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ABSTRACT Il lavoro ha interessato la produzione di oli essenziali a partire da piante officinali e nasce dall’osservazione che il materiale presente sul mercato è, nella maggior parte dei casi di importazione e non sempre di buona qualità, per questo motivo la produzione italiana deve essere sostenuta e condotta mediante l’utilizzo di tecniche colturali atte a produrre prodotti di miglior qualità. Le piante officinali sono soggette a svariati usi; tra questi l’impiego diretto sottoforma di oli essenziali è stato preso in considerazione in questo lavoro. Lo studio ha interessato la lavandula. Il seguente lavoro di tesi è mirato allo studio degli oli essenziali derivanti da fiori, in particolare di lavanda, allo studio delle metodologie per l’estrazione dell’olio e al dimensionamento di un impianto per la produzione di 100 quintali all’anno di olio.

Essential oils thesys

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ABSTRACT

Il lavoro ha interessato la produzione di oli essenziali a partire da piante officinali e nasce

dall’osservazione che il materiale presente sul mercato è, nella maggior parte dei casi di

importazione e non sempre di buona qualità, per questo motivo la produzione italiana deve

essere sostenuta e condotta mediante l’utilizzo di tecniche colturali atte a produrre prodotti

di miglior qualità. Le piante officinali sono soggette a svariati usi; tra questi l’impiego diretto

sottoforma di oli essenziali è stato preso in considerazione in questo lavoro. Lo studio ha

interessato la lavandula.

Il seguente lavoro di tesi è mirato allo studio degli oli essenziali derivanti da fiori, in

particolare di lavanda, allo studio delle metodologie per l’estrazione dell’olio e al

dimensionamento di un impianto per la produzione di 100 quintali all ’anno di olio.

1. INTRODUZIONE

1.1 Il settore delle piante officinali in Europa

Per pianta officinale si intende ogni vegetale che contenga in uno o più dei suoi organi,

sostanze che possono essere utilizzate a fini terapeutici (OMS, 1980, tratto da A.A.V.V.,

2008). In generale, si può affermare che oggi i consumatori prestano più attenzione alle

proprie esigenze, alla salute, al benessere psico-fisico e c’è un ritorno al naturale. Per questo

motivo le piante officinali sono sempre più usate, solitamente come agenti terapeutici,

spesso per la cura di malattie comuni, come raffreddori, la cura dell’influenza, per problemi

digestivi e intestinali, per il mal di testa, l’insonnia, l’ulcera allo stomaco, lo stress, le malattie

della pelle.

Recenti studi hanno valutato l’impiego di alcune erbe per la cura delle malattie più gravi

come il cancro (Nseyo et al., 2005; Hafidh et al., 2009), l’aids, la malaria, il diabete e i

disordini mentali (Okigbo et al., 2009) e inoltre esistono numerosi studi atti a caratterizzare i

diversi estratti per la loro funzione antiossidante (Surveswaran et al., 2007; Khalil et al.,

2007; Ali et al., 2008) e nutraceutica (Shoji e Nakashima, 2004).

Ai nostri giorni le piante officinali non sono utilizzate solo in questo settore ma nei più

svariati. Il mercato di queste piante è caratteristico. L’80% del prodotto presente sul mercato

europeo deriva da raccolta spontanea (A.A.V.V., 2001) e il 20% da produzioni carenti di

disciplinari di coltivazione e controlli (Della Loggia, 1993). I prodotti derivanti da lavorazioni

di piante officinali, nella maggior parte dei casi, non sono standardizzati, ossia non hanno

caratteristiche omogenee. Inoltre, tolte le specie più comuni (salvia, menta, lavanda,

camomilla e malva), mancano informazioni riguardanti le proprietà, le esigenze

agronomiche, le tecniche colturali e soprattutto scarseggiano le conoscenze sul metabolismo

secondario grazie al quale avviene la sintesi dei principi attivi.

1.2 Il mercato

L’interesse nella produzione delle piante officinali è in aumento; molte piante sono prive di

effetti collaterali e sono consumate come materia prima tal quale, per questo motivo è

necessario garantire l’alta qualità del prodotto, che dev’essere ricercata nei differenti steps

del processo di produzione (Tabatabaei et al., 2008). La domanda del consumatore di

maggiori controlli sulla qualità e di un prodotto standardizzato si traduce in una sfida difficile

e costosa (Tabatabaei et al., 2008).

La provenienza del materiale grezzo e i corretti processi di trasformazione sono un passo

importante per il controllo della qualità delle piante officinali (Calixto et al., 2000), a tal

proposito sono state redatte le farmacopee.

“La farmacopea è un testo ufficiale che ha valore di legge, comprende capitoli e monografie

a cui attenersi nella fabbricazione, preparazione e commercializzazione dei medicamenti in

modo che questi siano rispondenti a prefissate caratteristiche di qualità” (Marzi e De

Mastro, 2008). I requisiti di purezza dettati dalla farmacopea sono:

1. presenza di impurezze e corpi estranei inferiori al 2% in peso

2. assenza di insetti, muffe e altri parassiti vegetali

3. limiti microbiologici

4. limiti di accettabilità di aflatossine

5. limiti di accettabilità di metalli pesanti

6. limiti di radioattività e residui di pesticidi

7. il titolo in principi attivi (ossia la quantificazione di alcune sostanze attive responsabili

dell’azione farmacologica) (Assoerbe, 2002).

La misurazione dei titoli avviene con metodiche analitiche complesse svolte in laboratori

specializzati. Tale misurazione (titolazione) non è obbligatoria ma è importante per tutti i

prodotti a base di erbe immessi al consumo diversi dalle tisane e dagli infusi (Marzi e De

Mastro, 2008).

Nel mondo 20000 specie possono essere considerate piante officinali, ma solo 400 di esse

costituiscono il 90% del mercato occidentale e di queste, 100 sono coltivabili in Italia. I

fornitori internazionali considerano il prodotto italiano fra i migliori (Cornioli, 2009). L’80%

del prodotto presente sul mercato europeo deriva da raccolta spontanea (ISS, 2001),

mentre, solo un centinaio circa delle specie commercializzate deriva da coltivazione

(A.A.V.V., 2008). Le specie presenti sul mercato europeo possono essere suddivise in sei

categorie terapeutiche: cardiovascolari (27.0%), respiratorie (15.3%), digestive (14.4%),

toniche (14.4%), sedative (9.3%), topiche (7.4%) e altre (12.0%) (Calixto et al., 2000). La

Germania rappresenta il primo paese, con il 17-18% del mercato, seguita da Francia (9-10%),

Regno Unito (7-8%), Italia e Polonia (6%) (A.A.V.V., 2008).

In Italia, i settori della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti finiti hanno

fatto registrare un notevole aumento nella domanda: il consumo annuo di piante medicinali

ed aromatiche è stimato in circa 200 milioni di euro che arriva a 700 milioni di euro

considerando cosmetica naturale ed omeopatia. Nel 2004 si calcola siano state utilizzate

25000 tonnellate di erbe. Oltre il 70% del fabbisogno nazionale d’erbe è importato (tab. 1),

in particolare dai paesi dell’Europa dell’est e da paesi extraeuropei (A.A.V.V., 2008). Secondo

dati FAO, dal 1991 al 2002, le importazioni in Italia sono raddoppiate. In generale, a fronte di

prezzi nettamente concorrenziali, la qualità del prodotto estero è nettamente inferiore

(A.A.V.V., 2008). Agrisole e ISTAT del 2004, affermano che l’Italia produce 2500 tonnellate di

officinali e medicinali a fronte di un fabbisogno industriale dieci volte maggiore. Nel 2005 la

superficie coltivata in Italia ad erbe officinali era di circa 2000 ettari, sempre secondo l’ISTAT,

largamente inferiore a quanto necessario a coprire le necessità produttive e di consumo. In

generale la produzione italiana è caratterizzata da produttori singoli o associati in

cooperative (30-100 ha) e la dimensione aziendale media è di 1.8 ha. Il produttore provvede

alla raccolta e normalmente anche alla prima trasformazione che può essere essiccazione o

distillazione.

Figura 1 Superficie italiana investita a piante officinali

Figura 2 Superficie italiana investita a piante officinali in funzione della specie coltivata

1.3 I metaboliti secondari delle piante officinali

1.3.1 Il metabolismo vegetale

Tutti gli organismi vegetali, anche se tra loro diversi per forma, organizzazione ed

adattabilità all’ambiente, per i differenti processi biochimici legati al proprio metabolismo,

utilizzano un numero piuttosto limitato di sostanze. A. Kossel (1891) distinse il processo

metabolico in primario e secondario:

• Il metabolismo primario, o di base, comprende tutte le vie necessarie per la sopravvivenza

delle cellule.

• I prodotti del metabolismo secondario sono sostanze spesso presenti solo in alcuni tipi di

cellule specializzate e differenziate e non sono necessarie per le cellule stesse, ma sono utili

alla pianta nel suo insieme.

Figura 3 Metabolismo vegetale primario e secondario

Dalla definizione appena citata potremmo affermare che, a partire dalla fotosintesi

clorofilliana, tutti i processi, di biosintesi di composti e della loro successiva degradazione,

legati alla vita cellulare costituiscono il metabolismo primario. In realtà i vegetali spesso

sintetizzano una varietà di composti sicuramente maggiore di quella necessaria al solo

metabolismo primario. Possiamo pensare al metabolismo secondario come alla biosintesi di

questi composti che avviene attraverso vie metaboliche utilizzando prodotti intermedi del

metabolismo primario che, per differenti cause (es: per un’imperfezione biochimica o per un

normale processo fisiologico), si accumulano nelle cellule vegetali.

I metaboliti secondari, quindi, sono prodotti (composti chimici) del metabolismo che non

sono essenziali per la semplice crescita, sviluppo o riproduzione dell'organismo; in questo

senso sono detti "secondari". La funzione, o l'importanza, di questi prodotti per lo sviluppo

del organismo è normalmente di natura ecologica in quanto sono usati o come meccanismi

di difesa contro predatori (erbivori, patogeni, etc), o per la competizione interspecifica o per

facilitare i processi riproduttivi. Queste sostanze sono la risposta evolutiva all’adattamento

delle piante alle differenti condizioni ambientali. I composti secondari non hanno

un’implicazione diretta sulla crescita e lo sviluppo degli individui; spesso sono sintetizzati dai

metaboliti primari. Hanno una distribuzione, alle volte confinata al genere o alla specie,

spesso sono accumulati in elevate concentrazioni (1-3% sul peso fresco).

Possono essere suddivisi in tre gruppi (Raven, 2002):

terpeni: lipidi sintetizzati partendo dall’Acetil CoA attraverso la via dell’acido

mevalonico;

composti fenolici: sostanze aromatiche che si formano in diversi modi, attraverso la

via dell’acido scichimico o del malonico;

alcaloidi: prodotti secondari contenti azoto, biosintetizzati, principalmente, a partire

dagli amminoacidi.

Numerosi studi evidenziano un importante ruolo dei metaboliti secondari nell’attività

antiossidante, prevenendo danni irreversibili ai tessuti vegetali causati da condizioni di stress

generati da luce, gelo, siccità, disponibilità di nutrienti, patogeni. E’ stato dimostrato come le

piante che contengono un’alta percentuale di sostanze antiossidanti siano meno soggette ad

infezioni, sia in pieno campo, che successivamente, nella fase di post raccolta, proteggendo i

tessuti vegetali e aumentando la durata del prodotto derivato. Tali sostanze esercitano il

loro ruolo protettivo e benefico, non solo nelle piante ma anche negli animali che le

assumono (Benbrook, 2005). Sull’uomo è stato dimostrato che l’assunzione di cibi ricchi di

antiossidanti aiuta a prevenire le malattie degenerative e il cancro (Fernandez-Panchon,

2008), le malattie cardiovascolari (Erba et al., 2002; Koo e Cho, 2004). Gli studi che mirano

alla definizione del ruolo di questi composti sono cospicui e riguardano campi diversi,

impegnando molti ricercatori in almeno una dozzina di discipline, anche a ragione della

diversa natura chimica sotto forma della quale si possono trovare i metaboliti secondari.

2. GLI OLI ESSENZIALI

Le piante officinali sono caratterizzate da strutture e tessuti (cellule e cavità secretorie,

canali, tessuti latticiferi, cellule epidermiche, tricomi ghiandolari) atti nella secrezione di

metaboliti secondari presenti in differenti organi, quali radici, rizomi, foglie, fiori , frutti, semi,

cortecce, bulbi. I secreti hanno natura chimica diversa tra loro: cristalli di ossalato di calcio,

resine, gomme, mucillagini, terpeni, tannini, lattici, pigmenti e oli essenziali .

Tra le sostanze con attività biologica estraibili dalle piante, gli oli essenziali sono quelle che

rivestono un ruolo economico e strategico molto importante. Il termine olio essenziale viene

abitualmente attribuito alla essenza della pianta una volta estratta, e quindi costituisce la

vera e propria preparazione ad uso farmaceutico.

Secondo la norma AFNOR NF T 75-006 dell'ottobre 1987, alquanto restrittiva, l'olio

essenziale "è un prodotto ottenuto a partire da una materia prima vegetale, sia per

distillazione con vapore, sia con dei processi meccanici, sia per distillazione a secco. L'olio

essenziale è poi separato dalla fase acquosa per mezzo di processi fisici".

Gli oli essenziali sono i secreti più diffusi ed abbondanti, formati da miscele di molecol e

organiche volatili (cioè che evaporano o sublimano facilmente a temperatura ambiente),

altamente solubili nei solventi organici ed insolubili in acqua, liquidi a temperatura

ambiente, aventi sapore pungente ed odore caratteristico della pianta che li compone

(Figueiredo et al., 2008).

All'interno della cellula vegetale gli oli essenziali sono contenuti nei "vacuoli", cavità di forma

tondeggiante nel quale sono riversati i "prodotti secondari" del metabolismo. Le strutture

secretive, che elaborano l'olio essenziale, si presentano differenti e specializzate a seconda

della famiglia cui appartiene la pianta.

Le famiglie botaniche più ricche di oli essenziali sono: le Apiaceae, Asteraceae, Lamiaceae,

Rutaceae, Liliaceae, Magnoliaceae, Cupressaceae, Pinaceae, Hypericaceae, Fabaceae,

Malvaceae, Myrtaceae, e Oleaceae.

2.1 Composizione chimica degli oli essenziali

I componenti degli oli essenziali, come specificato in precedenza, sono metaboliti secondari

della pianta, cioè sono prodotti del metabolismo che non partecipano direttamente alla

crescita e allo sviluppo dell'organismo (Raven et al., 2002).

Ogni tipo di olio essenziale ha la sua specifica composizione chimica che varia non solo in

base alla specie di pianta da cui l’olio è stato estratto ma anche in base alle caratteristiche

specifiche della pianta da cui l’olio è stato estratto (Pedretti, 2002).

I principali costituenti chimici degli oli sono rappresentati da terpeni che sono idrocarburi

con formula generale (C5H8)n. Essi sono biomolecole costituite da multipli dell'unita

isoprenica (sono chiamati anche isoprenoidi), e possono essere lineari, ciclici o entrambi. Essi

rappresentano la classe più abbondante di metaboliti secondari, in quanto comprendono più

di 22000 composti descritti (Raven et al., 2002). Ogni unita isoprenica è costituita da cinque

atomi di carbonio, e viene legata ad altre unità isopreniche in diversi modi. Le varie unita che

costituiscono i terpeni possono essere modificate e contenere elementi diversi da carbonio e

idrogeno (Hart et al., 2008).

Figura 4 Struttura isoprene

I terpeni vengono sintetizzati dalla pianta, a partire da acetato, attraverso un intermedio

molto importante, il pirofosfato di isoprenile (Hart et al., 2007). Essendo il più ampio g ruppo

di sostanze naturali vegetali, i terpeni sono coinvolti in un’ampia varietà di processi, dalla

fotosintesi e dalla crescita, alla riproduzione e alla difesa (Hart et al., 2007). Una singola

pianta può sintetizzare molti differenti terpenoidi, in tempi differenti durante il suo sviluppo

e localizzati in parti diverse della pianta (Raven et al., 2002). I terpeni vegetali non solo

giocano un ruolo fondamentale nelle piante, ma sono anche impiegati come aromi,

fragranze e medicinali (Raven et al., 2002).

Gli oli essenziali contengono in prevalenza monoterpeni e sesquiterpeni che non hanno un

peso molecolare alto e proprio per questo a temperatura ambiente sono liquidi. Sono

esempi di terpeni il geraniolo, il mentolo, la canfora, il limonene e il pinene.

Oltre ai terpeni, tra i componenti degli oli essenziali vi sono anche i fenoli o altri idrocarburi

ossigenati. Talvolta sono presenti anche acidi, lattoni (composti chimici la cui struttura e

costituita da un estere ciclico) e composti contenenti zolfo o azoto (Pedretti, 2003).

La tipologia e la quantità dei componenti dell’olio essenziale ne determinano e ne

caratterizzano le proprietà. La varietà e la ricchezza dei composti contribuisce alle

caratteristiche peculiari di ciascun olio (Burt, 2004). In alcuni oli essenziali può predominare

un solo costituente, in altri non c’è un singolo componente che prevale, ma un equilibrio di

vari composti. Anche i componenti presenti in minime tracce possono influenzare in modo

preponderante l’attività biologica dell’olio essenziale stesso (Pedretti, 2003).

2.2 Influenza dei fattori ambientali sulla composizione degli oli

Dato che i componenti degli oli essenziali sono metaboliti secondari, i componenti possono

subire trasformazioni chimiche nel corso dello sviluppo della pianta.

Ad esempio, nei primi stadi di vegetazione la pianta presenta, nelle sue parti verdi

un’essenza contenente molti composti a funzione alcolica; durante il periodo di formazione

e sviluppo delle infiorescenze gli acidi liberi che si trovano nella pianta reagiscono con gli

alcoli formando gli esteri, la cui concentrazione aumenta col progredire della fioritura,

mentre diminuisce, perché sono rimessi in libertà gli alcoli, quando i fiori appassiscono

(Figueiredo et al., 2008). Inoltre, molte sostanze odorose sono presenti nella struttura

vegetale sotto forma di glucosidi; successivamente, per scissione di questi, tali sostanze

possono entrare in circolo ed essere trasferite nei vari distretti dell'organismo vegetale.

Quindi, le sostanze odorose compaiono generalmente nelle parti verdi della pianta sin dai

primi mesi di vita; poi continuano a formarsi e ad accumularsi fino al principio della fioritura;

con il progredire della fioritura, rallenta il loro processo di formazione, per cui sono soggette

ai fenomeni di diffusione ed osmosi, passano dalle foglie agli steli e di qui alle infiorescenze.

Per un completo studio della formazione ed evoluzione degli oli essenziali nelle piante vanno

presi in considerazione alcuni aspetti come: l'effetto della cres cita, il momento stagionale,

l'influsso climatico. Per quanto riguarda la loro funzionalità nella pianta sono state ipotizzate

varie teorie. Si pensa che gli oli essenziali siano di origine accidentale e non funzionale,

pertanto si tratterebbe di prodotti di eliminazione nei processi vitali. Un’altra ipotesi vuole

che le essenze rivestano una funzione di riserva alimentare, ciò sarebbe provato, fra l’altro,

dal fatto che nelle piante da essenze, in mancanza di luce, si verifica una scomparsa quasi

completa dei principi odorosi che verrebbero utilizzati al posto dei composti di riserva. Si

ritiene che gli oli essenziali abbiano una notevole importanza per attrarre gli insetti e

favorire così l'impollinazione oppure che abbiano anche un ruolo importante nel creare delle

“barriere di protezione”. Alcune piante, infatti, sono in grado di produrre difese chimiche

sotto forma di sostanze che inibiscono la crescita di individui di altre specie. La capacità di

produrre sostanze tossiche e trattenerle nei tessuti, dunque, fornisce alle piante un enorme

vantaggio competitivo paragonabile a quello che per altre piante rappresenta la produzione

di spine o foglie coriacee.

La resa e la composizione in olio essenziale dipendono molto dallo stadio fenologico (stadio

specifico del ciclo vitale di un organismo vivente identificato da uno status morfologico,

fisiologico, funzionale e comportamentale indotto dalla mutazione stagionale delle

condizioni ambientali, in particolare quelle climatiche) e non esistono regole fisse, ma

variano da specie a specie e alcune volte anche all’interno della stessa specie.

Uno dei fattori ambientali che influenza la produzione e la composizione degli oli essenziali è

la luce. Se si osservano, ad esempio, le piante che crescono in alta montagna, dove le

funzioni clorofilliane sono più attive per effetto della maggiore luce, si nota che gli oli

essenziali sono più ricchi in esteri di quelle che si trovano ad altitudini minori; ciò è

importante perché il pregio di un’essenza è dato proprio da un’elevata presenza di composti

ossigenati (Chang et al., 2008).

3. PROCESSI DI SEPARAZIONE DEGLI OLI ESSENZIALI

I processi sviluppati per l’estrazione industriale degli oli essenziali sono i seguenti :

1. per distillazione in corrente di vapore;

2. per infusione nei grassi, a caldo;

3. per assorbimento, a freddo, nei grassi o in altre sostanze;

4. per soluzione in solventi volatili;

5. per spremitura e, in generale, per trattamento meccanico dei tessuti che li contengono.

La distillazione in corrente di vapore è tuttora usata per la massima parte degli oli essenziali,

perché è il processo più economico e, con poche eccezioni, quello che li estrae più

completamente e dà i prodotti più puri. Richiede poca mano d'opera e può essere applicato

anche con apparecchi semplici e facili ad adoperarsi anche dai contadini che coltivano le

piante da essenza.

Molti oli essenziali, però, si alterano più o meno gravemente durante la distillazione (per

azione sia del calore sia dell'acqua); questo inconveniente si può attenuare, ma non

eliminare, operando a pressione ridotta (come si usa, p. es., per le essenze di agrumi). Inoltre

alcuni fiori non si prestano alla distillazione perché contengono olio essenziale in quantità

relativamente piccola; tanto meno, poi, se quest'olio è facilmente solubile in acqua; in questi

casi, dalla distillazione si ottiene un'acqua odorosa, dalla quale non si riesce a separare

l'essenza neanche con la coobazione (ulteriore distillazione allo scopo di arricchirlo di

princìpi attivi volatili). Gli altri processi d'estrazione sono usati quasi soltanto in quei casi nei

quali la distillazione non dà buoni risultati.

L'infusione nei grassi a caldo, processo molto più antico della distillazione, ormai ha

pochissima importanza. L'assorbimento nei grassi a freddo, è un processo costoso ma

fornisce una essenza dal profumo molto fine ed è preferito per quei fiori che non danno

essenza con la distillazione e che, invece, dopo parecchi raccolti continuano a vivere e a

formare nuova essenza.

L'estrazione coi solventi volatili si adatta a molte specie di fiori, dà una buona resa e fornisce

essenza di buona qualità. E’ meno costosa dell'assorbimento nei grassi a freddo, ma non così

economica come la distillazione; richiede notevoli spese d'impianto ed esperti tecnici.

L'estrazione per spremitura e quella per trattamento meccanico dei tessuti che contengono

l'olio essenziale si applicano ai frutti di alcune specie di agrumi; è molto meno economica

della distillazione e richiede mano d'opera specializzata.

3.1 Distillazione in corrente di vapore (Steam Distillation)

La distillazione in corrente di vapore si compie in apparecchi di diverso modello riscaldati

sia a fuoco diretto, quando si bada all'economia e alla semplicità dell'impianto,

sia indirettamente per mezzo del vapore fatto circolare in un doppio fondo, oppure entro

serpentini o tubi immersi nel liquido da distillare, oppure fatto gorgogliare in seno al

liquido stesso, se si vuole regolare più esattamente la temperatura allo scopo di

danneggiare meno l'essenza.

Figura 5 Steam distillation process

Quando si fa gorgogliare il vapore in seno al liquido si ha la distillazione a vapore diretto;

negli altri casi, il vapore che trascina l'essenza è fornito dal liquido stesso e la distillazione

si dice a vapore indiretto. In alcuni casi la distillazione si compie a pressione ridotta (o,

come si dice, sotto vuoto) estraendo l'aria dall'apparecchio con una pompa a vuoto. Oltre

agli alambicchi a semplice effetto, eccezionalmente (p. es., nel caso dell'essenza di

limone) si sono usati anche apparecchi a multiplo effetto e perfino colonne dello stesso

tipo di quelle che servono alla distillazione dell'alcool. Gli apparecchi a multiplo effetto

consentono una forte economia di combustibile; questa, però, compensa il maggior

costo solo quando la lavorazione è continua per molti mesi dell'anno.

In ogni caso, perché l'essenza non si alteri, è necessario che la temperatura non sia

troppo alta in nessun punto dell'apparecchio. Il vapor d'acqua, che trascina l'olio

essenziale, dall'apparecchio di distillazione passa in un condensatore (ordinariamente

costituito da un serpentino immerso nell'acqua corrente) e di qui in un vaso

fiorentino nel quale la massima parte dell'essenza si separa dall'acqua, mentre una parte

rimane in essa disciolta.

Se la distillazione si compie a pressione ridotta, l'essenza e l'acqua di condensa non

defluiscono liberamente dal condensatore nel vaso fiorentino, ma si raccolgono in un

recipiente a chiusura ermetica, nel quale si fa pure il vuoto. Facendovi rientrare l'aria,

questo recipiente si scarica nel vaso fiorentino a distillazione finita; ma si può anche

scaricarlo mentre la distillazione continua, se si dispone di un secondo recipiente eguale,

che si riempie mettendolo in comunicazione con il condensatore e con la pompa a vuoto,

mentre il primo si vuota.

Il vaso fiorentino è sostanzialmente costituito da due vasi comunicanti nella loro parte

inferiore, per mezzo di un tubo; p. es. lo scarico del secondo vaso è a un livello inferiore a

quello che il tubo può raggiungere nel primo vaso: sicché, quando si fa arrivare in questo

una miscela di essenza e di acqua, l'essenza, che è più leggera, si raccoglie nella parte

superiore, mentre l'acqua va al fondo, passa nel secondo vaso e da questo si scarica.

L'acqua di condensa, che si separa dall'essenza nel vaso fiorentino, è sempre più o meno

intensamente profumata perché contiene disciolta una notevole percentuale

dell'essenza.

Figura 6 Schema Steam Distillation

Dalla distillazione di 1000 kg. di fiori d'arancio, p. es., si ottengono 800 g. di essenza

libera e 400 kg. di essenza sciolta nell'acqua. Quando certi fiori sono distillati da gente

inesperta è facile ottenere soltanto acqua profumata, come appunto accadeva in Oriente

ai più antichi distillatori di rose. In certi casi, l'acqua è rimessa in lavorazione con una

nuova partita di materia prima. Spesso queste acque odorose costituiscono un

sottoprodotto di un certo valore; ma non conviene venderle su mercati lontani, perché

richiedono forti spese di trasporto; perciò il possedere un buon mercato di consumo nel

centro stesso di produzione può, in certi casi, influire notevolmente sul costo

dell'essenza. Distillando l'acqua odorosa e tornando a distillare ripetutamente il distillato

si può, ma non sempre, separare una parte dell'essenza disciolta; il processo, che viene

definito coobazione, è molto costoso in termini energetici.

I parametri operativi nella steam distillation sono molto importanti: eccessiva pressione

o temperatura rovina parte dei componenti costitutivi dell’olio, portando all’idrolisi degli

stessi, e produce un persistente odore di bruciato nell’essenza, la cui consistenza diventa

resinosa.

Un prodotto perfetto è il risultato di una lenta distillazione, in questo modo le parti più

dense si possono sciogliere: nel primo quarto del tempo richiesto si ottengono i tre

quarti dell’essenza totale, per cui molti produttori sono dell’opinione che le rimanenti

fasi dell’operazione non siano redditizie. In questo modo vengono a mancare altri

costituenti importanti, il prodotto viene minato nella sua efficacia terapeutica

3.2 Infusione nei grassi (Enfleurage)

Figura 7 Enfleurage

L’enfleurage a caldo ancora usata per le essenze di rosa, di violetta, di acacia

farnesiana e di fiori d'arancio. Consiste nell'immergere i fiori, direttamente, oppure

dentro un sacco di tela, in un grasso riscaldato a 50°-70°, per un tempo che varia con

la specie dei fiori stessi e può arrivare a 48 ore; dopo di che il grasso si spreme dai

fiori per mezzo di presse idrauliche oppure di idroestrattori e vi si mettono in

infusione altri fiori freschi. L'operazione si ripete da 10 a 15 volte, finché il grasso ha

profumo sufficientemente intenso; allora si chiama olio profumato oppure huile

antique o huile française.

Talvolta è messo in commercio tal quale; modernamente, però, se ne estrae l'olio

essenziale con alcool ad alta gradazione. Il profumo dell'olio è tanto più fine, quanto

più breve è stato il tempo per il quale i fiori sono rimasti in infusione. Il grasso che

rimane dall'estrazione con alcool si chiama corps épuisé e trova impiego nella

fabbricazione dei saponi. Si usa grasso di bue oppure grasso di maiale o olio d'oliva; in

qualche caso anche olio di paraffina il quale, però, ha un potere assorbente minore.

Si usa anche paraffina solida, che presenta il vantaggio di dare grassi profumati i quali

restano solidi anche alle temperature delle regioni tropicali e non hanno bisogno di

recipienti speciali per la spedizione.

L’enfleurage a freddo è usato per i fiori di gelsomino, tuberosa, giunchiglia, reseda e

pochi altri.

Il principio sul quale si fonda è stato spiegato nel 1897 da J. Passy. I fiori si dividono in

due categorie:

quelli, come le rose e i fiori d'arancio, che prima della raccolta hanno già

formato tutto l'olio essenziale;

quelli che al momento della raccolta contengono pochissimo olio essenziale,

però continuano a produrne anche dopo staccati dalla pianta.

Se si uccidono le cellule, immergendo il fiore in un grasso caldo oppure in un solvente

volatile, naturalmente si arresta la formazione dell'olio. Se, invece, il fiore si lascia

vivere, come accade nel processo per assorbimento, esso impregna l'aria di una

quantità molto maggiore di olio essenziaie, che viene assorbito dal grasso. Hesse,

verificando sperimentalmente l'ipotesi di Passy, trovò che, per assorbimento a freddo

nel grasso, il gelsomino forniva 11 volte la quantità di essenza che si ottiene coi

solventi volatili. Invece, i fiori d'arancio, che appartengono alla prima categoria del

Passy, secondo Hesse e Zeitschel, hanno una resa di 100 g di olio essenziale con

l'assorbimento a freddo nei grassi, mentre ne rendono 400 con l'infusione nei grassi a

caldo e 1200 con la distillazione in corrente di vapore.

Il grasso che si usa generalmente è una miscela di grasso di rognone di bue e di

maiale nelle proporzioni di 40 e di 60 parti rispettivamente; oppure di metà e metà,

se si opera nei paesi caldi. Alcuni usano grasso di montone.

L'assorbimento si compie in telai di legno (p. es., di 50 × 80 cm. e 5 cm. di spessore)

che portano una lastra di vetro. Questa si spalma, dalle due parti, con uno strato di

grasso dello spessore di circa 3 mm., lasciando libero un orlo di circa 4 cm. tutto

intorno. Si dispone il telaio orizzontalmente e si spargono i fiori sullo strato di grasso;

poi sul primo telaio se ne dispone un secondo e sulla faccia superiore di questo si

spargono altri fiori. Così si formano delle pile di telai, nelle quali i fiori restano chiusi

dentro camere d'aria, fra due strati di grasso. I fiori di gelsomino si lasciano nel telaio

per 24 ore, quelli di giunchiglia per 48, quelli di tuberosa per 72; questi ultimi

debbono esser messi nei telai quando sono ancora chiusi, altrimenti marciscono. I

fiori sono poi tolti dal grasso e l'operazione si ripete con altri fiori, però rovesciando i

telai e spargendo i fiori sul grasso che prima era rimasto libero. L'operazione si ripete

fino a 30 volte con lo stesso grasso. Si ottiene una pomata (pommade française) il cui

valore commerciale è proporzionato al numero delle operazioni che ha subito.

La preparazione del grasso è un'operazione delicata. Lo si prende fresco dal macello,

lo si taglia in pezzi, se ne tolgono le parti sporche o puzzolenti e lo si lava e lo si riduce

in pasta, in una molazza, per liberarlo dal sangue, fino a tanto che l'acqua resta

chiara. Quindi si fonde in una caldaia riscaldata con camicia di vapore e lo si fa bollire

lentamente, con circa il 0,2% di allume che ne fa coagulare le impurità; si schiuma, si

lascia riposare e, quando l'acqua si è separata, si passa attraverso una tela poco fitta,

senza troppo spremere. Perché il grasso cosi purificato non irrancidisca, vi si mettono

in fusione per un'ora fiori d'arancio (250 g. per 1 kg. di grasso) o, più raramente, vi si

mescola acqua di rose (40 g. per kg.), aggiungendo contemporaneamente del

benzoino (1-3 g. per kg.); si lascia in riposo per parecchie ore e poi si separa il grasso

chiaro, liberandolo accuratamente dall'acqua. Così preparato si conserva per molto

tempo. Dei grassi meno fini si preparano sostituendo al trattamento con fiori di

arancio o acqua di rose un'aggiunta di balsamo di Tolù oppure di gemme di pioppo;

però bisogna avvertire che il profumo dell'essenza dipende strettamente dal la bontà

del grasso adoperato. In certi casi si usa olio d'oliva oppure olio di paraffina o vaselina

puri, che non hanno bisogno di preparazione speciale. L'olio di paraffina offre il

vantaggio di conservarsi indefinitamente senza alterarsi; però con esso si estrae poco

più della metà dell'essenza che si ottiene con i grassi sopra descritti.

La pomata profumata può essere usata tal quale; ordinariamente, però, se ne fanno

estratti alcoolici spappolandola, in appositi apparecchi, con alcool, che scioglie quasi

tutto l'olio essenziale. Il grasso così trattato (corps épuisé) ha perduto la proprietà

assorbente e, come quello proveniente dall'infusione a caldo, viene utilizzato

nell'industria dei saponi.

Per separare dall'estratto alcoolico le tracce di grasso che contiene, lo si raffredda

fortemente (a −18°) in un frigorifero: il grasso si solidifica e precipita; poi si filtra.

Distillando l'estratto, resta come residuo l'olio essenziale puro.

Passy aveva proposto di usare come mezzo assorbente l'acqua, immergendovi i fiori

ed estraendone poi, con etere, l'olio essenziale. I progressi compiuti negli ultimi anni

nello studio del fenomeno dell'assorbimento hanno fatto sorgere l'idea di sostituire

ai grassi altre sostanze assorbenti. Dapprima sono stati provati il carbone vegetale e il

carbone animale; recentemente, poi, la magnesia leggera, che è a buon mercato e

consente di ridurre l'impiego di mano d'opera.

3.3 Estrazione coi solventi volatili

Si applica specialmente alle rose, alle violette, ai fiori d'arancio, al gelsomino,

all'acacia farnesiana, alla reseda, alla tuberosa, alla giunchiglia. Come solvente si usa

generalmente l'etere di petrolio, più raramente il benzolo; si possono anche usare

l'etere etilico, l'acetone, l'alcool etilico, il toluolo che tutti, però, presentano seri

svantaggi.

I fiori si lavano ripetutamente col solvente il quale ne estrae, insieme con l'olio

essenziale, cere e materie coloranti. Si distilla poi il solvente e si ottiene una sostanza

solida a temperatura ordinaria, la cosiddetta essenza concreta. Sottoponendo questa

a lavaggio non si scioglie; si scioglie, invece, l'olio essenziale e si ha il

cosiddetto estratto di fiori dal quale, distillando l'alcool, si ottiene l'olio essenziale

puro o essenza assoluta (fr. quintessence).

L'estrazione coi solventi volatili fu proposta nel 1855 da Robiquet, il quale fece degli

esperimenti sui fiori di giunchiglia, usando etere etilico come solvente. Vent'anni

dopo, gli esperimenti furono ripresi da Millon il quale usò come solventi l'etere, il

cloroformio, il solfuro di carbonio, l'alcool metilico e la frazione più volatile della

benzina di petrolio. H. Hirzel, qualche anno più tardi, propose l'etere di petrolio e nel

1864 brevettò apparecchi appositi. Ma le difficoltà e i pericoli inerenti all'uso di

questi solventi per molti anni scoraggiarono dall'applicare industrialmente il

processo.

Nel 1875, L. Naudin brevettò un apparecchio che avrebbe permesso l'applicazione

industriale del processo, se non fosse stato eccessivamente complicato. Qualche

anno dopo il Massignon, imitando i diffusori usati nell'industria dello zucchero,

costruì un apparecchio veramente pratico per l'estrazione con l'etere di petrolio;

quest'apparecchio funzionò per molti anni in una sua fabbrica di Cannes, poi

venduta a L. Chiris. Attualmente si usa etere di petrolio di densità 0,650 a 15°,

purificato trattandolo con acido solforico e soluzione di soda caustica, lavandolo con

acqua e rettificandolo su paraffina in una colonna di distillazione per liberarlo tanto

dalle frazioni più leggere quanto dalle più pesanti.

Gli apparecchi di estrazione sono generalmente costituiti di parecchi recipienti

cilindrici, il cui coperchio si può togliere per introdurvi i fiori (che si dispongono

dentro panieri metallici oppure su griglie) e poi s i può richiudere a perfetta tenuta

d'aria. Questi recipienti sono collegati da tubazioni per mezzo delle quali, con un

opportuno giuoco di valvole, una pompa può far passare il solvente dall'uno all'altro.

Per il primo lavaggio dei fiori freschi si usa solvente che ha già servito in operazioni

precedenti; il solvente fresco si usa per l'ultimo lavaggio di una partita di fiori poi per

il penultimo lavaggio di una seconda partita; poi per il terz'ultimo lavaggio di una

terza partita e così via. Ciascuna partita di fiori normalmente è sottoposta a tre

lavaggi; più raramente a due oppure a quattro; ciascun lavaggio dura parecchie ore,

fino a 6 0 8 se si vuole che l'estrazione dell'olio essenziale sia completa. Dopo

l'ultimo lavaggio, fatto colar via il solvente dai fiori esauriti, se ne ricupera quello che

ancora li imbeve facendovi passare una corrente di vapore. La distillazione del

solvente che ha servito ai lavaggi si compie a pressione ordinaria in una grande bolla:

quando la temperatura sta per raggiungere il punto al quale l'essenza comincerebbe

ad esser danneggiata, la distillazione si continua nel vuoto, in una bolla più piccola;

infine, se occorre, si fa passare attraverso l'essenza una corrente di vapore d'alcool

per trascinare le ultime tracce di solvente. Il solvente così ricuperato viene poi

rettificato in un apposito apparecchio e adoperato di nuovo. Per mantener basso il

costo dell'estrazione è necessario che le perdite di solvente siano ridotte al minimo;

perciò si ha cura di far condensare tutti i vapori che escono dall'apparecchio,

abbassando la temperatura nei condensatori anche con apparecchi frigoriferi. È

questo uno dei lati più delicati della lavorazione.

3.4 Spremitura

Le essenze di limone, di arancio, di mandarino e di limetta, fino a qualche anno fa, si

sono estratte dai frutti che le contengono, quasi esclusivamente coi due

processi della scodella e della spugna. Invece, l'essenza di bergamotto, da una

ottantina d'anni, si estrae dai frutti con una macchina speciale. Tutti e tre questi

processi, originariamente, sostituirono la distillazione perché davano un prodotto dal

profumo più gradevole; ma siccome sono costosi perché richiedono molta mano

d'opera e - specialmente quello della spugna - mano d'opera altamente specializzata,

dal 1910 sono stati introdotti dei processi meccanici che, recentemente perfezionati,

quando sono ben condotti dànno essenza di qualità quasi eguale a quella della

spugna. Una gran parte dell'essenza di limone s'estrae ormai con questi nuovi

processi e con quello della distillazione nel vuoto.

3.5 Estrazione con anidride carbonica

E’ metodo che si è sviluppato solo recentemente. L’anidride carbonica o il butano,

sottoposti a pressione, si liquefanno e separano gli o.e. dalle piante. Le essenze così

estratte si differenziano, però, da quelle ottenute per distillazione: hanno più note di

testa e meno terpeni. Non si può dire se è possibile usarle in aromaterapia, in

quanto questo procedimento è ancora in via di studio.