella dialtri critici o per illustrare la loroopera. Quell’opera, che è pene-trata nella sua vita e che lo inter-pella, sembra aspettare dellerisposte. Come se fosse arrivatada quel futuro anteriore che è ilpassato e fosse lì per incontrarloe attraverso di lui incontrarci inun vortice di connessioni, ri-mandi, associazioni, improvvisismarrimenti e digressioni che, at-traverso l’oscurità, forse ci ricon-durranno insieme alla luce. nei testi di JB ricorrono non acaso alcuni topoi forti: le tenebre,la cecità, il muoversi a tentoni nelbuio o nella nebbia, il perdersi,ma anche il volo, l’alzarsi di unsipario che sgombra l’orizzonte.Finitezza e speranza. Disorienta-mento e lucidità. Terra e cielo.Vita come terra in vague, area re-

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siduale o improvviso vuoto, esitodi un evolversi indefinito e indefi-nibile. è lì, come scrive Berger, che ciincontriamo. noi e chi non c’èpiù o non è ancora stato: i vivi, imorti, i non ancora nati. In untempo ciclico, in cui il futuro puòprecedere il passato e il passatoessere più avanti del presente esussurrarlo come una promessa.In questa mobile zona dai confinitemporali incerti e dal perimetroporoso il racconto, vale a dire la‘capacità di scambiare espe-rienze’, è il collante che unisce làdove i poteri forti tendono a se-parare, frammentare, polveriz-zare. Per questo il racconto nonpuò essere statico o ripetitivo: ilsuo rapporto con la realtà è diosmosi incessante. Il narratore,come ha scritto più volte Berger,vive di Storia e di storie, ‘traspor-tandole’ da un luogo all’altro, daun’epoca all’altra, e per farebene il suo lavoro non deve tra-dire la fiducia di chi lo ascolta néfare torto a ciò di cui narra.Come? Chiedendosi di continuo‘se sta mentendo o cercando didire la verità’, evitando di fareconfusione. nasce da lì, inevitabilmente, unodei tratti che più caratterizzano lavariegatissima opera bergeriana:una passione di sperimentazioneche nulla ha a che vedere con ilvirtuosismo stilistico, un’ostina-zione a cercare tutt’altro che for-malistica, preoccupata solo di‘andare più vicino’ al proprio og-getto, fino a fondersi in esso. Ilche spiega perché sia impossi-bile, nell’opera di Berger, sepa-rare i saggi dai romanzi, la criticadell’arte dai racconti, gli articolipiù dichiaratamente politici dallesceneggiature per il cinema, ap-plicare insomma le categorietanto care a certa critica lettera-ria. nelle sue scritture tutto sitiene e tutto fluidamente si con-catena.

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I calzini a righe di John BergerMaria Nadotti mi parlò di John Berger più di venti annifa. Quando voleva convincermi che potevo scrivere. Miconsigliò di leggerlo. Non so se fui io a fuggire da lei osemplicemente ci perdemmo in girotondi editoriali. An-cora non ho scritto, ma John Berger è entrato nella miavita. I suoi libri sono quasi sempre con me. John Berger mi ha fatto reincontrare Maria. E’ accadutoqualche mese. Per la prima volta, l’ho sfiorato e ho per-fino ritrovato Maria: ‘Hai puntato i piedi per non scri-vere’. Forse ha ragione lei. Sono stato a distanza daJohn, sono timido e impaurito. Da sempre volevo an-dare in Alta Savoia per conoscerlo. Non he ho maiavuto il coraggio. Ed ora, io in platea, lui sul palco di unteatro a Ferrara, durante il festival di Internazionale,non riesco a distogliere lo sguardo dai suoi calzini arighe. Fotografo. Cerco di raffigurarlo come se fosseuna scultura di legno vivente. Il suo volto è magnifico.Vorrei fotografare i suoi silenzi sospesi che lasciano ilteatro in attesa. Vorrei fotografare la sua allegria. Mifermo quando dice: ‘Ho smesso di fare fotografia per-ché mi sono accorto che non guardavo più’. Ho in tascail suo libro: ‘Capire la fotografia’. Non mi avvicino perfarglielo firmare. Lo ascolto quando dice: ‘Scrivere èmostrare una gratitudine’. Una restituzione, insomma.E’ quello che io penso della fotografia. So che amal’arte di Charlie Chaplin: ‘Cadere, rialzarsi, uguali e di-versi’. E sorprenderti a novanta anni. Mi piacerebbefarti avere la fotografia dei tuoi applausi.(as)

MARIA NADOTTI, 66 anni, torinese. Scrit-trice, saggista, consulente editoriale, tradut-trice. ha vissuto a New York e passato lunghiperiodi in Palestina. oggi vive fra Milano eBerlino. collabora la Sole 24 ore e a lo Stra-niero, al Secolo XIX e all’Internazionale. daquasi venti anni è la curatrice italiana dei libridi John Berger. fra questi: Una conversa-zione fra arudnhati roy, John Berger e MariaNadotti (casagrande, 2010), riga 32, JohnBerger (Marco y Marcos, 2012); contro inuovi tiranni (Neri e Pozza, 2013), trasporti etraslochi. raccontare John Berger (e-book didoppiozero, 2014).

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REPO

RTAG

EVIAG

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Quarantasette gallerie, trentacinque

ponti, novantanove chilometri fra

Bologna e Pistoia. La Ferrovia

Porrettana fu inaugurata da Vittorio Emanuele II

nel 1864. L’Italia era appena nata. Erano

UN TRENOPER MACONDO DEGLI APPENNINI

la FerroVIa porrettana, la prIma transappennInICa

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trascorsi venti anni dal primo progetto, dieci

dall’inizio dei lavori. Opera ardita: fra Pracchia e

Pistoia affronta 550 metri di dislivello. A Jean

Louis Protche, ingegnere francese, progettista

del tratto più difficile della ferrovia, è dedicata

Testi di Marco Aime e Alessandro LanzettaFotografie di Alessandro LanzettaCartina disegnata da Sergio Leone

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una piazza di Porretta Terme: si inventò una

galleria a ‘esse’.

La Porrettana è leggenda: supera una

pendenza del 26 per mille. Si racconta che il

fumo, in una galleria, lunga 1753 metri,

asfissiava macchinisti e passeggeri, al punto

che i ferrovieri dovevano essere sostituiti non

appena il treno tornava all’aperto. Durante la

prima guerra mondiale vi viaggiavano settanta

treni al giorno. Tempi antichi, storia di appena

un secolo. Nel 1990 le corriere cominciarono a

sostituire i treni. Ma la gente delle valli ama il

suo treno e ne chiede la sopravvivenza. Una

frana, a gennaio del 2014, interrompe, per un

anno, i binari fra Pistoia e Porretta Terme. Ma a

Natale dello scorso anno, i treni ci provano

ancora. Questa è una storia di resistenza

ferrata. E’ così che due strani passeggeri

salgono su questo treno…

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VeRSO FRAnCeSCO… ‘Mi tornò in mente nel buio quel pro-

getto di attraversare le colline,

sacco in spalla, con Pieretto. non invidiavo

le automobili. Sapevo che in automobile si

attraversa, ma non si conosce una terra. “A

piedi” avrei detto a Pieretto, vai veramente

in campagna, prendi i sentieri e costeggi le

vigne, vedi tutto. C’è la stessa differenza

che guardare un’acqua e saltarci dentro’.

Mi sono venute in mente queste parole di

marco aime, antropologo abituato alle Afriche e alle montagne del suo Piemonte, sale daBologna verso l’Appennino. ha un appuntamentocon Francesco Guccini, il sogno della sua adolescenza diventa realtà: Marco possiede ognidisco del più celebre dei cantautori italiani. Pavana, il paese di Francesco, è a un chilometro e mezzo dalla stazione più vicina. Ma la ferrovia era interrotta e allora Mimmo, oste a Ponte allaVenturina, viene a prenderlo. Marco è arrivato a Macondo.

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Cesare Pavese ne La bella estate e allora

ho deciso di venirci in treno, qui a Pàvana.

Per arrivarci più lentamente, per sentirmi più

in sintonia con Francesco. Guardo fuori dal

trenino che costeggia la Porrettana e an-

cora non mi sembra vero: trascorrere qual-

che giorno a conversare con Francesco

Guccini, il mio mito giovanile e tuttora il mio

autore prediletto.

Mi viene da pensare a quante volte ho suo-

nato le sue canzoni da solo o per gli amici.

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la conversazione-racconto-memoria di Marco aime e francesco Guccini

è raccolta nel libro 'Tra i castagni dell'Appennino',

edito dalla Utet.

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Lo ammetto, cercavo un po’ di assomigliar-

gli. un momento, non come quegli ameri-

cani coglioni che si vestono da elvis

Presley, ci mancherebbe, da buon provin-

ciale, mi limitavo a calcare un po’ di più la

mia erre e tanto bastava.

In treno, dicevo, per entrare in sintonia con

il passo lento gucciniano. Perciò, abbando-

nata a Bologna la Frecciarossa (che peraltro

ha mezz’ora di ritardo), saliamo sulla Porret-

tana, quella ferrovia che nel 1864 Vittorio

emanuele II inaugurò con il nome di Strada

ferrata dell’Italia Centrale. La prima ferrovia

a scavalcare l’Appennino con le sue qua-

rantaesette gallerie e i suoi trentacinque

ponti. un vero capolavoro di ingegneria.

Lasciato il groviglio di binari e tralicci di Bo-

logna, il trenino scivola per periferie ano-

nime fino ad accostare il verde cupo dei

primi boschi. Dentro, gente semplice, che

torna a casa dal lavoro o da scuola. Qui

non c’è la classe Smart né la Business. Il

treno ferma ogni tre minuti. A Sasso Mar-

coni l’orizzonte comincia a scomparire die-

tro i pendii collinari. La luna si affaccia

timida a guardare quel trenino che ora taglia

l’aria fresca dei monti, seguendo le curve

della valle del Reno. Marzabotto: il nome sul

cartello blu della stazione mette un leggero

brivido, induce a un attimo di silenzio. Poi le

prime gallerie e boschi che sembrano vo-

lersi inghiottire vecchi capannoni industriali,

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molti in disuso. Porretta Terme, si scende.

Dopo la ferrovia è interrotta da una frana.

Ad attenderci c’è Mimmo, amico dei Guc-

cini e gestore della Caciosteria al Ponte

della Venturina, poco sotto Pàvana. Topo-

nimi un tempo sconosciuti e per molti an-

cora oggi ignoti, ma che per i fan di

Francesco suonano come Macondo per gli

amanti di Garcìa Marquez, Salinas per quelli

di Steinbeck, la Bodeguita del Medio per un

hemingwaiano.

‘Prendete la strada del mulino, così final-

mente vedrete il Limentra!’, ci dice Mimmo.

Sì, finalmente vedremo il Limentra….

Pioppe di Salvaro, Appennino Bolo-

gnese. Sette e quaranta di mattina.

Salgo sul treno, i pendolari siedono sempre

al solito posto. nella penultima carrozza. In-

contro alcuni studenti, vanno a Porretta

Terme, confine con la Toscana. Ci sono dei

lavoratori, scendono un po' prima. A Riola.

un rito quotidiano, spesso silenzioso, que-

sto del treno, accompagnato da musica in

cuffia, dal gioco con lo smartphone e i libri

con i compiti non ancora finiti. un’amica di

Molino del Pallone, paese tra Porretta

PenDOLARI DeI BOSChIalessandro lanzetta, fotografo fiorentino, non va da Francesco, non si spinge fino a Pavana, ma, in giorni di viaggio, intreccia amicizia con pendolari e maestri, operai e ragazzi taciturni. e’ il piccolo mondo della Porrettana. Alessandro non riesce a scendere dal treno. Vuole vivere su quei binari e, a fatica, riusciamo farci dare le foto che a scattato. Alessandro ha scoperto il misterioso paese di Amore, i fantasmi dei soldati brasiliani che qui combatterono e ha incrociato gli sguardi delle vittime di Marzabotto. e poi c’è una donna che, ogni mattina, scende dai suoi boschi e va a lavorare. Al paese, rimane sua figlia, la sola bambina di quelle montagne.

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MARCO AIME, 58 anni,torinese. ha condottoricerche nelle alpi e in africaoccidentale e insegnaantropologia culturale pressol'Università di Genova

ALESSANDRO LANZETTA,fiorentino, 33 anni.coope-rante umanitario per lavoro,contadino per passione, foto-grafo per vocazione, curiosoper natura. Per il resto nonvuole scrivere.

SERGIO LEONE, 35 anni,siciliano di caltagirone, vivea firenze da sedici anni, nonè un regista western, ma unarchitetto ed ama disegnare. Scovato per le sue tavole ametà tra poesia e denunciasociale è un sentimentale,ma non è “fatto per le storielunghe”.

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Terme e Pistoia, mi aveva fatto conoscere

i suoi compagni di viaggio, quelli che

scendono alle fermate più vicini alla città

toscana. Anche qui tante persone, tanti ri-

tuali. C'è chi lavora a maglia, chi dorme e

chi ne approfitta per rifarsi lo smalto alle

unghie. Per qualche giorno ho seguito i

pendolari, con un po' di difficoltà, perché

si muovono veloci. Conoscono gli orari

dei treni a memoria, arrivano all'ultimo mi-

nuto, corrono da un treno all'altro, e

quando scendono spariscono in un at-

timo. Salgono sul treno come se entras-

sero in casa e scelgono posti vicino al fi-

nestrino. non guardano molto fuori, ma io

sì. Mi é capitato troppe volte di distrarmi

per colpa del Reno, un fiume strano che

scende verso nord, da Pistoia verso Bo-

logna e accompagna per un buon pezzo

la Porrettana. nell’Ottocento, quando

progettarono la costruzione di questa,

prima ferrovia transappeninica, decisero

che il posto più sicuro per far passare il

treno era lungo il letto del fiume, a fondo-

valle. Le ho scese le vallate lunghe e

strette della Montagna Pistoiese, tra

Ponte della Venturina e Pracchia, per ve-

dere da vicino dove passa il treno, tra ca-

prioli, correnti d'acqua e boscaglia selvag-

gia. I boschi sono belli e bisogna

raggiungerli in treno: è emozionante arri-

varci grazie a questi binari, antico simbolo

della modernità. Oggi le corriere minac-

ciano di condannare la Ferrovia Porrettana.

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Viaggiando su questo treno, ho trovato an-

che un piccolo borgo chiamato Amore.

Sembra un monito per un territorio che lotta

contro l’abbandono della montagna, mentre

più di cinquant’anni fa si confrontava con

un nemico più brutale: di qui passava la Li-

nea Gotica, queste sono le calli di Marza-

botto. La memoria dell'eccidio è nell’aria.

Ma chi si ricorda dei brasiliani? A liberare

l’Italia in queste montagne c'erano anche

loro e a Pistoia hanno costruito un memo-

riale per commemorarli. C'é da ricordare

anche il bellissimo ponte fatto saltare dai

nazisti a Piteccio: pensate, una locomotiva

partiva da Parigi e arrivava a Roma fi-

schiando proprio mentre passava per que-

sto ponte.

La Ferrovia Porrettana va difesa. e’ un pic-

colo treno che bisogna proteggere affinché

la storia di queste montagne possa conti-

nuare. Mi viene spesso da pensare alla mia

amica che vive tra i boschi intorno a Prac-

chia. Ogni mattina va a lavorare a Pistoia e

la sera torna dalla famiglia, tra le sue mon-

tagne. nel piccolo paesino, sua figlia è da

sei anni l’unica bambina.

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la ferrovia porrettana fu la prima a varcare gli appennini

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Ho suonato alla porta e mi haaperto una donna sulla ses-santina, dai capelli fulvi e

ricci. Una donna pallida, dal voltoaustero, con nessuna espressionesulla faccia e poche, precise paroleper istruirmi. Indosso la kippah esono all’interno di questo luogo sa-cro e dolente. Sono completamentesolo. Il dorso della terra è ricopertodi un verde fitto, acceso. Un pratovivido si oppone alle nuvole checoprono la mia testa. Non li hochiesti io questi raggi di sole che sifanno largo tra le nubi. Non hochiesto l'arcobaleno che disegnauna parabola perfetta sui vivi comesui morti.

Il cimitero ebraico di Ferrara èidentico a come Giorgio Bassanilo descrive nel prologo dei Finzi-Contini: “I grandi prati sparsi di al-beri, le lapidi e i cippi raccolti piùfittamente lungo i muri di cinta e didivisione, e, come se l’avessi addi-rittura davanti agli occhi, la tombamonumentale dei Finzi-Contini…”.Ecco anch’io, ora, vi sono davanti.Il suo marmo bianco, i prati, le co-lonne laterali. Il romanzo si è fattovita. Solo che nella vita vera, ilnome della famiglia è Finzi-Ma-grini.

Sembra che qui molti defunti ab-biano perso chi li aveva a cuore. Silegge nelle sterpaglie, nei marmidivelti. Vi è abbandono. Provo stu-

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DI CIMITERIST

ORIE

L’InSOSTenIBILeLeGGeReZZA DI MICòL

In piedi, davanti alla tomba di Giorgio Bassani,con le pagine dei Finzi-Contini in mano. Questo è un luogo che ha un forza silenziosa. è una ferita che non si rimargina e, tuttavia, la sua cicatrice in qualche modo riconcilia. è il posto in cui si incontrano il dolore e la pacedi un mondo. e che ci ricorda che la vita è fatta di colpevoli e di innocenti

Il cimitero ebraico di Ferrara

Testo e foto di Sandro Abruzzese

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pore per questo luogo di rara bel-lezza. Cammino nervosamente,pervaso da una strana emozione. Èuna giornata particolare, mi dico.Intanto, a ogni passo, perdo il co-pricapo. Senza accorgermene, fini-sco col camminare con una manofissa sul capo e l'altra che penzola.

Percorro quasi tutta la strada indi-catami dalla custode all'ingresso efinalmente ci sono. Bassani riposaa pochi metri dalle mura degli An-geli, ha chiesto di essere seppellitoqui e ora che sono sulla sua tomba,un piccolo monumento a firma diArnaldo Pomodoro, non riesco ascrivere nulla sul taccuino. Visita-tori hanno lasciato dei sassi levi-gati, la loro firma, fiori, dediche.

Alcuni messaggi in lingua tedesca.Lo stesso vale per la tomba di Mi-còl, Giuliana Finzi-Magrini, questoil vero nome della protagonistafemminile del romanzo. Rivedo isassi e ricordo che coprivano anchela tomba di Carlo Levi, ad Aliano.Mi chiedo di questa sensazioneforte, indecifrabile. Un po' di sol-lievo arriva dalla scoperta che Mi-còl è sopravvissuta alla secondaguerra mondiale. Un foglietto aquadretti, fissato con una pietrasulla sua lapide, reca questa scritta"Micòl, grazie per la tua insosteni-bile leggerezza".

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SANDRO ABRUZZESE,36 anni, irpino. laureain lettere moderne a Napoli. Insegnanted’italiano e storia nellescuole superiori nelveronese. ora a ferrara.Blogger per necessità:cura il progetto racconti-viandanti e scrive per colmare la distanza, ilvuoto vuoto, lo spazio che–sostiene – lo separadalle cose e dalle persone.

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Ariete21 Marzo -19 AprileI prossimi mesi potrebbero essereparagonati a un terremoto: moltedelle tua certezze cominceranno atraballare ed alcune crolleranno mi-seramente. In natura, anche la di-struzione e la brutale esposizionedelle sue manifestazioni coesistononecessariamente con l’evoluzione eil progredire dei cambiamenti. Nonè il caso quindi di preoccuparsi,dalle macerie verranno fuori unaserie di occasioni che in altro modonon avresti avuto la possibilità divedere. Non indugiare sul passato,imbocca la nuova strada con entu-siasmo.Consiglio di stagione: Buone radici danno stabilità.

Toro20 aprile -20 maggioQuando arriva un uragano la forzadel vento può essere di oltre 120km orari e può arrivare a sradicareanche alberi secolari. All'interno

canza d'acqua, in genere per insuf-ficienti precipitazioni atmosferiche;si intende anche l'aridità del ter-reno che ne consegue. Se la siccitàdevasta le culture e rende difficilein alcuni casi la sopravivenza, in al-cune parti del globo ha anche dei ri-svolti positivi: più siccità vuol diremeno uragani, che si formano solograzie alla pioggia. Sta per iniziareun breve periodo di siccità caroLeone, ti invito a scoprire qualiaspetti postivi questo potrà appor-tare alla tua vita.Consiglio di stagione: L’artescuote dall’anima la polvere accu-mulata nella vita di tutti i giorni.

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OR

OS

CO

PO

Il pianeta terra ha unasua vita e una e suaforza che neanchel’egoismo e lo sfruttamento dell’uomoriesce a domare. Ogni sua manifesta-zione viene vistaspesso come maledizione, ma in re-altà contiene una suaragione di essere.L’oroscopo estivo dierodoto ci accompa-gna a scoprirne il latopositivo.

le stelle dell’estateOroscopo di Letizia Sgalambro

dell’uragano, si sviluppa un'area direlativa calma chiamato occhio.L'occhio è spesso visibile nelle im-magini di satellite come un piccolopunto circolare libero dalle nuvole.Nei prossimi mesi sperimenteraiquesta capacità di mantenere lacalma interiore anche nei momentipiù burrascosi.Consiglio di stagione:Nei momenti di maggior tensioneosserva il tuo respiro.

Gemelli21 Maggio -20 GiugnoL’alternarsi delle maree influenzavari aspetti della vita. La caratteri-stica principale è quella di scoprireo ricoprire pezzi di terra, che perotto ore sono calpestabili, e per al-tre otto devono essere lasciati stare.Nei prossimi mesi la tua vita in-contrerà la bassa marea: avrai lapossibilità di scoprire parti di teche di solito sono sotto l’acqua eavrai delle belle sorprese. Cosavuoi fare, tirarle definitivamentefuori o lasciarle a mollo?Consiglio di stagione:Non dare mai niente per definitivo,tutto si evolve.

Cancro21 Giugno – 22 LuglioCi sono dei vulcani che restano si-lenti per anni per poi cominciare aeruttare improvvisamente. La loroforza deriva dal fuori uscire delmagma che si forma al di sottodella crosta terrestre. I materialieruttati sono lava, cenere, lapilli,gas, scorie varie e vapore acqueo.Anche dentro di te ci sono diversisogni e desideri tenuti sotto la ce-nere da troppo tempo, è arrivato ilmomento di farli eruttare per im-parare a conoscerli. Consiglio di stagione: Quello che sale deve anche scen-dere.

Leone23 Luglio - 22 AgostoIl termine siccità proviene dal la-tino siccus, col significato di secco,arido. Indica la prolungata man-

Vergine23 Agosto - 22 SettembreLe tempeste sono classificate invari modi, e tutti descrivono unostato disturbato dell’atmosfera, ca-ratterizzato da vento, temporali,precipitazione di vario tipo (ghiac-cio, neve, grandine…). Ci sonodelle tempeste che hanno cambiatoil corso della storia, o forse che nehanno impedito il cambiamento:dai tifoni che hanno affondato leflotte mongole alla conquista delGiappone nel 1200, a quelle chehanno bloccato le navi francesi allaconquista della Gran Bretagna nel1700, alla tempesta di neve cheblocco l’avanzata tedesca in Russiadurante la seconda guerra mon-diale. La tempesta che sta per at-traversarti avrà anch’essa un suo

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giusto motivo, mettiti al riparo easpetta che passi. Consiglio di stagione: E’ inutilecombatter contro i mulini a vento.

Bilancia23 settembre - 22 ottobreCiò che ultimamente tutti chia-miamo tsunami è in realtà un ma-remoto, ovvero un moto ondosoanomalo che può essere originatoda un terremoto, una frana, un’eru-zione vulcanica, un impatto me-teoritico. La sua pericolosità è datadalla profondità dell’onda più chedalla sua ampiezza. Il consiglio chele stelle ti vogliono dare, cara Bi-

di preavviso, in pochi secondi, ed ècapace di avere un impressionantepotere distruttivo trascina dosi die-tro tutto ciò che incontra. Que-st’estate, caro Scorpione, sarà ilmomento in cui qualcosa di grossoche ti ostacolava si staccherà e, avalanga, si porterà indietro moltedelle tue negatività. Consiglio di stagione:Si può misurare il moto dei corpi,ma non l’umana follia.

Sagittario22 novembre – 21 dicembreIl geyser si genera per effetto diuna pressione gassoso-tellurica chedetermina un’eruzione d’acquacalda dal terreno. L’Islanda è unpaese in cui è possibile osservare igeyser ed è una terra in cui rie-scono a convivere il ghiaccio e ilfuoco, che continuano a modificareil territorio. Gli opposti, anche den-tro di te possono convivere, ed èinutile che tu cerchi di eliminarli.Impara ad accogliere opposti ed ec-cessi e vedrai che raggiungerai unnuovo equilibrio che ti porterà se-renità.Consiglio di stagione: L'opposto dell'amore è la paura.

Capricorno22 Dicembre -19 GennaioI nubifragi sono precipitazioni pio-vose molto intense che hanno unadurata molto breve, ma creano forticondizioni di allagamento. Ultima-mente vengono anche definiti‘bombe d’acqua’. In questo mo-mento hai bisogno di allentare e di-minuire l’intensità cui stai vivendoalcuni aspetti della tua vita per evi-tare di scatenare bombe d’acquache poi richiedono molto tempo peressere prosciugate. Poni la tua ener-gia sui tempi lunghi, ed evita glisfoghi improvvisi e violenti, vedraiche tutto si risolverà per il meglio.Consiglio di stagione: Allarga il tuo sguardo per vedereoltre l’abitudine.

Acquario20 gennaio- 18 febbraioUn'alluvione si verifica quando unazona che normalmente è asciuttaviene allagata dalle acque che tra-boccano dalle rive o dagli argini diun fiume in piena a seguito dipiogge prolungate e di forte inten-sità. L’alluvione di Firenze del1966 fu un’occasione unica di so-lidarietà, migliaia di giovani datutto il mondo arrivarono per aiu-tare a ripulire del fango le opered’arte. Anche tu potrai sperimen-tare la solidarietà di chi hai intorno,anche da parte di chi non ti aspet-teresti mai, e vedrai che ciò che diprimo acchito ti è sembrato nega-tivo, ti mostrerà aspetti a cui nonavevi pensato.Consiglio di stagione:Ciò che sappiamo è una goccia, ciòche ignoriamo un oceano.

Pesci19 febbraio - 20 marzoUna frana accade quando dellemasse di roccia si staccano da pen-dii più o meno ripidi e cadono, oscivolano, verso il basso. Ognifrana è un evento a sé, può essereprovocata da cause naturali, comela pioggia o la presenza di fratturenel terreno, e da cause artificiali,come la costruzione di edifici suipendii, o il disboscamento, chepriva il terreno della protezionedelle radici. Una frana porta sem-pre via qualcosa e lascia spazi vuotiche possono essere riempiti di cosediverse, più stabili e durature. Seipronto a lasciare andare e a rinno-vare? Se saprai entrare nel flussodella natura avrai delle splendidesorprese.Consiglio di stagione:Quando uomini e montagne si in-contrano, grandi cose accadono.

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lancia è questo: abbassa il livellodell’acqua, non permettere chequalcosa di esterno faccia scaturireuno tsunami nella tua vita, apriprima il rubinetto, non tenere tuttodentro. In questo modo ti troveraipronto ad affrontare l’inattesosenza il terrore di esserne travolto.Consiglio di stagione:Solo buttando via qualcosa si riescea fare spazio.

Scorpione23 ottobre - 21 novembreQuando la neve che si è accumulatasui fianchi di una montagna sistacca dal piano di appoggio e pre-cipita a valle, siamo in presenza diuna valanga. È un fenomeno che simanifesta senza particolari segnali

LETIZIA SGALAMBRO 52 anni, sagittario,counselor ed esperta di processi formativi.Crede che per ognuno sia già scritto il puntopiù alto dove possiamo arrivare in questavita, e che il nostro libero arbitrio ci fa sce-gliere se raggiungere quel traguardo omeno. L'oroscopo? Uno strumento comealtri per illuminare la strada.