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ESTINZIONE DELLA SOCIET DI PERSONE E CONTINUAZIONE DELL'ATTIVIT IMPRENDITORIALE DA PARTE DEL SOCIO SUPERSTITERivista del notariato 1996, 04, 843 Giovanni Maccarrone SOMMARIO: 1. Scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio. - 2. possibile sciogliere la societ anche prima della scadenza del termine semestrale di cui all'art. 2272, n. 4, c.c.? - 3. In merito alla possibilit di deroga del procedimento formale di liquidazione. - 4. Durante il procedimento di liquidazione pu l'unico socio rimasto proseguire l'esercizio dell'impresa quale imprenditore individuale subentrando cos in ogni rapporto giuridico attivo e passivo gi facente capo alla societ sciolta? - 5. consentito trasformare una societ (di persone o di capitali) in un'impresa individuale? - 6. Conclusioni.

DOMANDE 1. Scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio. Pu verificarsi che, in una societ di persone costituita da due soli soci, il vincolo sociale si sciolga rispetto ad uno di essi. Questa situazione parziale pu aversi nei casi determinati dalla legge, e in particolare: - per morte del socio, nel qual caso gli altri soci devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la societ, ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano: salva, tuttavia, una contraria disposizione del contratto sociale (2284 c.c.); - per recesso del socio, e ci pu avvenire nei seguenti casi: a) quando sussista una giusta causa; b) quando la societ costituita a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci, purch il recedere dia un preavviso di almeno tre mesi; c) negli altri casi previsti dal contratto sociale (art. 2285 c.c.); - per esclusione del socio, e ci nelle ipotesi di cui agli artt. 2286 e 2288 c.c. In detti casi, ovviamente, il socio uscente o i suoi eredi hanno diritto alla liquidazione della quota costituita da una somma di denaro che ne rappresenta il valore (1), anche se il conferimento fosse stato fatto in natura (2): per determinare la quota di liquidazione sar necessaria la redazione di una situazione patrimoniale ad hoc nel cui attivo va computato anche l'avviamento... opportuno sottolineare che, nel caso di specie, lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio comporta il venir meno della pluralit dei soci (3). Ora, poich il contratto sociale quasi sempre plurilaterale (4), esiste la possibilit che si produca lo scioglimento totale del contratto sociale nel termine di sei mesi, ove in detto termine non venga sostituito il socio che venuto meno (artt. 2272, n. 4; 2308 e 2323 c.c.) (5). Sicch, se nel termine di sei mesi non stato possibile ricostituire la pluralit dei soci (perch, ad es., sono mancati soggetti ineteressati a far parte della societ oppure perch l'unico socio rimasto non ha proprio voluto cercarli) la societ si scioglie. A tal proposito va per ricordato che la dottrina (6)e la giurisprudenza (7)prevalenti ritengono che l'uscita del singolo socio (per morte, recesso, esclusione) porterebbe immediatamente allo scioglimento del vincolo particolare, mentre lo scioglimento della societ si verificherebbe soltanto allo spirare del termine di sei mesi concesso per la ricostituzione della pluralit dei soci: lo scioglimento della societ avrebbe, pertanto, effetto ex nunc (alla scadenza, cio di sei mesi). Il che, a ben vedere, comporterebbe: - che il socio superstite non vedrebbe limitati i propri poteri di gestione ai soli atti di gestione ordinaria; - che il socio superstite potrebbe procedere alla liquidazione della quota al socio defunto, escluso o receduto; - che, infine, il socio superstite potrebbe deliberare lo scioglimento della societ e procedere alla nomina dei liquidatori. In contrario stato rilevato che il socio, decorsi i sei mesi, senza avere ricostituito la compagine sociale, potrebbe non decidere alcunch: non inizia il procedimento di liquidazione e non porta a termine, cos, l'estinzione della societ. Avremmo in tal caso, il permanere indefinito nel tempo di una societ (personale) unipersonale, e ci in chiara violazione dell'art. 2272, n. 4 e, soprattutto, dei principi generali del nostro ordinamento che, sembrano escludere la possibilit che un'impresa individuale goda dell'autonomia patrimoniale propria della societ (8). Senonch l'ostacolo viene superato rilevandosi che, nell'ipotesi in cui il socio superstite non decida FREQUENTIPosso consultare, con un semplice clic, gli altri documenti scritti da uno stesso autore? Posso ricercare tutti i documenti che riguardano lo stesso argomento di questo in consultazione? Posso recuperare in futuro questo documento senza doverlo salvare sul mio pc? Come posso visualizzare le note di approfondimento riportate tra parentesi allinterno del documento?

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alcunch e la societ continua ad esistere in questa anomala forma, i creditori sociali (fra i quali vengono ricompresi anche il socio receduto ed escluso e gli eredi del socio defunto) potrebbero rivolgersi al giudice per far dichiarare l'avvenuto scioglimento (9). Sempre nell'ambito dell'interessante problema relativo al momento in cui la societ debba considerarsi sciolta, resta poi da considerare la tesi, sostenuta da un'autorevole corrente di pensiero (10), secondo cui laricostituzione della pluralit dei soci nel termine di sei mesi costituisce una condicio (facti) risolutiva dello scioglimento: se la condizione non si avvera, lo scioglimento opera ex tunc, fin dal momento in cui venuta meno la pluralit dei soci. In questo caso il socio superstite: - vedrebbe limitati i propri poteri alla sola ordinaria amministrazione; - potrebbe liquidare la quota che spetterebbe agli eredi del socio defunto solo qualora si ricostituisce la pluralit dei soci, in caso contrario essi parteciperebbero alla liquidazione cos come alla nomina dei liquidatori. Dopo queste considerazioni occorre mettere in evidenza che, una volta verificatosi lo scioglimento, la societ non cessa di esistere: lo scioglimento, infatti, determina soltanto la cessazione dell'attivit produttiva, alla quale subentra la liquidazione. L'estinzione della societ , invero, il risultato finale di una fattispecie a formazione progressiva (11) che si articola in tre fasi: - verificarsi di una delle causa di scioglimento previste dalla legge; - procedura di liquidazione; - cancellazione della societ dai registri della cancelleria commerciale. Si tenga comunque presente che la societ in liquidazione per il solo fatto in s considerato del verificarsi di una causa di scioglimento senza che occorrano ulteriori atti costituitivi dello stato di liquidazione (12). Le cause di scioglimento, pertanto, operano di diritto e danno immediatamente luogo alla liquidazione, la quale si concreta essenzialmente in tre operazioni: - conversione in denaro del patrimonio sociale; - pagamento dei debiti sociali; - ripartizione del residuo attivo tra i soci. Tali operazioni sono effettuate da uno o pi liquidatori, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del Tribunale. I liquidatori non devono essere necessariamente soci: possono essere nominati liquidatori i non soci (13)e, secondo la prevalente dottrina, anche le persone giuridiche. Peraltro, nel caso di societas unius socii, la carica di liquidatore pu senz'altro essere assunta dall'unico socio rimasto. In tal caso, naturalmente, sar quest'ultimo a provvedere alla conversione in danaro del patrimonio sociale e al pagamento dei debiti sociali. Se poi i fondi disponibili dovessero risultare insufficienti per il pagamento dei suddetti debiti, il socio superstite sar costretto ad effettuare i versamenti ancora dovuti e, se occorre, le somme necessarie. In ogni caso, estinti i debiti sociali, l'attivo residuo destinato al rimborso dei conferimenti. Non va tuttavia ignorato che, nelle societ commerciali, i liquidatori, una volta compiuta la liquidazione, devono redigere il bilancio finale e proporre ai soci il piano di riparto: l'uno e l'altro vengono spediti ai soci per raccomandata e si intendono approvati se non sono impugnati nel termine di due mesi dalla comunicazione. Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della societ dal registro delle imprese (14). peraltro di tutta evidenza che, ove la liquidazione fosse fatta dall'unico socio rimasto, queste incombenze si ridurrebbero, giacch la fase successiva all'estinzione dei debiti sociali sarebbe quella relativa alla richiesta di cancellazione della societ dal registro delle imprese. Ci posto, e il caso di osservare che, secondo una larga parte della dottrina (15), con la cancellazione la societ cessa di esistere. Una tale opinione tuttavia contestata dalla giurisprudenza nettamente prevalente, la quale ritiene che la cancellazione condizione necessaria ma non sufficiente per l'estinzione della societ: fino al momento in cui non si sono esauriti tutti i rapporti giuridici di credito e di debito facenti capo alla societ non possibile l'estinzione (16). In definitiva, secondo la giurisprudenza l'estinzione della societ deriva in seguito al verificarsi delle seguenti circostanze: - cancellazione della societ dal registro delle imprese (17); - inesistenza di rapporti pendenti. Ora, estinti i debiti sociali e richiesta la cancellazione della societ dal registro delle imprese (e dal registro ditte presso la Camera di Commercio), l'unico socio rimasto, che avesse intenzione di continuare l'attivit in forma individuale, potrebbe benissimo utilizzare il patrimonio residuo iscrivendo una nuova impresa (individuale) nel registro ditte. Ma, a tal proposito, agevole osservare che nella prassi societaria si verificano con una certa frequenza atti nei quali uno dei due soci di una societ di persone recede dalla medesima, ricevendo contestualmente la liquidazione della propria quota ex art. 2289 c.c.; nel medesimo atto l'altro

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socio, rimasto unico, dichiara di non intendere ricostituire la pluralit dei soci nel termine semestrale ex art. 2272, n. 4 e di proseguire sotto forma di impres individuale l'attivit economica sino a quel momento svolta dalla societ; dichiara altres di subentrare in tutti i rapporti attivi e passivi della societ medesima (18). Trattasi, come evidente, di un modo di operare che, per taluni versi, sembra discostarsi in modo sostanziale da quello sin qui esposto. quindi il caso di fare qualche osservazione in merito alla sua validit. 2. possibile sciogliere la societ anche prima della scadenza del termine semestrale di cui all'art. 2272, n. 4, c.c.? In forza all'art. 2272, n. 4, c.c., lo scioglimento di una societ di persone avviene nell'ipotesi in cui sia venuto a mancare la pluralit dei soci, se nel termine di sei mesi questa non ricostituita. Ne consegue che, nelle societ di due soli soci, la morte, il recesso o l'esclusione di uno di essi determinano lo scioglimento della societ soltanto quando il venir meno della pluralit dei soci si protrae per sei mesi. Ma, come abbiamo potuto notare, nella prassi societaria si verifica spesso che il socio superstite deliberi l'immediato scioglimento della societ senza attendere il decorso dei sei mesi di cui all'art. 2272, n. 4, c.c. Questa situazione impone, perci, di esaminare la questione relativa alla possibilit di modifica del predetto termine. Al riguardo va immediatamente osservato che, secondo la giurisprudenza prevalente (19), nessuna ragione logica e giuridica esclude che la definitiva manifestazione della volont di non ricostituire la pluralit dei soci (cos come quella della sua ricostituzione) possa avvenire in un momento anteriore alla scadenza del termine di sei mesi, poich il mantenere o estinguere l'abnorme situazione della sopravvivenza di una societ con un solo socio, ispirata ad un evidente favor societatis, nella disponibilit del socio superstite, residuo portatore di un interesse sociale, oltre che di un interesse personale (20). Senonch opportuno osservare che le conclusioni appena esposte non paiono a noi decisive e tali comunque da far ritenere che il socio superstite possa tranquillamente sciogliere la societ prima del termine dei sei mesi. noto, infatti, che un soggetto giuridico pu stabilire ci che vuole, ma entro i limiti ad esso prestabiliti dal diritto obiettivo (che ogni norma giuridica diretta a disciplinare coattivamente la condotta degli individui nella societ): il che, ovviamente significa che esso non pu assolutamente modificare il diritto oggettivo. Da parte nostra, pertanto, crediamo di poter aderire alla tesi secondo la quale il socio superstite non pu sciogliere unilateralmente e volontariamente (ex art. 2272, n. 3, c.c.) la societ prima del termine previsto dall'art. 2274 c.c., sia per la limitatezza dei suoi poteri sia soprattutto perch, se la determinazione di scioglimento fosse anteriore al decorso dei sei mesi, egli opererebbe un'arbitraria riduzione del termine legale (21). N in contrario pu affermarsi che, poich nessuna norma stabilisce il termine entro il quale le operazioni di liquidazione devono avvenire, esse possono essere adottate subito, dopo la morte del consocio o dopo che siano trascorsi i fatali sei mesi (22): e ci perch a noi interessa non il momento nel quale le operazioni di liquidazione devono cessare (dies ad quem), ma il momento nel quale le operazioni devono iniziare (dies a quo); e tale momento fissato dall'art. 2272, n. 4, al termine del sesto mese dal giorno dell'avvenuta mancanza della pluralit dei soci. 3. In merito alla possibilit di deroga del procedimento formale di liquidazione. Conclusa dunque la breve disgressione avente ad oggetto il problema relativo alla possibilit di scioglimento della societ prima del decorso del termine semestrale ex art. 2272, n. 4, c.c., conviene adesso accertare, in modo particolare, se il socio superstite possa proseguire, sotto forma di impresa individuale, l'attivit imprenditoriale che, in precedenza, era esercitata da una societ. Al riguardo sembra per opportuno distinguere due ipotesi: - l'ipotesi in cui la societ ha cessato di esistere in seguito all'estinzione dei debiti sociali e alla cancellazione dal registro delle imprese; - l'ipotesi in cui la societ non ha ancora terminato il procedimento di liquidazione. Nessun problema particolare sorge relativamente alla prima ipotesi, considerato che (come si visto nella prima parte del nostro discorso) esso non urta contro alcun espresso divieto di legge. Cosicch, il socio rimasto, dopo aver estinto i debiti sociali (ed aver provveduto alla cancellazione della societ dal registro delle imprese e dal registro ditte) pu benissimo utilizzare i beni residui (che costituivano il vecchio patrimonio sociale) per esercitare una nuova impresa (questa volta in forma individuale). La seconda tesi, invece, crea una serie di problemi che, per una questione di opportunit, oltre che di necessit, occorre andare ad esaminare prima di poter dare una risposta circa la sua ammissibilit. Preminarmente bisogna per stabilire se (e con quali limitazioni) il procedimento formale di liquidazione pu formare oggetto di deroga da parte dei soci (o, nel nostro caso, da parte del socio rimasto).

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A tal proposito il caso di osservare che, per quanto concerne la societ semplice (e le societ irregolari) (23), il soggetto problema viene risolto in senso affermativo sulla base dell'art. 2275 c.c., il quale (come noto) stabilisce che se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non sono d'accordo nel determinarlo la liquidazione fatta da uno o pi liquidatori, nominato con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale (24).. Ad analoga conclusione si perviene poi, in giurisprudenza relativamente alle societ di persone soggette a registrazione (societ in nome collettivo e in accomandita semplice). Si ritiene, infatti, che, salve le deroghe stabilite dalla legge, a dette societ si applicano le norme dettate per le societ semplici, tra le quali spicca l'art. 2275 c.c. che (come si detto) sancisce il carattere facoltativo del procedimento formale di liquidazione (25). Su tale questione le posizioni della dottrina sono, invece, quanto mai divergenti. alquanto diffusa, infatti, l'opinione che ritiene inevitabile, per le societ in norme collettivo e in accomandita semplice, il procedimento formale di liquidazione, in quanto: - gli artt. 2309 (che, non prevedendo un diverso patto od accordo contrario fra i soci, sembra presupporre la necessit della nomina dei liquidatori) e 2311 (che autorizza i liquidatori a rimanere estranei alle questioni relative alla divisione, e con ci sembra analogamente presupporre la necessit della loro presenza per le operazioni di liquidazione stricto sensu) sono di tale portata esegetica e derogativa della disciplina della societ semplice da impedire il richiamo per relationem all'art. 2275 c.c. e, quindi, escludono la derogabilit del procedimento di liquidazione (26); - i liquidatori, essendo essi solo legittimati a richiedere la cosiddetta cancellazione della societ dal registro delle imprese, non possono mancare e rendono cos necessario un procedimento di liquidazione (27). In contrario stato fra l'altro rilevato che, sebbene una fase di liquidazione sussista sempre, questa comunque potrebbe benissimo essere svolta, su base convenzionale, dagli stessi amministratori (28). Per questi ed altri motivi altra parte della dottrina (29)ha ritenuto (conformemente alla giurisprudenza dominante) che anche per le societ soggette a registrazione trova applicazione l'art. 2275 che, come si visto, sancisce il carattere facoltativo del procedimento formale di liquidazione nelle societ semplici (30). A conclusione di quanto sinora detto va poi sottolineato che sia la giurisprudenza che la dottrina sono concordi nel ritenere ineliminabile lo stadio della liquidazione, giacch esso rappresenta un momento necessario ed insopprimibile per giungere all'estinzione di ogni specie di societ (31). Sicch, in definitiva, nella societ di persone, i soci (o l'unico socio rimasto), pur potendo adottare il modo di liquidazione che ritengono pi opportuno, devono in ogni caso provvedere a soddisfare i creditori sociali prima di procedere alla ripartizione del patrimonio sociale (residuo). Ed al riguardo agevole osservare che l'art. 2280 c.c. stabilisce espressamente che i liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finch non siano pagati i creditori della societ o siano stati accontanati i relativi fondi (32). Sembra chiaro, peraltro, che detta disposizione essenzialmente diretta a tutelare l'interesse dei creditori sociali a mantenere la loro posizione di vantaggio rispetto ai creditori particolari dei soci, nella pretesa di soddisfarsi sul patrimonio della societ. Ci stante, innegabile che l'eventuale ripartizione fra i soci dei beni sociali, operata dai liquidatori in violazione dell'art. 2280 c.c., non potr che essere nulla, giacch questa norma tutela un interesse alieno (dei creditori) del quale evidentemente la societ non pu disporre (33). Va per ricordato che, sul tema della violazione del divieto contenuto dall'art. 2280 c.c., una parte della dottrina ha espresso un'opinione completamente difforme da quella appena esposta. In particolare stato sostenuto che il divieto sancito dal suddetto articolo non prescritto dalla legge a pena di nullit e che, pertanto, la sua violazione, pur potendo comportare la responsabilit sia penale che civile dei liquidatori (qualora il mancato pagamento o il mancato accantonamento delle somme dovute ai creditori sociali sia dipeso da dolo o colpa dei medesimi liquidatori) non fa venir meno la validit ed efficacia della ripartizione anche nei confronti dei creditori sociali, a cui resterebbe - oltre all'azione normalmente spettante contro i soci tenuti personalmente per i debiti sociali a norma dell'art. 2267 c.c. e all'eventuale azione contro i liquidatori ove ricorrono le condizioni richieste per la loro responsabilit - soltanto la possibilit di agire in revocatoria, ove ricorrono gli estremi della relativa azione (34). Non sembra tuttavia che siffatta testi possa essere accolta, poich la ripartizione fra i soci dei beni sociali effettuata in deroga all'art. 2280 c.c. comporta, inevitabilmente, la violazione di una norma imperativa e, conseguentemente, la nullit dell'atto con il quale si fa luogo ad essa. L'esattezza di questa conclusione pu peraltro essere verificata sulla base di quanto disposto dalla norma in esame, la quale (come si visto) stabilisce chiaramente che i liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finch non siano pagati i creditori della societ: in tal caso, si ha perci una norma imperativa proibitiva, giacch viene imposto ai liquidatori un comportamento negativo. Con la conseguenza che il comando contenuto nell'art. 2280 c.c. non pu in alcun modo essere disapplicato neppure con l'accordo degli interessati. Le precedenti considerazioni portano, inoltre, a ritenere infondata anche l'opinione secondo la quale l'art. 2280 c.c. troverebbe piena applicazione soltanto per le societ di persone soggette a registrazione, mentre

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per le altre (societ semplici e societ non registrate) solo se, ed in quanto i soci liberi di scegliere qualunque sistema per la liquidazione del patrimonio sociale, abbiano scelto la via che, con norme suppletive, ha dettato il legislatore e cio abbiano proceduto alla nomina dei liquidatori (35). Ed infatti, a siffatta opinione, si oppongono, oltre i rilievi appena svolti, anche e soprattutto il fatto che essa indica una possibilit di deroga che, come evidente, non trova alcun riscontro nella legge. 4. Durante il procedimento di liquidazione pu l'unico socio rimasto proseguire l'esercizio dell'impresa quale imprenditore individuale subentrando cos in ogni rapporto giuridico attivo e passivo gi facente capo alla societ sciolta? noto che durante la liquidazione la societ continua ad esistere, ma con mutamento dello scopo, che non pi quello dell'esercizio in coimune di un'attivit economica per dividerne gli utili, ma quello di liquidare i beni e il patrimonio sociale per soddisfare, con il ricavato della liquidazione, in primo luogo, i creditori sociali e, nell'ipotesi che avanzino dei soldi, dividerli fra i soci (36). Stanto cos le cose sembra superfluo rilevare che nella fase di liquidazione la societ, pur se costituita da un unico socio, continua a restare in vita (37). Alla stregua di questa considerazione sarebbe, perci, inesatto ritenere che durante la suddetta fase l'unico socio rimasto possa proseguire l'esercizio dell'impresa quale imprenditore individuale subentrando cos in ogni rapporto giuridico attivo e passivo gi facente capo alla societ. Al riguardo viene infatti affermato che, poich lo scioglimento della societ per mancata ricostituzione della pluralit dei soci non determina alcuna modificazione soggettiva dei rapporti facenti capo alla societ, ammesso che la titolarit dei rapporti sociali si concentra nell'unico socio rimasto sin dal momento in cui tale pluralit venne meno, riconoscendosi di conseguenza al socio superstite, decorsi i sei mesi, la facolt di estinguere la societ omettendo la procedura di liquidazione e continuando quale imprenditore individuale l'esercizio dell'attivit gi sociale (38). Ma non chi non veda che, per poter giungere a siffatta conclusione, si deve necessariamente partire dalla considerazione che le societ di persone non sono n persone giuridiche n soggetti giuridici, bens comunioni qualificate dallo scopo di guadagno (39). Con la conseguenza che contitolari delle situazioni giuridiche attive e passive costituenti il patrimonio sociale sono le persone dei soci: il diritto del socio sul patrimonio sociale (costituito dal complesso dei beni conferiti in societ) sarebbe, quindi, un vero e proprio diritto di compropriet. Cosicch, alla stregua di questo presupposto potrebbe facilmente ritenersi, che, venendo meno la pluralit dei soci, la titolarit delle situazioni giuridiche attive e passive - gi riferite unitariamente ed inscindibilmente a tutti i soci - si concentra nell'unico socio, ed questi - non pu unitariamente tutti i soci - l'unico soggetto che continua l'esercizio dell'attivit imprenditoriale (40). Ma, a questa linea di pensiero, per cos dire tradizionale, si contrappone un diverso indirizzo secondo cui tutte le societ regolari, siano esse di persone o di capitali, sono sempre soggetti di diritto, dotati o no di personalit giuridica, ed a questi soggetti riferibile la propriet del patrimonio; patrimonio che, anche se costituito con l'apporto dei soci, non comune ad essi, ma giuridicamente appartiene alla societ come soggetto (41). I fondamentali argomenti (normativi) che conducono a siffatta tesi sono essenzialmente i seguenti: - il fatto che l'art. 2266 c.c., applicabile alle collettive regolari in forza del richiamo operato dall'art. 2293 c.c., attribuisce alle societ di persone la capacit processuale attiva e passiva; - il fatto che l'art. 2271 c.c. sancisce l'inammissibilit della compensazione tra un debito che un terzo abbia verso la societ ed il credito che lo stesso abbia verso il socio (42); - il fatto che, mentre i creditori sociali possono far valere i loro diritti sul patrimonio della societ, i creditori particolari dei soci non possono agire su di questo; essi possono agire sugli utili spettanti al socio; - il fatto, infine, che i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dei singoli soci, se non dopo l'escussione del patrimonio sociale: la responsabilit dei soci per le obbligazioni sociali , infatti, di carattere sussidiario (art. 2304 c.c.). dunque di tutta evidenza che anche le societ di persone sono soggetti di diritto e, pertanto, hanno l'idoneit ad essere titolari di situazioni giuridiche attive e passive. Ma quello che ci preme mettere in evidenza che alla stregua di questa opinione le societ di persone, pur non essendo persone giuridiche (43), sono tuttavia soggetti giuridici distinti dalla pluralit dei soci che ne fanno parte; i beni e i diritti compresi in tale patrimonio sono beni e diritti della societ e non dei suoi componenti, e cos le obbligazioni per soddisfarsi delle quali i creditori devono agire principalmente sul patrimonio della societ. Ora, posto che durante la fase di liquidazione la societ (composta o meno dalla pluralit di soci) continua ad esistere, evidente che in tale fase essa mantiene la propria soggettivit giuridica e la propria autonomia patrimoniale (44). Ne deriva che, decorso il termine di sei mesi senza che sia stato sostituito il socio che venuto meno, la titolarit delle situazioni giuridiche attive e passive continua a spettare alla societ e non si concentra nell'unico socio rimasto. Cosicch, in definitiva, per poter subentrare in ogni rapporto giuridico attivo e passivo facente capo alla societ, l'unico socio rimasto dovrebbe provvedere ad effettuare il passaggio dall'organizzazione dell'impresa in forma sociale a quella dell'impresa individuale. Ma noto che, per quanto concerne l'ammissibilit di tale passaggio, la dottrina si pi volte pronunciata con opinioni sovente fra loro contrastanti.

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Sicch, stante l'estrema importanza che, ai nostri fini, assume la suddetta questione, conviene adesso soffermarci sulle diverse opinioni che a tal proposito sono state avanzate. 5. consentito trasformare una societ (di persone o di capitali) in un'impresa individuale? Per poter rispondere a tale quesito necessario osservare che si parla di trasformazione quando una societ di un determinato tipo assume la forma di una societ di altro tipo (45). Il che, come evidente, significa che la trasformazione pu avvenire solo tra enti omogenei sotto il profilo causale, ossia tra enti che, pur distinguendosi tra loro come tipi, hanno il medesimo fondamento causale proprio del contratto di societ, qual' concepito dall'art. 2247 c.c. Con la conseguenza che un eventuale passaggio tra enti con un diverso fondamento cauale darebbe luogo ad una vicenda non gi di trasformazione, ma di novazione, in quanto avrebbe l'effetto di estinguere il rapporto precedente per sostituirlo con un nuovo rapporto, fondato su una causa diversa (46). E allora di intuitiva evidenza che il problema concernente la possibilit che una societ (di persone o di capitali) si trasformi in un'impresa individuale deve essere risolto nel senso dell'inammissibilit (47). Senonch questa affermazione, seppur logica e aderente al dettato normativo, comunemente disattesa preferendosi invero ritenere che l'atto di trasformazione della societ (di persone o di capitali) in impresa individuale pienamente legittimo, perch corrisponde ad una lecita manifestazione di autonomia negoziale; esso comporta l'estinzione della societ e, quindi, la sua cancellazione (48). Ma al riguardo agevole osservare che (come sopra accennato) le societ di persone, pur non essendo persone giuridiche, sono soggetti di diritto a s stante forniti di un proprio patrimonio sociale distinto da quello dei soci. Con tale patrimonio le societ provvedono al conseguimento dei beni sociali e, soprattutto, al soddisfacimento delle obbligazioni sociali. E ci, ovviamente, comporta che nelle societ di persone il patrimonio sociale assolve principalmente ed essenzialmente una funzione di garanzia dei creditori sociali. Ed infatti, mentre quest'ultimi possono far valere i loro diritti sul patrimonio della societ, i creditori particolari dei soci non possono, in alcun modo, agire su di questo: essi possono agire sugli utili spettanti al socio. Ci stante sembra logico ritenere che, ove si ritenesse legittimo l'atto di trasformazione della societ in impresa individuale, verrebbe concesso ai soci (o, nel nostro caso, all'unico socio rimasto) la possibilit di confondere il proprio patrimonio con quello della societ: e ci con grave pregiudizio delle ragioni dei creditori sociali, i quali, non avendo pi la posizione di vantaggio rispetto ai creditori particolari dei soci, si vedrebbero costretti ad agire insieme a quest'ultimi sul patrimonio della societ (oramai confluito in quello dei soci) per ottenere quanto gli spetta. Sicch, in definitiva, l'accoglimento della teoria che si critica comporterebbe che l'unco socio rimasto possa sottrarre il patrimonio sociale, senza procedere alla liquidazione della societ (e quindi senza definire i rapporti con i creditori sociali) (49): il che ovviamente da escludere, giacch (come si visto) lo stadio della liquidazione rappresenta un momento necessario ed imprenscindibile per giungere all'estinzione di ogni specie di societ. D'altra parte, a detti argomenti, si pu aggiungere un'ulteriore argomento che, a nostro avviso, confermerebbe in modo inequivocabile che la trasformazione della societ in impresa individuale decisamente inammissibile. Si allude in proposito ai lavori preparatori del codice civile e, in particolare, al fatto che, mentre il progetto D'Amelio prevedeva la continuazione dell'impresa sociale ridotta ad un solo socio in forma di impresa individuale, il progetto preliminare pi recente (cio il progetto Asquini) non disponeva nulla al riguardo. L'art. 249 del progetto D'Amelio sanciva, infatti, che la societ in nome collettivo o a garanzia limitata si sciolgono per la morte, l'interdizione, l'inabilitazione, l'esclusione di uno dei soci se il numero dei soci restanti non almeno di due, salve le disposizioni dell'articolo seguente. E tale disposizione veniva interpretata nel senso che lo scioglimento per il venir meno della pluralit dei soci non vuol dire che l'azienda debba essere liquidata: la azienda pu continuare sotto la ditta individuale del socio superstite (50). Il che, peraltro, trova conferma nell'art. 247 dello stesso progetto D'Amelio, il quale stabiliva in maniera implicita che l'esclusione di un socio nella societ costituita da due soci non d luogo alla liquidazione dell'azienda sociale (51). dunque di tutta evidenza che, ove si fosse accolta questa soluzione, la questione che ci interessa si sarebbe inevitabilmente risolta nel senso che la mancanza della pluralit dei soci provocava l'immediata estinzione della societ con la confusione del patrimonio sociale nel patrimonio dell'unico socio (52). Ma, come si visto, la stessa soluzione non stata adottata dai compilatori del progetto Asquini, i quali, invece, erano al riguardo di tutt'altro avviso: nella relazione di tale progetto si legge, infatti, che ... lo scioglimento della societ, con conseguente liquidazione del suo patrimonio, importa, normalmente la distruzione dell'azienda, e... distruzione della ricchezza... (da ci la necessit di) ... limitare, nell'interesse dell'economia nazionale, i casi di scioglimento alle sole ipotesi in cui ci fosse una necessit imprescindibile... (53). E ci, naturalmente, significa che anche i lavori preparatori militano a favore della tesi che ritiene inconcepibile che l'unico socio rimasto possa continuare la societ trasformatasi in impresa individuale.

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6. Conclusioni. Da quanto esposto in precedenza si evince chiaramente che: - non nella disponibilit del socio superstite la possibilit di estinzione della societ prima che sia decorso il termine di sei mesi dal giorno dell'avvenuta mancanza della pluralit dei soci; - decorso il termine di sei mesi senza che sia stato sostituito il socio che venuto meno, la titolarit delle situazioni attive e passive continua a spettare alla societ e non si concentra nell'unico socio rimasto; - il problema concernente la possibilit che una societ (di persone o di capitali) si trasformi in un'impresa individuale deve essere risolto nel senso dell'inammissibilit. E dunque escluso che, alla stregua di queste affermazioni, il socio superstite possa, nel medesimo atto nel quale l'altro socio della societ (di persone) recede dalla medesima (ricevendo contestualmente la liquidazione della propria quota), dichiarare di non intendere ricostituire la pluralit dei soci nel termine semestrale ex art. 2272, n. 4, c.c. e di voler invece proseguire in proprio quale imprenditore individuale la gestione dell'impresa, subentrando cos in ogni rapporto giuridico attivo e passivo gi facente capo alla societ sciolta. Cosicch consigliabile che l'unico socio rimasto, il quale intenda proseguire l'attivit individualmente, proceda nel seguente modo: - dopo aver atteso il decorso del termine di sei mesi senza che sia stato sostituito il socio che venuto meno, deve provvedere a liquidare tutti i rapporti precedenti facenti capo alla societ; - portata a termine la liquidazione della societ, il socio superstite deve attivarsi per far cancellare la societ dal registro delle imprese e dal registro ditte presso la Camera di Commercio; dopodich - egli, essendo libero di inraprendere quanto crede, e ovviamente senza necessit di alcuna delibera sociale (che non sarebbe neppure concepibile), l'esercizio di un'impresa individuale (sia pure, come nel caso, per svolgere la stessa attivit che costituiva oggetto del disciolto organismo societario), deve iscrivere la nuova impresa nel registro delle ditte presso la Camera di Commercio (54).

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Legislazione correlata: c.c. artt. 2284, 2285, 2288, 2323, 2308, 2272, 2289, 2274, 2309, 2280, 2275, 2293, 2266, 2271, 2304documenti con la stessa classificazione documenti dello stesso autore Bibliografia correlata

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