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Monthly magazine by Europae. In this issue the topic is the European Parliament: its role in today's Europe and its goals in the one of tomorrow.
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© Europae - Rivista di Affari Europei
LA CAMERA BASSA
N. 3 - GIUGNO 2013
Il ruolo del Parlamento dopo Lisbona I protagonisti: Schulz e i gruppi politici
L’euroscetticismo spaventa l’UE Verso il 2014: i rischi di delegittimazione
IL PARLAMENTO EUROPEO TRA LISBONA E IL 2014
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www.rivistaeuropae.eu
Associazione Culturale OSARE Europa
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Giugno 2013, Numero 3 © Europae - Rivista di Affari Europei, www.rivistaeuropae.eu “La camera bassa. Il Parlamento Europeo tra Lisbona e il 2014” A cura di Luca Barana e Davide D’Urso Copertina di Luigi Porceddu Direttore: Antonio Scarazzini Caporedattore: Davide D’Urso Responsabili di Redazione: Luca Barana, Riccardo Barbotti, Simone Belladonna, Fabio Cassanelli, Valentina Ferrara, Shannon Little, Tullia Penna.
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INDICE
Un Parlamento forte, un’Europa più democratica 4 Antonio Scarazzini Il Trattato di Lisbona e la nuova centralità del Parlamento Europeo 6 Tullia Penna Verso le elezioni del 2014: Parlamento e Unione Europea al crocevia 9 Shannon Little Il Parlamento Europeo e la battaglia sul Quadro Finanziario Pluriennale 12 Davide D’Urso I gruppi politici nel Parlamento Europeo: una vera rappresentanza europea? 16 Luca Barana Uno spettro si aggira per l’Europa. L’euroscetticismo dentro e fuori il PE 20 Mauro Loi Martin Schulz: il Presidente “scomodo” che ha cambiato il Parlamento Europeo 24 Valentina Ferrara
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UN PARLAMENTO FORTE, UN’EUROPA PIÙ DEMOCRATICA
T ra il 22 e il 25 maggio del prossimo an-no, gli oltre 500 milioni di cittadini dell'Unione Europea si recheranno alle urne per eleggere i propri rappresen-
tanti al Parlamento Europeo. Il peso dei numeri, ma soprattutto quello delle contingenze del pe-riodo storico, fanno di questa tornata elettorale un evento storico, un turning point cui l'Europa guarda con sentimenti a metà fra l'ansia e la spe-ranza. Ansie e timori sono pienamente giustificati dai dati statistici che raccontano, dal 1979 ad oggi, un trend di crescente disaffezione dei cittadini europei verso questo appuntamento con le urne. Per quanto l'allargamento della Comunità, pri-ma, e dell'Unione, poi, renda difficile il paragone lungo i 30 anni di storia delle elezioni europee, la crescita di quasi 30 punti percentuali dell'a-stensionismo, sino al 57% del 2009, richiama l'attenzione sui vulnus che i deficit istituzionali dell’UE apportano alla legittimità del suo stesso Parlamento. In primo luogo, la scarsa capacità dell’UE di co-‐
municare all’esterno l'attività parlamentare che, al di là delle competenze legislative affidatele dai Trattati - in particolare dal Tratto di Lisbona, come approfondito negli articoli di questo nu-mero - rimane di gran lunga oscurata dal sensa-zionalismo dei vertici intergovernativi o dell'a-zione della Commissione Europea, anche quan-do i tre livelli istituzionali vengono ad intrecciar-si su temi di assoluta centralità, in particolare sulla funzione di bilancio. Troppe poche parole sono state spese sui media nazionali per la rea-zione, compatta e trasversale tra i gruppi politici europei, che, come vedremo diffusamente all’interno di questa rivista, il Parlamento ha speso dopo l’accordo raggiunto dal Consiglio Europeo di febbraio sulla bozza di regolamento per il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale dell'Unione. Troppo poco si è detto della strenua difesa che i parlamentari europei hanno cercato di opporre alla riduzione del budget comunita-rio e, dunque, alla credibilità dell’UE di far fronte alle sfide economiche del prossimo settennato.
di Antonio Scarazzini
Editoriale
LA BANDIERA DELL’UNIONE EUROPEA NELLA SEDE DEL PARLAMENTO EUROPEO A STRASBURGO. (FOTO: © EUROPEAN UNION 2013 - EUROPEAN PARLIAMENT )
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Sarebbe tuttavia scorretto ricondurre al deficit comunicativo dell’UE le colpe principali della scarsa affezione che i cittadini europei hanno sinora mostrato verso l'elezione dei propri rap-presentanti al Parlamento Europeo. La disaffe-zione si radica infatti nella persistente assenza di veri partiti politici europei, che sappiano mobilitare un elettorato sensibile a tematiche trasversali dentro e fuori i confini dell'Unione. Le grandi famiglie politiche europee, presenti all’interno del Parlamento nei gruppi parlamen-‐tari che saranno presentati nelle pagine di que-sto numero, hanno sinora fallito in questo tenta-tivo, riducendosi a vuote federazioni di partiti nazionali e consegnando le sorti dell'Europa alle classi politiche nazionali e alle loro visioni elettorali. Oltre a trasformare l'appuntamento delle elezioni europee in una sorta di test di me-tà mandato per i governi nazionali degli Stati membri, questa tendenza ha privato l'UE di una visione di lungo periodo creata dall'interazione tra cittadini e politica sulla base di piattaforme programmatiche sinceramente ispirate a temati-che europee. Il destino delle elezioni europee è finito per essere dettato dall'immagine dell’Eu-ropa che la politica nazionale ha saputo (o vo-luto) creare, perlopiù dispregiativa e funzionale a favorire il consenso interno. È in questo atteggiamento miope, o lucidamente cinico, che il germe dell'euroscetticismo ha trovato terreno fertile, ideale per il proliferare di populisti e demagoghi improvvisati che, nella rinuncia al progetto europeo, trovano una sin troppo facile soluzione agli errori, evidenti e in-negabili, di cui questo è costellato. La diffusione di movimenti e partiti euroscettici nel Sud come nel Nord dell’Europa, a destra come a sinistra dello schieramento politico, è, come avremo mo-do di vedere in dettaglio, una minaccia impor-tante alla capacità del Parlamento di funzionare anche dopo le prossime elezioni europee. Nel pieno di una crisi economica e sociale senza pre-cedenti per l'Europa unita, l'appuntamento elet-torale del maggio 2014 assume dunque sempre più le forme di un referendum, un autentico “crocevia” per l’Unione Europea.
Dalle mani degli elettori che si recheranno alle urne passa il futuro dell'Europa: con un esito positivo in termini di affluenza, i cittadini euro-pei assegneranno al Parlamento Europeo un mandato ben più alto e oneroso della semplice attività legislativa, affidandogli il compito di ri-costruire niente di meno che la legittimità del-le istituzioni europee. Un esito negativo sareb-be invece la fine di ogni tentativo di rifondare un impianto istituzionale debilitato dal deficit de-mocratico e dalla lontananza dai suoi cittadini. Alle classi politiche, così come agli elettorati na-zionali, è richiesto uno sforzo supplementare, per spiegare e capire la centralità di un Parla-mento Europeo pienamente legittimato. Un'as-semblea forte della massima legittimazione po-polare - il suffragio universale diretto - è infatti la migliore garanzia per un'Europa costruita dal basso, che faccia promanare la sua azione da un confronto aperto sulle priorità economiche e sociali e sulle ricette per una crescita economica il più possibile inclusiva. Un antidoto nei con-fronti di quei populismi che, agitando lo spettro del grigiore burocratico (qualora non del com-plotto del gota finanziario), propugnano la di-struzione del processo d'integrazione come so-luzione per un'Europa più giusta e eguale. L’assenza di legittimità democratica è il peccato di cui si è macchiata l’UE nell'imporre sacrifici economici ai propri cittadini. Se, come pare evi-dente, è di un'Europa più unita che gli stessi cit-tadini hanno bisogno per non divenire prede isolate della globalizzazione, tocca agli elettori compiere una scelta che è a suo modo un atto di coraggio: una preferenza per fare del Parlamen-to Europeo un attore credibile, il grimaldello per scardinare lo stallo dei compromessi governati-vi, la “camera bassa” su cui costruire un’Europa democratica. Il fondamento di una vera Europa politica.∎
LA CAMERA BASSA IL PARLAMENTO EUROPEO TRA LISBONA E IL 2014 N. 3 - Giugno 2013
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IL TRATTATO DI LISBONA E LA NUOVA CENTRALITÀ DEL PARLAMENTO EUROPEO
L’istituzione parlamentare accompagna il processo di integrazione europea sin dalle origini. A partire dal 1979, il Parlamento Europeo rappresenta direttamente l’elettorato europeo e, con il Trattato di Lisbona, ha conquistato nuove, importan-‐ti prerogative. Sempre più coinvolto nel procedimento legislativo e di approvazio-ne del bilancio comunitario, il Parlamento pare oggi pronto per rappresentare non più i popoli degli Stati europei, ma direttamente i cittadini dell’Unione.
T ra i tratti distintivi comunemente asso-ciati al Parlamento Europeo (PE), un posto di riguardo spetta senza dubbio al deficit democratico che ha caratte-
rizzato per decenni l’istituzione. L’ormai famige-‐rato deficit affonda le sue radici nel passato, ma, in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, poco si presta a descriverne l’essenza odierna. Per meglio comprendere la natura dell’istituzione deputata a presidiare l’integra-zione comunitaria, serve dunque tornare indie-tro nel tempo fino al 1952, anno di entrata in vigore della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Nella CECA fu infatti istituita l’Assemblea comune, rinominata Assemblea Parlamentare Europea già durante la sua ses-‐sione costitutiva, avvenuta il 19 marzo 1958. L’Assemblea era composta da deputati nominati all’interno dei rispettivi Parlamenti nazionali, quindi secondo uno schema di elezione di dop-pio grado in base al quale ogni parlamentare aveva un doppio mandato. Solo il 30 marzo 1962 l’Assemblea divenne “Parlamento Europeo”, pur mantenendo le medesime, ristrette, funzioni consultive. La pietra miliare nello sviluppo della funzione rappresentativa fu un Atto emanato nel 1976 che stabilì la prima elezione a suffragio universale dei membri del PE, avvenuta nel giugno 1979. L’Atto del 1976, se da un lato cele-‐
brò per la prima volta il principio della rappre-sentatività diretta dei popoli europei presso il Parlamento, dall’altro non dispose una normati-‐va unificata per le elezioni.
Questa lacuna sussiste ancora oggi ed è per que-sto che ogni Stato membro rispetta norme inter-ne in merito a condizioni di eleggibilità, presen-tazione delle candidature, determinazione dei collegi elettorali e modi di scrutinio. Il Trattato di Lisbona è intervenuto in materia, stabilendo che il Consiglio dell’UE dovrà varare una proce-dura uniforme di elezione (o almeno definirne i principi comuni) che dovrà in seguito essere recepita a livello nazionale. Il Trattato cambia
inoltre punto d’osservazione definendo i depu-‐tati non più rappresentanti dei ‘popoli degli Stati riuniti nella Comunità’ (art. 189 TCE), bensì dei ‘cittadini dell’Unione’ (art. 14 TUE), al fine di porre in risalto il carattere diretto (e non di doppio grado) della rappresentatività parlamentare. Inoltre, già dal 2002 è previsto il divieto di doppio mandato in capo ai parlamen-tari e che il metodo di elezione, comune a tutti gli Stati membri, sia obbligatoriamente propor-zionale. Stanti questi caratteri tecnici, il Trattato di Li-sbona è intervenuto vigorosamente sulla consi-stenza dei poteri già attribuiti, per prassi o via normativa, al PE. L’intenzione alla base del Trat-‐tato era quella di portare a compimento il pro-cesso di risanamento del deficit democratico, catalizzando così il processo di integrazione dei popoli europei. Innanzitutto il Trattato ricondu-ce al PE un importante potere di autoregolazio-ne, in precedenza assegnato al Consiglio (ancora assegnatario insieme alla Commissione Europea del potere di autorizzazione preventiva), cioè quello di approvazione del proprio Statuto e del-
di Tullia Penna
Nel giugno 1979 si svolsero le prime elezioni a suffragio universale diretto dei membri del Parlamento Europeo.
Nel Trattato di Lisbona, i membri del PE so-no definiti come rappresentanti dei “cittadini dell’Unione” e non più dei “popoli degli Stati”.
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le condizioni generali per l’esercizio delle fun-‐zioni dei suoi membri. Un’innovazione che a pri-‐ma vista può sembrare marginale, ma che a ben vedere riconosce un’autonomia istituzionale fondamentale. Volgendo l’attenzione a temi più salienti, e nello specifico al potere di iniziativa legislativa, il Trattato di Lisbona chiarifica finalmente un pun-to controverso dei rapporti tra Parlamento e Commissione. La normativa previgente stabiliva che l’assemblea elettiva potesse individuare te-mi sui quali chiedere alla Commissione di pre-sentare proposte normative, con la facoltà di fissare anche un termine per la presentazione medesima. Tuttavia non era chiaro se e quale azione fosse nella disponibilità dell’assemblea elettiva nel caso in cui la Commissione non aves-se presentato alcuna proposta. Molti autori si erano schierati a favore della possibilità per il PE di proporre un ricorso per carenza alla Corte di Giustizia, volto quindi ad accertare la legitti-mità dell’inerzia della Commissione. Questa pos-‐sibilità risulta perentoriamente esclusa dal Trat-tato di Lisbona, il quale consente alla Commis-sione di limitarsi a esporre le motivazioni della sua scelta. Lo scopo è evidentemente quello di preservare quanto più possibile il rapporto fidu-
ciario che lega le due istituzioni, evitando un dannoso conflitto politico. Il cuore pulsante della normativa firmata a Li-sbona nel 2007 però è senza dubbio un altro e, stante l’acclarata crisi delle economie europee, oggi più che mai assume una spiccata rilevanza. Il Trattato ha infatti eliminato una distinzione cruciale alla base di quello che era in precedenza la funzione di bilancio dell’UE, cioè quella tra spese obbligatorie (SO) e non obbligatorie (SNO). Prima del 2009 il Parlamento aveva una flebile voce in capitolo sulle prime, potendo in-fatti proporre delle mere modificazioni che atti-vavano le c.d. navette tra esso e il Consiglio, competente a trarre la decisione definitiva a ri-guardo. Sulle SNO invece il PE era competente anche ad adottare emendamenti e assumere la decisione conclusiva. Lo spazio di movimento dell’assemblea elettiva risultava quindi palese-‐mente esiguo. Con il Trattato di Lisbona si è dunque assistito all’aumento del raggio d’azione del PE, competente ora ad apportare emenda-menti sull’intero progetto di bilancio. Inoltre, anche in merito all’adozione definitiva dello stesso, i rapporti di forza risultano ora incisi-vamente modificati a favore del PE. Quest’ultimo infatti, se il Consiglio rigetta il pro-‐
LA CAMERA BASSA IL PARLAMENTO EUROPEO TRA LISBONA E IL 2014 N. 3 - Giugno 2013
13 DICEMBRE 2007, LISBONA: L’ESECUZIONE DELL’INNO EUROPEO ALLA CERIMONIA PER LA FIRMA DEL TRATTATO DI LISBONA. (FOTO: COUNCIL OF THE EU)
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getto comune, può far prevalere la propria deci-sione confermando gli emendamenti. Differente-mente un respingimento del progetto da parte del PE non sarà superabile da una nuo-va approvazione da parte del Consiglio. Ancora una volta l’obiettivo è chiaro: i rappresentanti dei cittadini dell’UE hanno visto riconosciuto un potere più penetrante in una delle materie più delicate in assoluto. A sancire il ruolo dell’istituzione elettiva in tema di bilancio è l’Art. 16 TUE, che contiene anche un’altra essenziale previsione. In esso è definiti-‐vamente sancita la funzione legislativa del PE, da esercitarsi, come quella di bilancio, “congiuntamente al Consiglio”. Sin dagli albori, all’assemblea elettiva fu riconosciuto un ruolo nel procedimento normativo comunitario, ruolo per altro non di natura deliberativa. Anche su questo tema il dibattito si è incentrato per de-cenni sul deficit democratico dell’istituzione chiamata alla rappresentanza dei veri protagoni-
sti dell’UE, cioè i suoi cittadini. La mancanza di una vigorosa legittimazione della funzione legi-slativa faceva emergere quindi una vistosa di-scrasia nella natura dell’assemblea, stante la po-‐derosa autorevolezza conseguente all’elezione a suffragio universale. Il Trattato di Lisbona segna quindi un punto di rottura con il passato, attri-buendo alla funzione legislativa ordinaria (la codecisione, nella quale PE e Consiglio co-legiferano in posizione di parità) anche materie sulle quali il PE deteneva ancora una mera fun-zione consultiva. A tal proposito serve notare come la maggior parte delle questioni riguar-danti le politiche in materia di asilo, immigrazio-ne, visti e giustizia civile siano ora soggette pro-prio alla procedura legislativa ordinaria, innal-zando così il grado di responsabilità democrati-ca dell’UE. Ulteriori materie soggette alla proce-‐dura sono la cooperazione giudiziaria in materia penale, la cooperazione di polizia e alcune di-sposizioni di politica commerciale e politica a-gricola comune. Una delusione non troppo diffusa ha invece se-gnato la mancata estensione della funzione legi-slativa nell’ambito della Politica comune di si-curezza e difesa (l’ex PESD). A seguito dell’en-
trata in vigore del Trattato di Lisbona si evince inoltre un rinnovato equilibrio interistituzionale anche nel settore degli accordi internazionali firmati dall’UE. La Commissione ha ora infatti l’obbligo giuridico, prima riconosciuto solo nella prassi, di informare il PE sullo sviluppo e sulle conclusioni dei negoziati. Viene anche richiesta l’approvazione dell’as-semblea elettiva su tutti gli accordi stipulati su materie alle quali si applichi la procedura legi-slativa ordinaria. Il fine è ancora una volta mani-festo: ribadire come la volontà ultima espressa a livello internazionale dall’UE non sia altro che la somma delle volontà dei suoi cittadini. Sempre nel quadro dell’equilibrio istituzionale e, in par-‐ticolare, del rapporto fiduciario intercorrente tra PE e Commissione, una modifica cruciale è stata introdotta dal Trattato di Lisbona: il Presi-dente della Commissione viene infatti eletto dal Parlamento, su proposta del Consiglio, te-nendo conto dei risultati elettorali intervenuti. In precedenza il PE si limitava a esprimere un parere sulla designazione del Consiglio e l’obbligo dei governi a conformarsi a esso era di natura squisitamente politica. Dal 2009, invece, il Consiglio si vede costretto a proporre una nuova candidatura per espressa previsione nor-mativa. Date queste considerazioni, appare evidente la rilevanza del Trattato di Lisbona nel cammino di integrazione europea, soprattutto nel risana-mento delle lacune che per decenni hanno afflit-to la sua gestazione. Il PE, grazie al Trattato, si può ritenere finalmente in una fase di fisiologi-co esercizio della sua autorevolezza, dopo un lungo periodo di patologica contrazione. Il cam-mino non può dirsi concluso, ma il traguardo raggiunto segna senza dubbio un solido punto di partenza per l’avvio di una nuova fase integrati-‐va dei cittadini europei rappresentati nel Parla-mento.∎
L’Articolo 16 del NTUE stabilisce che il Parla-‐mento Europeo esercita “congiuntamente al Consiglio” le funzioni legislative e di bilancio.
IL TRATTATO DI LISBONA E LA NUOVA CENTRALITÀ DEL PARLAMENTO EUROPEO Tullia Penna
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VERSO LE ELEZIONI DEL 2014: PARLAMENTO E UNIONE EUROPEA AL CROCEVIA
Nonostante la crisi economica abbia rafforzato il metodo intergovernativo del Consiglio Europeo, l’assertività crescente del Parlamento Europeo su molte aree politiche e le elezioni europee del maggio 2014 forniscono all’istituzione parla-‐mentare una nuova occasione. L’indicazione da parte del Parlamento del prossi-‐mo Presidente della Commissione potrebbe riavvicinare i cittadini alle istituzioni europee. Il rischio è quello di un’eccessiva politicizzazione della Commissione.
L e elezioni previste per il 22-25 maggio 2014 avranno un peso determinante sulla futura evoluzione dell’istituzione parlamentare, sulla dialettica tra Parla-
mento, Consiglio e Commissione Europea, e sul futuro stesso dell’Unione Europea, stretta tra la sfiducia crescente di molti cittadini e un forte accentramento di poteri in materia di governan-ce fiscale, finanziaria ed economica, soprattutto per quanto riguarda la zona euro. L’appuntamento dell’anno prossimo cade infatti in un momento di grande difficoltà economica per l’Unione, alle prese con una crisi ineguale e protratta nel tempo, la quale ha a sua volta de-terminato uno sbilanciamento istituzionale che ha rafforzato il Consiglio Europeo nei con-fronti dei Paesi in difficoltà e delle altre istituzio-ni, in primis la Commissione, che ha abdicato al ruolo di motore dell’integrazione per un compi-‐to di esecutore delle decisioni adottate dai leader nazionali europei. La questione del defi-cit democratico dell’Unione ha pertanto as-sunto una rilevanza sempre più importante, ed è
in questo frangente che il Parlamento Europeo (PE) ha una chance di appropriarsi finalmente appieno del ruolo rilevante di codecisore demo-craticamente legittimato che il Trattato di Lisbo-na gli assegna. Se interpretiamo in questo modo le decisioni più eclatanti prese nei mesi scorsi dai membri del Parlamento sembra che, accanto al gioco di po-tere interistituzionale, si stia formando, gradual-mente e con numerose difficoltà, un vero dibatti-to politico sul futuro dell’Europa, animato pro-‐
prio dalla sua struttura più aperta e trasparente e incentrato su una serie di questioni concrete.
Tra di esse, ricordiamo sicuramente: il prolun-garsi dei negoziati con il Consiglio per l’adozione del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), sul quale tutti i gruppi politici hanno espresso un forte scontento riguardo al compromesso al ri-basso raggiunto dai Capi di Stato e di Governo nel febbraio di quest’anno; il rigetto della propo-‐sta della Commissione di ritirare numerose quo-te di emissione di CO2 dal mercato in modo da far salire il prezzo delle stesse (c.d. backloading, ritenuto necessario per rianimare uno strumen-to indebolito dal crollo dell’attività produttiva legato alla crisi) e il rifiuto, risalente all’anno scorso, della ratifica dell’Anti-Counterfeiting Tra-de Agreement (ACTA), un accordo commerciale plurilaterale volto a contrastare la contraffazio-ne e la pirateria informatica, al fine di tutelare copyright, proprietà intellettuale e brevetti su beni, servizi e attività legati alla rete, per il timo-re che potesse portare a maggiori possibilità di censura. Più di recente, possiamo citare sicuramente, no-nostante la fortissima opposizione di Londra, l’inserimento dei limiti ai bonus dei banchieri nel pacchetto “CRD/CRR IV”, che recepisce le norme dell’accordo di Basilea III sui requisiti di capitale per gli istituti finanziari, e ancora, sempre sullo stesso tema, il dibattito in corso sulla Tassa sulle Transazioni Finanziarie, dos-sier su cui il Parlamento, pur essendo solo con-sultato, sta influenzando la discussione di cui è stato uno degli ispiratori. Tuttavia, accanto ad
di Shannon Little
Dalla battaglia sul bilancio, alla politica am-bientale, dal rifiuto dell’ACTA e alla Tobin Tax: il Parlamento Europeo è protagonista .
Da oggi al 2014, il Parlamento Europeo ha la chance di appropriarsi del ruolo di codecisore che il Trattato di Lisbona gli ha assegnato.
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un evidente incremento di potere e di rilevanza di un’istituzione che un tempo era un semplice organo consultivo, nel quale sedevano politici di minore importanza rispetto ai deputati naziona-li, si è verificato uno dei tanti paradossi che ca-ratterizzano l’Unione Europea: un calo conti-nuo della partecipazione al voto fin dal 1979, al punto che nelle ultime elezioni nel 2009 han-no votato solamente il 43% degli aventi diritto.
Questo calo non sarebbe così preoccupante se non fosse accompagnato da due fenomeni con-comitanti: una generale apatia e disinteresse dei cittadini verso la competizione elettorale, considerata in tutti i Paesi di secondo piano ri-spetto alle elezioni politiche o anche a quelle locali, e la frammentazione della stessa in 28 competizioni nazionali, basate sul dibattito poli-tico interno e sulle dinamiche di partito ad esso collegate. Questi tre elementi impediscono al Parlamento
Europeo di svolgere il cruciale compito di col-mare il divario tra i singoli cittadini e l’UE, reso ancora più acuto dal forte accentramento delle politiche economiche e dalla drammaticità delle questioni dibattute nel contesto di una crisi che sembra aver ormai assunto un carattere struttu-rale e sistemico, mettendo in discussione gli as-setti economici, politici, culturali e sociali del progetto d’integrazione europea. Quando la fi-‐ducia nell’Unione raggiunge – secondo l’ultimo Eurobarometro – i livelli più bassi di sempre e la disillusione colpisce, per ragioni diametralmen-te opposte, sia i Paesi creditori e di robusta co-stituzione economica, sia i Paesi debitori e in crisi, solo una campagna elettorale coraggio-sa e ambiziosa, dibattuta su temi europei e tra avversari politici riconosciuti, potrà impedire che il voto del maggio 2014 risulti in un ingresso in massa di movimenti euroscettici, populisti e spesso xenofobi, che rischiano, secondo il leader dei Liberali Sir Graham Watson, di compromet-tere la governabilità stessa del Parlamento. Se i Socialisti e i Popolari non arrivassero, insie-me, al 62%, ossia la maggioranza richiesta per la codecisione, anche a causa dello scarso peso nu-
VERSO LE ELEZIONI DEL 2014: PARLAMENTO E UNIONE EUROPEA AL CROCEVIA Shannon Little
L’AULA DEL PARLAMENTO EUROPEO A STRASBURGO APERTA AI CITTADINI IN OCCASIONE DELLA FESTA DELL’EUROPA (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT)
Le elezioni europee hanno visto un continuo calo della partecipazione degli elettori e un generale disinteresse da parte dei cittadini.
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merico dei Liberali, l’alleanza informale che ha caratterizzato l’attuale legislatura potrebbe sfal-‐darsi, rischiando di portare alla paralisi dell’istituzione e dell’intero processo legisla-‐tivo europeo. In un Europa in fase di lenta tran-sizione verso un futuro di incerta e ineguale in-
tegrazione e in un contesto economico probabil-mente in graduale ripresa, un simile esito porte-rebbe all’ulteriore disillusione nei confronti di Bruxelles e a un inasprimento delle posizioni in campo nei dibattiti tra intergovernativi e federa-listi, tra Nord e Sud Europa, tra Paesi dell’euro e Paesi senza l’euro. L’unico strumento che è al momento sul tavolo per impedire che si realizzi un simile scenario è l’indicazione del candidato Presidente della Commissione Europea da parte dei diversi par-titi politici europei. Designazione informale, poi-ché spetta comunque al Consiglio nominare i membri della Commissione, ma comunque effi-cace per via della minaccia credibile di rifiutare qualsiasi candidato che non sia quello designato dal partito che ha ottenuto più voti alle elezioni. Pur interessante e probabilmente efficace nello stimolare l’attenzione del pubblico, questa per-‐sonalizzazione della contesa si presta però a ri-schi non irrilevanti, come fanno notare de Schoutheete e Micossi del CEPS, per via della politicizzazione della Commissione Europea che essa inevitabilmente comporta. Ovviamente,
già adesso la Commissione è un organo forte-mente politico, ma i suoi membri non rispondo-no comunque a logiche legate alla fazione politi-ca di appartenenza. Gli autori si chiedono se un Presidente eletto a maggioranza non perdereb-be quella terzietà tecnocratica, che rappresen-ta una garanzia di indipendenza di giudizio nel perseguire l’interesse europeo, soprattutto quando questo si concretizza in una supervisio-ne rigorosa delle politiche interne degli Stati membri, a seguito delle numerose innovazioni istituzionali attuate in risposta alla crisi del de-
bito sovrano. Un qualche tipo di rapporto fiduciario tra Com-missione e Parlamento è un passaggio inevitabi-le per democratizzare l’operato dell’UE ed è di fatto già previsto nel Trattato sull’Unione Euro-‐pea, anche se, come rilevano gli studiosi del CEPS, esso dovrebbe instaurarsi anche a livello di Consiglio Europeo, affinché la gestione della politica europea nelle sue forme più alte e nei suoi momenti chiave fosse davvero influenzata direttamente dai cittadini, e non dai governi da loro eletti. Per quanto riguarda le elezioni del 2014, l’auspicio è da un lato che esse portino in Parla-‐mento deputati preparati e consci del ruolo cru-ciale che andranno a giocare per il futuro del nostro continente, e dall’altro che esse prendano il centro della scena politica e stimolino un di-battito su questioni concrete. Tra le novità che caratterizzano la prossima tornata elettorale, vi è una riduzione dei parlamentari tedeschi da 99 a 96, accompagnata da un calo di un deputa-to a testa per altri undici Paesi, in modo da far posto ai nuovi deputati della Croazia e rispetta-re così il limite di 750 deputati previsto dal Trat-tato di Lisbona.
Non vi sarà alcuna riforma elettorale europe-a: le leggi nazionali definiranno le circoscrizioni e il sistema elettorale adottato. È una frammen-tazione giuridica che indebolisce la nozione del Parlamento quale rappresentante della polity, ossia la comunità politica europea. Per un siste-ma più razionale e unitario di ripartizione dei seggi – attualmente i Paesi più grandi sono pro-porzionalmente svantaggiati – sarà necessario attendere le elezioni del 2019, che sicuramente avranno luogo in un’Europa molto diversa da quella attuale. ∎
Le elezioni del 2014 potrebbero consegnare un PE ingovernabile, qualora popolari, socia-listi e liberali restassero sotto il 62%.
L’elezione diretta del Presidente della Com-‐missione aiuterebbe la democrazia in UE, ma comprometterebbe la terzietà tecnocratica .
Nessuna grande riforma: nel 2014 non si vo-terà ancora con una legge elettorale europea.
LA CAMERA BASSA IL PARLAMENTO EUROPEO TRA LISBONA E IL 2014 N. 3 - Giugno 2013
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IL PARLAMENTO EUROPEO E LA BATTAGLIA SUL QUADRO FINANZIARIO PLURIENNALE
Storicamente, la funzione di bilancio ha rappresentato per i Parlamenti nazionali il mezzo tramite il quale guadagnare centralità politica. Con il Trattato di Lisbo-na il Parlamento Europeo ha consolidato il proprio ruolo nell’approvazione dei budget annuali dell’UE e ottenuto il potere di codecisione sul Quadro Finanziario Pluriennale. Lo scontro con il Consiglio sul bilancio settennale 2014-2020 è diven-tata così l’occasione per affermarsi sempre più come il cuore politico dell’Unione.
N ella storia politica moderna la funzio-ne di controllo dei bilanci è stata una leva fondamentale per l’affermazione del ruolo politico e costituzionale dei
Parlamenti. La verifica delle spese dei governi, così come l’approvazione delle misure di tassa-‐zione e dell’emissione di debito per finanziare le attività dello Stato, sono sempre state, nella tra-dizione costituzionale occidentale, prerogative delle assemblee parlamentari. A fronte di que-sta tradizione giuridica, l’assetto istituzionale dell’Europa unita ha costituito per lungo tempo una significativa eccezione. Il Parlamento Euro-peo (PE) ha infatti ottenuto solo recentemente una vera centralità nell’ambito della funzione di bilancio. Negli anni Settanta, il passaggio dal finanzia-mento del bilancio della CEE attraverso risorse statali al sistema delle risorse proprie aveva privato i Parlamenti nazionali del controllo sulle entrate e sulle spese della Comunità. La necessi-tà di ricreare un controllo parlamentare sul bi-lancio comunitario ha portato nel corso del de-cennio all’assegnazione al PE, che sarebbe di-‐ventato direttamente elettivo, della competenza per l’adozione del bilancio annuale: in tal mo-do, il Parlamento ha ottenuto un potere di code-cisione in materia di spese non obbligatorie. Per quanto riguardava le spese obbligatorie, quelle derivanti direttamente da obblighi stabiliti dai Trattati e dagli atti normativi da essi derivati, il ruolo del PE restava invece ancillare rispetto a quello del Consiglio. Tale situazione normativa complessa e farragi-nosa è stata corretta nel corso degli anni, per essere infine riformata radicalmente nel 2009 con il Trattato di Lisbona. L’Art. 14 del Trattato sull’UE sancisce ora che il PE esercita, “congiuntamente al Consiglio, la funzione legi-‐
slativa e la funzione di bilancio”. Attraverso una procedura legislativa speciale, che pone sullo stesso piano Parlamento e Consiglio, riconoscen-do al primo una relativa primazia, è oggi supera-ta la divisione tra spese obbligatorie e non obbli-gatorie ed è riconosciuta al PE piena competen-za in ogni rubrica del bilancio dell’UE.
Il PE è stato inoltre pienamente coinvolto anche nella procedura di approvazione del Quadro Fi-nanziario Pluriennale (QFP) disegnata dall’Art. 312 del Trattato sul Funzionamento dell’UE. Con l’obiettivo di “assicurare l’ordinato andamento delle spese dell’Unione entro i limiti delle sue risorse proprie”, il QFP ha un’assoluta rilevanza nella vita dell’UE, traducendone in termini finan-‐ziari le priorità politiche. Esso fissa i limiti della spesa comunitaria per un periodo di almeno cin-que anni e i massimali annui di spesa per ogni rubrica di bilancio, imponendo così una discipli-na finanziaria a medio termine nella quale devo-no inserirsi i budget annuali. La procedura per l’approvazione del QFP preve-‐de che il Consiglio adotti all’unanimità un rego-‐lamento che determini il quadro finanziario e che questo regolamento venga approvato dalla maggioranza del PE. Data la rilevanza politica dell’argomento, è prassi che il Consiglio Euro-peo determini all’unanimità la bozza di QFP poi formalmente adottata dal Consiglio Affari Gene-rali. Il Trattato prevede che PE, Consiglio e Com-missione prendano ogni misura necessaria per facilitare l’adozione del quadro finanziario. Il nuovo contesto giuridico e una crisi economi-ca senza precedenti nel secondo dopoguerra
di Davide D’Urso
Dagli anni ’70 il Parlamento Europeo è diven-‐tato sempre più centrale per l’adozione del bilancio annuale. Oggi lo è anche per il QFP.
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hanno reso la procedura di adozione del QFP settennale 2014-2020 un’autentica battaglia campale giocata su più tavoli dalle tre istituzioni coinvolte: la Commissione, il Consiglio e il Parla-mento. La Commissione ha presentato nel 2011 una proposta di QFP non particolarmente ambi-ziosa nella cifre, ma rivelatasi comunque troppo esosa per molti Stati membri. Nelle intenzioni del Presidente José Manuel Barroso e del Com-missario al bilancio Janusz Lewandowski, il QFP 2014-2020 avrebbe dovuto rappresentare un “bilancio di crescita” che spostasse il peso del bilancio europeo dalle politiche di spesa tradi-zionali a quelle per l’innovazione e la competiti-‐
vità. La Commissione aveva proposto una spesa complessiva di 1033 miliardi di euro, pari all’1,08% del PNL complessivo dell’UE, un valore perfino minore dell’1,12% previsto dal QFP 2007-2014, e una redistribuzione dei massimali di spesa per favorire l’innovazione e lo svilup-‐po a scapito delle allocazioni alla politica di coe-
sione e a quella agricola, voci particolarmente care per i Paesi del Sud e dell’Est europeo. La difesa da parte di questi Stati dei fondi di coe-sione e degli aiuti diretti all’agricoltura e la spin-‐ta al contenimento del bilancio da parte dei
grandi contributori netti, Germania su tutti, alle-ati per l’occasione di un governo britannico mo-tivato a ridurre il bilancio di Bruxelles a fronte del dimagrimento dei budget nazionali, hanno finito per ridimensionare il piano della Commis-sione. L’accordo intergovernativo, raggiunto con grande fatica dal Consiglio Europeo dell’8 feb-‐braio 2013, ha modificato sensibilmente la pro-posta della Commissione, facendo scendere il computo totale di spesa fino a 960 miliardi di euro, segnando per la prima volta un arretra-mento del bilancio dell’UE. La distribuzione del-‐le risorse tra le rubriche ha visto una riduzione dei tagli proposti dalla Commissione all’agricol-tura e alla coesione, a scapito però degli investi-menti in sviluppo e innovazione.
LA CAMERA BASSA IL PARLAMENTO EUROPEO TRA LISBONA E IL 2014 N. 3 - Giugno 2013
MARZO 2013, STRASBURGO: IL PE RESPINGE A NETTA MAGGIORANZA LA PROPOSTA DI QFP DEL CONSIGLIO EUROPEO (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT)
La procedura di approvazione del QFP 2014-2020 è diventata una battaglia campale tra Parlamento, Commissione e Consiglio.
Il Consiglio Europeo dell’8 febbraio ha varato una bozza di QFP che per la prima volta ridu-ce il bilancio dell’UE, fino a 960 miliardi.
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Il PE, guidato dal suo Presidente Martin Schulz, ha assunto da questo momento in avanti un ruo-lo di assoluto protagonista nella contesa, riu-scendo a porsi di fronte all’opinione pubblica come difensore dell’interesse generale europeo, in contrapposizione rispetto alla logica intergo-vernativa e agli egoismi nazionali. Il Parlamento ha quindi cercato di far valere il proprio potere di veto per limitare i danni di un accordo lesivo delle capacità dell’UE di rispondere alle sfide dei prossimi sette anni. La posizione del PE nel ne-goziato è stata di opposizione alla riduzione del bilancio, sia per le conseguenze che questo comporterebbe per l’integrazione europea, sia per contrastare, almeno sul piano europeo, l’applicazione delle politiche rigoriste. Il PE ha infatti ripetutamente sottolineato la necessità di dotare l’UE degli strumenti necessari a realiz-zare i suoi obiettivi. All’indomani dell’accordo intergovernativo dell’8 febbraio, in un duro comunicato congiunto i leader dei quattro principali gruppi parlamen-tari - Joseph Daul (PPE), Hannes Swoboda (Socialisti e Democratici), Guy Verhofstadt (ALDE) e Daniel Cohn-Bendit (Verdi) - hanno
sottolineato l’impegno del PE per «promuovere la crescita e gli investimenti» e quindi per «contribuire alla ripresa economica». In tal sen-so, l’accordo raggiunto dai Ventisette «non raf-‐forza la competitività dell’economia europea, ma la indebolisce e non è nell’interesse dei cittadini europei». Rimproverando Herman Van Rompuy di non aver voluto negoziare preventivamente con il PE, i leader chiarivano che questo «non può accettare l’accordo raggiunto in Consi-‐glio Europeo così com’è», perché potrebbe «portare a un deficit strutturale» vietato dai Trattati. La fase inter-istituzionale del negoziato è tutt’ora in corso. Van Rompuy, sostenuto da Bar-‐roso, ritiene che l’accordo raggiunto al Consiglio Europeo sia il migliore possibile a fronte delle diverse visioni emerse tra gli Stati membri. Una bocciatura tout-court del regolamento o un in-tervento sulle cifre dell’accordo rimetterebbe in discussione il precario equilibrio raggiunto, portando l’UE allo stallo istituzionale. La stessa solidità dimostrata dal PE nelle setti-mane seguite al Consiglio Europeo è andata si-lenziosamente diminuendo, convincendo lo schieramento liberal-progressista a ricondurre il nocciolo dello scontro non tanto sulle cifre, ritenute da più parti intoccabili, quanto sull’implementazione dell’accordo. Ottenendo clausole di flessibilità, ritenute da Swoboda «essenziali», e chiedendo una revisione a breve del QFP, per Daul «in due o tre anni», il PE otter-rebbe la promessa di rivedere il regolamento in una fase politica nuova, successiva alle elezioni politiche tedesche del settembre 2013 e a quelle europee del 2014. Questo perché, ha ribadito
Daul, il PE «non accetterà l’austerità fino al 2020». La plenaria del PE dello scorso marzo ha boccia-to a larga maggioranza la proposta di QFP “nella sua forma attuale”. Schulz ha salutato il risultato battezzando quella data come «un grande giorno per la democrazia europea» e insistendo che il PE «vuole essere trattato come un partner se-rio». Alain Lamassoure, presidente della com-missione bilancio del PE, ha respinto al mittente le accuse di irresponsabilità piovute sul PE,
Dallo scontro sulle cifre alla richiesta di “clausole di flessibilità” nell’implementazione del bilancio. Ma per ora non basta ancora.
IL PARLAMENTO EUROPEO E LA BATTAGLIA SUL QUADRO FINANZIARIO PLURIENNALE Davide D’Urso
IL PRESIDENTE SCHULZ IN CONFERENZA STAMPA DOPO IL CONSIGLIO EUROPEO STRAORDINARIO DELL’8 FEBBRAIO 2013 (FOTO: COUNCIL OF THE EU).
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che si è limitato ad adempiere al proprio ruolo di co-decisore sul QFP. Sulla base della mozione del PE, il trilogo che unisce i negoziatori delle tre istituzioni ha inizia-to i lavori tra molte difficoltà. Il Commissario Lewandowski ha invitato nel maggio scorso ad «andare oltre la dimensione puramente inter-istituzionale del negoziato», pensando ai «milioni di beneficiari dei fondi europei che a-spettano un accordo». Nel 2006, il compromesso definitivo per il QFP attualmente in vigore fu raggiunto ad aprile. Quest’anno, a giugno, il tri-‐logo non ha ancora trovato un’intesa. La Commissione ha ragione a sottolineare l’urgenza di un accordo per il funzionamento delle politiche europee, ma il PE, il suo Presiden-te e i suoi leader, sanno bene che la battaglia per il QFP è una definitiva prova di maturità per un’istituzione che conta sempre di più nella vita dell’Unione. Ben più di un adempimento
amministrativo, il negoziato per il QFP è una battaglia politica che può portare alla definitiva presa di posizione del PE nel cuore istituzionale dell’UE, l’ultimo passo sulla strada di una centra-‐lità politica che le elezioni europee del 2014 dovrebbero completare. Facendo leva sul bilancio, a maggior ragione su quello pluriennale, il PE si è presentato all’opi-nione pubblica europea come un’istituzione im-‐portante e responsabile, decisiva in molti ambiti della vita economica e sociale dell’Europa. L’ulti-mo gradino per diventare la “camera bassa” dell’UE è la sanzione politica di quel legame fi-‐duciario con la Commissione che già i Trattati lasciano intravedere. I negoziati sul QFP saranno difficili e ci auguria-mo possano avere presto un lieto fine. Il nuovo ruolo politico del PE è invece una realtà con la quale i governi nazionali degli Stati membri do-vranno imparare a relazionarsi. ∎
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I PRESIDENTI JOSÉ MANUEL BARROSO E HERMAN VAN ROMPUY RIFERISCONO DI FRONTE ALLE COMMISSIONI DEL PE (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT)
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I GRUPPI POLITICI NEL PARLAMENTO EUROPEO: UNA VERA RAPPRESENTANZA EUROPEA?
I gruppi politici presenti nel Parlamento Europeo giocano un ruolo centrale per la legittimazione democratica dell’istituzione. Rappresentando le famiglie politiche europee, i gruppi si dividono sulle prospettive dell’integrazione europea e le scelte di politica economica. Dai grandi gruppi del Partito Popolare Europeo e di Socia-listi e Democratici, alle forze più esigue come quelle dei Verdi o dei Conservatori e Riformisti, l’efficacia del PE passa attraverso la loro azione di rappresentanza.
N elle intenzioni dei promotori dell’in-tegrazione europea, il Parlamento Europeo (PE), la camera bassa dell’U-nione Europea, dovrebbe giocare un
ruolo prioritario, in quanto costituisce l’unica istituzione dell’UE direttamente eletta dai citta-‐dini. Dopo l’adozione del Trattato di Lisbona sembra siano state poste le basi perché il PE possa effettivamente giocare questa importante funzione di legittimazione, superando così, almeno in parte, il problema del deficit demo-cratico che spesso anima le discussioni circa le prospettive future dell’Unione. A fronte di que-‐sta conclamata necessità di legittimità democra-tica, i gruppi politici che compongono il PE so-no chiamati dunque a rappresentare gli interessi dei cittadini europei e la composizione sociale dell’Europa, così come i partiti nazionali svolgo-‐no un ruolo di rappresentanza e determinazione della politica nazionale nei Parlamenti degli Sta-ti.
Il percorso dei gruppi politici sinora non è stato tuttavia lineare, come dimostrano le varie com-posizioni e denominazioni che essi hanno assun-to negli anni: un aspetto, questo, che evidenzia anche la difficoltà di portare nel PE un’effettiva cultura di rappresentanza, minando quel ten-tativo di legittimazione di cui il Parlamento do-vrebbe essere protagonista. Soprattutto dopo l’adozione del Trattato di Lisbona, che ha intro-‐dotto un’estensione delle materie sottoponibili a voto a maggioranza qualificata in Consiglio, appare sempre più necessaria un’azione politica attiva del PE, dato che molti cittadini potrebbero
non essere più rappresentati dai risultati nella “camera alta” dell’UE come ai tempi dell’unani-mità.
Un giudizio particolarmente incisivo sul tema è stato espresso poi dalla Corte Costituzionale tedesca, che, esprimendosi sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona alla luce della carta costi-tuzionale della Germania, ha perentoriamente sancito che “il Parlamento Europeo non costitui-‐sce un corpo che rappresenti un popolo sovra-no”. La ragione principale di questo tagliente giudi-zio da parte di una Corte sempre più coinvolta nel dibattito europeo (si pensi al pronunciamen-to del settembre 2012 sull’ESM o quello prossi-‐mo venturo circa le operazioni della BCE) è data dalla “mancanza di un sistema di governo po-litico”, che porti alla nascita di un esecutivo e-‐spressione della maggioranza presente in Parla-mento. Se questa difficoltà, che potrebbe essere superata con le prossime elezioni europee del 2014, deriva soprattutto dalla stessa struttura istituzionale dell’UE, certamente un ruolo più assertivo dei gruppi politici potrebbe essere di forte aiuto. Un ruolo che, va dato atto ai gruppi presenti oggi in Parlamento, stanno ricercando con maggiore convinzione, come evidenziato dalla ferma presa di posizione sul Quadro Fi-nanziario Pluriennale espressa negli scorsi mesi. Oggi, all’interno del PE, siedono sette gruppi politici, fondati sulla base dell’affiliazione politi-‐ca dei parlamentari e non sulla loro nazionalità.
di Luca Barana
Il Parlamento Europeo, unica istituzione elet-ta direttamente dai cittadini, ha un ruolo de-cisivo per rinforzare la legittimità dell’UE.
L’abbandono della regola dell’unanimità in Consiglio, ha reso la “camera bassa” più re-‐sponsabile della rappresentanza dei cittadini
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I gruppi devono avere un minimo di 25 membri e devono avere all’interno rappresentanti di al-‐meno un quarto degli Stati membri dell’UE. Ogni parlamentare può appartenere a un solo gruppo. I gruppi parlamentari si danno una pro-pria organizzazione interna in modo autonomo, prevedendo comunque un Presidente (chair), un Ufficio di presidenza (bureau) e un segre-tario. I gruppi politici si distinguono dai partiti politici europei, che costituiscono invece delle federa-zioni di partiti nazionali e che condividono un orientamento politico e definiscono un comune programma politico europeo. I gruppi politici presenti nel PE per molti versi costituiscono un’espressione dei partiti europei nella came-ra bassa, dato che possono essere costituiti dall’alleanza fra differenti forze politiche conti-‐nentali.
IL GRUPPO DEL PARTITO POPOLARE EURO-PEO (PPE) Il gruppo attualmente più consistente nel PE è quello del Partito Popolare Europeo (PPE). Guidato dall’europarlamentare francese dell’U-nione per un Movimento Popolare (UMP) Jo-seph Daul, il gruppo raccoglie per lo più i rap-‐presentanti dei movimenti politici cristiano-democratici europei: al suo interno spicca dun-que il ruolo della CDU-CSU tedesca, che conta ben 42 membri. Altri attori rilevanti sono i rap-presentanti italiani del Popolo della Libertà e dell’Unione di Centro, così come i francesi dell’UMP di Nicolas Sarkozy e i polacchi di Piat-taforma Civica del premier Donald Tusk. Il gruppo si esprime a favore di un aumento delle risorse a disposizione del bilancio dell’UE, qua-‐lora queste garantiscano un “valore aggiunto” europeo e possano sostenere il rifinanziamento di politiche come una Politica Agricola Comu-ne “forte” e “davvero europea” o la Politica Re-‐gionale, una risorsa per creare lavoro e competi-tività. Il gruppo del PPE sostiene poi un approfondi-mento della governance economica dell’UE, tra-‐mite un più esteso coordinamento delle politi-che economiche nazionali, e una maggiore rego-lamentazione del sistema finanziario. Allo stesso tempo, sostiene con forza la necessità di non aggravare le imprese europee di un’eccessiva e costosa regolamentazione, favorendone invece l’azione tramite un mercato europeo realmente integrato. In generale, il gruppo si configura co-me moderato e a favore dell’integrazione.
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UNO SCORCIO DELL’AULA DELLA PLENARIA DEL PARLAMENTO EUROPEO VISTA DAL SEGGIO DEL PRESIDENTE (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT).
JOSEPH DAUL, CAPOGRUPPO DEL PPE (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT).
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I CONSERVATORI E RIFORMISTI EUROPEI Nell’area di centro-destra insistono altri due gruppi. Il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei è costituito dall’ala più conservatrice del PPE, fuoriuscita in occasione delle elezioni del 2009. Esso si fonda per buona parte sulla presenza di rappresentanti del Partito Conser-vatore britannico e di Democrazia Civica, mo-vimento ceco di centro-destra. La presenza dei Tories è preponderante, con la conquista di 26 membri e della presidenza, affidata a Martin Callanan. L’azione del gruppo si ispira esplicita-‐mente a un’agenda “non federalista”, a tutela delle sovranità nazionali, distinguendosi dunque pesantemente dal gruppo del PPE: pur ribaden-do l’idea di un budget dal “valore aggiunto” eu-‐ropeo, il gruppo ne richiede infatti il congela-mento, in modo da riflettere il clima di austerità avvertito in molti Stati membri. Se dunque i due gruppi condividono alcuni principi economici (libera impresa, minore regolamentazione), sono discordi invece sul futuro dell’integrazione europea. GRUPPO DELL’EUROPA DELLA LIBERTÀ E DELLA DEMOCRAZIA Ancora più estrema la posizione degli euroscet-tici rappresentati dal Gruppo dell’Europa della Libertà e della Democrazia, in cui sono presenti, fra gli altri, la Lega Nord e lo United Kingdom Indipendence Party, il cui esponente più cele-‐bre è l’europarlamentare Nigel Farage, che rico-pre il ruolo di Presidente del gruppo assieme all’italiano Francesco Speroni. Questo raggrup-pamento persegue la cosiddetta “Europa dei po-‐poli”, fondata su una cooperazione fra Stati so-‐vrani, e rifiuta la burocratizzazione del-l’Europa e di ogni passaggio che possa portare alla nascita di un “super Stato” europeo. I valori e l’identità dei singoli popoli sono valori da ri-‐spettare. ALLEANZA PROGRESSISTA DEI SOCIALISTI E DEI DEMOCRATICI Sul lato opposto dello schieramento politico si collocano invece le forze di centro sinistra, do-minate dalla Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), la seconda forza politi-ca nel PE. Espressione del Partito del Sociali-smo Europeo, tale alleanza vede protagonisti i partiti socialisti di molti Stati membri, accomu-
nati a forze politiche più eterodosse come il Par-tito Democratico (PD) italiano e il Labour Party britannico. Il gruppo, presieduto dal po-lacco Hannes Swoboda, sostiene un’UE più de-‐mocratica in cui il PE abbia un maggior ruolo di controllo, anche oltre le sue prerogative attuali, già estese dal Trattato di Lisbona. Alcuni movi-menti al suo interno, come il PD, sono espressa-mente favorevoli alla nascita degli Stati Uniti d’Europa. Il gruppo è particolarmente concen-‐trato sulla dimensione sociale e dell’occu-pazione, offrendo un nuovo modello economi-co che superi le opzioni “dell’austerità e della recessione”. Il programma dei socialisti e dei democratici denuncia come queste scelte siano state adottate per lo più da una leadership europea e nazio-nale di centro-destra: il gruppo S&D propone invece un rilassamento dei tempi di rientro dei deficit pubblici e maggiore attenzione per le fa-sce di popolazione più vulnerabili. I VERDI/FREE EUROPEAN ALLIANCE Su posizioni simili dal punto di vista economico
I GRUPPI POLITICI NEL PARLAMENTO EUROPEO: UNA VERA RAPPRESENTANZA EUROPEA? Luca Barana
HANNES SWOBODA, CAPOGRUPPO DEI S&D (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT).
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si pone il gruppo dei Verdi/Free European Al-liance, che però affianca all’attenzione per i pro-‐blemi sociali una marcata predisposizione per le tematiche ambientali. Non potrebbe essere altrimenti, dato che il gruppo guidato dai co-presidenti Rebecca Harms e Daniel Cohn-Bendit è composto per lo più da europarlamen-tari Verdi, in particolare provenienti da Europa Ecologia in Francia e dai Verdi tedeschi. Non sono invece presenti rappresentanti italiani. Promotori nel 2009 di un New Deal Verde per l’Europa, gli europarlamentari di questo rag-‐gruppamento sostengono che le leggi del merca-to non dovrebbero mai sopravanzare i diritti sociali fondamentali dei cittadini europei, oppo-nendosi dunque allo strapotere dei mercati fi-nanziari. Rivoluzione verde e istituzioni euro-pee più democratiche sono le parole d’ordine. GRUPPO CONFEDERALE DELLA SINISTRA EU-ROPEA UNITA / SINISTRA VERDE NORDICA Anche il Gruppo Confederale della Sinistra Euro-pea Unita – Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL) pone grande attenzione ai temi ambientali e si oppone all’imposizione delle politiche di au-‐sterità in Europa, richiedendo maggiore solida-rietà e sostenibilità nel processo di integrazione europea. Il Presidente del gruppo è Lothar Bisky, rappresentante del partito tedesco Die Linke (La Sinistra). Altre forze di estrema sini-stra partecipanti alla Confederazione sono Syri-za in Grecia, alcuni movimenti di derivazione comunista in Francia e, significativamente, il Movimento del Popolo contro l’UE dalla Dani-marca. All’interno del gruppo non vi è comun-‐que una visione uniforme particolarmente nega-tiva del processo di integrazione, anche se il pro-gramma afferma il rifiuto di questa “Europa delle élites”. ALLEANZA DEI LIBERALI E DEI DEMOCRATI-CI PER L’EUROPA Volta infine a superare la tradizionale contrap-posizione fra destra e sinistra, che si ripropone anche nel PE, è l’azione dell’Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa (ALDE), che racco-glie forze come i Liberali britannici, la FDP te-desca, il Partito Nazionale Liberale dalla Ro-mania e gli europarlamentari afferenti all’ex Margherita dall’Italia. Guidati dall’ex premier
belga Guy Verhofstadt, i liberali europei si pon-gono a difesa delle libertà civili e per una rego-lamentazione più leggera nel mercato interno delle merci, considerando invece che il settore finanziario, alla fonte della crisi attuale, è stato a lungo deregolamentato. Il gruppo ALDE pro-muove inoltre un bilancio dell’UE più forte e finanziato possibilmente con risorse proprie, senza dover dipendere costantemente dagli ac-cordi intergovernativi fra gli Stati membri. Favo-revoli a un approfondimento dell’integrazio-ne europea, i liberali chiedono una governance economica più coordinata, con al centro il ruolo della Commissione Europea.
Questo quadro delle forze politiche presenti oggi nel PE evidenzia quali siano le opportunità o-dierne per un dibattito politico realmente eu-ropeo, in cui le diverse famiglie politiche si con-frontino apertamente e sotto l’occhio più attento di media nazionali e internazionali. Portare alla visione del pubblico europeo questo confronto costituirebbe infatti un primo passo per una maggiore legittimità del PE e, di riflesso, dell’Unione. Prima delle riforme istituzionali, vi è bisogno innanzitutto di un dibattito politico europeo trasparente, senza il quale nessun nuo-vo assetto istituzionale potrà essere realmente legittimo. ∎
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GUY VERHOFSTADT, LEADER DELL’ALDE (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT).
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UNO SPETTRO SI AGGIRA PER L’EUROPA. L’EUROSCETTICISMO DENTRO E FUORI IL PE
La crisi economica ha risvegliato in molti Paesi europei i sentimenti euroscettici. Molti movimenti politici nazionali di diversa provenienza ideologica utilizzano oggi l’euroscetticismo per opporsi a un’integrazione europea ritenuta iniqua o per contrastare forze politiche più affermate e moderate a livello nazionale. Con le elezioni europee del maggio 2014, tali pulsioni potrebbero trovare ampia rap-presentanza nel Parlamento Europeo, rendendone difficile la governabilità.
A sinistra e a destra, in Grecia come in Germania, nelle piazze, ma anche nelle aule del Parlamento Europeo, nel si-lenzio di un'urna elettorale e tra le
spiagge affollate di bagnanti in una calda dome-nica elettorale: l'euroscetticismo si è diffuso in tutta Europa. Il rischio, in vista delle elezioni europee del 2014, è doppio: eleggere il Parla-mento Europeo meno legittimato e al tempo stesso più euroscettico della sua storia.
Nella legislatura in corso, il gruppo euroscettico Europa della Libertà e della Democrazia (EFD), si è dimostrato poco coeso oltre che poco numeroso, quindi scarsamente in grado di con-dizionare le attività e di creare un'eco mediatica solo con interventi “pittoreschi” del leader, l'in-‐glese Nigel Farage, leader dello United Kin-gdom Indipendence Party (UKIP), o del leghi-sta Mario Borghezio recentemente espulso. Ap-pare tuttavia difficile ipotizzare cosa accadrebbe nella prossima legislatura se il gruppo dovesse essere ben più numeroso dei 31 membri attuali. A far suonare il campanello d’allarme in vista delle elezioni del prossimo maggio, sono il dato sull’affluenza registrato in occasione delle prime elezioni europee in Croazia svoltesi ad aprile – solo il 20,7% degli aventi diritto si è recato alle urne – e la mole significativa di consensi raccolta dall'UKIP in occasione delle ultime elezioni am-ministrative inglesi, dove in realtà si votava in soli 34 comuni e nell'isola gallese di Anglesey. Questi tasselli vanno ad incastonarsi in un mo-saico già caratterizzato da un astensionismo dif-fuso – alle elezioni europee del 2009 aveva vota-
to solo il 43% degli aventi diritto - e dal recen-te boom di consensi di molti tra i partiti portato-ri di idee euroscettiche, come il Front National in Francia, il Movimento Cinque Stelle (M5S) in Italia, Alba Dorata in Grecia e i Veri Finlandesi in Finlandia. Ovvio che, anche a Bruxelles, ci si interroghi sul-le cause: eccessiva attenzione al rigore, rigidi parametri economici, disoccupazione giovanile, conseguenze delle politiche sulla concorrenza. Si tratta di cause politico-sociali a cui si aggiunge anche la disinformazione dei cittadini, come e-merge da un sondaggio dell'Eurobatrometro su mandato della Commissione: molti europei non votano perché non hanno chiaro il processo di decision-making e il ruolo del Parlamento – unica istituzione elettiva - e neanche i program-mi dei gruppi europei e l'affiliazione a questi dei partiti nazionali. Fin qui l'analisi euro-centrica delle cause.
In realtà, le radici dell'euroscetticismo affonda-no anche in fenomeni politici più generali e in forte crescita, come solitamente avviene nei pe-riodi di crisi: l'antipolitica, il nazionalismo e il populismo. I dati sull'affluenza registrati in occa-sione delle elezioni politiche greche (2012) e italiane (2013) dimostrano che l'astensionismo non è circoscritto alle sole elezioni europee. Il ruolo giocato dal populismo, dall'antipolitica e dal ritorno ai nazionalismi nella crescita dell'euroscetticismo è ancora più evidente se si analizza la parabola dei principali movimenti che, in un modo o nell'altro, annoverano posizio-
di Mauro Loi
Le radici dell’euroscetticismo affondano in tematiche europee, ma anche in fenomeni di antipolitica e populismo tipici delle crisi.
Le elezioni europee del maggio 2014 rischia-no di dar vita al Parlamento Europeo meno legittimato e più euroscettico della storia.
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ni euroscettiche. Questi movimenti possono po-sizionarsi: ∎ all'estrema sinistra, come Syriza (Grecia) e
Parti de Gauche (Francia); ∎ all'estrema destra, come Alba Dorata
(Grecia), i Veri Finlandesi (che però nascono dal centro conservatore e agrario), Jobbik (Ungheria), Bzo (Austria), Partito per la Li-bertà (Paesi Bassi);
∎ al centro-destra, come Alternativa per la Germania (AFD), Team Stronach (Austria), UKIP (Regno Unito), Fidesz (Ungheria);
∎ tra i movimenti di protesta, come il M5S (Italia) e gli Indignados (Spagna), che finora non hanno espresso candidature.
Tra tutti (circa 76 movimenti in tutta l'UE) però, gli unici che fanno dell'euroscetticismo il loro cavallo di battaglia, oltre all'UKIP in Gran Breta-gna, sono i movimenti di estrema sinistra, che nella loro ottica di lotta alla globalizzazione ve-dono l'UE come un’organizzazione voluta e di-‐retta da tecnocrati liberisti al fine di erodere i sistemi sociali nazionali. Forte in questi movi-menti è la retorica che dipinge l'UE come serva della finanza e del capitalismo, creata per perpe-trare lo sfruttamento delle masse in nome del profitto di pochi. Tale avversione per l'UE viene
spesso abbinata a quella verso l'immigrazione, non verso gli immigrati, voluta dalle élite per ricattare i lavoratori mettendoli in concorrenza tra loro. E forte è anche il richiamo al deficit de-mocratico, un problema peraltro sollevato an-che da forze politiche non-euroscettiche, e a l rischio legato all’eccessivo ampliarsi delle com-‐petenze dell'UE che sfuggono al controllo dei cittadini. Per gli altri movimenti del panorama euroscetti-co, invece, l'opposizione all'UE, più che un fine, è uno strumento per comunicare agli elettori la propria differenza rispetto alle forze politi-che mainstream, quelle che si alternano al gover-no - solitamente europeiste, con la probabile eccezione del solo Fidesz di Viktor Orban, in Ungheria - e raccogliere quindi i consensi degli scontenti. Si tratta infatti di movimenti anti-establishment, anti-immigrazione e dalle tendenze nazionaliste e populiste. Il metodo utilizzato è quello classico dei populismi: delegittimare le istituzioni rap-presentative attraverso un richiamo ai valori e ai simboli della comunità dei cittadini. In altre parole, si punta a semplificare la scena poli-tica, facendola diventare una lotta a due tra il “noi”, la comunità dei cittadini (la nazione, i suoi
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NIGEL FARAGE, LEADER DEL GRUPPO EUROSCETTICO, TIENE UN DISCORSO ALLA PLENARIA DEL PARLAMENTO EUROPEO (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT)
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simboli, la bandiera ecc...) e un “altro-da-noi”, il nemico. Storicamente l'altro-da-noi era un Pae-se estero verso cui i partiti al governo si dimo-stravano succubi, deboli, mentre oggi, non esi-stendo il rischio di guerre europee, la retorica populista individua come nemico l'UE, dipinta alla stregua di una potenza esterna che vuole limitare la sovranità dei cittadini per perpetrar-ne lo sfruttamento, in nome della finanza globa-le, secondo alcuni dei movimenti, di una casta di privilegiati o della Germania, secondo altri. Perché proprio l'UE? Il motivo è semplice: non essendo ancora riuscite, per vari motivi, a creare una forte identità europea (troppo forti le iden-tità nazionali, coi loro simboli, le loro lingue, le loro storie), le istituzioni comunitarie non possono permettersi di imporre sacrifici in nome del bene comune dei cittadini europei, di un “noi”. E non potendo essere il “noi”, l'UE finisce inevitabilmente per diventare parte dell'altro-da-noi, della minaccia. Frasi come “ce lo chiede l''Europa” con cui le forze politiche mainstream hanno spesso presentato misure e riforme scomode, hanno poi fornito loro una fa-cile sponda, rendendo l'UE invisa alle masse. Uno degli esempi più classici dell'uso di questa
retorica sono i Veri Finlandesi (19,05% e terzo partito alle ultime elezioni), che hanno adottato posizioni euroscettiche per accentuare la pro-pria differenza dai partiti di destra e sinistra, entrambi europeisti, sfruttando la dicotomia cit-tà-campagna. In questo gioco elettorale, i Veri rappresentano i paladini delle popolazioni rurali e si oppongono ai governi “delle città”, asserviti all'Europa e ai limiti imposti dalla Politica Agri-cola Comune. Un percorso a tratti simile a quello seguito anni fa dalla Lega Nord. Altro esempio è quello di Alba Dorata in Grecia (6,92 % nel 2012), schierata più che altro su po-‐sizioni anti-immigrati, che ha abbracciato aper-tamente l'euroscetticismo solo in occasione del-la disputa sull'applicazione delle severe misure di salvataggio imposte dalla troika: i partiti al governo sono dunque servi di fronte alle draco-niane misure imposte da UE e FMI, mentre Alba Dorata mira a “proteggere i cittadini tartassa-ti”, raccogliendo i consensi degli scontenti.
Una parabola che ha qualche analogia con quella del Front National – che ha però una maggior tradizione - perennemente schierato su posizio-ni anti-immigrazione e al limite della xenofobia, ma che di recente ha assunto apertamente posi-zioni euroscettiche, ergendosi a garante dell'oc-cupazione e della crescita minacciate dall'ecces-sivo rigore imposto dall'UE e paventando addi-rittura l'ipotesi di un referendum sull'abbando-no della moneta unica. Ancora più ambigua la posizione del M5S in Italia, legato all'umoralità del suo leader Beppe Grillo, che dopo essersi dichiarato europeista e aver sostenuto la neces-sità di “cambiare l'UE per rispettarne il proget-‐to”, propone ora un referendum abrogativo sulla permanenza dell’Italia nell’eurozona. Un discorso a parte lo meritano poi i neonati Alternativa per la Germania (AFD) e il Team Stronach, che non si oppongono all'intero pro-getto UE, ma alla sola moneta unica, auspicando uno il ritorno al marco, l'altro un “euro del Nord e uno del Sud” come soluzione alla crisi dell'eurozona. Una posizione ideologicamente simile a quella del movimento Libertas nato po-chi anni fa contro la Costituzione Europea, ma non contro l'intero progetto dell'Unione. Interes-
UNO SPETTRO SI AGGIRA PER L’EUROPA. L’EUROSCETTICISMO DENTRO E FUORI IL PE Mauro Loi
MANIFESTO ELETTORALE DEL FRONT NATIONAL PER LE EUROPEE DEL 2009
L’euroscetticismo si nutre anche della man-‐canza di una vera identità europea. Per molti, l’Europa è diventata o resta “altra-da-noi”.
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santi saranno i risultati di AFD nelle elezioni parlamentari tedesche di settembre. I sondaggi lo danno per ora al 5%. Note le cause, si potrebbe parlare dei correttivi. La Commissione Europea ha deciso di portare avanti con la rete televisiva MTV – molto seguito dai giovani – un programma di informazione sulle politiche dell'UE e sul decision making. Al-trettanto importante potrebbe essere un impe-gno dei partiti a spiegare, durante la campagna elettorale, la loro affiliazione alle federazioni europee, i programmi di queste ultime e a di-chiarare con anticipo il nome del proprio candi-
dato alla presidenza della Commissione. L'e-lezione diretta di quest'ultimo – per la prima volta - potrebbe essere da ulteriore sprone per convincere almeno parte degli euro-indifferenti a tornare alle urne. Se si vuol diminuire il numero degli euro-oppositori invece, i rimedi sembrano essere solo due: la buona politica (a tutti i livelli) e il ritor-no alla crescita economica. Solo questi cam-biamenti potranno riportare l'euroscetticismo al ruolo che merita di avere: un fenomeno margi-nale.∎
LA CAMERA BASSA IL PARLAMENTO EUROPEO TRA LISBONA E IL 2014 N. 3 - Giugno 2013
Stato membro Affluenza elezioni del PE 2009 (1)
Affluenza ultime elezioni politiche (2)
% Euro-indifferenti (2) -(1)
Austria 45,90% 71,00% (2012) 25,10%
Belgio 90,39% 89,20% (2010) 0,00%
Bulgaria 38,99% 51,33% (2013) 12,34%
Cipro 59,4% 78,70% (2011) 19,30%
Repubblica Ceca 28,22% 62,60% (2010) 34,38%
Danimarca 59,54% 87,70% (2011) 28,16%
Estonia 43,9% 63,50% (2011) 19,60%
Finlandia 40,3% 70,50% (2011) 30,20%
Francia 40,63% 55,49% (2012) 14,86%
Germania 43,3% 70,80% (2009) 27,50%
Grecia 52,61% 62,47% (2012) 9,86%
Irlanda 58,64% 69,19% (2011) 10,55%
Italia 65,05% 75,19% (2013) 10,14%
Lettonia 53,70% 60,50% (2011) 6,80%
Lituania 20,98% 35,91% (2012) 14,93%
Lussemburgo 90,75% 89,15% (2009) 0,00%
Malta 78,79% 93,00% (2013) 14,21%
Paesi Bassi 36,75% 74,6% (2012) 37,85%
Polonia 24,53% 48,90% (2011) 24,47%
Portogallo 36,78% 58,07% (2011) 21,29%
Regno Unito 34,7% 65,10% (2010) 30,40%
Romania 27,67% 41,72% (2012) 14,05%
Slovacchia 19,64% 59,11% (2012) 39,47%
Slovenia 28,33% 65,60% (2011) 37,27%
Spagna 44,90% 71,69% (2011) 26,79%
Svezia 45,53% 84,60% (2010) 39,07%
Ungheria 36,31% 64,17% (2010) 27,86%
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MARTIN SCHULZ: IL PRESIDENTE “SCOMODO” CHE HA CAMBIATO IL PARLAMENTO EUROPEO
Presidente del Parlamento Europeo dal gennaio 2012, Martin Schulz sarà ricor-dato come uno dei Presidenti più importanti dell’unica istituzione europea eletta dai cittadini. Il suo attivismo, l’opposizione al metodo intergovernativo e alla logi-‐ca dei “congressi di Vienna”, ma soprattutto la difesa dei valori e del sogno euro-‐peo, ne hanno fatto un assoluto protagonista della scena politica europea. Il profi-lo di un politico carismatico che non concluderà nel 2014 la sua carriera nell’UE.
L 'elezione a Presidente del Parlamento Europeo (PE) nel 2012 è stata una gran-de conquista, ma non significherà la conclusione dell’esperienza in politica
di Martin Schulz. Durante questo anno e mezzo, il Presidente ha infatti dimostrato di avere il ca-risma, il polso, la competenza e l'umiltà per pro-seguire il suo cammino all'interno delle istitu-zioni europee. La carriera politica di Martin Schulz è iniziata fin da giovanissimo. A diciannove anni si iscrisse al Partito Social-Democratico tedesco e già a 31 anni era il più giovane Ministro-Presidente del
suo Land, la regione del Nord Reno-Westfalia. Nel 1994 la svolta europea: Schulz divenne membro del PE, sedendo fra i deputati del Parti-to del Socialismo Europeo (PSE), partito di cui divenne presidente nel 2004.
Il 17 gennaio 2012 Martin Schulz è stato eletto Presidente del Parlamento Europeo con 387 voti su 670, battendo due deputati inglesi: Nirj Deva (che ottenne 142 voti), del Gruppo Europe-o dei Conservatori e Riformisti, e Diana Wallis (141 voti), indipendente. La sua candidatura era frutto di un accordo tra i due maggiori partiti dell'emiciclo, il PSE e il Partito Popolare Europe-o, che avevano stabilito di spartirsi le presidenze del periodo 2009-2014. Così, mentre nel turno precedente (2009-2012) era stato eletto Jerzy Buzek, deputato polacco del centro-destra, ora toccava a Schulz, deputato tedesco del centro-sinistra. Questo patto tra i due partiti non era gradito alle altre forze politiche, che arrivarono a parlare di tradimento della democraticità dell'istituto parlamentare. Schulz si è insediato così tra le polemiche, ottenendo un risultato mo-desto se comparato a quello del Presidente u-scente, che nel 2009 aveva ricevuto voti da re-cord, ben 555 su 644, il migliore risultato dalle prime elezioni del 1979. Nonostante il suo risul-tato elettorale si allontanasse di gran lunga dall'unanimità, Schulz nel suo discorso di inse-diamento non mancò di affermare che sarebbe stato il Presidente di tutti i parlamentari e che si sarebbe adoperato per difendere i loro diritti. È proprio dai discorsi di Schulz che prenderà
di Valentina Ferrara
Europarlamentare dal 1994, presidente del PSE dieci anni dopo, Schulz è Presidente del Parlamento Europeo dal gennaio 2012.
17 GENNAIO 2012: MARTIN SCHULZ ELETTO PRESIDENTE DEL PE (FOTO: E.P.)
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avvio questo approfondimento, che non vuole essere né una biografia, né una valutazione della sua presidenza: manca ancora, infatti, quella do-vuta distanza dagli eventi che servirebbe per dare di essa un giudizio sereno. Quello che a questo punto ci è consentito è ricavare un profi-lo del Presidente Schulz partendo innanzitutto dai suoi discorsi: chi decidesse di andare a ria-scoltare o rileggere le parole dette in questo an-no e mezzo, si accorgerebbe di concetti chiave che si ripetono da sempre, che vanno oltre la semplice retorica e che anzi confermano il pen-siero di Schulz a proposito dell'Unione Europea e di questo particolare momento storico. Il primo punto chiave dei discorsi di Schulz è l'attenzione alla cittadinanza europea, non so-lo perché il PE è eletto direttamente dai cittadini europei, ma anche perché l'intero progetto d’integrazione europea ha ragione di esistere solo se riesce a rispondere alle esigenze della sua popolazione. Dal secondo dopoguerra in poi, l’Europa unita si era dimostrata vincente in quanto aveva garantito un miglioramento dello stile di vita dei suoi cittadini, generazione dopo generazione. Oggi, riconosce Schulz, questo pro-cesso si è interrotto, minacciando la sopravvi-venza stessa dell’UE. Per questo motivo vi è più
che mai la necessità di dare risposte immedia-te e concrete ai cittadini, senza aspettare il rin-novo dei Trattati o di superare il cavillo burocra-tico del momento, smettendo di attuare una po-litica piegata ai diktat dei mercati finanziari. «Dobbiamo renderci conto che la gente in Europa si interessa poco di dibattiti istituzionali», disse Schulz nel suo discorso di inaugurazione alla presidenza del PE il 17 gennaio dell’anno scorso. «Li preoccupa molto di più il futuro dei loro figli, il lavoro, la pensione e la giustizia sociale. Ai cit-tadini interessa la garanzia di generi alimentari sani e di un ambiente pulito: faremmo meglio ad ascoltarli». Va da sé che per Schulz bisogna andare oltre le politiche di austerità, le quali, se attuate da sole, non fanno che alimentare l'idea che l’UE obbedisca alle banche o alle agenzie di rating americane. Per quanto il rispetto del vincolo di bilancio sia necessario, per rispondere alle esi-genze dei cittadini è necessario pensare alla cre-scita e Schulz ha così proposto nel corso del tempo di avviare un programma di stimolo per l'economia del Sud Europa e un sistema di mi-crocredito per le imprese. Inoltre, ha appoggiato le misure volte a regolamentare i mercati finan-ziari, come la tassa sulle transazioni finanziarie.
LA CAMERA BASSA IL PARLAMENTO EUROPEO TRA LISBONA E IL 2014 N. 3 - Giugno 2013
STRASBURGO, MARZO 2013: MARTIN SCHULZ PRESIEDE LA SEDUTA PLENARIA DEL PARLAMENTO EUROPEO (FOTO: EUROPEAN PARLIAMENT)
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Il secondo punto chiave nei discorsi di Schulz è la difesa della democraticità dell’UE, attraverso cui passa la tutela stessa della cittadinanza euro-pea. Più volte egli ha manifestato il suo sconten-to verso il metodo intergovernativo e in gene-rale il modo di lavorare all'interno del Consiglio: summit ravvicinati e poco trasparenti ricordano, secondo il Presidente, il metodo operativo del Congresso di Vienna, che proprio l’UE si era riproposta di superare attraverso la creazione del metodo comunitario. La logica nazionalista, nonostante nell'Europa interdipendente di oggi sia anacronistica, è comunque portata avanti dai Capi di Governo, i quali dipingono spesso l'Unio-ne come freno al loro sviluppo nazionale, dimen-ticando che il progetto europeo va al di là del minimo comune denominatore e si basa sulla condivisione tanto delle vittorie, quanto delle sconfitte tra tutti gli Stati che ne fanno parte. «Eppure» ha detto Schulz a Berlino il 9 novem-bre 2012, «taluni Capi di Governo continuano a negare questo quadro di riferimento europeo che già esiste. Essi preferiscono restare avvinghiati alla finzione della sovranità nazionale. Alle sceneggiate dei vertici di Bruxelles, in cui si difen-dono gli interessi nazionali con le unghie e con i denti per poi vendere i risultati come una vittoria
all'opinione pubblica di casa. A tal fine è nel pro-prio stretto interesse nazionale che l'Europa fun-zioni. Ulrich Beck ha formulato il paradosso della rinuncia alla sovranità che si traduce in un gua-dagno di sovranità: l'europeizzazione quale gioco a somma positiva in cui, contrariamente al gioco a somma zero, non succede più che uno debba perdere perché l'altro guadagni. La logica del gioco a somma positiva è piuttosto: o si vince tutti o si perde tutti. Eppure alcuni Capi di Gover-no giocano ancora il gioco a somma zero nel "congresso di Vienna" dei nostri tempi, nel palaz-zo del Consiglio a Bruxelles». Secondo Schulz, dunque, il concetto di Europa a più velocità, che spesso viene riproposto da una parte o dall'altra, non è semplicemente ac-cettabile perché tradisce l'anima stessa dell'UE. Più volte egli ha ricordato come l'euro non sia la moneta di alcuni, ma la moneta dell'intera Unio-ne Europea e ha avanzato l'ipotesi di creare gli eurobond o, ancora, si è ribellato duramente alla riduzione del bilancio dell'UE.
Terza anima dei discorsi di Schulz sono i valori fondanti dell'Unione. Si potrebbe dire che ogni scusa è buona per il Presidente del PE, per ricor-dare i principi comuni su cui si fonda l'UE, orga-nizzazione nata a ridosso di due tremende guer-re per garantire la pace, la democrazia e lo Stato di diritto fra i suoi Stati membri e, anzi, per e-sportare il suo modello, non solo permettendo l'adesione agli altri Stati europei, ma anche pre-sentandosi come esempio per Stati e popolazio-ni lontani, non solo geograficamente. Schulz ha sempre guardato con preoccupazione alla cre-scita di movimenti xenofobi, razzisti e fortemen-te euroscettici, poiché li ritiene un autentico se-gnale della perdita di terreno dei valori europei in questo contesto di crisi. E Schulz non ha nem-meno esitato ad esprimere la sua opposizione agli atteggiamenti anti-democratici di taluni go-verni dell'Unione Europea, come quello dell'un-gherese Viktor Orban. Fin dal suo insediamento Schulz ha confermato il suo impegno per agire per rinnovare l'entusiasmo per l’UE e dunque ristabilire una coscienza europea più forte. È parere di chi scrive che uno dei momenti fino-ra più alti della presidenza di Martin Schulz, sia
MARTIN SCHULZ: IL PRESIDENTE “SCOMODO” CHE HA CAMBIATO IL PARLAMENTO EUROPEO Valentina Ferrara
Oppositore della logica dei congressi di Vien-na e dell’Europa “a più velocità”, Schulz ha difeso l’unità dell’UE e il metodo comunitario.
SCHULZ IN CONFERENZA STAMPA AL CONSIGLIO EUROPEO (FOTO: EU. PARL.)
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stato proprio il conferimento del premio Nobel per la pace all'Unione Europea avvenuto ad Oslo lo scorso dicembre. A testimonianza di ciò, oltre ai discorsi vi sono le immagini che ritrag-gono un Presidente sorridente e commosso mentre mostra la medaglia ai fotografi. Il Nobel ha fornito a Schulz l'occasione per ribadire il suo orgoglio per il progetto europeo, per sottoli-neare il ruolo positivo che l’UE ha avuto, ha e avrà nelle nostre vite e per lanciare anche un segnale d'allarme affinché non si lasci svanire ciò che ci si è conquistati fino ad oggi. Tra le poche certezze che oggi si hanno in Euro-pa, certamente vi è quella che Schulz si è trovato a rivestire la carica di Presidente del PE in un momento assai turbolento, per la già citata crisi finanziaria, economica e politica che ha in-vestito l’UE. Possiamo essere tuttavia rincuorati dal fatto che alla guida dell'istituzione parla-mentare vi sia stato un uomo carismatico, che è stato in grado di farsi difensore della cittadinan-za europea, garante della democraticità e amba-sciatore dei valori europei. Se ci si guarda attorno, infatti, sono mancate in questi anni personalità capaci di dare stimolo all'Unione Europea in termini non solo di cresci-ta, ma anche di ideali, come sono stati in grado di fare i padri fondatori in momenti ben più duri. Non ci spinge ad associare il Presidente Schulz a
nessuno dei padri fondatori, ma certamente è possibile sostenere che, fra i Presidenti del PE, è stato indubbiamente quello che più gli si è avvi-cinato. Innanzitutto perché è stato capace di da-re all'Unione uno sguardo a lungo termine, mentre molti suoi contemporanei si sono soffer-mati sulle scadenze elettorali. Schulz si è rivelato una personalità "scomoda", come, anche se per motivi diversi, lo sono altri suoi conterranei a partire dal Cancelliere federa-le tedesco Angela Merkel. Una personalità sco-‐moda soprattutto per coloro che faticano a cre-dere nel progetto europeo, che vorrebbero un Parlamento Europeo appiattito sugli interessi nazionali o di coloro che vorrebbero un’Europa a più velocità. Nel suo discorso inaugurale, Schulz aveva detto: «Non ho nessuna intenzione di essere un Presi-dente accomodante. Sarò invece un Presidente che esigerà dall'esecutivo, se necessario, il rispet-to nei confronti del Parlamento ove siano minac-ciati gli interessi dei cittadini. Un Presidente che rappresenta deputati forti, che si impegna per ciò che sta a cuore ai cittadini! Un Presidente che fa-rà tutto il possibile per riconquistare la fiducia che i cittadini hanno perso nel processo di unifica-zione dell'Europa e per riaccendere l'entusia-smo nei confronti dell'Europa». Ad oggi, non si è smentito. ∎
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OSLO, 2012: HERMAN VAN ROMPUY, MANUEL BARROSO E MARTIN SCHULZ RICEVONO PER L’UE IL PREMIO NOBEL PER LA PACE (FOTO: COUNCIL OF THE EU)
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Antonio Scarazzini È Direttore di Europae e membro del comitato direttivo dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi di ricerca sul programma Joint Strike Fighter. Ha partecipato al corso di formazione per analisti di Equilibri.net. Specializzato in difesa e in politiche monetarie e fiscali.
Tullia Penna È Responsabile legale di Europae e Presidente dell’Associazione Culturale OSARE Eu-‐ropa. Laureanda in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino, è studen-tessa e rappresentante degli studenti della Scuola di Studi Superiori di Torino. Specializzata in diritto internazionale, dell'Unione Europea e delle organizzazioni in-ternazionali, collabora con l'Osservatorio dell'Asia Orientale.
Shannon Little È Responsabile editoriale e membro del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magistrale in Studi Internazionali all'Università di Bologna, sede di Forlì, è stato tirocinante alla Rappresentanza d'Italia presso l'Unione Europea e attualmente lavora a Bruxelles. Specializzato in economia, commercio e relazioni internazionali.
Davide D’Urso È Caporedattore e Presidente del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magi-strale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Tori-‐no, ha conseguito il diploma di alta qualificazione presso la Scuola di Studi Superiori di Torino. È stato tirocinante all’Ufficio Stampa della Rappresentanza d’Italia presso l’Unione Europea. Specializzato in politica, istituzioni e relazioni esterne dell’UE.
Luca Barana È Vice-Direttore e Vice-Presidente del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi sulla politica di cooperazione allo sviluppo e le relazioni interre-gionali dell’Unione Europea in Africa. Specializzato in politica, azione esterna e coo-‐perazione allo sviluppo dell’UE.
Mauro Loi È redattore di Europae e membro del comitato direttivo dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato magistrale in Scienze Strategiche con una tesi sul processo di ricostruzione dell'Afghanistan, ha avuto esperienze in missioni internazionali delle Nazioni Unite nel 2008-09 (Libano) e della NATO nel 2012 (Afghanistan). Specializ-zato in politica e azione esterna dell’UE.
Valentina Ferrara È Vice-Direttore e membro del Consiglio di Redazione di Europae. Laureata magistra-le in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna, sede di Forlì, con una tesi in storia dell’integrazione europea sulle discriminazioni di genere. È stata tirocinante all’Ufficio Stampa della Rappresentanza d’Italia presso l’UE. Spe-‐cializzata in istituzioni e politiche interne dell’UE.
GLI AUTORI
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I numeri precedenti di Europae - Rivista di Affari Europei Numero 1, Aprile 2013 “L’Unione Europea e la nuova corsa all’Africa” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui Numero 2, Maggio 2013 “Ulisse e Zheng He. Unione Europea e Cina sul-la rotta del mondo nuovo” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui
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