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Università degli Studi di Torino FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Specialistica in Fisica Ambientale e Biomedica Tesi di Laurea ANALISI DEI DATI DI UN TEST SU FASCIO DI RIVELATORI AL SILICIO 3D FBK-irst DOUBLE-SIDE DOUBLE TYPE COLUMN Relatore: Prof.sa A.M. Solano Correlatore: Dott. A. La Rosa Correlatore: Prof. G.-F. Dalla Betta Candidato: M. Borri Anno Accademico 2008/2009

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Università degli Studi di Torino

FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

Corso di Laurea Specialistica inFisica Ambientale e Biomedica

Tesi di Laurea

ANALISI DEI DATI DI UN TEST SU FASCIODI RIVELATORI AL SILICIO 3D FBK-irstDOUBLE-SIDE DOUBLE TYPE COLUMN

Relatore: Prof.sa A.M. Solano

Correlatore: Dott. A. La Rosa

Correlatore: Prof. G.-F. Dalla Betta

Candidato: M. Borri

Anno Accademico 2008/2009

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Indice

1 Introduzione 5

2 Rivelatori a semiconduttore 72.1 Semiconduttori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

2.1.1 Il silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.1.2 Cristallo intrinseco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102.1.3 Semiconduttori estrinseci e drogaggio . . . . . . . . . . . 11

2.2 Rivelatori al silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122.2.1 La giunzione p-n . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.2.2 Interazione delle particelle cariche con la materia. . . . . . 152.2.3 Funzionamento del rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . 162.2.4 Principali tipologie di rivelatori al silicio . . . . . . . . . . 19

3 I sensori 3D al silicio 213.1 L’architettura 3D . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213.2 Tipologie di sensori 3D . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303.3 Le caratteristiche dei sensori 3D . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

3.3.1 Radiation hardness . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.4 I 3D FBK . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

4 Il test-beam 394.1 L’apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

4.1.1 Il telescopio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 424.2 I DUT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

4.2.1 ATLAS pixel readout chip (FE-I3) . . . . . . . . . . . . . 43

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INDICE

4.2.2 La parte analogica della PUC . . . . . . . . . . . . . . . 454.2.3 I sensori 3D-DTC-2 e 3D-DTC-2B . . . . . . . . . . . . 47

4.3 La presa dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

5 Analisi dei dati 515.1 Il programma di analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 515.2 I run . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 535.3 Time-over-Threshold . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545.4 Charge sharing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 575.5 Risoluzione spaziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 615.6 Efficienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

6 Conclusioni 73

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CAPITOLO 1

Introduzione

Negli ultimi decenni i rivelatori al silicio hanno trovato svariate applicazioni inmolti campi della fisica. Il loro utilizzo, in particolare come rivelatori di traccianella fisica delle alte energie, ha portato allo studio di nuove soluzioni in gradodi soddisfare richieste sperimentali sempre più esigenti.L’architettura 3D è un recente sviluppo dei sensori al silicio, con promettenti ca-ratteristiche quali l’elevata resistenza alle radiazioni e il cosiddetto bordo attivo,ovvero la possibilità di avere un’efficiente raccolta del segnale su tutto il sensoresenza limitazioni ai bordi. Lo studio di questo tipo di architettura è tuttora incorso ed è volto ad ottimizzarne ulteriormente sia le prestazioni sia la produzione.Il lavoro di questa tesi ha come oggetto sensori 3D a pixel sviluppati alla Fonda-zione Bruno Kessler (FBK-irst) di Trento in collaborazione con INFN e Universitàdi Trento, al fine di studiarne le principali caratteristiche funzionali. A tale scopoho analizzato i dati raccolti con un test su fascio, svoltosi al CERN di Ginevra nelmaggio 2009 e al quale ho partecipato, il cui obiettivo era la caratterizzazionedei sensori in campo magnetico, nell’ottica di una possibile applicazione dellatecnologia 3D per l’Insertable B-Layer (IBL), un cilindro costituito da rivelatoria pixel, che verrà aggiunto al rivelatore di vertice dell’esperimento ATLAS.I capitoli della tesi sono organizzati nel seguente modo:

• Rivelatori a semiconduttore: si richiamano i principi fisici che stanno allabase del funzionamento dei rivelatori al silicio.

• I sensori 3D al silicio: si introduce l’architettura 3D nei suoi aspetti generalise ne illustrano le principali caratteristiche, con particolare riferimento aisensori 3D FBK.

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Introduzione

• Il test-beam: si presentano l’apparato sperimentale utilizzato, con maggiordettaglio per i rivelatori sotto test (sensori ed elettronica), e le condizionidi presa dati.

• Analisi dei dati: si illustrano i risultati ottenuti, da considerarsi alla datadella stesura di questa tesi ancora preliminari, sulle misure di Time-over-Threshold, charge sharing, risoluzione spaziale ed efficienza dei rivelatori.

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CAPITOLO 2

Rivelatori a semiconduttore

I rivelatori al silicio sono un particolare tipo di rivelatori a semiconduttore. Modi-ficando le proprietà del silicio con appositi processi che agiscono a livello atomico,è possibile ottenere delle zone che possono essere utilizzate come aree sensibilidel rivelatore. Se una particella ionizzante passa attraverso la zona sensibile delrivelatore, essa crea delle coppie elettrone-lacuna che possono essere raccolte daun sistema elettronico di lettura. La conversione della perdita di energia di unaparticella in segnale elettrico permette quindi di ottenere informazioni su di essa.I rivelatori al silicio sono di grande utilità come rivelatori di posizione.

2.1 SemiconduttoriLa materia può formare aggregati con un numero molto alto di atomi e in basealle condizioni di temperatura e pressione assume stati fisici differenti: solido,liquido, gassoso. A seconda dello stato, la materia ha proprietà differenti. Inparticolare per lo stato solido, gli atomi (o le molecole) non esistono come entitàisolate ma per lo più seguono una disposizione periodica che prende il nome direticolo cristallino.In accordo col principio di esclusione di Pauli (per cui ciascun livello energeticopuò contenere solo due elettroni con spin opposto), quando il numero di atomiè molto grande la spaziatura tra i livelli energetici è molto piccola e può essereconsiderata un continuo: si forma una banda. Proprio la distribuzione dei livellienergetici degli elettroni in bande, separate da intervalli proibiti, è la principalecaratteristica elettronica dei solidi. La banda di maggiore interesse è la banda

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Rivelatori a semiconduttore

superiore: se non completa è chiamata banda di conduzione, altrimenti è chia-mata banda di valenza e la banda di conduzione sarà la banda immediatamentesuperiore. Le bande associate agli orbitali più interni sono invece piene e hannoelettroni piuttosto localizzati.Un solido, a seconda del tipo di intervallo (o gap) energetico tra banda di valenzae banda di conduzione, può essere classificato in 3 modi:

• conduttore: i metalli ed i semimetalli sono solidi conduttori. I metalli hannogli elettroni degli orbitali più esterni nella banda di conduzione, mentre neisemimetalli accade che vi sia una sovrapposizione tra la banda di valenzae quella di conduzione;

• semiconduttore: il gap energetico tra la banda di valenza e la banda diconduzione è piccolo, ∼ 1 eV. Come conseguenza, al crescere della tem-peratura si ha un aumento della probabilità che gli elettroni passino pereccitazione termica dalla banda di valenza alla banda di conduzione. Icristalli di silicio e di germanio sono esempi di solidi semiconduttori;

• isolante: il gap energetico tra la banda di valenza e la banda di conduzione è> 5 eV. L’ampiezza della zona proibita è sufficientemente grande da renderemolto difficile agli elettroni di superarla per eccitazione. Conseguentementetutti gli elettroni sono bloccati a formare i legami e non possono essereeccitati. Ne è un esempio il carbonio.

Avendo i semiconduttori un gap energetico tale da permettere il passaggio dielettroni in banda di conduzione, è possibile ottimizzare la scelta del materialein base all’ampiezza della banda proibita e in base all’applicazione desiderata [1].Per i rivelatori di posizione questa scelta è rappresentata dal silicio.

Figura 2.1: Struttura a bande del silicio.

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2.1.1 Il silicioIl silicio (dal latino silex,silicis che significa selce) venne identificato per la pri-ma volta da Antoine Lavoisier nel 1787. Esso ha numero atomico 14 ed è unelemento del gruppo IV-A e del periodo 3. È un solido reticolare covalente, ca-ratterizzato da una struttura cubica a facce centrate (FCC) in cui il lato del cubomisura 0.543 nm. Nella sua forma cristallina il silicio è un semiconduttore conun gap energetico di 1.1242 eV a T = 300 K. A 0 K ogni atomo del cristallo èunito ad altri 4 atomi di silicio, ha tutti gli elettroni legati e la banda di valenzacompletamente piena.Il silicio è il secondo elemento per abbondanza della crosta terrestre, componen-done il 25.7% del peso, è un componente di numerosi minerali ed ha un largoimpiego a livello industriale.Nella costruzione dei rivelatori di particelle è particolarmente apprezzato per duemotivi. Primo perchè si riescono a far crescere cristalli di discrete dimensioni.Secondo perchè a temperatura ambiente gli elettroni che per effetto termico pas-sano in banda di conduzione sono un numero trascurabile.Nelle tabelle 2.1 e 2.2 sono riportate le principali caratteristiche del silicio.

Simbolo SiNumero atomico 14Serie chimica Metalloidi

Gruppo IV APeriodo 3

Peso atomico 28.0855 umaRaggio atomico 110 pm

Configurazione elettronica Ne3s23p2

Punto di fusione 1687 KPunto di ebollizione 3173 K

Tabella 2.1: Principali informazioni sul silcio.

Isotopi stabili28Si 92.23%29Si 4.67%30Si 3.1%

Tabella 2.2: Isotopi del silicio.

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Rivelatori a semiconduttore

2.1.2 Cristallo intrinsecoSe un legame tra gli atomi del cristallo di silicio viene rotto per effetto dell’ener-gia termica, l’elettrone termicamente eccitato passa nella banda di conduzione,lasciando una lacuna nella banda di valenza. L’elettrone e la lacuna sono en-trambi liberi di muoversi. Il numero di tali elettroni liberi per unità di volume(ni) è legato alla temperatura assoluta (T ) dalla seguente relazione.

ni = 2(mec2KBT

2π(c)2 ) 32 e− Egap2KBT (2.1)

dove me= massa dell’elettrone; KB= costante di Boltzman ed Egap= ampiezzabanda proibita. Si può osservare che, contrariamente ai conduttori, la proprietà dicondurre elettricità aumenta all’aumentare della temperatura. Inoltre è possibileconfrontare il numero dei portatori di carica tra le due tipologie di solidi ad unatemperatura fissata. Per T = 300 K il silicio ha ni ∼ 1010 cm−3 mentre neimetalli il numero di portatori di carica per unità di volume è ∼ 1023 cm−3.Ne risulta che le cariche libere nel semiconduttore, di molto inferiori a quellein un conduttore, creano solo deboli correnti continue in presenza di un campoelettrico, a causa del moto di deriva delle cariche.La densità di corrente che si genera è costituita da un flusso di carica negativae da un flusso di carica positiva. Il primo è dovuto al moto degli elettroni nellabanda di conduzione mentre il secondo è dovuto a quello delle lacune nella bandadi valenza:

J = Je + Jh = (−e)neve + enhvh (2.2)

dove Je/h= flussi di carica; ne= concentrazione degli elettroni; nh= concentra-zione delle lacune; ve= velocità di deriva degli elettroni; vh= velocità di derivadelle lacune; e= valore assoluto della carica dell’elettrone.Evidenziando la dipendenza del modulo della velocità di deriva dei portatori dicarica dal campo elettrico, emerge un coefficiente detto mobilità:

ve = µeE (2.3)

vh = µhE (2.4)

dove µe= mobilità degli elettroni; µh=mobilità delle lacune ed E= campo elet-trico.Osservando che i portatori di carica hanno cariche opposte e quindi anche ver-so della velocità di deriva opposto, è possibile esprimere la densità di correnteelettrica in funzione di una quantità detta conducibilità elettrica (σ):

J = eni(µe + µh)E = σE (2.5)

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Il processo di eccitazione termica fin qui descritto comporta ne = nh = ni equesta è la definizione di semiconduttore intrinseco.In tabella 2.3 sono riassunti i valori caratteristici del silicio intrinseco. Attraversola mobilità è possibile osservare che le due velocità di deriva saranno diverse inquanto i moti dei due tipi di carica avvengono in condizioni fisiche diverse. Infattiil moto di una lacuna è il moto di una carica nel reticolo, mentre il moto deglielettroni in banda di conduzione è paragonabile al moto di una carica libera.

µe 1350 cm2/(V s)µh 500 cm2/(V s)ni 1.5× 1010 cm−3

σ 4.4 · 10−4 1/(Ω m)

Tabella 2.3: Valori di mobilità, concentrazione di portatori di carica econducibilità a T = 300 K per un cristallo di silicio intrinseco.

2.1.3 Semiconduttori estrinseci e drogaggioÈ possibile incrementare la conducibilità dei semiconduttori introducendo oppor-tune impurità nel reticolo cristallino, processo che è detto drogaggio. I semicon-duttori sottoposti a drogaggio sono detti estrinseci. Il drogaggio è effettuato condue tipi di atomi. Quello con atomi accettori aumenta il numero di lacune (p) equello con atomi donori aumenta il numero di elettroni (n) nel cristallo. La leggedell’azione di massa permette di determinare i portatori maggioritari e minoritari:

nipi = np (2.6)

Nel caso del silicio, elemento del gruppo IV-A, il drogaggio si effettua con atomidel III o V gruppo:

• Elementi del III gruppo (accettori). Hanno una struttura elettronica checonsente il legame con 3 dei 4 atomi di silicio del reticolo, impedendo alquarto atomo di completare il suo ottetto. In questa situazione l’impuritàintroduce dei nuovi livelli energetici vacanti, detti livelli accettori, collocati45 meV sopra la banda di valenza. La facile eccitazione termica di elettroniad occupare questi livelli permette la formazione di lacune nella banda divalenza senza avere il corrispettivo elettrone in banda di conduzione. Ildrogaggio, aumentando il numero di portatori positivi, è detto di tipo p. Ilboro è l’elemento più usato per produrre questo effetto nel silicio. Si ha:

n << p ≈ NA ⇒ J = NAeµhE (2.7)

(NA= concentrazione atomi accettori).

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Rivelatori a semiconduttore

Figura 2.2: Differenti tipi di drogaggio.

• Elementi del V gruppo (donori). Hanno una struttura elettronica che con-sente il legame con i 4 atomi di silicio del reticolo e lascia un elettronedebolmente legato. Gli elettroni in eccesso delle impurità si collocano inuna nuova banda energetica, detta livello donore, collocata 44 meV sotto labanda di conduzione. Questo permette la facile eccitazione di elettroni inbanda di conduzione senza che vi siano le corrispettive lacune in banda divalenza. Il drogaggio, aumentando il numero di portatori negativi, è dettodi tipo n. Il fosforo è l’elemento più usato per produrre questo effetto sulsilicio. Si ha:

p << n ≈ ND ⇒ J = NDeµeE (2.8)(ND= concentrazione atomi donori).

Impurezze di un’unità ogni 106 atomi di silicio aumentano il numero di portatoridi carica a ∼ 1016 cm−3, rendendo trascurabile il valore intrinseco ni del cristallo.

2.2 Rivelatori al silicioIl funzionamento dei rivelatori al silicio si basa sulla formazione di una giunzionep-n. Essa permette di ottenere una zona priva di cariche libere, che viene utiliz-zata come zona sensibile del rivelatore. Applicando alla giunzione una tensionein modo opportuno, questa può essere usata come una camera a ionizzazione,nella quale il passaggio di una particella produce coppie elettrone-lacuna, il cuisegnale viene raccolto agli elettrodi.

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2.2.1 La giunzione p-nLa giunzione p-n consiste di due cristalli di silicio, drogati rispettivamente tipop e tipo n, posti a contatto tra loro [2][3]. Accade che la differenza di concen-trazione dei portatori di carica all’interfaccia da’ luogo a diffusione di carica. Glielettroni, la cui concentrazione è maggiore nella parte n, diffondono verso la partep e si ricombinano con le lacune, analogamente le lacune diffondono dalla partep alla parte n e si ricombinano con gli elettroni. In questo modo si forma unazona in cui il numero di portatori di carica per unità di volume scende a ∼ 102

cm−3. Tale zona può essere considerata priva di carica libera ed è detta zona disvuotamento.Tra le regioni elettricamente cariche ai due lati della superficie di contatto sigenera un potenziale Vbi (built in voltage) e un campo elettrico E, che contra-stano la diffusione. Il processo di ricombinazione si arresta quando la differenzadi potenziale assume un valore sufficiente a contrastare la diffusione. Il valoredel potenziale per una giunzione è dato dalla seguente relazione:

Vbi = KBT

eln(NAND

n2i

) (2.9)

da cui si osserva la dipendenza dal drogaggio delle due zone. Le coppie elettrone-lacuna che per effetto termico si formano nello spessore svuotato migrano sottol’azione del campo elettrico.A seconda dell’uso che si vuole fare della giunzione è possibile applicare unadifferenza di potenziale esterna in due modi diversi.

• Polarizzazione diretta:

– potenziale positivo applicato alla regione p;– potenziale negativo applicato alla regione n;

In questo modo si favorisce il flusso di lacune ed elettroni attraverso lagiunzione, di fatto diminuendo la regione di svuotamento.

• Polarizzazione inversa:

– potenziale negativo applicato alla regione p;– potenziale positivo applicato alla regione n;

La polarizzazione inversa ha stessi direzione e verso di Vbi e agisce contra-stando il flusso di elettroni e lacune attraverso la giunzione, eliminando lamaggior parte dei portatori di carica liberi e quindi allargando la regione disvuotamento.

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Rivelatori a semiconduttore

Figura 2.3: (a) regione di svuotamento, (b) spazio elettricamente carico, (c)campo elettrico e (d) voltaggio per una giunzione p-n con xn ≈ W .

Essendo il funzionamento dei rivelatori al silicio basato sull’utilizzo della regionedi svuotamento, la tensione che viene applicata alle giunzioni destinate a questouso è una tensione di polarizzazione inversa (tensione di bias).La profondità della zona di svuotamento può essere calcolata come:

W = xn + xp =√

2ε0εSie

( 1NA

+ 1ND

)(V + Vbi) (2.10)

in cui W è lo spessore totale svuotato, xn e xp gli spessori parziali svuotati ri-spettivamente nel cristallo n e p, V il voltaggio esterno applicato ed ε0 e εSi lecostanti dielettriche del vuoto e del silicio (εSi = 12).Nei sensori al silicio le giunzioni sono solitamente realizzate con un impianto paltamente drogato (NA > 1018 cm−3), indicato con p+, a contatto con un vo-lume debolmente drogato n (ND ∼ 1012 cm−3). Il termine 1/NA nell’equazione2.10 può quindi essere trascurato e questo significa che la regione svuotata èmaggiore nel lato debolmente drogato della giunzione. Inoltre il voltaggio Vbi,che si genera nella regione di svuotamento senza che sia applicata una tensio-ne esterna, ha valori tipici di ∼ 0.5 V, almeno un ordine di grandezza inferioreai voltaggi applicati per rendere operative le giunzioni nei rivelatori. È quindipossibile approssimare nel seguente modo:

W ≈ xn ≈√

2ε0εSieND

V (2.11)

In figura 2.3 sono mostrati la regione di svuotamento, il potenziale e il campo elet-trico nella direzione perpendicolare alla giunzione. Il campo elettrico raggiunge

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il suo massimo alla superficie di contatto

Emax = 2VW≈√

2eND

ε0εSiV (2.12)

e diminuisce linearmente fino ad arrivare al valore nullo in corrispondenza dellimite della zona di svuotamento. La tensione di svuotamento è il voltaggionecessario per estendere lo svuotamento a tutto lo spessore del silicio. Esso è unodei principali parametri del sensore e definisce il minimo voltaggio di operativitàdel sensore.

2.2.2 Interazione delle particelle cariche con la materia.Se una particella carica attraversa la materia, possono verificarsi due effetti:

• perdita di energia da parte della particella;

• deviazione della sua traiettoria rispetto alla direzione incidente;

Questi effetti sono il risultato di diversi processi:

• collisioni anelastiche con gli elettroni atomici, che principalmente causanola perdita di energia;

• urti elastici coi nuclei, che causano principalmente la diffusione laterale delproiettile;

• emissione di radiazione Cerenkov;

• reazioni nucleari;

• radiazione di frenamento (bremsstrahlung), importante soprattutto per leparticelle leggere, elettroni e positroni, in quanto la perdita è proporzionaleall’inverso del quadrato della massa della particella.

Per le particelle pesanti, per cui M >> me, le collisioni anelastiche sono leprincipali responsabili della perdita di energia, che quando è sufficiente a formarecoppie elettrone-lacuna determina il fenomeno della ionizzazione. Il valor mediodella perdita di energia per ionizzazione, stimato per unità di percorso, è descrittodalla formula di Bethe-Bloch:

〈dEdx〉 = ρKz2Z

A

1β2 [ln 2mec

2β2γ2

I− β2 − δ(βγ)

2 − C

Z] (2.13)

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Rivelatori a semiconduttore

dove Z/A rappresenta la dipendenza dal mezzo, δ(βγ) è un coefficiente di at-tenuazione che riduce 〈dE/dx〉 per alti valori di βγ mentre il termine β2 rap-presenta la dipendenza della sezione d’urto dalla graduale diminuzione di energiadella particella in urti successivi. Il termine C/Z è associato alla schermaturadegli elettroni interni quando, a basse energie, gli elettroni atomici non possonoessere considerati liberi. Tutti i simboli sono riportati nella tabella 2.4.La dipendenza di 〈dE/dx〉 è mostrata in figura 2.4. Per valori di βγ < 0.007, laformula di Behte-Bloch non è più valida, il proiettile ha velocità circa uguale aquella degli elettroni atomici e tende ad assorbirli. Per 0.007 < βγ < 1 dominail fattore 1/β2, mentre nell’intervallo 1 < βγ < 4 la diminuzione è compensatadal termine logaritmico. Per 4 < βγ < 200 la perdita di energia risale comeln(βγ), infine per βγ > 200 raggiunge un valore costante, il plateau di Fermi.Per particelle relativistiche di alta energia la risalita logaritmica è ∼ 10% rispettoal valore del minimo, quindi il valore 〈dE/dx〉min è associato ad un largo rangedi βγ. Questo porta alla definizione di particella al minimo di ionizzazione (mini-mum ionizing particle, m.i.p.), che permette di misurare la risposta del rivelatoresenza riferirsi ad una particolare particella. Per una mip attraversante il silicio siha che 〈dE/dx〉/ρ = 1.664 MeV cm2/g, valore che in buona approssimazionepuò essere considerato indipendente dal materiale.

2.2.3 Funzionamento del rivelatoreUn rivelatore di particelle al silicio è generalmente costituito da un volume debol-mente drogato al quale sono affiancati due impianti fortemente drogati in mododiverso (p+ e n+). Ciò serve ad evitare che correnti parassite possano generarsiconseguentemente all’applicazione del voltaggio. Le due aree fortemente drogatesono successivamente metallizzate in superficie. Una differenza di potenziale vie-ne quindi applicata con polarizzazione inversa, così da svuotare completamente laparte di volume drogato in modo debole. Il voltaggio viene applicato collegandoad un potenziale noto una delle regioni fortemente drogate, lasciando l’altra alvalore di terra (ground); l’elettronica di lettura è collegata all’apposito elettrodoche raccoglie il segnale di carica (positivo o negativo).Una particella che incida nella regione sensibile del rivelatore, costituita dal volu-me completamente svuotato, perde energia producendo coppie elettrone-lacuna.Nel silicio l’energia per produrre una coppia è pari a 3.6 eV. I portatori di caricaliberi prodotti per ionizzazione migrano seguendo le linee del campo elettricoverso gli elettrodi di segno opposto. Gli elettroni muovono verso l’anodo, rap-presentato dall’impianto drogato fortemente n (n+); le lacune muovono verso ilcatodo, rappresentato dall’impianto drogato fortemente p (p+). Il segnale vienepoi raccolto dall’elettrodo collegato all’elettronica ed elaborato.La perdita media di energia nelle interazioni calcolata attraverso la relazione

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Figura 2.4: Curva di Bethe-Bloch.

c velocità della luceβ = v/c, parametro relativistico della particellaγ = 1/

√1− β2, parametro relativistico della particella

me massa dell’elettronee carica elementareρ densità (2.33 g/cm3 per il silicio)re = e2/(4πε0mec

2), raggio classico dell’elettronez carica della particellaZ numero atomico del materiale attraversatoA numero di massa del materiale attraversatoI energia di ionizzazione media del materialeK = 4πr2

emec2NA = 0.307 MeV cm2/g

Tabella 2.4: Lista dei simboli usati nell’equazione di Bethe-Bloch.

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Rivelatori a semiconduttore

Figura 2.5: Distribuzione di Landau per una mip che attraversa uno spessore di250 µm di silicio.

Bethe-Bloch è il valore centrale di una distribuzione gaussiana. Per spessori sottilidi materiale, che è tipicamente il caso dei rivelatori al silicio, è però di significativaimportanza l’alta probabilità di un grande trasferimento di energia agli elettroniatomici, i quali possono ulteriormente ionizzare altri atomi. Questi elettroni sonochiamati δ-elettroni e producono un’asimmetria nella gaussiana. Questo effettoè descritto con una distribuzione di Landau. In figura 2.5 è riportata la perditadi energia di una mip in un rivelatore di silicio spesso 250 µm. Si può osservareche il valore medio della perdita di energia è maggiore del valore più probabile, inparticolare che il numero medio di coppie elettrone-lacuna per una mip in questorivelatore è 27 ke− mentre il più probabile è 19.4 ke−.I rivelatori al silicio, o più in generale a semiconduttore, hanno proprietà che lirendono particolarmente appropriati per il rilevamento di radiazione ionizzante:

• grande numero di portatori di carica per unità di energia persa dalla par-ticella ionizzante a causa del piccolo gap energetico, considerando chel’energia media richiesta per creare una coppia elettrone-lacuna è di unordine di grandezza inferiore rispetto all’energia di ionizzazione dei gas;

• grande perdita di energia per unità di lunghezza di materiale attraversatodalla particella ionizzante, dovuta all’alta densità del materiale. Questopermette di costruire rivelatori sottili;

• piccolo libero cammino medio associato agli elettroni δ, che previene laraccolta di energia lontano dal punto in cui è avvenuta la ionizzazioneprimaria, consentendo una precisa misura della posizione;

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• alta mobilità degli elettroni e delle lacune, così che sia garantita una rapidaraccolta del segnale;

• possibilità di modificare le proprietà del rivelatore attraverso un cambia-mento di drogaggio nella struttura.

2.2.4 Principali tipologie di rivelatori al silicioLe caratteristiche sopra descritte hanno determinato negli ultimi due decenni unuso sempre più largo dei rivelatori al silicio come rivelatori di tracciamento negliapparati sperimentali di fisica delle alte energie. L’evoluzione che ha portato alloro successo può essere così riassunta:

1968 G.Charpak sviluppa i rivelatori di particelle elettronici.(Risoluzione spaziale: sotto il mm; densità dei canali elettronici di lettura:0.01 ch/cm2)

1975 Camere a drift.(Risoluzione spaziale: ∼ 100 µm; densità dei canali elettronici di lettura:0.05 ch/cm2)

1980 Rivelatori al silicio a micro-strip.(Risoluzione spaziale: ∼ 10 µm; densità dei canali elettronici di lettura:100 ch/cm2)

1990 Rivelatori al silicio a pixel.(Risoluzione spaziale: < 10 µm; densità dei canali elettronici di lettura:5000 ch/cm2)

Come si può dedurre, le principali tipologie di rivelatori al silicio utilizzate sonola configurazione a micro-strip e quella a pixel, entrambe in geometria planare.La geometria planare è costituita da elettrodi depositati sulla superficie superioreed inferiore del volume centrale (figura 2.6). Esistono tipi diversi di rivelatoriplanari che si differenziano principalmente per i drogaggi del volume centrale eper la segmentazione degli elettrodi. Le differenti tipologie di segmentazionesono mostrate in figura 2.7.I rivelatori con un singolo lato a micro-strip individuano solo una coordinata del-la particella rilevata. Se gli elettrodi sono suddivisi in strip su entrambi i lati,ad esempio con un angolo di π/2 tra le due superfici, allora è possibile averecoordinate bidimensionali del punto di passaggio della particella. L’elettronica dilettura in questo caso può essere attaccata ad una o a tutte e due le facce.L’utilizzo dei rivelatori a micro-strip ha un limite in presenza di alti flussi diparticelle. Può accadere infatti che l’incidenza di due o più particelle generi

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Rivelatori a semiconduttore

un’ambiguità nella misura della posizione. Il problema è illustrato in figura 2.8:se due particelle colpiscono entro il tempo di lettura due strip differenti, si avràun’ambiguità nella misura della posizione in quanto i punti di intersezione risulta-no quattro. Per evitare questo problema si segmenta un elettrodo in entrambe ledirezioni, ottenendo i pixel. Questo però implica diverse complicazioni tecnologi-che, quali l’elevato numero di canali di elettronica e la dipendenza dell’elettronicadalle dimensioni del pixel.Più recentemente sono stati studiati nuovi rivelatori al silicio a pixel, detti 3D, chehanno gli elettrodi posti perpendicolarmente alla superficie (figura 2.7). Questirivelatori sono descritti nel prossimo capitolo e costituiscono l’oggetto di questatesi.

Figura 2.6: Esempio di configurazione planare.

Figura 2.7: Differenti tipi rivelatori al silicio. Da sinistra verso destra: stripplanari, pixel planari, 3D.

Figura 2.8: Ambiguità nella misura della posizione.

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CAPITOLO 3

I sensori 3D al silicio

Per fattori tecnologici legati alla loro produzione i rivelatori a pixel 3D sono unaconquista recente e la geometria planare, illustrata nel capitolo 2, costituiscetuttora lo standard nei rivelatori di posizione al silicio. I rivelatori a pixel 3D sipongono come un’evoluzione rispetto alla configurazione planare e sono ad oggisoggetti a studi per ottimizzarne sia le proprietà sia il processo produttivo.

3.1 L’architettura 3DLa prima proposta di rivelatore 3D al silicio compare nell’articolo del 1997 diS.Parker e C.Kenney, intitolato 3D-A proposed new architecture for solid-stateradiation detectors [4], dove viene esposto lo studio di una matrice di elettro-di tridimensionali penetranti nel volume del rivelatore, perpendicolarmente allasuperficie. Fino ad allora erano state utilizzate solo configurazioni con elettrodipiani disposti sulla superficie del materiale.Parker e Kenney sono stati in grado di creare questa nuova geometria utilizzandoi seguenti fattori:

• possibilità di incidere profondi fori nel silicio con reazioni ioniche (rapportoprofondità-larghezza 15 : 1);

• possibilità di riempire i fori con vapori di silicio a bassa pressione;

• possibilità di riempire i fori con gas dopanti: diborano (colonna p+) efosfano (colonna n+).

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.1: Cella 3D studiata da S.Parker [4].

Lo studio su questo tipo di architettura è stato sviluppato considerando una cellanella quale un elettrodo p+ passa nel centro delle facce di un parallelepipedoa base quadrata di lato 50 µm e alto 300 µm (figura 3.1). Il parallelepipedocostituisce il substrato, drogato debolmente p, e sul suo bordo sono incise 8colonne n+ di giunzione. Tutte le colonne attraversano totalmente il volume esono dette passanti.Per la costruzione della cella si sono usati i principi di architettura validi per lacostruzione dei rivelatori a semiconduttori. Ecco i principali:

• necessità di minimizzare il massimo del campo elettrico di deriva;

• utilizzo di un substrato debolmente drogato p per prevenire i cambi di tipo(n↔ p) dovuti a danneggiamento per irradiazione;

• impianti per ridurre le correnti di superficie tra elettrodi opposti causatedallo strato ossidato che ricopre il sensore;

• unione di più elettrodi dello stesso tipo per ridurre il numero di collegamenticon l’elettronica di lettura o con la distribuzione delle tensioni di bias.

Si deve notare che unire più elettrodi di raccolta, ovvero più celle, ha comeconseguenza un incremento della capacità e una riduzione del rapporto segnale-rumore. Inoltre il rumore (o noise) aumenta come la radice quadrata del numerodi celle.In figura 3.2 sono riportate per un quarto di cella le simulazioni dell’andamento

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delle linee equipotenziali, delle linee di drift e delle linee raccolta di carica pertempi uguali. Lo studio sulle linee equipotenziali, primi quattro grafici in alto, èsvolto per due diversi drogaggi del substrato, 1012 cm−3 e 1013 cm−3, e diversetensioni di bias, 5 V e 10 V. Nei rispettivi grafici vengono mostrate le linee equi-potenziali all’aumentare del drogaggio a parità di tensione di bias e all’aumentaredella tensione di bias a parità di drogaggio.Nella figura 3.2 in basso a sinistra sono riportate le linee di drift per il caso didrogaggio del substrato di 1012 cm−3 e alimentazione 5 V. Esse sono relativealle cariche positive e si osserva la presenza di zone morte in cui la raccolta dicarica è meno efficiente. Sempre nella figura 3.2 in basso a destra è riportato lostudio sulle linee di uguale tempo di drift, il cui andamento corrisponde alle lineeequipotenziali. Si osserva che il tempo di drift dal centro della cella è inferioreal ns, mentre il tempo di raccolta dal bordo è teoricamente infinito, dato che inquesta regione il campo elettrico va a zero. Per calcolare il tempo di raccolta dalbordo bisogna tenere in considerazione la diffusione della carica e la tensione Vbinella giunzione.Nei grafici in alto e in quello in basso a sinistra in figura 3.3 è riportato l’an-damento del campo elettrico in funzione della distanza tra gli elettrodi. Sonopresi in considerazione tre casi: elettrodi p+-n+ sulla stessa diagonale (in alto asinistra); elettrodi n+-n+ adiacenti (in alto a destra); elettrodi p+-n+ adiacenti(in basso a sinistra). Per ciascun caso i grafici sono ottenuti considerando unsubstrato drogato 1012 cm−3 e le curve corrispondono a 7 diverse tensioni di ali-mentazione: 50 V, 40 V, 30 V, 20 V, 10 V, 5 V, 0 V (rispettivamente dall’alto inbasso). Un valore di 5 V è sufficiente affinchè il campo elettrico si estenda a tuttolo spazio tra gli elettrodi. Questo, nel caso di polarizzazione inversa, corrispondead avere un completo svuotamento nella regione compresa tra gli elettrodi. Ilmotivo per cui ciò avviene a così basse tensioni è la vicinanza tra le colonne.Il picco del campo elettrico, inoltre, è più di un ordine di grandezza inferiore alvalore di scarica, stimato sui 105 V/cm, per tutte le tensioni di alimentazioneconsiderate.Nel grafico in basso a destra in figura 3.3 è riportato per due diversi drogaggi disubstrato, 1012 cm−3 e 1013 cm−3, l’andamento del campo elettrico nel caso p+-n+ adiacenti, per tensione di svuotamento 10 V. Si osserva che per il drogaggiomaggiore il campo elettrico ha valore di picco inferiore.In figura 3.4 è mostrato il drift delle lacune e degli elettroni prodotto da una par-ticella che ionizza 24000 coppie, incidente nel centro del quarto di cella, per undrogaggio del substrato di 1012 cm−3 e alimentazione di 10 V. Nelle figure delleprime due righe è riportata la posizione durante il moto di drift delle lacune intre istanti successivi, nella terza riga è mostrata la raccolta degli elettroni in dueistanti successivi e viene riportata, con il contorno tratteggiato nero, la posizioneallo stesso istante delle lacune. Si può osservare che per una particella equidi-

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.2: Linee equipotenziali per diversi drogaggi e tensioni di bias (in alto);linee di drift (in basso) [4].

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Figura 3.3: Andamento del campo elettrico tra elettrodi [4].

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.4: Drift delle cariche per una particella incidente al centro del quarto dicella [4].

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Figura 3.5: Formazione del segnale ai quattro elettrodi del quarto di cella, peruna particella incidente al suo centro [4].

stante da due elettrodi opposti, i tempi di raccolta del segnale sono compatibiliper elettroni e lacune benchè la mobilità degli elettroni sia maggiore. Ciò è illu-strato in figura 3.5. Ciascuna della quattro curve corrisponde ad uno dei quattroelettrodi presenti nella cella. Le tre curve con il massimo positivo sono relativeagli elettrodi n+. La curva associata all’elettrodo n+ con il massimo maggiore èquella ottenuta nell’elettrodo posto sulla stessa diagonale dell’elettrodo p+, comeillustrato anche in figura 3.4 (grafico terza riga a destra).Nelle figure 3.6 e 3.7 sono riportati rispettivamente i drift delle lacune e deglielettroni prodotti da una particella che ionizza 24000 coppie, incidente nella zonamorta del quarto di cella, per un drogaggio del substrato di 1012 cm−3, alimenta-to a 10 V. In figura 3.6 si osserva il più lungo moto delle cariche positive, mentrein figura 3.7 si osserva l’instantanea raccolta degli elettroni. Il maggior tempo diraccolta delle lacune si ha principalmente perchè il moto nella zona morta avvieneinizialmente per diffusione, ma anche per la maggiore distanza dall’elettrodo diraccolta p+ e la minore mobilità delle lacune.La figura 3.8 illustra la formazione del segnale nei quattro elettrodi per il puntodi incidenza appena descritto. La curva associata all’elettrodo p+ è indicata nelgrafico, le altre curve rappresentano il segnale agli elettrodi n+. La curva con laformazione del massimo nel tempo minore rappresenta il segnale nell’elettrodon+ posto sulla diagonale rispetto a p+. Il minimo negativo nelle curve dei restantidue elettrodi n+ è dovuto al campo elettrico generato dalle lacune nella zonamorta durante il loro moto. Si osservi infine che lo spessore del substrato (coin-cidente con la lunghezza dell’elettrodo) non influisce sullo sviluppo del segnale,

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.6: Drift delle lacune per una particella incidente nella zona morta deldispositivo [4].

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Figura 3.7: Drift degli elettroni per una particella incidente nella zona morta deldispositivo [4].

Figura 3.8: Formazione del segnale ai quattro elettrodi del quarto di cella, peruna particella incidente nella sua zona morta [4].

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I sensori 3D al silicio

in quanto lo spazio di deriva nei rivelatori 3D è disaccoppiato dallo spessore delsensore, a differenza che nei rivelatori planari.Il diametro delle colonne e lo spessore del substrato sono due caratteristicheimportanti del sensore. Il primo influisce sulla capacità, sulla resistenza e sulvalore massimo del campo elettrico. Al diminuire del diametro si ha una di-minuzione della capacità, un aumento della resistenza e un aumento del valoremassimo di campo elettrico: risultato positivo quello iniziale, negativi gli altridue. La capacità inoltre è proporzionale allo spessore del substrato. Si vorrebbespessore minore possibile per diminuire la capacità, ma ciò implica una diminu-zione di carica prodotta dalla particella nel volume e va quindi cercato un giustocompromesso.

3.2 Tipologie di sensori 3DL’architettura dei sensori 3D, caratterizzata da una corta distanza di deriva dovu-ta alla disposizione degli elettrodi, permette di ottenere il completo svuotamentoa basso voltaggio, una rapida raccolta di carica e una maggiore resistenza delsensore alla radiazione.È possibile disporre gli elettrodi in modi diversi in relazione alla forma dei pixel.In figura 3.9 a sinistra sono mostrate tre possibili disposizioni di elettrodi. Perla trattazione dei rivelatori in questa tesi è di particolare importanza la secondadisposizione a partire dall’alto. Infatti i sensori analizzati avranno pixel rettango-lari (50× 400) µm2 con gli elettrodi disposti in modo sfasato. Questo permettedi ridurre la zona morta tra elettrodi dello stesso tipo discussa in precedenza.È anche possibile variare il numero di elettrodi per pixel, aumentando o diminuen-

Figura 3.9: Differente disposizione degli elettrodi (a sinistra) e diverse unioni dielettrodi per pixel (a destra).

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Figura 3.10: Raccolta di carica e noise [7].

do la distanza tra gli elettrodi. In figura 3.9 a destra sono illustrate tre tipologiedi pixel rettangolari (2E, 3E, 4E), differenti per numero di elettrodi. La distan-za tra gli elettrodi influisce innanzitutto sulla raccolta di carica, poichè piccoledistanze permettono la ricombinazione ad una frazione minore di coppie prodot-te per ionizzazione, determinando un maggiore segnale raccolto. Nel grafico asinistra in figura 3.10 è riportato il segnale di carica in funzione della distanzatra gli elettrodi per le tre tipologie mostrate in figura 3.9 a destra. Le misuresono mostrate per due differenti fluenze di irraggiamento del sensore, dalle qualisi può osservare come i danni da radiazione peggiorino la raccolta del segnale.Elettrodi di uno stesso tipo possono essere uniti tra loro per garantire il correttoaccoppiamento con l’elettronica. L’unione di più elettrodi corrisponde a collegarein parallelo le capacità e quindi ad un aumento della capacità totale del sensore.La capacità del pixel influisce sul noise. Nel grafico a destra in figura 3.10 èriportato il noise (Equivalent Noise Charge - ENC) in funzione del voltaggio perle tre tipologie di elettrodi mostrate in figura 3.9 a destra. Si osserva che il noisediminuisce aumentando il voltaggio e aumenta col numero di elettrodi per pixel.Un’altra caratteristica che può essere variata nella costruzione dei sensori è laprofondità delle colonne nel substrato. In figura 3.11 è riportato un esempio disensore a colonna passante e uno con colonne non passanti. I sensori con elettrodipassanti seguono il disegno originale di S.Parker e sono fabbricati a Stanford dal2001 e recentemente anche alla Sintef di Oslo. I sensori a colonna non passantesono progettati e costruiti dalla Fondazione Bruno Kessler (FBK-irst) di Trentoin collaborazione con l’INFN e l’Università di Trento e recentemente anche dalCentro Nazionale di Microelettornica (CNM) di Barcellona.

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.11: A sinistra, sezione traversale di un sensore 3D a colonna passante;a destra, sezione di un sensore a colonne non passanti.

3.3 Le caratteristiche dei sensori 3DL’architettura 3D costituisce un’evoluzione della geometria planare (tabella 3.1),apportando alcuni importanti vantaggi:

1 Superficie degli elettrodi maggiore rispetto alla geometria planare e un valormedio di campo elettrico maggiore rispetto al valore di picco;

2 Gli elettrodi di entrambe le tipologie (p+ o n+) possono essere uniti damateriale conduttore;

3 Distanze brevi (∼ 50 µm) di raccolta della carica generata per ionizzazioneda una particella che attraversa lo spessore del substrato;

4 Basse tensioni di svuotamento;

5 Tempi di raccolta del segnale di un ordine di grandezza inferiori rispettoalla struttura planare. Per tracce parallele all’elettrodo tutte le carichesono raccolte quasi simultaneamente;

6 Aumento della resistenza alla radiazione (radiation hardness);

7 Possibilità di posizionare un elettrodo nel margine laterale del rivelatore, aformare una struttura detta bordo attivo (figura 3.12). In questo modo lelinee di campo elettrico possono terminare correttamente all’elettrodo dibordo e sono garantite:

– la soppressione delle correnti create dal bordo nel sensore planare inragione del non completo svuotamento del sensore (figura 3.12);

– la riduzione a pochi micron dell’area morta del sensore;– l’indipendenza da strutture aggiuntive tipo guard-ring.

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Gli svantaggi dei sensori 3D rispetto ai planari sono la maggiore capacità, lanon uniformità del sensore, in quanto le colonne che attraversano il substrato,per quanto piccole, costituiscono zone di minore efficienza per la produzione delsegnale, e le maggiori difficoltà di produzione.

3D PlanareDepletion voltage < 10 V 70 VEdge sensitivity < 5 µm 500 µm

Charge 1 MIP (300 mm) 24ke− 24 ke−Capacitance 30− 50 fF 20 fF

Collection distance 50 µm 300 µmSpeed 1− 2 ns 10− 20 ns

Tabella 3.1: Caratteristiche delle tecnologie 3D e planare [5][6].

Figura 3.12: Bordo attivo nel sensore 3D (sinistra); bordo del sensore planare(destra).

3.3.1 Radiation hardnessUna particella interagendo nel volume del rivelatore può creare dei danni. Essisono principalmente distinguibili in:

• Danni alla superficie. Sono dovuti alla ionizzazione che si verifica nellostrato di passivazione (SiO2) che ricopre il substrato di silicio. In questostrato la mobilità di elettroni e lacune è notevolmente diversa (µh << µe)e la ricombinazione delle coppie elettrone-lacuna che si vengono a crearesi ha solo in piccola parte, generando alterazioni del campo elettrico nelmateriale.

• Danni al substrato. Essi sono principalmente causati dalla componente diinterazioni non ionizzanti della particella col reticolo cristallino e in generaleprovocano dislocazioni degli atomi con creazione di atomi interstiziali evacanze.

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I sensori 3D al silicio

I danni al substrato si manifestano in diversi modi. Ad esempio, con la formazio-ne di livelli energetici all’interno della banda proibita, che provocano la creazioneo ricombinazione di coppie non possibile altrimenti, oppure le cariche possonosostare per qualche tempo in nuovi livelli e dare origine al fenomeno dell’intrap-polamento. Si può inoltre verificare il cambiamento di tipo del substrato. I dannida radiazione hanno importanti conseguenze negative:

• modifiche della regione di svuotamento;

• incremento della corrente di buio (leakage), ovvero della corrente che fluiscenel sensore in assenza di particelle ionizzanti;

• diminuzione del segnale;

• riduzione della tensione di break-down, ovvero la tensione di bias oltre laquale il rivelatore smette di funzionare e che se è sotto un certo valoreimpedisce di ottenere il completo svuotamento del substrato.

Figura 3.13: Grafico fluenza vs signal efficiency per diverse configurazioni dielettrodi [7].

L’architettura 3D, principalmente in ragione della piccola distanza tra gli elet-trodi, permette di ridurre gli effetti del danno da radiazione. La misura che vaconsiderata è l’efficienza di segnale (signal efficiency - SE) che è il rapporto trail segnale che dovrebbe generarsi nel sensore a causa del passaggio di una parti-cella ionizzante ed il segnale che realmente viene raccolto, il quale è affetto dalleconseguenze dei danni da radiazione. La SE può essere calcolata con la formula[7]:

SE = 11 + (0.6LKτ

φvd

)(3.1)

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dove L è la distanza tra gli elettrodi; Kτ è la costante di danno per l’effettivotempo di intrappolamento; φ è la fluenza di irraggiamento e vd è la velocitàsaturata di drift degli elettroni nel silicio.In figura 3.13 si riporta la misura della signal efficiency in funzione di fluenzeequivalenti di neutroni o protoni, per sensori a colonna passante prodotti a Stan-ford. Sono riportate le curve per le tre configurazioni di elettrodi 2E, 3E e 4Egià introdotte. Si osserva che all’aumentare della fluenza la signal efficiency di-minuisce ma rimane più che accettabile fino a fluenze dell’ordine di 1016 cm−2.Questo è l’ordine di grandezza delle fluenze attese per i rivelatori di vertice diATLAS e CMS dopo l’upgrade di LHC (super Large Hadron Collider - sLHC).Le misure indicano inoltre che l’efficienza di raccolta del segnale è migliore perla configurazione con gli elettrodi più vicini (4E).

3.4 I 3D FBKTra i vari tipi di sensori, vengono qui presentati in maggiore dettaglio i sensoriFBK, che sono oggetto di questa tesi.I sensori 3D studiati dal FBK-irst in collaborazione con INFN ed Università diTrento hanno seguito un’evoluzione legata ai processi produttivi. In sequenza, ledue tipologie prodotte finora sono:

• 3D-STC (Single Type Column): sensori con colonne di un solo tipo dro-gante, penetranti parzialmente il substrato da una sola faccia [8] (figura3.14 a sinistra);

• 3D-DDTC (Double-side Double Type Column): sensori con colonne dientrambi i tipi droganti, penetranti parzialmente il substrato da entrambele facce [10] (figura 3.14 a destra);

I sensori, a parte una limitata produzione iniziale di 3D-DDTC, sono tutti realiz-zati su substrato drogato debolmente p, che ha mostrato maggiore resistenza alleradiazioni rispetto a quello n [11]. In assenza di inversione di tipo del substratodopo l’irraggiamento, le colonne di giunzione restano sempre dalla stessa parteegli elettrodi di readout raccolgono elettroni, che sono più veloci delle lacune ehanno una minore probabilità di intrappolamento.Il sensore 3D-STC ha elettrodi cilindrici n+ con un diametro nominale di 10 µmche penetrano nel substrato da un unico lato e l’altro lato coperto da uno stratodrogato p+. Il maggiore vantaggio dei 3D-STC è la possibilità di incidere e dro-gare le colonne in un solo passaggio, semplificando notevolmente la produzione.Il principale svantaggio è la possiblità di regolare l’intensità del campo elettriconella regione tra le colonne solo attraverso il drogaggio del substrato. In figura

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.14: Esempi di sensore 3D-STC [9] e di sensore 3D-DDTC [10].

3.15 è riportato l’andamento del campo elettrico per due drogaggi di substratodifferenti (1 × 1013 cm−3 e 5 × 1012 cm−3) per una cella di lato 50 µm conelettrodi sui vertici alimentata a 10 V.Successivamente sono stati sviluppati i sensori 3D-DDTC, nell’ottica di sfruttareappieno i vantaggi dell’architettura 3D. Nel sensore 3D-DDTC gli elettrodi cilin-drici, con diametro nominale di 10 µm, penetrano nel substrato da entrambe lesuperfici, ma senza raggiungere quella opposta [12]. Le colonne n+ sono quelledi giunzione e le colonne p+ sono dette ohmiche. Le colonne p+ sono collegatetra loro con un’unica metallizzazione, che costituisce l’elettrodo negativo attra-verso il quale viene fornita al sensore la tensione di bias. Le colonne di giunzionen+ sono isolate tra loro da un impianto p-spray e possono essere collegate insuperficie a gruppi con la metallizazione, ottenendo il pixel. Simulazioni hannomostrato [10] che l’utilizzo di colonne di questo tipo permette di avere presta-zioni comparabili a quelli a colonna passante se la distanza d per cui differisconodallo spessore del wafer è piccola.In figura 3.16 è mostrata la distribuzione di campo elettrico lungo la diagonaledi una cella di lato 40 µm (vedi figura 3.14 a destra) con substrato drogato2× 1012 cm−3 e alimentazione di 16 V. Quattro differenti configurazioni di elet-trodi sono considerati: 1 a colonna passante e 3 a colonne non passanti diversiper la profondità di incisione (d = 25 µm, d = 50 µm e d = 75 µm). Si puòosservare come diminuendo la lunghezza della colonne il campo elettrico non siapiù parallelo agli elettrodi.

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Figura 3.15: Campo elettrico di una cella tipo 3D-STC [9].

In figura 3.17 sono mostrate le simulazioni dei segnali di corrente di una mipincidente a 5 µm dall’elettrodo ohmico per le quattro illustrati configurazioni difigura 3.16. A sinistra si osserva che il segnale di corrente diminuisce con lalunghezza degli elettrodi e la bassa prestazione del 3D-STC.A destra è mostrata la corrente funzione del tempo successivamente ad una irra-diazione 1× 1016 n/cm2. Solo il sensore a colonna passante e quello con d = 25µm sono considerati. Essi sono alimentati da una tensione di 400 V e si notache la corrente ha un maggiore valore di picco e un minore tempo di raccoltarispetto al caso non irradiato.I sensori studiati in questa tesi sono di tipo 3D-DDTC e stati costruiti per ATLAS,con area del singolo pixel (50 × 400) µm2, compatibile con l’elettronica (chipFE-I3), e con 2, 3 o 4 elettrodi per pixel. I rivelatori 3D utilizzati nel test colfascio descritto nel prossimo capitolo, hanno tutti tre elettrodi per pixel.

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.16: Campo elettrico di celle 3D diverse per profondità di incisione deglielettrodi [10].

Figura 3.17: Simulazioni di corrente in funzione del tempo [10].

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CAPITOLO 4

Il test-beam

I dati oggetto di questa tesi sono stati raccolti durante un test-beam al qualeho partecipato nel maggio 2009, che ha avuto luogo nella Nord Area del SuperPositron Sincroton (SPS) al CERN di Ginevra. In questa occasione sono statitestati rivelatori 3D nell’ottica di un loro utilizzo nell’Insertable B-Layer (IBL) diATLAS [13][19]. I rivelatori sono a tecnologia ibrida, ovvero costituiti da sensoreed elettronica prodotti come entità indipendenti e poi accoppiati. L’elettronicadi lettura utilizzata è il chip FE-I3, che nell’esperimento ATLAS è quello per ilrivelatore di tracciamento a pixel.

4.1 L’apparato sperimentaleIl comportamento di alcune tipologie di rivelatori 3D è stato studiato utilizzandoil fascio di pioni carichi della linea H8 dell’SPS nella Nord Area di Prevessin(CERN) tra il 25 maggio e il 2 giugno 2009. I rivelatori erano montati all’internodi un dipolo magnetico e tra gli scopi principali del test vi era lo studio dell’effettodel campo magnetico sui rivelatori, mai provato in precedenza.L’apparato sperimentale era così costituito:

• dipolo magnetico (”Magnete Morpurgo”), con campo B = (1.35 ± 0.10)T;

• 4 rivelatori a pixel (Device Under Test - DUT): 1 planare n-in-n, 1 Stan-ford a colonna passante, 2 FBK DDTC con diversa sovrapposizione tra gli

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Il test-beam

n Nome Tipologia Identità Bias (V)1 Planar planare n-in-n 160 -1502 STA-3E 3D colonna passante 164 -353 FBK-3E7 3D-DTC-2B 168 -84 FBK-3EM5 3D-DTC-2 172 -35

Tabella 4.1: DUT (Device under test) presenti nel test-beam.

elettrodi. In tabella 4.1 sono riportate le identità assegnate ai rivelatori neltest-beam e la tensione di bias applicata;

• telescopio (Bonn ATLAS Telescope - BAT) per la misura delle tracce,costituito da tre piani di rivelatori a micro-strip;

• sistema di trigger: 2 scintillatori e rispettivi discriminatori, 1 veto e rispet-tivo discriminatore, 1 unità di coincidenza e 1 trigger logic unit (TLU);

• sistema di acquisizione: 1 ECL-Nim-ECL, 4 TPCC, 1 TDC, 1 VME Crate,1 DAQ PC;

• cooling box.

In figura 4.1 viene illustrato lo schema dell’apparato sperimentale. Il telescopioed i DUT erano collocati all’interno del magnete nella regione centrale, a campomagnetico costante, e inoltre i DUT erano posti all’interno di una cooling box.Il fascio di pioni carichi aveva energia 180 GeV. I pioni sono particelle pesantiche permettono di trascurare la deviazione dalla direzione incidente dovuta alladiffusione multipla nello spessore di silicio e in aria. In assenza di campo magne-tico è possibile considerare la direzione di propagazione dei pioni rettilinea.Il fascio attraversando l’apparato sperimentale incontrava lungo il tragitto: i duescintillatori, il primo piano del telescopio, i DUT nell’ordine indicato in tabella4.1, il secondo ed il terzo piano del telescopio ed il veto. Il veto è uno scintillatorecon un foro circolare nel centro (figura 4.2). Mettendo in coincidenza tra loro isegnali provenienti dagli scintillatori e in anticoincidenza il segnale del veto erapossibile selezionare le particelle del fascio. Se la particella interagiva con i duescintillatori e non interagiva col veto (cioè era passata nel suo foro) allora un’u-nità di coincidenza inviava un segnale ad una unità logica di trigger e l’eventoveniva selezionato.L’acquisizione dei dati era affidata ad un sistema detto TurboDAQ [18], che ac-quisiva da ciascun piano del telescopio e da ciascun DUT i dati presenti all’istantedel segnale di trigger.L’uso di due scintillatori in coincidenza elimina il problema di selezionare raggi

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Figura 4.1: Apparato sperimentale utilizzato per il test su fascio.

Figura 4.2: Veto e apparato sperimentale all’interno del magnete.

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Il test-beam

cosmici e l’aggiunta del veto garantisce che le particelle per cui si genera il segna-le abbiano una traiettoria rettilinea. Poichè l’accensione del magnete determinauna curvatura nella traiettoria del fascio dovuta alla forza di Lorentz, era neces-sario riallineare il veto perchè il fascio altrimenti non sarebbe più stato centratonel suo foro.

4.1.1 Il telescopioI rivelatori del telescopio (BAT) [14] fornivano la posizione della particella incorrispondenza dei piani, rendendo possibile la ricostruzione della sua traiettoriacon una risoluzione di 5.5 µm. Utilizzando il telescopio è stato possibile effettuaremisure di efficienza e risoluzione spaziale di un DUT, estrapolando la traccia sulpiano del rivelatore.I piani del BAT sono tre. Ciascun piano è formato da un rivelatore a micro-stripdi silicio, di passo 50 µm, segmentato su entrambe le facce, e dalla relativaelettronica di front-end. Il rivelatore ha un’area di (3.2× 3.2) cm2 per un totaledi 640 strip su ciascuna faccia. Le strip sulle due facce formano un angolo di π/2.L’elettronica di front-end è costituita da un circuito integrato di 128 canali, dotatidi preamplificatori di carica, shaper e strutture circuitali per la lettura analogicaseriale e per operazioni di calibrazione. Per ciascun rivelatore sono necessarie 10schede di lettura. Ciascun modulo acquisisce, digitalizza e processa gli eventi inmodo autonomo e ha un proprio alimentatore.Quando il segnale dell’unità di coincidenza arrivava alla TLU, un segnale di triggerera inviato ai piani del telescopio. Gli eventi venivano immagazzinati in unamemoria interna e quando ne era stato accumulato un certo numero, il modulosegnalava al sistema di acquisizione di leggere l’intero contenuto della memoria,azzerandola successivamente.

4.2 I DUTI rivelatori esaminati in questa tesi sono rivelatori a pixel a tecnologia ibrida.È chiamato a tecnologia ibrida un rivelatore costituito da sensore ed elettronicacostruiti come entità indipendenti e successivamente uniti. In questa tecnologia ilsensore è la parte del rivelatore in cui ha luogo l’interazione con la radiazione. Lìsi genera il segnale che verrà elaborato successivamente dall’elettronica in modoche possa essere acquisito. La tecnologia ibrida presenta i seguenti vantaggi:

• essendo il sensore ed il chip separati, materiali diversi dal silicio possonoessere usati per il sensore;

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Figura 4.3: Tecnologia ibrida creata mediante bump-bonding.

• permette di controllare i componenti durante l’assemblaggio attraversopassaggi intermedi;

• il chip, il sensore e le tecnologie di interconnessione tra i due sono ingenerale processati a livello industriale, o possono essere industrializzati.

La tecnologia utilizzata per unire il sensore all’elettronica è il bump-bonding(figura 4.3). Questa tecnica permette di creare un’alta densità di connessioni(∼ 5000 cm−2) e consiste nei seguenti passaggi:

• deposito di gocce di metallo nella connessione di input (output) dell’elet-tronica (sensore);

• l’accoppiamento del sensore con l’elettronica in modo che ciascun canaledi elettronica corrisponda al corrispettivo pixel del sensore.

L’accoppiamento dei pixel del sensore con il corrispettivo canale di elettronicarende necessario che la geometria dei due dispositivi sia la stessa. I rivelatoriibridi analizzati in questa tesi sono quattro, come riassunto in tabella 4.1. Si notiche tutti i rivelatori 3D testati hanno tre elettrodi collegati per pixel. I quattroDUT differiscono per il tipo di sensore ma utilizzano tutti la stessa elettronica:il chip FE-I3.

4.2.1 ATLAS pixel readout chip (FE-I3)L’elettronica di lettura (readout) è un elemento fondamentale del rivelatore. Essainfluisce in modo cruciale sulle prestazioni, tanto quanto il sensore.La filosofia del readout, i circuiti analogici, i diversi blocchi costruttivi e le loro

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Il test-beam

Figura 4.4: Periferia e area attiva del chip [15].

caratteristiche sono comuni alla maggior parte dei disegni costruttivi dei chip.Il chip FE-I3 è costruito con un processo standard 0.25 µm CMOS con un’im-postazione che garantisce resistenza alla radiazione e segue le linee generali diprogettazione per questo tipo di elettronica [15]. Il chip può essere diviso in dueparti:

• area attiva: contiene una matrice di celle unitarie per pixel (PUC). Ciascunadi queste serve un pixel del sensore attraverso connessioni bump-bond;

• periferia del chip: vi sono collocate le funzioni comuni ai vari pixel e visono memorizzati i dati.

Nella periferia sono presenti i controlli responsabili delle comunicazione del chipcol mondo esterno. Sempre nella periferia è importante segnalare la presenza diun generatore di impulsi analogico per verificare il chip attraverso l’iniezione diuna carica conosciuta.L’area attiva ed il sensore hanno la stessa dimensione, così che sia garantito ilcorretto accoppiamento per bump-bonding. Il chip FE-I3 è costituito da 2880PUC disposte in 18 colonne e 160 righe. Le colonne sono raggruppate in coppieche condividono un unico bus di segnale. Ciascuna PUC ha dimensioni (50×400)

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µm2 e l’area attiva è quindi pari a (7.2× 10.8) mm2.La PUC è costituita da una parte analogica ed una digitale.La PUC che ha effettuato una lettura, ovvero ha raccolto un segnale provenientedal sensore attraverso il bump-bond, abilita un flag. Un’unità di controllo logico(Column Control Logic), comune a tutti i pixel della doppia colonna, acquisisce idati delle PUC con flag attivata, in base all’ordine temporale con cui sono stateattivate, e li salva nel registro chiamato End-of-Column (EoC). Acquisiti i datidalla PUC, essa viene azzerata.I dati rimangono nel registro EoC per un periodo di latenza regolabile, una voltatrascorso il quale, viene confrontato l’istante in cui è avvenuto il rilevamento conil tempo a cui lo si sarebbe aspettato (sotto forma di trigger lv1). Se il confrontoè favorevole, il dato viene trasferito in un registro seriale dal quale infine vieneacquisito.Il chip utilizza nelle operazioni elencate 3 differenti segnali esterni:

• clock a 40 MHz;

• trigger lv1;

• sincronizzazione per svuotare i registri interni.

Il consumo per canale deve minimizzare il calore dissipato nell’area attiva e nelcaso del chip FE-I3 vale 40 µW.

4.2.2 La parte analogica della PUCLa parte analogica amplifica il segnale di carica proveniente dal sensore, determinal’istante in cui è avvenuto il rilevamento e misura il valore dell’ampiezza delsegnale. Per questi motivi essa è particolarmente influente per le prestazioni delrivelatore. Essendo la parte analogica l’elemento più importante della PUC, siriportano gli elementi costituenti ed il suo funzionamento (figura 4.5).La carica depositata nel sensore entra nel circuito attraverso la connessione bump-bond. Un amplificatore invertente con una capacità di feedback (Cf ' 6.5 fF)trasforma la carica in input in un voltaggio. La scelta del valore della capacitàdi feedback è un compromesso tra: guadagno di carica, impedenza in input,velocità, stabilità e uniformità dei canali (matching). La salita del segnale inoutput dal preamplificatore, per un segnale istantaneo di carica, dipende dalguadagno (gain) fissato compatibilmente all’ampiezza della banda degli input.Un circuito di feedback è necessario per definire l’operatività del preamplificatore.La capacità di feedback è scaricata da una corrente costante in modo da ottenereun impulso triangolare, detto a dente di sega, con una lunghezza proporzionalealla carica di input (figura 4.6).

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Il test-beam

Figura 4.5: Parte analogica del PUC [16].

Segnali di output dall’amplificatore di carica entrano in ingresso in un compa-ratore. Il comparatore confronta la tensione in ingresso con un valore di soglia.Il tempo di risposta del comparatore è una caratteristica importante nelle ap-plicazioni in cui il tempo di arrivo del segnale deve essere determinato con altaprecisione (es. LHC).Un’ulteriore componente della parte analogica è un circuito di compensazione.Esso serve per eliminare tutta o una parte della corrente di leakage, cioè lacorrente che fluisce nel sensore in assenza di particelle ionizzanti. Il circuito dicompensazione sottrae un valore fisso di corrente, determinato misurando la cor-rente di leakage.Per verificare il funzionamento dei singoli canali, sono inserite nella parte inizialedella catena elettronica delle capacità ben definite. Iniettando una carica nota sicontrolla la risposta del circuito.Per ottenere una risposta uniforme da ciascuna PUC occorre che corrente difeedback e tensione di soglia siano impostate correttamente. Variazioni casualinell’area attiva rendono necessario inserire regolazioni fini in ogni canale: i trim.Esse agiscono in modo fine su valori globali.I valori globali a loro volta devono essere impostati in modo corretto. La correntedi feedback deve evitare saturazione del preamplificatore e contemporaneamentenon essere veloce: il condensatore inizierebbe a svuotarsi prima che sia statocaricato completamente. Il valore di soglia del discriminatore deve essere moltomaggiore del noise del preamplificatore e contemporaneamente molto minore deivalori dei segnali rilevabili. Per i rivelatori in esame la soglia è posta a 3200 e−e il noise è stato valutato a circa 200 e− [12].

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Figura 4.6: Segnale di output del preamplificatore (in alto) e del discriminatore(in basso).

Conseguenza dell’elettronica descritta è la proporzionalità tra la lunghezza delsegnale in uscita dal discriminatore e la carica generata da particelle ionizzantinel sensore. Questo segnale è chiamato Time-over-Threshold (ToT), essendo iltempo per il quale il segnale permane al di sopra della soglia del discriminatore,ed è misurato in unità di clock del bunch-crossing di LHC (25 ns). Siccome ilToT dipende dalla forma del segnale a dente di sega, è possibile calibrarlo per unopportuno segnale di carica. Scegliendo valori opportuni di corrente di feedbacksi influisce sulla rampa di discesa, mentre i valori della soglia del discriminatoreinfluiscono sul valore minimo di segnale rivelabile. La rampa di salita del segnale,che dipende dalla rapidità del preamplificatore, non è un parametro regolabile.Per i rivelatori in esame l’elettronica è stata calibrata in modo che 60 ToT corri-spondano ai 20 ke− prodotti da una mip nel sensore planare di spessore 250 µm.Per il tempo di durata del segnale la PUC rimane inattiva: questo intervallo èdetto tempo morto. Esso definisce il maximum hit rate, ovvero il numero mas-simo di hit processabili per unità di tempo. Al LHC, nonostante si abbia un’altafluenza di particelle, la probabilità di avere un’interazione in un pixel per bunch-crossing è di 10−4. La bassa probabilità rende accettabile il valore scelto di 60ToT.

4.2.3 I sensori 3D-DTC-2 e 3D-DTC-2BI rivelatori considerati nell’analisi presentata in questa tesi sono i sensori 3D-DDTC prodotti alla FBK-irst di Trento. I due sensori appartengono a partite diproduzione differenti. Nella prima (luglio 2008) è stato costruito il 3D-DTC-2 enella seconda (aprile 2009) il 3D-DTC-2B [12]. In entrambi i sensori le colonnesono state prodotte col metodo DRIE (Deep Reacting Ion Etching), ma per il3D-DTC-2 questa operazione è stata svolta al IBS mentre per il 3D-DDTC-2B è avvenuta direttamente alla FBK. La differente produzione ha fatto si che

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i due sensori differiscano per lo spessore di sovrapposizione delle colonne. Intabella 4.2 sono riportate le caratteristiche costruttive dei due sensori. Essendole colonne incise tramite corrosione del silicio, in effetti non se ne conosce l’esattaprofondità. CapacitÃă e correnti di leakage sono relative a misure su diodi ditest 3D. Entrambi i sensori hanno tre elettrodi per pixel e sono stati accoppiatial chip FE-I3 attraverso bump-bonding dalla ditta SELEX S.I. [17].

Parametri 3D-DTC-2 3D-DTC-2BSpessore del substrato µm 200 200

Spessore della colonna di giunzione (n+) µm 100− 110 140− 170Spessore della colonna ohmica (p+) µm 180− 190 180− 190

Sovrapposizione delle colonne µm 90− 100 110− 150Concentrazione del drogaggio nel substrato cm−3 1× 1012 7 × 1011

Tensione di svuotamento laterale V 3 1− 2Tensione di svuotamento totale (Vdepl) V 12 3− 4

Corrente di leakage per Vdepl pA/colonna < 1 < 1Capacità vs backplane fF/colonna 35 45− 50Tensione di break down V > 70 > 70

Tabella 4.2: Principali caratteristiche costruttive [12][17].

4.3 La presa datiIl sistema di acquisizione utilizzato per la presa dati è stato il sistema TurboDAQ,sviluppato dalla collaborazione ATLAS specificatamente per i test.Sono stati acquisiti ∼ 700 run, in quattro diverse configurazioni, ciascuno di circa10000 eventi per avere una buona statistica di traiettorie ricostruibili. Il tempo diacquisizione di un run era variabile, dipendendo dall’intensità del fascio, ed avevaun valore minimo dovuto dal maximum hit rate dell’elettronica di acquisizione,stimato sui 60 Hz. La durata dell’erogazione di protoni dal SPS era ∼ 10 s,corrispondenti a ∼ 500 eventi acquisiti, e il tempo di acquisizione di un run eradi circa 15 minuti.Di tutti gli eventi raccolti, solo quelli in cui la particella interagiva con tutti etre i piani del telescopio sono stati utilizzati. Per gli eventi selezionati venivaricostruita la traiettoria della particella con un fit per i tre punti dei piani deltelescopio.L’acquisizione era costantemente monitorata attraverso il Data Quality Monitor(DQM) on-line, in particolare per tenere sotto controllo la perdita di sincroniz-zazione tra i piani del telescopio e i DUT. A questo fine veniva controllata la

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Figura 4.7: Grafici per il controllo della correlazione.

Campo magnetico AngoloOFF 0ON 0ON π/12OFF π/12

Tabella 4.3: Differenti configurazioni di presa dati.

Figura 4.8: Inclinazione dei DUT rispetto al fascio.

correlazione tra due dei 7 possibili dispositivi, 3 piani del telescopio e 4 rivelatori.La corretta sincronizzazione tra i due dispostivi A e B si osservava con il plot intempo reale di figura 4.7. Nella figura di sinistra sull’asse delle ascisse è riportatala coordinata x dell’hit nel rivelatore A e nell’asse delle ordinate la coordinata xin cui si è rivelato l’hit nel rivelatore B. Nella figura di destra invece sugli assisono riportate le coordinate y. La correlazione, e quindi la sincronizzazione tra idue piani, era visualizzata da una retta.La presa dati è avvenuta con quattro diverse configurazioni, in cui è stato va-riato l’angolo di inclinazione dei rivelatori rispetto al fascio e attivato o menoil campo magnetico. Le differenti configurazioni sono riportate in tabella 4.3.L’inclinazione dei rivelatori rispetto al fascio lungo il lato corto del pixel (figura4.8) è stata scelta per simulare una delle possibili configurazioni nella quale sa-ranno montati i dispositivi sul Insertable B-layer (IBL). Il campo magnetico eraorientato parallelalmente al lato lungo del pixel e rivolto verso il basso.

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CAPITOLO 5

Analisi dei dati

I rivelatori analizzati in questa tesi sono quelli che montano i sensori 3D-DTC-2e 3D-DTC-2B. (Benchè i rivelatori siano a tecnologia ibrida, in questo capitolo itermini sensore e rivelatore verranno utilizzati come sinonimo).Obiettivo dell’analisi è lo studio delle prestazioni dei rivelatori nelle diverse confi-gurazioni, per valutare in particolare l’effetto del campo magnetico e dell’inclina-zione rispetto al fascio. L’analisi ha riguardato: il Time-over-Threshold, ovverolo studio della carica raccolta nel pixel; il charge sharing, cioè la suddivisione dicarica tra i pixel; i residui; l’efficienza. Nell’analisi non è stata considerata laregione di bordo dei sensori, priva comunque per i sensori in esame dell’impiantodetto bordo attivo. Rispetto alla matrice completa di 160 righe × 18 colonne, èstata studiata la regione tra le righe 2− 152 e le colonne 2− 16, tutte con pixelstandard di (50× 400) µm2.I dati raccolti dal sistema di acquisizione sono stati dapprima elaborati col pro-gramma di ricostruzione e sottoposti alle procedure di allineamento, ottenendofile .root per ciascun run, contenenti le tracce ricostruite. A partire dai file .root[20] è stata poi effettuata l’analisi presentata in questo capitolo. In tale analisisono ottenuti risultati preliminari inseriti in un più ampio lavoro tuttora in corsosvolto da un gruppo di ricerca al quale del quale ho fatto parte.

5.1 Il programma di analisiL’analisi dati è stata svolta con un codice object-oriented implementato in ROOT.Il programma prende in input l’intervallo di run che si desidera analizzare e at-

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Analisi dei dati

Figura 5.1: File .root ottenuto dal programma di ricostruzione.

traverso una serie di loop con appropriate subroutine viene effettuata l’analisi.Ciascuna subroutine rappresenta un aspetto del sensore che si desidera indagareed estende da una classe madre. In questo modo in ciascuna subroutine si ha unastruttura comune che viene specializzata in base alle esigenze. Questo permettela creazione di un array di subroutine che può essere iterato sui dati.I file utilizzati nell’analisi sono in formato .root, uno per ciascun run, e contengo-no le tracce ricostruite. In figura 5.1 è riportato l’albero che mostra la strutturadel file e in tabella 5.1 sono elencate le principali variabili utilizzate nell’analisi.A ciascun oggetto Track è associato il numero di trigger (trig) e il χ2 (ct).nPllHit è il vettore che contiene tutti i dati dei pixel (pllHit) che hanno ef-fettuato una lettura all’istante di trigger. La variabile pllHit.iden rappresental’identità del rivelatore a cui il pixel appartiene, la variabile pllHit.tot è ilToT registrato dal pixel, pllHit.col e pllHit.row sono le coordinate del pixelnella matrice. L’array nTrackParams contiene i valori dei punti di intersezionedella traccia con i DUT (trackParams). trackPrams.params[5] è un arraycontenente:

x, y, dxdz,dy

dz,Q

dove le variabili x e y sono le coordinate di intersezione delle tracce col pianodel DUT, dx/dz e dy/dz definiscono l’inclinazione delle tracce rispetto all’assedi propagazione del fascio e Q è il raggio di curvatura.

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trig numero di trigger associato alla tracciaiden numero di identificazione associato al DUTct χ2 associato alla traccia

nPllHit array contenente i pixel del DUT illuminati al momento del hitnTrackParams array delle coordinate del punto di intersezione traccia-DUT

pllHit oggetto contenente le informazioni sul pixel colpito (ToT, col, row...)trackParams oggetto contenente le coordinate del punto di intersezione traccia-DUT

Tabella 5.1: Principali variabili del file .root .

5.2 I run

La presa dati è suddivisa in run di circa 10000 trigger ciascuno, ma solo i triggerassociati a particelle che hanno interagito con tutti i piani del telescopio sonoutilizzati per la ricostruzione della traccia. Inoltre, di tutte le tracce ricostruite,solo quelle che passano attraverso l’area dei DUT sono utilizzabili per l’analisidati.È importante definire l’accettanza per verificare il numero di tracce effettivamenteutilizzabili. Essa è definita come:

Acceptance = Tracks− inside− the− sensor − areaReconstructed− tracks

(5.1)

In tabella 5.2 e 5.3 sono riportati i run associati alle diverse configurazioni di presadati e le accettanze dei rivelatori. Come esempio, per la sola configurazione B=offA=0, in figura 5.2 sono mostrate le coordinate, estrapolate al piano del DUT3D-DTC-2, delle tracce ricostruite coi piani del telescopio, che permettono diindividuare la posizione del rilevatore rispetto al fascio e di valutarne l’accettanza.

3D-DTC-2Configuration Run range Acceptance TracksB=off ; A=0 600÷ 802 19.3% ∼ 4.30× 105

B=off ; A=15 1241÷ 1306 38.5% ∼ 1.99× 105

B=on ; A=0 803÷ 997 33.2% ∼ 3.28× 105

B=on ; A=15 1000÷ 1203 39.8% ∼ 5.41× 105

Tabella 5.2: Intervalli di run associati alle diverse configurazioni di presa dati eaccettanze del rivelatore 3D-DTC-2.

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Analisi dei dati

3D-DTC-2BConfiguration Run range Acceptance TracksB=off ; A=0 600÷ 802 19.4% ∼ 3.25× 105

B=off ; A=15 1241÷ 1306 31.3% ∼ 1.82× 105

B=on ; A=0 803÷ 997 35.2% ∼ 3.48× 105

B=on ; A=15 1000÷ 1203 41.0% ∼ 5.57 × 105

Tabella 5.3: Intervalli di run associati alle diverse configurazioni di presa dati eaccettanze del rivelatore 3D-DTC-2B.

X (micron)-6000 -4000 -2000 0 2000 4000 6000 8000

Y (

mic

ron

)

-5000

0

5000

10000

15000

20000

beamPosition2D

Figura 5.2: Posizione del fascio rispetto al rivelatore 3D-DTC-2, per alcuni rundella configurazione B=off A=0.

5.3 Time-over-ThresholdIl Time-over-Threshold (ToT) costituisce la quantità fondamentale ottenuta dal-l’elettronica di acquisizione ed il suo valore è dato in unità di 25 ns, che èl’intervallo di bunch-crossing del LHC. Il ToT fornisce una misura della caricaprodotta dalla particella ionizzante nel sensore. La sua dipendenza dalla carica èun aspetto importante da conoscere se si vuole indagare la ionizzazione prodottadalla particella nel sensore. Per ottenere il valore di carica raccolto nel sensoreoccorre partire dal valore di calibrazione dell’elettronica, che si ricorda essere 60ToT per una mip che produce 20 ke− nel sensore planare di spessore 250 µm.Questo non è sufficiente a consentire l’accurata conversione del segnale da ToTin carica. A questo fine è stata eseguita per tutti i pixel una completa proceduradi calibrazione inettando nell’elettronica una carica nota e misurando il ToT cor-rispondente. La dipendenza può considerarsi con buona approssimazione lineare

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3D-DTC-2 3D-DTC-2BSpessore d (µm) 200 200

Valore atteso (ToT) 48 48

Tabella 5.4: ToT attesi per la configurazione B=off A=0.

nell’intervallo di valori di ToT di interesse.Quando una particella interagisce col sensore produce della carica che può esse-re raccolta su più pixel. Per conoscere la totalità della carica prodotta occorresommare il valore del ToT di tutti i pixel coinvolti nella raccolta (illuminati):sumTot. Nella figura 5.3 è mostrata, per le quattro configurazioni di presa dati,la distribuzione di sumTot per il rivelatore 3D-DDTC-2, mentre nella figura 5.4sono riportati gli istogrammi relativi al sensore 3D-DTC-2B. Alle distribuzioni èsovrapposto, sul 90% dell’area partendo da destra, un fit a una distribuzione diLandau. Per confronto in tabella 5.4 sono riportati i valori di aspettazione diToT calcolati tramite la proporzione:

d

250 = ToTexp60

dove d è lo spessore del sensore, 250 lo spessore in micron del DUT planare,60 il ToT di calibrazione e ToTexp il valore di aspettazione, calcolato rispetto alsensore planare di riferimento.Considerando inizialmente la configurazione B=off A=0, si può osservare che ilvalore più probabile di ToT misurato per il rivelatore 3D-DTC-2, Most Proba-ble Value (MPV)=46.7, è leggermente inferiore a quello atteso mentre il valoremisurato per il rivelatore 3D-DTC-2B, MPV=35.5, risulta molto più basso, siarispetto a quello atteso sia rispetto al 3D-DTC-2. Una possibile spiegazione pervalori leggermente inferiori a quelli attesi può essere individuata in una minoreefficienza di raccolta del segnale dovuta al fatto che i sensori 3D FBK non sonoa colonna completamente passante. Per una possibile spiegazione del valore cosìbasso per il sensore 3D-DTC-2B bisogna invece ricordare che ad esso era appli-cata una tensione di bias di soli -8 V perchè, per ragioni ancora sotto indagine,la sua tensione di break-down dopo il bump-bonding si è ridotta a circa −10 V.Questi valori vanno confrontati con quelli del 3D-DTC-2, alimentato a −35 Vavendo una tensione di break-down oltre i −70V. −8 V è un valore sufficiente asvuotare completamente il sensore 3D-DTC-2B ma evidentemente non permetteuna raccolta completa della carica.Considerando ora le diverse configurazioni di run per il rivelatore 3D-DTC-2, sipuò osservare che l’inclinazione del sensore rispetto al fascio fa diminuire il va-lore di MPV mentre l’attivazione del campo magnetico lo incrementa. Ciò è

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Analisi dei dati

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

500

1000

1500

2000

2500

Fit paramsConstant 1.49e+04MPV 4.41e+01Sigma 3.75e+00

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

500

1000

1500

2000

2500

sumTot Fit paramsConstant 1.40e+04MPV 4.67e+01Sigma 4.60e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

sumTot Fit paramsConstant 4.52e+04MPV 4.81e+01Sigma 4.83e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

4500

sumTot Fit paramsConstant 2.46e+04MPV 4.51e+01Sigma 5.36e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

sumTot Fit paramsConstant 6.51e+04MPV 4.66e+01Sigma 5.13e+00

sumTot

Figura 5.3: Distribuzioni del ToT per il rivelatore 3D-DTC-2, per le configurazio-ni: B=off A=0 (in alto a sinistra); B=on A=0 (in alto a destra); B=off A=π/12(in basso a sinistra); B=on A=π/12 (in basso a destra).

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

Fit paramsConstant 3.67e+04MPV 3.34e+01Sigma 3.17e+00

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

sumTot Fit paramsConstant 3.68e+04MPV 3.55e+01Sigma 3.89e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

18000

20000

sumTot Fit paramsConstant 1.13e+05MPV 3.54e+01Sigma 3.81e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000

Fit paramsConstant 4.82e+04MPV 2.38e+01Sigma 3.40e+00

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

sumTot Fit paramsConstant 6.17e+04MPV 3.37e+01Sigma 3.96e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

18000

20000

22000

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

sumTot Fit paramsConstant 1.91e+05MPV 3.39e+01Sigma 3.92e+00

sumTot

Figura 5.4: Distribuzioni del ToT per il rivelatore 3D-DTC-2B, per le configu-razioni: B=off A=0 (in alto a sinistra); B=on A=0 (in alto a destra); B=offA=π/12 (in basso a sinistra); B=on A=π/12 (in basso a destra).

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principalmente in relazione al diverso percorso all’interno del sensore della parti-cella interagente. La configurazione B=on A=π/12 determina un valore di MPVmolto prossimo a quello del caso B=off A=0, ad indicare che un’opportuna incli-nazione del sensore è in grado di compensare la riduzione della raccolta di caricadovuta alla presenza del campo magnetico.Per il sensore 3D-DTC-2B si può osservare che tutte le configurazioni di rundeterminano una riduzione del valore di MPV rispetto al caso B=off A=0 maquanto detto sopra impedisce di trarre ulteriori considerazioni.

5.4 Charge sharingIl charge sharing è la suddivisione della carica prodotta dalla particella ionizzantetra più pixel. Può essere dovuto al passaggio della particella all’interno di piùpixel oppure alla modifica del drift delle cariche ionizzate a causa dell’angolo diLorentz prodotto da un campo magnetico.In assenza di campo magnetico, gli effetti di charge sharing per una particella cheincide con una direzione normale al pixel sono dovuti al suo passaggio sul bordodel pixel, poichè esso risente del campo elettrico generato dai pixel adiacenti.Questo ha come effetto la raccolta della carica su più pixel. Per una particellache incide non perpendicolarmente alla superfice del DUT, il charge sharing èdovuto al passaggio della stessa attraverso più pixel. Nel percorso all’interno delsensore non solo viene attraversato uno spessore maggiore di substrato rispettoad una particella normale alla superficie, ma l’attraversamento diagonale dellospessore implica che la traccia non sia contenuta interamente in un pixel.Mettere un sensore all’interno di un campo magnetico implica che la carica pro-dotta per ionizzazione dalla particella sia soggetta ad una forza di Lorentz cheinfluisce sul suo percorso. Questo può modificare la raccolta di carica in un pixel,favorendo il passaggio di una frazione sostanziale di carica nei pixel adiacenti.Il charge sharing ha come conseguenza che il passaggio di una particella all’in-terno del sensore genera un segnale di ToT in più pixel (cluster). Questo è uneffetto di cui si deve tenere conto soprattutto nei rivelatori di posizione, infattiin presenza di charge sharing non è possibile associare ad una traccia un unicopixel, ma nello stesso tempo il charge sharing può essere utilizzato in algoritmidi ricostruzione del punto di impatto della particella, migliorando la risoluzionespaziale del rivelatore.L’istogramma che mostra i cluster di pixel illuminati, intitolato Cluster with firedpixel, è ottenuto contando per ogni hit nel DUT quanti pixel hanno un ToT di-verso da zero. L’istogramma bidimensionale di charge sharing mappato sul pixel,intitolato Charge sharing pixel map, mostra invece la frazione sul totale di caricaionizzata dalla particella che è raccolta all’esterno del pixel alla cui superficie ha

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Analisi dei dati

interagito la particella, in funzione del punto di impatto sul pixel. A tale scoposi è utilizzata la seguente relazione:

QShare = sumToT − hitToTsumToT

(5.2)

dove sumToT è la somma di tutti i ToT del cluster di pixel associati al hit ehitToT è il ToT corrispondente al pixel di impatto della particella.In figura 5.5 sono riportati gli istogrammi di cluster del sensore 3D-DTC-2 nellediverse configurazioni, mentre in figura 5.7 sono mostrati quelli del sensore 3D-DTC-2B.Il rivelatore 3D-DTC-2 nella configurazione B=off A=0 ha una prevalenza dicluster costituiti da un solo pixel, prevalenza che si mantiene anche dopo l’ac-censione del campo magnetico. Questo significa che i pixel hanno una raccoltadi carica che rende pressochè ininfluente l’effetto della forza di Lorentz dovutaal campo magnetico sulle cariche ionizzate. Ruotando il sensore, a campo ma-gnetico spento, si osserva che il cluster dominante è quello costituito da duepixel. Le particelle, infatti, non incidendo perpendicolarmente alla superficie delDUT hanno traiettorie che non sono contenute tutte all’interno di un singolopixel ma prevalentamentente in due. Anche nella configurazione B=on A=π/12è possibile osservare la prevalenza di cluster di due pixel, ad ulteriore confermadella non influenza del campo magnetico sul charge sharing.Il rivelatore 3D-DTC-2B si comporta in modo analogo al 3D-DTC-2, ma la mino-re alimentazione di bias implica una raccolta di carica meno efficace. È possibileinfatti notare una minore prevalenza dei cluster a due pixel quando il sensore èruotato.I cluster con tre o quattro pixel sono in generale relativi a quelle tracce che inci-dono sui vertici dei rivelatori.In figura 5.6 sono riportati gli istogrammi di charge sharing mappato sul pixelper il sensore 3D-DTC-2 nelle diverse configurazioni, mentre in figura 5.8 sonomostrati quelli per il sensore 3D-DTC-2B.Il rivelatore 3D-DTC-2 nella configurazione B=off A=0 presenta una regione abasso valore di charge sharing ampia e le aree di maggiore charge sharing si os-servano solo in corrispondenza dei bordi. Un’eccezione si ha sul margine sinistroe ciò è dovuto fatto che nel bordo sinistro non sono presenti gli elettrodi ohmiciche favoriscono il charge sharing. In presenza di campo magnetico il minor chargesharing si presenta invece sul bordo destro, effetto causato dall’angolo di Lorentza cui sono soggette le particelle. La rotazione del sensore, sia a campo magneticoacceso che spento, determina una diminuzione dell’area centrale a basso chargesharing. Le particelle, infatti, non incidendo perpendicolarmente alla superficiedel DUT hanno traiettorie che non sono contenute tutte all’interno di un singolopixel. Il sensore 3D-DTC-2B mostra lo stesso comportamento del sensore 3D-

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cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

Figura 5.5: Cluster di pixel illuminati per il sensore 3D-DTC-2, per le configu-razioni: B=off A=0 (in alto a sinistra), B=on A=0 (in alto a destra), B=offA=π/12 (in basso a sinistra), B=on A=π/12 (in basso a destra).

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

0.16

0.18

0.2

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

0.5

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

Figura 5.6: Charge sharing mappato sul pixel per il sensore 3D-DTC-2, per leconfigurazioni: B=off A=0 (in alto a sinistra), B=on A=0 (in alto a destra),B=off A=π/12 (in basso a sinistra), B=on A=π/12 (in basso a destra).

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Analisi dei dati

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

Figura 5.7: Cluster di pixel illuminati per il sensore 3D-DTC-2B, per le confi-gurazioni: B=off A=0 (in alto a sinistra), B=on A=0 (in alto a destra), B=offA=π/12 (in basso a sinistra), B=on A=π/12 (in basso a destra).

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

0.16

0.18

0.2

0.22

0.24

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

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50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

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0.2

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micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

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Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

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0.2

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0.3

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0.4

0.45

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

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Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

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micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

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50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

Figura 5.8: Charge sharing mappato sul pixel per il sensore 3D-DTC-2B, per leconfigurazioni: B=off A=0 (in alto a sinistra), B=on A=0 (in alto a destra),B=off A=π/12 (in basso a sinistra), B=on A=π/12 (in basso a destra).

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0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

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0

5

10

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35

40

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Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

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0

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20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

Figura 5.9: Charge sharing mappato sul pixel per il sensore planare, per leconfigurazioni: B=off A=0 (a sinistra), B=on A=0 (a destra).

DTC-2.Per confronto con i rivelatori 3D, in figura 5.9 sono riportati i grafici di char-ge sharing mappato sul pixel per il sensore planare, per le configurazioni B=offA=0 e B=on A=0. Per il sensore planare l’effetto del campo magnetico sulcharge sharing è rilevante, a differenza di quanto osservato nel caso dei sensori3D. Questa differenza è attesa ed è dovuta alla diversa direzione, sostanzial-mente ortogonale, che hanno le linee di campo elettrico nelle due architetture.Considerata la direzione del campo magnetico in cui i rivelatori erano immersi,ortogonale al campo elettrico del sensore planare, il moto delle cariche prodottesubisce un effetto molto diverso nei due casi, effetto che cambia la raccolta dicarica nel sensore planare mentre non la modifica sostanzialmente nel caso deisensori 3D.

5.5 Risoluzione spazialeLa misura dei residui è un fattore chiave per la definizione della risoluzione spazia-le del rivelatore. La risoluzione spaziale dipende principalmente dalle dimensionidei pixel, che sono (400×50) µm2, conseguenza della grande precisione richiestain ATLAS alla coordinata misurabile col lato corto. Per migliorare la risoluzionefinale del rivelatore si usano soluzioni legate alla modalità di readout, all’algorit-mo di ricostruzione del hit ed al charge sharing tra i pixel.Se l’elettronica associata al pixel fosse costituita solo da una parte digitale, im-postando la soglia di discriminazione per la rivelazione dell’evento ad un valoresufficientemente alto in modo che qualsiasi hit illumini al più un pixel, sarebbegarantito un errore associato alla posizione della particella pari p/

√12, dove p è

il passo di una dimensione del pixel. Abbassando il valore di soglia in modo cheanche i cluster con due particelle possano essere rivelati, si potrebbe migliorare larisoluzione, identificando lo spessore della regione vicino al bordo per cui avviene

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Analisi dei dati

la lettura su due pixel (s). In questo modo l’errore associato ai cluster di duepixel si ridurrebbe a s/

√12 e quello associato ai cluster di un solo pixel sarebbe

(p− s)/√

12.Nel caso del chip FE-I3 la lettura avviene in modo analogico e poi digitale. Que-sta scelta permette di misurare in ciascun pixel del cluster il valore della caricadepositata, sotto forma di ToT, così da migliorare la risoluzione per i cluster conun numero di pixel maggiore di uno. Ad essi è possibile applicare algoritmi diricostruzione della posizione che individuano il baricentro del cluster utilizzandola posizione dei pixel pesata sulla carica rilasciata al suo interno. Questi algoritmigarantiscono una precisione molto elevata. Per i cluster con un solo pixel colpi-to, ai quali non è possibile applicare gli algoritmi, la risoluzione spaziale rimane(p− s)/

√12. Per questa ragione si prova ad espandere la regione in cui avviene

il charge sharing (s), inclinando il sensore e utilizzando campi magnetici.I residui mostrati in questa sezione sono ottenuti come la differenza tra il puntoin cui è passata la traccia ricostruita e il centro del pixel in cui si è misurato ilToT massimo. Al momento non sono stati applicati algoritmi di ricostruzionedel baricentro del cluster, nè è stato considerato l’effetto del charge sharing.Le distribuzioni ottenute sono interpolate con una curva descritta da:

ysfitA = 0.5(1 + Erf(x− width− x0√2σ

)) (5.3)

ysfitB = 0.5(1 + Erf(x+ width− x0√2σ

)) (5.4)

ybox = 0.5(1 + αk(x− x0)AysfitA − ysfitB

width) (5.5)

dove A è l’area sotto la curva, width il passo di una dimensione del pixel, Erf(x)è la error function, σ è la deviazione standard della error function, il termine αkè il coefficiente angolare della retta che interpola la parte centrale e x0 è uncoefficiente associato alla retta. Il termine αk(x− x0) permette di interpolare ilprofilo della curva nella parte centrale tenendo in cosiderazione la non uniformitàdel profilo del fascio.Questo fit da’ un buon risultato sia nella parte centrale che nei bordi, dove unprofilo gaussiano è necessario poichè i bordi risentono degli effetti dovuti allarisoluzione del telescopio.In figura 5.10 sono mostrati i residui in x e in y del rivelatore 3D-DTC-2 pertutte le configurazioni. Per il rivelatore 3D-DTC-2 i residui in x presentano unaforma a ’box’ delle dimensioni del pixel che si mantiene in tutte le configurazioni.I residui in y hanno invece un profilo gaussiano più accentuato a causa del mag-giore charge sharing lungo questa dimensione. La presenza del campo magneticonon influisce sulla forma dell’istogramma ma solo sui valori centrali. La rotazione

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del sensore, in particolare per la coordinata y, accentua ulteriormente il profilogaussiano, a causa del maggior charge sharing.In figura 5.11 sono mostrati i residui in x e in y del rivelatore 3D-DTC-2B pertutte le configurazioni e valgono le stesse considerazioni fatte per il rivelatore3D-DTC-2.Si noti inoltre che solo nei residui in x relativi alla configurazione B=off A=0si ha una forte pendenza della parte piana della curva. Questo è dovuto adun’erogazione di particelle da parte del SPS con un profilo del fascio particolar-mente non uniforme. Si riportano in figura 5.12 gli istogrammi in cui si mostranotutte le tracce ricostruite incidenti sul piano in cui è posto il rivelatore 3D-DTC-2. Nell’istogramma bidimensionale in alto a sinistra è possibile osservare la nonuniformità del fascio nella configurazione B=off A=0.

5.6 EfficienzaL’efficienza di un rivelatore (ε) è il rapporto tra il numero di particelle registratee il numero di particelle entrate nel volume del rivelatore:

ε = ]particelle− registrate]particelle− entrate− nel − volume

(5.6)

Essa è interpretabile come la probabilità che una particella venga rivelata dalrivelatore quando lo attraversa. L’efficienza dipende dalla probabilità che unaparticella:

• incida sulla superficie del rivelatore penetrando nel volume sensibile;

• generi un segnale nel volume sensibile;

• abbia registrato il segnale generato.

Agendo sui parametri del rivelatore quali tensione di bias del sensore, soglia deldiscriminatore, corrente di feedback e tempo morto dell’elettronica, l’efficienzapuò essere modificata.L’efficienza dei sensori è misurata come il rapporto tra il numero di tracce acui è associato un cluster nel DUT e il numero totale di tracce ricostruite daltelescopio che intersecano il DUT:

ε = tracce− con− associato− un− clustertracce

(5.7)

Emerge che nella misura di ε è fondamentale definire il criterio col quale si sele-zionano le tracce da utilizzare ed anche il criterio con cui è definito il cluster.

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Analisi dei dati

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

200

400

600

800

1000

1200

1400

Fit paramssigma 9.15e+00area 5.61e+05x0 -5.55e+00width 2.00e+02angCoeff -2.63e-04

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

200

400

600

800

1000

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1400

1600

1800

2000

2200

Fit paramssigma 7.80e+00area 1.09e+05x0 1.55e-01width 2.50e+01angCoeff -7.71e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

1000

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3000

4000

5000

Fit paramssigma 9.29e+00area 1.88e+06x0 3.30e+01width 2.00e+02angCoeff -1.09e-04

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

Fit paramssigma 7.24e+00area 3.64e+05x0 -8.16e-01width 2.50e+01angCoeff -1.74e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

500

1000

1500

2000

2500

3000

Fit paramssigma 1.27e+01area 1.11e+06x0 -1.28e+00width 2.00e+02angCoeff -9.75e-05

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

Fit paramssigma 1.26e+01area 2.14e+05x0 -1.34e+00width 2.50e+01angCoeff 1.67e-03

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

Fit paramssigma 1.12e+01area 3.00e+06x0 1.93e-01width 2.00e+02angCoeff -1.03e-04

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

2000

4000

6000

8000

10000

Fit paramssigma 1.13e+01area 5.79e+05x0 -1.09e+00width 2.50e+01angCoeff -3.85e-03

Figura 5.10: Residui del sensore 3D-DTC-2 in ciascuna delle due dimensioni eper le quattro configurazioni. Nella colonna a sinistra sono riportati i residui inx, in quella a destra i residui in y. Dall’alto in basso le configurazioni: B=offA=0, B=on A=0, B=off A=π/12, B=on A=π/12.

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-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

Fit paramssigma 7.58e+00area 6.01e+05x0 -1.00e+01width 2.00e+02angCoeff -1.11e-04

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

500

1000

1500

2000

2500

Fit paramssigma 7.30e+00area 1.18e+05x0 7.80e-02width 2.50e+01angCoeff -1.47e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

1000

2000

3000

4000

5000

Fit paramssigma 8.94e+00area 1.82e+06x0 2.18e+01width 2.00e+02angCoeff -3.39e-05

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

Fit paramssigma 7.01e+00area 3.57e+05x0 -2.59e-01width 2.50e+01angCoeff -1.44e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

500

1000

1500

2000

2500

Fit paramssigma 9.23e+00area 1.03e+06x0 -6.98e+00width 2.00e+02angCoeff -4.41e-05

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

Fit paramssigma 9.23e+00area 2.00e+05x0 -7.20e-01width 2.50e+01angCoeff 2.07e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

Fit paramssigma 8.18e+00area 3.15e+06x0 1.07e+01width 2.00e+02angCoeff -4.78e-05

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

2000

4000

6000

8000

10000

12000

Fit paramssigma 8.14e+00area 6.19e+05x0 -8.51e-01width 2.50e+01angCoeff -1.11e-03

Figura 5.11: Residui del sensore 3D-DTC-2B in ciascuna delle due dimensioni eper le quattro configurazioni. Nella colonna a sinistra sono riportati i residui inx, in quella a destra i residui in y. Dall’alto in basso le configurazioni: B=offA=0, B=on A=0, B=off A=π/12, B=on A=π/12.

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Analisi dei dati

0

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200

300

400

500

600

700

800

micron-20000 -15000 -10000 -5000 0 5000 10000 15000 20000

mic

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0

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Track PositionTrack Position

0

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1400

micron-20000 -15000 -10000 -5000 0 5000 10000 15000 20000

mic

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-20000

-15000

-10000

-5000

0

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10000

15000

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Track PositionTrack Position

0

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300

400

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micron-20000 -15000 -10000 -5000 0 5000 10000 15000 20000

mic

ron

-20000

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0

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Track PositionTrack Position

0

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micron-20000 -15000 -10000 -5000 0 5000 10000 15000 20000

mic

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20000

Track PositionTrack Position

Figura 5.12: Posizione delle tracce ricostruite sul piano del rivelatore 3D-DTC-2per le diverse configurazioni. In senso orario da in alto a sinistra: B=off A=0,B=on A=0, B=off A=π/12, B=on A=π/12.

L’ampiezza del cluster scelta per determinare se una particella è rivelata costitui-sce un importante parametro che influisce sull’efficienza. Il fenomeno del chargesharing rende infatti possibile la raccolta della carica al di fuori del pixel in cui laparticella è passata. L’ampiezza del cluster nelle due dimensioni è fissata rispettoal centro del pixel. In tabella 5.5 sono riportati i valori delle efficienze misurateal variare del cluster di accettazione per il 3D-DTC-2 nella configurazione B=offA=0. In tabella 5.6 sono riportati i valori delle efficienze misurate al variaredel cluster di accettazione per il 3D-DTC-2B, sempre nella configurazione B=offA=0. Si può osservare quanto l’efficienza dipenda dall’ampiezza del cluster.Nelle figure 5.13 sono riportate le efficienze mappate sul pixel per quattro diffe-renti ampiezze di cluster. Esse si riferiscono al 3D-DTC-2 nella configurazioneB=off A=0 e sono qui elencate:

• (∆x = ±200 µm, ∆y = ±25 µm) in alto in figura 5.13. È possibileosservare che il pixel ha un’alta efficienza nella regione centrale ed unabassa efficienza in corrispondenza dei margini superiore, inferiore e destro;

• (∆x = ±200 µm, ∆y = ±50 µm) in basso in figura 5.13. L’area ad altaefficienza si estende ai margini superiore ed inferiore ed è possibile osservarela comparsa degli elettrodi ohmici sotto forma di due macchie gialle. Laregione a destra rimane ancora poco efficiente;

66

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3D-DTC-2Cluster

∆x ∆y ε(µm) (µm) (±0.001)±200 ±25 0.880±200 ±50 0.952±200 ±75 0.954±200 ±100 0.956±400 ±50 0.967±600 ±50 0.967

Tabella 5.5: Tabella delle efficienze del rivelatore 3D-DTC-2 al variaredell’ampiezza del cluster per la configurazione B=off A=0.

3D-DTC-2BCluster

∆x ∆y ε(µm) (µm) (±0.001)±200 ±25 0.893±200 ±50 0.950±200 ±75 0.955±200 ±100 0.956±400 ±50 0.974±600 ±50 0.974

Tabella 5.6: Tabella delle efficienze del rivelatore 3D-DTC-2B al variaredell’ampiezza del cluster per la configurazione B=off A=0.

• (∆x = ±200 µm, ∆y = ±75 µm) in alto in figura 5.13. Ampliando ulte-riormente la dimensione del cluster a 75 µm la situazione rimane invariata,poichè il charge sharing in y avviene solo con la metà più vicina del pixelcontiguo;

• (∆x = ±400 µm, ∆y = ±50 µm) in basso in figura 5.13. Ampliando ilcluster nella dimensione x, l’area vicino al margine destro diventa efficientecome il resto del pixel. Si osserva inoltre la comparsa degli elettrodi ohmiciin corrispondenza del vertice destro superiore ed inferiore.

Il cluster scelto per la misura finale dell’efficienza è quello con ampiezza (∆x =±400 µm, ∆y = ±50 µm).A destra in figura 5.14 è mostrata l’efficienza mappata sul pixel per il sensore 3D-DTC-2B nella configurazione B=off A=0 e per l’ampiezza di cluster (∆x = ±400

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Analisi dei dati

µm, ∆y = ±50 µm). Si può osservare che in questo caso, oltre agli elettrodi oh-mici, sono visibili i tre elettrodi di giunzione. Si ricorda che per questo dispositivola profondità degli elettrodi (140 − 170 µm) è maggiore rispetto al 3D-DTC-2(100 − 110 µm). In generale, le particelle che passano nelle colonne, ionizzanouna quantità di carica inferiore, rendendo poco efficiente il sensore in quell’area.Minore è la profondità della colonna, minore è il percorso della particella al suointerno e maggiore è la probabilità che essa possa essere rivelata. La non unifor-mità strutturale del pixel dovuta alla presenza delle colonne può essere superataai fini dell’efficienza ruotando il sensore, come è possibile osservare confrontandotra loro gli istogrammi in figura 5.14 ottenuti per le configurazioni B=off A=0 eB=off A=π/12.Per la misura finale dell’efficienza è anche importante definire un criterio di qua-lità per le tracce utilizzate. La selezione delle tracce è effettuata sul parametroχ2. Il valore massimo di χ2 oltre il quale le tracce vengono rigettate è fissato a20. In figura 5.15 è riportata la distribuzione del χ2 delle tracce ricostruite e pas-santi all’interno del DUT 3D-DTC-2, nelle diverse configurazioni; distribuzionianaloghe si ottengono per il 3D-DTC-2B.In tabella 5.7 sono infine riportate le efficienze per i due DUT nelle diverseconfigurazioni per la selezione di tracce e cluster discussi. Per confronto sonoinseriti anche i valori del rivelatore planare (PLANAR).

Configurazione 3D-DTC-2 3D-DTC-2B PLANARB A ε ε ε

(±0.001) (±0.001) (±0.001)off 0 0.975 0.982 0.989on 0 0.977 0.984 0.991off π/12 0.976 0.979 0.977on π/12 0.990 0.993 0.992

Tabella 5.7: Tabella delle efficienze per le differenti configurazioni.

Si osservi che la condizione aggiuntiva sulla qualità delle tracce permette di mi-gliorare ulteriormente i valori di efficienza rispetto a quelli indicati nelle tabelle5.5 e 5.6.Per entrambi i sensori 3D la configurazione in cui si ha efficienza massima è quel-la corrispondente a B=on A=π/12, ovvero la presenza di un campo magnetico,unita ad un’opportuna rotazione dei sensori, contribuisce a migliorare le presta-zioni dei rivelatori 3D, che risultano comparabili a quelle del rivelatore planare.Confrontando i valori di efficienza con quelli del planare si nota l’effetto della nonuniformità dei 3D nelle configurazioni non ruotate rispetto al fascio.Si osservi che il sensore 3D-DTC-2B ha efficienza migliore del 3D-DTC-2 in tut-

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Figura 5.13: Efficienza mappata sul pixel per il rivelatore 3D-DTC-2 nella con-figurazione B=off A=0 per diverse configurazioni di cluster. In alto a sinistra(∆x = ±200, ∆y = ±25); in alto a destra (∆x = 200, ∆y = 50);in basso asinistra (∆x = ±200 µm, ∆y = ±75 µm); in basso a destra (∆x = ±400 µm,∆y = ±50 µm).

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Figura 5.14: Efficienza mappata sul pixel per il rivelatore 3D-DTC-2B nella con-figurazione B=off A=0 (a sinistra) e nella configurazione B=off A=π/12. En-trambi gli istogrammi sono ottenuti per un’ampiezza di cluster (∆x = ±400 µm,∆y = ±50 µm).

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Analisi dei dati

te le configurazioni allestite. Questo porta a pensare che una sovrapposizioneminore tra le colonne sfavorisca la raccolta della carica.Nelle figure 5.16 e 5.17 sono riportate le efficienze mappate sull’intero DUT, ri-spettivamente per il rivelatore 3D-DTC-2 e 3D-DTC-2B. Entrambi i grafici sonoottenuti per la configurazione B=off A=0 utilizzando la selezione di traccia ecluster discussi. Nel dispositivo 3D-DTC-2 è possibile osservare un’area a bassaefficienza compresa tra le righe 100 e 140. Nell’analisi presentata in questa tesil’area danneggiata è stata scartata e sono in corso studi per capire quale sia statala causa del ridotto funzionamento.

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Figura 5.15: Distribuzione del χ2 della tracce ricostruite passanti all’interno DUT3D-DTC-2 per le diverse configurazioni. In senso orario partendo dell’alto asinistra: B=off A=0, B=on A=0, B=off A=π/12, B=on A=π/12 .

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Figura 5.16: Efficienza mappata sul DUT 3D-DTC-2 nella configurazione B=offA=0 per un’ampiezza di cluster (∆x = ±400 µm, ∆y = ±50 µm) e opportunaselezione di tracce.

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Figura 5.17: Efficienza mappata sul pixel per il rivelatore 3D-DTC-2B nella con-figurazione B=off A=0 per un’ampiezza di cluster (∆x = ±400 µm, ∆y = ±50µm) e opportuna selezione di tracce.

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Analisi dei dati

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CAPITOLO 6

Conclusioni

In questa tesi sono state studiate le principali caratteristiche dei rivelatori al sili-cio a pixel 3D-DDTC, a colonne non passanti, sviluppati dalla Fondazione BrunoKessler (FBK-irst) di Trento in collaborazione con l’INFN e l’Università di Trento.Sono stati analizzati i dati di un test-beam svoltosi al CERN nel maggio 2009,al quale ho partecipato, per il quale sono state considerate quattro diverse confi-gurazioni di presa dati, che prevedevano la rotazione o meno dei sensori rispettoal fascio e, per la prima volta, che fossero testati anche in campo magnetico.L’analisi ha prodotto la misura di quattro importanti caratteristiche funzionalidei rivelatori.La distribuzione di ToT (Time-over-Threshold) costituisce una misura della ca-rica raccolta nel sensore e mostra l’attesa distibuzione di Landau.La misura del charge sharing permette di valutare la regione a minor suddivisionedi carica e indica che questa può essere ridotta da un’opportuna rotazione deisensori. Ciò può essere utile per migliorare la risoluzione spaziale, come atteso,non si osserva invece un evidente effetto del campo magnetico.Le distribuzioni dei residui, in particolare nella dimensione corta del pixel, con-seguentemente al charge sharing non mostrano una sostanziale dipendenza dalcampo magnetico quanto invece dalla rotazione dei sensori.Infine l’efficienza dei rivelatori mostra una forte dipendenza dalla selezione delletracce e dalle dimensioni del cluster, ed ha comunque valori superiori al 97%, cheraggiungono il 99% per la configurazione a campo magnetico acceso e sensoreruotato.Le misure preliminari mostrate in questa tesi indicano che l’architettura 3D-DDTC permette di ottenere risultati molto incoraggianti. Sono previste nel pros-

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Conclusioni

simo futuro nuove misure, con i sensori irradiati, per valutare l’effettiva resistenzaalla radiazione, e nuovi sviluppi tecnologici per ottenere sensori FBK dotati dibordo attivo e di colonne passanti.

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Acnowledgments

Un ringraziamento alla prof.sa Ada Solano per il continuo supporto dimo-stratomi fin dai primi passi di questa tesi.Un particolare grazie ad Alessandro La Rosa, per avermi presentato l’oppor-tunità di questo lavoro e avermi iniziato ai 3D.Un grazie al prof. Gian Franco Dalla Betta per le puntuali spiegazioni suisensori 3D-FBK e per l’attenta lettura della tesi.Ringrazio il prof. Michele Arneodo per l’aiuto durante il periodo di perma-nenza al CERN e le utili conversazioni.Un sentito ringraziamento alla dott.sa Cinzia Da Vià per avermi introdottonel gruppo di lavoro di ATLAS sui sensori 3D e per la fiducia accordatami.I’m very grateful to the ATLAS 3D Sensor software group for the fruitfulcollaboration and the help during the analysis, and in particular to OleRohne, Håvard Gjersdal, Per Hansson and Philippe Grenier.Finally I would like to thank dr. Heinz Pernegger for the hospitality in theATLAS Pixel Lab at CERN.

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