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La voce ESCATOLOGIA curata da Amilcare è tratta da: Nuovo dizionario di Teologia,. a cura di Giuseppe Barbaglio e Severino Dianich, Edizioni Paoline, 1977 Escatologia SOMMARIO - I. Introduzione. H. La domanda sul futuro: 1. L'escatologia nell'attuale cultura; 2. L'uomo alla ricerca di un senso; 3. La religione e il problema del futuro. III. Le re ligioni non cristiane e l'escatologia. IV. L ' escatologia biblica: 1. L escatologia nell AT; 2. L ' escatologia nel NT; 3. Conclusione. V. Formazione dell escatologia cristiana. VI. L escatologia nella tradizione ortodossa. VII. Escatologia e riforma protestante. VIII. Storia attuale e éschaton futuro: 1. Escatologia conseguente; 2. Escatologia sovratemporale; 3. Escatologia anticipata; 4. Escatologia realizzata; S. Escatologia realizzantesi; 6. L'éschaton come prolessi; 7. L'éschaton come speranza; 8. Conclusione. IX. Il rinnovamento dei trattati. I - INTRODUZIONE - Il termine escatologia fu coniato dal teologo luterano Abraham Calov (m. 1686); è composto da due parole greche: éschata = le ultime cose o realtà, e Logos = discorso o studio. L'escatologia è quindi lo studio delle ultime realtà, che chiuderanno l'intera vita del genere umano. Comunemente viene anche intesa nella mentalità cristiana come studio sull'aldilà. Nella teologia dogmatica l'escatologia costituisce l'ultimo trattato, che si occupa del compimento finale della storia della salvezza; questo trattato viene anche indicato con il termine latino "i novissimi". Il primo trattato teologico sui novissimi, del quale sia rimasto un ricordo nella storia della chiesa, venne scritto in Spagna dal vescovo s. Giuliano di Toledo, che lo intitolò « Prognosticon futuri saeculi »; questo trattato fu terminato con tutta probabilità entro l'anno 688. Nei manuali scolastici l'escatologia viene divisa in due parti fondamentali: l'escatologia individuale che studia le ultime realtà riguardanti la fine di ogni singola persona (morte, giudizio particolare, paradiso, inferno e purgatorio) e l'escatologia comunitaria o cosmica che studia la fine tutto il genere umano, comprendente la parusia o il ritorno Cristo, la risurrezione della carne, il giudizio universale e la fine- rinnovamento del mondo. L'escatologia individuale è detta anche escatologia intermedia, in quanto si occupa del tempo (anche propriamente non si dovrebbe parlare di tempo) che intercorre tra la morte di una singola perso na e la venuta finale di Cristo. Corrispondentemente l’escatologia comunitaria viene anche indicata con il termine di escatologia finale. Da quando la costituzione Be nedictus Deus di Benedetto XII (1336) mise fine ad alcune controversie e si formò il corpo fondamentale del trattato escatologico le verità contenute nell'escatologia divennero del tutto tranquille, e immancabilmente diven nero anche del tutto secondarie Nella teologia tradizionale l’escatologia ha infatti un posto irrilevante, quasi un'appendice messa in fondo alla sistemazione teologica. Già Troeltsch diceva, riguardo alla teologia del XIX sec., che « l'ufficio escatologico è per lo più chiuso » 1 Certo la storia teologica conosce varie dispute su alcuni elementi che fanno parte del trattato escatologico, come per esempio la controversia sulla natura del fuo co dell'inferno, ma il trattato sua globalità rimane indiscusso, e, soprattutto, proprio perché guarda l'aldilà, non interessa la vita quotidiana del cristiano. Per rendersi conto di questo scarso interesse basti osservare che il grande DThC del 1913 dedica alla nostra voce una sola colonna, e neppure completa, dove si dice fra l'altro che il termine escatologia « non ha ancora generalmente ricevuto diritto di cittadinanza nella teologia francese » 2 . Non diversamente stanno le cose per la teologia tedesca: il LTK del 1931 dedica alla voce escatologia 1

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La voce ESCATOLOGIA curata da Amilcare è tratta da: Nuovo dizionario di Teologia,. a cura di Giuseppe Barbaglio e Severino Dianich, Edizioni Paoline, 1977

Escatologia

SOMMARIO - I . Introduzione. H . La domanda sul futuro: 1. L'escatologia nell'attuale cultura; 2. L'uomo alla ricerca di un senso; 3. La religione e il problema del futuro. III. Le religioni non cristiane e l'escatologia. IV. L'escatologia biblica: 1. L'escatologia nell'AT; 2. L'escatologia nel NT; 3. Conclusione. V. Formazione dell'escatologia cristiana. VI. L'escatologia nella tradizione ortodossa. VII. Escatologia e riforma protestante. VIII. Storia attuale e éschaton futuro: 1. Escatologia conseguente; 2. Escatologia sovratemporale; 3. Escatologia anticipata; 4. Escatologia realizzata; S. Escatologia realizzantesi; 6. L'éschaton come prolessi; 7. L'éschaton come speranza; 8. Conclusione. IX. Il rinnovamento dei trattati.

I - INTRODUZIONE - Il termine escatologia fu coniato dal teologo luterano Abraham Calov (m. 1686); è composto da due parole greche: éschata = le ultime cose o realtà, e Logos = discorso o studio. L'escatologia è quindi lo studio delle ultime realtà, che chiuderanno l'intera vita del genere umano. Comunemente viene anche intesa nella mentalità cristiana come studio sull'aldilà. Nella teologia dogmatica l'escatologia costituisce l'ultimo trattato, che si occupa del compimento finale della storia della salvezza; questo trattato viene anche indicato con il termine latino "i novissimi". Il primo trattato teologico sui novissimi, del quale sia rimasto un ricordo nella storia della chiesa, venne scritto in Spagna dal vescovo s. Giuliano di Toledo, che lo intitolò « Prognosticon futuri saeculi »; questo trattato fu terminato con tutta probabilità entro l'anno 688.Nei manuali scolastici l'escatologia viene divisa in due parti fondamentali: l'escatologia individuale che studia le ultime realtà riguardanti la fine di ogni singola persona (morte, giudizio particolare, paradiso, inferno e purgatorio) e l'escatologia comunitaria o cosmica che studia la fine tutto il genere umano, comprendente la parusia o il ritorno Cristo, la risurrezione della carne, il giudizio universale e la fine-rinnovamento del mondo. L'escatologia individuale è detta anche escatologia intermedia, in quanto si occupa del tempo (anche propriamente non si dovrebbe parlare di tempo) che intercorre tra la morte di una singola persona e la venuta finale di Cristo. Corrispondentemente l’escatologia comunitaria viene anche indicata con il termine di escatologia finale.

Da quando la costituzione Benedictus Deus di Benedetto XII (1336) mise fine ad alcune controversie e si formò il corpo fondamentale del trattato escatologico le verità contenute nell'escatologia divennero del tutto tranquille, e immancabilmente divennero anche del tutto secondarie Nella teologia tradizionale l’escatologia ha infatti un posto irrilevante, quasi un'appendice messa in fondo alla sistemazione teologica. Già Troeltsch diceva, riguardo alla teologia del XIX sec., che « l'ufficio escatologico è per lo più chiuso » 1

Certo la storia teologica conosce varie dispute su alcuni elementi che fanno parte del trattato escatologico, come per esempio la controversia sulla natura del fuoco dell'inferno, ma il trattato sua globalità rimane indiscusso, e, soprattutto, proprio perché guarda l'aldilà, non interessa la vita quotidiana del cristiano. Per rendersi conto di questo scarso interesse basti osservare che il grande DThC del 1913 dedica alla nostra voce una sola colonna, e neppure completa, dove si dice fra l'altro che il termine escatologia « non ha ancora generalmente ricevuto diritto di cittadinanza nella teologia francese » 2. Non diversamente stanno le cose per la teologia tedesca: il LTK del 1931 dedica alla voce escatologia

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quarantanove righe. Molto diversamente vanno le cose in questi ultimissimi anni: gli studi sull'escatologia si moltiplicano ogni giorno, numerosissime sono le monografie su punti e aspetti particolari, numerose riviste di teologia e di altre scienze dedicano all'escatologia articoli e interi numeri speciali. Da più parti si parla di una teologia escatologica, intendendo dire che l'escatologia potrebbe essere oggi la dimensione onnicomprensiva della teologia, come nel passato ci fu una teologia cristologica o ecclesiologica. H. U. v. Balthasar, in continuità con il passo citato sopra, afferma che ora l'ufficio escatologico fa delle ore straordinarie.

In questo studio mi propongo come prima cosa di mostrare perché è avvenuto questo cambiamento e come si è passati, da un’indifferenza nei confronti dell’escatologia, a farne il centro di tutta la ricerca teologica. Secondariamente mostrerò come questo cambiamento, qualora voglia essere una reale conversione teologica, richieda una coraggiosa revisione del dato escatologico tradizionale. Unitamente a questi due punti, e come metodo per svilupparli, cercherò di mettermi in dialogo con le forme di pensiero che parallelamente alla teologia cristiana sentono l'importanza del problema escatologico: le religioni non cristiane, i movimenti politici, lo sviluppo tecnico e culturale. Comincerò proprio da quest'ultimo punto: l'escatologia costituisce un nodo fondamentale per la cultura occidentale attuale, e la teologia cattolica non fa che recepire con molto ritardo un'esigenza profonda della coscienza umana post-illuministica.

II - LA DOMANDA SUL FUTURO - Il futuro non è più una realtà sicura, sul cui neutro fluire si possa contare in un modo incondizionato, come si può contare sul perenne sgorgare di una sorgente d'acqua. Essendo ogni giorno sempre più possibile modificare e costruire il futuro, esso è diventato un problema e una domanda. Questa domanda è al centro della cultura, dell'auto-comprensione dell'uomo e costituisce oggi la domanda ultima o religiosa.

1. L'ESCATOLOGIA NELL'ATTUALE CULTURA - Lo sviluppo sempre crescente della scienza e della tecnica ha dato all'uomo la possibilità di prevedere il futuro e di poterlo almeno in parte programmare. È nata la futurologia: una scienza che ha lo scopo di pronosticare le linee generali e fondamentali del futuro, sottraendolo all'incognito e all'indovino religioso. Questa scienza ha elaborato dei metodi propri e si dichiara in grado di definire i tratti essenziali dei prossimi trent'anni. Per questo processo il futuro è diventato molto meno sicuro: prima era totalmente nelle mani di Dio o del fato, prima l'uomo lo poteva attendere sempre con sorpresa, e, anche se rimaneva deluso, poteva sperare sempre di nuovo, perché il futuro gli era totalmente sconosciuto. Ora non è più così: le prospettive sul futuro sono cariche di interrogativi pesanti e ci si sente minacciati dalla possibilità di un intervento umano sul futuro, intervento che d'altra parte diviene indispensabile. Le prospettive della futurologia si possono raccogliere in tre grandi gruppi: il primo abbraccia la questione della sopravvivenza fisica dell'umanità sia per il problema atomico sia per il problema energetico; il secondo abbraccia questioni di perfezionamento di questo ambiente artificiale; il terzo infine abbraccia questioni di tecnica biologica e umana, cioè come si può cambiare l'uomo stesso affinché riesca a sopravvivere in un ambiente trasformato

A monte di questo aspetto scientifico-tecnico esiste tutta una tradizione filosofica che si è preoccupata di affrontare il tema del futuro. Si tratta del problema della teleologia o di trovare un télos (fine) oggettivo e unitario della storia. Per quanto questo tema sia molto vecchio voglio qui ricordare in sintesi alcune soluzioni idealistiche e post-idealistiche.

Kant dopo aver limitato la validità a priori della ragione teoretica ad oggetti empiricamente percettibili (che cosa posso io sapere?) e dopo aver collocato la ragion pratica nella reciproca condizionatezza di legge morale e libertà (che cosa devo io fare?) pone la sua terza domanda: che cosa mi è consentito sperare? Egli si chiede se il genere umano si trovi nel continuo progredire verso un mondo migliore, e se 1' uomo abbia

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veramente delle buone ragioni per osare di formulare nei confronti del futuro una buona prospettiva. La sua risposta è positiva. Questa risposta trova il suo fondamento non tanto in considerazioni empiriche, ma nella fiducia che Kant pone nella natura razionale dell'uomo, che non può contraddire se stessa. Il continuo progresso verso un mondo migliore non dipende da ciò che noi facciamo, ma piuttosto da ciò che la natura umana opera in noi e con noi per costringerci su una strada, alla quale non ci adatteremmo facilmente da noi stessi. A questa visione Kant unisce anche il tema della ↑speranza cristiana sul fine di tutte le cose: queste due speranze (speranza politica nel futuro e speranza cristiana) si trovano unite nell'autocoscienza della ragione, la quale non può rinunciare alla speranza nella propria realizzazione. L'aspettativa finale di Kant può andare oltre questa storia, cioè nell'infinito, dato che questa ragione argomenta in modo trascendentale.

Proprio qui si rivela l'aporia idealistica di Kant: da dove riceve la ragione le norme per poter constatare un progresso verso il meglio? Essa può solo basarsi su un essere datole aprioristicamente. Ma per quali motivi questo essere non viene storicizzato? La speranza in un futuro non deve allora fondarsi sullo stesso divenire storico? Con queste domande Hegel ha cercato di superare criticamente il pensiero di Kant. Fin dalla sua giovinezza Hegel era stato affascinato dalla dinamica dei processi storici e aveva cercato di coordinarli in un tutto; da qui ha elaborato la sua posizione finendo nel tipico sistema "hegeliano". Hegel ha visto la storia come un movimento con un fine determinato. A differenza di Kant, un tale fine però non è da cercarsi nella ragione trascendentale che non può essere fissata storicamente, ma deve essere riconoscibile proprio nell'insieme storico-sociale degli uomini, in ciò che essi raggiungono mediante il lavoro e nelle istituzioni familiari, economiche e politiche. In esse si sviluppa ciò che Hegel ha chiamato nel suo sistema "spirito", totalità del tutto. « Il vero è il tutto. Il tutto però è soltanto l'essenza che si attualizza mediante il suo sviluppo »4. Questo tutto ha subìto uno sviluppo nel pensiero di Hegel: dapprima è visto come la vita, in un secondo tempo come moralità, infine come sapere assoluto. Lo scopo della storia sta dunque nel fatto che la ragione comprenda in modo sempre più completo e profondo tutto ciò che è storicamente avvenuto e divenuto, e con questo comprenda anche la sua propria essenza. Il problema del futuro viene quindi assorbito mediante il circolo dello spirito assoluto, che non può sapere null'altro che se stesso. Così Hegel, reagendo a Kant, sembra perdere il vero senso del futuro, poiché il fine ultimo del progresso nella consapevolezza della libertà non è che l'autocomprendersi dello spirito universale.

Qui si inserisce Marx, seguace di Hegel e dell'idealismo nella concezione secondo la quale la storia viene considerata come un tutto, come una totalità diretta a un fine, e precisamente al fine dell'autoprodursi dell'uomo mediante l'uomo nel lavoro. Nel contesto di interazione e riproduzione del lavoro, e nel suo effetto politico-sociale, gli uomini producono la loro storia. Il télos definitivo della storia sta dunque nel fatto di realizzare ciò che l'uomo è mediante il suo lavoro: l'attiva simbiosi tra uomo e natura e contemporaneamente il dominio completo di questa. Il mezzo per raggiungere questo fine è il comunismo, dove l'uomo non è più estraniato, ma d'altra parte il comunismo è anche il fine stesso della storia, per cui nasce qui un circolo particolare. Essendo il fine della storia identificato alla realizzazione di una umanità non-estraniata, Marx non ha bisogno di un principio trascendente la natura o la ragione, e legge la dinamica storica unicamente con le condizioni storico-materiali. La contraddizione esistente tra l'attuale esistenza estranea (insieme di condizioni di produzione e di potere, di ideologie politiche e religiose,

ecc.) e la pretesa dell'uomo di essere il soggetto attivo della sua storia per una propria liberazione non può più essere risolta dalla ragione.

Questo è da considerarsi come la fine dell'anticipazione idealistica di una fine della

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storia, tanto che nella tradizione formata da Marx si riconosce che tale anticipazione è .utopia, e si ritorna con Bloch a dividere i facta dal futurum. Con Bloch accostiamo i rinnovamenti post-idealistici del-la teleologia; in questo versante colloco oltre al suo pensiero la teoria di Teilhard de Chardin. Bloch parte da vari fenomeni comuni depositati lungo la storia universale e giunge a comprendere l'uomo come un essere orientato in avanti: l'insopprimibile apertura "utopica" della coscienza umana rappresenta per lui la costante più significativa di tutta la vicenda umana. Ma questa apertura verso il futuro richiede che la realtà sia un processo orientato alla realizzazione di ciò che non è ancora. Questo nel senso preciso che ciò che non è ancora (il possibile) costituisce lo strato più profondo e più determinante di tutto ciò che è reale. Si passa così da una antropologia, che mette a fondamento dell'uomo il principio esistenziale della speranza, a una ontologia che intende l'essere intero come diveniente in un costante processo sul fronte del possibile e del nuovo. La storia viene intesa come cammino dell'uomo alla ricerca della propria identità, come disvelamento dell'homo absconditus, e anche come processo di tutta la realtà che unitamente all'uomo giungerà nella patria dell'identità, « dove nessuno è mai stato e dove l'uomo si trova a casa ». Bloch è quindi ritornato a un télos non-storico, e in questo è certamente più vicino a Kant che a Marx. Il suo principio speranza vuole però includere senz'altro anche il pathos dialettico-rivoluzionario dell'opera di Marx, e questo avviene con l'assunzione della prassi per un ottimismo militante. Dove Kant era prudentemente fermato, cioè nella dialettica tra l'autocertezza trascendentale della ragione e una teleologia della natura, Bloch crede invece, partendo dal pensiero marxista, di poter fare un ulteriore passo: ciò che pensa l'uomo che spera con la certezza del fine, sta realmente divenendo ed ha solo bisogno di essere sviluppato nel processo di una attiva organizzazione del mondo. 5

Nella sua impostazione Bloch utilizza anche la religione, vista essenzialmente come il luogo della speranza: « dove c'è speranza, là si ha religione ». Ricorre quindi alla stessa trascendenza di Dio, del Deus absconditus, per fondare la trascendentalità dell'essere-uomo utopico. Da qui tutta una lunga rilettura della religione giudeo-cristiana per cogliere nella sua manifestazione più alta, avvenuta in Gesù, il luogo utopico a cui la speranza continuamente tende . 6

L'aporia fondamentale del pensiero di Bloch è contenuta nel concetto di possibilità reale-oggettiva. Da una parte Bloch, in armonia con la natura del suo pensiero utopico, rimane fermo nella convinzione che il futuro escatologico del processo reale, essendo oggetto della speranza, deve ancora venire e non può essere trasferito nel mondo degli avvenimenti. D'altra parte però tale pensiero utopico rende ontologico questo non-ancora, perché il possibile diviene attraverso la prassi rivoluzionaria della realtà. Egli si sforza di cogliere simultaneamente una trascendenza e un'immanenza, avvicinandosi realmente al filone giudeo-cristiano.

L'accostamento del suo pensiero, anche se percorre versanti completamente diversi, a quelli di Teilhard de Chardin risulta stimolante. Il punto di partenza di Teilhard de Chardin è il problema di presentare il mistero di Cristo alla mentalità dell'uomo moderno. La sua profonda intuizione gli ha permesso di scoprire nel mondo contemporaneo una crisi di natura ed ampiezza cosmiche, oggi facilmente visibile nel disagio profondo ed versale degli spiriti che vivono l'attuale momento di trasformazione. Teilhard colloca nella domanda sul futuro del mondo il nucleo fondamentale di questo disagio, e crede che il mistero di Cristo contenga la risposta all’interrogativo sul senso universale della storia umana e dell'evoluzione del mondo. Così Teilhard per primo ha intuito che la domanda sul futuro è il problema religioso dell'uomo tecnico moderno. Egli fa dunque un'esposizione antropologica e cosmica del mistero di Cristo, visto fondamentalmente come amore. Non è però l'Amore che discende

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cielo e si inchina verso l'uomo ma un amore che dalla terra parte per la conquista dell'avvenire del cielo, un avvenire misterioso, sconosciuto e certo. Per dimostrare tutto questo Teilhard utilizza tutta la sua preparazione scientifica e fa perno sul concetto di evoluzione. L'evoluzione non è un semplice fenomeno più o meno secondario, ma piuttosto una dimensione fondamentale della realtà. Lo slancio vitale dell’evoluzione si dirige in due direzioni principali: nella dimensione orizzontale l'evoluzione tende la moltiplicazione degli individui appartenenti alla stessa forma di vita; nel suo slancio verticale invece l'evoluzione continua sorpassa le forme di vita già esistenti e prepara la realizzazione delle forme superiori. L'universo nell'evoluzione tende alla conquista della pienezza della vita, che è il suo avvenire. Cristo è pienezza della vita ed è l'avvenire dell'universo, il punto Omega verso il quale l'uomo e l'universo stanno andando.

Non v è qui lo spazio né per un'esposizione più dettagliata del pensiero di Teilhard, né per una critica adeguata. Basti tener presente la comprensione che questo mistico scienziato ha della realtà e dell'uomo: l'attesa e la preparazione dell'avvenire costituiscono il contenuto più autentico di ogni forma di vita, e l'uomo è uomo in quanto è avvenire. Questa comprensione della realtà e dell'uomo è anche il luogo religioso dell'uomo e della realtà intera. 7

La conclusione di questa prima parte ci porta a comprendere l'attuale cultura, risultante da una mentalità tecnico-scientifica e da una riflessione filosofico-esistenziale, come una cultura radicalmente caratterizzata da un interrogativo escatologico. - Dobbiamo ora considerare brevemente un altro filone della riflessione moderna: quello dell'antropologia.

2. L'UOMO ALLA RICERCA DI UN SENSO - P. Tillich nella sua opera Il coraggio di esistere 8 analizza l’angoscia umana e la riconduce a tre forme fondamentali: l'angoscia del fato e della morte, 1’angoscia della colpa e della condanna, l'angoscia del vuoto e della mancanza di significato. Questi tre tipi di angoscia sono sempre presenti nella storia dell'uomo, ma nei diversi periodi della storia un tipo di angoscia particolare colora tutta l'angoscia dell’uomo. Così, secondo Tillich, l’angoscia della morte e del fato caratterizza la caduta della civiltà greco-romana, l'angoscia della colpa della condanna caratterizza la caduta del medio evo al tempo della riforma, e l'angoscia della mancanza di significato caratterizza il nostro tempo, dopo la caduta di tutte le sintesi possibili. Nel cap. VI . della stessa opera Tillich dimostra che la ricerca di un significato per giungere al coraggio di esistere è l'ambito della trascendenza dell'uomo, ossia il luogo dove l'uomo uscendo dalla propria angoscia si apre a Qualcuno che sta oltre lui stesso e la sua storia.

Agli stessi risultati giunge an-che la ricerca antropologica di M. Buber 9. Secondo Buber l'uomo riflette su se stesso (fa una ricerca antropologica) quando è afferrato da un sentimento di rigorosa e inevitabile solitudine, quando, per dirla con le stesse parole di Buber, « l'uomo è senza casa », senza un collocamento sintetico di se stesso nel complesso della realtà. Ebbene, come altre volte nella storia dell'umanità, oggi l'uomo è senza dimora, e per di più ha la certezza che non sarà più possibile ricostruire una sintesi globale dove egli si possa collocare; il suo destino è ora immancabilmente quello di errare continuamente come uno straniero. L'ultima perdita della dimora risale, secondo Buber, alla nuova visione del mondo, iniziata già con Copernico, dove l'infinità del mondo ha messo in crisi l'autocomprensione dell'uomo. Da questa crisi si comprende infatti la meditazione antropologica di Pascal, che denuncia in modo drammatico lo smarrimento del soggetto umano in un mondo improvvisamente esploso oltre la sua misura di piccolo essere pen-sante. A nulla sono serviti, secondo Buber, gli sforzi compiuti da Kant, Hegel e Marx per ricostruire una sintesi, che servisse da nuova dimora.

Bisogna poi aggiungere che all'esplosione spaziale si è aggiunta con Heidegger l'esplosione storica: così l'uomo già disperso nello spazio si è trovato disperso ancora di più nella storia. La storicità dell’uomo è una caratteristica fondamentale di tutte le attuali antropologie;

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storicità non come avere storia, ma come essere all’interno di un divenire, che costituisce l’uomo stesso. il solido terreno su cui l’uomo può stare non è più il divino cosmo greco, non è il mondo cristiano della sintesi tomista, non è neppure il mondo della ragione; il solido terreno è divenuto una sabbia mobile che indica come rifugio unicamente il futuro. L’uomo si comprende come uno che attende, e il problema è sapere se la sua attesa ha un senso. L’interrogativo sul futuro non è principalmente individuale, non riguarda più tanto il destino futuro del singolo individuo, ma è un interrogativo sull’avvenire globale della storia del cosmo, perché unicamente l’interrogativo su questa globalità può dare un significato comprensivo delle singole parti.In questa impostazione antropologica si colloca tutta la riflessione di Blondel. Con intenti paralleli a quelli di Teilhard de Chardin egli s’è proposto di aprire un dialogo tra il messaggio di Cristo e il pensiero filosofico moderno dominato dal soggettivismo e dall’immanenza. Egli crede di mostrare che il messaggio di Dio corrisponde alle segrete attese del cuore umano e pensa di trovare nel dinamismo dello spirito umano un’opzione per la trascendenza. Blondel insiste molto sull’esperienza dell’insufficienza umana, ma questa insufficienza pone l’uomo in uno stato di attesa radicale e continua, e questa attesa è una apertura a Cristo.Per fare un altro esempio (non intendo minimamente passare in rassegna le principali riflessioni antropologiche moderne) si può pensare alla stessa antropologia di Gehlen, dove il concetto fondamentale di Mängelwesen (essere difettoso) e soprattutto il passaggio da lui descritto dalla natura alla cultura sono un altro modo per rendere la totale storicità dell'uomo che può divenire tutto, perché non è legato a un ambiente, ma lo crea con la cultura.Infine ricorderò ancora l'antropologia di Rahner basata su due pilastri fondamentali: l'uomo come mistero e come uditore della parola. Entrambi questi concetti, prescindendo ora dal loro retroterra filosofico e teologico, sottolineano l'incapacità dell'uomo a comprendersi e l'atteggiamento ontologico di attesa che mette l'uomo di fronte a Dio, il quale, se non viene ancora definito come avvenire, viene però inteso come ciò a cui il mistero dell'uomo tende e come Colui che interpella l'uomo.In sintesi l'uomo attuale si comprende come viandante verso l'avvenire e s'interroga con maggiore o minore ottimismo sul senso globale del futuro. L'esistere è caratterizzato da una costante incompiutezza, poiché c'è sempre nell'uomo un "non-ancora", onde qualcosa viene continuamente differito. L'essere umano è quindi gettato verso il suo avvenire ed è radicalmente uno che cammina verso possibilità che costituiscono l'orizzonte del futuro.

3. LA RELIGIONE E IL PROBLEMA DEL FUTURO - Storicamente l’uomo è sempre andato a Dio perché sospinto da alcune necessità. Queste necessità erano spesso interrogativi essenziali per rendersi conto in qualche modo della vita umana e della realtà in cui essa si collocava. Erano le domande sull'origine della vita, sul perché del male, sull'enigma del dolore. Era altre volte il problema della colpa, il bisogno di sicurezza e di protezione. Altre volte ancora il ricorso a Dio era l’unico modo per darsi una possibile Weltanschaung. Alcune di queste domande sono cadute lungo la storia, l'uomo è riuscito a trovare alcune risposte, o per lo meno ha capito che tante cose si possono spiegare senza l'ipotesi di Dio. Altri interrogativi hanno perso la loro importanza, forse ritorneranno, ma per ora non sono significativi. L'unica domanda che è rimasta per l'uomo emancipato e divenuto adulto è la domanda sul futuro, la domanda sul senso finale di tutte le cose e di tutta la storia umana. Non la genesi della vita ci interessa in modo supremo, ma la fine di tutto è il problema che chiama ancora in causa Dio. Questa domanda sul futuro costituisce ora l'unico luogo della religione, l'unico posto dove essa è ancora chiamata in causa. L'interrogativo sul futuro circoscrive uno spazio al limite del reale dove la religione è chiamata a stare, ritirata dal centro della terra. Vale a dire: oggi sentiamo eventualmente Dio come il futuro del nostro avvenire. Il perché di tutto questo voleva essere spiegato in tutto ciò che abbiamo detto finora.

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Ma non rischiamo in questo voler di nuovo far posto a Dio, di voler trovare la necessità della sua presenza dimenticando la lezione di Bonhoeffer? Non dimentichiamo inoltre i grandi maestri del sospetto che sono all’origine del pensare secolare dell’uomo attuale? Può essere! Però questo nuovo posto non è stato dato alla religione da qualche casta che cura gli interessi di Dio, ma da quelle stesse forze che hanno detronizzato la religione dagli spazi profani della vita. E’ Bloch che ha detto: « Dove c’è speranza, là si ha religione » E Garaudy si preoccupa di cogliere il rapporto tra la fede e la rivoluzione socialista: « La fede apporta al socialismo la sua dimensione trascendente, profetica, vietandogli di arrestarsi nella presunzione di sufficienza e aprendolo a un avvenire di un rinnovamento senza fine » 10. D'altra parte il concetto di Dio come futuro sembra salvare sia la trascendenza di Dio, in quanto il futuro è sempre nuovo rispetto al presente, sia il suo rapporto con il mondo reale, in quanto il futuro entra in rapporto con il presente. Il tentativo di Moltmann di ridur-re la fede a speranza, al di là di tutte le discussioni suscitate, sembra un tentativo teologicamente serio 11.Il problema che nasce da questa nuova collocazione della religione mi sembra piuttosto un altro: la religione è storicamente in grado di assolvere questo compito? È capace di essere il luogo dell'utopia? E questo non tanto teoricamente, ma praticamente? Non potrebbe essere questa una prova di fuoco per il cristianesimo? Le difficoltà maggiori per svolgere un simile compito nascono dal fatto che il cristianesimo, almeno nella forma storica che ha assunto nel cattolicesimo, sembra una religione fortemente ancorata al passato e alla tradizione; sembra essere impegnato più a una conservazione che a un. rinnovamento. Inoltre forti movimenti politici sembrano assolvere il servizio della speranza in un modo molto più concreto e più affascinante; per questo già Tillich chiamò questi movimenti "quasi-religioni" 12. Personalmente penso che l'avvenire di una forma religiosa si giochi su questo terreno: sulla possibilità e capacità di dare una risposta alla domanda globale sul futuro, divenendo con il servizio alla speranza un luogo di trascendenza.

III - LE RELIGIONI NON CRISTIANE E L'ESCATOLOGIA - Ogni religione affronta in qualche modo il problema dell'aldilà, almeno sotto la necessità di sistemare il tema della morte. Nelle religioni primitive la vita dopo la morte è vista come prosecuzione di quella terrena: si pensa infatti che il defunto abbia bisogno di viveri e di attrezzi (che vengono appunto messi nella tomba), inoltre il regno dei morti viene raffigurato in modo del tutto corrispondente all'assetto socio-culturale dei diversi gruppi etnici. Qui manca dunque completamente l'idea del futuro, e la realtà della vita viene colta in una dimensione fondamentalmente statica. Anche nel primo bramanesimo l'anima continua la stessa vita nel mondo dei padri; in un secondo momento appare la teoria della metempsicosi, per cui l'anima si incarna sempre di nuovo fino a quando non giunge ad annientarsi nell'anima universale, che per gli Indù costituisce il fine di tutto. Nell'attuale induismo c'è la credenza in luoghi di tormento e di purificazione temporanei, diversi secondo le diverse colpe. In modo similare esistono dei diversi paradisi, dove l'anima giunge dopo la purificazione avvenuta nelle varie incarnazioni. Ma questi paradisi non costituiscono il fine ultimo, poiché l'anima dopo un po' di tempo torna a incarnarsi, fino a dissolversi nell'anima universale. In modo analogo pensa anche il buddismo: l'anima passa da una esistenza all'altra fino a quando giunge nel nirvana. In queste concezioni non vi è spazio per un avvenire nuovo, né posto per una speranza: il tutto è già dato in un ciclo fatale a sfondo panteistico, eternamente ricorrente.Più frastagliata è la religione greca: secondo Omero l'anima liberatasi dal corpo scende nell'Ade, dove conduce una vita inerte, allietata solo dal sangue delle vittime immolate. In Omero non vi è propriamente qualcosa che corrisponda a un paradiso e a un inferno; vi è invece da una parte la vita immortale degli dei e dei semidei e dall'altra la vita mortale dell'uomo che dopo la morte continua in una forma umbratile. In Pindaro c'è di più: nella II Olimpica tratta il tema dell'escatologia individuale e parla di una sorte diversa per i giusti,

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che vanno nell'isola dei beati sotto il governo di Radamanto, e per gli iniqui, che sotto terra vengono giudicati e pagano il fio.Su questo sfondo si inseriscono le teologie misteriche. Nei misteri eleusini, attraverso alcuni miti si parla di un'immortalità mancata, per un incidente, agli uomini. Si ritiene che la partecipazione ai misteri eleusini assicuri l'ammissione a una felicità nell'aldilà, una vita beata nella familiarità con gli dei e un posto privilegiato accanto a loro. Corrispondentemente si parla di pene e di tormenti (la pena del fango e la pena di portare acqua in stacci) per gli empi e per coloro che non stati iniziati ai misteri. Anche nell'orfismo l'iniziato si accaparra una salvezza oltre la morte. « Si ha un'escatologia di condanna, che riguarda coloro che non si curano di purificarsi, e si esprime nella duplice forma di una punizione nell'Ade o di una reincarnazione in corpi inferiori attraverso la ruota o il ciclo delle rinascite. Si ha poi un'escatologia di premio, che promette beni più grandi di quelli concessi da Omero e da Esiodo. Questi beni...consistono in un "banchetto dei puri", in una sorta di ebrietà-estasi eterna, secondo una concezione in cui è presente un elemento dioninisiaco » 13 .Qualcosa di simile esiste anche in Egitto, nella religione di Osiride: se il morto ha servito pietosamente Osiride, dividerà la sua eternità nel reame sotterraneo, dove Osiride siede come giudice dei defunti.In questa impostazione abbiamo un legame tra la religione e la vita individuale dopo la morte, e la religione è vista come mezzo per determinare la propria sorte dopo la morte. Anche qui però non vi è traccia di un senso storico, né possibilità per un futuro, né posto per una speranza. La controprova di questa assenza di speranza è descritta nella religiosità classica greca dal mito di Pandora. Zeus, come vendetta contro Prometeo e contro gli uomini solidali con lui, manda sulla terra Pandora, che viene accolta da Epimeteo, il fratello sciocco di Prometeo (l'altra faccia dell'uomo). E Pandora è la causa di tutti i mali: essa solleva per curiosità il coperchio della giara dove sono contenuti i mali, i quali immediatamente fuggono via, infestando irrimediabilmente la terra; solo la speranza rimane all'interno. La speranza è dunque l'ultimo bene rimasto ai mortali, oppure un male che è rimasto in fondo alla giara? La speranza è insieme un bene e un male: il segno della condizione umana irrimediabilmente lontana dalla situazione di felicità degli dei, i quali non hanno speranza perché possiedono la felicità; in questa condizione è anche un bene perché rende sopportabile la vita, ma fondamentalmente non ha alcun senso sperare.Nelle religioni più vicine alla tradizione biblica troviamo delle escatologie più elaborate: accenno qui brevemente a due, quella islamica e quella dei Mandei. I Mandei hanno una concezione fortemente dualistica sia dell'uomo che della società: la redenzione o salvezza consiste nel felice ritorno dell'anima alla sua sede celeste e tutta la dottrina o rivelazione mira a questo. La morte è il giorno della redenzione. Una volta liberatasi dal corpo l'anima inizia un lungo viaggio attraverso sette o otto purgatori ultraterreni di natura maligna, che tentano di bloccare l'anima. Per portare a termine il suo viaggio l'anima deve esibire dei lascia-passare, dati dalla religione. Occorre comunque un redentore o un messo della luce che liberi le anime prigioniere. Infine l'anima deve subire un giudizio, ed è questo giudizio che stabilisce se può finalmente entrare nel regno della luce, e con ciò essa è ritornata alle sue origini. I Mandei conoscono anche un paradiso, collocato al nord, dove si trova anche il regno della luce: qui dimorano gli adamiti celesti e le copie degli esseri terrestri. Accanto a questa escatologia individuale esiste un'escatologia universale: ci sarà un giudizio finale, nel quale verranno giudicate le anime prigioniere dei purgatori. Coloro che non credono verranno condannati al fuoco ardente. Nel giorno del giudizio finale ci sarà anche la fine del mondo, quando la luce ascenderà e le tenebre torneranno alla loro sede.La credenza nell'immortalità dell'anima è fondamentale anche per la religione islamica. Dopo la sepoltura del cadavere il defunto viene sottoposto a un giudizio per opera dei due angeli: Mùnkar e Nakìr. Se mostra fede insufficiente egli riceve fino al giorno del giudizio universale la così detta pena del sepolcro (concetto non molto chiaro nella riflessione islamica), i buoni ricevono invece un'anticipazione dei godimenti del paradiso. Esiste anche

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la concezione di un luogo intermedio, ove sarebbero le anime di coloro che hanno uguali meriti e demeriti, anche se tutta questa escatologia non è chiaramente definita e in essa gioca un certo ruolo la fantasia popolare. Il giudizio universale sarà preceduto da segni strepitosi, come fenomeni naturali, corruzione della fede, lotte fraterne e guerre varie, e infine apparirà il Màhdi o Guidato da Dio. Egli convertirà. il mondo all'islam e lo riempirà di giustizia. Secondo la credenza più diffusa verrà anche Cristo, scenderà sul minareto della moschea di Damasco e dopo aver ucciso l'anticristo farà regnare la pace per quarant'anni. Poi l'angelo Israfil suonerà la tromba e tutte le creature moriranno; a un secondo squillo risorgeranno e attenderanno il giudizio in una pianura sotto i raggi del sole. Dopo il giudizio tutti passeranno per un ponte, steso sopra un grandissimo abisso e sottile come un capello; i buoni passeranno sani e salvi e i cattivi precipiteranno nell'inferno. Le pene dell'inferno sono di vario genere: fuoco, acqua bollente, freddo intenso, pece, ecc. Il paradiso è invece un giardino con alberi pieni di frutti a portata di mano, con acqua limpida, latte corrente, vino e miele. Il credente avrà anche bellissime compagne, dotate di una verginità sempre rinnovata. L' unico elemento spirituale è costituito dalla contemplazione di Dio.Anche in queste due ultime religioni l'aldilà (non si parla evidentemente di futuro in senso storico) è sostanzialmente visto come la faccia migliore di questo mondo: in fondo non si tratta che di questo mondo senza i difetti e con gli aspetti positivi portati al massimo. La mancanza di una speranza inerente alla storia sembra quindi legarsi all'elaborazione di un aldilà conforme a questo ordine di cose già esistenti, avente a monte una sostanziale accettazione della realtà attuale. Nell'islamismo la mancanza di una speranza storica è comprovata dal fatalismo, basato a sua volta sulla prescienza e predestinazione operata ab aeterno da Dio.

Mi sembra dunque di concludere che nelle religioni non cristiane vi è una dottrina escatologica riguardante l'aldilà, un'elaborazione delle ultime (éschata), ma manca completamente il senso di un divenire storico in cui il futuro trovi una sua collocazione come qualcosa di nuovo e di diverso rispetto al presente; manca in una parola l'éschaton, inteso come “altro” rispetto all'attuale realtà. Io dunque una certa alternativa tra éschata e éschaton, prendendo i termini come sono qui esposti. Questo problema ne sottende un secondo: l'elaborazione dell'escatologia dipende dal rapporto che una singola religione vive con il reale. Quando la realtà è accettata come ordine naturale-divino, sia in senso panteistico come nelle religioni dell'India, sia in senso dualistico come nelle religioni greca e islamica, l'escatologia è che la sistemazione di questa stessa realtà, dove le cose vengono messe al loro posto giusto, dove finalmente vien fatta giustizia, ma una giustizia che non è che la proiezione della giustizia umana: la condanna dell'empio e il premio del buono. Una prova di questa dipendenza dell'escatologia dal rapporto che la religione vive con la realtà circostante, si potrebbe vedere nei movimenti settari, di tipo eretico. Questi movimenti entrano in conflitto la realtà circostante, rappresentata dalla struttura, ed elaborano e vivono un'escatologia di tipo messianico-apocalittico, che, se che anche non è molto purificata da fantasie popolari, ha un forte senso temporale. — In confronto con queste escatologie dobbiamo o analizzare l'escatologia biblica;

IV - L'ESCATOLOGIA BIBLICA - Qui è possibile esporre soltanto in modo estremamente sintetico le conclusioni più generali a cui è giunta una complicata e discussa ricerca biblica. D'altra parte il tema dell'escatologia biblica è di grande attualità per le diverse forme che assume la teologia della speranza e per una eventuale revisione delscatologia cattolica. Per maggior chiarezza la espongo in due tempi, seguendo le due tappe storiche che la rivelazione ha utilizzato.

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1. L'ESCATOLOGIA NELL'AT -Tutti sottolineano l'originalità dell’impostazione escatologica della Bibbia e molti, alle prese con la storicità dell'attuale coscienza umana, pensano di trovare già nella rivelazione quella colossale spinta verso il futuro che caratterizza il nostro tempo (basti pensare alle ricerche di Bloch e di Moltmann). Proprio per questo viene importante cogliere il pensiero biblico in se stesso, sforzandosi di comprenderlo nel suo proprio contesto. Cercherò di farlo in cinque punti schematici.

a. La concezione del tempo – Il popolo ebraico si stacca dalla visione ciclica del tempo, propria delle altre religioni. Il tempo non ritorna annualmente al suo punto di partenza seguendo il ciclo naturale delle stagioni, ma si distende lungo una linea che è formata dagli eventi salvifici. Secondo Von Rad, Israele sarebbe giunto questa visione originale attraverso le feste che, ricordando gli avvenimenti passati, collegavano il presente a un passato che stava oltre il ciclo naturale delle stagioni e spezzava questo cerchio per una continuità sempre più ampia secondo le diverse elaborazioni teologiche, giungendo fino alle origini. Il punto culminante di questa elaborazione storica sarebbe costituito dal tentativo di cogliere in un insieme omogeneonazionale le varie feste legate a diversi luoghi cultuali 14. Con ciò il tempo ebraico non coincide con la visione moderna d'una lunga linea, filosoficamente intesa, sulla quale si collocano gli avvenimenti, ma viene costituito da questi stessi avvenimenti e non è concepibile senza di loro. Partendo da questa visione, sostanzialmente rivolta al passato, i profeti fanno due passi essenziali: inizialmente colgono nel presente quello stesso operare salvifico di Jahve precedentemente collocato nel passato, e successivamente (quando la situazione dell'esilio impone di superare lo scacco subito con una nuova teologia della storia) descrivono il futuro come la nuova possibilità salvifica, spostando la prospettiva storica dalle origini passate (la creazione della Genesi) al futuro messianico (la nuova creazione del Deutero Isaia). Ne nasce una storia ritmata da un ricordo sotto la tensione di una promessa che tende a un compimento. La linearità della storia diviene quindi fondamentalmente escatologica attraverso l'attesa del giorno di Jahve, dove confluiscono non solo Israele, ma tutta l'umanità. Quello che mi sembra importante far notare è che qui non siamo di fronte a una diversa impostazione culturale del tempo (la qual cosa non potrebbe avere un gran peso per la rivelazione, in quanto cultura ebraica), ma siamo di fronte a una visione del tempo che scaturisce dagli avvenimenti della salvezza e diviene una rivelazione sul senso del tempo. Israele si stacca dalla natura e diviene libero di guardare la possibile mutabilità rivoluzionaria della natura, perché Jahve cammina davanti a lui (Es 3,14). Se confrontiamo questa impostazione con quella delle religioni non cristiane dobbiamo dire di trovarci su un piano completamente opposto. Quando la letteratura apocalittica parlerà della fine della storia aggiungerà molti altri elementi, ma si mostrerà anche più incapace di inserire in modo coordinato la sua trattazione nell'intero arco della salvezza storica, mostrandosi proprio per questo più legata ad una particolare cultura.

b. Escatologia comunitaria - Non è assente il problema di una escatologia individuale, soprattutto nel filone del rapporto tra il male fisico e il male morale (tra l'ordine dei valori e l'ordine dei fatti) che costituisce il centro del libro di Giobbe e trova una continuità materiale dai libri storici ai sapienziali. Ma il tema più ampio, in cui si colloca anche l'escatologia individuale, è l'escatologia universale, in cui si risolve ad un tempo il destino di Israele, di tutti i popoli e di tutto l'universo. È il tema della nuova alleanza (Ger 31,31-34), alla quale parteciperanno tutti i popoli (Is 49,1-6; 66,18-24; Mic 4,1-5), quando ci sarà una nuova creazione (Is 65,17; 66,22). Questa universalità è strettamente legata all'impostazione storica sopra descritta: la promessa esige un orizzonte escatologico universale e cosmico, perché totalizza nel rapporto con Dio la visione dell'intera realtà; proprio come la Genesi totalizzava questo rapporto nel passato.

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c. Escatologia messianica - L'AT non ha una descrizione dei tempi della fine distinta da quella dei tempi messianici in genere: i tempi messianici sono anche i tempi escatologici. Così 1'AT annunzia in un solo blocco i giorni del messia come i tempi della fine, tanto che lo sviluppo dell'escatologia procede di pari passo con lo sviluppo messianico. Questo se da una parte è dovuto alla mancanza di prospettiva, indica da un'altra parte (soprattutto nei grandi profeti dove il messia si confonde con la stessa venuta di Jahve) qual è l'oggetto della promessa. Di nuovo cogliamo una profonda differenza tra l'attesa di Israele e le altre attese religiose: 1'AT elabora un'escatogia storico-messianica universale che trova il suo compimento definitivo in un nuovo rapporto con Dio, in un incontro con Dio; in una nuova alleanza con Dio. Nessuna fantasticheria su una vita nell’aldilà troviamo nella bibbia, perchè il compimento escatologico è Dio stesso e Dio solo, la novità escatologica è data da Dio. La consolazione e la speranza del salmista in mezzo a tutti i pericoli dei suoi nemici è la speranza fondata sul fatto che « nella tua mano sono i miei tempi » (Sal 31, 16) E ancora più chiaramente: « Ma io sono sempre con te... Chi c’è per me nei cieli?.., viene meno la mia carne e il mio cuore?... Per me l'avvicinarmi a Dio è il mio bene...» (Sal 73,23-28). « Nessuna descrizione dell’inferno o del paradiso, Dio solo c'è nello sguardo del salmista, egli non vuole che Dio. Essere con Dio, in cielo o sulla terra, questo basta. Nessuna cosmologia: così noi siamo al centro della fede Israele » 15

d. Escatologia mondano-terrestre. - La bibbia non conosce 1'opposizione filosofica tra eternità e tempo e non ha una visione filosofica del tempo considerato in se stesso. Il tempo sono gli avvenimenti che concretamente avvengono. Per questo l’escatologia non sta al di là del tempo, ma è l'ultimo avvenimento che chiude la serie degli avvenimenti. Inoltre la bibbia non ha una visione dualistica dell'uomo e della realtà, ma una concezione unitaria, per questo l'escatologia non è il passaggio ad un altro mondo superiore o spirituale, ma è in continuità con questa realtà. Si tratta sì di una nuova creazione operata da Dio, diversa dall'attuale creazione, ma non in opposizione a questa, come spirito a materia. Da qui le descrizioni anticotestamentarie dell'era messianica sotto numerose immagini materiali, che hanno il loro fondamento nella secolarità propria del mondo ebraico. Questo non significa che il futuro escatologico sia pensato come una semplice prosecuzione del presente, perché viene ugualmente sottolineata la novità escatologica, ma non viene pensato in contrapposizione al presente, bensì in una certa continuità e fedeltà alla terra.e. Coscienza attivo-dinamica della storia - Jahve agisce all'interno della storia, con gli avvenimenti del tempo e attraverso gli uomini. La funzione dei profeti sta nell'individuare negli avvenimenti del tempo l'azione salvifica di Dio e nel cogliere l'utilizzazione provvidenziale che egli fa dei diversi uomini, appartenenti o non appartenenti al popolo eletto. Il Dio biblico è un Dio di uomini! Non ci sono per la bibbia due storie, ma una sola storia: la liberazione dell'esodo e la creazione sono due azioni salvifiche che stanno sullo stesso piano. Da questa unità scaturiscono la possibilità e la necessità di una partecipazione attiva dell'uomo alla costruzione dell'unica storia di Dio. La promessa pertanto si realizza lungo il corso della storia, orientandola completamente verso il futuro, e interpella l'uomo per una dinamica politica. La storia umana non è allora che il compimento lento, rischioso e sorprendente della promessa. La promessa escatologica, inoltre, ponendo la salvezza nel futuro rompe l'incantesimo del passato (secondo Von Rad sarebbe questo l'apporto fondamentale dei profeti 16) e fonda la possibilità rivoluzionaria, il “poter essere altro” del presente rispetto al passato. Queste tesi costituiscono il fondamento per le attuali teologie della liberazione 17.

2. L'ESCATOLOGIA NEL NT - Troviamo una continuità di fondo sulla concezione del tempo e della storia, ma dal punto di vista teologico la venuta di Gesù Cristo diviene il fatto

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nuovo che potrebbe cambiare la dinamica e la direzione della promessa. Schematicamente considero qui l’escatologia del NT nelle tre riflessioni teologiche che lo costituiscono.

a. L'escatologia di Gesù nell' opera sinottica - L'ambiente culturale in cui si inserisce la predicazione storica di Gesù è particolarmente animato da un'attesa escatologico-apocalittica, attesa che viene diversamente vissuta secondo le varie correnti. Di fronte a queste correnti Gesù assume una sua posizione personale originaria. Sembra certo innanzitutto che egli fa del problema escatologico il nucleo fondamentale del suo messaggio. Questo appare chiaramente dallo schema sinottico che riassume la prima predicazione di Gesù nel motto: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo » (Mc 1,15). Secondariamente Gesù si colloca nella linea profetica e intende con questo collocamento operare una scelta ben precisa nel ventaglio delle posizioni escatologiche. Come i profeti, egli si libera coraggiosamente dal peso teologico del passato per porre con estrema radicalità nell'attualità del presente il problema della salvezza. Non si tratta però di un presente chiuso in se stesso, ma di un presente costantemente tenuto aperto al futuro. In questo senso Gesù parla contemporaneamente del regno presente, del regno che viene e del regno che verrà. Le parabole del regno mostrano chiaramente il suo carattere dinamico, che implica una prima fase di crescita, inconciliabile con l'avvento improvviso e definitivo degli apocalittici. In questa visione il regno di Dio viene progressivamente, prima di piombare incontrastato alla fine dei tempi, chiedendo la necessaria partecipazione dell'uomo. In questa visione della storia Gesù si sforza di unire in una tensione dinamica il presente e il futuro, ed è l'interpretazione di questa tensione che è all'origine delle diverse teologie della storia, che considereremo più avanti.Per quanto riguarda invece il discorso sulla fine dei tempi bisogna distinguere in Gesù il nucleo del suo pensiero dal rivesti-mento culturale proprio dei suo ambiente. Quest'ultimo infatti può aver influito sia su Gesù stesso sia sulle forme letterarie che ci tramandano il suo pensiero. Tre punti sembrano essenziali a risalire alla posizione originaria di Gesù. Primo: non si può conoscere il tempo della venuta finale del regno di Dio, questo tempo sta unicamente nel segreto del Padre (Mc 13,32). Ne deriva (ed è il secondo punto) che l'atteggiamento fondamentale è quello dell'attesa, così rimarcata nelle parabole della vigilanza. Infine, pur utilizzando ampiamente l'immagine giuridica del giudizio, sembra che Gesù presenti la venuta finale del regno di Dio come una realtà gioiosa, simile a un banchetto, come l'irrompere nella storia della salvezza di Dio. In questo punto Gesù si è messo in conflitto con la predicazione di Giovanni, sostituendo al giudizio punitivo di costui la visione di una salvezza offerta ai peccatori. Le immagini del giudizio indicano quindi la sconfitta del male, più che la sconfitta dei cattivi. La chiusura della storia è un lieto fine, che dà senso ai dolori della storia, secondo l'immagine del parto (Mt 24,8; Gv 16,21), ripresa anche da Paolo (Rm 8,22).A questo insegnamento di Gesù va aggiunto il fatto fondamentale di tutto il NT: la sua morte-risurrezione; fatto che non si esaurisce in alcuna intenzione teologica (comprese quelle neotestamentarie) e che va oltre le stesse parole di Gesù. l'éschaton è l'incontro della storia umana con Dio, non bisogna dimenticare che il Dio di questo incontro è quello che si è manifestato nella morte-risurrezione di Gesù 18.La comunità post-pasquale, per quanto si riflette nella teologia dei sinottici, partendo dall'identificazione del messia con Gesù (sotto le varie forme contenute nei diversi nomi messianici attribuiti a Gesù) vede in lui l'attuarsi definitivo della storia della salvezza e ha coscienza di essere entrata nella fase ultima della storia.

b. La riflessione escatologia di Paolo - Bisogna innanzitutto osservare la novità della riflessione teologica neotestamentaria rispetto alla concezione dell'AT. Per gli autori del NT colui che verrà alla fine dei tempi non è più un personaggio sconosciuto, ma è lo stesso Gesù che molti hanno conosciuto e visto. Corrispondentemente la coscienza che il regno di Dio è

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venuto in Gesù rompe il vecchio schema escatologico e dà luogo a una nuova serie di idee. La teologia del NT si pone il problema del significato teologico del tempo che intercorre tra la risurrezione di Gesù e la sua venuta finale; è questo un tema fondamentale della riflessione lucana. È in questo orizzonte che bisogna inserire il pensiero Paolo.È comunemente accettata l'idea che Paolo abbia avuto sul tema dell'escatologia un'evoluzione, che può essere descritta in due fasi: in un primo tempo Paolo attende il ritorno di Cristo glorioso in un tempo relativamente prossimo; successivamente la preoccupazione di questa prossimità lascia il posto a una teologia della speranza che non fa questioni di tempo. Il passaggio da una fase all'altra sarebbe segnato dall'esperienza dolorosa che costringe Paolo a rendersi conto dell'impossibilità di una conversione globale d'Israele, il quale non si convertirà che dopo la conversione di tutti i pagani, e solo allora sarà la fine (Rm 11,15). Tutta l'escatologia di Paolo risente di questa evoluzione. Nella prima fase è più legata all'apocalittica giudaica, fa perno sul concetto di giudizio e sul tema della parusia, come ritorno glorioso di un signore regnante, attualmente assente. Quel giorno sarà il giorno della salvezza e della manifestazione (epifania) del Signore. Questa escatologia è contenuta in 1-2Ts e in 1-2Cor.Nella seconda fase i contenuti dell'escatologia vengono anticipati e fatti coincidere con l'evento della morte-risurrezione di Gesù Cristo. Così la vittoria sulle potenze e principati è già avvenuta (Ef 1,22; Col 2,14); la salvezza è già presente e i cristiani sono già stati salvati (Rm 13,11; Ef 2,5.8). Cristo è visto come presente, in modo misterioso, in questo tempo, e la sua manifestazione non è più la venuta di un assente, ma il manifestarsi esterno e glorioso di una presenza nascosta. All'idea del giudizio apocalittico subentra l'idea di una riconciliazione misericordiosa, dove Cristo stesso è avvocato e intercessore (Rm 5,9; 8,1.34). All'interno di quest'impostazione nasce il grande tema della speranza, che si sviluppa attorno ai tre filoni di attesa, fiducia e costanza 19. All'interno di questo tema Paolo risolve il problema del rapporto reciproco tra futuro, presente e passato. Il punto essenziale rimane l'aggancio del futuro con il presente, l'attestazione che il futuro è già accessibile ora. La descrizione più importante delle oggettivazioni escatologiche è la risurrezione dei morti.

c. L'escatologia di Giovanni - L'escatologia di Giovanni viene sovente caratterizzata come escatologia realizzata: l'intera opera della salvezza è compiuta, l'eternità è già cominciata ed è presente nel tempo. Anche l'attesa della parusia è scomparsa e il giudizio è già stato compiuto. Proprio attorno al tema del giudizio ruota il pensiero escatologico di Giovanni: il giudizio è compiuto dalla presenza del logos incarnato nella storia. Cristo-luce è per Giovanni la vera realtà escatologica, che costringe gli uomini a fare una scelta definitiva per Gesù o contro di lui. I mira-coli sono chiamati segni e possiedono un valore escatologico discriminante, poiché manifestano la sua gloria e provocano il giudizio di fede o di miscredenza nei cuori degli uomini. Contro una totale eliminazione del futuro bisogna ricordare che la presenza della salvezza avviene solo nella fede, e attraverso la fede l'elemento futuro non viene eliminato ma attualizzato. L'opera della salvezza è sì completa, ma deve accadere sempre di nuovo, deve continuamente farsi presente dall'alto.Il tema centrale dell'Apocalisse è la signoria escatologica del Cristo risorto, che pur essendo già padrone della storia e pur avendo già vinto tutte le potenze del male , deve ancora manifestarsi in una completezza esterna e cosmologica. Che cosa deve dunque attendersi il fedele dal futuro?«Nulla che egli non possegga già. Egli possiede già la vita. Ciò che egli può attendere è di non aver più bisogno di vivere nel mondo, nel provvisorio » 20.

3 . CONCLUSIONI - La tradizione biblica possiede una sua originalità nella meditazione escatologica, e questa originalità si evidenzia in due aspetti essenziali. L'AT non ha propriamente parlando una riflessione sulle ultime cose (éschata), e in questo senso manca di

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una vera escatologia 21. Questa mancanza non è casuale, ma è dovuta a una precisa impostazione del problema storico e deriva logicamente dall'esperienza religiosa che anima tutta la cultura d'Israele. Una radicale speranza nel futuro (éschaton), tenuto costantemente aperto, impedisce una cristallizzazione dell'éschaton in éschata. Il contenuto oggettivo di questa speranza è che la storia deve sfociare nel regno universale di Jahve. Questo dipende strettamente dalla visione religiosa d'Israele e dal concetto stesso di Dio (Es 3,14). La storia diviene allora un cammino che oscilla tra ricordo e attesa, tra dono e promessa. Antropologicamente intesa la storia è un essere in cammino con Dio, presente appunto nella storia, con la coscienza precisa che solo questo Dio è il proprio éschaton. Questo éschaton, proprio perché si identifica con Dio, rifiuta una oggettivazione e le immagini (Dt 27,15). L'AT sperimenta il proprio tempo come storia davanti a Dio e con Dio: questo è il suo messaggio escatologico.Ciò che è caratteristico invece del NT (e siamo così al secondo aspetto) è il fatto che questo futuro si è già fatto presente in un personaggio che è familiare a tutti gli autori del NT. Il giorno di Jahve diviene perciò il giorno del Signore e la salvezza finale diviene salvezza di questi tempi. Questa anticipazione è però avvenuta nel mistero della morte-risurrezione di Gesù: questo da una parte pone l'éschaton nella storia e dall'altra impedisce ugualmente, per la dimensione di mistero propria dell'evento morte-risurrezione, una cosificazione del futuro, una caduta dell’éscaton in éschata. Anche qui dunque la fede si risolve sostanzialmente in speranza (Eb 11,1). Il processo inverso svuoterebbe la croce di Cristo e vorrebbe dire che la risurrezione può trovare una definitiva sistemazione nelle categorie del pensiero umano, invece di rimanere come parola aperta data oltre il fatto storico della morte.

V - FORMAZIONE DELL'ESCATOLOGIA CRISTIANA - Nell'era sub-apostolica la chiesa si trova impegnata nelle prime sistemazioni dottrinali, che sono riflesse nel travaglio della formazione dei vari simboli di fede. In questi simboli di fede c'è sempre un qualche accenno al problema escatologico: il tema della risurrezione della carne chiude quasi sempre i primissimi simboli 22. In qualche simbolo si parla del ritorno di Cristo per giudicare i vivi e i morti (simbolo niceno tra gli altri), e anche dell'attesa di una vita eterna o "vita venturi saeculi", come dice il simbolo costantinopolitano. È dunque il tema dell'escatologia generale che viene qui trattato, in linea ancora con la tradizione giudea trasmessa dalla bibbia. Nascono anche le prime sintesi teologiche, e alcuni padri dedicano una speciale attenzione al problema escatologico. Basti pensare a Ireneo, particolarmente sensibile alla teoria della ricapitolazione e simpatizzante per opinioni millenariste; a Origene, che sotto l'influsso della filosofia platonica costruisce una complessa sintesi escatologica culminante nell'apokatastasi; a Tertulliano, che in qualche maniera parla già di una sofferenza penitenziale dopo la morte; e infine ad Agostino e Ambrogio. Ed è proprio leggendo questi padri che ci si accorge di qualcosa di nuovo rispetto alla tradizione biblica: è l'emergere di una escatologia greca, fondamentalmente diversa da quella giudeo-cristiana. L'escatologia giudeo-cristiana insiste sulla risurrezione della carne, sul giudizio finale e sull'aspetto collettivo-cosmico. L'escatologia greca invece insiste sull'immortalità dell'anima, sul giudizio particolare, con la ricompensa o il castigo subito dopo la morte. Queste due escatologie sono diverse perché si rifanno a presupposti diversi e contrapposti, che sono l'antropologia, la visione della storia e la comprensione dell'ordine cosmico generale. Mentre l'antropologia biblica è fondamentalmente unitaria, quella greca intende l'uomo come composto di anima e corpo, la morte è la separazione o la liberazione dell'anima dal corpo. Per logica conseguenza nasce il problema dell'escatologia intermedia, ossia il problema di collocare l'anima in attesa di una fine generale.Il cosmocentrismo greco si fa sentire nella localizzazione della tensione escatologica, e nel subordinare a un ordine cosmico universale il processo storico-creativo del mondo biblico. Basti pensare p. es. alla successione illimitata dei mondi elaborata da Origene. L'escatologia cristiana risultante da queste due linee è uno sforzo di mettere assieme due visioni, che, se

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non sono in-conciliabili, sono certamente diverse. È questa la tesi fondamentale della ricerca storica di Rondet, che si svolge appunto sotto il titolo di "ellenismo o giudaismo?" 23. « In realtà, scrive Rondet, l'escatologia dei padri greci e latini riveste un aspetto composito, a mezzo strada tra la logica dell'escatologia greca e quella dell’escatologia giudaica. Qualche raro autore, come Afraate il Siro, sembra dire che le anime dei defunti, in attesa della risurrezione, sono intirizzite e nel sonno. All’opposto Clemente d'Alessandria sembra dare poca attenzione alla risurrezione e al giudizio generale » 24.Alla fine dell'epoca patristica si trova costituita, in occidente, un'escatologia che « è un tentativo di conciliazione tra l'escatologia greca e l'escatologia giudaica, tra il punto di vista collettivo e il punto di vista individuale » 25. La sintesi ufficiale di queste due escatologie è operata nel 1336 da Benedetto XII con la costituzione Benedictus Deus 26. Con essa viene praticamente terminata la costruzione dell'escatologia cristiana; i concilii successivi infatti non faranno che riprendere singoli punti, storicamente controversi, senza aggiungere aspetti materiali nuovi. Quanto poco profonda sia stata questa sintesi lo provano le controversie ecumeniche emerse lungo la storia della chiesa: quelle con il mondo greco culminanti nel concilio di Firenze e quelle con il pensiero protestante iniziate. con il concilio di Trento. Inoltre lo stesso pensiero cattolico ha sempre sentito una difficoltà nel sostenere l'esistenza di due giudizi.Qual è dunque l'escatologia risultante da questa sintesi che chiude un lunghissimo periodo di riflessione teologica? È quella passata nei manuali di teologia, distinta in un'escatologia individuale o intermedia, che tratta del destino della singola persona subito dopo la sua morte (giudizio particolare con le tre possibilità diverse di paradiso, inferno e purgatorio) e quella universale o finale, comprendente il giudizio finale, il ritorno di Cristo e la fine del mondo. Le caratteristiche di questa escatologia sono date dal venire in primo piano non più di una tensione storica, basata sulla fede-speranza, che si apre al futuro di Dio, ma di una cosificazione del futuro, che inserisce l'avvenire in un sistema già dato e lo struttura in conformità al presente. Il futuro, lungi dal rimanere il luogo della promessa, viene atomizzato e praticamente digerito dal presente, fino a rientrare in una globalità determinata, più vicina al cosmocentrismo greco che al movimento storico biblico. L'escatologia descrive la "fisiologia" 27 dell'eternità, perdendo completamente la globalità dell'incontro dell'uomo con Dio. Con la terminologia usata precedentemente si dovrebbe dire che questa escatologia si ferma e si perde nelle cose ultime (éschata) più che puntare il suo sguardo sull’éschaton. In questo modo dissolve il mistero dell'éschaton, che è Dio, per soddisfare una ambizione ecclesiastica e una curiosità della fantasia umana. Siamo allora veramente lontani dall'escatologia biblica, e molto vicini alle altre escatologie. Sembra dunque a me che il problema dell'escatologia si ponga in un'alternativa essenziale: o éschaton, o éschata.

L'escatologia dei manuali tradizionali, oltre a perdere l'éschaton, rischia di mettere sullo stesso piano l'esito positivo e l'esito negativo della vita umana, come se entrambi avessero lo stesso posto nel piano di Dio e lo stesso ruolo nel messaggio della salvezza di Gesù. Inoltre la riflessione sull'esito finale della salvezza fa perno sull'ecclesiologia, in quanto la salvezza viene legata sostanzialmente alla chiesa, intesa anche nel suo assetto visibile. Non si annuncia quindi un messaggio di salvezza al mondo, ma si annuncia se stessi come luogo di salvezza. E infatti partendo dalla nuova collocazione che la chiesa vive nell'era costantiniana, che diviene comprensibile il passaggio da una escatologia biblica incentrata sull'éschaton a un'escatologia greca che si preoccupa delle "cose ultime". Per fattori storici precisi qui la chiesa intende se stessa come la totalità, e comprende la totalità (aldilà compreso) partendo da se stessa. Diviene quindi possibile una sistematizzazione del tutto, a cui nulla sfugge, neppure l'eternità. Non voglio qui mettere in luce aspetti socio-politici della chiesa medioevale, ma cogliere il clima culturale in cui si è formata l'escatologia classica e quella cattolica tradizionale. Proprio per cogliere i particolari condizionamenti di un singolo ambiente diviene utile soffermarci un momento su altri due filoni dell'escatologia cristiana:

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quello della chiesa ortodossa e quello protestante.

VI - L'ESCATOLOGIA NEL TRADIZIONE ORTODOSSA - Dal sec. ix a oggi non sono mancati tra gli orientali teologi che ammettessero la retribuzione piena solo dopo la risurrezione finale. Così pensarono Fozio e Teofilatto, i quali esercitarono una notevole influenza sulla teologia posteriore. La controversia con la chiesa romana raggiunge il momento storico al concilio Firenze (1439-1445). Qui l'opposizione dei greci si riduceva a due punti fondamentali: rifiuto termine "purgatorio" e negazione decisa del fuoco purificatore. Sotto questa controversia sta la negazione di una purificazione dopo la morte, così come viene intesa dalla chiesa romana. Per orientali è da escludersi una purificazione attraverso il fuoco, l’unica purificazione possibile è attribuita alla misericordia di Dio, attraverso il ricordo della chiesa nella preghiera eucaristica. Non è esclusa una certa sofferenza in queste anime, ma viene esclusa la possibilità di un progresso morale. Bisogna però notare che la dottrina del purgatorio non è stato fissata per gli orientali, e vie praticamente considerata come un theologoumenon, anche se le preghiere per i defunti sono comunemente accettate.Dietro questa controversia emerge inoltre una diversa visione del rapporto fra escatologia intermedia ed escatologia finale: gli orientali danno molto maggior importanza alla fase finale dell'escatologia, sottolineando la consumazione, cosmica e universale, di tutti e di tutte le cose. I capisaldi dell'escatologia finale sono: il ritorno del Signore nella consumazione universale, la risurrezione dei morti, il giudizio generale e la rinnovazione del mondo 28. Conseguentemente le anime dei defunti (anche qui l'antropologia considera l'uomo come essere in anima e corpo) si trovano in uno stato intermedio e provvisorio, diverso dallo stadio finale. Queste anime dimorano in "luoghi" particolari: i giusti nel paradiso abbandonato da Adamo, o nel seno di Abramo, o anche nelle chiese, dove ascoltano le preghiere e fanno miracoli per mezzo delle reliquie e delle immagini; essi pregustano solo i beni del cielo e per questo attendono la consumazione finale. Quanto ai peccatori, immersi nella tristezza e nelle tenebre, sono già puniti nell'ade, ma non con il fuoco. Anch'essi quindi pregustano le pene eterne, che dovranno soffrire dopo il giudizio finale. La chiesa orientale esprime nella liturgia una viva coscienza di essere unita a tutti i defunti che attendono la creazione finale, e sa di poter essere loro di aiuto con il refrigerio delle preghiere.

VII - ESCATOLOGIA E RIFORMA PROTESTANTE - Inizialmente Lutero non rigettò le idee teologiche dominanti in fatto di escatologia, ma a mano a mano che elaborò il suo intero sistema teologico fu quasi logicamente costretto a rivedere l'impostazione del problema escatologico. Cominciò a negare l'esistenza del purgatorio, perché questa verità della chiesa cattolica si inseriva armonicamente nel sistema delle indulgenze e nella giustificazione attraverso le opere. Egli disse apertamente che il purgatorio era una invenzione del papa per fare soldi. Fu seguito in questo da Calvino, Zwingli e anche dalla chiesa anglicana. Anche se la tradizione protestante ha avuto qualche eccezione lungo la storia, bisogna dire che nel suo insieme, e soprattutto l'attuale teologia tende chiaramente a sopprimere tutta l'escatologia intermedia, riducendo la dottrina escatologica all'unica fase finale. « In linea generale, per la teologia protestante dei nostri giorni, l'escatologia cattolica avrebbe aggiunto all'idea genuinamente biblica della risurrezione dei morti l'idea dell'immortalità dell'anima, che è frutto della filosofia greca. Dato il carattere che viene attribuito alla duplice fase della dottrina cattolica, l'eliminazione dell'escatologia intermedia viene presentata dagli ambienti protestanti come un'opera di purificazione teologica » 29. Non si tratta però unicamente di una diversa impostazione antropologica, ma più propriamente di un diverso concetto teologico di giustificazione: è la giustificazione per la sola grazia che esclude nel sistema teologico protestante l'esistenza di una purificazione per mezzo del fuoco o per mezzo delle preghiere della chiesa. Mentre però la negazione del purgatorio è universale nella riforma, non

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mancano tentativi di risolvere il problema dello spazio intermedio tra la morte personale e la fine del mondo 30. Comunque rimane che per il protestantesimo il problema escatologico coincide sostanzialmente con l’escatologia universale e finale.

A proposito dell'escatologia universale bisogna ricordare che vi è un filone protestante, anche se quantitativamente minoritario, che nega l'esistenza eterna dell'inferno. Il protestantesimo liberale sopprime l'inferno e Schleiermacher difende l’apokatastasi. Ugualmente Seeberg, nella sua dogmatica, elimina l’inferno, e Michaelis difende apertamente l'apokatastasi. Lo stesso Barth lascia chiaramente trasparire le sue simpatie per una salvezza universale, dalla quale nessuno è escluso. E’ vero che non è questo il pensiero dominante nel mondo protestante, ma personalmente mi sembra quello più logico nel quadro generale della riflessione teologica protestante: dove la salvezza viene unicamente da Dio, diviene difficile porre dei limiti a questa salvezza. Barth infatti radicalizzando il pensiero protestante giunge logicamente all'apokatastasi.Se si vuole comprendere l'escatologia cristiana bisogna dunque coglierla nel triplice versante storico di escatologia cattolica, ortodossa e protestante. Vi è però un quarto filone che, ponendosi dapprima come riflessione parallela all'escatologia, pretende oggi di ereditare in modo esclusivo il nucleo dell'escatologia biblica e costituisce una vera alternativa all'escatologia cristiana sopra esposta: si tratta della teologia della storia.

VIII - STORIA ATTUALE E ÉSCHATON FUTURO - Sorta inizialmente come problema esegetico all'interno del rinnovamento biblico, questa corrente tematizza l'éschaton ed entra in dialogo con il rinnovamento culturale escatologico delle coscienze moderne descritto all'inizio. Per una maggior chiarezza conviene esporre brevemente le posizioni che segnano le tappe fondamentali del lungo cammino compiuto.

I. ESCATOLOGIA CONSEGUENTE - Nel 1892 Weiss in chiara opposizione al pensiero teologico liberale, che presentava il regno di Dio e la sua diffusione come mete da raggiungere attraverso il lavoro dell'uomo, scoprì che secondo il NT e il messaggio di Gesù il regno di Dio è una grandezza ultramondana, in contrasto con questo mondo, che sarà stabilito unicamente da Dio. La venuta del regno di dio implicherà rivoluzioni e trasformazioni cosmiche, inconcepibili con una venuta progressiva proporzionata al lavoro dell’uomo. Gesù si è limitato ad annunciare la venuta di questo regno, e ha giudicato il presente alla luce di questa venuta.Dopo di lui Schweitzer pensa che Gesù abbia predicato la venuta imminente del giudizio di Dio e abbia pensato a una imminente fine dei tempi. La parusia di Gesù sulle nubi del cielo doveva avvenire in immediata connessione con la sua morte. Così Gesù ha fatto tema centrale della sua predicazione la prossima fine del mondo,ponendosi nel contesto dell'apocalittica giudaica. Partendo da questa tesi centrale Schweitzer interpreta tutto il pensiero di Gesù sul regno, compresa la morale che descriverebbe la linea di condotta da tenere per il breve tempo che rimane prima della fine. Il merito fondamentale di questa corrente sta nell'aver colto la dimensione escatologica del saggio di Gesù e nell'aver indicato in questa dimensione la chiave ermeneutica dell'intero pensiero del NT.

2. ESCATOLOGIA SOVRATEMPORALE - Barth, inserendosi a sua volta in una reazione contro 1' escatologia conseguente (reazione che mirava a ricuperare la dimensione escatologica per il cristiano di oggi), vede nell'escatologia la dimensione fondamentale e costitutiva del cristianesimo. Con l'intento di renderla attuale egli fa coincidere l'escatologia con l'eternità, in una opposizione radicale di tempo ed- eternità. L'escatologia è la stessa trascendenza di Dio, e Gesù Cristo è il punto di tangenza dove l'eternità tocca il tempo. L'éschaton è già presente, della presenza stessa della eternità divina sopratemporale,

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unicamente per i nostri occhi umani rimane futuro. La storia umana, quella temporale, svanisce unitamente al nostro non-essere, poiché l'éschaton non feconda la storia, ma rimane libero di fronte ad essa. Anche nel secondo Barth la storia rimane senza senso, perché viene come fagocitata in un monismo cristocentrico.Brunner pure si muove in una concezione dove tempo ed eternità si danno contemporaneamente l'uno accanto all'altro e dove unicamente l'eternità sembra avere un valore. « Con il giorno di pasqua è spuntato il nuovo "aiòn". Questo nuovo "aiòn" non si manifesta però solo con la risurrezione di Gesù, ma altrettanto con la nuova vita, la vita nello Spirito santo, la vita nella presenza del risorto e nella comunione con lui... L'esistenza dell'ecclesia, la vita nello Spirito santo e nei suoi doni sono segni ed effetti del mondo della risurrezione già esteso dentro al presente. L'eterno futuro è diventato presente, l'esistenza della comunità di Cristo è esistenza "messianica" o "escatologica", vita nella presenza di Dio in mezzo al flusso della temporalità, regno di Dio in mezzo al mono del peccato e della morte » 31 In modo analogo si colloca anche Bultmann: egli vede nella tensione escatologica l'aspetto essenziale della predicazione di Gesù; l'escatologia di Gesù si colloca nella corrente apocalittica e richiede una radicale demitizzazione. D'altra parte Bultmann rifiuta una concezione globale e unitaria della storia e non pensa che sia possibile comprendere la storia: per una simile comprensione bisognerebbe infatti essere giunti al termine della storia stessa. La storia diviene dunque per Bultmann un insieme di fatti temporali, e sopra la storia c'è il regno di Dio, che determina totalmente il presente, benché sia totalmente futuro. Questo futuro si è oggettivamente fatto presente in Gesù, e continua a farsi soggettivamente presente nella decisione radicale dell'uomo, decisione che è il luogo dell'autenticità dell'uomo e dell'incontro con Dio. « Futuro e presente dunque non sono da conciliare nel senso che il regno di Dio come grandezza storica cominci nel presente e raggiunga il suo compimento nel futuro; e neppure in questo altro: che il possesso interiore e spirituale di qualità personali o di certi stati d'animo sia una presa di possesso attuale del regno di Dio, cui manchi soltanto il compimento futuro. Invece il regno di Dio è autentico futuro, perché non è una entità metafisica, uno stato, bensì l'azione futura di Dio, che non può essere in nessun senso un dato presente. Però è vero che questo futuro determina l'uomo nel suo presente, e perciò è proprio autentico futuro; non qualcosa che capita in un luogo e in un tempo qualsiasi, bensì ciò che arriva all'uomo, ciò che lo pone nella decisione » 32.A questa corrente, che contrappone in diversi modi tempo ed eternità e coglie il futuro come irrompente per grazia nella temporalità umana, appartiene anche il pensiero di Althaus, che ha elaborato un ampio trattato sull'escatologia. Non è qui possibile esporre tutto il suo pensiero, in quanto si tratta di cogliere le linee fondamentali con le quali la teologia ha visto il rapporto tra la storia e l'escatologia.

3. ESCATOLOGIA ANTICIPATA - Contro l'escatologia sovratemporale reagisce Cullmann, per il fat-to che alla base di questa impostazione sta l'opposizione fra tempo ed eternità, opposizione che trova il suo fondamento nella filosofia greca, ma che non ha alcun fondamento biblico. Cullmann dimostra infatti che per la bibbia l'eternità non è temporalità infinita, l'escatologia è l'ultimo tempo: la bibbia applica il termine "aiòn" sia al tempo pre-sente sia all'eternità. Contemporaneamente Cullmann reagisce contro l'escatologia conseguente, dimostrando che la novità cristiana di fronte all'escatologia giudaica sta nel porre il centro del tempo non più nel futuro (il momento in cui questo "aiòn" ter-mina e comincia 1' "aiòn" escatologico), ma nell'avvenimento della morte e risurrezione di Gesù Cri-sto. « È errato affermare, senza le dovute riserve, che il cristianesimo primitivo si pone in una prospettiva escatologica. Ciò vale soltanto per il giudaesimo; mentre non vale più oramai nella stessa misura per Gesù durante la sua vita terrena. La norma non è più costituita da ciò che verrà, ma da colui che è già venuto. L'escatologia non viene eliminata, ma è detronizzata sia dal punto di vista della cronologia che del contenuto... Se si considera il contenuto,

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l'avvenire non è più, come nel giudaesimo, il télos che dà il suo senso a tutta la storia » 33. Co-sì il presente si trova già nel nuovo "aiòn", e tuttavia prima della parusia, prima cioè dei vero e proprio tempo finale. Il senso del presente va determinato partendo dal centro, che si trova nel passato, nell'avvenimento della morte e risurrezione di Cristo. In conclusione: « La situazione storico-salvifica del presente, compreso fra la risurrezione di Cristo; sua parusia, è complessa ed terminata da una profonda tensione tra passato e avvenire, fra "già compiuto" e "non ancora pienamente realizzato". Il mondo si trova già sotto la sovranità di Cristo e, tuttavia, tramonta la sua attuale "figura" » 34.

4. ESCATOLOGIA REALIZZATA - Anche per Dodd l'escatologia si è già realizzata: i vangeli pretendono raccontare e contenere non solo degli avvenimenti storici importanti, ma degli avvenimenti escatologici, punto culminante e termine della storia, rivelazione dell'aldilà della storia. Il cristianesimo dichiara che la realtà ultima di tutta la storia è finalmente rivelata, poiché l'intera serie dei fatti storici è retta da un avvenimento che sorpassa tutti gli altri: la vita, la morte e 1a surrezione di Gesù Cristo. In questo mistero del Cristo l'éschaton si è realizzato. Non solo, ma la stessa chiesa attualizza con la parola e il sacramento il senso finale del tempo presente rendendolo tempo escatologico. L'escatologia non è il futuro, ma lo stesso presente visto nel mistero del suo rapporto con Dio, visto cioè nel mistero della creazione, redenzione e del suo compimento in Cristo risorto. « La storia, per conseguenza, come processo di redenzione e di rivelazione, ha un inizio e una fine, tutti e due in Dio. L'inizio non è un avvenimento temporale; la fine non è un avvenimento temporale; l’inizio è il disegno di Dio; la fine è il compimento del suo disegno. Tra i due che si situa la storia santa culmina nella morte e risurrezione di Cristo » 35. L'escatologia pertanto non è che la dimensione del tempo presente, una volta che entrando in rapporto con l'avvenimento di Cristo diviene storia della salvezza. L'aspetto tipicamente escatologico deve esse inteso come un modo "mitologico" di descrivere questa possibilità del tempo presente. « Ovunque dove il vangelo è proclamato provoca una crisi, sia nell'esperienza individuale sia in quella collettiva dell'intera società. Da questa crisi sorge una nuova creazione, per la potenza di Dio. Ogni volta che questo avviene si realizza "il compimento dei tempi" dove viene il regno di Dio » 36.

5. ESCATOLOGIA REALIZZANTESI - La discussione fin qui brevemente schematizzata ha messo in luce due aspetti propri dell'escatologia neotestamentaria prima e teologica poi: l'éschaton è altro rispetto alla storia umana, è futuro, è trascendenza; contemporaneamente però esso agisce all'interno della storia, è anche una presenza e una immanenza. Le posizioni che hanno quindi avuto maggior successo sono quelle che sono riuscite in qualche modo a tener uniti questi due aspetti: quella del "già e non ancora" di Cullmann, e poi quella dell'escatologia cosiddetta realizzantesi. Quest'ultima posizione pensa che il regno di Dio sia effettivamente già presente per il mistero avvenuto in Gesù Cristo, e che tuttavia attenda ancora una sua piena e totale realizzazione e manifestazione, che avverrà unica-mente alla fine dei tempi. In questo tempo, che va dalla risurrezione di Cristo alla sua prossima venuta e che è il tempo della chiesa, il regno di Dio si va realizzando sempre più nella .storia umana, in attesa di una sua fase finale. Questa interpretazione è stata dedotta dalle parabole si-nottiche che presentano il regno come una realtà che si va prodigiosamente sviluppando. Il sostenitore più rappresentativo è Jeremias, che ha appunto elaborato questa escatologia attraverso uno studio sulle parabole. — Nel dialogo con la filosofia di Bloch sulla speranza, filosofia che rappresenta in modo più significativo l'orientamento del pensiero moderno, sono sorte nel campo teologico altre interpretazioni del problema escatologico, delle quali ricordo qui le due più significative.

6. L'ESCHATON COME PROLESSI - Anche Pannenberg parte dalla questione esegetica cogliendo nell'escatologia il messaggio fondamentale di Gesù. Il controverso problema del

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rapporto tra carattere futuro e presenza attuale del regno di Dio viene da lui ricondotto alla differenza e all'unità tra l'apparenza e ciò che appare, in quanto ciò che appare è l'avvento di ciò che è futuro. Successivamente Pannenberg, reagendo contro il teismo filosofico-sco-lastico (compreso quello più esistenziale di Tillich), identifica Dio con il regno futuro: biblicamente infatti l'essere di Dio e quello del regno sono identici, perché l'essere di Dio è il suo potere. Se però « il regno di Dio e la sua modalità di esistenza (potenza ed essere) sono reciproci, allora il messaggio del regno di Dio che viene implica che Dio, nel suo stesso essere, è il futuro del mondo » 37. Con l'aiuto della filosofia di Bloch, Pannenberg giunge poi a stabilire la priorità ontologica e gnoseologica del futuro: « Si pone il problema del primato ontologico del futuro di fronte al presente, e, in modo nuovo, il tema di un essere divino che si differenzia dall'umanità e dal mondo presenti » 38. Il futuro decide il significato specifico, l'essenza di ogni cosa, rivelando ciò che essa realmente era ed è. Al momento presente « un essere è "qualcosa", un'unità in se stesso, solo per anticipazione della sua unificazione futura. Il futuro interpreta il presente e il passato; tutte le altre interpretazioni sono utili solo nella misura in cui anticipano il futuro » 39. L'essere stesso viene quindi inteso e pensato come procedente dal futuro, invece di essere concepito come un astratto universale alla base dell'esistente. E Dio « è nella misura in cui il futuro ha potere sul presente, perché il futuro determina ciò che si sviluppa nel presente » 40. Tutta la realtà è vista come una creazione continua che proviene dal futuro, e il futuro (Dio) è il punto che unifica tutti gli eventi passati donando un senso all'intero corso della storia.Partendo da questa impostazione Pannenberg elabora un nuovo concetto di Dio, un nuovo concetto di uomo, un diverso modo di intendere la chiesa; in breve elabora un'intera teologia, la quale non solo possiede la dimensione escatologica, ma è la stessa escatologia.

7. L'ESCHATON COME SPERANZA - Moltmann compie un secondo tentativo di risposta teologica alla riflessione di Bloch, in uno sforzo di rivedere l'intero patrimonio biblico-cristiano nella dimensione dell'éschaton. Egli parte dal problema dell'escatologia, colto nel suo risvolto storico dove è decaduto in una visione del mondo ad uso privato per quanti non sanno accontentarsi della finitezza del nostro mondo e della storicità della nostra storia, e nel suo risvolto di esegesi biblica dove si pone come problema di ermeneutica radicale con le possibili riduzioni della scuola bultmanniana. Moltmann vuole ricuperare total-mente l'éschaton biblico, ed è in questo intento che egli si incontra con le categorie di Bloch. A differenza però di Bloch egli non vuole estrapolare la realtà dell'éschaton dalla materia e dalla storia, ma vuole attenderlo dalla fedeltà di Dio promissoria-di-futuro. Per questo incentra l'éschaton nella risurrezione di Cristo, vista nella riflessione neotestamentaria come nuova comprensione del rapporto uomo-mondo-Dio, per il collegamento che qui la risurrezione di Cristo riceve con una generale risurrezione. Da qui Moltmann passa a considerare il rapporto tra Dio e la storia; un rapporto lontano dall'ottimismo del sec. scorso che considerava la storia come un processo unitario che va inevitabilmente verso Dio; lontano anche dal considerare l'azione di Dio come presenza soprastorica come faceva la teologia kerigmatica, per giungere a cogliere una presenza di Dio nella storia derivata dalla croce e dalla risurrezione di Cristo nella tensione di presente e futuro, di realtà attuale e promessa. Infine Moltmann analizza il rapporto chiesa-mondo fornendo alcuni spunti per una teologia politica: la chiesa è il luogo della speranza per il novum che sorge dalla negazione critica del passato-presente che tenta di costituirsi in realtà stabilizzata, blocca la speranza e il cammino verso la promessa. La forza rivoluzionaria della chiesa non nasce però dalla semplice negazione del presente ma dall'essere fedele all'azione di Dio nella storia.Anche Moltmann, come già Pannenberg, elabora alla luce dell'éschaton una intera teologia.

8. CONCLUSIONI – Volendo concludere questa sezione mi sembra di dover osservare che ancora una volta l'alternativa tra éschaton e éschata si ripresenta in tutta la sua profondità,

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come al alternativa che sottende orizzonti culturali e teologici inconciliabili. Vediamo di cogliere più dettagliatamente questa intuizionea. Ricupero del discorso biblico - Nella sua globalità e indipendentemente dalle singole vedute personali, questo filone teologico sorge e si sviluppa in armonia con il rinnovamento biblico e tenta di ricuperare il senso profondo del discorso biblico, incentrato come abbiamo visto sul tema della promessa. Per quanto ogni riflessione teologica debba mantenere la coscienza della propria storicità bisogna dire cheil tema escatologico, pur con le dovute differenze culturali che dividono la cultura attuale da quella biblica, sembra fondarsi sull’evento della rivelazione, non tanto sui suoi enunciati marginali o sporadici, ma proprio sul mistero centrale della rivelazione che è la morte e la risurrezione di Gesù.b. Riflessione nell'attuale cultura - Non è del tutto esatto dire che questa teologia escatologica entra in dialogo con l'attuale cultura. Questo presuppone che essa si formi con componenti culturali proprie e solo in un secondo momento interpelli il mondo che la circonda. Essa sorge invece all'interno della cultura storica come fede che non si divide dalla ragione. Per questo la teologia della speranza è la teologia capace di interpellare credibilmente quella coscienza moderna che ho de-scritto all'inizio come coscienza determinata dalla domanda sul futuro.Bisogna comprendere come questa riflessione teologica pretenda presentare l'intero discorso teologico proprio come discorso che comprende l'intera realtà alla luce del futuro. Essa non si preoccupa più di risolvere il limitato Problema delle ultime cose, se non nella globalità di una impostazione ben più profonda. E le ultime cose si dissolvono necessariamente in una grandezza più ampia che pretende tutta l'attenzione della fede.c. Caratteristiche fondamentali - Volendo delineare le note essenziali non intendo riferirmi ai una particolare corrente, ma all'impostazione generale che riflette sul rapporto tra éschaton e storia attuale. Abbiamo già visto in parte quali sono le componenti storiche che orientano la riflessione teologica in questa direzione: l'orizzonte più significativo è dato dalla cultura che si sviluppa dal sec. xix in qua, che fa sorgere i movimenti messianici di carattere laico-politico con i quali la fede cristiana è stata costretta a misurarsi; va poi ricordato il rin-novamento biblico unitamente al movimento ecumenico che ha per-messo alla teologia tradizionale di aprirsi ad alcune istanze protestanti.Il contenuto di questa escatologia non è più il futuro dell'esistenza personale (non perché questo non sia un problema impor-tante, ma perché non sembra possibile affrontare il problema escatologico in modo individuale). Non è neppure sostanzialmente il futuro della comunità cristiana, quasi un'appendice all`,ecclesiologia. È il futuro del mondo intero, dove comunità cristiana e singola persona trovano in una comunione cosmica universale il loro futuro in un unico regno di Dio.Se dal contenuto passiamo alla forma dobbiamo prendere atto che qui l'escatologia non è più un trattato, una parte più o meno importante della dogmatica, ma è realmente la dimensione che anima tutta la ricerca teologica; all'interno di questa ricerca la fede è compresa come speranza, e la religione è tópos (luogo) dell'utopia.Assistiamo inoltre a un incentramento cristologico dell'escatologia, per il ritorno all'evento morte-risurrezione di Gesù come fondazione di una possibilità di leggere la storia e la realtà nella speranza. Per logica conseguenza questa escatologia diviene una dimensione della realtà e una forza determinante per la vita spirituale e per l'impegno politico del cristiano. Una dimensione della realtà perché il possibile fa parte dei reale e il mondo non è sola-mente un dato, ma una realtà da costruire, e l'uomo stesso è sempre in procinto di essere creato, o meglio di concrearsi con Dio. Cristianamente « escatologia significa sperimentare il proprio tempo come storia davanti a Dio » 41. La speranza chiede di animare tutto il comportamento etico del cristiano e, lontana dal creare possibili evasioni, diventa la forza critica che mantiene ogni risultato raggiunto nella dimensione storica delle penultime cose, lasciando sempre a Dio la possibilità delle cose ultime.

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d. Rapporto con l'escatologia tradizionale - Personalmente credo che la teologia della speranza (prendendo qui il termine nel senso lato di teologia che si pone come riflessione sulla storia e sulla realtà alla luce dell'éschaton) risolva il tema dell'escatologia, nel senso che rappresenta nella nostra attuale cultura l'apertura alla trascendenza del regno di Dio. Essa sostituisce la funzione dell'escatologia tradizionale mentre ne è un parallelismo per una cultura diversa. Si pone la questione di sapere se questo è dogmaticamente possibile, o di vedere se esiste tra questa escatologia e quella tradizionale una continuità sostanziale che la man-tenga nella tradizione cristiana. Questo problema è risolvibile so-lo applicando il genere culturale all'ermeneutica dei dogmi: il dogma o la fede storica della chiesa nasce come risultato di un'incarnazione del mistero di Cristo in una particolare cultura, che ha una particolare visione del mondo, una particolare comprensione dell'uomo e una determinata capacità di sistemazione filosofica. Tutto questo è particolarmente evidente per la formazione dell'escatologia: sono state determinanti una visione cosmologica e una comprensione antropologica. A mio avviso la discussione non deve essere quella di stabilire se l'escatologia intermedia contenuta nella costituzione Benedetto XII 42, è stata definita "ex cathedra" o meno, perché al di là di questo dato, pur importantissimo, rimane chiarissima la fede della chiesa in quelle determinazioni contenute appunto nella costituzione. Il problema di vedere fino a che punta queste determinazioni sono storico-culturali e fino a che punto teologicamente connesse con il fatto fondante presente nella morte-risurrezione di Cristo.Rimane il fatto che l'attuale escatologia più che uno sviluppo della precedente escatologia sembra ripartire in modo autonomo da una propria riflessione biblica con la precomprensione dell’attuale cultura senza preoccuparsi di ricuperare gli aspetti tradizionali. Questo fenomeno di distacco da una riflessione tradizionale non caratterizza l'escatologia, ma tutta la teologia, e per quanto difficile deve trovare una soluzione dogmatica. Si potrebbe pensare che, al di là delle differenze, vive la stessa fede che continuamente ritorna al suo evento fontale per illuminare il cammino dell'uomo. E’ anche vero che questa nuova escatologia non è ancora completamente formata e si può prevedere che debba determinare almeno in parte il contenuto della sua speranza, proprio in un confronto con 1’escatologia scolastica. Questo però non toglie che l'impianto generale sia profondamente diverso e non sembra possibile mettere tutto il vino vecchio negli otri nuovi. Una controprova di questa impossibilità a unire in modo armonico il vecchio trattato delle ultime cose (éschata) con il nuovo trattato che si incentra sull'èschaton appare dai tentativi compiuti di rinnovare il trattato escatologico.

IX. - IL RINNOVAMENTO DEI TRATTATI - In un ampio studio pubblicato nel 1973 G. Moioli traccia il cammino che avrebbe compiuto il classico trattato De novissimis fino all'attuale escatologia, volendo in qualche modo mostrare la possibilità di un superamento del classico trattato 45. Nel suo lavoro raccoglie le critiche e le indicazioni di Congar, Daniélou, Rahner e v. Balthasar. Termina con la proposta di risolvere il trattato nella riflessione cristologica e antropologica, in quanto parusia del risorto in noi e correlativamente nostro compimento nella risurrezione con lui. Egli ha elaborato questa sua proposta costruendo un trattato44, che dovrebbe rappresentare la nuova forma dell'escatologia. Moioli dunque struttura in modo nuovo il trattato, ma le sue valide intuizioni rimangono, se è consentito esprimere un parere, come congelate nello svolgimento dell'opera, perché ciò che egli vor-rebbe dire è rimpiazzato da ciò che è già stato detto e che deve essere ridetto. Non è ancora sufficiente invertire le parti del trattato, o cambiare i titoli e le introduzioni, quando le parti interne rimangono grosso modo invariate: si ha proprio l'impressione che lo sforzo creativo debba ridursi a cambiare la cornice del quadro. Lo stesso, a mio avviso, va ripetuto per il grandissimo trattato dello Schmaus (e su questo concordo con Moioli 45). Lo stesso discorso vale ancora maggiormente per il trattato di Rudoni 46, dove il rinnovamento termina nell'in-troduzione attraverso alcune osservazioni in sé molto valide, ma che il lettore non coglie nello svolgimento concreto dell'opera. Anche qui l'escatologia comunitaria e cosmica precede quella individuale, ma non sembra significhi molto se i contenuti interni rimangono quelli

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tradizionali. La stessa cosa vale per il trattato di Pozo e di Boff 47. I testi che affrontano diversamente il tema sono quelli che lo pongono nella prospettiva della speranza, così per esempio il lavoro di Boublìk 48.La mia personale impressione è dunque che la riforma del trattato classico non riesce a tenere il passo e ad agganciare la teologia della speranza, per darle eventualmente il suo oggetto. Questa impossibilità è per me contenuta nell'alternativa: o éschata o éschaton. Anche se questa alternativa non è assoluta (si potrebbe anzi dire che un éschaton senza alcun contenuto appare infondato), rimane dal punto di vista epistemologico fondamentale e divide due culture ben diverse come quella metafisico-scolastica da quella storico-esistenziale.Penso che anche nei documenti conciliari del Vat II sia presente questa duplice impostazione: l'escatologia della LG è prevalentemente tradizionale, preoccupata (come dimostra la storia del testo 49) di non omettere alcuna determinazione dottrinale. L'escatologia che ne risulta è fortemente ecclesiocentrica e l'accento è posto sulle singole parti, unite da una comunione ecclesiale. Non vi è un discorso sulla speranza e tanto meno un discorso sul fu-turo del mondo visto nella sua globalità 50.Diversa è l'escatologia della GS: qui la chiesa si presenta con un messaggio di speranza sul mistero della morte, ribadisce che la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni e il messaggio escatologico fondamentale parla di una terra nuova e di un cielo nuovo, dove l'uomo ritroverà i frutti della natura e del suo lavoro 51. È evidente che questa diversità si ricollega alla diversa impostazione dei due documenti, ma il problema sta nel sapere quale di queste due impostazioni permette alla chiesa di assolvere il suo compito nella cultura attuale, compito che consiste nell'annunciare il messaggio biblico del-la speranza all'uomo di questa società.Rimane dunque profondamente vero che « la natura della speranza è di non vedere né il cammino che conduce alla meta, né la meta stessa (Rm 8,24s) » 52.

A. Giudici

Note – 1 Citato da H. U. v. Balthasar, I novissimi nella teologia contemporanea, Brescia, Queriniana 1967, 31. - 2 E. Mangenot, Eschatologie in DThC, 5, Parigi 1913, 456. - - 3 Cf W. D. Marsch, Futuro, Brescia, Queriniana 1972, 153-203. - 4 W. D. Marsch, o. c., 61. - 5 W. D. Marsch, o. c., 82. - 6 È questa la tesi sostenuta in Ateismo nel cristianesimo, Milano, Feltrinelli Editore 1971. - 7 Per una esposizione più completa, oltre all'opera già citata di Marsch cf V. Boublìk, L'uomo nell'attesa di Cristo, Bari, Edizioni Pao-line 1972. - 8 Roma, Ubaldini Editore 1968. - 9 Cf Il problema dell'uomo, Bologna, Patron 1972. - 10 Cf Servitium, 1974, 5, 672. - 11 Ne è prova l'ampiezza del dibattito che ha suscitato, raccolto da W. D. Marsch, Dibattito sulla teologia della speranza di Jiirgen Moltmann, Brescia, Que-riniana 1973. - 12 Cf, per esempio, Il cristianesimo e le religioni, Milano, Mursia 1971, 67s. - 13 U. Bianchi, La religione greca in Storia delle religioni, Torino, Utet 1971, 313. - 14 Cf G. v. Rad, Théologie de 1'AT, 2, Ginevra, Labor et fides 1965, 87-110. - 15 Commento di P. Lagrange citato da H. U. v. Balthasar, o. c., 44. - 16 G. v. Rad, vol. cit., 100. - 17 Cf p. es. G. Gutierrez, Teologia della liberazione, Brescia, Queriniana 1972, 147-172. - 18 Cf J. Moltmann, Il Dio crocifisso, Brescia, Queriniana 1973, 183ss; e anche D. Attinger, Chiamati alla speranza in Servitium, 1974, 5, 625-626. - 19 Cf lo studio di G. Barbaglio, La speranza cristiana secondo s. Paolo in Vita e pensiero, 1972, 1-2, 33-49. - 20 H. Conzelmann, Teologia del NT, Brescia, Paideia 1972, 443. - 21 Cf la tesi sostenuta da J. L. McKenzie in Grande commentario biblico, Brescia, Queri 1973, 1820. - 22 DS 10; 12; 13-17, - 23 H. Rondet, Fins de l'homme e du monde, Parigi, Fayard 1966 - 24 H. Rondet, o. c., 59. - 25 H. Rondet, o.c., 69. - 26 DS 1000-1002. - 27 Rast, L'eschatologie in Bilan de la théologie du XX, siècle, 2, Tou Parigi, Casterman 1970, 503. -28 per es. P. N. Trembelas, Dogma de l'église orthodoxe catholique Bruges, Desclée de Brouwer 1 29 C. Pozo, Teologia dell'aldilà, Roma, Edizioni Paoline 1970, 76. – 30 Si veda p. es. l'impostazione di Althaus, Die christliche Wahrheit, Gustersloh, Bertelsmann 19698, 657-31 E. Brunner, L'eternità come futuro e tempo presente, Bologna, dehoniane 1973, 198-199. - 32 R. Bultmann, Gesù, Brescia, Queriniana 1972, 141-142. - 33 O. Cullmann, Cristo e i1 tempo, Bologna, Il Mulino 1 170-171. - 34 O. Cullmann, o. c., - 35 C. H. Dodd, Evangile et histoire Parigi, Cerf 1974, 156.

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- 36 C. H. Evangile et histoire, o. c., 166. – 37 Pannenberg, La teologia e il regno Dio, Brescia, Morcelliana 1971, 63 - 38 W. Pannenberg, Grundfragen systematischer Theologie, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1967, 392. questo studio esiste una traduzione italiana: Il Dio della speranza, Bologna, Dehoniane 1969. - 39 W. Pannenberg, La teologia e il regno Dio, 63. - 40 W. Pannenberg, Grundfragen systematischer Theologie,393 - 41 W. D. Marsch, Escatologia in Dizionario dei pensiero protestante, Brescia, Morcelliana 1970, 168. - 42 C. Pozo, o. c., 74. - 43 G. Moioli Dal "De novissimis" all'escatologia in SC, 1973, 6, 553-576. - 44 G. Moioli, Lezioni sull' "escatologico" cristiano,Venegono Inferiore 1973. - 45 G. Moioli, a. c., 559. - 46 A. Rudoni, Escatologia, Torino, Marietti 1972. – 47 Pozo, o. c.; L. Boff, Vita oltre morte, Assisi, Cittadella 1974. – 48 V. Boublìk, o. c. 49 Cf il commento di C. Pozo, o. c., 29-35. - 50 LG 48-51. - 51 GS 18; 21; 39. - 52 H.Conzelmann, o. c., 242.BIBL. - Mi limito ad indicare le opere italiane più recenti, nelle quali si potrà trovare una bibliografia più ampia. J. Alfaro, Speranza cristiana e liberazione dell'uomo, Brescia, Queriniana 1972. - G. Biffi, L’al di là, Roma, Edizioni Paoline 1960 - L. Boff, Vita oltre la morte, Assisi Cittadella 1974. - L. Boros, Mysterium mortis, Brescia, Queriniana 1969 - V. Boublìk, L'uomo nell'attesa di Cristo, Bari, Edizioni Paoline 1972 - O. Cullmann, Cristo e il tempo, Bologna, Il Mulino 1965. - G. Moioli, Lezioni sull "escatologico" cristiano, Venegono Inferiore 1973. - J. Moltmann, Teologia della speranza, Brescia, Queriniana 1970. - G. Oggioni, Il problema escatologico del cristiano: bibliografia in Problemi e orientamenti di teologia dommatica, Milano, Marzorati 1957, II, 960-974. - W. Pannenberg, La teologia e il regno di Dio, Brescia, Morcelliana 1971. - W. Pannenberg, II Dio della speranza, Bologna, Dehoniane 1969. - C. Pozo, Teologia dell'aldilà, Roma, Edizioni Paoline 1970. - K. Rahner, Saggi sui sacramenti e sull'escatologia, Roma, Edizioni Paoline 1965. - J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Brescia, Queriniana 1974. - A. Rudoni, Escatologia, Torino, Marietti 1972. - M. Schmaus, Le ultime realtà, Alba, Edizioni Paoline 1960. - H. U. v. Balthasar, I novissimi nella teologia contemporanea, Brescia, Queriniana 1967. - Id., Teologia della storia, Brescia, Morcelliana 1964. - S. Zedda, L'escatologia biblica, Brescia, Paideia 1972. - W. D. Marsch, Futuro, Brescia, Queriniana 1972. - Numeri monografici di riviste dedicati al tema escatologico: LumVie 1952, 3; 1955, 24; 1961, 52. - Concilium 1968, 2; 1969, 1; 1970, 9. - SC 1973, 6. - Vita e Pen-siero 1972, 1-2. – Communio 1972, 3. – Servitium 1974, 5.

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