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Luc Bodin, Nathalie Bodin, Jean Graciet IL GRANDE LIBRO DI HO’OPONOPONO Saggezza hawaiana di guarigione

Estratto Il Grande Libro Hooponopono

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pulizia interiore

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Luc Bodin, Nathalie Bodin, Jean Graciet

IL GraNde LIBrodI Ho’opoNopoNoSaggezza hawaiana di guarigione

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Luc Bodin, Nathalie Bodin, Jean GracietIl grande libro di Ho’oponoponoTitolo originale: Le grand livre de Ho’oponoponoTraduzione di Ilaria Dal BrunCopyright © 2012 Éditions JouvenceCopyright © 2014 Edizioni Il Punto d’Incontro per l’edizione italianaPrima edizione originale pubblicata nel 2012 da Éditions Jouvence, S.A., Chemin du Guillon 20, Case 143, CH-1233 Bernex, www.editions-jouven-ce.com, [email protected] edizione italiana pubblicata nel gennaio 2014 da Edizioni Il Pun-to d’Incontro, Via Zamenhof 685, 36100 Vicenza, tel. 0444-239189, fax 0444-239266, www.edizionilpuntodincontro.itFinito di stampare nel gennaio 2014 presso la tipografia CTO, Via Corbetta 9, VicenzaTutti i diritti riservati. Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore, a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.

ISBN 978-88-6820-023-7

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Sommario

Prefazione ......................................................................................7

Ho’oponopono, istruzioni per l’uso ...............................................9

Capitolo 1. Dalle origini alla pratica odierna ..............................11

Definizione e storia di Ho’oponopono .....................................12 Morrnah Simeona ....................................................................13 Il dottor Ihaleakala Hew Len ....................................................14 La realtà fisica è una creazione della mente ...............................15 Le diverse parti dell’identità .....................................................17 Come fare pulizia? ....................................................................18 Abbandonare le aspettative .......................................................20 Lo stato di “vuoto” e il momento presente ................................21 Amare se stessi ..........................................................................22 La pratica di Ho’oponopono ....................................................23 Il potere di creare .....................................................................25 Il proiettore ..............................................................................26 Il perdono apre la porta all’amore .............................................28 La luce e l’ombra ......................................................................29 Il perdono totale .......................................................................31 Il Buddha d’oro ........................................................................33 Pulizia dei ricordi .....................................................................34 L’amore è nell’unità ..................................................................35

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Capitolo 2. Dal mondo della psiche alla realtà quantica .............37

I ricordi erronei: comprenderli con la PNL ...............................38 Situazioni conflittuali ...............................................................44 Il ciclo dei conflitti ...................................................................47 La memoria degli eventi ...........................................................58 Psicologia e Ho’oponopono ......................................................60 Epigenetica e Ho’oponopono ...................................................63 Le radici sciamaniche di Ho’oponopono ..................................69 Materializzazione dei pensieri ...................................................75 Ho’oponopono nella fisica quantistica ......................................79 Il nostro mondo è reale? ...........................................................87 Le conseguenze di Ho’oponopono sugli individui ....................96 Ho’oponopono e le nuove energie ............................................98

Capitolo 3. Dalla spiritualità all’abbondanza ...........................103

Una religione spirituale ..........................................................104 Ho’oponopono, reincarnazione e famiglia ..............................106 Il buddhismo, sempre .............................................................111 Essere cristiani ........................................................................119 Un po’ d’Islam ........................................................................123 Creature creative ....................................................................126 Come cambiare il mondo .......................................................138 Come vivere i momenti di dubbio ..........................................145 Ho’oponopono nella quotidianità ..........................................147 Ho’oponopono per te .............................................................151

Bibliografia ................................................................................153

Nota sugli autori .......................................................................156

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prefazione

Maria-Elisa Hurtado-Graciet

Quando il mio amico Luc mi ha chiesto di scrivere la prefazio-ne a questo libro, la sera stessa ho preso a caso un libro dalla mia biblioteca e l’ho aperto senza pensarci. All’interno ho trovato un foglio di carta piegato in due su cui avevo scritto alcune ri-ghe: “A mio parere, dev’esserci in fondo a tutto questo... un concetto semplicissimo. Da come la vedo io questo concetto, quando alla fine lo scopriremo, sarà così irresistibile e così bello che esclameremo: ‘Non poteva essere altrimenti!’” (John Wheeler, fisico; citazio-ne tratta da un documentario televisivo dal titolo La creazione dell’universo).

Il silenzio mi ha sussurrato che queste frasi rappresentavano una strizzatina d’occhio da parte della vita, che mi rammentava l’essenziale.

Le verità giungono a noi in questo modo. Sempre semplici, non hanno spiegazione né bisogno di grandi discorsi. È così che Ho’oponopono è entrato nella mia vita. Il mio cuore ha ricono-sciuto qualcosa che già conosceva, perché il cuore sa riconoscere le verità.

Il problema è che abbiamo davanti una specie di velo, il qua-le ci impedisce di vedere e di esprimere la nostra vera natura. Per Ho’oponopono questo velo è fatto di ricordi. Per renderlo trasparente e sollevarlo c’è un’unica cosa da fare: “pulizia, puli-

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zia, pulizia”.Con il tempo ho capito che la “pulizia” si svolge in tre fasi.

Occorre innanzitutto aprire il proprio cuore, per accogliere in seguito con amore “ciò che è”, lasciandolo infine andare, smet-tendo di aggrapparvisi e affidandolo alla “Divinità” dentro di noi.

In questo libro i miei amici Nathalie e Luc Bodin condi-vidono assieme a mio marito Jean la loro esperienza e il loro modo di vedere Ho’oponopono, offrendoci la possibilità di spingerci più lontano nella comprensione di questo modo di essere al mondo.

Con la pratica, riuscirai a integrarlo e a scoprire quello che ti è proprio, quello che il cuore ti confiderà. Apri dunque il tuo cuore e ricorda a te stesso: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi” (Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe).

Ringrazio la vita per l’opportunità che oggi mi dona di pulire questo “velo” che mi trattiene nell’“illusione della separazione”.

Mi rivolgo all’“Essere unico” che “Sono”, alla “Madre Terra” e a te, lettore. So che il mio principale errore è quello di credere che sono separata dal “Tutto” e imperfetta. Chiedo alla mia ani-ma o al mio “Sé superiore” di aiutarmi a ripulire tutti i ricordi che me lo fanno credere.

Mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo.

Maria-Elisa Hurtado-Graciet,coautrice di Ho’oponopono, i segreti dei guaritori hawaiani

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Ho’oponopono, istruzioni per l’uso

La formula di Ho’oponopono

– “Mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo”.

Cosa significano queste parole?

– “Mi dispiace”: vuol dire riconoscere la propria creazione.– “Perdonami”: perché non sapevo di averla dentro di me.– “Grazie”: perché mi permetti di pulire questo ricordo.– “Ti amo”: amo te, la Divinità interiore. Potremmo dire:

“Mi amo”.

Quando pronunciare questa formula?

– Quando ci troviamo di fronte a un conflitto, a una rea-zione violenta, un incidente, un trauma, a tutto ciò che fa affiorare in noi un’emozione forte e negativa.

Come pronunciarla?

– Ad alta voce o in silenzio, tra sé e sé.

A chi rivolgere questa frase?

– A se stessi, alla Divinità interiore, al proprio custode, all’u-niverso, a Dio.

Può essere usata come prevenzione?

– È possibile pronunciare la formula “Mi dispiace, perdo-nami, grazie, ti amo” anche quando non avvertiamo alcun particolare conflitto. Farlo permette di cancellare i ricordi

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emersi a nostra insaputa. Alcuni recitano la formula come un mantra durante una camminata, una corsa o un giro in bicicletta.

È possibile pronunciarla durante un evento felice?

– Sì, abbiamo a disposizione uno strumento che ci consente di mettere a riposo l’ego e vivere fino in fondo la gioia, in tutta umiltà.

Si può praticare Ho’oponopono davanti alla tv?

– È possibile praticare Ho’oponopono davanti a qualunque cosa risvegli in noi emozioni negative, sia questo internet, il telefono o la radio.

Occorre pronunciare ogni parola della formula?

– Cominciando a praticare Ho’oponopono, prenditi il tem-po di pronunciare la formula per intero, fino a quando non avrai integrato la sensazione trasmessa da ogni parola. Dopo potrà essere sufficiente dire: “Grazie, ti amo”.

Che cosa succede poi?

– Sopraggiunge la calma. Non abbiamo più aspettative su quanto accadrà, perché Ho’oponopono significa innanzi-tutto conseguire la pace interiore.

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Capitolo 1

daLLe orIGINI aLLa pratICa odIerNa

Jean Graciet

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Entrare nel processo di Ho’oponopono è tutto sommato piuttosto semplice. Quando qualcosa ci disturba, quando

sopraggiunge una piccola seccatura nella vita quotidiana oppu-re un evento molto più grave, è sufficiente ripetere le quattro piccole frasi, che in realtà sono delle paroline: “Mi dispiace, per-donami, grazie, ti amo”. Attraverso queste quattro frasi ripetute varie volte nell’arco di un certo periodo, accade qualcosa, tal-volta addirittura un miracolo. Niente appare più semplice e alla portata di tutti. In realtà, vedremo ora che integrare e mettere in pratica Ho’oponopono non è così semplice come sembra.

Definizione e storia di Ho’oponopono

Ho’oponopono è una filosofia, uno stato d’animo. Aderire a questo processo richiede l’integrazione di certe idee e di certi concetti assai diversi da quelli cui le nostre tradizioni giudaico-cristiane ci hanno abituati. Con Ho’oponopono ci avviciniamo a un altro modo di vedere le cose, un modo che ci spinge a rivolgere uno sguardo del tutto diverso o addirittura opposto alla vita, agli altri e a se stessi. In questo senso, la pratica di Ho’oponopono diventa molto meno semplice e, di fatto, si ri-

vela necessario per ciascuno compiere un profondo cambiamento a livello di cre-denze e di valori.

Ho’oponopono proviene da un’an-cestrale tradizione hawaiana e significa: “Raddrizzare, armonizzare, correggere ciò che è sbagliato, rimettere a posto”. Nel mo-mento in cui in seno a una comunità sor-gevano controversie tra persone o proble-mi relazionali, ci si radunava in presenza

Ho’oponopono è un processo di penti-

mento o riconcilia-zione tra le persone di una medesima comunità, di una

medesima famiglia.

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di tutti i protagonisti e, sotto la guida di un sacerdote, ci si concedeva il perdono.

Morrnah Simeona

È poi entrata in scena Morrnah Simeona, sciamana, guaritri-ce ed erborista. Ha pensato che il processo di Ho’oponopono potesse essere semplificato eliminando la presenza della guida o del sacerdote, cosicché ciascuno lo praticasse da solo. Lo ha proposto insegnando l’Ho’oponopono che conosciamo oggi: da soli, ci concediamo il perdono, l’amore e la pace. Non è più necessario essere in presenza degli altri né avere una guida o un sacerdote per concedersi il perdono, giacché è innanzitutto es-senziale concederlo a se stessi. Si tratta di un aspetto importan-te, perché dimostra fino a che punto il processo è stato adattato all’epoca in cui viviamo attualmente, nella quale ognuno viene sempre più spinto a prendersi cura di se stesso.

Morrnah aggiungeva che subiamo il peso dei nostri ricordi. L’obiettivo di Ho’oponopono è pertanto quello di liberarci da questi ricordi affinché, strappando il velo, possiamo scoprire la “Divinità” dentro di noi. In questo modo, avremo la possibilità di capire chi siamo davvero, un aspetto essenziale.

Con questo processo, i ricordi vengono liberati e trasformati in energia pura dalla “Divinità”. Si tratta in un certo qual modo di un vero e proprio processo alchemico, una trasmutazione dei ricordi e delle paure in amore puro.

Secondo Morrnah Simeona, “la pace inizia con me e nessun altro”. Morrnah ha proposto dei corsi e il dottor Len è diventa-to il suo allievo più noto, perché è grazie a lui e alla sua straordi-naria testimonianza che Ho’oponopono si è diffuso nel mondo.

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Il dottor Ihaleakala Hew Len

La storia del dottor Len ha fatto il giro del mondo e tutti più o meno la conoscono. Un giorno al dottor Len, psicologo clinico, fu proposto di diventare il responsabile dell’ala psichiatrica di un carcere delle Hawaii. Va detto che nell’edificio l’atmosfe-ra era pesante, odiosa, e che nella quotidianità il pericolo era talmente presente che il personale vi lavorava in preda a una viscerale paura. Le assenze erano frequenti e gli psicologi non duravano a lungo.Nonostante ciò, il dottor Len accettò l’incarico. Chiese di poter

consultare le cartelle di tutti i pazienti e, prima di rinchiudersi nel suo ufficio, in-sistette che non lo si disturbasse, giacché non gli era necessario vedere i malati. Era un atteggiamento strano per uno psicolo-go, ma fu rispettato.

I giorni trascorsero e, dopo circa tre mesi, ci si accorse che poco a poco l’atmo-sfera e i rapporti con i malati erano diven-tati migliori, cosa che venne fatta notare al medico. Gli fu poi chiesto che cosa facesse, da solo, nel suo ufficio, perché quell’atteg-

giamento seguitava a destare curiosità.Il dottor Len allora spiegò che puliva i ricordi che aveva in

comune o, per essere più precisi, che aveva condiviso con cia-scun paziente consultandone la cartella.

“In che modo?”.“Pronuncio semplicemente queste quattro frasi, ripetendole:

‘mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo’ ”, rispose.“Tutto qui?”.“Tutto qui”.

Il dottor Len spiegò che puliva i ricordi che aveva

condiviso con ciascun paziente, ripetendo sempli-cemente: “Mi di-

spiace, perdonami, grazie, ti amo”.

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Portò così avanti l’incarico per quasi quattro anni, al termi-ne dei quali l’ala psichiatrica del carcere chiuse i battenti. Non c’erano più pazienti. Erano completamente guariti o comun-que la loro presenza in quel luogo non era più necessaria.

Che cos’era successo?Parlando di tutte le persone che erano guarite, il dottor Len spiega di aver guarito quella parte di se stesso che le aveva create. Aggiunge che ogni cosa nella vita, tutto ciò che ci succede è respon-sabilità nostra. In altre parole, tutto quello che ci appare davanti ai cinque sensi, il mondo che ci circonda... è una nostra creazione. Di conse-guenza, se qualcosa all’esterno non ci piace, è re-sponsabilità nostra guarire dentro di noi i ricordi che hanno creato tale situazione.

La realtà fisica è una creazione della mente

Ciò che è al di fuori di noi di fatto è soltanto una proiezione di qualcosa che nasce da dentro, che potremmo chiamare credenze, pensieri o ricordi. Ecco un concetto che si oppone a quanto in genere ci è stato insegnato in Occidente, dove la pressione delle antiche tradizioni giudaico-cristiane è onnipresente. Ci risulta infatti molto più facile attribuire agli altri la responsabilità e ri-vestire il ruolo della vittima, perché è decisamente più comodo.

E invece no! Indipendentemente da quanto ci accade, non siamo vittime e d’altro canto non lo siamo mai stati. Siamo semplicemente gli unici creatori di tutto ciò che ci succede.

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Si tratta di un concetto che in effetti sembra difficile da ac-cettare di primo acchito. Eppure, costituisce la chiave dell’inte-ro processo di Ho’oponopono. È assolutamente indispensabile integrare fino in fondo quest’idea prima di affrontare in manie-ra adeguata la pratica di Ho’oponopono.

Un pensiero erroneo creerà una realtà erronea. Se coltivo un pensiero corretto, creerò invece una realtà di pace e armonia. È necessario rendersi conto che tutto si svolge dentro di sé. Nulla è esterno.

È questa un’idea che spesso risulta assai difficile da integrare. Fino a oggi abbiamo alimentato la convinzione che il respon-sabile sia l’altro e che gli eventi vissuti provengano ovviamente dall’esterno. Con Ho’oponopono il punto di vista si inverte. In realtà, non cambia nulla. Semplicemente, prima non ci ren-devamo conto di aver sempre creato in maniera inconscia la

nostra realtà.“Quando qualcosa si manifesta davanti

a noi”, dice il dottor Len, “possiamo chie-derci che cosa stiamo vivendo nel nostro in-timo”. Occorrerà poi assumersi tutta la re-sponsabilità di quanto proviamo e stiamo creando. In seguito, una volta accettata la situazione (da noi creata per intero), pos-siamo intraprendere il processo di pulizia di tutti i ricordi alla base dei nostri fastidi.

I ricordi infatti non ci lasciano nessuna tregua. A livello incon-scio guidano la nostra vita e impediscono al libero arbitrio di esprimersi.

“Non siamo la somma dei nostri ricordi, non siamo i nostri ricordi, siamo qualcosa di più”, affermava Morrnah Simeona.

Ciò che accade nella nostra vita, gli eventi, gli incontri, i luoghi dove abitiamo, i viaggi, tutto è creato dai nostri ricor-di. Siamo in realtà quasi telecomandati dai ricordi. Ci fanno

La realtà fisica è una creazione della nostra mente, cioè i creatori di tutto ciò che ci succede

siamo noi.

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credere di essere diversi dagli altri e, in definitiva, sono loro a trasmetterci l’illusione della separazione. Ecco perché è utile rammentarci che non siamo i nostri ricordi. Così facendo, ar-riviamo a una domanda fondamentale che si è posta Morrnah, che si pone il dottor Len e che ciascun essere umano ha il dirit-to di porsi: “Chi sono io in realtà?”.

In parole semplici, i nostri ricordi ci impediscono di essere noi stessi. Liberandoci da questa ingombrante “eredità”, rimuo-vendoli pazientemente uno dopo l’altro come faremmo con gli strati di una cipolla, saremo condotti a scoprire chi siamo dav-vero. Tutto ciò che di esteriore ci disturba, ci destabilizza e ci fa soffrire è un ricordo. La sofferenza che vediamo nell’altro è un ricordo che si riattiva dentro di noi.

L’origine di tutto ciò che ci accade e ci colpisce è un ricordo.

Ho’oponopono ci permette di ripulire tutti i no-stri ricordi. In realtà, però, non esistono ricordi buoni o ricordi cattivi. È la mente a giudicare, decidendo quello che è bene e quello che è male. La realtà è tutt’altro. Esistono semplicemente dei ricordi, dei quali alcuni ci sembrano sba-gliati, mentre altri ci sembrano giusti. Esistono semplicemente dei ricordi che dobbiamo ripulire per liberarcene. Ho’oponopono ce lo consente.

Le diverse parti dell’identità

I ricordi sono immagazzinati nel subconscio, che gli hawaiani chiamano Unihipili o “Bambino interiore”. È la sede delle emo-zioni e dei ricordi. Per questo motivo il processo di Ho’opono-pono invita a chiedere al Bambino interiore di lasciar andare le

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sue paure e liberare i ricordi che sono stati la causa del problema o della situazione. È infatti in questa parte del sé che sono con-servati tutti i ricordi. Il Bambino interiore ha un grande bisogno di essere rassicurato e amato, giacché è proprio attraverso l’amore che riuscirà ad alleggerirsi di questo fardello liberando i ricordi.

Al contrario il conscio o Uhane, che per gli hawaiani signi-fica “madre”, è la parte che rappresenta la mente o l’intelletto, la parte che può scegliere se pulire i ricordi o evitare di intra-prendere il processo e continuare così ad alimentare l’illusione del controllo. Il suo è un ruolo importante. Richiede parecchia umiltà, perché compiendo la scelta di pulire i ricordi la mente deve abbandonare i comandi. Deve riporre fiducia e annullarsi davanti alla “Divinità”.

Vi è infine il superconscio, anima o Sé superiore, che gli hawaiani chiamano Aumakua, ossia “padre”. Questa parte è in collegamento diretto con la Divinità interiore e a essa chiedia-mo di pulire i ricordi nel momento in cui vengono liberati dal subconscio. La richiesta è rivolta al Sé superiore o all’anima, che subito passa il comando alla Divinità interiore, il cui ruolo con-siste nel pulire e purificare la causa o le cause del problema. È pertanto possibile rivolgersi direttamente alla Divinità interiore.

Come fare pulizia?

Per fare pulizia si utilizzano le quattro frasi chiave di Ho’opono-pono: “mi dispiace, ti chiedo perdono, ti ringrazio, ti amo”.

La regolare pratica del processo permette di ridurre queste frasi a un semplice “mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo” o an-che “grazie, ti amo”. Ci lasceremo dunque guidare soprattutto dall’intuito, utilizzando le parole che ci sembrano più adatte.

Diciamo “mi dispiace” perché non sapevamo di racchiudere

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dentro di noi quel ricordo. Diciamo poi “perdonami” alla Divi-nità, le chiediamo di aiutarci a perdonare noi stessi per esserci lasciati trascinare da tali ricordi. In seguito, “ringraziamo” i ri-cordi per essere emersi e averci dato l’opportunità di liberarli. Ringraziamo inoltre la Divinità per il suo aiuto. Concludiamo infine con “ti amo” perché soltanto l’amore guarisce. Con que-ste parole ci rivolgiamo ai nostri ricordi, come pure a noi stessi.

Il processo di Ho’oponopono consiste nel perdonare, ringra-ziare e inviare a se stessi amore.

Nel farlo, cancelliamo il ricordo. Man mano che la sofferenza dentro di noi svanisce, svanisce anche nell’altro. Pro-nunciando queste parole le rivolgiamo a noi stessi, ma ancor più precisamente al bambino che è dentro di noi e soffre.

La semplicità di Ho’oponopono sta in questo. Non è più necessario scoprire da dove deriva il ricordo o da quale evento doloroso trae origi-ne. Per la mente si tratta di un concetto ostico, perché essa cerca di comprendere e tenere tutto sotto controllo.

Cionondimeno, la mente risulta utile in questo processo e il suo ruolo è importante. Possiede infatti il libero arbitrio. Può prendere la decisione di abbandonare ogni tipo di controllo e di potere, riponendo fiducia nella Divinità interiore e chiedendo al Sé superiore di pulire i nostri ricordi, liberandoci.

Per questo motivo, quando ci rivolgiamo all’energia di Ho’oponopono dobbiamo riuscire a sviluppare una profonda fiducia in noi stessi, una fede totale nella nostra anima, cosicché la mente possa infine abbandonare qualsiasi potere e controllo. L’intelletto lascia spazio all’intuito del cuore.

Potremmo dire che la mente è simile a un super computer, una macchina così perfetta che l’uomo non sarà mai in grado di fabbricarne una altrettanto efficiente. Tuttavia, un computer

Non dobbiamo né fare né capire nulla, soltanto

chiedere.

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senza software e senza dati non è di alcuna utilità. È soltanto una macchina vuota.

La mente funziona allo stesso modo. A fungere da dati sono i ricordi del passato. La mente vi fa sempre riferimento prima di prendere una decisione e questo ci porta a vivere la vita secondo schemi dettati dal passato. Se smettiamo di giudicare, cioè se smettiamo di utilizzare le ricette del passato, vivremo l’istante presente e saremo pronti ad accogliere una nuova realtà. Una realtà non più sotto il controllo del nostro ego, bensì sotto la guida della nostra anima.

abbandonare le aspettative

L’obiettivo, il fine di Ho’oponopono consiste nel collegarci con la Divinità interiore attraverso l’anima. Per farlo, occorre ab-bandonare qualsiasi aspettativa, perché l’energia di Ho’opono-pono implica il non doversi più sforzare di capire e pertanto il non aspettarsi nessun risultato. L’aspettativa infatti chiama nuovamente in causa la mente.

Aspettarsi qualcosa richiede un intervento da parte della mente e se quest’ultima riprende il controllo, l’anima si ritrae e nulla accadrà. A partire da quel momento, la mente blocca il processo. Ecco perché essa deve allentare fino in fondo la presa.

A quanto pare questo aspetto, ossia “abbandonare le aspettative”, è il più difficile da mettere in pratica, perché significa “non desiderare nulla”. Per inseguire e raggiungere un obiettivo siamo stati abituati innan-zitutto a comprenderlo, ad analizzare i dati, dopodi-ché a entrare in azione. È l’ambito della “razionali-tà”, che dipende dall’intelletto, dalla mente e dall’ego.

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D’altro canto, la scelta stessa dell’obiettivo da raggiungere ha rappresentato in precedenza il frutto di una riflessione mentale. È così che, in linea molto generale, ogni essere funziona.Per scegliere un obiettivo da raggiungere la mente attinge alla sua banca dati, ossia i ricor-di o le esperienze passate, così come farebbe un computer con i dati sull’hard disk. La scelta di un obiettivo, di una decisione da prendere, è dunque in ultima analisi soltanto il prodotto dei nostri ricordi. È questo il motivo per cui la mente si sbaglia tanto spesso.

Lo stato di “vuoto” e il momento presente

La mente esiste solo nel passato o nel futuro, per cui perde potere e controllo nel momento presente. Nel presente infatti non riesce più ad agire e abbandona i comandi. Ecco perché per Ho’oponopono esiste soltanto questo particolare momen-to, il “qui e ora”. Per essere efficace, va pertanto praticato nel momento presente, quando il collegamento con la mente viene a mancare.

Praticando Ho’oponopono (e mi spingo addirittura a dire “vivendo” Ho’oponopono, perché si tratta di uno stato d’ani-mo), la “rinuncia” e il distacco devono essere totali, così da per-metterci di conseguire uno stato di “vuoto”, lo stato “zero” di cui parla il dottor Len. Lo stato di “vuoto” può essere raggiunto soltanto nel “qui e ora”.

È in questo stato di “vuoto”, nel quale non desideriamo più nulla, che può manifestarsi l’ispirazione.

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L’ispirazione proviene dall’anima o dalla Divinità in noi. La Divinità sa esattamente ciò che va bene per noi. L’ispirazione è sempre giusta.

amare se stessi

È importante mantenere questa energia d’amore a un livello sempre elevato. Per farlo, le frasi andranno pensate ogni giorno. Ho’oponopono può infatti essere utilizzato per qualsiasi cosa. Quando esci di casa per recarti al lavoro o a un appuntamento, chiedi subito al Sé superiore o alla Divinità di pulire ciò che potrebbe essere in te causa di un qualsiasi problema o ostacolo con le persone che incontrerai.

Ripeti le frasi “mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo” e pian piano vedrai compiersi la magia.

Per trovare le parole, le frasi che più ti si confanno, lascia bri-glia sciolta all’intuito. Rivolgiti al Bambino interiore e chiedigli di liberare i ricordi, ringraziandolo e ricordandogli che lo ami. Rassicuralo. Rivolgiti quindi al tuo Sé superiore e domandagli di pulire, di purificare con l’aiuto della Divinità le cause del problema, dopodiché ringrazialo.

È altresì possibile rivolgersi ai propri ricordi rammentando loro che li amiamo, perché ci offrono la possibilità di liberarli e dunque di liberare noi stessi. Ecco perché praticando Ho’opo-nopono tutti i giorni, varie volte al giorno, sviluppiamo sempre più dentro di noi quei magnifici valori simili a briciole d’a-more: gratitudine, perdono, rinuncia, umiltà, gioia, assenza di giudizio, fiducia in se stessi e amore verso la propria persona. In questo modo, poco a poco scopriamo chi siamo realmente.

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Lo scopo di Ho’oponopono consiste nel liberarci dai nostri ricordi per raggiungere la luce e l’illuminazione, così da cono-scere la pace e la libertà.

La pratica di Ho’oponopono

Dietro qualsiasi situazione, qualsiasi evento e qualsiasi incontro che si verificano nella nostra vita si nasconde un ricordo. Lo scopo di Ho’oponopono sta nel liberarci da tutto ciò che può ostacolarci nella vita o che rischia di diventare per noi fonte di dolore, di pena o di sofferenza.

La pratica ci condurrà a uno stato “zero”, cioè uno stato di “vuoto” nel quale la mente ha passato interamente i comandi alla parte divina, cosicché possiamo accoglierne il messaggio in ciò che comunemente chiamiamo ispirazione. Il fine è di rima-nere in questo stato quanto più spesso possibile, così da essere costantemente ricettivi.

La pratica di Ho’oponopono deve diventare un riflesso in ogni istante della vita. È utile accogliere qualsiasi cosa, a pre-scindere da quanto sia insignificante, con un sentimento di gratitudine, perdono, umiltà e amore. Non esistono limiti né sforzi da compiere. Una volta acquisito questo riflesso, infatti, le parole “mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo” affioreranno automaticamente alla mente o sulle labbra.

Pronunciare queste parole non è comunque un obbligo as-soluto né una condicio sine qua non. Assai spesso mi capita di dire semplicemente: “Grazie, ti amo”, ripetendo queste parole varie volte. Tu puoi usare le parole che trovi più adeguate. Al-cuni dicono “luce”, “accetto” o anche semplicemente “grazie”.

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Quando si presenta un qualsiasi fastidio, puoi for-mulare il processo per intero, mentalmente o ad alta voce: “Sono l’unico creatore di ciò che succede e ac-cetto questa situazione. So che è stata prodotta da un ricordo e decido di liberarla. Chiedo inoltre al mio Bambino interiore o al mio subconscio di lasciar andare questo ricordo, di liberarlo. Chiedo alla mia

anima, che è in collegamento con la Divinità interio-re, di pulire il ricordo così da purificarlo e trasformarlo in luce”. Durante tutto il processo è opportuno non ali-mentare mai nessun’aspettativa sul risultato finale.

A livello pratico è sufficiente dire “mi dispiace, perdonami, gra-zie, ti amo” o “grazie, ti amo”, nella consapevolezza che queste parole contengono l’intero processo.

Ho’oponopono può essere impiegato per tutto. È possibile cominciare a pulire i ricordi fin dal mattino, al risveglio, pen-sando per esempio agli appuntamenti della giornata, pur non sapendo quali potrebbero costituire un ostacolo o un fastidio. A ogni incontro è inoltre possibile dire “mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo” per far sì che avvenga nel modo migliore per noi.

Possiamo praticare Ho’oponopono in auto, in metropolita-na, al lavoro o in famiglia. Una situazione incresciosa o una controversia sono ricordi e come tali vanno puliti.

Questo approccio a Ho’oponopono è un bel modo di illu-minare il proprio cammino. È un costante allentare la presa. Per farlo, tuttavia, occorre innanzitutto assumersene la responsabi-lità. A ciò fa seguito l’accettazione, che si consegue passando a un livello superiore nel quale rammentiamo a noi stessi chi sia-mo. Così facendo, possiamo decidere di liberare il ricordo che sta agendo, in genere in maniera inconscia. Diamo pertanto alla parte divina del nostro essere il permesso di esistere ed essa trasformerà il ricordo attraverso l’amore.

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Il potere di creare

Diceva Gandhi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” (“You must be the change you want to see in the world”). Poiché il mondo è soltanto il riflesso di ciò che siamo, nel momento in cui cambiamo cambia anch’esso. Il mondo siamo noi.

Quando nella nostra vita accade qualcosa di spiacevole, istintivamente cosa facciamo? Cerchiamo all’esterno un re-sponsabile, un colpevole. È un fatto talmente vero che non ci poniamo nemmeno il problema. Essendo la cosa accaduta al di fuori di noi, anche il colpevole dev’essere esterno.

Del resto, chi ci governa ci spinge continuamente a guardare al di fuori. Così facendo, siamo portati a considerarci delle vit-time e a ritenere che il pericolo provenga sempre dall’esterno. Ciascuno si scrolla di dosso ogni responsabilità ed è così che, per fatti insignificanti, si fa causa al medico, all’insegnante dei propri figli, al datore di lavoro o al vicino. In ambito sanitario abbiamo trovato capri espiatori assai pratici: virus, fumo, in-quinamento e molto altro. Le religioni hanno aperto la strada già da tempo, inculcandoci l’idea che nasciamo peccatori e che viviamo sotto lo sguardo inquisitore di un dio spietato, pronto a punirci.

Fin dalla nascita, dentro di noi si è ben radicato l’archetipo della vittima e ciò conviene agli interessi dei poteri esterni, sia-no essi politici o religiosi.

Ma continuando a ricercare il responsabile dei nostri fastidi al di fuori di noi, cosa succede? Succede che cediamo il nostro potere! Dal momento che il responsabile è all’esterno, gli con-feriamo il potere e non controlliamo più la nostra vita. Morale della favola: se un agente esterno è colpevole della nostra infelici-tà, possiede un potere totale su di noi! E cedere agli altri il nostro potere è qualcosa che facciamo costantemente per tutta la vita.

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A questo punto, sicuramente ti domanderai: “Se sono re-sponsabile della situazione che mi disturba, come faccio a risol-verla?”. Infatti, rendendosi conto di essere i creatori di tut-to ciò che ci succede ne consegue che possiamo cambiare la nostra realtà. Arriviamo pertanto a recuperare il nostro pote-re, perché capiamo che nessuno tranne noi è responsabile di quello che accade. Non è più colpa degli altri, i quali sono intervenuti nella nostra vita solo per mostrarci che in noi c’è qualcosa da cambiare e da migliorare.

In nessun caso gli altri sono responsabili; sei l’unico re-sponsabile di quello che accade nella tua vita. Di tutto!

All’improvviso possiamo dire: “Non avete nessun potere su di me, sulla mia vita. Sono io il creatore della mia vita. Cambierò ciò che ha causato qualcosa che mi ha infastidito o provocato dolore. Ho il controllo della mia vita”.

Quando nella nostra esistenza sopraggiunge un problema, la soluzione è forse al di fuori di noi? Volendo far scomparire il problema dobbiamo forse sforzarci di cambiare gli altri che, secondo noi, sono la causa di questo fastidioso problema? Ana-lizziamo la risposta con il proiettore.

Il proiettore

Farò un esempio che illustrerà il significato di “creare la propria realtà a ogni istante della vita” e che dimostrerà come un pro-blema non sia dove di solito crediamo. Tutti sappiamo cos’è un proiettore. È un apparecchio che proietta immagini, una dopo l’altra, su uno schermo.

Supponiamo di trovarci comodamente seduti a casa di ami-

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ci, per guardare una serie di diapositive. All’improvviso, alla vi-sta dell’ultima immagine, qualcosa ci sconvolge terribilmente. Può trattarsi di una frase scritta oppure della rappresentazione di una scena, di un personaggio, di colori o di forme, non ha importanza. L’importante è che in ciò che vediamo qualcosa ci sconvolge al punto da suscitare in noi una profonda emozio-ne. Questa emozione sembra toccarci nel nostro intimo perché all’improvviso, in preda alla collera, ci alziamo dirigendoci ver-so l’immagine. Poi, afferrando un oggetto tagliente, laceriamo con rabbia lo schermo. Vediamo però che l’immagine è ancora presente, proiettata poco oltre, sulla parete dietro. Ci scagliamo dunque contro di essa, con l’idea di distruggere l’immagine per noi tanto sconvolgente.

Se ci porgessero un piccone per distruggere la parete nel pun-to in cui viene proiettata l’immagine, sarebbe questo un buon modo di farla scomparire? Certamente no! Tutti sappiamo che per cambiare un’immagine proiettata è sufficiente cambiare la diapositiva all’interno del proiettore. Di conseguenza, se un’im-magine proiettata ci disturba, la soluzione del problema non sta nello schermo o sulla parete, bensì nel proiettore stesso.

Sarà sufficiente cambiare la diapositiva per ottenere un’altra immagine e questa volta una che ci vada bene!

E per noi, credi sia diverso? Assolutamente no! Noi infatti in un certo senso funzioniamo come il proiettore. Quando compare un problema, subito siamo portati a cercarne la solu-zione al di fuori di noi come se la causa o le cause del suddetto problema fossero distinte, cioè come se non fossero collegate a noi. Così facendo, però, cerchiamo chiaramente nel posto sbagliato, perché la soluzione di qualunque problema incon-trato non si trova all’esterno. Un evento che sopraggiunge non possiede vita propria al di fuori di noi. La percezione che

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ne abbiamo è dunque soltanto il riflesso dei nostri pensieri, delle nostre credenze e dei nostri ricordi.

Come per il proiettore, la soluzione al nostro problema non si trova all’esterno, bensì in noi, all’interno, indi-pendentemente dalla causa.

In un certo qual modo siamo come un proiettore, benché senz’altro migliaia di volte più efficienti, perché anche noi pro-iettiamo immagini, scene e personaggi che sono unicamente il riflesso di ciò che siamo dentro, il riflesso dei nostri pensieri. Va inoltre ricordato che più le emozioni alla base di questi pensieri sono intense, maggiore è il potere creativo dei pensieri stessi. Ma da dove provengono i pensieri, se non dai ricordi? Quei ricordi che, mediante un processo semplicissimo, Ho’opono-pono propone di ripulire, al fine di liberarci dalla loro presa e condurci verso la pace.

Il perdono apre la porta all’amore

Le parole “mi dispiace, perdonami” fanno parte del processo di Ho’oponopono. Potremmo altresì dire: “Mi dispiace, perché non sapevo di avere dentro di me questi ricordi. Perdonami, Bambino interiore che ha molto sofferto e che ho trascurato. Perdonami, ani-ma mia, per averti negato la mia fiducia. Perdonatemi, ricordi, per avervi ignorato. Chiedo perdono a me stesso per le sofferenze che mi sono inflitto per mancanza d’amore nei miei confronti... E chiedo perdono agli altri per i giudizi che ho espresso su di loro”.

Di solito siamo convinti di dover perdonare gli altri per quanto ci hanno fatto. Gli altri sono considerati colpevoli e noi esprimiamo un giudizio. Ma com’è possibile giudicare gli altri

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se essi non sono che il riflesso di noi stessi? Giudicare gli altri significa giudicare se stessi.

Nel momento in cui esprimiamo un giudizio o una criti-ca, chiudiamo il nostro cuore all’amore, fonte di vita che tutto pervade, e smettiamo di amare. Il giudizio porta al dualismo e alla separazione, che ci privano dell’energia d’amore. Inoltre, quando smettiamo di amare penalizziamo noi stessi, perché ci neghiamo l’amore.

Ecco perché, spinti da profonda sincerità, chiediamo per-dono a coloro che, “in apparenza”, sono la causa dei nostri fastidi. Giudicandoli infatti, ci siamo serviti di loro per chiu-derci all’amore.

Nel processo di Ho’oponopono il perdono è essenziale, perché libera le zone d’ombra e le paure, aprendoci all’amore.

La luce e l’ombra

Immagina per un istante di trovarti in una stanza senza finestre. C’è una porta, le cui fessure sono state tappate alla perfezione. La luce è spenta e la stanza è immersa in una totale oscurità. Sei lì, in piedi dentro una stanza tutta buia. La tua mano è sulla maniglia della porta. Sai che dall’altra parte c’è una stanza illu-minata alla perfezione e piena di luce.

D’un tratto, apri la porta. Cosa succede? Di sicuro rimani abbagliato, ma soprattutto noti subito che la luce penetra nel-la stanza in cui ti trovavi. La cosa non ti sorprende, è normale. Noti invece qualcosa di diverso nella stanza ben illuminata? È diventata più buia? Ovviamente no. La stanza che era piena di luce è rimasta così, la sua luminosità non è cambiata. È

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illuminata come lo era prima.Queste domande forse ti sembreranno assurde. È un fatto

ovvio, dirai. Facciamo però le seguenti considerazioni: l’om-bra, per esempio quella della stanza senza finestre, esiste sol-tanto in assenza di luce. Fin qui tutto bene! Nel momento in cui facciamo entrare la luce in una stanza non illuminata, l’ombra si attenua e diventa meno intensa. E allora? Possia-mo affermare che l’ombra non esiste? La scienza sa tutto sul-la luce, la sua composizione, la velocità ecc. Ma ha studiato l’ombra? Per quanto ne sappiamo, no.

L’ombra appare come il contrario della luce, il suo oppo-sto. Proprio come essa esiste soltanto in assenza di luce, allo stesso modo possiamo affermare che le nostre paure esistono soltanto in assenza d’amore.

La luce è ovunque e anche l’amore è ovunque. È in ogni cosa, è parte integrante di tutto ciò che è. Le nostre paure sono le zone d’ombra, le parti buie.

Torniamo alla nostra metafora. Sei nella stanza buia, con la mano sulla maniglia della porta. Per molti questa porta è soc-chiusa, per altri è un po’ più aperta. Perché non apri la porta completamente, così da immergerti nella luce? Perché stringi la mano attorno alla maniglia della porta, impedendole di spa-lancarsi all’amore? Perché rimani aggrappato alle tue paure e seguiti a chiuderti all’amore? Separarsi da abitudini, memorie e ricordi è difficile. Vi siamo abituati, le conosciamo e quantun-que siano sinonimi di dolore e sofferenze, li conserviamo per pigrizia, per timore del cambiamento, per paura dell’ignoto.

In effetti, se la strada dell’amore non ci è stata mostrata, se non ci è stato insegnato ad amare noi stessi o semplicemente ad amare, allora il vero amore può incuterci paura. Una cosa del genere sembra paradossale. Nondimeno, sappiamo che quanto

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non possediamo dentro di noi ci è ignoto e l’ignoto fa paura. Se l’amore non è naturalmente presente in noi, non possiamo attrarre amore.

Eppure, sembrerebbe davvero facile abbassare la maniglia della porta ed essere pervasi dall’amore. Per farlo, occorre svi-luppare decisamente dentro di sé la capacità di allentare la pre-sa, l’autostima e la fiducia nella propria anima. La porta non va aperta troppo violentemente, perché l’abbagliamento rischia di essere doloroso. Ognuno lo farà secondo il proprio ritmo, la propria evoluzione.

Il perdono totale può condurci ad allentare la presa, a essere liberi. “Il vero perdono deve includere la completa rinuncia alla forma mentale della vittima” (Colin C. Tipping, Il perdono assoluto, 2010).

Il perdono totale

Per la nostra mentalità occidentale sotto l’influenza giudaico-cristiana il perdono è un concetto delicato, perché ci rinchiude nell’idea di colpa. “Se chiedo perdono, vuol dire che sono colpevole di qualcosa”. L’ego detesta riconoscere le proprie colpe e più ancora chiedere perdono.

È questo il motivo per cui sfuggire alla morsa di ricordi tan-to pesanti trasmessici da molti secoli non è semplice. Inoltre, c’è qualcosa di umiliante nel riconoscere la propria colpa, i propri errori. Se però l’umiliazione si trasforma in umiltà, il perdono può liberarci completamente dal ruolo di vittima, invitandoci a modificare in maniera radicale la visione del mondo e l’inter-pretazione di tutto ciò che ci succede.

Nella pratica di Ho’oponopono, quando diciamo “perdo-

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nami” o “ti chiedo perdono” dobbiamo rivolgere questo per-dono a noi stessi. In quel momento, raggiungeremo lo stadio ultimo dato dalla potenza del perdono, che ci conduce verso un’indescrivibile sensazione di felicità, un liberatorio sollievo, una totale rinuncia. La porta del nostro cuore finalmente si apre senza sforzo, la luce ci avvolge e ci pervade. È come na-scere di nuovo.

Possiamo vedere il perdono come il fulcro del processo di Ho’oponopono. Se la richiesta di perdono viene fatta con pro-fonda sincerità e umiltà, paure e resistenze possono cominciare a svanire, per lasciare posto a un sentimento d’amore totale. Il perdono è davvero una porta che ci permette di liberarci dalla presa dell’ego, per andare verso quello spazio infinito di libertà e di pace che è il cuore. Il perdono è un atto d’amore, un dono totale di sé.

Attraverso questo dono, diveniamo un “tutt’uno” con la Sorgente divina. “Compiendo la scelta di chiedere

perdono, barattiamo il nostro orgoglio e l’impor-tanza che ci accordiamo con l’umiltà e la sem-plicità. Rinunciamo alle nostre pretese, alla no-stra presunta superiorità, scendiamo dalla torre d’avorio... E all’improvviso qualcosa in noi si apre. Sbarazzandoci della nostra armatura, ri-nunciando alle nostre rimostranze ritroviamo la

libertà” (Olivier Clerc, Le don du pardon, 2010).

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Il Buddha d’oro

L’amore è ovunque, assicura la coesione e l’unità di tutte le cose, dell’universo, di tutti gli organismi viventi, di noi stessi, che ne siamo consapevoli o meno.

Tutto è amore. Tu sei amore.

E allora, cosa ci impedisce di accedere a questa meraviglia, que-sto tesoro dentro di noi? Le nostre paure. Le paure agiscono come una corazza protettiva, una costruzione dell’ego. Rappre-sentano una maschera sociale che ci permette di mostrarci al mondo.

Illustriamo il concetto con una storia accaduta in Thailan-dia. Nel 1957 a un gruppo di monaci fu affidato il compito di spostare da un tempio all’altro un enorme Buddha d’argilla. Il loro monastero infatti doveva essere trasferito per permettere la costruzione di un’autostrada che avrebbe attraversato Bangkok. Per sollevare l’enorme Buddha fu necessaria una gru. Tuttavia, era talmente pesante che si produssero delle incrinature. Poi, iniziò a piovere. Per proteggere la statua, i monaci la posarono a terra, ricoprendola con un grande telone.

Durante la notte, il monaco superiore volle controllare lo stato del Buddha. Accendendo una pila tascabile per vedere se la statua era rimasta asciutta, si accorse che nel punto in cui erano comparse le incrinature c’era un riflesso brillante. Questo lo incuriosì e, guardando da vicino, gli parve che l’argilla na-scondesse qualcos’altro. Andò subito a prendere un martello e uno scalpello, cominciando a scrostare l’argilla dall’incrinatura. Man mano che procedeva nel lavoro e faceva cadere pezzi d’ar-gilla, il Buddha diventava sempre più brillante.

Dopo una fatica durata tutta la notte, avendo tolto quasi

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tutti gli strati d’argilla che avvolgevano la statua il monaco ebbe l’immensa sorpresa di veder comparire davanti a sé un magnifi-co Buddha d’oro massiccio.

Alcuni storici ritengono che vari secoli prima, quando l’eser-cito birmano si apprestava a invadere il Siam (in seguito divenu-to Thailandia), i monaci, avvertiti dell’imminenza dell’attacco e ansiosi di proteggere il loro prezioso Buddha dal saccheggio, lo avessero ricoperto di uno spesso strato d’argilla. Nel corso dell’attacco tutti i monaci perirono, il Buddha fu abbandonato e il suo segreto, ben custodito, fu scoperto soltanto nel 1957.

Per secoli questo Buddha ha mostrato soltanto la grezza benché solida corazza, che ne ha nascosto il tesoro inte-riore.

Una bella storia profondamente simbolica, perché dimostra che siamo come quel Buddha d’oro, ricoperti da una corazza intera-mente creata dall’ego per effetto delle nostre paure.

pulizia dei ricordi

In genere detestiamo lo stato d’argilla che ci ricopre, quella co-razza fatta delle nostre paure, delle nostre credenze e dei nostri ricordi. Occorre tuttavia ammettere che il Buddha d’oro deve un amore e una gratitudine infiniti alla sua corazza di creta, che per tanti anni lo ha protetto dai saccheggi.

Allo stesso modo, dobbiamo far pace con le nostre paure e amarle, perché la loro faccia nascosta racchiude un tesoro. La nostra personale missione non è forse quella di toglierci questa corazza, questo velo che nasconde la nostra vera natura e ci im-pedisce di scoprire chi siamo davvero?

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La corazza diventa così depositaria di un messaggio divino che ci guida nella nostra evoluzione. Fino a oggi ha svolto il suo ruolo, quello di proteggerci. Esplorando ogni aspetto delle no-stre paure potremo poco a poco portare alla luce l’amore puro che costituisce la Divinità interiore.

Il monaco ha utilizzato martello e scalpello. Noi a nostra disposizione abbiamo uno strumento meraviglioso. Con Ho’o-ponopono possiamo rimuovere quegli “strati d’argilla” che sono i nostri ricordi.

In una notte, il monaco ha portato alla luce l’oro mas-siccio dentro al Buddha. Tu a tua disposizione hai la vita intera.

Rafforza la tua pazienza, la tua fiducia in te stesso, la gratitudine e l’amore verso gli altri e verso di te. Pian piano, la quotidiana pratica di Ho’oponopono ti libererà dai tuoi ricordi, aiutandoti a scoprire, nel corso della tua evoluzione, il tuo “tesoro” interio-re, l’essere di luce che sei realmente.

L’amore è nell’unità

Possiamo immaginare l’universo come un immenso puzzle. Ogni pianta, ogni essere vivente, tu, io, ogni pianeta, tutto ciò che esiste costituisce una tessera di questo puzzle. Ciascuna componente è semplicemente un frammento del “tutto” che chiamiamo Energia universale, Coscienza universale, Amore universale, Sorgente o Dio, poco importa il nome che gli attri-buiamo. Ogni singola tessera è essenziale per la composizione del Tutto. Proprio come ciascuna zona d’ombra e di luce è in-dispensabile alla costruzione della nostra integrità individuale,

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ogni essere vivente è indispensabile alla composizione dell’E-nergia universale.

Proiettando un fascio di luce bianca su un prisma di vetro, la luce si rifrange e ne esce trasformata in arcobaleno. Invertendo l’operazione e proiettando una luce variopinta, tutti i colori si riuniranno per ricostituire la luce bianca. Per ottenere di nuovo una perfetta luce bianca, però, è necessario che siano presenti tutti i colori che costituiscono lo spettro. Supponiamo di to-gliere dall’insieme dei colori un’unica vibrazione, anche solo un piccolissimo frammento; è evidente che la medesima operazio-ne non produrrà una luce del tutto bianca.

Immaginiamo che ogni essere umano sia uno di questi co-lori. È chiaro che respingendo, mettendo in disparte anche un solo essere “non amato”, l’umanità non potrà conseguire fino in fondo l’amore perfetto e incondizionato, perché siamo tutti collegati, uniti in un’unica energia che è l’amore.

Accetta gli altri come una parte di te stesso.

Ogni essere umano deve inoltre riconoscere e accettare tutti gli aspetti che compongono la sua totalità, siano essi odio, collera, cupidigia, gioia, pace ecc.

Il bianco non è assenza di colore, è l’unione di tutti i colori. Analogamente, l’amore è l’insieme di tutti i nostri punti di luce e tutte le nostre zone d’ombra, perché abbraccia ogni aspetto.

Non esistono il bene e il male, così come non esistono pregi e difetti. Esistono semplicemente i nostri ricordi, i quali offu-scano l’essere splendente di luce che siamo.