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F. W. I. SCHELLING

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sistema dell'idealismo trascendentale

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F. W. I. SCHELLING

Se racchiudiamo la natura in una totalità, si trovano di fronte il meccanismo, cioè una serie di cause ed effetti che scorre dall’alto al basso, e il finalismo, cioè l’indipendenza dal meccanismo, la contemporaneità di cause ed effetti. Se raccogliamo insieme anche questi estremi, sorge in noi l’idea di una finalità del Tutto: la natura diviene un circolo che scorre su se stesso, un sistema chiuso in se stesso. La serie della cause e degli effetti scompare completamente e genera una relazione reciproca di mezzo e fine: il singolo non potrebbe esistere senza il tutto, né il tutto potrebbe divenire effettivamente reale senza il singolo.

Ora, questo assoluto finalismo della totalità della natura è un’idea che pensiamo non arbitrariamente, ma necessariamente. Ci sentiamo spinti a riferire ogni singolo a tale finalità del tutto;quando troviamo nella natura qualcosa che sembra essere senza scopo o addirittura contrario ai fini, crediamo che sia rotta l’intera economia delle cose, e non ci diamo pace finchè l’apparente mancanza di finalità non ci appaia conforme a scopi da altri punti di vista. E’ dunque una massima necessaria della ragione riflettente che nella natura si debba dovunque presupporre un rapporto di fine e mezzo. E anche se non tramutiamo questa massima in legge costitutiva, tuttavia la seguiamo così costantemente e naturalmente, che presupponiamo evidente che la natura risponderà, per così dire, con spontanea cortesia al nostro scopo di scoprire in essa una finalità assoluta. E appunto perciò procediamo, con piena fiducia nell’accordo della natura con le massime della nostra ragione riflettente, dalle leggi speciali e subordinate alle leggi universali e più elevate; e persino dei fenomeni che stanno isolati nella serie delle nostre conoscenze non manchiamo di presupporre a priori che anch’essi si coordinino fra di loro mediante un principio comune. E crediamo all’esistenza di una natura fuori di noi solo là ove scorgiamo molteplicità di aspetti e unità di mezzi.

Che è dunque del vostro legame segreto che unisce il nostro spirito con la natura, o quell'organo nascosto in virtù del quale la Natura parla al nostro spirito o il nostro spirito alla Natura? Vi facciamo subito grazia di tutte le vostre spiegazioni circa il modo con cui una tale natura conforme a scopi sia divenuta reale fuori di noi. Perchè lo spiegare questa finalità dicendo che un intelletto divino nè è l'autore non è filosofare, ma fare pie considerazioni. Con ciò ci avete spiegato tanto come niente: perchè noi non vogliamo sapere come sia nata una tale natura fuori di noi, ma come l'idea di tale natura sia venuta in noi; e non come l'abbiamo arbitrariamente prodotta, ma come e perchè essa è originariamente e necessariamente stia a fondamento di tutto ciò che la nostra specie ha sempre pensato sulla natura. Infatti l’esistenza di tale natura fuori di me non ne spiega l’esistenza in me: e se ammettete che fra l’una e l’altra ci sia un’armonia prestabilita – è proprio questo l’oggetto del nostro problema. Oppure se affermate che noi soltanto applichiamo alla natura questa idea, non vi è entrato nell’anima neppure il sospetto di che cosa sia e che cosa debba essere per noi la Natura. Perché noi vogliamo non già che la natura concordi accidentalmente (e magari per la mediazione di una terza cosa) con le leggi del nostro spirito, ma che in se stessa e originariamente non soltanto esprima ma realizzi veramente le leggi del nostro spirito, e che essa sia e si chiami Natura solo in quanto essa faccia ciò.

La Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito la Natura invisibile. Qui dunque, nell’assoluta unità dello spirito in noi e della natura fuori di noi, si deve risolvere il problema come una natura sia possibile fuori di noi. La meta ultima delle nostre ulteriori ricerche è perciò quest’idea della natura: se riusciremo a raggiungerla, potremo anche essere certi di aver fatto abbastanza per quel problema.

(F. W. I. SCHELLING, Introduzione alle idee per una filosofia della natura)

Nello stesso fatto di sapere - in quanto io so - l'oggettivo ed il soggettivo sono così uniti che non si può dire a quale dei due compete la priorità. Non vi è qui un primo e un secondo, entrambi sono contemporanei e una cosa sola. Nell'atto di volere spiegare questa identità, debbo averla già soppressa. Per poterla spiegare, poiché all'infuori di quei due fattori del sapere (come principio di spiegazione) non mi è dato altro, debbo necessariamente preporre l’uno all'altro, partire dall’uno per pervenire da esso all'altro: da quale dei due io parta, non è determinato dalla questione. [...]

Porre come primo l’oggettivo e ricavarne il soggettivo è, come appena mostrato, compito della filosofia della natura.

Se dunque una filosofia trascendentale esiste, non le rimane altro che la direzione opposta; partire dal soggettivo, come dal primo e assoluto, e farne risultare l'oggettivo. In tal modo filosofia della natura e filosofia trascendentale si sono distinte secondo le due principali direzioni della filosofia; e se ogni filosofia deve riuscire o a far della natura un'intelligenza, o dell'intelligenza una natura, allora la filosofia trascendentale, cui spetta quest'ultimo compito, è l'altra necessaria scienza fondamentale della filosofia. [...]

Tutta la filosofia muove e deve muovere da un principio che, come l'assolutamente identico, è semplicemente non oggettivo. Ora, però, in che modo quest'assoluto non oggettivo ha da essere chiamato alla coscienza e inteso, ciò ch'è necessario se è condizione della comprensione di tutta la filosofia? Che non possa esser né compreso né rappresentato per mezzo di concetti non c'è bisogno di dimostrarlo. Non resta dunque altro se non ch'esso venga rappresentato in

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un'intuizione immediata, la quale però a sua volta sembra esser essa stessa incomprensibile, e, poiché il suo oggetto ha da esser qualcosa di semplicemente non oggettivo, addirittura contraddittoria in se stessa. Ma anche se ci fosse una tale intuizione, avente come oggetto l'assolutamente identico, che in sé non è né soggettivo né oggettivo, e se per via di questa intuizione, la quale non può essere che intellettuale, ci si richiamasse all'esperienza immediata, in che modo anche quest'intuizione può ridivenire oggettiva? Cioè: come si può mettere fuori dubbio che essa non si basi su un'illusione meramente soggettiva, se di quell’intuizione non c'è un'oggettività generale e riconosciuta da tutti gli uomini. Quest'oggettività dell'intuizione intellettuale, generalmente riconosciuta, e in nessun modo negabile, è l'arte stessa. Infatti l'intuizione estetica è appunto l’intuizione intellettuale divenuta oggettiva. Soltanto l’opera d'arte mi riflette ciò che altrimenti non è riflesso da null'altro: quell'assolutamente identico, che già nell’io si è separato; ciò che il filosofo fa già separare nel primo atto della coscienza, inaccessibile altrimenti ad ogni riflessione, viene dunque irradiato per il miracolo dell'arte dai suoi prodotti.[...]

La filosofia muove da un'infinita scissione di attività opposte; ma sulla medesima scissione si basa anche ogni produzione estetica; ed essa è interamente abolita da ogni singola rappresentazione dell’arte. Che cos’è quel meraviglioso potere, per mezzo del quale secondo l’affermazione del filosofo si abolisce nell'intuizione produttiva un contrasto infinito? Noi non abbiamo potuto finora render completamente comprensibile questo meccanismo, perché solo la facoltà nell'arte può svelarlo del tutto. Quel potere produttivo è il medesimo di quello per cui anche all'arte riesce l'impossibile, cioè abolire un contrasto infinito in un prodotto finito. [..] Sebbene il mondo reale proceda interamente dalla stessa opposizione originaria da cui deve procedere anche il mondo dell'arte, il quale va similmente pensato come un solo grande tutto, e in tutti i suoi singoli prodotti rappresenta solo l’uno infinito, pure quell’opposizione al di là della coscienza è infinita solo nel senso che un infinito è rappresentato dal mondo oggettivo come tutto, non mai però dal singolo oggetto, mentre quell'opposizione è infinita per l’arte in riguardo ad ogni singolo oggetto, e ogni singolo prodotto di essa rappresenta l’Infinito. [...]

La filosofia raggiunge bensì il sommo vero, ma fino a questo punto non porta che quasi un frammento dell’uomo. L’arte porta l’uomo intiero, com’egli è, alla conoscenza del sommo vero, e qui riposa l’eterna diversità e il portento dell’arte. […]

Ma quell’ignoto, che qui pone in armonia inattesa l’attività obiettiva e la cosciente, non è altro che quell’Assoluto il quale racchiude il principio generale dell’armonia prestabilita tra il conscio e l’inconscio. […] Quest’invariabilmente identico, il quale non può giungere ad alcuna coscienza e si rifrange solo dal suo prodotto, è per il producente quello appunto che è il destino per l’operante, cioè un’oscura incognita potenza, la quale all’opera imperfetta della libertà aggiunge il compiuto e l’obiettivo, e come quella forza, che attraverso il nostro libero operare, senza la nostra cognizione, e pur contro la nostra volontà, realizza scopi non rappresentati, vien chiamata destino, così l’incomprensibile, che, senza il concorso della libertà, nella quale eternamente si fugge quanto in quella produzione è unito, aggiunge al cosciente l’obiettivo, si designa coll’oscuro nome del genio. […]

Se inoltre l’arte è dovuta all’opera di due attività affatto diverse tra loro, il genio non è né l’una né l’altra, ma ciò che sta al di sopra di entrambe. Se una di quelle due attività, ossia nella cosciente, dobbiamo cercare ciò che comunemente si chiama arte, ciò che peraltro non è se non una parte di essa, vale a dire ciò che in essa viene esercitato con coscienza, ponderazione e riflessione, ciò che si può anche insegnare e imparare, ed ottenere con l’aiuto della tradizione e coll’esercizio proprio; all’incontro, nell’elemento inconscio, che entra pure, nell’arte, dobbiamo cercare quel che in essa non si può imparare né ottenere o coll’esercizio o in altro modo, ma può essere solamente innato per libero dono della natura, ed è quello che in una parola possiamo chiamare nell’arte poesia.[…]

Che tutto il sistema rimane tra due estremi, l’uno dei quali è designato dall’intuizione intellettuale, l’altro da quella estetica. Ciò che è l’intuizione intellettuale per il filosofo, è l’estetica per il suo obbietto. La prima, essendo necessaria unicamente in servigio di quella particolare direzione che lo spirito assume nel filosofare, non entra in generale nella coscienza comune; l’altra, non essendo se non la stessa intuizione intellettuale, che ha acquistato una validità universale ed è divenuta obiettiva, può almeno trovarsi in ogni coscienza. Ma da ciò appunto si può anche vedere che e perché la filosofia come filosofia non possa mai acquisire una validità universale. L’unica cosa, alla quale sia concessa l’assoluta obiettività, è l’arte. […]

Se l’intuizione estetica non è se non l’intuizione Intellettuale divenuta oggettiva, s'intende da sé che l’arte sia l’unico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e continuamente di nuovo attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l’inconscio nell'agire e nel produrre e la sua originaria identità con il conscio. L'arte appunto perciò è per il filosofo quanto vi è di più alto, poiché essa gli apre per così dire il santuario, dove in eterna e originaria unione arde come in una sola fiamma ciò che nella natura e nella storia è separato, e ciò che nella vita e nell’azione e nel pensiero deve fuggire se stesso eternamente. La visione che il filosofo si fa artificialmente della natura è per l’arte la visione originaria e naturale. Ciò che noi chiamiamo natura è un poema, chiuso in caratteri

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misteriosi e mirabili. Ma se l’enigma potesse svelarsi, noi vi riconosceremmo l’odissea dello spirito, il quale, mirabilmente ingannato, cercando sé stesso fugge se stesso; giacché attraverso il mondo sensibile il senso si mostra solo come attraverso parole, e solo come attraverso nebbia semitrasparente traluce quella terra della fantasia alla quale aspiriamo. Ogni splendido quadro nasce quasi per il fatto che si abolisce la parete invisibile che separa il mondo reale dal mondo ideale, e non è se non l’apertura attraverso la quale si rivelano in pieno risalto le forme e le regioni di quel mondo della fantasia, il quale solo imperfettamente traspare attraverso il mondo reale. La natura è per l’artista non più di quello che è per il filosofo, cioè nient'altro che il mondo ideale che appare tra continue limitazioni, o nient'altro che il riflesso imperfetto d'un mondo che esiste non fuori di lui, ma in lui. [...]

Concludiamo con la seguente osservazione. Un sistema è compiuto quando è stato ricondotto al suo punto di partenza. Ma questo precisamente è il caso del nostro sistema. Infatti appunto quel principio originario d'ogni armonia tra il soggettivo e l’oggettivo, che nella sua originaria identità poteva esser rappresentato solo per mezzo dell'intuizione intellettuale, è quello che, mediante l’opera d'arte, è stato tratto interamente fuori dal soggettivo ed è divenuto del tutto oggettivo di maniera che noi a poco a poco abbiamo condotto il nostro oggetto, l’io stesso, fino a quel punto in cui noi stessi stavamo quando abbiamo cominciato a filosofare.

Ora, se soltanto l’arte riesce a rendere oggettivo con valore universale ciò che il filosofo può rappresentare solo soggettivamente, c'è da attendersi - per trarre qui ancora questa conclusione - che la filosofia, com'è stata generata e nutrita dalla poesia nell'infanzia del sapere, e con essa tutte quelle scienze che per mezzo suo vengono avviate alla perfezione, una volta giunte alla loro pienezza, come altrettanti singoli fiumi riconfluiranno in quell'universale oceano della poesia da cui erano uscite. Quale poi sarà l’intermediario del ritorno della scienza alla poesia non è in generale difficile dirlo, essendo esistito un tale intermediario nella mitologia, prima che fosse avvenuta questa separazione che ora pare inconciliabile. Ma come possa sorgere una nuova mitologia, che non può essere creazione d'un solo poeta, ma d'una nuova stirpe, che quasi rappresenti un solo poeta, è questo un problema la cui soluzione Si può attendere solo dai futuri destini del mondo e dal corso ulteriore della storia. "

(F. W. I. SCHELLING, Sistema dell'idealismo trascendentale)

[…] all’attività cosciente deve essere unita una forza incosciente e che la perfetta unione e la reciproca compenetrazione di entrambe produce il vertice dell’arte. Le opere alle quali manca questo suggello di una scienza incosciente si riconoscono per la sensibile mancanza di vita indipendente da colui che le ha prodotte, mentre, al contrario, quando tale scienza opera, l’arte conferisce all’opera quell’infinita realtà, per cui essa riesce somigliante ad un’opera della natura.

(F. W. I. SCHELLING, Rapporto tra le arti figurative e la natura, 1807)