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Fatti e Personaggi della Prima Repubblica

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Emidio Valentini Fatti e personaggi della “prima Repubblica” nelle memorie di un .. gabinettista e…. non solo 1 – Presentazioni * 2. Premessa In questi ultimi anni di minore impegno e di preparazione al mio effettivo pensionamento, di tanto in tanto (credo anche per un vezzo tipico di chi e’ alla soglia della vecchiaia) mi lasciavo prendere, soprattutto nei viaggi in treno, dal ricordare qualche fatto e qualche personaggio del mio navigare nei gabinetti della fine della cosiddetta “prima repubblica”. In questo mio narrare riscontravo sempre, o quasi, l’interesse degli interlocutori, soprattutto di quelli che non conoscevano il mondo magmatico costituito dai gabinetti e dalle segreterie dei Ministri e Sottosegretari. Spesso venivo sollecitato a raccogliere in un libro la descrizione di tali fatti e personaggi. Ma, un po’ per pigrizia e un po’ perchè non mi sentivo tanto vecchio da scrivere le mie “memorie”, non avevo finora raccolto tale sollecitazione. La decisione di scrivere qualche cosa su questa mia esperienza la presi in occasione del compimento del mio 75° anno di eta’ che consideravo la data del mio effettivo pensionamento. Ho cominciato a scriverlo proprio un anno fa, qui a Maracaibo, in occasione della consueta vacanza natalizia con la famiglia di mio figlio e con le mie splendide nipotine. Scrivo questa premessa a libro quasi completato. Al mio rientro in Italia spero di farne una prima stampa digitale con un numero limitato di copie. Dopo la sintetica spiegazione delle motivazioni che mi hanno spinto a questi ricordi del periodo di mia presenza nel mondo della ricerca scientifica, della pubblica amministrazione, della politica e della cultura degli anni 70/80, ritengo opportuno fornirne alcune anticipazioni chiarificatrici del modo e dei contenuti. Innanzitutto, per evitare di appesantirne la lettura, ho fatto notevole ricorso a note poste in fondo al libro. E queste note non sono solo chiarificatrici di contenuto, ma integrazioni essenziali per una efficace lettura del libro. Per i contenuti debbo spiegare (almeno ci provo) alcune particolari caratteristiche. * da inserire nella pubblicazione a stampa in commercio La prima è una rilevazione fattami da un amico che mi ha detto: “se pubblichi il libro non aspettarti un successo: i personaggi sono tutti in positivo e il buonismo non piace, soprattutto se riguarda un passato visto, spesso, in negativo”.

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Non ci posso far niente: ho visto, e vedo, per carattere, il lato buono di chi conosco. La seconda è data dall’anomalia di essere stato un tecnico/politico, socialista culturalmente e politicamente militante, ma che ha lavorato quasi esclusivamente in gabinetti con Ministri democristiani. Ma questo è stato anche un vantaggio. La terza e’ costituita dalla sinteticità della descrizione dei tanti personaggi incontrati, cercando di coglierne i lati, per me, significativi: una scelta necessaria anche per quei personaggi che si meritano libri interi per la loro attività. La quarta è la notevole rilevanza alla mia attività come tecnico/politico nel mondo della cultura degli anni ’80. Termino questa mia premessa col ringraziare tutte quelle persone che ho avuto la fortuna di frequentare ed incontrare nella mia multiforme attivita’. Debbo ad esse l’aver vissuto bene il mio modesto contributo alla Prima Repubblica, contributo del quale sono e resto orgoglioso. ´ Maracaibo (Venezuela) – 20 febbraio 2006

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3 -Gli anni 70/80 3.1. – Nelle istituzioni 3. 1.1. - Ministero dei Trasporti (agosto1973/ marzo 1974) - Sottosegretario ai Trasporti On. Cornelio Masciadri 3.1.1.1. - Premessa

Nel mese di luglio 1974 il Partito Socialista Italiano entra nel Governo Andreotti, dopo un lungo periodo di appoggio esterno. Al Ministero dei Trasporti arriva, come Sottosegretario con delega all’Aviazione civile, l’on. Cornelio Masciadri, di Novara. Preso dai problemi e dalle responsabilità operative della Sezione che dirigevo nella Direzione Generale FS, non avevo dato gran peso a questo evento pur essendo, in quel periodo, un socialista politicamente impegnato. Dopo solo qualche giorno dall’insediamento, fu lo stesso Masciadri ad invitarmi telefonicamente a far parte della sua Segreteria con il ruolo di Vice Capo e responsabile del settore Ferrovie dello Stato. In verità, anche se gratificato per tale invito, fui inizialmente restio ad accettarlo; ma a quei tempi, pur senza la rigidità dei compagni comunisti, era difficile sottrarsi dal dare una mano al compagno con responsabilità di governo . Credo però che l’argomento piu’ convincente fu quello dell’indennità di Gabinetto abbastanza elevata, data l’importanza del posto che avrei ricoperto. Inoltre, per la costante brevità di vita dei governi di quel periodo, pensavo che al massimo entro un anno sarei rientrato nelle Ferrovie. Mi sbagliavo: lo feci dopo 17 anni. Non immaginavo che la mia vita e quella dei miei famigliari ne sarebbero state notevolmente influenzate, passando dalla routine e dalle certezze di una “carriera sui binari” alle incertezze ed alle montagne russe del “tecnico/politico”. E così cominciò la mia lunga avventura nei Gabinetti ministeriali (... e non solo) della Prima Repubblica. 3.1.1.2. Mio ruolo e funzioni 3.1.1.2.1. – Premessa Innanzitutto debbo sottolineare che, data la brevità dell’incarico e il ridotto ruolo di un sottosegretariato i miei ricordi sono necessariamente limitati quantitativamente e qualitativamente . Comunque con il distacco presso la segreteria dell’on. Masciadri ebbi subito a che fare con il bello ed il brutto del tecnico/politico. Iniziando “in casa”, ero evidentemente facilitato nella nuova attività. I miei precedenti incarichi mi avevano consentito di avere rapporti con tutte le strutture di vertice dell’azienda, dal direttore generale a buona parte dei dirigenti di massimo livello. Inoltre in quel periodo ero anche rappresentante nazionale dei dirigenti e funzionari in seno al sindacato SFI/CGIL e quindi a conoscenza non solo delle problematiche sindacali, ma anche delle persone che allora lo dirigevano.

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Avevo anche un certo prestigio, come tecnico, nell’ambito della sezione PSI Macao (quartiere Trieste - Nomentano). Vice Capo della segreteria.

Il mio primo compito, su incarico specifico del Capo della segreteria, Gabriele Di Palma, fu quello di organizzare proprio la segreteria. Mi preoccupai notevolmente quando constatai pero’ che il decreto di costituzione prevedeva la possibilità di distacco di oltre 100 persone.

Con tutta la fantasia possibile non si poteva far lavorare bene tante persone. Ma mi si chiarì subito che , per consolidata consuetudine, una parte dei distaccati serviva come “collaborazione diretta” del Sottosegretario per i collegamenti politici ed amministrativi necessari per il buon funzionamento del sottosegretariato. Nelle mie successive e più impegnative responsabilità, soprattutto come Vice Capo di Gabinetto e Capo di Gabinetto del Ministro della Ricerca Scientifica, dovetti sempre affrontare il problema dei cosiddetti “collaboratori decentrati”.

Dopo la fase iniziale di organizzazione della Segreteria e di regolamentazione del suo funzionamento interno, il mio compito quasi esclusivo fu quello di responsabile del Settore FS. I circa quattro mesi di mie funzioni da Vice Capo segreteria passarono, quindi, in relativa “routinarietà”. Capo della Segreteria (dicembre 1974/marzo 1975)

Avevo percepito che i rapporti Di Palma con l’on. Masciadri e soprattutto con la segretaria particolare non erano affatto buoni. Ma non mi sarei mai aspettato di prenderne il posto, per sue improvvise dimissioni. Prima di averne comunicazione ufficiale da parte di Masciadri, ero già stato preventivamente informato, separatamente, sia dalla segretaria particolare sia da alcuni dei consiglieri.politici con una frase sostanzialmente identica... “fra poco ti chiamerà il Sottosegretario per affidarti l’incarico di Capo della Segreteria; mi raccomando non parlarne con nessuno. Ne sono molto contento. Va via, per fortuna, Di Palma. Ed io ho caldeggiato presso Masciadri il tuo nome”.

Dopo poco cominciarono a bussare alla mia porta alcuni impiegati della segreteria che, con minore segretezza, si complimentavano già della mia nomina. L’incontro con Masciadri, per fortuna, avvenne lo stesso giorno delle “notizie sussurrate”: un incontro molto “novarese” (mix di efficienza lombarda con piemontese senso dello Stato) ma anche affettuoso, con riconoscimento dell’attività da me esercitata in precedenza. Una buona partenza, anche se intravvedevo giá il peso delle alterazioni organizzative e funzionali causate dalla lunga conflittualità e competitività interna. L’incontro di commiato con Di Palma avvenne il giorno dopo e fu molto cordiale ed affettuoso. Lo stesso giorno ebbi a disposizione, per la prima volta nella mia vita, la macchina blu con autista, in dotazione al Capo della Segreteria.

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Presi possesso della stanza “importante” che comunicava con quelle del Sottosegretario. E debbo ammettere che tutto ciò non mi dispiacque. Nei mesi successivi il piacere sarebbe diminuito, ma nei giorni iniziali assaporai i vantaggi “ludico/funzionali” della “nomenklatura” dei tecnici/politici di massimo livello istituzionale (come sono i Capi delle Segreteria di un Sottosegretario ed i Capi e Vice Capi di Gabinetto dei Ministri). 3.1.1.3. I Personaggi On. Cornelio Masciadri Era il tipico borghese socialista di quella zona di frontiera che è Novara Come politico poteva essere collocato fra quella vasta schiera di amministratori locali con “ambizioni governative”.

Si dichiarava della corrente di De Martino (in quel periodo segretario del PSI), ma con molta autonomia . Aveva anche lui la sua piccola subcorrente prevalentemente nell’area del proletariato degli immigrati. Nella gestione tecnico-politica dei fatti e dei rapporti in ambito ministeriale ebbi modo di constatare che, salvo qualche caso, vi era una sostanziale coincidenza fra la sua visuale “prevalentemente politica” e la mia “prevalentemente tecnica”. E ciò era facilitato dal fatto che Masciadri aveva una lunga pratica di amministratore locale ed io l’esperienza (non molta) e l’ interesse (notevole) per le “problematiche” politiche. Nei rapporti umani, pur con il “tu” tipico degli ambienti socialisti, vi era però molta freddezza fra di noi. Durante tutto il periodo, anche quando avevo la massima responsabilità nella gestione degli affari della segreteria, non mi venne mai proposto di fare o avallare nulla di cui non fossi convinto della legittimità e correttezza. E non ebbi mai sentore delle patologie contrattuali Ne consegue che, dal punto di vista etico professionale, i rapporti con Masciadri furono sempre corretti. Con il V Governo Rumor (14.03.1974 - 23.11.1974) avemmo l’amara sorpresa di non aver nessuna presenza socialista al Ministero dei Trasporti. E divenni ..un ferroviere errante.

3.1.1.4. - Fatti e Accadimenti Il documento “La politica dei trasporti del Partito socialista” Nella Sezione “trasporti” della direzione del PSI, presieduta allora dall’on. Antonio Caldoro, prevalevano i sindacalisti, soprattutto quelli dello SFI/CGIL (sindacato dei ferrovieri italiani aderenti alla CGIL).

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Questa prevalenza risultò però molto utile, non solo nella mia attività di Capo della Segreteria, ma anche nell’avviare e portare a termine, in tempi molto brevi il documento di “politica dei trasporti”. In una delle riunioni di coordinamento della “ presenza” socialista al Ministero dei Trasporti venne proposta la messa a punto e la pubblicazione, in tempi brevi, di un documento che ufficializzasse la posizione socialista nella politica dei trasporti. Debbo dare atto all’on. Masciadri di aver subito approvato l’iniziativa. Un appoggio ed un contributo notevole venne soprattutto dato da Valentino Zuccherini, personaggio storico nel sindacalismo ferroviario degli anni ‘60/’70 e consigliere di amministrazione delle Ferrovie dello Stato in quel momento. Nel gennaio 1974 venne costituito il gruppo di lavoro, abbastanza folto per evidenti motivi di presenze sia tecniche (per i vari comparti dei Trasporti), sia sindacali (i socialisti erano presenti anche negli altri due sindacati di categoria SIUF/UIL e SAUFI/CISL), sia politiche (peraltro molto limitate).

In circa due mesi fu realizzato e pubblicato il documento che poi è stato, per diverso tempo, un punto di riferimento costante per i socialisti con responsabilità amministrative, politiche e sindacali del settore trasporti.

L’elenco completo dei partecipanti al gruppo di lavoro è riportato nella nota n. 1.

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3.1.2 Ministero della Ricerca Scientifica (1974/1979)

3.1.2.1. Ministro Giovanni Pieraccini (il socialista colto) - agosto 1974/gennaio1975 3.1.2.1.1. –Premessa

Con il V governo Moro, i socialisti “perdono” il Ministero dei Trasporti. Conseguentemente la quasi totalità del personale della segreteria di Masciadri

rientrò, molto malvolentieri e con forte delusione, negli uffici di provenienza (in maggioranza Ferrovie dello Stato). Ricordo bene la cena di commiato, senza la presenza di Masciadri, incavolatissimo per la mancata conferma, ma con quella “materna” di Elisa, la segretaria particolare, in un’atmosfera molto triste, frutto del “mal di gabinetto” che prende quasi tutti dopo la “piacevole” abitudine a vivere nelle cosiddette stanze del potere.

Per il personale proveniente dalle FS tale tristezza era più forte perché io non rientravo con loro: il posto da me precedentemente ricoperto era già stato occupato. Venni distaccato alla Direzione Generale di Coordinamento dei Trasporti (una struttura di staff del Ministro), con l’incarico di dirigere la Divisione Politica dei Trasporti. Inizialmente ne fui molto contento, anche perché ritenevo di poter valorizzare l’esperienza fatta nel coordinare il gruppo di lavoro per la redazione del documento sulla politica socialista dei trasporti di cui ho parlato nel precedente capitolo.

Ci restai pochi mesi senza far letteralmente nulla se non leggere la documentazione, tanta, che arrivava da Bruxelles soprattutto in merito alle cosiddette “direttive” che allora rimanevano letteralmente cosa morta. Questi mesi mi servirono però, unitamente alla precedente esperienza, per dare un nuovo contenuto alla mia professionalità quando, passato alla ricerca scientifica, ebbi l’incarico del coordinamento della Ricerca Scientifica nel settore trasporti. Quando mi stavo abituando al far niente venni improvvisamente chiamato a Via del Corso (Direzione Nazionale del PSI): Pieraccini, nominato Ministro della Ricerca Scientifica, aveva chiesto alla segreteria di De Martino il nominativo di un dirigente per fare il vice capo di gabinetto. Un po’ perché sapevano che io mi trovavo in una situazione di “facile mobilità” ed anche per i buoni risultati come Capo della Segreteria di Masciadri, indicarono me che non avevo mai avuto nessun rapporto con il mondo della ricerca scientifica. Rimasi sorpreso dal fatto che la scelta non fosse caduta su uno dei tanti compagni della Sezione ricerca del Partito (in prevalenza del CNR). Di questa sorpresa ebbi conferma quando successivamente potei constatare la non “gioiosa accoglienza” non solo dei consiglieri scientifici che Pieraccini si era scelto, ma anche di quel piccolo sottobosco tecnico politico che fa da “ambiente” nei Gabinetti. Il previsto distacco “immediato” alla Presidenza del Consiglio (da cui dipendevano gli uffici del Ministro per la Ricerca Scientifica) si realizzò solo dopo qualche mese, diventando operativo agli inizi di settembre e non tanto per difficoltà

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burocratiche, come mi si diceva, quanto perché ai consiglieri ed al sottobosco faceva più comodo un vice capo di gabinetto non “compagno”. E così, a partire dai primi di settembre del 1974, iniziò la mia navigazione nel mondo della ricerca che ancora oggi, dopo trent’anni, caratterizza la mia attività, anche in termini di amicizie e conoscenze personali. 3.1.2.1.2. – I personaggi 3.1.2.1.2.1. Premessa La mia permanenza nel Gabinetto del Ministero della Ricerca Scientifica fu lunga e significativa. Ma nel periodo “Pieraccini” feci appena in tempo a prendere una limitata conoscenza delle persone che facevano parte della struttura. Dopo poco più di due mesi dagli inizi del mio incarico il V Ministero Rumor andò in crisi ed io mi trovai nuovamente nella situazione di incertezza che caratterizza il personale di Gabinetto con ruoli di fiducia del Ministro. In questo limitato periodo di esperienza potei subito percepire la diversità di ambiente, sia politico sia istituzionale, rispetto a quella fatta nel Sottosegretariato ai Trasporti. Innanzitutto il Ministero della Ricerca era uno dei cosiddetti Ministeri senza portafoglio. Ed infatti la dizione ufficiale era “Ufficio del Ministro per la Ricerca Scientifica e Tecnologica” incardinato nella struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Più tardi mi accorsi che, se questo era un limite nella quantità, era un vantaggio nella intensità di potere che poteva essere esercitato da chi era in posizione di rilievo nel Gabinetto. Inizialmente mi trovai peró a rimpiangere “la solidità” organizzativa, logistica ed umana del Ministero dei Trasporti. Notai la ridotta presenza di personale con distacco di origine politica e soprattutto sindacale. Vi era una specie di nucleo “storico” che si era consolidato con i “lasciti” dei precedenti Ministri e che costituiva la struttura burocratica dell’ufficio. Con il tempo potei constatare che questa situazione anomala di personale, unita alla non rigidità del “senza portafoglio”, poteva essere un fattore di efficienza. I “personaggi” del Gabinetto potei conoscerli durante i successivi anni proprio per la stabilità della struttura. E di questi racconterò nel capitolo successivo riguardante il Ministero Pedini. 3.1.2.1.2.2. –Il Ministro Giovanni Pieraccini Ricordo abbastanza chiaramente il giorno in cui conobbi personalmente Pieraccini (come socialista lo conoscevo da tempo, anche perché della stessa componente “ de martiniana”). Abituato all’ambiente caciarone e al “volemose bene” (per modo di dire) del socialismo romano, rimasi sorpreso dalla signorilità e scarsità verbale del compagno Pieraccini. Mi ricordo queste parole: “Caro Valentini, mi hanno parlato di te alla Direzione sia come tecnico sia come compagno. So che non ti dovrebbe essere difficile fare il tecnico senza confusioni di ruolo, ma comunque debbo chiederti di fare il mio Vice Capo di Gabinetto senza essere “compagno”.

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Questo consiglio là per là mi sembrò un voler evidenziare le distanze ed allontanare i comportamenti confidenziali tipici dall’ambiente socialista. Nei pochi mesi successivi ebbi poche occasione di incontri e quasi sempre insieme al Capo di Gabinetto, ma sufficienti per aver conferma del senso dello Stato e della correttezza che lo caratterizzava. Riflettendoci a distanza di tempo ed alla luce delle successive vicende del PSI collego questa sua insistenza a privilegiare le istituzioni come una cosciente e storica preoccupazione delle “posate che spariscono quando si invita un socialista”. Se mi è stato possibile, negli anni successivi collaborare con Ministri non socialisti e prevalentemente democristiani ciò è dipeso anche dalla fortuna di esperienze iniziali nel gabinetto Pieraccini e, pur con maggiori difficoltà, nella segreteria di Masciadri. Un’altra caratteristica di Pieraccini era la capacità di analizzare e valutare i problemi in una visuale “sistemica” in cui si rifletteva una profonda cultura umanistica, integrata dalla forte preparazione “sorelliana/marxista” della sua militanza politica. Spesso mi sono trovato ad immaginarne la sofferenza nel constatare la presenza nel partito dei “mercanti da angiporto” di cui tangentopoli non poteva che essere, anche nei suoi risvolti tragici, la logica conseguenza. 3.1.2.1.2.3. –Il Capo di Gabinetto - Cons. Antonio Vanin – La Corte dei Conti (“ancient regime” un po’ crociana ed un po’ borbonica) Anche la conoscenza, breve, ma intensa con Vanin, mi è servita molto per la lunga “navigazione” nei Gabinetti. Ma qui cerco di tratteggiare il carattere ed i comportamenti di un magistrato che, forse, nel suo periodo finale di tecnico politico (al Ministero dei Trasporti) è stato più borbonico che crociano. Era esteticamente e culturalmente aristocratico. Il suo parlare e la sua serenità erano caratterizzati dalla fortuna di essere nato in quella oasi di benessere rappresentata dalla penisola sorrentina. La sua cultura era prevalentemente giuridico/civilistica e pragmaticamente portata al compromesso ed alla mediazione. Nel capitolo successivo, relativo ai “fatti”, sintetizzerò gli “ammaestramenti” espliciti ed impliciti avuti da Vanin nei pochi mesi di diretta collaborazione con lui. Mi limito ora a qualche cenno sul suo modo di essere Capo di Gabinetto. Non l’ho visto mai arrabbiarsi anche quando doveva effettuare mediazioni “impossibili” fra i Consiglieri scientifici. E non citava, o lo faceva solo raramente, leggi e regolamenti. Analizzava e valutava le questioni, in un campo non certamente per lui usuale delle ricerca scientifica e tecnologica, con il buon senso e con il “ragionamento”. Ispirava serenità. Quando, preoccupato per problemi connessi alla gestione contabile/amministrativa dell’ufficio di cui ero responsabile, gli chiedevo consigli, non mi dava quasi mai risposte dirette, ma quasi sempre mi “costringeva” a ragionare. Dialogando, quasi socraticamente, mi conduceva alla constatazione che non avevo bisogno dei consigli e che bastava ragionare e mediare non rispetto a se stessi (compromessi con la propria etica), ma rispetto a tutti gli elementi, interni ed esterni della questione da risolvere. Diversi anni dopo, quando poi ebbi la fortuna di collaborare con il prof. Massimo Severo Giannini al Ministero della Funzione Pubblica, ebbi la conferma della

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validità di questo approccio: “le leggi ci sono e sono troppe, occorre e bisogna formare gli uomini, culturalmente e professionalmente capaci di applicarle e farle applicare”. 3.1.2.1.3. – Le mie funzioni I miei compiti erano identici a quelli che aveva il mio predecessore: Vice Capo di Gabinetto, responsabile della gestione contabile amministrativa e del Fondo Imi Ricerca Applicata. Per conservare i rapporti con la mia amministrazione di appartenenza chiesi ed ottenni l’incarico del coordinamento della ricerca scientifica e tecnologica nel settore dei trasporti. Dato il breve tempo di permanenza nel gabinetto Pieraccini, i miei compiti effettivi furono solo quelli di responsabile della gestione. Per me si trattò di una specie di full-immersion in un settore completamente nuovo come quello di “Ufficio per il Ministro della Ricerca Scientifica, incardinato nella struttura della Presidenza del Consiglio”. Questa accentuazione di compiti amministrativi, in un breve periodo di tempo, ebbe diversi effetti positivi:

- evitare di far emergere la mia impreparazione in materia di ricerca scientifica; - utilizzare le attività amministrative per approfondire i rapporti con le strutture

tecniche, molto informali; - avviare rapporti di collaborazione con la “casa madre” rappresentata dalla

Presidenza del Consiglio dei Ministri, nei cui ruoli ero incardinato nella posizione più stabile: quella di personale fuori ruolo; - utilizzare subito e prevalentemente la mia professionalità in materia di gestione e rapporti con il personale. Nel ricordare questo mio periodo debbo rilevare che “l’anomalia” di essere stato poi e per anni Vice Capo di Gabinetto e Capo di Gabinetto di Ministri democristiani, pur essendo un socialista “politicamente” impegnato, è dipesa da tre fattori essenziali: il primo, oggettivo: il non settarismo ideologico degli anni ’70; il secondo, soggettivo: la mia formazione di tecnico “delle rotaie”: l’esercizio delle ferrovie, come circolazione, non ammette “ideologie”; il terzo, esperienziale: la fortuna di aver iniziato la mia attività di tecnico politico in ambiente, con competenze e con capi giusti.

3.1.2.1.4.– Fatti e Avvenimenti (pochi: governo breve) 3.1.2.1.4.1.– Una lezione di Pieraccini sul come “governare” i consiglieri scientifici Pur non avendo rapporti diretti con l’ambiente scientifico che girava intorno al Ministro ed al Gabinetto, partecipavo spesso come uditore alle riunioni di gabinetto che precedevano incontri importanti a livello nazionale (come quelli con i Presidenti di CNR ed Enea) e a livello internazionale (come la CEE, l’Agenzia spaziale europea). Il mio ruolo di “apprendista” facilitava la concettualizzazione dell’andamento delle riunioni. Nelle riunioni più ristrette ed importanti partecipavano Pieraccini, Vanin, il capo ufficio legislativo, Rocca, i consiglieri scientifici, Cortellessa e Romano, ed io. L’andamento delle riunioni, qualunque ne fossero i contenuti, aveva quasi sempre il seguente rituale: Pieraccini introduceva brevemente l’argomento, Vanin aggiungeva quel minimo necessario per dare un quadro complessivo (negli aspetti istituzionali/giuridici), Rocca

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integrava con notizie storiche (era da anni nel gabinetto e quindi l’unico a conoscenza dei “precedenti”), Cortellessa e Romano ne illustravano le problematiche tecnico-scientifiche. In attesa di una più approfondita descrizione di questi due personaggi molto noti nell’ambiente dei cosiddetti “politici della Ricerca”, ritengo opportuno evidenziare il fatto che: - Giorgio Cortellessa era fisico ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, sindacalmente (CGIL) e politicamente impegnato nella corrente PSI lombardiana, con una tendenza all’aggressione dialettica; - Aldo Romano era fisico universitario, sindacalmente poco impegnato, politicamente attivo, ma senza una precisa collocazione correntizia; - entrambi erano molto preparati in materia di politica (e poteri) della ricerca e di questo ho avuto conferma quando li ho avuti, successivamente, come diretti collaboratori. Nella quasi totale ignoranza iniziale di tali problematiche, avevo constatato che in ogni questione le loro posizioni erano sempre diametralmente opposte. Questa contrapposizione emergeva facilmente nel radicalismo dialettico di Cortellessa, meno direttamente nel “didatticismo” di Romano.

E quasi sempre le riunioni terminavano senza una conclusione. Con Pieraccini che spesso si assentava “non solo mentalmente” e con Vanin che cercava di evitare “ la rissa”. Abituato alle riunioni tecniche delle Ferrovie in cui c’era prevalentemente integrazione, non riuscivo a spiegarmi questa funzione di consiglieri che si comportavano come “ lottatori in un’arena”. Un giorno, nell’intervallo di tempo fra la crisi del V Governo Rumor e il cambio di consegne con Pedini, mi trovai a parlare da solo con Pieraccini a cui chiesi, proprio come un apprendista, come mai si era scelto due consiglieri così caratterialmente e culturalmente opposti, ma che soprattutto non si preoccupavano di ciò che potesse essere conveniente da un punto di vista di “insieme”. Ed ebbi cosi una lezione/testimonianza di alto livello, sulla “politica”, in cui potei riscontrare una stratificazione di Machiavelli, Voltaire, Marx, Croce, cementata dagli ideali della “resistenza ” e comune a quasi tutto quel gruppo di politici formatisi nei lunghi anni di “opposizione al fascismo” e che nel partito d’Azione trovò la sua più forte, anche se breve, espressione. E ricordo con piacere anche quella atmosfera ovattata dell’Ufficio del Ministro a Piazza della Minerva, resa un po’ triste dalla confidenza da parte di Pieraccini della sua mancata riconferma e forse del suo addio alla politica attiva. Non mi è facile ricordare i dettagli di quel monologo sulle “scelte politiche” in materia di questioni ad alto contenuto tecnico. Ne rimasi incantato. Fu una lezione:

- sulla distinzione fra responsabilità politiche e responsabilità tecniche e sulla politica come “sintesi in movimento” di tanti fattori di cui la componente tecnica (in senso lato) è condizione indispensabile, ma non sufficiente;

- sul ruolo preminente della politica; - sui rischi di tecnici con responsabilità politica; - sui rischi di politici che si ritengono tecnici. Per evitare di scivolare nel “filosofico” riporto a memoria, con una notevole

dose di “semplificazione”, quanto invece mi disse, nel quadro di un discorso più generale, per lo specifico della mia domanda.

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“Caro Valentini, apprezzo innanzitutto la tua domanda anche per la motivazione che la sottintende. Ho scelto Cortellessa perchè in lui vi è la sintesi più efficace del radicalismo culturale scientifico che caratterizza questi anni di turbolenza: ascoltare lui significa avere informazioni e valutazioni di quella parte del mondo scientifico che è fuori dal potere e che rappresenta peraltro buona parte dell’attuale ambiente socialista. Questa parte non sarà mai al potere, ma conoscerla significa avere il polso dei fermenti innovativi di cui poi l’altra parte, quella dei Romano, si impadronirà. E’ la parte che si entusiasma del futuro e che si autoalimenta in una miriade di movimenti, di conventicole e di incontri. Se non ci fosse, dovremmo inventarci un Cortellessa. Ho scelto Aldo Romano perchè rappresenta meglio di tutti quella parte del mondo accademico che aspira al potere e che si accinge ad essere l’alternativa alla vecchia classe baronale, quasi tutta partecipe del potere tradizionale, che ha trovato nella DC dorotea la sua naturale sponda. Averlo come consigliere significa avere informazioni sull’ evoluzione del potere “politico” nel campo della ricerca ed anche dell’università. Entrambi sono intelligentissimi. I loro modi di analizzare, di valutare, di consigliare trovano peraltro un comune denominatore culturale espositivo nell’essere entrambi fisici e quindi abili nello spiegare chiaramente le rispettive posizioni. Entrambi sono utili. Ma, come avrai potuto notare, le poche scelte che ho fatto non le ho concordate con loro (il che è oggettivamente impossibile), ma le ho prese valutando e mediando (oggettivamente necessario per un politico), tenendo conto della “storia” rappresentata da Rocca e degli aspetti giuridico istituzionali rappresentati da Vanin. Vedi, non avrei mai scelto un Capo di Gabinetto inserito organicamente nella ricerca o nel mondo accademico. Farlo significava dare apparenza politica a scelte “culturalmente tecniche”. E con questo riferimento concludo la “lezione” di Pieraccini. Ritengo opportuno far rilevare che Aldo Romano è diventato poi, fra l’altro, Rettore dell’Università di Bari avvicinandosi all’area democristiana e Cortellessa è rimasto ricercatore all’Istituto Superiore di Sanità avvicinandosi alla cosiddetta area della sinistra estrema. 3.1.2.1.4.2. - I consigli del Capo di Gabinetto sul come “rapportarsi” con Corte

dei Conti, Ragioneria dello Stato e Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri

In questo capitolo sintetizzo e “concettualizzo” gli insegnamenti che ho avuto dal cons. Vanin nei tre mesi circa di incontri giornalieri per gli aspetti gestionali dell’ufficio. Quando, quasi quotidianamente, gli ponevo domande e chiedevo consigli sul come risolvere pratiche rognose spesso lasciate “maturare” per troppo tempo, non mi dava mai una risposta, ma mi dava indicazione circa gli uffici della Corte dei Conti, del Ministero del Tesoro e della Presidenza del Consiglio cui rivolgermi per accelerare e trovare una soluzione all’iter della pratica.

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Vanin aveva una forte struttura culturale, metodologica, professionale maturata in periodi di stabilità normativa e regolamentare; avversava però gli approfondimenti teorici. Mi suggeriva costantemente di valutare una pratica, ferma per contrasti, per necessario parere o per approvazione da parte di altre amministrazioni, attingendo con umiltà notizie e valutazioni alla fonte. “Prima vedi che hanno e che “vogliono” i tuoi interlocutori, mi diceva, poi valuta il da farsi”. Cominciai ad evitare qualsiasi scambio di corrispondenza istruttoria, recandomi alla fonte, come diceva Vanin. E così cominciai a conoscere i locali di via Baiamonti (Corte dei Conti), di via XX Settembre (Tesoro) e di piazza Colonna (Presidenza del Consiglio). Più tardi potei constatare che Vanin mi aveva suggerito quello che nella sostanza venne poi reso obbligatorio nella legge 241/1990 con l’istituzione della conferenza dei servizi.

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3.1.2.2. Ministro Mario Pedini (il Bresciano pianista) - 23 novembre 1974/11 marzo 1978 come Vice Capo di Gabinetto 3.1.2.2.1. – Premessa Con il quarto governo Moro inizia il lungo periodo di assenza dei socialisti dal governo (novembre 1974-aprile 1980) e si avvia la fase del “vero” compromesso storico. Comincia per me la collaborazione con Ministri democristiani. Ero pronto al rientro nelle Ferrovie dello Stato, con il proposito di chiudere per sempre la mia esperienza poco più che annuale di tecnico/politico. In realtà cominciava a consolidarsi in me il “mal di gabinetto”. Perciò rimasi piacevolmente sorpreso quando, nello stesso giorno di scambio di consegne fra i ministri, venni chiamato dal nuovo Capo di Gabinetto, Antonio Mancini che, in presenza di Vanin, mi comunicò la mia conferma come Vice Capo di Gabinetto. Di Antonio Mancini, di questo intelligentissimo ed irrequieto diplomatico, dirò diffusamente più avanti. Debbo però anticipare il fortissimo feeling che mi ha legato a lui, fino alla sua morte prematura e quasi cercata, mentre svolgeva, con la solita dedizione, la sua attività di ambasciatore a Beirut negli anni tragici delle distruzione e dei massacri. Questa conferma si inseriva quando mi ero già fatto una buona esperienza nel gestire le rogne amministrative dell’ufficio e quindi ebbi un impatto molto soft con i nuovi arrivati. In ciò facilitato, oltre che dai buoni rapporti subito instauratisi con Mancini, anche dal clima di collaborazione ed affetto che caratterizzava i rapporti tra i collaboratori diretti di Pedini . Comincia per me quel lungo e fortunato periodo di “presenza attiva” nella Ricerca Scientifica prima e nella Pubblica Amministrazione dopo. 3.1.2.2.2. – Lavorare, per cinque anni, nel palazzo della Minerva, accanto al Pantheon, vicino al Senato, alla Camera dei Deputati, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, frequentando i bar ed i ristoranti del potere politico Nella primavera del 1975, Gianni Granzotto, in quel periodo direttore dell’ANSA, venne nella mia stanza per la firma della convenzione con l’Ufficio del Ministro (per il quale io firmavo tutto ciò che aveva rilevanza contrattuale). In attesa che il funzionario addetto ai contratti completasse i cosiddetti adempimenti finali prima della firma, affacciandosi alla finestra che sporgeva propri sul centro della piazza, mi disse: “Dott. Valentini, lei è fortunato a lavorare in un salone come questo, in un posto come questo”. Ebbi la sensazione che lo dicesse con una certa malinconia di tempi passati. In realtà, mondanamente, fece anche riferimento alla bella signora del Rinascimento il cui ritratto era nella vicina chiesa della Minerva. Vista la mia sorpresa ed anche, credo, il mio interesse, si fermò nel mio ufficio più di quanto fosse burocraticamente necessario e, in poco più di mezz’ora, mi fece un quadro lucido, “colto” e sistemico, di qual mix di potere politico, di buona cucina, di arte e storia che si concentra nel triangolo compreso fra Piazza Colonna, Piazza Argentina e Piazza Navona. Continuò dicendomi: “Nelle strade, nei bar, nelle trattorie e ristoranti di questo triangolo è stata scritta la storia vera della “politica” di questo Paese dalla presa di Porta Pia in poi”.

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Era una visuale “paradossale e giornalistica”, forse provocatoria, ma certamente stimolante. A distanza di anni, ho sempre i piacevoli ricordi del percorso per andare a prendere il cappuccino mattutino alla Tazza d’oro, al bar Giolitti, al bar S. Eustachio in cui incontravo spesso parlamentari, giornalisti e lobbysti. In queste strade ed in questi bar vi era la confusione dei turisti che rendeva “indifferenti” e anonimi i personaggi del potere politico. E così cominciai a vedere gli avvenimenti con maggior distacco ed a comprendere quel certo cinismo disincantato e a volte strafottente dei romani. Ma mentre le strade e i bar erano occasione fugace di incontri, le trattorie ed i ristoranti costituivano, se frequentati assiduamente e con occhi “ pronti e preparati”, punti interessanti per vivere le vicende politiche del tempo. Non erano ancora di moda il “de michelismo dei night club” ed il gossip mondano politico. Per motivi connessi al mio lavoro di Vice Capo di Gabinetto, ma anche per una certa ritrosia di Mancini ai doveri di ospitalità e di rappresentanza del Ministero, per tutto il periodo della Ricerca Scientifica (1974/1979) ho dovuto organizzare e partecipare a colazioni e cene di lavoro e/o di rappresentanza per conto del Ministero. Le più impegnative, ed erano la maggioranza, erano quelle organizzate direttamente dal mio ufficio. L’inevitabile noia da routine era attenuata proprio dalla curiosità che suscitava, ad esempio, l’essere vicino ad Andreotti che mangiava pochissimo e sembrava essere assente oppure a Martelli che parlava come un professorino della Bocconi. Ma anche gli occasionali compagni dei personaggi destavano curiosità ed interesse. Il ristorante “31 al Vicario”, era il locale per le colazioni di rappresentanza ufficiali ed importanti. Si mangiava abbastanza male, ma con un accettabile livello di “internazionalità culinaria”.

La trattoria “la Rosetta”, vicino piazza del Pantheon, era (ed è) uno dei migliori ristoranti di pesce. Si stava molto stretti e con poca privacy. Il prezzo faceva da premio per evitare il turismo “economico”.

La trattoria “da Settimio” era una tipico locale di cucina romana dove si mangiava molto bene e a prezzi abbastanza accessibili. Era il locale che si utilizzava per rappresentanze e presenze di tipo culturale scientifico. 3.1.2.2.3. – I Personaggi 3.1.2.2.3.1. – Premessa I tre anni pieni passati nel gabinetto Pedini sono stati quelli in cui ho avuto modo di conoscere meglio e più a lungo l’ambiente e le persone, in una posizione abbastanza “comoda” e adatta a comprendere: - la categoria di Ministri, in prevalenza democristiani, formatasi politicamente negli anni ‘50/‘60 a ridosso della fase “eroica” del dopoguerra e all’ombra dei Padri della Repubblica; - il ruolo ed il potere effettivo esercitato dallo staff di Gabinetto nelle sue tipiche articolazioni di Capo di Gabinetto, Vice Capo di Gabinetto, Segretario Particolare, Capo Ufficio Legislativo e Consiglieri;

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- il composito mondo della ricerca scientifica italiana con le sue caratteristiche di tendenziale isolamento “accademico”. La mia posizione di Vice Capo di Gabinetto era, ai fini gestionali, identica a quella di un direttore generale, ma con il peso ulteriore di essere anche collaboratore tecnico politico del Ministro. E ciò mi ha consentito di avere molti rapporti e abbastanza continui con tutti i personaggi che direttamente ho conosciuto. 3.1.2.2.3.1. - Il Ministro Mario Pedini

Di Mario Pedini non ho molti ricordi “diretti”. Nei tre anni come suo Vice Capo di Gabinetto, ho avute poche occasioni di

incontri dovuti al mio incarico. Lo vedevo raramente. Ma tutte le volte che lo incontravo (in conviviali o in occasioni informali) si comportava come se ci frequentassimo quotidianamente.

Con monotonia mi raccomandava sempre di “andare d’accordo con Antonio”. Mi sorprendeva comunque il fatto che era sempre informato del come gestivo

gli affari “amministrativi”. Quando aveva qualche problema particolarmente a cuore, mi telefonava, ma

spesso si serviva del tramite della mia segretaria. Il suo modo di essere Ministro delegante determinava un effetto a cascata nei vari livelli di partecipazione alle decisioni, non senza qualche problema di tensioni all’interno del suo staff. Questa sua esigenza di decisioni decentrate era determinata essenzialmente dalla molteplicità dei suoi interessi e dei suoi complessi. Il primo era quello del “missionario in terra d’Africa”. Cresciuto e vissuto in quella culla del missionariato rappresentata dalla est-Lombardia, che aveva (e credo tuttora abbia) le sue roccaforti in Bergamo e Brescia, ne rimase caratterialmente influenzato fino agli ultimi anni della sua vita. Incontrandolo qualche anno fa sull’Eurostar Milano-Roma, con notevoli problemi di deambulazione, mi trattenne per quasi tutto il percorso, parlandomi della sua attività di mediazione commerciale/culturale con i paesi dell’Africa. E manifestava lo stesso entusiasmo di quando si preoccupava degli aiuti all’Africa nel campo della ricerca e dei beni culturali. Questo mal d’Africa ha caratterizzato tutto il suo periodo di presenza nei governi. La sua ambizione era di poter concludere la sua attività come ambasciatore nell’area dei paesi africani. Il secondo era quello dell’uomo da forti interessi culturali, soprattutto musicali. Quando, nel febbraio 1976 (V Governo Moro), diventò anche e soprattutto ministro dei Beni Culturali, Pedini ebbe modo di valorizzare questa sua “cultura”, tanto da non far rimpiangere Spadolini e da risultarne forse il migliore Ministro degli anni ‘60/‘70. Del Pedini ai Beni Culturali avevo notizie dirette per la mia assidua frequenza nel Gabinetto di questo Ministero, con Mancini Capo di Gabinetto anche in questo nuovo incarico. E la sua successiva promozione al Ministero della Pubblica Istruzione fu anche il risultato della sua attività e del suo impegno. Il terzo era quello del bisogno di sentirsi “femminilmente e famigliarmente” protetto; bisogno di cui peraltro il suo “delegare” era una manifestazione evidente.

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Era uno dei pochi Ministri democristiani ad avere una segretaria particolare donna. Ma anche questo lato del carattere si manifestava nel quadro di quel suo essere cattolico della “frontiera lombardo/veneta”. La sua famiglia era sempre presente. La signora Pedini ed i figli frequentavano assiduamente gli uffici del Ministero. Questo suo bisogno che era certamente un limite del Pedini politico, ne era anche la forza per la dedizione dei suoi collaboratori. Il quarto lato era quello del suo essere poco preparato alla gestione. “borbonico/piemontese” del potere pubblico. Aveva una limitata cultura giuridico-istituzionale, compensata però da un sano buon senso che lo portava alla mediazione e ad una certa saggezza comportamentale che gli facilitavano la stima e gli apprezzamenti personali. Con il IV Governo Andreotti (11.03.1978 - 20.03.1979) venne promosso al Ministero della Pubblica Istruzione. Dopo qualche mese diventarono difficili i rapporti con Mancini che, concluse le sue esperienze di Capo di Gabinetto, si trasferì a Nizza come Console generale. Io restai alla Ricerca Scientifica come Capo di Gabinetto di Antoniozzi. E si rompono così quegli equilibri di competenze e responsabilità che avevano caratterizzato i suoi precedenti incarichi di Governo. Quando, poco dopo la partenza di Mancini, andai a trovarlo a viale Trastevere, ebbi subito la sensazione che, finito nella rete di quei “ navigati” e potenti direttori generali, non avrebbe retto alle insidie del mega Ministero. Non aveva più come collaboratore quel mastino (molto furbo all’occasione) di Mancini. E le sue doti colte ed umane, non filtrate, vennero ingenuamente allo scoperto. L’esibizione “pianistica” televisiva fu, forse, l’occasione mediatica della sua definitiva emarginazione. Ma , ormai, nel Paese cominciava ad emergere un nuovo modo di fare politica. 3.1.2.2.3.2 - Il Capo di Gabinetto (Min. Antonio Mancini – Il bravo diplomatico anomalo, poi ambasciatore a Beirut, nel periodo della cruenta anarchia istituzionale) Non mi sarà facile parlare di Antonio Mancini che ho conosciuto a lungo e con tanto affetto e stima. Mi porto appresso un sofferente rimpianto per non essergli stato vicino nella fase finale della sua vita. Ancora ricordo il mio sommesso e nascosto pianto quando vidi la sua bara al rientro da Beirut dove si era “coscientemente” infartato. Eravamo quasi coetanei (Mancini aveva un anno pìù di me) ed etnicamente affini (lui marsicano di Tagliacozzo, io irpino di Trevico), entrambi montanari. Questo rese subito facili i nostri rapporti, con sorpresa dei nostri reciproci collaboratori e soprattutto di Pedini. In tanti anni di rapporti istituzionali e frequentazione amichevole non si verificò mai un contrasto. La caratteristica del Ministero della Ricerca Scientifica era quella di essere un ufficio alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri su cui il Ministro aveva la delega . La Presidenza del Consiglio non aveva allora una sua dotazione organica.

Tutto il personale era o costituito da “fuori ruolo” delle Amministrazioni di appartenenza (posizione più stabile e ben vista da queste, anche per la possibilità di ricoprire i posti lasciati vuoti) o di “distaccati” (posizione più precaria e poco accettata).

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La struttura del Gabinetto costituiva la dirigenza alta di tale ufficio e si confondeva con questo, soprattutto come nel mio caso di dirigente “in forza” alla Presidenza del Consiglio. Il Ministro era anche il capo “istituzionale” dell’ufficio. Con la conseguenza che doveva firmare non solo l’attività contrattuale esterna, ma anche quella riguardante l’amministrazione del personale (missioni, straordinari ecc. ). Appena insediato, Mancini mi disse che il necessario visto su tutti gli atti a rilevanza giuridico istituzionale doveva essere dato da me. Poiché i cosiddetti “faldoni” contenenti le pratiche da firmare passavano prima sul tavolo di Mancini e poi andavano dal Ministro, ebbi lì per lì la sensazione che questa specie di delega al visto fosse dovuta ad un desiderio di deresponsabilizzarsi. Invece successivamente ho potuto constatare una duplice giustificazione: una oggettiva, tipica dei diplomatici e dei magistrati, riguardante la gestione degli affari amministrativi con personale dirigente distinto, l’altra, soggettiva, dipendente dalla debolezza di Mancini nel non saper dire no a richieste sia interne sia esterne (lo caratterizzava una forte disponibilità ad aiutare chi aveva, o riteneva che avesse, bisogno). Si giunse ad una distinzione dei ruoli: della progettazione, attuazione e verifica degli aspetti amministrativi-contabili, con le conseguenti rogne, me ne facevo carico io. Mancini aveva tutto il tempo per “consigliare” e gestire gli affari istituzionali e politici del ministero. Era anche la conseguenza dell’esigenza di delega che caratterizzava Pedini. Fino al febbraio 1976 (con Pedini Ministro delle Ricerca Scientifica) la stanza di Mancini era un via vai di consiglieri e “postulanti” scientifici che spesso passavano dopo nella mia, lamentandosi della sua durezza formale, ma lodandone la preparazione professionale. In questo periodo contribuì moltissimo ad avviare quella fase “illuministica” della ricerca scientifica, rappresenta da progetti finalizzati CNR di cosiddetta prima generazione.

Una maggiore presenza la esercitava nei riguardi della gestione del Fondo Imi Ricerca Applicata, di cui continuavo ad essere il responsabile per l’istruttoria e per le pratiche di presentazione al CIPE. Ma anche in questo delicato settore non vi furono mai motivi di dissenso. Con il V Governo Moro (12.02.1976 - 29.07.1976) ed anche con il successivo III Governo Andreotti (29.07.1976 - 11.03.1978), Pedini divenne titolare del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali , unitamente a quello della Ricerca Scientifica. Gli uffici dei Beni Culturali erano vicinissimi a quelli della Ricerca, ma in prevalenza Pedini, con tutto lo staff (compreso Mancini) preferiva restare nei più sontuosi saloni che Spadolini aveva fatto restaurare. In questo periodo non vi furono modifiche sostanziali nella gestione degli uffici del MRST. Aumentarono evidentemente le mie responsabilità. Permanevano le due distinte sfere di competenze fra Mancini e me, ma con sempre maggiore mio coinvolgimento nelle attività istituzionali. Cominciò il mio apprendistato di “direttore dell’Ufficio del Ministro” che avrei poi esercitato nel periodo di gabinetto Antoniozzi. E questo apprendistato mi era molto facilitato da Mancini che, oltre a delegare sempre più, aveva anche il vezzo amichevole, nei miei confronti, di evidenziare “la sostanza” di come agire nel settore particolare della ricerca e più in generale della cultura.

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Con il passaggio di Pedini al Ministero della Pubblica Istruzione, Mancini venne a trovarsi in una situazione in cui risultava oggettivamente difficile comportarsi come aveva fatto al MRST e ai Beni Culturali. Pochi giorni dopo il suo insediamento lo vidi stanco e preoccupato: capiva la ingestibilità “storica” del Ministero PI, era preoccupato per le sorti di Pedini che invece era euforico. E forse percepiva che, se voleva fare carriera nel suo Ministero, doveva rientrare nei ranghi e cercare di essere un diplomatico “tradizionale”. Nell’estate del 1979 fui suo ospite per diversi giorni a Nizza, dove era Console generale. E fu l’occasione per una “conoscenza“ più approfondita e umana. Evitavamo di parlare del comune lavoro passato. Era entusiasta nel progettare iniziative “commerciali e culturali” a tutela degli interessi del nostro Paese, nel trovare occasioni per incontri con la comunità italiana. E si fece carico anche di “seguire” mio figlio mentre partecipava ad uno stage di perfezionamento del francese. Ho poi conosciuto Mancini come vice alla Direzione Generale della Cultura del Ministero Affari Esteri. Era rientrato in Italia per motivi di famiglia. E negli anni 1980/1985 mi è stato molto vicino in tutte le mie iniziative sociali e culturali, soprattutto quella svolta nel Cevar, facendomi conoscere e frequentare ambasciatori come Playa e Guazzaroni. Negli anni successivi, soprattutto per il suo incarico di ambasciatore a Beirut, non vi furono che occasioni saltuarie di incontri. Ed a Beirut mori improvvisamente, per infarto. Riporto ora stralci del ricordo di Mancini fatto da Pedini in occasione dei suoi funerali (13 febbraio 1990). “Torni ora dalla più dura delle tue missioni, dal Libano ove il Ministero degli Esteri ti mandò cinque anni or sono con fiducia. Cinque anni di violenza e di guerra. Ma anche là, in nome dell’Italia, hai fatto bene, hai operato con mirabile impegno conquistando stima ed affetto. Hai soprattutto cercato di portare pace tra uomini che sembrano conoscere solo odio e violenza, hai aiutato il dolore , hai curato il colloquio tra genti che lo hanno perduto e che si uccidono in una folle guerra che ha travolto anche te. E sei stato in trincea sino all’ultimo. ……………………………… E sei passato in mezzo a noi lasciando profonda traccia di personalità non comune e non facilmente accessibile. Occorreva perforare di forza quel tuo involucro certo originale, talvolta persino imbarazzante, quasi una scatola anomala, per trovare e toccare, sotto di essa, le Tue sane ed antiche radici. Ed in esse si alimentava il culto di valori fondamentali che fanno l’uomo ed il cittadino in ogni tempo…. ………………………….. Certo non sei stato un conformista - pur in tempi di opportunismo e di sofisma - (ed hai pagato forse non poche volte il tuo prezzo alla tua inestimabile libertà interiore)…. E nelle tue originalità talvolta bizzarre che ci coglievano spesso di sorpresa e che ci facevano anche sorridere, non vi è stato mai banalità o piattezza convenzionale. ……………………………….. Per questo sei stato amato da noi amici qui raccolti a salutarti ed hai saputo, come l’uomo della sacra scrittura, essere nell’intimo un buono ed un saggio”.

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Di Antonio racconterò anche nei “ fatti”, ma queste poche frasi dette da Pedini sintetizzano molto bene come ho “visto” e vedo uno dei tecnici politici più significativi della Prima Repubblica. 3.1.2.2.3.3. - Il Capo Ufficio Legislativo (Pres. Italo Rocca – il magistrato...signore)

Di Italo Rocca ho fatto cenno nel capitolo relativo al Gabinetto Pieraccini. L’ho conosciuto quando era già Presidente di Sezione di Cassazione. E non mi è

mai riuscito di immaginarlo nelle funzioni di magistrato. La sua competenza specifica era quella giuridica. Ma non si può dire che avesse forti competenze “amministrativistiche”, ritenute necessarie per far dirigere l’Ufficio Legislativo di un Ministero. In compenso aveva una profonda conoscenza del Ministero: era una fonte permanente di informazioni storiche delle vicende ministeriali. Non era solo il Capo dell’Ufficio Legislativo, ma anche dell’Ufficio Internazionale. Coordinava il lavoro di tutti i nostri esperti che frequentavano le istituzioni europee ed in particolare l’ESA (Ente Spaziale Europeo). Nella turbolenza che spesso caratterizzava il contorno scientifico e tecnologico del Ministero, Rocca costituiva la stanza di “compensazione”. Ho avuto modo di meglio conoscerlo ed apprezzare le sue doti durante il periodo di direzione del Gabinetto, quando, proprio per l’assenza di un mio vice, ebbi la sua più piena e fattiva collaborazione. Quando ero assente, garantiva la funzionalità dell’ufficio con molta generosità ed una innata signorilità. Questo suo eclettismo era peraltro facilitato anche dalla sua forte conoscenza della struttura e delle persone che costituivano l’establishment di Palazzo Chigi e, più in generale, dei poteri alti della PA e degli organismi pubblici di ricerca come CNR, ENEA, INFN. Con il tempo aveva costituito un piccolo staff personale di due, tre persone che vivevano, quasi in simbiosi con lui, la sua anomala attività di Capo Ufficio Legislativo. Questo suo identificarsi con gli aspetti istituzionali del Ministero, lo rendeva poco disponibile ad esercitare un ruolo “culturale“ all’esterno. Il suo mondo era Piazza della Minerva, con i suoi problemi, le sue vicende, le sue persone.

3.1.2.2.3.4. - I Consiglieri scientifici

3.1.2.2.3.4.1. - Alberto Conti (il cardinale Mazarino del CNR)

Ho avuto modo di conoscere molto bene Alberto Conti, nel suo ruolo di collegamento del MRST con il CNR, soprattutto quando l’ho avuto come collaboratore diretto e principale nel Gabinetto Antoniozzi.

Figlio di diplomatico, ne aveva ereditato le caratteristiche di discrezione, cultura geo-politica, professionalità e capacità “giornalistiche”.

Insieme ad Italo Rocca fu, per molti anni, punto principale di riferimento per le informazioni ed elaborazioni necessarie per le funzioni di indirizzo e coordinamento di politica scientifica che il MRST riusciva a svolgere con notevole efficacia, pur nelle situazioni di “senza portafoglio”.

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Quasi tutti i discorsi dei Ministri, i comunicati stampa riguardanti la ricerca scientifica erano da lui scritti. Una sua caratteristica, che lo rendeva simpatico, era quella di demitizzare un po’ tutto e soprattutto di non enfatizzare il proprio lavoro. Quando io rimanevo impressionato dalla celerità ed appropriatezza dei suoi appunti, mi rammentava sempre che quanto scriveva era il frutto di adattamenti, integrazioni e a volte copie integrali del suo archivio di discorsi e comunicati stampa di cui aveva una catalogazione personale ed efficace. Allora l’archiviazione era tutta cartacea e la copiatura doveva essere rifatta integralmente, con la conseguenza della maggiore difficoltà di apportare modifiche anche solo letterali. Ed anche quando poi sottolineavo la “coerenza metodologica ed informativa” degli aggiornamenti, manifestava sempre un certa riduttività del suo lavoro. In un mondo di prime donne come quello della ricerca scientifica, Alberto ne era la antitesi. Ne consegue che era piacevolissimo commentare con lui fatti e personaggi che incontravamo spesso insieme. Avendolo avuto vicino è stato quasi sempre presente in tutti i “fatti” significativi della mia esperienza nella Ricerca Scientifica. Ma mi è stato anche molto vicino nella mia attività socio culturale, soprattutto quella nel CEVAR. Ne consegue che di Conti, e, in misura minore, di Giorgio Cortellessa continuerò a parlare nei capitoli relativi ai “fatti”. 3.1.2.2.3.4.2. - Giorgio Cortellessa (il ricercatore scorbutico) Era nota la battuta, non originale, ma pienamente calzante con il personaggio: “Prima di iniziare a parlare con una persona, gli sferra un cazzotto”. Era l’opposto di Conti. Ma anche lui era un punto di riferimento per la politica della ricerca nel nostro Paese. Ricercatore “notissimo” dell’Istituto Superiore di Sanità, socialista della sinistra lombardiana, sindacalista della CGIL, aveva una notevole memoria e capacità di valorizzare ed esternare con facilità (ma sempre con forte polemica) tutto il bagaglio di informazioni che andava accumulando in questa sua molteplice attività. Arrivato alla ricerca con Pieraccini, vi rimase per tutto il periodo successivo. Pur con la sua difficoltà nel relazionarsi, era abbastanza bravo nel sapersi controllare e nel non superare i limiti che potevano portare alla rottura. Aveva una caratteristica in contrasto con quel suo radicalismo “controcorrente”: il sentire la tecnicità del suo lavoro. Conseguentemente era molto onesto nella collaborazione, indipendentemente dal colore politico del Ministro. Tutti sapevamo che la visuale delle problematiche della politica scientifica era quasi sempre la sua particolare.

Ricordo il commento di Alberto Conti: “Giorgio ha un solo colore politico: il suo”.

3.1.2.2.4. – Le mie funzioni Come ho già detto in precedenza, i contenuti delle mie competenze non si modificarono, quantitativamente.

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Vi fu invece un salto notevole nelle qualità. Me ne resi subito conto dal come rispondevano al telefono sia i colleghi dei Gabinetti, sia la dirigenza di altri Ministeri. Con Pieraccini le risposte erano formali, quasi infastidite, con Pedini diventarono “amichevoli” e disponibili. Ero entrato, senza rendermene conto, nella stanza dei bottoni del “potere stabile” della Prima Repubblica, quello rappresentato dalla tecnocrazia dei Gabinetti formatasi nei lunghi anni di sostanziale monocolore DC. Una caratteristica dei governi in quel periodo era data proprio dalla stabilità della struttura alta dei Gabinetti (di cui i Vice Capi di Gabinetto costituivano il punto di riferimento) che garantiva la continuità “tecnico/politica” della gestione del potere nei Ministeri. Conseguentemente era anche una struttura “ professionalizzata”. Mi trovai perciò notevolmente avvantaggiato nell’approccio pragmatico suggeritomi da Vanin e confermatomi poi anche da Mancini. Non solo si aprivano molto facilmente le porte, ma vi era tanta disponibilità e solidarietà “di appartenenza”. Il mio apprendistato fu facilitato dalla rete “protettiva” della struttura dei “Gabinetti” ed in particolare quella degli amici e colleghi del Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero del Bilancio e del Ministero dell’Industria. Cominciarono ad essere effettive le altre competenze acquisite nel Gabinetto Pieraccini: le responsabilità del Fondo Imi Ricerca Applicata e quelle relative al coordinamento della ricerca nel settore dei trasporti. Il Fondo Imi Ricerca Applicata era un fondo di rotazione per il contributo dello Stato alla ricerca applicata, istituito in seguito ad un forte movimento di opinione che caratterizzò gli inizi degli anni ‘60 sul gap tecnologico europeo e che sensibilizzò notevolmente il mondo politico italiano sulla necessità di incrementare il potenziale scientifico e soprattutto tecnologico del Paese. Cominciò ad essere attivo agli inizi degli anni ‘70 nello scenario illuministico per la ricerca di quegli anni, in cui si potenziano o si istituiscono anche gli Istituti di Ricerca Pubblica. Il fondo, gestito dall’IMI (Istituto Mobiliare Italiano), avrebbe dovuto avere le caratteristiche di un fondo autoalimentatosi: una specie di italico “capital venture” per lo sviluppo della ricerca industriale. Si rivelò, spesso, come “contributo” alle imprese, non tanto per le ricerche da effettuare, ma per quelle, nel migliore dei casi, già effettuate. La responsabilità dei finanziamenti dei progetti di ricerca era del Ministro, di concerto con quello del Bilancio, sulla base della istruttoria effettuata dall’IMI. Come già anticipato, per non tagliare i ponti con la casa madre, feci tutto il possibile a che il mio incarico di coordinamento della ricerca nel settore dei trasporti avesse dei risultati concreti. Tale incarico è stato per me anche il modo per approfondire le mie competenze concrete nel campo della ricerca e di comprendere meglio il clima “tecnico-politico“ di quel periodo in un settore delicato come quello dei trasporti. I risultati più evidenti furono prima il libro bianco sulla ricerca dei trasporti e poi il Progetto Finalizzato CNR Trasporti. Per avere esperienze dirette in campo internazionale mi feci designare dal Ministro Pedini come suo rappresentante nella Commissione Nazionale Unesco e nelle riunioni ed incontri internazionali riguardanti la politica scientifica dell’Unesco. Gli inizi di tale esperienza non furono facili, anche per il “galateo” cultural-diplomatico che caratterizzava e credo caratterizzi ancora i rapporti interpersonali in ambito Unesco.

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La partecipazione ad alto livello mi consentì non solo di frequentare i corridoi “terzomondisti” dell’Unesco ma anche di conoscere il mondo un pò “rarefatto” della diplomazia internazionale nel campo della politica scientifica e più in generale della cultura. 3.1.2.2.5. - Fatti e Avvenimenti 3.1.2.2.5.1. - Premessa Il periodo di Vice Capo di Gabinetto con Pedini non è ricco di fatti significativi: la mia attività principale era “affari generali e contabili-amministrativi”. Ed in questa attività i fatti erano quantitativamente molto impegnativi, ma routinari. Anche la gestione del Fondo IMI Ricerca Applicata era sostanzialmente routinaria, dato che le relative pratiche venivano istruite fin nei dettagli dagli uffici tecnici dell’IMI. Ed il mio compito era quello di leggere le carte, avere incontri con i responsabili dell’IMI e del Ministero del Bilancio ed informare Mancini della “presentabilità” al CIPE per la necessaria approvazione. Unico problema “politico” di competenza sostanziale del Ministro era quello di contribuire ad accelerare l’iter di approvazione da parte del CIPE. Meno routinaria risultò invece l’attività di rappresentante del Ministro all’Unesco. Molto importante e significativa fu quella del coordinamento della ricerca nei trasporti. Per la forte autonomia di cui godevo ed anche per il sostanziale vuoto esistente in tale settore, fu possibile realizzare la prima indagine conoscitiva completa sulla “ricerca nei trasporti” in Italia e, successivamente, avviare e fare approvare dal CIPE il progetto finalizzato CNR Trasporti. 3.1.2.2.5.2. - Libro bianco sulla ricerca nei trasporti

Durante i pochi mesi di Gabinetto Pieraccini avevo avuto la fortuna di conoscere il prof. Mario Del Viscovo. Nella parte riguardante i “personaggi” cercherò di raccontare il carattere, i comportamenti, i valori di questo scorbutico irpino (di Grottaminarda), professore di Economia dei Trasporti e consulente ufficiale, ma poco ascoltato, della Fiat. L’esigenza di una ricerca…sulla ricerca nei trasporti in Italia scaturì proprio da alcuni animati dialoghi che ebbi con il mio conterraneo. Nella fase iniziale dei lavori di indagine un notevole contributo fu dato proprio dal CSST (Centro Studi sui Sistemi di Trasporto), il centro di ricerca di “economia dei trasporti” della Fiat, presieduto da Del Viscovo con molta, anche se non sempre efficace, autonomia. L’indagine fu avviata sul finire del 1975 e si concluse, dopo due anni di incontri ed analisi, con la pubblicazione e diffusione di un documento ufficiale di circa 80 pagine intitolato: “Prospettive e programmi di ricerca del settore dei trasporti”. All’indagine parteciparono 51 esperti che rappresentavano tutti i settori interessati (nota n. 2). Non mi fu facile presiedere un gruppo di lavoro così complesso, articolato ed eterogeneo e portatore di interessi spesso non conciliabili, anche se ero agevolato dalla

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precedente esperienza fatta per la messa a punto del documento di “politica dei trasporti”. Ancora più difficile risultò giungere a delle conclusioni condivise. Nel gruppo si contrapponevano quattro “interessi” che possono essere schematizzati nel seguente modo: - sottogruppo istituzioni (Ministeri dei Trasporti, della Marina Mercantile, Aviazione Civile); - sottogruppo tecnologie (Fiat-Finmeccanica, Agusta, Italcantieri, Grandi Motori, Catena, Ercole Marelli, Ansaldo, Aeritalia, IMI ); - sottogruppo gestione (Ferrovie dello Stato, Alitalia, Finmare, Azienda Trasporti Milano, Azienda Trasporti Roma); - sottogruppo università (Facoltà di Ingegneria Università di Roma, Facoltà di Economia Università di Salerno). Il gruppo era coordinato dal prof. Del Viscovo. Lo staff di Segreteria tecnica era formato dall’ing. Giovanni Bonora delle FS, dall’ ing. Giampaolo Basoli del Ministero dei Trasporti, dal dott. Aldo Fedrighini e dalla dott.ssa Alessandra Grippo Oddi Baglioni del Gabinetto. Sin dalle prime riunioni risultò subito evidente che: - per le istituzioni il problema “ricerca scientifica” era quasi inesistente e ciò veniva avvalorato anche dalla non presenza del CNR. La definizione informale di “libro bianco“ deriva proprio da questo vuoto istituzionale nella ricerca sui trasporti; - per le tecnologie, le imprese di produzione si preoccupavano solo di evidenziare gli investimenti, fatti ed in corso, lamentando l’insufficienza di contributi finanziari ed agevolazioni fiscali da parte dello Stato; - per la gestione (soprattutto per quanto riguarda le “tecniche di trasporto”), le aziende di servizi erano troppo assillate da problemi di bilancio per poter dedicare energie alla ricerca; - per l’accademia, il gruppo di professori della Facoltà di Ingegneria di Roma e della Facoltà di Economia dell’Università di Salerno manifestava evidenti livelli di insoddisfazione sotto il triplice profilo di: -non collegamento con le istituzioni e con le imprese; -consulenze senza esito pratico nei confronti delle aziende di servizio; -limitato ruolo “accademico” del settore trasporti. Con queste premesse si affacciò subito il rischio che il gruppo, peraltro formalmente costituito con atto ufficiale del Ministro Pedini, avrebbe presto concluso i suoi lavori senza pervenire ad alcun risultato. Per evitare ciò si pensò inizialmente di limitare l’obiettivo del gruppo alla sola analisi e valutazione dell’esperienza che si stava effettuando nella ricerca tecnologica con il Fondo Imi Ricerca Applicata. Ma tale idea venne subito scartata ed i primi mesi furono dedicati proprio a far superare il pessimismo e le polemiche fra i componenti più aggressivi del gruppo. La prima conclusione operativa fu quella, quasi obbligata, di articolare le attività per sottogruppo, superando le difficoltà date dalle interconnessioni funzionali fra le relative tematiche e dalle velleità di quasi tutti di partecipare a tutto. In questa maniera fu più facile raggruppare omogeneamente gli “interessi”. Ma debbo ammettere che una tale “decentralizzazione tipologica” fu anche resa possibile dal fatto che venne chiesto a ciascun sottogruppo di prospettare nuove ricerche per ciascuna delle tipologie con indicazione, ove possibile, dell’ente, azienda o impresa che si facesse carico di effettuarle e/o coordinarle.

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Per facilitare la mediazione finale fra questi interessi evitai, pur essendone culturalmente e professionalmente stimolato, di partecipare alle attività dei sottogruppi che si riunirono sempre separatamente con il coordinamento del prof. Del Viscovo e la presenza di membri dello staff. Nel corso dei lavori del gruppo venne confermato che l’esperienza del Fondo Imi non era per nulla incoraggiante: - le aziende di ricerca costituite dall’IMI stentavano e si stavano burocratizzando e impigrendo prima di decollare; - i finanziamenti alle imprese risultavano sostanzialmente dei ripianamenti finanziari, spesso per aziende sull’orlo del fallimento o comunque in difficoltà economico-finanziarie. Prima che si concludesse il lavoro del gruppo ebbi l’appoggio di Mancini e il consenso del Ministro Pedini nel far presente al CNR l’utilità e l’opportunità politica di un apposito e robusto progetto finalizzato a trasporti di tipo sistemico e che affrontasse tutte le tematiche di ricerca che il gruppo stava portando avanti. Un tale sbocco CNR non aveva il gradimento della Fiat (rappresentata soprattutto dal centro ricerche di Orbassano) che si preoccupava nel vedere sorgere altri centri di potere che potessero influenzare la politica dei trasporti, in contrasto con quella privilegiata sempre dalla proprietà e soprattutto dal suo management: priorità ai trasporti su strada. La Fiat era in parte assicurata dalla presenza del prof. Del Viscovo ed anche dalla prevalenza quantitativa e qualitativa delle ricerche proposte dai suoi rappresentanti nel gruppo di lavoro. A dimostrazione di questo ruolo del libro bianco come “premessa e padre” per tutta la successiva fase di investimenti e valorizzazione della ricerca e della politica dei trasporti nel nostro Paese riporto le parti conclusive e significative del “libro bianco”. “”In ogni caso è risultata confermata la sensazione iniziale che nel nostro paese, anche in confronto ai paesi stranieri, le attività di ricerca nei trasporti, oltre ad essere inadeguate alle necessità reali e potenziali, non sono sostenute da coerenti indicazioni di politiche dello Stato e degli enti regionali e locali. Ne consegue la necessità :

a) di procedere ad aggiornamenti di tecnologie e di strutture sia per il settore trasporti, ma anche e soprattutto per la stessa organizzazione generale della ricerca;

b) di suggerire alla Pubblica Amministrazione, motivandola, possibili linee di intervento nell’elaborazione di una politica dei trasporti.

Per quanto riguarda il punto a) l’operazione svolta presso le aziende di trasporto e le imprese industriali non ha avuto il significato di una svolta acritica dei materiali. Essa ha rappresentato piuttosto un’azione specifica e ben definita per indicarne le “caselle vuote” della ricerca italiana nei trasporti e per tracciarne i limiti e le carenze. ………………………………………….. Per quanto riguarda il punto b) l’analisi fatta nel capitolo dedicato alle ricerche in atto nei principali paesi industriali ed ai lineamenti di strutture e delle procedure della ricerca, ha dimostrato che ormai è pienamente accettato il concetto che lo Stato debba intervenire attivamente per finanziare le ricerche nel settore dei trasporti.” La parte essenziale delle “proposte…..” veniva concretizzata in un elenco abbastanza dettagliato di ricerche per un piano poliennale di cinque anni di complessivi 190.754 milioni di lire cosi sinteticamente raggruppate:

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1 Studi di carattere generale Milioni di lire 4.500 2 Trasporti urbani su strada “ 10.823 3 Trasporti su rotaia “ 49.560 4 Trasporti marittimi “ 29.325 5 Trasporti aerei “ 96.546 Poco dopo la divulgazione del documento (11/3/1978) cadde il III governo (monocolore DC) Andreotti a cui subentrò il IV governo Andreotti (monocolore DC) con Pedini alla Pubblica Istruzione e con Antoniozzi alla Ricerca Scientifica. Diventato Capo di Gabinetto mi fu più facile utilizzare tale documento per stimolare l’avvio del progetto trasporti, come continuazione ad attuazione dei risultati del lungo lavoro di indagini, analisi e proposizioni contenuti in questo significativo e storico documento. E così comincia per i trasporti quella primavera di innovazioni culminata con la istituzione del CIPE Trasporti. A conclusione di questo capitolo non posso non ricordare alcuni personaggi che hanno significativamente contribuito al successo della iniziativa. Innanzitutto il prof. Corrado Guzzanti, un ingegnere colto e geniale, con la ricerca nel DNA, che, pur nel suo carattere aggressivo, manifestava umanità e comprensione per le idee degli altri. Quante volte ho dovuto mediare negli scontri che aveva quasi sempre con Del Viscovo e soprattutto con i rappresentanti ministeriali. Ma la sua onestà intellettuale e la sua “colta” professionalità tecnica contribuirono moltissimo alle necessarie mediazioni di un documento tecnico/politico come il libro bianco. Nella mia frequentazione della Commissione Trasporti della Direzione PSI avevo conosciuto il prof. Giuseppe Fontanella che ricopriva allora, all’università di Salerno, una delle poche cattedre di Economia dei Trasporti. Mi fu facile coinvolgerlo nel gruppo di lavoro. Il suo buon senso, il suo essere paziente risultarono molto di aiuto nelle fasi iniziali di avvio dei lavori del gruppo. Una presenza costante e significativa fu anche quella dell’ing. Gastone Rossetti, Direttore Generale dell’ATAC di Roma, nei momenti difficili della crescita disordinata della Capitale. Era un raro esempio di ricercatore e progettista con capacità manageriali. Le sue competenze anche nel campo del trasporto su rotaia, la sua esperienza internazionale e la sua proverbiale “correttezza” costituivano saldi punti di riferimento per tutto il gruppo. 3.1.2.2.5.3. - Viaggio nella Somalia di Siad Barre (quando Pedini fu accolto con l’inno “Bandiera rossa” ed altri fatti) Nell’autunno del 1977, nel quadro di consolidati rapporti bilaterali risalenti al periodo di amministrazione fiduciaria per conto dell’ONU, Pedini ebbe l’incarico di recarsi in visita ufficiale in Somalia per l’esame e gli approfondimenti della parte scientifica e culturale di tali rapporti. In realtà tale visita aveva soprattutto lo scopo di “tastare” sul posto l’evoluzione pro Unione Sovietica del governo del Presidente Siad Barre. La scelta era motivata dai buoni rapporti che Pedini aveva con Siad Barre e, più in generale, con i governi dell’Africa sub-sahariana, dai tempi in cui era stato sottosegretario agli Esteri. Ed anche la presenza di Mancini era ritenuta utile dal Ministero degli Esteri per le doti di conoscenza del mondo africano manifestate in occasione del recupero delle salme del massacro di Kindu.

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Fu proprio Mancini ad inserirmi nella delegazione che doveva accompagnare Pedini nel suo viaggio a Mogadiscio. Come frequentemente accadeva in viaggi importanti e con delegazione nutrita, venne messo a disposizione un aereo della Presidenza del Consiglio. Il programma di volo Roma-Mogadiscio prevedeva uno scalo tecnico intermedio al Cairo con sorvolo dell’Etiopia. Ma, quando già tutta la delegazione era arrivata all’aeroporto di Ciampino per l’imbarco, venne comunicato il divieto al sorvolo dell’Etiopia: si era acutizzata improvvisamente la crisi “Gibuti” fra Francia ed Etiopia. Ed in questa occasione potei apprezzare le doti di Mancini nel governare l’imprevisto. In contrasto con lo staff di Pedini ed anche di parte della delegazione, convinse il Ministro sull’opportunità politica di rispettare il calendario degli incontri già fissati con Siad Barre e con membri del governo somalo. Ed in poche ore trovò soluzione alle difficoltà logistiche, soprattutto per quanto riguardava le maggiori occorrenze di cherosene per il volo. Per raggiungere Mogadiscio l’aereo militare fece scalo al Cairo, Gedda e Sanaa Nella delegazione io non avevo compiti particolari. Però il mio ruolo di Vice Capo di Gabinetto e la mia esperienza in sede Unesco mi consentivano di partecipare a tutte le riunioni di “rappresentanza” e di carattere politico. Nelle tre giornate di permanenza gli avvenimenti significativi ai quali partecipai furono: a) - incontro con il ministro della Cultura e dell’Istruzione; b) - colazione con Siad Barre;

c) - visita ad una piantagione di banane e ad un collegio per orfani; d) - incontro con gli studenti universitari; e) - incontro e colazione in ambasciata con i rappresentanti della comunità italiana; f) - cena con la comunità scientifica somala.

Nell’incontro con il Ministro ed i suoi collaboratori venne fatto il punto sullo stato della cooperazione con l’Italia, nel suo insieme ed in particolare nel settore della cultura. Emerse subito che la cooperazione riguardava soprattutto il campo dell’educazione, con enfasi nell’educazione universitaria. Gli investimenti maggiori erano a favore dell’ampliamento dei reparti della facoltà di medicina. Si percepiva netta la presenza della lobby accademica medica rappresentata dalla “dinastia” Stefanini. Si percepiva anche l’assenza di qualsiasi strategia di investimenti. Si privilegiavano i settori più “comodi” ed utili per il sottobosco politico/culturale/accademico che allora caratterizzava il clima da compromesso storico nel nostro Paese. Da parte di Pedini venne manifestato l’impegno a proseguire nella “cooperazione privilegiata” e nel finanziamento di nuovi progetti finalizzati allo sviluppo della ricerca scientifica. Ma era chiaro che questi progetti venivano intesi sostanzialmente come integrazione finanziaria per l’attività didattica universitaria. Nel corso della colazione con Siad Barre, molta affollata, emerse un altro aspetto del tipo di rapporti che esistevano allora fra Italia e Somalia. Il discorso di benvenuto di Barre, sia pure orpellato diplomaticamente, fu sostanzialmente e sinteticamente il seguente: “Cari italiani, vi siamo riconoscenti per gli aiuti che ci date ora ed anche per quanto avete fatto nel periodo di amministrazione fiduciaria. Ma non possiamo dimenticare le

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sofferenze del lungo periodo coloniale di cui questi aiuti sono un doveroso e parziale risarcimento. Vi chiediamo inoltre di aiutarci a costruire una “stabile” società basata sul principio del socialismo. Ed in questa costruzione non possiamo non accettare anche gli aiuti da quei paesi già socialisti”. Da quest’ultima affermazione si capì facilmente che la cooperazione italiana aveva anche qualche “scheletro nell’armadio”, rappresentato da risorse date direttamente a Siad Barre per consolidarne il potere nel sistema tribale che caratterizzava (e caratterizza) la società somala. Quasi un’intera giornata venne utilizzata per visitare una piantagione di banane ed un collegio per orfani realizzati e gestiti con il contributo dell’Italia. Sia la piantagione sia il collegio si trovavano alla distanza di circa 50 chilometri da Mogadiscio. Ricordo che durante tutto il percorso la gente dei villaggi che incontravamo era già pronta nel salutare con bandierine italiane e somale il lungo corteo di macchine blu (identiche a quelle ministeriali italiane) al seguito del ministro Pedini e del Ministro somalo. A parte l’aver assaporato il gusto di una banana matura colta fresca dall’albero, la visita alla piantagione risultò abbastanza noiosa. Invece interessante e significativa fu quella fatta al collegio.

Accogliendoci “festosamente” e con le solite bandierine, i bambini ed i maestri intonarono “Bandiera rossa”. Là per là si pensò ad una provocazione di qualche maestro “sovietizzato” dalla presenza discreta, ma robusta, di educatori dei paesi dell’est. Vidi Pedini per un attimo sconcertato. Ma, dopo uno sguardo rassicurante di Mancini, attese che il canto finisse per poi passare al rituale abbraccio con il bambino che gli portava il mazzo dei fiori. Poco dopo il Ministro somalo, scusandosi, chiarì che il direttore del collegio riteneva che “Bandiera rossa” fosse l’inno nazionale italiano; aveva enfatizzato sulla portata del compromesso storico, molto reclamizzato nella “nomenklatura” indigena. L’incontro con gli studenti universitari avvenne in uno stadio, non grande, ma sufficiente a contenere circa cinquecento studenti. La cerimonia era intervallata da canti e da discorsi. I canti erano di tono marziale (a parte l’Internazionale, cantata due volte) e i discorsi infarciti di proclami terzomondisti. La cosa che mi sorprese fu la constatazione del contenuto sostanzialmente anti-italiano (mascherato da anti-colonialismo) dei discorsi, con una certa distinzione fra “professori italiani (bravi) e il paese Italia (colonialista)”. Mi si confermava la sensazione della labilità della nostra presenza, nonostante la notevole massa di risorse impiegate durante l’amministrazione fiduciaria ed anche dopo. L’investimento non stava dando i frutti sperati. Il dopo Siad Barre si annunciava fosco di ripercussioni negative. L’incontro con la comunità italiana (prevalentemente professori universitari e cooperatori del Ministero degli Esteri) confermò questa labilità. Le conversazioni che si intrecciavano nel bel giardino della nostra ambasciata riguardavano principalmente le vicende politiche italiane. Si percepiva che la nostra testimonianza in quel povero paese rimaneva di tipo coloniale all’italiana: le sostanziose indennità di missione e consulenza facilitavano il distacco con la borghesia locale. L’esperienza per me più significativa, anche umanamente, fu quella della cena con la comunità scientifica. Ebbi la fortuna di trovarmi come vicino di tavolo un professore di lettere, laureatosi in Italia (se non ricordo male a Bologna) il quale faceva allora parte della locale commissione Unesco.

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Forse per le comuni conoscenze nell’ambiente Unesco, forse anche per una reciproca simpatia, il nostro dialogare durante e dopo la cena mi consentì di completare il quadro che già si era delineato in precedenza. Innanzitutto il mio interlocutore, dopo un formale ottimismo di “rappresentanza”, cominciò a manifestare tutto il suo pessimismo per il futuro del suo paese a rischio di frammentabilità ed anarchia. La cosa che mi sorprese è che non “ripeteva” le solite accuse contro il colonialismo ed il capitalismo. Forse perché abituato alla necessaria sinteticità degli interventi in sede internazionale, fu molto lucido nell’individuare le cause del dramma imminente per il suo paese, alcune comuni a tutti i paesi dell’Africa, altre più specifiche della Somalia: - la forte prevalenza della religione musulmana in una regione confinante con paesi a prevalenza religiosa animista e cristiana (come l’Etiopia ed il Kenia); - la rozza presenza del potere tribale nelle strutture dello Stato con un’organizzazione lottizzata fra le varie etnie; - la totale assenza di una qualsiasi forma di borghesia indigena; esemplificando e, forse, esagerando mi disse che esisteva una sola classe, quella dei poveri; i ricchi, pochissimi, non costituivano una classe, bensì un “insieme” informe di “prepotenze” tribalmente organizzate. La permanenza in Somalia si concluse con una cena offerta dal Console Generale di Mogadiscio, una giovanissima e simpatica diplomatica, nel migliore ristorante di Mogadiscio che aveva però dei bagni impraticabili. In quel periodo Mogadiscio era abbastanza sicura (criminalità notevolmente sotto controllo) e quindi la cena si concluse con una lunga passeggiata. 3.1.2.2.5.4. - Il contributo, richiesto e non dato, a Pecorelli - Un lungo ed interessante colloquio Ogni tanto, insieme alla rassegna stampa arrivava una copia dell’agenzia di stampa “Osservatorio Politico –OP”.

Credo di non averla quasi mai letta. La rassegna stampa ne riportava spesso qualche stralcio; ma a parte alcune esagerazioni di notizie più o meno conosciute nella pettegolandia delle segreterie politiche, non vi era nulla di particolarmente interessante e, soprattutto, tempestivo. Più che un’agenzia di stampa, OP sembrava una divulgazione periodica di notizie maturate nel sottobosco che circondava allora il potere politico/istituzionale del Paese. Rimasi perciò molto sorpreso quando Pedini, sul finire del 1977, mi telefonò per chiedermi di fare il possibile per abbonarci, come sostenitori, all’agenzia OP, come già avevamo fatto per l’ANSA e per ADN Kronos.

Qualche giorno dopo ebbi la telefonata di Pecorelli per un appuntamento. Come sempre facevo quando Pedini mi chiedeva direttamente qualche cosa

riguardante la gestione dell’ufficio, ne parlai con Mancini che mi mise subito in guardia, descrivendomi Pecorelli come uno che utilizzava frequentazioni di basso profilo come fonte delle “sue” notizie che dava a vedere come provenienti da fonte “servizi segreti”. “Parla e scrive troppo per aver rapporti con il Sismi” mi disse a conclusione. Ma forse Mancini si sbagliava. Probabilmente il suo parlare troppo era stimolato da qualche spezzone dei servizi segreti.

Comunque mi disse chiaramente di ”prendere tempo”, anche perché già si parlava di crisi di governo.

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Conseguentemente ero abbastanza prevenuto quando, dopo pochi giorni, ebbi l’incontro. Contrariamente all’aggressività verbale che lasciava presumere dalla lettura di OP, debbo ammettere che, parlandogli, ma soprattutto ascoltandolo, ne ricavai la sensazione di un giornalista caratterialmente debole, che cercava di accattivarsi la simpatia dell’interlocutore facendo soprattutto riferimento a comuni (o ritenute tali) conoscenze. Credo che Pedini, oltre ad informarlo dell’essere io un socialista, avesse esagerato nel mio potere di decidere non tanto sulla sottoscrizione dell’abbonamento in sè, quanto sul tipo (sostenitore o semplice abbonato). Forse perché prevenuto da quanto mi aveva detto Mancini, evitavo di interloquire manifestando però volutamente e visibilmente attenzione a quello che diceva.

Intervallava le sue notizie con il parlarmi della sua OP e del ruolo indipendente e “moralizzante” che aveva nel panorama “informativo” della politica del nostro paese.

E ricordo bene che sottolineava spesso questa funzione di OP che, a suo dire, poteva essere uno strumento importante per “deborbonizzare e depapalizzare” l’amministrazione dello Stato. A mano a mano che il monologo andava avanti accentuava il suo narcisistico sentirsi un “Catone inascoltato”. Comunque non lo percepii come un ricattatore anche se l’uso disinvolto e poco trasparente che faceva delle informazioni confermavano le forti riserve che mi aveva manifestato Mancini.

Ci lasciammo con la promessa che, agli inizi del nuovo anno, avrei sottoposto al Ministro la delibera per l’abbonamento da sostenitore ad OP per l’anno successivo. Il 16 gennaio 1978 il governo va in crisi; il 12 marzo inizia il nuovo governo Andreotti (il quarto): Pedini passa al Ministero della Pubblica Istruzione e Ministro della Ricerca e dei Beni Culturali diventa Dario Antoniozzi. Pecorelli non si fece più vedere. Preso dai nuovi ed impegnativi miei compiti da Capo di Gabinetto, non ci feci caso più di tanto. Parlai ad Antoniozzi della promessa di Pedini per la sottoscrizione di OP, ma ne ebbi una chiara ed infastidita manifestazione di “lasciar perdere”.

3.1.2.2.5.5. - La 19° Conferenza Generale Unesco - Nairobi 1977 (i giochi di potere, con un poco di satrapismo, del terzomondismo culturale e scientifico) La sede della Commissione Unesco si trovava molto vicino a Piazza della Minerva; era per me quindi comodo e facile partecipare alle riunioni del Consiglio Scientifico.

Gli argomenti e le responsabilità del Consiglio non erano tali da suscitare molto interesse. Era però un buon osservatorio per conoscere le problematiche “culturali e internazionali” della politica scientifica del nostro paese.

Il limite di tale conoscenza era dato dal fatto che la quasi totalità dei suoi membri, anche nel caso di rappresentanza di istituzioni, si comportava come rappresentante di se stesso o al massimo dell’ufficio, della cattedra, dei progetti di ricerca in cui era coinvolto. E questo anche perchè le istituzioni, compreso il Ministero degli Esteri, non davano molta importanza ad un organismo praticamente egemonizzato allora dall’accoppiata “blocco sovietico/paesi non impegnati”.

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La Commissione era impegnata in tre filoni principali: - il primo, di routine, era quello della preparazione delle nostra delegazione alle conferenze annuali che erano sostanzialmente dei “convegni internazionali” su alcune specifiche tematiche fissate dal direttivo della sede centrale Unesco di Parigi;

- il secondo, pure di routine, riguardava la nostra partecipazioni a progetti poliennali finanziati parzialmente dall’Unesco (come ad es. il MAB); - il terzo, più impegnativo, era quello della preparazione delle conferenze internazionali che si tenevano periodicamente al massimo livello politico, con la partecipazione dei ministri di competenza.

Del terzo filone racconterò in dettaglio nei “fatti” riguardanti il periodo del Ministro Antoniozzi.

Del secondo dirò nella parte personaggi (Valerio Giacobini e il suo MAB… ). Partecipando alle riunioni della Commissione nazionale di preparazione alle conferenze annuali, mi convinsi sempre più della necessità di dovermi rendere conto direttamente del cosa, come e chi di tali incontri internazionali.

Anche allettato dalla possibilità di occasioni turistico-culturali che il Kenia offriva, partecipai, nell’autunno del 1977, alla conferenza annuale di Nairobi senza suscitare però l’entusiasmo della Segretaria Generale, Paronetto Valier, che, giustamente, temeva il mio essere poco diplomatico. Ricordo la forte sensazione che provai (ed anche un certo vuoto di testa) la prima sera agli oltre 2000 metri di Nairobi, quando tutto solo mi avventurai negli immediati dintorni dell’albergo. Il giorno dopo, nel nuovissimo centro convegni, si tenne la seduta inaugurale con la partecipazione affollata di tutte le delegazioni. Poiché erano gia note le tematiche, tale seduta risultò una vetrina per le delegazioni più vicine al segretario generale M’Bo. Le successive riunioni si tennero prevalentemente per tematiche, molto poco partecipate. Pur sentendomi poco coinvolto, partecipai ad alcune, proprio per cercare di capirne l’influenza possibile sull’attività della Commissione nazionale. Mi andò male: una vera babele, non tanto di lingue (visto che le lingue ufficiali dell’Unesco erano poche), quanto di contenuti. Servivano a dare spazio a quelle delegazioni meno importanti e che non avevano accesso alle riunioni plenarie. A fronte di questa manifesta poca efficacia delle riunioni ufficiali, vi erano molti incontri informali come…un the offerto da…, una colazione con amici a..., una cena…, ecc. A tutti questi incontri “amicali” partecipavano quasi esclusivamente il Segretario Generale e funzionarie della Commissione. E ciò era effettivamente giustificato dalle relazioni che con il tempo si erano stabilite fra le Commissioni nazionali dei vari paesi. In realtà questi incontri erano quasi sempre finalizzati a “sollecitare adesioni” per i posti da coprire nelle strutture Unesco (da quelli nell’esecutivo a quelli più modesti dei responsabili di unità operative degli uffici di Parigi); erano “occasioni” di propaganda elettorale per alcuni e di festose e gaudenti libagioni (con qualche oggettino in ricordo) per altri. Questa tipologia di incontri facilitava però la colonizzazione politico-culturale all’interno dei paesi del terzo mondo da parte di paesi più forti dello stesso terzo mondo.

Comunque anche nell’informalità di queste riunioni si avevano allora tre gruppi distinti:

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quello occidentale (CEE + USA e Canada + a volte Giappone); quello del blocco sovietico; quello dei non allineati.

Vi era poi un quarto gruppo, quello dell’establishment unescano, che interessava orizzontalmente tutti i tre gruppi e faceva da collante e da ammortizzatore dei contrasti ideologici e di potere geopolitico di allora. Un altro ammortizzatore era rappresentato dalla presenza del mondo accademico in tutte le delegazioni. Tutto ciò consentiva che l’attività Unesco potesse svolgersi con un certo fair play e fosse anche l’occasione di conoscenze ed amicizie fra mondi allora ancora contrapposti. La lentezza decisionale degli organi Unesco dipendeva anche dalla defatigante maratona per il rinnovo delle cariche. Ricordo che, con una serie di scuse, da tutti i conviviali cui partecipavano membri della delegazione rimanemmo fuori, quasi sempre, io e il prof. Zanobetti (vedere capitolo “Personaggi”). Zanobetti non era accettato forse perché ex-funzionario Unesco passato all’Università e per la sua non simpatia per il balletto delle cene elettorali. Di me invece ci si preoccupava perché considerato troppo politico e, spesso, poco diplomatico. Nella riunione della Commissione nazionale che si tenne successivamente a Roma per una valutazione complessiva delle nostra partecipazione alla conferenza di Nairobi, vi fu un vivace scontro sul come era stata condotta e gestita tale partecipazione. Dopo Nairobi cominciai a disertare le riunioni del Consiglio e mi dedicai con maggior impegno e presenza a Parigi per la preparazione di Minespol 2 (Belgrado, autunno 1978) e della conferenza per lo sviluppo (Vienna, agosto 1979) di cui dirò nei capitoli successivi. 3.1.2.3. - Ministro Dario Antoniozzi (il raffinato e sereno politico)-marzo 1978/luglio197

3.1.2.3.1. - Premessa Dopo una lunga crisi, quasi due mesi, il giorno 11 marzo 1978 si costituisce il IV governo Andreotti. Pedini passa al Ministero della PI e ai Beni Culturali e Ricerca Scientifica arriva Dario Antoniozzi. Ne rimasi spiacevolmente sorpreso, abituato ormai a vedere riconfermato Pedini in tutti i Ministeri succedutisi dal novembre 1974. Tale sorpresa fu resa ancora più scoraggiante per il fatto che Pedini, contrariamente a quanto mi aspettavo, non mi aveva chiesto di seguirlo nel nuovo incarico. Successivamente, mi resi conto che non avrei dovuto invece sorprendermi.

Nella prassi ultradecennale instauratasi con la precarietà dei governi, era normale che il Vice Capo di Gabinetto non dovesse cambiare perché garantiva la stabilità delle struttura burocratica e la continuità di collegamento fra Ministro e Direttori generali del Ministero. Ed infatti nei tre anni di funzioni in questo incarico avevo potuto constatare la sostanziale stabilità della rete dei Vice Capo di Gabinetto.

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Pedini successivamente e, credo, anche per giustificarsi, mi confidò che Milazzo gli aveva fatto presente l’opportunità che io rimanessi alla Ricerca Scientifica, ma la motivazione era sostanzialmente la stessa: stabilità del vertice della tecnostruttura ministeriale. Io però temevo di essere restituito all’amministrazione di appartenenza; l’essere dichiaratamente socialista contrastava con l’interesse della sezione ricerca di Piazza del Gesù di avere un tecnico di area DC al mio posto. Sapevo anche che vi erano diversi aspiranti. Mi ero psicologicamente attrezzato ad un’alternativa: rimanere nel Gabinetto con funzioni di secondo livello (solo con compiti burocratici, ad es. come capo del personale agli affari generali) o rientrare nelle Ferrovie dello Stato. Nella tarda serata del giorno 15 marzo venni chiamato da Antoniozzi che, invece, non solo mi confermò come Vice Capo di Gabinetto, ma mi chiese anche di svolgere le funzioni di Capo di Gabinetto. E così il giorno dopo mi trovai sotto casa la macchina blu della Presidenza del Consiglio. Mi ero da poco insediato nella stanza riservata al Capo Gabinetto, quando venni informato del rapimento dell’on. Moro e dell’assassinio di tutta la scorta. Dalla Presidenza del Consiglio venne anche la raccomandazione di una “attenta“ presenza degli uffici. Di quella giornata ricordo una forte e particolare emozione, non tanto per la “promozione” quanto per l’accentuarsi del senso dello Stato che notai sia in me, sia in tutto lo staff del Gabinetto, sia nei tam tam telefonici con i colleghi degli altri Ministeri. Era una specie di “no pasaran” che emergeva anche nella struttura tecno-politica delle Amministrazioni Pubbliche a fronte della forte destabilizzazione che il rapimento di Moro poteva determinare. Ricordo molto bene quando, nel corso della mia prima riunione con lo staff di Gabinetto, il Pres. Rocca concluse l’animata discussione dicendo: “E ora andiamo a lavorare; la nostra risposta alla stupidità di questi terroristi è continuare a lavorare “come se non esistessero”. Negli anni successivi potei sempre constatare, nel mondo in cui operavo, questo effetto paradossale dei cosiddetti anni di piombo: il terrorismo stava alimentando il senso dello Stato e lo stabilizzava. Oltre che me, Antoniozzi confermò non solo il Presidente Italo Rocca come Capo Ufficio Legislativo, ma anche Giorgio Cortellessa e Alberto Conti come consiglieri scientifici. 3.1.2.3.2. – Le mie funzioni Le prime direttive che ricevetti, nei primi giorni, da Antoniozzi furono molto semplici: “ Dott. Valentini , le raccomando, dia continuità all’Ufficio, si comporti per ora come se non vi fosse stato il cambio di Ministri. Non si preoccupi. Mi sottoponga alla firma tutto ciò che lei ritiene necessario ed opportuno per il buon andamento dell’Ufficio. Fra un mese le darò direttive più dettagliate e programmatiche. Per ora mi sia vicino in questa fase di mio “tirocinio da Ministro”. Ma di direttive esplicite non vi fu più bisogno. Mi incontravo con il Ministro quasi ogni giorno e nella quotidianità venne consolidandosi una prassi basata su una quasi netta distinzione fra gestione e politica.

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Ciò era facilitato da un lato dall’essere io socialista e dall’altro dalla presenza del sottosegretario Giorgio Postal che sin dall’inizio con il ministro Pedini si dedicava principalmente ai rapporti di tipo politico, soprattutto all’interno della Dc. Ne conseguì che le mie funzioni, nelle modalità, si caratterizzarono come quelle di un direttore generale con rapporti con il Ministro senza le mediazioni di “gabinetto”. Per una serie di coincidenze, mi trovai a dirigere l’ufficio del Ministro per la Ricerca Scientifica in un momento particolarmente felice ed in condizioni molto favorevoli. Con il passare del tempo dalla sua istituzione, sempre più si era accentuata l’attività di coordinamento, quindi vi era la possibilità di una visuale unitaria del sistema ricerca nel nostro paese. In conseguenza dell’incarico di Capo di Gabinetto, le mie responsabilitá coincidevano con le attribuzioni di competenze facenti capo al Ministro e che si caratterizzavano per essere di coordinamento, unico ed esclusivo a livello ministeriale, della ricerca scientifica e tecnologica. Nelle mie nuove funzioni fui peraltro anche facilitato dalla conferma non solo di tutto il personale amministrativo, ma anche e sopratutto di Rocca, Conti e Cortellessa. Il Presidente Rocca, con la sua competenza, con il suo buon senso ed il suo prestigio mi garantiva non solo il delicato settore delle questioni giuridiche ed istituzionali, ma mi sostituiva anche nelle assenze, causate quasi sempre da riunioni o convegni all’estero. Una forte ed efficace collaborazione la esercitò Conti. Ne potei sempre più apprezzare la capacità di sintesi nelle questioni di politica scientifica ed in particolare la sua conoscenza “disincantata” dei personaggi del mondo accademico e del CNR. Non mi meravigliai quando, pochi anni dopo, fece parte dello staff di consiglieri del Presidente della Repubblica Cossiga. Anche Cortellessa, pur con la sua spigolosità caratteriale, costituì per me un punto costante per una visuale critica del mondo della ricerca che mi trovavo a frequentare. Sapevo che era esagerato, che spesso era prevenuto; ma, pur con questi limiti, mi facilitava a riflettere sulle tante proposte, consigli e comportamenti che provenivano da tale mondo. Con Antoniozzi arrivò, come consigliere scientifico, Aldo Brancati, un professore della facoltà di Medicina dell’Università di Roma. E cosi completai quello che considero il quadrilatero di forza nella mia esperienza di Capo di Gabinetto. Dato il mio ruolo sarei, in questo caso, maggiormente tentato dal dettagliare tali attribuzioni. Ma preferisco raccontare, come sempre e come testimonianza, i fatti e i personaggi. 3.1.2.3.3. - I Personaggi 3.1.2.3.3.1 - Il ministro Dario Antoniozzi

Antoniozzi si caratterizzò subito nel sentirsi “poco ministro” e ciò non solo per un fatto caratteriale, ma anche perché già si attrezzava a candidarsi al Parlamento Europeo. Sentiva il suo incarico come un fatto transitorio e senza sviluppi governativi per il futuro.

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D’altra parte questo suo sentire me lo esplicitava frequentemente quasi per stimolarmi a prendere iniziative compensative di questo suo “sereno” interesse per i problemi complessi della ricerca scientifica. Però era sempre molto attento e prodigo di indicazioni e consigli nelle difficoltà che incontravo nella gestione dell’Ufficio. Fu soprattutto tenace nel “proteggere” la mia attività e il mio ruolo dalle pressioni che venivano dal sottobosco politico scientifico che da tempo caratterizzava la Commissione Ricerca della Dc. Ogni tanto mi diceva delle pressioni che riceveva da Piazza del Gesù per una maggiore presenza “democristiana” nelle gestione dell’Ufficio, ma sempre mi stimolava ad andare avanti. In tutto il periodo in cui è stato Ministro non ho mai avuto la benché minima sollecitazione che non fosse nel quadro della correttezza e delle regole. Ricordo con dettaglio di particolari un pranzo in una località vicino Bruxelles, in occasione di una delle tante riunioni a cui partecipavamo. Delle poche, ma sofisticate pietanze ricordo poco. Ma ricordo bene le considerazioni e valutazioni di un politico di provincia, così come Antoniozzi amava definirsi, alla soglia del suo lasciare la politica nazionale e passare a quella europea. Sostanzialmente il succo del suo discorso, reso più fluente e sincero da ripetuti bicchieri dell’ottimo champagne, fu il seguente:

“ Sta per finire il periodo del monopolio DC nella gestione della cosa pubblica. E l’assassinio di Moro costituisce quasi un cippo di termine di corsa. La concorrenza fra i partiti sarà sempre più di potere (gestione) e sempre meno di politica. Ma, probabilmente, così deve andare la storia del nostro paese. Caro Valentini per un verso o per un altro noi siamo superati”.

Alla luce degli accadimenti successivi non posso non evidenziare la lucidità di analisi fattami in quel conviviale di inizio anno 1979. Alle prime elezioni europee del 10 giugno 1979 Antoniozzi fu eletto per la circoscrizione del meridione con più di 300.000 voti di preferenza (mi pare il terzo a livello nazionale). Quando lo rincontrai in una cena ai Lions nel 1989 (dieci anni dopo) lo vidi tutto preso, ma sempre con tanta signorilità, a sostenere le ragioni politiche del figlio Alfredo che sì accingeva a gestire e a “ romanizzare” il patrimonio di conoscenze “pulite” del padre. 3.1.2.3.2. - Fatti e Avvenimenti

3.1.2.3.2.3 - Un incontro...ravvicinato con le BR

Non mi è facile parlare di un fatto che mi ha coinvolto anche emotivamente e con ripercussioni nell’ambiente famigliare. Abitavo allora in un appartamentino nel quartiere Tiburtino, di proprietà INPDAI, in una zona dove si percepiva nettamente la presenza di gruppuscoli più o meno legati alle Brigate Rosse. I muri erano pieni di scritte e di croci a cinque stelle.

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Nessun problema fino a quando non ebbi la macchina di servizio. Con le mie funzioni di Capo di Gabinetto mi venne assegnata un’auto non molto appariscente, ma sempre blu e guidata a turno da due agenti di polizia. Per evidenti motivi di rispetto per gli altri inquilini, la macchina mi attendeva in una strada vicina. Subito dopo il rapimento e l’assassinio della scorta di Moro cominciai ad avere qualche timore, anche perché risentivo delle preoccupazioni dei due autisti: la macchina apparteneva allo stesso gruppo di auto e personale del garage della Presidenza del Consiglio. Ma, superato il primo periodo, i timori si attenuarono, anche perché mi ritenevo abbastanza conosciuto nella zona (frequentavo assiduamente la sezione locale del PSI). Non ricordo bene il giorno (comunque all’inizio del 1979), ma ricordo nettamente il fatto. Questa volta, girato l’angolo della strada dove normalmente mi si aspettava, non vidi la mia macchina. Però, più o meno al suo posto, notai una macchina amaranto molto più grande della 1100 blu, con un giovanotto che stava appoggiato alla parte anteriore ed altri due, su un fianco, che sembravano interessati a pulirla. Fatti pochi passi potei rilevare che avanti, molto vicina, vi era la mia macchina con l’autista dentro. Notai anche, in fondo alla strada, una piccola auto ferma in senso opposto. Istintivamente capii che c’era qualcosa che non mi piaceva. Per prendere tempo, anziché portarmi subito dal lato passeggero, feci il giro a fianco dell’autista che non si era accorto di nulla perché immerso nella lettura di un quotidiano. Vidi che la piccola auto si muoveva verso di noi, mentre cominciavano a muoversi anche giovanotti della macchina amaranto. Realizzai subito che forse stava per accadere qualcosa che mi poteva riguardare. Mentre aprivo lo sportello sentii provenire dalla piccola macchina (una seicento,credo) un “no, no”, molto forte. Senza allarmare l’autista, gli dissi di partire. Ed alla domanda del perché avevo fatto il giro prima di salire, detti una risposta evasiva. Ma ebbi abbastanza sangue freddo per fargli fare il giro dell’isolato e ritornare a passare per la stessa strada.

La macchina amaranto non si era mossa, ma non vi era più nessuno intorno. Potei prendere il numero della targa.

Al ritorno dall’ufficio, in serata, la macchina non c’era più. Ed io mi tranquillizzai un po’. Forse anche perché rifiutavo l’idea che potessi essere oggetto di qualche attentato di cui peraltro non riuscivo a vedere i motivi. Arrivato in ufficio ne parlai con una impiegata del Gabinetto, moglie del prefetto Giacone che lo stesso giorno mi telefonò, preoccupato, dicendomi che non potevo non informare la polizia dell’accaduto. Questa preoccupazione mi sembrò esagerata. Due o tre giorni dopo, su iniziativa di Giacone, incontrai al Viminale il Vice Capo della polizia, al quale raccontai nei dettagli quanto era accaduto, dandogli anche il numero della targa e la descrizione della macchina amaranto. Lo vidi molto attento nell’ascoltarmi. Quando gli dissi che ero socialista, mi fece un sorriso rassicurante dicendomi: “Le BR non toccano i socialisti”. Ma subito dopo, cambiando espressione, mi disse: “Ma forse non lo sanno”. La riunione terminò con delle raccomandazioni a stare attento, a non rispondere alle chiamate per strada.

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Nei giorni successivi notai una presenza accentuata di spazzini ed operai nella zona. Non seppi più nulla, nemmeno dal prefetto Giacone. Capii che l’unica cosa che potevo fare era quella di “rendere pubblico” il mio essere socialista: l’auto blu mi aspettava in una strada diversa, più lontana da casa ed io facevo il percorso a piedi, leggendo l’Avanti. Con il tempo sempre più mi sono convinto che il tentativo di rapimento, se di questo si trattava, non riguardava me. Ero un bersaglio facile, stavo nella zona dove le BR avevano diversi fiancheggiatori, era l’anno di massima espansione della loro attività. Per un pò di tempo “stetti attento”, poi metabolizzai l’avvenimento. Ed ogni tanto mi viene il desiderio di conoscere la persona che nella seicento disse “no, no”. Vorrei ringraziarla per avermi salvato da un brutta esperienza. 3.1.2.3.2.3. – La verifica dei progetti finalizzati CNR di prima generazione Nel gennaio 1978 il CNR pubblicava il secondo rapporto sui progetti finalizzati di cosiddetta prima generazione (18 progetti approvati dal Cipe nel 1975 e finanziati a partire dal 1976). Ma già nel 1976 si avviavano gli studi di fattibilità dei progetti finalizzati di seconda generazione. E nel 1977 venivano approvati i primi due. Conseguentemente sin dal primo momento delle mie funzioni di Capo di Gabinetto mi sono trovato a far fronte alle problematiche della gestione dei progetti di prima generazione e dell’approvazione del Cipe ed avvio di quelli della seconda. Nel corso della riunione del Cipe per l’approvazione della relazione generale annuale sullo stato della ricerca scientifica e tecnologica, venne fra l’altro richiesto che vi fosse una valutazione politica del Ministro sullo stato di attuazione di tali progetti. E così, per la prima volta da quando erano stati avviati i progetti finalizzati, fu attuata una verifica sistemica e completa di tutti i progetti di prima generazione e dei primi due di seconda generazione. C’è da premettere che da tempo le baronie accademiche che attingevano fondi CNR per le ricerche in ambito universitario, mal tolleravano il sempre maggior ruolo che la “politica”, rappresentata dal Ministero della Ricerca, aveva nei riguardi dei tali ricerche. Ricordo la preoccupazione di Alberto Conti quando, dopo aver avuto l’assenso di Antoniozzi, gli dissi di predisporre un programma dettagliato di verifica dei 20 progetti finalizzati, mediante riunioni da tenere nel periodo settembre/ dicembre 1978.

Temeva infatti che si sarebbe scatenata la “permalosità”, non tanto della dirigenza CNR e dei comitati di consulenza, quanto dei direttori e membri dei consigli scientifici dei Progetti. Anticipando la non presenza di Antoniozzi, temeva anche che questi non vedessero di buon occhio una verifica effettuata da un non appartenente alla “corporazione accademica”. Invece, con la peraltro piacevole sorpresa dello stesso Conti, tutte le venti riunioni furono tenute come da programma e risultarono anche efficaci ed apprezzate dagli interessati. Solamente dal prof. Felice Ippolito vennero manifestate, peraltro senza molta convinzione, osservazioni del tipo temuto da Conti.

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Fu quindi possibile portare a termine la verifica e mettere a punto le basi per il passaggio ai progetti di seconda generazione e soprattutto a progetti innovativi e robusti come quelli sui trasporti, sull’energia e sull’informatica. Questo check-up massiccio ed organico costituì un punto di partenza per tutte quelle iniziative organizzative ed istituzionali che si sarebbero poi effettuate a partire dal 1979 e realizzate nei primi anni ‘80. D’altra parte alle riunioni parteciparono molti rappresentanti dell’industria privata e di enti di ricerca, con la conseguenza di avere analisi e valutazioni più articolate e sistemiche di quanto non risultasse dalla relazione tecnica CNR. 3.1.2.3.2.4. - Il progetto finalizzato CNR Trasporti (ostacoli del monocentrismo industriale FIAT, ma forza ed efficacia della lobby originata dalla partecipazione al libro bianco della ricerca nel settore dei trasporti ) Come già anticipato nel capitolo relativo al libro bianco sulla ricerca nel settore dei trasporti, diventato Capo di Gabinetto, mi feci subito carico della realizzazione di uno specifico progetto finalizzato CNR Trasporti. Nel corso delle molteplici riunioni tenute per la messa a punto di tale documento avevo avuto anticipazioni sulle difficoltà che si sarebbero incontrate per tradurre in fatti concreti le proposte in esso contenute. Sin dai primi informali incontri ebbi conferma che la tradizionale via CNR, nella fase preparatoria del progetto, sarebbe stata non solo defatigante e lunga, ma anche dagli esiti molto incerti. L’avvio del progetto era molto ostacolato. Il primo ostacolo era rappresentato dallo stesso Presidente del CNR il quale non agevolava iniziative che non fossero maturate all’interno delle sue strutture. Un secondo era costituito dei comitati di consulenza CNR che, in conseguenza degli impegni finanziari previsti dal libro bianco (circa 190 miliardi, a fronte dei 100 previsti per tutti i progetti finalizzati di prima generazione), temevano che non vi sarebbe stato spazio di risorse per i progetti finalizzati di seconda generazione in fase di studio di fattibilità. Un terzo era rappresentato dalle strutture di ricerca della Fiat e soprattutto dal Centro Ricerche di Orbassano, abbastanza ostile ad iniziative sistemiche ed importanti non direttamente da loro influenzate. Un quarto, però debole, veniva dal Ministero dei Trasporti, per motivi analoghi a quelli della Fiat. Fu subito chiaro che non era praticabile l’iter solito con predisposizione del progetto di fattibilità da parte del CNR e approvazione successiva del Cipe. Per prima cosa venne inviato ufficialmente al Cipe il testo del libro bianco con la richiesta di una valutazione al riguardo. Pur con qualche difficoltà, nel giugno 1978, il Cipe non solo esprimeva i suoi apprezzamenti per il lavoro di indagine e valutazione svolto, ma incaricava il Ministro della Ricerca Scientifica di procedere alla messa a punto di un progetto di fattibilità, sulla base delle proposte contenute in tale documento. E così, a partire dal mese di settembre, fu dato l’avvio al progetto di fattibilità del primo progetto finalizzato CNR che aveva caratteristiche molto innovative nei contenuti e nella partecipazione, rispetto sia a quelli finalizzati CNR, sia a quelli finanziati con il fondo IMI.

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Avuta la preventiva approvazione del CIPE, la costituzione del gruppo di lavoro ed il suo funzionamento risultarono notevolmente facilitati, anche perché c’era la forte collaborazione da parte del Comitato Ingegneria del CNR ed in particolare del suo Presidente, Giuseppe Biorci, e del suo segretario, Vittorio Cecconi. Anche in questo caso il prof. Corrado Guzzanti e l’ing. Gastone Rossetti contribuirono molto alla preparazione del progetto di fattibilità. Venne però a mancare il prof. Del Viscovo, sia perché non aveva molta fiducia nelle capacità del CNR di gestire un progetto a prevalente componente tecnologica, sia perché non aveva sopportato le pressioni che la Fiat aveva fatto per inserire nel gruppo il dott. Montalenti di cui non aveva molta stima. Non gli bastarono le mie rassicurazioni. Entro i primi mesi del 1979 e prima delle sue dimissioni, il Min. Antoniozzi potè inviare al CIPE il progetto di fattibilità, poco dettagliato proprio per consentire al CNR maggior margine di autonomia nella messa a punto del progetto esecutivo. Le riunioni tecniche di preparazione per la delibera del CIPE furono tenute nel periodo in cui la presidenza ad interim della Ricerca era stata presa dal Presidente Andreotti. Nel corso di tali riunioni vennero concordate alcune integrazioni e modifiche, peraltro di limitata portata e cosí, giá prima dell’arrivo del Ministro Scalia, tutto era pronto per l’approvazione da parte del Cipe. Il !7 gennaio 1980, qualche mese dopo le mie dimissioni dal Gabinetto, il CIPE autorizzò il CNR a realizzare il progetto finalizzato trasporti. Con delibera dell’8 maggio 1980 che dà avvio al progetto, il Presidente del CNR fissava, fra l’altro, anche i criteri per la composizione del Comitato scientifico, prevedendo al punto c) dell’art. 7 (rappresentanti dei comitati di consulenza): “3 membri designati dal comitato nazionale per le scienze di ingegneria e architettura di cui: - 1 membro del comitato stesso; - 1 docente nel settore disciplinare dei trasporti; - 1 esperto di chiara fama nella materia, anche straniero”. Con delibera del CNR del 28 giugno 1980 venivo chiamato a far parte del Comitato scientifico, a titolo personale come esperto di chiara fama nella materia.

3.1.2.3.2.5. - Fondo Imi Ricerca Applicata: ( i 40 miliardi di contributo, non dati, alla SIR di Nino Rovelli) Ho sinteticamente descritto le caratteristiche del Fondo Imi Ricerca Applicata nella parte riguardante il ministro Pedini. Durante il periodo di Antoniozzi le mie funzioni di responsabile non si modificarono molto: già da Vice Capo di Gabinetto godevo di forte autonomia. Ma anche con questa autonomia i compiti erano molto limitati (il sistema decisionale faceva perno sull’IMI). Non ricordo se la richiesta della SIR per la concessione del credito fosse stata fatta in periodo precedente, ma certamente si cominciò ad esaminare la pratica solo dopo l’arrivo di Antoniozzi. Come normalmente accadeva in caso di richieste di finanziamenti elevati (in questo caso di 40 miliardi) il gruppo tecnico di valutazione, formato dal dirigente responsabile della segreteria CIPE, dal rappresentante dell’IMI e da me, diede inizio ad apposite e più approfondite riunioni di analisi e valutazione.

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Da una prima lettura degli atti risultò subito che l’istruttoria tecnica era stata conclusa “pigramente”, rinviando agli approfondimenti pre-CIPE qualche aspetto non molto chiaro dei dati di valutazione tecnico-economica forniti dalla SIR. Una cosa mi sorprese subito: il non entusiasmo del rappresentante dell’Imi nel fornire i chiarimenti e le integrazioni che gli venivano, come di consueto, richiesti. Anche da parte del rappresentante della segreteria del CIPE veniva manifestata una certa freddezza. E non arrivavano nemmeno le sollecitazioni per una rapida presentazione al CIPE. Avevo già notato un voluto e generalizzato disinteresse di Antoniozzi nei riguardi di tutto ciò che riguardava il fondo IMI Ricerca Applicata. Ma in questo caso e per il fatto che il gruppo SIR era molto impegnato nella costruzione del nuovo polo chimico in Calabria, mi sorprendeva questo suo estraniarsi dalla pratica. Ebbi la sensazione che ormai l’approvazione del progetto non interessasse più nemmeno alla SIR, forse perché già si intravvedeva il fallimento. E così, ma anche per una debolezza oggettiva della richiesta, la ”pratica”venne accantonata definitivamente. 3.1.2.3.2. 6. - La conferenza IBI -UNESCO (Intergovernamental Bureau for Informatics ) di Torremolinos ( Spagna) - agosto 1978

Uno dei programmi intergovernativi UNESCO a cui l’Italia partecipava negli anni ‘70 era l’IBI. La partecipazione italiana a tale programma era coordinata dal MRST e nell’ambito dell’ufficio vi era un funzionario, l’ing. Castelli Avorio che si dedicava a tempo pieno al coordinamento.

Questa partecipazione mi vedeva impegnato solo indirettamente. Seguivo però abbastanza le attività dell’IBI, proprio perché era una buona occasione di informazione sugli sviluppi dell’informatica a livello mondiale. Nell’agosto 1978 si tenne a Torremolinos la conferenza generale IBI e vi partecipai come capo delegazione. Conoscevo l’ambiente UNESCO internazionale perché sin dal 1977 ero coinvolto nella preparazione della Conferenza Generale dei Ministri della Ricerca Scientifica per l’Italia di cui dirò nel capitolo successivo. Nella conferenza IBI ebbi però l’occasione di conoscere il complesso universo dell’informatica in un momento in cui si cominciava ad intravedere il passaggio alla cosiddetta informatica distribuita, all’avvento del personal computer. La delegazione italiana era abbastanza nutrita. L’ing. Castelli Avorio si era fatto carico di far estendere l’invito a rappresentanti delle Amministrazioni ed Università coinvolte nel programma IBI. Però la parte essenziale della delegazione era formata dal nostro Ambasciatore presso l’UNESCO, Ludovico Carducci, da Umberto Pellegrini, da Aldo Romano e da Castelli Avorio. Come in tutte le conferenze scientifiche e tecniche a cui partecipava anche la Unione Sovietica con i cosiddetti paesi satelliti, la partecipazione dei paesi della CEE, USA, Canada e Giappone era sempre abbastanza defilata. Ma in questo caso potei notare anche un certo disinteresse delle imprese informatiche, con IBM in testa. L’Olivetti era praticamente assente. La stessa alta dirigenza dell’UNESCO era poco impegnata. Era facile capire che l’IBI non avrebbe avuto lunga vita.

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Anche in presenza della riservatezza che allora caratterizzava le informazioni sugli sviluppi tecnologici, si percepiva chiaramente che l’informatica si avviava a perdere quel gigantismo rappresentato dai megasistemi di elaborazione dati e che si sarebbe passati quanto prima ai pc. La conferenza, che era stata inaugurata con la presenza del re Juan di Borbone, si concluse con il solito documento di buone intenzioni. 3.1.2.3.2.7. – Conferenza UNESCO dei Ministri della Ricerca Scientifica - Minespol 2-(Belgrado-settembre 1978 nel difficile ambiente del titismo al tramonto, con un buon successo della partecipazione italiana) A partire dell’autunno del 1976, e con anticipo di circa due anni rispetto alla data prevista, era iniziata la preparazione della seconda conferenza dei Ministri della Ricerca Scientifica. Il Ministro Pedini aveva designato me come funzionario di collegamento. Sin dalla prima riunione, il sig. Kaddura, un accademico turco, direttore del Dipartimento Scienze, nel delineare le linee generali, sollecitò tutte le delegazioni a dare il proprio contributo mediante analisi ed approfondimenti sulle varie tematiche della conferenza. Ricordo che la tematica principale era quella delle tecnologie “appropriate” (ai paesi in via di sviluppo) e del loro trasferimento dai paesi sviluppati. Per la preparazione di questa conferenza mi trovai avvantaggiato in quanto, pur con le non molte risorse a disposizione, potei avvalermi di studi commissionati ad hoc, ricorrendo al CENSIS di De Rita ed al CIRM di Piepoli. I risultati di tali studi, sintetizzati e tradotti in francese, vennero inviati tempestivamente all’Unesco e furono notevolmente utilizzati per la messa a punto dei documenti base per la conferenza. Fui quindi abbastanza motivato a partecipare attivamente a tutte le riunioni che si tenevano per gli approfondimenti di tali documenti. Per migliorare il mio francese scolastico partecipai, nell’estate del 1977, ad un corso accelerato presso l’Università di Caen (Normandia). Come accadeva quasi sempre nelle attività scientifiche dell’UNESCO, i cosiddetti paesi non allineati, capeggiati in questa occasione dalla Iugoslavia, tendevano ad utilizzare tali attività per ottenere trasferimento di tecnologie e comunque di know-how a breve realizzazione. Per la prima volta in ambito UNESCO partecipai a riunioni interne dei paesi della CEE, allargate agli Usa e al Canada, finalizzate ad avere una linea comune sui punti da porre all’ordine del giorno che avrebbero dovuto essere limitati agli aspetti culturali e formativi del trasferimento di tecnologie. Nella riunione finale, grazie anche alla equilibrata e paziente presidenza del capo della delegazione dell’URSS, rettore dell’Università di Kiev, si giunse però ad un compromesso da tutti accettato. All’inaugurazione della conferenza partecipò Antoniozzi che se ne tornò in Italia subito dopo. E così mi trovai ad assumere la responsabilità della partecipazione italiana, con qualche difficoltà iniziale con l’ambasciatore Carducci. Che il ruolo dell’Italia in questa conferenza avesse un rilievo particolare ne avemmo una piacevole anticipazione il giorno dopo l’inaugurazione. Sul giornale “ Il Borba”, in prima pagina, si dava notizia della conferenza con una foto in cui si riprendeva la delegazione italiana.

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Lo stesso giorno il Direttore generale M’Bo chiamava l’ambasciatore Carducci per informarlo che il Consiglio Esecutivo affidava alla delegazione italiana la presidenza del comitato di redazione del documento finale che, come è noto, costituisce il compito più importante e delicato nelle conferenze internazionali di tipo politico, giustificando tale scelta per il notevole contributo dato, dalla nostra delegazione, alla preparazione della Conferenza. Sempre quello stesso giorno, e con breve preavviso, fui invitato ad un’intervista alla radio per parlare del trattato di Osimo che, pochi mesi prima, aveva posto fine alla vertenza dei confini Italia /Jugoslavia (con l’assegnazione definitiva dell’Istria alla Jugoslavia). L’intervista venne effettuata in francese. E ciò non mi dispiacque molto; potei così rimanere nel generico ed evitare ripercussioni non volute. Questa atmosfera di “simpatia” per la delegazione italiana, ebbe dei momenti di difficoltà con Giorgio Cortellessa che, designato a presiedere il comitato per la redazione per il documento finale, si comportava come un delegato con posizioni radicali e non come un presidente mediatore. Di questo suo comportamento ebbe a farmi lagnanze Carducci: c’era stato quasi un litigio fra Cortellessa e la Ministra del Portogallo. Anche in questo caso, il contendere era sempre lo stesso: il trasferimento di tecnologie ai paesi in via di sviluppo. La motivazione che circolava ufficiosamente fra le delegazioni occidentali era data dal timore che di questo trasferimento potessero poi avvalersi i paesi del cosiddetto blocco sovietico. Il giorno prima della conclusione della conferenza ebbi un personale invito per una cena, nella sua casa, dalla giovane “esperta in relazioni internazionali” che ci era stata assegnata come assistente.

Alla mia richiesta sulla possibilità di farmi accompagnare da qualche membro della delegazione ebbi una risposta positiva, anche se non entusiasta. Però la sera aspettai a lungo nella hall del Sava Center: la simpatica accompagnatrice non si fece vedere. E non la vedemmo più. E’ rimasto il dubbio: era un invito solo galante (come pensai io) o galante con altri inviti ed altri coinvolgimenti (come suppose l’ambasciatore Carducci)? 3.1.2.4. - Ministro Vito Scalia (Dal Sindacato a...Piazza della Minerva ) agosto 1979/ottobre1979) come Vice Capo di Gabinetto 3.1.2.4.1. - Premessa Il 14 luglio 1979 vennero accettate le dimissioni di Antoniozzi, eletto al Parlamento europeo. Il presidente Andreotti, e solo per pochi giorni (il 4 agosto si insediò il I governo Cossiga), assunse l’interim dei Beni Culturali e della Ricerca Scientifica. In tale breve periodo tutto era sostanzialmente fermo, in attesa del nuovo governo. Con la costituzione del I governo Cossiga venne nominato Ministro per il coordinamento della Ricerca Scientifica, l’On. Vito Scalia di Catania, noto Segretario confederale della CISL. Non vennero previsti Sottosegretari.

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Il primo impatto con Scalia fu per me positivo: anzi le lodi furono addirittura esagerate. La nomina non venne accolta molto bene dal mondo della ricerca, non tanto per la poca esperienza di governo di Scalia, quanto perché se ne deduceva un minore impegno politico del nuovo Governo. Erano già incominciate le vacanze e quindi gli incontri con le personalità istituzionali della ricerca furono rinviati a settembre. Fervevano invece i preparativi per la conferenza UNESCO di Vienna, di cui dirò in seguito. E così Scalia convenne con me di preparasi bene per tale conferenza e di rinviare il resto a dopo. 3.1.2.4.2. - Le mie funzioni Nel breve ed ultimo mio periodo di “Gabinetto” alla Ricerca Scientifica debbo distinguere due fasi : - la prima, dal 4 agosto alla conclusione della conferenza sullo sviluppo di Vienna; - la seconda, dai primi di settembre ai primi di ottobre. Nella prima fase passai buona parte del tempo in una specie di “corso accelerato” sulla storia, le istituzioni, gli uomini e i problemi del complesso e polimorfo mondo della ricerca italiana. Debbo ammettere che trovai Scalia molto disponibile ad apprendere rapidamente il “mestiere“ di Ministro, anche se mi pareva eccessivamente interessato a rinviare tutto a dopo le vacanze. Stante l’imminente conferenza, buona parte del tempo venne impiegata anche per preparare il Ministro alle tematiche e all’ambiente che avrebbe dovuto affrontare a Vienna. Nella seconda fase ho vissuto l’esperienza, abbastanza sofferta, di come fui portato non solo a dimettermi da Vice Capo di Gabinetto, ma anche a lasciare l’Ufficio che, nel corso di cinque anni, avevo contribuito a potenziare. 3.1.2.4.3. - I personaggi 3.1.2.4.3.1. - Il Ministro Vito Scalia Scalia era un personaggio molto noto nel panorama politico sindacale. Nella CISL, dopo un lunga militanza, era stato segretario generale aggiunto, rappresentandone l’ala destra . Mi fece subito capire che la sua presenza alla ricerca scientifica non sarebbe stata “neutra” come, a suo parere, quella dei suoi predecessori. E credo che questa sua “filosofia” l’abbia portato ad un eccesso di attivismo poco sopportabile per un mondo, gestionalmente conservatore, come quello della ricerca. Era un mix di cortesie e di scontrosità verbali. La lunga militanza nel sindacato lo aveva abituato alla mediazione come fine ultimo. Sorprese i miei collaboratori per la sua durezza nei confronti del personale, con giudizi ed atteggiamenti che sembravano lontanissimi dai contenuti delle sue arringhe nelle assemblee sindacali.

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Però nella sostanza era molto umano e si battè molto per dare una sistemazione definitiva nei ruoli della Presidenza a dipendenti precari o distaccati da altre ammini-strazioni. 3.1.2.4.3.2. - Il Capo di Gabinetto Umberto Vattani (il diplomatico… andreottiano) Al ritorno dalle mie brevi vacanze a Spalato trovai il nuovo Capo di Gabinetto, Umberto Vattani. Dire che ne rimasi sorpreso è poco. Troppe assicurazioni avevo avuto in precedenza da Scalia il quale, comunque, mi chiarì subito che la nomina gli era stata ufficialmente richiesta da Palazzo Chigi e che io venivo riconfermato Vice Capo di Gabinetto. E così per circa un mese ho potuto conoscere il personaggio che, nella burocrazia, ha forse meglio rappresentato il passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Debbo premettere che, dopo averlo conosciuto e praticato per qualche giorno, alla spiacevole sorpresa era subentrata la disponibilità a collaborare con un capo che palesava le seguenti caratteristiche: - intelligenza vivissima e sistemica;

- un senso del concreto molto forte e con una esperienza “concettualizzata” del funzionamento della gestione di alto livello della cosa pubblica nel nostro paese; - una capacità significativa di feed-back con il mondo politico, con una sostanziale neutralità partitica, ma con prevalenza di illuminato conservatorismo; - una dote molto accentuata di leadership e tendenza a valorizzare le risorse umane; - una notevole dose di machiavellismo nei comportamenti. Queste sue capacità vennero evidenziate poi anche dal fatto che, pur essendo notoriamente vicino alla DC, venne confermato, a mio svantaggio, come Capo di Gabinetto dal socialista Balsamo nel successivo governo Cossiga 2. 3.1.2.4.4. - Fatti e accadimenti 3.1.2.4.1.1. - La conferenza Unesco sullo sviluppo (Vienna - agosto 1979) Pochi giorni dopo la nomina del nuovo Ministro, si tenne a Vienna la conferenza Unesco dei Ministri della Ricerca Scientifica per lo sviluppo, di cui ho fatto cenno in precedenza. Non avevo partecipato direttamente alla preparazione di questa conferenza. Il nostro rappresentante era Giorgio Cortellessa che però mi teneva costantemente informato sull’andamento dei lavori. Il tema della conferenza era peraltro, nelle sue linee generali, abbastanza sentito da Scalia, dato il suo precedente ruolo di Segretario generale aggiunto della CISL. Quindi non fu difficile che si impadronisse, con una certa rapidità, dei contenuti. In occasione di questa conferenza fu attivamente presente l’ambasciatore Ferraris, credo proprio per evitare i rischi di una partecipazione in tono minore. Invece, anche per merito di Scalia, tutto andò bene, soprattutto negli incontri di Scalia con altri Ministri e con il Direttore dell’Unesco.

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In quanto ai risultati politici della conferenza, si verificò quanto era facile prevedere: tutti d’accordo sul ruolo della ricerca scientifica per lo sviluppo economico e socio-culturale dei PVS, ma totale incomprensione sul come. In occasione della colazione di commiato, tenuta nella stupenda sede dell’ambasciata italiana a Vienna, Scalia, visibilmente soddisfatto, dopo i ringraziamenti nei confronti dell’Ambasciatore e della nostra delegazione in generale, concluse dicendo con calore e con enfasi: “Ringrazio particolarmente, anche a nome di mia moglie, l’amico Valentini e la sua gentile consorte Anna per aver fatto da chaperon in questo nostro primo impegno internazionale”. E con la positiva e rasserenante sensazione di questi “particolari ed amichevoli ringraziamenti” mia moglie ed io partimmo per la breve vacanza di Spalato. Ma forse Scalia gia sapeva cosa mi aspettava al mio rientro in Italia. 3.1.2.4.1.2. - Le dimissioni da Vice Capo di Gabinetto Ritornato dalla vacanze, trovai già in servizio Umberto Vattani. Ma soprattutto trovai notevolmente cambiato nei miei confronti il comportamento di Scalia. Inoltre percepii subito una certa maggiore affettuosità di Italo Rocca e di Alberto Conti. Notai anche subito una certa euforia degli ex “frequentatori” delle stanze del sottosegretario Postal. Ma non realizzai subito che si stava preparando il mio “licenziamento”. Per primo ebbero inizio le difficoltà di vedere Scalia: mentre nei primi giorni la porta era sempre aperta, dopo il rientro la segretaria si informava sulla disponibilità del Ministro che spesso rinviava l’incontro. Con il passar dei giorni lo vidi sempre meno. Con Vattani gli incontri erano, al principio, frequenti e abbastanza diplomaticamente cordiali. Con il passare dei giorni anche questi incontri si diradarono ed anzi, spesso, le richieste di informazioni, di chiarimenti cominciarono ad essere quasi esclusivamente telefoniche e addirittura per il tramite, giustamente reticenti, di Rocca e Conti. Io mi ero proposto di “resistere” come Vice Capo di Gabinetto con le sole funzioni di Capo del Personale, degli Affari generali e di Responsabile della ricerca sui trasporti. Ero soprattutto interessato a seguire le vicende del Progetto Finalizzato Trasporti che stava per essere approvato dal CIPE. A partire dalla metà di settembre sia Scalia sia Vattani cominciarono a criticare la produttività e la professionalità del personale. Ma non riuscii più a farcela quando in un pubblico convegno, e con me presente, Scalia rese pubbliche, con apparente ingiustificata accentuazione, queste sue critiche. L’indomani stesso presentai la mia lettera di dimissioni da Vice Capo di Gabinetto, manifestando però di rimanere a disposizione del Ministro per eventuali incarichi e soprattutto per seguire i problemi della ricerca sui trasporti. Ero quasi certo che mi avrebbero accontentato, pensando che ci tenessero solo a poter disporre del posto di Vice Capo di Gabinetto. Invece il giorno dopo, con una lettera “delicatissima“ (lo stile diplomatico di Vattani era evidente) mi si comunicò che, “poiché non desideravo più collaborare come Vice Capo di Gabinetto, era più opportuno, anche nel mio personale interesse, il

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rientro al Ministero dei Trasporti da cui avrei potuto seguire “meglio” il progetto da me avviato”. Con la stessa lettera fui autorizzato a rimanere presente nell’ufficio di Gabinetto, solo formalmente, fino a quando non si fosse realizzato il rientro nelle FS o una diversa collocazione in altre Amministrazioni.

3.1.2.4.1.3. - L’approdo al Ministero della Funzione Pubblica dopo lunghi mesi da

gabinettista disoccupato

Dopo essere rimasto senza sedia, mi trovai nella posizione, mai prima sperimentata, di essere pagato senza far letteralmente niente. Continuavo a prendere anche lo “straordinario”.

E così, dopo un breve periodo di riflessione e di “riposo”, cominciai a dedicarmi alla ricerca di un posto dove attendere il previsto ritorno dei socialisti al governo.

Ero allora certo che la mia preparazione tecnica mi avrebbe consentito di ritornare a collaborare con qualche Ministro o Sottosegretario socialista al Ministero dei Trasporti o alla Ricerca Scientifica. Mi sbagliavo: non sarei mai più stato in Gabinetti “socialisti”.

Ma questa errata certezza rese meno pesanti i mesi di sosta nel Gabinetto Scalia. Ad attenuare l’impatto del licenziamento vi fu anche la mia “attività relazionale” per promuovere la costituzione del CEVAR (Centro per la promozione e valorizzazione della ricerca) di cui dirò in un apposito capitolo. Nella ricerca del posto, scartai subito il mio rientro nelle Ferrovie dello Stato, sia per aver avuto la sensazione di una mia utilizzazione di basso profilo sia, e soprattutto, per il mio desiderio di non perdere la posizione di fuori ruolo presso la Presidenza Consiglio che consideravo, giustamente, utilissima per attendere il previsto rientro dei socialisti al Governo. Al Ministero della Funzione Pubblica era diventato Ministro il Prof. Massimo Severo Giannini, notoriamente di area socialista, con un Gabinetto costituito da tecnici anch’essi di area socialista. Valutai che trovare collocazione negli uffici di tale Ministero fosse abbastanza facile, vista la mia collocazione politica. E quando nel mese di dicembre fui chiamato dal Prof. Chillemi, dirigente generale del Ministero, per far parte del suo staff, pensai che, finalmente, le mie conoscenze socialiste nel Gabinetto ce l’avevano fatta a trovarmi una sedia. Invece seppi dopo che l’iniziativa era stata del dott. Milazzo che ne aveva parlato direttamente a Giannini. Pensavo di restarci solo alcuni mesi. Ed invece ci restai per più di dieci anni.

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3.1.3. - Ministero della funziona pubblica –gennaio 1980/ agosto1990 3.1.3.1. - Ministro Massimo Severo Giannini (il professore intransigente) da gennaio 1990 ad ottobre 1990 3.1.3.1.1. - Premessa

In termini di logistica residenziale, il passaggio dalla Ricerca Scientifica non mi comportò grossi cambiamenti: da palazzo Minerva di piazza della Minerva a palazzo Vidoni di Corso Vittorio Emanuele. Ma la stanza dove venni provvisoriamente sistemato era veramente brutta, nel sottotetto del palazzo. La ritenuta provvisorietà mi facilitò la sopportazione iniziale. Tale situazione veniva compensata dalla vicinanza di piazza Argentina, di Campo dei Fiori, di piazza Navona, ma soprattutto dal fatto che la mia parallela ed intensa attività socio/culturale mi portò, per tutti gli anni “vidoniani”, ad avere uffici di rappresentanza di prestigio. In realtà le mie difficoltà erano dovute alla perdita di un tipo di lavoro che mi aveva preso per tanti anni. I primi mesi furono veramente difficili. Ma poi lo spirito pionieristico ed il realismo delle mie origini irpine fecero premio su tali difficoltà e così cominciarono gli anni ‘80 che rappresentano la parte più significativa della mia esperienza come tecnico-politico nelle fase finale della prima repubblica. 3.1.3.1.2. - Mie funzioni

Il Ministero della Funzione Pubblica, pur essendo senza portafoglio, aveva una struttura abbastanza stabile e con funzioni proprie, ormai consolidate, come la normativa e i contratti del pubblico impiego. Il personale era tutto fuori ruolo o distaccato da altre amministrazioni pubbliche, ma molto stabile, soprattutto nell’alta dirigenza. Vi era quindi una distinzione formale fra Gabinetto e struttura istituzionale, formata da servizi distinti per competenze. Dopo un breve periodo di funzioni di staff alle dipendenze di Santo Chillemi, parte delle competenze di uno dei servizi vennero fatte oggetto di un nuovo servizio “Aziende di Stato” di cui mi fu affidata la dirigenza. I mie compiti erano meno incisivi di quelli dei miei colleghi (tutte le Aziende godevano di notevole autonomia giuridico-organizzativa), ma in compenso erano molto vari. In ogni caso il mio ruolo mi consentiva di avere rapporti diretti con il Ministro e con il Gabinetto. A parte il minor prestigio formale e la differenza di contenuti nelle funzioni, mi trovavo ad essere nelle stesse condizioni che avevo alla Ricerca Scientifica come Capo del Personale ed Affari Generali.

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Fui subito agevolato, per quanto riguardava la contrattazione e la gestione dei contratti del personale delle aziende, dalla mia precedente esperienza nelle FS. Non mi fu possibile partecipare direttamente alla messa a punto del noto “Rapporto Giannini”, sia per l’impegno che mettevo nel garantire le competenze del mio Servizio sia per il fatto che tale rapporto venne sostanzialmente redatto senza la partecipazione dei Servizi. Durante questo periodo, in contemporanea con l’inizio dell’attività del Cevar, ero anche impegnato come membro del Consiglio Scientifico del progetto finalizzato CNR trasporti, ma soprattutto ero preso per tutti gli incontri che facevo per avviare il progetto finalizzato CNR Pubblica Amministrazione. Agli atti del CNR dovrebbe trovarsi ancora la lettera che Giannini firmò, su mio interessamento , per sollecitare gli organi del CNR ad avviare tale progetto. Di questo progetto, a cui ho partecipato dalla firma di questa lettera alla sua conclusione (per quasi dieci anni), parlerò molto più dettagliatamente nel capitolo finale di questa parte del libro (Ministero Gaspari 2). Qui ritengo opportuno riportare cosa mi disse Giannini in quella occasione: “Caro Valentini, la firmo per la fiducia che ho in te e per il tuo entusiasmo nella promozione di attività e finanziamenti alla ricerca (ero già Segretario generale del Cevar, di cui Giannini era un convinto sostenitore), ma devi sapere che il progetto è inutile: c’è gia tutto scritto, basta passare all’attuazione, ma ne manca la volontà politica”. . 3.1.3.1.3. - I personaggi 3.1.3.1.3.1. – Il Ministro Massimo Severo Giannini Conoscevo il prof. Giannini, come lettore dei suoi scritti di diritto amministrativo e per la sua collocazione nell’ area laico-socialista. Non avrei mai potuto immaginare di poterlo frequentare, di chiedergli consigli, di vedermelo vicino fino a quando, nonostante gli impedimenti fisici dovuti al morbo di Parkinson, volle presentare il mio libro sulla legge 241 nel lontano 1992. Del personaggio Giannini dirò, più in particolare, raccontando i fatti. Ritengo però opportuno concludere questi brevi cenni riportando quanto ho già scritto nel mio libro “L’innovazione nella PA e progetto Fepa” a pagina 13 cap. 1.2.2.: “ Il New Deal del Prof. Massimo Severo Giannini: Non credo di far retorica affermando che la nomina del Prof. Giannini a Ministro per la Funzione Pubblica costituisce una svolta nella storia della PA. E’ con Giannini che si supera l’ormai anacronistico Ministero per la Riforma Burocratica. Non posso non ricordare con orgoglio di essere approdato alla Funzione Pubblica proprio su richiesta del Professore, non posso non provare nostalgia per quella primavera della PA ricca di fermenti, di attività propositive, di innovazioni.” 3.1.3.1.3.2. – Il Capo di Gabinetto: Pres. Onorato Sepe (la Corte dei Conti... laica)

Sin dai primi giorni del mio distacco alla Funzione Pubblica ho avuto la fortuna di avere il sostegno del Prof. Onorato Sepe, Capo di Gabinetto da tempo vicino a Giannini nella sua attività universitaria. Era anche lui, come me, un socialista dichiarato. In quel periodo cominciò l’attività del Cevar. E trovai in Onorato appoggio e incitamento.

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Ma, rinviando a quanto dirò di lui nei capitoli successivi, cerco ora di tracciarne un sintetico profilo. Come magistrato della Corte dei Conti era un laico, non solo come visuale etico-politica della vita, ma anche come estraneo alla “corporazione”. Era più professore di diritto amministrativo che magistrato. Il suo prestigio a via Baiamonti era determinato non dal suo potere interno (ne aveva, volutamente, molto poco), ma dalla sua professionalità e disponibilità. Come tecnico di area socialista apparteneva a quella schiera, non nutrita, di “intellettuali” che, pur frequentando poco la Direzione del Partito, davano prestigio, forza e penetrazione culturale ai valori ed alle idee del socialismo. Non era certamente un tecnico “organico” e quindi era poco ascoltato dai vertici politici del PSI. Lo ricordo sempre con tanto affetto e stima, con quel suo strano modo di camminare e anche di parlare, ma con tanta, sempre tanta, umanità. . 3.1.3.1.3.3. - Il dirigente generale prof. Santo Chillemi (il guru della Funzione Pubblica ) Nel bene e nel male, dire Chillemi significava dire Funzione Pubblica e viceversa.

Nei miei dieci anni di presenza alla Funzione Pubblica i miei rapporti con lui sono stati quasi sempre conflittuali. Ma proprio per questo credo di averlo conosciuto bene. Questa conflittualità caratteriale ha inciso molto nei giudizi non positivi che ho spesso apertamente manifestato. Ma, con il tempo e a conflittualità attenuata, debbo constatare che il suo desiderare ad ogni costo il consenso, anche personale, delle organizzazioni sindacali, era coerente con tutta la situazione di pansindacalismo che caratterizzò il periodo finale delle prima repubblica. La sua principale dote positiva era quella di saper esplicitare, nelle parole e negli scritti, il pensiero, i desideri, le direttive dei suoi superiori gerarchici (Ministri, Capi di Gabinetto, Capi Uffici Legislativi). Affascinava quando parlava, anche per il suo fisico da siciliano con connotati normanni, con una capigliatura da scienziato di Oxford. Il tutto era facilitato da una memoria eccezionale. Era un attore mancato. Soprattutto scriveva in un burocratese colto, in cui tutti si riconoscevano. Una dote non secondaria era rappresentata dalla sua capacità di mediazione che riusciva a valorizzare enfatizzando i contrasti. Si sentiva perciò totalmente realizzato quando era il protagonista assoluto della conduzione della contrattazione del pubblico impiego, proprio perché in tale occasione esprimeva al meglio le sue coltivate doti di mediatore. Un terzo suo pregio era rappresentato dal suo essere umano, peraltro facile alle commozioni (con qualche lacrimuccia). Un quarto, ma non trascurabile era quello di saper essere capo, di difendere sempre i suoi collaboratori e, più in generale, i suoi dipendenti. Aveva un difetto : il suo accentuato familismo, non etnico e nemmeno famigliare, ma esteso a tutti coloro che considerava amici. Si meritava forse il Consiglio di Stato, certamente la Corte dei Conti , ma usci da Palazzo Vidoni da pensionato deluso, forse.

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3.1.3.1.4. - Fatti e accadimenti 3.1.3.1.4.1.- Premessa 3.1.3.1.4.2. - Le FS da Azienda di Stato ad Ente “particolare” e… “più che la funzionalità potè…il potere “ La mia prima attività, nelle nuove responsabilità del Servizio affidatomi, fu quella di gestire la convulsa e confusa fase di inizio delle modifiche istituzionali della mia Azienda di appartenenza, le Ferrovie dello Stato. Mi trovai subito nella difficile situazione di chi doveva sostenere la tesi che la maggiore autonomia poteva essere ottenuta anche restando nell’ambito della contrat-tazione pubblica (e quindi nelle competenze del mio Servizio), in netto contrasto con tutta la tecnocrazia politico-aziendalistico-sindacale di cui io continuavo in un certo qual modo a far parte, sia come socio fondatore e membro del comitato direttivo del Collegio Amministrativo Ferrovieri Italiani – CAFI, sia per diretta conoscenza ed amicizia con i più significativi rappresentanti di tale tecnocrazia. Ricordo i duri scontri con il dott. Coletti (il futuro Direttore Generale del Nuovo Ente FS) collega ed amico del mio periodo ferroviario romano. La deregulation selvaggia che veniva proposta in materia di contratti di ogni tipo, ma soprattutto di tipo economico-finanziario, era chiaramente finalizzata a sod-disfare esigenze di potere in tutte le componenti del sistema FS. Mi diceva Giannini: “ma questi…non sanno che non siamo nel calvinismo degli inglesi, nella tradizione napoleonico di buona amministrazione dei francesi e nella cultura teutonica del rispetto delle regole”. Durante il Ministero Giannini tutto rimase fermo, anche il rinnovo del contratto del personale. Poi vennero i Ministri Darida e Schietroma ed io, pur essendo ancora respon-sabile del Servizio Aziende, venni messo totalmente da parte. Nacque il mostriciattolo ENTE e le Ferrovie entrarono in un lungo periodo di far west. 3.1.3.1.4.3. - Le trattative sindacali per i controllori di volo Anche nella vicenda dei controllori di volo si verificò uno scontro molto forte fra Giannini e Formica. Come è noto, per una rapida soluzione si era molto impegnato il Presidente Pertini.

Ma soprattutto si stava impegnando personalmente Formica, seguito da analogo comportamento di Pandolfi per il Tesoro e Giorgio La Malfa per il Bilancio. Nella fase preparatoria prevalentemente di tipo giuridico-amministrativo i lavori vennero effettuati direttamente dagli Uffici Legislativi. Io ne ero fuori, in quanto non si sapeva quale sarebbe stata la soluzione istituzionale e comunque non era prevedibile una nuova Azienda di Stato. Però nella fase finale, quando si giunse ai nodi da sciogliere circa il “livello di autonomia” dell’ente che stava per formarsi, Giannini cominciò a parlarmi, con evidente irritazione, di come si comportava Formica. E ogni tanto la stampa parlava di questi contrasti fra due Ministri, politicamente vicini.

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Nell’estate del 1980 i sindacati dei controllori di volo (sostenuti questa volta anche dai confederali) cominciarono una serie di agitazioni per l’istituzione dell’Ente con un’autonomia simile a quella che si cercava di ottenere per le FS. Ed arrivò il dictat di Pertini: dovete chiudere la vicenda. Rimasi molto sorpreso ed anche preoccupato quando ricevetti la telefonata di Sepe che mi sollecitava ad accompagnare Giannini alla riunione conclusiva che si sarebbe tenuta il giorno successivo presso il Ministero del Bilancio. Il giorno stesso Giannini mi convocò nel suo ufficio. Ed ebbi così la sorpresa ancor meno piacevole: alla riunione conclusiva sarei andato da solo ed in sua rappresentanza. Mi dette le istruzioni sui “limiti” delle concessioni possibili in materia di autonomia. In un tardo ed afoso pomeriggio d’agosto cominciò la defatigante riunione conclusiva, tipica delle contrattazioni sindacali: si sapeva quando si cominciava, ma non quando si finiva. Quando arrivai alla riunione c’era già Formica il quale, appena mi vide, mi disse: “E tu che ci fai qui? E Giannini?”. Quando seppe che rappresentavo ufficialmente il Ministro ed ero solo, manifestò subito una certa soddisfazione. Evidentemente temeva qualche improvvisa irritazione del Professore. La riunione era presieduta da Giorgio La Malfa il quale, prima di iniziarla, mi chiamò nel suo ufficio chiedendomi innanzitutto notizie ultime sulla posizione del mio Ministro in merito ai punti di contrasto con i sindacati e consigliandomi, comunque, di stare attento alle note capacità dialettiche di Formica. Come era allora tradizione nella seduta conclusiva delle contrattazioni sindacali, le discussioni venivano portate alla lunga, e sempre sul filo di rompere la trattative, in modo da stancare la partecipazione della rappresentanza pubblica e ottenere, in extremis, le ultime concessioni. Emerse con evidenza che Formica era su posizioni molto vicine ai sindacati e si ebbe la conferma che alcune di esse, ritenute “eccessive”, erano invece strumentali per la mediazione. Comunque, anche per la fermezza di La Malfa, la discussione si chiuse concordando alcuni limiti all’autonomia del costituendo Ente, in sostanziale coerenza con le indicazioni datemi da Giannini. Appena si cominciò a buttar giù la bozza di accordo, La Malfa, giustificandosi con precedenti impegni, lasciò la riunione, passando la presidenza a Formica e raccomandandomi personalmente di “stare attento”. E, nella stesura di tale accordo, si ebbe la solita manfrina dei distinguo, delle integrazioni, delle virgole con cui spesso i rappresentanti delle OO.SS. cercavano di precostituire delle possibili interpretazioni da utilizzare nel corso degli interventi legislativi e regolamentari di attuazione dell’accordo. Riconosco che non era facile seguire i distinguo in cui peraltro “navigava” molto bene Formica che mi apparve fermo nel portare in porto la stesura formale dell’accordo in coerenza con quanto concordato. Forse perché stanco ed anche per il ritenere ormai chiare le posizioni dell’accordo lasciai la riunione nella fase di ultimazione dei dettagli della redazione del documento finale. Il mattino dopo, nell’ascoltare il giornale radio delle sette, la prima notizia fu quella del raggiunto accordo sulla vertenza dei controllori di volo. Rimasi sorpreso ascoltando la sintesi delle conclusioni di tale accordo che, a mio parere, non rispettavano i limiti concordati durante la riunione. In anticipo sull’orario normale andai

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subito in ufficio per parlarne con Giannini, anche perché dalla lettura dei quotidiani avevo avuto la conferma di quanto comunicato dalla radio. Quella mattina il Ministro arrivò con un po’ di ritardo ed io feci una lunga anticamera.

Però era arrivato già Sepe il quale non si mostrò molto sorpreso dell’accaduto. E cercò anzi di frenare la mia “incavolatura” per la stesura finale dell’ipotesi di accordo. Fu lo steso Giannini, vistomi nell’anticamera, a farmi entrare con lui unitamente a Sepe. Ricordo nettamente la sua sfuriata nel parlare prima con Pandolfi (allora ministro del Tesoro) e con La Malfa. Ebbi subito la sensazione che entrambi i Ministri fossero meno sorpresi e comunque che escludevano, in ogni caso, una smentita dell’accordo come suggeriva Giannini. Potei constatare la bontà di Giannini quando, subito dopo, mi dedicò molto tempo per farmi accettare il fatto che non mi dovevo sentire “in colpa”. E così si dette avvio alla costituzione di una tipologia di “ente-agenzia”non estranea alla nostra cultura giuridico-amministrativa. Ma probabilmente non si poteva fare diversamente: Pertini insisteva e le vacanze estive rischiavano il tormentone degli scioperi dei controllori di volo. In fondo il comportamento di Formica era stato forse un po’ machiavellico, ma idoneo a portare in porto, senza ulteriori scosse, una vicenda che stava troppo agitando il clima politico-sindacale di quell’estate del 1980. 3.1.3.2. - Ministro Clelio Darida - dall’ottobre 1980 al giugno 1981

Il periodo passato con il ministro Darida è di totale routine. Continuai nelle mie funzioni di Capo Servizio Aziende, senza particolari avvenimenti. Ho conosciuto pochissimo il Ministro Darida. Ma pur con questi limiti lo ricordo come molto sereno e romanescamente tollerante. Qualche problema lo sollevava la sua segretaria che tendeva a comportarsi come se fosse ancora al Campidoglio, con Darida Sindaco. 3.1.3.3. - Ministro Dante Schietroma (il ciociaro ..brav’uomo) dal giugno 1981 all’agosto 1983 3.1.3.3.1. - Premessa La durata in carica del ministro Schietroma fu notevole, nonostante le due crisi di governo che la intervallarono. Ma i ricordi di tale lungo periodo non sono molti. Rimase quasi sconosciuto per me il Capo di Gabinetto. Ricordo con simpatia la gentile e simpatica segretaria. Il Ministero Schietroma si caratterizzò per un decentramento di fatto nei riguardi della struttura istituzionale interna e con un’accentuazione di ruolo del Sottosegretario Quattrone che aveva già i mesi di esperienza e di conoscenza del precedente periodo con Darida. Le mie funzioni si arricchirono delle competenze in materia di occupazione giovanile.

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Vi fu una lunga tornata di gestione di rinnovo dei contratti del personale delle aziende (Poste, Anas e Monopoli di Stato ) ed ebbe inizio la tormentata vicenda della sistemazione dei giovani precari utilizzati in base alla legge 285.

3.1.3.3.2. - I Personaggi Il ministro Dante Schietroma Ho conosciuto un poco meglio il Ministro Schietroma, non solo per la sua maggiore permanenza a palazzo Vidoni, ma anche per le maggiori occasioni di incontri che si verificarono in quel periodo. Ne potei subito apprezzare il buon senso ed anche la notevole capacità di scegliersi buoni ed onesti collaboratori. Di ciò ebbi conferma nella gestione della fase calda delle agitazioni dei giovani ex 285. In un colloquio da me sollecitato per avere indicazioni al riguardo, mi disse sostanzialmente questo: “Ti aspetti che io ti dica come fare. La situazione è così nuova ed esplosiva da richiedere esperienza diretta e tempestività nelle decisioni. Devi cavartela da te. Io ti posso dire solo una cosa ovvia: cerca di risolvere la questione sapendo che in ogni caso occorre trovare la soluzione alla stabilizzazione dei “285” nella PA al minimo costo possibile e nel rispetto delle regole, anche con nuovi interventi legislativi, se l’attuale normativa risultasse insufficiente”. E così iniziò per me la vicenda “sistemazione giovani ex 285” che dovetti gestire e risolvere in totale solitudine, sia nei risvolti politico-sindacali sia in quelli giuridico-istituzionali. Ma di questo dirò più in dettaglio quando, nel capitolo “fatti” relativo al periodo del ministro Gaspari, ne descriverò la fase completa, dagli inizi tumultuosi delle agitazioni alla conclusione con l’approvazione definitiva della legge. 3.1.3.4. Ministro Remo Gaspari del primo periodo (l’abruzzese di buon senso e innovatore) - agosto 1983/aprile 1987 3.1.3.4.1. - Premessa

Quando Gaspari arriva alla Funzione Pubblica era già stata promulgata da pochi giorni, 29 marzo 1983, la legge 93 (legge quadro sul pubblico impiego). Questa legge costituì una tappa importante nella storia della PA, non solo perché finalizzata ad instaurare un più razionale e moderno sistema di relazioni e procedure negli accordi sindacali sul pubblico impiego, ma soprattutto perché iniziava a dare organicità e strumenti per conseguire una maggiore produttività e funzionalità delle amministrazioni pubbliche. In tale quadro, ruolo essenziale assunse l’istituzione del Dipartimento per la Funzione Pubblica. Durarono più di un anno le discussioni e le trattative per emanare il DPR n. 56 del 20/6/1984 attuativo della legge.

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L’art.13 di tale decreto riguardava esplicitamente e dettagliatamente la costituzione del Dipartimento nelll’ambito del quale il Servizio VIII aveva i seguenti compiti: - cura il controllo sull’efficienza e la economicità dell’azione amministrativa, anche mediante la valutazione della produttività e dei risultati conseguiti;

- cura lo studio della semplificazione delle procedure concernenti le amministrazioni dello Stato e quelle degli Enti pubblici; - effettua l’analisi dei costi dei servizi pubblici e della loro funzionalità; - procede alla individuazione dei fabbisogni del personale nella PA e programmazione del relativo reclutamento; - cura i rapporti con la Scuola Superiore della PA per l’aggiornamento professionale dei pubblici dipendenti appartenenti ai vari comparti. Per la direzione di tale Servizio era prevista una qualifica da dirigente generale.

Si aprì subito una lotta interna (ed anche esterna) per la copertura dei nuovi e più qualificati servizi. Per fortuna la presenza di Craxi e di Amato alla Presidenza del Consiglio avevano oggettivamente rafforzato il mio ruolo all’interno della funzione pubblica. E così mi trovai coinvolto nella prima organica lottizzazione di posti di massimo livello nella PA. A me venne affidata la direzione del servizio VIII di cui ho descritto le competenze. Ancora oggi sento un senso di disagio a pensare che il dirigente superiore più anziano e con i maggiori requisiti professionali (dott. Elio Califano) non ottenne nessuna dirigenza proprio per carenza di protezione politica. 3.1.3.4.2. – Mie funzioni Passata l’iniziale soddisfazione per il nuovo incarico, cominciai ad avere il dubbio di essere stato relegato ad una specie di potenziale megaufficio studi, di fatto privo di alcuna possibilità di concreta realizzazione. Dopo circa tre mesi di riflessioni, analisi e valutazioni, proposi al Ministro la realizzazione di un progetto nel quale venivano trasferite tutte quelle competenze del Servizio riguardanti la produttività, il controllo dei costi e la determinazione dei fabbisogni organici in tutte le strutture della PA. Mi era stato possibile proporre tale progetto sulla base della forte esperienza avuta nei progetti finalizzati CNR e, soprattutto, in quello sui trasporti di cui ho detto nei capitoli precedenti. Il Ministro approvò la mia proposta con tutta una serie di annotazioni e sottolineature tanto positive da far trasparire con evidenza l’appoggio politico più convinto ed entusiasta al progetto. E così ebbe inizio il progetto FEPA (funzionalità ed efficienza della pubblica amministrazione). A partire da tale data e fino al mio rientro nelle Ferrovie dello Stato, la mia sola attività istituzionale è stata quella “totalizzante“ della direzione del progetto FEPA. Nel periodo precedente alla direzione del nuovo servizio VIII si era concluso positivamente il mio incarico relativo alla stabilizzazione nella PA dei giovani ex 285, con l’approvazione della legge 138/1984. Come conseguenza di questa mia esperienza il Ministro mi dette l’incarico di seguire e fare da consulente nelle fasi iniziali all’imprenditoria giovanile del suo collegio.

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3.1.3.4.3. - I Personaggi 3.1.3.4.3.1. – Il Ministro Remo Gaspari

Posso innanzitutto affermare che, pur con i suoi difetti, Remo Gaspari è stato uno dei migliori Ministri della funzione pubblica fra quelli che ho conosciuto. Questa mia affermazione può sembrare esagerata per chi non lo ha a lungo frequentato. Aveva un modo poco elegante di parlare, reso ancora più pesante da una voce non certo piacevole. E ciò, anche per il carattere di montanaro spigoloso, non lo rendeva simpatico ai media. Pur con una laurea in legge e con una iniziale esperienza di avvocato, non aveva una forte cultura giuridico-amministrativa, ma vi sopperiva (e con efficacia) avvalendosi della costante collaborazione di due Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato, rispettivamente come Capo di Gabinetto e Capo dell’ Ufficio Legislativo. Aveva una grande capacità di scegliere e valutare i suoi collaboratori a cui dava una notevole autonomia che riusciva però a controllare, e non burocraticamente, proprio per le doti sopraelencate. Non mancava evidentemente di difetti, ma quasi tutti causati dalla sua forte “abruzzesità”. Il primo era costituito da una certa venatura culturale di tipo borbonico: non il kantiano stato etico, ma la protettiva sovranità di origine ispanica. Il secondo era il familismo nell’attaccamento alla sua terra, senza però le patologie di alcune aree del sud. Il terzo era rappresentato dal paternalismo: lo zio Remo, a cui tutti si rivolgevano. Il quarto era rappresentato dal suo “entusiasmo” nelle raccomandazioni.

Nel periodo di tangentopoli non ho mai pensato che Gaspari ne potesse essere coinvolto. Era per lui culturalmente inconcepibile che il sistema elettorale potesse alimentarsi mediante risorse finanziarie acquisite “patologicamente”. Ma in questo va accomunato a tutti i Ministri di quella splendida e ristretta parte dell’Italia rappresentata dalla fascia alta appenninica che va dal Monte Fumaiolo (alta valle del Tevere) al Pollino della Basilicata. Dell’uomo politico, del potente boss democristiano, non posso dire molto. Però dal suo modo di agire nel Ministero, dagli incontri personali per la soluzione di alcuni casi “di collegio”, potevo constatare che, pur facendo riferimento all’area dorotea, il suo collegamento con tale area era quasi esclusivamente tecnico. Nella gestione politica della DC abruzzese lui era sia il Presidente che il Segretario. Ed evidenziava questa sua autonomia anche nei rapporti con le altre forze politiche. Come meridionalista non era certamente un teorico, ma era fermo sostenitore dell’approccio non di tipo puramente assistenzialistico. Ricordo la raccomandazione, che mi ripeteva costantemente, quando gli riferivo sull’andamento del mio lavoro in merito all’imprenditoria giovanile: “Mi raccomando Valentini, se ti accorgi che l’iniziativa non ha prospettive e che i giovani interessati non hanno il senso del rischio, lascia perdere; meglio un disoccupato probabile che un fallito certo.” Impiegava tutte le sue energie per trovare occasioni di lavoro per i suoi abruzzesi. E spesso, come era peraltro normale, dava più che una mano alla costituzione di nuove imprese pretendendo una certa quantità di assunzioni.

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Ma dopo l’assunzione, non esercitava più nessun patronato protettivo. Mi diceva: “Una nuova azienda può sopportare la non totale discrezionalità nella scelta della forza lavoro, ma non certamente interventi esterni a proteggere i lavativi.” A suo modo era un meridionalista calvinista: “ti aiuto nell’inserimento nel lavoro, ma dopo ne sei personalmente responsabile”. Ma il lato più interessante di Gaspari è quello di essere stato un uomo ed un politico culturalmente innovativo. Di questo credo di poter essere un forte e diretto testimone. Senza il suo convinto appoggio, il suo sostegno che andava anche contro gli ostacoli posti dalla struttura interna e da qualche potente accademico, il progetto FEPA non solo non sarebbe stato avviato, ma non sarebbe durato cinque anni coinvolgendo centinaia di amministrazioni e qualche decina di migliaia di operatori. Ma del suo appoggio al progetto FEPA dirò nel capitolo relativo. Pur essendo il Cevar un’iniziativa culturale-politica di area pressoché esclusivamente laica e socialista, quando mi incontrava non solo mi chiedeva notizie, ma mi incoraggiava ad andare avanti. D’altra parte anche il suo sostegno all’imprenditoria giovanile era caratterizzato da forte motivazione di cultura dell’innovazione. Nella concreta istituzione e successiva gestione del nuovo Dipartimento per la Funzione Pubblica, stimolò soluzioni senza agganci ai cosiddetti “precedenti”. Queste sue doti di cultura innovativa, non solo non apparivano, ma venivano offuscate dal suo disinteresse per “l’immagine”. Del ministro Gaspari racconterò anche nelle pagine successive.

Mi piace però concludere questo suo sintetico “ritratto“ riportando la risposta che mi ha dato qualche anno fa, quando andai a trovarlo nel suo studio del quartiere Prati a Roma, per pregarlo di scrivere l’introduzione alla ristampa aggiornata del mio libro “L’innovazione e il progetto FEPA”: “Caro Valentini, lo farei volentieri, ma non sarebbe una buona reclame per te: sarei una pasta riscaldata, forse buona per noi montanari, ma non per fare pubblicità al tuo libro”. 3.1.3.4.3.2. – Il Capo di Gabinetto (Pres. Alfonso Quaranta: il potere del Consiglio di Stato) In un certo periodo della sua attività di alto magistrato amministrativo, di Alfonso Quaranta la stampa parlò come di uno fra i più impegnati nel remunerativo mondo degli arbitrati. Come altri suoi colleghi, esercitava le funzioni di Capo di Gabinetto, pur continuando a presiedere una Sezione del Consiglio di Stato. Nelle poche occasioni di incontro con lui ho potuto sempre constatare una rapidità eccezionale nella gestione delle “pratiche del gabinetto”, allenato anche dai tanti anni passati nel collaborare con Gaspari. Nell’ambiente si diceva che non faceva perdere tempo, ed era vero, anche perché manifestava apertamente di non aver tempo da perdere. Era un ottimo manager di Gabinetto perché era anche un ottimo manager di se stesso. Non era certo un innovatore, ma non ostacolava le innovazioni (come ho avuto modo di constatare in tutto il periodo di realizzazione del progetto FEPA).

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Era caratterialmente complementare a Gaspari. Niente paternalismi, molta freddezza comportamentale, familismo fisiologico e limitato. Aveva anche il fisic-du-role di chi sa gestire il potere. Non mi era molto simpatico , ma indubbiamente un gran commis dello Stato. 3.1.3.4.3.3. – Il Capo Ufficio Legislativo – Presidente Raffaele Iannotta (la “dottrina” del Consiglio di Stato) Ho incontrato Iannotta solo in occasioni delle riunioni tenute qualche volta presso il Ministro o il Capo di Gabinetto. Ma lo incontravo spesso quando entrava od usciva da Palazzo Vidoni: dovevi far presto nel salutarlo, altrimenti ti precedeva sempre. E quando lo incontravo, mi dava la sensazione di uno studioso che entrava ed usciva da una biblioteca anziché da un ufficio legislativo. Era Quaranta a “fare sistema”, ma le informazioni, le analisi oggettive, gli approfondimenti tematici venivano svolti da Iannotta. E’ facile dedurre da queste poche note la forte stima che io avevo non solo del Ministro ma anche di tutto il suo staff. Spesso dico che la realizzazione del progetto FEPA ha trovato anche un ambiente fortunato. E quello dei collaboratori diretti di Gaspari ne è una prova. 3.1.3.4.4. - Fatti ed Accadimenti 3.1.3.4.4.1. – La sistemazione dei giovani ex legge 285 /1977 ( legge 138/1984) 3.1.3.4.4.1.1. - Premessa Io ne ero stato già coinvolto nelle informazioni che pervenivano al Ministero delle Ricerca Scientifica circa le assunzioni di precariato negli Enti di Ricerca. A partire dagli inizi degli anni ‘80 cominciarono le manifestazioni di gruppi organizzati di giovani “ex 285” (come erano chiamati nel comune linguaggio) per essere inseriti nei ruoli delle rispettive Amministrazioni di appartenenza (Stato, Regioni, Enti pubblici, Enti locali, ecc.). Mi pare che il primo a dirmi di seguire la vicenda sia stato il Presidente Sepe nella fase finale del Ministero Giannini. Inizialmente non vi furono conseguenze sui miei impegni, anche perché, in tale fase, era principalmente interessato il Ministero del Lavoro. Ma dal 1982 con il ministro Schietroma, la patata bollente passò alle competenze del Ministro della Funzione Pubblica, in quanto istituzionalmente interessato all’assunzione nel pubblico impiego. Ed è stata per me un’esperienza completa che desidero raccontare un po’ più dettagliatamente perché la ritengo significativa nell’economia complessiva di questo libro. Ed è questo anche il motivo per cui ne parlo come se fosse un solo “fatto” anche se riguardante più ministeri, distinguendolo i quattro momenti:

- le manifestazioni dei giovani e le pressioni politico-sindacali;

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- la costituzione e l’attività della commissione ad hoc per la predisposizione del disegno di legge;

- l’iter parlamentare fino all’approvazione della legge; - la gestione della fase di avvio di attuazione della legge. 3.1.3.4.4.1.2. - Manifestazioni dei giovani ex 285 e pressioni politico-sindacali Il clima politico-sindacale degli inizi degli anni ‘80 era notevolmente influenzato dal cosiddetto compromesso storico fra DC e PCI, dalla psicosi da terrorismo e da un certo lassismo governativo. L’iniziativa delle manifestazioni fu inizialmente presa dai soliti gruppetti che in quel periodo si alimentavano della presenza di giovani con esperienze politiche di estrema sinistra (come ad es. Lotta continua, Potere Operaio, ecc). Erano manifestazioni caratterizzate da una certa violenza e per un po’ di tempo furono soprattutto periferiche. Invece nella tarda primavera del 1982 cominciarono a vedersi i primi gruppetti sotto gli uffici di Palazzo Vidoni. Credo che fosse il mese di giugno quando Schietroma (fatto alquanto eccezionale) mi convocò pregandomi di “prendermi la responsabilità piena” di gestione della vicenda ex 285. Non fu esplicito nel giustificare questa autonomia che mi veniva data, saltando non solo il Gabinetto, ma soprattutto Chillemi. Ebbi però la sensazione che la decisione fosse stata proprio presa per la mia esperienza nelle trattative sindacali e per esser notoriamente socialista e quindi più accettato, allora, dalle frange estremistiche del movimento dei giovani. Comunque, da allora e con la più totale autonomia, mi trovai a gestire una vicenda complessa e difficile come quella della sistemazione di circa 27.000 giovani ex 285. Nell’autunno eravamo già nella fase più intensa delle manifestazioni: c’erano già stati blocchi stradali, tentativi di occupazione di uffici, ma senza particolari conseguenze. Avevo ricevuto qualche delegazione di giovani, discutendo con i quali non solo avevo avuto la possibilità di comprenderne meglio le motivazioni e gli obbiettivi, ma di aver anche la conferma di quello che anche la stampa sosteneva e cioè che vi erano presenze di sinistra estrema, addirittura di fiancheggiatori delle BR, fra gli agitatori e i capetti dei “giovani”. Ma questo non mi preoccupava più di tanto…In casa avevo un figlio che militava attivamente come servizio d’ordine in Lotta Continua ed ero stato vaccinato dalla precedenza esperienza del mio “incontro ravvicinato” con le BR di cui ho parlato nel capitolo sul Ministro Antoniozzi. In uno di questi incontri, uno dei giovani, il più calmo dei partecipanti (quasi un pretino), durante una pausa ed adducendo una scusa qualsiasi, riuscì a fare in modo che gli mostrassi la mia tessere di socialista. Solo dopo ho realizzato che forse era voluto. Certo è che non ho mai avuto minacce pur in una vicenda così socialmente sensibile . Questa fase agitata trovò termine quando ci fu la manifestazione nazionale di protesta dei giovani. Ne arrivarono a Roma circa 2.000 ed in corteo si portarono davanti a Palazzo Vidoni per forzare il Ministro a ricevere una delegazione. Ma il Ministro non c’era e, da parte del Gabinetto, mi fu chiesto di riceverli io.

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Nel frattempo il corteo aveva bloccato tutto Corso Vittorio Emanuele. Avevo appena cominciato la riunione con la delegazione di cui si era autonomamente proclamato portavoce l’on. Vito (il parlamentare napoletano poi reso noto dalle 100.000 preferenze) quando si fece vedere il funzionario di Polizia responsabile dell’ordine pubblico per avvisarmi che la situazione stava peggiorando e che, se non si risolveva presto, avrebbe dovuto ordinare la carica per lo sgombero. Avevo già accennato al Ministro una possibile via d’uscita che si poteva conseguire con la messa a punto di un apposito disegno di legge. Mi fu quindi abbastanza facile proporre alla delegazione la costituzione di una commissione paritetica governo-sindacato per la predisposizione di una legge quadro per la stabilizzazione graduale degli ex 285. Dopo una breve discussione, la proposta fu accettata (sia pure con le solite riserve di sentire la base) e la manifestazione si concluse pacificamente. 3.1.3.4.4.1.3. - Costituzione e attività della Commissione ad hoc per la predisposizione del disegno di legge Non furono necessari molti giorni per la costituzione della commissione che Schietroma volle che fossa da me presieduta. Risultarono abbastanza serene e produttive le tante riunioni tenute per giungere alla stesura definitiva del disegno di legge. La formulazione giuridico-legislativa venne curata quasi esclusivamente dal dott. Tonino Longhi, un dirigente di cancelleria, distaccato presso il mio Servizio, di cui proprio in tale occasione potei apprezzare la elevata competenza professionale. La gestione della commissione fu facilitata anche dal fatto che gli uffici legislativi dei Ministeri interessati, comunque autorevolmente rappresentati nella Commissione, furono coinvolti nel momento di messa all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri per l’approvazione del disegno di legge. A distanza di tempo mi sorprende sempre più il fatto che sia stato possibile predisporre un disegno di legge di importanza rilevante per le finanze dello Stato ed anche per i principi nuovi che si introducevano nell’ordinamento giuridico nazionale senza alcun intervento di accademici e di Uffici Legislativi. La spiegazione sta forse nella prevalenza dell’organizzazione manageriale e sistemica nel contenuto della legge, resa necessaria dalle complessità e diversità delle situazioni da risolvere, nella conseguente difficoltà di intervento modificativo giuridico e, forse, nella pigrizia (o buon senso) di qualche “ giuri-amministrativista”. Vi era anche il fatto che il disegno di legge, nei contenuti, realizzava soprattutto un accordo con le OO.SS.. Conseguentemente la proposta di disegno di legge fu, anche formalmente, quella da me consegnata a Schietroma a conclusione dei lavori durati solo alcuni mesi. 3.1.3.3.4.1.4. - Iter parlamentare e approvazione della legge Gaspari, appena arrivato al Ministero, si prese a cuore l’approvazione parla-mentare, trovando nel Presidente della Commissione Affari Costituzionali un ottimo referente.

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L’iter parlamentare risultò abbastanza spedito, sia per le pressioni dei sindacati sia per quello che ora potrei definire “effetto sudoku”, cioè l’impossibilità di modificare le caselle di un quadrilatero logico già riempite. Proprio per questo effetto Gaspari, che non era certamente un Ministro pigro, mi convocò, ma solo poche volte, per verificare se qualche emendamento era compatibile con la “logistica” del disegno di legge proposto dal Governo. La legge fu approvata con pochissime e non influenti modifiche da parte del Parlamento e pubblicata nella GU n. 136 del maggio 1984. E così si chiuse la parte legislativa.

La Corte dei Conti, nella relazione annuale sulla pubblica amministrazione fece riferimento a tale legge come esempio di buona legislazione. 3.1.3.4.4.1.5. - Fase di avvio della legge La promulgazione della legge avvenne quando ero ormai Direttore del nuovo Servizio VIII e quindi non più istituzionalmente coinvolto nelle problematiche della occupazione giovanile. Ma potei seguirne le soluzioni attuative. proprio nei frequenti incontri che, nell’ambito del progetto FEPA, avevo con i capi del personale di tutti i vari comparti delle amministrazioni pubbliche. Potevo constatare che, salvo casi eccezionali, l’attuazione era coerente con il cosiddetto “spirito della legge”. Probabilmente tutto il lavoro informativo e di analisi per la logistica della legge fatto in ambito della Commissione aveva reso i numerosi partecipanti interpreti di fatto della sua attuazione. Una cosa è certa. Non vi furono strascichi particolari di vertenze sindacali. Ci volle qualche anno per completarne l’attuazione. Concludo questo “fatto” ricordando che, in una delle mie rare presenze nelle stanze dell’Ufficio Legislativo, mi trovai ad assistere ad una accanita discussione di risposta ad un quesito posto su uno degli articoli della legge. Era passato del tempo e, dirigendo il progetto FEPA, ero ormai estraneo alle vicende burocratico-amministrative. Ma mi fermai, con curiosità, ad assistere alla discussione. Durante questa, un magistrato della Corte dei Conti, che non conoscevo e che comunque non faceva parte dell’Ufficio Legislativo, se ne uscì con la seguente affermazione: “tutto dipende dalla posizione di questa virgola”. Me ne andai senza commenti. Concludo questa lunga descrizione di questo “ fatto” con il suggerire di leggere la legge 138 nel sito http://www.italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1984/lexs_288576.html 3.1.3.4.4.2. - Il progetto FEPA 3.1.3.4.4.2.1. - Premessa Avevo iniziato a scrivere questo capitolo relativo al ministero Gaspari quando, facendo qualche ricerca in internet, ho potuto leggere, nel sito della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, il n. 20 /2003 della pubblicazione periodica di cui riporto la parte relativa al Progetto FEPA:

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Nuova organizzazione del lavoro e formazione Paolo PETRARCA

LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

““””…………… …………………………………..

Ciò non vuol dire che le riforme attuate non abbiano prodotto effettivi ed efficaci risultati. Tutt'altro! Si vuol invece affermare che dopo i passi fatti in precedenza, sono ora mature le condizioni per effettuare un ulteriore balzo in avanti nella cultura del lavoro pubblico verso il coinvolgimento delle risorse umane.

Invero, quanto sopra neppure era un obiettivo dell'allora Ministro della Funzione Pubblica Giannini, il cui rapporto sullo stato della P.A. (1978) produsse la prima grande modifica del settore apportata con legge 11 luglio 1980, n. 312 (con la quale, tra l'altro, furono abolite le cd. carriere e fu introdotta la qualifica funzionale).

Subito dopo, negli ultimi anni ottanta, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri venne avviato il progetto F.E.P.A. (Funzionalità Efficienza Pubblica Amministrazione) i cui obbiettivi (funzionalità ed efficienza) erano perseguiti tramite l'analisi dei flussi di lavoro per lo snellimento delle attività, l'eliminazione delle duplicazioni e lo scioglimento dei nodi e degli ingorghi.

Il Ministro Cassese (noto anche per la direttiva che imponeva l'abbandono del burocratese) riprese le questioni su cui si era soffermato il suo predecessore, sviluppando ulteriormente il tema della riforma della P.A. (in quegli anni videro la luce ad esempio i cd. profili professionali).

Il processo non si è più fermato e con il Ministro Bassanini sono state varate importanti riforme dell'organizzazione statale, con modificazioni del rapporto tra Stato e Regioni e autonomie locali.

…………………………………………………………… Si può constatare la conferma, a distanza di anni, del ruolo che il progetto FEPA ha svolto nella storia della cosiddetta prima repubblica. Forse vi è un po’ di esagerazione nel dire che tutto un decennio che va da Giannini (anno 1981) a Cassese (anno 1991) viene ricoperto solo dal progetto FEPA. Vi è certamente un po’ di orgoglio per aver ideato e diretto tale progetto. Ma penso a tutti quegli operatori della PA che hanno collaborato direttamente (qualche centinaio), ed anche a tutti quelli che hanno partecipato alla sua attuazione (circa diecimila). Senza di loro il progetto sarebbe rimasto un’esercitazione teorica sul management nelle amministrazioni pubbliche. Sul progetto FEPA, a tre anni dall’avvio, ho scritto un libro “L’innovazione nella PA e Progetto FEPA” (aprile 1988) diffuso in circa mille copie, soprattutto fra gli operatori coinvolti nel progetto. Mi ero riproposto di completarlo per i restanti due anni. Ma ho sempre rinviato. Spero di farlo dopo aver terminato questo “ricordare” la mia esperienza di tecnico politico nella prima repubblica.

Nel libro più volte citato, pur con un costante richiamo al ruolo dei collaboratori, non ho mai fatto nomi. A questa allora giustificata omissione (eravamo in pieno

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progetto e le citazioni di persone avrebbe potuto creare scompensi motivazionali), cercherò di rimediare ora. Dirò anche di alcuni avvenimenti noti solo a pochi. In questo caso non posso conservare l’unicità di descrizione: ne parlerò quindi distintamente per ogni Ministro.

3.1.3.4.4.2.2. – I testimonial L’esperienza fatta per l’avvio e l’approvazione del Progetto finalizzato CNR Trasporti ed in parte anche quella per il Progetto finalizzato CNR Pubblica Amministrazione, mi avevano reso evidente che qualunque iniziativa progettuale di ricerca, soprattutto se destinate ad incidere su importanti settori ed interessi, doveva innanzitutto dotarsi di testimoni che la avallassero con la loro presenza e fiducia, soprattutto nella fase di decollo del progetto. Le personali conoscenze ed amicizie fatte sia nel periodo del Ministero delle Ricerca Scientifica, sia in ambito CEVAR, consentì che il progetto potesse avvalersi di un gruppo qualificatissimo di esperti esterni, che oltre a fare da testimonial (lo scopo principale) parteciparono anche attivamente, presiedendo i vari gruppi di lavoro in cui successivamente si articolò il progetto. La loro presenza venne poi ufficializzata e resa più incisiva con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di costituzione della Commissione centrale di fattibilità con compiti, fra l’altro, di verifica e controllo della sperimentazione e valutazione dei risultati. La Commissione risultò composta da esperti, in grande prevalenza operatori impegnati direttamente nei settori di competenza (Amministrazioni dello Stato, Regioni ed Enti Locali, Enti Pubblici. OO.SS.). Di questa Commissione, da me presieduta, fecero attivamente parte sia pure con diversa intensità e continuità: Prof Giuseppe Bianchi -Università di Roma (Presidente centro di ricerche socio- economiche IRSI); Prof. Lucio Bianco - Università di Roma (Direttore del Progetto Finalizzato CNR Trasporti); Avv. Ignazio Caramazza (Avvocato dello stato); Prof. Enzo Cheli (Università di Firenze); Prof. Giuseppe De Rita (Presidente Censis); Prof. Onorato Sepe (Presidente di Sezione Corte dei Conti); Dott. Sergio Zoppi (Presidente Formez). Di queste personalità parlerò più in dettaglio nella parte “personaggi”, ma ho ritenuto doveroso menzionarli per il ruolo essenziale che essi hanno avuto nel progetto. Nella fase centrale, quando si cominciò a capire che il FEPA avrebbe inciso ed influenzato molto sugli sviluppi futuri di riforma e gestione della PA, la loro presenza di testimonial fu di grande ausilio al Ministro Gaspari e a me, per superare gli ostacoli di “palazzo”. 3.1.3.4.4.2 3. – L’utopia Quando gli feci leggere la bozza del progetto di fattibilità, De Rita, dopo i complimenti per la sua “architettura”, mi disse francamente:

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“Caro Emidio questo progetto non te lo fanno uscire nemmeno da Palazzo Vidoni, ma io ti do il mio sostegno”. Evidentemente non si riferiva al forte tasso di innovatività che lo caratterizzava, ma all’impronta di concretezza e all’impatto che lasciava prevedere. A questa “utopia modale” di De Rita (che mi metteva sull’avviso riguardo agli ostacoli interni ed esterni che il progetto avrebbe incontrato) faceva riscontro l’utopia-contenuto di quelli che sarebbero stati gli avversari: “Lasciamo fare... tanto il progetto è così faraonico da non aver nessuna possibilità di realizzazione”. Nella fase iniziale ebbi, paradossalmente, incoraggiamenti proprio da chi poi sarebbe stato avversario soprattutto nell’ambito della struttura interna. 3.1.3.4.4.2.4. – Le resistenze del Palazzo Quando, a distanza di un anno dall’avvio, ai colleghi di Palazzo Vidoni arrivarono notizie sulla forte presa che il progetto stava avendo su tutto il complesso ed articolato universo della PA, vi fu da parte loro la richiesta al Capo di Gabinetto a che il comitato dei direttori di Servizio venisse direttamente informato dell’andamento del progetto. Inizialmente ne fui contento e soddisfatto: finalmente il progetto coinvolgeva anche le altre strutture del Ministero. E le prime riunioni andarono bene, forse anche perché presiedute dal Capo di Gabinetto. Ma l’idillio durò breve tempo: a partire dalla terza-quarta riunione (quindicinali) cominciarono le critiche, non sui contenuti (di cui non vedevano più l’utopia), ma sul fatto che la struttura del Dipartimento non era attrezzata a garantire la fattibilità del progetto e che quindi era meglio affidarne all’esterno l’attuazione. Capii subito che era un modo per affossare il progetto che, peraltro, non aveva risorse finanziarie per avvalersi di costosissime collaborazioni esterne. Là per là temetti che De Rita avesse ragione. Ma il progetto si era così diffuso nella fase di messa a punto della fattibilità e delle prime sperimentazioni da non poter essere interrotto. Ammisi esplicitamente che avevo sopravvalutato le risorse del Ministero e che quindi il progetto doveva essere concluso in anticipo sul previsto, ma che non potevamo interrompere le attività di sperimentazione che decine di amministrazioni avevano avviato (tali sperimentazioni costituivano peraltro una fase ben distinta del progetto). In questa mia proposta trovai l’appoggio di Quaranta.

Ammetto di aver avuto una riserva mentale e di essere stato un poco machiavellico; ormai il progetto aveva coinvolto tante persone, tante amministrazioni e tutti i vertici delle organizzazioni sindacali, aveva cioè determinato interessi diffusi e significativi: ero convinto che, una volta completata la prima fase sperimentale di avvio, il progetto non poteva più essere interrotto. Ormai il progetto aveva avuto una spinta iniziale tale da superare la “forza di gravità” temuta da De Rita. Si stava ripetendo, ma con maggiore intensità, quello che era accaduto nel Progetto finalizzato Trasporti con una rete-lobby che faceva premio sugli ostacoli che di volta in volta si presentavano. Allora non me ne rendevo conto, ma si era già costituita la lobby culturale dei “fepini” che comprendeva tutti i membri della Commissione di fattibilità, ma anche

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tanti Segretari generali, Direttori generali ed operatori pubblici con potere all’interno della loro amministrazione e con forti doti di disponibilità all’innovazione. Nella fase terminale di tale sperimentazione arrivarono i primi risultati con l’esplicita richiesta delle amministrazioni interessate a continuare e a contribuire con risorse interne al prosieguo del progetto. Ma soprattutto vi furono pressioni dei rappresentanti delle OO.SS. contrarie all’interruzione del progetto. E cosi, sia pure con minori esternazioni, il progetto proseguì con mia, questa volta, totale autonomia. I colleghi della Funzione Pubblica ingoiarono temporaneamente il rospo, anche perché nel frattempo erano stati tutti nominati Dirigenti generali. 3.1.3.4.4.2 5. – Il Financial Times Quando il FEPA ormai interessava centinaia di amministrazioni e nel quadro di una relazione che periodicamente dedicava alla PA italiana, il corrispondente italiano del Financial Times mi chiese un incontro per avere notizie, alla fonte, del FEPA. Lo incontrai a palazzo Vidoni nel mese di marzo 1986 e mi testimoniò subito il forte impatto che il FEPA stava avendo sulle strutture della PA. Mi accorsi anche che era abbastanza informato sui contenuti e le modalità del progetto. Mi disse anche che a suggerirgli un incontro con me erano stati quelli del Censis. E così nel Financial Times del giorno 7 aprile si potè leggere: Irritations of an eferday plague - Bureacracy di David Barchard “BUREAUCRACY is the most horrible plague We have”, says a Rome sociology professor Mr. Franco Ferrarotti: “It is our biggest single problem in Italy”. Four hundred miles to the north in Milan, an industrialist offers the opinion that “bureaucracy is not a major problem for italian industry. You can bypass it with money or whatever”. ........................................................................................................................................ These have become a force for change in recent years, setting up FEPA, a study group intended to identify ways of making the Italian civil service more cost effective and getting it to treat the public as customers paying for services, rather than as subjects to be ordered around. FEPA plans monitor the quality of italian civil service output and study ways of introducing new technology which could improve it. A first is due in April or May this year . “I do not believe “ says a civil servant associated whit the project “ that Italian bureaucrats are intrisically worse than those of other countries”. Hi is almost certain right. By mediterranean standards, Italy is a well-run country”.

L’articolo venne riportato dagli uffici stampa dei Ministeri, compreso quello della Funzione Pubblica. Questa valutazione dell’importante quotidiano contribuì molto a rafforzare la tenuta del progetto a metà del suo quinquennale percorso, ma soprattutto a “caricare” ulteriormente la motivazione dei fepini. 3.1.3.4.4.2.6. – Il ruolo dell’Università Bocconi nel sostegno al Progetto Fepa Sin dal 1983 la Bocconi, dopo la convinta ed elogiativa adesione del Rettore pro tempore Innocenzo Gasparini, aveva dato il suo appoggio qualificato alle attività del Cevar.

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In occasione di un incontro organizzato dal Cevar il 28 maggio 1984 presso l’Università Bocconi e presieduto proprio da Gasparini, potei conoscere il prof. Claudio De Mattè allora direttore della SDA ed il prof. Elio Borgonovi che era il responsabile del settore “Amministrazioni pubbliche”. Data da quel momento il sostegno avuto dalla Bocconi ed in particolare da Borgonovi e dal nutrito gruppo di docenti a lui vicini, come i Proff. Gianfranco Rebora, Marco Meneguzzo e Antonello Zangrandi. E questo sostegno è stato costante durante tutto il periodo del progetto. Uno dei docenti più attenti al progetto era Rebora di cui riporto integralmente la dettagliata recensione al mio libro, pubblicato nella fase finale del progetto che, rileggendola ora, costituisce un’analisi lucida di cosa era e sarebbe stato il Fepa e del perché del suo successo. Dalla rivista semestrale “Azienda pubblica – Teoria e problemi di Management” Anno 1 n, 1 giugno1988 - editore Giuffrè Milano Recensioni e segnalazioni Bibliografiche Il libro di Valentini costituisce al tempo stesso un’efficace concettualizzazione del processo di cambiamento organizzativo delle amministrazioni pubbliche e una ricostruzione di un’importante progetto orientato in questo senso (FEPA).

Ma è soprattutto una testimonianza che tale processo non è solo necessario, ma possibile; che la “tensione al cambiamento” è viva all’interno di gran parte delle strutture pubbliche e necessita solo di essere stimolata e canalizzata. Il progetto “Funzionalità ed efficienza nella Pubblica Amministrazione” (FEPA) prende avvio dalla legge n. 93 del 1983 (legge quadro sul pubblico impiego) e dalla conseguente istituzione del Dipartimento della Funzione Pubblica; esso è definibile in sintesi come un “coordinato sistema di interventi volti all’introduzione graduale e mirata, previo adattamento e sperimentazione, di nuove tecniche gestionali finalizzate ad una maggiore efficienza e produttività della Pubblica Amministrazione, nell’osservanza della normativa vigente”. Tante altre volte in questo campo i testi di legge, i regolamenti, i contratti di lavoro hanno richiamato concetti come l’efficienza, l’efficacia, la produttività, quali criteri di fondo per le scelte organizzative e di gestione del personale negli enti pubblici; ma ciò sembrava in molti casi divenire qualcosa di rituale e di formale, con scarse capacità di reale incidenza sul funzionamento delle amministrazioni. La lettura del libro di Valentini, come il contatto diretto con il progetto Fepa, danno subito la sensazione di “respirare un’altra aria” rispetto alla combinazione tra rituale apertura e sostanziale scetticismo verso l’applicazione di criteri di razionalità aziendale negli enti pubblici che impronta così spesso documenti ufficiali e progetti di varia natura.

Si ha l’impressione che questa volta qualcuno abbia voluto “prendere sul serio” alcuni enunciati che la legge ha accolto, operando per la sua attuazione con dosi di iniziativa, fantasia e coraggio che, forse a torto, non ci si aspetterebbe da una struttura ministeriale.

Il libro è in fondo un documento-testimonianza che viene “dall’interno” del progetto, in quanto Emidio Valentini ne è il coordinatore e presidente della Commissione centrale; il volume ripercorre le tappe di sviluppo del progetto, ma soprattutto ne esprime la logica di fondo ed i principali contenuti.

Il primo aspetto che colpisce favorevolmente è come il progetto si fondi su un’esplicita e chiara teoria del cambiamento organizzativo, costruita su misura per il

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contesto delle amministrazioni italiane, ma anche aperta a recepire quanto derivabile da altre esperienze.

I fattori dell’innovazione nella Pubblica Amministrazione vengono individuati in linea generale nelle “innovazioni istituzionali”; nelle “innovazioni tecnologiche”; nelle “nuove tecniche gestionali” e nella “cultura dell’innovazione”.

Si riconosce però anche che nell’attuale situazione siamo in presenza di un’offerta di innovazione istituzionale (alimentata dal mondo politico e da una tradizione accademica di tipo giuri-istituzionalista) che “supera la domanda” e di un’offerta di innovazione tecnologica ancor più in eccesso (date le pressioni dei settori industriali per i quali l’amministrazione è uno sbocco di mercato).

Mentre sono inferiori alla domanda le “offerte” di nuove tecniche gestionali e cultura dell’innovazione.

Per questo il progetto concentra i suoi obiettivi sul miglioramento di questi due ultimi fattori, quelli che l’evoluzione spontanea degli eventi non consente da sola di rafforzare.

Si ritiene anzi che la natura sistematica e integra del processo di innovazione consenta di ottenere i maggiori benefici quando vi è equilibrio e rispondenza tra il livello di sviluppo dei quattro fondamentali fattori individuati: in sostanza, solo adeguando cultura e nuove tecniche gestionali si potranno utilizzare efficacemente le innovazioni istituzionali proposte dal mondo politico e quelle tecnologiche spinte dal mondo delle imprese.

Da questa valutazione di fondo discendono quindi gli specifici sottoprogetti del FEPA: semplificazione delle procedure amministrative, normalizzazione ed individualizzazione dei fabbisogni del personale, controllo sull’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa, indicatori di produttività, costi e funzionalità dei servizi pubblici, aggiornamento professionale, con la relativa articolazione interna.

Di particolare interesse è anche il modo in cui i progetti sono concepiti e gestiti: la logica di fondo è quella di un progetto di ricerca e di sviluppo, il primo esempio organico e sistemico in questa sfera di attività.

Possiamo considerarlo un processo di apprendimento collettivo, caratterizzato dall’esteso coinvolgimento di amministrazioni e di operatori delle stesse, su basi di partecipazione volontaria, ordinato da regole precise e reso più efficace dalla graduale messa in atto di strumenti e supporti di varia natura.

Sono interessantissime le pagine in cui Valentini, dopo aver descritto l’andamento del progetto, deriva dall’esperienza svolta alcune indicazioni e “suggerimenti” per i responsabili di progetti innovativi negli enti pubblici. Troviamo qui una grande ricchezza di spunti, molto spesso assonanti con le acquisizioni della ricerca in tema di cambiamento organizzativo e con le esperienze del mondo imprenditoriale, ma precisamente contestualizzati per la sfera di attività specifica e riferiti alle varie vicende del progetto.

Questa parte finale aiuta a capire le ragioni del successo del Fepa, della sua capacità di rendere protagonisti attivi di “ricerca e sviluppo” oltre 1.000 funzionari pubblici; si capisce che il progetto è meno “ingenuo” e “utopico” di quanto molti pensavano, almeno all’inizio; che il processo di selezione e di “auto-selezione indotta” dei partecipanti è stata fondamentale; che altrettanto fondamentale è stata la capacità di attivare un “fattore élite” (coinvolgimento di funzionari dotati di particolari qualità professionali e di apertura all’innovazione), cambiando con la diffusione, con il radicamento degli enti, con un approccio tutt’altro che intellettualistico ma assai concreto ed operativo.

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L’unico rilievo che per certi aspetti si potrebbe rivolgere a questa impostazione è forse l’accentuazione di una certa autosufficienza delle forze interne alla Pubblica Amministrazione nel compiere quest’opera di innovazione; mentre la stessa, normalmente, oltre che apertura culturale verso i processi in atto all’esterno, richiede un certo sforzo per inserire nuovi e per attivare contributi esterni.

In tanti passi del libro c’è comunque dimostrazione di una grande sensibilità all’esigenza di arricchire il processo di rinnovamento della Pubblica Amministrazione con conoscenze, esperienze, strumenti non tradizionalmente coltivati all’interno della stessa; questo ci sembra richieda anche una combinazione di “soggetti innovatori” di provenienza interna ed esterna.

Una certa legittima cautela è certo indotta da atteggiamenti non corretti e non costruttivi che molti “esperti” e professionisti provenienti da altri ambiti assumono quando sono chiamati ad occuparsi della Pubblica Amministrazione; ma l’esigenza di questo apporto resta e si tratterà semmai di regolarlo e controllarlo meglio.

Il progetto si deve ancora cimentare con la fase adattiva ed è presto quindi per valutare i risultati definitivi; ma alcuni esiti acquisiti, come l’attuazione di energie professionali interne agli enti pubblici verso obiettivi di innovazione gestionale, in dimensioni che non hanno precedenti e con costi contenutissimi, sono qualcosa di prezioso e di importante comunque.

Lo stesso vale per il libro; scritto in modo semplice e chiaro, ricco di documentazione e di richiami alla concreta realtà delle amministrazioni più che di riferimenti alla letteratura, non sembra coltivare ambizioni di “fare teoria” in senso classico ed accademico; ma sicuramente riesce molto bene a saldare il piano della testimonianza e della descrizione di un’esperienza con quella della concettualizzazione.

E alla fine, orientato com’è su contenuti innovativi e di frontiera, finisce per dare un rilevante contributo alla conoscenza dei processi del cambiamento organizzativo nelle Amministrazioni Pubbliche. Gianfranco Rebora

Ogni commento da parte mia sarebbe superfluo. 3.1.3.5. - Ministro Livio Paladin -marzo 1987 /luglio 1987- Data la brevissima durata del suo incarico ed anche per la mia autonomia, ormai stabilizzatasi, ho visto il Prof. Paladin solo negli incontri ufficiali di inizio e termine del mandato. Dopo essere stato Presidente della Corte Costituzionale, il ruolo di Ministro, per di piú senza portafoglio , non lo entusiasmava. In quel periodo, come in quello successivo con Santuz, mi trovavo peraltro nella fase di maggior impegno nel FEPA e quindi poco attento alle vicende interne del Ministero. 3.1.3.6.- Ministro Giorgio Santuz - luglio 1987 aprile 1988-

Certamente più presente, ed anche con una certa voglia di fare, fu il Ministro Santuz.

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Ebbi con lui un colloquio abbastanza lungo sulla situazione del FEPA, che già conosceva, vista la diffusione del progetto nella sua zona elettorale. Non poté fare molte cose, ma ridette un po’ di slancio alla struttura. Era un tipico rappresentante politico del triveneto asburgico.

3.1.3.7. - Ministro Cirino Pomicino (l’intelligente mediatore) (aprile 1988 – luglio 1989) 3.1.3.7.1. – Premessa Con Pomicino il Dipartimento della Funzione Pubblica si politicizza, non tanto per sua colpa quanto perché sempre più si confonde il primato della politica con il primato dei partiti. Ho avuto pochissimi rapporti diretti con Pomicino.

L’ho conosciuto personalmente solo in occasione di una tavola rotonda a cui io peraltro partecipavo in nome del Cevar. Ho avuto però modo di conoscerlo negli incontri, pochi, che tenne con la Dirigenza. Per quanto riguarda la mia attività nella Funzione Pubblica, il FEPA si avviava a passare dalla fase prototipica alla fase di realizzazione sperimentale. Durante tutto questo periodo ebbi la sensazione che vi fosse da parte di Pomicino una ostilità preconcetta nei riguardi del FEPA. Invece potei constatare successivamente che si era comportato in modo tale da evitare non solo interruzioni, ma anche freni. Aveva delegato ai dirigenti e quindi anche a me la firma per le attività di routine. E così potevo firmare, a nome del Ministro, tutte le convocazioni e gli incontri e gestire tutta l’attività in autonomia anche formale. Purtroppo non poté evitare, come avrebbe forse voluto, quella brutta vicenda della sua circolare sui carichi di lavoro, firmata qualche istante prima di passare le consegne a Gaspari. Ma di questa faccenda, che ha segnato anche il mio futuro professionale, dirò nei capitoli successivi. In questo periodo ero poco presente a Palazzo Vidoni. Il progetto si era articolato e interessava ormai centinaia di amministrazioni. Ero in giro per l’Italia a verificare l’andamento finale della messa a punto dei prototipi da utilizzare per il passaggio alla sperimentazione estesa. Non ho nessun ricordo delle persone dello staff di Gabinetto e quindi non ne parlo. 3.1.3.7.2. – Il Ministro Cirino Pomicino Nel parlare del personaggio rischio di dire delle banalità e di essere influenzato dal Pomicino così come ora sta emergendo, nei media, nel suo tentativo di un “ritorno al passato” che valorizza, con la saggezza della sofferenza dei suoi difficili anni ‘90, le sue doti di mediatore della politica-partito. . Nei momenti in cui, come ideatore e direttore del progetto FEPA, ero anche oggetto delle sue mediazioni, io e tutti i fepini lo vedevamo come colui che ne stava

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ostacolando il completamento. E quindi tutti accogliemmo con soddisfazione il suo incappare nelle note vicende giudiziarie. In realtà, successivamente (con la conferma in occasione di questa rivisitazione più oggettiva di quel periodo), ho dovuto ammettere che Pomicino fece mediazione, appoggiando nella sostanza il progetto ed a suo modo difendendolo dalle difficoltà. Nelle poche occasioni di conoscenza diretta restai sempre colpito (e dico una cosa risaputa) dalla sua eccezionale velocità ed “efficacità” intellettuale che dipendeva e dipende certamente da un cervello particolarmente dotato, ma anche e soprattutto da quella sua elevata capacità nel mixare, come pochi, la logica-insiemistica con la retorica-dialettica. In questo lo paragono (e credo che questo non gli dispiacerà) al Prof. Carnelutti che io, sul finire degli anni quaranta andavo affascinato ad ascoltare nelle sue famose arringhe al tribunale di Porta Capuana a Napoli. E di queste sue doti Pomicino era cosciente. 3.1.3.7.3. – Fatti ed accadimenti 3.1.3.7.3.1. - I primi miliardi a disposizione del Ministero della Funzione Pubblica e conseguenti ulteriori difficoltà per il Progetto FEPA

Nel periodo iniziale con Pomicino non si ebbero particolari difficoltà per l'attuazione del programma già precedentemente approvato dal Ministro Santuz. Anzi, nella relazione al Parlamento sullo stato della PA per il 1987 (trasmessa al Parlamento il 30 settembre 1988 proprio da Pomicino) venivano evidenziati i risultati positivi del progetto. Le difficoltà vere per il progetto cominciarono con la disponibilità da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica dei diversi miliardi per attività simili a quelle del progetto FEPA (art. 17 legge.23/8/1988 N. 400). Con questa legge tutta la logistica autarchica del Dipartimento venne sconvolta. E, con l'arrivo dei soldi finalizzati quasi agli stessi obiettivi del progetto FEPA, fu chiaro che non poteva accadere che nel Dipartimento si facesse, concretamente e senza risorse aggiuntive (e quindi senza il potere del denaro disponibile) ciò che invece si poteva forse studiare di fare con la consulenza a costi peraltro elevatissimi. Per quanto riguarda in particolare la rilevazione dei carichi di lavoro, nelle disponibilità del fondo per i progetti pilota venne previsto l'incarico a due società con corrispettivo concordato di 400/500 milioni, per sperimentare ed attuare prototipicamente una metodologia che consentisse di trovare degli standard per i carichi di lavoro, pur sapendo che nel progetto FEPA vi era un apposito sottoprogetto in fase avanzata di sperimentazione. Cominciarono subito i contrasti fra il progetto (che senza soldi aveva pochi sponsor) e gli studi preliminari presentati per giustificare tale incarico. Nel mese di aprile del 1989, presentavo al Capo di Gabinetto le mie osservazioni in merito alla metodologia proposta da una delle due società e avallata dall'altra. Forse in conseguenza di tali valutazioni, ma certamente per la riscontrata positività dell'esperienza fatta nelle amministrazioni partecipanti al progetto, il Ministro Pomicino incaricava il prof. Rey, in qualità di Presidente dell'Osservatorio sul Pubblico Impiego, di mediare una soluzione fra la metodologia proposta dalla consulenza e quella del progetto FEPA. In quanto "padre del progetto" ero considerato poco disponibile a qualsiasi compromesso. Fui pregato quindi dal Ministro di non partecipare direttamente alle

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riunioni di "mediazione" e di delegare uno o due collaboratori fra i più impegnati nel progetto. E questa motivazione di psicologia aziendale di Pomicino facilitò notevolmente il lavoro di Rey. Di tali riunioni sono state effettuate le registrazioni, di cui ancora conservo copia, a cura dei due fepini da me delegati a rappresentarmi in quel momento, il dott. Giuseppe Scoppio del Ministero delle Finanze ed il dott. Anselmo Merlotti del Comune di Novara. L'ipotesi sollecitata dal Ministro era quella di un’unica metodologia che mettesse insieme le proposte delle due società e la tecnica messa a punto in ambito FEPA. Era oggettivamente un’ipotesi impraticabile, in quanto, mentre la metodologia messa a punto da una delle società si basava su principi di origine tayloristica di cui l'esperienza, non solo FEPA, aveva dimostrato l'impraticabilità, la metodologia FEPA era invece detaylorizzante e risultava estesamente applicata. La prima si basava essenzialmente sul come (analisi tayloristica delle procedure), la seconda sul cosa (monitoraggio della produzione e dei risultati). Pomicino, facendo riferimento a questo contrasto, intuì subito che si trattava di un grande avvenimento: il dott. Scoppio mi riferì che il Ministro, nel breve incontro prima della riunione e manifestando una chiara conoscenza della questione, parlò, con un po’ di esagerazione retorica, di scontro epocale fra due visioni politiche nei controlli gestionali sulla PA. Comunque, a conclusione di tali riunioni, venne approvata dal Ministro (ritengo su proposta del Prof. Rey) una soluzione salomonica: le due società, su incarico del Ministro, avrebbero sperimentato "prototipicamente" la loro metodologia in una o due unità non ministeriali (comuni, USL). Il progetto FEPA avrebbe avviato l'attuazione della nuova metodologia in tutti i ministeri, a cominciare dall’individuazione della cosiddetta LAPP (lista delle attività, dei prodotti e dei parametri) e dei dati di base per il monitoraggio della produzione e dei carichi di lavoro. Sulla base dell'esperienza prototipica fatta dalle due Società e dai risultati avuti dall'attuazione parziale nei Ministeri, si sarebbero prese decisioni sul come proseguire. Per dare attuazione a ciò, presso il progetto FEPA (che, come struttura del Dipartimento aveva solo me ed una segretaria) vennero distaccati due funzionari del Ministero delle Finanze. il dott. Scoppio ed un suo collaboratore, il dott.Pofi. Era previsto anche che il progetto potesse utilizzare almeno una ventina di esperti FEPA. La mediazione proposta da Pomicino e realizzata da Rey faceva ben sperare in una positiva conclusione del progetto. 3.1.3.7.3.2. - La cosiddetta circolare Pomicino per la rilevazione dei carichi di lavoro Purtroppo poco dopo il Governo entrò in crisi. Quando fu chiaro che il ministro Pomicino sarebbe passato ad altri incarichi, venne fuori in pochi giorni un documento che rispecchiava integralmente e "pigramente" (per la fretta) la metodologia delle due società . Non si sa cosa sia accaduto.

Una cosa é certa: il Ministro firmò la "Circolare sui carichi di lavoro” che non solo recepì integralmente tale documento (nella stessa forma grafica di rozza bozza che era circolata in precedenza), ma rendeva rigidamente obbligatoria la metodologia, proprio per scoraggiare l’attuazione delle esperienze applicative della metodologia FEPA.

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Feci allora tutto il possibile per bloccare la circolare. Ma non ci riuscii. Maturó allora la convinzione che occorreva chiudere quanto prima il progetto e continuare l'attività di completamento e sviluppo delle tecniche "all'esterno del Dipartimento". Con la certezza che il tempo avrebbe reso giustizia, il restante periodo di attività fu sostanzialmente rivolto a concludere nel miglior modo possibile il progetto, consolidando i risultati parziali già ottenuti e rinviando al dopo-FEPA il completamento e l'ulteriore sviluppo delle varie tecniche gestionali. Nella “Relazione al Parlamento sullo stato della PA per il 1988” (presentata dal ministro Gaspari nel settembre 1989) veniva fatto un elogio "esagerato" del progetto FEPA, ma ormai era evidente che per il progetto e per qualsiasi iniziativa di studio e ricerca non di tipo consulenziale non vi erano più spazi: business is business.

In realtà il progetto fu sostanzialmente e volutamente chiuso da me e dai miei fepini proprio a partire dalla pubblicazione di tale circolare. Già si pensava alla all’Asfepa che fu costituita, nel marzo 1990, con la partecipazione di quasi tutti i docenti -esperti impegnati negli ultimi due anni. Mi dispiace per Pomicino, ma quella circolare non costituisce certamente un suo merito. Se e quando questo mio “raccontare” sarà pubblicato, pregherò Pomicino di dare qualche spiegazione del perché non tenne conto della proposta Rey. La mia è una domanda retorica nel mio cercare a tutti i costi di spiegarmi il perché di una tale “ingiustificata ed incomprensibile iniziativa”. Il progetto Fepa si concludeva formalmente con il convegno di esternazione dei risultati (Rimini 20/21 marzo 1990).

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3.1.3.8. - Ministro Remo Gaspari -Secondo incarico -luglio 1989/agosto 1990 3.1.3.8.1. - Il Ministro … stanco Con il VI Governo Andreotti ritorna alla Funzione Pubblica il ministro Gaspari. Preso ormai dall’attività per chiudere bene il progetto (era già in preparazione la manifestazione di conclusione di Rimini) e diventati quasi nulli i miei rapporti con Palazzo Vidoni (di cui occupavo una modesta stanza del cosiddetto piano rialzato), non ebbi quasi più occasione di vederlo. Comunque feci un poco convinto tentativo di bloccare la “Circolare sui carichi di lavoro” firmata da Pomicino, pochi istanti prima dello scambio di consegne. Non riuscii nemmeno a parlarne con Gaspari. Incontrandolo, lo vedevo stanco e certamente demotivato: non gli piaceva trovarsi nella posizione di “minestra riscaldata” di cui ho fatto cenno nel descriverlo. Non aggiungo nient’altro al profilo già tracciato nel capitolo precedente. Certamente rimasi male quando non venne al convegno di Rimini. Peccato. Non aveva messo il cappello, come si suole dire, sul progetto. Poteva essere ricordato anche come Ministro innovatore. “Molto bene, mi congratulo moltissimo per il meritato successo. Gaspari“ è il commento a penna sul mio appunto (aprile 1990) “in merito al convegno di conclusione e presentazione del progetto FEPA”. E’ questo l’ultimo di tutta una serie di altri appunti che hanno costellato il mio ottimo rapporto con Remo Gaspari che spero di pubblicare integralmente allegati al mio, prossimo, libro sulla seconda parte del progetto (anni 1988/1990). 3.1.3.8.2. – Il Progetto FEPA 3.1.3.8.2.1. – Il convegno conclusivo Nei giorni 20/21 marzo (al cinema Astoria di Rimini) si tenne il convegno conclusivo con la partecipazione di 568 operatori della PA, in rappresentanza di centinaia di amministrazioni pubbliche. Ricordo con una certa giustificata nostalgia le emozioni provate durante le tre giornate del convegno. Le tre relazioni di base furono svolte da Elio Borgonovi (Sda Bocconi) su “Cultura manageriale”, dall’ing. Pier Giorgio Perotti, Presidente dell’Elea/Olivetti su “Nuove tecnologie e nuove tecniche gestionali FEPA” e da me su “Il progetto FEPA: cinque anni di ricerca, sperimentazione e prototipica attuazione”. In realtà, delle giornate del convegno furono protagonisti le centinaia di partecipanti, tutti fepini doc (come si autodefinivano), orgogliosi di aver fatto parte di un progetto di cui ancora non si intuiva la portata , ma in cui tutti manifestavano fiducia. Il convegno peraltro non fu per nulla caratterizzato dalla nostalgia tipica delle chiusure di progetto. Nel mese di gennaio era gia stata costituita l’Asfepa che, nella voluta assenza del Palazzo (e non solo Vidoni), aveva preso in eredità il patrimonio di metodologie, cultura e professionalità che tanto aveva ,ed avrebbe poi, influito sulle amministrazioni pubbliche.

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Il convegno non fu una manifestazione di addio, ma venne considerato come un evento di lancio della nuova iniziativa. In nota n. 5 vengono riportati i dati sintetici della partecipazione al progetto. 3.1.3.8.2.2. - I personaggi (la futura generazione di “innovatori”)

Nel 1989, nella fase finale, il progetto poteva disporre di circa 130 esperti interni alla PA che, oltre a fare da capofila alle centinaia di sperimentazioni e prototipi, svolgevano anche il ruolo di docenti. Tutti continuavano a svolgere le loro mansioni nelle amministrazioni di competenza. Il Progetto non dispose mai di risorse finanziarie proprie, la scelta di preparare funzionari interni era quindi obbligata. Ogni amministrazione partecipante pagava le missioni dei propri dipendenti; le spese logistiche per seminari e riunioni, comprese quelle mie e dei miei collaboratori, venivano garantite dalle amministrazioni locali organizzatrici. Il progetto ebbe un costo, ma non spese aggiuntive: si utilizzavano i fondi già in bilancio per formazione. I primi sei/sette mesi (dicembre 1984/ 1985) furono impiegati prevalentemente per la messa a punto della “fattibilità” e per le prime sperimentazioni.

Con una forte selezione (il 10 % circa dei partecipanti) furono addestrati e preparati, in quel periodo, una ventina di esperti/docenti che costituirono il gruppo di partenza dei successivi “gruppi”, che, sempre con forte selezione, venivano preparati con “formazione e addestramento autoalimentati a cascata” (come si definiva, all’interno del Fepa, la preparazione delle risorse umane da utilizzare nelle varie fasi di sviluppo del progetto). Gli esperti erano indicati con nome, cognome ed amministrazione di provenienza, senza indicazioni di qualifica o titolo di studio. La grande maggioranza era rappresentata da funzionari e dirigenti, ma vi erano anche impiegati della carriera esecutiva, con titolo di studio elevato.

Questa amalgama sostanziale contribuì molto non solo a far emergere professionalità a tutti i livelli, ma anche a rendere il clima molto solidale. Mi ricordo che Elio Borgonovi, che con tutta la sua SDA Pubblica Amministrazione fu sempre vicino al Progetto, mi diceva che quando un fepino partecipava ai suoi corsi si distingueva subito per l’impegno e per l’orgoglio di essere nel progetto. In note n. 3 e 4 sono riportati, rispettivamente, la composizione della commissione centrale e l’elenco delle Amministrazioni e dei relativi dirigenti e funzionari partecipanti. Ma quì voglio ricordare quelli che più hanno contribuito a fare del Fepa l’iniziativa di ricerca ed impatto di maggior peso ed efficacia nella storia della PA: Pierluigi Angelini – Comune di Spoleto ; Francesco Bottino – Ospedale Cardarelli ,Napoli; .Giuseppina Canavese - Comune di Torino; Giuseppe De Gennaro-INPS; Maddalena Ferrero – Provincia di Torino; Dea Frani- Comune di Cesena ; Giuseppantonio Fimmanò – Presidenza del Consiglio dei Ministri; Antonino Fiorentino - Comune di Sorrento; Edda Gastaldi – Comune di Casal Monferrato; Silvana Giangiuliani-Provincia di Catania; Francesco Guiducci – Regione Liguria; Giuliano Lapis – Usl Chianti F. ; Giuseppe Mareschi – Comune di Tolmezzo; Flavio Paiero -. Comune di Crema; Ernesta Ranieri- Regione Umbria; Giuseppe Randi – Comune di Ravenna; Andrea Raspolli - Comune di Campiglia Marittima;Pietro Rebuffat – Usl Firenze B ; Plinio Salanti - Comune di Maddaloni ; Riccardo Sanpaoli – Comune di Rimini; Maurilio Segalini - Comune di Cremona; Domenico Serino – Corte dei

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Conti; Vittorio Sotgiu – Comune di Bosa; Germana Strocchi – Comune di Ravenna; Raffaele Tiani- Comune di Novara; Vittorio Valtolina – Comune di Monza A conclusione di questa mia sintetica carrellata sui personaggi del FEPA riporto la parte finale della mia già citata relazione: “punto 9.5. – I membri dei gruppi innovazione Fepa”

“Non posso concludere senza citare l’apporto delle migliaia di dirigenti e funzionari che facendo parte dei gruppi Innovazione hanno affrontato sul campo le difficoltà connesse con l’attuazione delle tecniche Fepa. Se il Fepa è ora stabilmente inserito in centinaia di amministrazioni il merito va soprattutto alla loro tenacia, alla loro fiducia nel nuovo, al loro impegno e professionalità.

Nei loro riguardi un grazie ed un invito che è anche un augurio: insieme per scalare le cento, mille montagne del dopo Fepa”. 3.1.3.8.3. - Costituzione dell’associazione ASFEPA-Associazione per la Funzionalità ed efficienza della P.A. per continuare l’attività avviata con il progetto FEPA Il 20 gennaio 1990, in Bologna, presso il notaio Trogu, veniva costituita l’associazione Asfepa ( in nota n. 6 l’elenco dei soci).

La continuità rispetto al progetto FEPA venne esplicitamente evidenziata nello statuto di cui si riporta integralmente l’art. 3: “L’associazione, che non persegue fini di lucro, ha come finalità principale il miglioramento della funzionalità della Pubblica Amministrazione mediante la promozione e diffusione di una cultura innovativa e di nuove tecniche gestionali. In particolare l’associazione vuole essere: a) una stazione permanente di fare organizzazione nel sistema pubblico; b) un punto di raccolta delle soluzioni adottate e delle esperienze fatte, da cui poter attingere ed in base a cui far maturare la crescita generalizzata della gestione della cosa pubblica;

c) un laboratorio di ricerca e di sperimentazione sul campo degli interventi innovativi gestionali; d) un punto di riferimento, di scambio operativo in cui confluiscono riflessioni e ricerche tecniche sulle incongruenze e distorsioni delle Amministrazioni Pubbliche, in cui si individuino possibilità di soluzioni e di razionalizzazione in relazione agli specifici problemi emergenti.

L’associazione individua nel sistema FEPA, messo a punto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, la scala dei valori, le linee guida e gli strumenti operativi più idonei per la realizzazione dei suddetti fini. A tale scopo l’associazione si richiama in particolare a quel capitolo sullo stato della Pubblica Amministrazione del 30 settembre 1989 espressamente dedicato al progetto-sistema FEPA e la cui copia viene allegata al presente statuto di cui farà parte integrante.” Questa parte dello statuto evidenzia il carattere di continuità ed il ruolo che ha avuto l’Asfepa nel consolidamento dei risultati del FEPA non solo nella pratica, ma anche nella sua influenza su tutta la successiva nuova normativa “gestionale” della PA.

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L’attività dell’associazione ebbe inizio dopo il mio rientro nelle Ferrovie dello Stato, agosto 1990, e quindi a conclusione del mio lungo navigare di ferroviere prestato ai gabinetti dei Ministeri. Ma dopo il successo iniziale, l’Asfepa andò in crisi. Nel clima “torbido” di tangentopoli, non vi era spazio per la “ trasparenza, la funzionalità, l’efficienza e l’etica” che erano stati i valori del progetto Fepa e fatti propri dall’Asfepa. Peraltro, agli inizi degli anni ‘90 anche tutte le mie attività socio-culturali erano praticamente cessate. Cessarono quindi del tutto i miei rapporti con l’ambiente tecnico-politico precedente; rimase la frequentazione di pochissimi amici. 3.1.3.8.4. – Il Progetto Finalizzato CNR Pubblica Amministrazione 3.1.3.8.4 1. – Il difficile avvio Come già detto in precedenza, al mio arrivo alla Funzione Pubblica cercai di valorizzare la mia esperienza e le mie conoscenze nel campo della ricerca scientifica, promovendo la costituzione del Cevar e partecipando al Progetto finalizzato CNR Trasporti. In relazione a questa attività continuavo ad avere molti rapporti con il mondo della ricerca e con le strutture di massimo livello del CNR. Come avevo fatto passando dal Ministero dei Trasporti a quello della Ricerca Scientifica (con l’avvio delle iniziative che poi avrebbero portato al progetto CNR Trasporti) così cercai di fare nel passaggio alla Funzione Pubblica. Sulla base dell’esperienza fatta, iniziai ad interessarmi alla “promozione” di un progetto sulla Pubblica Amministrazione. Le mie relazioni nell’alta dirigenza del CNR mi consentirono subito di conoscere il prof. Giovanni Pugliese, Presidente del Comitato Giuridico del CNR, peraltro molto vicino al PSI. Sin dai primi contatti, ebbi subito la conferma di quanto avevo già constatato in precedenza: il modesto peso che avevano nel CNR i Comitati di consulenza non medici e tecnologici. Pugliese mi aveva informato che il suo Comitato aveva preso qualche iniziativa al riguardo, ma senza esito. D’altra parte, in seno allo stesso Comitato giuridico, il peso degli ammministrativisti era modesto (Pugliese era docente di diritto canonico). Ma successivamente ebbi anche la conferma che i Sandulli, i Guarino, i Nigro (cito i potenti amministrativisti di quel periodo) non erano molto interessati a che il loro settore fosse coinvolto nelle diatribe conseguenti alla ripartizione dei fondi del progetto. E Giannini era addirittura contrario (come ho già avuto modo di dire in precedenza). I tentativi informali a che il CNR avviasse uno studio di fattibilità non ebbero esito. Nel corso di un incontro promosso da Pugliese, il presidente Quagliariello mi suggerì di fargli scrivere una lettera da Giannini per evidenziare la necessità che il CNR contribuisse con un apposito progetto finalizzato all’avvio della riforma che il “rapporto Giannini” prevedeva.

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E così nel mese di giugno del 1980, come gia detto in precedenza, venne inviata la lettera al CNR con la quale il Ministro Giannini sollecitava l’avvio delle procedure per il progetto finalizzato sul funzionamento della Pubblica Amministrazione. Ma, poco dopo, il secondo governo Cossiga andava in crisi e nel successivo governo Forlani (20 ottobre 1980- 28 giugno 1981) Giannini non venne confermato per il mancato sostegno del nuovo PSI, che non gli aveva perdonato i contrasti con Formica. La lettera di Giannini non ebbe nessun effetto. Allora era abbastanza consueto mettere in sosta le “raccomandazioni” dei Ministri quando si preannunciava una crisi. Se ne aspettava la conferma. Altrimenti (a meno che non si trattasse di un Andreotti) si archiviava il tutto. Nell’autunno del 1981, l’incarico di Ministro per la Ricerca Scientifica fu affidato a Giancarlo Tesini che si portò, come segretario, il Prof. Filippo Castellano già segretario di Pedini. Mi fu facile quindi, su sollecitazione di Pugliese, ottenere da Tesini una lettera simile a quella scritta da Giannini e finalmente Quaglieriello, con provvedimento n. 7259 del 26 febbraio 1982, costituì la commissione di fattibilità del progetto finalizzato CNR “Organizzazione e funzionalità della Pubblica Amministrazione”. 3.1.3.8.4. 2. – Il progetto di fattibilità A far parte della commissione vennero chiamati i tre membri del Comitato Nazionale Scienze Giuridiche e Politiche (i proff. Leoluca Orlando, Vincenzo Casolino e Francesco Ciro Rampolla) e, salvo qualche eccezione, il meglio della cultura amministrativistico-economica di quel periodo:

Università : Prof. Alberto Basettoni Arleri, Marco Camelli, Eugenio Cannada Bartoli, Michele Costantino, Bruno Dente, Innocenzo Gasperini, Massimo Severo Giannini, Aldo Loiodice, Vittorio Ottaviano, Antonio Pedone, Umberto Potoschnig, Aldo Sandulli, Umberto Scarpelli, Domenico Sorace. Scuola Superiore della P.A.: Sabino Cassese. Consiglio di Stato: Andrea Manzella, Franco Piga. Corte dei Conti: Onorato Sepe. Nomisma : Romano Prodi.

Avevo avuto qualche promessa sia da Quagliariello sia da Pugliese. Ma rimasi comunque molto sorpreso quando mi vidi inserito in tale elenco. Non ritenevo, giustamente, di avere competenze amministrativistiche; avevo scritto sì un libro di illustrazione e commento dello stato giuridico delle Ferrovie dello Stato, ma non potevo ritenermi esperto di chiara fama, requisito necessario per far parte di Consigli scientifici del CNR senza essere accademici. La spiegazione me la daranno poi sia Quagliariello sia Pugliese, con diverse motivazioni, ma soprattutto per l’impegno da me profuso nel fare il progetto ed anche per un riconoscimento per la mia precedente attività in MRST e, in quel periodo, nel Cevar. E, poichè sarei stato l’unico dottore, fra tanti professori e consiglieri di Stato, il buon Quagliariello eliminò il problema facendomi diventare... prof.. I primi mesi di lavoro della commissione, presieduta da Sandulli, furono per me non solo una full-immersion nelle tematiche che mano a mano si affrontavano, ma anche una fortunata occasione di conoscenze di personaggi con molto potere nella prima repubblica.

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Debbo dare atto che i “colleghi “ della commissione fecero tutto il possibile per non sottolineare la mia estraneità al loro mondo. Ma questo non impediva loro di “privilegiare“ gli aspetti puramente giuridico-amministrativistici. E gli economisti presenti (Basettoni Arleri, Gasperini, Pedone e Prodi) erano prevalentemente non aziendalisti. Quindi mi trovai isolato nel far inserire le tematiche “organizzative-aziendalistiche” del rapporto Giannini. Ed in questo ebbi dei vivaci e spesso solitari contrasti. Pur essendo stato nominato a titolo personale, venni inserito come rappresentante dell’ufficio del Ministro per la Funzione Pubblica. Forse il Presidente non se l’era sentita di metter la mia abitazione come recapito. La situazione venne sanata con la richiesta da parte del Ministero della Funzione Pubblica (di cui in quel momento era Capo di Gabinetto Petriccione, membro della commissione) di nominare Gabriele Aurisicchio. E così la Funzione Pubblica ebbe due membri che facevano riferimento alla Funzione Pubblica, uno che parlava in nome del Ministero ed uno che parlava invece “a suo nome”. Ma lo feci per poco. Il Cevar era diventato un centro politico culturale di eccellenza ed io ne ero totalmente coinvolto. Inoltre ero anche molto impegnato come tecnico nelle commissioni cultura e ricerca della direzione del PSI. 3.1.3.8.4 3. – Il periodo attuativo Dopo più di tre anni dalla costituzione della commissione di fattibilità, con provvedimento n. 9207 dell’ottobre 1985, il presidente del CNR diede il via al progetto.

In quello stesso periodo iniziava anche il progetto FEPA. Non avendo più partecipato ai lentissimi lavori della commissione di fattibilità, fui sorpreso quando Aurisicchio mi fece vedere copia del provvedimento con la composizione del Consiglio Scientifico nel quale, in rappresentanza del Ministero vi erano il capo di gabinetto Quaranta e due Dirigenti generali, ma nessuno di noi due. Non me la presi più di tanto per l’esclusione, invece cominciai a preoccuparmi per gli eventuali contrasti che potevano verificarsi fra i due progetti. Qualche giorno dopo, in occasione di un incontro in ambito Cevar, il prof. Aldo Brancati, che conoscevo dai tempi del gabinetto Antoniozzi, mi parlò di tale costituzione. Quando gli dissi della mia esclusione dal Consiglio Scientifico, non voleva crederci, tanto gli sembrava ovvia la mia presenza (era a conoscenza di tutto il mio impegno per far partire la commissione di fattibilità). Il 28 novembre, a poco più di un mese di distanza dalla costituzione del progetto, il Presidente del CNR (Luigi Rossi Bernardi) emanò un apposito provvedimento (n. 9259) con il quale disponeva la mia integrazione nel Consiglio Scientifico. E questa volta venni inserito in una maniera molto anomala: Valentini dr. Emidio- Via Forlì…. Roma (indirizzo di casa); per tutti gli altri i recapiti erano sedi universitarie o prestigiosi centri di ricerca; un inserimento “veramente” a titolo personale. Il Consiglio Scientifico veniva convocato poco (un paio di volte all’anno). Il progetto nella fase di avvio fu diretto dal prof. Guarino, ma già si notava il ruolo preminente di Sabino Cassese (direttore di uno dei sottoprogetti) che, dopo poco tempo, ne divenne il direttore.

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Fino a tutta la durata del progetto FEPA partecipai solo qualche volta al Consiglio Scientifico. La mia partecipazione diventò più attiva quando, concluso il progetto FEPA, potei dedicare maggior tempo al progetto, collaborando con il prof. Cassese nella verifica di quelle attività di ricerca coerenti con la mia esperienza e professionalità. Il progetto si caratterizzò per la pubblicazione organica dei migliori risultati delle ricerche fatte. Alle centinaia di prototipi sperimentali del FEPA si unirono quindi tutte le pubblicazione del progetto “Cassese”. E così la fine della prima repubblica venne caratterizzata, per la Pubblica Amministrazione, da questi due progetti che costituivano una specie di oasi nel tormentato periodo di pre-tangentopoli. 3.1.3.8.5. - Rientro nelle ferrovie dello Stato (da agosto 1990 ad agosto 1991)

Al mio rientro nelle FS (luglio 1990) trovai come Direttore Generale il dott. Giovanni De Chiara che io conoscevo molto bene sin da quando eravamo un po’ i “giovani turchi “ della Direzione Generale. Mi facilitò il rientro dandomi l’incarico “ad hoc”, di responsabile degli studi per l’organizzazione del lavoro nell’ambito del Dipartimento di Produzione (personale di stazione, viaggiante, di macchina, dei tronchi di linea, degli uffici di riparazione, degli uffici compartimentali e centrali). E questo riconoscimento era frutto non solo del fatto che ancora venivano utilizzate le mie pubblicazioni al riguardo, ma anche per l’esperienza acquisita nel progetto FEPA. Ebbi inizialmente carta bianca e la collaborazione di tutta la dirigenza del Dipartimento.

I primi mesi furono per me veramente belli. Ero come l’emigrante che tornava non per godersi la pensione, ma per dare un contributo di innovazione al paese di origine. E cosi le prime applicazione dirette e concrete del FEPA cominciai a farle proprio in alcune strutture delle Ferrovie, utilizzando anche i migliori fepini. Ma la turbolenza organizzativa che caratterizzava in quel periodo la gestione della azienda non consentiva il passaggio dalla sperimentazione all’attuazione. L’organizzazione del lavoro veniva cambiata frequentemente non solo in conseguenza dei massicci ed incentivati pensionamenti anticipati, ma anche per le frequenti modifiche organizzative ai vertici aziendali. Approfittando di una di queste modifiche, giustificai il mio pensionamento anticipato per non aver dato il mio consenso alle nuove funzioni attribuitemi. A partire dal primo agosto divenni “pensionato”, ma già avevo un mio ufficio a Piazza Istria, come Presidente dell’Asfepa. L’Asfepa andò in crisi ( vedere relativo capitolo) e così fui motivato a costituire la Newman srl , con l’obiettivo di continuare nel privato, l’attività innovativa avviata nel Fepa. Cominciava anche per me la seconda repubblica. Fra qualche anno, scriverò il prosieguo di questo libro, con il titolo “fatti e personaggi della seconda repubblica- Ricordi di un un piccolo imprenditore… e non solo”.

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3.2. - Nella Politica - Direzione nazionale PSI (1973/1987) 3.2.1. - Premessa

Dopo una iniziale militanza nel PCI irpino, nel periodo 1951-1953, con attivo coinvolgimento in occasione delle elezioni del 18 aprile 1953 (tenutesi con la cosiddetta “legge truffa”), nel 1956 a seguito dei noti fatti d’Ungheria, non rinnovai più la tessera.

E per molti anni non militai in nessun partito, pur manifestando sempre opinioni di sinistra.

In quegli anni mi impegnai molto nel mio lavoro di ferroviere, nel conseguire la laurea, nel vincere il concorso da Ispettore, nella pubblicazione di alcuni libri.

Mi interessavo delle vicende politiche, ma senza alcuna partecipazione. Agli inizi degli anni ‘70 (se non ricordo male era l’autunno del 1971) il mio

figlio più grande, che frequentava il Giulio Cesare, ritornò a casa mal ridotto da uno scontro con il gruppo di fascisti che quotidianamente bivaccavano nelle vicinanze della scuola.

Credo che già stessi maturando un mio ritorno alla politica. Il giorno dopo andai alla sezione Macao di Via Alessandria e mi iscrissi al NAS (Nuclei Aziendali Socialisti) Trasporti.

Per la mia partecipazione alle iniziative sindacali ero abbastanza noto fra i socialisti dello SFI-CGIL e quindi il mio inserimento nella vita del NAS fu abbastanza facile.

Aderii subito alla corrente di De Martino, maggioritaria in seno al NAS. Per qualche tempo feci anche parte del consiglio direttivo.

Ma, pur essendo iscritto alla sezione Macao di Porta Pia, preferivo frequentare la sezione Portonaccio di via Durantini sulla Tiburtina. Nella sezione Macao, politicamente significativa ed importante (con qualche centinaia di iscritti), prevalevano le problematiche di origine sindacale ed i pettegolezzi di lavoro e di carriera. Ne conseguiva che, oltre a divederci in correnti, ci si raggruppava anche per la rispettiva collocazione nei sindacati. Notevolmente più forte era la componente SFI-CGIL, meno quella del SIUF-UIL, quasi trascurabile quella del SAUFI-CISL. Invece nella sezione Portonaccio vivevo la realtà del quartiere. Ricordo con molta nostalgia quel periodo. Gli artigiani, gli operai ed anche gli impiegati che la frequentavano erano un poco litigiosi e confusionari, ma ricchi di umanità, di solidarietà e di affetto. Quasi tutte le sere passavo a fare quattro chiacchiere nella sezione e magari una partita a scopone. E, nelle occasioni elettorali, ci davamo da fare per l’affissione dei manifesti. Debbo alla partecipazione all’attività della sezione Macao il mio avvio nella lunga navigazione di tecnico politico (come ho detto ampiamente nel primo capitolo di questo libro). Quando furono soppressi i NAS (ma io allora ero già nel Gabinetto della Ricerca Scientifica) passai anche formalmente alla sezione Portonaccio. Continuai a frequentarla fino al 1987 quando, non riconoscendomi più nella gestione centralizzata ed affaristica della dirigenza sia nazionale sia locale, non rinnovai la tessera. La mia partecipazione all’attività delle Sezioni di lavoro di via del Corso fu sempre abbastanza marginale, ad eccezione di quando ebbi la responsabilità diretta del

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Gruppo Occupazione Giovanile nell’ambito della Sezione sociale presieduta da Agostino Marianetti. Ma avevo ottimi e frequenti rapporti con i responsabili delle Sezioni di cui facevo parte. E questo rendeva non necessaria la mia presenza nelle, peraltro non frequenti, riunioni. Nell’arco di poco più di un decennio ho fatto parte di ben quattro distinte Sezioni della Direzione nazionale del PSI. Probabilmente è un record. Da che è dipeso? Ancora non me lo sono spiegato del tutto. 3.2.2. - Sezione Trasporti (1974/1977) – (responsabile on. Antonio Caldoro – il bravo socialista napoletano )

Con il mio incarico a Capo della segreteria di Masciadri venni subito cooptato nella Sezione trasporti, in posizione di rilievo. Ma in quel breve periodo, l’attività della quasi totalità dei componenti la Commissione era impegnata con me nella messa a punto degli “orientamenti per una nuova politica dei trasporti”. Anche nel periodo successivo della Ricerca Scientifica frequentai poco l’attività della Sezione, anche perché impegnato nella messa a punto del “libro bianco” sulla ricerca nei trasporti di cui ho già detto in precedenza. A partire da quando i socialisti si insediarono stabilmente nel Ministero dei Trasporti, la Sezione diventò un sostanziale guscio vuoto. Ed io smisi anche formalmente di farne parte. A parte queste considerazioni personali, le idee e le iniziative nella politica dei trasporti non erano molte. Però, e questo era un suo merito, Caldoro era abbastanza presente nel tutelare le posizioni dei socialisti nelle istituzioni e nel sindacato. . 3.2.3. - Sezione Ricerca scientifica (1975/1987) - (responsabile on. Enzo Bartocci – il professore introverso) Molto più significativa ed estesa nel tempo fu la mia partecipazione all’attività della sezione Ricerca Scientifica, guidata peraltro molto bene da Enzo Bartocci. Era spesso la stanza di compensazione in cui si risolvevano i frequenti conflitti fra i tanti compagni impegnati nei vari enti di ricerca. Era comunque molto più affollata e qualitativamente significativa rispetto a quella dei trasporti. Non si può dire che la Sezione avesse una visuale strategica del come operare nel mondo della ricerca, però seguiva con attenzione le vicende del settore. Nel periodo a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80, era molto forte la presenza socialista nel mondo della ricerca. Contrariamente a quella dei trasporti, in cui si sentiva l’egemonia culturale e organizzativa della “omologa” comunista, la sezione aveva una sua autorevolezza, non solo per la tradizionale forte presenza di socialisti nel mondo della ricerca, ma anche per la robustezza culturale ed etica di molti di quelli che allora ne facevano parte. A questo patrimonio di professionalità e valori ho fatto spesso ricorso sia quando ero nel Gabinetto del Ministero sia, e soprattutto, nell’attività del Cevar.

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Era merito di Bartocci tenere insieme le forti e robuste personalità che, sia pure in modo non costante, facevano riferimento alla sezione. Nel periodo iniziale, ho avuto la fortuna di avere come principale interlocutore il prof. Giunio Luzzatto di cui dirò più in dettaglio nella parte “personaggi”. Era allora il Vice responsabile della sezione. L’ho avuto sempre vicino quando, soprattutto da Capo di Gabinetto, avevo bisogno sia di consigli sulle vicende e faccende del mondo della ricerca sia, ed in modo particolare, sul chi “fidarmi” nella scelta dei collaboratori. Una caratteristica della Sezione ricerca di quel periodo era la sua esigenza di fare cultura; le discussioni avevano anche motivazioni di ”gestione di potere”, ma soprattutto vertevano sulle scelte di politica della ricerca. In quel periodo si percepiva nettamente che l’intellighencia socialista (come capo fila di quella più vasta dell’aria laica) aveva una forte presa culturale fra gli operatori della ricerca. 3.2.4. – Sezione Cultura (1982/1987) - (responsabile prof. Giuseppe Tamburano - il colto nenniano) Con l’inizio dell’attività del Cevar cominciai a far parte anche della Sezione cultura. La mia partecipazione istituzionale fu sempre molto blanda. Invece fu per me ricca di fermenti per i conseguenti costanti rapporti con Tamburano e con alcuni dei personaggi che gli stavano vicini in quel periodo ed in particolare Roman Vlad e Giorgio Gullini. Non aveva vita facile Tamburano, anche perché al di sopra vi era Martelli cui Craxi aveva delegato i rapporti con il mondo della cultura. Pur con limitata autonomia, ma forte della sua preparazione di storico e di erede culturale di Nenni, riusciva molto bene a garantire una significativa presenza socialista nei convegni e soprattutto nei circoli e nei club più o meno esclusivi che caratterizzavano quegli anni di transizione. Mentre nella Sezione ricerca non si sentiva molto la presenza del PCI, in quella della cultura si viveva l’atmosfera dei “cugini poveri” che cercavano di apparire ricchi. Un’evidenza quantitativa la potei constatare nell’adesione al Cevar in cui la presenza del mondo della cultura era praticamente inesistente. Per dare visibilità a quei pochi che non frequentavano via delle Botteghe Oscure, in ambito Cevar venne promossa la costituzione del Club Roma ’90. Come membro della Sezione cultura partecipai al congresso di Rimini del 1983 che vide il successo di Craxi.

3.2.5. - Sezione affari sociali –come membro coordinatore “gruppo occupazione giovanile“ (1984/1985) - responsabile on. Agostino Marianetti (la CGIL socialista) Agostino Marianetti, poco dopo aver ottenuto l’incarico di responsabile nazionale della sezione Affari Sociali, sollecitò la mia collaborazione per la costituzione di un gruppo di lavoro permanente sulle problematiche dell’occupazione giovanile, dicendomi anche che Martelli (da cui dipendeva la sua Sezione) sosteneva l’iniziativa. Non potevo non accettare, pur sapendo che le responsabilità questa volta non erano episodiche come quelle che avevo avuto e avevo ancora nelle altre Sezioni.

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E così mi trovai ad essere inserito formalmente nella struttura di via del Corso, con un mio posto di lavoro e con un mio recapito nella Segreteria della Sezione. Riuscii in breve tempo ad organizzare il gruppo, facendo non solo ricorso alle mie relazioni personali in ambito Cevar, ma anche a quei tecnici politici con incarichi “in conto socialista”. Ed anche in un tempo ridotto riuscii a portare a termine la messa a punto di un documento propositivo sulla “politica socialista in materia di occupazione giovanile”. La documentazione di base mi venne fornita dall’ISRI di Nicola Cacace che conoscevo dai tempi della Ricerca Scientifica, giuridicamente arricchita dalla documentazione che avevo a Palazzo Vidoni. Un forte e stimolante contributo mi venne dato dalla coppia Gabriele Cagliari-Vito Gamberale. Ma mentre i ricordi di Gamberale sono sfocati, quelli di Cagliari sono ancora forti, non solo per la sua tragica fine, ma anche per una lunga conversazione che ebbi nella fase conclusiva del lavoro del gruppo. Ma di Cagliari e dei contenuti di questo incontro dirò nella parte “personaggi”. Dopo aver pubblicizzato su due pagine dell’ ”Avanti” della Domenica (quello più diffuso e letto) la sintesi del documento e dopo averne avuto l’approvazione da parte di Marianetti e di Martelli, il tutto (allegati compresi) fu inviato a De Michelis, allora Ministro del Lavoro. De Michelis, a quanto mi disse poi Marianetti, lo affidò al suo staff di consulenti per un approfondimento “istituzionale”. Non ne seppi più nulla, nè me ne interessai più di tanto: ero totalmente preso dal progetto FEPA.

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3.3 - Nel sociale 3.3.1. Premessa Ogni tanto mi viene il fondato dubbio di aver disperso le mie tante energie in molte iniziative. Probabilmente avrei dovuto concentrarmi e saper aspettare. Ma tant’è. D’altra parte non avrei avuto gli arricchimenti culturali ed il variegato patrimonio di esperienza che ora cerco di raccontare. La mia attività nel sociale costituiva quasi sempre la proiezione nella società delle esperienze che facevo nel campo professionale e viceversa. Vi era sempre una sinergia fra l’istituzionale, il politico ed il sociale. Credo che la spinta più forte al mio impegno in attività esterne alla professione sia dipesa soprattutto dal bisogno di superare i limiti che tale lavoro comportava. Questa esigenza esistenziale si era manifestata sin da ragazzo. E nel mio piccolo paese di montagna, nell’ambiente dei notabili locali venivo definito “tribuno del popolo” proprio per questo mio interesse nell’intervenire “culturalmente” nei problemi “pubblici” dei miei compaesani. Questo impegno mi distraeva molto dai miei studi “in economia” come ora definisco il mio autodidattismo, tanto da non riuscire a trovare una sistemazione lavorativa stabile (che allora si conseguiva solo per concorsi pubblici). E così, al termine di una sofferta crisi di pigrizia mentale, decisi di abbandonare qualsiasi attività che non fosse finalizzata alla mia sistemazione ed al completamento dei miei studi con il conseguimento della laurea. Nei molti anni che vanno dal 1953 al 1972 mi sono del tutto estraniato dal politico e dal sociale, per dedicarmi, quasi esclusivamente ai miei studi, alla mia carriera e alla mia famiglia. Sono gli anni del mio consolidamento professionale e culturale. Forse spinto da quanto accadeva in quegli anni e soprattutto dal clima di tensione che vivevo indirettamente attraverso i miei figli (entrambi attivi politicamente al Giulio Cesare), riemerse la mia passione per l’impegno politico e sociale. La mia lunga parentesi di solo studio famiglia e lavoro si chiuse con un avvenimento datato, la mia iscrizione al Psi nella sezione Macao di Via Alessandria di cui ho fatto cenno nel precedente capitolo. 3.3.2. - SFI-CGIL - Sindacato Ferrovieri Italiani CGIL Frequentando la sezione Macao cominciai ad essere stimolato dai “compagni” ad un mio impegno diretto nel sindacato, sia per una maggiore e più significativa presenza dello SFI-CGIL nei quadri medio-alti del personale della Direzione Generale sia per accentuare il ruolo dei socialisti in questa presenza. Avevo una lunga anzianità di iscrizione al sindacato (sin dal 1954) ed avevo l’esperienza giovanile di “tribuno del popolo” rafforzata tecnicamente dalla tipologia del mio lavoro. Nel giro di pochi mesi la sezione SFI/CGIL, da me promossa nell’ambito del Servizio Movimento, si fece attiva e numerosa, diventando la struttura di punta del sindacato della Direzione Generale. E cosi partecipai al congresso nazionale del 1972.

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Attribuii questa rapida carriera sindacale alla mia attività di rafforzamento dello SFI/CGIL e, al suo interno, quello della componente socialista. In seguito ho avuto modo di sapere che, certamente questa mia attività aveva contribuito a tale “elezione”, ma che la motivazione di fondo era quella di evitare tensioni con il sindacato di categoria “Sindifer” che raccoglieva la stragrande maggioranza degli ispettori che costituivano la dirigenza delle FS (si andava dall’ispettore semplice all’ispettore generale). Ed in quel periodo, nell’ambito dello SFI CGIL, prevaleva l’indirizzo politico del PCI teso a privilegiare e a sostenere proprio questo sindacato autonomo. In tal modo si gestiva meglio la base proletaria del sindacato, senza commistione con la classe dirigente. Era la versione sindacale del compromesso storico. La mia attività di proselitismo nell’ambito degli ispettori e di potenziamento della visibilità dei pochi iscritti al PSI (qualche decina in tutte le FS, però professionalmente e culturalmente vivaci), costituiva oggetto di preoccupazione e lamentele da parte della dirigenza del Sindifer (costituita peraltro da colleghi ed amici). Questa mia nomina mi mise in evidenza anche politicamente, ma risultai sostanzialmente emarginato dall’attività vera del sindacato. Passai i due anni di mio coinvolgimento nelle strutture dirigenziali del sindacato a mediare, fra gli ispettori iscritti ai sindacati unitari e quelli del Sindifer, sui fermenti organizzativi che già lasciavano prevedere le successive ondate di riforme che avrebbero interessato le FS. Con il gruppo di “giovani turchi” del Sindifer e degli altri dei sindacati unitari mi trovai coinvolto in quella che considero gli inizi della pansindacalizzazione delle FS. Cominciava l’epoca della nomina “politico-sindacale” dei Direttori generali. Ed il Consiglio di amministrazione diventava sempre più la cassa di risonanza del sindacato. Erano gli anni bui del terrorismo ed il sindacalismo si attrezzava a deideologicizzarsi. Erano ancora lontani gli anni della caduta del muro di Berlino ed ancora non si intravedeva lo “Stato dei partiti”. Sarei tentato di dettagliare i ricordi di quel mio periodo di forte presenza nel sindacato. Ma l’economia del libro ne sarebbe alterata. Questa mia esperienza ebbe termine con l’assunzione dell’incarico di Vice Capo di Gabinetto del Ministero della Ricerca Scientifica. Pensavo di rientrare presto nelle FS e di continuare nella mia duplice attività professionale e sindacale di ferroviere. Ma mi sbagliavo.

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3.3.3. - UDDA - Unione democratica dirigenti di azienda Al mio arrivo al Ministero della Ricerca Scientifica, conobbi il dott. Sergio Livolsi, un funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici, distaccato presso il Gabinetto di Pieraccini. Mi fece subito incontrare Leo Solari, personaggio molto noto nel gotha dell’intellettualità che si era formata intorno a Giolitti nei primi anni del centro sinistra. Leo mi propose di accettare l’incarico di Vice Presidente dell’UDDA (Unione Democratica Dirigenti d’Azienda) da lui costituita con l’appoggio di tutti i manager di alto livello impegnati nelle aziende a partecipazione statale. L’Udda ebbe un momento di notorietà con tutta una serie di iniziative culturali aggregative sul finire degli anni ‘60 e soprattutto con la pubblicazione del libro (Franco Angeli 1970) “I dirigenti di fronte alla nuova società”. Per potermi aggiornare su questo capitolo ho riletto il libro. Ne consiglio la lettura. Si ha uno spaccato eccezionale del clima di entusiasmo, di illuminismo e della voglia di ammodernamento della società che caratterizzava l’Italia del dopo-miracolo economico. Il libro contiene le relazioni di un convegno con: relazioni di Leo Solari, Giuseppe Petrilli, Giovanni Agnelli, Giorgio Ruffolo, Giuseppe Togni, interventi,fra gli altri, di Giuseppe De Rita, Nino Novacco, Giovanni Naschi, Aristide Gonnella, Mario Einaudi, Franco Bernstein, Virgilio Dagnino, Giuseppe Glisenti, Giuseppe Nuraghi, Gino Martinoli, Nerio Nesi; conclusioni di Giuseppe Guarino. Comunque mi sentii lusingato di poter operare in quel filone culturale in cui peraltro mi ero sempre riconosciuto. La cosa divenne ancora più lusinghiera per la sede dell’Udda: un salone prestigioso di Palazzo Ruspoli in via Fontanelle Borghese, per me molto comodo data la vicinanza a Palazzo della Minerva. Questa sede venne utilizzata da me anche per gli inizi dell’attività del Cevar. Il mio ruolo nella Ricerca Scientifica e l’Udda facilitarono quel coagulo di dirigenti ed intellettuali dell’aria laica e socialista che poi avrebbero collaborato con me nella successiva attività del Cevar. In questo non solo avevo l’appoggio pieno di Solari, ma anche l’affettuosa collaborazione di Sergio Livolsi. Non fui molto impegnato come responsabile della dirigenza pubblica dell’UDDA, che ormai aveva esaurito la sua funzione di aggregazione e vetrina dei manager intellettuali del primo centro sinistra. Era già cominciata la diaspora dei “Giolitti boys”, allevati nella colta progettualità dei Ministeri del Bilancio e delle Partecipazioni Statali. Invece ebbi la fortuna di accompagnare spesso Leo negli incontri della Roma salottiera ed intellettuale che aveva come punto di riferimento la coppia Loris Fortuna e Beatrice Rangoni Macchiavelli. Nell’attività di aggregazione dei dirigenti pubblici dell’area laico-socialista ebbi molta collaborazione da parte di Stefano Petilli (sociologo dell’Università di Roma) e di Sergio Castellari, già da allora dirigente “ascoltato” del Ministero del Bilancio.

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3.3.4. - Cevar- Centro per la Promozione e Valorizzazione della Ricerca (1980/1990) 3.3.4.1. - Premessa Ho fatto spesso riferimento al CEVAR ed al suo ruolo nella mia attività negli anni ‘80.

Ho riletto tutta la documentazione, ben conservata anche se in maniera confusa. Sono rimasto sorpreso dalla mole quali-quantitativa della sua attività e del suo

ruolo nella cultura politica di quel periodo. Credo che il CEVAR meriti una pubblicazione a parte, come quella fatta per il FEPA. Anticipo che considero questa holding politico-culturale a livello nazionale, come l’occasione più importante ai fini della mia conoscenza e valutazione dei fatti e dei personaggi della prima repubblica alle soglie di tangentopoli. In questo libro ne sintetizzo gli obiettivi, il ruolo, le attività. Pochi giorni dopo il mio inaspettato licenziamento dal ministero della Ricerca Scientifica, avviai gli incontri per un’iniziativa che consentisse l’aggregazione di tutti gli operatori della ricerca che facevano riferimento alla cosiddetta area laica e socialista. Emerse subito che, per avere forza, l’iniziativa doveva avere l’appoggio dei quattro partiti che la rappresentavano politicamente: PSI, PSDI, PRI, PLI. Sapevo che non era facile. Ma dovevo provarci. Ricordo con una certa nostalgia gli incontri preliminari al ristorante “Il toscano” di via Ancona. Il gruppo promotore era costituito da Alessandro Barlaam (direttore dei servizi scientifici del CNR) per il PRI, da Camillo Dejak (docente dell’Università di Venezia) per il PLI, da Corrado Corvi (dirigente Enel) per il PSDI e da me, coadiuvato da Mario Rinaldi, docente dell’Università di Bologna, per il PSI. Tutti eravamo molto attivi nelle rispettive sezioni ricerca delle direzioni nazionali. I mesi di novembre 1979 - marzo1980 furono impegnati negli incontri che ognuno di noi aveva nei rispettivi partiti per chiarire gli obiettivi e il rilievo istituzionale dell’iniziativa. Però, mentre per gli altri risultò abbastanza facile avere l’assenso politico, per me non solo non fu facile, ma si rese necessario inizialmente forzare la mano. Pur essendo stato per diversi anni un punto di riferimento stabile per i componenti la Sezione ricerca scientifica, proprio in quell’ambito trovai i maggiori ostacoli. La per là rimasi sorpreso e deluso. Ma poi, dagli stessi personaggi che mi avevano ostacolato e che entrarono in seguito tutti a far parte attivamente del CEVAR, seppi che le difficoltà dipendevano soprattutto da preoccupazioni per le possibili negative ripercussioni fra i compagni del PCI. Probabilmente però la causa principale era la non ritenuta opportunità di affidare ad un non accademico e non ricercatore il ruolo di principale rappresentante del partito in un’associazione di cui già si intravedeva il successo politico-culturale. Nonostante le mie insistenze, non mi fu possibile avere nel CDA qualche membro autorevole della Sezione ricerca. E così, a parte Mario Rinaldi (con il quale vi

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era un forte e collaudato feeling politico-culturale, rimasto peraltro intatto fino ad oggi), la scelta cadde sulle mie conoscenze ed amicizie del periodo della Ricerca Scientifica e dell’UDDA. Ma questa caratteristica iniziale della componente socialista fu poi uno dei fattori di successo dell’iniziativa. Chiudo questa premessa trascrivendo integralmente due lettere che inviai subito dopo la costituzione del CEVAR a Lelio Lagorio e a Gennaro Acquaviva che sintetizzano molto bene le difficoltà politiche iniziali di avvio del CEVAR ed il ruolo che si accingeva a svolgere. “ Caro Lagorio, innanzitutto ti porgo le mie più vive felicitazioni e congratulazioni per la tua nomina a Ministro della Difesa e ti auguro di poter svolgere con soddisfazione e successo un buon lavoro quale ministro socialista di un dicastero così importante e delicato. Sono, d’altra parte, contento di farti sapere che venerdì scorso, 11 aprile ‘80, presso il notaio Sanna di Roma, si è costituito ufficialmente il “Centro per la promozione e valorizzazione della ricerca” per il quale debbo a te e all’amico Fiaschi lo stimolo e tutti quegli utili consigli che hanno consentito di portare a positiva conclusione la non facile iniziativa. A tale proposito ritengo opportuno informarti che da parte dei soliti compagni della sinistra sono state fatte notevoli pressioni nei confronti dei repubblicani affinchè questi non si associassero all’iniziativa dell’area autonomista del partito. E’ da presumere che anche nel prossimo futuro qualche tentativo di disturbo sarà messo in atto, in quanto la nostra iniziativa può incidere notevolmente nell’ambiente scientifico dell’area laico-socialista del Paese. Nella stessa giornata di venerdì il consiglio di amministrazione (13 membri, di cui 7 socialisti, 2 repubblicani, 2 liberali e 2 socialdemocratici) ha nominato Presidente il dott. Barlaam (repubblicano), Vicepresidenti il prof Dejak (liberale), l’ing. Corvi (socialdemocratico), me Segretario generale e Fiaschi uno dei tre revisori dei conti. In allegato ti rimetto l’elenco completo del Consiglio di Amministrazione. La sede, come già sai, è quella dell’UDDA di Leo Solari al quale ti prego di inviare, se lo ritieni opportuno, un breve cenno di apprezzamento per l’ospitalità concessa al Centro. Con riserva di informarti dei successivi sviluppi, ti pregherei altresì, quando ti sarà possibile, di fissare un breve incontro con i consiglieri socialisti del centro. Per conoscere le tue determinazioni al riguardo mi metterò in contatto telefonico con Fiaschi. In data odierna ho provveduto ad informare della costituzione del Centro il compagno Craxi, i compagni Barbolini e Benadusi, nonché il compagno Balzamo, quale nuovo Ministro della Ricerca, che dovrei vedere nel corso di questa settimana per offrirgli la mia personale collaborazione e quella del Centro. Ti invio cari saluti … Roma. 14 aprile 1980”

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“ Caro Acquaviva Ti prego di informare il compagno Craxi, a nome dei compagni Faranda, Rinaldi, Lombardi e mio, che venerdì 11 aprile si è costituito il “Centro per la promozione e valorizzazione della ricerca” di cui in allegato rimetto sintetica nota esplicativa. Trattasi di un Centro su base associativa, i cui promotori fanno parte dell’area laico-socialista, aperto a tutti gli studiosi e ricercatori che ne desiderino far parte. Ci tengo ad assicurare, anche a nome degli altri compagni, che la costituzione di tale Centro non è e non vuole essere una iniziativa che si ponga in parallelo o addirittura in antagonismo all’attività istituzionale delle sezioni o commissioni di lavoro del partito ed alle iniziative specificatamente politiche che il Partito dovesse intraprendere nel campo della ricerca. Gli scopi del centro di cui è previsto l’autofinanziamento sia mediante quote associative, sia mediante esecuzione di progetti di ricerca, sono quelli previsti dallo statuto e riportati nella nota allegata. Qualora tu lo ritenga opportuno, unitamente agli altri compagni e consiglieri di amministrazione, potrei incontrarti in direzione per darti ulteriori e più dettagliati ragguagli. Colgo l’occasione per inviare al compagno Craxi ed a te copia di un mio studio, fresco di stampa, riguardante la spesa per ricerca in Italia. In attesa di conoscere, anche telefonicamente, la data dell’eventuale incontro, invio fraterni saluti”. Roma 14 aprile 1980 Non ebbi nessuna risposta.

Ma venni informato che Craxi appoggiava sostanzialmente l’iniziativa e che, per facilitare l’avvio del Centro, era preferibile un non formale appoggio della direzione (come peraltro stava accadendo in ambito del partito repubblicano). Per fortuna il CEVAR contribuì invece ad accrescere il prestigio dell’area laica e socialista in tutti i campi della cultura politica ed allora vennero gli appoggi. Di questi appoggi ebbi autorevole conferma quando Craxi, poco prima di diventare Presidente del Consiglio, venne a congratularsi con me che avevo riunito, nella sala conferenze di via del Corso, i compagni socialisti del CEVAR. E vi erano, fatto inconsueto, molti in piedi. 3.3.4.2. - La costituzione, d’intesa con le sezioni di lavoro dei quattro partiti dell’area laica e socialista Come già anticipato nel capitolo precedente, il giorno 11 aprile 1980, veniva costituito il CEVAR di cui riporto la composizione iniziale del Consiglio di Amministrazione e del Consiglio Scientifico : Consiglio di Amministrazione : Presidente: Alessandro Barlaam ( PRI) Vice presidente: Corrado Corvi (PSDI) Vice presidente: Camillo Dejak (PLI Segretario Generale: Emidio Valentini (PSI) Consiglieri: Nunzio Amato (PSI) – Dirigente Ministero Bilancio - Segreteria CIPE

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Mauro Antonetti (PLI) –Ricercatore Enea - Segretario del PLI di Roma Fabio Busi (PRI) - Ricercatore CNR- Bologna Francesco Maria Faranda (PSI) - Docente Facoltà di Medicina - Università di Messina Giuseppina Illiano (PSI) - Funzionario Commissione Nazionale Unesco Salvatore Lombardo (PSI) – Docente Facoltà di Architettura Università di Roma Carlo Mastrantuono (PSDI) – Direttore Generale Ospedale S. Camillo Roma Mario Rinaldi (PSI) – Docente Facoltà di Ingegneria - Università di Bologna Sergio Stipa(PSI) – Docente Facoltà di Medicina – Università di Roma Consiglio Scientifico : Pier Giorgio Cavallo (PLI) - Rettore Università di Torino Giuseppe Biorci (PSI) - Docente Università di Genova e Vice Presidente CNR Carlo Ciliberto (PSI) – Vice Rettore Università di Napoli Giuseppe Cuomo (PSDI) - Rettore Università di Torino Sandro Petriccione – Docente Istituto Navale di Napoli (PRI) Antonio Rossi (PRI) – Rettore Università di Ferrara Livia Tonolli (ind.) - Direttrice Laboratorio Pallanza CNR Bruno Trezza (PRI) – Docente Università di Roma Giorgio Tecce (Ind.) – Docente Università di Roma Questo fu il gruppo di partenza del CEVAR, ma nel giro di un anno o poco più si ebbe l’adesione convinta e partecipativa della quasi totalità delle personalità scientifiche che facevano riferimento all’area laica e socialista. A testimonianza della forte motivazione a questa adesione riporto la lettera del prof. Gasperini, Rettore dell’Università Bocconi. “ Egr. Prof Emidio Valentini Segretario Generale CEVAR Via di Fontanella Borghese, 56 Roma

Ho ricevuto la sua lettera del 7 ottobre e desidero dirle che sono ben lieto di far parte del Consiglio scientifico del CEVAR. E’ una libera associazione che nel ciclo pur breve ha saputo collocarsi in posizione centrale con molta dignità ed autonomia nel dibattito su temi di grande civiltà e rilievo. Sarò pertanto lieto di partecipare all’attività e di dare tutto l’apporto che mi è possibile.

Ringrazio vivamente i colleghi componenti il Consiglio di Amministrazione per una designazione che sono lieto di accogliere, in attesa di incontrarla le porgo i più cordiali saluti. Con vivo pensiero, mi creda Innocenzo Gasperini”. Una caratteristica istituzionale del CEVAR era quella di operare con il massimo di celerità ed efficacia. Lo stesso termine di “Consiglio di Amministrazione” denotava anche formalmente le caratteristiche di una “impresa culturale”. In particolare veniva previsto una specie di amministratore delegato (il segretario generale) nel quale si concentravano tutti i poteri gestionali e di rappresentanza verso l’esterno. Riporto a questo proposito gli art. 13 e 14 e 15:

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“Art. 13 - Il presidente presiede sia l’assemblea dei soci sia il Consiglio di Amministrazione. In sua assenza tali funzioni vengono espletate da uno dei due Vice Presidenti. Art. 14 - Il segretario generale, membro del Consiglio di Amministrazione, rappresenta l’associazione di fronte a terzi ed in giudizio ed è responsabile dell’esecuzione delle deliberazioni del suddetto Consiglio, nonché dell’amministrazione ordinaria secondo il potere che il Consiglio gli attribuirà. Art. 15 -L’indirizzo scientifico dell’associazione spetta al Consiglio Scientifico composto da cultori delle diverse discipline”. Una tale ripartizione dei poteri all’interno del CEVAR trovava riscontro peraltro nel fatto che la maggioranza dei consiglieri di amministrazione facevano riferimento al PSI. Dopo pochi mesi di attività, a motivo di problemi interni al partito repubblicano, Barlaam si dimise da Presidente, proponendo Paolo Ungari come rappresentante ufficiale del PRI nel quadrilatero della struttura dirigente. Nel frattempo era emersa la fattiva ed equilibrata collaborazione di Dejak. Dopo aver avuto, ognuno nel proprio partito, il relativo consenso, il CDA approvò questa nuova struttura di vertice che rimase ferma per tutti gli anni di attività dell’associazione: Presidente: Camillo Dejak Vice presidente: Paolo Ungari Vice Presidente: Corrado Corvi Segretario generale: Emidio Valentini. Come conseguenza del maggior peso del PLI nel CDA, Umberto Colombo subentrò a Giorgio Cavallo nella Presidenza del Consiglio Scientifico. Questo cambiamento rafforzò molto il CEVAR e lo rese al suo interno molto solidale. Cominciò cosi il periodo “bello e motivante” degli anni 1981-1985 in cui le iniziative a tutto campo ebbero una forte influenza nel rafforzamento socio-culturale dei partiti dell’area laica e socialista e in una maggiore presenza dei valori laici nelle strutture istituzionali di quel periodo. Gli obiettivi politico-culturali del CEVAR erano i seguenti: promozionali di cultura: contribuire, senza settarismi, all’elaborazione, diffusione e pubblicizzazione della visuale laica e socialista della ricerca scientifica e della cultura in generale; promozionali di personalità: dare visibilità alle personalità dell’area laica e socialista; di supporto tecnico: partecipando all’attività delle sezioni di lavoro nazionali dei rispettivi partiti; di rete di collegamento fra le personalità del mondo della ricerca notoriamente di area laica e socialista; di contenimento di passaggio di personaggi dell’area laico e socialista scientifica verso quella del cosiddetto compromesso storico già iniziata in occasione delle elezioni del 20 giugno 1976. Là per là apparvero come obbiettivi troppo ambiziosi e forse utopici, ma i fatti successivi dimostrarono che erano obbiettivi che rispondevano ad una domanda che stava emergendo con forza nell’area laica e socialista degli inizi degli anni ’80.

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E, a parte qualche iniziale difficoltà, tutti gli obbiettivi furono raggiunti al di là di ogni ragionevole previsione. 3.3.4.3. - Le attività 3.3.4.3.1. - Premessa Per l’intero anno 1980 (da aprile a dicembre) vi fu solamente un’attività interna al CDA con ben dieci riunioni verbalizzate, ma con tanti incontri informali sia per superare le difficoltà di ordine politico che il CEVAR stava incontrando, sia anche per concordare le linee strategiche dell’associazione. L’assenza di qualsiasi attività esterna, unitamente a qualche problema nei rapporti interni al CDA, fece temere un non decollo dell’iniziativa.

Si stava commettendo un grosso errore di genere tipicamente cultural-intellettuale. Per il decollo del CEVAR non bastavano un CDA di tecnici-politici ben inseriti nelle sezioni di lavoro delle direzioni nazionali dei partiti, un Consiglio Scientifico di poche ma note personalità e obiettivi ambiziosi di rafforzamento culturale. Nel dicembre 1980 venne deciso di iniziare comunque l’attività esterna finalizzata anche alla promozione di nuove e qualificate adesioni.

Dovemmo forzare un po’ le titubanze di alcuni membri, ma alla fine fu possibile organizzare le prime due manifestazioni di avvio (nota n. 7). Il successo delle manifestazioni consentì subito l’incremento dei soci e dei membri del Consiglio Scientifico. Nel periodo maggio-luglio vennero organizzati dibattiti interni nella sede del CEVAR di Fontanella Borghese. In questo stesso periodo i soci vecchi e nuovi venivano organizzati in “sezioni di lavoro”. E così, a partire dal mese di ottobre, iniziò quella forte attività interna che avrebbe caratterizzato tutti gli anni successivi del CEVAR, di cui le manifestazioni esterne costituivano momenti significativi. Al 31 dicembre 1980 il CEVAR aveva solo 19 soci (sei in più dei fondatori) e 10 membri del Consiglio Scientifico (uno in più). Al 31 dicembre 1981 i soci erano diventati 88 e i membri del Consiglio Scientifico 22. Nel 1984, nel periodo di massima espansione, la quasi totalità dei personaggi dell’area laica e socialista autorevolmente impegnati nelle ricerca scientifica aveva aderito al Cevar ed alle associazioni ad esso collegate. La composizione del Cevar al 1984 è riportata nella nota n. 8 3.3.4.3.2. – Attività culturali 3.3.4.3.2.1. - Le sezioni di lavoro ed i gruppi di lavoro Subito dopo i due convegni di avvio fu dato inizio alla costituzione delle sezioni e dei gruppi di lavoro. A mano a mano che si avevano nuove adesioni, i soci venivano, a loro scelta, assegnati in queste strutture. E così fu realizzato il folto decentramento che avrebbe contribuito non solo ad ampliare l’attività del CEVAR, ma ad essere il punto di riferimento per le nuove adesioni.

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All’inizio dell’autunno 1982 risultavano costituiti 6 gruppi di lavoro a indirizzo prevalentemente politico e 19 sezioni di lavoro ad indirizzo tematico e settoriale (nota 9). Per i gruppi di lavoro non vi era una formalizzazione della composizione, ma solo l’individuazione dei coordinatori e dei segretari, in maggioranza dell’area socialista.

La partecipazione all’attività dei gruppi di lavoro era aperta a tutti. Per le sezioni di lavoro, la partecipazione era riservata ai soci e, con limitati inviti, ad esperti prevalentemente dell’area laico-socialista (nota 10).

La sezione qualitativamente e quantitativamente più importante era quella dello “Stato e suo apparato” (nota 11). Per tutto il periodo autunno 1981-autunno 1982 il CEVAR fu interessato dal feed-back fra adesioni ed attività culturali delle sezione e dei gruppi. A parte tutte le riunioni interne di preparazione, nel periodo febbraio 1981 - marzo 1983 si realizzarono complessivamente 24 manifestazioni culturali presso il CNR, Union Camere di Piazza Sallustio, Hotel Boston e sedi CEVAR di via Fontanella Borghese e Piazza Sallustio (nota 12). Salvo eccezioni, in tutte le iniziative esterne delle sezioni e gruppi di lavoro, a presiedere, tenere le relazioni introduttive e garantire interventi programmati erano sempre appartenenti al CEVAR. Le iniziative culturali di questo periodo, come peraltro la grande maggioranza di quelle successive, erano rivolte proprio a compattare culturalmente e politicamente le risorse intellettuali dell’area laica e socialista. Avveniva tutto con molta trasparenza e pubblicità, ma privilegiando sempre questo aspetto degli obbiettivi del CEVAR.

All’attività delle sezioni la partecipazione era mediamente del 60 per cento dei componenti. Alcune adesioni, soprattutto quelle di personaggi molto impegnati, come ad es. Giuliano Amato, avevano prevalentemente il ruolo di testimonial, essenziali però per dare autorevolezza alle sezioni stesse. 3.3.4.3.2.2. - Il Convegno “Società e tecnologia: le frontiere degli anni 90” Dopo la pausa estiva del 1982 e mentre continuava l’attività culturale delle sezioni e dei gruppi di lavoro, venne stabilito di organizzare una grande manifestazione per la primavera del 1983 che doveva avere per tema “Società e tecnologie: le frontiere degli anni 90” con le seguenti principali caratteristiche: a) - coinvolgere il gotha del mondo della scienza e della tecnologia italiana senza distinzione di area politica. La componente laica e socialista era ormai abbastanza forte per farsi carico di un’iniziativa ad elevato peso politico-programmatico senza distinzioni ideologiche; b) - realizzare un check-up completo sullo stato della tecnologia nel nostro paese e sulle prospettive degli ancora lontani anni ‘90. L’attività delle sezioni aveva evidenziato l’urgenza di un confronto pubblico ed al massimo di autorevolezza su un tema in cui si manifestava un forte ritardo del sistema economico-industriale del paese; c) - scegliere anticipatamente le tematiche in modo da evitare il rischio delle personalizzazioni e sovrapposizioni: era necessario un approccio sistemico e coordinato alle sub-tematiche in cui si articolò poi il convegno;

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d) - realizzare subito la pubblicazione degli atti del convegno, pretendendo da ciascuno dei relatori di partecipare al convegno con un documento scritto, frutto peraltro di ricerca.

Vi furono in qualche caso delle resistenze dei personaggi (quasi tutti opinion-leaders e spesso primedonne) ad accettare i vincoli dei limiti imposti ai sub-temi.

Ma dopo qualche personale incontro finalizzato a chiarire la portata della manifestazione e con qualche limitato adattamento, tutti i relatori si mostrarono disponibili a “fare sistema”. Questo richiese il maggiore impegno di ricerca da parte di ognuno di loro. E le relazioni risultarono quindi originali ed interessanti. Nei giorni 6-7-8 maggio 1983 il convegno si tenne a Perugia con il patrocinio della Presidenza della Repubblica e di diversi ministeri e con il contributo finanziario dei Comitati Ingegneria, Chimica, Tecnologico e Medicina del CNR, dell’Enea, Enel, Regione Umbria, Comune di Perugia e Istituto San Paolo di Torino. Alla seduta del primo giorno partecipò il Ministro delle Ricerca Scientifica Pier Luigi Romita (nota n. 13). Un commento significativo al convegno fu fatto, in chiusura da Ruberti che disse, fra l’altro: “Non mi era mai capitato che in una manifestazione mi fermassi tutti e tre i giorni per ascoltare gli altri: abbiamo avuto la fortuna di partecipare ad una iniziativa in cui ogni relazione sembrava essere la conclusione di un seminario di studi di alto livello”. Nel dicembre dello stesso anno venne pubblicato e messo in vendita (al prezzo, allora notevole, di lire 30.000) il libro “Quali tecnologie per gli anni ‘90”; delle 1000 copie stampate ne furono vendute circa 800. Ora ne è rimasta una sola copia. 3.3.4.3.2.3. - Ciclo di riunioni dei gruppi permanenti di lavoro sul tema: “Gli interrogativi dell’Italia che cambia” (anni 1984/1985) Con il convegno di Perugia si conclude la fase molto impegnativa per sezioni di lavoro. Si attenua l’attività interna (quella portata avanti per compattare culturalmente e personalmente l’intellettualità dell’area laica e socialista) e si privilegia quella rivolta prevalentemente all’esterno. Le sezioni si trasformano in gruppi di lavoro finalizzati a contribuire, tempestivamente, all’analisi, valutazione e proposte delle problematiche politiche più attuali. In poco più di un mese (11 ottobre-22 novembre 1983) vengono tenuti (saletta Hotel Boston) 10 riunioni dei gruppi di lavoro sul tema “Gli interrogativi sull’Italia che cambia”. (nota n. 14) Agli inizi del mese di dicembre le sintesi di tali riunioni vennero raccolte in un piccola pubblicazione di 23 pagine e 500 copie, inviate, fra l’altro, alle direzioni nazionali, ai deputati, senatori dei quattro partiti di riferimento del CEVAR. Così si rendevano più organici i canali di comunicazione già da tempo attivati verso il mondo politico dell’area laica e socialista. Il secondo ed ultimo ciclo di riunioni sul tema “Gli interrogativi sull’Italia che cambia”venne realizzato un anno dopo (dal 9 ottobre al 13 novembre 1984 – 9 riunioni) con le stesse caratteristiche logistiche e comunicazionali del primo (nota n. 15).

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3.3.4.3.2.4. - Ciclo di riunioni sul tema: “Quale Roma per gli anni 90” (in collaborazione con il Club Roma 90) Dato il successo del primo ciclo di riunioni sull’Italia che cambia, il CEVAR, su sollecitazione di Paolo Ungari ed in collaborazione con il Club Roma 90 , realizzò un analogo ciclo sul tema “Quale Roma per gli anni ‘90”. Dal 15 maggio al 13 giugno 1984 si tenne il primo ciclo (7riunioni); nel mese di ottobre il secondo ciclo ( 3 riunioni). I “confronti di opinioni” avvennero non per tematiche, ma per aree settoriali. Era responsabilità del coordinatore canalizzare gli interventi sulle tematiche più urgenti e rilevanti del settore. Per la prima volta il CEVAR si interessava di settori ed argomenti più tipicamente “cittadini” come teatro, cinema e Tv, beni culturali, musica, turismo, sanità, territorio, trasporti e ambiente con interventi di personalità di forte rilievo culturale dell’area laica e socialista (nota n. 16). Anche per questo ciclo gli interventi furono raccolti in una piccola pubblicazione e diffusi fra i politici dell’area romana. Sulla base del successo di questa iniziativa fu possibile poi la redazione del documento “Per un sindaco laico” (dopo il trentennale succedersi di sindaci democristiani e comunisti ) di cui al capitolo successivo. 3.3.4.3.2.5. - Ciclo di incontri/dibattiti sul tema “Le innovazioni tecnologiche nel sistema economico sociale italiano” e sul tema “Istituzioni e società”

Nell’autunno del 1983, al fine di consolidare e dare una struttura operativa al CEVAR, vengono costituite sei cooperative, con soci fondatori facenti parte del Cevar e delle quali ero consigliere delegato. Ma di queste dirò in dettaglio nel capitolo successivo. Nell’ambito di una strategia volta a dare visibilità alle nuove organizzazioni di cui il Cevar si faceva promotore ed era anche il capofila, quasi tutte le sue attività culturali venivano effettuate a doppia sigla, CEVAR e.. ( Club Roma 90, Aditeq, Cerpis. ecc.).

In tale quadro, nel periodo ottobre/dicembre 1984 si tennero due cicli di incontri-dibattiti, a date alternate e con frequenza quindicinale. Tutti gli incontri ebbero luogo presso il CNR (Aula Marconi) (nota n. 17). Il primo di tali cicli venne organizzato in collaborazione con il CERPIS (Centro per la ricerca sulle politiche istituzionali) sul tema “Istituzioni e Società”.

Il secondo ciclo, sul tema “Le innovazioni tecnologiche nel sistema economico sociale italiano”, si tenne in collaborazione con il CERIT (Centro ricerche e diffusione tecnologie avanzate). L’indicazione dettagliata delle tematiche e dei personaggi coinvolti mette in evidenza e conferma: a) il costante appoggio logistico e scientifico del CNR;

b) il porre a oggetto degli incontri problematiche di immediato interesse politico-istituzionale-economico-scientifico; c) affidare le responsabilità e la direzione degli incontri ai membri più autorevoli e prestigiosi del mondo della ricerca scientifica; d) garantire gli interventi programmati con personaggi, anche esterni al CEVAR, ma impegnati a livello tecnico-politico nelle tematiche trattate.

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3.3.4.3.2.6 - Convegno “Dirigenza e Management nelle istituzioni, nell’economia degli anni ’80” Roma, Sala Congressi CNR, 4/5/6 settembre 1985

Nella primavera del 1983 il CDA del CEVAR decise di realizzare, in collaborazione con l’ADITEQ (di cui appresso) una significativa iniziativa culturale finalizzata; - ad un’analisi e valutazione dello status professionale, culturale e motivazionale della dirigenza e management nelle grandi strutture delle istituzioni e dell’economia; - ad analisi e valutazione delle prospettive di breve e medio periodo del ruolo e della funzione del manager; - a stimolare la dirigenza ed il management per un suo contributo ad una gestione corretta, democratica ed efficiente dello sviluppo socio economico del paese. Si percepiva una certa difficoltà della dirigenza ad adattarsi ad un clima che era sempre più confuso per l’affermarsi del potere dei partiti. L’iniziativa fu progettata fin da subito come un approfondito e lungo check-up del sistema economico-istituzionale del paese, effettuata dall’interno a cura dei dirigenti e manager più politicamente sensibili. Vennero previsti: - circa 25 seminari per tutti i comparti delle istituzioni statali e dell’economia, distintamente per Pubblica Amministrazione, Imprese Pubbliche, Imprese Private, Banche ed Assicurazioni, Magistratura, Parlamento, Università; da tenersi nel corso del 1983; - 6 convegni di sintesi per ciascuno dei settori da tenersi nella primavera del 1984; - un convegno finale da tenersi nell’autunno del 1984.

Salvo lo slittamento della data del convegno finale, il progetto ebbe una realizzazione superiore all’aspettativa. Nel periodo aprile-novembre 1983 si tennero 20 seminari con una partecipazione media di 15-20 operatori dei relativi settori. Le sedi furono quelle del CNR e dell’Union Camere di Piazza Sallustio (nota 18). In ciascuno dei seminari veniva distribuito un questionario standard predisposto per avere i dati più significativi nei rispettivi settori.

Nel 1984 si tennero i sei convegni previsti di sintesi. Come si può rilevare (nota 19) i sei convegni, peraltro molto impegnativi, si

tennero nell’arco di un mese (dal 14 maggio all’ 11 giugno 1984). Questo fu reso possibile dalla forte collaborazione che si ebbe dal CNR e dalle Università di Roma, di Napoli, Bocconi e LUISS . I Rettori di tali università erano forti sostenitori dell’attività del CEVAR e tutti facenti riferimento all’area laico-socialista.

Ma anche il Presidente Quagliariello, pur essendo vicino all’area democristiana, dette il massimo di collaborazione. Il CEVAR era di casa al CNR. Questa concentrazione dei cicli in uno spazio ristretto di tempo, a parte la maggiore facilità logistica, veniva fatto anche per ottenere il massimo di effetto possibile sul mondo della cultura , della scienza ed, in particolare, sul mondo politico, visto il ruolo di consiglieri tecnici che i partecipanti alle iniziative CEVAR avevano nei riguardi di Ministri, Presidenti di Regioni, Sindaci, Sindacati, Presidenti di enti e di aziende di Stato, ecc.

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Dopo l’intensa, lunga ed a tutto campo l’attività preparatoria, nei giorni 13, 14 e 15 marzo 1985 si tenne al CNR il convegno conclusivo sul tema “Dirigenza e Management nelle istituzioni e nell’economia nell’Italia che cambia” (nota 20). Si temeva una certa stanchezza da parte dei relatori impegnati nel convegno (molti dei quali presenti sin dai seminari settoriali).

Invece, articolato in 6 sedute con 43 relazioni, ebbe una partecipazione ed un successo enfaticamente sottolineato dall’avv. Generale dello Stato, Manzari che presiedeva la seduta conclusiva.

Come conseguenza di tale successo venne predisposto, con notevole dettaglio di fattibilità il Progetto “Innova90”, rivolto in particolare all’Amministrazione Pubblica. Purtroppo si cominciava a respirare già un clima diverso. Gli spazi politico-culturali si riducevano e cominciavano a prevalere quelli politico-affaristici. Ed il progetto non decollò. 3.3.4.3.3. – Iniziative culturali politiche a sostegno dell’area laica e socialista 3.3.4.3.3.1. – Premessa Per la stessa composizione ed obiettivi del CEVAR, tutto il quinquennio 1981-1985 fu caratterizzato da un costante feed-back fra l’associazione e i quattro partiti dell’area laico-socialista. La quasi totalità dei soci e dei membri del consiglio scientifico facevano parte delle sezioni di lavoro dei partiti di riferimento. Erano ben 41 gli aderenti al CEVAR, membri del Parlamento, delle direzioni nazionali, dei comitati centrali e dei consigli nazionali del PSI, PRI, PSDI, PLI: On. Giuliano Amato, On. Salvo Andò, Prof. Luca Anselmi, Ing. Mauro Antonetti, Prof. Pietro Armani, Prof. Enzo Bartocci, Prof. Luciano Benadusi, Sig. Giorgio Benvenuto, Sen. Margherita Boniver, On. Aldo Bozzi, Ing. Nicola Cacace, Prof. Giacomo Caffarena, Sen. Roberto Cassola, Cons. Venerio Cattani, On. Michele Cifarelli, Prof, Giuseppe Cuomo, On. Francesco De Lorenzo, Prof. Giuseppe de Vergottini, Dott.ssa Luciana Fiaccamento, On. Francesco Forte, On, Giuseppe Galasso, On.Savino Melillo, Dott. Nerio Nesi, Prof. Antonio Malintoppi, On. Agostino Marianetti, Prof. Giampiero Orsello, Arch. Costanza Pera, Dott.ssa BeatriceRangoni Macchiavelli, On. Giorgio Ruffolo, Prof. Stefano Sandri, Prof.ssa Ethel Serravalle, Prof. Giuseppe Tamburan , Prof. Bruno Trezza, Dott. Maurizio Cecconi, Sen. Salvatore Valitutti. Ing. Corrado Corvi, Prof. Camillo Dejak, Prof. Paolo Ungari. Dei quattro capifila del CEVAR, io solo non avevo un ruolo politico formale. Dejak, Ungari e Corvi facevano parte delle direzioni nazionali (o comitati centrali) rispettivamente del PLI, PRI e PSDI. Ma questo risultava un vantaggio perché mi consentiva maggiore autonomia, forza aggregatrice e visibilità. I risultati dell’attività del CEVAR e delle strutture culturali di cui era capofila venivano costantemente portati all’attenzione dei partiti, sia direttamente, sia mediante invio di documentazione. Nel 1984 e nel 1985, quando il CEVAR aveva il massimo di espansione e prestigio, furono prese due iniziative di tipo politico: “Appello ai congressi di primavera 1984 di PSDI, PSI, PRI e PLI” del 26 marzo 1984 e “Appello per un sindaco laico per Roma”. 3.3.4.3.3.2. - Appello ai congressi di primavera dei partiti dell’area laica e socialista Riporto qui di seguito il contenuto dell’appello, con l’elenco dei firmatari e la lettera di invio ai segretari dei quattro partiti.

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Questi documenti sono esemplificativi del ruolo avuto dal CEVAR in quel particolare periodo di entusiasmi per il ruolo forte dei partiti a cui esso aveva dato un significativo contributo in termini di propositività ed aggregazioni culturali. Copia della Lettera inviata a Bettino Crazi, Giovanni Spadolini, Valerio Zanone e Pietro Longo. “On. Bettino Craxi, Segretario del Partito Socialista Italiano - Roma Come può rilevare dall’allegato la quasi totalità degli scienziati, intellettuali e tecnici aderenti al CEVAR fa riferimento all’area laica e socialista. Nell’ultimo consiglio di Amministrazione del CEVAR si è ritenuto opportuno adottare tutte le idonee iniziative volte a sensibilizzare i partecipanti ai congressi di primavera del PSI, PRI, PSDI, PLI sui problemi della scienza e della cultura in questo momento di particolare importanza delle forze laiche e socialiste e di cambiamento notevole della società e dell’economia. In tale quadro , dopo una prima riunione alla quale sono stati invitati gli aderenti politici (parlamentari, membri di direzione, comitati centrali e consigli nazionali dei quattro partiti) è stato costituito un apposito gruppo di lavoro formato dagli scriventi (che costituiscono l’esecutivo del CEVAR) ed integrato dal Prof. Giuseppe Tamburano , dal Prof. Antonio Malintoppi (PRI), dal Prof. Angelo Sabatini (PSDI) e dalla Dott.ssa Beatrice Rangoni Macchiavelli (PLI). Tale gruppo ha predisposto l’allegato appello che successivamente ha avuto le adesioni di altre personalità della cultura e della scienza elencate in calce all’appello stesso. Tale appello, integrato da un documento che dettaglia il contenuto delle parti riguardanti la ricerca e la tecnologia dei manifesti elettorali dei liberal- democratici e dei socialisti europei, costituisce parte essenziale di un documento complessivo che il Cevar intende presentare ai quattro partiti dell’area laica e socialista in occasione dei loro Congressi. Nell’inviarLe copia di tale documento, La preghiamo di volerne consentire la diffusione in occasione del congresso del PSI. Le finalità dell’appello e del documento nel suo complesso potrebbero essere illustrate, se ella lo ritiene opportuno, da uno dei membri del gruppo di lavoro che ha redatto l’appello. Nell’augurare la migliore riuscita del congresso del suo Partito e restando a disposizione per le ulteriori informazioni, inviamo cordiali saluti. Il Presidente Il Vice presidente Il Vice Presidente Il Segretario Generale (Camillo Dejak) ( Corrado Corvi) ( Paolo Ungari) ( Emidio Valentini). Copia dell’Appello ai congressi di primavera dei partiti dell’area laica e socialista. Siamo convinti che la capacità di adattamento dell’Italia alle profonde trasformazioni strutturali e sociali che si produrranno nei prossimi anni in tutti le nazioni sviluppate dipenderà in misura determinante dal potenziale qualitativo e quantitativo del ricambio scientifico, tecnologico e, più in generale, culturale che essa sarà in grado di esprimere. La società e l’economia italiane sono già impegnate ad affrontare i problemi della nuova rivoluzione industriale. Il paese deve dedicare le sue migliori energie creative alla crescita della cultura sempre più bene primario, al progresso scientifico e all’innovazione tecnologica che sono di per sé la chiave dello sviluppo. In questo quadro vi sono tecnologie nuove, come quelle informatiche, che possono incidere profondamente sulla condizione umana. Per gestirne le enormi potenzialità occorrono una più alta cultura critica e nuove garanzie istituzionali per la libertà e dignità dell’Uomo.

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Ma per vincere la sfida tecnologica l’Italia e gli altri partners europei devono unire i loro sforzi per impedire che l’Europa rischi l’emarginazione produttiva commerciale ed anche culturale. Occorre pertanto la costruzione effettiva degli strumenti unitari per una reale cooperazione scientifica e tecnologica. Le forze politiche del paese più sensibili a queste realtà debbono assumere precise responsabilità per incrementare e valorizzare il potenziale scientifico-tecnologico e, più in generale, culturale del paese e per assicurare, non solo sul piano legislativo, ma soprattutto su quello del costume politico, la libertà della scienza e della cultura minacciata da nuovi condizionamenti e limitazioni.

I partiti dell’area laica e socialista debbono per primi rendersi garanti formali di esigenze tanto basilari e così qualificanti. Il Paese è oggi posto di fronte a scelte ben precise. Per chiunque appartenga con onestà di intenti alla comunità della scienza e della cultura non possono esservi dubbi. Il rispetto delle competenze, il fermo rigetto di ogni pratica di ingerenza esterna e di sottogoverno, il massimo di libertà tradotto in forme realmente rappresentative che, proprio perché tali, siano capaci di un dialogo con gli organi della programmazione nazionale e con le strutture del sistema produttivo: questi i cardini della sola politica che può assicurare all’Italia la necessaria capacità di adattamento alle sfide di un difficile futuro. Adesioni sull’appello Camillo Dejak, Corrado Corvi, Antonio Malintoppi, Beatrice Rangoni Macchiavelli, Anglo G. Sabatini, Giuseppe Tamburano, Paolo Ungari, Emidio Valentini. Margherita Bernabei, Guido Lucatello, Rosario Romeo, Salvatore Valituttti, Nicola Matteucci, Vittorio Cecconi, Giuseppe Caputo, Fabio Roversi Monaco, Giovanna Zincone, Salvatore Valitutti, Nicola Cacace, Guglielmo Negri, Pietro Bucci, Hartmuth Ulrich, Michele di Pace, Luigi Cavallo, Giuseppe Perugini, Mario Rinaldi, Ginevra Conti Odorisio, Roberto Ducci, Aldo Caron, Antonio Baslini, Romano Lazzeroni, Giuseppe Biorci, Ercole Camurani, Onorato Sepe, Luigi Compagna, Antonio Braibanti, Sergio Fois, Ferruccio Marzano, Roberto Passino, Nunzio Amato, Enzo Bartocci, Luigi Pieraccioni, Alessandro Barlaam,Luigi Campanella, Ruggero Orlando, Carla Martino, Paolo Ferro Luzzi, Carlo Schaerf, Gianni Finocchiaro, Tommaso Alibrandi, Giovanni Schippa, Girolamo Araldi, Domenico Cacopardo, Berardino Limonati, Luisa Bussi, Mauro Barni, Alfonso Sterpellone, Fabrizio Bruner, Pier Luigi Spaggiari, Raffaele Franchini, Giuseppe Mazzei, Romani Cipollini,, Pietro Armani, Giuseppina Illiano de Paoli, Antonio Rossi, Savino Melillo, Vincenzo Ferrari, Luigi Donato, Mario Silvestri, Eugenio Tondello, Ermanno Ancona, Corrado Balocco, Nino Dazzi, Aldo Romano, Carlo Ciliberto, Paolo dell’Anno, Antonio Pedone.” I contenuti della lettera e del manifesto si commentano da sè.

L’adesione convinta di tante personalità che facevano riferimento all’area laica e socialista non trovò purtroppo che limitato riscontro nei congressi dei quattro partiti. Ormai, con il governo Craxi, l’area laica si era rafforzata ed aveva notevole maggior potere. Le segreterie dei Ministri, dei Sottosegretari e dei Presidenti e vice presidenti di enti, erano pieni di responsabili di relazioni esterne che spesso coprivano le relazioni “pericolose” con attività di copertura di tipo culturale. Cominciava l’epoca affaristica della fine degli anni ‘80 che preparava il clima di tangentopoli. Partecipai al congresso di Rimini come membro della Commissione Cultura, capeggiata da Tamburano. Fu una delusione per noi. Era evidente l’arroganza e l’ignoranza dei portaborse di cui il congresso era pieno. Ritengo però doveroso riportare la copia della lettera che Valerio Zanone inviò a Dejak. “Partito Liberale Italiano Il presidente Caro Presidente, Il XVIII Congresso liberale ha accolto con grande interesse l’appello per la libertà e l’avanzamento della ricerca scientifica e tecnologica rivolto dal CEVAR ai congressi dei partiti di democrazia laica, liberale e socialista. Fra i partiti laici sussistono distinzioni ben note di tradizioni e di programma, ma anche le possibilità di operare su un terreno comune soprattutto nei campi della ricerca culturale e delle politiche delle innovazioni.

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Considero significativo che proprio il mondo della scienza, dell’alta tecnologia, quale quello rappresentato dai sottoscrittori dell’appello del Cevar, abbia individuato nei partiti laici di democrazia liberale e socialista, l’area politica cui rivolgersi per un rapporto di comprensione e collaborazione fra la cultura, la produzione e la politica. Con i migliori saluti f.to Valerio Zanone Prof. Camillo Dejak Presidente CEVAR Piazza Sallustio Roma ” 3.3.4.3.3.3. - Appello per un sindaco laico a Roma (in collaborazione con il Club Roma 90) L’appello ai congressi aveva comunque ottenuto il risultato di rafforzare le relazioni fra i romani del CEVAR. In vista delle elezioni comunali di Roma della primavera del 1985 si era costituito, all’interno del CEVAR e del Club Roma 90 un gruppo molto compatto che aveva trovato in Beatrice Rangoni Macchiavelli l’appassionato punto di riferimento. Ormai l’area laica e socialista si sentiva abbastanza forte per reclamare un sindaco. E così il 9 febbraio 1985 sulla stampa locale, anche se con non molto rilievo, apparve il nostro appello. Quotidiano “ Il tempo” Appello per un Sindaco laico Un gruppo di personalità variamente impegnate, tutte operanti in un’area politico culturale laica, ha firmato un appello nel quale, ponendo il problema di quale futuro per la capitale, sollecita l’elezione a Roma di un sindaco laico. Ecco l’appello. Uomini e donne della cultura, della scienza, della tecnica, dell’amministrazione, delle professioni, della produzione guardano alla loro città e si chiedono: esiste una possibilità per Roma di cogliere la grande occasione di cambiamento offerta dal rinnovo delle municipalità nel 1985? Sarà possibile sollevare la metropoli romana a livello di qualità di vita e di servizi delle grandi capitali europee? Resta poco tempo per prendere la strada della “grande Roma” articolata in effettiva autonomia di quartiere, integrata con la cintura di comuni che fanno parte della sua realtà, collegata da una rete moderna di trasporti con l’insieme della città- regione. Basta confrontare le realizzazioni urbanistiche a cominciare dai centri storici delle maggiori città d’Europa nell’ultimo decennio. Non si possono certo ignorare le difficoltà e l’assoluta singolarità di una situazione nella quale la convivenza con una capitale religiosa, fenomeni massicci di pendolarismo e l’assenza di un’adeguata cornice regionale dello sviluppo urbanistico, condizionano qualsiasi tentativo di rinnovamento.

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Ma Roma ha rinunciato da tempo a darsi una razionale politica urbanistica, rimane isolata dal suo aeroporto intercontinentale, vastissimi sono i fenomeni di abusivismo edilizio e di degrado urbano e dei servizi civici elementari; appaiano inquietanti elementi di pratiche di sottogoverno; i pubblici divertimenti dell’effimero non sostituiscono una vera politica culturale mentre l’uso sproporzionato del patrimonio artistico e ambientale ne compromette spesso la valorizzazione. Si impone dunque il coraggio di una svolta. Dopo un quarto di secolo di direzione democristiana e dopo dieci anni di direzione comunista la città può e deve darsi una direzione laica. I partiti dell’area laico e socialista devono sapere che essi vanno misurati su questo metro. Sta a loro essere protagonisti di un nuovo corso della capitale. Hanno firmato il manifesto: Paolo Ungari, Venerio Cattani, Salvatore Valitutto, Emidio Valentini, Luigi Compagna, Roberto Ducci, Beatrice Rangoni Macchiavelli, Giuseppe Tamburano, Camillo Dejak, Carla Martino, Franco Valsecchi, Federico Orlando, Paolo Portoghesi, Romano Cipollini, Alessandro Barlaam, Onorato Sepe, Ethel Serravalle, Bruno Zincone, Natalino Irti, Mauro Mita, Angelo Sabatini, Piero Maria Lugli, Antonio Casanova, Aldo Caron, Franco Archibugi, Elio D’Auria, Sandro Petriccione, Mario Penelope, Pietro Bonamico, Antonio Pedone, Roman Vlad, Raffaele Perrone Capano, Lazzaro Lazzari.” In quel periodo ero molto impegnato per l’avvio del progetto FEPA e non mi interessai molto del seguito avuto dall’appello. Nel mese di marzo venni informato di essere stato inserito fra i candidati del PSI al Comune di Roma. Era una conseguenza dell’appello? Forse. Mi affrettai subito a rifiutare con molto disappunto dei compagni della Funzione Pubblica-CGIL che peraltro mi conoscevano anche per la mia attività istituzionale. Ancora ho dubbi sulla “opportunità del rifiuto”. 3.3.4.4. - Il CEVAR come capofila di altre associazioni ed iniziative 3.3.4.4.1. – Premessa Agli inizi del 1981, quando il CEVAR, superate le difficoltà iniziali, diventa più attivo e comincia ad essere punto di riferimento di un vasto gruppo di personalità di area laica e socialista, si pone il problema di affiancare ad esso altre iniziative che consentissero un suo spazio maggiore nella realtà romana e nell’ambito delle dirigenza e dei quadri. Paolo Ungari, appena eletto vice presidente, cominciò subito a sostenere l’esigenza di un’associazione che, con le stesse caratteristiche del CEVAR, costituisse punto di riferimento e promozione politico culturale nella capitale. Inoltre i dirigenti, i quadri e i dirigenti pubblici soci del CEVAR insistevano per un’analoga iniziativa che affiancasse l’UDDA che cominciava a non essere più aderente alla nuova domanda di aggregazione. L’UDDA era troppo elitaria ed i tempi erano maturi per dare visibilità e presenza culturale alla nuova classe dei quadri e dei dirigenti dell’area laica. Nella sua fase di maggiore prestigio ed adesioni (negli anni 1983-1984) si pose anche il problema di consolidare e dare una base economica più stabile al CEVAR.

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In corrispondenza delle sezioni più importanti e con più possibilità di mercato si riteneva opportuno costituire specifici organismi di ricerca e consulenza. Il CEVAR già da qualche tempo effettuava ricerche limitate finanziate soprattutto dal CNR. Ma questa attività di tipo aziendale mal si conciliava con le sue finalità e la sua composizione. E così il CEVAR si trasformò in breve tempo in una holding culturale.

Vennero costituiti, progressivamente, il Club Roma 90, l’ADITEQ (Associazione dirigenti e quadri) e cinque cooperative. 3.3.4.4.2. – Il Club Roma 90

Il giorno 28 settembre 1981, presso il Notaio Sanna veniva costituito il Club Roma 90 con (art. 2 dello statuto) “lo scopo principale di promozione e valorizzazione delle attività culturali e tecnico-professionali nelle circoscrizioni e quartieri di Roma, ed eventualmente nei comuni della conurbazione romana ed in particolare di:

a ) promuovere studi e ricerche, ecc. ecc.. Tutto il periodo successivo e fino a giugno dell’anno seguente, l’attività del Club fu di tipo interno. Sulla base dell’esperienza del CEVAR si preferì, prima di uscire allo scoperto, rafforzarne la struttura e la compattazione delle persone coinvolte. L’esecutivo del Club risultò formato da: Paolo Ungari (PRI) - Presidente, Mauro Antonetti (segretario del PLI a Roma ) Vice Presidente, Francesco Collenza (della segreteria del PSDI di Roma ) Vice Presidente, Pino Marango ( della segreteria PSI di Roma ) Vice Presidente, Emidio Valentini (PSI) Segretario Generale, e da un gruppo di consiglieri con l’identica rappresentanza politica del CEVAR (in maggioranza socialisti) (nota 21). Il consiglio scientifico, presieduto da Leo Solari risultò composto, inizialmente di 26 personalità (nota 22). Il giorno 10 giugno 1982 si aveva la presentazione del Club con una manifestazione “Roma 90, un club laico per un’altra Roma” di cui si riporta il trafiletto del Corriere della Sera dell’11 giugno: “L’area laica lancia il Club Roma 90. E’ nata un’associazione politico-culturale che studierà i problemi della capitale, attraverso inchieste ed interventi capillari sul territorio: si chiama “Club Roma 90” che vuol dire Roma nelle prospettive degli anni 90. A dar vita al nuovo organismo sono intellettuali, tecnici ed esperti dei partiti dell’area laica. Le finalità sono state illustrate ieri, nel corso di un ampio convegno da Emidio Valentini e da Paolo Ungari. Ha presieduto l’incontro Leo Solari. Nostro compito sarà studiare i problemi di Roma, dicono gli interessati, affrontandoli nella realtà più riconoscibile e concreta. Non ci occuperemo soltanto della città nel suo insieme, dicono gli interessati, affronteremo anzi bisogni, situazioni, realtà dei singoli quartieri, delle singole circoscrizioni. ……………………………. L’associazione, come è stato chiarito nei numerosi interventi ,tra cui quelli di Mauro Antonetti, Francesco Collenza e Pino Marango, avrà tra le sue finalità quello di

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promuovere convegni di stampare riviste e periodici e ad esercitare attività culturali destinate alla crescita socio economica dei quartieri.”

Come per il CEVAR l’anno prima, così anche per “Roma 90” il primo semestre del 1982 fu impiegato in un’intensa attività interna per la costituzione dei gruppi di lavoro. Alla data di maggio 1982 risultarono costituiti 18 gruppi di lavoro (nota 23). Nel corso della costituzione dei gruppi di lavoro si potè constatare la modesta presenza laica e socialista nel campo dei settori più tipicamente culturali. Abituati a spaziare nel vasto campo della ricerca scientifica e tecnologica, si capì subito che i gruppi non avrebbero avuto il successo delle sezioni di lavoro del CEVAR. Però, sia pure con tali limiti, l’attività interna fu molto intensa anche se, per esternare i primi risultati, si dovette attendere il 1984 con il ciclo degli incontri “Quale Roma per gli anni 90” di cui si è detto nel capitolo precedente. Ma a parte questa iniziativa il Club Roma 90 ebbe un ruolo comparativamente molto limitato rispetto a quello del CEVAR. Invece ne ebbe molto per l’aggregazione e lo scambio di opinioni e di idee nell’ambito dei romani del CEVAR. Con l’appello per un sindaco laico al Comune di Roma anche l’attività interna cominciò a diradarsi fino a concludersi nei primi mesi del 1987. 3.3.4.4.3. – L’associazione Dirigenti, Tecnici e Quadri- ADITEQ Contemporaneamente al club Roma 90, veniva costituito anche l’ADITEQ con lo scopo principale (art. 2 dello statuto) di “migliorare, valorizzare e tutelare la professionalità dei dirigenti, dei tecnici e dei quadri sia del settore pubblico sia di quello privato ed in particolare di: a) effettuare studi e ricerche in materia di organizzazione aziendale e di organizzazione del lavoro; b) di promuovere studi e ricerche, ecc. ecc….” come per il CEVAR; ………………………………………………….. L’esecutivo del club risultò formato da: Emidio Valentini (PSI) – Presidente

Mauro Antonetti (PLI): ricercatore ENEA - Vice Presidente Francesco Giordano ( PSDI) Dirigente Ferrovie Calabro Lucane Giuseppe Martinez y Cabrera (PSI) Ministero PI . Ugo Colonna (PRI) – Funzionario Ansaldo – Segretario e da un gruppo di 9 consiglieri con l’identica rappresentanza politica del CEVAR (in maggioranza socialisti) (nota 24). Il consiglio generale presieduto da Paolo Ungari, risultò composto, inizialmente di 14 personalità (nota 25). Come per il CEVAR ed il Club Roma 90, così anche per ADITEQ il primo semestre del 1982 fu impiegato per la costituzione dei gruppi di lavoro. Alla data di maggio 1982 risultarono costituite 18 sezioni di lavoro (nota 26). Dopo la solita iniziale attività interna, il giorno 20 giugno 1982, presso il Collegio ingegneri ferroviari italiani (CIFI ) di via Marsala, Roma, si tenne il convegno

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“Le moderne tecniche elettroniche – Dibattito sulle possibili trasformazioni delle professionalità nel mondo del lavoro”. Il convegno fu caratterizzato dalla lucida introduzione di Pier Francesco Guarguaglini e dalla ingegneristica fantasia di Roberto Vacca. Il successo di tale convegno dette motivazione e forza ai dirigenti e funzionari dell’ADITEQ e costituì la spinta iniziale per l’organizzazione e realizzazione di tutte quelle iniziative sul tema “Dirigenza e management” che vide impegnata l’ADITEQ per gli anni 1983 e 1984. Ricordo con molto affetto la dedizione e l’impegno di Ugo Colonna e di Mariano De Paoli (membro del CDA) durante i quasi due anni, di seminari e convegni in preparazione al megaconvegno sul tema “Dirigenza e management”. Purtroppo anche l’ADITEQ venne coinvolta nel declino del CEVAR a partire dal 1986. Il convegno sul management del 1985 costituì il punto di massima attività dell’ADITEQ.

Il periodo successivo, durato poco più di un anno, fu caratterizzato da incontri interni sempre più rari. Non c’era più spazio per iniziative per il rafforzamento della parte culturale dell’area laica e socialista. I quattro partiti e soprattutto il PSI avevano un potere più che proporzionale rispetto al loro peso elettorale e questo potere non aveva più bisogno dell’apporto culturale, soprattutto se caratterizzato da volontarietà ed autonomia. 3.3.4.4.4. – Le cooperative “culturali”

Sin dagli inizi della sua attività venne ritenuto opportuno che il CEVAR, oltre alla promozione di nuove organizzazioni culturali e politiche (come Club Roma 90 e ADITEQ) si circondasse di una serie di piccole imprese economico/culturale/ politiche. Ci si voleva inserire nel sistema delle cooperative rosse e bianche con un primo gruppo di cooperative “arcobaleno” (quelle dell’area laica e socialista), di alto profilo professionale e culturale. L’obiettivo politico era quello di rafforzare e stabilizzare il nucleo che si era costituito con il CEVAR, dando spessore anche economico alla cultura laica. Vi fu un successo iniziale molto forte: nel novembre 1982 se ne costituirono ben cinque, nei settori politicamente più importanti, con la partecipazione del meglio delle risorse umane del CEVAR. Per dare compattezza al sistema venne convenuto che ne fossi io il consigliere delegato.

Le finalità sembravano più manifesti politici che obbiettivi concreti di attività imprenditoriali. E questo, mentre arricchì il dibattito culturale politico all’interno del CEVAR, ne limitò molto la capacità operativa fino a decretarne la fine. Furono modeste le attività da loro svolte. E dopo poco tempo costituirono un “peso” per il CEVAR, senza però influire sulla sua vitalità. I motivi del sostanziale fallimento di queste iniziative, pur in un contesto di successo del CEVAR, furono diversi. Ne elenco i principali, in ordine di rilevanza: a) - era stato possibile compattare culturalmente le diverse origini politiche dei membri del CDA, soci e membri del consiglio scientifico; non si riuscì a farlo “economicamente”. I partiti di riferimento, ed in particolare il PSI, avevano interessi

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specifici nel mercato delle consulenze. Inoltre pullulavano analoghe iniziative direttamente o indirettamente collegate a personalità politiche; b) - le cooperative erano prestigiose, ma mancava la motivazione ideologica che caratterizzava le cooperative rosse e bianche. La laicità ed un certo calvinismo che caratterizzava il CEVAR costituivano un obbiettivo ostacolo a che le nostre iniziative potessero inserirsi nel mercato molto poco libero, oltre che inquinato, della consulenza di quel periodo; c) - il solo volontariato politico-culturale che era la forza del CEVAR non poteva alimentare e sostenere attività politico-economiche. Ma, pur se destinate all’insuccesso, le cooperative contribuirono indirettamente a rafforzare l’attività delle sezioni e ad essere anche fonte di elaborazione di proposte ed idee che poi venivano trasferite nei dibattiti e nelle iniziative culturali. Furono sostanzialmente dei piccoli centri studi ad uso prevalentemente interno. Ed anche per questo non vennero considerate “iniziative sbagliate”, ma come uno strumento aggiuntivo e significativo per il successo politico-culturale del CEVAR (Nota 27). 3.3.4.4.5. - CEVAR e suoi finanziamenti

Uno dei motivi del successo del CEVAR è stato senza dubbio l’autonomia, la correttezza e la trasparenza dell’acquisizione delle risorse finanziare per sostenere i costi della sua attività. Tutto ciò è stato reso possibile dal fatto che tutti i partecipanti a qualsiasi attività del CEVAR non solo non ricevevano nessun compenso, ma dovevano sostenere anche i costi dei trasporti e di albergo. Sarebbe stato impossibile, diversamente, realizzare tutte quelle iniziative e tutte le attività interne dell’Associazione. Inoltre, ad eccezione delle spese di affitto per la sede in piazza Sallustio, peraltro in una stanza messa a disposizione dell’ANIAI (Associazione Nazionale Ingegneri ed Architetti Italiani) e dei seminari tenuti all’Hotel Boston, le manifestazioni esterne venivano sempre garantite mediante sedi messe a disposizione di enti pubblici, ed in modo particolare dal CNR. Conseguentemente le spese di gestione erano ridotte all’essenziale. Esse erano mediamente di 10-15 milioni di lire l’anno. Solamente nel 1983, per le spese notevoli sostenute per il Convegno di Perugia su “Quale tecnologia per gli anni 90”, i costi di gestione ammontarono a circa 40 milioni di lire. Le entrate erano di tre tipi: quote annuali soci (mediamente il 10%); contributi da enti (mediamente il 30%); ricavi per ricerche effettuate su commesse realizzate (mediamente il 60%). I contributi (solo in occasione di manifestazioni esterne di rilievo) venivano dati in prevalenza dagli enti di ricerca (soprattutto CNR), da amministrazioni locali (regioni, province, comuni)e da qualche istituto bancario. Nessun contributo venne richiesto ai partiti di riferimento del CEVAR. Nè mai si chiesero contributi dai Ministeri retti da Ministri dell’area laica e socialista. Questa totale assenza finanziaria dei partiti nei confronti del CEVAR ne garantiva l’autonomia e lo teneva anche lontano dall’equivoco ambiente affaristico che

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caratterizzava in quel periodo la gestione finanziaria dei partiti (di tutti, sia pure con diversa intensità). Una risorsa importante era data dalle commesse di ricerca avute soprattutto dal CNR (dell’importo di circa 100 milioni di lire nel periodo 1983-1986). Come esempio di queste commesse cito quella avuta nell’ambito del progetto finalizzato CNR energetica, sottoprogetto normativa, diretto da Fabio Roversi Monaco per una ricerca sul tema “Indagine sulla normativa in materia di energia ed ambiente”. Questa ricerca, biennale, da me diretta, venne accompagnata anche da una borsa di studio data dall’Eni, nel quadro di circa trenta borse previste per l’intero progetto. E così per due anni nella sede del CEVAR di piazza Sallustio un giovane appena laureato venne addestrato a fare ricerca sistemica in un campo, allora, in continuo fermento normativo, soprattutto nel rapporto energia-ambiente. I risultati della ricerca furono molto apprezzati in ambiente Eni e il giovane venne assunto come funzionario all’AGIP. 3.3.4 4.6. - Il CEVAR e la P2 Nel periodo precedente alla costituzione del CEVAR la mia conoscenza della massoneria, della P2 in particolare, era quella indiretta e mediata derivante da notizie di stampa. Ero a Nizza, ad un convegno organizzato da una società multinazionale di informatica, quando, leggendo i quotidiani italiani nella hall dell’hotel che ci ospitava lessi i primi, non molti, nominativi dei politici implicati nella lista di Gelli. Rimasi sorpreso nel leggervi anche il nome di Mario Pedini. Avendolo conosciuto a lungo ed essendo stato inoltre un suo diretto collaboratore, non mi spiegavo il perché della sua adesione. Lo sapevo troppo cattolico praticante ed anche molto trasparente per vederlo in una loggia massonica e per di più nascosta. Mi ricordo i commenti a caldo che ebbi con Girolamo Caianiello, Guido Botta (entrambi già soci del CEVAR per la componente PRI) e con un professore dell’Università di Firenze, peraltro visibilmemnte preoccupato. Quando, tornato a Roma, potei leggere la lista completa, vidi che era uno dei nomi compresi nell’elenco. Ma la mia sorpresa, questa volta preoccupata, aumentò quando potei leggervi anche i nomi di alcuni membri del CDA. Temetti che il Cevar avrebbe avuto seri problemi, tanto da poterne influenzare negativamente l’attività e l’azione di proselitismo che erano appena iniziati. In realtà, a parte una modesta indagine effettuata nell’ambito della commissione bicamerale presieduta dalla on. Falcucci, con una marginale citazione negli atti parlamentari, il CEVAR ebbe poi vantaggi dallo scandalo P2. Mi feci però subito carico di manifestare direttamente ed a nome del CEVAR, la mia solidarietà ai soci compresi nella lista. Non sapevo spiegarmi il perché lo avessero fatto, ma ero certo che la loro adesione non poteva avere nulla a che vedere con le trame di Gelli. Tutti rimasero nel CEVAR, ma per diverso tempo non si fecero vedere. Le conseguenze immediate dello scandalo della P2, fu un certo rallentamento nelle adesioni (dovuto anche alla nostra maggiore precauzione). Invece subito dopo si verificò il problema di come contenere e selezionare le adesioni. Proprio mentre andava in crisi il tipo di partecipazione ambiguo dell’associazionismo esoterico in un’area tradizionalmente laica e socialista come quella

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massonica, si faceva avanti il CEVAR con la sua trasparenza, con la sua chiarezza di obbiettivi, con la sua esplicita e formale dichiarazione di appartenenza ai quattro partiti dell’area laica e socialista in un momento di forti cambiamenti socio-economici come quelli iniziati sul finire degli anni ‘90. Esisteva una domanda di partecipazione e di far parte di una rete politico-culturale. Credo che uno dei motivi di successo del Cevar sia dipeso proprio da questa domanda di “persone forti” che spendevano il loro nome e facevano attività culturale senza reticenze. Ricordo la battuta scherzosa che circolava negli ambienti della ricerca degli anni 1982-1985, anni di centralità e di potere di opinioni del CEVAR: “Valentini ha costituito la P3 ed ha preso il posto di Gelli”. Era evidentemente una battuta che spesso veniva anche scherzosamente detta in occasione di qualche manifestazione. Debbo però confessare che chi mi conosceva poco pensava comunque che fossi almeno un gran maestro. E non sempre riuscivo a convincere dell’opposto i miei occasionali interlocutori. E questo anche perché nel CEVAR era effettivamente presente la massoneria, ma quella dei Paolo Ungari e dei tanti personaggi di cui sono onorato di avere avuto la stima e l’amicizia. 3.3.3 4.7 - I personaggi Paolo Ungari Conoscevo di nome Ungari. Quando, dopo le dimissioni di Barlaam, venne cooptato come vice presidente del Cevar ebbi l’occasione di conoscerlo meglio e diventargli amico. Era già noto sia come esperto di problemi dello Stato, sia come repubblicano. Di lui ricordo alcuni fatti significativi del suo essere un personaggio particolare. Il primo quando vidi una foto, mi pare sul “Messaggero” del 21 settembre 1980, che accompagnava il commento all’avvenimento, con una didascalia: “I massoni festeggiano la presa di Porta Pia”. In prima fila c’era fra gli altri Paolo. Non l’ho mai sentito parlare della sua appartenenza alla massoneria, ma certo costantemente ne esprimeva la forte laicità ed il risorgimentale senso dello Stato. Era un massone un poco retrò, aveva forte il concetto di solidarietà massonica. Quando c’era da scegliere qualche nominativo per convegni o seminari, la sua preferenza andava quasi sempre ai “ fratelli” di area laica, non necessariamente repubblicani. Il secondo, in occasione di una mia visita a casa sua (un buio appartamento vicino a Piazza Navona). Ero un po’, come si suol dire, di casa; si stentava a camminare perché i pavimenti erano pieni di libri. La sua libreria era piccola e lui giustificava i libri sparpagliati per terra per la facilità che ciò gli consentiva nelle sue ricerche. Ero abituato quindi alla sua ben nota trascuratezza. Ma quella volta, appena entrato e non vedendolo gli chiesi: “dove stai?” mi disse: “vieni” e si fece trovare nel bagno E cominciò a parlarmi di una notizia recentemente letta sul giornale, voltandomi le spalle. Quando poco dopo se ne accorse, mi chiese scusa, ma più vedendo la mia sorpresa che per suo disappunto.

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Il terzo in occasione di una colazione di lavoro al circolo degli scacchi di piazza in Lucina per farmi conoscere e cooptare nel Cevar Carla Martino di cui da tempo mi parlava molto bene, meravigliandosi del fatto che Dejak, quale capo fila dei liberali, non ne avesse già proposto l’iscrizione. Per una serie di circostanze, nel continuare i discorsi di reciproca conoscenza del dopo colazione, si accentuò il dialogo fra la Martino e me, mentre Paolo …si fece un sonnellino “silenzioso”. Il suo narcisismo culturale lo portava ad assentarsi quando non era coprotagonista del dialogo. E quando faceva finta di essere presente si capiva che era per la sua innata educazione e rispetto degli altri. Il quarto in una delle visite che gli facevo, a Palazzo Chigi, nel periodo del Governo Spadolini. Stavamo parlando di come organizzare un seminario sulla Presidenza del Consiglio, quando venne chiamato dal “Presidente”. Nel far presto, inciampò in un tappeto della stanza e cadde. Credo che si sia fatto anche male. Ma mi dette la sensazione di non essersene nemmeno accorto. Di questa “distratta” caduta mi sono ricordato quando, tanti anni dopo, lessi dai giornali della tragica morte in una tromba di ascensore. Non potei che incavolarmi all’ipotesi del “non incidente” che si lasciava intravedere. Era pigro nello scrivere. Non conosco le sue pubblicazioni per diventare docente universitario. Ma non dovrebbero essere molte. Come tanti altri amici che lo stimavano per le sue lucidi analisi e valutazioni istituzionali, politiche e sociali, gli rimproveravo spesso questa sua ritrosia a scrivere. Un giorno scherzando, ma non troppo, mi disse: “mi piace fare il Socrate, sperando che vi sia un Platone che parli di me”. Camillo Dejak Nella mia ricerca iniziale per conoscere un esponente del mondo della ricerca che fosse autorevolmente rappresentativo del PLI da coinvolgere nelle costituzione del Cevar, fu Mario Rinaldi a segnalarmi il nominativo di Camillo Dejak che conosceva da tempo in quanto facente parte, come liberale, del sindacato dei professori universitari. Mi colpì subito per il suo fisico mitteleuropeo, ma soprattutto per la sua vasta conoscenza del mondo politico liberale. Nella fase di costituzione e di avvio del Cevar ebbe successo nel sollecitare l’adesione delle personalità liberali. Quando Barlaam manifestò la suo volontà di dimettersi da Presidente mi fu facile (e ne fui anche contento) proporlo al CDA come nuovo Presidente. Ho detto in precedenza che il Cevar, dopo qualche difficoltà iniziale, trovò un ambiente favorevole per il suo successo. Ma questo dipese anche dalla sintonia, dalla forte stima e fiducia reciproca fra Dejak e me. Nella gestione del Cevar e nelle scelte, a volte politicamente delicate, che si dovevano fare, lo trovai sempre vicino e con tanto buon senso. Era per me il “ saggio” dell’esecutivo. Per quanto Ungari era inaffidabile per gli appuntamenti, per le cose da fare, Dejak era preciso e puntualissimo. Il suo vezzo era quello di sentirsi di origine austro-ungarica. Corrado Corvi Conoscevo Corrado Corvi dai tempi del Ministero della Ricerca Scientifica.Partecipava, per conto dell’Enel, alle riunioni ed incontri aventi per oggetto la ricerca in materia di fonti energetiche.

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Di origine piemontese, ne aveva i difetti e le virtù. Preciso, puntuale, professionale ma anche burocratico, cauto. Il suo ruolo nel Cevar non era facile. Nel PSDI vi era, comparativamente rispetto agli altri partiti, una presenza abbastanza limitata di personalità di rilievo. Doveva quindi spesso esporsi personalmente, anche in campi diversi a quello delle sua specifica professionalità. In compenso (e questo dimostrava il suo prestigio all’interno dell’ente di appartenenza) l’Enel era molto presente nel Cevar, sia come contributi in occasione di manifestazioni esterne, sia, e soprattutto, in termini di partecipazione alle attività. La sua metodicità, che a volte appariva come monotonia caratteriale, era un punto fermo nel bilanciare la cultura prevalentemente politica di Dejak e Ungari. Non era molto presente nelle riunioni dal CDA, ma seguiva costantemente tutte le attività e garantiva, nelle manifestazioni, la presenza politica del suo partito. Mario Rinaldi Mario Rinaldi non faceva formalmente parte dell’esecutivo, ma data la sua forte amicizia, sia con Dejak sia con me, e soprattutto per il suo tenace impegno, era coinvolto in tutte le scelte ed iniziative strategiche del Cevar. Nel parlare di Mario, rischio di essere partigiano e poco obiettivo: sono ormai quasi 30 anni che ci conosciamo e ci frequentiamo. Nel nostro gruppo di direzione del Cevar era costantemente in posizione di critica, soprattutto per quanto riguarda i comportamenti. Lo chiamavo spesso (come faccio anche adesso) “ Catone il censore”. Ma questo suo lato del carattere, che a volte sembrava eccessivo, risultava sempre molto utile per superare gli scogli che il Cevar doveva affrontare nei momenti di “eccessive esigenze di compromesso”. Questo suo “catonismo caratteriale” veniva compensato dalla forte umanità e solidarietà che lo caratterizzava. Con la conseguenza di rendere simpaticamente accettate le sue frequenti filippiche. Ho conosciuto Mario non solo nel Cevar. Fu molto attivo ed efficace nell’affiancarmi nella nostra presenza in sede Unesco. Era stimato dalla nostra struttura unescana di Parigi, sia per la sua preparazione in merito alla politica della ricerca, sia per il suo essere, anche fisicamente, simpatico. Eravamo insieme anche nelle riunioni e negli incontri della Sezione Ricerca del PSI dove aveva maggior spazio per il suo essere “severo”. Era come me politicamente impegnato, ma sempre con le caratteristiche del tecnico. Non gli era facile in quel periodo di “ rampismo” che caratterizzava gli anni ‘80 del PSI. Ed ora mi è vicino, sempre con affetto ed amicizia, in questo mio non facile lavoro di “concettualizzazione dei ricordi”.

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4. I Personaggi 4.1. - PREMESSA Dopo aver “raccontato” i fatti ed i personaggi” con i quali ho avuto rapporti “diretti e costanti” in ciascuna delle posizioni ricoperte durante l’intero periodo 1973-1990, mi accingo ora a quella che ritengo la parte più difficile di questo libro: parlare dei personaggi che ho incontrato, con minore o maggiore frequenza, non solo nelle mia attività di “gabinettista”, ma anche in quelle sociali e politiche. In coerenza con quanto detto nella prefazione, anche per i personaggi eviterò riferimenti precisi a date e a fatti. Continuo a ritenere opportuna una descrizione di “ambiente, di comportamenti, di analisi e valutazioni” resi meno emotivi dal tempo. I contenuti tecnico-giuridico-istituzionali vengono evidenziati al minimo possibile e limitatamente a quanto basta per comprendere il “clima dei fatti” ed il carattere ed il comportamento dei personaggi. 4.2. - Politici On. Giulio Andreotti (il “muto” colloquio in occasione di una importante seduta straordinaria del CIPE) Come già anticipato nelle prima parte, in mancanza di rifinanziamento del Fondo IMI Ricerca Applicata, agli inizi del 1977 si pose il problema di quali nuovi strumenti pubblici adottare per incentivare tale tipo di ricerca. Sin dalle prime battute emerse un contrasto fra Ministero dell’Industria e Ministero per la Ricerca Scientifica sul chi doveva essere “il coordinatore” ed il principale referente al Cipe nei progetti da finanziare. In questo contrasto il Ministero dell’Industria risultava più forte sia, oggettivamente, per il suo maggior peso economico-politico, sia per il minore interesse di Pedini prima e di Antoniozzi dopo. Già come Vice Capo di Gabinetto, nelle riunioni tecniche preparatorie della legge (alle quali partecipavo come responsabile del Fondo IMI), mi ero preoccupato di evitare che il coordinamento passasse al Ministero dell’Industria, evidenziando sempre che la sostanza degli incentivi non cambiava. Si trattava solo di predisporre strumenti più aggiornati di sostegno alla ricerca. In ciò ero facilitato da un appoggio della Presidenza del Consiglio ed anche dagli ottimi rapporti che si erano stabiliti da tempo con le strutture tecniche del Ministero del Bilancio (segreteria del Cipe) nel corso delle gestione del Fondo IMI. Come Capo di Gabinetto di Antoniozzi mi trovai in condizioni migliori per portare avanti gli interessi “istituzionali” del Ministero della Ricerca Scientifica. In questa veste di maggiore responsabilità e maggiori informazioni ebbi conferma del fatto che, nelle grande maggioranza dei casi, le battaglie, gli intrighi per la gestione del potere dei Ministeri venivano “coperti” dalle esternazioni politiche dei Ministri e dei Sottosegretari, ma in realtà erano promosse e gestite dalle lobby tecnico- burocratiche in collegamento con l’ambiente esterno interessato. Per una serie di circostanze, in tutto il periodo della cosiddetta istruttoria della nuova disciplina riguardante l’innovazione tecnologica, mi trovai ad essere

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l’involontario “portavoce” della lobby Ministero Ricerca-Ministero del Bilancio-Accademia-CNR che contrastava quella Ministero Industria-Confindustria-Banche. Evidentemente non esisteva una formalizzazione di tali gruppi di potere (e non poteva esistere), ma in quel periodo (anche per la fragilità della presenza politica dei Ministri, che duravano poco nel loro incarico) l’attività pubblica ed in particolare quella dello Stato era molto influenzata dalle cordate “all’italiana” che di fatto si formavano di volta in volta sulla base di rapporti istituzionali-sociali-personali. Il fenomeno della P2 emerso agli inizi degli anni ‘80 fu proprio, secondo me, un tentativo (sempre all’italiana) di dare organicità “apolitica” a tali lobbies, facendo perno, ma in maniera anomala, su collegamenti massonici. Comunque, anche in relazione alla robustezza delle lobbies, dopo circa due anni di confronto si era giunti ad un sostanziale stallo, con evidenti rallentamenti delle iniziative di finanziamento alla ricerca tecnologica. Tale rallentamento era però sufficientemente bilanciato dall’avvio massiccio dei progetti finalizzati CNR di prima generazione e di cui ho parlato nella prima parte. E, ad essere sincero, proprio per questo motivo, dalla nostra parte non si insisteva più di tanto a trovare una rapida soluzione: ci si contentava del molto potere che davano le risorse dedicate ai progetti finalizzati CNR. Ma nella tarda primavera del 1979 e credo proprio su spinta del Ministro Prodi (Ministro dell’Industria pro-tempore) venne convocato un CIPE presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per una decisione in merito al “conflitto di competenze” fra i due Ministeri. Il CIPE era presieduto normalmente dal Ministro del Bilancio per quelle pratiche (la grande maggioranza) sulle quali non vi erano contrasti non appianati nelle riunioni preparatorie a livello tecnico. Tali riunioni si tenevano presso il Ministero del Bilancio in cui era incardinata la segreteria del CIPE. In caso di contrasto non risolto, il CIPE veniva presieduto dal Presidente del Consiglio per una possibile soluzione definitiva. Tramite i tecnici del Bilancio (a noi peraltro vicini) seppi che il Ministro Morlino aveva dato disposizioni alla segreteria di preparare una relazione favorevole al Ministero dell’Industria. Dopo una riunione interna, Antoniozzi, che aveva peraltro poco seguito la vicenda, dati i suoi prevalenti impegni al Ministero dei Beni Culturali, convenne sulla opportunità di insistere nella nostra posizione. Purtroppo si sentiva già un europarlamentare (infatti poco dopo si dimise da Ministro) e privilegiava le riunioni di Bruxelles. E proprio il giorno stabilito per la riunione al CIPE, fissata per il tardo pomeriggio, preferì essere a Bruxelles per una riunione della mattina, avendo constatato che poteva essere a Roma in tempo utile. La riunione, se non ricordo male, era fissata per le sei del pomeriggio e Antoniozzi avrebbe dovuto essere al Palazzo delle Minerva verso le quattro, in tempo per gli ultimi aggiornamenti. Ma, per una agitazione sindacale a Bruxelles, il volo per Roma venne inizialmente ritardato di un paio d’ore: Antoniozzi potè confermare la sua presenza al CIPE per le sei, avvisandomi però che sarebbe arrivato direttamente a Palazzo Chigi dove avrei dovuto aspettarlo. Per fare in modo che arrivasse aggiornato, mandai un suo collaboratore a riceverlo direttamente all’aeroporto con gli appunti illustrativi della nostra posizione. Come d’accordo con Antoniozzi , prima delle sei ero già nell’anticamera della sala riunioni del Consiglio dei Ministri (dove si tenevano anche quelle del CIPE,

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quando presiedute dal Presidente del Consiglio) che, a mano a mano, si andava affollando di Ministri e collaboratori. Ma alle sei Antoniozzi non era ancora arrivato. Poco dopo tale ora, il dott. Milazzo mi chiese notizie, preoccupato dell’assenza del Ministro. Gli suggerii di spostare ad altra data l’esame della “questione”. Non ebbi risposta. Dopo circa dieci minuti vidi Andreotti avviarsi verso la sala del Consiglio. Pensavo che era stato rinviato l’esame del punto all’ordine del giorno che ci riguardava. Invece non si era nemmeno chiusa la porta che si affacciò Milazzo, dicendomi: “Dott. Valentini, venga dentro. Il Presidente mi ha detto che il primo punto che tratterà sarà proprio quello che vi riguarda e che Lei può partecipare alla riunione, anche senza la presenza del Ministro”. Entrai nella sala del Consiglio, guardato con curiosità da tutti i presenti, ed in particolare dal Ministro Prodi. E mi sedetti dietro la sedia vuota segnata con il nome del Ministro. Dopo una breve introduzione Andreotti invitò Morlino a riferire sullo stato della “questione”. La relazione del Ministro si caratterizzò per la unilateralità a favore del Ministero dell’Industria. Per fortuna tale unilateralità era tanto evidente da fare emergere nettamente una certa difficoltà di Prodi ed una mal celata insofferenza di Andreotti che, nel frattempo, cominciò a guardarmi con una discreta insistenza quasi per percepire nel mio volto le reazioni alle parole di Morlino. E così ebbe inizio quello che ho definito il muto colloquio fra Andreotti e me. Subito dopo, a prospettare le ragioni del suo Ministero intervenne Prodi che, forse sorpreso, ma visibilmente infastidito dall’eccesso di zelo di Morlino, aggiunse poche parole (era apparso chiaro che la relazione di Morlino aveva fatto proprie tutte le “motivazioni” suggerite dal Ministero dell’Industria). Ebbi il timore che, in deroga alla prassi, fossi invitato a parlare, sia pure informalmente, per conto del Ministro. Invece, con la sua flemma caratteristica, Andreotti, leggendo gli appunti che gli avevano preparato, cominciò una specie di dialogo socratico (domande-risposte-riflessioni-domande-risposte) con Prodi (per approfondimento dei contenuti) e con Morlino (per evidenziarne, con delicato sarcasmo, l’unilateralità e contraddittorietà della sua relazione). Dal modo con cui Andreotti cominciò a guardarmi, capii che si aspettava da me quelle integrazioni e quelle valutazioni che avrebbe dovuto dare Antoniozzi. E così per una buona mezz’ora potei vivere una esperienza non comune in una riunione di Ministri, in cui avevo il ruolo del tecnico che parlava, per conto del proprio Ministro, con la mimica facciale, quasi impercettibile, che sostanzialmente poteva esprimere solo un sì o un no. Non fu risolto il conflitto di competenza, ma i Ministri interessati vennero incaricati di approfondire la questione e trovare una soluzione alla luce di quanto emerso dalla discussione. Uscendo dalla sala del Consiglio, percepii il sorriso di Andreotti (con un grazie però appena sussurrato), lo sguardo abbronciato di Prodi, il muso nero di Morlino. Ma la cosa che più mi sorprese fu il fatto che Milazzo si alzò per accompagnarmi all’uscita della sala, senza dirmi nulla, ma visibilmente soddisfatto. Per vicende connesse prima con le dimissioni di Antoniozzi da Ministro della Ricerca Scientifica e dei Beni Culturali (per incompatibilità con la sua elezione, con notevole successo personale, al Parlamento Europeo) e poi con le mie da Vice Capo di

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Gabinetto di Scalia, non sono stato più direttamente coinvolto nel conflitto di competenza fra i due Ministeri. Ma questo conflitto venne poi ripreso e risolto tre anni dopo: con legge n.46/1982 (art. 14) venne istituito il Fondo per l’innovazione tecnologica - FIT, di competenza del Ministero dell’Industria. E così iniziava il lungo periodo di “ scoordinamento” della Ricerca scientifica e tecnologica che, a mio parere e’ stato ed e’ una delle cause della diminuzione di competitività del nostro Paese. On. Giuliano Amato (il suo personale ed ufficiale “grazie per tantissime cose”) Pur già conoscendolo come brillante docente di diritto costituzionale, ho incontrato per la prima volta Giuliano Amato nel 1972, in occasione di uno dei tanti dibattiti che si tenevano in quel periodo nella Sezione PSI “Portonaccio” (Via Durantini, sulla Tiburtina). Di quel dibattito, peraltro da me presieduto, non ricordo i contenuti. Ero affascinato dalla lucidità, dalla sinteticità e dalla stringata logica con cui Giuliano esponeva le sue tesi. E per la prima volta nella mia sezione non si verificò la tumultuosa contrapposizione fra i rappresentanti delle varie correnti. Come quasi tutti gli intellettuali, Giuliano era della sinistra lombardiana, ma senza il radicalismo che spesso distingueva tale componente del partito. L’uditorio, in prevalenza della corrente “de martiniana” (fra cui mi collocavo in quel periodo) e che normalmente era allenato a frequenti interruzioni, non solo rimase attento e senza pretendere il rispetto dei tempi di intervento, ma tributò un caloroso applauso alla conclusione dell’intervento. E, fatto ancora più insolito, gli interventi dei soliti “compagni” che prendevano sempre la parola per sottolineare “la visuale” della propria corrente, quella volta furono limitati ad evidenziare quella parte dell’intervento in cui più si riconoscevano. Come di consuetudine, a chiusura dell’assemblea, il segretario ed io offrimmo il solito aperitivo (anche se era tarda serata) al bar accanto. E questa fu l’occasione per me, non tanto di chiedere integrazioni ed ulteriori valutazioni “sull’attuale momento politico” (caratteristica comune ai dibattiti della sinistra), quanto per avere notizie sulle differenziazioni “politiche” fra la corrente de martiniana e quella della sinistra lombardiana. Non l’ho poi più incontrato personalmente. Ma dieci anni dopo, nel dicembre 1983, da poco Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (con Craxi) ricevetti una sua breve lettera scritta a mano: “All’amico e compagno Emidio un grazie vivissimo per tantissime cose e i miei auguri migliori“. In quei dieci anni non ci eravamo mai incontrati, ma entrambi ci “seguivamo”. E tuttora mi sembra di conoscere Giuliano come se ci fossimo molto frequentati.

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4.3 - Nella Ricerca scientifica ed Università Ernesto Quagliariello (il presidente CNR “ apparentemente” distratto) Non credo di aver visto Quagliariello durante il brevissimo Gabinetto Pieraccini, però ne ho un ben chiaro ricordo di quando, agli inizi del Gabinetto Pedini, mi venne fatto conoscere da Mancini. Ebbi subito una forte delusione: più che il presidente del CNR, nostro massimo Ente di ricerca, mi pareva un simpatico medico di uno dei paesoni della Puglia. E questa sensazione mi rimase per tutto il periodo Pedini. Anche quando ebbi modo di conoscerlo meglio, durante il mio periodo di Capo di Gabinetto di Antoniozzi, il mio giudizio non subì sostanziali modifiche: dal medico passai all’avvocato astuto. Ma a parte queste valutazioni comportamentali, rimane fermo il mio giudizio positivo sul ruolo di Quagliariello nella storia della ricerca del nostro paese. Per meglio inquadrare il personaggio voglio sinteticamente riportare alcuni fatti significativi. Da pochi giorni ero entrato nelle mie funzioni di Capo di Gabinetto quando ci fu il rituale primo incontro con Antoniozzi e me. Venne accompagnato dal vice presidente Giuseppe Biorci (che già conoscevo nella commissione ricerca del PSI) e da due giovani, per me allora del tutto sconosciuti: Garaci e Rossi Bernardi. Durante tutta la riunione Rossi Bernardi non fece che scrivere, Garaci sembrava che stesse lì per caso, Biorci si sforzava di dare sistematicità, con molto tatto, alle esposizioni di Quagliariello. I successivi 18 mesi mi confermarono il ruolo di Garaci e Rossi Bernardi nelle decisioni del CNR. In una delle occasioni di successivi incontri, dopo avermi, con la sua solita enfasi, lodato la coppia mi parlò anche di Lucio Bianco (allora ricercatore molto noto nel CNR e non solo per essere fratello di Gerardo), anticipandomi che certamente almeno uno dei tre sarebbe stato un futuro Presidente del CNR. Conoscendo tutti i Presidenti dei comitati scientifici del CNR e buona parte dei Rettori di Universitá con aspirazioni “di carriera”, non detti nessun valore alla previsione che vidi solo come una conferma di ciò che si pettegolava circa l’influenzabilità del Presidente. In un convegno della commissione ricerca della DC, a cui Antoniozzi aveva delegato Quagliariello e me a rappresentarlo, da quasi tutti gli intervenuti piovvero critiche sulla scarsa presenza di Antoniozzi nella ricerca e sulla conseguente gestione tecno-burocratica della politica della ricerca (con chiaro riferimento a noi). Dopo pochi giorni, incontrando il Ministro gli riferì invece che il convegno era stato un successo per il Ministero. Dopo la riunione, accortosi delle mia sorpresa e delle mie preoccupazioni, mi seguì nella mia stanza e con aria di chi si sente saggio mi disse:“ mio caro, a te è sembrato che io non abbia detto veramente come sono andate le cose, che non abbia detto la verità. Ma che credi che Dario (Antoniozzi) non sia stato già informato dai giannizzeri presenti al convegno? Io ho detto quello che Dario si aspettava che dicessi. Forse stiamo anche raccogliendo i frutti dei nostri predecessori, ma certamente questo è un periodo positivo per la ricerca nel nostro paese. Non si deve dar peso alle “polemiche politiche”: sono i fatti che contano e noi stiamo badando ai fatti”. Nell’autunno del 1978, in occasione del ventennale della Nato, vi fu un incontro dei Ministri della Ricerca scientifica dedicato alla politica scientifica.

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La delegazione, abbastanza folta, oltre al Ministro aveva come principali esponenti Quagliariello e Zichichi, allora presidente dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Terminata la seduta inaugurale, Antoniozzi lasciò Quagliariello a rappresentarlo. E ciò comportava che il “ sostituto del Ministro” occupasse una delle due sedie di prima fila (una riservata sempre all’Ambasciatore). Il giorno dopo, dovendo anche lui rientrare in Italia, si raccomandò al Segretario di ambasciata (che era responsabile delle galateo Nato) di far sedere al suo posto il presidente del comitato del CNR Chimica e non Zichichi, sostenendo l’importanza politico-scientifica del CNR. Nel parlare del personaggio Zichichi, dirò più in dettaglio come andò a finire questa tipica disputa accademica nelle riunioni internazionali. Infine, nel breve periodo di interim alla ricerca scientifica, dopo le dimissioni di Antoniozzi e prevedendo le mie difficoltà con il successivo Ministro, un giorno mi disse a bruciapelo: “ Caro Emidio, tutti stiamo apprezzando il tuo modo di condurre il Gabinetto e tutto l’ufficio del Ministro, però hai un difetto: non chiedi mai nulla“. Ho riportato questi quattro fatti per evidenziare alcuni lati costanti dei suoi comportamenti. Il primo (il Quagliariello barone) era quello di considerare la posizione istituzionale occupata non come propria (quindi poco familismo o amicalismo), ma come una cosa da “gestire” con persone dell’istituzione, in una successione programmata sulla base di esperienze acquisite vicino, e con stima, alla persona a cui si doveva succedere. La realtà è poi andata al di là delle sue previsioni: la Presidenza del CNR è stata garantita per quasi venti anni, ed in successione, proprio dalla triade Garaci-Rossi Bernardi-Bianco. Il secondo era quello del “ piacione”: doveva riuscire simpatico e rasserenante a tutti i costi. Il terzo lato dei suoi comportamenti era rappresentato dall’esigenza di veder privilegiato ed evidenziato il proprio ruolo, anche e soprattutto negli aspetti formali: il Quagliariello geloso. Il quarto ed ultimo era il suo desiderio di essere fulcro riconosciuto del complesso sistema di potere Accademia-CNR: il Quagliariello-rete. Tutti questi comportamenti erano resi mediaticamente accattivanti con il suo saper essere attore: tutti si ricordano le commozioni (talvolta lacrime) che caratterizzavano le sue “ esternazioni”. Quagliariello ha svolto un forte ruolo in quegli anni di illuminismo della Ricerca. Purtroppo tutte le iniziative finanziarie, normative e culturali di quel periodo sono poi sfociate in uno sterile, episodico e frammentario quadro di interventi che, a mio parere, hanno poi contribuito a determinare l’attuale basso livello di competitività del nostro Paese. Mi accorgo che, nella galleria dei personaggi, mi sono molto dilungato nel parlare di Quagliariello. L’ho fatto per due motivi: - il primo è quello di averlo più approfonditamente conosciuto negli anni di Gabinetto alla Ricerca Scientifica; - il secondo per una mia voluta compensazione, purtroppo postuma, alla sua amarezza per il sentirsi trascurato e dimenticato quando non era più Presidente del CNR.

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Luigi Rossi Bernardi (il Presidente CNR “primo della classe”) Dopo averlo conosciuto come assistente di fiducia di Quaglieriello ho avuto anche la possibilità di frequentarlo e di apprezzarne le doti di mediazione nel turbolento mondo della ricerca scientifica italiana. Tali doti, unitamente a quelle di essere un conservatore “coraggiosamente” innovatore, gli hanno consentito di far parte sempre di quel ristretto gruppo di personaggi che da più di vent’anni ha influenzato ed influenza la politica scientifica del nostro paese. Notoriamente di area catto-democristiana, non si lasciava influenzare, se non raramente, da questa sua appartenenza. Nel periodo di transizione fra Antoniozzi e Scalia alla Ricerca Scientifica durante il quale le pressioni per il mio “ licenziamento” si fecero più insistenti, non esitò a consigliarmi appoggi nella lobby delle ricerca medica. Mi disse sostanzialmente quello che poi avrei appreso a mie spese: “Caro Emidio, per stare a galla nel difficile mondo di interessi rappresentato dalla ricerca non universitaria non basta essere intelligenti, preparati e corretti”. Non seguii il suo consiglio. Questa sua laicità me la confermò successivamente quando con il Cevar organizzammo un convegno a Bologna per dare un sostegno alla candidatura di Roversi Monaco, notoriamente non democristiano, a Rettore dell’Universitá. Enrico Garaci (il Presidente CNR“ barone”) Durante la mia presenza al Ministero della Ricerca Scientifica non riuscivo a vedere Rossi Bernardi senza Garaci e viceversa. Iniziato con Quagliariello, si consolidava con loro il potere della “medicina” nella gestione del CNR . Garaci si caratterizzava per un comportamento notevolmente curiale. Andreottiano da sempre, dava la sensazione di essere un esponente potente, ma non visibile, della Roma che conta. Alla loquacità controllata di Rossi Bernardi facevano riscontri i suoi sussurrati commenti. Mi meravigliai molto quando si candidò come sindaco di Roma. Venne ingiustamente bollato come sig. Nessuno. In politica è la visibilità che paga e a Garaci non piaceva apparire sui giornali. Alla sua tenacia, alle sue doti organizzative ed alle sue relazioni romane, si deve la nascita, allora abbastanza contrastata, dell’Università di Tor Vergata. Lucio Bianco (Il Presidente CNR “Ingegnere”) Con Lucio Bianco, nella presidenza del CNR alla “farmo-medicina“ subentrò la “gestio/ingegneria”. Probabilmente la nomina a presidente di Lucio venne agevolata dall’essere fratello di Gerardo; personalmente però ritengo di no. Con la forte e valida collaborazione di Agostino La Bella, aveva governato e portato a termine, con successo, il progetto finalizzato Trasporti. Si era fatto le ossa dirigendo per tanto tempo un progetto complesso e tecnologicamente significativo. Come membro del Consiglio Scientifico potevo facilmente constatare l’efficacia della sua direzione. Forse esagero, ma credo che il progetto CNR trasporti possa essere considerato uno dei migliori per risultati ottenuti per il buon utilizzo delle risorse a disposizione.

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Lucio, dopo alcuni contrasti iniziali, fu spesso attivamente presente nelle mie iniziative ed in particolare nel Fepa. Nella fase di avvio del progetto dette molta collaborazione per il suo decollo contribuendo fra l’altro, come docente, alla formazione degli esperti Fepa. L’ho conosciuto molto poco come Presidente del CNR. Ma mi è piaciuto come ne è uscito, facendo emergere il carattere orgoglioso e tenace delle nostre montagne irpino-lucane. Vittorio Cecconi ( l’accademico ...terzomondista) Conosco Vittorio Cecconi e ne sono affettuoso amico, da quando, come membro e segretario del Comitato ingegneria del CNR (nei lontani anni ‘80), lo incontravo insieme a Giuseppe Biorci che ne era il Presidente. E da allora non ha mai smesso di far parte di qualche organo del CNR. Vorrei parlare di Vittorio cosi come è ora e non usare il passato come per tutti gli altri personaggi. Ma fra le regole che mi sono imposto, nel tratteggiare i profili dei personaggi che ho conosciuto, vi è quella di non fare riferimenti alla loro attuale attività. Nelle non frequenti riunioni della commissione ricerca del Partito si distingueva per le sue esigenze di “fare sistema” che non trovavano però molto spazio in un ambiente, come quello del PSI, culturalmente individualista. Aveva una straordinaria attitudine all’uso della logica insiemistica e alla interpretazione giuridica di norme tecniche. A volte dava la sensazione di essere più un esperto giurista nelle problematiche tecniche che “l’elettricista” (come lui si compiaceva autodefinirsi). Probabilmente ha nel DNA la cultura logico-giuridica del suo nonno materno, autorevole presidente del Tribunale di Messina nell’immediato dopoguerra. Un’altra caratteristica era il suo terzomondismo, maturato nell’esperienza di Professore e Preside nella Facoltà di Ingegneria di Mogadiscio, ai tempi di Siad Barre. In aprile del 2001 facemmo insieme un lungo viaggio in Perù e Venezuela, incontrando rettori e presidi delle Università di Lima e di Caracas. Ne ritornai sempre più orgoglioso di essere suo amico. Luigi Campanella (il politico della ricerca) In Luigi Campanella non sono mai riuscito a vedere il professore di chimica ed il ricercatore. Prevaleva sempre in lui il politico ed il sindacalista. Sembrava politicamente impegnato a tempo pieno non solo nel campo specifico della ricerca, ma anche in quello cittadino. Negli anni del dopo ’68 tutta una generazione di giovani intellettuali privilegiava la politica alla quotidianità del lavoro istituzionale. Lo ricordo sempre con il suo motorino, presente a tutte le manifestazioni che il PSI organizzava. Era entusiasta ed orgoglioso di essere socialista. E’ stato con me vicino nel Cevar, dove aveva modo di far emergere la “sua” politica, romanescamente sentita. La sua predisposizione a rimboccarsi le maniche lo ha fatto crescere accademi-camente; è stato Preside di Scienze ai tempi di Tecce Rettore. Ma non ne ho più sentito parlare come “politico”; forse, come tanti, ha preferito dedicarsi esclusivamente ad una personale gestione politica della sua attività professionale.

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Luca Anselmi (il tessitore pisano) Ho conosciuto Luca Anselmi come socio e attivo partecipante all’attività del Cevar. Faceva parte di quel gruppo di liberali cui faceva riferimento Dejak ogni qual volta vi era da individuare personalità da coinvolgere in convegni e seminari. Una conoscenza più approfondita l’ho avuta in seguito (proprio in questi ultimi anni), ma allora i rapporti erano solo in occasione di manifestazioni che lo vedevano coinvolto. Pur con questi limiti, lo ricordo come un efficace relatore nelle tematiche economiche che frequentemente si affrontavano nel Cevar. Era politicamente liberale, ma non ne faceva una bandiera da sventolare in ogni occasione. Nei suoi interventi e nei suoi colloqui prevaleva il sociale ed economico. Non si percepiva il suo essere professionalmente un “aziendalista”. Solo molto dopo (in questi ultimi anni) ho potuto stimarlo come docente di economia aziendale. Allora, come tutti gli intellettuali politicamente impegnati, era ecletticamente portato alle tematiche meno professionalizzate. Roberto Passino (il colto acquatico) Pupillo di Caglioti, il presidente del CNR degli anni ‘60, ha coniugato sempre molto bene il suo essere ottimo organizzatore e manager di ricerca con il suo essere di area socialista. Professionalmente aveva lo scopo di valorizzare, di dare prestigio alla sua creatura, l’Istituto delle acque CNR. La sua diffidenza sarda, unita ad un accentuato narcisismo, lo rendeva a volte antipatico. Era però indispensabile quando si doveva sintetizzare una valutazione o una scelta di politica scientifica. In Passino vi era un pezzo di storia della ricerca del CNR. Ha dato anche una sua forte collaborazione al Cevar di cui è stato per molti anni membro del CDA. Spesso era in coppia con Aldo Romano, anche se caratterialmente molto differenti: Aldo fisico affabulatore e lui ingegnere poco loquace. Entrambi erano “fisiologicamente” portati alla ricerca del potere “culturale-accademico”. Il che non sempre è un difetto. Agostino La Bella (il sistemista americano) Ho citato spesso La Bella nelle precedenti pagine. Ricordo le sue difficoltà di inserimento nelle università italiane, dopo essere stato diversi anni negli Usa a specializzarsi. Ma tali difficoltà vennero da lui accettate con pragmatismo evitando le solite lamentele sulla fuga dei cervelli dal nostro paese. Si rimboccò le maniche, facendo tanta gavetta come ricercatore nel CNR. L’ho conosciuto agli inizi degli anni ‘80 quando il progetto Trasporti faceva i primi passi. Mi colpì subito per la sua velocità nella comprensione dei problemi e nel suggerire le possibili diverse soluzioni. Come principale assistente di Lucio Bianco

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contribuì molto a far uscire il progetto dalla secche in cui si stava impantanando a causa di un approccio che oscillava fra l’eccesso di tecnologia privilegiato dalla Fiat e la routine universitaria degli spezzettamenti a tappeto. Allievo di Ruberti, non si limitava alla “ teoria dei sistemi”, ma ne ricercava costantemente l’applicazione ai progetti che di volta in volta affrontava. Per un certo periodo avemmo un ruolo parallelo per quanto riguarda l’enfasi alle problematiche gestionali nel sistema aziendale del nostro paese. Mentre con il progetto Fepa impegnavo me e le migliori risorse intellettuali della PA nel rinnovare i sistemi gestionali delle strutture pubbliche, lui si batteva e con successo per la costituzione di cattedre e facoltà di ingegneria gestionale Ed ora è il punto principale di riferimento per tutta la generazione di ingegneri gestionali formatisi a partire dai primi anni ‘90. Sergio Stipa (il potere della “chirurgia accademica”) “Mani di velluto”, così veniva bonariamente definito, nell’ambiente dei suoi amici e conoscenti, Sergio Stipa, per la sua notissima abilità di chirurgo. Ho potuto direttamente constatarlo in occasione di una delicata operazione cui dovetti sottopormi nel 1976. L’ho conosciuto sin dal 1974, quando con Pieraccini aveva avuto una piccola commessa di ricerca per la sua cattedra. Pur sapendo che il suo tempo era oro ( nel vero senso della parola) trovava gli spazi per dedicarsi anche ad attività culturale-promozionale. Di area socialista, frequentava però poco via del Corso. Fu uno dei punti principali di appoggio nella fase iniziale del Cevar, di cui era un socio fondatore e membro del CDA. Umberto Colombo (cultura e tecnologia) E’ stato uno di principali testimonial del Cevar; anche se si faceva vedere raramente nelle riunioni del Consiglio Scientifico di cui era Presidente. Ma la sua “adesione convinta” al Cevar ed alla sue finalità dava un indubbio prestigio alla nostra associazione. Nelle poche volte in cui ci siamo incontrati ho avuto sempre conferma di trovarmi di fronte ad un tecnologo con interessi a tutto campo. Era un nuclearista convinto, ma conscio dei rischi collegati alle tecnologie del nucleare. Con lui l’Enea cominciò a differenziarsi dall’originario Cnen di Ippolito. Dava a volte la sensazione di essere eccessivamente disponibile nei riguardi del nostro italico e confusionario ambientalismo. Invece era un fautore ante litteram del nucleare “sostenibile”. Purtroppo poi nella debolezza strategica della nostra politica tecnologica prevalse il radicalismo antinucleare. E l’Italia perse tutto quel know-how accumulato in tanti anni di ricerca e non solo in ambito Cnen. Giuseppe Biorci (la cultura dell’ingegneria) Giuseppe Biorci, come Vice Presidente del CNR e soprattutto come Presidente del Comitato Ingegneria ed Architettura è stato per tanti anni l’esponente di massimo rilievo tecnico-politico, fra gli accademici e i ricercatori di area laica e socialista. Nel periodo in cui ero Capo di Gabinetto alla Ricerca Scientifica ed in quello successivo del Cevar mi è stato sempre vicino, con la sua profonda conoscenza del mondo della ricerca soprattutto tecnologica.

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Ogni tanto, magari in qualche trattoria vicino al CNR, lo incontravo con Rinaldi e Cecconi. E facevo fatica ad inserirmi con la mia cultura aziendale-amministrativistica fra i tre colti ingegneri. Paolo Bisogno (la storia del CNR) Nel rispolverare libri e carte per documentarmi ho ridato un’occhiata al voluminoso libro di Paolo Bisogno sui ricercatori in Italia. La sua affettuosa dedica mi ha rinverdito i ricordi. Il suo Istituto di documentazione era il perno non solo delle informazioni sulla ricerca del CNR, ma anche su quella di tutto il Paese. A quei tempi la relazione al Parlamento sulla ricerca veniva redatta dall’Istituto di Bisogno. Era evidentemente concordata, nelle linee politiche, con il Ministro della Ricerca, ma la base era data da Paolo. Lo ricordo sempre gioviale, disponibile, forse anche un pochino salottiero. Ma questo lo aiutava nel suo essere, nella sostanza, anche responsabile delle relazioni pubbliche e internazionali del CNR. Era sempre pronto ad ovviare alle dimenticanze ed alle distrazioni di Quagliariello. E’ passato poi a fare il Professore. Ma per i suoi amici è rimasto il prestigioso Direttore dell’Istituto di documentazione del CNR. Sabino Cassese (il professore influente) Dovendo evidenziare, sinteticamente, il lato più caratterizzante del prof. Cassese ho avuto molti dubbi. La complessità, professionalità, genialità e caratterialità ne fanno, a mio parere, un personaggio unico nel panorama degli amministrativisti del nostro paese. Ero orientato per il “professore opinionista”, anche per la lettura dei suoi lucidissimi attuali articoli sul Corriere della Sera. Alla fine, riflettendoci molto, ho optato per il “professore influente”. Ho avuto modo di conoscerlo a lungo sia nel progetto finalizzato Pubblica Amministrazione (di cui ho raccontato in precedenza), sia nell’Osservatorio sul pubblico impiego del Dipartimento della funzione pubblica. Le sue opinioni non erano mai esplicitamente e, meno che mai, apoditticamente, enunciate. Erano conseguenza delle sue analisi che mi appassionavano (ed invidiavo un poco) per la loro serrata logica e completezza. Là per là poteva dare la sensazione di privilegiare le critiche negative alla positività delle proposte; ma in una situazione di normativa e regolamentazione giuridico-amministrativa spesso contraddittria, confusa ed eccessiva come quelle che caratterizzavano allora il nostro paese, era più efficace e produttivo “ far ragionare” sulle vie da non percorrere. Ed in questo mi ricordava Giannini. Ma a differenza del maestro che tendeva a porsi spesso sull’Aventino, Cassese riusciva a coniugare analisi critiche con permanenza nelle stanze delle decisioni. Nello stesso periodo in cui dirigeva il Progetto CNR, io dirigevo il progetto Fepa (con quasi gli stessi obiettivi). Rimasi sorpreso nel non poterne constatare il suo appoggio. Ma non ne ebbi nemmeno ostacoli.

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E’ stato però il Ministro Cassese a “volere“ la legge 29/1992 che, fra l’altro, dette corpo e obbligatorietà giuridica alle innovazioni gestionali elaborate e prototipicamente realizzate, ma soprattutto culturalmente diffuse, nei cinque anni del progetto Fepa. Luigi Donato (il potere della medicina “d’avanguardia”) Ricordo nettamente il primo incontro-scontro con Luigi Donato: ero da poco arrivato alla Ricerca Scientifica con Pieraccini quando un giorno lo vidi entrare nel mio ufficio, quasi senza bussare. Non sapendo, come dopo ebbe a confermarmi, che la mia presenza era dovuta proprio a qualche lentezza del mio predecessore, cominciò subito a lamentarsi, ma con arroganza, dei ritardi delle liquidazione nelle sue missioni in rappresentanza del Ministero. Notai subito che la sua aggressività si attenuò quando non gli fui da meno nella risposta. Con il passare degli anni (è stato anche membro del consiglio scientifico del Cevar) ho avuto modo di conoscerlo meglio e valutare positivamente questa aggressività “voluta e strumentale” nella sua innovativa attività di “ medico-tecnologo” di Cardiologia. In quel periodo era il più tenace assertore della tecnologia in campo medico e soprattutto portatore di interessi del sistema tecnologico sanitario. Ma chi è missionario, spesso contrastato, della tecnologia innovativa (come lo era Donato) viene talvolta considerato come portatore di interesse di “mercato”. Ora il nostro paese è fra i più avanzati nell’uso della tecnologia cardiovascolare; molto si deve, a mio parere, al barone missionario dell’Università di Pisa. Mario Del Viscovo (il bravo e ... inascoltato consulente Fiat) Come Donato, anche Del Viscovo l’ho conosciuto sin dai primi giorni del mio arrivo alla ricerca scientifica. La comune origine irpina facilitò l’avvio di un rapporto molto forte fra noi due. Ne ho parlato spesso in precedenza, negli specifici fatti riguardanti il mio impegno nella politica della ricerca nei trasporti. Qui ne voglio palare come “ il grillo parlante” nella Fiat degli anni ’70-80. Prima di approdare all’università era stato Capo Ufficio Studi dell’ACI. Ed aveva conosciuto il mondo politico dell’immediato dopoguerra militando, come giovane economista, nel partito d’azione. Frequentando questo mondo si era inserito in quel gruppetto di intellettuali vicino alla Fiat in un momento in cui i patrons delle grandi holding industriali amavano circondarsi di giovani e utopici intellettuali. Nella commissione per la messa a punto del libro bianco sulla ricerca sui trasporti (di cui ho a lungo detto agli inizi di questi libro) e nella quale la Fiat era robustamente rappresentata, Del Viscovo si distingueva proprio nel cercare di ridurre gli spazi “automobilistici”. Era uomo influente Fiat (come si diceva nell’ambiente) o era l’intellettuale di cui la Fiat aveva bisogno per capire ed ostacolare i “ non automobilisti”? Difficile dare una risposta. La mia sensazione, confermata poi dalle successive vicende Fiat, era quella di una certa schizofrenia nel top-management di Via Marconi:

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una coesistenza di pochi ed intelligenti innovatori con molti e non sempre intelligenti conservatori. Ma forse è stata questa la forza del sistema Fiat. Ricordo le sue critiche dure contro il proliferare delle autostrade, mentre si trascuravano le ferrovie dello stato e l’intermodalità. In questo, senza volerlo, era vicino alla tesi della sinistra e degli ambientalisti. Con il passare degli anni sempre di più si manifestava questo contrasto. E gli ultimi, non molti, anni di sua vita Del Viscovo li trascorse nella sua biblioteca (con migliaia di libri ) di piazze del Fante a Roma. Carlo Ciliberto (il rettore socialista e napoletano) Ciliberto innanzitutto era un socialista convinto e dichiarato. Frequentava abbastanza Via del Corso, agevolato in questo dalla presenza di Giunio Luzzatto ai vertici delle Commissione Ricerca (entrambi erano matematici). Non credo però che frequentasse il variegato ambiente socialista del dopo De Martino. In preparazione di un convegno del Cevar organizzato in collaborazione con l’università di Napoli, andai a trovarlo nelle sua stanza di Rettore. Dopo aver messo a punto i dettagli organizzativi, colse l’occasione per parlarmi del suo modo di essere meridionalista, accademico e socialista. Mi rimasero impresse la sua analisi e le fosche previsioni che fece sul partito socialista e su quello napoletano in particolare. Eppure avevamo Craxi Presidente del Consiglio. Ricordo abbastanza bene alcune sue amare conclusioni che sinteticamente riporto e che riguardavano purtroppo anche il Cevar: “Caro Emidio, non so se te ne stai accorgendo, ma il nostro partito sta rapida-mente dilapidando il patrimonio di credibilità accumulato, con difficoltà, ma con entusiasmo. Il sottobosco politico che prima era anche un poco una corte dei miracoli, si sta trasformando ora in una corte di affaristi. A Napoli i voti stanno aumentando, ma quanto durerà e soprattutto (e questo mi lasciò preoccupato) che accadrà di tutti questi nostri “ qualificati compagni” che ora, fra l’altro, movimentano il Cevar?” Rileggendo ora l’elenco dei partecipanti al Cevar, posso notare che il pessimismo di Ciliberto era giustificato, ma solo in parte. Nei piccoli frammenti del vecchio PSI non ne ho trovato quasi nessuno; ma a servizio dello Stato sì, e tanti. Giuseppe De Rita (la costante autorevolezza ) Ho già fatto cenno a De Rita come qualificato testimonial del FEPA. E’uno dei pochi personaggi conosciuti sin dagli inizi del Gabinetto Pedini (1975). Non posso dire di aver avuto con lui una intensa frequentazione; ma nei pochi incontri, soprattutto nella bella sede del Censis di Piazza di Novella, ho potuto invidiargli la sicurezza e la chiarezza nel suo “sociologico monologare“. Ed io, predisposto più a parlare che ad ascoltare, rimanevo silenzioso. Avvalendomi di tutta la produzione Censis di quel periodo ed anche dei suoi consigli, potei contribuire alla preparazione della conferenza Minespol 2 di cui ho detto in precedenza. Si preoccupava spesso delle mie “utopie“, come ho gia raccontato per l’avvio del Fepa.

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Qualche anno fa (quando era Presidente del CNEL) gli ho inviato, per un parere, una mia originale sistematicizzazione di indicatori gestionali per la PA. Mi rispose suggerendomi semplificazioni. Non me lo diceva esplicitamente, ma cercava, ancora una volta, di “mettermi sull’avviso” per una Pubblica Amministrazione diversa da come io “volevo” vederla. Umberto Pellegrini (il profeta, inascoltato, della informatica distribuita) Era docente alla Statale di Milano quando l’ho conosciuto nel mio periodo al Ministero della Ricerca Scientifica. Ma in precedenza era stato inascoltato consulente della Olivetti. In quel lontano periodo (anni ’75-79) non perdeva occasione per affermare che il futuro dell’informatica non era nei grandi “calcolatori”, ma nell’informatica distribuita, realizzata mediante una rete di piccoli computer. Manifestava spesso la sua frustrazione per non essere riuscito a convincere la Olivetti sull’importanza di puntare sui pc. Come conseguenza di questa sua convinzione, dedicava anche molto del suo tempo alle “reti” che allora cominciavano ad uscire dallo stadio dei prototipi. Sintetizzava questa sua visuale pionieristica dicendo spesso che sarebbe stato il software di rete a fare “grande” l’informatica distribuita, la “piccola informatica”. Ricordo le lunghe conversazioni avute con lui nel corso della conferenza IBI di Torremolinos dell’agosto 1978 e di cui ho già fatto cenno in precedenza. Proprio in occasione di tale conferenza decidemmo insieme di dar vita ad una commissione “informatica” presso il Ministero della Ricerca. Agli inizi dell’autunno, anche perché, diventato Capo di Gabinetto di Antoniozzi, avevo un maggior poter decisionale, avviammo i contatti per la costituzione di tale commissione. Pensavamo di mettere a punto una specie di libro bianco sullo stato della informatica nel nostro paese con l’obiettivo implicito di evidenziarne non solo i ritardi, ma soprattutto l’esigenza di puntare sulla “informatica dei pc”. La commissione venne formalmente costituita solo nel tardo inverno del 1979. Con le dimissioni di Antoniozzi prima e con le elezioni anticipate dopo, l’attività del Ministero diventò necessariamente routinaria. Poi vennero le mie dimissioni. E la commissione non iniziò nemmeno a funzionare. Con il Cevar, di cui Pellegrini diventò qualificato socio, cercammo di attivare iniziative culturali con gli stessi obbiettivi. Ma la “promozione culturale” non ebbe risultati significativi, anche perché ormai il pc si stava affermando. E il nostro paese aveva perso il treno. Fabio Roversi Monaco (il Rettore di ...Bologna la dotta) Ho conosciuto Roversi Monaco attraverso Paolo Ungari e, soprattutto, Mario Rinaldi. Spesso mi domando perché, fra tanti Ministri tecnici che si sono succeduti a partire dagli inizi degli anni ‘90, lui non abbia trovato mai una collocazione politica o da grande “commis” dello Stato. Eppure non si può dire che non ne avesse le doti ed i requisiti professionali. L’ho conosciuto agli inizi degli anni ‘80 con il Cevar, di cui era un qualificato membro del Consiglio Scientifico sin dalla sua costituzione. Ho avuto modo di

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frequentare anche la Spisa che a mio parere, a quei tempi, era molto più prestigiosa della Scuola Superiore della PA. Era un poco la Bocconi degli Amministrativisti della PA. La Spisa, pur agevolata dal clima di “Bologna la dotta”, era però il risultato dell’impegno che Roversi vi aveva messo e metteva.

Ho potuto constatare la sua concretezza e capacità organizzative quando, nell’ambito del sottoprogetto “giuridico” del progetto finalizzato CNR “Energetica 2” ho diretto la ricerca poliennale "Problematiche giuridiche ed impatto ambientale nella produzione e distribuzione dell'energia elettrica". Negli anni 1995-1997 sono stato, su sua scelta, membro del nucleo di valutazione dell’Università di Bologna di cui era Rettore. Fra i tanti meriti e “virtù” di Roversi Monaco, vi era certamente qualche difetto, ma non tali da non poterlo annoverare come uno dei Ministri tecnici. Credo che la politica ed il paese ne avrebbero tratto giovamento. E la mia domanda iniziale rimane senza risposta. Antonio Ruberti ( il sistemista…del potere accademico) Ho incontrato poco volte Antonio Ruberti . Il suo collocarsi fra area PSI e area PCI non gli consentiva di schierarsi apertamente nelle iniziative politicamente significative del Cevar in cui era presente come autorevole membro del Consiglio Scientifico. Ebbi però modo di apprezzare le sue doti innate di vivacità intellettuale e di logica raffinata in occasione dei tre giorni di sua presenza al convegno “Quali tecnologie per gli anni “ di Perugia. In un incontro serale conviviale, durante il quale feci il possibile per stargli vicino a tavola, ebbi la possibilità di capire i motivi delle sua difficoltà nel frequentare sia Via del Corso (direzione PSI), sia Via delle Botteghe Oscure (direzione PCI); gli era difficile comprendere la confusione dei socialisti, ma non gli era nemmeno facile adeguarsi alla rigidità sistemica dei comunisti. Rimasi però affascinato dalla sua rapidità di analisi e sintesi. Giovanni Schippa (il Rettore…… di montagna) Nell’ambito del Consiglio scientifico del Cevar, Giovanni Schippa rappresentava il PSDI, ma senza “enfasi”. In realtà era un grande simpatico amicone, orgogliosissimo della sua Università dell’Aquila. Ne parlava come se fosse una piccola Oxford. Si distingueva fra i Rettori con il suo costante privilegiare le innovazioni nella “formazione culturale”, quale presupposto essenziale per lo sviluppo economico/sociale del paese. Come consigliere scientifico del Cevar è stato fra i più attivi e più presenti. Ricordo il suo impegno nell’organizzare all’Aquila il convegno Cevar di tre giorni sul “ nuove tecnologie e occupazione giovanile”. Mi ricordava, ogni tanto, che risultati scientificamente positivi di un convegno vengono più spesso citati e reclamizzati quando si consolidano con “pranzo da ricordare” . Scherzosamente e con affetto nel gruppo di dirigenza del Cevar lo chiamavamo lo “sportivo Rettore di montagna”.

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Giorgio Tecce (il barone della sinistra Croce/ Amendoliana) Ho conosciuto Giorgio durante uno dei tanti incontri avuti, come Capo di Gabinetto di Antoniozzi, per preparare la relazione al Cipe sulla situazione dei Progetti finalizzati CNR. Mi colpì subito per il suo modo paradossale di essere un politico della ricerca, da indipendente di sinistra del PCI. Si stabilì subito un certo feeling fra di noi e così cominciai ad essere attento a tutte le sue provocatorie valutazioni sul Ministero, sul CNR, sulla “cultura” della ricerca della sinistra. Abitando lui nelle vicinanze di Piazzale delle Province (a quattro passi dalla Università) ed io sulla Tiburtina, ogni tanto ci si incontrava sugli autobus della zona. Ed era l’occasione per ascoltare i suoi brevi commenti sulla vicende del mondo della ricerca. Poco dopo esser stato “dimesso” da Scalia, cogliendo l’occasione di un incontro sull’autobus, mi suggerì di fare un poco di strada a piedi . E così conobbi anche il volto umano di Giorgio. E sempre con il suo modo di privilegiare i paradossi, mi manifestò una affettuosa solidarietà che non mi sarei aspettato da uno restio ad evidenziare i suoi sentimenti. E ricordo che quasi come un rimprovero per la mia ingenuità mi disse: “Ma pensavi veramente di poter fare per anni il Capo di Gabinetto di Ministri democristiani da socialista militante? E’ già un miracolo che il tuo incarico sia durato più di un anno.” Quando, costituito il Cevar, lo invitai a far parte del Consiglio scientifico (era allora Rettore dell’Università la Sapienza) pensavo che avrebbe rifiutato. Invece aderì con auguri di successo all’iniziativa. Non partecipò, per coerenza di scelta di campo, all’attività del Cevar, ma ne fu per tutto il periodo un prestigioso “testimonial”. Elio Borgonovi (il barone bocconiano) Di Elio Borgonovi ho fatto cenno quando ho raccontato dell’appoggio della Bocconi al Progetto Fepa. Debbo premettere che Elio, come Mario Rinaldi, manifestava la sua amicizia ed il suo sostegno sempre con forti critiche, soprattutto quando si accorgeva che eccedevo nel mio voler quantificare tutto. Il suo entusiasmo lo portava invece ad enfatizzare gli aspetti culturali, metodologici e motivazionali nella formazione. L’ho incontrato spesso nella sua Bocconi, quando ancora non era direttore della SDA, ma “anomalo” barone della sezione Pubblica Amministrazione. Ho assistito a qualche sua lezione, ho avuto per diversi anni i resoconti dei fepini che partecipavano ai suoi corsi, ho avuto con lui diverse discussioni “animate”. Elio ha avuto, nonostante la sua quasi cecità, un forte ruolo nella modernizzazione della nostra PA, contribuendo, con tenacia ed efficacia: - alla deamministrativizzazione del sistema gestionale pubblico, mediante forti e costanti iniezioni di cultura manageriale “originale” (un mix fra quella calvinista di scuola americana e quella cartesiana di scuola francese); - ad una forte motivazione di tutta una generazione di futuri manager pubblici

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(i fepini di ritorno dai corsi di Borgonovi, mi dicevano: “ne siamo usciti con la convinzione della nostra importanza e responsabilità, ci ha caricati per affrontare meglio la “ palude” del nostro quotidiano”); - all’elaborazione di una normativa che è ora certamente meno burocratica e più aziendalisticamente orientata; - alla crescita di una docenza pubblico-aziendalistica più moderna e meno provinciale e che trova nel gruppo di docenti a lui vicini la parte più convinta ed efficace (cito ad esempio quelli che ho conosciuto come Giancarlo Rebora, Antonello Zangrande e Marco Meneguzzo). Aldo Brancati ( La rete.... della Ricerca Scientifica ) Dario Antoniozzi aveva, come consigliere scientifico, Aldo Brancati, notoriamente di area socialista. I maggiori rapporti di interesse scientifico li aveva non solo con Quagliariello, ma anche con i delfini, Garaci e Rossi Bernardi, e più in generale con l’ambiente scientifico di area democristiana. Io, scherzando, gli dicevo che con lui la gestione del Gabinetto diventava di centro-sinistra. Conosceva come pochi il mondo accademico ed in particolare quello ruotante intorno al CNR. E questa sua sensibilità sugli “umori” di questo mondo mi aiutò molto nel superare le difficoltà di Capo di Gabinetto. Privilegiava il senso di amicizia, ma senza gli eccessi del familismo tipico della sua Calabria. Ero quasi certo che dopo Rossi Bernardi e Garaci il presidente del CNR sarebbe stato lui. Invece successe a Garaci come Rettore di Roma Tor Vergata. Ma al suo curriculum aggiunse poi quello di Senatore della Repubblica. Nicola Cacace (il lavorista… del futuro) Con il Gabinetto Pieraccini ho avuto la possibilità di frequentare Nicola Cacace, che, sin dai tempi dei Giolitti Boys, aveva cominciato a costruirsi una nicchia come anomalo ingegnere sociologo, nel campo della futuribile offerta di lavoro giovanile. Era di facile frequentazione, ma non di facile dialogo. La sua cultura ingegneristica gli consentiva di canalizzare la multiformità di interessi che la sua genialità alimentava. Si dedicava prevalentemente alle professioni emergenti e future, ma si cimentava, e con successo, nel campo più vasto dell’economia. Era presidente dell’Isri (Istituto per la ricerca industriale) da lui fondato; per lungo tempo è stato anche consigliere di amministrazione della BNL. Notevolmente politicizzato, era molto ascoltato a Via del Corso. Pur facendo parte del Cevar, partecipava poco alla sua attività. Non credeva molto nell’area laica e socialista. Privilegiava di più i rapporti con l’area comunista. Non fu possibile coinvolgerlo direttamente nella mia attività di responsabile del settore “occupazione giovanile” nella direzione nazionale del PSI. Ma nelle occasioni in cui ci si incontrava e quando andavo a trovarlo all’Isri (dove peraltro lavorava mio figlio) avevo l’occasione per ascoltare i suoi entusiasti monologhi a tutto campo. E la mia conoscenza ed approfondimenti sul mondo del lavoro dei giovani hanno avuto, comunque, in Nicola un costante punto di riferimento.

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Enzo Cheli (il senso dello Stato… da socialista ) Sin dagli inizi della sua attività il Cevar potè contare sulla disponibilità e sul prestigio aggregante di Enzo Cheli. Quando si cercò di dare maggior stabilità ed indipendenza economica alla nostra associazione, mediante cooperative “di area laica”, collaborò con impegno alla costituzione del Cerpis (Centro per la ricerca sulle politiche istituzionali) di cui fu Presidente. Ho potuto poi approfondirne la conoscenza ed amicizia nel corso dei due progetti di cui ho diffusamente detto in precedenza: il progetto Fepa ed il Progetto finalizzato CNR Pubblica Amministrazione. Durante gli anni del Fepa, oltre ad esserne autorevole testimonial, presiedette anche il gruppo di lavoro per il sottoprogetto “semplificazione delle procedure” nel quale si anticiparono le linee guida prese a base per la legge 241/1990. Nelle corso delle riunioni del Consiglio scientifico del progetto finalizzato CNR (era Direttore di un sottoprogetto), trovava sempre tempo per qualche personale scambio di opinioni sulle nubi che si stavano addensando sul Psi della fine degli anni ‘80. Mi è quindi abbastanza facile sintetizzare il personaggio Cheli. In un mondo accademico caratterizzato da prime donne e narcisismo evitava sempre i primi piani, con una modestia di comportamento che a volte poteva sembrare timidezza (e non lo era). In un ambiente conflittuale come quello dell’area socialista (a cui faceva esplicitamente riferimento) l’ho sempre sentito parlare bene di tutti e comunque pronto a comprendere e giustificare. Caratterialmente mediatore, i suoi inevitabili compromessi davano sempre risultati di alto profilo etico/professionale. Non si può dire che avesse carisma da leader, ma non ne aveva bisogno: chi collaborava con lui era motivato dalla sua signorilità, dalla sua professionalità, dai suoi valori, dal suo senso dello Stato. Costituisce, a mio parere, uno di quei personaggi della prima Repubblica che, per profondo senso dello Stato, si sono fatti carico di aiutare il paese nel difficile traghettamento alla seconda. Gianfranco Rebora (l’innovazione gestionale nella Bocconi) Fra i professori della Bocconi ho sempre sentito molto più vicino Rebora. Spesso mi trovo a fare un parallelo fra Agostino La Bella e Giancarlo Rebora. Li considero entrambi “pionieri” nel campo dell’innovazione gestionale; l’uno privilegiando l’aspetto ingegneristico-aziendale; l’altro quello economico-aziendale. Significativa al riguardo la sua prefazione al mio libro su “Nuove tecniche gestionali e Progetto Fepa” integralmente riportata in precedenza. Quando l’ho conosciuto nel lontano secondo quinquennio degli anni ‘80, aveva disponibilità a cimentarsi come tecnico politico nelle attività riguardanti la Pubblica Amministrazione. Proprio con questo ruolo è stato per diversi anni membro del comitato direttivo dell’ARAN, l’agenzia governativa per i contratti del pubblico impiego. Ma le sue doti di genialità e di organizzatore lo hanno portato successivamente ad ampliare i suoi orizzonti. L’ho rivisto nel 1997, come Preside di Economia, nelle sua

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Universita’ Carlo Cattaneo di Castellanza di cui, dal 2001, è anche brillante e prestigioso Rettore. Fu per me una rimpatriata nelle utopie degli inizi del Fepa. Prima di lasciarci, avendo visto che io curiosavo fra i non molti libri della piccola biblioteca della sua stanza da Preside, mi disse con affetto: “I tuoi libri, come quelli di frequente consultazione, li tengo a casa.”. Giantommaso Scarascia Mugnozza (l’accademico concreto di … frontiera) L’ho rivisto recentemente nella villetta liberty di Villa Torlonia, sede della prestigiosa Accademia delle Scienze (o dei Quaranta) di cui è Presidente. Era quasi un decennio che non c’incontravamo. Ero andato con Alberto Conti per parlargli del nostro libro sulla “Politica della ricerca scientifica in Italia“ e per proporgli di fare il Presidente del relativo Comitato scientifico. Pur trovandolo notevolmente invecchiato fisicamente, mi ha sorpreso per la nettezza dei ricordi (di cui avevo perso memoria) e soprattutto per la sua quasi intatta vivacita’ culturale e capacità di analisi. Riporto in sintesi la risposta: “Caro Emidio, posso darti una mano nei ricordi, ma non me la sento di assumere responsabilità e non tanto per la bella utopia del tuo “progetto” quanto per i miei impegni e per i limiti della mia eta’.”. E dopo, per quasi tutto il tempo, mi ha parlato dei progetti della sua Accademia come quando, nel lontano 1979, mi parlava con entusiasmo delle “frontiere” della tecnologia agricola. Questo incontro mi ha richiamato alla memoria la prima volta che l’ho visto insieme a Quagliariello (di cui era molto amico). Voleva affrettare l’approvazione da parte del Cipe del suo progetto finalizzato. Con tenacia, approfittando delle pause del Presidente, si inseriva per parlarmi concretamente dei risultati attesi e delle risorse finanziarie necessarie. Ho incontrato Giantommaso diverse volte anche nelle mie successive attività del Cevar, sempre disponibile a darmi una mano e a consigliarmi. Per completare il quadro sintetico del personaggio descrivo l’incontro che ebbi con lui, quando era Presidente della Conferenza dei Rettori, per parlargli dei primi risultati del lavoro di consulenza che, a titolo personale, mi aveva affidato per analizzare la “gestione” del suo ufficio. A fronte della mia analisi, non certamente ottimistica, mi dette risposte che mi confermarono la sua capacità di comprendere la realtà di quegli anni di transizione dalla prima alla seconda repubblica, di cui lui era un forte attore nel suo ruolo istituzionale di massimo vertice del mondo accademico. E mi dette una lezione di continuità nello Stato: sempre con lo stesso impegno e onestà intellettuale che gli riconoscevo. Forza caro Giantommaso il nostro paese ha ancora bisogno di uomini come te. Giunio Luzzatto (il matematico severo e ... politicizzato) Nella diaspora degli intellettuali socialisti, Giunio si è spostato a sinistra. Non ne sono rimasto meravigliato. Come già ricordato in precedenza, ho avuto la fortuna di incontrare, negli inizi della mia attività di Vice Capo di Gabinetto alla Ricerca Scientifica, personaggi della onestà intellettuale di Enzo Bartocci e Giunio Luzzatto, rispettivamente responsabile e vice della Sezione Ricerca del PSI.

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Mi fu prodigo di consigli e anche di sostegno, nei limiti delle sue possibilità, mettendomi soprattutto sull’avviso da compagni un poco disinvolti nel loro navigare nel complesso mondo della ricerca. Percepivo sin da allora la sua difficoltà di essere presente in un ambiente che sempre più si allontanava dall’etica azionista-socialista di Lombardi cui era culturalmente e politicamente molto collegato. Ma credo che sostanzialmente fosse un intellettuale a suo agio solo in un partito all’opposizione. Non riusciva a giustificare le mediazioni eccessivamente compromissorie. Quando a Via del Corso cominciarono a vedersi con maggior frequenza “i nani e ballerini” Giunio comincio a defilarsi rientrando nella sua Genova dove provò anche a fare politica/politica , ma senza successo. La prima repubblica ormai si stava suicidando e i “Giunio” apparivano delle fastidiose cassandre. Carla Martino (una passionaria … nelle politica dei liberali) Ho già fatto cenno all’incontro culturale al circolo degli scacchi di Piazza in Lucina che Paolo Ungari aveva organizzato per presentarmi Carla Martino. In quasi un’ora di fitto dialogo del dopo colazione, ci sorprendemmo ad avere gli stessi valori, la stessa visuale e valutazione del momento politico culturale che stavamo attraversando (il migliore, a mio parere, per l’area laico-socialista, i primi anni ‘80). In quel periodo Carla era assessore alla cultura della provincia di Roma. Non ci siamo più incontrati, se non in qualche occasione di manifestazioni del Cevar. Però ci scambiavamo consigli e pareri telefonici. Ero convinto che fosse una valida risorsa non solo per il partito liberale, ma per tutta l’area laica e socialista. Per qualche tempo rimase assente dalla politica per motivi famigliari. Pensavo che questo suo distacco fosse definitivo. Avevo torto: è ritornata alla politica, tenacemente e appassionatamente fedele ai suoi principi laici e liberali ed ai suoi valori che mi manifestò nella colazione al circolo degli scacchi. Forza ed auguri, Carla. Valerio Giacomini (l’ambientalista …. sereno ) Nel corso della Conferenza Unesco Minespol 2 di Belgrado (di cui ho parlato in precedenza), tutta la delegazione italiana (come la quasi totalità di quelle europee) alloggiava al Sava Center. Una mattina mi svegliai prima del solito e colsi l’occasione per farmi una passeggiata solitaria lungo il Sava. Appena vicino al fiume notai Giacomini seduto su una panchina un poco arrugginita, ma in una bella posizione. Sapevo già che aveva un tumore in fase avanzata. Lo invitai a fare quattro passi. Accettò con la sua solita gentilezza. Lo conoscevo da tempo. Il progetto MAB Unesco (L’uomo ed il suo ambiente) aveva in lui un entusiasta sostenitore. E la sua sofferenza era quella di non riuscire a sensibilizzare il mondo politico sull’importanza di uno sviluppo tecnologico ed economico che preservasse il rapporto uomo-ambiente. Mi sembrò molto contento di potermi parlare da solo: nelle riunioni collegiali della delegazione non vi era molto spazio per uno timido ed educato come lui.

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E così nel silenzio mattutino del lungo fiume ebbi la fortuna di ascoltare una delle più chiare, ma sofferte illustrazioni di ciò che sarebbe stato poi il cosiddetto sviluppo “sostenibile”. Si sentiva anche la tristezza del momento che viveva e del rimpianto di dover lasciare incompleto un progetto di cui, per il nostro paese, era solitario animatore. Ed ora che nella mia adottiva Umbria ho ritrovato interesse per l’ambiente, penso spesso a quella figura nobile, serena, gentile, timida e appassionata di Valerio Giacomini. Dino Zanobetti (il bolognese … terzomondista) Incontravo Zanobetti in quasi tutte le riunioni della Commissione Nazionale Unesco. Ne era un membro autorevole non solo per la sua specifica preparazione accademica e scientifica, ma anche per essere stato, per molti anni, funzionario presso la sede centrale di Parigi. Ma fu durante la 19ma Conferenza Generale Unesco - Nairobi 1977, già descritta in precedenza, che potei meglio conoscerlo. Approfittando di una giornata di lavori di sessioni alle quali non eravamo interessati, prendemmo a noleggio un taxi sgangherato per andare a vedere il lago Nakuru con i suoi fenicotteri rosa. Ricordo con nostalgia, nell’attraversare una piccola parte dell’altopiano keniota, i dolci visi delle bambine di una scuola di sartoria (con le macchine da cucire a mano) che mi fecero rivivere l’ambiente famigliare della mia infanzia. Ricordo anche la mia sorpresa quando, entrando in un ristorante per la colazione, mi trovai in ambiente molto buio, con clienti tutti negri, e con tavoli unti e da taverna. Non dissi nulla, preparandomi ad accettare di mangiare il meno possibile e nel più breve tempo possibile. Ma Zanobetti mi fece cenno di proseguire e così mi trovai in una seconda sala, molto lunga, più accogliente e con una clientela fatta in prevalenza da indiani e cinesi. E detti un sospiro di sollievo; continuando i confronti con la mia infanzia a cavallo degli anni ’30-40 mi sembrava di stare in una delle trattorie-osterie della Baronia (una zona ristretta e ben definita dell’alta Irpinia). Ma la vera sorpresa fu quando passammo alla terza sala. Mi ritrovai in pieno clima ex colonia britannica (quella vista nei film dell’immediato dopoguerra): un buffet molto ricco e ben esposto, mobilio raffinato, tovaglie linde e camerieri in livrea con i guanti bianchi. E Zanobetti sorrise al vedere il mio viso. Ero così preso dall’ambiente e della varietà dei cibi che volli provare quasi tutto (peraltro senza riuscirci). In questa sala vi erano negri, indiani, cinesi e bianchi, senza distinzione di posti. Ma si capiva benissimo la comune appartenenza ad una certa classe di reddito. Riprendendo il viaggio per il lago Nakuru, Zanobetti mi espose il suo modo di vedere il ”terzomondismo” trasformando in metafora la mia esperienza dei tre livelli di “ristorazione” keniota. Non mi e’ facile fare la sintesi delle sue analisi e valutazioni: “Il problema del terzo mondo è che rimangono sempre i tre livelli del colonialismo. Unica differenza è che il terzo livello è ora occupato dalla nuova nomeklatura proveniente dal primo. Dal razzismo, spesso romantico, del colonialismo si sta passando al “satrapismo” corrotto e dittatoriale degli ex capi tribù. E l’Unesco è ora un’estensione del terzo livello di ristorazione, amalgamata dalla nomenclatura tecno-buro-terzomondista” Oltre alla metafora vi era anche molto paradosso.

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E ora so che nella sua Bologna continua ad essere un punto di riferimento con la sua cultura, con la sua esperienza, con la sua umanità. Antonino Zichichi (il fisico ..affabulatore) Ho conosciuto Zichichi agli inizi del periodo del Gabinetto Pedini, in una delle riunioni di incontri con i Presidenti dei principali Enti di ricerca. Allora era Presidente dell’INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare di Frascati). Non potei non notare il contrasto totale con Quagliariello. Ricordo l’espressione estasiata di Pedini mentre Zichichi parlava dei laboratori di Frascati, del Cern di Ginevra, del complesso e avveniristico mondo della fisica teorica. Anche io ne rimasi colpito, pur notando forse un certo narcisismo. Ma sin da allora percepii una certa non comunicabilità fra noi due. Antonio Mancini mi confermò di trovarsi nella stessa situazione, informandomi comunque che Pedini ne era entusiasta. Debbo ammettere che la mia conoscenza delle problematiche della ricerca risultò notevolmente arricchita. Quando con Antoniozzi le mie responsabilità ed il conseguente potere aumentarono, provai a migliorare i miei rapporti. Ma non ebbi successo. E mi dispiacque. Concludo questo sintetico profilo con il raccontare come andò a finire la disputa circa il posto di sostituto del Ministro in occasione del 30° anniversario della costituzione della NATO (vedere profilo di Ernesto Quagliariello). Il giorno della “sostituzione” del Ministro Antoniozzi, non appena arrivato alla sede Nato, mi venne subito incontro il nostro segretario d’ambasciata per informarmi, preoccupato, che il posto era stato già occupato da Zichichi e che il Presidente del Comitato chimica era notevolmente...arrabbiato e pretendeva che la “sedia“ spettasse a lui. Là per là non compresi l’importanza, per me eccessiva, del farsi vedere al posto del Ministro. Fu comunque per me facile sostenere che aveva ragione Zichichi in quanto nella scala gerarchica nelle manifestazioni internazionali, ad avere la preminenza erano i Presidenti dei principali Enti e non gli Enti in quanto tali. Nel prosieguo della mia attività sia di Gabinetti, sia culturale nel Cevar appresi, a volte a mie spese, che lo scienziato di Erice aveva fatto bene ad occupare in anticipo il posto: si è anche ciò che il “posto”rende evidente. Edoardo Caianiello ( il fisico..cibernetico) Era lo scienziato del clan dei “Caianiello”. Nella sua comunicativa vivacità intellettuale mi pareva molto simile a suo cugino Vincenzo. Come quasi tutti i fisici teorici che ho conosciuto, la sua cultura spaziava oltre lo specifico delle “ particelle”. Nel periodo in cui l’ho conosciuto era concentrato sulla cibernetica e sul suo entusiasmo per i matematici russi che ne erano i principali cultori. La mia predisposizione per la logica e per gli algoritmi matematici mi rendevano particolarmente attento alle sue entusiastiche spiegazioni su analisi, controlli ed applicazioni nelle società umane che la cibernetica avrebbe potuto rendere possibili. Perciò di Edoardo ricordo in particolare questo suo esser fisico-matematico-cibernetico. Agli inizi degli anni ‘90, lo incontrai casualmente in treno (da Roma a Napoli).

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Lo ritrovai con il solito suo entusiasmo per la cibernetica. . Mi ricordo di una lunga discussione causata dalla mia domanda un poco provocatoria: “Ma la cibernetica applicata al sociale dagli scienziati russi non ha contribuito, forse, a falsificare la realtà socio-economica della disciolta URSS?”. Là per là mi sembrò irritato, ma poi ritrovai lo scienziato che comprende la provocazione, peraltro banale, e continuò a parlarmi del suo Istituto e della Facoltà di Scienze di Salerno e soprattutto della sua costante stima per i matematici russi dicendomi addirittura che ne aveva invitato, nella sua Campania, uno dei più prestigiosi. Giorni fa, come sto facendo per tutti quei personaggi che ho perso di vista e ricercando in internet notizie relative a Edoardo, ho letto l’intervista rilasciata, per il “Mattino” di Napoli del 27 luglio 2004, dal Prof Alexandre Vinogradof di cui riporto i passi più significativi: “PARLA ALEXANDRE VINOGRADOV, CHE DA 7 ESTATI RIUNISCE IN IRPINIA SCIENZIATI DI TUTTO IL MONDO «A rischio il centro di studi matematici ispirato da Caianiello» Di Fabrizio Coscia Capita che da qualche anno si riuniscano a luglio studiosi di matematica da tutto il mondo in un centro di eccellenza unico in Italia che ha sede in Santo Stefano del Sole (un piccolo comune del serinese, in provincia di Avellino), senza clamori mediatici, quasi in ascetico eremitaggio. E può succedere - purtroppo accade - che questo centro, la «Diffiety School», pur con la sua eccezionalità da fare invidia a qualsiasi Paese, viva una vita stentata, rischiando di non poter andare avanti. È quanto denuncia il suo ideatore e promotore, Alexandre Vinogradov, considerato tra i sei più grandi matematici del mondo, proveniente dall’Università di Mosca e da oltre dieci anni titolare della cattedra di Geometria presso l’Università di Salerno. ..................................................

Ma l’esperienza della «Diffiety School», la cui idea fu suggerita a Vinogradov da Edoardo Caianiello, è di quelle da non lasciar morire. Professore.. come è nata l'idea di questa scuola? «Sono stato invitato a Salerno dieci anni fa da Edoardo Caianiello. Mi aveva sollecitato a venire parlandomi dei suoi progetti e delle tante possibilità di studio e ricerca che ci sarebbero state in Campania, a partire dalla sua Facoltà di Scienze. Purtroppo il grande scienziato è scomparso poco dopo e mi sono trovato a portare avanti questo incarico senza l’appoggio dell’Università, in maniera privata e basata esclusivamente sul volontariato e sull’apporto fondamentale dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che purtroppo quest’anno ha dovuto affrontare anch'esso seri problemi economici».

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E oggi che prospettive ha la «Diffiety School»?

«Andremo avanti finché avremo le forze, ma è chiaro che il Comune di Santo Stefano non può essere lasciato solo nello sforzo di sostenerci. Senza un serio contributo delle istituzioni la nostra piccola comunità di studiosi andrà incontro a enormi difficoltà di sopravvivenza».”.

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4.4. - Nel settore Trasporti La mia galleria di personaggi incomincia con quelli conosciuti nella mia esperienza precedente a quella che io definisco tecnico-politica e che va dal 1973 al 1991. Ma sono tutti personaggi che ho frequentato anche dopo; ero sempre un ferroviere prestato ai “Gabinetti”. Fra i tanti ho scelto quelli che ho conosciuto meglio e che, in ogni caso, hanno avuto un ruolo nella politica dei trasporti, ed in particolare, in quella del settore ferroviario. Giovanni De Chiara (il brillante ed intelligente ferroviere) Inizio con Giovanni De Chiara per diversi motivi: - il primo, perché lo considero uno dei più brillanti ed intelligenti funzionari che io abbia conosciuto; forse questo giudizio è influenzata dal fatto che Giovanni era l’interlocutore con il quale spesso mi confrontavo dialetticamente, ma sempre con tanta stima ed affetto reciproco; - il secondo, più personale, perché per tutto il periodo di permanenza alla Direzione generale FS è stato l’esempio da avere come riferimento per la mia carriera (anche lui veniva da precedente esperienza di capo stazione); - il terzo per il suo essere stato, per circa un trentennio, il “consigliere tecnico“, non sempre ascoltato, di tutta l’alta dirigenza ferroviaria; - il quarto per il ruolo da lui avuto nella transizione delle FS dal potere gestionale tecnico ed interno (aziendale-sindacale) del periodo della prima repubblica a quello politico-esterno (partitico-lobbystico) degli inizi della seconda. Nei corridoi di Villa Patrizi lo incontravi o correndo (sempre) per andare a conferire o fermo (quasi) per “ animatamente discutere”. Pur con la sua forte capacità dialettica, sostenuta da una memoria alla Pico della Mirandola, era “flessibile” nei confronti dei superiori quando doveva convincerli di una sua tesi. Era il classico consigliere con aspirazione a rimanere sempre tale. E questo è stato forse il suo limite, ma anche la sua forza. Quando, rientrato nelle FS (agosto 1990), lo andai a salutare nel suo ruolo di Direttore Generale, lo trovai molto stanco. Aldo Bonforti (l’influente ferroviere ) Ho conosciuto Aldo Bonforti tramite De Chiara. Entrambi rappresentavano la parte amministrativista del Sindifer (Sindacato direttivi ferroviari), un sindacato autonomo di cui ho fatto cenno in precedenza. Di area socialista, aveva però una forte caratterizzazione di indipendenza; frequentava malvolentieri la sezione trasporti del PSI, pur essendo sempre disponibile a collaborare su specifiche iniziative. Il suo “pallino”, perseguito con tenacia e successo, era quello di “una pari dignità” con la categoria degli “ingegneri”, che da sempre monopolizzavano i posti di vertici delle FS. Ero già distaccato alla Presidenza del Consiglio quando, su sua iniziativa, venne costituito il Cafi (Collegio Amministrativi Ferroviari Italiani) che avrebbe dovuto contrapporsi al Cifi (Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani).

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Su suo invito partecipai anch’io alla sua costituzione e detti il mio contributo agli inizi dell’attività, facendo parte della redazione del periodico dell’associazione. Di tanto in tanto rifletto sul ruolo di Bonforti nelle vicende ferroviarie degli anni ’70-80. Certamente ha contribuito alla crescita di una generazione di funzionari e dirigenti amministrativistici, anche se con il limite di un certo familismo aziendale. Di lui ricordo due fatti. Il primo, nel 1979, in occasione della nomina a Direttore Generale delle Ferrovie dello Stato. I candidati erano i due Vice Direttori Generali, Semenza e Misiti, entrambi di area socialista. Anche perché a me più vicino nella preparazione del libro bianco sui Trasporti, avevo manifestato qualche preferenza per Misiti . E nel clima di pressione lobbystica che caratterizzava sempre le nomine importanti, questa mia preferenza veniva evidenziata e pare che avesse qualche peso. Un giorno, in un colloquio abbastanza sostenuto, mi convinse dell’opportunità, per tutti noi della carriera amministrativa, di rompere la consuetudine di avere un direttore generale FS ingegnere. Con Semenza cominciò la serie dei Direttori Generali di cultura economico giuridica. Forse Bonforti pensava di succedergli; invece divenne Direttore Generale Coletti che era stato uno dei suoi ”allievi”. E Aldo diventó, meritatamente, Consigliere di Stato. Il secondo costituito da un incontro recente nei pressi di Porta Pia. Non vedevo Aldo da circa venti anni. Gli chiesi dove era diretto: “vado al CAFI” mi disse. In tutti quegli anni in cui aveva coperto tanti e diversi incarichi, era rimasto sempre vicino alla sua creatura che continuava ad essere la palestra dei giovani (e non) amministrativisti delle Ferrovie dello Stato. Silvio Rizzotti - Il ferroviere... super Silvio Rizzotti, insieme a me e a qualche altro giovane ispettore, faceva parte del gruppetto dei funzionari e dirigenti iscritto alla CGIL. Era allora un Socialista militante nella Milano di Aniasi. La sua forte preparazione professionale, le sue doti di organizzatore ed anche la sua correttezza gli consentivano di essere un “opinion leader“ all’interno del sistema politico/sindacale di quel periodo. Siamo stati sempre molto amici nel periodo di permanenza nella Direzione Generale FS. Ero convinto che sarebbe stato il principale riferimento tecnico-politico dell’area socialista nei trasporti. E c’erano tutte le premesse. Invece lasciò gli spazi ai “nuovi socialisti”. Forse non poté fare diversamente; rimase un tecnico di valore, ha fatto anche una buona carriera, ma non quella a cui ci faceva pensare nei lontani anni ’70. Ricordo con una certa nostalgia la lunga giornata passata, nell’estate del 1972, sotto la veranda della mia roulotte nel campeggio di Lido dei Pini (Anzio); la trascorremmo ad immaginare le “ ferrovie del futuro”; ci sentivamo tanti giovani turchi (anche se io non più tanto giovane) alla conquista del potere (laico) nel sistema bipolare (democristiano-comunista) di quel periodo. Valentino Zuccherini – (il sindacalista socialista “gentiluomo”) Conobbi Zuccherini, allora membro del CDA delle FS, nel 1966, quando gli portai una copia del mio libro sull’orario di lavoro e turni del personale di stazione. Mi aspettavo un comportamento da “compagno della CGIL” invece mi accolse con più

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formalismo del Direttore Generale che avevo incontrato poco prima e per lo stesso motivo. Ci rimasi un poco male, eppure era stato informato dal suo segretario della mia appartenenza al sindacato. Successivamente ho avuto modo di conoscerlo molto bene. Era paradossalmente un sindacalista timido. Fra gli amici del sindacato della componente PSI, fu quello più vicino in tutte le mie attività successive riguardanti i trasporti. Lo ricordo con affetto nella cena da lui promossa in una trattoria-pizzeria di San Lorenzo (dove si riunivano spesso i socialisti dello Sfi Cgil romana) per festeggiare la vittoria del sì nel referendum sul divorzio. Al mio rientro nel 1990 (nel frattempo era diventato un dirigente delle FS), fu lui ad invitarmi alla riunione della Commissione Trasporti di cui ho detto in precedenza, dicendomi che il Partito aveva ancora bisogno di me. Non ce la feci a dirgli che da qualche anno non avevo più rinnovato la tessera. Sante Bianchini _ Segretario Nazionale SAUFI/CISL (il milanese organizzatore) Sin dagli inizi degli anni ‘60 ho avuto modo di conoscere Bianchini, che era uno degli interlocutori più preparati e meno polemicamente dialettici fra i sindacalisti SAUFI. Forse per la sua ostentata milanesità, forse anche per formazione culturale, non solo non poneva ostacoli a tutte le innovazioni che cercavo di introdurre nel sistema gestionale delle stazioni, ma le sosteneva, spesso in contrasto con gli altri suoi colleghi. Era sveglio, intelligente e furbo quel tanto da non generare “ diffidenze”. Apparteneva a quella generazione di giovani sindacalisti che si erano formati nei difficili anni ‘50, ma senza quel certo settarismo ideologico che caratterizzava, spesso, quelli formatisi nella militanza antifascista. Portava con sè una certa disponibilità al volontariato sociale. Credo che apprezzasse il mio comportamento “neutrale” nelle trattative sindacali. Anche lui, come tanti sindacalisti di quel periodo, ha poi fatto una carriera nella dirigenza ferroviaria. L’ho incontrato qualche tempo fa in un bar di Porta Pia. Da pensionato, continua il suo volontariato in attività nel sociale para sindacale. E l’ho trovato sereno e saggio. Giuseppe De Blasio - Segreteria nazionale SFI/CGIL ( il mago, napoletano, delle trattative sindacali) Non temo di sbagliare dicendo che negli anni ’70-80 il sindacalista più noto nelle Ferrovie dello Stato era Giuseppe De Blasio. Non si limitava a partecipare alle trattative sindacali in occasioni di rinnovi sindacali o di agitazioni del personale per problemi specifici. Era anche il tecnico del sindacato nei gruppi di lavoro e commissioni miste azienda sindacato per la messa a punto di iniziative legislative riguardanti, in particolare, il personale delle stazioni. E spesso contribuiva a trovare soluzioni con maggiore fantasia e impegno degli esperti aziendali. Lo ricordo nelle sue “arringhe”, a volte appassionate, ma sempre lucide e coerenti, che però venivano fatte solo nei momenti cruciali delle trattative. Era un poco tribuno, ma il suo costante obbiettivo era quello di evitare rotture e soprattutto i conseguenti scioperi. Cercava sempre di convincere. A volte eccedeva in questo suo

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modo di partecipare alle trattative, forse anche per un certo narcisismo, ma sempre con tanto impegno personale. Ho avuto modo di conoscerlo meglio quando ebbi la sua efficace ed affettuosa collaborazione nella messa a punto delle linee guida e delle proposte del PSI in materia di occupazione giovanile. Era entusiasta dell’iniziativa, spesso in vivace dialettica con Gabriele Cagliari. Ma questa contrapposizione metodologica e caratteriale era utile per me nel cercare una sintesi fra le varie soluzioni. Sergio Mezzanotte -Segretario Nazionale SFI CGIL (il sindacalista comunista) Al contrario di De Blasio (con esperienza di capostazione), Mezzanotte (con esperienza di macchinista) era il tipico sindacalista comunista alla “ Lama”. Freddo, razionale, partecipava alle trattative con apparente distacco. Lo faceva raramente e quasi sempre quando in queste vi erano esigenze “politiche” e soprattutto scioperi da confermare. Inizialmente ero un poco diffidente nei suoi confronti; avevo la sensazione che prima di venire alle trattative passasse a via delle Botteghe Oscure. Forse questa mia sensazione era anche ideologicamente causata dal luogo comune: CGIL cinghia di trasmissione del PCI. Certo è che la presenza di Mezzanotte rendeva molto più formali le trattative. Un’altra sua caratteristica era quella di formulare richieste molto vicine (o addirittura coincidenti) con quelle minime sindacalmente accettabili. L’ho meglio conosciuto quando, per circa due anni, ho fatto parte del gruppo dirigente dello Sfi CGIL . Era diventato nel frattempo Segretario Generale. Ed ho conosciuto il Mezzanotte organizzatore, molto cordiale, sempre comunista, ma flessibile e poco burocratico. L’ho incontrato nel 1990 come Presidente dell’Enpas, sereno ma stanco: gli mancavano i ferrovieri ed il Partito. Giuseppe Sciarrone (il trasportista… di ferro) Concludo questa galleria del settore trasporti, con un personaggio che dopo essere arrivato al vertice di tecnico politico come segretario generale del Cipe Trasporti è passato alle ferrovie, prima come alto dirigente nelle FS SPA ed ora come imprenditore nel trasporto ferroviario. Conosco Sciarrone sin dal 1975, quando, giovane ingegnere faceva parte del CSST (Centro studi sistema dei trasporti)della Fiat, diretto dal Prof. Mario del Viscovo. Caratterialmente opposto al suo Direttore, era molto controllato e rappresentava meglio il look Fiat. Sembrava cresciuto all’ombra di corso Marconi. Ma rispetto alla dirigenza Fiat manifestava interessi che andavano al di là della cultura dell’automobile. Questo suo eclettismo gli fu molto utile nel crescere vicino a quel “piccolo” (come statura), “grande“ (professionalmente) economista e trasportista che era Del Viscovo. L’ho rivisto l’ultima volta in occasione della commemorazione di Del Viscovo morto un anno prima. Mi colpirono (e non me lo aspettavo) le conclusioni nel suo breve “intervento”: “Caro maestro, quando debbo prendere una decisione importante mi dico sempre: come si comporterebbe il prof. del Viscovo?”. C’era tanto affetto e riconoscenza.

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4.5. – Nella Economia Pierluigi Borghini (il giovane industriale… “confindustriale”) Ho conosciuto Pierluigi Borghini sin dagli inizi dell’attività del Cevar, su presentazione di Camillo Dejak. Mi colpì subito per la sua disponibilità alle innovazioni e per la sua convinta laicità. Non aveva un determinato partito di riferimento, ma era vicino all’accoppiata liberale-repubblicano. Per il Cevar risultó un costante punto di riferimento nelle iniziative riguardanti, in particolare, la ricerca applicata. Era allora Presidente dei giovani industriali del Lazio. Per quasi tutto un decennio l’ho avuto anche come amico. Ricordo la sua affettuosa partecipazione alla presentazione in un albergo di Roma del mio libro sulla legge 241/1990. Quando, con la diaspora dei partiti del centro sinistra, lo vidi passare a Forza Italia, ne rimasi alquanto sorpreso. Lo ritenevo culturalmente poco vicino alla radicalizzazione politica che cominciava a caratterizzare il modo di far politica di Berlusconi. Quando poi divenne, prima coordinatore di Forza Italia, poi candidato a sindaco di Roma, pensai che forse avevo torto e che Borghini potesse rappresentare efficacemente la componente, non solo mediatica, dell’area liberal-socialista nel movimento magmatico che Berlusconi era riuscito a mobilitare. Venne, contro ogni previsione, sconfitto da Rutelli. Claudio Cavazza (la farmindustria quando era meno…medico-promozionale) Conobbi Cavazza, vicino da sempre ai socialisti di Milano, nel primo mio periodo alla Ricerca Scientifica. L’essere responsabile del Fondo Imi Ricerca Applicata facilitava i rapporti di amicizia che per diversi anni ebbi con lui, Presidente della Sigma Tau e autorevole membro di Farmindustria. E questi rapporti rimasero per molti anni buoni e molto corretti. Credo per due motivi: -il primo era quello di una prevalenza dei valori culturali nel suo essere industriale e nel mio essere tecnico-politico; questo rendeva i nostri incontri, quasi sempre intorno ad un tavolo di ristorante, abbastanza vivaci e stimolanti (almeno per me); -il secondo era dato dal non avere avuto mai, dico mai, pressioni per sollecitare qualche pratica di finanziamento dal Fondo Imi, anche perchè le non molte richieste della Sigma Tau si distinguevano per la completezza ed il tasso di innovatività. Quando, iniziata l’attività del Cevar, pensavo di trovarmelo vicino (visti gli obbiettivi culturali promozionali in un area in cui si riconosceva), ebbi la delusione di un raffreddamento dei nostri rapporti. Pierfrancesco Guarguaglini (tecnica e politica “ correttamente ed efficacemente coniugate”) Ho avuto pochi incontri con Guarguaglini, ma sufficienti per ammirarne la capacità di sintesi e soprattutto la visuale sistemica delle problematiche di politiche industriali e soprattutto del ruolo sociale di una industria sana.

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Lo potei constatare in particolare in occasione del seminario di preparazione del megaconvegno Cevar “Dirigenza e management nell’economia e nelle istituzioni nell’Italia degli anni ‘90”, al cui successo dette il suo originale contributo. Era l’opposto dei boiardi di Stato. Anzi sembrava un ingegnere con non molto potere all’interno della Selenia di cui però era condirettore. Quando nei mesi scorsi ho letto dei suoi successi, come presidente della Finmeccanica, nell’acquisizione di commesse internazionale importanti, ho ripensato a quando lo vedevo negli incontri del Cevar, quasi sempre defilato. Gabriele Cagliari (“il tecnico/politico ”tragicamente sfortunato) L’alta dirigenza laica e socialista dell’ENI era robustamente rappresentata nel Cevar con Reviglio e Grignaschi, rispettivamente Presidente e Vice Presidente. Ma Cagliari non ne faceva parte. Lo conobbi solo nel 1984, in occasione delle riunioni per la predisposizione del documento sulla occupazione giovanile a cura del gruppo di lavoro della Direzione nazionale PSI. E ricordo che uno dei primi ad arrivare alle riunioni era proprio Cagliari sempre accompagnato dal giovane Vito Gamberale. Non solo i contenuti tecnici, ma anche quelli di tipo più politico del documento furono caratterizzati proprio dalla loro partecipazione. Si capiva che il lavoro di preparazione era in prevalenza svolto da Gamberale. Ma le discussioni nel gruppo di lavoro facevano quasi sempre perno su Cagliari. In uno dei dopo-riunione nei quali ci si scambiava anche qualche informazione e pettegolezzo sulle vicende del PSI, ricordo che si fece cenno anche al rischio di coinvolgimenti dei tecnici/politici negli “affari” del partito. Era un argomento che cominciava a scottare, anche se ancora lontani da tangentopoli . Si era un poco tutti pessimisti. Ma Cagliari (allora Vice Presidente dell’Eni) sembrava il più convinto nell’affermare che era abbastanza facile starne fuori. Non poteva immaginare che si stava avvicinando l’epoca dei CVD (“come volevasi dimostrare”) dei teoremi “inquisitori ”. Leo Solari (il manager intellettuale) Ho gia fatto cenno al ruolo di Leo Solari nelle iniziative culturali del Cevar e nell’Udda. Quì provo a tratteggiare un poco più in dettaglio il ricordo di questo manager pubblico che, a mio parere, è stato uno dei personaggi che ha maggiormente inciso nel mondo della cultura degli anni ’70. Ho avuto la fortuna di averlo prodigo di consigli e di affettuoso sostegno nel mio inserimento nell’ambiente, un poco radical chic, della Roma laico-socialista di quel periodo. Lo conobbi quando era presidente della Sipra. Ricordo le mie partecipazioni alle anteprime delle produzioni Rai destinate alla vendita sul mercato internazionale. Pur con il prestigio, potere culturale e stipendio che tale incarico gli procurava, aveva bisogno di sue “organizzazioni“ per fare, con autonomia, cultura. Gli dispiaceva di non poter utilizzare al meglio la bella sede dell’UDDA a Palazzo Ruspoli. Ricordo la sua contentezza nel darmi la piena disponibilità di tale sede. Successivamente, constatata la impossibilità di ridarne vitalità, si fece promotore della costituzione del circolo Colorni a cui cercai di dare la mia partecipazione. Ormai i circoli “culturali”

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proliferavano, ma erano quasi sempre sedi camuffate di attività affaristico/clientelari, dei boss politici locali. E non vi erano spazi per iniziative da intellettuali. Nicola Piepoli (il concreto… visionario sondaggista) Ero da poco Vice Capo di Gabinetto di Pieraccini, quando mi venne presentato Piepoli. Ne rimasi subito colpito non solo psico-fisicamente (basso, occhi mobilissimi, barbetta mefistofelica, mai fermo), ma anche e soprattutto professionalmente. Mi portava il risultato di un’indagine socio-economica “Europa+30” commissionata da Pieraccini. Pensai subito: questo è un matto: bisogna star lontani. Ed invece rimanemmo vicini per molti anni. Aveva il DNA da sondaggista. Allora i mezzi non erano così sofisticati come ora ed egli sopperiva con la sua esperienza e con intuizioni da “sociologo di strada”, come amava definirsi. Diventammo anche amici, incontrandoci di tanto in tanto in qualche ristorante della zona intorno al Pantheon. Di origini pugliesi, ma formatosi nella Milano degli anni ‘60, portava con se la ”voglia di sfondare” degli immigrati ed il pragmatismo, un poco cinico, della Milano consulenziale. Era quasi monotono nell’illustrare i risultati delle sue indagini che spesso eseguiva senza una specifica commessa, ma di cui poi cercava di vendere i risultati, soprattutto nel mondo politico-governativo. Ma, quando riusciva ad estraniarsi dal suo mondo di numeri e trend, manifestava un forte ed umano buon senso. In uno dei nostri incontri, parlando dei problemi che avevamo allora con i nostri rispettivi figli, mi disse, con un tono da saggio di paese:

“Vedi te ed io, provenienti dal profondo sud contadino-artigiano (il comune ambiente delle famiglie di origine), abbiamo saltato qualche generazione. Ed il costo non lo paghiamo ora noi (drogati dalla voglia di emergere), ma i nostri figli, da noi trascurati e portati a vivere in un ambiente in cui noi siamo ancora degli estranei. Tu dovevi continuare a fare il capo stazione ed io, magari, il maresciallo dei carabinieri. Auguriamoci che le nostre famiglie abbiano fortuna. Ma noi un costo, un domani, lo pagheremo”. Quando, rivedendolo pochi anni fa, mi disse che suo figlio era morto in un incidente con la moto, percepiì ,e la condivisi, la sua sofferenza. Ormai ricco ed influente sondaggista, stava purtroppo pagando un costo non previsto nei suoi personali “Nicola + 30”. Forza Nicola.

4.6 - Nel settore cultura Roman Vlad (la tumultuosa/serenità del musicista italo-ucraino) Roman Vlad mi fu presentato da Leo Solari in una delle anteprime delle produzioni Rai. In quel periodo era direttore artistico dell’Orchestra Sinfonica di Torino, ma aveva consulenze in tante altre istituzioni musicali. Si presentava agli incontri del Club Roma 90 quasi sempre in compagnia del Maestro Giancarlo Chiaramello. Non l’ho mai visto dirigere un’orchestra, né ascoltato

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una sua composizione. Mi piaceva quando illustrava una sinfonia, un concerto. Ma mi sorprendeva per l’entusiasmo che poneva nel sostenere la sua “politica” per la musica e per una cultura musicale del paese. La sua frequentazione con il mondo politico era, credo, proprio determinata da questo suo bisogno di “ fare cultura”. Frequentava, non molto, Via del Corso, ma, per quanto io ricordo, solo quella fresca, anche se povera, oasi rappresentata dalla sezione cultura di Giuseppe Tamburano.

Mario Serio (un tecnico-politico e socialista ai Beni Culturali) Mario Serio era amico di Leo Solari, ma soprattutto di Giuseppe Tamburano. Ed è stato mio amico e compagno in molte della attività del Cevar. Forse per l’ovattato silenzio dell’Archivio dello Stato di cui era Direttore, lo ricordo sempre abbastanza taciturno. Aveva però, sin da allora, una perfetta conoscenza dei meccanismi di potere all’interno del Ministero che allora era caratterizzato da una periferia egemonizzata dai comunisti e un centro tradizionalmente democristiano. E Mario, quasi in solitudine, si dava da fare per rendere maggiormente visibile la presenza dei socialisti. Sapeva benissimo che il suo posto di Capo Archivista (come qualche volta amichevolmente lo chiamavo) era di scarso potere. Comunque era visibilmente soddisfatto di far parte, da Dirigente Generale, della nomenklatura del suo Ministero. In compenso, con la sua costante presenza a Via del Corso, aveva una sua fetta di potere di “opinione” nella politica dei beni culturali del nostro Paese. Non lo diceva, ma pensava, come me, che difficilmente avrebbe concluso la sua carriera ricoprendo la carica di Direttore dei Beni Artistici e Monumentali. Invece lui, cresciuto professionalmente fra i tecnici-politici della prima repubblica, sta terminando la sua carriera proprio con questo prestigioso incarico. Bravo Mario. Maria Luisa Paronetto Valier (l’élite “nobil-culturale” nelle attività unescane) La mia quinquennale attività in ambito Unesco, come rappresentante del Ministro per la Ricerca Scientifica, mi ha fatto conoscere la Paronetto Valier che per decenni è stata la Segretaria Generale della Commissione Nazionale. Di lei ho fatto qualche cenno in precedenza. Premetto che i rapporti risultavano cortesemente conflittuali: ero poco diplomatico per poter essere in sintonia con la vita unescana italiana. D’altra parte non era facile dirigere la Commissione nazionale Unesco nella situazione di individualismo istituzionale che caratterizzava le nostre relazioni culturali e scientifiche internazionali. Da un lato vi era la Direzione Affari Culturali del Ministero degli Esteri che tendeva a monopolizzare tutti gli accordi bilaterali, facendo perno sulle nostre sedi culturali all’estero e sui consiglieri scientifici delle nostre principali ambasciate. E la Commissione Unesco dipendeva sostanzialmente da questa Direzione. Dall’altro lato vi erano il CNR e le Università molto gelosi della loro attività internazionale. Se si aggiungono anche il Ministero dell’Istruzione e quello dei Beni Culturali, si ha un quadro abbastanza completo del polimorfismo in cui la Commissione doveva muoversi, attenta a non farsi nemici.

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Ed in questo “navigare” la Paronetto Valier era indiscutibilmente molto brava. Forse eccedeva nelle precauzioni, però, a distanza di tempo, credo che non vi fosse altra scelta per preservare la forte credibilità ed il buon prestigio della Commissione Italiana nell’ambiente buro-tecnocratico della sede centrale di Parigi. Riflettendo su quegli anni e sulla mia esperienza, ripenso con nostalgia alla signorilità, professionalità e correttezza di questa “signora “.

4.7. - Nella Pubblica Amministrazione Vincenzo Caianiello (il Consiglio di Stato…il potere trasparente) Vincenzo Caianiello faceva parte di quel nutrito gruppo di magistrati colti che, nel Cevar, facevano riferimento al partito repubblicano ed in particolare a quello che ho definito area Spadolini. L’ho incontrato poche volte e sempre in occasione di attività del Cevar. Però il suo ricordo mi è rimasto impresso per un fatto unico nella mia lunga storia di promozione culturale. Nel seminario sul Consiglio di Stato previsto in preparazione al mega convegno “Dirigenza e Management nelle istituzioni e nell’economia degli anni ‘80”, nella saletta del Cnr erano presenti, come me, solo Vincenzo Caianiello, come moderatore Giovanni Vacirca, Segretario Generale del Consiglio di Stato. Evidentemente il seminario non si tenne, unica eccezione fra i 20 realizzati. Le tematiche furono poi recuperate nel convegno di sintesi sulla magistratura. Forse per attenuare il mio disagio ed amarezza per il fallimento dell’iniziativa, si fermò con me sul piazzale Aldo Moro e fu l’occasione per una mia conoscenza meno “istituzionale” del Consiglio di Stato. Cercò soprattutto di motivare la totale assenza dei suoi colleghi, elencandomi , in sintesi, le seguenti cause: a) – il tema del seminario poco sentito: la stessa parola management era culturalmente poco accettata, non solo per l’effettiva non necessità istituzionale (il ristretto numero dei componenti il Consiglio di Stato), ma anche per la loro sofisticata cultura giuri/mministrativistica; b) – lo storico individualismo professionale e quasi monacale della tradizione del Consiglio, le cui problematiche interne dovevano essere risolte solo fra le mura dell’abbazia; c) – una certa insofferenza per la connotazione politica che comunque aveva il Cevar; d) – gli impegni, troppi secondo lui, che i vari consiglieri avevano, non solo nel proprio ente, ma anche nei tanti incarichi esterni.

Non mi risultò critico, come suo fratello Vincenzo e nemmeno carico di entusiasmo come suo cugino Edoardo, ma un equilibrato professore laico. Non mi meravigliai quando, dopo i nove anni presso la Corte Costituzionale (di cui fu, sia pure per poco, qualificato Presidente), preferì passare all’Università. Andrea Monorchio (il Ragioniere dello Stato… colto) Durante quasi tutto il mio periodo iniziale di fuori ruolo alla Presidenza del Consiglio ho avuto come capo diretto il dott. Milazzo che da Capo di Gabinetto di Andreotti continuava ad essere Ragioniere dello Stato.

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Sin dai tempi della mia frequentazione con l’ambiente burocratico stabile di Palazzo Chigi (con forte presenza di dirigenti e funzionari del tesoro), si sapeva che Milazzo stava “coltivando” il suo successore: il giovane e brillante Andrea Monorchio di cui ho avuto dopo solo una limitata conoscenza diretta. La nostra conoscenza indiretta era data dalla intermediazione dell’ Igop (Ispettorato generale per il personale) nel periodo iniziale della mia presenza alla Funzione Pubblica, quando, per diversi anni, dovetti occuparmi delle contrattazione sindacale del difficile comparto Aziende. Nelle estenuanti riunioni mi trovavo sempre vicino il dirigente dell’ Igop. Era il periodo del pansidacalismo e quindi non era facile opporre resistenza al clima “concessionistico” che lo caratterizzava. Sin da allora potei apprezzare e valutare il ruolo che aveva la Ragioneria dello Stato nell’ovviare alla provvisorietà dei Governi e soprattuto al polimorfismo istituzionale della nostra PA (sovente richiamato in questi miei ricordi). Ed in questo, per quanto riguarda la mia esperienza, hanno avuto un ruolo essenziale Milazzo e Monorchio. E se la deriva che spesso si riscontrava nella Pubblica Amministrazione non sin trasformava in frana, dipendeva proprio dagli argini tenacemente posti dalla Ragioneria. Una conoscenza, sempre mediata, ma più significativa si verificò durante i cinque anni del Progetto Fepa, in cui la Ragioneria Generale partecipò con impegno e con molte risorse umane Ne ebbi conferma, quando, rispondendo alla mia lettera inviatagli per comunicare il mio rientro nelle FS e la costituzione dell’Asfepa, mi rispose, fra l’altro con un: “ Ho sempre creduto e sostenuto che la strada avviata dal Fepa sia quella giusta per la modernizzazione della PA. Le faccio i migliori e convinti auguri per il completamento del Progett ”. Ora è Professore ordinario di Contabilità pubblica ed Economia all’Università di Siena, con incarichi di insegnamento alla LUISS ed alla Scuola Tributaria del Ministero delle Finanze. Auguri affettuosi, Prof. Monorchio. Ignazio Caramazza (l’avvocatura generale... innovativa) Anche Ignazio Caramazza appartiene al gruppo di conoscenze fatte tramite Paolo Ungari. Lo ricordo sempre disponibile a dare il suo contributo, da “moderno” giurista, alle iniziative culturali e di ricerca del Cevar. Mi sorprendeva per la sua lucidità di analisi e chiarezza di esposizione. In quel periodo era Segretario Generale dell’Avvocatura dello Stato e quindi preso anche dai problemi gestionali del suo ente. Ma una maggiore conoscenza l’ho avuta durante il Progetto Fepa. Non solo aderì subito a fare parte della Commissione Centrale, ma dette anche un forte contributo al suo successo, prendendo parte attiva, e credo essenziale, alla messa a punto dei criteri per la “semplificazione delle procedure”, oggetto di uno specifico ed importante sottoprogetto. Di massima non partecipavo alle riunioni dei vari gruppi di lavoro, per accentuarne l’autonomia valutativa e propositiva. Feci qualche eccezione proprio per il gruppo del sottoprogetto presieduto da Enzo Cheli.

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Era un vero piacere constatare la cultura giuridicamente innovativa di Enzo Cheli, Onorato Sepe ed Ignazio Caramazza, che essendo il più giovane di tutti, si faceva sempre carico di “concretizzare” i risultati del lavoro del gruppo. Ogni tanto ne rileggo le conclusioni e le proposte che ho riportato integralmente sul libro "L'innovazione nella P.A. e Progetto FEPA" (ed. Cevar 1989): è un sintetico saggio, letterariamente anche molto bello, del clima da primavera che in quel periodo caratterizzava la nostra PA e che il Progetto Fepa era riuscito a canalizzare, sinergizzare e far emergere. Ed Ignazio ne fu il principale estensore. Giuseppe Falcone (il banchiere… del Tesoro) Sin dalla prima riunione della commissione di fattibilità del Progetto Finalizzato CNR “Pubblica Amministrazione”, constatata la mia solitaria presenza di dirigente fra professori e magistrati amministrativisti, sottoposi al Presidente Sandulli l’opportunità di integrare la commissione con qualche Direttore Generale ministeriale. Con difficoltà ottenni una risposta che io ritenni parziale non solo quantitativamente (una sola integrazione), ma anche qualitativamente.

Mi pare su proposta di Cassese, la Commissione fece formale richiesta al CNR di inserire il dott. Giuseppe Falcone, Direttore Generale della Cassa Depositi e Prestiti. Alla mia osservazione che anche Falcone aveva come me una formazione prevalentemente “ aziendalistica”, ebbi una fredda e collegiale risposta: una presenza dell’alta burocrazia dello Stato sarebbe risultata o inutile (nel migliore dei casi) o negativa. Sin dalla sua prima partecipazione ai lavori della commissione potei subito rilevare ed ammettere che la scelta era stata azzeccata. Mi sorprese per quel forte ed elevato contenuto di cultura aziendalistica, ma giuridicamente statale, che caratterizzava ogni suo intervento. Diventammo subito amici e quindi potei conoscerlo molto meglio. Scherzando lo chiamavo il banchiere del Tesoro, non solo per la sua amicizia personale con Andrea Monorchio di cui era peraltro conterraneo, ma anche per la funzione di supporto operativo del Tesoro nei riguardi del controllo economico dello Stato sugli investimenti degli enti locali. Potrei parlare a lungo di Giuseppe. Mi limito a sottolineare il fatto che, con la sua vivacità intellettuale, rappresentava al meglio quella cultura storica della Ragioneria dello Stato che si faceva carico di un minimo di coordinamento fra le Amministrazioni Pubbliche . Concludo ricordando che, costituita l’Asfepa, la Cassa Depositi e Prestiti fu la prima a stipulare una convenzione con la nostra associazione per l’attuazione delle nuove tecniche gestionali (NTG) prototipicamente messe a punto nei cinque anni del Progetto Fepa. Sergio Castellari (il dirigente raffinato ) Sergio Castellari mi fu presentato da Leo Solari sin dagli inizi della mia presenza alla Ricerca Scientifica. Era uno dei soci importanti dell’UDDA non solo perchè dirigente con alta professionalità dell’allora Ministero delle Partecipazioni Statali, ma anche per il quasi esclusivo “collegamento” fra il Ministero e Direzione Nazionale del PSI , nel lungo periodo di assenza socialista dal governo (gli anni ’74-80).

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Nei non molti incontri, soprattutto nell’Udda e nel circolo Colorni, ebbi subito la sensazione di una certa sua sicurezza nel sentirsi stabilmente inserito nel giro di potere dei cosiddetti boiardi di Stato, che nelle Partecipazioni Statali avevano il loro formale riferimento politico. Gli piaceva fare, e lo sapeva, il conferenziere. Era molto abile nel parlare soprattutto delle strategie, delle teorie economiche sul ruolo dello Stato nelle imprese. Evitava quasi sempre di trasferire in queste sue conferenze, come anche negli incontri conviviali, le esperienze personali. Ma si capiva che non era un “socialista aut”. Forse anche per motivi caratteriali, non ci fu mai un rapporto amicale fra noi. Infatti fu una delle poche conoscenze del periodo Ricerca Scientifica-Udda a non seguirmi nel Cevar. Quando seppi della sua tragica morte anch’io mi posi l’interrogativo suicidio-omicidio. Pasquale Scavina (un trevicano... nel falansterio delle PP.TT.) Non e’ stato facile “titolare” una persona che ti è stata amico d’infanzia. Il rischio era quello di lasciarsi influenzare da questi tipi di ricordi e da un certo campanilismo ed orgoglio di appartenenza alla nostro Trevico e alla nostra Irpinia. Lo ricordo come fattivo, preparato e corretto Vicesegretario e Segretario Generale della DIRSTAT-POSTE, durante i cinque anni in cui ero Capo del Servizio Aziende di Stato al Ministero della Funzione Pubblica. Si faceva apprezzare non solo per la sua disponibilità a rimboccarsi le maniche, ma anche per il suo essere costantemente informato ed aggiornato sulle problematiche normative della sua Azienda. Quando, poco dopo il mio rientro nelle FS, mi disse che era passato, come fuori ruolo, all’Ufficio Legislativo della Presidenza del Consiglio, rimasi notevolmente sorpreso. Lo avevo visto sempre come un possibile futuro Direttore del Personale delle PP.TT. perchè univa alla sua specifica preparazione professionale, arricchita dai tanti anni di attività sindacale, anche molto buon senso pratico. E gli ultimi anni, prima del pensionamento, li trascorse facendo la spola fra Palazzo Chigi, Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama come apprezzato e stimato diretto collaboratore dei Capi Uffici Legislativi della Presidenza del Consiglio. Anche lui, come tanti dei personaggi ricordati in queste mie memorie, è diventato un tecnico politico della seconda repubblica nel Gruppo Forza Italia del Senato. Complimenti ed auguri, caro “Pasqualino”. Ludovico Carducci (la diplomazia… elegante)

Credo di non aver fatto buona impressione all’ambasciatore Carducci la prima volta che l’ho incontrato nelle sede dell’Ambasciata italiana presso l’Unesco. Con molto garbo si accertò, soprattutto, del mio stato di conoscenza delle lingue. Ci volle poco per fargli capire che il mio francese era di un mediocre livello scolastico. E la prima cosa che fece fu quella di raccomandare alla sua segretaria (una

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parigina sposata con un italiano) di farmi da interprete ogni qual volta partecipavo a riunioni importanti.

Ma già sin dal secondo incontro si manifestò contento di avere, come rappresentante del Ministro, non il solito professore universitario: “Almeno con lei sono certo che le indicazioni di politica scientifica vengano date da un collaboratore diretto del Ministro”. Quando seppe delle mie funzioni di Capo Gabinetto mi suggerì, sempre con garbo, di migliorare il mio francese con un lungo soggiorno in Francia. E così trascorsi, con mia moglie, l’estate del 1979 nel Campus dell’Università di Caen. Non ebbi più bisogno dell’interprete. Non era contento del suo essere relegato all’Unesco, ma svolgeva il suo ruolo con diplomatica “accettazione”. In una colazione in casa sua ebbi modo di conoscere Sergio Romano, allora, se non ricordo male, nostro ambasciatore presso l’OCSE. E per circa un’ora rimasi affascinato dalla loro eleganza (anche fisica), dal loro analizzare e commentare i fatti italiani. Giuseppe Cogliandro (la Corte dei Conti... nei sistemi gestionali) In questa lista di personaggi della prima repubblica da me frequentati, Giuseppe Cogliandro costituisce un’eccezione: l’ho incontrato agli inizi di questa seconda.

Mi ricordo nettamente l’occasione: assemblea annuale dei soci del Cogest di Girolamo Caianiello. Mi auto presentai per complimentarmi per tutto quanto avevo letto, di lui, sul controllo in generale e su quello di gestione in particolare. Da tempo ci conoscevamo reciprocamente solo di nome. E così cominciò una delle ultime mie conoscenze/amicizie che continua con affetto e stima reciproci. Appartiene a quella generazione di tecnici-politici che formatasi durante la prima repubblica continuano ad essere, per fortuna, le colonne portanti di questa. Non l’ho incontrato nel mio lungo navigare nei gabinetti ministeriali; non ha mai fatto parte del Cevar, non ha partecipato a nessuna delle mie iniziative di quella bella e lunga estate culturale degli anni ’80 eppure per me è come averlo avuto amico sin dai lontani tempi della Ricerca Scientifica. Quando, poco dopo averlo conosciuto, gli proposi di dar vita ad una specie di Cevar della Pubblica Amministrazione, aderì con entusiasmo. E così nacque l’INPA- Istituto per le innovazioni nella Pubblica Amministrazione (nota 28). La volemmo bipartisan. E per noi non poteva essere diversamente. Ma ormai la radicalizzazione non lasciava più spazi ad iniziative culturalmemte laiche. Ma avevamo ragione, caro Giuseppe.

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4.8. Nel Progetto Fepa Francesco Bottino (il cardiologo … manager) Di lui racconto un episodio significativo del come si sono venuti formando gli esperti Fepa. Molti dei seminari di preparazione alla prima fase di sperimentazione furono tenuti nelle salette del CNR. A questi seminari partecipava, in maniera articolata e per diversi sottoprogetti, una nutrita rappresentanza di dirigenti e funzionari della allora ASL 40 di Napoli. In uno di questi seminari, incuriosito dal suo costante silenzio, mi avvicinai ad uno dei partecipanti e gli chiesi cosa facesse nell’amministrazione di appartenenza. Mi rispose, quasi scusandosi : il cardiologo. E’ stato poi sempre un autorevole esperto formatore di seconda generazione, come venivano distinti gli esperti Fepa.

Non ha mai fatto più il cardiologo. Ed ha continuato a dare il suo contributo nell’innovazione gestionale anche quando, per più di un decennio, è stato Direttore Sanitario del più grande ospedale del meridione (il Cardarelli di Napoli). Mentre scrivo è Direttore Generale della ASL di Caserta, scelto come tecnico, in un sistema di lottizzazione politica, per cercare di raddrizzare una situazione gestionale particolarmente compromessa. Giuseppantonio Fimmanò (il corretto e affettuoso..statistico) Non è certamente facile parlare di chi è stato il più diretto, costante, affettuoso e vicino collaboratore. Ho sempre potuto apprezzare la sua professionalità di statistico intelligente e corretto. Il suo senso pratico, la sua robustezza caratteriale, la sua onestà intellettuale, se da un lato gli consentivano di essere professionista serio, dall’altro costituivano un ostacolo: la fortuna di tanti “statistici” italiani è stata quella di mettere a disposizione del politico o del padrone di turno la propria professionalità. Ma la sua tenacia gli ha dato la forza di saper aspettare e di affermare la sua professionalità: ora è un qualificato dirigente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Silvana Giangiuliani (la pasionaria… del fepa) La Giangiuliani è stata un forte personaggio femminile del Fepa sempre presente e attiva. Riusciva a conciliare molto bene questo suo attivismo con il ruolo di dirigente di Ragioneria nella Provincia di Catania. Era la nostra costista, come venivano definiti gli esperti che partecipavano al sottoprogetto “ Analisi e valutazione dei Costi”. Vulcano di motivazione per se stessa e per gli altri, veniva chiamata la “passionaria” del progetto, per la irruenza ma anche la tenacia con cui difendeva il progetto in tutte le occasioni possibili. L’ho rivista qualche anno fa ad un convegno. Era diventata autorevole Segretaria Nazionale dell’Associazione dei Dirigenti gli Uffici Ragioneria degli Enti Locali. Ma era ed e’ anche impegnata in una multiforme e prestigiosa attività di docenza e consulenza.

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Complimenti, Silvana. Pierluigi Angelini (lo spoletino... operativo) Come dirigente del personale, ma anche come socialista impegnato politicamente, aveva un notevole potere all’interno del Comune di Spoleto. Tale Comune, per circa otto anni, sia nel periodo Fepa sia in quello Asfepa, è stata l’amministrazione più costante ed efficace nell’attuazione delle nuove tecniche gestionali. E tutto ciò è dipeso non solo dalla disponibilità all’innovazione che ha sempre caratterizzato il Comune di Spoleto, ma anche dalla professionalità e tenacia di Angelini. La sua motivazione, il suo calore umano ed anche l’esperienza che faceva nelle strutture del Comune lo resero uno dei più noti e simpatici del gruppo di esperti. Pensavo che poteva essere un buon Direttore Generale del suo Comune.

Ora ogni tanto lo vedo, invece, soddisfatto nella sua divisa di Comandante dei Vigili Urbani. Raffaele Tiani ( il laureato... dal Fepa) Era uno dei pochi non laureati del gruppo degli esperti. Aveva preso il diploma di ragioniere nelle scuole serali. Faceva coppia con la Giangiuliani nel difficile, e forse un poco trascurato, gruppo dei costisti. Il suo prototipo, realizzato nel comune di appartenenza, Novara, risultò una fonte importante per la messa a punto delle nuove tecniche gestionali del Fepa. Ho potuto meglio conoscerlo anche successivamente all’esperienza Fepa: intelligentissimo, senza i limiti dell’autodidatta. Quando, facendo docenza esterna (in particolare alla Bocconi) e come relatore nei convegni di settore, gli si chiedeva il tipo di laurea posseduto, rispondeva con orgoglio: “mi sono laureato con il Fepa”. Da funzionario di livello VII è diventato poi dirigente di massimo livello. E mi è stato molto vicino anche negli anni successivi a quelli del progetto.

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5 – Conclusione In questa versione digitale e fuori commercio del libro non ritengo opportuno trarre delle conclusioni da queste mie memorie. Saranno le reazioni e le osservazioni dei mie amici e conoscenti a fare da argomento di conclusione per la eventuale stampa a larga diffusione.

6 – Note Nota n. 1 ( elenco partecipanti al gruppo di lavoro “Politica dei trasporti del partito socialista”) Cornelio Masciadri, Bruno Aronne, Aldo Bonforti, Giovanni Bonora, M.Bernardi Cirenei, Franco Crescentini, Matteo de Cillis, Nazario Ferrante, Altiero Ferrari, Fausto Fiorentini, Cesare Grazia, Mario Grilli, Luigi Lioi, Luciano Mancini, Giulio Martucci, Pasquale Mazzone Giorgio Meoni, Bruno Monosilio, Armando Nanni, Sergio Palombi, Sergio Pirotti, Silvio Rizzotti, Guido Trioni, Emidio Valentini, Valentino Zuccherini. Nota n. 2 (Composizione Gruppo di Lavoro Per Prospettive e Programmi di ricerca del settore Trasporti) Dott. Emidio Valentini – Presidente; Prof,Mario del Viscovo (Università diRoma) , coordinatore Segreteria tecnica; Ing, Giovanni Bonora –Ferrovie dello Stato; Ing. Giampaolo Basoli – Ministero dei Trasporti; Dott. Aldo Fedrighini . Ufficio MRST, Dotsa Alessandra Oddi Baglioni-Ufficio MRST) – Segretaria Sig. ra Rosalba Alberti; Membri: Ing. Pietro Sdorisio- IMI; Dr Giobanni Aniello – Direzione Generale Aviazione Civile; Ing. Serrgio Bavaglini –Finmeccanica; Ing. Giuseppe Batoli – Alitalia; Ing. Giuseppe Bomsignori -.Aeritalia; Dott. Giuseppe Rosicchio – Direzione generale Aviazione Civile; Ing. Gieseppe Captano – Augusta Spa; Dott. Mario Concivelli – Ministero Trasporti; Ing. Agostinio Cappelli – Facoltà Ingegneria , Università di Roma; Dott. Damiano Ciriello – Ministero Trasporti; Ing. Fulvio Cernobori – Italcantieri; Comandante Ruggero Coppa – Grandi Motori; Dott. Francesco Cozzo – CGIL; Prof. Francesco De Falco – Intermetro; Ing. Germano De Mattia – Ministero Trasporti; Dott. Ezio Dolcini – Catena; Dott. Ernesto Eula – Alitalia; Ing. Renato Fabrizi – Ercole Marelkli; Prof. Fausto Fiorentini – Ispe; Prof. Giuseppe Fontanella – Università di Salerno; Dott. Giovanni Fassio-Cisl; Dott. Rosario Foti – Ministero Marina Mercantile; Dott. Giovanni Feo – Fiat; Ing. Franco Giura – Fiat; Prof. Corrado Guzzanti – Facoltà Ingegneria - Università di Roma; Ing. Giulio Giovannardi - Istituto Superiore Ferrovie dello Stato; Dott. Ezio Grati – Cgil; Ing. Enrico Ismenghi – Ercole Marelli; Prof. Vincenzo Leuzzi – Facoltà Ingegneria, Università di Roma; Dott. Paolino Lancia Cgil; Ing. MarcelloLiberatore – Azienda Trasporti Municipali Milano; Ing.Edoardo Mori – Direzione Generale FS; Ing. Giuseppe Maoli – Fiat; Ing. Giovanni Paparo FLM; Dott. Guido Pavanetto – Ministero Trasporti; Dott. Polese – Federtrasporti; Ing. Raffaele Perillo – Finmare; Ing. Ezio Ragione- Ansaldo; Ing. Carlo Rizzi – Ansaldo; Ing. Gstone Rossetti - ATAC; Dott. Mario Satta – Fipac Cgil; Ing. Giovanni Maria Secco Suardo – Aeritalia; Ing. Giuseppe Sitzia – Catena; Ing. Giuseppe Strimpelli – Ministero Trasporti; Ing. Rocco Testa – Direzione Generale FS; Dott. Maurizio Tocca – Ministero Marina Mercantile; Dott. Duccio Valori – Efim; Prof. Renato Vannutelli – Facoltà Ingegneria, Università di Roma; Dott. Francesco Valentini – Marina Mercantile; Ing. Maurizio Vallari – Fiat. Nota n. 3 ( composizione Commissione Centrale FEPA) Dott. Emidio Valentini- Presidente; Prof. Bianchi Giuseppe-Università di Roma: Avv. Ingnazio Caramazza- Avvocatura dello Stato; Prof. Enzo Cheli, Università di Firenze; Prof. Giuseppe De Rita –Censis; Prof Onorato Sepe-Corte dei Conti; Dott. Sergio Zoppi- Formez. Dott.ssa Balestrino M. Gabriella – Ministero Industria; Dott. Antonio Castelluccio - Ministero Trasporti; Dott. Luigi D’Acunzo – Ministero Poste; Dot.sa Giovanna Grassi – Ministero Turismo; Dott. Cesare De Marco – Ministero Industria; Dott.ssa Lucia Di Bitetto – Ministero Lavoro; Dott.ssa Cesarina Di Raimondo – Ministero Turismo; Dott. Giuseppe Fabozzi –Ministero Poste; Dott.ssa Emma Gori – Ministero Lavoro; Dott.ssa Elisa Imperatrice – Ministero Difesa; Dott. Benedetto Intrigila – Ministero Finanze; Dott. Anacleto Martinelli – Ministero Pubblica Istruzione; Dott. Rino Mazzzorana – Ministero Interno; Sig.ra A.Maria Micacci – Ministero Trasporti; Dott. Giuseppe Orsini – Ministero Poste; Dott. Giancarlo Paventi – Ministero Finanze; Dott.ssa Caterina Pecorari – Ministreo Grazia e Giustizia; Dott. Roberto Pofi – Ministero Finanze; Dott.ssa Simonetta Piezo – Ministero Industria; Dott.ssa M.Teresa Provenzano – Ragioneria Generale dello Stato; Prefetto Nicola Rasola – Ministero Interno; Dott. Roberto Ricci – Ministero Trasporti; Dott.sa Emma Rosati – Ministero Pubblica Istruzione; Dott. Giuseppe Scoppio - Ministero Finanze; Dott. Stefano Sepe – Scuola Superiore PA; Ministro Tommaso Troise- Ministero Affari Esteri; Dot. Antonio Valitutti –

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Ministero del Lavoro; Dot. Gaetano Vinciguerra – Ministero Trasporti; Dott. Claudio Vecchietti – Ministero Trasporti; Dott.ssa Daniela Zoccoletti- Ministero Affari Esteri, Dott. Stelvio Berenci – Enpas; Dott. Giuseppe De Gennaro-Inps; Dott. Raffaele Figiani – Inail; dott. Riccardo Fiore – Enpas; Dott. Antonino Grasso – Enpas; Dott.ssa A. Elisabetta Lombardi – Inail; Dott. Paolo Maciocci – Enpas; Dott. Erasmo Mochi - Inps; Dott. Paolo Olliana – Inps; Dott. Gian Lando Orlandini – Inail ; Dott. Raffaele Palatiello – Inps; Dott. Giampiero Santucci – Inail; Dott. Fabrizio Silli – Inps; Dott. Cesare Testa – Inps; Dott. Giovanni Cofanetti – Enpas ; Dott. Giavanni Vaudo – Inps Dott. Angelo Barberini – Regione Umbria; Dott. Orlando Paladino – Regione Veneto Dott. Albino Alberto – Anci; Dott. Erminio Brusa – Upi; Dott. Antonio Collareta – Upi; Dott. Angelo Cremarossa – Anci; Dott. Domenica Turi – Upi; Dott. Giuliano Giostrella – Upi; Dott. Vincenzo Iannelli – Upi; Dott. Giovanni Salvadorini- Upi; Prof. Sandro Amorosino – CGIL; Dott. Franco Fontana – Confedir; Dott. Giuseppe Giallombardo – Cisl; Dott. Vincenzino Mastrodomenico – UIL; Dott. Giacomo Molinas – Cida; Dott. Massimo Prisco – CGIL; Dott. Roberto Tittarelli – Cisl; Dott Antonio Tomasetti – Confedir. Dott. Marcello Arredi , Dott. Giovanni Benussi, Dott. Arturo Cerilli, Dott. Luigi Fazzi, Dott. Bernardino Ferri, Dott. Pellegrino Iavarone, Dott. Tonino Longhi, Dott. Costantino Pacileo, Dott. Mario Quintiliani, Dott. G.Battista Salterini, Dott. Salvatore Squillace; Dott. Edoardo Villani del Dipartimento Funzione Pubblica Segreteria Tecnica ( Dipartimento Funzione Pubblica) – Rag. Rosalba Fraternale ( responsabile), Sig.na Tiziana De Dominicis, Sig.ra Silvana Fedele Nota n. 4 ( Elenco Docenti/esperti tecniche NTG e Amministrazioni ed Enti e Partecipanti al progetto Fepa ) – distintamente per tecniche (Situazione al 31 ottobre 1989) Elenco Docenti/esperti Tecnica FIN- Formazione innovativa Giuseppe De Gennaro (Coordinatore) – INPS; Angelini Pierluigi –Comune di Spoleto; Giuseppe Battarino – Comune di Como; Stelvio Berenci – Enpas; Massimo Bonavita – Comune di Cesena ; Stefano Cardinali – Regione Umbria; Maria Matilde Casella –Comune di Catania; Renato de Franchis – Usl 40 Napoli; Francesca de Mauro – Comune di Catania; Michele Fazio – Comune di Savona; Francesco Gamberini – Provincia di Ravenna; Gastaldi Edda – Comune di Casal Monferrato; Armando Giacalone – Comune di Catania; Francesco Guiducci – Regione Liguria; Andrea Marcarelli – Regione Molise ; Roberto Montagnolo – Comune di Torino; Giuseppe Paltrinieri - Usl 14 Carpi; Paolo Piovaneli – Comune di Varese; Renzo Rebecchi – Comune di Cremona; Celestina Sanna – Comune di Iglesias; Rosario Scalia – Corte dei Conti; Vittorio Sotgiu – Comune di Bosa; Spatola Francesco – Comune di Varese; Germana Strocchi – Comune di Ravenna; Carlo Vaino – Usl 40 Napoli; Vittorio Valtolina – Comune di Monza; Carlo Ventrella – Comune di Pavia – Nello Ventresca – Regione Abruzzo; Nicola Villani- Usl 40 Napoli. Tecniche NTG1 ( Analisi e valutazione delle Procedure) e tecnica NTG2 ( analisi e valutazione dei carichi di lavoro) Ranieri Ernesta ( Coordinatore) – Regione Umbria; Giorgio Berini – Inail; Andrea Berzano - Usl 40 Napoli; Ernestina Cafaro – Comune di Monza; Michelangelo Calcopietro – Usl Rm 11 ; Stafano Cardinali – Regione Umbria; Vincenzo Carrozza – Comune di Pesaro; Corrado Casertano - Ministero Poste; Gianni Cocco – Comune di Macomer; Rita Frisanti – Ministero Beni Culturali; Giuseppe De Giobbi – Provincia di Sondrio; Marina del Sante – Comune di Parma; Luciana De Luca – Comune di Catania; Giuseppe Dolce – Regione Abruzzo; Emilia Dotti – Usl 14 Carpi; Luigi Festa – Istituto Superiore di Sanità; Dea Frani – Comune di Cesena; Gabriella Gentile – Comune di Novara; Fausto Ingravalle – Ministero Industria ; Franco Mazzotti – Comune di Spoleto; Emilio Melchiorri - Comune di Pesaro; Anselmo Merlotti- Comune di Novara; Silvana Musca – Ragioneria Generale Dello Stato; Silvana Naccarato – Provincia di Cosenza; Giuseppe Orsini – Ministero delle Poste: Achille Parisi – Comune di Catania; Roberto Pofi – Ministero delle Finanze; Cataldo Potenzi – Corte dei Conti; Giuseppe Randi – Comune di Ravenna; Antonella Rossi – Ministero Interno ; Giuseppe Scoppio – Ministero delle Finanze; Maurilio Segalini – Comune di Cremona; Domenico Serino – Corte dei Conti; Tonino Zanoli –Usl 14 Carpi. Tecniche Ntg3 ( Programmazione per Obiettivi) , NTG4 ( Indici di efficacia), NTG5 ( Indici di Efficienza) Francesco Bottino (coordinatore) – USL 40 Napoli; Attolico Giovanni – Ministero Lavoro/Bari; Giampiero Bandi – Comune di Novara; Alberigo Buonaguro – Usl 40 Napoli; Maurizio Cipolloni – Comune di Perugia; Vincenzo Colletta – Provincia di Torino; Francesco D’Agostino – Provincia di Torino; Giuseppe D’Amanzio – Comune di Varese; Silvana Carmen Di Marco – Ministero Beni Culturali; Santo Fabiano – Ministero Interno; Giampaolo Fanutza – Comune di Asti; Giuseppe Fichera –Comune di Catania; Renata Filippini – Comune di Novara; Elena Fiore – Comune di Ravenna; Patrizio Fiore – Usl 40 Napoli; Benedetto Ghezzi – Comune di Cesena; Ettore Laghi – Comune di Ravenna; Antonio Mezzino – Comune di Pesaro ; Daniele Moroni - Provincia di Sondrio; Luigi Novellis – Provincia di Cosenza; Paola Poggiola – Provincia di Torino; Santo Praticò – Regione Umbria; Massimo Rapastella - Comune di Spoleto;Filippo Ricci – Ministero del Tesoro; Donatella Spinelli – Comune di Moncalieri; Roberto Suzzi – Comune di Lugo; Luigi Tennirelli – Comune di Sanremo; Giuseppe Zavattoni – Comune di Varese. Tecnica NTG6 ( Analisi e valutazione dei costi) Paolo Maciocci (coordinatore) - Enpas; Ateniese Raffaele – Usl 40 Napoli; Giacomo Bonifacio – Comune di Catania; Luigi Brossa – Provincia di Torino; Eduardo Ciaburri – Usl 40 Napoli; Pierluigi Cottini – Comune di Varese; Piero De Rossi – Comune di Venezia; Giorgio Della Chiara – Comune di Pesaro; Mario De Stefano – Comune di Catania; Maurizio Donati – Comune di Livorno; Pasquale Fernicola – Ministero Tesoro; Maddaleno Ferrero – Provincia di Torino ; Mauro Galligani – Provincia di Pistoia; Fernando Giannoni –Inail /Viterbo; Pietro Guidetti – Comune di Carpi; Vincenzo Mocci – Comune di Iglesias; Paola Morigi – Comune di Ravenna; Mario Mortillaro – Comune di Catania; Carla Proietti – Comune di Spoleto; Vincenzo Rafti Istituto Superiore della Sanità;Mauro Scanu - Comune di Guspini; Benedetto Zuccaro – Comune di Catania. Attuazione NTG con Progetti Pilota Maria Grazia Bacchio – Comune di Orvieto; Carlo Bandini - Usl Firenze b; Piero Bizzocchi – Comune di Rimini; Valeria Borghese – Comune di Vimercate; Mario Brunetti - Usl 67 Garbagnate Milanese; Giovanni Canova – Comune di Schio; Piero Capra – Comune di Verbania; Segio Crescimanno – Regione Piemonte; Mario Batoli Ciancaleoni – Usl Media Valle del Tevere Todi; Marina De Simone – Regione Piemonte; Stefano Fantoni – Comune di Sesto Fiorentino; Franco Ferraresi – Comune di

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Settimo Torinese; Gennaro Gaglione – Comune di Torre del Greco ;Luciano Ferrini – Comune di Montevarchi; Luciano Gozzi – Usl 22 Este; Salvatore Guida – Comune di Garbagnate Milanese; Giuliano Lapis - Usl Chianti F-Antella; Cesare Locci –Comune di Terni; Giorgio Lovili – Comune di Fiorenzuola; Giuseppe Mareschi - Comune di Tolmezzo: Luciano Masini – Usl Chianti F. Antella; Maddalena Massone – Comune di Vimercate; Maurizio Mauriziani – Usl 12 Pisa; Lamberto Morelli - Comune di Terni; Andrea Raspolli – Comune di Campiglia Marittima; Pietro Rebuffat -Usl Firenze B; Massimo Riccetti - Comune di Terni; Riccardo Sanpaoli – Comune di Rimini; Claudio Santi – Comune di Campiglia Marittima, Renzo Tellini – Usl 47 Mantova; Raffaele Tiani – Provincia di Novara; Rossano Vergassola – Usl Chianti F. Atella; Ugo Vero Usl Area Pisana. Amministrazioni Partecipanti (principali) Amministrazioni Centrali : Ministero delle Poste e Telegrafo; Ministero dei Beni Culturali; Ministero Industria; Ragioneria Generale dello Stato; Ministero dell’Interno ; Ministero dell Finanze; Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale, Ministero del Tesoro, Corte dei Conti. Enti : Enpas; INPS; INAIL; CNR; Istituto Superiore di Sanità. Comuni di : Asti; Ancona; Avellino; Brindisi; Bosa;Campiglia Marittima; Campobassso; Carpi; Casale Monferrato; Caserta; Catania; Cesena;; Como; Crema; Cremona ; Fiorenzuola; Foggia; Garbagnate Milanese ; Iglesias;Latina Livorno; Lugo; Macomer; Milano; Moncalieri; Monza;Napoli; Novara; Orvieto; Palermo, Parma; Pavia; Pescara; Perugia; Pesaro; Roma; Ravenna;Rimini; Sanremo; Sorrento ; Savona; Schio; Spoleto; Terni; Tolmezzo; Torino; Venezia; Varese; Vimercate. Provincie di : Ancona; Catania ¸ Cosenza; Macerata; Milano, Napoli; Nuoro; Oristano; Perugia; Pescara; Pistoia ;Ravenna;Salerno; Sondrio; Torino. Regioni : Abruzzo; Calabria; Lazio, Liguria; Piemonte; Friuli Venezia Giulia; Puglia; Umbria;, Sicilia. Unità Sanitarie locali . : 14 Carpi ; Firenze B ; 47 Mantova; Media Valle Tevere- Todi ; 40 Napoli; Chianti F: - Atella; 12 Pisa. Nota n. 5 (Dati relativi alla partecipazione al Progeto Fepa) La partecipazione I dati sintetici sono quelli ufficiali indicati nelle relazioni al Parlamento sullo stato della PA, nella parte relativa al progetto FEPA. Prima fase di ricerca e sperimentazione (da dicembre 1984 a ottobre 1987) 46 amministrazioni (16 ministeri, Corte dei Conti, Ragioneria Generale dello Stato, 4 enti pubblici, 3 aziende di stato, 4 regioni, 5 province, 6 comuni, 5 USL) 253 unità di sperimentazione 30 esperti con funzioni di promozione e coordinamento della ricerca e sperimentazione

1000 (circa ) dirigenti e funzionari con

180.000 ore/uomo complessive per studi, ricerche, sperimentazioni, seminari, riunioni 2500 ore/uomo complessive per attività di direzione e segreteria 2200 giornate di missioni. In questa fase il progetto era molto “amministrazioni centrali”. Fu quindi culturalmente ed anche logisticamente egemonizzato dai ministeri più robusti come quello degli Interni, di Grazia e Giustizia, dalla Ragioneria Generale dello Stato, dalla Corte dei Conti, da enti pubblici (INPS e INAIL) e dalle aziende di stato (Poste in particolare). Inizialmente la partecipazione degli enti locali e delle USL fu quantitativamente modesta, ma qualitativamente significativa ai fini del forte successivo sviluppo nelle seconda fase. Questa iniziale, forte e qualificata partecipazione alla fase iniziale del progetto costituì il principale freno ai tentativi di blocco del progetto di cui ho detto in precedenza. Seconda fase di prototipica attuazione (da novembre 1987 ad agosto 1989)

413 amministrazioni (9 ministeri, Corte dei Conti, Ragioneria Generale dello Stato, 4 enti pubblici, 1 azienda di stato, 9 regioni, 28 province, 260 comuni, 89 USL, 1 comunità montana)

1030 unità di attuazione 160 esperti docenti FEPA di 65 diverse amministrazioni

11. 000 (circa ) dirigenti e funzionari con 180.000 ore/uomo complessive per studi, ricerche, sperimentazioni, seminari, riunioni 8.000 ore/uomo complessive per attività di direzione e segreteria 17.000 giornate di missioni 148 seminari decentrati di addestramento 302 giornate seminariali. Nella seconda fase si perdono molti ministeri, ma rimangono gli enti e soprattutto l’amministrazione delle Poste. Si ha invece il “dilagare” del progetto negli enti locali e nei comuni (con la presenza di tutti i più grandi, Roma, Milano, Torino, Venezia, Genova, Palermo, Napoli, Catania, ecc.).

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In questa fase il progetto si estende anche al meridione. La partecipazione di avanguardia si concentra però sempre nelle regioni del nord/ centro Italia. È il periodo di espansione “culturale” del progetto. Terza fase di prototipica attuazione (da settembre 1989 a marzo 1990) 306 amministrazioni (4 ministeri, Corte dei Conti, Ragioneria Generale dello Stato, Istituto Superiore di Sanità, 4 enti pubblici, 9 regioni, 23 provincie, 69 USL, 192 comuni, 1 comunità montana) 600 unità di attuazione (con 600 prototipi/pilota) 40 esperti/docenti FEPA 20.000 circa dirigenti e funzionari con 13.000 ore complessive per partecipazione a seminari e riunioni 2.000 ore per attività di direzione e segreteria 10 seminari decentrati 20 giornate seminariali 1500 giornate di missione

Come si può rilevare, vi è il massimo di operatori attuativi coinvolti nei 600 progetti pilota. Ormai non si faceva nessuna attività di ricerca, formazione e addestramento.

I seminari e le riunioni erano esclusivamente finalizzati a preparare e seguire i progetti pilota e a preparare la “esternazione dei risultati” cui era finalizzato il Convegno di Rimini. Nota n. 6 ( elenco soci ed Enti Aderenti - ASFEPA) ( situazione al 29 febbraio 1992) Membri del Consiglio di Amministrazione: Emidio Valentini (Presidente) ; Francesco Bottino ( V. Presidente); Marina De Simone( V. Presidente) ; Giuseppe Randi ( V. Presidente). Membri: Angelini Pierluigi; Massimo Bonavita; Maurizio Cipolloni; Giuseppe De Gennaro; Luigi Fazzi; Giuseppantonio Fimmanò; Rosalba Fraternale Seraghiti; Gennaro Gaglione; Francesco Gamberini; Paolo Maciocci; Andrea Marcarelli; Giuseppe Mareschi; Giuseppe Orsini; Ernesta Maria Ranieri; Renzo Rebecchi; Pietro Rebuffat; Francesco Spatola; Germana Strocchi; Luigi Tennirelli; Vittorio Valtolina. Collegio dei Revisori: Anselmo Merlotti ( Presidente); Edda Gastaldi (Membro; Giuliano Lapis (Membro). Tesoriere – Serino Domenico. Soci asfepa ed esperti in tecniche Fepa Regione Piemonte : Giuseppina Canadese –Comune di Torino; Sergio Crescimanno – Regione Piemonte; Marina De Simone-Regione Piemonte ; Franco Ferraresi – Comune Settimo Torinese; Maddalena Ferrero – Provincia Torino; Renata Filippini – Comune di Novara; Gabriella Gentili – Comune di Novara; Anselmo Merlotti – Comune di Novara; Roberto Montagnolo – Comune di Torino; Luigi Tennirelli – Comune di Novara; Raffaele Tiani – Provincia di Novara. Regione Lombardia : Bruna Bonzini – Comune di Monza;Ernestina Cafaro – Comune di Monza; Pierluigi Cottini – Comune di Varese; Giuseppe D’Amanzio – Comune di Varese; Maria Gabriella Gatti – Comune di Crema; Giorgio Lovili – Comune di Broni(Pv); Madalena Massone – Comune di Vimercate; Flavio Paiero – Comune di Crema; Renzo Rebecchi – Comune di Cremona; Maurilio Segalini – Comune di Cremona; Francesco Spatola – Comune di Varese; Francesco Tarsia – Comune di Monza; Nicola Tecchia – Comune di Monza; Vittorio Valtolina – Comune di Monza; Carlo Ventrella – Comune di Pavia. Regione Friuli Venezia Giulia – Giuseppe Mareschi – Comune di Tolmezzo. Regione Liguria : Michele Fazio – Comune di Savona. Regione Emilia Romagna: Marisa Balboni , Comune di Crevalcore; Massimo Bonavita – Comune di Cesena: Dea Frani – Comune di Cesena; Francesco Gamberini- Provincia di Ravenna; Benedetto Grezzi – Comune di Cesena; Lorenzo Luppi – Comune di Crevalcore; Valeria Mazerti – Comune di Mirandola; Elisa Pasquini – Comune di Crevalcore; Giuseppe Randi – Comune di Cesena; Riccardo Sanpaoli – Comune di Rimini; Germana Strocchi – Provincia di Ravenna; Roberto Suzzi – Comune di Lugo; Moreno Tommasini – Comune di Crevalcore. Regione Toscana : Stefano Fantoni – Comune Sesto Fiorentino; Giuliano Lapis – Usl 10H Chianti; Maurizio Mauriziani – Usl 12 Pisa; Andrea Raspolli – Comune di Campiglia Marittima; Pietro Rebuffat – Usl 10E FI; Giuseppe Sparnacci – Usl 10B FI; Rosario Vergassola –Usl 10/h FI; Ugo Vero – Usl 12 Pisa. Regione Marche : Vincenzo Carrozza – Comune Pesaro; Mauro Giorni – Comune Pesaro; Emilio Merlchiorri – Comune Pesaro; Antonio Mezzino – Comune Pesaro. Regione Umbria; Angelini Pierluigi – Comune Spoleto; Stefano Cardinali – Regione Umbria; Maurizio Cipolloni – Comune Perugia; Franco Mazzotti – Comune di Spoleto, Ernesta Ranieri – Regione Umbria; Lamberto Taboriti Comune Spoleto. Regione Lazio : Roberta Albano – Comune di Tarquinia, Giulio Bosmani – Inadel Roma; Michelangelo Calcopietro – Usl RM11- Roma; Augusto Carmignani – Comune Tarquinia; Corrado Casertano , Miniastero Poste e Tel. ; Elso Fiaschini – Usl Vt5 Civitacastellana; Antonio Cofano – Comune di Terracina; Giuseppe De Gennaro – INPS Perugia; Santo Fabiano – Ministero Interno; Luigi Fazzi – Ministero Funzione Pubblica; Luigi Farro- Usl VT/3 .Viterbo; Giuseppantonio Fimmanò – Ministero Funzione Pubblica; Rosalba Fraternale – Asfepa –Roma; Marina Gerardina Gallo –Asfepa Roma;Paolo Maciocci – Enpas Roma; Silvana Musca – Ragioneria Generale dello Stato; Alessandro Novaga - Comune di Latina; Agostino Orlandi – Usl VT/5Viterbo;Giuseppe Orsini – Ministero Poste e Tel. ; Cosimo Quaratino – Inadel Roma; Antonio Ramaglia – Comune di Latina;Filippo Ricci – Ministero del Tesoro; Antonio Scarinci- Usl VT/5 Civitacastellana; Domenico Serino – Corte dei Conti; Matilde Stamm - Inadel Roma; Guido Vio Usl Rieti 1.

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Regione Campania: Aiello M. Rosaria – Comune di Sorrento; Gennaro Astarita – Comune di Sorrento; Raffaele Ateniese – Usl40 Napoli,; Alberigo Buonaguro – Usl 40 Napoli; Francesco Bottino – Usl 40 Napoli, Roberto Castellano –Comune di Sorrento; Edoardo Ciaburri : Usl 40 Napoli; Renato De Franchis – Usl 40 Npoli; Patrizio Fiore – Usl 40 Napoli; Antonio Fiorentino - Comune di Sorrento; Giovanni Formichella – Comune di Sorrento; Vincenzo Franco – Comune di Sorrento; Gennaro Gaglione – Comune Torre del Greco; Guido Imperato – Comune di Sorrento; Plinio Salanti- Comune di Maddaloni; Carlo Scala -Comune di Sorrento. Regione Puglia : Mauro De Cillis – Comune di Risceglie, Pietro Marangio Usl Br/6 Brindisi; Emilio Petraroli Comune di Modugno; Angelo Ruccia – comune di Modugno,Savino Scommegna – Comune di Foggia. Regione Basilicata : Antonino Blanca – Comune di Potenza; Teodosio De Bonis – Comune di Potenza; Pompeo La Guardia – Comune di Potenza; Maria Cristina Romaniello – Comune di Potenza. Regione Calabria : Paolo Arena – Regione Calabria, Fiorentino De Leo – Comune di Taurianiova; Leonardo Lista –Regione Calabria; Salvatore Lo faro – Comune di Taurianova; Giovanni Manduca – Regione Calabria; Mario Munizzi – Regione Calabria; Natale Pace - Comune di Palmi; Saverio Scopelliti –Regione Calabria. Regione Sicilia : Antonio Astuti – Usl 30 Palagonia; Vito Barbagallo – Provincia Catania; Maria Casella – Comune Catania; Aldo Centaro Usl 27 Agusta; Naria Italia Feltri – Provincia di Catania; Giuseppe Fichera - Comune di Catania; Silvana Giangiuliani – Provincia di Catania; Gaetano Gulino – Usl 27 Augusta; Fortunato Lantieri – Usl 16 Caltanissetta; Giacomo Medulla – Usl 30 Palagonia; Costantino Mustacchio – Usl 27 Augusta; Domenica Magliaro – Provincia di Catania: Roberto Sciuto Usl 30 Palagonia. Regione Sardegna: Aldo Cappai – Comune di Sinnai; Gianni Cocco (*) – Comune di Macomer; Angelo Dessì – Usl 16 Iglesias; Celestina Sanna – Comune di Iglesias Vittorio Sotgiu – Comune di Bosa; Luciana Usai – Comune di Iglesias. Enti Aderenti Ministero PP TT; Inadel; Regione Molise; Regione Piemonte;Regione Umbria; Provincia Catania; Provincia di Novare; Provincia di Ravenna; Provincia di Torino; Comune di Bisceglie; Comune di Campiglia Marittima; Comune di Casal Monferrato;Comune di Cesena; Comune di Citta di Castello;Comune di Cittanova; Comune di Copparo; Comune di Crema; Comune di Cremona; Comune di Giovinazzo; Comune di Iglesias; Comune di Lucca; Comune di Lugo; Comune di Luino; Comune di Macomer; Comune di Maddaloni; Comune di Modugno; Comune di Monza; Comune di Novara; Comune di Palazzolo sull’Oglio; Comune di Pesaro; Comune du Ravenna; Comune di Rimini;Comune di Ruvo di Puglia; Comune di Sinnai; Comune di Spinoso; Comune di Spoleto; Comune di Taurianova; Comune di Termoli; Comune di Tolmezzo; Comune di Varese, Comune di Vercelli; Comune di Vigevano;USL 10/B Firenze; USL 10/H Antella; USL 40 Ivrea; USL 19 Sanluri. Nota n. 7 ( manifestazioni di avvio del Cevar”) - La prima, il 14 gennaio 1981, presso la sede del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani sul tema “Gli aspetti programmatori e di coordinamento dell’attività del Consiglio Nazionale delle Ricerche” con: Presidente: Prof. Giorgio Cavallo - Rettore Università di Torino Relatore: Prof. Giuseppe Biorci - Presidente Comitato Ingegneria CNR Interventi: Prof. Ugo Lucio Businaro - Amministratore delegato Centro Ricerche Fiat Prof.Silvio Garattini - Direttore Istituto Mario Negri Prof. Antonio Paoletti - Direttore Istituto Elettronico dello stato solido CNR. La seconda, il 25 febbraio 1981, sempre presso la sede del CFI, sul tema “Il quadro istituzionale per la promozione ed il coordinamento della ricerca” con: Presidente: Prof. Giuseppe Cuomo - Rettore Università di Napoli Relatore: Prof. Giuseppe De Rita – Segretario Generale Censis Interventi: Prof Umberto Colombo - Presidente CNE Prof Francesco Ravioli – Presidente Fast Prof.Paolo Ungari - Università di Padova. Nota n. 8 ( Elenco Membri consiglio scientifico e soci del Cevar) (situazione al 31/12/1985) Consiglio di Amministrazione Prof. Camillo DerjaK – Universita’ di Venezia Presidente Ing. Corrado Corvi – Dirigente ENEL Vice presidente Prof. Paolo Ungari- LUISS - Vice Presidente Dott. Emidio Valentini- Dirigente – Presidenza Consiglio dei Ministri - Segretario Generale Dott. Nunzio Amato- Dirigente – Ministero Bilancio e Prog. Economica ;Ing. Mauro Antonetti – Ricercatore Enea Dott. Alessandro Barlam – Dirigente Industria Farmaceutica; Prof Luigi Campanella – Università di Roma Dott. Carlo di Mento – Ricercatore CNR; D.ssa Luciana Fiaccavento – Esperta di Politica Economica Prof .Gherardo Gnoli – Istituto Universitario Orientale Napoli; Dott. Antonio Grasso- Funzionario Enel Dott.ssa Giuseppina Illiano De Paoli – Funz, Commissione Nazionale Unesco; Prof Salvatore Lombardo – Università di Roma Prof. Roberto Passino - Univesità di Roma ; Prof. Raffaele Perrone Capano – Università di Napoli Prof. Mario Rinaldi – Università di Bologna; Prof Aldo Romano - Università di Bari Ing Agostino Scognamiglio – Ricercatore CNR; Prof. Sergio Stipa – Università di Roma.

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Consiglio Scientifico Prof Umberto Colombo – Presidente Enea - Presidente Prof. Giuliano Amato – Università di Roma; Prof. Giuseppe Biorci – Vice presidente CNR Prof. Daniele Bovet- Premio Nobel; Prof. Pietro Bucci - Rettore Università di Cosenza Prof. Carlo Castagnoli – Università di Torino; Prof. Giorgio Cavallo – Rettore Università di Torino Prof. Enrico Cernia – Università di Roma Prof Carlo Ciliberto – Rettore Universitò di Napoli Prof. Vincenzo Cotecchia – Università di Bari; Prof. Giuseppe Cuomo – Università di Napoli Prof. Luigi Donato – Università di Pisa; Prof. Cafiero Franconi- Universita’ di Roma Prof Giuseppe Galasso – Università di Napol; Prof. Innocenzo Gasparini – Rettore Università Bocconi Prof. Gianfranco Ghiara – Università di Napoli; Prof. MasimomSevero Giannini – Università di Roma Prof. Anna Lorenzetto- Vice Presidente Commissione Nazionale Unesco; Prof. Bruno Martinis – Università di Milano Prof. Guido Martinotti – Università di Pavi; Prof. Giuseppe Montalenti – Presidente Accademia dei Lincei Prof. Umberto Pellegrini – Università di Milan; Prof Umberto Perugini – Università di Roma Prof Sandro Petriccione – Istituto Universitario Navale di Napoli Prof. Antonio Praturlon – Università di Roma; Prof. Giovanni Pugliese – Università di Roma Prof.ssa Anna Ravà – Università di Roma; Prof. Francesco Reviglio – Presidente Eni Prof. Gaspare Rodolico - Rettore Università di Catania; Prof. Rosario Romeo – Rettore LUISS Prof. Antonio Rossi – Rettore Università di Ferrara; Prof. Antonio Ruberti – Rettore Università di Roma Prof. Giuseppe Schiavinato – Rettore Università di Milano; Prof. Giovanni Schippa – Rettore univesità dell’Aquila Prof. Mario Silvestri – Università di Milan; Prof. Giorgio Tecce – Università di Roma Prof. Eugenio Tondello – Università di Padova; Prof.sa Livia Tonolli - Laboratorio di pallanza-CNR Prof. Bruno Trezza – Università di Roma; Prof. Salvatore Valitutti – Università di Roma. Collegio dei Revisori Dott. Giovanni Vigoriti - Dottore Commercialista – Presidente; Dott. Riccardo Sandrucci – Funzionario Enel Dott. Francesco Serao – Dottore Commercialista. Soci Ing. Cesare Albanese - Ricercatore CNR; Dott. Elio Aiuti - Direttore Cisi; Prof. Ermanno Ancona – Università di Padova Prof. Salvo Andò – Università di Catania; Prof. Luca Anselmi – Università di Pisa; Prof. Franco Archibugi – Università di Napoli Dott. Gabriele Aurisicchio – Dirigente - Presidenza del Consiglio dei Ministri ; Prof Saverio Avveduto –Dirigente Generale Ministero P.I; Prof. Corrado Balacco – Università di Bari; Prof. Alessandro Ballio – Università di Roma; Prof. Enzo Bartocci- Università di Roma Ing. Giovanni Basoli – Dirigente – Ministero Trasporti; Dott. Paolo Basurto - Dirigente UNITAR Dott. Giuseppe Battistoni- Dottore Commercialista Arch. Emanuela Belfiore – Ricercatore – Università di Roma Prof. Luciano Benadusi – Università di Urbino ; Dott. Marco Bianchini – Ricercatore- Cnr Ing. Giovanni Bonora – Dirigente - Ferrovie dello StatoProf. Guido Botta – Direttore Rivista Ingegneria Nucleare; Prof. Antonio Braibanti – Università di ParmaProf. Aldo Brancati –Università di Roma Arch. Luigi Brienza-Funzionario – Casmez; Dott. Giovanni Briganti – Dirigente - Enea Prof. Fabrizio Bruner – Università di Urbino; Dott. Giorgio Brunetti – Dirigente – Cnr Dott. Benedetto Bruno – Ricercatore - Azienda Monopoli di Stato; Prof. Fabio Busi – Ricercatore CNR; Ing. Nicola Cacace – Presidente ISRI; Cons. Domenico Cacopardo – Consiglio di Stato Prof. Luciano Caglioti – Università di Roma; Prof. Edoardo Caianiello – Univesità di Napoli; Cons. Girolamo Caianiello – Corte dei Conti; Prof. Vincenzo Caianiello – Consiglio di Stato Prof. Elio Califano – Dirigente – Presidenza Consiglio dei Ministri; Prof-Luigi Capogrossi – Università di Roma Cons. Norberto Capello . Cons. di legazione – MAE; Prof, Carmelo Caputo- Università di Roma Dott. Mario Carnevale- Ricercatore -Fondazione Bordoni; Arch. Roberto Cassetti – Ricercatore- Università di Roma Prof. Manlio Cavalli – Università di Roma; Dott. Maurizio Cecconi – Ricercatore – Università di Roma Prof. Vittorio Cecconi –Università diu Palermo; Dott. Andrea Cendali Pignatelli – Ricercatore – Università di Napoli Prof. Enzo Cheli – Università di Firenze; Dott. Franco Chiarenza – Dirigente – Regione Lazio Dott. Gian Felice Clemente – Dirigente Enea; Dott. Alberto Conti – Ricercatore – CNR; Prof. Francesco De Lorenzo – Università di Napoli; Dott. Giancarlo Del Sole- Esperto Trasporti Prof. Umberto De Martino – Università di Roma; Ing. Nicola De Riso – Dirigente -Anas Dott. Gaetano Esposito – Dirigente – Istat; Cons. Giuseppe Fabbri – Consiglio di Stato Dott. Giovanni Fanucci – Ricercatore – Università di Roma; Dott. Giuseppe Ferlisi – Direttore Generale Progemi Sud Prof. Fausto Fiorentini – Università di Pescara; Prof. Luciano Fonti – Università di Roma Prof. Achille Franchini – Università di Bologna; Prof. Francesco Saverio Gaeta – Università di Napoli Dott.ssa Ornella Gheza – Esperta problemi economici; Dott. Romolo Ghi – Dirigente –Cnr Dott. Raffaele Giannetti – Dirigente industria; Prof. Franco Giusti – Università di Roma Ing. Giancarlo Grignaschi – Vice Presidente Eni; Ing. Pier Francesco Guarguaglini – Condirettore Selenia spa Dott. Cesidio Guazzaroni- Ambasciatore; Prof. Luciano Guerriero – Università di Bari Prof. Giuseppe Leo Guizzi – Università di Roma; Prof. Giorgio Gullini – Università di Torino Prof. Guido Hermanin – Università di Roma; Ing. Ercole Incalza – Dirigente -Casmez Dott. Marco Iorio – Dirigente – Eni; Prof. Enrico Jacchia – Direttore Centro Studi Strategici – Luiss Prof. Alberto Lacava – Libero professionista – Urbanista; Prof. Marcello Lando – Università di Napoli Dott. Giuseppe Lanzavecchia – Consulente Enea; Dott. Giancarlo Lo Bianco – Dirigente - Presidenza Consiglio dei Ministri Dott. Goffredo Lombardi – Presidente Idro Geo Coop

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Ing. Angelo Lozi – Ricercatore – Cnr; Prof. Giunio Luzzatto – Università di Genova Dott. Antonio Mancini – Ministro Plenipot. –MAE; Dott.sa Sofia Mannozzi – Ricercatore – Cnr Prof. Sergio Marchisio – Università di Camerino Prof.ssa Carla Martino - Università di Roma; Prof. Ferruccio Marzano -Università di Roma Prof Oscar Masi – Vice Presidente AIRI; Dott. Fabio Materazzo – Dirigente- Ministero PI Prof. Savino Melillo – Cons. Sup. PI; Prof. Luigi Mendia – Università di Napoli Prof. Giorgio Migliau – Università di Roma; Dott. Francesco Mirante – Vice Direttore Generale Inps Ing. Luigi Misiti – Vice Direttore Generale Ferrovie dello Stato; Dott Roberto Monti – Ricercatore – CNR Dott. Ugo Mosca – Ambasciatore; Prof. Calogero Muscarà – Università di Roma Dott. Paolo Napoletano – Senato della Repubblica Ing. Lionello Negri – Ricercatore- Cnr; Dott. Domenico Palemerino – Dirigente – Enea Avv. Antonio Pedinelli – Pres. Cnoss-Tecnoservizi; Prof. Antonio Pedone – Università di Roma Dott Giuseppe Pennisi – Dirigente- Ministero del Bilancio; Dott. Giuseppe Perna –Ricercatore Cnr Prof. Stefano Petilli – Università di Roma; Dott. Giuseppe Picciurro – Direttore laboratorio -Enea Prof. Luigi Pieraccioni –Segretario Generale Union-Camere; Dott. Eugenio Plaja – Ambasciatore Prof. Giorgio Praderio – Università di Bologna; Dott. Daniela Primicerio – Esperta problemi economici Dot.ssa Beatrice Rangoni Macchiavelli – Esperta Politica Internazionale; Dott. Sebastiano Rescigno – Funzionario FS Dott. Riccardo Riccardi – Dirigente – Ene; Dott. Giuseppe Riggio – Direttore centro cardiologia Ospedale di Verbania Dott.ssa Maria Pia Rinaldi Mariani – Dirigente –Presidenza Consiglio Ministri;Dott. Elio Rossi - direttore Lab. Analisi -Roma Prof .Stefano Sandri – Consigliere Amministrazione –Casmez; Avv. Giuliano Santoro _ Presidente Istituto Studi sul Lavoro Dott.ssa Gianna Scarpelli Verdone – Ricercatore – Industria farmaceutica; Prof .Carlo Scherf - Università di Roma Ing. Giuseppe Sciarrone – Centro Studi Sistemi Trasporti – Roma; Prof Renato Scrimaglio – Università di Roma Prof. Valerio Selan – Università di Roma; Prof Onorato Sepe - Corte dei Conti Prof. Alberto Sessa – Direttore Scuola Int.le Scienze Turistiche ; Ing. Cesare Silvi – Ricercatore - Enea Prof. Giovanni Somogyi – Università di Roma; Prof . Pierluigi Spaggiari – Università di Parma Prof. Giavan Battista Tranquilli -Università di Roma; Dott. Guido Vaccaio – Dirigente- Istat Prof. Carlo Vallari – Università di Roma; Prof. Salvatore Vinci – Università di Roma Dott. Mario Zigarella – dirigente Lega Cooperative. Nota 9 ( Gruppi di Lavoro CEVAR) Enti pubblici di ricerca: coord. Ing. Mauro Antonetti (PLI )– segr. Francesco Collenza (PSDI) Politica e programmazione della ricerca: coord. Enzo Bartocci (PSI) Romolo Ghi (PSI) Ricerca industriale: coord. Luigi Lerro (PRI) segr. Antovito Buccellato (Ind.Sinistra) Ricerca nel Mezzogiorno : coord. Vittorio Lecconi(PSI) - segr. Ercole Incalza (PSI) Ricerca universitaria : coord. Giunio Luzzatto(PSI) - segr. Fabio Materazzo (PSI) Relazioni Internazionali ; coord. Antonio Mancini - segr. Guido Botta (PSI) Nota 10 ( Sezioni di Lavoro Cevar) (Coordinatori e segretari) Agraria e veterinaria: Prof Pompeo Cappella, Dott. Giuseppe Piciurro Ambiente : Prof Roberto Passino, Dott. Lucio Versino Attività Spaziali . Prof. Luciano Guerriero - Ing .Cesare Albanesi Biologia _ Prof Alessandro Ballio – Dott. Marco Bianchini Chimica : Prof. Luigi Campanella – Dott. Benedetto Bruno Economia : Prof. Ferruccio Marzano- Dott. Mario Zigarella Elettronica : Prof Mario Rinaldi- Dott. Mario Carnevale Energia :prof. Mario Scrimaglio – Prof Fabio Busi Fisica : Prof. Edooardo Caianiello – Ing Cesare Silvi Geologia. Prof. Renato Funiciello. Prof. Salvatore Lombardi Informatica : prof. Antonio Avvantaggiati, Dott. Carlo di Mento Innovazioni tecnologiche : Prof Oscar Masi – Dott. Nunzio Amato Matematica : prof. Claudio Procesi - Prof Giuseppe Traversa Medicina. Prof. Sergio Stipa – Prof. Giorgio Migliau Sociologia : Prof. Giovanni Statera – Prof. Stefano Petilli Statistica : Prof. G:Battista Tranquilli- Dott. Gaetano Esposito Stato e suo Apparato : Onorato Sepe- Gabriele Aurisicchio Territorio : Ing. Gabriele di Palma – Prof Fausto Fiorentini Trasporti : Prof. Ilio Adorisio – Ing. Giovanni Bonora.

Nota n. 11 ( Composizione Sezione di lavoro Stato e sua apparato) Tommaso Alibrandi – Consigliere di Stato; Giuliano Amato – Università di Roma; Alberto Basettoni Arleri – Università di Roma; Franco Bassanini - Università di Roma; Nicola Bronzini – Avvocato dello Stato; Domenico Cacopardo: Consigliere di Stato;

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Girolamo Caianiello – Consigliere Corte dei Conti; Vincenzo Caianiello- Pres. Sezione Consiglio di Stato; Eugenio Cannada Batoli, Università di Roma; Manin C arabba – Consigliere Corte dei Conti ;Sante Chillemi – Dirigente generale Min. Funzione Pubblica; Roberto Coltelli - Consigliere Corte dei Conti; Luigi Compagna - LUISS Roma; Simone De Vescovi – Segretario Generale CIPe; Antonino Freni - Avvocato dello Stato; Vittorio Frosini- Università di Roma; Domenico Macri- Direttore Scuola Superiore PA; Antonio Malintoppi –Università di Roma; Andrea Manzella -Consigliere di Stato; Luigi Mazzella - Avvocato dello Stato; Guglielmo Negri - Vice segretario generale Camera dei Deputati; Cons. Lucio Venturini- Consigliere di Stato. NOTA 12 Manifestazioni Culturali delle Sezioni e dei Gruppi di Lavoro ( gennaio1982/marzo 1983 ) 1) 19 gennaio 1982 – Sezione Territorio - Tema E’ Possibile una politica Nazionale del territorio in Italia? ( Palazzo Ruspoli- Via di Fontanella Borghese n. 56 Roma) Presentazione ed introduzione : Ing Gabriele Di Palma; Prof. Fausto Fiorentini. Relazioni ; Albertoi Lacava, Università di Roma; Ing. Massimo Perotti, Presidente Casmez; PROF. Paolo Leon , Istituto universitario di Architettura di Venezia; Prof Edoardo Vittoria, Direttore Istituto Tecnologie del’Architettura dell’Università di Roma; Prof. Francesco Carter, Facoltà di Architettura Università di Roma. Interventi Programmati : Ilio Adorisio, Vincenzo Cabianca, Manlio Cavalli, Elisabetta Col lenza, Gianni Cossu, Umberto de Martino,; Umberto Di Cristina: Giovanni Crociati; Franco Donato; Francesco Forte; Stefano Garano; Sofia Mannozzi; Francesco Merloni; Stefano Sandri; Vittoria Foschi; Salvatore Zinxale. 2) 15 febbraio 1982 – Sezione Stato e suo Apparato - Tema I rapporti fra politica e amministrazione nella gestione della cosa pubblica ( Palazzo Ruspoli- Via di Fontanella Borghese n. 56 Roma) Presiede :Paolo Ungari: Introduce : Emidio Valentini Relatore: Gabriele Aurisicchio Interventi programmati : Tommaso Alibrandi; Santo Chillemi; Mariano Gabriele; Domenico Macrì; Onorato Sepe. 3) 24 febbraio 1982 – Gruppo Politica e Programmazione della Ricerca - Tema Finalità programmatiche e realizzazioni nei progetti finalizzati CNR ( Palazzo Ruspoli- Via di Fontanella Borghese n. 56 Roma) Presiede : Camillo Dejak Introduce : Enzo Bartocci Relatore: Emidio Valentini Interventi programmati : Alessndro Ballio; Alessandro Barlaam; Fabio Busi; GuidoFrigessi; Romolo Ghi; Giorgio Gullini; Oscar Masi: Mario Rinaldi. 4) 1 marzo 1982 – Sezione Inovazione Tecnologica - Tema : Innovazione Tecnologica, Piano a Medio Termine e Strumenti Attuativi di Intervento ( CNR –Aula Magna- Piazzale Aldo Moro - Roma) Presiede :Corrado Corvi: Introduce : Emidio Valentini Relatori : Oscar Masi.; Nunzio Amato, Antonio Scuteri Interventi programmati : Sergio Alulli; Alessandro Barlaam; Antonvito Buccellato; Nicola Cacace; Luigi Campanella: Gaetano Esposito;Guido Frigessi;Aldo Giraldini; Gabriele Maselli; GiovanBattista Tranquilli; Franco Zacchia. 5) 30 marzo 1982 – Sezione Chimica - Tema : Tesi Filoecologiche e Tesi Filotecnologiche ( Palazzo Ruspoli- Via di Fontanella Borghese n. 56 Roma) Presiede : Camillo Dejak Presentazione e Introduzione: Luigi Campanella e Benedetto Bruno Relatori: Enrico Cernia ; Roberto Passino; Walter Marconi; Mario Beccari. 6) 21 aprile 1982 – Sezione Statistica - Tema : Novità e Problematiche dei censimenti 1981 ( Presso Aniai – Piazza Sallustio, 24 Roma)) Presiede : Giovan Battista Tranquilli Introduce : Gaetano Esposito Relatore: Antomio Cortese Interventi programmati : Alberto Appetito; Alessandro Buzzi; Raimondo Cagiano de Alevedo; Roberto Cassetti; Carlo Gavarini; Renato Guarini; Benedetto Leone; Ornello Vitali . 7) 22 aprile 1982 – Sezione Informatica - Pianificazione degli Interventio Informatici nella Pubblica Amministrazione ( Palazzo Ruspoli- Via di Fontanella Borghese n. 56 Roma)

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Presiede : Massimo Severo Giannini Introduce : Emidio Valentini Relatore: Paolo Ercoli Interventi programmati : Gianni Bertone; Vincenzo Caianiello; Elio Califano;Gaetano Carcaterra; Carlo di Mento; Gesualdo Le Moli; VittorioNovelli; Diego Siclari; Alberto Zuliani.. 8) 19 maggio 1982 – Sezione Biologia - Tema ; Prospettive dell’Ingegneria Genetica ( CNR –Aula D- Piazzale Aldo Moro - Roma) Presiede :Giorgio Tecce: Relatori : Francesco Amaldi; Mauro Barni;Paolo Costantino;Paolo Neri. 9) 25 maggio 1982 – Sezione Stato e suo Apparato - Tema : Gli Apparati dela Presidenza del Consiglio e la legge di Riforma ( Sala Union Camere , PiazzaSallustio - Roma) Presiede : Aldo Bozzi: Relatore : Emidio Valentini Interventi programmati : Salvo Andò; Venerio Cattani; Paolo Ungari. 10) 16 giugno 1982 – Sezione Trasporti - Tema: Caratteriste e problematiche del Progeto finalizzato CNR Trasporti ( CNR –Aula Magna- Piazzale Aldo Moro - Roma) Presiede :Giuseppe Biorci: Introduce : Emidio Valentini Relatore : Lucio Bianco Interventi programmati : Ilio Adorisio; Mario del Viscovo; Luigi Misiti. 11) 1 luglio1982 – Gruppo Politica della Scienza e della Teconologia - Tema : Ruolo e Prospettive del CNR ( Sala Union Camere , Piazza Sallustio - Roma) Presiede : Camillo Dejak Relatore : Emidio Valentini Introduce : Mario Rinaldiu Interventi programmati : Alessandro Barlaam ; Giuseppe Biorci; Vittorio Castellani; Carlo Ciliberto; Corrado Corvi; Gherardo Gnoli, Luciana Fiaccavwento; Roberto Passino; Giuseppe Tamburano; Paolo Ungari. 12) 7 luglio 1982 – SezionePolitica Economica- Tema: L’inflazione e la lira ( Sala Aniai , PiazzaSallustio - Roma) Presiede : Francesco Reviglio della Venaria Introduce : Ferruccio Marzano Relatore : Antonio Pedone Interventi programmati : Pier Luigi Borghini; Marcello Inghilesi; Ugo Luciani; Raffaele Perrone Capano; Stafano Sandri; Leo Solari; Rolando Valiani. 13) 23 novembre 1982 – Gruppo Politica Internazionale - Tema: La Cooperazione Italiana con i Paesi in via di

sviluppo ( Hotel Boston -Via Lombardia, 47 Roma) Coordina : Antonio Malintoppi Introduce : Antonio Mancini Interventi programmati : Paolo Basurto; Guido Botta; Franco Giusti; Pier Francesco Guarguaglini; Cesidio Guazzarono; Eungenio Plaja; Salvato Salvati; Giovanni Somogyi . 14) 30 novembre 1982 – Gruppo Politica Economica - Tema: Previsioni sull’Economia Italiana e Politiche Economiche per il 1983

( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina : Ferruccio Marzano Introduce : Stefano Sandri Interventi programmati : Nunzio Amato;Pier Luigi Borghinii; Nicola Cacace; Norberto Cappello; Mario Mezzanotte; Antonio Pedone; Giuseppe Pennisio; Luigi Pieraccioni; Rolando Valiani; Ornello Vitali. 15) 6 dicembre 1982 – Gruppo Politica delle Istituzioni - Tema: Il Censimentio delle Riforme: Che cosa è possibile? Che cosa è prioritario?

( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina : Paolo Ungari Introduce : Onorato Sepe Interventi programmati : Tommaso Alibrabrandi; Mario Bessone; Salvatore Buscema; Venerio Cattani; Enzo Ciardulli; Guglielmo Negri; Raffaele Perrone Capano; Silvano Tosi. 16) 14 dicembre 1982 – Gruppo Politica Scientifica e Tecnologicaa - Tema: Il Coordinamento della Politica Scientifica e Tecnologica in Italia

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. ( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina : Camillo Dejak Introduce : Alessandro Barlaam Interventi programmati : Enzo Bartocci; Luigi Campanella; Gherardo Gnoli; Roberto Passino; Mario Rinaldi; Aldo Romano; Livia Tonolli. 17) 1 marzo 1983 – Gruppo Politica Scientifica e Tecnologicaa - Tema: Il ruolo del CNR e degli Enti Pubblici di Ricerca

. ( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina - Corrado Corvi Relatore: Mario Moretti. 18) 1 marzo 1983 – Gruppo Politica delle Istituzioni- Tema: Rapporto Ministeri/Presidenza del Consiglioe e Parlamento/Governo

( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina - Emidio Valentini Relatore: Vincenzo Caianiello. . 19) 2 marzo 1983 – Gruppo Politica Economica - Tema: Problemi attuali della Politica del Bilancio Pubblico ( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina - Bruno Trazza Relatore: - Antonio Pedone. 20) 8 marzo 1983 – Gruppo Politica Internazionale -Tema: Lo Sme a quattro anni dalla sua istituzione

( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina - Eugenio Plaja Relatore: Paolo Savona. 21 16 marzo 1983 – Gruppo Politica del Territorio e Gestione del’Ambiente - Tema: Poltica del Territori e Gestione del Suolo

( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina - Giuseppe Perugini Relatore: Franco Archibugi. 22) 17 marzo 1983 – Gruppo Politica Industriale - Tema: Il Sistema Istituzionale delle Partecipazioni Statali

( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina - Camillo Dejak Relatore: Giuseppe De Vergottini. 23) 22 marzo 1983 – GruppoPolitica dei Trasporti – Tema : Investimenti ed efficienza nel Sistema dei Trasporti su Rotaia

( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina - Paolo Ungari Relatore: Luigi Misiti. 24) 1 marzo 1983 – Gruppo Politica Sanitaria - Tema: Spesa e Servizi Resi nell’Assistenza Sanitaria

( Hotel Boston - Via Lombardia, 47 Roma) Coordina - Luigi Donato Relatore: Carlo Mastantuono. Nota n. 13 ( Convegno Scienza e Tecnologie : Le Frontiere degli anni 90) - Relazione introduttiva: Emidio Valentini - Segretario Generale CEVAR - Gli obbiettivi e le strategie del governo nella politica scientifica e tecnologica: Pier Luigi Romita - Innovazione tecnologica e ricerca scientifica - Antonio Ruberti - Rettore Università di Roma - Scenari della società e tecnologia avanzata: Giacomo Caffarena - Cons. Amministrazione ENEL - Tecnologia e agricoltura: Enrico Porceddu - Direttore Progetto finalizzato CNR “Agricoltura” - L’innovazione tecnologica nella diagnostica per immagini: Gaetano Caprino - Università di Perugia - Tecnologie avanzate e sviluppo economico: Salvatore Vinci - Università di Roma - La ricerca scientifica in Italia: Emilio Aquino - Progetti Finalizzati CNR come meccanismi di governo della ricerca scientifica e tecnologica in aree di prevalente interesse sociale: Lucio Bianco - Direttore Progetto Finalizzato CNR Trasporti e Paolo D’Anselmi - CNR - Prospettive internazionali delle attività spaziali; il ruolo dell’Italia: Luciano Guerriero - Direttore piano spaziale nazionale - Dall’intuizione di laboratorio al prototipo utilizzabile dall’industria: Massimo Moretti - Presidente CISE - Politica industriale e innovazioni: Giorgio Bolognesi - Centro ricerche FIAT

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- Valutazione dell’impatto economico e sociale delle nuove tecnologie: Vittorio Selan - Università di Roma - Gli indicatori della scienza e della tecnologia: Giorgio Sirilli - Istituto documentazione scientifica e tecnica CNR - Prospettive dell’informatica: Carlo Ciliberto - Rettore Università di Napoli - Trasferimento delle tecnologie e potenziale scientifico e tecnologico: Giuseppe Biorci - Vice Presidente CNR; - Trasferimento delle tecnologie e strutture istituzionali: Oscar Masi - Vice Presidente AIRI - Le innovazioni nella chimica: Roberto Passino - Direttore IRSA CNR, Luciano Cagliati -Direttore progetto finalizzato CNR “Chimica fine” e Renato Ugo - Direttore R & S Montedison - GlieEffetti delle innovazioni tecnologiche in agricoltura : Alfio C. Rossi - Università di Perugia - La programmazione in un Centro di ricerca tecnologica: Elio Briganti - Presidente Fondazione Bordoni - Il trasferimento delle tecnologie nella realtà italiana: Mario Pedicelli - Presidente CNOS Tecnoservizi - Tecnologia, robotica e produttività : Mario Rinaldi - Università di Bologna - Siderurgia e innovazione tecnologica: Francesco Ravioli - Presidente CSM - Ruoli di una società di ricerca chimica nei trasferimenti di tecnologia: Alberto Valvassori – Amministr. delegato Istituto Donegani - Innovazione tecnologica e sistema bancario: Luigi Coccioli - Presidente Banco di Napoli - Grandi programmi di formazione per riconversione alle nuove tecnologie: Giovanni Schippa -Rettore Università dell’Aquila - Prospettive industriali delle biotecnologie: Enrico Cernia - Presidente ASSORENI - Scienze fisiche e sviluppo tecnologico: Giancarlo Mantovani - Università di Perugia - Ruolo del CIPE e del CIPI nella politica scientifica e tecnologica italiana: Nunzio Amato - CIPE/CIPI – Ministero del Bilancio - Tecnologia ed avanzamento sociale: Vittorio Cecconi - Università di Palermo - Nuove tecnologie e telecomunicazioni: Basilio Catania - Direttore Generale CSELT - Occupazione ed innovazione tecnologica: Mario D’ambrosio - Amministratore Delegato ISRI - Competere sul piano dell’innovazione è la sfida a cui il paese deve rispondere: AgostinoLa Bella - IASI CNR - Coordinamento istituzionale per gli incentivi finanziari alla ricerca: Antonio Paletti -Pres. collegio dei Direttori di Istituti del CNR - Invenzioni e sviluppo economico: Guido M: Rey - Presidente ISTAT - Ricerca operativa e reti operative coordinate: Carlo Rizzato - Presidente GNSM - Sistema scolastico e innovazioni: Franco A. Levi - Università di Perugia - Il mercato della tecnologia: Umberto Pellegrini – Università di Milano - Trasferimento delle tecnologie nella cooperazione internazionale: Luigi Campanella - Università di Roma - L’esperienza CEE nell’innovazione tecnologica: Paolo Cecchini - Direttore generale aggiunto CEE - L’attività di ricerca finalizzata a programmi di cooperazione internazionale: Bruno Grassetti - Segretario Comitato italiano scienza e tecnologia per lo sviluppo - La cooperazione scientifica e tecnologica con i paesi in via di sviluppo: Cesidio Guazzarono - Ambasciatore CONCLUSIONI – Camillo Dejak - Presidente Cevar. Nota n. 14 ( Primo ciclo di riunioni dei gruppi permanenti di lavoro sul tema: “Gli interrogativi dell’Italia che cambia” _ Confronti di Opinioni) Autunno 1983 – Presso sede Cevar. –Piazza Sallustio, 25 Roma) Personalità partecipanti: Dott. Luigi Abete , Presidente Federindustria Lazio; Prof. Alfonso Alessandrini, Ministero Agricoltura e Foreste ; On. Salvo Andò, Camera dei Deputati; Dott. Gilberto Balduini, Amministratore Delegato Aeroporti di Roma; Prof. Alessandro Ballio, Università di Roma; Dott. Pierfrancesco Bariletti, Amministratore Delegato Selenia; Prof. Mauro Barni, Università di Siena; Dott. Attilio Bastianini, Consigliere Amministrazione Italstat; Prof Antonio Berardi, Direttore Sanitario Osped. San Giacomo Roma ; Prof. Lucio Bianco, Direttore Progetto Finalizzato CNR “Trasporti”; Prof. Giuseppe Biorci , Vice Presidente CNR, Prof. Pietro Bonanni, Pres, Usl 17 Roma; Prof. Lorenzo Bonomo, Università di Bari; Ing. Giovanni Bonora, Vice Presidente CIFI; On. Aldo Bozzi, Camera dei Deputati, Prof. Aldo Brancati, Università di Roma; Prof. Luigi Campanella, Università di Roma; . Ing Claudio Cavazza, Pres. Sigma Tau: Prof. Vittorio Cecconi, Università di Palermo; Prof. Vincenzi Correnti , Università di Napoli, Prof. Camillo Dejak, Presidente Cevar, Prof. Mario del Viscovo, Università di Roma Prof. Giuseppe De Vergottini, Università di Bologna; Avv. Guido Fantoni, Vice Presidente Asap; Dott. Stefano Folli, Direttore Rivista “Occidente”; Prof. Cafiero Franconi, Università di Roma 2 ; Prof. Vittorio Frosini, Consiglio Superiore Magistratura; Amb. Cesidio Guazzaroni, Ambasciatore; Prof. Diego Gullo, Amministratore Delegato Teatro di Roma; Prof. Agostino La Bella, Iasi CNR; Prof Gianfranco Legittimo, Segret. Generale Centro Studi Problemi Portuali; Ing. Sebastiano Leopardi. Presidente Termosud; Prof . Antonio Malintoppi. Università di Roma; Min. Plen. Antonio Mancini, MAE ; Prof Giuseppe Montalenti, Presidente Accademia dei Lincei; Prof. Calogero Muscarà, Università di Roma: Prof Gian Piero Orsello, Vice Presidente RAI; Arch. Costanza Pera, Cons. Scientifico Ministro per l’Ambiente; Prof. Raffaele Perrone Capano, Università di Napoli; Prof. Giuseppe Perugini, Università di Roma; Prof. Rodolfo Picchiotti, Università di Roma; Amb Eugenio Plaja. Ambasciatore; Prof. Giorgio Praderio, Università di Bologna; Prof. Guido M Rey, Presidente Istat; Ing Giuseppe Rizzo,Direzione Generale FS; Prof. Fabio Roversi Monaco, Università di Bologna; Prof. Angelo Sabatini, Direttore Rivista “ Tempo Presente”; Prof Giovanni Schippa, Rettore Università dell’Aquila; Pres. Onorato Sepe, Corte dei Conti; Dott. . Alfredo Solustri, Direttore Generale Confindustria; Prof. Sergio Stipa, Università di Roma ; Prof. Giuseppe Tamburano, Università di Catania; Prof Giorgio Tecce, Università di Roma; Prof Bruno Trezza, Università di Roma, Prof. Paolo Ungari, Vice Presidente CEVAR; Dott. Emidio Valentini, Segretario Generale CEVAR; Prof. Carlo Vallauri , Università di Roma; Prof Salvatore Vinci, Università di Roma; Prof Bruno Zevi, Università di Roma. Nota n. 15 ( Secondo ciclo di riunioni dei gruppi permanenti di lavoro sul tema: “Gli interrogativi dell’Italia che cambia” _ Confronti di Opinioni) Autunno 1984 – Presso sede Cevar. –Piazza Sallustio, 25 Roma)

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Personalità partecipanti: Prof. Ilio Adorisio , Università di Roma; Prof. Luca Anselmi, Università di Pisa, Prof. Franco Archibugi, Università di Napoli; Dott. Alessandro Barlaam, Dirigente Enichimica; Prof Antonio Berardi, Direttore Sanitario Ospedale San Giacomo Roma: Ing. Franco Bernstein. Presidente Apri –Roma; Dott. Luciano Bolis, Movimento Federalista Europeo; Ing. Giovanni Bonora , Vice Presidente CIFI; Prof Vincenzo Cabianca , Università di Roma;Ing Gabriele Cagliari- Eni; Dott. Fausto Capalbo. Associazione Generale delle Cooperative; Prof. Luigi Cappugi –ENI; Prof Aldo Caron, Scultore; Ing. Basilio Catania, Direttore generale CSELT; Dott. Vittorio Cavaceppi, Presidente Ordine dei Medici Roma; Prof Romano Cipollini, Università di Roma; Prof. Camillo Dejak, Presidente Cevar; Prof. On. Francesco De Lorenzo, Sottosegretario Ministero Sanità: Arch. Riccardo Dotti, Aniai; Dott. Marcello Ermini, Direttore Giornale “ Attualità Mediche”, Livorno; Prof. Fausto Fiorentini, Università di Chieti ; Prof Cafiero Franconi, Università Tor Vergata Roma; Prof. Gianfranco Giardini, Amminis. Delegato Stretto di Messina spa; Ing. Giancarlo Grignaschi, Vice Presidente ENI; Amb. Cesidio Guazzaroni, Ambasciatore; Prof Giampaolo Imbrigli, Università di Roma; Prof Agostino La Bella, Comitato tecnologico CNR; Prof. Ernesto Liccardi, Ministero delle Finanze; Prof. Francesco Liguori. Presidente Consiglio Superiore Agricoltura; Amb. Ugo Mosca, Ambasciatore;Prof.sa Marinella Ottolenghi, Università di Roma; Dott. Enrico Palermo, Comissione CEE;Prof. Sergio Pauluzzi, Università di Perugia;Dott. Massimo Pazienti, Direttore Irspel; Dott. Umberto Pedroni, Direttore Italtel;Prof.Rodolfo Picchiotti, Università di Roma; Amb. Eugenio Plaja, Ambasciatore; Prof. Erminio Reiteri,Università di Genova;Prof. Mario Rinaldi, Università di Bologna; Prof. Carlo Rizzuto, Università di Genova, Dott, Giancarlo Scatassa, Dirigente Generale Ministero Funzione Publica; Dott. Leo Solari, Vice Presidente Credito Italiano;Prof Giuseppe Tamburano, Università di Catania; Pres. Savatore Terranova, Corte dei Conti; Dott. Emidio Valentini, Segretario generale Cevar. Nota n. 16 ( Primo e secondo ciclo di riunioni sul tema: “Quale Roma per gli anni 90” in collaborazione con il Club Roma 90 –_ Confronti di Opinioni - Presso Sede Cevar. –Piazza Sallustio, 25 Roma - maggio /ottobre 1984) Personalità Pertecipanti Sergio Andreotti; Presidente Aiace; Alberto Antignani, Sovrintendente Teatro dell’Opera; Maria Grazia Arangio Ruiz, Dirigente Istat, Paolo Albarello Franco, Dirigente Regione Lazio; Franco Archibugi, Università di Napoli; Enzo Bastianelli, Ristorante Bastianelli; Giuseppe Battista, Teatro Eliseo; Giuseppe Beha, dirigente CNA, Giulio Bencini, Assessore al Traffico Comune di Roma; Antonio Berardi, Direttore Sonitario Ospedale San Giacomo Roma;Dante Bernini, Sovrintendente Beni Artistici e Storici del Lazio; Giorgio Bodoni, Presidente Associazione Esercenti; Giovanni Bonora, Vice Presidente Cifi, Pierluigi Borghini, Presidente Giovani Industriali Lazio; Domenico Bosi, Presidente CSAin Roma, Alessandro Busca, Università di Reggio Calabria; Romano Cipollini, Università di Roma; Ugo Colonna, Segretario Generale ADITEQ; Paolo Conti, Giornalista Corriere della Sera, Teodoro Cutolo, Assessore alla Cultura Regione Lazio; Giovanni Carli Balloia, Dirigente RAI , Vittorio Cavaceppi, Presidente Ordine dei Medici Roma; Antonio D’Harmat Froncois, Dirigente Generale Ministreo del Lavoro; Ghigo De Chiara; Critico Teatrale; Camillo Dejak , Presidente CEVAR ; Vezio De Lucia,, Dirigente Ministero Lavori Pubblici; Mario Del Viscovo, Università di Roma. Umberto De Martino, Università di Roma; Gian Maria Feletti, Direttore Credito teatrale BNL; Massimo Fichera, Vice Direttore Generale RAI; Cafiero Franconi; Università Tor Vergata; Mario Gallo, Produttore Cinema ; Alessandro Gipponi, Regista; Diego Gullo, Presidente Teatro di Roma; Francesco Karrer, Università di Roma; Edoardo Loi, Università di Roma; Marcello Lucchetti, Università di Roma; Marina Malfatti, Attrice; Umberto Mannucci, Dirigente Industriale; Giuseppe Moesch, Università di Cagliari; Mario Moretti; Teatro del’Orologio; Edoardo Mori, Direttore Comp,le FS Roma, Gian Luigi Nigro, Segretario Istituto Nazionale Urbanistica; Marcello Panni , Direttore orchestra; Antonio Paoletti, Università di Roma; Luisi Pavolini , Accademia filarmonica Roma;Massimo Pazienti. Dirigente Irspel; Giuseppe Perugini, Università di Roma; Giovanni Pettinato, Università di Roma; Abelardo Sacchetta, Dirigente medico USL RM11Roma ;Vallea Santa Maria Scrinari, Sovrintendente Archeologia per Ostia;, Mario Serio, Dirigente Generale Ministero Beni Culturali; Alberto Sessa, Direttore Scuola Int.nale Scienze turistiche; Francesco Spinelli, Coordinatore Sanitario USL RM11 Roma; Paolo Ungari, Vise Presidente CEVAR; Emidio Valentini, Segretario Generale Cevar; Carlo Vallauri, Consigliere Teatro di Roma; Mino Vianello, Teatro Università; Gilberto Visentin Regista; Roman Vlad, Musicista. Nota n. 17 Ciclo di incontri/dibattiti sul tema “Le innovazioni tecnologiche nel sistema economico sociale italiano” e sul tema “Istituzioni e società” Primo ciclo sul tema “Istituzioni e Società”. I tre incontri si svolsero sui seguenti temi: 1) Attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio

(coord. prof. Enzo Cheli - presid. CERPIS, relazione di base prof. Paolo Ungari - Pres. CERPIS); 2) L’accesso dei cittadini ai documenti della Pubblica Amministrazione

(coord. Prof. Mario Nigro, relazione di base Avv. Ignazio Caramazza); 3) La delegificazione in campo amministrativo

(coord. Avv. Gen. dello Stato Giuseppe Mannari, relazione di base dott. Gabriele Aurisicchio). Interventi programmati, in particolare: Prof. Vincenzo Caianiello - Consiglio di Stato, Prof. Onorato Sepe - Corte dei Conti Cons. Giuseppe Fabbri - Consiglio di Stato; Prof. Giuseppe Pericu - Università di Milano

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Prof. Francesco Pugliese - Presidente comitato Giuridica CNR, On. Prof. Tommasi Alibrandi - Camera dei Deputati : Prof. Romano Bettini - Università di Roma, Avv. Giancarlo Ciaurro - Vice segretario Gen. Camera dei Deputati, Prof. Alessandro Taradel - Scuola Superiore PA. Secondo ciclo, sul tema “Le innovazioni tecnologiche nel sistema economico sociale italiano” I tre incontri si svolsero sui seguenti temi: 1) - Il Piano Spaziale Nazionale: aspetti operativi e gestionali (coord. Prof. Giuseppe Biorci – Vice Pres. CNR, rel. base: Prof. Luciano Guerriero - Direttore Piano Spaziale Nazionale); 2) - La politica degli incentivi all’innovazione nel sistema industriale italiano (coord. Prof Giovanni Schippa - Pres. CERIT, rel. base: Prof. Giacomo Caffarena - Consigliere Economico del Ministero dell’Industria); 3) - I Progetti Finalizzati del CNR nel sistema della ricerca scientifica e tecnologica italiana (coord. Prof. Camillo Dejak - Presidente CEVAR, rel. base Prof. Agostino La Bella: Progetto finalizzato Trasporti CNR). Interventi programmati, in particolare Dott. Nunzio Amato - Ministero del Bilancio; Ing. Cesare Benigni - Telespazio; Ing. Silvano Casini, FIAR; Ing. Mario de Leo - MRST; Ing. Pietro Masarati - Selenia Spazio; dott. Benedetto Purificato - Ministero del Tesoro; Prof. Ernesto Vallerai - Aeritalia; Dott. Sergio Alulli – CNR; dott Umberto la Monica - Min. Industria, Ing. Giampiero Valeriani - IMI; dott. Michele Vitari –Confindustria; Prof. Mario Carnevale - Fondazione Bordoni; Prof. Francesco Liguori - Pres. Consiglio Sup. Agricoltura; Dott. Piero Marini – MRST. Nota 18 (coordinatori e relatori dei 20 seminari di base per preparazione Convegno“Dirigenza e Management nelle istituzioni, nell’economia degli anni ’90” Dott. Cesare Annibaldi - Direttore relazioni industriali Fiat, Ing. Pier Luigi Borghini.. Industriale; Domenico Magrì – Direttore Scuola Superiore PA; Dott. Giovanni Briganti , Consigliere Amministrazione Enea; Avv. Enzzo Ciardulli . Avvocato dello Stato. Avv. Ignazio Caramazza . Avvocatura dello Stato. Avv. Antonino Freni . Avvocatura dello Stato; Avv. Massimo Mazzella, Avvocatura dello Stato; Ing. Luigi Misiti, ViceDdirettore Generale FS, Dott, Tommaso Melodia , Dirigente generale Azienda PT, dott, Francesco Scocchera, Dirigente Generale Monopoli di Stato; Dott. Placido Lombardi, Dirigente Generale ANAS; Ing Marcello Inghilesi – Vice presidente Enel, Ing. Luciano Azione, Direttore compartimentale ENEL, Dott. Alfonso Libruno, Dirigente Centrale ENEL; Dot. Francesco Mirante, Vice direttore generale INPS; Dott. Walter Chiusini, Dirigente generale INAIL; Prof Carlo Ciliberto, Rettore Università di Napoli, Prof. Edoardo Caianiello, Università di Salerno; Prof. Romano Cipollini, Università di Roma. Prof. Giorgio Ghullini, Università di Torino; Prof. Giuseppe Biorci, Vice presidente CNR, Dott. Alessandro Barlaam Dirigente Generale CNR, Dott. Mario Moretti, Direttore Generale CNR, Prof Renato Scrimaglio, Direttore Laboratori INFN Frascati; Prof, Giuseppe De Vergottini, Consigliere amministrazione RAI, Prof., Pier Francesco Guarguaglini, Condirettore Selenia; Dott. Giuseppe Medusa , direttore centrale Alfa Romeo auto; Cons. Mario Cifarelli, Consiglio di Stato,Cons. Tommaso Alibrandi, consigliere di Stato; Cons. Domenico Cacopardo, Consigliere di Stato, Cons Giovanni Varcirca, Consigliere di stato; Prof. Onorato Sepe Commissario di Governo Regione Calabria; Dott, Franco Chiarenza Dirigente Regione Lazio;Pres, Salvatore Terranova, Corte di Conti; Prof. Salvatore Buscema. Corte dei conti ; Cons, Girolamo Caianiello, Corte dei Conti; Prof. Francesco Garri, Corte dei Conti; Prof Giuliano Mussati , Università Bocconi; Prof Enrico Jacchia- LUISS, Prof. Rolando Valiani, LUISS;Prof. Carlo Giannuzzi, Senato della Repubblica, Dott. Paolo Napoletano, Senato della Repubblica, Prof. Vico Licenzi, Senato della Repubblica; Prof. Enzo Cheli, Università di Firenze, Dott, Emidio Valentini, Presidenza Consiglio dei Ministri Dipartimento Funzione Publica, Prof, Sante Chillem. Pres. Consiglio dei Ministri, Dip, Funzione Pubblica; Cons. Elio Berarducci, Camera dei deputati, dott. Sandro Diotallevi, Camera dei Deputati; dott, Carlo Pappagallo, Camera dei Deputati; Avv, Pietro Bonanni , Prsid. USL RM7 Roma, Prof. Antonio Berardi, Direttore sanitario Ospedale San Diacono Roma, dott, Antonio Palombo, coord, Amministrativo USL RM9 Roma, Dott, Giovanni Petenella, coord. Ammì.vo USL RM18, dott. Ernesto Petti . Segretario generale Osp Bambin Gesù Roma; Dottò Rolando Foresi Direttore generale gruppo VE GE Italia, Rag. Riccardo Francioni, Direttore generale A & O SELEXDott. Vincenzo Papaleo, Direttore del Personale CONAD, Dott. Giorgio Tagliani direttore centrale del personale COIN ; prof Vittorio Frosnii, Consiglio superiore Magistratura; Pres, Carlo Novelli, direttore CED Corte di Cassazione; Pres, Carlo Sammarco, Presidente Tribunale di Roma .

Nota 19 (convegni di sintesi per preparazione Convegno“Dirigenza e Management nelle istituzioni, nell’economia degli anni ’90”) 1) “Magistrature” (in collaborazione con l’Università La Sapienza) Roma, 14 maggio 1984 nell’aula Galasso della Facoltà di Giurisprudenza, Seduta mattino Presiede Avv. Giuseppe Manzari, Avvocato Generale dello Stato Introduzione Emidio Valentini Relazioni di Vittorio Novelli per la Magistratura Ordinaria, di Ignazio Caramazza per l’Avvocatura dello Stato , di Francesco Garri per la Corte dei Conti, tutti già impegnati nei seminari di settore. Seduta Pomeriggio Presiede Avv. Vicenzo de Carolis, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura

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Relazioni di Massimo Massella per l’Avvocatura dello Stato, di Carlo Sammarco per la Magistratura Ordinaria, di Salvatore Buscema per la Corte dei Conti e di Giovanni Vacirca per il Consiglio di Stato. 2) “Amministrazioni Pubbliche “ (in collaborazione con il CNR) Roma, 21 maggio 1984 nell’aula Marconi del CNR Seduta Mattino Presiede on. Bruno Landi, Presidente Regione Lazio Introduzione di Emidio Valentini Relazioni di Luigi Pieraccioni (Union Camere), Angelo Barberini (Regioni), Walter Chiucini (Enti Pubblici), Massimo Moretti (CNR), Enzo Mammone (Aziende di Stato), Sante Chillemi (Ministeri) .

Seduta Pomeriggio Presiede Prof. Ernesto Quagliariello, Presidente CNR Relazione di Giuseppe Biorci (Enti di ricerca), Francesco Mirante (Enti Pubblici), Placido Lombardo (Aziende di Stato), Antonio Palombo (Aziende Sanitarie), Tommaso Melodia (Aziende di Stato), Domenico Macrì (Scuole di Formazione), Ercole Incalza (Enti pubblii/Cassa Mezzogiorno), Elio Califano (Ministeri). 3) “Imprese private” (in collaborazione con l’Università Bocconi) Milano, 28 maggio 1984 presso l’Università Bocconi. Presieduto dal Prof. Innocenzo Gasparini, Rettore Università Bocconi, introduzione di Emidio Valentini e relazioni di Pierluigi Borghini, Luigi Corsi e Giorgio Togliani (che sintetizzarono i risultati dei precedenti seminari di settore) e interventi integrativi del Prof. Claudio DeMattè, Direttore SDA Bocconi, dott, Gavino Manca, Direttore pianificazione e affari pubblici Pirelli, ing. Giuseppe Pellicanò, Consigliere Delegato Tecnomasio Italiana-Brown Boveri Spa, dott. Giovanni Varasi, Presidente Assochimica bv. 4) “Imprese pubbliche” (in collaborazione con la LUISS) Roma, 4 giugno 1984 presso la LUISS Presieduto dal prof Giuseppe De Vergottini (Comitato presidenza IRI) e con relazioni di Marcelllo Inghilesi, Raffaele Simonetta, Guido Fantoni e Giusppe Medusa per la sintesi dei seminari precedenti. 5) “Parlamento Italiano” (Organizzazione Amministrativa) Roma, 8 giugno 1984 presso CEVAR (sala riunioni - Piazza Sallustio) Presieduto dal prof. Guglielmo Negri, con introduzione del dott. Emidio Valentini e relazioni dei consiglieri Vico Vincenti, Tommaso Affinita, Marcello Zingales per il Senato e dei consiglieri Ugo Zampetti, Elio Berarducci e Alessandro Diotallevi per la Camera. 6) “Università “ (in collaborazione con l’Università di Napoli)

Napoli 11 giugno 1984 - Aula Magna Facoltà di Lettere Università di Napoli

Mattino Presiede: Prof Carlo Ciliberto, Rettore Università di Napoli Introduzione: prof. Paolo Ungari Relazioni: prof. Gianfranco Ghiara, prof. Gianfranco Casavola, Oreste Greco (Università Pubbliche), prof. Giuliano

Mussati (Università Private).

Pomeriggio Presiede prof. Rosario Romeo, Rettore LUISS Relazioni: prof. Paolo dell’Anno, prof. Edoardo Caianiello e Giuseppe Cuomo (Università Pubbliche).

Nota 20 “ Convegno Dirigenza e Management nelle Istituzioni e nell’Economia nell’Italia che cambia”-Aula Marconi-CNR –Piazzale Aldo Moro, 7 ( 13-14-15 Marzo 1985) Mercoledi’ 13 Marzo 1985 Ore 9,30-11 - Saluti agli intervenuti e relazione introduttiva Presiede: Prof. Umberto Colombo-Presidente Enea e Presidente Consiglio Scientifico CEVAR Saluto ai convenuti : Prof Paolo Ungari –LUISS- Vice Presidente CEVAR Relazione Introduttiva “ Il Managemente Italiano alla soglie degli anni 90” Dott. EmidioValentini _ Direttore del Servizio Funzionamento della Publica Ammnistrazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento Funzione Pubblica- Segretario Generale CEVAR. Ore 11-11,30 Intervallo Ore 11,30 – 13,30 – seduta mattutina Presiede : Prof. Camillo Dejak _ Università di Venezia- Presidente CDA - CEVAR Relatori: Prof. Antonio Berardi – Direttore Sanitario Ospedale San Giacomo-Roma “Management ed efficienza nel Sistema sanitario nazionale” Dott. Ottavio Salomone – Vice Direttore Generale Banco di Sicilia “Le nuove funzioni manageriali nel sistema bancario italiano in un’ottica di internazionalizzazione”

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Ing. Pier Luigi Borghini – Presidente Giovani Industriali del Lazio “ La nuova figura dell’Imprenditore” Intervento On. Remo Gaspari- Ministro Funzione Pubblica. Ore 13,30-15,30 – Intervallo Ore 15,30-19,30 :seduta pomeridiana Presiede: Ing. Corrado Corvi – Direttore Centrale Enel e Vice Presidente CEVAR Relatori : Prof Giuseppe Biorci- Vice Presidente CNR “Peculiarità del management negli Enti pubblici di ricerca” Prof. Giam Piero Orsello – Vice Presidente RAI ” Le nuove Tecnologie dell’informazione nella trasformazione dell’Italia e dell’Europa” Prof. Gianfranco Ciaurro – Vice Segretario Generale- Camera dei Deputati “Dirigenza e management nelle Amministrazioni Parlamentari” Prof. Gianfranco Ghiara – Università di Napoli “ Dirigenza: concetto e funzioni alla luce del’esperienza universitaria” Avv. Ignazio Caramazza – Avvocato dello Stato “Prospettiva dell’elaboratore elettronico nell’attività di consulenza legale e difesa in giudizio dello Stato” Prof. Giuliano Mussati – Università Bocconi Milano “ Università e mondo produttivo negli anni ‘80” Dott. Giovanni Briganti- Consigliere Amministrazione Enea “ Il Management in un Ente di Ricerca e promozione industriale” Prof. Lucio Bianco- Direttore IASI -CNR “ Management e programmazine nella pubblica amministrazione” Dott. Gaetano Esposito – Dirigente Istat “ Dirigenza e Pianificazione nel’Istat”. Mercoledi’ 13 Marzo 1985 Ore 9- 13 – seduta mattutina Presiede : Prof Carlo Ciliberto- Rettore Università di Napoli- Consiglio Scientifico CEVAR Relatori : Prof. Romano Cipollini _ Preside Facoltà Farmacia –Università di Roma “ Università e professione” Dott. Angelo Barberini –Dirigente Regione Umbria “Il dirigente nelle Amministrazioni regionali: responsabilità e ruolo” Dott. Sergio Finessi – Capo Pubblicità re relazione SA “ La gestione di quadri e dirigenti assicurativi negli anni ‘80” Prof.- Vittorio Frosini – Membro Consiglio Superioredella Magistratura” “ Informatica e management” Dott. Giancarlo Scatassa – Direttore Servizio documentazione e tecnologie – Presidenza del Consiglio dei Ministri.- Dipartimento Funzione Pubblica “ Tecnologia e management nella Publica Amministrazione” Dott. Walter Chiucini – Dirigente Generale Inail “Professionalità ed efficienza negli Enti pubblici non economici” Dott. Enzo Mamone – Vice Direttore Generale Monopoli di Stato “ Il Management in un’Azienda pubblica produttrice di beni” Dott. Paolo Federico Ronza - Direttore Ufficio Programmazione e Controllo di Gestione – BNL “Il management di banca: possibili tendenze evolutive a breve e medio termine” Prof. Carlo Corsi - Direttore R & S –Selenia spa “ Impatto delle nuove tecnologie sul management delle industrie elettroniche avanzate” Dott. Nunzio Amato – Nucleo valutazione Ministero del Bilancio “ Il dirigente della pubblica amministraione e la valutazione dei progetti”. Ore 13,30 – 15,30 - intervallo Ore 15.30 – 19,30 – seduta pomeridiana Presiede : Prof. Paolo Ungari- LUISS- Vice Presidente CEVAR Relatori : Ing. Marcello Inghilesi – Vice Presidente Enel “ Imprenditorialità negli enti pubblici economici” Cons. Giovanni Vacirca – Consigliere di Stato “ Giustizia amministrativa ed efficienza della pubblica ammistrazione” Pres. Salvatore Buscema – Presidente Sezione Corte dei Conti “Il coordinamento fra i sistemi di controllo nel settore pubblico” Ing. Giancarlo Grignaschi - Vice Presidente Eni “ affermazione dei criteri di managemement nel’Impresa pubblica” Dott. Francesco Mirante – Vice Direttore Generale Inps “Il parastato e la figura del manager” Prof. Sante Chillemi – Direttore Servizio Affari generalie coordinamento – Presidenza del consiglio dei Ministri- Dipartimento Funzione Publica “ La dirigenza nella pubblica amministrazione”

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Ing. Giovanni Bonora – Vice presidente del Collegio ingegneri ferroviari italiani “ Il mamagement nelle aziende pubbliche di trasporto” Prof. Giuseppe de Vergottini – Membro consiglio presidenza Iri “ Management e direzione politica nelle imprese a partecipazione statale” Prof. Giuseppe Previti Flesca - Luiss “ Management e gestione economica dell’impresa pubblica”. Venerdì15 marzo 1985 Ore 9,30 –13 - seduta conclusiva Presiede Avv. Giuseppe Manzari – Avvocato Generale dello Stato Relatori Dott. Domenico macrì – Direttore Scuola Superiore P.A. “ La formazione dirigenziale nella P.A.” Dott. Giorgio Togliani – Direttore Centrale relazioni personale - Coin “ Il Management e l’innovazione tecnologica nella distribuzione. organizzata degli anni ‘80” Pres. Salvatore Terranova – Presidente Sezione Corte dei Conti “Effetti del Controllo della Corte dei Conti sulla dirigenza ed il management nelle istituzioni publiche” Dott. Bruno Lamborghini – Direttore studi economici Olivetti “ Nuove tecnologie e traformazione nelle imprese industriali” Ing. Luciano Arzone – Direttore compartimentale Enel - Roma “ Produttività e managenent in un ente pubblico economico” Avv. Guido Fantoni – Vice Presidente Asap “ Prospettive e ruolo del management nelle imprese pubbliche degli anni ‘80 Prof. Mario Rinaldi – Università di Bologna “ Dirigenza delle strutture universitarie e procedure amministrative”. Nota 21 (Consiglieri d Amministrazione del Club Roma 90) Dott. Alberto Antignani, Università di Roma, Arch. Luigi Brienzza, libero professionista, Prof. Luigi Campanella, Università di Roma, Prof. Manlio Cavalli, Università di Roma,, Arch. Gianni Cossu, libero professionista , Prof. Umberto de Martino, Università di Roma ) Sig, Mariano De Paoli., Funzionario Ferrovie dello Stato , sig. Luigi Dominicucci, tecnico pubblicitario;Av. Lucia Frascarelli, libero professionista, dott, Andrea Maniscalco, libero professionista, Dott, Fabio Matarazzo Dirigente Ministero P:I, Prof, Carlo Ricotti , Università di Padova; Dott. Giorgio Panizzi, Segretario CNITE, dot. Giuseppe Scanni , esperto problematiche internazionali, Dott.ssa Antonella Zagaroli, impiegata dello Stato. Nota n. 22 (Consiglio Scientifico del club Roma 90) Prof. Ilio Adorisio, Università dell’Aquila, Coms. Tommaso alibrandi, Consigliere di stato, Prof, Saverio Avveduto, Dirigente Generale Ministero PI, Dott, Giovamnmi Baldi, regista, Prof. Aldo Caron, scultore, Prof. Giuseppe de Vergottini , Università di Bologna, Prof, Vittorio Frosoni, Università di Roma, Dott, Sergio Gagliardi, dirigente bancario; prof. Gino Giugni, Università di Roma,Prof, Antonio Malintoppi, Università di Roma, Prof. Guglielmo Negri Vice Segret. Generale Camera dei deputati, Prof. Giuseppe Perugini, Univ. Di Roma; Avvocato Vittorio Ripa di Meana, Libero professionista; Prof, Tito Scaloia, pittore; Prof. Renato Scrimaglio, direttorelaboratori INFN Frascati; Ddott, Umberto Serafini; Pres, Sezione Italiana Comuni di Europa; Prof Aldo Turchiaro, pittore;Prof. Rolando Valiani, LUISS Roma;Prof. Aldo Visalberghi, Università di Roma; Prof. Marcello Vittoriani, Università di Roma- Collegio dei Revisori. Dott. Sergi Li Volsi e dott. Sebastiano Rescigno. Nota n. 23 (Coordinatori i gruppi di Lavoro Club Roma 90) Musica - Maestro Giancarlo Chiaramello, Direttore Fonit Cetra Teatro- dott. Antonio Manca- Operatore culturale Lega delle Cooperative Televisione: dott. Cesare Ardini- Pubblicista Arti Figurative : prof. Giuseppe Gatt – Professore Universitario Editoria : Prof. Sergio Sorgini- Segretario generale Premi europa, Beni culturali: Dott. Mario Serio –Dirigente Generale Ministero Beni culturali Problemi sociali Emergenti: dott. Bruno Pierozzi- Funzionario Sindacale Lavoro e Occupazione: Avv. Giuliano Santoro- Presidente Istituto Studi sul Lavoro Turismo : dott. Pietr Coretti – operatore turistico Sport e tempo libero: Sig. Tonino Viti- Segretario Nazionale Ass.Centri sportivi Trasporti: Dott. Giancarlo del Sole. Esperto tecnica ed economia dei trasporti Territorio e ambiente Arch, Roberto Cassetti- libero professionista Credito: dott. Raffaele Cosciotti, Dirigente Bancario Sanità prof. Giorgio Fiorini – Primario Psichiatra Artigianato- dott. Piero Gualtieri , Segretario Fed,ne Reg.le Lazio della confederazione generale italiana dell’artigianato Commercio_ dott. Francesco Cerza – Consigliere Unione Commercianti

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Industria- Ing. Pier Luigi Borghini- Presidente Giovani industriali lazio (Confindustria) Dott. Alessandro Liberatore . Consigliere Confapi Nota n. 24 (Membri Consiglio di Amministrazione ADITEQ) Dott. Nunzio Amato, Dirigente – Ministero del Bilancio, Dott. Tiziano Cristiani, Dirigente Rai; Sig, Mariano De Paoli, Funzionario FS, dott. Romolo Ghi -. Dirigente CNR; Ing. Francesco Lustro, dirigente Elettronica spa. Dott. Francesco Mirante, Vice Direttore Generale INPS; Dott. Angelo Caramanna, funzionario Telettra; Ing. Mario Sodaro, irigente Selenia; Ing. Nauro Zagaroli Funzionario Technipetrol.

Nota n. 25 (Membri Consiglio Scientifico ADITEQ) Prof. Tommaso alibrandi, Consigliere di Stato, dott. Giacomo Figliola Baldieri, Esperto Finanziario. Cons. Girolamo Caianiello, consigliere Corte dei Conti, Prof. Raffaele Perrone Capano, Prof. Universitario; Prof. Manin Barabba, Consigliere Corte dei Conti; , Dott. Sergio Gagliardi, dirigente bancario; Dott..Roberto Giannarellli, Direttore Generale Ministero PI; Prof. Gino Giugni, Prof. Universitario, Prof., Francesco Guarguaglini Direttore generale Selenia; Dott Enzo Mamone, Vice Direttore Generale Monopoli di Stato; Avv Luigi Mazzella , Avvocato dello Stato, Prof. Onorato Sepe, Consigliere Corte dei Conti; Prof. Renato Scrimaglio , Direttore Laboratori INFN Frascati Nota n. 26 (Coordinatori Gruppi di Lavoro ADITEQ) Ministero Lavori Publici : Ing. Giuseppe Budini Ministero del Bilancio : dot. Mario Bellocci Direzione Generale Aviazione civile: Dott. Luigi Lioi Ministero del Lavoro: dott. Giuseppe Morrone Azienda FS. Dott, Carlo Rebagliati Azienda ANAS : dot. Oreste Schirò INPS – Dott. Erasmo Mochi RAI – dot. Camillo tammasi di Vignano ENEA : Dott. Riccardo Riccardi INFN : Dott. Luciano MaJorani Presidenza Consiglio dei Ministri dipartimento Funzione Pubblica : Dot.sa M.Pia Rinaldi Mariani Presidenza Consiglio dei Ministri dipartimento Ricerca Scientifica : dott. Giusppe de Cillis Presidenza Consiglio dei Ministri – Dipartimento Affari Gnerale : dott. Paolo Cutroni Ministero Pubblica Istruzione : dot. Roberto Fedeli Ministero Grazia e Giustizia : dot. Ignazio Sturniol Ministero della Sanità: dott. Antonio Frattaroli CNR : dott. Giorgio Brunetti Azienda Poste e telefoni .PT : dott Raffaele Benignetti. Costruzioni Civili : dr Riccardo Battiati Elettronica : Ing . Armando Sodaro Monopoli di Stato : dot. Francescoi Scocchera Ministero del tesoro: dott. Salvatore Montuosi. Nota 27 (Le cooperative ) 1) – CIPACIS – Centro Italiano per la promozione dell’attività nel settore della cooperazione internazionale e dello sviluppo. Coop srl

Data di costituzione: 19 marzo 1982

Finalità (art. 2 dello Statuto): 1 ) favorire, promuovere e realizzare attività di studio su temi della cooperazione internazionale e dello svilupp;. 2) favorire e realizzare interventi di cooperazione internazionale con particolare riferimento: a) al trasferimento delle tecnologie nelle aree in via di sviluppo b) all’avvio, al proseguimento ed al potenziamento di attività di ricerca scientifica finalizzata alla crescita economica e sociale delle aree in via di sviluppo

c) alla nascita e al miglior funzionamento di istituzioni scientifiche, culturali e amministrative con competenze regionali, localizzate in aree depresse e finalizzate ai problemi dello sviluppo; d) alla formulazione delle politiche di programmazione delle attività di ricerca destinate allo sviluppo delle aree depresse e al miglior utilizzo delle risorse rese disponibili dalla cooperazione internazionale; 3) promuovere, organizzare e partecipare a seminari, convegni, conferenze, dibattiti utili per migliorare l’approfondimento della cooperazione internazionale;

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4) collaborare con le istituzioni politiche italiane e con quelle multilaterali, intergovernative e non, in iniziative atte a promuovere lo studio dei problemi della cooperazione internazionale e dello sviluppo; 5) promuovere iniziative utili a sensibilizzare l’opinione pubblica, informandola correttamente sull’importanza della cooperazione internazionale e nell’aiuto nella lotta contro il sottosviluppo; 6) favorire la consulenza per la valutazione di titolo della cooperazione; 7) promuovere, realizzare ed offrire consulenza didattica ai corsi di formazione per il personale da impiegare in interventi di cooperazione allo sviluppo. Consiglio di Amministrazione: Presidente: Dott. Cesidio Guazzarono, Ambasciatore Vice Presidente – dott. Antonio Mancini, Min. Plen. 1^ classe Cosigliere delegato Emidio Valentini, Segretario generale CEVAR Direttore – Prof. Sergio Marchisio, Università di Camerino. 2) – CERIT – Centro Ricerche e Diffusione Tecnologie Avanzate Internazionale. Coop srl

Data di costituzione: 17 febbraio 1983

Finalità (art. 2 dello Statuto) (si riporta quella principale e specifica)

1) favorire, promuovere e realizzare attività di ricerca e progettazione nel campo delle gestione dell’innovazione tecnologica nei settori avanzati di interesse collettivo e sociale, con particolare riferimento a:

a) nuovi mezzi e processi energetici b) tecnologie elettroniche avanzate (informatica, automazione ecc,) c) biotecnologie d) tecnologie avanzate applicate all’agricoltura. Consiglio di Amministrazione: Presidente: Prof. Giovanni Schippa , Rettore Università dell’Aquila Vice Presidente – dott. Nunzio Amato, dirigente Ministero del Bilancio Direttore – dott, Carlo di Mento . Dirigente CNR. 2) - CEPRESINT – Centro di Progettazione e Ricerca nei settori dell’edilizia sociale, delle

infrastrutture e dei trasporti. Coop srl

Data di costituzione: 28 febbraio 1983

Finalità (art. 2 dello Statuto) (si riportano quelle principali e specifiche) 1) favorire, promuovere e realizzare attività di ricerca e progettazione nel settore dell’edilizia residenziale, delle attrezzature collettive e, in particolare, delle attrezzature scolastiche, socio-sanitarie, culturali, per il tempo libero, commerciali, direzionali, industriali, agricole, delle infrastrutture, dei servizi e delle comunicazioni ; 2) svolgere attività di programmazione per quanto riguarda le localizzazioni dell’edilizia residenziale e delle attrezzature di servizio sul territorio e l’organizzazione infrastrutturale e dei trasporti. Consiglio di Amministrazione: Presidente : Prof. Giuseppe Perugini – Università di Roma Vice Presidente – Prof. Umberto de Martino Direttore – Arch. Elisabetta Collenza. Università di Roma. 4) - CERPIS - Centro per la ricerca sulle politiche istituzionali. Coop srl Data di costituzione: 14 marzo 1983

Finalità (art. 2 dello Statuto) 1) concorrere alla migliore comprensione e delimitazione dei temi e dei problemi connessi al funzionamento delle istituzioni, nonché agli interventi ipotizzabili in tale settore mediante:

a) indagini tendenti ad acquisire dati certi e ad individuare le dimensioni dei fenomeni correlati alla struttura dei poteri pubblici in Italia ed alle relazioni instauratesi tra loro dalla entrata in vigore della Costituzione Repubblicana; b) studi di raccordo e di approfondimento delle proposte di intervento sulle istituzioni e sul loro funzionamento anche sul terreno del diritto comparato e nelle dimensioni e nei riflessi comunitari; c) esame del dibattito politico/parlamentare e tecnico istituzionale sui problemi generali di funzionamento dello stato e suoi rapporti tra questo e i cittadini al fine di trarne ulteriori elementi di giudizio e di documentazione;

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2) predisporre, sulla base dei dati raccolti e della documentazione disponibile, analisi generale di approccio e studi di prefattibilità relativamente alle istituzioni intese come strutture regolatrici, rappresentative ed operative in settori di interesse generale. In particolare, tra gli altri, costituiranno oggetto di studio e di proposizione operativa;

a) il funzionamento del Parlamento, anche in rapporto alle strutture politiche elettive delle Regioni; b) la partecipazione dei cittadini alla funzione legislativa e la circolazione delle informazioni; c) La Presidenza della Repubblica ed i rapporti tra gli organi costituzionali; d) le istituzioni del governo dell’economia; e) la strutturazione dell’esecutivo ed i suoi rapporti tra gli organi istituzionali; f) il funzionamento delle istituzione militari, di polizia e di sicurezza; g) gli organi ausiliari dello Stato; h) il sistema della giurisdizione costituzionale, ordinaria e amministrativa; i) l’ordinamento e la riorganizzazione della Pubblica Amministrazione; l) la rinuncia all’occupazione politica delle istituzioni; m) lo Stato nei rapporti internazionali e comunitari; n) l’ordinamento e le strutture dei partiti e dei movimenti di opinioni; o) l’ordinamento e le strutture dei sindacati e degli organismi di categoria; p) l’ordinamento della stampa e le istituzioni operanti nel campo delle comunicazioni; q) le ulteriori problematiche tecniche operative sottese agli studi sulle istituzioni. Consiglio di Amministrazione: Presidente : Prof. Enzo Cheli Università di Firenze Vice Presidente – Prof. Paolo Ungari- LUISS Roma Consigliere delegato Emidio Valentini - Segretario Generale del Cevar Consigliere Dott. Ignazio Caramazza- Avvocato dello Stato Consigliere : Avvocato Gian Francesco Ciaurro cons. Camera dei deputati. Direttore – dott. Gian Carlo Lo Bianco : Dirigente Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento Funzione pubblica Soci Antonio Catricalà.. Consiglio di stato Onorato Sepe Pres. Sezione Corte deiConti Girolamo Caianiello Cons. Corte dei Conti 5) - CERPEC - Centro per la Ricerca sulla Politica Economica. Coop srl Data di costituzione: 8 novembre 1983

Finalità (art. 2 dello Statuto) (si riporta quella principale e specifica) a) concorrere alla migliore comprensione dell’economia internazionale e della struttura economica italiana, nei suoi aspetti finanziari, produttivi , pubblici e istituzionali

Consiglio di Amministrazione: Presidente: Prof. Salvatore Vinci - Università di Roma Vice Presidente: Prof. Bruno Trezza - Università di Roma Vice Presidente: Prof. Stefano Sandri - Consigliere di Amministrazione CASMEZ Consigliere delegato: Emidio Valentini - Segretario Generale del Cevar Consigliere : Prof. Raffaele Perrone Capano - Università di Napoli Direttore Pietro Rostirolla - Università di Catania. Nota 27 ( INPA) INPA

Istituto per l’innovazione nelle Pubbliche Amministrazioni Consiglio di Amministrazione Cons. GIUSEPPE COGLIANDRO , Corte dei conti - Presidente Prof. MARIO RINALDI, Pres. di Cineca - Vice Presidente Dott. EMIDIO VALENTINI, Presidente di Newman - Segretario Generale Consiglio scientifico (situazione al 31 agosto 2001): Presidente Prof. MANIN CARABBA, Presidente di Sezione della Corte dei conti – Presidente di Formstat Componenti Prof. LUCA ANSELMI, Università di Pisa, Facoltà di Economia Prof. UMBERTO BERTELE’, Politecnico di Milano Prof. LUCIO BIANCO, Presidente del CNR Prof. FRANCESCO BISTONI, Rettore dell’Università di Perugia , Dott. CARLO BORGOMEO, Amministratore delegato di Sviluppo Italia

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Prof. ELIO BORGONOVI, Direttore della Sda, Università Bocconi di Milano Prof. BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Scienze politiche Cons. ANTONIO CATRICALÀ, Segretario Generale, Presidenza del Consiglio dei Ministri Prof. GIANFRANCO CAVAZZONI, Università di Perugia, Facoltà di Economia Prof. VITTORIO CECCONI, Università di Palermo, Facoltà di Ingegneria Prof. MARIO CHITI, Direttore della Rivista trimestrale di diritto pubblico comunitario Cons. GIUSEPPE COGLIANDRO, Consigliere della Corte dei conti Dott. MARIO COLLEVECCHIO, Dirigente generale dello Stato Prof. GUIDO CORSO, Università di Roma Tre, Facoltà di Giurisprudenza Prof.ssa LIDIA D’ALESSIO, Università di Roma Tre, Facoltà di Economia Cons. PAOLO DE IOANNA, Consiglio di Stato Ing. UMBERTO DI CAPUA, Presidente di Sviluppo Italia Prof. ANTONIO DI MAJO, Università di Firenze, Facoltà di Scienze politiche Prof. GIORGIO DONNA, Presidente del Servizio di controllo interno del Ministero dei Lavori Pubblici Dott. CARLO FLAMMENT, Presidente del Formez Prof. LUIGI FRATI, Università di Roma La Sapienza, Preside della Facoltà di Medicina Prof. ROMOLO GHI, Presidente del Servizio di controllo interno del CNR Dott. ANTONIO IANTOSCA, Direttore generale di Farmafactoring, Milano Ing. SALVATORE IMPELLIZZERI, Consulente di amministrazioni pubbliche Prof. LUCIANO HINNA, Università Tor Vergata di Roma, Facoltà di Economia Prof. AGOSTINO LA BELLA, Università di Tor Vergata di Roma, Preside della Facoltà di Ingegneria Prof. GIAMPAOLO LADU, Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Dott. STEFANO LO FASO, Ragioniere Generale della Banca d’Italia Prefetto GIULIO MANINCHEDDA, Direttore della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno Generale di brigata UGO MARCHETTI, Comandante della Scuola di Polizia Tributaria, Guardia Finanza Ministro FRANCO MISTRETTA, Presidente dell’Istituto Diplomatico Dott. ANDREA MONORCHIO, Ragioniere Generale dello Stato Prefetto CARLO MOSCA, Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’interno Dott. ALESSANDRO PALANZA, Vice Segretario Generale della Camera dei Deputati Dott. GIORGIO PANIZZI – Direttore Formstat -Roma Dott. CORRADO PARACONE, Direttore della Fondazione Scuola Comp. S. Paolo, Torino Prof. LUIGI PIERACCIONI, Presidente dell’Istituto G.Tagliacarne Prof. FRANCESCO PIZZETTI, Direttore della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Dott.ssa ERNESTA RANIERI, Dirigente della Regione Umbria Prof. MARIO RINALDI, Università di Bologna, Facoltà di Ingegneria - Presidente di Cineca Prof. CLAUDIO ROVEDA, Politecnico di Milano Prof. MASSIMO SAITA, Università di Milano, Facoltà di Economia. Dott. CARLO SANTINI, Direttore Generale dell’Ufficio Italiano Cambi Prof. TOMMASO SEDIARI, Università di Perugia, Preside della Facoltà di Economia Prof. DOMENICO SORACE, Università di Firenze, Dipartimento di diritto pubblico Prof. ROBERTO SORRENTINO, Università di Perugia, Preside della Facoltà di Ingegneria Prof. ALESSANDRO TARADEL, Direttore della Rivista trimestrale di Scienza dell’Amministrazione Dott. ALESSANDRO TRUFFARELLI, Direttore Generale Azienda Ospedaliera Policlinico di Perugia Ing. CESARE VACIAGO, Direttore generale del Comune di Torino Dott. EMIDIO VALENTINI, Presidente di Newman Prof. LUCIANO VANDELLI, Assessore alla riforma amministrativa della Regione Emilia-Romagna Prof.ssa ELISABETTA ZUANELLI, Scuola Centrale Tributaria E.Vanoni Prof. ALBERTO ZULIANI, Presidente dell’Aipa L’Istituto per l’innovazione nelle pubbliche amministrazioni (Inpa), costituito, sotto forma di associazione non riconosciuta a norma del codice civile, nel marzo 2000, persegue la finalità di migliorare la funzionalità delle amministrazioni attraverso la promozione, valorizzazione e diffusione delle innovazioni istituzionali, gestionali, tecnologiche e dei controlli. L’Inpa opera mediante studi e ricerche sui fabbisogni di innovazione; studi di valutazione di progetti innovativi; trasferimenti di esperienze di eccellenza già realizzate; attività di assistenza alle amministrazioni; convegni, incontri di studio, dibattiti, conferenze, seminari, progetti di formazione; corsi di istruzione; iniziative editoriali, anche on line. Può inoltre istituire scuole di formazione, comitati di ricerca e gruppi di lavoro, nonché attivare corsi di specializzazione, anche post-universitari. Linee-guida di azione Linea-guida base: approccio sistemico alle innovazioni istituzionali, gestionali, tecnologiche ed ai controlli (interni ed esterni).

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Nel quadro di questa linea-guida, base di partenza e riferimento costante dovrà essere l’innovazione tecnologica, con particolare riguardo alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (software applicativi, reti telematiche, internet, ecc.). Le altre tipologie dell’innovazione ed il sistema dei controlli dovranno essere prese in considerazione in funzione o connessione con le innovazioni tecnologiche del tipo ICT (Information and Communication Technology). Organizzazione di massima L’Istituto opererà di norma in base ai seguenti criteri: - costituzione di piccoli gruppi di lavoro di alto livello (sia professionale sia di prestigio) e su base volontaria, con composizione differenziata, ma con rilievo prioritario per la componente tecnologica; - costituzione di gruppi di lavoro, aventi obiettivi predefiniti (a larghe maglie nei contenuti, piuttosto rigidi nei tempi); diffusione dei risultati dell’attività dei gruppi di lavoro mediante seminari, convegni, corsi di formazione. Strategia di base dell’Inpa e ruolo del Consiglio scientifico L’esteso e incisivo processo riformistico del sistema amministrativo italiano in tutti i suoi elementi (devoluzione di funzioni alle Regioni ed Enti locali, riforma amministrativa, riorganizzazione dei controlli, ristrutturazione del bilancio pubblico, contrattualizzazione del lavoro pubblico) è stato oggetto negli ultimi anni di un approfondito dibattito teorico. E’ mancata, invece, salva una limitata casistica, talvolta anche di alto livello, l’esperienza applicativa. E’ appunto in questa direzione che intende impegnarsi l’Inpa, promuovendo iniziative di studio e ricerca, con speciale riguardo a quelle di carattere metodologico, strumentale e tecnologico, per modernizzare concretamente le amministrazioni. In questa fase di avvio dell’attività, sarà data priorità alle seguenti tematiche: - monitoraggio e valutazione dell’attività di gestione, anche attraverso la costruzione di indicatori; - opportunità (in termini di strutture amministrative, metodiche gestionali e modelli di controllo) che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione offrono alle amministrazioni per rispondere meglio alle sfide delle nuove dinamiche dell’economia globalizzata; - federalismo amministrativo e finanziario. L’applicazione delle riforme incontrerà certo notevoli difficoltà in ragione, oltre che delle note resistenze di ordine culturale, anche della complessità dell’impianto della normativa, con particolare riferimento al federalismo ed ai controlli interni. In presenza del duplice ordine di difficoltà, assume carattere strategico il ruolo del Consiglio scientifico, che sarà chiamato ad operare non solo, secondo tradizione, come sede collegiale di riflessione teorica, ma anche come luogo di scambio di esperienze nelle materie di interesse dell’Inpa e, ancora, come nucleo di esperti di alta specializzazione tecnico-scientifica o professionale, disponibili ad impegnarsi direttamente nei vari settori di intervento e nelle diverse aree territoriali per accelerare il processo innovativo nel sistema amministrativo. Per corrispondere adeguatamente a queste esigenze, il Consiglio scientifico dovrà disporre di un ampio spettro di specializzazioni e professionalità nelle varie regioni. Esso quindi è stato (e può essere ulteriormente) integrato in tre direzioni: interdisciplinarietà scientifica, diffusione sul territorio e rappresentatività istituzionale e sociale. Regolamento per la costituzione delle sezioni di studio INPA Art. 1 - Le sezioni di studio possono essere funzionali e territoriali; sono funzionali quelle costituite nell’ambito della sede centrale per l’attivazione di specifiche competenze dell’Istituto; sono territoriali quelle decentrate che esercitano le competenze di cui all’articolo 2 dello statuto (studi e ricerche sui fabbisogni di innovazione, valutazione di progetti e programmi, trasferimenti di innovazioni, assistenza alle pubbliche amministrazioni, utilizzazione di esperienze innovative di eccellenza, attività editoriale), con esclusione dei punti d (attività di studio in sede internazionale), g (convegni, incontri di studio, dibattiti, conferenze, seminari) e h (progetti di formazione e corsi di istruzione). Art. 2 - Le sezioni di studio vengono costituite con deliberazione del Consiglio di Amministrazione. Art. 3 - Sono organi delle sezioni di studio il Presidente ed il Segretario, cui spettano rispettivamente il coordinamento scientifico e la gestione operativa. Art. 4 - Il Consiglio di Amministrazione, con la stessa delibera di costituzione della sezione di studio, ne nomina il Presidente ed il Segretario fra i soci e i membri del Consiglio scientifico. Art. 5 - Il Presidente ed il Segretario delle sezioni di studio territoriali debbono dimorare nel territorio dove ha sede la sezione. Art. 6 - All’attività delle sezioni di studio partecipano i membri del Consiglio scientifico ed i Soci interessati. Art. 7 - I proventi delle sezioni di studio sono costituiti dal 70% dei proventi di cui all’art. 19 dello Statuto (contributi di studi e ricerca, proventi delle pubblicazioni e dei congressi), ad eccezione delle quote di associazione e di adesione e delle donazioni e contributi, pervenuti per il loro tramite diretto ed indiretto. Art. 8 - Il Presidente ed il Segretario redigono annualmente il rendiconto di cassa ad uso interno dell’Istituto ed un budget orientativo per l’anno successivo. Risorse Per lo svolgimento dell’attività, l’Istituto si avvarrà del contributo personale e gratuito dei soci e dei membri del Consiglio scientifico e delle eventuali adesioni di Aziende ed Enti all’Associazione. Nella fase di avvio la NewMan mette a disposizione le sue sedi e la sua strumentazione. Successivamente dovrà attivarsi l’autofinanziamento, mediante i ricavi di ricerche e /o dei corsi di formazione e di altre attività previste dallo statuto.

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