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Giulio Andreotti Giulio Andreotti Giulio Andreotti Giulio Andreotti Roma, marzo 1974 Roma, marzo 1974 Roma, marzo 1974 Roma, marzo 1974 ui parlava con la sua voce lenta, educata, da confes- sore che ti impartisce la penitenza di cinque Pater, cinque Salve Regina, dieci Requiem Aeternam, e io avvertivo un disagio cui non riuscivo a dar nome. Poi, d’un tratto, compresi che non era disagio. Era paura. Quest’uomo mi faceva paura. Ma perché? Mi aveva ricevuto con gentilezza squisita: cordiale. Mi aveva fatto ridere a gola spiegata: arguto, e il suo aspetto non era certo minaccioso. Quelle spalle strette quanto le spalle di un bimbo, e curve. Quella mancanza quasi commovente di collo. Quel volto liscio su cui non riesci a immagi- nare la barba. Quelle mani delicate, dalle dita lunghe e bianche come candele. Quell’atteggiamento di perpetua difesa. Se ne stava tutto in- ghiottito in se stesso, con la testa affogata dentro la camicia, e sembrava un malatino che si protegge da uno scroscio di pioggia rannicchiandosi sotto l’ombrello, o una tartaruga che si affaccia timidamente dal guscio. A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? A chi fanno ma- le? Solo più tardi, molto tardi, realizzai che la paura mi veniva proprio da queste cose: dalla forza che si nascondeva dietro queste cose. Il vero pote- re non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza. L’intelligenza, perbacco se ne aveva. Al punto di potersi permettere il lus- so di non esibirla. A ogni domanda sgusciava via come un pesce, si arro- L

Fallaci Intervista Giulio Andreotti

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Page 1: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

Giulio AndreottiGiulio AndreottiGiulio AndreottiGiulio Andreotti

Roma, marzo 1974Roma, marzo 1974Roma, marzo 1974Roma, marzo 1974

ui parlava con la sua voce lenta, educata, da confes-

sore che ti impartisce la penitenza di cinque Pater,

cinque Salve Regina, dieci Requiem Aeternam, e io

avvertivo un disagio cui non riuscivo a dar nome.

Poi, d’un tratto, compresi che non era disagio. Era

paura. Quest’uomo mi faceva paura. Ma perché? Mi

aveva ricevuto con gentilezza squisita: cordiale. Mi aveva fatto ridere a

gola spiegata: arguto, e il suo aspetto non era certo minaccioso. Quelle

spalle strette quanto le spalle di un bimbo, e curve. Quella mancanza

quasi commovente di collo. Quel volto liscio su cui non riesci a immagi-

nare la barba. Quelle mani delicate, dalle dita lunghe e bianche come

candele. Quell’atteggiamento di perpetua difesa. Se ne stava tutto in-

ghiottito in se stesso, con la testa affogata dentro la camicia, e sembrava

un malatino che si protegge da uno scroscio di pioggia rannicchiandosi

sotto l’ombrello, o una tartaruga che si affaccia timidamente dal guscio.

A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? A chi fanno ma-

le? Solo più tardi, molto tardi, realizzai che la paura mi veniva proprio da

queste cose: dalla forza che si nascondeva dietro queste cose. Il vero pote-

re non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero

potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza.

L’intelligenza, perbacco se ne aveva. Al punto di potersi permettere il lus-

so di non esibirla. A ogni domanda sgusciava via come un pesce, si arro-

L

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tolava in mille giravolte, spirali, quindi tornava per offrirti un discorso

modesto e pieno di concretezza. Il suo humour era sottile, perfido come

bucature di spillo. Lì per lì non le sentivi le bucature ma dopo zampilla-

vano sangue e ti facevano male. Lo fissai con rabbia. Sedeva a una scriva-

nia sepolta sotto i fogli e dietro, sulla parete di velluto nocciola, teneva

una Madonna con Bambin Gesù. La destra della Madonna scendeva ver-

so il suo capo a benedirlo. No, nessuno lo avrebbe mai distrutto. Sarebbe

stato sempre lui a distruggere gli altri. Con la calma, col tempo, con la si-

curezza delle sue convinzioni. O dei suoi dogmi? Crede al paradiso e

all’inferno. All’alba va a messa e la serve meglio di un chierichetto. Fre-

quenta i papi con la disinvoltura di un segretario di Stato e guai, scom-

metto, a svegliare la sua ira silenziosa. Quando lo provocai con una do-

manda maleducata, il suo corpo non si mosse e il suo volto rimase di

marmo. Però i suoi occhi s’accesero in un lampo di ghiaccio che ancora

oggi mi intirizzisce. Dice che a scuola aveva dieci in condotta. Ma sotto il

banco, scommetto tirava pedate che lasciavano lividi blu.

Ci sarebbe da comporre un saggio su Giulio Andreotti. Un saggio affa-

scinante e inquietante perché tutto ciò che egli è va ben oltre il caso di un

individuo. Rappresenta un’Italia. L’Italia cattolica, democristiana, con-

servatrice, contro cui tiri pugni che feriscono le tue nocche e basta.

L’Italia di Roma col suo Vaticano, il suo scetticismo, la sua saggezza, la

sua capacità di sopravvivere, sempre, di cavarsela, sempre, sia che venga-

no i barbari sia che vengano i marziani: tanto li porti tutti in San Pietro,

a pregare. Alla politica non giunse di proposito: ignorava d’averne il ta-

lento. Al potere non giunse attraverso la lotta e il rischio: non aveva

combattuto i fascisti. All’una e all’altro approdò per destino, vi rimase

per volontà. La straordinaria invidiabile volontà che hanno gli sgobboni

capaci di svegliarsi col buio: per lavorare. Ci comanda da circa trent’anni,

cioè da quando ne aveva venticinque. Continuerà a comandarci in un

modo o nell’altro, fino al giorno in cui gli impartiranno l’estrema unzio-

ne. Intimo di De Gasperi, membro della Consulta, deputato alla Costi-

tuente, alla Camera senza interruzioni, sei volte sottosegretario alla presi-

denza, segretario del Consiglio dei ministri, capogruppo parlamentare,

ministro degli Interni, del Tesoro, due volte ministro delle Finanze e

Page 3: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

dell’Industria, sette volte alla Difesa, tre volte capo del governo. Lo sanno

anche i bambini insieme alle storie che costruiscono il suo personaggio e

che gli procurano tonnellate di voti: dai ricchi, dai poveri, dai giovani,

dai vecchi, dai colti, dagli analfabeti. Ama il gioco del calcio, adora le cor-

se dei cavalli, gli piace Rischiatutto, colleziona campanelli, ignora i vizi, è

marito devoto e felice di una professoressa di lettere che gli ha dato quat-

tro figli belli, buoni, studiosi. Ha un debole per l’America, per le corse

dei cavalli, per le bionde esangui e brillanti come la buonanima di Carole

Lombard. Quest’ultime platonicamente, s’intende. Possiede grandi quali-

tà di scrittore e, giustamente, i suoi libri non passano mai inosservati.

Peccato che scriva solo di cose da cui si leva un profumo d’incenso.

Ecco l’intervista. Avvenne nel suo ufficio del centro studi, si svolse in tre

fasi, durò cinque ore. E per cinque ore, io che fumo disperatamente, ac-

cesi un’unica sigaretta. Da ultimo. Non osai farlo prima. Non sopporta il

fumo. Nessun genere di fumo, figuriamoci poi il fumo del fuoco che

brucia il vecchio per costruire il nuovo. Lo combatte con una candela, il

fumo e il nuovo, neanche fosse Satana.

ORIANA FALLACI. Lei è il primo democristiano che affronto, onorevole, e

sono un po’ preoccupata perché... Ecco, mettiamola così, perché non vi ho

mai capito, voi democristiani. Siete un mondo così nebuloso per me, così ge-

latinoso. Un mondo che non riesco ad afferrare.

GIULIO ANDREOTTI. Lei mi ricorda un discorso di Giannini alla

Camera quando disse: «Io mi rendo conto che rappresentate una forza

politica ma, se dovessi dire d’aver capito la DC, mentirei». Poi raccontò

la storia della badessa che aveva due cardellini, e sperava di metterli in-

sieme per fargli far coppia, ma i due cardellini non facevan mai coppia, e

la povera badessa non riusciva a capire se ciò avvenisse perché i due car-

dellini erano dello stesso sesso. Peggio, non riusciva a capire a quale sesso

appartenessero i due cardellini, se erano dello stesso sesso. E un giorno

esclamò esasperata: «Alla faccia del somaro! Con lui si vede subito se è

maschio o femmina!». Raccontò proprio questa storia, Giannini, e conte-

neva una buona dose di verità. Perché vede, all’inizio era abbastanza chia-

ro cosa significasse essere democristiani: una linea di sociologia cristiana

su una indiscutibile piattaforma democratica. Insomma, la linea di don

Page 4: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

Sturzo. Ma oggi non si può dire che le posizioni della DC siano altrettan-

to chiare e, forse perché i problemi si aggrovigliano e cambiano, forse

perché un partito non può viver di rendita... Che c’è? Desidera qualcosa?

No, no. È che sono abituata a fumare ma so che lei non sopporta chi ha que-

sto vizio e...

Una volta un papa ciociaro, Leone XIII, offrì a un cardinale del tabacco

da annusare. E il cardinale disse: «Grazie, non ho questo vizio». E il papa

rispose: «Se fosse un vizio, lei lo avrebbe».

E chi sarebbe il cardinale? Io o lei?

Dobbiamo rielaborare un programma della DC, dicevo. Magari partendo

dalla piattaforma iniziale e cioè dalla relazione Gonella del 1946 che fu

per noi una specie di Magna Charta. Dobbiamo vedere quel che è stato

fatto o non fatto, esaminare i problemi sopravvenuti, e poi, sulla nuova

piattaforma, costruire una linea politica con un orientamento preciso. Al-

trimenti si finisce per lasciare l’iniziativa agli altri e subire i gol di contro-

piede. Un po’ il problema dei socialisti italiani: la mancanza di chiarezza

rappresenta un motivo di grossa crisi anche per loro. Come loro, bisogna

far marcia indietro sulle correnti, il frazionismo, gli agglomerati di carat-

tere personale...

Senta, Andreotti: nell’attesa di scoprire il sesso degli angeli, anzi dei cardelli-

ni, anzi dei democristiani, io vorrei dipingere il suo personaggio. Così, a ruo-

ta libera. Per esempio, e a parte il fatto che lei sia un gran bacchettone, mi

piacerebbe sapere...

Bacchettone? Io, quella del bacchettone, ecco: è vero che, quando posso,

vado alla messa. È vero che, quando posso, mangio di magro il venerdì.

Ma che c’entra? Ho sempre fatto a quel modo, sono nato in una famiglia

che faceva a quel modo. Non ho mai avuto ripensamenti, d’accordo.

Non ho mai avuto voglia di comportarmi diversamente. Però non capi-

sco. Se un arabo non beve alcoolici e non mangia carne di maiale, tutti

dicono: che bravo musulmano! Se un cattolico vive come me, tutti dico-

no: che bacchettone! Non religioso. Bacchettone.

E va bene: religioso. A parte il fatto che lei sia tanto religioso, mi piacerebbe

sapere perché divenne democristiano.

Page 5: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

Per via di De Gasperi, direi. Non ero ancora democristiano quando co-

nobbi De Gasperi nella biblioteca della Santa Sede dov’ero andato per fa-

re una ricerca sulla Marina vaticana e De Gasperi mi disse: «Ma lei non

ha nulla di meglio da fare? ». Non ero niente, non mi ero mai posto il

problema di una scelta politica. Avevo diciannove anni. Ma l’incontro

con quell’uomo, De Gasperi, fu una specie di scintilla. Aveva un tale fa-

scino, una tale capacità di convinzione. E la scintilla mi rivelò cose in cui

credevo senza che mi rendessi conto di crederci, mi condusse quasi natu-

ralmente alla scelta. Voglio dire: non mi sorse mai il dubbio di poter fare

un’altra scelta: entrare nel partito socialista, ad esempio, o nel partito li-

berale. Per carità, mai avuto tentazioni del genere. Quanto ai comunisti,

già allora ero certo della non conciliabilità tra comunismo e democrazia.

C’è una lettera a Franco Rodano, 16 ottobre 1943, che lo dimostra. Ro-

dano apparteneva al gruppo dei comunisti cattolici: gente di cui ero ami-

co e a cui volevo bene. E il papa, Pio XII, era piuttosto allarmato da quei

comunisti cattolici. Così, quando all’inizio del’43 furono arrestati, mi

preoccupai subito che egli non li sconfessasse in un certo discorso che

doveva tenere agli operai nel mese di giugno. Oltretutto ciò avrebbe por-

tato acqua al mulino di chi lo accusava di collusione coi fascisti. E mi re-

cai subito da lui ma non lo trovai e gli lasciai un bigliettino. «Santo Pa-

dre, ero venuto a farLe visita perché ci sono questi ragazzi in prigione e

vorrei pregarLa di non toccare quel tema...».

Un momento. E lei andava dal papa così, come io vo dal tabaccaio? Gli la-

sciava bigliettini così, come io li lascio alla mia segretaria?

Ma certo. Ero presidente della FUCI, andavo spesso dal papa. I grandi

rami dell’Azione cattolica avevano un’udienza fissa col papa ogni due me-

si e, in quel periodo, lo vedevo ancora più spesso. Era molto gentile con

me, mi trattava con grande calore. Naturalmente non dimenticavo mai

che lui era il papa e io uno studente di ventiquattr’anni, però... Insomma

gli lasciai questo bigliettino e lui mi ascoltò. Nel suo discorso agli operai

non fece allusione al gruppo dei comunisti cattolici e, due settimane do-

po, quando tornai in Vaticano per accompagnare alcuni nostri dirigenti

che venivano ricevuti in udienza generale, mi disse: «Sei contento?». Nes-

suno capì cosa intendeva dire ma io capii e risposi: «Molto contento ».

Page 6: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

Ah, Pio XII era un sant’uomo. Era un grande papa, il più grande di tutti.

Solo a stargli accanto, a guardarlo, intuivi che era diverso: più illuminato,

più ispirato, più eletto...

C’è chi dice il contrario. E poi sembra che picchiasse i cardinali.

Io non lo so. Se lo faceva, significa che lo meritavano.

Già. Però mi sorprende che preferisca Pio XII a Giovanni XXIII.

Ecco, sì. Perché vede... insomma... il tipo di comunicativa che aveva

Giovanni XXIII lo costringeva a scendere dal piedistallo. Una volta por-

tai da lui i miei bambini e, per metterli a loro agio, dopo averli fatti ac-

comodare, gli disse: «Vedete quest’armadio? Prima era tutto aperto e io ci

ho messo gli sportelli perché mi sembrava una cappelliera». Giovanni

creava subito un clima familiare, si comportava con molta semplicità. Pe-

rò credo che fosse una semplicità molto intelligente, cioè molto finalizza-

ta... Per esempio: ricordo il giorno in cui a Roma, al Tuscolano, quartiere

popolare, si fece dare un microfono per parlare alla gente in piazza. Non

era previsto che parlasse, e gli portarono il microfono e ne venne fuori un

discorso così: «Vedete, Roma è una città difficile perché è una città dove i

meriti non vengono riconosciuti. Oppure dove si regalano meriti che le

persone non hanno. Per esempio di me si dice che sono umile perché

non voglio andare in sedia gestatoria. Ma non è che io non ci vada perché

sono umile: non ci vado perché sono grasso e, sulla sedia gestatoria, ho

sempre l’impressione di cadere». La risata che scoppiò! Ce l’ho ancora

negli orecchi. E poi disse: «Sentite, giovani. Io vi prego d’esser gentili. E

d’esser gentili con le vecchie perché con le giovani lo siete anche troppo».

Mi spiego?! Queste due cose dette così, da un papa. Dopo fece anche die-

ci minuti di predicuccia come la fa un parroco di cappa e spada, inten-

diamoci. Però prima, la gente, l’aveva fatta ridere.

Ha conosciuto bene anche lui?

Oh, sì! Benissimo. Per ragioni di famiglia. Da giovane egli era stato ami-

co intimo di uno zio di mia moglie, cioè il fratello di mia suocera, che era

sacerdote archeologo qui a Roma. Eran rimasti molto legati e, per esem-

pio, quando mio zio si ammalò, papa Giovanni venne a trovarlo. Poi,

quando mio zio morì, andò a veder la sua tomba e... insomma lo incon-

travo spesso.

Page 7: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

Perbacco! Conosce bene anche Paolo VI?

Oh, sì, certo! Benissimo. Era assistente della nostra organizzazione uni-

versitaria cattolica. Però lui da qualche tempo lo vedo poco. L’ultima vol-

ta, si figuri, l’ho visto il 2 gennaio scorso in udienza generale, accompa-

gnando un gruppo di ciociari per il settimo centenario di San Tommaso

d’Aquino. In genere evito di recarmi da lui. Sa, per non confondere il sa-

cro col profano. Per ragioni politiche, mi spiego? Direi che in Vaticano ci

andavo di più prima. Del resto, anche allora ci andavo con parsimonia.

Oh, i nostri contatti col Vaticano sono minori di quanto la gente creda.

Voglio dire: nelle grandi cose... negli interessi comuni come il Concorda-

to... si capisce che... Ma per il resto... Pensi, in tutto il periodo di Pio

XII, De Gasperi è stato in udienza solo due volte. Le altre volte ci è anda-

to per partecipare a qualche manifestazione. Ad esempio per L’Annonce

faite à Marie di Claudel. No, col Vaticano non abbiamo tutti i rapporti

che crede.

Ah! Su questo mi permetta d’essere incredula. Specialmente nel suo caso. Lo

sanno anche i bambini che se in Italia v’è un uomo legato agli ambienti ec-

clesiastici, questi è Andreotti. Papi a parte.

Rapporti personali, sì. Legami, sì. Ma la maggior parte di questa gente io

la conosco da tempi in cui pensavo a tutto fuorché alla politica. E, co-

munque, il mio non è un rapporto clericale. Tanto per dirne una: le

scuole religiose son piene di figli di persone che si considerano nemici ir-

riducibili della Chiesa e a me, invece, non è mai venuto in mente di

mandare i miei figli a studiare in una scuola religiosa. Il fatto d’essere un

cattolico convinto non mi condiziona, ecco. Semmai mi permette di ri-

muovere ostacoli. Non è un mistero che per tanti anni, qui a Roma, non

si riuscisse a fare una moschea perché ciò turbava-il-carattere-sacro-della-

città. Poi, durante i pochi mesi del mio governo, venne re Feisal. Quello

delle aranciate. Voglio dire quello che non beve alcoolici senza che nes-

suno gli dia del bacchettone. E mi parlò della faccenda, e mi sembrò tal-

mente giusta che subito ottenni il permesso di costruire una moschea pei

musulmani.

Senta, Andreotti: ha mai pensato di farsi prete?

Page 8: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

È difficile dirlo. Forse avrei potuto, non so. Se ciò può darle un’idea, da

ragazzo passavo sempre le vacanze insieme a due coetanei e uno di questi,

ora, è nunzio apostolico: l’altro è arcivescovo a Chieti. Però mi son sem-

pre trovato benissimo nella mia locazione di marito e padre di famiglia,

mi è piaciuta sempre di più e non ho mai avuto rimpianti. Forse perché

sono stato fortunato e ho avuto un’ottima moglie, ragazzi normali e stu-

diosi... Comunque non posso dire d’aver mancato alla vocazione di prete.

La mia sola vocazione mancata è quella di medico. Oh, fare il medico mi

sarebbe piaciuto moltissimo. Ma non potevo permettermi sei anni di

medicina. Non ero ricco. Mio padre, un maestro elementare, era morto

quando ero appena nato: appena iscritto all’università, dovetti mettermi a

lavorare. Mi iscrissi a legge, mi laureai con l’idea di fare il penalista. Con

enorme rimpianto, però. Sì, enorme. Infatti ce l’ho ancora. Pazienza, or-

mai è andata. Il bello è che nessuno dei miei figli ha voluto studiar medi-

cina. Uno si è laureato in filosofia, uno si laurea adesso in ingegneria, il

terzo in legge, e la quarta fa il secondo anno di archeologia.

Bè, se avesse fatto il medico, oggi non sarebbe uno degli uomini più potenti

d’Italia. Non vorrà negare infatti che, nel suo caso, la politica è sinonimo di

potere.

Io direi di no. Nel mio caso non assocerei affatto la parola politica con la

parola potere perché guardi: io, quando scrivo o partecipo a una discus-

sione, mi sento più entusiasta politicamente di quando ho responsabilità

di potere formale e concreto. La cosa che mi ha dato più soddisfazione in

questi venticinque anni è stata fare il capogruppo alla Camera. Certo, bi-

sogna stabilire la definizione di potere. Per la stampa, ad esempio, il pote-

re è quello che si vede nel suo aspetto esterno. Se uno è ministro delle far-

falle e dice che oggi è venerdì, subito riportano le sue parole con osse-

quio: «Il ministro delle farfalle ha dichiarato che oggi è venerdì». Se inve-

ce elabora una teoria o esprime un’idea, ha difficoltà a metterla in circo-

lazione. In altre parole, se per potere si intende avere un dato peso e far

valere certe idee, indurre gli altri a tenerne conto, allora mi sento abba-

stanza uomo di potere. Anche se a volte mancano gli strumenti del co-

mando...

Page 9: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

A chi? A lei?!? Lei che ha tanta influenza sulla polizia, sull’esercito, perfino

sulla magistratura? Lei che è stato amico di tre papi, che fa di mestiere il mi-

nistro e possiede i dossier di tutti i politici italiani?!?

Queste sono leggende assolute. Se vuole consultare il mio archivio, glielo

faccio vedere. È a sua disposizione, veramente. Certo, quando uno è stato

per anni ministro della Difesa, conosce molta gente. E io conosco molta

gente: non v’è dubbio. Ma non ho mai ritenuto che il potere consistesse

nel farsi i fascicoli per ricattare. Non ho cifrari segreti. Ho solo un diario

che scrivo ogni sera che Dio manda in terra: mai meno di una cartellina.

Se per caso una sera ho mal di testa e non scrivo, il giorno dopo riempio

subito il vuoto. Così, se devo fare un articolo su qualcosa che accadde

venti anni fa, consulto il mio diario e trovo cose che non troverei certo

sui giornali. Certo, lo tengo in modo tale che nessuno può capirlo

all’infuori di me e son cose che tengo solo per me. Quello nessuno deve

leggerlo all’infuori di me. È proprio segreto, e spero che i miei figli lo

brucino il giorno in cui morrò. Ma i miei fascicoli, creda, consistono solo

in ritagli di giornale. Se vuole consultarne uno glielo do. Avanti, dica un

nome. Lo dica.

Fanfani. Detto anche il padrone d’Italia. Non è il suo grande nemico, Fan-

fani? Non è forse vero che può ringraziare Andreotti per non essere diventato

presidente della Repubblica?

No, non è vero. I voti del nostro gruppo li ebbe, salvo piccolissimi mar-

gini. La Democrazia cristiana i voti glieli dette. Ma da sola, si sa, la De-

mocrazia cristiana non può eleggere il presidente della Repubblica e quel

che mancò a Fanfani fu l’appoggio dell’opposizione. L’ostilità, che poi fu

l’inizio della crisi del centro-sinistra, venne dai socialisti. Fecero il patto

d’unità d’azione coi comunisti e... Avrebbero appoggiato Moro ma Fan-

fani non vollero sostenerlo in maniera assoluta. Quanto a definirlo pa-

drone d’Italia, non so se sia un complimento: visto che le cose vanno

come vanno... Fanfani è il segretario del partito più grande d’Italia ma da

qui a definirlo come dice lei... Soprattutto in una fase di anarchia polve-

rizzata come quella che stiamo vivendo... Ogni tanto i giornali gli attri-

buiscono ora un indirizzo e ora un altro ma io non ho motivo di credere

che...

Page 10: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

Insomma, siete o non siete nemici?

Io, guardi, credo che le possibilità di coagulo in seno alla Democrazia cri-

stiana siano molto complesse perché ognuno ha le sue vedute, le sue

grandi o piccole congreghe, i suoi interessi anche legittimi... Non parlo

soltanto di ambizioni ingiuste o smodate... Fanfani oggi si trova in una

posizione abbastanza favorevole rispetto agli altri perché ha una decina

d’anni più di noi e ciò gli consente programmazioni che in fondo non di-

sturbano nessuno... Inoltre ha dimostrato grandissime doti di recupero,

una grossa volitività... Sotto questo aspetto rappresenta veramente un e-

lemento di forza e... sarebbe assurdo non valorizzare i punti di forza per

far prevalere altre considerazioni. Cosa vuol che le dica? Ho lavorato al-

cune volte con Fanfani però mai molto e mai a lungo... sicché non posso

affermare d’aver avuto troppe occasioni per collaborare con lui e... Specie

in attività di partito non ho esperienze di questo genere... Guardi, a me la

situazione odierna appare tale che mi importa solo rimettere il carro sulla

pista. Che ce lo rimetta l’uno o l’altro, per me è secondario. Chiunque

può dare una mano è benvenuto.

Non mi riesce farla arrabbiare. Ma lei è sempre così controllato, così imper-

turbabile, così marmoreo?

Sì perché non vale la pena dar soddisfazione a chi ti fa arrabbiare. A che

serve fare il cerino che s’accende e salta su? Del resto la gente che alza la

voce e addirittura dice brutte parole mi dà un tale fastidio! Secondo me, è

indice di scarse convinzioni. Se uno è convinto di qualcosa non ha mica

bisogno di battere i pugni sul tavolo, sudare, eccitarsi! Sono ridicoli quelli

che si arrabbiano e magari offendono. Poi devono far mille storie per scu-

sarsi, eccedono nell’altro senso, si umiliano... In Italia c’è una tradizione

di polemica clamorosa, gridata. Ma io sono romano e preferisco non

drammatizzare oltre il necessario: esser romano aiuta molto a ridimensio-

nare i problemi ed è un vero peccato che Roma non sia quasi mai riuscita

ad essere governata da romani. Se pensa che prima di me non c’era mai

stato un presidente del Consiglio romano, che erano stati sempre sudisti

o nordisti... Il che include i toscani perché per noi la Toscana è già

nord... Comunque guardi: anche quando vado alle partite di calcio, che

mi divertono tanto, io resto calmo. E così quando vado alle corse dei ca-

Page 11: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

valli. Sì, le corse dei cavalli mi piacciono ancora di più. Il movimento

delle persone, il gioco dei colori, la suspense, la scommessa... Che vinca o

che perda, nessuno si accorge se sono eccitato o nervoso. A parte il fatto

che vinco quasi sempre perché son fortunato. Gioco poco, scommetto

poco, ma in genere vinco.

Parla dei cavalli o della politica?

Non che i cavalli siano la mia sola evasione. Io mi diverto anche al cine-

matografo, o a guardar Rischiatutto, o a scrivere libri. Scrivere mi scarica,

mi disintossica, mi fa dimenticare i decreti legge e gli ordini del giorno.

Comunque tutti questi piaceri hanno un denominatore comune: cal-

marmi e aiutarmi a rinsaldar l’equilibrio. Sa, a me piace molto stare con

gente che non si occupa di politica. Le racconto una cosa. Io per tanti

anni ho fatto la cura a Montecatini. La prima volta che ci andai ero sot-

tosegretario alla presidenza e il direttore delle terme venne a prendermi

dicendo: «La accompagno allo stabilimento per mostrarle dove mettiamo

i deputati e i senatori». E io risposi: «Bravo, mi ci porti subito, me lo in-

dichi con grande esattezza, così io vado in un altro stabilimento». E così

feci. Non per evitare i miei colleghi ma per non alimentare una specie di

congregazione. La politica è una cosa che arrugginisce e guai a restarne

anchilosati: si finisce per non vedere più nulla al di fuori di quella e con

l’essere pessimi interpreti di chi ci elegge.

È questa la sua definizione della politica?

Io... guardi... io darei molto per definirla come gliel’hanno definita i miei

colleghi: la politica è cultura, è morale, è missione, è storia dell’arte ecce-

tera. Ma non ci riesco. D’altronde è come se chiedesse a un pesciolino di

definire l’acqua in cui sta. Un pesce non sa definire l’acqua in cui sta, sa

solo che la sua vita è quella. Le ho già detto, credo, che se m’avessero va-

ticinato la carriera politica quand’ero al liceo, io mi sarei messo a ridere.

E, ancora oggi, essa non mi ha schematizzato. Infatti non appartengo al

genere di coloro che si perdono in astrazioni e ad esempio dicono «il la-

voratore non vuole la proprietà della casa, vuole il diritto di superficie ».

Cosa significa? Perché parlano così? Hanno forse paura di non sembrare

colti? Oppure hanno idee così poco chiare che non sanno esprimersi?

Spesso sono quelli che dicono noi-che-siamo-vicini-ai-lavoratori: espres-

Page 12: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

sione stupenda perché sono sempre vicini e non lavorano mai. Oh, ha ra-

gione mia madre quando afferma che, a sentirli parlare alla televisione,

non si capisce nemmeno la metà di ciò che dicono. A me il vocabolario

politico dà una noia mortale. D’accordo: la teoria deve esistere sennò si

lavora sulla sabbia, però bisogna tener conto della gente che non trova il

sale e lo zucchero e non vuole essere aggredita quando va a riscuotere la

pensione... che c’è? Desidera qualcosa?

No, no. Cercavo automaticamente una sigaretta senza ricordare la storia di

Leone XIII e del cardinale.

Mah! Se vuole proprio fumare, fumi. Guardi, accendo la candela. Vede,

ho una candela apposta, speciale. Depura l’aria e mi evita il mal di testa.

Non è ch’io non sopporti chi fuma: non sopporto il fumo. Alimenta il

mio mal di testa e io soffro di mal di testa feroci, che mi mettono fuori-

gioco per tre o quattro ore. Non ho mai capito da cosa vengano. Forse,

da un’eredità strutturale. Ne soffriva mio padre, e anche mia madre. O

forse sono di natura reumatica. Però si manifestano anche quando sono

stanco, quando mi sento teso, quando prendo umidità. Ma se proprio

vuol fumare, fumi.

Dopo quel che mi ha detto? No, no. Continui, la prego.

Si parlava della politica vista come concretezza. Ebbene, da noi c’è sem-

pre stato un disprezzo per chi dà peso alle cose di ordinaria amministra-

zione ma una delle cose che mi hanno soddisfatto di più nella mia vita è

successa proprio in tema di ordinaria amministrazione, quand’ero mini-

stro delle Finanze. C’era un enorme contrabbando di petrolio e io, invece

di piagnucolare, feci una commissione. Poi chiamai un comandante del-

le guardie di Finanza e gli dissi: «Voglio un giovane capace, sveglio». E

lui mi dette un capitano che ora è colonnello. Il capitano si fece assumere

come operaio in una raffineria e gli ci vollero appena sei mesi per scoprire

la verità. Intorno a ogni raffineria c’è una grande apparecchiatura per

portare l’acqua in caso di incendio. E loro, invece di portare dentro

l’acqua, portavano fuori il petrolio. A un chilometro fuori del cancello

non c’era più la Finanza, non c’era più controllo, così potevano caricare il

petrolio sulle autocisterne e via. Feci un decreto legge con cui stabilivo

che nessuno può portare la benzina su un’autocisterna se non ha un pez-

Page 13: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

zo di carta che dica dove l’ha caricata e dove la scarica e... sa che

quell’anno incassammo ventotto miliardi in più di imposta? Ah, se per-

dessimo meno tempo a farci lotta nei congressi, nei precongressi, nelle se-

zioni, nelle correnti, e ci occupassimo di più delle cose essenziali!

Scusi, Andreotti: ma se lei capisce queste cose, come mai ha combinato tanti

guai col suo governo? Il crollo della lira, l’aumento dei prezzi...

A me sembra molto ingiusto dire quello che lei dice. Un governo è sem-

pre figlio del governo che lo precede, padre del governo che lo segue, e il

mio governo nacque perché era fallito il centro-sinistra. Era una vita qua-

si impossibile: avevamo margini così piccoli. Al Senato, per esempio, bi-

sognava rifare i conti ogni giorno e questo ostacolava anche un minimo

di programmazione. Dentro il governo di coalizione nei primi sei mesi, ci

fu una certa compattezza: ma in gennaio una parte notevole dei ministri

si mise a pensare più al futuro che al presente. E questo ci indebolì. Però

certe decisioni furono prese coi piedi per terra: quelle sul doppio corso

della lira, quelle per non far uscire nemmeno un grammo d’oro... Non è

assolutamente vero che io sia il responsabile del crollo della lira. Al con-

trario, la lira sarebbe crollata se il mio governo non avesse preso certe de-

cisioni. Non dimentichiamo i problemi internazionali: da parte di un pa-

ese produttore di petrolio subimmo speculazioni che, in un solo giorno,

influirono sul prezzo della lira per un ammontare di duecento miliardi di

lire. Se avessimo accettato la norma comunitaria per cui le transazioni va-

lutarie fra i vari paesi della CEE devono esser pagate metà in oro e metà

in moneta europea, entro un mese non avremmo più avuto né un gram-

mo d’oro né un dollaro. E che se ne sarebbe fatta, l’Europa, di un’Italia

distrutta finanziariamente?

Son portata a darle ragione ma questo governo dice che non fa che riparare ai

guasti del governo Andreotti...

Mi sembra un discorso molto presuntuoso da parte loro. E gli rispondo

così. Quand’ero bambino passavo l’estate in una casa di campagna dove

le tubature dell’acqua versavano giorno e notte. E non veniva mai

l’idraulico sebbene avere un idraulico, allora, non fosse difficile come lo è

oggi. E si stava sempre con queste gocce d’acqua per terra. Poi, un gior-

no, arrivò l’idraulico. E ci fu gran festa, si levarono esclamazioni di grati-

Page 14: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

tudine e gioia. E l’idraulico si mise al lavoro, circondato dalla nostra gra-

titudine e gioia, e... sfasciò tutto. Allagò la casa. Dunque non vorrei che

gli attuali restauratori combinassero ciò che combinò quell’idraulico. Oh,

non esistono soluzioni di centro-sinistra o di centro-destra o di centro.

Esistono soluzioni valide e basta. Oggigiorno, tre quarti dei problemi

hanno dimensioni così internazionali che non si rimedia alle gocce per

terra con una martellata. Certo, se si va avanti così, se non si aumenta la

produttività, se non si ottiene più valuta stimolando ad esempio il turi-

smo...

Come? Coi cinema e i teatri che chiudono a mezzanotte, coi ristoranti che ti

cacciano prima delle undici, con le domeniche senza automobile, col razio-

namento della benzina?

Io non voglio fare il Pierino della situazione ma, in questo, do ragione a

lei. Non è certo bloccando le automobili la domenica che si risolve il

problema. Nella percentuale globale della consumazione del greggio, ciò

che si consuma per circolare in automobile raggiunge appena il 15 per

cento. Ma per circolare sette giorni su sette, non la domenica e basta.

Oppure si potrebbe stimolare il turismo con un bollettino plurilingue sui no-

stri scandali, magari sostituendo l’attrazione del latin lover con quella del po-

litico corrotto.

Forse non è ancora sera e bisogna aspettare la sera per arrivare a giudizi

troppo catastrofici. Non vorrei apparire come l’eterno mediatore ma cer-

te cose finiscono spesso con l’avere una funzione positiva e riequilibrare

ciò che è storto. Insomma, potrebbe anche darsi che questo terremoto

riassestasse molte faccende. Il mio timore è che serva soltanto alle specu-

lazioni di parte: finché non c’è un processo e un verdetto e un appello e

una sentenza definitiva non si può dire che una persona abbia violato la

legge. No, non è giusto che nello spazio di una settimana un uomo si

trovi già giudicato dal clamore di un’accusa. Perché dopo, anche se viene

assolto con formula piena, la sua onorabilità è compromessa. E così quel-

la del sistema. Noi abbiamo avuto casi formidabili di procedimenti con-

tro personaggi politici che in sede d’appello, e perfino d’istruttoria, si so-

no risolti con tante scuse. Il fatto è che ci vuole un maggior rispetto del

segreto istruttorio: in Italia, invece, il segreto istruttorio è una beffa. O-

Page 15: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

gnuno dà conferenze stampa: dal questore al magistrato. E poi, magari, si

dà la colpa al giornalista: ma-lei-come-fa-a-scrivere-questo. E gliel’ha det-

to il questore o il magistrato. Santa pace! In Inghilterra, se chiama assas-

sino un assassino che è reo confesso ma non è stato ancora giudicato, egli

può darle querela e chiederle i danni. Da noi invece...

D’accordo. S’è visto con Valpreda. «Ecco l’assassino» scrissero sulla copertina

di un settimanale che si presenta come progressista. Ma io...

Lei sa che durante il mio governo uno degli atti che furono accusati di

debolezza fu proprio la legge che consentì a Valpreda d’essere scarcerato?

E quando alcuni vennero a dirmi «allora tu sei per Valpreda», risposi: «Io

non so se Valpreda sia responsabile o no. Non spetta a me saperlo e si

vedrà al processo. Ma se tuo figlio fosse in carcere con l’incertezza di

un’imputazione, saresti contento se restasse lì due o tre anni ad aspettare

che i giudici si mettano d’accordo su chi deve giudicarlo?». Mah! Forse

deriva da un tipo di educazione, anzi di maleducazione. Forse ci manca

una cultura basata sul rispetto della gente. Comunque sia, il nostro è un

sistema che incita al linciaggio. E non tanto al linciaggio fisico quanto al

linciaggio morale. Quello che c’è stato anche nel caso di Valpreda. Dico

«anche» perché, quando lo definivano «un ballerino», a me veniva in

mente il caso Piccioni. L’affare Montesi. Ricorda il giudice Sepe? Un

giorno chiesi a Sepe: «Scusi, ma quali prove esistono che Piccioni abbia

conosciuto la Montesi?». E Sepe: «Ma lei conosce Piero Piccioni?! Un

compositore di jazz! L’amante di un’attrice!». Sicché mi seccai e risposi:

«Scusi eccellenza, ma allora se si chiamasse Fanfani e Bertarelli come la

ditta che vende corone da morto in piazza dell’Indipendenza, per lei sa-

rebbe automaticamente una persona insospettabile!». V’è in Italia una

brutta abitudine: prima farsi una convinzione e poi cercarne la prova. Il

che è un capovolgimento del concetto di giustizia. Siamo tutti un po’ Se-

pe che si credeva l’inviato di Dio per pulire le stalle di Augia. Sepe!...

Quando diventai ministro delle Finanze mi scrisse una lettera: voleva di-

ventare il mio capufficio legislativo!

Sì, sì, sì. Verità sacrosante. Ma ciò non cambia l’indiscutibile vergogna che

esista una gran corruzione in Italia. Lei ha sviato il discorso. Lo scandalo esi-

ste ed anche i partiti ne sono rimasti coinvolti.

Page 16: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

Ho detto che non è ancora sera. Per esempio, dei comunisti non s’è par-

lato ancora ma anche loro come vivono finanziariamente? Che ricevano

aiuti dall’estero non è una malignità: è un fatto. E tra i personaggi che

potrebbe interpellare c’è Eugenio Reale che è stato loro amministratore.

Forse qualcosina potrebbe dirgliela. Via, scopriamo l’America a dire che

ogni partito riceve aiuti esterni! O si arriva davvero al finanziamento sta-

tale... Ma è il caso di crederci al finanziamento statale? De Gasperi, ad e-

sempio, non ci credeva. Diceva che l’opinione pubblica non lo avrebbe

accettato o vi avrebbe reagito con grande disagio: «Non suona bene dare i

soldi dello Stato ai partiti». Forse, se si potesse convincerli davvero a ren-

dere pubblico il loro bilancio e a non avere segreti sulle entrate e sulle

spese... Ma i partiti non rivelano mai i loro bilanci. Nemmeno agli iscrit-

ti. Io faccio parte della direzione della DC e, in trent’anni, non ho mai

visto un bilancio. Negli altri partiti credo che avvenga lo stesso. Nel 1945

e ’46 ai congressi c’era la relazione del segretario amministrativo ma ora

non c’è più nemmeno quella.

Andreotti, poco fa lei m’ha detto che questo terremoto potrebbe assestare le co-

se. Però dovrebbe saperlo che i terremoti, in Italia, non assestano nulla per-

ché, dopo il fracasso iniziale, non se ne parla più.

Forse perché si mette troppa roba al fuoco in una volta sola. Nell’enorme

calderone che ne consegue, si perdono di vista le cose essenziali. Vede,

ogni governo parte con un programma che non basterebbero quindici

anni per attuarlo. Non si fa più come Nitti che faceva un governo per na-

zionalizzare le assicurazioni sulla vita e basta. Era un programma limitato,

certo, ma era anche un programma chiaro e consentiva di controllare i ri-

sultati. Non si fa più come De Gasperi che buttava sul tappeto la riforma

agraria, ne tirava fuori una legge e l’applicava: che poi piacesse o no. Op-

pure come Vanoni che fece la riforma tributaria, e la gente brontolò, però

quando si vide in mano il modulo Vanoni concluse che in bene o in male

egli aveva fatto qualcosa. Oggi c’è un dialogo astratto tra i partiti, io-

sono-più-avanzato-di-te, no-sono-io-più-avanzato- di-te, io-son-più-

bello-di-te, tu-sei-più-brutto-di-me... non in senso fisico, s’intende, giac-

ché in quel senso resteremmo tutti buscherati... Comunque non si parla

più delle cose pratiche. I governi non hanno il tempo di fare nulla per-

Page 17: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

ché, quando un governo nasce, non si sa mai se il giorno dopo ci sarà.

Prenda l’intercettazione telefonica...

Ha il telefono controllato anche lei?!

Non lo so. Spero di no. Ma non lo so mica. Perché, ha mai visto la co-

pertina dell’elenco telefonico di Roma 1972-73? Eccola, guardi. Proprio

in copertina: «Detective privato Tony Ponzi. Premio Maschera d’oro.

Opera personalmente per controlli, indagini industriali e private, anche

con apparecchiature elettroniche miniaturizzate. Ovunque». D’altronde,

se uno fa il quarantotto perché il suo telefono è controllato, la malignità

comune può dire: sarà-che-non-voglia-farsi-sentire-perché-ha-qualcosa-

da-nascondere?

Bel discorso. Ma lei, quand’era al governo, cosa fece contro questo schifo del

telefono controllato?

Io, come stavo per dirle, denunciai il problema e incaricai i miei ministri

di tirar fuori un progetto. Il progetto fu preparato ma poi dovemmo an-

darcene e... si torna al ragionamento di prima: come si fa a fare le cose se

non ci danno il tempo? Bisognerebbe dire a un governo, qualsiasi gover-

no: «Tu rimani in carica due anni. Se alla fine dei due anni non hai rea-

lizzato nemmeno due o tre cose fondamentali, se non ci sei riuscito, ti

mando a spasso e ti interdico. Per dieci anni non potrai più partecipare a

un governo». Invece accade quello che accade, senza contare che il capo

del governo deve passar la giornata a occuparsi del prezzo del miglio o

della conferenza di Copenaghen. E la giornata dura soltanto venti-

quattr’ore.

Impiegatele meglio le vostre ventiquattr’ore. Non occupatevi del prezzo del

miglio. Non ci andate alla conferenza di Copenaghen. Ben per questo non

funziona nulla in Italia e rischiamo di assistere al suicidio della libertà.

Forse lei esagera. Non voglio negare che vi sia qualche fondamento in ciò

che lei afferma un po’ brutalmente ma non è giusto dire che in Italia non

funziona nulla. Anzitutto, se si pretende di far funzionare tutto, si chiede

una ricetta che non esiste. E poi non potrebbe darsi che si vedesse solo

ciò che non funziona ignorando ciò che funziona? Qualcosa funziona.

C’è un numero notevole di persone che fanno il proprio dovere, che la-

vorano regolarmente, che studiano regolarmente e si laureano bene. Bi-

Page 18: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

sogna stare attenti a non distruggere tutto. Può condurre non dico ai co-

lonnelli ma a un Giannini, cioè a uno stato di scontentezza perenne che

non rafforza la democrazia. Non possiamo dire di trovarci all’anno zero.

Non voglio ricorrere a statistiche imbonitorie ma sant’Iddio! Per me è già

molto che in venti anni la popolazione scolastica sia salita da un milione

a sei milioni e mezzo, quella universitaria da duecentomila a ottocento-

mila, e il livello di vita sia così migliorato, e si mangi bene, e... La demo-

crazia è un sistema faticoso: pieno di lentezze, di trabocchetti. Richiede

pazienza e anche errori.

È vero. Ma l’autocompiacimento è il sale delle dittature, la critica è il sale

della democrazia. E le chiedo come uomo di potere, come classe politica diri-

gente, può affermare d’aver la coscienza tranquilla?

Ecco, la coscienza tranquilla uno non può averla mai perché pensa sem-

pre che avrebbe potuto far meglio e di più. E poi il gioco politico non è

mai un gioco individuale: come al foot-ball, si lavora in squadra. Se o-

gnuno di noi dovesse rispondere a se stesso e basta...

Non ho detto Giulio Andreotti e basta. Ho detto Giulio Andreotti come rap-

presentante del potere e della classe politica dirigente.

Allora mi lasci dir questo: come classe politica, noi siamo partiti da una

grande inesperienza. Se vent’anni fa avessimo potuto impostare la rico-

struzione dell’Italia con l’esperienza che abbiamo oggi, avremmo fatto

meno errori e il triplo di cose buone. Suvvia, non sapevamo nemmeno

parlare in pubblico! Eravamo così impreparati! A me, per vedere la diffe-

renza tra ieri e oggi, basta guardare i giovani delle forze armate: sanno

perfino parlare in pubblico, quelli. Dunque, se giudica tutto dalle piccole

cose, dalle nostre miseriole, dai nostri sbagli quotidiani, ha ragione a dire

che siamo con le gomme a terra. Ma, se guarda in prospettiva storica, de-

ve concludere che non ce la caviamo male. Io sono ottimista.

Beato lei.

Sì perché non guardo mai le cose con uno stato d’animo eccitato. Non

serve ed è pericoloso. Ed anche se sono preoccupato mantengo un certo

distacco. Per esempio: nelle altre interviste lei ha discusso il fatto che gli

italiani siano fondamentalmente anarchici. Lo sono. Ciascuno di noi è

una piccola culla del diritto, ciascuno di noi rifiuta di stare al posto suo: i

Page 19: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

sindacati vogliono occuparsi del referendum, le regioni vogliono occupar-

si del Vietnam... E, sebbene la Costituzione parli di diritti e di doveri,

ognuno parla di diritti e mai di doveri. È considerato antidemocratico

parlare di doveri. Siamo bambini in quel senso. Però... siamo anarchici e

andiamo a votare più che in qualsiasi altro paese. Siamo anarchici e,

quando ci viene chiesto di non usare l’automobile, andiamo a piedi. Non

ci piace l’ordine e ci scandalizziamo per il disordine... Insomma non ri-

tengo, come lei, che la nostra libertà sia in pericolo. Oh, lo so che rischio

di sembrare melenso ma prenda l’esempio di Italia Nostra. Sembrava che

tutti si sentissero autorizzati a deturpare il paesaggio come volevano e in-

vece Italia Nostra ha riequilibrato la situazione.

Andreotti, io parlo di libertà e lei mi parla di paesaggio. Se avvenisse un gol-

pe in Italia...

Io non credo a queste cose complicate. Certe cose presuppongono un le-

targo e in Italia non c’è affatto letargo. C’è una grande vitalità delle isti-

tuzioni.

Se lo dice lei, mi sento più tranquilla. Perché sa qual è la voce che corre? È

che se avvenisse un golpe in Italia, il primo a saperlo sarebbe lei.

Io penso di no. Io penso che sarei tra i primi ad essere arrestato. E, co-

munque, le ripeto che al golpe non ci credo. La mia paura è un’altra: è

che la gente perda la sensazione che questo sistema, il sistema democrati-

co, garantisce una vita tranquilla e normale. La posta che non arriva, la

criminalità che aumenta... Al farmacista vicino a casa mia, stanotte, han-

no svaligiato il negozio e certo lui non è contento dello status quo. Co-

munque non credo ch’io sarei il primo a sapere una cosa brutta come

quella che dice lei.

Anche questo mi solleva. Senta, Andreotti: lei lo sa, vero, che la definiscono

uomo di destra. Rifiuta o no tale definizione?

Direi che la rifiuto perché la qualifica uomo-di-destra in Italia non viene

data per collocare una persona ma per metterle il piombo alla sella, per

crearle ostacoli. Il nominalismo è un’altra malattia degli italiani e v’è una

tale ipocrisia nelle parole destra e sinistra. Preferisco che mi chiamino

conservatore. In molti sensi, e sia pure in termini di preoccupazione de-

mocratica, sono un conservatore. Infatti mi accorgo che, quando si vo-

Page 20: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

gliono cambiare le cose, si finisce quasi sempre per cambiarle in peggio.

Quindi è meglio tenersele così come sono. Del resto credo di averle già

detto che non ho mai avuto tentazioni socialiste. Neanche in gioventù.

Uhm... Non si capisce bene cosa uno intenda per socialismo. Le riforme?

Se sono buone, piacciono anche a me ma spesso sono una chiacchiera e

basta. Ottengono solo di peggiorare le cose, come la riforma ospedaliera,

o di lasciare il tempo che trovano. Io posso anche fare una riforma perché

lei diventi regina d’Inghilterra. Ma poi non lo diventa.

Non voglio diventare regina d’Inghilterra, non mi piace Filippo. E io allude-

vo ad altre cose, Andreotti. Al suo abbraccio col maresciallo Graziani, per e-

sempio.

Gliela racconto subito quella storia, subito. C’era stato un convegno del

MSI ad Arcinazzo, e Graziani era presidente del MSI. Ciò mi aveva pre-

occupato perché in Ciociaria non v’era famiglia che non avesse ricevuto

da Graziani un piccolo favore e non mi piaceva che Graziani raccogliesse

voti. Così indissi una specie di controraduno democristiano e, appena

giunsi, trovai il questore pallidissimo: «Tra la folla c’è il maresciallo Gra-

ziani!». Risposi che non me ne importava nulla e feci il mio comizio spie-

gando che la democrazia non si discuteva. Finito il comizio, si alzò un

vocione: «Posso parlare?». Ed è lui. «Prego, parli pure. Siamo in democra-

zia », gli dico. E lui viene al microfono e dice: «Ah, io non m’intendo di

politica ma devo ammettere che se si è fatto opera di rimboschimento su

queste montagne, su queste vallate, lo si deve a De Gasperi». Roba da o-

peretta. Infatti si fa avanti un vecchietto, un democristiano, e replica:

«Marescià, allora perché dite che la DC è il nemico numero uno?». E

Graziani: «Chi dice così è un coglione». E il vecchino: «Marescià! L’ha

detto De Marsanich». E Graziani: «È un coglione anche De Marsanich».

Tutto qui. L’abbraccio non ci fu in nessun senso: né fisico né morale. La

storia di quell’abbraccio è la più grossa fandonia che abbia mai udito.

E poi alludevo all’accusa secondo cui, in diverse occasioni, lei avrebbe

accettato i voti dei missini.

È un’altra fandonia. Cifre alla mano. Noi della DC facemmo l’azione

contro Almirante proprio nel momento in cui ci opprimeva una scarsezza

di voti. Per arrivare al suo processo, io personalmente mandai una lettera

Page 21: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

al mio gruppo parlamentare. No, non è vero che i missini mi abbiano da-

to i loro voti. I missini non avevano interesse, oltretutto, ad appoggiare il

mio governo. Gli serviva più appoggiare il centro-sinistra per poi dire ve-

lo-avevamo-detto-che-la- DC-pende-a-sinistra. Oh! Mi si accusa anche di

esser stato tepido in quel dibattito televisivo con Almirante perché, al so-

lito, non ho gridato e ho badato solo alla sostanza di ciò che dicevo. Del

resto ciò che dicevo non era diretto ad Almirante ma a una parte dei no-

stri elettori che, non essendo fascisti o neofascisti, avevano votato per lui.

Mi premeva recuperarli. Io, sa, ritengo che i voti ai missini non dipenda-

no dalla loro capacità ma dalle nostre incapacità. A volte glieli offriamo

su un piatto d’argento, come frutto dei nostri errori. Pensi a Napoli.

Andreotti, le rivolgo una domanda che ho rivolto anche a Malagodi: non

rimpiange di non aver fatto, in gioventù, un antifascismo attivo?

Io sì. Certamente. Una delle radici anzi la radice di quel che s’è fatto be-

ne in Italia nei primi dieci anni di democrazia consiste proprio nella spin-

ta morale di coloro che fecero un antifascismo attivo. La battaglia del

1948 ad esempio non fu un rozzo scontro frontale: fu il recupero di una

capacità di battersi democraticamente. E quella capacità ci venne anche

dal CLN. Il CLN fu una gran cosa. Fu una scuola di democrazia.

Allora le chiedo un’altra cosa che chiedo spesso a chi non è fascista. Ma lei

riesce a parlarci coi missini?

Guardi, quando uno sta venticinque anni in Parlamento e vede sempre le

stesse persone, finisce col parlarci e magari bere insieme un caffè. E

quando va alla partita di calcio nella tribuna dei deputati, come fa a nega-

re un buongiorno? M’è capitato di parlare con Almirante, ovvio. Niente

discorsi approfonditi ma... Del resto, parlare agli avversari non è una ca-

ratteristica di ogni parlamentare civile? Io parlo con chiunque. Senza re-

pulsione, senza disagio. Scambiarsi idee o informazioni non significa mi-

ca tendersi trabocchetti o fare del proselitismo. È lo stesso pei comunisti.

Io, quando si discuteva la legge sul divorzio, ho avuto incontri molto ap-

profonditi coi comunisti. A parte il fatto che alcuni li conosco fin da ra-

gazzo e di altri sono amico. Mario Melloni, ad esempio, resta uno dei

miei amici più cari. Era direttore del «Popolo», era un democristiano. La

crisi che s’è operata in lui non mi ha condotto davvero

Page 22: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

all’incomunicabilità. Vi sono comunisti con cui è piacevolissimo stare.

Pensi a Pajetta. Pensi a Bufalini.

E Berlinguer?

Lui lo conosco poco. Appartiene a una generazione più giovane della

mia. Conoscevo meglio suo padre che era del Partito d’Azione e poi so-

cialista. Però so che è un giovane molto riservato, un buon padre di fa-

miglia, e questo conta molto per me. Rappresenta un elemento di equili-

brio. Guardi, il mio rapporto coi comunisti è abbastanza chiaro. Infatti

rispetto moltissimo il patrimonio di sacrificio che hanno accumulato, la

dedizione che dimostrano nel lavoro, il loro stesso metodo di lavoro. È

vero che sono seri. In parlamento non li trovi mai impreparati, la loro

presenza è più diligente della nostra, hanno gruppi di studio che funzio-

nano bene, hanno fede... Come oppositori, inoltre, sono straordinari. E a

me dà più soddisfazione un oppositore costante e preparato che un soste-

nitore il quale viene lì per darti il voto e basta. Però... Ecco: però sono

convinto che il comunismo sia una dittatura. Quindi bisogna impedire in

maniera assoluta che abbia successo. Suvvia, la dittatura del proletariato

non è mica un accessorio, non è mica una partecipazione agli utili o alla

gestione delle fabbriche! È una logica come, per la Chiesa, l’esistenza di

Dio. E così come un papa non può dire che all’esistenza di Dio si crede

nei mesi dispari e basta, non è sufficiente che un comunista creda alla dit-

tatura del proletariato nei mesi dispari e basta. Mi spiego? Bisogna distin-

guere tra comunisti e comunismo. E questa distinzione io la faccio. Pajet-

ta ad esempio ce lo vedo poco in una dittatura del proletariato. Penso che

lo fucilerebbero subito. Ma non sarebbe mica una consolazione esser fu-

cilati con lui.

Mi sembra di capire che lei non si presterebbe a favorire il compromesso stori-

co, come invece sostengono alcuni.

Eh, no! Coi comunisti ci parlo ma non per fare il Kerenski. Poi guardi:

secondo me, il compromesso storico è il frutto di una profonda confu-

sione ideologica, culturale, programmatica, storica. E, all’atto pratico, ri-

sulterebbe la somma di due guai: il clericalismo e il collettivismo comuni-

sta. Molta gente dice boh, i comunisti esistono e sono molti e contano:

quindi potrebbero mettere disciplina e ordinare al loro elettorato di

Page 23: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

comportarsi bene eccetera. Ebbene, mi sembra il caso di aprire un po’ gli

occhi a chi dice così. Il nostro sistema è impostato su vari partiti, e tra

questi conta in modo particolare il Partito socialista. Il compromesso sto-

rico significherebbe non solo la liquidazione dei vari partiti ma, in modo

particolare, del Partito socialista. Il PSI ritiene, spesso, di poter parlare

anche a nome delle masse comuniste ed afferma che la sua forza è supe-

riore a quella rappresentata dai voti. Si arroga insomma funzioni di in-

termediario. Ma il giorno in cui i comunisti parlassero in proprio, non ci

sarebbe più bisogno dell’intermediario. Il Partito comunista è portato per

sua natura a risucchiare gli altri e persegue tale obiettivo coerentemente,

non per calcolo subdolo o estemporaneo. Come ogni dittatura, del resto.

All’inizio, le dittature si servono tatticamente di tutti, però non possono

fare a meno di mirare a un punto dove esista solo il partito dominante. A

me non sembra offensivo dire che la logica del comunismo è lo stalini-

smo. L’esperienza dei paesi comunisti non ci dimostra che, appena

schiudono le porte, si tirano addosso un mucchio di guai e son costretti a

fare marcia indietro? Mi fanno sorridere quelli che si scandalizzano per

Solgenitsin. Non lo sapevano che in Russia non c’è libertà di pensiero e

di espressione? No, non ci credo, a questo compromesso storico. Non mi

piace.

Eppure non pochi democristiani ci credono.

Magari quelli che dicono siccome-il-papa-ha-mandato-via-Mindszenty

vuol dire che-è-possibile-fare-la-repubblicaconciliare. Chi non è comuni-

sta e considera quell’opportunità, commette lo stesso errore che commi-

sero i liberali e i popolari quando, nel 1922, si affiancarono al fascismo

nell’illusione di poterlo condizionare. Durò pochi mesi quell’errore stori-

co. Ma essi furono sufficienti a dimostrare che collaborare col dittatore è

una illusione assurda. Il dittatore ti spreme e poi ti butta via. Guardi, for-

se tra cinquant’anni le cose andranno diversamente: però oggi stanno così

e non mi sembra il caso che si faccia da cavie per formule tanto pericolo-

se. Ecco le conclusioni cui giungo per il rispetto che ho verso i cattolici e,

se mi è consentito, verso i comunisti. L’idea di Berlinguer è stata una

mossa sbagliata. Suggestiva finché vuole per gli sprovveduti che dicono

Page 24: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

almeno-avremo-ordine-e-tranquillità: ma sbagliata. E sa perché? Perché a

gente semplice non abboccherà.

Speriamo. Ma la gente semplice non conta.

Chi lo dice?

La gente semplice.

Nei momenti essenziali conta. Lei mi crede cinico ma in questo non sono

cinico per niente. E dico: la garanzia maggiore che abbiamo nelle cose di

fondo è proprio la gente semplice perché, senza saper teorizzare sulla li-

bertà, la libertà se la difende sul serio. Io son convinto che una parte no-

tevole dell’elettorato comunista difende un tipo di vita che nel sistema

comunista non potrebbe avere.

Vedremo come la maneggerete al referendum per il divorzio, la gente sempli-

ce. Se la rispettate tanto, la gente semplice, perché non incominciate a chie-

derle scusa di presentarvi a quel referendum accanto ai missini?

Noi non ne facciamo una questione di partiti. Infatti non abbiamo chie-

sto di abrogare la legge Fortuna in Parlamento. Avremmo potuto, volen-

do, perché in Parlamento, dopo la caduta del PSIUP, la maggioranza di-

vorzista non c’è più. La maggioranza, oggi, la raggiungeremmo noi in-

sieme al MSI. Ma questa somma di voti avrebbe avuto un significato po-

litico e così non abbiamo voluto.

Andreotti! Se dovessimo cambiare tutte le leggi ogni volta che cambia una le-

gislatura, staremmo freschi. La legge sul divorzio esiste, non passò per un ca-

priccio di Satana ma per una maggioranza democratica, e la Corte costitu-

zionale l’ha giudicata valida due volte.

La Corte costituzionale ha detto che il divorzio non è contro il Concor-

dato, ma la Corte costituzionale non può impedire l’abrogazione di una

legge. Se la Camera vuole abrogare una legge, può farlo in qualsiasi mo-

mento. Secondo me, la legge sul divorzio è sbagliata per un mucchio di

ragioni. Se avesse stabilito che il giudice può sospendere la procedura di

divorzio quando da esso deriva un danno irreparabile pei figli o per uno

dei coniugi... Se avesse fissato una posizione economica giusta per il co-

niuge divorziato anziché la storia degli alimenti che funziona così male...

Insomma, se fosse stata una legge migliore, per noi sarebbe stato difficile

farne una questione solo di principio. Ma, stando le cose come stanno, a

Page 25: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

me pare una questione di principio. A parte il fatto, s’intende, ch’io sono

contro il divorzio in generale. E non solo come cattolico. Infatti, se è vero

che il divorzio può sanare alcune cose, è anche vero che impallina

l’istituto matrimoniale.

Senta, Andreotti: ma perché vuole imporre il suo credo cattolico a tutti? Fi-

nora non ha fatto che inneggiare alla libertà e ora vorrebbe togliere la libertà

di divorziare a chi non la pensa come lei. Mi sembra una grossa incoerenza,

anzi una grossa prepotenza. Se il divorzio non le piace, non lo usi! Non è mi-

ca obbligatorio, sa?

Vi sono momenti in cui vanno introdotte innovazioni legislative: va be-

ne. Vi sono paesi civili che hanno sempre avuto il divorzio: va bene. In

Italia non se n’è abusato: va bene. La legge può essere corretta: va bene.

Conosco le contestazioni. Però dico: non era opportuno introdurre il di-

vorzio in una fase di assestamento psicologico così difficile, mentre il pae-

se subisce il permissivismo che ha invaso il mondo. Questo permissivi-

smo aberrante. Secondo me era sbagliato anche il momento in cui è stato

posto il problema. Guardi, non è che mi rifaccia a un dogma. Il mio ti-

more è che il divorzio indebolisca il senso del matrimonio mentre si sta

manifestando tanta discrasia sociale, spirituale... Dico: per tanti anni non

abbiamo avuto il divorzio. Si poteva aspettare ancora un poco, no? Che

urgenza c’era? Non era il momento giusto, no.

Ah! Non è un’argomentazione degna di lei, Andreotti. E quando viene il

momento giusto per cambiare le cose?! Se stessimo ad aspettare il momento

giusto, saremmo ancora nelle caverne a chiederci se è il caso di costruire la

ruota!

Non si scherza col matrimonio. Non si può dire: divorzio, faccio un altro

matrimonio, e poi un altro ancora. Non si deve.

E gli annullamenti della Sacra Rota, allora? Ma se la Chiesa cattolica annul-

la matrimoni da cui sono nati figli! Basta avere i soldi e un nome potente.

Secondo me, il cammino che dovrebbe fare la Chiesa è un cammino in-

verso. E cioè di un maggior rigore, di una minore permissività. Dovrebbe

annullare meno matrimoni, la Chiesa.

Page 26: Fallaci Intervista Giulio Andreotti

Questo è proprio essere più papista del papa. Meno male che lei non ha fatto

il prete e non è diventato papa. Meno male che un mucchio di democristiani

la pensano come me e non come lei.

E tanta gente democristiana la pensa come me, non come lei.

Guardi che, se mi fa arrabbiare, io accendo la sigaretta.

E io accendo la candela.

D’accordo. Tanto il mal di testa le viene lo stesso.

No, no. Sono meno delicatino di quanto sembri. Sembro delicatino per-

ché ho il torace stretto. Infatti, per via del torace stretto, non mi fecero

fare l’allievo ufficiale. Pensi, da giovanotto non raggiungevo neanche il

minimo di circonferenza toracica. Il maggiore che mi visitò disse: «Lei

non durerà sei mesi». Eh! Eh! Quando diventai ministro della Difesa,

cercai subito quel maggiore. Volevo prendermi il gusto di invitarlo a co-

lazione per dimostrargli che ero vivo. Ma non fu possibile. Era morto lui.

Lo avrei scommesso.