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L’obbligo di firmare un non contratto
Dopo oltre trenta mesi dalla scaden-
za del vecchio contratto, la maggio-
ranza dei sindacati dell’area della
dirigenza medica (tranne l’AAROI
e la CGIL medici) hanno siglato l’Ipotesi contrat-
tuale (quadriennio normativo 2006-2009 e pri-
mo biennio economico 2006-2007).
La delegazione trattante dell’AAROI che ha avuto
l’onore (e l’onere) di rappresentare le istanze di
quasi tutti gli Anestesisti Rianimatori italiani ne
esce male!
Non siamo riusciti a far valere le istanze ritenute
come assolutamente vincolanti per la firma
dell’Ipotesi contrattuale. Il punto normativo,
quello sul riposo dopo una notte di guardia, rite-
nuto irrinunciabile da tutti i sindacati medici fi-
no ad un minuto prima della firma, è stato dife-
so solo dall’AAROI e dalla CGIL medici (insieme
rappresentano quasi il 25% dei medici iscritti al
sindacato) che hanno lavorato fino all’ultimo
perché si mantenesse una posizione comune
sulle 11 ore di riposo dopo la notte, anche con lo
scopo di evitare la rottura del fronte sindacale
unitario.
Inutili si sono rilevati i fiumi di inchiostro che
sono stati utilizzati per spiegare che dopo dodici
ore di lavoro è probabile un aumento del 30%
degli errori medici con le inevitabili conseguenti
problematiche assicurative.
Siamo convinti che se il fronte sindacale fosse ri-
masto unito il riposo di 11 ore dopo la notte sa-
rebbe stato sicuramente inserito nel contratto
nazionale.
L’Ipotesi contrattuale prevede invece, nell’ambi-
to della contrattazione aziendale, la definizione
di un generico ed insufficiente “adeguato perio-
do di riposo obbligatorio e continuativo” ben
sapendo che questo riposo potrebbe essere an-
che molto breve! Tenendo conto anche del fatto
che il manager dopo 60 giorni di trattativa è libe-
ro di prendere decisioni autonome! In questo
modo le Aziende Sanitarie potranno realizzare
una organizzazione del lavoro con diverse mo-
dalità di fruizione e durata del riposo: 3 ore? 6
ore? 10 ore? 12 ore? Si potrà così verificare che
una sigla sindacale, per esempio l’AAROI , sia
messa in minoranza e dovrà far tornare al lavoro
gli Anestesisti Rianimatori il pomeriggio dopo
una notte, scompaginando così il nostro model-
lo lavorativo.
Ben diverso sarebbe stato l’inserimento nel con-
tratto nazionale del paletto delle 11 ore di riposo
obbligatorio e continuativo dopo la notte che
avrebbe garantito a tutti i medici ospedalieri ita-
liani il pieno recupero delle energie psico fisi-
che, con lo scopo di evitare che, a causa della
stanchezza, sia ridotta l’efficienza della presta-
zione professionale.
Ma vediamo in cosa consiste il nuovo testo con-
trattuale.
Sono 28 articoli dei quali si può fare anche a me-
no: basterebbe determinare un automatismo
economico al pari dell’inflazione programmata
ed ecco si potrebbero evitare le penose escala-
tion di incontri, dichiarazioni poi ritrattate, “ca-
late di braghe”, il tutto per far finta di portare a
casa una vittoria.
Sarà forse l’articolo 1 quello che ha convinto la
maggioranza dei sindacati a firmare? o l’articolo
2? o il 3, il 4 e così via?
O forse il rinvio della trattativa sulle “sanzioni di-
sciplinari”, formulate dalla controparte pubbli-
ca al pari dell’inquisizione medioevale?
Ma allora, cosa si porta a casa? 250 euro lordi
medi mensili!
Grande vittoria, sbandierata da alcuni sindacati
come recupero della perdita del potere di acqui-
sto dei nostri salari!
Vediamo, allora, in dettaglio i contenuti degli ar-
ticoli contrattuali, gli incrementi economici e gli
arretrati.
1. CONTENUTI NORMATIVI
Articoli 1, 2 e 3
Nulla di rilevante.
Articolo 4
Tempi e procedure
per la contrattazione integrativa
Si sottolineano alcuni aspetti che contingentano
i tempi della contrattazione integrativa, come la
convocazione della delegazione trattante entro
15 giorni dalla presentazione delle piattaforme e
comunque entro 60 giorni dalla firma; l’invio al-
la Regione ed alle OO.SS. dell’entità dei fondi
contrattuali necessari per la negoziazione; il ter-
mine perentorio della conclusione della trattati-
va stabilito in 150 giorni, salvo diverso accordo
tra le parti, opportunamente motivato.
Viene altresì sottolineata la necessità di incontri fre-
quenti ed assidui, al fine di rispettare i tempi previ-
sti per la sottoscrizione del Contratto Integrativo,
che, si sottolinea, deve contenere tempi, modalità e
procedure di verifica per la sua attuazione.
Articolo 5
Coordinamento Regionale
Alla lettera h) viene sottolineata la necessità di
rispettare i contenuti del Capo II del CCNL
3/11/2005 in tema di orario di lavoro assicuran-
do la continuità assistenziale e l’organizzazione
dell’emergenza/urgenza, ribadendo la possibili-
tà di utilizzo delle risorse aggiuntive previste dal-
l’art. 55, comma 2 del CCNL 8/6/2000 e succes-
sive integrazioni.
Alla lettera k) la necessità di definire criteri ge-
nerali per il riposo tra i vari turni di lavoro.
Articolo 6
Incarichi dirigenziali
Sostanzialmente nulla di rilevante.
Errore umano errare è umanoLA MALPRATICA IN SANITÀ
Il 78% dei cittadini del Vecchio Conti-
nente considera gli errori in medicina
tra i problemi più importanti del siste-
ma sanitario. Tra questi solo il 40% li
percepisce come un pericolo per se stessi. Una
tale sfiducia non trova, tuttavia, fondamento
nelle esperienze personali degli intervistati, vi-
sto che meno di una persona su cinque dichia-
ra di essere stata vittima di un errore medico in
prima persona o attraverso l’esperienza di un
familiare.
L’errore in medicina, come evento perseguibile
giuridicamente, fece la sua prima “comparsa”
in Francia nell’autunno del 1825, in occasione
del processo Foucault. L’imputato, il dott. Hélie,
fu accusato di aver agito in maniera “impruden-
te e incredibilmente precipitosa” durante le ma-
novre di un parto perché aveva mutilato un bim-
bo, sì da costringerlo a portare per il resto della
sua vita i segni del grave errore. Alla vigilia della
condanna, dichiarata dopo un dibattimento pro-
trattosi per ben sette anni, l’Accademia Naziona-
le di Medicina di Parigi affermò che un siffatto
evento avrebbe legittimato l’assunzione del
principio della responsabilità, secondo il quale
“tutto in futuro sarebbe diventato sospetto e pe-
ricoloso per un medico”.
All’inizio del secolo scorso, specialmente in Ita-
lia, l’idea di una medicina “non processabile”
cedette il passo ad una concezione più “benevo-
la” dell’errore medico. L’operato del professio-
nista, infatti, non poteva essere in alcun modo
assimilato al concetto di negligenza o sconside-
ratezza, tranne nei casi di evidente colpa grave.
Questo modo di pensare e il principio di subor-
dinazione del paziente alla discrezionalità del
medico furono scardinati pienamente solo verso
la fine del secolo scorso. In questo periodo ven-
nero istituiti i Tribunali per i diritti del Malato le
cui sentenze epocali condannarono i chirurghi
non per negligenza bensì per non aver accurata-
mente informato i pazienti sulle possibili conse-
guenze delle prestazioni erogate. Tale inadempi-
mento venne considerato lesivo del diritto di di-
sporre, nei limiti previsti dall’ordinamento, del-
la propria salute e della propria integrità perso-
nale. Nacque, così, l’era del consenso informato
sancito ufficialmente dalla Corte di Cassazione
con la sentenza n.699 del 1992.
Da allora, la malpratica medica divenne anche
un argomento di trattazione scientifica. Nel
1999 la Commissione sulla Qualità della Salute
dello Istitute of Medicine (IOM), organizzazione
americana senza fini di lucro, pubblicò negli
Stati Uniti un clamoroso rapporto dal titolo “To
err is human. Bulding a safer health system”. In
tale documento, due diversi e autorevoli studi
dimostrarono come il numero dei decessi negli
USA per errori medici fosse superiore a quello
dei morti per incidenti stradali. Il fatto sorpren-
dente era che, a distanza di circa trent’anni dalla
esplosione della cosiddetta “crisi del malpracti-
ce” negli Stati Uniti, le cose sembravano peggio-
rate. Nel 2001, il Censis comunicò nel rapporto
annuale che “la malasanità non è un’invenzione
giornalistica, ma una preoccupazione reale di
pazienti sempre più insofferenti all’errore”.
Inoltre, nella relazione del documento era stato
incluso un capitolo dal titolo “la salute minac-
ciata” che alimentava le preoccupazioni sull’ar-
gomento. L’anno dopo, infine, l’Istituto San Raf-
faele di Milano costituì il primo organismo in
Italia – CeSREM: Centro Studi San Raffaele Ri-
schi Errori in Medicina, funzionale all’indivi-
duazione dei presupposti istituzionali e organiz-
zativi per garantire al cittadino un servizio
sanitario di qualità superiore. Tra i suoi compiti
furono incluse le analisi e la ricerca di soluzioni
di programma per gli errori più frequenti nel-
l’ambiente ospedaliero.
Continua a pagina 4
Continua a pagina 3
2
SEDE NAZIONALE•ViaXX Settembre, 98/E •00187 Roma•Tel. 06.47825272 •Fax 06.47882016 •e-mail: [email protected]
PRESIDENTE NAZIONALE •Dott. VINCENZOCARPINO•ViaE. Suarez, 12 •80129 Napoli •Tel. 081.5585160 •Fax 081.5585161 •e-mail: [email protected]
VICE PRESIDENTE NORD •Dott. GIANMARIOMONZA •ViaC. Franchi, 120 •21040 Cislago (Va) •Tel. e Fax 02.96409202 •e-mail: [email protected]
VICE PRESIDENTE CENTRO •Dott.MARCOCHIARELLO•ViaCav.diV.Veneto,34•62027S.SeverinoM.(Mc)•Tel.0733.633601•Fax0733.646140•e-mail:[email protected]
VICE PRESIDENTE SUD •Dott. MARIORE •ViaMichelangelo, 450 •90135 Palermo •Tel. 091.6662927 •Fax 091.6662920 •e-mail: [email protected]
PRESIDENTE SIARED •Dott. GIUSEPPE MARRARO•ViaMarco Polo, 55 •20049 Concorezzo (Mi) •Tel. 039.6042128 •Fax 02.700404589 •e-mail: [email protected]
PRESIDENTE SIAARTI •Prof. LUCIANOGATTINONI •Piazzadei Daini, 3 •20126 Milano •Tel. 02.55033231 •Fax 02.55033230 •e-mail: [email protected]
COORDINATORE UFFICIO ESTERI•Dott.ssaRAFFAELLA PAGNI •ViaZuccari, 6/A •60129 Ancona•Tel. 071.33271 - 5962313 •Fax 071.5962310 •e-mail: [email protected]
SEGRETARIO•Dott. UMBERTOVINCENTI •Corso Garibaldi, 47 •84123 Salerno •Tel. 089.223093 •Fax 081.8234797 •e-mail: [email protected]
TESORIERE•Dott. MAURIZIOGRECO•ViaA. Minichini, 8 (IV Trav ersa) •80035 Nola (Na) •Tel. 081.5585160 - 081.5124497 •Fax 081.5585161 •e-mail: [email protected]
ABRUZZO •Dott. Stefano MINORA •ViaGalilei, 13 •64015 Nereto (Te) •Tel. 0861.855371 •Tel. e fax 0861.810476 •e-mail: [email protected]
BASILICATA •Dott. NicolaSCACCUTO•Largo Mercato, 4 •85057 Tramutola (Pz) •Tel. 0975.353750 •Fax 0975.612596 •e-mail: [email protected]
CALABRIA •Dott. Guido MINUTO•ViaS. Lucia al Parco, 6 •89124 Reggio Calabria•Tel. 0965.28039 - 0982.977356 •Fax 0982.977270 •e-mail: [email protected]
CAMPANIA •Dott. Giuseppe GALANO•Via M. daCaravaggio, 143 •80126 Napoli •Tel. 081.7472863 •Fax 081.7472893 •e-mail: [email protected]
EMILIA ROMAGNA •Dott.ssaTeresaMATARAZZO•ViaDe’ Romiti, 16 •44100 Ferrara•Tel. 0532.769596 •Fax 0532.711453 •e-mail: [email protected]
FRIULI-VENEZIAGIULIA•Dott.SergioCERCELLETTA•ViaS.Slataper,2/A•33100Udine•Tel.0432.530144-0432.552428•Fax0432.231977•e-mail:[email protected]
LAZIO•Dott. Quirino PIACEVOLI •ViaAndreaBarbazza, 154 •00168 Roma•Tel. e Fax 06.6149007 •e-mail: [email protected]
LIGURIA •Dott. Pasquale DE BELLIS•Viadi S. Zita, 1/14D •16129 Genova•Tel. 010.565263 -010.5552539 •Fax 010.5556860 •e-mail: [email protected]
LOMBARDIA •Dott. Gianmario MONZA •ViaC. Franchi, 120 •21040 Cislago (Va) •Tel. e Fax 02.96409202 •e-mail: [email protected]
MARCHE •Dott. Marco CHIARELLO•ViaCav. di V. Veneto, 34 •62027 S. Severino M. (Mc) •Tel. 0733.633601 •Fax 0733.646140 •e-mail: [email protected]
MOLISE•Dott. Roberto GRAMEGNA •Viadelle Orchidee, 23 •86039 Termoli (Cb) •Tel. 0875.83660 - 0875.7159323 •Fax 0875.702484 •e-mail: [email protected]
PIEMONTE - VALLE D’AOSTA •Dott. Bruno BARBERIS•Corso Re Umberto, 138 •10128 Torino •Tel. e Fax 011.3186439 •e-mail: [email protected]
PROVINCIA DI BOLZANO •Dott. Massimo BERTELLI •ViaHoertmoos, 33 •39018 Terlano (Bz) •Tel. 0471.933267 - 0471.908675 •e-mail: [email protected]
PROVINCIA DI TRENTO•Dott. Giorgio CESARI •ViaMan di Sant’Antonio, 17/2 •38100 Trento •Tel. 0461.921472 - 0461.755289 •Fax 0461.921472 •e-mail: [email protected]
PUGLIA •Dott. Antonio AMENDOLA •PiazzaA. Diaz, 11 •70121 Bari •Tel. e Fax 080.5540557 •e-mail: [email protected]
SARDEGNA •Dott. Paolo CASTALDI •ViaEinaudi, 40 •09127 Cagliari •Tel. 070.664440 - 6094345 •Fax 070.42939 •e-mail: [email protected]
SICILIA •Dott. Mario RE •ViaMichelangelo, 450 •90135 Palermo •Tel. 091.6662927 •Fax 091.6662920 •e-mail: [email protected]
TOSCANA •Dott. Fabio CRICELLI •ViaS. Donato, 24-4 •50127 Firenze •Tel. 055.360415 - 055.3245661 •Fax 055.39069595 •e-mail: [email protected]
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Il giornale è inviato gratuitamente
a tutti gli iscritti all’AAROI
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Spedito il
29 settembre 2008
Organo Ufficiale dell’A.A.R.O.I.
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Anno 2008
Per iscriversi alla SIARED per l’anno 2008, bisognerà ri-
chiedere il modulo al Presidente AAROI o al Consigliere
SIARED della propria Regione di appartenenza, compi-
larlo e restituirlo unitamente alla quota di iscrizione di 10
euro.
In alternativa rivolgersi alle segreterie AAROI/SIARED di
Roma e di Napoli.
Il modulo d’iscrizione
si può scaricare anche dal sito
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Pronti i certificati ECM
AAROI-SIARED-SIAARTI
anno 2008Sono pronti per la consegna i certificati ECM relativi agli
eventi del Corso Itinerante anno 2008.
I Colleghi interessati al ritiro devono rivolgersi ai Presidenti
Regionali dell’A.A.R.O.I. o ai Referenti dei Corsi.
INVIA LA TUA E-MAIL
Al fine di migliorare i servizi resi agli associati e rendere tempestive le comunicazioni
dell’AAROI, invitiamo tutti gli iscritti ad inviare il loro indirizzo di posta elettronica a
indicando nome, cognome e numero di Smart Card rilasciata dalla nostra Asso-
ciazione.
L’invio può essere effettuato direttamente dal sito AAROI all’indirizzo:
www.aaroi.it/modulo_mail_info.html
Sarà realizzato un elenco di nominativi a cui sarà recapitata la posta con gli ultimi
aggiornamenti sulle attività e sulle iniziative promosse dall’AAROI.
3
Articolo 7
Disposizioni particolari in materia di riposo giornaliero
Si stabilisce che le Aziende debbano definire le modalità di riposo
nelle 24 ore attraverso la contrattazione integrativa, prevedendo la
fruizione immediata, in ambito diurno, di un adeguato periodo di
riposo obbligatorio e continuativo, in misura tale da garantire l’ef-
fettiva interruzione tra la fine della prestazione lavorativa e l’inizio
di quella successiva.
La verifica dell’organizzazione del lavoro dalla stipula del contrat-
to a livello nazionale deve avvenire entro 90 giorni.
È l’articolo incriminato. Quello che non prevede il riposo obbliga-
torio di 11 ore dopo la notte.
Articolo 8
Obiettivi
Rimarca la necessità, a livello aziendale, di dare un forte impulso
ai metodi fondati sulla fissazione degli obiettivi assegnati ai diri-
genti medici e sulla misurazione dei risultati.
Articolo 9
Principi della valutazione
Viene ribadita l’importanza strategica del meccanismo di valuta-
zione dei dirigenti.
Articolo 10
Procedure della valutazione
La novità consiste nella specificazione che la procedura di valuta-
zione debba essere effettuata prima della scadenza dell’incarico
professionale, indicando, in due mesi il tempo limite per la defi-
nizione del sistema di valutazione.
Articolo 11
Comportamento in servizio
Rimanda all’applicazione del Codice di Comportamento dei di-
pendenti delle pubbliche amministrazioni, allegato al CCNL
3/11/2005.
Articolo 12
Norma di rinvio
C’è un impegno delle parti ad affrontare la problematica delle
sanzioni disciplinari in occasione di un’apposita sequenza con-
trattuale integrativa del presente CCNL, da definirsi entro la con-
clusione del quadriennio 2006-2009.
Articolo 13
Recesso dell’Azienda o Ente
All’articolo 19 del CCNL 3/11/2005 è aggiunto un comma che pre-
vede che l’Azienda deve attivare le procedure dell’articolo 36 del
CCNL 5/12/1996 in caso di arresto del dirigente colto in flagranza
di reato.
Articolo 14
Effetti del procedimento penale sul rapporto di lavoro
Viene inserito un ulteriore inasprimento della sospensione caute-
lare dal servizio del dirigente, per cui l’Azienda può prolungarne
la sospensione procedendo però alla revisione della stessa con ca-
denza biennale.
Articolo 15
Disposizioni particolari
Si precisa che anche i periodi di lavoro svolti a tempo determina-
to, senza soluzione di continuità, sono considerati validi per il
computo dei cinque anni di attività, ai fini del conferimento di in-
carichi dirigenziali previsti dalle lettere b) e c) del CCNL 8/6/2000,
art. 27.
Articolo 16
Copertura assicurativa e tutela legale
Si sottolinea l’obbligo da parte dell’Azienda di far conoscere al di-
rigente tutti gli elementi che caratterizzano la polizza assicurativa
e di tutela legale.
È costituita, poi, in ARAN una Commissione paritetica per l’appro-
fondimento della problematica assicurativa che fornirà alle parti
negoziali ogni utile supporto per una riscrittura del testo da sotto-
scrivere in occasione della sequenza contrattuale.
Articoli 17, 18, 19
Sono definiti gli incrementi contrattuali per le singole categorie di
dirigenti.
Articoli 20, 21, 22
Sono definiti gli incrementi delle retribuzioni di posizione unifi-
cate dei dirigenti con rapporto di lavoro esclusivo o non.
Articolo 23
Effetti dei benefici economici
Nulla di rilevante.
Articolo 24
Fondo per l’indennità di specificità medica, retribuzione
di posizione, equiparazione, specifico trattamento
e indennità di direzione di struttura complessa
Nulla di nuovo.
Articolo 25
Fondo per il trattamento accessorio legato
alle condizioni di lavoro
Sono stabiliti gli incrementi previsti, pari allo 0,2% del Monte Sa-
lari. Si definisce, poi, il valore ricalcolato dello straordinario, nelle
sue tre fasce orarie.
Articolo 26
Fondo per la retribuzione di risultato
e per la qualità della prestazione individuale
Sono stabiliti gli incrementi previsti, pari allo 0,3% del Monte Salari.
Articolo 28
Norme finali e transitorie
Vengono indicate le tematiche che saranno oggetto di formulazio-
ne articolata in occasione della sequenza contrattuale, da definir-
si entro la conclusione del quadriennio 2006-2009. Tra queste le
più importanti sono:
a) il riordinodel sistema degli incarichiprofessionali e gestionali;
b) la disciplina delle flessibilità del rapporto di lavoro;
c) la verifica del sistema di valutazione;
d) l’individuazione del sistema sperimentale di sanzioni discipli-
nari;
e) l’individuazione di una idonea disciplina in materia di coper-
tura assicurativa e tutela legale;
f) le problematiche inerenti al risk management ed alla sicurez-
za sul lavoro.
2. CONTENUTI ECONOMICI (in euro)
TABELLARE (a regime 41.968,00)
dal 1 gennaio 2006 17,70 euro/mensili230,10 anno
(compresa XIIIª)
dal 1 febbraio 2007 131,30 euro/mensili1.706,90 anno
(compresa XIIIª)
arretrati tabellare:
anno 2006: 230,10
anno 2007: 230,10+1.575,60
(11 mesi + XIIIª)
totale biennio: 2.035,80 euro
+9 mesi 2008: (17,70 + 131,30) x 8 = 1.192,00
totale arretrati tabellare a settembre 2008:
2.035,80 + 1.192,00 = 3.227,80
RETRIBUZIONE DI POSIZIONE UNIFICATA
dal 1 gennaio 2007:
Direttore area Chirurgica
13.546,08+ 2.890,65 nuova RdP unificata
Direttore area Medica
12.141,53+ 2.890,65 nuova RdP unificata
Direttore area Territorio
11.448,58+ 2.890,65 nuova RdP unificata
Dirigente strutt. Semplice
8.653,74+ 1.846,66 nuova RdP unificata
Dirigente inc. lett. c) art 27
4.235,53+ 789,49 nuova RdP unificata
Dirigente equiparato
3.163,81+ 789,49 nuova RdP unificata
Dirigente < 5 anni 0,00
Arretrati Retribuzione di posizione unificata: vengono cal-
colati come quota mensile rapportata ai mesi di vacanza contrat-
tuale, da gennaio 2007 a settembre 2008 + XIIIª 2007, pari a 22
mesi:
Direttore area Chirurgica 240,89 x 22 mesi = 5.299,58
Direttore area Medica 240,89 x 22 mesi = 5.299,58
Direttore area Territorio 240,89 x 22 mesi = 5.299,58
Dirigente strutt. Semplice 153,89 x 22 mesi = 3.385,58
Dirigente inc lett c) art 27 65,79 x 22 mesi = 1.447,38
Dirigente equiparato 65,79 x 22 mesi = 1.447,38
Dirigente < 5 anni 0,00 =
La somma tra gli arretrati relativi al tabellare (3.227,80 per tutti)
e quelli relativi alla retribuzione di posizione unificata rispetto al
proprio incarico, costituisce il totale degli arretrati a settembre
2008.
A questi emolumenti vanno aggiunti gli incrementi relativi alle
ore lavorate in regime di straordinario dalla data di entrata in vi-
gore del nuovo CCNL, secondo la seguente rivalutazione:
Orario diurno: + 15% = 25,78
Orario notturno e festivo diurno: + 30% = 29,14
Orario notturno festivo: + 50% = 33,63
FIRMARE O NON FIRMARE
A questo punto che fare quando saremo chiamati a sottoscrivere
definitivamente il contratto?
Sappiamo tutti che per l’applicazione in sede decentrata, l’Azien-
da convoca le sole Organizzazioni Sindacali firmatarie del Con-
tratto nazionale.
Ebbene, qualora l’AAROI non firmasse resterebbe fuori dalla trat-
tativa integrativa aziendale e non potrebbe entrare nel merito del-
le materie previste dalle relazioni sindacali.
In sostanza, gli altri deciderebbero anche per noi (anche sulla du-
rata del riposo dopo un turno di notte)!
Certo la presenza dell’AAROI (terzo sindacato della dirigenza me-
dica) al tavolo di negoziazione aziendale è fondamentale per ga-
rantire la salvaguardia del nostro modello organizzativo e la difesa
degli interessi dei nostri iscritti.
Di fronte alla ferma volontà di non firmare c’è la consapevolezza
che non possiamo consentire a nessuna sigla sindacale di guidare
a suo piacimento la contrattazione integrativa.
È per questo motivo che il Consiglio Nazionale dell’AAROI, riunitosi
il 6 settembre a Roma, dopo una lunga e sofferta discussione, ha
riconosciuto la necessità di apporre una firma tecnica a
questo contratto, che sarà possibile solo dopo il via libera del Co-
mitato di Settore, della Corte dei Conti e del Consiglio dei Ministri.
Subito dopo la trattativa dovrebbe riprendere con il secondo bien-
nio economico 2008-2009 ed anche in questa occasione l’AAROI
farà, come sempre, la sua parte.
VincenzoCarpino
MarcoChiarello
Continuadalla prima pagina
L’obbligo di firmare un non contratto
UNA COLLEGA CI SCRIVE
Condivido in pieno il Vostro operato e la nostra battaglia.
Da almeno 20 anni svolgo questa splendida, anche se durissima professione.
Un anestesista rianimatore stanco può diventare un ottimo killer … anche se purtroppo non con
la stessa remunerazione … intendo ovviamente quella del killer … perché se i killers fossero pa-
gati con le stesse cifre con cui vengono retribuite le nostre guardie o reperibilità … forse non
esisterebbero.
La cosa che mi meraviglia molto è che i rappresentanti sindacali delle altre sigle non hanno
voluto riconoscere l’impegno delicato e gravoso che vede impegnati quotidianamente tanti
degni colleghi, scarsamente riconosciuti, mal pagati ed ora anche privati di un giusto e sacro-
santo riposo dopo un turno di notte.
Ringrazio quindi l’AAROI che fa sentire forte la voce a difesa di questi grandi ed indispensabili pro-
fessionisti e sono convinta che bisogna condividere e appoggiare questa ed altre rivendicazioni per
la difesa dei diritti e della dignità degli oltre 10.000 anestesisti rianimatori ospedalieri italiani.
Vi ringrazio per quello che fate e Vi chiedo di continuare.
Un’Anestesista RianimatorediLa Spezia
4
La definizione di “medical malpractice” come
atto/omissione del professionista deviante dagli
standard comuni della pratica sanitaria e gene-
rante un danno al paziente è inadeguata. All’ini-
zio degli anni ’90, J. Reason, uno dei maggiori
esperti mondiali di analisi del fattore umano ne-
gli incidenti, elaborò una nuova teoria sulla
scorta degli studi di J. Rasmussen (1987). In
contrapposizione alla tradizionale identificazio-
ne dell’errore con il singolo individuo, egli so-
stenne la concezione dell’errore medico quale
esito prodotto in diretto rapporto con altre circo-
stanze. Pertanto, l’operatore responsabile del-
l’errore finale non rappresenta altro che l’ulti-
mo casuale anello di questa catena ove gli errori
sono considerati le conseguenze dell’agire orga-
nizzato e non già la causa del fallimento del si-
stema. Essi hanno, inoltre, una probabilità di
sviluppo proporzionale alla complessità della
struttura in cui si opera. Gli studi suggeriscono
che riconoscendo al singolo professionista il
99% delle probabilità di non sbagliare, quando
lo stesso si trova a collaborare in una struttura
con 100 colleghi, (ugualmente capaci), le pro-
babilità di errore salgono a circa il 37%.
J. Reason distingue due diverse categorie di erro-
re: 1) errori di esecuzione; 2) errori non com-
messi durante l’esecuzione pratica di un’azione.
I primi sono distinguibili, a loro volta, in due ti-
pologie:
a) Slips: errori commessi nello svolgimento di
attività routinarie. Ciò significa che l’auto-
matismo dell’azione fallisce quando un
evento imprevedibile interferisce con l’azio-
ne (ad es.un paziente riferisceall’infermiere
di aver assunto un tipo di farmaco e quest’ul-
timo dimentica di comunicarlo al medico);
b) Lapses: errori conseguenti al fallimento del-
la memoria tale da produrre un risultato di-
verso da quello atteso e non direttamente os-
servabile (ad es. il medico prescrive un de-
terminato farmaco sbagliando il dosaggio).
Gli errori non commessi durante l’esecuzione
pratica di un’azione sono detti mistakes e impe-
discono di raggiungere l’obiettivo, attesa l’inade-
guatezza delle strategie e dei modi di utilizzo.
Anche i mistakes sono suddivisi in due catego-
rie:
a) ruled-based: dovuti a scelte di procedura o
regole sbagliate (ad es. la somministrazione
di un farmaco inadeguato alla patologia da
curare);
b) knowledge-based: dovuti a deficit variabili
di conoscenza che inducono a utilizzare o
ideare percorsi di azione errati (negligenza
tout-court dell’operatore sanitario).
Dunque, si tratta di cure eseguite correttamente
ma a seguito di una pianificazione sbagliata.
Un caso a parte, infine, è rappresentato dalle cd.
violazioni, cioè da tutte quelle azioni, volontarie
o involontarie, in contrasto con norme troppo
spesso difficili da osservare. Quando tali azioni
sono realizzate al fine di ottimizzare o sveltire le
procedure si parla di violazioni di routine. Le
violazioni eseguite con l’intento esplicito di dan-
neggiare il paziente costituiscono, invece,
autentici casi limite che esulano dalla presente
trattazione.
L’insieme di slips e lapses configura il livello dei
cd. errori attivi, quelli cioè generanti immediate
conseguenze in seguito a comportamenti sba-
gliati del singolo operatore. I mistakes di qua-
lunque tipo, di contro, rappresentano gli errori
cd. latenti, cioè gli sbagli che restano”silenti” nel
sistema organizzativo fino a quando un evento
scatenante (triggering event) non svela la loro
potenziale capacità di danno. In quest’ultima
evenienza, la causa del danno è da ricercarsi
nella decisione e nelle scelte organizzative
sbagliate anche se l’atto finale è compiuto da un
operatore.
Tabella 1 – Nella pratica clinica, le situazioni
potenzialmente causa
di errore sono numerose:
� la mancanza di controlli;
� il ritardo diagnostico;
� l’insufficiente valutazione del rischio;
� l’inadeguata consegna;
� la mancata segnalazione di apparecchiature
malfunzionanti;
� l’inadeguatezza dei controlli preoperatori;
� l’omessa richiesta di aiuto;
� la terapia errata;
� la terapia non eseguita correttamente;
� la carente supervisione di personale in
formazione.
Le scelte organizzative rappresentano la vera ca-
usa generatrice (root cause) dell’evento avverso,
intendendo per tale il danno causato dall’assi-
stenza sanitaria piuttosto che dalla malattia o
dalle condizioni del paziente.
Si profila, così, una visione più globale del pro-
blema, in cui un sistema complesso, come una
struttura sanitaria, può essere visto alla stregua
di un’organizzazione con vari livelli di “difesa”
dall’errore. Ogni livello, tuttavia, possiede al suo
interno punti deboli che, in seguito al mutare
delle condizioni, possono manifestarsi come tali
favorendo l’apertura di autentiche “falle nel mu-
ro”. La condizione che permetta il superamento,
attraverso tutti i punti deboli simultaneamente
creatisi, dei “muri difensivi” dell’organizzazione
rappresenta la causa generatrice di un errore in
grado di produrre un evento avverso (teoria del-
lo swiss cheese). Secondo questa ottica, dunque,
lo sforzo maggiore deve essere indirizzato a ri-
durre al minimo le condizioni generatrici degli
errori latenti, poiché l’errore attivo è difficile da
eliminare definitivamente. Per la sicurezza del
paziente occorre, quindi, privilegiare le strategie
di prevenzione, rispetto alle manovre di prote-
zione dalle conseguenze dell’errore. Del resto,
gli errori attivi e gli incidenti non rappresentano
altro che la punta di un iceberg, dal momento
che per ogni evento avverso verificatosi si suppo-
ne che diversi altri (quelli che SA. Nashef chiama
i near miss events) non dipendano semplice-
mente da un controllo o dall’azione, più o meno
tempestiva, di un operatore umano. Solo in tal
modo si potrà attuare una politica di sicurezza
dell’ambiente sanitario che abbia un effettivo ri-
scontro nei dati raccolti nei lavori scientifici.
Occorre chiedersi quale sia la strada da seguire
nello studio dei meccanismi di difesa dall’errore
medico. Sono possibili due soluzioni, peraltro
compatibili tra loro:
a) partire dall’evento accaduto e dagli errori
attivi, analizzando a ritroso tutte le circostanze.
Ciò significa individuare i potenziali errori
latenti che in qualsiasi maniera abbiano
contribuito al verificarsi dell’errore finale
(analisi reattiva);
b) analizzare prioritariamente l’organizzazione
di lavoro. In questo caso, l’ospedale deve essere
considerato un sistema vulnerabile in quanto
struttura complessa e, pertanto, potenziale por-
tatore di più punti deboli o criticità dove, una
volta individuati gli errori latenti, si possa proce-
dere alla loro individuazione prima che l’evento
avverso si verifichi (analisi proattiva e Failure
Modes and Effects Analysis – FMEA). Per ovviare
a tali evenienze, è necessario utilizzare strumen-
ti e indicatori strumentali per sorvegliare e valu-
tare l’organizzazione clinica, la corretta gestione
diagnostica e terapeutica e il rischio di danno fi-
sico e psicologico del paziente ricoverato. Orga-
nismi come la JCHAO (Joint Commission on
Accreditation of Healthcare Organizations) han-
no individuato la categoria degli eventi sentinel-
la. Episodi, questi, il cui solo verificarsi è indice
di una qualità del servizio insufficiente e della
necessità di immediate analisi per individuarne
le cause di insorgenza e gli interventi migliorativi
da attuare nel sistema. Nello specifico, essi sono
rappresentati prevalentemente da decessi (ad
es. un arresto cardiaco durante o dopo un inter-
vento chirurgico, sia esso di routine che di alta
specialità; la morte per parto), ma anche da pro-
cedure mediche errate causa di gravi lesioni fisi-
che, psichiche o rischio di esse (ad es. intervento
chirurgico su un organo sano;
somministrazione di sangue incompatibile). Gli
eventi sentinella rappresentano, cioè, degli
indicatori che evidenziano soglie di allarme.
Infine, occorre esaminare l’alleato principe
dell’errore, ossia la persona che lo commette.
L’errore più frequente del medico è determinato
da una elaborazione inadeguata di informazioni
perché sostenuta da un processo cognitivo sba-
gliato. Zhang J. E al.. (2002) propone una scala
gerarchica dell’errore medico in base ai fattori
cognitivi implicati. Alla base di tale modello egli
individua gli errori innescati dalla scarsa cono-
scenza degli individui, mentre il livello superiore
include le dinamiche sociali delle interazioni tra
gruppi di persone e tra questi ultimi e le tecnolo-
gie. In senso crescente nella scala, gli errori sono
attribuiti a fattori propri della organizzazione del
lavoro della struttura sanitaria (ad es. mancanza
di coordinazione o comunicazione, assenza di
metodiche di standardizzazione di processi ecc.)
e infine, al vertice, le linee guida politiche,
sanitarie e normative poco chiare, conflittuali o
difficili da applicare.
Tabella 2 – Le metodiche proposte per prevenire
l’errore medico sono diverse:
� semplificare i compiti uniformando le varie
procedure;
� dotare il paziente di un braccialetto – chip –
contenente dati personali, l’anamnesi e la terapia
in atto – a lettura a penna ottica preposta allo
scopo;
� seguire i protocolli e le linee guida nell’ambito
della diagnosi e della terapia;
� rendere i farmaci immediatamente riconoscibili,
racchiusi in confezioni monodose e con codici a
barre, allontanando dai reparti le sostanze
potenzialmente pericolose;
� relazioni e prescrizioni mediche scritte con
ausilio del pc e proibendo l’uso delle
abbreviazioni;
� verifiche e valutazioni periodiche del grado di
apprendimento ed esecuzione di tali norme da
parte del personale sanitario, puntando
soprattutto sulla finalizzazione al miglioramento.
I vertici di una azienda ospedaliera (o sanitaria)
che si prefiggono di garantire maggiore sicurez-
za al paziente dovrebbero partire da queste con-
siderazioni, istituendo innanzitutto una Unità di
Gestione del Rischio. Una struttura, questa, di-
retta da un professionista competente sull’argo-
mento e che esplichi funzioni di manager e di
coordinamento dei vari settori interessati al pro-
blema. Tale considerazione discende dalla con-
sapevolezza che accanto al rischio clinico esisto-
no altre aree “fallibili” (quali l’amministrazio-
ne, la logistica ecc.), che rendono la visione glo-
bale del rischio sanitario come un problema a
più facce. Il risk manager rappresenta, dunque,
il punto di convergenza di un flusso di informa-
zioni riguardanti – da un lato – l’analisi rigorosa
degli eventi avversi registrati e segnalati (inci-
dent reporting), e – dall’altro – la qualità, la far-
macovigilanza, la medicina legale, i servizi di
prevenzione dei luoghi di lavoro ai sensi della
legge 626/94 ecc. In tale contesto, le attività di
verifica professionale tra colleghi (audits), con
scadenze periodiche e basate sulla documenta-
zione clinica e non, rappresentano un momento
essenziale e ineludibile di confronto. Attraverso
gli audits, infatti, i professionisti possono: a) di-
scutere dei possibili errori latenti individuati e
non ancora trasformatisi in errori attivi, b) lavo-
rare per progettare, creare e perfezionare insie-
me un sistema organizzato strumentale ad osta-
colare le scelte mediche sbagliate. Tutto ciò
comporta, ovviamente, investimenti e una serie
di ostacoli da affrontare: dalla eccessiva settoria-
lizzazione del lavoro, tipica delle strutture sani-
tarie, alla necessità di formazione specifica sul-
l’argomento per medici, infermieri e farmacisti,
a volte restii ad accettare cambiamenti o “inva-
sioni di campo”. La realtà del nostro Paese è an-
cora lontana dagli scenari precedentemente au-
spicati. Attualmente, infatti, solo il 58% delle
strutture sanitarie italiane ha attivato un’Unità
di Gestione del Rischio Clinico.
La sfida lanciata può essere vinta solo attraverso
l’impegno pubblico dei governi nazionali e re-
gionali a erogare le risorse economiche necessa-
rie nonché attraverso gli incentivi alla formazio-
ne del personale sanitario presente (concernen-
ti eventi ECM, master specifici sull’argomento,
l’insegnamento della teoria degli errori all’inter-
no dei vari corsi di laurea). Inoltre, un ruolo
centrale deve essere svolto dalla verifica periodi-
ca dei professionisti tendente a responsabilizza-
re i medici in un clima per nulla punitivo. In ul-
timo, è doveroso creare una “cultura” dello stu-
dio del rischio di errore, scevra da condiziona-
menti massmediologici o sociologici che possa
riflettersi sulle Istituzioni e favorire in tal modo
l’innesco di un circolo virtuoso. Fondamentale
sarà, dunque, imparare a partire dall’errore per
ritornare ad esso più forti e preparati, poiché, “è
male minore l’agitarsi nel dubbio che il riposare
nell’errore”
Continuadalla prima pagina
Errore umano errare è umano
AVVISO
Anche i Colleghi pensionati possono
usufruire dei servizi offerti dall’AAROI.
Per la loro iscrizione è prevista
la quota annuale ridotta di
€ 100in unico versamento
5
Corso Itinerante A.A.R.O.I. – S.I.A.R.E.D. – S.I.A.A.R.T.I.
ECM anno 2008
SEDI E REFERENTI REGIONALI
PUGLIA – BASILICATABARI (modulo 1) – GRAND HOTEL LEON D’ORO – Piazza Moro, 4
BARI (moduli 2-3-4-5-6) – HOTEL EXCELSIOR CONGRESSI – Via Giulio Petroni, 15Marcello DIFONZO
LOMBARDIAMILANO (moduli 1-2-3-4-5) – Aula Magna A.O. NIGUARDA CÀ GRANDA – P.za Maggiore, 3
MILANO (modulo 6) – Aula Magna VILLA MARELLI – Viale Zara, 81Carlo CAPRA
CAMPANIA NAPOLI (tutti i moduli) – HOTEL DELLE TERME DI AGNANO – Via Agnano Astroni, 24 Antonio TROIANO
SARDEGNA
ORISTANO (modulo 5) – HOTEL IL DUOMO – Via Vittorio Emanuele, 34
ORISTANO (modulo 6) – LE TORRI – Via Sardegna, 23 – Palmas Arborea (OR)
ORISTANO (moduli 1-2-3-4) – HOTEL CARLO FELICE – SS 131, km 102 – Tramazza (OR)
Alessandra MELONI
TOSCANA FIRENZE (tutti i moduli) – HOTEL ALEXANDER – Viale Guidoni, 10 Paolo FONTANARI
VENETO – FRIULI VENEZIA GIULIA – TRENTO – BOLZANO VICENZA (tutti i moduli) – Centro Congressi VIEST HOTEL – Strada Pelosa, 241 (Uscita Vicenza Est) Flavio MICHIELAN
PIEMONTE – LIGURIA ALESSANDRIA (tutti i moduli ) – Aula Magna LICEO SCIENTIFICO “G. GALILEI” – Spalto Borgoglio, 49 Gian Maria BIANCHI
EMILIA ROMAGNA BOLOGNA (tutti i moduli) – Auditorium REGIONE EMILIA ROMAGNA – Via Aldo Moro, 18 Teresa MATARAZZO
CALABRIA LAMETIA TERME (tutti i moduli) – Sala Congressi GRAND HOTEL LAMETIA – Piazza Lametia Guido MINUTO
SICILIA PALERMO (tutti i moduli) – Sala Congressi ALBERGO ATHENEUM – Viale delle Scienze Emanuele SCARPUZZA
LAZIO – UMBRIAROMA (moduli 1-5-6) – HOTEL ROYAL SANTINA – Via Marsala, 22 – Roma
TERNI (moduli 2-3-4) – Sala Conferenze A.O. “SANTA MARIA” – Via Tristano di Joannuccio, 1Luigi RINALDI
MARCHE – ABRUZZO – MOLISES. BENEDETTO DEL TRONTO (tutti i moduli) – Sala Convegni HOTEL CALABRESI
Lungomare C. Colombo (Isola Pedonale Rotonda)Mario NARCISI
IL CALENDARIO
20 settembre 2008
BARI modulo 4
FIRENZE modulo 5
MILANO modulo 6
NAPOLI modulo 1
ORISTANO modulo 2
VICENZA modulo 3
25 ottobre 2008
BARI modulo 5
FIRENZE modulo 6
MILANO modulo 1
NAPOLI modulo 2
ORISTANO modulo 3
VICENZA modulo 4
22 novembre 2008
BARI modulo 6
FIRENZE modulo 1
MILANO modulo 2
NAPOLI modulo 3
ORISTANO modulo 4
VICENZA modulo 5
11 ottobre 2008
ALESSANDRIA modulo 4
BOLOGNA modulo 5
LAMETIA TERME modulo 6
PALERMO modulo 1
TERNI modulo 2
SAN BENEDETTO DEL TRONTO modulo 3
8 novembre 2008
ALESSANDRIA modulo 5
BOLOGNA modulo 6
LAMETIA TERME modulo 1
PALERMO modulo 2
TERNI modulo 3
SAN BENEDETTO DEL TRONTO modulo 4
13 dicembre 2008
ALESSANDRIA modulo 6
BOLOGNA modulo 1
LAMETIA TERME modulo 2
PALERMO modulo 3
TERNI modulo 4
SAN BENEDETTO DEL TRONTO modulo 5
I MODULI
MODULO 1
Crediti ECM richiesti
VALUTAZIONE PREOPERATORIA
DEL PAZIENTE DA SOTTOPORRE AD ANESTESIA
Paolo GREGORINI – Andrea DE GASPERI
Yigal LEYKIN – Claudio MELLONI – Flavia PETRINI
Sergio VESCONI – Gianna ZANETTE
MODULO 3
Crediti ECM richiesti
LA GESTIONE CLINICA DEL DOLORE ACUTO
PERIOPERATORIO: ORGANIZZAZIONE, FARMACI
E TECNICHE NEI DIVERSI CONTESTI CLINICI
Adriana PAOLICCHI – Fabio BORROMETI
Francesco DENI – Nicola LADIANA – Andrea MESSERI
Paolo NOTARO – Raffaella TROGLIO – Nicola ZADRA
MODULO 5
Crediti ECM richiesti
L’ECG
NELL’URGENZA CARDIOVASCOLARE
Franco VALENZA – Salvatore ALONGI
Fabio BELLUZZI – Alfredo LISSONI
Tiziana PRINCIPI
MODULO 2
Crediti ECM richiesti
ANESTESIA LOCOREGIONALE:
INDICAZIONI, INSUCCESSI E COMPLICANZE.
ISTRUZIONI PER L’USO
Teresa MATARAZZO – Giuseppe AMBROSINO
Aldo BARBATI – Laura BERTINI
Stefania TADDEI – Maurizio FUSARI
MODULO 4
Crediti ECM richiesti
LA VENTILAZIONE NON INVASIVA:
A CHE PUNTO SIAMO?
Giorgio CONTI – Roberta COSTA
Salvatore GRASSO – Cesare GREGORETTI
Mariano A. PENNISI – Tiziana PRINCIPI
MODULO 6
Crediti ECM richiesti
L’ANESTESISTA
E LA DONNA GRAVIDA
Danilo CELLENO – Agostino Brizzi
Antonio Di Pastena – Maria Grazia FRIGO
Pino PASQUA – Enzo VALTANCOLI
IL REBUS
6
È iniziato il Corso Itinerante
di Formazione Sindacale 2008-2009
OGNUNA DELLE 12 EDIZIONI DEL CORSO RISERVATA A 50 DIRIGENTI DELL’A.A.R.O.I.
IL RAPPORTO DI LAVORO DELLA DIRIGENZA MEDICA NELLA NORMATIVA CONTRATTUALE VIGENTE
PRIMA GIORNATA – Mattina
(prof. Marzio Scheggi – Health Management)
9.00-10.45 – ISTITUZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
� la legge 833 del 23 dicembre 1978
� i principi fondamentali posti a base del Servizio Sanitario Nazionale
� gli obiettivi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale
� l’unità sanitaria locale nel disegno normativo delineato dalla legge 833
� il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale secondo la legge 833
� la programmazione sanitaria ed i livelli uniformi di assistenza
� provvedimenti di modifica dell’assetto organizzativo delle USL
� la legge 4 del 15 gennaio 1986 (modifiche degli organi delle USL)
� la legge 111 del 4 aprile 1991 (soppressione del comitato di gestione e
istituzione dell’amministratore straordinario)
� la legge 412 del 30 dicembre 1991 (legge finanziaria 1992).
11.00-13.00 – IL RIORDINO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
� le direttrici portanti del processo di riordino del Servizio Sanitario Nazionale
� la legge 421del 23 ottobre 1992 (legge delega di riordino)
� il decreto legislativo 502 (30 dicembre 1992) e successive integrazioni e
modificazioni
(i decreti legislativi 517/1993 e 229/1999)
� le direttrici portanti del processo di riordino
� il sistema di finanziamento introdotto dalla normativa di riordino
� i livelli essenziali ed uniformi di assistenza
� i principali provvedimenti attuativi del processo di riordino
�DM 15 aprile 1994 (criteri per la determinazione delle tariffe DRGs)
�DM 14 dicembre 1994 (determinazione delle tariffe DRGs)
�DPR 14 maggio 1995 (carta dei servizi pubblici sanitari)
�DM 24 luglio 1995 (indicatori di efficienza e qualità del SSN)
�DM 22 luglio 1996 (tariffe di assistenza specialistica)
�DM 15 ottobre 1996 (indicatori di valutazione della qualità percepita)
�DM 30 giugno 1997 (aggiornamento delle tariffe DRGs)
�DPCM 29 novembre 2001 (i livelli essenziali ed uniformi di assistenza)
�DM 12 dicembre 2001 (indicatori per il monitoraggio dei LEA)
�DPCM 5 marzo 2007 (aggiornamento dei LEA)
�norme di interesse sanitario contenute nelle leggi finanziarie.
PRIMA GIORNATA – Pomeriggio
(prof. Marzio Scheggi – Health Management)
14.30-16.00 – IL RAPPORTO DI LAVORO
DEL DIRIGENTE MEDICO
� i principi portanti della riforma del pubblico impiego avviata in attuazione della
legge
delega 421/1992
� la distinzione tra indirizzo politico e gestione
� la responsabilizzazione sui risultati
� la temporaneità degli incarichi di direzione
� la valutazione delle capacità professionali
e manageriali
� l’articolazione della dirigenza medica
� il ruolo unico della dirigenza
� le tipologie di incarichi conferibili ad un dirigente medico
� i principi generali che devono essere applicati nel conferimento
� procedure per la conferma o la revoca degli incarichi dirigenziali.
16.00-17.30 – LA VALUTAZIONE DELLA DIRIGENZA MEDICA
� i riferimenti normativi dei meccanismi
di valutazione della dirigenza
� la legge delega 421/1992
� il decreto legislativo 229/1999
� il decreto legislativo 286/1999
� il decreto legislativo 165/2001
� la valutazione della dirigenza medica
� la valutazione delle capacità tecnico professionali
� la valutazione delle capacità manageriali
� la valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi
� i principi generali che devono essere applicati nella valutazione
� gli organismi preposti alle diverse tipologie di valutazione
� gli effetti della valutazione delle capacità tecnico professionali
� gli effetti della valutazione delle capacità manageriali
� gli effetti della valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi.
SECONDA GIORNATA – Mattina
(dott.ssa Marta Branca – ARAN)
9.00-10.45 – LA CONTRATTAZIONE SINDACALE
� tipologie e contenuti dei contratti di lavoro
� i contratti collettivi nazionali quadro (CCNQ)
� i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL)
� i contratti integrativi aziendali
� la contrattazione nazionale
� i principi ispiratori della contrattazione collettiva nazionale
� i soggetti deputati alla stipula del contratto collettivo nazionale
� l’ARAN: struttura e funzioni
� il Comitato di Settore: struttura e funzioni
� la procedura per la stipula del contratto collettivo nazionale
11.00-13.00 – IL SISTEMA AZIENDALE
DELLE RELAZIONI SINDACALI
� il sistema delle relazioni sindacali aziendali
� i principi ispiratori del sistema delle relazioni sindacali aziendali
� gli istituti in cui si articola il sistema delle
relazioni sindacali
– contrattazione
– concertazione
– consultazione
– informazione
– partecipazione
� materie e prerogative sindacali nei diversi
istituti in cui si articola il sistema
delle relazioni sindacali
� contrattazione
� concertazione
� consultazione
� informazione
� partecipazione
SECONDA GIORNATA – POMERIGGIO
un referente dell’Assessorato alla Sanità illustrerà
le indicazioni che la Regione, sede del Corso,
ha emanato nelle materie previste dall’articolo 9 del CCNL
14.30-16.00 – DISCIPLINA DI ISTITUTI DI PARTICOLARE RILIEVO
� finalità e criteri di determinazione dei fondi aziendali per
� retribuzione di posizione ed altre indennità connesse con l’incarico
� trattamento accessorio legato alle condizioni di lavoro
� retribuzione di risultato e qualità della
prestazione individuale
� diritti e doveri del dirigente medico in materia di formazione continua
�natura e finalità della formazione continua
�modalità di utilizzo delle quattro ore
settimanali per la formazione
� obbligo per l’azienda di garantire l’acquisizione dei crediti formativi
� obbligo per il dirigente di acquisizione dei crediti formativi
� il fondo aziendale per la formazione continua
� libera professione intramoenia
�natura e finalità della libera professione
intramoenia
� tipologie di attività libero professionale
� libera professione e attività istituzionale
� l’istituto del recesso
� termini di preavviso
� obblighi dell’azienda e diritti del dipendente
� struttura e funzioni del comitato dei garanti
� requisiti del parere espresso dal comitato
dei garanti
� risoluzione consensuale del rapporto
di lavoro.
16.00-17.30 – INDICAZIONI REGIONALI
� linee di indirizzo ai sensi dell’articolo 9 del CCNL
� formazione manageriale e formazione continua
� sistemi e meccanismi di valutazione
dei dirigenti
� razionalizzazione dei sistemi di emergenza urgenza
� mobilità conseguente a processi di ristrutturazione interna
� esercizio della libera professione e gestione delle liste di attesa.
Il Corso si terrà nelle sedi regionali che l’AAROI utilizza correntemente per lo svolgimento degli even-
ti ECM, al fine di facilitare la partecipazione dei colleghi delle diverse regioni.
Per ciascuna delle dodici edizioni in cui si articola il percorso formativo proposto dovrà essere indi-
viduato un Referente AAROI, scelto dai Presidenti delle Regioni interessate, che dovrà curare, d’inte-
sa con il prof. Scheggi, gli aspetti organizzativi ed operativi del Corso. Egli dovrà in particolare indica-
re nominativamente il numero di partecipanti in modo da conciliare l’esigenza di offrire questa op-
portunità formativa al maggior numero possibile di dirigenti. A questo riguardo bisognerà non supe-
rare la soglia dei 50 partecipanti, che costituisce un limite oltre il quale è molto difficile gestire la
necessaria interazione con i docenti.
Al termine di ogni giornata del Corso i partecipanti saranno sottoposti ad un semplice test di verifica
dell’ apprendimento degli argomenti affrontati e sarà altresì richiesta la compilazione di un questio-
nario per valutare la rispondenza alle loro aspettative dei contenuti e dell’organizzazione del Corso,
elemento indispensabile per apportare, anche in itinere, le modifiche necessarie per rispondere al
meglio alle attese dei destinatari dell’intervento formativo programmato.
7
CALENDARIO E SEDI DEL CORSO ITINERANTE
CITTÀ REGIONI SEDI GIORNI MESE ANNO REFERENTI
1 BARI Puglia e Basilicata Hotel Excelsior Congressi – Via Giulio Petroni, 15 9-10 ottobre 2008 dr. Antonio Amendola
2 BOLOGNA Emilia Romagna Jolly Hotel De La Gare – Piazza XX Settembre, 2 23-24 ottobre 2008 dr. Teresa Matarazzo
3 FIRENZE Toscana Hotel Alexander – Viale Guidoni, 101 6-7 novembre 2008 dr. Fabio Cricelli
4 LAMEZIA TERME Calabria Grand Hotel Lametia – Piazza Lametia 20-21 novembre 2008 dr. Guido Minuto
5 ALESSANDRIA Piemonte e Liguria Hospice “Il Gelso” – Via Burgonfio, 1 4-5 dicembre 2008 dr. Gianmaria Bianchi
6 MILANO Lombardia Aula Magna di Villa Marelli – Viale Zara, 81 11-12 dicembre 2008 dr. Gianmario Monza
7 NAPOLI Campania Hotel Terme di Agnano – Via Agnano Astroni, 24 15-16 gennaio 2009 dr. Antonio Troiano
8 ORISTANO Sardegna Hotel Le Torri – Via Sardegna, 23 – Arborea 29-30 gennaio 2009 dr. Vittorina Olianas
9 PALERMO Sicilia Hotel Atheneum – Viale delle Scienze 12-13 febbraio 2009 dr. Emanuele Scarpuzza
10 ROMA Lazio e Umbria Hotel Royal Santina – Via Marsala, 22 26-27 febbraio 2009 dr. Luigi Rinaldi
11 S. B. DEL TRONTO Marche, Abruzzo, Molise Hotel Calabresi – Lungomare C. Colombo 12-13 marzo 2009 dr. Mario Narcisi
12 VICENZA Veneto, Friuli, Bolzano, Trento Viest Hotel – Strada Pelosa, 241 26-27 marzo 2009 dr. Attilio Terrevoli
Ilpropofol è utilizzato frequentemente
in anestesia e in terapia intensiva (TI)
per le caratteristiche farmacocinetiche
favorevoli e la rapida reversibilità che
lo rendono un farmaco ideale per la sedazione
breve. Tuttavia il propofol si associa a un certo
numero di effetti secondari come acidosi, asisto-
lia, insufficienza cardiaca, rabdomiolisi e morte.
Sebbene nelle prime comunicazioni siano state
descritte condizioni di grave acidosi metabolica
durante l’infusione di propofol nel bambino, più
recentemente sono stati descritti dei casi anche
nell’adulto. Nel 1998, Bray propose l’espressione
“sindrome da infusione di propofol” (PRIS) per
descrivere la condizione clinica che si manifesta
con l’infusione di propofol nei bambini. Le carat-
teristiche cliniche della PRIS che originariamente
sono state descritte nei bambini comprendono
una bradicardia acuta refrattaria che porta all’asi-
stolia in presenza di uno o più delle seguenti ma-
nifestazioni: acidosi metabolica (deficit di base
basi � 10 mmol. l-1
), rabdomiolisi, iperlipemia,
e un fegato ingrossato o con degenerazione gras-
sa. Esiste una forte associazione tra PRIS e infu-
sione di propofol a dosi maggiori di 4
mg.Kg
-1
.h
-1
e per una durata maggiore di 48
ore. Il meccanismo con cui la sindrome si mani-
festa, non è stato ben chiarito ma in vitro vi è evi-
denza di un’alterazione della funzionalità mito-
condriale. Il trattamento dei pazienti con questa
sindrome richiede un’assistenza cardiovascolare
con pace-maker cardiaco ed emofiltrazione.
STORIA
Il primo caso di morte per PRIS è stato descritto
in Danimarca nel 1990 e la commissione sugli ef-
fetti secondari dei farmaci emanò una nota sul-
l’uso dell’infusione del propofol nei bambini. Si
trattava di un bambino di 2 anni con croup sedato
per 4 giorni con infusione di propofol (10
mg.Kg-1
.h-1
), che aveva manifestato acidosi meta-
bolica, insufficienza cardiaca, ipotensione ed
epatomegalia. Purtroppo la pubblicazione di que-
sto caso non ebbe un’adeguata attenzione; il qua-
dro clinico non fu ben compreso. Nel 1992, ci fu
una comunicazione di Parke che destò un forte
allarme. Gli autori presentarono la morte di cin-
que bambini tra 4 e 6 anni ricoverati in TI per il
trattamento di gravi infezioni respiratorie. I bam-
bini che erano stati ventilati e sedati con un’infu-
sione di 7-10 mg.Kg-1
di propofol per un tempo
compreso tra 66 e 115 ore manifestavano un’aci-
dosi metabolica, iperlipemia, epatomegalia, bra-
diaritmia e infine una progressiva insufficienza
cardiaca. È stata prospettata un’associazione tra
infusione di propofol e mortalità. In seguito un
bambino di 20 mesi con epiglottide manifestò la
PRIS in conseguenza di un’infusione di propofol
(flusso medio di 7,4 mg.Kg-1
.h-1
) per 56 ore. Di-
versamente dalle precedenti pubblicazioni, que-
sto paziente, il primo sopravvissuto alla PRIS, è
stato rianimato per un arresto cardiaco ed è stato
sottoposto a un’emofiltrazione veno-venosa per il
trattamento dell’acidosi. Cornfield con altri, in
una review retrospettiva di 142 bambini trattati in
rianimazione sedati con infusione continua di
propofol a una dose inferiore a 3 mg.Kg-1
.h-1
, non
ha rilevato alcuna associazione tra dosi di propo-
fol infuse, acidosi metabolica e instabilità emodi-
namica. Concluse che la somministrazione di
propofol è sicura ed efficace in terapia intensiva
pediatrica. Tuttavia il range dell’infusione di pro-
pofol era stato inferiore alla dose 4 mg.Kg-1
.h-1
che si accompagna alla tossicità del propofol. Qu-
esto studio presentava limitazioni statistiche per
il numero esiguo del campione di pazienti. Nel
2001 uno studio USA non pubblicato randomiz-
zato e controllato sull’uso di propofol che coinvol-
se 327 pazienti in TI pediatrica evidenziò un au-
mento della mortalità a 28 giorni nei pazienti
trattati con propofol con una tendenza verso la
significatività statistica. Il gruppo che non ave-
va ricevuto propofol presentò una mortalità del
4% mentre quelli che avevano ricevuto il propo-
fol all’1% presentarono una mortalità dell’8% e
i pazienti che avevano ricevuto il propofol al
2% presentarono una mortalità dell’11%. I pun-
teggi riguardanti la gravità delle patologie erano
simili nei tre gruppi. Lo studio fu interrotto in an-
ticipo e l’FDA emanò un avviso che proibiva l’u-
so di propofol per la sedazione di lunga durata
nella popolazione pediatrica. Tuttavia nel 1996
un “case report” descrisse la comparsa di una
grave acidosi metabolica in una donna di 30 anni
con insufficienza respiratoria (per asma) sedata
con infusione di propofol. La paziente manifestò
un peggioramento dell’acidosi metabolica (con
un aumento del gap anionico), nonostante l’as-
senza d’ipossia, ipotensione, sepsi, shock, diabe-
te o la somministrazione di catecolamine. L’aci-
dosi lattica si risolse 12 ore dopo l’interruzione
del propofol e la paziente fu estubata senza se-
quele. Questo caso suggerisce che un’acidosi
metabolica può indicare la comparsa di una
PRIS. La prima morte registrata per PRIS in un
adulto si ebbe nel 1998 in un paziente con epiles-
sia refrattaria che ricevette l’infusione di propofol
(con un flusso di 8,8-17,5 mg.Kg-1
.h-1
) per 44 ore.
Acidosi metabolica, ipotensione, iperkaliemia e
rabdomiolisi precedettero una bradicardia a
complessi larghi e per ultimo l’asistolia nono-
stante la rianimazione.
Cremer con altri in uno studio retrospettivo
di un gruppo di terapie intensive neurochi-
rurgiche riportò che 7 tra 67 pazienti adul-
ti con trauma cranico che avevano ricevu-
to propofol in infusione come sedativo ma-
nifestarono segni di PRIS e morirono.
Quando gli autori rivalutarono retrospettiva-
mente gli ECG di questi pazienti, rilevarono che
sei pazienti avevano manifestato un blocco di
branca destra con sopraelevazione del tratto ST
con onda convessa nelle derivazioni precordiali
destre (V1
-V3
) simile a quelle osservate nei pa-
zienti con sindrome di Brugada (figura 1).
La sindrome di Brugada è una morte improvvisa
cardiaca ereditaria causata da un difetto nei cana-
li ionici del miocardio che causa instabilità elet-
trica aumentando la corrente di uscita e/o ridu-
cendo la corrente di entrata alla fine della fase I
nel potenziale d’azione cardiaco. Queste modifi-
cazioni elettrocardiografiche precedono l’aritmia
ventricolare maligna che causa la morte cardiaca
improvvisa in questi pazienti. Vi sono state diver-
se comunicazioni di precoce comparsa di acidosi
metabolica in pazienti non ricoverati in terapia
intensiva con dosi di propofol elevate per brevi
periodi. Una donna di 31 anni sedata con propo-
fol per un intervento di ablazione ad alta frequen-
za per fibrillazione atriale cronica. L’acidosi me-
tabolica si manifestò (pH 7,3, BE -8 mmol.l-1
) do-
po 395 minuti d’infusione di propofol e questa si
risolse gradualmente dopo l’arresto dell’infusio-
ne. L’autore concluse che l’acidosi metabolica
era stata provocata solo dal propofol, non esisten-
do altra causa d’acidosi metabolica. Ipotizzò che
la PRIS può essere reversibile nelle prime fasi e
pose in risalto il fatto che si deve evitare di som-
ministrare propofol in dosi elevate e per un lungo
periodo. Nel 2004, la Commissione Australiana
sulle reazioni avverse ai farmaci ha pubblicato
una nota riguardante l’uso di propofol in infusio-
ne in TI nei soggetti adulti per sedazione racco-
mandando di non infondere il propofol a un flus-
so maggiore di 4 mg.Kg-1
.h-1
.
CASI PUBBLICATI
Sebbene la PRIS sia stata considerata inizialmen-
te una sindrome associata a soggetti in età pedia-
trica, ora è evidente che si può manifestare anche
negli adulti. Finora in letteratura sono stati de-
scritti 32 casi pediatrici e 29 adulti, e 12 pa-
zienti pediatrici e 11 adulti sono sopravvissuti;
sette dei 12 pazienti pediatrici e uno degli undici
adulti sopravvissuti presentavano le caratteristiche
della PRIS, mentre gli altri pazienti evidenziavano
un’acidosi metabolica o altri segni precoci di PRIS.
Sette dei 61 casi sono comparsi in corso di ane-
stesia generale con l’infusione di propofol. La
maggior parte dei casi descritti presentava pato-
logie del SNC o respiratorie (22 con malattie re-
spiratorie e 33 con malattie neurologiche).
8
Sindrome da infus
Figura 1
Blocco di branca destra con sopraelevazione del tratto ST con curva convessa in V1 e V3 solitamente precede l’aritmia
ventricolare maligna nella sindrome da infusione di propofol.
9
MECCANISMO DELLA PRIS
La prima teoria sull’eziologia dell’acidosi nella
PRIS comprendeva un’alterazione del metaboli-
smo epatico dei lattati per la presenza dell’intrali-
pid nel propofol che determinava un accumulo di
lattati e acidosi, accumulo di metaboliti inattivi del
propofol e microembolizzazione dei lipidi. Tuttavia
ricerche recenti hanno posto l’attenzione su un-
’alterazione della catena respiratoria mitocon-
driale. Se il difetto mitocondriale determinato dal
propofol attraverso un metabolita non identificato
o da un difetto neuromuscolare presente è oggetto
di dibattito, Cray con altri sostiene la teoria che un
metabolita del propofol determina una lesione bio-
chimica che rompe la catena respiratoria com’è
evidente da una riduzione del citocromo C ossidasi
nei mitocondri muscolari, che determinano un’in-
sufficienza della produzione di ATP, ipossia cellu-
lare e acidosi metabolica. Metha con altri dimostra
una riduzione dell’attività del complesso IV e del
rapporto della citocromo ossidasi mitocondriale
negli studi in vitro. Gli studi su tessuto cardiaco di
maiali guinea hanno confermato che il propofol
altera l’utilizzazione di ossigeno o inibisce il
flusso di elettroni lungo la catena di trasporto di
elettroni mitocondriali nelle fibre muscolari
miocardiche.
Durante la pubblicazione dei primi casi di PRIS, è
stato ipotizzato che la sindrome poteva essere ca-
usata da sepsi non trattata, o che l’acidosi meta-
bolica fosse una conseguenza dell’insufficienza
renale e le successive aritmie fossero dovute solo
all’acidosi. Ahlen con altri in una review spon-
sorizzata dall’Astra Zeneca (il produttore del
diprivan), ipotizzava che le caratteristiche car-
diovascolari della PRIS potessero essere spiega-
te con la sepsi e con la risposta infiammatoria
sistemica nella maggior parte dei casi pubbli-
cati. In una grande quantità di pubblicazioni che
hanno interessato pazienti con danni cerebrali e
edema cerebrale, ipotizzano che la restrizione di
liquidi e l’uso di vasocostrittori sono stati impor-
tanti fattori causali giacché hanno alterato la per-
fusione tessutale. Inoltre suggeriscono che la rab-
domiolisi può essere spiegata con un’inadeguata
disponibilità d’ossigeno nei muscoli scheletrici,
che porta a un metabolismo anaerobico, e, se gra-
ve, determina la morte delle cellule muscolari
con rabdomiolisi e aumento dei livelli plasmatici
di creatinina. In alcuni casi descritti la rabdomio-
lisi si può associare con la somministrazione di
dosi elevate di steroidi.
L’epatomegalia e la modificazione dei lipidi de-
scritta con la PRIS può essere mediata da altri
meccanismi. Bray suggerisce che questa è causa-
ta da congestione epatica secondaria all’insuffi-
cienza cardiaca. L’infiltrazione grassa degli orga-
ni può essere causata da un elevato contenuto in
lipidi del propofol. Parke con altri propone che
nei soggetti in condizione critica, per l’aumentata
stimolazione simpatica il cortisolo e l’ormone
della crescita aumentano la lipolisi e l’ossidazio-
ne dei grassi, determinando un forte aumento di
acidi grassi non esterificati in circolo. Ahlen con
altri ha ipotizzato che l’ipoperfusione, l’ipossia, la
sepsi, la condizione ipermetabolica e la terapia
vasopressoria alterano la funzione epatica ed
esaltano l’iperlipemia. Il normale metabolismo
dei lipidi nel fegato richiede carboidrati come
substrato. Gli autori ipotizzano che in conseguen-
za di uno svuotamento dei depositi di carboidrati
nei soggetti in condizioni critiche, l’accumulo dei
lipidi associato a un’elevata infusione di propofol
non è dovuto a una tossicità diretta del propofol
ma piuttosto alla conseguenza dell’esaurimento
dei depositi di carboidrati. Tuttavia, questo non
può spiegare la comparsa della sindrome in alcu-
ni pazienti che manifestano i sintomi della PRIS
durante un’anestesia di durata relativamente
breve. Non si può escludere la possibilità di una
predisposizione di base. Vasile e collaboratori
propongono la necessità di fattori “priming” e
“triggers”. I fattori priming comprendono le cate-
colamine endogene, i glicocorticoidi, la produzio-
ne di fattori infiammatori sistemici e di citochine
nei pazienti in condizioni critiche di salute. I fat-
tori triggers sono costituiti da dosi elevate di pro-
pofol, di catecolamine esogene e di corticosteroi-
di. Nei pazienti in condizioni critiche le catecola-
mine endogene ed esogene contribuiscono al
danno dei muscoli cardiaco e periferici. Vasile ri-
leva che la degenerazione delle miofibrille nei
muscoli cardiaci e scheletrici si associa a un’alta
concentrazione ematica di catecolamine esogene
ed endogene. Inoltre la lipolisi indotta dalle cate-
colamine determina un carico elevato di acidi
grassi che fanno parte della patologia. Gli steroidi
possono inoltre avere un ruolo scatenante nel
danno muscolare acuto. Molti pazienti che mani-
festano la PRIS ricevono dosi elevate di steroidi
durante il trattamento in terapia intensiva. Si è
ipotizzato che gli steroidi inducono una proteolisi
delle miofibrille contrattili cardiache.
PREVENIRE LA PRIS NEI PAZIENTI
IN TERAPIA INTENSIVA
I depositi di carboidrati si esauriscono più rapi-
damente nei bambini rispetto agli adulti e que-
sto può spiegare la maggiore prevalenza della
PRIS nei bambini. Nei pazienti in condizioni criti-
che un apporto insufficiente di carboidrati stimola
la mobilizzazione dei depositi di grassi e aumenta
il metabolismo; questo aumenta il carico di acidi
grassi liberi e predispone alla PRIS. È stato suggeri-
to che la somministrazione precoce di carboidrati
possa prevenire la PRIS prevenendo lo spostamen-
to verso il metabolismo dei lipidi. Indubbiamente
la maggiore entità dei depositi di carboidrati ne-
gli adulti può spiegare l’incidenza più bassa di
questa sindrome negli adulti. Wolf con altri sug-
gerisce che la somministrazione di 6-8
mg.Kg
-1
.min
-1
di glucosio può bloccare il metabo-
lismo dei carboidrati nei bambini in terapia in-
tensiva e pertanto prevenire la PRIS.
Un problema importante con il propofol è dato
dal carico di lipidi presente nella preparazione.
Un carico di lipidi di 3-4 gr.Kg-1
.giorno-1
si ritiene
adeguato nei bambini in nutrizione parenterale
totale. Questo equivale a un apporto di grassi con
il propofol all’1% a una velocità di 4 mg.Kg.h-1
.
Poiché la maggior parte dei casi descritti di PRIS
si sono avuti con una velocità d’infusione maggio-
re di 4 mg.Kg.h-1
, si pensa che un carico eccessi-
vo di lipidi possa essere un fattore aggravante.
L’uso di soluzioni di propofol più concentrate
(60 mg.ml
-1
) può ridurre l’apporto di lipidi.
SEGNI PRECOCI DELLA PRIS
C’è grande interesse per identificare un segno
precoce della PRIS. Un’acidosi metabolica non
spiegabile, un aumento nel plasma dei lattati, del
CPK e della mioglobina o l’iperlipemia sono tutti
segni che possono precedere la PRIS. Tre casi de-
scritti suggeriscono che una comparsa precoce
di acidosi lattica dopo l’inizio dell’infusione di
propofol in assenza di altre causa può costitui-
re un marker precoce della PRIS. Koch con altri
descrive l’andamento di una bambina di 5 anni
sedata con dosi elevate di propofol in infusione in
ICU dopo l’embolizzazione di una malformazione
artero-venosa cerebrale. Manifesta acidosi lattica
(lattati 5,3 mmol.l-1
, BE -5,6 mmol-1
, pH 7,31), 6
ore dopo l’inizio dell’infusione di propofol. L’aci-
dosi scompare dopo l’interruzione del propofol.
Non si sono evidenziate altre caratteristiche della
PRIS. Kill con altri ha riferito il caso di un bambi-
no di 7 anni con osteogenesi imperfetta sottopo-
sto a chirurgia del femore distale che ha manife-
stato acidosi lattica dopo 150 minuti di anestesia
con propofol (velocità media d’infusione di 13,5
mg.kg-1
.h1). Haase ha descritto un aumento dei
lattati plasmatici (2,7 mmol.l-1
) dopo un’infusio-
ne di soli 40 minuti (dose totale 6,1 mg.kg-1
). Il li-
vello dei lattati ha raggiunto un picco di 9,4
mmol.l-1
7 ore dopo, quindi è ritornato pressoché
normale nelle 10 ore successive. Onur con altri
ha studiato l’effetto del propofol sullo stato aci-
do-base e i livelli epatici e miocardici degli enzimi
con l’anestesia breve nei bambini. Le sole varia-
zioni statisticamente significative nel gruppo del
propofol sono state un valore di pH più basso e un
livello di trigliceridi più alto. Tuttavia le modifica-
zioni non sono state clinicamente importanti. Un
aumento dei livelli di malonilcarnitina e acilcar-
nitina (C2, 4 o 5) indicano un’alterazione del me-
tabolismo degli acidi grassi e possono costituire
possibili markers precoci dell’inizio della PRIS,
ma questi test non sono prontamente disponibili
nella maggior parte dei laboratori. L’ipertriglice-
ridemia è stata ben documentata in diversi ca-
si di pazienti con PRIS. Un forte aumento dei
trigliceridi plasmatici si manifesta anche nelle
infusioni brevi di propofol in soggetti sani sen-
za effetti secondari. Il ruolo dei trigliceridi pla-
smatici come marker precoce della PRIS è poco
probabile. È stato suggerito il monitoraggio pla-
smatico del CPK e dei livelli di mioglobina, ma la
sua utilità come marker precoce della PRIS è di-
scutibile. Le modificazioni dell’ECG in un sog-
getto che riceve un’infusione di propofol può
mettere in allarme il clinico come indice di un-
’imminente PRIS. La manifestazione di un so-
praslivellamento del tratto ST nelle derivazioni
precordiali destre (da V1 a V3) simile a quella
che si evidenzia nella sindrome di Brugada,
può essere il primo segno d’instabilità cardiaca
comunemente associato alla PRIS.
TRATTAMENTO
Il trattamento con successo della PRIS si ha con
un pronto riconoscimento dei primi sintomi.
L’infusione del propofol deve essere interrotta e
somministrato un sedativo diverso. È necessa-
rio un supporto cardiorespiratorio e l’emodiali-
si o l’emofiltrazione. I trattamenti di supporto
convenzionali hanno uno scarso successo nella
terapia della PRIS. Molte descrizioni di casi cli-
nici pongono in evidenza la refrattarietà di
questa patologia al supporto volemico e all’uso
di dosi crescenti di inotropi. Si è avuto un suc-
cesso limitato con l’uso di pace-maker cardiaci
(sia trans venosi sia esterni). In due casi si è otte-
nuto un successo con l’uso dell’ossigenatore a
membrane extracorporeo (ECMO) per l’ossige-
nazione e per il supporto circolatorio. Sono stati
indicati l’uso dell’emodialisi o dell’emo-
filtrazione per ridurre i livelli ematici di
metaboliti acidi e di lipidi, come il trat-
tamento più efficace della PRIS grave se
associato al supporto cardiorespiratorio.
L’eterogeneità delle manifestazioni e l’assenza di
precisi dati cardiovascolari rendono difficile con-
siderare la PRIS come un’entità clinica distinta.
Attualmente sono disponibili conoscenze che in-
dicano che la velocità d’infusione e la durata della
somministrazione del propofol possono essere
un fattore importante nella comparsa di questa
sindrome soprattutto nei soggetti in condizioni di
salute critica trattati in rianimazione. Devono es-
sere adottati comportamenti precauzionali nel-
l’uso del propofol in TI e in anestesia. Si racco-
manda di evitare la somministrazione di pro-
pofol a un flusso maggiore di 4 mg.kg
-1
.h
-1
. Tut-
tavia vi sono descrizioni che indicano che la
PRIS può manifestarsi con l’infusione di dosi
elevate per un periodo breve. È stata descritta
un’acidosi metabolica 1-4 ore dopo l’inizio del-
l’infusione. Una reazione d’intolleranza o una
predisposizione genetica deve essere presa in
considerazione. I fattori predisponenti compren-
dono la giovane età, danni gravi al SNC e all’appa-
rato respiratorio, la somministrazione di cateco-
lamine o glicocorticoidi, l’introduzione inadegua-
ta di carboidrati, e patologie mitocondriali subcli-
niche. Sono necessari altri studi capaci di indivi-
duare il preciso meccanismo fisiopatologico della
sindrome, e l’identificazione di una generica pre-
disposizione, in modo da poter evitare la PRIS nei
soggetti sensibili.
sione di propofol
10
La sperimentazione sul vivente
una riflessione in chiave etica
Che cos’è la bioetica
e quali sono i suoi compiti?
Confesso che la mia prima nomina a membro del
Comitato Nazionale per la Bioetica mi colse tal-
mente impreparato che avrei avuto difficoltà per-
sino a rispondere a questa domanda elementare.
Ne fui spaventato e pensai di dimettermi, ma pri-
ma di farlo mi rivolsi per un consiglio ad una per-
sona a me cara. Il suo commento fu reciso:
«Accetti, perché l’etica è una sola. I suoi princi-
pi sono semplici e valgono per tutte le attività
umane, inclusa la scienza della vita. Lei li co-
nosce già, anche se non ne è consapevole».
In realtà, io questi principi li avrei scoperti solo
negli anni successivi, mettendoli a fuoco nel cor-
so dei dibattiti bioetici nei quali sono stato coin-
volto. Da biologo, abituato ad osservare tutto nel-
la prospettiva di ciò che Jacob (1971) chiama la
“logica del vivente”, ho poi cominciato a coglier-
vi le tre leggi fondamentali della vita (Silvestrini,
1999). La prima riguarda il dovere che ogni sin-
golo vivente ha di difendere se stesso, perché,
per quanto piccolo sia, anch’egli è portatore del
grande “progetto della vita” (Dulbecco, 1989) e
contribuisce a preservarlo ed a svilupparlo. La
seconda legge, chiamata della solidarietà, ri-
guarda i diritti della collettività, che sono inter-
connessi con quelli dell’individuo, perché gli
uni si intrecciano con gli altri, sostenendosi reci-
procamente. Queste due leggi sono state espres-
se in mille maniere, anche elaborate e comples-
se, ma per enunciarle bastano poche parole:
«Ama il prossimo tuo come te stesso».
Il messaggio religioso le porta alle estreme conse-
guenze, ma nello stesso tempo le riafferma, per-
ché indica che chi si dedica agli altri valorizza, im-
plicitamente, anche se stesso. Il termine “prossi-
mo” indica un rapporto di contiguità, che si
estende man mano a tutto il creato, ma non con
lo stesso grado d’intensità. È un rapporto recipro-
co, inoltre, che si rafforza nei limiti in cui ciò che
si dona è restituito. In queste poche parole sono
racchiusi i principi che sono alla base non solo
della convivenza civile, ma anche della vita.
Vi è poi una terza legge, che spesso rimane in
ombra, almeno nei termini in cui mi accingo ad
esporla, ma è anch’essa basilare. Essa è implici-
ta nella capacità della vita di resistere alle forze
avverse con adattamenti di segno opposto, che
superano le difficoltà alle quali si oppongono. In
questo modo la vita evolve, passo dopo passo,
difficoltà dopo difficoltà, verso sistemi sempre
più complessi e organizzati. In altre parole, so-
pravvive sviluppandosi. Questa terza legge, al-
trettanto cogente quanto le altre due, si manife-
sta biologicamente attraverso l’evoluzione della
specie, ma include anche il progresso della civil-
tà umana, perché entrambi ubbidiscono al me-
desimo principio. La teoria evoluzionistica pro-
pone, a sua volta, una nozione già presente, sep-
pure in forme diverse, in alcune espressioni del
dettato religioso e del pensiero filosofico. “Tutto
scorre”, ma scorre attraverso una dialettica che
con la vita procede in una direzione particolare,
diversa da quella della parte restante dell’uni-
verso conosciuto. La scienza, che è lo strumento
del progresso umano, ne è nobilitata ed acquista
una valenza etica, perché contribuisce alla
difesa ed allo sviluppo della vita.
La bioetica recepisce questi principi. La sua novi-
tà non sta qui. Non sta nemmeno nella percezio-
ne dell’effetto dirompente che la scienza può ave-
re sulle condizioni di vita dell’uomo. Questo ti-
more è stato bruscamente risvegliato dalle bombe
atomiche e dalle manipolazioni genetiche, ma
riecheggia lungo tutta la storia dell’uomo, nei mi-
ti, nel pensiero filosofico e nelle religioni.
Nemmeno il bisogno di regolare la scienza, al
pari di ogni altra attività umana, costituisce una
novità della bioetica. Il problema è semmai, di
distinguere la parte intrinsecamente libera della
scienza da quella che va regolata. La parte libera
è quella che si limita a scoprire ciò che esiste già,
indipendentemente dalla responsabilità, etica o
d’altro genere, dell’uomo. “Eppur si muove”: lo
sussurra Galileo Galilei, che abiura, perché è
pressato a farlo, ma nello stesso tempo rileva
che la Terra gira in ogni modo, indipendente-
mente dalla volontà sua e dei suoi inquisitori.
Il giudizio morale riguarda, semmai, la bontà
della scienza, intesa come capacità di tradurre la
realtà in una conoscenza obiettiva, controllabile
e verificabile da chiunque. Nemmeno il bisogno
di conoscenza, quello che spinge l’uomo a guar-
darsi intorno, oltre che dentro se stesso, è assog-
gettabile a vincoli, perché rientra nella terza leg-
ge della vita. È persino compreso tra i principi
fondamentali della nostra Costituzione.
Va regolata l’altra parte della scienza, quella che
comprende gli strumenti necessari per perse-
guirla e le sue applicazioni pratiche, perché en-
trambi coinvolgono la volontà e la responsabilità
dell’uomo.
I dubbi e le difficoltà non riguardano questi
principi e concetti generali, che sono nello stes-
so tempo universali ed elementari, ma la loro
messa in opera: è qui che subentrano le inter-
pretazioni, le incertezze e le strumentalizzazio-
ni. Si potrebbero fare mille esempi, ma ne basta
uno soltanto per mostrare le difficoltà che si in-
contrano quando dal piano teorico si scende a
quello pratico. L’iprite, un tipico frutto della ri-
cerca scientifica, è stata per la prima volta impie-
gata come gas asfissiante nella Prima Guerra
Mondiale. Ne è seguita la messa al bando inter-
nazionale non solo di questo agente, ma anche
di tutti gli agenti alchilanti appartenenti alla me-
desima classe chimica. Questo provvedimento
non ne ha impedito l’uso perverso, mentre ha ri-
tardato lo sviluppo dei primi antitumorali, che
hanno la stessa origine e hanno poi salvato, sep-
pur in ritardo, migliaia di vite umane. Questo ca-
so insegna che i frutti della scienza non sono bu-
oni o cattivi in sé, ma secondo l’uso che se ne fa.
È un insegnamento che si applica anche alle ide-
ologie e alle religioni. L’ebraismo, il cristianesi-
mo e l’islamismo, per citare le tre grandi religio-
ni monoteistiche, sono portatrici di principi, spi-
rituali ed etici, di valore universale, eppure sono
state spesso trasformate in strumenti di morte.
La bioetica ha queste radici profonde, ma emerge
come disciplina autonoma nella nostra epoca,
con la consapevolezza piena e diffusa che la
scienza è troppo importante perché se ne possa
lasciare il controllo esclusivo a chi in precedenza
la gestiva autonomamente. Questa consapevolez-
za si è tradotta in un modo nuovo di affrontare i
problemi, non solo sotto una prospettiva multidi-
sciplinare, ma coinvolgendovi l’intera società, in
tutte le sue parti, espressioni e manifestazioni.
I compiti della bioetica si ricavano facilmente
dai documenti che ne hanno istituito ed ufficia-
lizzato gli organi, rappresentati dai suoi comitati
locali, nazionali ed internazionali e dai centri ac-
cademici dedicati al suo insegnamento. In estre-
ma sintesi, a me sembrano essenzialmente due:
� affrontare i problemi della scienza sotto una
prospettiva multidisciplinare, recependo i bi-
sogni ed i sentimenti della collettività;
� fornire pareri ed indicazioni, attuare iniziative
pratiche di tipo educativo, propositivo e consu-
lenziale.
Il compito di favorire e promuovere il dibattito
etico è implicito nelle caratteristiche generali di
questa disciplina e ne accompagna l’attività, in
tutte le sue fasi.
Questo è il quadro di riferimento generale, al-
l’interno del quale si colloca la sperimentazione
sul vivente.
Che cos’è la sperimentazione
sul vivente?
Secondo la concezione aristotelica originale,
sintetizzata nel canone che “l’evidente esperien-
za deve preporsi ad ogni umano discorso”, la
fonte della conoscenza è lo studio diretto della
natura. Con Galileo Galilei si va oltre, aggiungen-
do all’esperienza non solo l’interpretazione e la
dimostrazione matematica, ma anche l’esperi-
mento. Esso riproduce o evoca artificialmente i
fenomeni naturali, facilitandone lo studio e la
traduzione in conoscenze scientifiche. È il meto-
do sperimentale, che ben presto diventa il fon-
damento delle scienze moderne. Da una parte ci
sono le osservazioni sporadiche, le ipotesi, le te-
orie, le attività speculative in genere, dall’altra la
scienza, che va al sodo, separando ciò che è do-
cumentabile e riproducibile da ciò che potrebbe
esserlo ma non è sicuro che lo sia. Lo strumen-
to, il setaccio che consente di separare il certo
dall’incerto è il metodo sperimentale.
La riproduzione di un fenomeno naturale attra-
verso l’esperimento è relativamente agevole nel
campo delle scienze fisiche. Consideriamo, ad
esempio, la teoria della forza di gravità. Isaac
Newton (1642-1727) vede cadere una mela dal-
l’alto. Anzi, la leggenda vuole che la prima volta
la mela gli fosse caduta in testa. Questa è l’osser-
vazione di partenza, riguardante un fenomeno
naturale, che però da sola alla scienza non ba-
sta. Per confermarla e studiarla meglio si ricorre
alla sua riproduzione sperimentale, che in que-
sto campo non comporta particolari problemi,
perché la forza di gravità si manifesta allo stesso
modo sia quando la caduta di un oggetto è spon-
tanea, sia quando è indotta artificialmente. Le
difficoltà subentrano quando le forze in gioco
non sono alla portata dell’uomo o quando inter-
viene il principio di indeterminazione di Heisen-
berg, che rende i fenomeni elementari impreve-
dibili e, di conseguenza, non riproducibili. Ovve-
ro, anche questi fenomeni possono essere ripro-
dotti, ma solo per le loro caratteristiche ricor-
renti, che li accomunano, non per la loro specifi-
cità. Le caratteristiche ricorrenti comprendono,
per esempio, l’imprevedibilità stessa, che dipen-
de dal principio appena citato. Sul piano etico, l’e-
sperimento di Newton non ha sollevato, in rela-
zione ai suoi modi d’esecuzione, alcun problema.
Con le scienze della vita, e quindi anche con la
medicina, le cose si complicano. Innanzi tutto i
processi vitali sono più complessi ed organizzati
di quelli meramente fisici. L’esperimento diven-
ta così più difficile, ma non perché le loro mani-
festazioni sono più difficili da riprodurre. Sono
problemi non solo teorici, ma anche pratici, per-
ché un esperimento infedele o parziale può ave-
re effetti distorcenti sulle conoscenze scientifi-
che che se ne ricavano e sulle loro applicazioni.
Si pensi, per fare un solo esempio, ai modelli
sperimentali di malattie mentali, largamente
impiegati nella ricerca psicofarmacologica. Poi-
ché la corrispondente situazione naturale è mol-
to complessa, oltre che poco conosciuta, se ne
possono riprodurre solo alcune manifestazioni
esteriori. Le conoscenze ricavabili da esperi-
menti di questo tipo sono parziali e orientano la
terapia su aspetti marginali della malattia. Que-
sta è, per inciso, il tipo d’argomentazione avan-
zata dagli antivivisezionisti, che negano la possi-
bilità di estrapolare all’uomo i risultati della spe-
rimentazione condotta su altre specie viventi. In
realtà il problema è molto più complesso, come
vedremo tra poco.
Le scienze della vita, inoltre, non studiano solo
la materia, ma anche esseri viventi, dotati di una
capacità riproduttiva. Gli effetti di un esperimen-
to che modifichi le caratteristiche genetiche di
un essere vivente possono irradiarsi, di conse-
guenza, oltre il controllo dell’uomo. Il dibattito
sugli organismi geneticamente modificati verte
su questo punto, oltre che su molti altri.
Col crescere del grado di organizzazione ed evo-
luzione del vivente emerge un altro problema
etico, rappresentato dai diritti individuali. L’at-
tribuzione ai mammiferi di una qualità diversa
da quella degli invertebrati, o delle piante, è una
consuetudine consolidata, ma per certi aspetti
arbitraria. È in contrasto non solo con la scienza,
là dove riconosce la sostanziale unitarietà della
vita nella sua manifestazione elementare, ma
anche con alcune religioni che pervengono, per
strade diverse, a conclusioni analoghe. Ciascun
essere vivente va quindi rispettato, se non altro
perché è parte integrante del sistema complessi-
vo della vita, nel quale rientra anche l’uomo. Noi
sappiamo che perfino le forme più elementari di
vita, come i microbi, sono indispensabili per l’e-
quilibrio ecologico complessivo: tutelandoli, di
conseguenza, l’uomo tutela se stesso. Tutto que-
sto è scritto nelle leggi elementari della vita, che
la scienza sta scoprendo, prima ancora che nei
principi della bioetica.
Passando dal generale al particolare, in medici-
na la sperimentazione sul vivente propone un
dilemma particolare, legato alle peculiari finali-
tà di questa disciplina. La medicina ha il compi-
to di proteggere e curare il “paziente”, rappre-
sentato non solo dall’uomo, ma anche, in veteri-
naria, dall’animale. Con la sperimentazione es-
sa trasforma, invece, questo paziente in uno
strumento d’indagine, esponendolo ad incogni-
te e rischi privi, in molti casi, di una controparti-
ta in termini di benefici medici, diretti od anche
indiretti. Se è effettuata sull’uomo, la sperimen-
tazione infrange l’imperativo etico di Kant, se-
condo il quale la persona deve essere sempre un
fine, non un mezzo. Se si tratta dell’animale, in-
frange un principio altrettanto sacro, rappresen-
tato dalla tutela degli esseri deboli ed indifesi. Su
un piatto della bilancia c’è la sperimentazione,
ma sull’altro c’è la necessità, per proteggere e
curare il paziente, di raccogliere un certo nume-
ro di conoscenze e di collaudarne le applicazioni
terapeutiche. Per riuscirci, la medicina deve alla
fine passare attraverso l’esperimento sul viven-
te, perché è lì in definitiva che essa opera.
La sperimentazione sul vivente non è stata solo
decisiva per gli sviluppi moderni della medicina,
che hanno sostanzialmente contribuito al mi-
glioramento della qualità e durata della nostra
esistenza, ma ha anche consentito di ridurre
progressivamente il ricorso al vivente nella ricer-
ca stessa e nella didattica. Le alternative attuali,
consistenti nell’impiego di cellule, di tessuti, di
materiale biologico, di strumenti meccanici ed
elettronici, oltre che di immagini e filmati, na-
scono da studi sperimentali. La pressione del
sangue, per citare un caso tipico, può oggi essere
misurata in maniera incruenta ed indolore per-
ché nel 1733 Stephen Hales ha sacrificato una
giumenta, incannulandone un’arteria e colle-
gandola ad un tubo verticale pieno d’acqua, che
si sollevò fino all’altezza di 2,5 metri. È difficile
immaginare una medicina non sperimentale,
che non consideri il vivente anche come stru-
mento, oltre che come oggetto delle proprie cu-
re. Se non lo fosse stata, sarebbe rimasta un’ap-
prossimativa ed arcaica arte empirica. Se non
continuasse ad esserlo, cesserebbe di progredi-
re, così come noi auspichiamo.
La proibizione indiscriminata della sperimenta-
zione sul vivente, che qualcuno auspica, in veri-
tà pensando soprattutto all’animale, fermereb-
be il progresso in medicina, così come in molti
altri campi: di conseguenza sarebbe, in base alle
considerazioni precedentemente esposte sulla
seconda e sulla terza legge della vita, eticamente
inaccettabile.
Il problema va piuttosto affrontato in termini co-
11
struttivi, da un lato regolando al meglio la speri-
mentazione sul vivente, dall’altro cercando di
conciliare le finalità proprie della medicina con le
necessità del progresso scientifico. La regolamen-
tazione della sperimentazione sul vivente è stata
trattata in due documenti del Comitato Nazionale
per la Bioetica (CNB, 1992 e 1998). Sull’argo-
mento esiste, inoltre, una letteratura imponente
ed esauriente, che sarebbe troppo lungo anche
solo elencare. Trascurerò, pertanto, quest’aspetto
del problema, per dedicarmi all’altro, ugualmen-
te importante, ma meno conosciuto.
Beneficio individuale e collettivo
Abbiamo visto in precedenza che nel processo
conoscitivo guidato dal metodo sperimentale si
possono distinguere due momenti. Il primo
consiste nell’osservazione, secondo il canone
aristotelico, di fenomeni naturali, così come si
manifestano spontaneamente. Il secondo consi-
ste nella loro riproduzione sperimentale, che ne
facilita lo studio e la traduzione in conoscenze,
teorie e leggi generali. La materia è complessa e
richiederebbe, per essere trattata come merita,
ben altro spazio di quello concesso da un artico-
lo. Qui di seguito si tenterà di tratteggiarla per
grandi linee, considerandone quattro aspetti: la
“sperimentazione terapeutica”; la “sperimenta-
zione conoscitiva”; lo “sperimentalismo”, che è
una degenerazione del metodo sperimentale, il
“brevettualismo”, un neologismo che designa
un altro tipo di degenerazione, riguardante la
protezione della proprietà intellettuale delle sco-
perte scientifiche. Al fine di rendere più chiara
questa parte dell’esposizione si ricorrerà a qual-
che esempio concreto.
Sperimentazione terapeutica
La cura dello scorbuto fornisce un esempio clas-
sico di sperimentazione terapeutica, James Lind
(1716-1794), un medico della marina britanni-
ca, parte dall’osservazione che lo scorbuto, allo-
ra diffuso e spesso mortale, si manifesta con
particolare frequenza negli equipaggi di lungo
corso, che non dispongono di cibi freschi. Intui-
sce che la causa della malattia vada cercata nella
mancanza di un fattore alimentare essenziale,
assente nei cibi conservati. Anziché accontentar-
si di questa ipotesi, peraltro avanzata da altri pri-
ma di lui, egli la verifica sperimentalmente.
Arruola un consistente numero di marinai ma-
lati e li suddivide in gruppi omogenei, ognuno
dei quali riceve una diversa varietà di cibo fre-
sco. È fortunato, il che non guasta. Grazie ai viva-
ci scambi commerciali con la Sicilia, può dispor-
re di agrumi, che si rivelano particolarmente ef-
ficaci. Presumibilmente Lind arruola le sue ca-
vie umane senza preoccuparsi di informarle e di
ottenere il loro consenso. Questo comporta-
mento oggi sarebbe censurabile, ma si traduce
in una cura vera e propria, seppure sperimenta-
le, per di più effettuata in una malattia altrimen-
ti incurabile. Il problema etico della sperimenta-
zione sull’uomo si pone, quindi, ma è minimiz-
zato conciliando la tutela del malato con le esi-
genze della scienza.
Il caso di Edward Jenner (1749-1823) è analo-
go, anche se per certi aspetti diverso. All’epoca
era già noto che il vaiolo lascia in chi lo ha supe-
rato uno stato d’immunità, che impedisce di
contrarlo una seconda volta. È la cosiddetta im-
munità acquisita. Jenner osserva questo feno-
meno anche nei mungitori, esposti ad una for-
ma di vaiolo simile a quello umano, ma beni-
gno. Matura l’idea, quindi, di utilizzare il vaiolo
bovino per indurre un’immunizzazione contro
quello umano. Arruola un bambino e gli inocula
il materiale purulento prelevato dai mungitori.
Dopo due mesi inocula allo stesso bambino ma-
teriale purulento umano, raccolto da malati di
vaiolo, che non attecchisce. Quest’esperimento
conferma la validità dell’ipotesi e ha un’impor-
tanza decisiva per gli sviluppi successivi della
medicina, che comporteranno la sconfitta prima
del vaiolo, poi di molte altre malattie infettive.
Sul piano etico, ci troviamo di fronte, invece, ad
un atto censurabile non solo per la mancanza di
consenso da parte del bambino, ma anche per-
ché ha comportato il rischio concreto di tra-
smettere una malattia grave, potenzialmente le-
tale. Un rischio, per di più, non controbilanciato,
come nel caso di Lind, da alcun vantaggio tera-
peutico immediato, perché il bambino era sano.
Su un piatto della bilancia ci sono i diritti di un
minore offeso, che ha rischiato di morire, ma
sull’altro c’è la vita di milioni, anzi di miliardi di
esseri umani che sono sopravvissuti per merito,
diretto o indiretto, di quell’esperimento iniquo.
In entrambe queste circostanze l’osservazione
di un fenomeno naturale fornisce già, di per se,
una conoscenza solida, che l’esperimento si li-
mita a confermare e corroborare. A questo fine
ne prende in considerazione un corollario appli-
cativo, che si traduce in un intervento terapeuti-
co a favore del soggetto sperimentale. Anche l’e-
sperimento di Jenner, nonostante gli aspetti che
lo rendono eticamente censurabile, va in questa
direzione, perché il bambino vaccinato acquisi-
sce un’immunità contro una malattia allora
diffusa e spesso mortale.
La sperimentazione terapeutica ha contraddi-
stinto gran parte delle moderne scoperte medi-
che. La sua caratteristica fondamentale, consi-
stente nel passaggio dall’osservazione di un fe-
nomeno naturale ad una verifica terapeutica,
permette di conciliare le finalità proprie della
medicina, consistenti nella protezione e cura del
paziente, con l’interesse collettivo, che coincide
col progresso scientifico.
Sperimentazione conoscitiva
La sperimentazione conoscitiva è invece volta,
come dice la parola, a raccogliere conoscenze
astratte, prive di un risvolto applicativo imme-
diato. In medicina contraddistingue l’anatomia,
la fisiologia, la biochimica e altre discipline. Il
soggetto sperimentale dal quale queste cono-
scenze sono raccolte può trarne un beneficio,
ma non necessariamente e, comunque, in una
prospettiva futura. A volte non solo non ne ricava
alcuna utilità, ma viene sacrificato alla scienza.
Per citare un caso classico, William Harvey
(1578-1657) si è servito, per studiare la circola-
zione del sangue, di quella che a volte è chiama-
ta impropriamente vivisezione: ne ha ricavato
una conoscenza di enorme valore sul piano col-
lettivo, ma non certo per gli esseri viventi dai
quali è stata raccolta. Analogamente, la misura
strumentale della pressione del sangue effettua-
ta un secolo dopo da Stephen Hales ha compor-
tato benefici enormi per l’umanità, ma non cer-
to per la povera giumenta sulla quale è stata per
la prima volta eseguita in maniera cruenta. La
sperimentazione conoscitiva ha rivestito nella ri-
cerca biomedica un ruolo determinante, certa-
mente superiore a quello della sperimentazione
terapeutica. Quella sull’animale ha contraddi-
stinto praticamente tutte le grandi scoperte della
medicina moderna (CNB, 1998). Ugualmente
determinante è stata quella sull’uomo, in molti
casi con conseguenze gravi, perfino letali, a cari-
co dei soggetti sperimentali. Gravi abusi si sono
verificati non solo prima che la materia fosse re-
golata a livello internazionale, sulla scia dell’im-
pressione suscitata dai crimini commessi nei
campi di concentramento nazisti, ma anche
successivamente (Saso e Silvestrini, 2000). Nel
1963, quando il Codice di Norimberga era già in
vigore, nel Jewish Chronic Disease Hospital di
Brooklin sono state inoculate cellule cancerose
a diversi malati cronici, senza il loro consenso
informato. Nel 1964 sono stati pubblicati i risul-
tati ottenuti da Willobrook, che ha deliberata-
mente infettato alcuni bambini ritardati mental-
mente per studiare meglio il decorso dell’epatite
virale. Nel 1974 era ancora in corso una speri-
mentazione, iniziata nel 1932, durante la quale
circa 400 neri dell’Alabama affetti da sifilide
sono stati deliberatamente privati delle cure
disponibili per studiare l’andamento spontaneo
della malattia.
Sperimentalismo
Lo scienziato tradizionale era essenzialmente
un naturalista, un attento osservatore della na-
tura, dalla quale ricavava conoscenze che, nel-
l’epoca moderna, erano successivamente preci-
sate attraverso la sperimentazione, che secondo
i casi poteva essere solo conoscitiva o anche te-
rapeutica. L’osservazione della natura era il faro
che squarciava le tenebre, rivelando ciò che esi-
steva già, anche se l’uomo non lo sapeva. La spe-
rimentazione era lo strumento che metteva a fu-
oco le conoscenze e aiutava a tradurle in appli-
cazioni pratiche. Poi, col passare del tempo, la
situazione è cambiata. La sperimentazione ha
assunto un peso superiore a quello dello studio
diretto della natura. Molte conoscenze moderne
sono scaturite direttamente da indagini speri-
mentali, effettuate su modelli lontani dalla natu-
ra. Molti farmaci sono stati scoperti in laborato-
rio, da scienziati che non avevano alcuna cono-
scenza diretta delle malattie.
Basta scorrere la letteratura scientifica per ren-
dersi conto dell’estensione di questo fenomeno,
che ha stravolto i lineamenti della ricerca, so-
prattutto biomedica. Il sempre più esteso ricor-
so alla cosiddetta “vivisezione”, che consiste nel-
l’impiego sperimentale di milioni di animali al-
levati artificialmente, ne costituisce l’espressio-
ne più evidente, quella che colpisce maggior-
mente ampi strati dell’opinione pubblica, ma
non certamente l’unica. Chi è membro di un co-
mitato etico locale è più chiamato, salvo rarissi-
me eccezioni, ad esprimersi non tanto su ipotesi
o teorie ricavate dallo studio di fenomeni natu-
rali, quanto piuttosto su dati sperimentali,
ottenuti in laboratorio o su volontari sani.
Perché? La spiegazione è semplice. Un fenome-
no riprodotto artificialmente, in condizioni che
lo rendono costante e ne facilitano la misurazio-
ne, è molto più facile da studiare del suo corri-
spettivo naturale. Purtroppo, come si è già rile-
vato in precedenza a proposito della ricerca psi-
cofarmacologica, il modello sperimentale spes-
so non riproduce il fenomeno naturale nella sua
interezza. A volte ne riproduce una manifesta-
zione appariscente, ma secondaria rispetto ad
altre, che contano altrettanto e, talvolta, di più.
Prendiamo le infezioni, ad esempio. Nei labora-
tori esse sono frequentemente studiate coltivan-
do i microbi in provetta o inoculandoli a dosi
massicce nell’animale. La corrispondente ma-
lattia dipende anche da altri fattori, d’importan-
za pari o superiore. L’epilessia è normalmente
riprodotta e studiata su modelli sperimentali,
che consentono di evocare in animali altrimenti
normali uno stato convulsivo. La malattia pre-
senta questa manifestazione, che però riflette
una capacità fisiologica del sistema nervoso, ma
prima ancora presuppone una predisposizione
che in laboratorio non è contemplata. Ai disturbi
mentali si è già accennato. Le loro basi organi-
che sono tuttora in gran parte sconosciute. Sono
quindi riprodotte in maniera grossolana, proba-
bilmente infedele, prendendone in considera-
zione solo alcune manifestazioni. Ancora, men-
tre esistono sostanziali diversità tra specie e spe-
cie, la sperimentazione biomedica è in larga mi-
sura effettuata su specie diverse da quelle nelle
quali i suoi risultati troveranno applicazione.
A scanso di equivoci, che insorgono facilmente
quando si toccano aspetti così nevralgici, va riba-
dito che la sperimentazione, sia sull’animale sia
sull’uomo, è fondamentale per il progresso scien-
tifico, addirittura indispensabile. È condannabile,
invece, il suo uso distorto o, quando va a discapito
dello studio diretto della natura, eccessivo.
Occorre rivalutare la figura del naturalista, che
parte dalle manifestazioni spontanee della vita.
Per servirsi di una similitudine classica, egli non
concentra la sua attenzione sull’ombra della vita
proiettata dall’esperimento sul laboratorio, ma
sulla vita stessa, così come si manifesta in tutta la
sua pienezza. L’esperimento rimane e continua
ad essere indispensabile, ma solo così riacquista
la sua funzione originaria di strumento, non di fi-
ne. Le moderne indagini epidemiologiche vanno
in questa direzione, ma sono ancora poca cosa ri-
spetto al dilagare dello “sperimentalismo”, che è
una degenerazione del metodo scientifico.
Brevettualismo
Molti farmaci moderni sono costituiti da mole-
cole di nuova sintesi, prive di un corrispettivo in
natura. Il loro impiego medico rappresenta una
esperienza nuova, un salto nel buio, gravido
d’incognite e di rischi. Prima di essere utilizzati,
di conseguenza, questi medicamenti devono es-
sere sottoposti ad una sperimentazione rigorosa
e dettagliata, che si effettua prima su forme ele-
mentari di vita, poi sull’animale, quindi sull’uo-
mo. Con la parziale eccezione degli ultimi pas-
saggi, corrispondenti alle fasi II, III e IV della
sperimentazione clinica, si tratta di una speri-
mentazione a carattere conoscitivo, che non
comporta alcun beneficio diretto per i viventi sui
quali è eseguita. Nell’animale, inoltre, essa im-
plica il sacrificio della vita o gravi conseguenze.
Sotto questo profilo il ricorso a sostanze naturali
presenta diversi vantaggi. Innanzitutto il mondo
minerale, vegetale e animale contiene miliardi
di potenziali medicamenti, che chiedono solo
d’essere studiati, senza sprecare energie e risor-
se per sintetizzarne altri. I medicamenti naturali
sono decisamente più sicuri di quelli innaturali
quando hanno un corrispettivo nel nostro or-
ganismo. Questo è tipicamente il caso delle vita-
mine, che si limitano a correggere i disturbi ca-
usati dalla loro mancanza, ripristinando così la
condizione normale dell’organismo, quella che
esisteva prima della malattia.
In altri casi le sostanze naturali sono intrinseca-
mente non solo meno sicure di quelle naturali,
ma addirittura estremamente pericolose. Perfi-
no i peggiori veleni inventati dall’uomo non rag-
giungono la potenza di quelli presenti in natura.
Ciononostante hanno un vantaggio: la loro storia
che, se letta con attenzione dal punto di vista
naturalista, fornisce informazioni preziose.
Nasce spontanea, allora, la domanda: «Perché
gran parte dei moderni medicinali è costituita
non da sostanze naturali, ma da molecole di
nuova sintesi?»
La risposta è semplice. La realizzazione di un
medicamento è un’impresa complessa, lunga e
costosa. Come impegno finanziario è paragona-
bile alla costruzione di un grattacielo, ma com-
porta tempi ed incognite di gran lunga superiori.
Tra la prima osservazione del potenziale interes-
se medico di un agente qualsiasi ed il suo impie-
go in terapia generalmente trascorrono non me-
no di dieci anni, spesso di più. I costi dell’ordine
di centinaia di milioni di euro. Chi s’impegna in
imprese così complesse e costose deve poter
contare su un attestato di proprietà, almeno
temporanea, che gli consenta di recuperare i
mezzi investiti. Altrimenti alla lunga fallirebbe.
Se è un’azienda privata, risponde agli azionisti
od al proprietario. Se è un ente statale, come a
volte avviene, risponde alla collettività, che ha
destinato allo sviluppo di un medicamento mez-
zi imponenti, sottraendoli ad altri fini spesso al-
trettanto importanti.
L’attestato di proprietà corrisponde al brevetto,
che ha un significato analogo al certificato di pro-
prietà del grattacielo. Purtroppo, nel caso dei me-
dicinali il brevetto più forte non riconosce la novi-
tà terapeutica, ma quella chimica. Ne esistono an-
che altri, incluso quello d’uso, ma sono facilmen-
te aggirabili dai copiatori, che in questo modo
possono appropriarsi senza fatica dei risultati che
altri hanno conseguito a caro prezzo.
L’attuale impianto brevettuale, basato sulla no-
vità chimica, è obsoleto. Risale ai tempi dell’in-
dustria chimica dell’Ottocento, quando la vera
innovazione era rappresentata dalla sintesi di
una nuova molecola. Ciononostante è sopravvis-
suto e ha condizionato la ricerca biomedica, po-
larizzandola sulle molecole di nuova sintesi, che
richiedono un massiccio ricorso alla sperimen-
tazione sul vivente.
Questa è la seconda malattia della ricerca bio-
medica che va denunciata con chiarezza e, quin-
di, affrontata concretamente, non solo con de-
nunce sterili, come quelle periodicamente mos-
se alle multinazionali del farmaco, ma con prov-
vedimenti razionali, che leghino il brevetto e la
remunerazione dei frutti della ricerca biomedi-
ca non alla mera novità chimica dei medica-
menti, ma alle loro qualità terapeutiche.
Conclusioni
La democrazia della scienza che si sostituisce alla
sua precedente gestione oligarchica: questa è, in
conclusione, la bioetica che io conosco. Non una
rifondazione dell’etica, o una sua riformulazione
in relazione ai progressi delle scienze della vita,
ma un punto d’incontro, un consesso che valuta i
problemi in un ambito multidisciplinare, rece-
pendo i bisogni ed i timori della società.
Una bioetica, inoltre, che non si accontenta di fa-
re accademia, ma diventa organo propositivo,
esprime indicazioni, formula proposte e colla-
bora alla loro attuazione rivolgendosi sia al pote-
re esecutivo, legislativo e giudiziario, sia a tutte
le componenti della società civile.
Per ora la bioetica ha guardato alle scienze della
vita, ma finirà necessariamente per occuparsi di
tutte le scienze, perché nessuna di loro può dirsi
estranea alla vita.
Questo è il quadro entro il quale si colloca anche
la sperimentazione sul vivente.
BrunoSilvestrini
12
Da un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano
Messa in discussione
la definizione di morte cerebrale
«O
ccorre rimettere in discussione la definizio-
ne di morte cerebrale». Lo scriveva l’Osser-
vatore Romano ai primi di settembre.
«Si tratta di un mutamento radicale della
concezione di morte, che ha risolto il problema del distacco
dalla respirazione artificiale, ma che soprattutto ha reso possi-
bili i trapianti di organo, accettato da quasi tutti i Paesi avan-
zati (dove è possibile realizzare questi trapianti), con l’ecce-
zione del Giappone. Anche la Chiesa cattolica, consentendo il
trapianto degli organi, accetta implicitamente questa defini-
zione di morte, ma con molte riserve: per esempio, nello Stato
della Città del Vaticano non è utilizzata la certificazione di
morte cerebrale». Nuove ricerche scientifiche hanno però riaper-
to la discussione e alcuni sono «concordi nel dichiarare che la
morte cerebrale non è la morte dell’essere umano. Il rischio di
confondere il coma (morte corticale) con la morte cerebrale è
sempre possibile». «E questa preoccupazione – aggiunge
l’Osservatore Romano – venne espressa al concistoro straordi-
nario del 1991 dal cardinale Ratzinger nella sua relazione sul
problema delle minacce alla vita umana: “Più tardi, quelli che
la malattia o un incidente faranno cadere in un coma ‘irrever-
sibile’, saranno spesso messi a morte per rispondere alle do-
mande di trapianti d’organo o serviranno, anch’essi, alla spe-
rimentazione medica (‘cadaveri caldi’)».
La comunità medico scientifica ha fermamente ribattuto difen-
dendo i criteri stabiliti ad Harward che da allora sono sempre con-
siderati validi.
Il criterio di morte cerebrale per sancire la morte di un individuo
“resta al momento l’unico criterio scientificamente valido”. Non
ha dubbi al riguardo Vincenzo Carpino, presidente dell’Associa-
zione anestesisti-rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi), che
all’ADNKronos Salute dice la sua riguardo all’editoriale del-
l’Osservatore Romano: «Siamo pronti a recepire nuove eviden-
ze, naturalmente, ma per farlo dobbiamo conoscere nome e
studi di chi indica nuove strade percorribili. Dubito che ciò
possa accadere – aggiunge – perché a 40 anni dalla definizione
dei criteri stabiliti dal rapporto di Harvard nessuno li ha mai
messi in discussione». Carpino non nasconde, inoltre, le “preoc-
cupazioni” riguardo ai dubbi e alle perplessità che il messaggio
dell’Osservatore Romano potrebbe diffondere tra la gente. «Di
fronte alla morte – spiega – le persone nutrono sempre forti
dubbi, e non vorrei che iniziasse a circolare la spiacevole sen-
sazione di inganno, ovvero di esser stati presi in giro dai cami-
ci bianchi per ben 40 anni». Una sensazione «ingiusta, senza
contare che la legge italiana al riguardo è una delle più garan-
tiste al mondo. Quando in rianimazione i medici rilevano un
caso di elettroencefalogramma piatto – spiega Carpino – infor-
mano la direzione sanitaria, che a sua volta istituisce un colle-
gio di tre medici composto da un anestesista-rianimatore, un
medico legale e un neurofisiologo. L’equipe così composta, a
prescindere dall’età del paziente, effettua un periodo di 6 ore
di osservazione con un protocollo preciso. Se viene certificata
la morte cerebrale ci sono solo due alternative: staccare la spi-
na, in questo caso un atto dovuto, oppure mantenere in vita gli
organi per la donazione. Non ci sono altre possibilità – conclu-
de il presidente dell’AAROI – perché la morte cerebrale è di fatto
la morte dell’individuo».
A difendere a spada tratta i criteri di Harvard, è anche Alessandro
Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti. «Tali criteri
– spiega Costa – non sono mai stati messi in discussione in 40
anni dalla comunità scientifica, e vengono non a caso appli-
cati in tutti i Paesi scientificamente avanzati, tra questi Cana-
da, America, Australia, Asia, nonché tutti i Paesi del Vecchio
Continente. I dubbi ci sono sempre stati – riconosce l’esperto –
ma solo da parte di frange minoritarie, che fanno critiche di
carattere non scientifico». Quando subentra la morte cerebrale
«l’individuo di fatto è morto, e non ci sono se e ma. Le cellule
cerebrali, infatti, cessano di mandare impulsi elettrici, non c’è
respiro spontaneo, riflessi dei nervi cranici o controllo delle
funzioni vegetative come, ad esempio, la diuresi, ed è assente
il riflesso dei nervi cranici. Tutti elementi che sono invece pre-
senti nello stato vegetativo, che è cosa ben diversa. In questo
caso, infatti, il cervello funziona. Male, ma funziona. La rete
trapiantologica – conclude il direttore del CNT – accerta la mor-
te ma difende la vita. Morte cerebrale si traduce nel decesso
dell’individuo, non c’è alcun dubbio al riguardo».
ANCHE IN INGHILTERRA SILENZIO-ASSENSO PER LE DONAZIONI D’ORGANO?Migliaia di vittime umane potrebbero essere salvate nel
Regno Unito se tutti i cittadini fossero inseriti automatica-
mente nel registro dei donatori. Dopo le raccomandazioni
del Chief medical officer, la massima autorità medica bri-
tannica, e della Organ donation task force, l’ente incaricato
dal Governo di studiare soluzioni per rimuovere le barriere
che ostacolano i trapianti, ora è lo stesso premier Gordon
Brown a scendere in campo, sostenendo il sistema del
consenso presunto. Brown, in un intervento pubblicato dal
Sunday telegraph, ha auspicato un dibattito serio e appro-
fondito sulla questione. Attualmente in Gran Bretagna una
persona al giorno muore in attesa di un trapianto, mentre
8mila persone sono in lista d’attesa, una cifra che aumenta
di circa l’8% all’anno. Inoltre il tasso di donatori è tra i più
bassi a livello europeo: 13 pmp. Tuttavia l’inquilino di Dow-
ning street, supportato dalle analisi della Organ donation
task force, è convinto che i margini di miglioramento siano
ampli. Basti pensare che soltanto 15 anni fa, la Spagna, il
Paese che oggi detiene il record mondiale dei trapianti (35
donatori per milione di persone) si trovava in una situazio-
ne simile a quella del Regno Unito di oggi. Ed è proprio dal-
l’adozione del modello spagnolo, quello del silenzio-assen-
so, che ci si attende un deciso aumento nel numero di
espianti. Il 90 per cento della popolazione del Regno Unito
è favorevole alla donazione degli organi in linea di princi-
pio, ma molte persone stanno morendo perché troppo
spesso nella pratica la donazione non è resa possibile.
Non mancano però le critiche alla proposta: per alcune as-
sociazioni dei pazienti come Patient concern, il rischio è che
il consenso presunto nella realtà non sia affatto una forma di
consenso. In ogni caso secondo un rapporto pubblicato
dall’Organ donation task force, una nuova politica sui tra-
pianti potrebbe portare ad un aumento del numero di dona-
zioni del 50% in cinque anni e salvare la vita a 1.200 persone
all’anno. Il gruppo di esperti ha stimato un risparmio per
l’Nhs di oltre 500 milioni di sterline in 10 anni grazie alla ridu-
zione delle dialisi e al contemporaneo aumento dei trapianti
di rene (700 in più all’anno). Per raggiungere questi risultati
gli esperti hanno elaborato una serie di raccomandazioni
che il Governo ha già annunciato di voler seguire. Tra le pro-
poste, oltre all’adozione del sistema del consenso presunto,
spiccano: l’assunzione di circa 100 nuovi coordinatori dei
trapianti negli ospedali in grado di guidare e dare supporto
alle famiglie coinvolte nel processo della donazione.
CORTE DI CASSAZIONE
STATO VEGETATIVO PERMANENTELe condizioni per l’interruzione del trattamento medico
1. Chi versa in stato vegetativo permanente è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno,
che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto
alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perché in condizioni
di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente. La tragicità
estrema di tale stato patologico – che è parte costitutiva della biografia del malato e
che nulla toglie alla sua dignità di essere umano – non giustifica in alcun modo un af-
fievolimento delle cure e del sostegno solidale, che il Servizio sanitario deve conti-
nuare ad offrire e che il malato, al pari di ogni altro appartenente al consorzio umano,
ha diritto di pretendere fino al sopraggiungere della morte.
2. Accanto a chi ritiene che sia nel proprio miglior interesse essere tenuto in vita artifi-
cialmente il più a lungo possibile, anche privo di coscienza – c’è chi, legando indissolu-
bilmente la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che
sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in
una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno. Uno Stato, come il no-
stro, organizzato, per fondamentali scelte vergate nella Carta costituzionale, sul plura-
lismo dei valori, e che mette al centro del rapporto tra paziente e medico il principio di
autodeterminazione e la libertà di scelta, non può che rispettare anche quest’ultima
scelta. All’individuo che, prima di cadere nello stato di totale ed assoluta incoscienza,
tipica dello stato vegetativo permanente, abbia manifestato, in forma espressa o an-
che attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento, l’i-
naccettabilità per sé dell’idea di un corpo destinato, grazie a terapie mediche, a so-
pravvivere alla mente, l’ordinamento dà la possibilità di far sentire la propria voce in
merito alla disattivazione di quel trattamento attraverso il rappresentante legale.
3. Pertanto, la decisione del giudice, dato il coinvolgimento nella vicenda del diritto alla
vita come bene supremo, può essere nel senso dell’autorizzazione soltanto
a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamen-
to clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard
scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona ab-
bia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della co-
scienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno;
b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova
chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua per-
sonalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di
concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della per-
sona. Allorché l’una o l’altra condizione manchi, dovrà essere negata l’autorizzazio-
ne, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita.
TASSO DI DONAZIONE DEGLI ORGANI IN EUROPA E USA (PMP, 2006)
Spagna 35,5
Usa 26,9
Lettonia 23,9
Francia 23,2
Italia 21,7
Finlandia 20,7
Olanda 17,8
Ungheria 17,7
Croazia 16,5
Norvegia 16,3
Germania 15,3
Svezia 15,1
Polonia 13,0
Regno Unito 12,9
R. Slovacca 11,8
Danimarca 11,4
Svizzera 10,7
Grecia 7,2
13
In un clima di economie e di tagli
La Regione Veneto premia i Direttori Generali
con un aumento di 20mila euro
Da tempo in Giunta Regionale si di-
scuteva più di come dividere gli
spiccioli (100 milioni di euro) che
di come far quadrare i conti del
«questo a te, questo a me» dei 7.2 miliardi di
euro del riparto regionale dei fondi della sanità
veneta.
Nella bolgia dei provvedimenti della giunta ago-
stana, nel silenzio dell’atmosfera pre-vacanzie-
ra, a Palazzo Balbi è passata la delibera che asse-
gna un’«integrazione economica» ai direttori ge-
nerali delle Usl, delle aziende ospedaliere e dello
Iov. In parole semplici, un premio produzione,
un aumento di stipendio pari al 13% dell’inden-
nità (154mila euro l’anno lordi), a «fronte di ri-
sultati raggiunti» ma a tutti i direttori indistinta-
mente: circa 20mila euro lordi l’anno per il
2006 e per il 2007 moltiplicato per 24, per un to-
tale di 480mila euro lordi. Peccato che non tutti
abbiano raggiunto gli stessi risultati. E che a dir-
lo non siano solo i conti, o i sindacati o l’opposi-
zione, ma la delibera stessa con cui si sono asse-
gnati i soldi in più ai direttori generali: «In consi-
derazione del sostanziale, anche se non comple-
to, raggiungimento degli obiettivi assegnati ai di-
rettori generali, si propone di riconoscere per
l’anno 2006 e 2007 un’integrazione del tratta-
mento economico dei direttori generali delle
aziende ulss e ospedaliere del Veneto nonché del
commissario straordinario dell’Irccs Iov di Pa-
dova, per ciascun anno, nella misura del 13 per
cento». Anche se non completo. Ma come? La
commissione sanità della Regione aveva licen-
ziato la delibera sul riparto dei fondi raccoman-
dando che per il futuro si superasse il criterio
della spesa storica, andando incontro alla rivolu-
zione «federalista» che doveva premiare le Usl
più virtuose. E solo pochi giorni dopo la giunta
approva la delibera, più volte contestata, dell’au-
mento dello stipendio ai direttori. E l’approva
proprio nel mezzo della richiesta del Ministero
dell’Economia di tagliare del 20% l’indennità di
quegli stessi direttori generali per compensare il
taglio del ticket da dieci euro. Il premio non si
poteva azzerare come richiesto, perché rientra
nella disciplina dei contratti collettivi. Ma non
darlo indiscriminatamente probabilmente sì. Il
leghista Daniele Stival, membro della V commis-
sione, allarga le braccia: «Sono meccanismi per-
versi — dice— la politica dovrebbe cominciare
a ribellarsi, questa situazione non fotografa la
realtà dei fatti. I parametri del servizio al cittadi-
no non sono stati assolutamente raggiunti, la sa-
nità sta scadendo, soprattutto in periferia. A ini-
zio legislatura, con Tosi assessore, erano stati
messi dei paletti rigidi per raggiungere il premio.
Allora, per i bilanci non ci sono soldi, per mana-
ger ci sono. In linea anche Pierangelo Pettenò di
Rifondazione comunista. Il suo voto è stato uno
dei due contrari al riparto: «Questa delibera è una
contraddizione, proprio alla luce delle discussioni
sul riparto. Si è adottato il criterio dei premi a
pioggia. Ma sono inaccettabili. Se fossimo di fron-
te a manager dai grandi risultati capirei, ma fino-
ra grandi risultati non se ne sono visti».
Medici colpiti dal mal d’AfricaLavorare con le organizzazioni non governative che operano nei Paesi in via di sviluppo
Chi pensa di trascorrere una “vacanza esotica” di qual-
che settimana per dimenticare lo stress delle corsie
italiane si dimentichi l’Africa o tutti quei Paesi in via di
sviluppo dove sono impegnate ormai da anni tante
Ong, italiane e non.
Negli ospedali e nelle strutture dove operano queste organizzazioni
(in queste pagine ne citiamo solo tre, ma sono molte di più) e dove
si garantiscono le cure necessarie contro le piaghe micidiali come
Aids, la malaria o la Tbc e dove si interviene per arginare drammati-
che emergenze umanitarie e sanitarie, servono medici (soprattutto
chirurghi, anestesisti rianimatori, pediatri e ginecologi) che voglio-
no fare sul serio. “Ci vogliono grandi motivazioni, apertura men-
tale, flessibilità e anche grande professionalità – avverte Alessan-
dra Tramontano, con molte esperienze alle spalle in questi Paesi e
ora responsabile del reclutamento per Medici senza frontiere – per
questo a chi vuole lavorare con noi chiediamo almeno tre anni
di esperienza. I neolaureati alle prime armi non ci interessano”.
Ed è lo spirito da volontari quello che deve ispirare i medici che in-
tendono partire con “Msf” che non assicura le “garanzie” del con-
tratto di volontariato internazionale – regolato dalla legge 49 del
1987 – che dà diritto all’aspettativa da un posto di lavoro pubblico e
prevede un salario mensile: “Msf prevede un rimborso minimo di
700 euro, oltre al pagamento di tutte le spese di vitto, alloggio e
di assicurazione”, spiega ancora Tramontano che comunque av-
verte: “fare un’esperienza di questo genere, magari per qualche
anno, può aprire delle importanti opportunità per carriere in-
ternazionali prestigiose, non solo in Ong ma anche in grandi or-
ganismi internazionali come l’Oms”.
A confermare il fatto che un’esperienza in un Pvs (Paesi in via di
sviluppo) possa essere una precisa scelta di carriera è anche la
lunga esperienza dell’Avsi (Associazione volontari per il servizio
internazionale) dove sono diversi i casi di medici italiani a fine
carriera o a un passo dalla pensione che hanno deciso di partire
per l’Africa. Ma le occasioni con l’Avsi non mancano neanche per
gli specializzandi che possono così inserire nel curriculum una
formazione fatta davvero sul campo: “abbiamo siglato alcuni ac-
cordi con le scuole di specializzazione – avverte Giampaolo Sil-
vestri, direttore progetti dell’Avsi che è presente in 40 Paesi nel
mondo – a esempio con quelle di chirurgia di Milano e Varese,
per consentire agli specializzandi di trascorrere almeno tre
mesi in un progetto con la garanzia della presenza di un medi-
co che farà da tutor”.
Ai medici e agli operatori coinvolti in progetti (che durano normalmen-
te un anno) l’Avsi garantisce l’applicazione dei contratti internazionali
di volontariato – secondo le indicazioni fornite dal Ministero degli Affari
esteri – che prevedono uno stipendio (con tre fasce retributive: da 3mi-
la a 4.700 euro lordi), il diritto all’aspettativa e alla conservazione del
posto per chi lavora in un ospedale pubblico, oltre al pagamento di tutte
le spese di viaggio e alloggio.
Un tipo di contratto, questo, che tutela in pieno chi vuole tornare
in Italia per continuare la classica carriera ospedaliera: il periodo
trascorso con l’Organizzazione non governativa verrà, infatti,
computato per intero ai fini della progressione della carriera, del-
l’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del tratta-
mento di quiescenza e previdenza. Stesse garanzie vengono assi-
curate anche da “Medici con l’Africa Cuamm” un’altra Ong impe-
gnata in particolare in Angola, Etiopia, Kenya, Monzambico,
Rwanda, Tanzania e Uganda. Che, come le altre Organizzazioni
non governative, si occupa anche di formare, con brevi corsi mol-
to intensi, i medici che partono per la prima volta in uno dei loro
progetti: “Siamo convinti che, prima di partire, sia fondamen-
tale prepararsi a “saper fare tecnicamente” – spiega Linda Pre-
viato del settore comunicazione di “Medici con l’Africa Cuamm”
– ma anche a calarsi in un contesto culturale diverso e credia-
mo che la conoscenza dei sistemi, delle politiche e dei servizi
sanitari in cui si va a inserirsi siano importanti quanto le com-
petenze più specifiche richieste dai singoli progetti”.
Retribuzione
Per chi fa le valigie sono previste tre fasce di retribuzione mensile
lorda: 3mila euro; 3.750 euro; 4.700 euro. Le fasce retributive ven-
gono stabilite in base ai seguenti parametri: esperienza professio-
nale in Italia e nei Pvs; conoscenza dei Pvs; formazione; ruolo svol-
to in precedenti contratti di cooperazione internazionale; ruolo
svolto e capacità richieste per il contratto oggetto di registrazione;
conoscenza linguistica. Ai fini dell’attribuzione del punteggio fa
fede quanto contenuto nel curriculum vitae firmato dal medico e
nella “Scheda punteggio per l’attribuzione delle fasce retributive”
firmata dal legale rappresentante della Ong con la quale parte il
medico. Naturalmente il medico ha diritto all’aspettativa e alla
conservazione del posto.
Spese di viaggio e trasporto
Al medico, nel caso di contratti di durata pari o superiori a otto
mesi, e ai suoi familiari a carico e al seguito sono riconosciute le
spese di viaggio da e per il luogo di residenza per la via più econo-
mica. Hanno anche diritto al rimborso delle spese per il trasporto
degli effetti personali, sia all’inizio sia alla fine del periodo con-
trattuale fino a un massimo di 300 euro a persona per ciascuna
tratta del viaggio.
LA CITAZIONE
Se un uomo non è disposto a rischiare nulla per le proprie idee, o non vale niente lui o
non valgono niente le sue idee.
Ezra Pound
I verbali delle riunioni del Consiglio
Nazionale dell’A.A.R.O.I. sono
a disposizione di tutti gli iscritti.
Pertanto si possono visionare
PRESSO LE SEDI NAZIONALI
DI ROMA E NAPOLI E I RECAPITI
DEI PRESIDENTI REGIONALI
14
Si complicano le condizioni pensionistiche dei medici
Il decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, con cui il Governo
ha indicato varie disposizioni concernenti l’economia, la
finanza, gli assetti tributari del paese, ha anche introdotto
nuove norme riguardo il collocamento a riposo del per-
sonale pubblico dipendente. In particolare ha rivisto un’impor-
tante condizione che consentiva ai dipendenti delle aziende sani-
tarie di poter procrastinare la propria uscita dal lavoro per un pe-
riodo massimo di due anni oltre i limiti di età previsti per il collo-
camento a riposo.
In verità la disposizione, prima indicata dalla legge n. 421 del
1992, e successivamente disposta dal decreto legislativo n. 503
dello stesso anno, riservava questa facoltà solamente ai dipenden-
ti civili dello stato e degli enti pubblici non economici, ma una
provvida circolare della Ragioneria dello Stato ebbe l’effetto di
ampliare questo diritto anche ai dipendenti del servizio sanitario.
E moltissimi, soprattutto medici hanno, negli anni, utilizzato
questa facoltà per prolungare la propria carriera ospedaliera.
L’articolo, introdotto dal decreto legge 112, rimette prioritaria-
mente alla valutazione dell’amministrazione interessata la possi-
bilità per i dipendenti di permanere in servizio per un biennio ol-
tre i limiti di età per il collocamento a riposo, in precedenza total-
mente demandata alla volontà dei dipendenti stessi, quindi confi-
gurata come un diritto soggettivo che, invece, diviene una conces-
sione. La stessa norma indica che la domanda di trattenimento
debba essere presentata all’amministrazione dai 24 ai 12 mesi
precedenti il compimento dell’età per il pensionamento. Inoltre
vengono introdotte alcune disposizioni procedurali e transitorie
che appaiono, in qualche caso, ostacolare il processo di chi debba
chiedere o abbia già chiesto il mantenimento in servizio. Intanto
uno specifico comma afferma che sono salvi i trattenimenti in es-
sere all’entrata in vigore del decreto (25 giugno 2008). Lo stesso
comma, originariamente, disponeva che venissero fatti salvi an-
che i trattenimenti in servizio già disposti con decorrenza anterio-
re al 31 dicembre 2008, ma una modifica introdotta dalla Camera
durante la trasformazione in legge del decreto annulla il riferi-
mento al 31 dicembre 2008 e salvaguarda i trattenimenti in servi-
zio disposti con riferimento alle domande presentate nei sei mesi
successivi alla data di entrata in vigore del decreto.
La disposizione legislativa prevede, poi, con un comma successi-
vo, un intervento limitativo della concessione per il prossimo an-
no, indicando l’obbligo per le amministrazioni di riconsiderare
motivatamente i provvedimenti di trattenimento in servizio, già
adottati, con decorrenza dal 1º gennaio al 31 dicembre 2009. Ad
aumentare gli ostacoli alla realizzazione dell’eventuale desiderio
di prolungare la propria attività, è stato, anche, disposto un suc-
cessivo comma con cui si sancisce la decadenza dei trattenimenti
in servizio, eventualmente già autorizzati, con effetto a decorrere
dal 1º gennaio 2010, stabilendo il contestuale obbligo, per i di-
pendenti interessati, alla presentazione di una nuova istanza, nei
termini previsti di 24 o 12 mesi precedenti il compimento del li-
mite di età per il collocamento a riposo. Anche in passato, in meri-
to alla condizione di trattenimento in servizio concessa dal decre-
to n. 503 vi era stato un condizionamento restrittivo anche se solo
per una regione.
Una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 162 del 1997 era in-
tervenuta favorevolmente nel merito della legittimità costituzio-
nale di una legge disposta della regione Liguria. La Corte aveva af-
fermato che la prosecuzione del rapporto di impiego oltre il limite
di età era stata configurata dal legislatore come eccezione alla re-
gola posta in tema di limiti di età per il servizio, rimasti immodifi-
cati, prevedendosi una prosecuzione del rapporto su domanda
dell’interessato “per un periodo massimo di un biennio”. La sud-
detta disposizione, di carattere eccezionale, anche se introdotta
con finalità di contenimento della spesa pubblica in ordine ai trat-
tamenti di previdenza e di quiescenza non era incompatibile con
le disposizioni normative che prevedono la sussistenza di requisi-
ti per la continuazione del rapporto di pubblico impiego e, dice
sempre la Corte, non può trarsi da essa un principio fondamenta-
le della legislazione statale (tale da vincolare il legislatore regiona-
le) secondo cui esisterebbe un diritto incondizionato del dipen-
dente pubblico al mantenimento in servizio per un biennio. È in-
vece possibile un potere di discrezionalità, che nel caso della re-
gione Liguria, sottostava alla condizione di avere espressamente
attribuito all’amministrazione di valutare motivatamente la coin-
cidenza con le esigenze di interesse pubblico, attinenti al servizio,
con la facoltà, esercitata dal dipendente, di rimanere in attività,
per un ulteriore periodo massimo di due anni, in aggiunta al limi-
te di età di 65 anni, previsto dall’ordinamento regionale.
È stata, poi, introdotta una condizione limitativa del manteni-
mento in servizio per coloro che maturano un’anzianità massima
contributiva di 40 anni.
Infatti a costoro, che nell’ambiente medico sono particolarmente
numerosi, potendo sommare agli anni di effettivo servizio anche
gli anni degli studi universitari realizzati con il riscatto, le ammi-
nistrazioni potranno risolvere il rapporto di lavoro con il semplice
preavviso di sei mesi. Questo potrà avvenire indipendentemente
dall’età anagrafica dell’interessato e dalla sua volontà. E mentre
la legge per alcuni comparti (sicurezza, difesa, esteri) ha previsto
dei decreti del Presidente del Consiglio con cui saranno definiti i
criteri e le modalità applicative di questa norma, e ha escluso dal-
la sua applicazione i magistrati e i professori universitari, per i di-
pendenti delle Asl il loro “licenziamento” potrà avvenire a totale
discrezione dell’amministrazione per la sola “colpa” di aver ma-
turato l’anzianità contributiva di 40 anni.
Al di là delle valutazioni sulla costituzionalità del provvedimen-
to, di cui probabilmente si faranno carico le rappresentanze sin-
dacali della categoria, resta da considerare la volontà degli inte-
ressati di trovare formule che possano neutralizzare questo
provvedimento.
Per poter indicare una qualche via d’uscita appare opportuno ri-
cordare quanto fu realizzato da alcuni dirigenti apicali nel corso
degli anni 90 quando, con la legge n. 50, del 19 febbraio 1991, fu
loro concesso, per conseguire il massimo della pensione, di poter
chiedere di essere trattenuti in servizio fino al compimento dei 70
anni d’età. A quella epoca, gli interessati, pur di poter rimanere in
servizio fino a quel traguardo, optarono per la cancellazione del
riscatto dei periodi di studio.
L’Inpdap con l’informativa n. 6 del 5 maggio 1999, dopo alcune
resistenze, espresse l’orientamento di consentire agli iscritti che
lo avessero richiesto la non valutazione dei periodi oggetto del
provvedimento anche nel caso di integrale pagamento del relativo
onere. Vedremo se in futuro questa condizione sarà realizzata da
coloro che vorranno sfuggire a questa precoce “rottamazione”.
Infine, ai dipendenti delle amministrazioni dello Stato, in posses-
so di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni, è concessa, per
i prossimi tre anni, la possibilità di richiedere l’esonero dal servi-
zio fino al raggiungimento dell’anzianità massima dei 40 anni,
mantenendo il 50% dello stipendio e la possibilità di svolgere al-
tro lavoro. Questo viene negato ai dipendenti del servizio sanita-
rio, oltre a quelli dello Stato, regioni province e comuni non rien-
trando, essi, fra il personale indicato dalla disposizione di legge.
Tuttavia si potrà sempre attendere una qualche interpretazione,
(non necessariamente dalla Ragioneria dello Stato come fu fatto
per l’estensione del biennio), ampliativa della norma!
ClaudioTestuzza
Frangar aut flectar?
“Frangar, non flectar”
È l’antico detto latino. Traduzione letterale: mi spezzerò, non mi piegherò.
Frangor: mi spezzo.
Coerenza, rigore, testimonianza. Fino al martirio.
Flector: mi piego. Traduzione migliorativa: mi fletto.
Flessibilità, duttilità, accondiscendenza. Fino all’umiltà.
Per gli antichi il detto non lasciava dubbi: mi spezzo, ma non mi piego!
Da cui l’aut aut.
Ma è proprio un aut aut?
In realtà, ci sono tanti modi di piegarsi, tanti tipi di flessioni.
La genu-flessione dell’orante.
La flessione del busto nell’inchino al potente.
Chi si flette, chi si piega con la testa tra le mani, lo fa per pensare e ragionare. Poi ripete il gesto:
si ri-piega in se stesso e ri-flette.
L’albero che più si flette è il salice e lo fa in modo così evidente che sembra gli costi fatica e dolo-
re: è il salice piangente.
Flettersi e piegarsi costa fatica e dolore. Ma consente a volte di superare ostacoli e di passare
indenni attraverso strettoie e trappole.
Non si tratta di opportunismo. Quella che gira a seconda di come soffia il vento è la banderuola.
Ci sono un frangar e un flectar anche in Sala Operatoria.
Il Chirurgo “si spezza” la schiena per il lavoro in sala e in studio.
È spesso in-flessibile, come un padre-padrone.
Il suo strumentario è tutto rigido e non flessibile: bisturi, pinze, divaricatori, aghi, materiali da vi-
deochirurgia.
I suoi gesti sono decisi: incide, seziona, spezza calcoli, incastra protesi, amputa.
Per l’Anestesista tutto è flessibilità.
Si adatta ad ogni situazione, anche la più critica.
Il suo strumentario è tutto di materiale elastico: tubi, maschere, cannule, cateterini, tubi corru-
gati, palloni per ventilazione.
Le sue manovre, il suo procedere – salvo pochi automatismi – sono basati sulla ri-flessione, sul
ri-lassamento, sulla ri-soluzione dei problemi.
E la Terapia Intensiva?
I momenti di superlavoro e di decisioni coraggiose (frangar: mi spezzerò) si alternano alle lun-
ghe fasi di umili osservazioni e di svezzamenti vari (flectar: mi fletterò).
Ma quando ti trovi di fronte ad un vero aut aut, come ti poni?
Il rigore a tutti i costi?
O la diplomazia permanente?
“Se ti senti disposto ad essere conciliante, chiediti cosa ti rende in realtà così indulgente: una
cattiva memoria, la comodità o la codardia”. (Arthur Schnitzler)
Gian MariaBianchi
SOLO IL MEDICO PUÒ PRATICARE L’OMEOPATIALa sentenza n. 34200 del 6 settembre 2007 della Corte di Cassazione Penale ha affermato che
colui che effettua diagnosi o rilascia prescrizioni e ricette sanitarie per prodotti omeopatici
commette il reato di esercizio abusivo di professione medica qualora non sia laureato in Medici-
na e Chirurgia, in quanto anche tali attività sono di pertinenza sanitaria e presuppongono il pos-
sesso di un titolo valido ed idoneo per il loro espletamento. Nella motivazione della sentenza vie-
ne esplicitato che l’omeopatia è un metodo terapeutico che basa i propri fondamenti sulla som-
ministrazione di minime dosi di sostanze che, se somministrate in dosi molto alte ad una perso-
na sana, provocherebbero gli stessi sintomi della malattia che si vuole curare. Quindi, secondo
gli omeopati, la malattia è curabile o prevenibile con le sostanze che la possono provocare. Ciò
non vale ad escludere l’omeopatia dalle professioni mediche anche se essa non è una disciplina
insegnata in ambito universitario e per esercitare la quale non è prescritto alcun titolo di Stato;
si esplica però in un campo corrispondente a quello della medicina ufficiale e cioè quello della
cura delle malattie. Del resto la stessa omeopatia, pur se con metodi e tecniche differenti da
quelli della medicina tradizionale, è finalizzata alla diagnosi e alla cura delle malattie dell’uomo.
Considerando poi l’eccentrictà delle teorie che sono alla base dell’omeopatia, molto distanti da
quelle della scienza medica tradizionale, è ancora più evidente che non si può prescindere dal
fatto che per esercitarla è necessario il controllo pubblicistico dell’Abilitazione e dell’iscrizione
all’Albo professionale conseguenti esse stessi al conseguimento della Laurea in Medicina e
Chirurgia. Sarebbe infatti paradossale, secondo i Giudici, imporre i suddetti oneri a chi vuole cu-
rare pazienti dopo essersi formato sui testi della scienza medica ufficiale e non pretenderli da
chi vuole svolgere attività diagnostico-terapeutica che si basa su nozioni e metodi alternativi
non riconosciuti dalla comunità scientifica. Tale conclusione trova conferma sull’interferenza
che l’omeopatia ha su un bene primario come la salute che viene tutelata da un imponente com-
plesso di norme anche costituzionali, attraverso l’accorsamento di strutture pubbliche dedica-
te, con i previsti controlli su chi esercita privatamente l’attività medica nonché nella circostan-
za che numerosi prodotti utilizzati in omeopatia sono iscritti nella farmacopea ufficiale italiana.
Maurizio Greco
DIFFERENZE
– Chedifferenzac’ètrailmalatoinRianimazioneconBPCO
riacutizzata e l’impiegato in agosto con l’aria
condizionata rotta?
– ? ! ?
– Nessuna: entrambi sono febbrilmente attaccati
al ventilatore.
15
IL CACHEMIRE
La fibra dei re
La fibra più nobile e preziosa, più
amata tra quelle che la natura ci ha
donato, da sempre sinonimo di lusso
ed eleganza, calda, leggerissima e
morbidissima costituisce l’ultimo autentico
“status symbol”.
Fino a cinquanta anni fa questo filato, l’oro dei tes-
suti di lana, era appannaggio di re e regine o dei
monaci tibetani che da sempre utilizzano un capo
in cachemire per proteggersi dal freddo durante la
meditazione; infatti, tra le formule di rito per pre-
pararsi alla preghiera c’è la frase “entra nel caldo”.
Tra l’Afghanistan, l’India e la Cina si estende la
regione del Kashmir, dove vengono allevate le
capre Kel dal rinomato e pregiatissimo “vello
d’oro”, detto anche “fibra dei re” dal quale si ri-
cava il cachemire. Fin dal XVII secolo qui si pro-
ducono artigianalmente mantelli e sciarpe
utilizzando questa fibra nobile.
Le origini e gli usi si perdono nei secoli e la realtà
si confonde spesso con la leggenda.
Spesso si sente parlare di Sultani e Imperatori,
che venuti a conoscenza delle caratteristiche di
questa fibra, vollero possederla. La leggenda vu-
ole che le origini più lontane risalgano al XV se-
colo, quando il Sultano del Kashmir, Zain – ul –
Abidin, un discendente di Gengis Khan, chiama-
to Akbar il Grande per la sua opera di promotore
delle arti, invitò a corte un tessitore originario
del Turkestan perché producesse per lui scialli e
tessuti in cachemire.
Solo nel Settecento questa sciarpa pregiata ar-
rivò in Inghilterra grazie ai soldati della Compa-
gnia delle Indie Orientali per farne dono alle loro
innamorate.
Iniziarono successivamente a commercializzarle
con infinito successo, tanto da essere imitati in
Francia e in seguito in tutta l’Europa occidentale.
In Cina esistono molte razze diverse di capre da ca-
chemire. Il clima è ciò che crea la differenza di vello.
Più l’ambiente è primitivo e selvaggio più il manto
che ne verrà ricavato sarà caldo, soffice e prezioso.
Il territorio più adatto ad ospitare capre è la Cina,
dotata di molti altipiani, montagne e colline. E il
cachemire più pregiato si trova proprio nelle re-
gioni dello Xinjjan, del Tibet ed in particolare
della Mongolia interna, quella del deserto dei
Gobi. I Mongoli, comparsi nella storia alla fine
del XII secolo con Gengis Khan, sono forse gli
unici in grado di adattarsi al clima impossibile
dei loro altipiani e da sempre allevano capre
cachemire garantendo così preziose risorse
economiche per la popolazione.
La capretta vellutata Kel allevata in piccoli greggi,
vive ad alte quote e, nonostante numerosi tenta-
tivi, non ha mai voluto saperne di adattarsi ai cli-
mi europei. Nelle zone in cui vive, la temperatu-
ra raggiunge durante l’inverno anche trenta gra-
di sotto zero. Più i pascoli sono tormentati dal
vento gelido, più rigide sono le stagioni, più
caldo e soffice si presenta il cachemire.
In primavera poi i tosatori, armati di pettini
stretti e durissimi, prelevano la lanugine che si è
formata nel sottopelo delle capre per proteggersi
dal freddo. Ecco ottenuta la materia prima per
l’industria tessile.
Ogni capra fornisce in media 200 grammi di ca-
chemire, di cui 110 sono usati per la manifattu-
ra e il rimanente per altri usi; quindi non c’è da
stupirsi se il maglione in cachemire costa come
l’oro; per farlo occorrono sette caprette e ben
cinque chilometri e mezzo di filo, pari a circa
300 grammi di pelo.
Altra considerazione viene dalla grande quantità di
maglioni che i produttori dichiarano essere di ca-
chemire. Un dubbio sorge: diranno tutti la verità?
In Cina, a Canton, due volte l’anno si effettuano
le aste internazionali di questo filato che viene
venduto a balle da 50, 100 e 200 chili per poi es-
sere trattato in Occidente.
Una volta giunto in Occidente il cachemire viene
trattato, tinto (esistono 20 colori di base) e oliato
per renderlo piu morbido.
La sua finezza è inferiore soltanto a quella del
pelo di vigogna.
Come ogni prodotto prezioso anche il cachemire
è oggetto di truffe più o meno ben congegnate.
Negli Stati Uniti c’è un consorzio di qualità che
controlla il cachemire e le lane camelidi vendute
nei negozi di abbigliamento.
Secondo gli esperti di questo consorzio il 15 per
cento del mercato è invaso da capi in cui il ca-
chemire non supera il 5 per cento del tessuto. Il
resto sono stracci, capelli, fibre sintetiche, lapin,
perfino amianto e carta di giornale.
Purtroppo non esistono veri e propri marchi di
qualità come quello della Pura Lana Vergine, ma
in base a una direttiva C.E.E. del 1983 i capi com-
posti interamente o parzialmente di cachemire
possono portare il marchio Pura Lana Vergine.
Ecco l’etichetta di cui ci si può fidare: 80% Lana
Vergine e 20% cachemire.
Il metodo migliore per scegliere il vero cachemi-
re resta quello di affidarsi ai propri polpastrelli.
Al tatto il cachemire deve dare la sensazione di
pienezza. Non basta che sia morbido, esistono
infatti lane merine extrafini che sono morbide
come il cachemire.
Se si notano le palline sull’indumento, ovvero il
fenomeno del pilling, siamo in presenza di ca-
chemire composto di fibre corte, e dunque non
bellissimo, oppure il tessuto ha subito un finis-
saggio sbagliato.
Occorre controllare la provenienza del capo. Le
migliori garanzie vengono dal Made in Scotland
e Made in Italy, ma si puo trovare anche del ca-
chemire Made in China: si tratta di un tessuto di
qualità inferiore (con finiture approssimative),
di quattro colori (beige, blu, grigio e cammello)
e con un prezzo molto inferiore alla media. No-
nostante ciò questo cachemire va a ruba in tutto
il mondo. Altro parametro di scelta è il prezzo: il
cachemire più caro è quello bianco. Seguono
quello grigio e quello bruno.
Il più pregiato è il cosiddetto two ply, cioè due fili
ritorti che assicurano una maggiore resistenza e
durata del capo.
È comunque possibile trovare del buon cachemi-
re anche a poco prezzo, gli appassionati sussurra-
no nomi di laboratori dove si risparmia anche no-
tevolmente; i canali sono numerosi, ma non
sempre ortodossi. In definitiva chi non conosce il
cachemire è meglio che paghi qualcosa in più per
avere maggiore sicurezza sul capo da acquistare.