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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTA’ DI PSICOLOGIA LO SVILUPPO LINGUISTICO E LA COMPETENZA NARRATIVA IN ETA’ PRESCOLARE Relatore: Chiar.ma Prof.ssa DOLORES ROLLO Correlatore: Chiar.ma Prof.ssa ANNALISA PELOSI 1

Federica Sassi Tesi

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Page 1: Federica Sassi Tesi

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA

FACOLTA’ DI PSICOLOGIA

LO SVILUPPO LINGUISTICO E LA COMPETENZA NARRATIVA IN ETA’ PRESCOLARE

Relatore:Chiar.ma Prof.ssa DOLORES ROLLO

Correlatore:Chiar.ma Prof.ssa ANNALISA PELOSI

Laureanda:FEDERICA SASSI

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Anno accademico 2005-2006

miei genitoriA mio zio Carlo

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Page 3: Federica Sassi Tesi

....Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla

geografia, alla storia, all’aritmetica e alla grammatica. Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe

potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore (...) I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini

si stancano a spiegargli tutto ogni volta.

(Antoine De Saint-Exupery, « Il piccolo principe »)

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Page 4: Federica Sassi Tesi

RINGRAZIAMENTI

Non è facile ringraziare tutti quelli che in questi anni mi hanno aiutata ad

arrivare “fino a qui”.

Vorrei iniziare però dai miei genitori.. le persone più importanti nella mia

vita, che mi hanno sempre sostenuta e aiutata, anche quando sbagliavo...

senza di loro penso che non ce l’avrei mai fatta.

Grazie a Juri che in tutti questi anni ha sopportato le mie crisi “pre esame”.

Ringrazio le mie amiche, le miei dolci e grandi amiche.. Sara, Vale, Franci,

Cri, Eli D.,Truli, Ila e Eli L.... Senza la vostra amicizia la mia vita sarebbe

vuota.

Grazie al mio compagno di studio e grande amico Alex, che ha reso più

“sopportabili” le nostre giornate di studio.

Poi ringrazio mio zio Carlo.. senza di te non avrei mai iniziato questo

percorso. La mia tesi la dedico principalmente a te.. purtroppo non puoi

vedermi, non puoi vedere la mia felicità, il mio traguardo, ma so che se tu

fossi qui, saresti molto fiero della tua “Chicca”.

Un piccolo pensiero a mio nonno... questa mia laurea penso sarebbe stata la

sua gioia più grande.

Grazie alla “mia” Prof. Dolores Rollo per la sua disponibilità in ogni

momento.

Grazie a tutti i miei amici della “biblio” che hanno allietato le mie lunghe

giornate di studio.

Direi di non aver dimenticato nessuno..

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Page 5: Federica Sassi Tesi

Indice dei contenuti

Prima parte

Quadro teorico di riferimento

Introduzione 15

Capitolo 1 Dalla comunicazione prima del linguaggio al

primo sviluppo linguistico

21

1.1 Lo sviluppo prelinguistico 21

1.1.1 Prima del linguaggio 23

1.1.2 Il gesto di indicare 25

1.2 Lo sviluppo lessicale 27

1.2.1 L’adulto può influenzare il bambino attraverso

il suo modo di parlare?

27

1.2.2 Ritmo di acquisizione 28

1.2.3 Stili di acquisizione 29

1.3 Lo sviluppo fonologico 31

1.4 Lo sviluppo semantico 33

1.5 Lo sviluppo morfosintattico 35

1.6 La valutazione dello sviluppo 40

1.6.1 La misura della complessità 40

1.6.2 L’età di acquisizione 42

1.6.3 I principali metodi di studio per la

valutazione dello sviluppo morfologico

43

1.7 Le competenze pragmatiche e la comunicazione

referenziale

45

1

Page 6: Federica Sassi Tesi

1.7.1 La comunicazione referenziale 47

1.7.2 Produzione e comprensione 48

1.7.3 Valutazione delle abilità comunicative

referenziali

50

Capitolo 2 Il pensiero narrativo e l’attività del

raccontare

55

2.1 Pensiero narrativo vs pensiero paradigmatico 56

2.2 La competenza narrativa 57

2.2.1 Molteplicità di generi narrativi 57

2.2.2 Fattori che influenzano lo sviluppo della

competenza narrativa

61

2.2.3 Tante abilità per raccontare 62

2.2.4 La comprensione della soggettività 64

2.3 Intrecci possibili tra teoria della mente e

linguaggio

66

2.4 Leggere e raccontare insieme un libro illustrato 68

2.4.1 Bambini e adulti raccontano insieme 68

2.4.2 Bambini e coetanei: leggere e raccontare

insieme

71

2.5 Gioco simbolico: rapporti con la narrazione e il

linguaggio in età prescolare

73

Capitolo 3 Il lessico psicologico 77

3.1 I precursori delle conoscenze psicologiche 77

3.2 Le origini del lessico psicologico 78

3.3 Le componenti del lessico psicologico 79

3.4 Contesti comunicativi e lessico psicologico 80

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Page 7: Federica Sassi Tesi

Capitolo 4 La narrazione nei bambini con sviluppo

atipico

87

4.1 Aspetti strutturali della narrazione 90

4.2 Morfologia e complessità frasale 94

4.3 Cognizione ed emozione 97

Seconda parte

La ricerca

Capitolo 5 Sviluppo linguistico, competenza narrativa e

produzione di lessico psicologico

103

5.1 Metodo 104

5.1.1 Obbiettivi ed ipotesi della ricerca 104

5.1.2 Partecipanti 106

5.1.3 Disegno della ricerca 108

5.2 Le fasi della ricerca. Materiali e procedure 108

5.2.1 Fase 1-Il linguaggio 108

5.2.2 Fase 2-Narrazione di un libro illustrato 110

Capitolo 6 I risultati della ricerca 115

6.1 TVL e valutazione dello sviluppo linguistico 115

6.2 Produzione di lessico psicologico 121

6.3 La competenza narrativa nella produzione di

racconti

125

6.4 Il bambino DSL e il bambino Down 129

Capitolo 7 Discussione dei risultati 133

1

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Bibliografia 139

Appendici:

- Libro illustrato impiegato nel corso della prima fase della ricerca

- Esempi di storie raccontate dai bambini

- Il Test di Valutazione del Linguaggio (Cianchetti, Sannio Fancello,

1997). Protocollo di valutazione.

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PRIMA PARTE

QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO

2

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2

Page 11: Federica Sassi Tesi

Introduzione

Il linguaggio è un sistema comunicativo di straordinaria complessità (Camaioni, 2001).

Uno dei temi di maggior interesse per la psicologia dello sviluppo è il

linguaggio. La cultura entra nella mente individuale per mezzo del linguaggio

e grazie al linguaggio il sè individuale introduce elementi pluralistici. Il

bambino per imparare ad utilizzare il sistema linguistico deve:

Analizzare e segmentare i suoni linguistici che ascolta, così da poter

identificare i diversi costituenti della propria lingua materna (fonemi,

morfemi, parole, frasi).

Padroneggiare i diversi pattern articolatori necessari per produrre i

singoli fonemi e le sequenze di fonemi della propria lingua.

Acquisire e ampliare un vocabolario contenenente un numero

potenzialmente grande di voci lessicali e altrettanti significati.

Padroneggiare le regole morfologiche e sintattiche che permettono di

combinare morfemi e parole in frasi grammaticalmente corrette e

dotate di senso.

Utilizzare le diverse funzioni comunicative del linguaggio in funzione

del contesto e dell’interlocutore.

Padroneggiare le abilità necessarie a produrre un discorso, che ne

garantiscono la coerenza, l’organizzazione interna e l’adattamento

all’ascoltatore.

La creatività e l’arbitrarietà sono le due proprietà che rendono il linguaggio

unico e lo differenziano da altri sistemi comunicativi. La relazione tra suono

e significato è totalmente arbitraria: il significato deve necessariamente

essere appreso e trasmesso culturalmente.

Naturalmente lo studio dello sviluppo del linguaggio genera fin dall’inizio un

vivace dibattito teorico su alcuni temi fondamentali. In estrema sintesi i

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Page 12: Federica Sassi Tesi

principali approcci teorici allo sviluppo linguistico possono essere così

riassunti:

Maturazione versus apprendimento: secondo l’approccio

comportamentista, rappresentato da Skinner (1957) l’apprendimento

del linguaggio si spiega con gli stessi principi del condizionamento

operante. I bambini imparano a parlare in seguito ai rinforzi forniti dai

genitori, che intervengono correggendo le loro risposte inizialmente

scorrette. Il ruolo del bambino nell’apprendimento del linguaggio è

passivo, perciò vengono analizzate le influenze ambientali più che il

funzionamento cognitivo del bambino stesso. Chomsky (1959; 1965)

critica questo punto di vista, sostenendo che si tratta di un processo

attivo e creativo. Secondo Chomsky, Skinner non ha tenuto conto del

fatto che il bambino è capace di produrre e comprendere espressioni

nuove che non ha mai sentito in precedenza, inoltre, egli è in grado di

padroneggiare un sistema linguistico complesso a partire da una base

di informazioni incomplete e spesso scorrette. Tutti i discorsi che sente

dagli adulti infatti contengono molto spesso errori, omissioni, frasi

incomplete, esitazioni e ripetizioni. Chomsky ipotizza l’esistenza di un

dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (LAD) che

corrisponde a una grammatica universale che contiene la descrizione

degli aspetti strutturali condivisi da tutte le lingue naturali.

Linguaggio e cognizione: secondo Chomsky il linguaggio nasce e si

sviluppa come un sistema autonomo, indipendente dal parallelo

sviluppo delle capacità cognitive e sociali. Inoltre egli sostiene che la

competenza linguistica preceda l’esecuzione. Piaget (1970) invece

propone una posizione per molti aspetti opposta e sostiene che vi sia

un rapporto di interdipendenza tra linguaggio e cognizione. Il

linguaggio non è come per Chomsky la maturazione di un dispositivo

innato, nè tanto meno il prodotto di una catena di condizionamenti, ma

2

Page 13: Federica Sassi Tesi

è il naturale completamento dei processi cognitivi che caratterizzano lo

sviluppo sensomotorio (Piaget, 1970). Lo sviluppo cognitivo precede

sia ontogeneticamente che logicamente la comparsa del linguaggio, ed

è autonomo rispetto ad esso, mentre lo sviluppo del linguaggio deriva e

dipende dallo sviluppo cognitivo. Per Piaget l’esecuzione precede la

competenza. Il bambino impara facendo, e soltanto successivamente

capisce quello che fa.

Linguaggio e interazione sociale: Se Piaget vede lo sviluppo cognitivo

come relativamente autonomo e indipendente non solo dal linguaggio,

ma anche dall’interazione sociale, Vygotskij (1934), invece, ritiene che

la partecipazione del bambino ad un’ampia varietà di interazioni

sociali rappresenti un fattore primario per lo sviluppo cognitivo e

linguistico. Egli non attribuisce al pensiero una priorità rispetto al

linguaggio. Tra la sviluppo cognitivo e linguistico le interazioni sono

continue. Anche Bruner (1962) sostiene che qualsiasi processo

mentale, incluso il linguaggio, abbia un’origine sociale e che la

cognizione sia influenzata dalla cultura. L’autore sottolinea e

approfondisce l’importanza dell’adulto in interazione col bambino per

l’acquisizione del linguaggio.

Linguaggio e comunicazione: due sono gli approcci teorici che hanno

tentato di spiegare il rapporto tra linguaggio e comunicazione: quelli

strutturalisti e quelli funzionalisti. Secondo gli approcci strutturalisti il

linguaggio non serve per comunicare. In questo ambito vengono

analizzate le caratteristiche sintattiche, logiche e semantiche della

grammatica universale a prescindere dal contesto. Gli approcci

funzionalisti invece sostengono che vi sia una continuità tra

comunicazione prelinguistica e linguaggio. Pongono l’accento

sull’importanza del contesto linguistico e non.

Le prime espressioni verbali dei bambini ricevono un’analisi di tipo pragmatico, che si ispira alla nozione di atti linguistici proposta da Austin (1962) e Searle (1969). Alla

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base c’è l’idea che “parlare è agire”, esercitare un’attività. L’azione di “dire qualcosa”, è già “fare qualcosa”. Mentre si dice qualcosa si eseguono simultaneamente 3 atti: l’atto locutorio è l’atto di dire qualcosa. È sia l’attività fisica necessaria alla produzione di un enunciato, sia la conoscenza e l’uso del codice grammaticale della lingua (emissione di un significato). L’atto perlocutorio è la produzione volontaria o involontaria di effetti o conseguenze sui sentimenti, pensieri e azioni dell’ascoltatore presente (raggiungimento di un dato effetto). L’atto illocutorio è l’esecuzione di un atto tra quelli che è convenzionalmente possibile compiere nel dire qualcosa (produzione di una certa forza convenzionale).

Innato e acquisito nello sviluppo linguistico: oltre a ciò che si è detto

in precedenza riguardo a questo argomento, è importante sottolineare

che le teorie che privilegiano la componente innata o acquisita non

sono poi così distanti fra di loro. Infatti si condivide l’idea che deve

essere presente nella specie umana qualche predisposizione per il

linguaggio. Non si potrebbe se no spiegare come mai alcune specie

animali pur possedendo capacità cognitive e sociali complesse non

riescano ad apprendere il linguaggio. Però, chiaramente la

predisposizione innata da sola non riesce a completare l’acquisizione

del linguaggio (Camaioni, 2001).

Dominio-specifico e dominio-generale nello sviluppo linguistico: chi

adotta una concezione dominio-generale, come ad esempio Piaget,

sostiene che il linguaggio non ha uno sviluppo autonomo, ma che

dipenda dall’organizzazione generale dell’intelligenza. Chi adotta una

concezione dominio-specifica, come Chomsky, ritiene che la

conoscenza grammaticale innata si applichi solo all’informazione

linguistica. Inoltre questa elaborazione avviene all’interno di un

modulo il quale opera in modo relativamente indipendente da altri.

Nelle pagine che seguono verranno trattati, seppur in modo incompleto, i

temi fondamentali dello sviluppo linguistico. Partendo dalla comunicazione

prelinguistica, si è cercato di delineare le principali tappe dell’evoluzione

lessicale, fonologica, semantica e morfosintattica, concludendo il percorso

con l’approfondimento di due tematiche estremamente rilevanti: la narrazione

e il lessico psicologico.

2

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2

Page 16: Federica Sassi Tesi

Capitolo 1

DALLA COMUNICAZIONE PRIMA DEL LINGUAGGIO AL

PRIMO SVILUPPO LINGUISTICO

1.1 Lo sviluppo prelinguistico

L’infante fin dai primi giorni di vita risulta essere non soltanto socialmente

responsivo, ma anche socialmente attivo. L’interazione faccia a faccia tra

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Page 17: Federica Sassi Tesi

madre e bambino appare caratterizzata fin dai primi mesi da sincronia,

contingenza, coordinazione e alternanza dei turni (Camaioni, 2001). Stern

(1985) ha utilizzato la metafora di “danza conversazionale” per descrivere

questi scambi diadici. È importante sottolineare come questi primi scambi tra

madre e bambino riguardano la diade stessa e non argomenti esterni la diade.

L’adulto in questo periodo tratta il bambino come un partener comunicativo

anche se non è ancora tale dal punto di vista intenzionale. La comunicazione

intenzionale infatti compare intorno ai 9-10 mesi circa.

Durante la prima metà del primo anno di vita il bambino riesce ad interagire

o solo con l’oggetto in assenza dell’adulto, o solo con l’adulto in assenza

dell’oggetto, ma non è ancora in grado di inserire l’attenzione per un

oggetto/evento durante l’interazione con l’adulto. Soltanto intorno alla metà

del primo anno il bambino comincia a guardare alternativamente l’adulto e

un oggetto/evento esterno che in quel momento attrae la sua attenzione.

L’interazione, perciò, da diadica diventa triadica, e l’oggetto/evento esterno

può diventare argomento di conversazione tra adulto e bambino. Compaiono

allora e diventano via via più frequenti, gli episodi di attenzione condivisa, in

cui il bambino e l’adulto guardano lo stesso oggetto/evento, ovvero

condividono un comune fuoco di attenzione esterno alla diade, mantenendo

al tempo stesso un coinvolgimento sociale reciproco (Camaioni, 2001).

Questo sviluppo attentivo del bambino, può essere ricondotto a tre fasi

principali:

- 8 mesi: il bambino è capace di seguire lo sguardo e il gesto di indicare

del genitore verso un oggetto soltanto quando la mano del genitore e

l’oggetto sono sullo stesso campo visivo;

- 12 mesi: il bambino è in grado di localizzare uno di due oggetti identici

usando la linea di sguardo del genitore. A questa età il bambino

“utilizza” la madre come riferimento sociale quando si trova in

presenza di situazioni o oggetti sconosciuti. Il bambino guarda la

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Page 18: Federica Sassi Tesi

madre per cercare di capire da lei come comportarsi, e in seguito si

comporta congruentemente alla reazione emotiva da lei avuta;

- tra i 10 e 13 mesi: il bambino comincia a dirigere attivamente

l’attenzione e il comportamento dell’adulto verso un evento esterno.

Camaioni, Volterra e Bates (1986) hanno individuato 2 fasi nello sviluppo

prelinguistico: una fase preintenzionale, in cui il bambino produce

comportamenti che assumono un valore significativo per l’adulto, ma che

non hanno ancora questo valore per il bambino, e una fase intenzionale in cui

il bambino produce consapevolmente comportamenti con valore di segnali, e

li produce al fine di soddisfare i propri scopi e bisogni.

La comparsa dell’intenzione comunicativa si fonda sulla capacità di

padroneggiare la nozione di agente (la capacità di riconoscere se stessi e gli

altri come agenti autonomi, in grado di attivarsi per soddisfare una varietà di

scopi). La nozione di agente implica la capacità di differenziare i mezzi dagli

scopi e di utilizzare intenzionalmente strumenti per raggiungere determinati

obbiettivi. Gli autori sopra citati indicano inoltre tre forme di uso di

strumenti:

- utilizzare un oggetto per raggiungerne un altro;

- utilizzare l’adulto come strumento per ottenere l’oggetto desiderato

(intenzione comunicativa richiestiva);

- utilizzare un oggetto come strumento per ottenere l’attenzione

dell’adulto (intenzione comunicativa dichiarativa).

Per quanto riguarda la funzione richiestiva il bambino intende influenzare il

comportamento dell’adulto e utilizzarlo al fine di raggiungere il proprio

scopo, obbiettivo. Per fare questo è sufficiente che egli formuli una

aspettativa circa l’efficacia dell’altra persona come strumento per

raggiungere i propri scopi. Invece per quanto riguarda la funzione

dichiarativa, il bambino intende influenzare lo stato interno dell’altra persona

3

Page 19: Federica Sassi Tesi

e per fare ciò deve necessariamente rappresentarsi l’interlocutore come

dotato di atteggiamenti psicologici.

1.1.1 Prima del linguaggio

Prima dello sviluppo linguistico il bambino comunica agli adulti i propri

bisogni attraverso:

- il sorriso sociale

- suoni, vocalizzazioni e lallazioni

- gesti comunicativi

1. Il sorriso sociale

Possono essere individuate tre fasi nell’evoluzione del sorriso: a) il sorriso

endogeno che si manifesta in assenza di stimoli identificabili. Il neonato

sorride spontaneamente durante le fasi di sonno REM. b) il sorriso esogeno

compare intorno la fine del secondo mese ed è prodotto in risposta a stimoli

visivi o acustici per lo più il volto e la voce umani. c) il sorriso sociale

compare intorno ai 3-4 mesi di vita ed è prodotto come risposta specifica alle

persone familiari con le quali instaura uno scambio reciproco.

2. Suoni, vocalizzazioni e lallazioni

Nelle prime 2-3 settimane di vita il bambino produce soltanto suoni di natura

vegetativa e suoni strettamente legati al pianto. Col passare del tempo questi

suoni associati al pianto cominciano a essere prodotti quando il piccolo si

trova in uno stato di calma. Compaiono allora le prime reazioni circolari

vocaliche. In successione vediamo:

- tra i 2 e i 3 mesi compaiono le prime imitazioni vocaliche che

coinvolgono di solito il bambino e il genitore;

- tra i 2 e i 6 mesi compaiono e si stabilizzano i suoni vocalici;

- a 5 mesi compaiono i suoni consonantici;

3

Page 20: Federica Sassi Tesi

- verso i 6-7 mesi compare la lallazione canonica (il bambino produce

sequenze consonante vocale con le stesse caratteristiche delle sillabe);

- verso i 10-12 mesi la maggior parte dei bambini produce strutture

sillabiche complesse e lunghe, la lallazione variata. Sempre a questa

età compaiono i primi suoni simili a parole o proto-parole, che

assumono un significato specifico solo quando vengono utilizzate in

contesti specifici.

Contrariamente a quanto sostenuto da Jakobson (1968), il quale ipotizzava

che vi fosse una ordine universale nell’acquisizione della fonologia e una

discontinuità tra lallazione e prime parole, le ricerche più recenti hanno

dimostrato come il bambino utilizzi nel formare le prime parole, gli schemi

fonetici già sperimentati nella lallazione. Inoltre vediamo come singoli

bambini possono divergere da un corso di sviluppo normale nell’acquisizione

della fonologia, sia a causa della particolare lingua che ascoltano sia a causa

della propria maturità fisica e mentale. I bambini differiscono tra loro sia nei

suoni che preferiscono produrre, ma anche nella stabilità di queste preferenze

e nell’organizzazione del proprio sistema fonologico.

3. Gesti comunicativi

I primi gesti che vengono utilizzati dal bambino intorno ai 9-12 mesi sono

quelli che vengono chiamati performativi o deittici (es. indicare, mostrare,

offrire, dare e richieste ritualizzate). Essi esprimono un’intenzione

comunicativa, e si riferiscono ad un oggetto/evento esterno, che si ricava

esclusivamente osservando il contesto. Questi gesti sono adeguati a

comunicare in modo efficace all’adulto l’obbiettivo del bambino, anche se

sono chiaramente inadeguati a raggiungere l’obbiettivo in modo diretto e

meccanico. Sono accompagnati dallo sguardo diretto al destinatario del gesto;

altre volte invece il bambino guarda alternativamente il destinatario e il

referente. I gesti deittici possono avere sia una funzione richiestiva che

dichiarativa.

3

Page 21: Federica Sassi Tesi

Oltre ai gesti performativi possiamo osservare intorno ai 12 mesi di età la

comparsa dei gesti referenziali o rappresentativi. A differenza dei precedenti,

non soltanto esprimono un’intenzione comunicativa, ma rappresentano anche

un referente specifico, il loro significato cioè non varia in conseguenza del

variare del contesto. Con la comparsa dei gesti referenziali, compaiono anche

le prime parole, le quali sono inizialmente molto legate a situazioni

specifiche e soltanto man mano si decontestualizzano. Nel momento in cui il

linguaggio verbale si consolida, e il vocabolario raggiunge le 50 parole, l’uso

dei gesti referenziali diminuisce gradualmente fin quasi a scomparire.

1.1.2 Il gesto di indicare

Il gesto di indicare compare intorno agli 8-16 mesi; è universale, in quanto

diffuso in tutte le culture ed è uno dei mezzi più efficaci per comunicare in

assenza del linguaggio. I gesti di indicare sono solitamente accompagnati

dallo sguardo del bambino verso il destinatario. Questo controllo visivo verso

l’interlocutore si evolve con l’età, infatti mentre a 12 mesi i bambini

guardano il destinatario dopo aver indicato il bersaglio, a 16 mesi il bambino

rivolge lo sguardo al partner prima di produrre il gesto. Crescendo il bambino

è in grado di guardare il partner più volte mentre indica. Parallelamente alla

comparsa del gesto di indicare, il bambino sviluppa la capacità di

comprendere l’indicare eseguito dagli altri:

- fino a 9 mesi il bambino non comprende il gesto della madre; egli

risponde guardando alternativamente il dito della madre e ciò che ella

ha indicato;

- verso i 12 mesi il bambino è in grado di orientare la propria attenzione

verso gli oggetti indicati dall’adulto, solo però se questi rientrano nel

proprio campo visivo, ovvero se non sono alle sue spalle;

- a 18 mesi il bambino è in grado di orientarsi anche verso gli oggetti

che si trovano alle sue spalle.

3

Page 22: Federica Sassi Tesi

Anche se produzione e comprensione compaiono più o meno nello stesso

periodo, non è stata identificata una chiara relazione fra di esse.

Il gesto di indicare viene usato dai bambini con due diverse intenzioni

comunicative: una richiestiva, per richiedere un oggetto desiderato e una

dichiarativa, per condividere con l’interlocutore l’interesse o l’attenzione su

un evento esterno.

È stato proposto da diversi studiosi che il gesto di indicare con funzione

dichiarativa costituisca un precursore della teoria della mente (Perucchini,

1997). La capacità di spiegare in termini mentalistici il proprio e altrui

comportamento viene acquisita dal bambino intorno ai tre anni di età, quando

egli padroneggia la cosiddetta teoria della mente. Secondo Camaioni (1995 a;

1997; Tomasello e Camaioni 1997) quando il bambino indica un evento o un

oggetto nell’ambiente circostante, egli intende influenzare l’atteggiamento

psicologico dell’altro relativamente a quell’aspetto della realtà in particolare

il provare interesse o il condividere un’esperienza. Per fare ciò è necessario

che egli si rappresenti l’interlocutore come dotato di stati psicologici.

Diverse teorie sottolineano l’importanza del gesto di indicare nello sviluppo

del linguaggio, ipotizzando una continuità tra comunicazione gestuale e

verbale. I bambini che fanno un maggior uso del gesto di indicare sono quelli

che a 20 mesi risultano più avanzati nello sviluppo linguistico (Camaioni,

2001). Anche l’età di comparsa del gesto risulta correlare con lo sviluppo

linguistico. In uno studio di Desrochers, Morissette e Ricard (1995) i bambini

che producevano precocemente questo gesto (prima dei 12 mesi) hanno

ottenuto a 24 mesi punteggi più alti in una prova sulle capacità linguistiche e

percettive. Certo è necessario precisare che tali relazioni non risultano essere

un’associazione lineare del tipo causa- effetto.

1.2 Lo sviluppo lessicale

3

Page 23: Federica Sassi Tesi

1.2.1 L’adulto può influenzare il bambino attraverso il suo modo di

parlare?

È stato evidenziato come il linguaggio dell’adulto verso i bambini sia molto

diverso da quello usato comunemente in una conversazione tra adulti, tanto

da evidenziare un particolare codice linguistico denominato motherese o

baby talk (BT). Si tratta di una versione semplificata della lingua materna

caratterizzata prevalentemente da frasi brevi, numerose ripetizioni e da un

tono esageratamente alto. La modalità di produzione è più lenta e fluente; le

parole vengono ripetute e pronunciate più chiaramente, e le pause nel

discorso sono lunghe. Le caratteristiche principali del BT sintetizzate in

tabella 1.

Tabella 1.1 - Il baby talk:caratteristiche linguistiche

Caratteristiche fonologiche - pronuncia chiara- toni più alti- intonazione accentuata- linguaggio più lento- pause più lunghe

Caratteristiche sintattiche - articolazione delle parole più breve- frasi ben costruite- poche preposizioni subordinate

Caratteristiche semantiche - limitata gamma di vocabolario- linguaggio simile a quello dei

bambini- riferimento principalmente al qui e

oraCaratteristiche pragmatiche - enunciati più direttivi

- maggior uso di domande- maggior utilizzo di strumenti di

attenzione- ripetizione delle espressioni del

bambino Fonte: Rollo, 2006

L’utilizzo del BT in numerose culture (Ferguson, 1977) ha portato a ritenere

che il modo in cui si parla ai bambini piccoli rappresenta una condizione

necessaria e universalmente disponibile. Alcune ricerche hanno rilevato la

mancanza in diverse culture di un codice linguistico adattato alle capacità

3

Page 24: Federica Sassi Tesi

comunicative del bambino. Ciò falsifica l’ipotesi di universalità del BT,

poichè i bambini imparano a parlare con facilità e rapidità anche in assenza di

un linguaggio semplificato (Lieven, 1994). In una comunità Maya Quichè del

Guatemala è stato rilevato che le madri quando parlano ai loro bambini

tendono ad abbassare la voce. Infatti secondo le regole sociali le donne

devono alzare la voce con un interlocutore di status sociale più elevato e

abbassarla con un interlocutore di status sociale basso. Inoltre, considerando i

bambini creature vulnerabili e bisognose di tranquillità, le madri oltre a

rivolgersi loro con un tono sommesso, non li sollecitano a partecipare

attivamente alla conversazione (Pye, 1986).

1.2.2 Ritmo di acquisizione

Si è cercato di stabile quali caratteristiche del linguaggio materno, che

rientrano nell’ordine della semplificazione, possono facilitare l’acquisizione

del linguaggio (Camaioni, 2001). Si possono distinguere 2 differenti

posizioni: la prima di Furrow, Nelson e Benedict (1979) che attribuiscono un

ruolo causale alle caratteristiche del linguaggio meterno, soprattutto quelle

che ne determinano la semplicità sintattica, e la seconda di Newport,

Gleitman e Gleitman (1977) che ritengono che il BT abbia un ruolo soltanto

marginale e circoscritto a influenzare la velocità con cui il bambino apprende

alcune componenti morfosintattiche del linguaggio. Attraverso il primo

studio è stato rilevato che gli indici di complessità linguistica nelle madri

correlano negativamente con il livello di sviluppo del bambino. In uno studio

successivo, i medesimi autori, concludono che non è tanto la semplicità

sintattica del discorso materno a favorire lo sviluppo linguistico nel bambino,

ma il ricevere un input caratterizzato dalla più ampia varietà di produzioni

linguistiche. Oggi vi è comunque accordo tra gli studiosi (di entrambe le

posizioni) nel ritenere che occorre parlare di input in termini di condizioni

che possono facilitare lo sviluppo linguistico, lasciando un ampio spazio sia

3

Page 25: Federica Sassi Tesi

alla eventuale variabilità degli effetti dovuti alle diverse esperienze di tipo

socioculturale che il bambino sperimenta, sia alle particolari competenze già

acquisite dal bambino che lo mettono in grado di valersi di tali esperienze

(Snow, 1989). Diversi studi hanno evidenziato come enunciati materni con

funzione di controllo correlino con uno sviluppo linguistico più lento nel

bambino (Nelson, 1973; Yoder e Kaiser, 1989). Hampson e Nelson (1993)

hanno evidenziato che uno stile comunicativo didattico favorisce lo sviluppo

linguistico. In ogni caso tutti questi studi hanno contribuito a enfatizzare il

ruolo attivo del bambino nel processo di apprendimento del linguaggio

avvalorando una visione bidirezionale della relazione tra le caratteristiche del

linguaggio parlato al bambino e le competenze di cui il bambino già dispone

(Yoder e Kaiser, 1989).

1.2.3 Stili di acquisizione

Possono essere individuati due diversi stili di acquisizione, uno referenziale e

l’altro espressivo. Lo studio di Katherine Nelson (1973) ha rilevato che i due

stili corrispondono a come le madri utilizzano il linguaggio a seconda cioè,

che svolga una funzione prevalentemente di descrizione della realtà

(referenziale) oppure di controllo del comportamento del bambino

(espressivo). Le madri dei bambini espressivi tendono a coinvolgere i

bambini in giochi e routine sociali facendo più frequentemente riferimento

alle persone, mentre le madri dei bambini referenziali fanno soprattutto

commenti su oggetti (Furrow e Nelson, 1984). Analizzando le prime 50

parole prodotte da diciotto bambini americani, ha trovato che la proporzione

di nomi sul vocabolario complessivo variava considerevolmente. Per la

maggioranza del suo campione (10 bambini) i nomi rappresentavano più del

50% delle parole prodotte mentre la minoranza sviluppava un vocabolario

diverso, che includeva soprattutto pronomi, nomi propri e formule usate per

regolare l’interazione sociale. Questi due stile sono riconducibile a quello

3

Page 26: Federica Sassi Tesi

referenziale e espressivo individuato nelle madri. La Nelson ha seguito

longitudinalmente il campione fino a due anni e mezzo di età, trovando che i

bambini referenziali avevano uno sviluppo lessicale più rapido, mentre i

bambini espressivi acquisivano le prime dieci frasi più rapidamente del

gruppo referenziale, erano cioè più precoci nello sviluppo sintattico

(Camaioni, 2001). Nella seguente tabella vengono riportate le differenze

semantiche, pragmatiche, fonologiche e linguistiche che possono essere

riscontrate nei due stili:

Tabella 1.2 – Stile referenziale e stile espressivo

Referenziale Espressivo

Semantica: Alta proporzione di nomi nelle

prime 50 parole Utilizzo di parole singole nel primo

linguaggio Imita nomi di oggetti Maggiore varietà lessicale Utilizzo di elementi dotati di

significato Elevato uso di aggettivi Uso decontestualizzato di nomi Rapida crescita del vocabolario

Pragmatica: Orientato verso gli oggetti Uso prevalente di intenzione

dichiarativa Scarsa varietà di atti linguistici Approccio riflessivo alla soluzione

dei problemi

Fonologia: Buona articolazione e intelligibilità Orientato verso la parola Pronuncia costante nell’uso della

stessa parola

Variabili demografiche: Genere femminile Primogenito Livello socioeconomico alto

Semantica: Bassa proporzione di nomi nelle

prime 50 parole Utilizzo di formule nel primo

linguaggio Imita in modo non selettivo Minore varietà lessicale Utilizzo di suoni senza significato Scarso uso di aggettivi Uso contestualizzato di nomi Lenta crescita del vocabolario

Pragmatica: Orientato verso le persone Uso prevalente di intenzione

richiestiva Alta varietà di atti linguistici Approccio impulsivo alla soluzione

dei problemi

Fonologia: Scarsa articolazione e intelligibilità Orientato verso l’intonazione Pronuncia variabile nell’uso della

stessa parola

Variabili demografiche: Genere maschile Secondogenito Livello socioeconomico basso

Fonte: Camaioni, 2001

3

Page 27: Federica Sassi Tesi

È stato evidenziato da Hampson e Nelson (1993) che l’uso di nomi da parte

delle madri dei bambini non espressivi a 13 mesi correla positivamente con la

lunghezza dell’enunciato del bambino a 20 mesi, così come l’uso di

descrizioni e di ripetizioni delle espressioni del bambino che includono

almeno un nome. Nei bambini espressivi è stata rilevata soltanto una

correlazione positiva tra l’uso materno di ripetizioni che includono almeno un

nome e la lunghezza dell’enunciato del bambino. Camaioni e Longobardi

(1997) esaminando 15 bambini italiani a 16 e 20 mesi hanno rilevato che

l’83% di questi bambini acquisisce un lessico ben bilanciato, che include

elementi sia referenziali che espressivi.

1.3 Lo sviluppo fonologico

La produzione delle prime parole segna il passaggio dalla comunicazione

verbale gestuale prelinguistica al linguaggio vero e proprio. Esiste una

continuità tra lallazione e prima produzione di parole; infatti intorno ai 9-10

mesi la maggior parte dei bambini produce alcuni suoni simili a parole che

vengono definiti protoparole. Queste protoparole hanno una forma fonetica

idiosincratica ma assumono una funzione comunicativa specifica sulla base

del contesto in cui vengono di solito utilizzate (Camaioni, 2001). Solitamente

le prime parole compaiono intorno agli 11-13 mesi e inizialmente come le

protoparole risultano altamente contestualizzate. Ad esempio il bambino

utilizza la parola ciao solo quando gioca con il telefono, ma in seguito impara

ad utilizzarla anche per salutare. Sono state individuate tre categorie a cui

possono essere ricondotte le prime parole dei bambini:

- nomi di oggetti

- parole funzionali (che servono a regolare l’interazione sociale e a

codificare relazioni tra eventi)

- persone familiari

3

Page 28: Federica Sassi Tesi

Per quanto riguarda il significato che possono assumere le prime parole del

bambino sono stati individuati tre filoni di ricerca: un primo filone di ricerca

sostiene che il significato implicito nella parola singola corrisponde ad una

frase completa (olofrase) (Antinucci e Parisi 1973; Bloom 1973; Bowerman

1973). Greenfield e Smith (1976) assumono una posizione simile alla

precedente e fanno una distinzione tra significato referenziale (che

corrisponde a ciò che la parola denota da sola) e significato combinatorio

(che corrisponde a ciò che la parola può denotare in combinazione con gli

elementi offerti dal contesto). Questo primo filone ha dimostrato come il

bambino riesca a comunicare efficacemente pur pronunciando una sola

parola grazie al contesto cui fa riferimento e alle azioni o gesti che

accompagnano le parole. Un secondo filone di ricerca (Bruner, 1975;

Camaioni, Volterra e Bates, 1986; Bates et al., 1979) fa una distinzione fra

uso referenziale e non referenziale delle parole. Il bambino all’inizio usa

suoni onomatopeici e parole semplicemente per accompagnare i propri

schemi di azione (ad es. ciao mentre fa finta di telefonare) e in questi casi la

parola non si sostituisce ancora allo schema rappresentandolo, ad esempio

per anticiparlo o evocarlo (uso non referenziale). In seguito il bambino

progredisce gradualmente verso un uso referenziale, cioè comincia a produrre

quelle stesse o nuove parole per denotare oggetti, persone o eventi,

indipendentemente dagli schemi di azione ai quali le parole erano

inizialmente associate (Camaioni, 2001). Il terzo filone di ricerca sottolinea

l’importanza dei giochi sociali, che sono sequenze interattive tra bambino e

genitore, nella costruzione e condivisione di significati. Sia la capacità del

bambino di partecipare attivamente al gioco, sia la capacità della madre di

adattare i propri interventi verbali al tipo di interazione in corso e al tipo di

partecipazione del bambino, sono fattori che possono influenzare il ritmo di

acquisizione delle prime parole del bambino. Per quanto riguarda la

comprensione vediamo come questa sia più precoce rispetto la produzione. A

4

Page 29: Federica Sassi Tesi

8-10 mesi i bambini italiani comprendono in media 30 parole diverse, e verso

i 18 mesi ne comprendono circa 215 (Caselli, 1995). In tutti i bambini

esaminati perciò le parole comprese sono maggiori di quelle prodotte. Tra i

19 e i 30 mesi il vocabolario del bambino aumenta sia in produzione che

comprensione.

Nel vocabolario del bambino si possono distinguere due fasi nel secondo

anno di vita: a) una fase iniziale (12-16 mesi circa) in cui l’ampiezza del

vocabolario si aggira intorno alle 50 parole, b) e una fase successiva (17-24

mesi circa) in cui ritroviamo una vera e propria esplosione del vocabolario

(Goldfield e Reznick, 1990). In questa fase il ritmo di espansione del

vocabolario è di 5 o più nuove parole a settimana (fino anche a 40). Alla fine

di questo periodo il vocabolario complessivo è di circa 300 parole, ma può

raggiungere anche le 600 parole. La maggior parte degli studiosi oggi ritiene

che l’esplosione del vocabolario non sia una tappa universale e sempre

presente.

1.4 Lo sviluppo semantico

Il significato delle parole riflette la categorizzazione della realtà che il

bambino padroneggia in un dato momento del suo sviluppo, ovvero le

categorie di oggetti, eventi e persone, e i concetti che le rappresentano

(Camaioni, 2001). Il bambino associa al significato della parola aspetti della

realtà diversi sia qualitativamente che quantitativamente da quelli che vi

associa l’adulto. Possono essere individuati tre tipi di errori commessi dai

bambini nelle prime fasi di sviluppo lessicale:

errori di sovraestensione (il bambino chiama cane qualsiasi animale a

quattro zampe)

errori di sottoestensione (il bambino usa il nome bambola per riferirsi

esclusivamente alla sua bambola preferita)

4

Page 30: Federica Sassi Tesi

errori di sovrapposizione (il bambino usa “aprire” in riferimento non

soltanto all’azione di aprire la porta, ma anche all’azione di accendere

la luce o sbottonarsi il vestito).

A quale tipo di somiglianze fanno riferimento i bambini per identificare

categorie di oggetti, eventi o relazioni? Riguardo a questo quesito ci sono

parecchie divergenze tra gli studiosi. Secondo alcuni (Clark, 1973), il

bambino costruisce il significato delle parole sulla base delle somiglianze

percettive, mentre secondo altri (Nelson, 1974) sulla base delle somiglianze

funzionali (l’uso degli oggetti e le loro proprietà dinamiche). La Nelson pone

al centro della sua teoria il concetto di nucleo funzionale. Secondo questa,

all’inizio l’oggetto viene conosciuto attraverso l’azione che compie o

l’azione che si compie su di esso. In seguito, grazie all’interazione con

l’oggetto integrerà al nucleo funzionale i suoi attributi percettivi. In realtà nel

costruire i primi significati delle parole i bambini possono utilizzare entrambe

le categorizzazioni. In genere si osserva uno spostamento da criteri di tipo

funzionale a criteri di tipo percettivo-formale. In studi successivi la Nelson ha

proposto che la prima forma di rappresentazione della realtà e dell’esperienza

consiste nella rappresentazione di eventi o script. Un altro aspetto importante

nella costruzione del sistema semantico riguarda i diversi livelli di generalità

a cui gli oggetti possono essere categorizzati e quindi nominati. I bambini

solitamente imparano prima i nomi che si trovano ad un livello-base di

generalità, e solo in seguito imparano nomi più specifici, più generali e

astratti. Perciò vediamo come il sistema semantico del bambino è molto

diverso da quello dell’adulto. Saranno necessari diversi anni perchè questi

coincidano.

1.5 Lo sviluppo morfosintattico

In concomitanza con l’aumento dell’ampiezza del vocabolario (fine del

secondo anno di vita), compaiono anche le prime combinazioni di due o più

4

Page 31: Federica Sassi Tesi

parole. Secondo un approccio innatista (Chomsky, 1981; Hymas, 1986), lo

sviluppo lessicale e morfosintattico sono processi indipendenti e distinti tra

loro. Al contrario secondo un approccio costruttivista si ipotizza che ci sia

continuità tra i due. Alcuni studiosi sostengono che lo sviluppo lessicale sia

un prerequisito necessario per un successivo sviluppo sintattico (relazione

causale e temporale). Altri, invece, ritengono che lo sviluppo lessicale e

sintattico procedano parallelamente e siano riconducibili a un più generale

sviluppo cognitivo. Caselli (1995) ha trovato, sulla base di dati ricavati da un

questionario compilato dai genitori, che con un vocabolario inferiore alle 100

parole, i bambini non sono in grado di combinare insieme due o più parole. I

bambini che possiedono poche parole tendono ad utilizzare nei loro discorsi

frasi fatte, formule, mentre i bambini con un ricco vocabolario sono in grado

di utilizzare le stesse parole in diverse combinazioni. Caselli e Casadio

(1993) hanno rilevato attraverso i lori studi (questionario compilato dai

genitori) che la capacità combinatoria risulta collegata all’ampiezza globale

del lessico, ma non a specifiche categorie di parole. D’Odorico e Carubbi

(1997) hanno trovato che l’associazione tra capacità lessicale e capacità

sintattica è più forte a 16 che a 20 mesi perchè con lo sviluppo possono

entrare in gioco altri fattori oltre all’espansione del vocabolario che spiegano

la comparsa di enunciati più complessi.

Nel periodo tra gli 11-12 mesi (comparsa delle prime parole) e i 18-20 mesi

(comparsa delle prime combinazioni) il bambino utilizza forme transizionali

che corrispondono a ciò che Dore, Franklin, Miller e Ramer (1976) chiamano

“qualcosa di più di una parola e qualcosa di meno della sintassi” (Camaioni,

2001). Queste forme transizionali sono:

Associazione di una parola singola con un gesto deittico o referenziale:

ad esempio indica un bicchiere dicendo acqua. In questo modo riesce

ad esprimere una relazione complessa tra due elementi.

4

Page 32: Federica Sassi Tesi

Ripetizioni verticali e ripetizioni orizzontali (Scollon, 1976;

Veneziano, Sinclair e Berthoud, 1990): il bambino ripete la stessa

parola riferita allo stesso elemento del contesto in diversi turni

conversazionali o nel medesimo turno.

Combinazione di una singola parola con un suono senza significato.

Parole concatenate: due o più parole significanti che vengono

pronunciate in rapida successione, in cui ogni parola si riferisce a un

diverso elemento del contesto.

Formule: espressioni stereotipate, frasi fatte, utilizzate come se fossero

parole singole.

La maggioranza dei bambini produce, nel periodo di passaggio tra le parole

singole e gli enunciati complessi, almeno alcune di queste forme

transizionale. Nel campione esaminato da D’Odorico e Carubbi (1997) le

differenze individuali risultano consistenti, infatti un bambino che a 20 mesi

possiede un vocabolario limitato (47 parole) è in grado di compiere le forme

di combinazione più avanzate, mentre un bambino con un vocabolario di 413

parole non produce nessun tipo di combinazione.

Lo sviluppo morfologico e quello sintattico nell’acquisizione dell’italiano

sono strettamente collegati, infatti alcune informazioni sintattiche sono

trasmesse tramite le alterazioni morfologiche della parola (ad es. le diverse

terminazioni o flessioni del verbo permettono di esprimere informazioni

inerenti al significato del verbo stesso: le relazioni di persona, le categorie di

numero, le informazioni circa il tempo, il modo e l’aspetto dell’azione

espressa dal verbo). La morfologia viene suddivisa in morfologia libera e

morfologia legata. Gli elementi che rientrano nella morfologia libera sono gli

articoli, le proposizioni, i pronomi, le congiunzioni e i connettivi. Fanno parte

della morfologia legata tutti quegli elementi che non possono essere separati

dagli elementi lessicali cui si accompagnano, e che ne modificano forma e

significato: si tratta delle flessioni dei verbi, dei nomi e degli aggettivi. I

4

Page 33: Federica Sassi Tesi

bambini tendono a omettere i funtori, cioè la morfologia libera. Per quanto

riguarda il suo apprendimento si riscontra una spiccata variabilità individuale

tra i bambini, sia circa all’ordine di comparsa dei diversi morfemi, sia

relativamente all’età in cui ciascuno li acquisisce. Inoltre è importante

stabilire quando considerare acquisita una certa forma. Solitamente ad un

prima comparsa segue un periodo in cui una determinata forma non si rileva

più, oppure è prodotta raramente, per ricomparire poi successivamente in

modo più stabile. Tenendo presenti queste difficoltà sono comunque state

ricavate alcune generalizzazioni:

Morfologia libera

Il primo articolo a comparire e il più frequentemente usato fino ai tre

anni è l’articolo determinativo femminile singolare “la”, mentre

l’articolo “il” sembra porre qualche problema in più (Nelli, 1998). Fino

al terzo anno di età le forme plurali “i” “le” e l’articolo determinativo

“lo/gli” sono molto rari. Gli articoli indeterminativi compaiono dopo

quelli determinativi ed hanno inizialmente funzione di numerali.

Per quanto riguarda i pronomi personali viene segnalato un uso

precoce (18-20 mesi) del possessivo di prima persona mio/mia

(Antelmi, 1997). Inoltre la prima persona “io” precede la seconda “tu”

e la terza “lui/lei” compare per ultima. Nelle forme plurali invece la

prima persona “noi” è seguita dalla terza “loro” e infine dalla seconda

“voi”.

Le preposizioni che compaiono per prime sono “con” e “a” (luogo)

(Nelli 1998; Antelmi 1997).

Morfologia legata

Tutte le ricerche dimostrano che i bambini non hanno problemi con il genere,

ma col numero: essi infatti tendono a usare maggiormente le forme singolari

piuttosto che quelle plurali. Le prime forme temporali dei verbi sono quelle

del presente indicativo, dell’imperativo, e del participio passato usato in

4

Page 34: Federica Sassi Tesi

forma aggettivale (Devescovi e Pizzuto, 1996; Baumgartner, Devescovi e

D’amico, 2000). Le forme del passato compaiono prima del futuro (Calleri,

1990; Chini, 1994; Devescovi e Pizzuto, 1996).

Fino ai 3-4 anni di età gli errori più frequenti dei bambini sono quelli di

omissioni piuttosto che di sostituzione sia nella produzione spontanea che

nelle prove di ripetizione.

Per quanto riguarda la comprensione del discorso degli altri, uno dei

problemi che si è presentato è che non esiste una conoscenza codificata dei

fenomeni di comprensione del linguaggio, come per la produzione. Infatti,

mentre nello studio della produzione del linguaggio è possibile valutare il

linguaggio dei bambini confrontandolo alla descrizione della lingua adulta

contenuta nelle grammatiche, per lo studio della comprensione è necessario

confrontare di volta in volta le prestazioni dei bambini con quelle di adulti

osservati nelle medesime situazioni.

Un ulteriore problema che si presenta è il fatto di non poter studiare la

comprensione in un contesto spontaneo di comunicazione. Infatti è molto

difficile riuscire a controllare tutti gli aspetti di cui un soggetto può avvalersi

per l’interpretazione di un messaggio. Per questo motivo la costruzione di

paradigmi sperimentali appare maggiormente idonea, sia per circoscrivere

l’oggetto di indagine, sia per tenere sotto controllo le variabili coinvolte.

Tutti gli studi che prendono in considerazione la comprensione di strutture

sintattiche complesse evidenziano una generale difficoltà nella decodifica di

tali strutture. Chilosi e Cipriani (1995) hanno tracciato il profilo di sviluppo

della comprensione di strutture di diverso grado di complessità in bambini

dai 3 anni e mezzo agli 8:

Tabella 1.3 – Sviluppo della comprensione

età Tipo di struttura frase

4,6 Frasi locative La palla è sotto il tavolo

4

Page 35: Federica Sassi Tesi

5 Frasi attive affermativeFrasi dative

La mamma pettina la bambola /La bambina si pettinaLa rondine porta il verme all’uccellino

5,6 Passive affermativeRelativePassive negative

La macchina è lavata dal bambinoLa guardia che ha il fucile ferma il ladroIl pianoforte non è suonato/La mela non è presa dalla bambina

6,6 Attive negative Il bambino non dorme

Fonte: Adattato da Chilosi e Cipriani (1995)

Anche nella comprensione è stata trovata una maggior difficoltà dei bambini

nel denominare gli aspetti della morfologia libera (articoli, pronomi,

preposizioni e connettivi frasali). Vengono elaborate più facilmente le

strutture morfologiche legate, quali il genere e il numero. Lo sviluppo della

comprensione delle preposizioni e dei connettivi interfrasali appare

ostacolato dalla polifunzionalità e dallo scarso spessore semantico di questi

funtori. Andamento evolutivo:

Preposizioni: maggiore facilità nel comprendere le preposizioni

semplici (a) rispetto a quelle articolate (alla). Difficoltà nel

decodificare le preposizioni di moto da/a luogo causata da una

imprecisa rappresentazione spazio-temporale dei referenti ed a una

inadeguata comprensione dei predicati andare e tornare. Le

preposizioni tra e fra sono comprese solo a 6-8 anni.

Negazione: fino a 4 anni il tipo di errore più comune è quello di

interpretare le frasi negative come se fossero affermative.

Congiunzioni coordinanti: l’utilizzo delle congiunzioni “e” ed “o”

appare stabilizzarsi intorno ai 3 anni.

Congiunzioni avversative: “invece” appare particolarmente difficile

per i bambini. Infatti interpretano le frasi come se le due azioni fossero

simultanee invece che mutualmente escludentesi.

Connettivo causale: “perchè” è ben compreso dai bambini già a 3 anni

e mezzo.

4

Page 36: Federica Sassi Tesi

Connettivi temporali: “dopo” e “mentre”. La maggior parte dei

bambini tra i 4 e gli 8 anni commettono errori che evidenziano il fatto

che i soggetti processano solo una parte della struttura frasale .

Connettivo eccettuativo: “tranne”. Il 65% delle frasi contenenti questo

connettivo risultano ben comprese già a 5 anni.

È evidente che nelle comprensione di queste strutture entrano in gioco fattori

non soltanto linguistici, ma anche cognitivi e esperenziali. Aspetti quali la

tipicità degli eventi descritti nelle frasi (prima mangio e dopo vado a

dormire), la plausibilità delle azioni (sono i gatti che mangiano i topi) e il

succedersi degli eventi (mettersi a piangere avviene sempre dopo eventi

negativi come un litigio o una ferita) sono fattori che influenzano i processi

di decodifica linguistici (Camaioni, 2001).

1.6 La valutazione dello sviluppo

1.6.1 La misura della complessità

Un indice relativamente affidabile per lo studio della progressiva crescita

della complessità morfosintattica nella produzione linguistica è la Lunghezza

Media dell’Enunciato (LME) introdotta da Roger Brown (1973). Lo studioso

americano partendo dal presupposto che la produzione di un numero sempre

più ampio di elementi linguistici (morfemi e/o parole) comporti l’aumento

della lunghezza di un enunciato, riteneva che la complessità di una struttura

linguistica potesse essere valutata in base alla quantità, cioè al numero degli

elementi in essa contenuti. Un enunciato con un numero più elevato di

elementi può essere considerato più evoluto rispetto ad uno che ne contiene

un numero minore (Camaioni, 2001). Questa misura presenta dei vantaggi,

infatti la sua determinazione è abbastanza semplice anche se laboriosa

(occorre raccogliere un campione abbastanza ampio di linguaggio), e si tratta

di un indice chiaro, che permette una identificazione immediata del livello di

4

Page 37: Federica Sassi Tesi

maturità linguistica del bambino. Oltre ai vantaggi però sono state rilevate

alcune difficoltà nell’utilizzo di questo metodo:

1- Un primo problema concerne la nozione stessa di enunciato, vi è una

difficoltà nello stabilire il confine dell’enunciato.

2- Un secondo elemento di discussione riguarda la base su cui calcolare la

LME: ci si chiede se sia più corretto utilizzare come unità di computo

le parole o i morfemi. Per quanto riguarda la lingua italiana grazie agli

studi più recenti si ritiene più appropriato l’utilizzo delle parole.

3- Si è visto come l’esame della LME rilevi regolarità quantitative, ma

non cambiamenti qualitativi che intervengono a livello frasale.

4- Alcuni studiosi ritengono che la LME sia una misura appropriata per

esaminare lo sviluppo nei primi tre anni di vita, mentre si rivela

inadeguata a età più avanzate (Bowerman 1973; Bates, Bretherton e

Snyder 1988).

Sarebbe perciò utile individuare ulteriori indici che possano rendere

maggiormente conto delle trasformazioni qualitative di tipo strutturale.

Sembrerebbe interessante la proposta di Halliday (1989) che propone di

utilizzare come misura della complessità sintattica il concetto di densità

lessicale. L’indice di complessità è ottenuto rapportando le voci lessicali e

sintattiche non alle singole parole ma alle clausole. La clausola è intesa come

unità grammaticale nella quale costrutti semantici di tipo diverso sono uniti e

integrati in tutt’uno. Un testo parlato sarebbe non un succedersi di frasi bensì

un concatenarsi di clausole connesse, da relazioni di tipo ipotattico e

paratattico (Camaioni, 2001).

1.6.2 L’età di acquisizione

Un altro problema riguarda il riconoscimento dell’acquisizione di una certa

forma linguistica. Dai vari studi è stato dimostrato che la comparsa di una

certa forma nel linguaggio di un bambino non corrisponde ad un suo uso

4

Page 38: Federica Sassi Tesi

sistematico e articolato nel periodo immediatamente successivo.

Baumgartner, Devescovi e D’Amico (2000), in un loro studio hanno

osservato che Giulia, una bambina di 21 mesi, produce tre volte il pronome

libero di prima persona con funzione di soggetto io, in una situazione di

contrapposizione con la madre. Successivamente però il pronome non viene

più utilizzato. Ricompare solo appropriatamente a 28-29 mesi in diversi

contesti e in diverse forme (io/me). Per valutare se un bambino ha acquisito

un determinato morfema è necessario verificare se viene prodotto in tutti i

contesti linguistici in cui, secondo la regola della lingua che il bambino sta

apprendendo la sua produzione è obbligatoria (contesto d’uso obbligatorio).

L’utilizzo del pronome da parte della piccola Giulia non può essere

considerato produttivo perchè è ridotto ad una sola forma in un solo contesto.

Pizzuto e Caselli (1992; 1993; 1994) nelle loro ricerche hanno perciò

considerato come punto di acquisizione l’utilizzo appropriato di uno

specifico morfema nel 90% dei contesti in cui è necessario. Però il concetto

di obbligatorietà di una forma non è sempre applicabile a tutte le forme

morfologiche: in italiano la morfologia legata è sempre obbligatoria, ma per

quanto riguarda i pronomi e le preposizioni lo status di obbligatorietà è molto

diverso. Infatti è possibile omettere i pronomi soggetto, e per quanto riguarda

le preposizioni Cipriani, Chilosi, Bottari e Pfanner (1993) osservano che,

specialmente nelle prime produzioni linguistiche, è difficile identificare i

contesti obbligatori a prescindere dai contesti di risposta e dai casi in cui una

preposizione viene effettivamente prodotta (Camaioni, 2001). Per molte

forme, inoltre, i contesti obbligatori risultano assai limitati. Per tutti questi

motivi è stato introdotto un ulteriore criterio: quello di includere nella

valutazione della produttività di una forma solo le osservazioni in cui nella

produzione del bambino compaiono almeno cinque contesti obbligatori.

Questi autori hanno perciò ritenuto che l’acquisizione coincida con la

frequenza d’uso del 75%. Vediamo perciò che se anche alcuni morfemi

5

Page 39: Federica Sassi Tesi

compaiono assai precocemente, solo un numero limitato viene utilizzato in

modo produttivo prima dei tre anni. Nel seguente paragrafo verranno trattati i

metodi principali per la valutazione dello sviluppo morfologico.

1.6.3 I principali metodi di studio per la valutazione dello sviluppo

morfologico

In estrema sintesi i principali test impiegati per la valutazione del

linguaggio nell'infanzia sono (Rollo, 2006):

Studi diaristici: sono studi di casi singoli o di campioni molti ristretti

di bambini all’interno dell’ambiente familiare (limite della scarsa

generalizzabilità dei risultati).

Metodi indiretti di osservazione attraverso questionari ai genitori

(limite della staticità, difficoltà nel descrivere i processi):

- test del primo linguaggio (12-36 mesi) di Axia, Condini, Ramponi (1994);

- Questionario sullo sviluppo comunicativo e linguistico nel secondo anno di vita di

Camaioni, Caselli, Volterra, Luchenti (1992);

- Il primo vocabolario del bambino: gesti e parole (8-17 mesi); parole e frasi (18-30

mesi) di Caselli e Casadio (1995).

Prove di imitazione o ripetizione: si assume che il modo in cui il

bambino ripete una frase e i cambiamenti che opera rispetto al modello

originale, forniscano delle informazioni sul processamento della frase

stessa. La prova si presenta sottoforma di gioco (ad esempio

utilizzando un pupazzo che funge da ricevente nelle frasi del bambino)

oppure di narrazione del materiale illustrato. In alcune prove si chiede

al bambino di ripetere un determinato modello (un suono, una parola,

una frase). In altre prove si stimola la produzione attraverso la

presentazione di stimoli opportunamente predisposti.

Test di ripetizione frasi: si chiede al bambino di riprodurre frasi-

stimolo proposte dall’esaminatore. Le frasi sono presentate in ordine

crescente per complessità. La competenza del bambino è ricavata dal

5

Page 40: Federica Sassi Tesi

numero di frasi che riesce a ripetere correttamente. Le frasi scorrette

vanno interpretate in base all’elemento della frase colpito dall’errore e

al tipo di frase che risulta dalla riproduzione scorretta.

Prove di produzione elicitata: si invita il bambino a denominare o

descrivere oggetti/persone reali o rappresentati in figure. Più figure in

sequenza possono essere utilizzate per provocare la produzione di

storie e cioè di frasi connesse tra loro. La produzione di storie può

essere stimolata anche scegliendo personaggi e oggetti emblematici e

invitando i bambini ad inventare una storia. Questa prova permette di

ottenere un linguaggio più spontaneo e valutare oltre all’abilità

strettamente linguistica di strutturare e connettere frasi, anche la

capacità di costruire e strutturare il discorso.

Dopo la prima infanzia e, soprattutto dopo la fase considerata cruciale per il

primo sviluppo linguistico (fino ai 24-30 mesi) si utilizzano strumenti in cui

il “ruolo di protagonista” spetta al bambino. I principali test sono:

Questionario sullo sviluppo comunicativo e linguistico nel secondo

anno di vita (QSCL) (Camaioni et al. 1992): prevede la valutazione

dell’uso di vocalizzi, gesti comunicativi, parole e frasi.

Scala di valutazione (Cipriani et al. 1993): valuta l’organizzazione

morfosintattica.

Primo vocabolario del bambino (PVB) (Caselli e Casadio 1995):

valuta la comprensione del linguaggio.

Questionario sull’uso del gesto di indicare nel bambino (QPOINT)

(Perrucchini e Camaioni, 1999): valuta l’uso del gesto di indicare con

funzione richiestiva o dichiarativa.

Schema di codifica delle prime combinazioni di gesti e parole

(Cipriani et al, 1996): indaga il ruolo che viene svolto dai gesti nelle

combinazioni di più parole.

5

Page 41: Federica Sassi Tesi

Peabody Picture Vocabolary Test-R (P.P.V.T.R) (Dunn e Dunn, 1981):

il test misura un importante aspetto del linguaggio orale, il linguaggio

recettivo, ed è assai diffuso come misura dello sviluppo del bambino

anche a livello prescolare in quanto non richiede la lettura di singole

parole e richiede una risposta di tipo gestuale.

Test di valutazione del linguaggio (TVL) (Cianchetti e Sannio

Fancello, 1997): valuta il linguaggio dei bambini dai due anni e mezzo

fino ai sei anni. Consente un’indagine plurisettoriale rapida e completa,

comprendendo gli aspetti strutturali e funzionali principali della

capacità linguistica nella sua duplice dimensione di comprensione e

produzione.

1.7 Le competenze pragmatiche e la comunicazione referenziale

La pragmatica è la relazione tra lingua e contesto grammaticalizzante o

codificate nella struttura della lingua. Lingua intesa come modo di agire e

interagire, come strumento del quale i parlanti si servono nei concreti contesti

comunicativi, per compiere azioni per stabilire rapporti per influenzare i

comportamenti. Il contesto è il mondo sociale e psicologico in cui chi parla

opera in un dato momento. La competenza pragmatica è:

la capacità di produrre un enunciato comunicativo che veicoli una

determinata azione comunicativa;

la capacità di riconoscere l’azione comunicativa portata a termine da

un determinato enunciato;

abilità di compiere inferenze sui presupposti dell’interazione e di

collegare gli enunciati al contesto verbale e non verbale della loro

produzione;

conoscenza degli aspetti del contesto rilevanti per il significato degli

enunciati:

ruolo e status dei partecipanti

5

Page 42: Federica Sassi Tesi

localizzazione spaziale e temporale delle entità rilevanti

mediatori (lingua scritta e orale)

livello di formalità richiesto dalla situazione

argomento del discorso

Il linguaggio viene visto come lo strumento del processo di socializzazione e

come l’oggetto del processo di socializzazione. I bambini comprendono i

contesti sociali attraverso l’esposizione ad eventi sociali, ma soprattutto

attraverso la partecipazione ad eventi ed attività verbalmente caratterizzati.

Gli aspetti più rilevanti della competenza pragmatica sono:

Richiamare l’attenzione dell’iterlocutore:

- Sguardo ed espressioni facciali

- Contatto fisico

- Strategie verbali

Alternanza dei turni:

- Abilità di discriminare i segnali linguistici e prosodici che nella conversazione

indicano quando il turno può passare da un parlante all’altro

- Abilità di inserirsi nella conversazione in modo contingente e rilevante

Scambiare informazioni pertinenti

- Necessità della comprensione del contesto linguistico ed extralinguistico

Permettere all’ascoltatore di identificare ciò di cui si parla

- Abilità di produrre enunciati intellegibili dal punto di vista articolatorio e a cui

l’interlocutore sappia assegnare un significato

Il bambino comincia ad acquisire precocemente la capacità di utilizzare

adeguatamente il linguaggio nelle diverse situazioni comunicative. Già a un

anno il bambino impara a rivestire un ruolo comunicativo complementare a

quello dell’adulto. L’uso di strategie verbali e non verbali per sollecitare

l’attenzione dell’interlocutore e dare inizio ad uno scambio comunicativo

emerge nel secondo anno di vita. Sempre in questo periodo ripetono il

proprio enunciato se si accorgono di non essere compresi e poco dopo

segnalano ad un coetaneo la mancanza di comprensione. Precocemente (2°-

5

Page 43: Federica Sassi Tesi

3° anno) in situazione note i bambini partecipano a dialoghi alternando i

turni, rispettando la stabilità tematica e fornendo informazioni nuove. A 4-5

anni sanno argomentare la propria posizione in una disputa e semplificare il

proprio linguaggio parlando con un bambino più piccolo. Lo sviluppo

prosegue con una progressiva decontestualizzazione del discorso e di un

migliore uso delle presupposizioni relative agli interlocutori (comunicazione

referenziale). (Rollo, 2006)

1.7.1 La comunicazione referenziale

La comunicazione referenziale si riferisce alla capacità di utilizzare il

linguaggio per scopi comunicativi. L’atto di referenza è efficace quando il

messaggio prodotto dal parlante è chiaro, completo e informativo per

l’ascoltatore che così identifica l’oggetto o l’evento a cui il messaggio si

riferisce. Durante la vita quotidiana con interlocutori e contesti familiari

difficilmente il bambino sperimenta le difficoltà del “capire” e del “farsi

capire”. Infatti vi è un’ ampia condivisione dei significati e delle conoscenze

che permette la riuscita dello scambio comunicativo. Questo naturalmente

non succede quando il bambino entra in ambienti nuovi, contesti istituzionali

come la scuola. La conversazione tra insegnanti e allievi non avviene in un

contesto facilitante e supportivo come nell’ambiente familiare; inoltre il

contesto raramente è diadico, ma per lo più poliadico. Perciò la

comunicazione referenziale, ovvero la capacità di riferirsi verbalmente ad un

oggetto o evento esterno così da identificarlo rispetto alle possibili

alternative, implica sia l’abilità di formulare i propri messaggi nel modo più

chiaro possibile, sia l’abilità di riconoscere quando i messaggi ricevuti non

sono chiari e occorre chiedere informazioni aggiuntive (Camaioni, 2001).

Fino ai 7-8 anni i bambini tendono a produrre messaggi ridondanti piuttosto

che informativi, ovvero descrivono anche particolari inutili che non servono

per identificare il referente. I bambini diventano parlanti efficaci prima di

5

Page 44: Federica Sassi Tesi

ascoltatori efficaci; solamente intorno a 10-11 anni raggiungono posizioni

simili in entrambe le competenze (Camaioni, Ercolani e Lloyd 1995 a; 1995

b; 1998; Lloyd, Camaioni e Ercolani 1995). Per l’acquisizione di una buona

capacità di comunicazione referenziale intervengono diverse abilità:

Abilità percettive: differenziare gli attributi del referente da quelle del

non referente.

Abilità discriminative: identificare somiglianze e differenze tra

referente e non referente.

Abilità di memoria: ricordare gli attributi criteriali per poi codificarli

verbalmente.

Abilità linguistiche: codificare gli attributi criteriali.

1.7.2 Produzione e comprensione

Secondo alcuni autori (Higgins, 1981) farsi capire e capire sono due attività

indipendenti. Il comportamento del bambino che non capisce è spesso

sottovalutato dagli adulti, che lo giustificano dicendo frasi del tipo “capisce,

ma fa finta di no”. Queste reazioni degli adulti possono rendere difficile per il

bambino il compito di migliorare la propria comprensione verbale.

Solitamente i bambini al di sotto dei 7-8 anni tendono a prendere per buoni i

messaggi ambigui anzichè chiedere ulteriori informazioni. Sembra che non si

rendano conto nè che i messaggi verbali possono essere ambigui, nè che

l’ambiguità può causare il fallimento della comunicazione. Diversi autori

hanno mostrato che la tendenza ad agire, piuttosto che a sospendere l’azione,

sulla base di descrizioni e istruzioni ambigue, non implica necessariamente

che il bambino non si renda conto che c’è qualcosa che non va nel

messaggio. Probabilmente la consapevolezza c’è, ma non c’è la capacità di

risolverla. I bambini riescono a risolvere gradualmente le difficoltà di

comprensione solo nel momento in cui si rendono conto che i messaggi

possono essere problematici, da qualsiasi fonte derivino. Diventano

5

Page 45: Federica Sassi Tesi

consapevoli del fatto che ciò che viene detto non corrisponde

necessariamente a ciò che si voleva dire, consapevoli della necessità di

recuperare l’informazione incompleta, ad esempio adottando strategie

riparatorie come le domande di chiarimento. La crescita delle capacità

metacognitive e metacomunicative, tra i 7 e gli 11 anni, spiega l’aumento del

numero dei messaggi ambigui che vengono identificati e risolti (dal 30% al

70%) (Llyod, Mann e Peers, 1998). Per quanto riguarda la produzione

sappiamo che i bambini tra i 4-5 anni e fino ai 7-8 anni forniscono prestazioni

piuttosto scarse nei compiti di comunicazione referenziale; producono

messaggi che risultano completamente informativi ma che presentano

numerose ambiguità. Chiaramente l’informatività dei messaggi varia in

funzione della semplicità/complessità del referente da descrivere. Ad

esempio in età prescolare i bambini forniscono descrizioni abbastanza

informative di figure geometriche che variano per una sola caratteristica, ma

le descrizioni diventano ambigue se le stesse figure variano tra loro per due o

tre caratteristiche (Whitehurst e Sonnenschein, 1978). Inoltre i bambini

producono messaggi maggiormente informativi se si riferiscono a figure

familiari che variano per un numero limitato di attributi (Camaioni e

Ercolani, 1987). A 9 anni comunque è stato trovato che i bambini sono in

grado di descrivere figure familiari inserite in insiemi che variano per due o

tre attributi senza ambiguità o incertezza.

1.7.3 Valutazione delle abilità comunicative referenziali

Compiti sperimentali: per studiare lo sviluppo della comunicazione

referenziale in età scolare e prescolare è stato ampiamente utilizzato un

compito sperimentale di Krauss e Glucksberg (1969). Nella versione

classica di questo compito, due bambini seduti ai lati opposti di un

tavolo e separati visivamente da uno schermo opaco, devono

comunicare verbalmente circa l’identità di figure insolite. La presenza

di uno schermo opaco interposto tra parlante e ascoltatore li vincola ad

5

Page 46: Federica Sassi Tesi

utilizzare il solo canale verbale e inibisce il ricorso sia agli indici visivi

sia alla comunicazione non verbale. La consegna al bambino che funge

da “parlante” è di descrivere una serie di figure in modo che il suo

interlocutore possa identificare la figura bersaglio di volta in volta

descritta all’interno della propria serie, che comprende le stesse figure

ma disposte in ordine diverso. Il bambino che funge da “ascoltatore”

riceve diversi tipi di messaggi, sia informativi che ambigui; la

consegna è quella di identificare la figura che corrisponde al

messaggio, e dunque quando il messaggio è ambiguo, egli deve

riconoscerne e risolverne l’ambiguità. In caso di comunicazione

perfettamente riuscita, la serie di figure scelte dall’ascoltatore sarà, alla

fine del compito, del tutto identica alla serie descritta dal parlante

(Camaioni, 2001). Sono state mosse diverse critiche a questo compito,

come l’utilizzo di figure astratte e senza senso che hanno portato in un

secondo momento all’utilizzo di figure familiari (Camaioni e Ercolani,

1987; 1990). Inoltre secondo alcuni autori non sono stati presi in esami

alcuni aspetti molto importanti della comunicazione quotidiana come

le abilità conversazionali e di negoziazione. Anche se, va ricordato che

il compito intende misurare, sia in condizioni di produzione che di

comprensione, la capacità di valutare l’informazione verbale e non la

capacità comunicativa in generale.

Prove standardizzate: attraverso una Prova di comunicazione

referenziale (Camaioni, Ercolani e Lloyd, 1995 a; 1995b) è possibile

valutare la capacità del bambino di mettere in relazione messaggio,

significato e referente. Questa prova è rivolta a soggetti in età

evolutiva. Misura la capacità del soggetto di produrre messaggi

completamente informativi e la sua capacità di comprendere i

messaggi che ascolta. È una prova da somministrare individualmente,

oggettiva, accompagnata da una manuale per l’attribuzione di punteggi

5

Page 47: Federica Sassi Tesi

e valutazioni. Anche in questo caso il soggetto e l’esaminatore sono

posti l’uno di fronte all’altro separati da uno schermo opaco. La prova

si compone di 30 item, corrispondenti ad altrettante tavole raccolte in

un quaderno, nelle quali sono presenti una serie di figure disegnate e

colorate:

- 13 item valutano la capacità del soggetto come “parlante” di produrre

messaggi informativi;

- 13 item valutano la capacità del soggetto come “ascoltatore” di

rispondere a messaggi inadeguati risolvendone l’ambiguità;

- 3 item valutano la capacità del soggetto come “ascoltatore” di

rispondere a messaggi adeguati, cioè completamente formativi.

In ciascuna tavola le figure differiscono per una, due o tre dimensioni,

quali la forma, il colore, la grandezza, la quantità, la relazione spaziale,

il cambiamento di stato.

figura 1.1 - Il bambino in questo caso deve descrivere la figura incorniciata

5

Page 48: Federica Sassi Tesi

figura 1.2 - Il bambino deve individuare l’albero scelto dallo sperimentatore

La somministrazione della prova dura in media venti minuti. Il ruolo

dell’esaminatore è particolarmente importante perchè egli funge da

partner comunicativo o interlocutore del bambino. La Prova di

comunicazione referenziale può essere applicata sia in campo educativo

che scolastico. Può fornire agli insegnanti e agli psicologi scolastici uno

strumento adatto a valutare le abilità di comunicazione verbale, sul piano

sia della produzione che della comprensione. In campo clinico fornisce un

valido aiuto diagnostico, utile a valutare la natura di difficoltà e carenze

comunicative che possono insorgere in soggetti a rischio .

6

Page 49: Federica Sassi Tesi

6

Page 50: Federica Sassi Tesi

Capitolo 2

IL PENSIERO NARRATIVO E L’ATTIVITA’ DEL

RACCONTARE

Si ipotizza che alla base di qualunque tentativo di dare un senso

all’esperienza umana ci sia un particolare tipo di pensiero e che esso guidi

anche la produzione e comprensione di testi narrativi (Camaioni, 2001). Fin

da bambini siamo immersi nel mondo nella narrazione: non solo fiabe e

favole, ma anche racconti di esperienze di vita quotidiana, racconti

autobiografici. Le narrazioni di qualsiasi tipo ci accompagnano tutta la vita.

Le storie compaiono così precocemente nell’esperienza comunicativa del

6

Page 51: Federica Sassi Tesi

bambino, che alcuni autori, in particolare Bruner (1986;1990), hanno

avanzato l’ipotesi che vi sia una predisposizione innata negli esseri umani a

organizzare il pensiero in forma di narrazione. La finalità del pensiero

narrativo è la comprensione e interpretazione dell’esperienza umana.

Secondo Bruner (1986) durante l’interpretazione degli eventi, vengono messe

in collegamento le azioni e i comportamenti delle singole persone con i loro

desideri, credenze, emozioni e valori.

La funzione del narrare è universale, cioè è un modo universale di

organizzare e dare senso all’esperienza, ma le sue realizzazioni sono

culturalmente determinate. Per Bruner (1990) la comunicazione narrativa

svolge un ruolo rilevante per l’acquisizione del linguaggio e ipotizza che il

linguaggio venga acquisito per riferirsi alla propria esperienza soggettiva e

intersoggettiva: esso rivela tutto il suo potere conoscitivo e comunicativo nei

contesti significativi in cui la diade madre-bambino coopera per il

raggiungimento di uno scopo comune (Camaioni, 2001). Il bambino

costruisce le sue conoscenze sulla realtà sociale attraverso i propri e altrui

racconti, ma non solo; costruisce anche la propria identità individuale sociale.

2.1 Pensiero narrativo vs pensiero paradigmatico

Per Bruner (1986; 1991) come detto in precedenza, il pensiero narrativo è

alla base della capacità tipicamente umana di narrare, che in senso

qualitativo, si contrappone e si collega a quello logico-scientifico e

paradigmatico. Il pensiero paradigmatico, come evidenzia Bruner nei suoi

lavori (Bruner e Lucariello, 1989; Levorato, 2000; Smorti, 1994, 1997)

appare tipico del ragionamento scientifico nel suo orientamento verticale-

gerarchico che connette oggetti e/o eventi al di fuori del contesto, procedendo

per falsificazioni e generalizzazioni verso la definizione di leggi “estensive”

(Rollo, 2006). Ricorrendo al pensiero paradigmatico, si cerca di mettere in

relazione il caso particolare a leggi generali. Il pensiero narrativo invece è

tipico del ragionamento quotidiano, che facendosi influenzare dal contesto,

6

Page 52: Federica Sassi Tesi

organizza oggetti e/o eventi in senso orizzontale di coerenza. Lo scopo del

pensiero narrativo è quello di “narrare” storie e non di verificare teorie. Le

storie narrate non sono generali, ma specifiche e sensibili alle variazioni del

contesto; non sono paradigmatiche, ma sintagmatiche, “nel senso che l’asse

del suo linguaggio è orizzontale e riguarda tutte le possibili opzioni

sintattiche per concatenare le parole o le frasi tra loro” (Smorti, 1994). Il

pensiero narrativo può essere definito come “clinico” e ideografico essendo

basato su singoli casi di eventi. Non cerca leggi universali e normative. Il

pensiero paradigmatico si organizza in concetti o categorie, mentre il

pensiero narrativo ruota attorno a temi o collezioni (Rollo, 2006). In un caso

si parlerà di rappresentazione categoriale, nell’altra di rappresentazione

schematica (Mandler, 1984). Sono anche diverse le strategie utilizzate per

organizzare gli eventi: strategie che coesistono e interagiscono in età adulta,

si collocano una di seguito all’altra nel corso dello sviluppo. Gli adulti, non

abbandonano i primi modo utilizzati dai bambini per classificare gli eventi

(copioni), ma vengono integrati in sistemi concettuali più elaborati, che

implicano la coesistenza di modi diversi di classificare, ora prevalentemente

narrativi, ora prevalentemente paradigmatici (Rollo, Pinelli, Perini, 2002).

Mentre l’adulto generalizza le leggi anche ai propri casi (chiamando cane

anche Fido), il bambino narra le routine della sua giornata generalizzando il

racconto a tutti i casi che incontra (tutti i cani si chiamano come il suo). I due

modi di pensare sono presenti nell’individuo e nella realtà e difficilmente

possono essere discriminati l’uno dall’altro, perchè spesso agiscono insieme e

vengono attivati a turno in base agli aspetti del contesto che prevalgono

(Rollo, 2006)

2.2 La competenza narrativa

2.2.1 Molteplicità di generi narrativi

6

Page 53: Federica Sassi Tesi

Anche se tutti i racconti e le storie sono il risultato di una struttura di pensiero

comune, la forma di ciascuna di esse può variare a seconda del tipo di

episodio a cui fanno riferimento (Baumgartner e Devescovi, 2002). Sono stati

individuati tre generi narrativi: gli script, le narrazioni di eventi personale e il

racconto di storie fantastiche.

Gli script sono narrazioni di azioni di rotine, sono rappresentazioni

schematiche di eventi sociali che vengono apprese molto precocemente.

Bambino di cinque anni: “Va bene. Allora per primo andiamo nei ristoranti di sera e noi,

ehm, noi e noi andiamo e aspettiamo per un pò, e poi arriva il cameriere e ci dà quella

piccola cosa dove ci sono i piatti, e poi aspettiamo per un pò, una mezz’ora o un pò di

minuti o qualcosa del genere, e ehm, poi arriva la nostra pizza o qualcosa d’altro, e ehm

(interruzione)... (L’adulto dice: “Così poi arriva il cibo...”) Poi la mangiamo e ehm, poi

quando abbiamo finito di mangiare l’insalata che ordiniamo, dobbiamo mangiare la

nostra pizza quando è pronta, perchè ci danno l’insalata prima che la pizza sia pronta.

Così poi quando abbiamo finito tutta la pizza e tutta la nostra insalata ce ne andiamo”.

(Nelson, 1981, p. 103)

“Il bambino percepisce e partecipa agli eventi e costruisce delle

rappresentazioni mentali relative alle azioni, agli agenti e agli oggetti

qualificanti, oltre che alle relazioni spaziali e temporali tra di essi” (Levorato,

1988, p. 245). La presenza di questa rappresentazione è dimostrata dalla

capacità dei bambini di imitare, in una situazione di gioco simbolico

sequenze di azioni familiari (qualora queste sequenze siano presentate

nell’ordine cronologico giusto) già intorno ai due anni. A tre anni poi sono

capaci di riprodurre anche linguisticamente script molto semplici.

Naturalmente con l’aumentare dell’età e dell’esperienza aumentano il numero

e la complessità delle situazioni a cui i bambini sanno fare riferimento.

McCabe e Peterson (1991) e Katherine Nelson e i suoi collaboratori (1989)

hanno dimostrato che le principali differenze fra le narrazioni di script di

bambini in età prescolare e quelle di bambini in età scolare non risiedono

6

Page 54: Federica Sassi Tesi

tanto nel numero di informazioni contenute, quanto nel tipo di elementi

strutturali presenti e nella flessibilità con cui i bambini sanno fare riferimento

alla sequenza canonica di eventi: tra i sei e gli otto anni i bambini diventano

sempre più capaci di esplicitare i legami temporali e causali, aggiungere

informazioni opzionali ed esprimere chiaramente una conclusione. Inoltre se

si richiede di rievocare verbalmente uno script in cui alcune azioni sono state

presentate in ordine casuale, mentre i bambini in età prescolare omettono di

rievocare le azioni incongruenti secondo l’ordine canonico, quelli in età

scolare sono in grado di inserirle in qualche modo nelle loro narrazioni

(Baumgartner e Devescovi 2002). Inoltre, gli script dei più bambini piccoli

sono molto più legati alle esperienze personali.

Le narrazioni di esperienze personali si basano sul ricordo di esperienze

singolari e specifiche che si sono determinate in un dato momento, di cui si è

avuta un’esperienza personale. Già a due anni e mezzo, i bambini nelle

conversazioni con gli adulti sono in grado di ricordare e riferire esperienze

accadute precedentemente (Hudson e Shapiro, 1991). Intorno ai quattro e

cinque anni aumenta considerevolmente la capacità di fornire una

conclusione al racconto; invece quello di arricchirlo di una “coda” che dia

coerenza all’intero episodio o lo colleghi al presente emerge solo intorno agli

otto anni (Peterson e McCabe, 1983).

Le conoscenze a cui si rifanno questi due generi narrativi, gli script e le

narrazioni di eventi personali, sono parzialmente diverse: generali per gli

script ed episodiche e specifiche per le narrazioni personali. Chiaramente

queste due conoscenze si intersecano fra di loro; infatti durante la narrazione

di episodi personali verranno menzionati aspetti di routine. Inoltre le

narrazione personali, al contrario degli script non sono legate ad un preciso

ordine cronologico. Secondo Labov e Waletzky (1967) contengono alcuni

elementi distintivi che le distinguono dagli altri generi narrativi:

- l’introduzione

6

Page 55: Federica Sassi Tesi

- la presenza di un riassunto

- alcune informazioni di carattere generale che costituiscono lo sfondo

- gli eventi salienti

- una valutazione del narratore su ciò che è accaduto

- la risoluzione

- talvolta una coda che collega l’episodio passato al presente

Il racconto di storie di fantasia viene acquisita dal bambino gradualmente nel

corso dello sviluppo, perchè è un’attività-abilità complessa. Implica infatti

l’acquisizione di diversi tipi di conoscenze e abilità: la capacità di riferirsi a

luoghi, personaggi, tempi che non hanno relazione con la situazione attuale e

di rappresentarsi mentalmente eventi diversi, la conoscenza delle interazioni

sociali, il tenere in considerazione il punto di vista dell’ascoltatore, la

conoscenza della struttura tipica delle storie e la capacità di collegare gli

eventi principali con quelli secondari. La difficoltà nel bambino è passare dal

“conoscere al raccontare” (Hudson e Shapiro, 1991). Gli autori concordano

nell’individuare cinque elementi fondamentali che costituiscono una storia

(Rumelhart, 1975; Kintsch, 1974; Mandler, 1984; Stein e Glenn, 1982):

1- l’inizio formale (“c’era una volta”) e l’introduzione del contesto e dei

personaggi;

2- l’evento iniziale semplice o complesso che spinge il protagonista a

prefiggersi il raggiungimento di uno scopo;

3- i tentativi dei personaggi di raggiungere uno scopo e gli impedimenti

e/o gli aiuti esterni;

4- la risoluzione del problema o il raggiungimento dello scopo

5- le conseguenze e la conclusione, che spesso è anch’essa formale (“e

vissero a lungo felici e contenti”).

Il racconto di storie fantastiche riveste una grande importanza nelle culture

orali perchè permette di trasmettere conoscenze, valori e insegnamenti morali

di una specifica cultura. Il linguaggio utilizzato risulta essere altamente

6

Page 56: Federica Sassi Tesi

decontestualizzato, cioè non fa riferimento nè ad esperienze personali nè ad

azioni e oggetti concreti come invece avviene per altre forme narrative. I

racconti fantastici risultano essere il luogo privilegiato per l’osservazione

dello sviluppo linguistico e socio-cognitivo dei bambini. Attraverso le

rielaborazioni narrative dei bambini e le spiegazioni che le accompagnano è

possibile comprendere e descrivere il mondo della mente infantile, il modo in

cui il bambino si rappresenta e interpreta la conoscenza sociale. I bambini di

quattro anni sono in grado di rievocare una storia che hanno sentito

raccontare rispettando l’intreccio narrativo (Mandler, 1984), ma non sono

ancora capaci di strutturare in modo coerente una storia di fantasia. Molti

autori ritengono che le prime storie raccontate dai bambini contengono una

serie di azioni collegate temporalmente. Anche se in età prescolare le storie

raccontate possono assumere una struttura e una fisionomia ben definita,

difficilmente contengono riferimenti agli scopi, motivazioni e reazioni

emotive dei personaggi, che compaiono solo intorno agli otto anni. Bisogna

però notare che, se anche le storie non sono ancora ben formate, i bambini

più piccoli sanno utilizzare alcuni mezzi formali che distinguono una storia di

fantasia come l’introduzione (c’era una volta) o le conclusioni (e vissero a

lungo felici e contenti) e l’uso del tempo passato o addirittura remoto,

utilizzato da gran parte dei bambini solo in queste situazioni.

2.2.2 Fattori che influenzano lo sviluppo della competenza narrativa

Sono stati individuati numerosi e diversi fattori che possono influenzare lo

sviluppo della competenza narrative. I più evidenti sono:

età: chiaramente più il bambino cresce e più riesce a padroneggiare le

forme linguistiche della narrazione;

diversi generi narrativi: anche i diversi generi narrativi influenzano i

processi di sviluppo. Infatti le capacità narrative si manifestano più

precocemente nelle narrazioni di eventi personali e di routine che sono

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Page 57: Federica Sassi Tesi

presenti già al terzo anno di età, mentre le narrazioni fantastiche

sembrano arrivare ad un livello di elaborazione soddisfacente solo in

età scolare;

fattori culturali: l’esposizione a diversi generi narrativi può essere

legata al contesto culturale di appartenenza. In uno studio statunitense

(1983) è stato trovato che i bambini appartenenti a comunità bianche

con un reddito medio fanno maggiormente esperienza di narrazioni di

eventi realmente accaduti, mentre i bambini di comunità afroamericane

a basso reddito ascoltano per lo più narrazioni personali;

modalità di interazione con la madre e/o con gli educatori: Nelson

(1991) ha mostrato che le madri che utilizzavano domande poco

direttive e cercavano di fornire ulteriori informazioni a ciò che il

bambino diceva, stimolavano narrazioni maggiormente articolate e ben

formate.

Lo sviluppo delle competenze narrative è legato non solo all’aumentare

dell’età e delle abilità linguistiche (come è naturale aspettarsi), ma anche al

tipo e alla quantità di esperienze quotidiane legate alla narrazione, come si

vedrà a proposito dell’interazione adulto-bambino durante la lettura.

2.2.3 Tante abilità per raccontare

Solitamente, per analizzare le storie narrate dai bambini in età prescolare, si

rileva la presenza di tre elementi che rendono la storia del bambino efficace

dal punto di vista linguistico e comunicativo: complessità strutturale,

coesione e coerenza.

Gli espedienti linguistici che servono a garantire la coesione delle storie

seguono una storia parallela al progressivo strutturarsi dello schema delle

storie, e consistono in pronomi, connettivi causali e temporali, proposizioni

subordinate e tutto ciò che permette di unire le singole frasi per rendere l’idea

di una totalità unitaria (Rollo, 2006). Naturalmente anche il rispetto di altre

6

Page 58: Federica Sassi Tesi

regole quali quelle morfologiche e grammaticali, e l’utilizzo di congiunzioni

e avverbi, permette di ottenere una narrazione linguisticamente coesa.

La complessità strutturale fa riferimento al chi, cosa, quando, dove e come,

cioè fa riferimento agli elementi costitutivi della storia. Per formare storie che

possano essere definite ben strutturate occorre che le informazioni presenti

facciano riferimento a :

inizio o introduzione con definizione di personaggi, ambientazione e

problema;

svolgimento o complicazione del problema;

soluzione del problema e conclusione.

La presenza, assenza o combinazione di questi elementi costitutivi definisce

la complessità strutturale, che è stata ordinata in cinque livelli (Spiniello e

Pinto, 1994):

non storia: descrizione o elencazione di eventi, fatti, oggetti, aspetti del

paesaggio discontinuità dei personaggi e mancanza di una conclusione;

abbozzo di storia: varie combinazioni degli elementi costitutivi in cui

però mancano sempre parti importanti quali il problema e/o la

soluzione e/o lo svolgimento;

storia incompleta: presenza di molti elementi strutturali, ma assenza

costante dello svolgimento;

storia essenziale: mancanza di elementi strutturali non essenziali, ad

esempio l’ambientazione;

storia completa: presenza di tutti gli elementi costitutivi, di cui solo il

titolo è considerato opzionale.

Per quanto riguarda la coerenza, il contenuto della storia per essere tale deve

rispettare lo schema inizio-ambientazione-problema-soluzione-fine (Hudson,

Shapiro, 1991). Chiaramente una storia può essere coesa dal punto di vista

strutturale, ma non da quello linguistico, oppure può essere coesa ma non

coerente perchè alcune componenti strutturali sono omesse. I bambini più

7

Page 59: Federica Sassi Tesi

piccoli difficilmente riescono a produrre storie che siano

contemporaneamente coese e coerenti. Ma anche in questo caso la

performance di narrazione dipende dal tipo di compito: se la storia è il

resoconto di un’esperienza reale, i bambini già a quattro anni mostrano una

coerenza narrativa migliore, rispetto a quando viene chiesto loro di

raccontare storie verosimili senza alcun supporto figurale. L’aspetto della

coerenza può essere ricondotto alle massime conversazionali di Grice (1975):

Quantità: si riferisce alla quantità di informazioni fornite e si scompone

in “da un contributo tanto informativo quanto richiesto”; “non dare un

contributo più informativo di quanto richiesto”.

Qualità: “Tenta di dare un contributo che sia vero” scomposto in “non

dire ciò che credi essere falso”; “non dire ciò per cui non hai prove

adeguate”.

Relazione: prescrive che la comunicazione sia rilevante “sii

pertinente”.

Modo: si riferisce a come si dice ciò che viene detto, “sii perspicuo”, si

specifica in “evita le oscurità di espressioni”; “evita l’ambiguità”; “sii

breve”; “sii ordinato nell’esposizione”.

Attraverso l’identità di referenza la coerenza si manifesta intorno ai tre anni:

il vedere sempre lo stesso personaggio che fa cose diverse. Solo tra i tre e i

quattro anni all’identità si aggiunge la scoperta di relazioni causali o

temporali tra eventi.

2.2.4 La comprensione della soggettività

Nei testi narrativi sono presenti due componenti o scenari: quello delle azioni

e quello della coscienza (Bruner, 1991). Il primo si riferisce all’aspetto

cronachistico della narrazione (il livello dei fatti ed eventi, le azioni, gli

ambienti); il secondo riguarda le emozioni, gli affetti, le credenze e i valori

dei personaggi. In età evolutiva è più facile comprendere e rievocare la

7

Page 60: Federica Sassi Tesi

sequenza delle azioni piuttosto che lo scenario della coscienza perchè gli stati

interni del personaggio non sempre sono esplicitati, e dunque per essere

ricostruiti necessitano di processi inferenziali, e perchè la conoscenza della

psiche è il risultato di un processo evolutivo piuttosto lungo e complesso.

Gli studi evolutivi sulla conoscenza degli stati interni soggettivi riguardano la

comprensione delle emozioni e la rappresentazione e degli stati mentali

altrui, di ciò che l’altro conosce, sa, percepisce, crede: nella letteratura ci si

riferisce a questo insieme di conoscenze con l’espressione “teoria della

mente”, che designa la concezione che gli individui hanno circa gli stati

mentali propri e altrui (Camaioni, 1995 a). Intorno ai tre anni il bambino è in

grado di differenziare il mondo fisico da quello mentale, ed è in grado di

cogliere la relazione tra le azioni umane e i desideri sottostanti. È intorno ai

tre quattro anni che si sviluppa una teoria della mente che mette in relazione

causale i desideri, le credenze, i comportamenti e le emozioni (almeno le più

semplici quali felicità, rabbia e tristezza) (Stein e Levine, 1990). A quattro

anni il bambino è in grado di tener distinte le proprie conoscenze da quelle

degli altri. Ora può capire come gli altri compiano delle azioni sulla base di

credenze erronee (Perner, Leekman e Wimmer, 1987). Inoltre il piccolo

lettore capisce che le sue conoscenze circa i pensieri, le emozioni e le

aspettative dei personaggi non sempre sono le stesse del personaggio. Tra i

cinque e gli otto anni, grazie all’evoluzione della competenza emotiva, il

bambino riconosce ed attribuisce agli altri emozioni complesse quali la

vergogna, l’orgoglio, il senso di colpa. A tre anni i bambini leggendo una

storia non comprendono che un personaggio mascherato conserva la propria

identità. Solo intorno ai cinque anni si sviluppa questa comprensione (Keil,

1989). I testi narrativi costituiscono uno strumento potente per la

comprensione della psiche umana e rappresentano una parte importante e

significativa del materiale che tutti, non solo in età evolutiva, abbiamo a

disposizione per costruire una teoria della mente (Camaioni, 2001). Nei

7

Page 61: Federica Sassi Tesi

lettori si manifesta la voglia, il desiderio di comprendere i personaggi grazie

a uno stato emotivo che è innato nella specie umana: l’empatia che consente

di provare uno stato d’animo analogo a quello osservato in qualcun altro.

L’emozione del personaggio “contagia” il soggetto e tale vissuto emotivo

attiva la ricerca di indizi per comprendere perchè nel personaggio si sia

sviluppata quell’emozione, e quali eventi l’abbiano causata. Nel corso dello

sviluppo l’empatia assume diverse forme: all’inizio funziona per contagio

senza nessuna mediazione cognitiva; deriva da una forma automatica di

riconoscimento. In seguito grazie allo sviluppo cognitivo vi è una

modificazione qualitativa della natura della risposta empatica. Il lettore è in

grado di elaborare lo stato interno dell’altro, anche senza che vi corrisponda

un’espressione emotiva manifesta. Chiaramente questo processo evolutivo

non impedisce di provare ancora le forme più primitive di empatia: adulti che

assistono ad una scena commovente atteggiano il volto a tristezza senza

rendersene conto. L’empatia oltre ad aumentare il piacere, migliora la

comprensione: è un fattore fondamentale per la conoscenza e comprensione

della soggettività, non solo degli altri ma anche della propria.

2.3 Intrecci possibili tra teoria della mente e linguaggio

In letteratura sono disponibili diversi studi attraverso i quali si è cercato di

indagare, seppur partendo da prospettive teoriche differenti, questa

interconnessione. È stato dimostrato che la prestazione nei compiti di falsa

credenza si accompagna direttamente a diversi aspetti dell’abilità linguistica.

L’accessibilità a livelli crescenti di complessità linguistica delle domande di

verifica sottoposte ai bambini procederebbe di pari passo con il livello della

loro prestazione mentalistica (Astington e Jenkins, 1995; Bartsch e Wellman,

1995). Jenkins e Astington (1996) hanno riscontrato una correlazione molto

significativa tra l’utilizzo della teoria della mente, testato attraverso la

somministrazione di quattro prove di falsa credenza, e il livello di maturità

7

Page 62: Federica Sassi Tesi

semantica e sintattica, accertato attraverso il Test dello sviluppo del

linguaggio precoce (TELD, Test of Early Language Development).

Complessivamente si ritiene che la comparsa nel linguaggio del bambino di

termini quali “volere”, “desiderare”, “pensare”, “conoscere” ecc.. corrisponda

a un segnale molto importante che testimonia un avanzamento nella

comprensione degli stati mentali propri e altrui (cfr. Bartsch e Wellman,

1995; Shatz, Wellman e Silber, 1983). D’altra parte la plausibilità di questo

legame appare quasi ovvia se si guarda allo sviluppo del bambino e agli

eventi che popolano la sua quotidianità (Marchetti e Massaro 2002). I

discorsi dei genitori rivolti ai figli “parlano” di desideri, emozioni, intenzioni

e credenze. Il bambino è soggetto a una considerevole esposizione al mondo

mentale. La ricerca recente tende a ritenere veritiero il rapporto di

interdipendenza tra abilità linguistiche e teoria della mente, evidenziando il

ruolo delle narrazioni come strumento utile per valutare le competenze

mentalistiche del bambino (Charman e Shmueli-Goetz, 1998). Secondo

Astington e Jenkins (1995) il rapporto tra linguaggio e teoria della mente può

essere riassunto in quattro punti fondamentali:

1- l’acquisizione della teoria della mente precederebbe quella del

linguaggio, fornendogli una base su cui strutturarsi.

2- Il legame tra teoria della mente e linguaggio è di tipo indiretto. Il

linguaggio faciliterebbe l’interazione sociale, favorendo di

conseguenza lo sviluppo della cognizione sociale. Il bambino essendo

esposto continuamente a vissuti sociali, verrebbe progressivamente

sollecitato a spiegare il comportamento delle persone attraverso

l’utilizzo di una teoria della mente. Si può parlare di una prospettiva

“socio-costruttivista” dove lo sviluppo delle abilità mentalistiche è

mediato dagli scambi comunicativi che si verificano all’interno della

famiglia (Dunn et al., 1991; Dunn, 1993, 2000; Peterson, Siegal,

1995).

7

Page 63: Federica Sassi Tesi

3- I bambini entrerebbero in possesso della capacità di ricondurre il

comportamento a presupposti mentalistici prima di quanto non sia stato

rilevato fino a questo momento. La presenza di questa competenza

precoce sarebbe offuscata dalla complessità linguistica e dalle

specifiche pragmatiche che solitamente contraddistinguono il

linguaggio utilizzato durante la somministrazione delle prove. La

competenza linguistica e il fattore conversazionale – vera e propria

variabile indipendente – influenzerebbero in maniera significativa la

performance dei bambini (Siegal e Beattie, 1991; Siegal e Peterson,

1994).

4- Dipendenza molto stretta della teoria della mente dal linguaggio:

sarebbe in altre parole lo sviluppo del linguaggio a garantire il

bambino nell’acquisizione di una competenza mentalistica.

2.4 Leggere e raccontare insieme un libro illustrato

2.4.1 Bambini e adulti raccontano insieme

La lettura comune di un libro illustrato non è solo un gioco, ma è anche una

situazione comunicativa, che permette di osservare e descrivere diverse

strategie di condivisione delle conoscenze (Bruner, 1983). Il libro viene

vissuto dal bambino come “oggetto” da leggere ancor prima di aver imparato

a leggere e a scrivere. La lettura del libro è una situazione che non soltanto

arricchisce le conoscenze del bambino, ma favorisce anche una

decontestualizzazione del pensiero/linguaggio. Le immagini essendo

percepibili ma non reali, facilitano il distacco dalla realtà, spostando

l’attenzione agli aspetti rappresentativi della realtà medesima. Le immagini

forniscono al bambino un supporto esterno ed esplicito all’elaborazione di un

racconto immaginario, che in seguito il bambino potrà costruire anche senza

l’aiuto delle figure. Per riuscire a “leggere” insieme ad un’altra persona

occorrono diverse abilità: saper riconoscere il momento opportuno per

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Page 64: Federica Sassi Tesi

inserirsi nel dialogo, saper prestare attenzione a ciò che sta comunicando

l’altro, essere motivati a parlare con l’altro e avere il desiderio di eliminare

ogni sorta di incomprensione e di difficoltà. Insomma l’attività di lettura di

un libro è un luogo privilegiato di negoziazione di significati. Le ricerche di

Bruner e collaboratori hanno mostrato che l’interazione che si stabilisce tra

adulto e bambino durante l’osservazione di figure è finalizzata a presentare al

bambino le parole che servono a denominare le figure stesse, e

successivamente, a verificare le conoscenze del bambino su di esse, che non

sono sempre uguali a quelle degli adulti (Baumgartner e Devescovi, 2002).

Gli adulti nello sforzo di farsi comprendere dai bambini forniscono

moltissime spiegazioni per collegare gli eventi della storia, per chiarire il

significato delle parole e/o per delucidare caratteristiche e funzioni degli

oggetti, personaggi, eventi di cui si parla e infine per identificare i particolari

della figura ritenuti rilevanti per denominare un oggetto, personaggio, evento

in una certa maniera (Barbieri e Devescovi, 1989). Inoltre rendono esplicite

le informazioni che non sono espresse chiaramente nei disegni, in modo da

fornire al bambino le conoscenze necessarie per comprendere il significato

delle singole figure e/o dell’intera storia.

Barbieri, Devescovi e Bonardi (1984) hanno individuato due modalità di

interazione verbale utilizzate da alcune madri e da alcune educatrici di asilo

nido quando raccontavano la storia dello scoiattolino infortunato:

Monologo: gli adulti ricostruivano la storia con un lungo monologo,

interrotto da richieste di attenzione e domande retoriche quando il bambino si

distraeva. Questa modalità veniva adottata dalle madri indipendentemente

dall’età del bambino e dalle educatrici coi bambini più piccoli.

A: (...) E allora, chi viene? Viene la mamma a prenderlo su? Un coniglio con una

sciarpa (indica la sciarpa)

B: Sciarpa, palla (indica il sasso vicino alla zampa).

A: Eh ha un piede rotto e gliel’hanno fasciato...

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Page 65: Federica Sassi Tesi

B: (batte le mani) oplà.

A: E gliel’hanno fasciato, hai visto che gliel’hanno fasciato il piede allo scoiattolo

(gira la pagina e indica la zampa fasciata dello scoiattolo). Guarda, Marco, tutto

fasciato come hanno fatto con te con il piedino. Ti ricordi che anche a te hanno

fasciato il piede? (gira la pagina) e poi arriva anche il coniglio che gli misura la

febbre allo scoiattolo (gira la pagina) e poi gli tira la fascia. Cosa fai, Marco, eh? Su,

mettiamo via questo (si riferisce al pallone che Marco tiene in mano). Me lo dai? Chi

è questo qua? (indica lo scoiattolo).

B: Scoiattolo.

A: Uno scoiattolo con il piede rotto.

(Barbieri, Devescovi e Bonardi, 1984)

Spesso l’adulto, alla fine del racconto riguarda il libro con il bambino

facendogli delle domande per verificare se veramente ha capito la storia.

Dialogo: l’adulto in questo caso stimola il bambino con domande, in modo

da renderlo partecipe alla costruzione della storia. Di conseguenza,

difficilmente la narrazione verrà seguita da ulteriori domande per verificare la

comprensione del bambino. Tale stile è adottato solo dalle educatrici con i

bambini più grandi.

A: Inciampa e cade per terra! Guarda! Patapumfete! (sottolinea il suono con un gesto

della mano che si abbassa bruscamente). Si fa male, secondo te, Linda lo scoiattolo?

B: (annuisce).

A: Sì, si fa male? Guardiamo se si fa male (gira la pagina). E dove lo porta?

B: Dalla sua mamma.

A: è la sua mamma questa? (indica il gufo).

B: Sì.

A: E che cos’ha in mano, che cosa sta facendo la sua mamma?

B: Non lo so.

A: Non lo sai? Guarda un pò che piedone che ha lo scoiattolino! Hai visto che

piedone ha? Che cosa gli è successo?

B: Si è fatto male alla gamba.

A: Oh si è fatto male alla gamba lo scoiattolino, e questa allora non è la sua mamma,

è il dottore, guarda che gli mette la fascia.

7

Page 66: Federica Sassi Tesi

(Barbieri, Devescovi e Bonardi, 1984)

Gli studiosi si sono chiesti se l’utilizzo dell’una o dell’altra modalità fosse

legata all’età del bambino o a caratteristiche dell’adulto. Molinari (1989) ha

confrontato quattro gruppi di madri: casalinghe, insegnanti, operaie,

impiegate con diversi livelli di scolarità. I risultati hanno mostrato che a un

basso livello socioculturale corrisponde globalmente una produzione verbale

più ridotta e meno articolata. Le madri insegnanti producevano un numero di

spiegazioni maggiore a tutte le altre. Ma la scelta dello stile non dipendeva

dall’occupazione materna o dal livello socioculturale, ma da come le madri si

rappresentavano le capacità del loro bambino. Infatti facevano utilizzo di uno

stile narrativo quelle madri che gli attribuivano elevate capacità di

comprensione e di autonomia.

2.4.2 Bambini e coetanei: leggere e raccontare insieme

In analogia con quanto descritto nell’interazione adulto-bambino,

Baumartner e Devescovi (2002) hanno identificato due stili di narrazione in

bambini di età compresa tra i tre ai cinque anni: monologo e dialogo. Nel

monologo un bambino assume il ruolo di narratore e l’altro si limita ad

ascoltare, comportandosi come eco del parlante:

Matteo e Manolo

Matteo tiene il libro aperto e Manolo, in piedi, alla sua destra guarda le figure che

Matteo indica con il libro, procedendo da destra verso sinistra.

Matteo: Allora ecco la casa, passava sotto il tetto, dopo andò, perchè i Babbo Natali,

vanno pure dentro la cantina (...). Dopo qua c’è una casa lunga, un palazzo con un...

Babbo Natale

Manolo: ...ale

Matteo: Con una slitta.

Manolo: tta.

Matteo: E c’è una bandiera.

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Page 67: Federica Sassi Tesi

Manolo: ra.

Matteo: Bevevano il latte (copre quasi del tutto il libro con le braccia e il busto

spostato in avanti).

Manolo: ...atte (si allunga verso il libro cercando di vederlo meglio).

Matteo: Qua poi il vestito di sopra lo metteva su una sedia, la slitta la fermava qua e

dopo qua c’era il cane cò Babbo Natale si faceva la doccia e pure (gira pagina) e qua

dopo Babbo Natale beveva beveva.

Manolo: ...va.

Matteo: E dopo mangiava, mangiava, diventava più grande, dopo si prepara e gli

veniva sonno (Manolo sbadiglia) dopo beveva beveva.

Manolo: ...va.

Matteo: Un pochino e dopo scendè se preparò e andava a portare i regali.

Manolo: Sì.

(Baumgartner e Devescovi, 2002).

L’imitazione dell’ultima parola detta o di parte di essa finisce col

rappresentare quasi un rituale. Scandisce il racconto e diventa necessaria al

punto tale che crea disorientamento nel narratore se viene a mancare.

Il secondo stile di narrazione, il dialogo, è caratterizzato invece da

un’alternaza di turni fra i bambini nel raccontare. Il libro diventa oggetto di

conversazione fra i bambini.

Giovanni e Luisa

Giovanni: Tiè, lo voi te (passa il libro a Luisa)

Luisa: (annuisce, prende il libro e inizia a sfogliarlo) Eh, qui non ci sta niente.

Giovanni: Aspetta, t’aiuto io, dà (gira una pagina del libro).

Luisa: Dà guarda che non sò monca.

Giovanni: Tiè (apre il libro e lo porge a Luisa).

Luisa: Non sò monca

Giovanni: Dillo, che ce sta? (indicando una figura).

Luisa: Babbo Natale che sta a dormì.

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Page 68: Federica Sassi Tesi

Queste osservazioni permettono di concludere che già a tre anni i bambini

sono in grado, collaborando con un coetaneo, di sperimentarsi nel racconto di

storie di fantasia a partire da un libro illustrato, anche in assenza dell’adulto.

La principale difficoltà di questo compito è rappresentata dal “mettersi

d’accordo” su come svolgerlo per arrivare a una interpretazione comune del

significato delle figure senza l’aiuto di un adulto (Baumgartner e Devescovi,

2002). Il conflitto rappresenta un tema di studio molto interessante perchè

permette di esaminare la capacità dei bambini di confrontarsi con il punto di

vista dell’altro. Secondo alcuni studiosi post-piagetiani, il conflitto implica

“una sottolineatura del problema” che porta a modificare le proprie visioni

creando nuove conoscenze. Durante la lettura, le ipotesi e spiegazioni che

vengono esposte da ciascun bambino possono essere in contrapposizione fra

loro, perciò l’elaborazione comune della storia va contrattata. Devono

giustificare e spigare il proprio comportamento e per fare questo i piccoli

lettori devono immaginare gli atteggiamenti e le conoscenze

dell’interlocutore, assumere il suo punto di vista, e fornirgli le informazioni

adatte per fargli cambiare opinione (Barbieri, 1989). I principali conflitti

possono essere ricondotti a tre aspetti principali: la collocazione del libro,

l’atto di voltare pagina e la scelta della figura da commentare. Le

giustificazioni che i bambini forniscono alle loro opposizioni denotano la

consapevolezza di una fondamentale regola conversazionale: le opposizioni

devono essere argomentate (Eisenberg e Gravey, 1982). Si può così

concludere che nell’interazione tra bambini conflitto e cooperazione, pur

avendo funzioni diverse sono ugualmente necessarie. Nei momenti di

accordo i bambini mettono insieme pezzi incompiuti del loro pensiero; nel

conflitto invece l’esigenza di convincere l’altro porta i bambini ad

argomentare e ad esplicitare maggiormente le proprie convinzioni, facendo

così progredire il ragionamento collettivo (Orsolini e Pontecorvo, 1989).

8

Page 69: Federica Sassi Tesi

2.5 Gioco simbolico: rapporti con la narrazione e il linguaggio in età

prescolare

La maggior parte della letteratura che ha trattato il tema del gioco simbolico

ha fatto riferimento all’opera di Piaget. Egli esaminando i rapporti tra gioco e

linguaggio, sostiene che entrambi siano la manifestazione della più generale

abilità di rappresentare dei significati attraverso l’uso di significati. In altre

parole l’abilità di servirsi di simboli nel gioco e nel linguaggio deriva

dall’acquisizione di una generale funzione “semiotica”. Anche Vygotskij

attribuisce un ruolo predominante al gioco simbolico in età prescolare

evidenziandone il ruolo nello sviluppo cognitivo del bambino. Il gioco

permette la manipolazione dei significati, la creazione di una situazione

fittizia e la presenza di regole. È un sistema molto complesso di “linguaggio”,

in cui, attraverso i gesti viene comunicato il significato dei giocattoli. È molto

importante la somiglianza funzionale tra l’oggetto e quello che deve

rappresentare, ossia la possibilità di realizzare con tale oggetto il gesto

desiderato. Molto numerosi sono gli studi che si rifanno ai rapporti esistenti

tra gioco e linguaggio nei primi tre anni di vita. Meno numerosi sono quelli

che prendono come riferimento fasce di età più elevate, dai tre ai sei anni. Per

quanto concerne il primo periodo evolutivo, sono state riscontrate

corrispondenze tra il percorso evolutivo che porta dall’emergere del simbolo

ludico allo sviluppo delle attività di gioco simbolico con il percorso che

conduce dalle prime apparizioni di parole all’emergere delle prime fasi nella

produzione verbale dei bambini (Bates, Benigni, Bretherton, Camaioni e

Volterra, 1979). Altri studi hanno trovato che lo sviluppo della produzione di

abilità di gioco simbolico è collegata con la capacità di pronunciare

significati diversi attraverso il linguaggio e con la comprensione del

linguaggio; inoltre la comprensione dei gesti simbolici è in relazione con la

comprensione del linguaggio nel terzo anno di vita (Lyytinen, Poikkeus e

Laasko, 1997). Prendendo in considerazione la fascia di età che va dai tre ai

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Page 70: Federica Sassi Tesi

sei anni gli autori hanno evidenziato che il contesto di gioco è potenzialmente

molto interessante per lo studio del linguaggio nel periodo prescolare, visto

che il linguaggio permette l’organizzazione del gioco simbolico (Garvey e

Kramer, 1989). Garvey (1989, 1990) in alcuni suoi studi evidenzia come i

bambini utilizzino le più sofisticate competenze conversazionali e sociali in

loro possesso per costruire il gioco simbolico. In particolare specifica che tali

competenze vengono proprio apprese durante l’attività di gioco simbolico

sociale. Inoltre l’autrice mette in evidenza che il gioco simbolico sociale

viene realizzato prevalentemente attraverso scambi comunicativi, che il

linguaggio continua a svilupparsi durante il periodo prescolare e che una

volta comparso il gioco simbolico sociale, alcuni dei suoi costituenti

strutturali (trasformazioni simboliche, assunzioni di ruoli, pianificazione di

azioni, messaggi metacomunicativi) vengono rappresentati

fondamentalmente attraverso il linguaggio e continuano a trasformarsi nel

periodo prescolare. Alcuni autori (Farver, 1992; Garvey, 1982; Nelson e

Seidman, 1984) hanno messo in evidenza che in età prescolare la complessità

del linguaggio prodotto è in relazione con la complessità del gioco realizzato.

È stato riscontrato che il gioco simbolico costituisce non solo una situazione

favorevole per esercitare le abilità linguistiche emergenti, ma anche che nel

gioco i bambini usano forme linguistiche specifiche. Musatti e Orsolini

(1993) mostrano come i bambini italiani già a 4 anni utilizzano differenti

tempi verbali passati a seconda delle funzioni del gioco:

L’imperfetto viene utilizzato soprattutto nella fase di pianificazione,

per collocare l’attività in un contesto ludico;

Il passato prossimo viene utilizzato per riferirsi ad azioni passate.

Per quanto riguarda il rapporto tra gioco simbolico e narrazione è possibile

individuare due filoni di ricerca: il primo filone mette in evidenza il fatto che

il gioco simbolico è un contesto molto potente per lo sviluppo delle abilità

narrative. Galda (1984) ha evidenziato che la complessità e la struttura delle

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Page 71: Federica Sassi Tesi

storie dei bambini hanno uno sviluppo parallelo a quello del gioco

drammatico, per cui la situazione di gioco simbolico facilita la produzione di

narrazioni. Non è possibile però verificare quali siano le variabili che

determinano questa facilitazione. Pellegrini (1984) ha confontato le

narrazioni di alcuni bambini prodotte in diversi contesti, e ha evidenziato un

maggior utilizzo del linguaggio esplicito nelle situazioni di gioco simbolico;

Stone (1992) ha evidenziato che i bambini che giocano di più a giochi

simbolici di ruolo sono anche quelli che narrano di più. Infine Fein (1995)

rileva come nel gioco coi pupazzetti in miniatura il legame tra gioco e

narrazione di storie è particolarmente forte poichè nella costruzione del gioco

il bambino assume il ruolo di un narratore esterno. Il secondo filone si è

concentrato, sia a livello strutturale che di sviluppo, sull’esame dei

parallelismi e delle similitudini tra gioco simbolico e narrazione. Sachs,

Goldman e Chaillè (1984) hanno rilevato, in bambini tra i 2 e 5 anni, che i

più grandi riescono ad elaborare dei giochi con una trama inserendovi

un’ampia varietà di elementi narrativi. Pellegrini (1985 a; 1985 b) ha

analizzato la relazione esistente tra gioco simbolico e la produzione e

comprensione di un linguaggio decontestualizzato e narrativo, per poi

approfondirne l’organizzazione narrativa. È stato trovato che esiste una

considerevole relazione tra gioco e narrazione e che con l’età i bambini fanno

giochi meno dipendenti dal materiale a disposizione e più complessi da un

punto di vista narrativo; inoltre è impossibile determinare se alcune forme di

gioco richiedono la produzione di un linguaggio narrativo, o se, al contrario i

bambini che producono maggior linguaggio narrativo tendono a giocare di

più in modo simbolico. Anche Garvey (1990) ha rilevato la somiglianza e lo

sviluppo parallelo tra gioco simbolico e narrazione. Ambedue le attività

implicano l’autonomia dal contesto di produzione e inoltre sono

strutturalmente simili perchè sono composte da introduzione di personaggi,

ambientazione di una scena, sequenze ordinate di eventi, introduzione di

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Page 72: Federica Sassi Tesi

problemi e loro soluzione. Guttman e Frederiksen (1985) hanno sottolineato

come vi siano abilità cognitive simili associate alle due condizioni

considerate.

Capitolo 3

IL LESSICO PSICOLOGICO

3.1 I precursori delle conoscenze psicologiche

Con l’espressione “Teoria della Mente”, come specificato in precedenza, ci si

riferisce a una delle componenti che tipicamente contraddistinguono lo

sviluppo della mente umana, ovvero la sua caratteristica di attribuire a sé e

agli altri stati mentali quali desideri, intenzioni, pensieri e credenze e di

spiegare e prevedere i comportamenti sulla base di queste inferenze. Secondo

Camaioni (2001), si parla di “teoria” in quanto nel ragionare e parlare di noi

stessi e degli altri ci riferiamo costantemente a stati mentali quali desideri,

emozioni, intenzioni e credenze non direttamente osservabili. Così come non

siamo consapevoli di utilizzare una teoria della mente nello spiegare e

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Page 73: Federica Sassi Tesi

prevedere le azioni umane, allo stesso modo il bambino la acquisisce senza

esserne cosciente.

Nel corso del primo anno di vita il bambino impara a guardare dove guarda

l’adulto: il co-orientamento visivo apre la strada all’attenzione condivisa,

cioè la situazione in cui il bambini è in grado di alternare lo sguardo

dall’oggetto all’adulto e viceversa. Baron-Cohen (1991) nota che vi è una

differenza sostanziale tra comprendere l’atto di guardare qualcosa e

comprendere l’attenzione verso qualcosa: nel secondo caso il bambino si

rende conto che l’attenzione consiste nello stato mentale dell’interesse verso

l’oggetto, richiede cioè un processo rappresentazionale (Baumgartner e

Devescovi, 2002). Lo studioso sostiene che la condivisione dell’attenzione

costituisce un precursore della teoria della mente perchè comporta la

comprensione rappresentazionale delle persone come provviste di stati

interni. È presente nei bambini normalmente tra i 9 e i 13 mesi di età. Come

descritto nel primo capitolo, secondo Camaioni (1992; 1993) si possono

osservare le manifestazioni più evidenti della natura rappresentazionale dei

fenomeni di attenzione condivisa nelle prime forme di comunicazione

intenzionale, in particolare quando si richiama l’attenzione dell’interlocutore

su qualcosa. La persona non è lo scopo dell’intenzione comunicativa del

bambino, ma è solo un mezzo per raggiungere un oggetto che rappresenta lo

scopo del bambino. Verso la seconda metà del primo anno di vita invece

vediamo che il bambino si rivolge all’adulto per richiamare la sua attenzione

su qualcosa: lo scopo dell’atto comunicativo è l’adulto, l’attenzione

dell’adulto. La comparsa di questo tipo di intenzione comunicativa

(dichiarativa) segnala la comprensione che gli esseri umani hanno stati

mentali, quali l’attenzione, e che tali stati mentali possono essere influenzati

o condivisi.

3.2 Le origini del lessico psicologico

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Page 74: Federica Sassi Tesi

Bruner e Feldman in un recente studio (1993) affermano che l’identificazione

della mente degli altri e degli stati intenzionali avviene nel bambino per gradi

e deriva da processi transizionali tra adulto e bambino definiti in precedenza

da Bruner formati (1983).

La forma caratteristica di questi formati è di tipo narrativo: c’è uno stato iniziale canonico

iniziale di stabilità, seguito da qualche evento precipitante, cui segue il restauro della

condizione di partenza e infine una coda in cui si annuncia che il gioco è terminato.

L’architettura interna di ogni gioco del genere è definita dagli stati intenzionali dei

partecipanti, non meno che dagli oggetti usati (...). L’effetto per il bambino di questa

narrativizzazione dell’interazione sociale è di permettergli di costruire rappresentazioni

canoniche di come funzione, o meglio, di come dovrebbe funzionare il mondo delle

persone e delle cose (Bruner e Feldman, 1993, pag.88).

Sostengono cioè, che le prime forme di conoscenze del mondo delle persone

sono acquisite come prassi in occasioni interattive in cui il bambino è

protagonista. È importante considerare che nell’ambito di quella che Bruner

chiama “politica familiare”, alla quale il bambino partecipa, egli impara

velocemente che parlare delle interazioni vuol dire raccontarle in una forma

narrativa spesso altamente drammatizzata, che non è semplicemente esporre

un avvenimento, ma è anche spiegare l’azione raccontata e la propria

partecipazione in essa. Il bambino impara, che al di la di quanto è accaduto

realmente, ciò che è importante nei complicati giochi familiari, fatti di

conflitti e alleanze, è raccontare la storia “giusta”. Il narrare diventa non

semplicemente un atto espositivo ma anche un atto retorico perchè serve a

giustificare il proprio comportamento e ad influenzare quello degli altri.

Perciò, nelle interazioni interpersonali, i bambini attribuiscono e riconoscono

emozioni e intenzioni ai propri interlocutori, ma non solo, infatti sanno anche

manipolare utilizzando le parole e i racconti.

3.3 Le componenti del lessico psicologico

8

Page 75: Federica Sassi Tesi

Di seguito verranno presentati una serie di termini a cui si fa riferimento

nell’analisi e nella codifica dei termini di stato mentale prodotti dai bambini

durante la narrazione scritta o orale, spontanea o elicitata dall’adulto.

Vengono esaminati i seguenti termini riferiti a stati interni:

Fisiologici: ad es. avere fame, avere sete, avere sonno.

Percettivi: ad es. guardare, vedere, sentire, odorare, sentir caldo, sentir

freddo.

Volitivi/Abilità: ad es. potere (essere capace di), sapere, provare, sperare,

volere, bravo.

Emotivi positivi: ad es. divertirsi, essere amici, voler bene, essere allegro,

simpatico.

Emotivi negativi: ad es. triste, aver paura, antipatico, infelice.

Cognitivi: ad es. conoscere, sapere, ricordare, venire in mente, capire,

dimenticare, far finta.

Comunicativi: ad es. dire, chiedere, raccontare, chiamare.

Giudizio morale: ad es. si deve, dovere (avere l’obbligo di), potere (avere il

permesso di), buono, cattivo.

3.4 Contesti comunicativi e lessico psicologico

Nella produzione linguistica spontanea si manifestano precocemente parole

che denotano emozioni, percezioni, sentimenti, desideri, pensieri e credenze.

Già nelle prime fasi dello sviluppo del linguaggio i bambini imparano a

chiamare le persone per nome ed a usare i pronomi di prima e seconda

persona. Questo utilizzo dimostra la capacità emergente nel bambino di

riconoscere se stesso e gli altri come persone specifiche, dotate di qualità e

caratteristiche psicologiche e implica pertanto una comprensione almeno

iniziale della distinzione sè-altro. La capacità di far riferimento agli stati

interni propri e altrui nel linguaggio viene considerata da diversi studiosi

come un indicatore dell’emergere di una “teoria della mente” nel secondo

8

Page 76: Federica Sassi Tesi

anno di vita (Camaioni, 2001). Bretherton, McNew, Beeghly-Smith (1981)

grazie ad alcuni studi hanno dimostrato come la capacità di parlare di stati

interni compare nel secondo anno di vita e si consolida nel terzo. Solitamente

sono utilizzati più frequentemente quei termini che si riferiscono a stati

percettivi fisiologici e volitivi, mentre sono più rari quelli affettivi cognitivi e

morali. Tutti i termini vengono utilizzati per riferirsi a se stessi più che ad

altri. Vengono impiegati anche in riferimento ad eventi non presenti. Questo

uso decontestualizzato è molto importante perchè dimostra che il bambino

non si limita a riferirsi a ciò che accade nel contesto immediato. Vi è un

progressivo aumento del lessico psicologico tra i 20 e 28 mesi, passando da

una media di 8 a una media di 37 diversi termini prodotti. In uno studio di

Bartsch e Wellman (1995) che analizza la produzione spontanea di dieci

bambini di lingua inglese tra i due e i cinque anni, è stato travato che il

riferimento ai desideri (attraverso il verbo volere) è acquisito stabilmente

prima del secondo anno di vita, mentre il riferimento alle credenze (attraverso

i verbi “pensare e sapere”) è più tardo e compare intorno ai tre anni. Quando i

bambini utilizzano termini che si riferiscono a desideri o credenze, sono in

grado di distinguere i propri stati interni da quelli degli altri. Soltanto intorno

ai cinque anni riescono a parlare di stati cognitivi con la stessa frequenza con

cui si riferiscono agli stati volitivi (Camaioni, 2001). A conferma dell’ipotesi

di Wellman (1990) vediamo come prima i bambini cominciano col

padroneggiare una semplice psicologia del desiderio e solo in un secondo

momento cominciano ad elaborare una psicologia più complessa che

comprende sia i desideri che le credenze. In una ricerca di Camaioni e

Longobardi (1997) in cui erano coinvolti 21 bambini di madre lingua italiana

è stato trovato che a 20 mesi di età la maggior parte di questi bambini

producevano termini riconducibili a sensazioni e percezioni, sia proprie che

altrui. Venivano utilizzati verbi come “far nanna”, “avere fame”, “sentir

male”, “vedere”, “sentire”, “guardare”. Soltanto un terzo dei bambini parla di

8

Page 77: Federica Sassi Tesi

emozioni sia positive (“contento”, “bello”, “caro”) che negative (“triste”,

“arrabbiato”, “schifo”). Ancora meno frequenti sono i termini prodotti in

relazione ai pensieri e agli stati cognitivi (“sapere”, “capire”, “per finta”). I

riferimenti a stati fisiologici rappresentano il 60% di tutti i termini prodotti,

mentre i riferimenti a stati cognitivi solo il 2%. Non si sono trovate differenze

significative tra i sessi e l’ordine di nascita sulla produzione del lessico

psicologico. In accordo con quello trovato da Bartsch e Wellaman (1995) il

riferimento a stati volitivi è assai più frequente del riferimento a stati

cognitivi. Inoltre sempre in accordo con gli studi precedenti, i bambini

utilizzano termini riferiti a stati interni con funzione di commento più che di

richiesta. Alcune ricerche documentano che le madri parlano di emozioni

nelle conversazioni in famiglia più con le figlie che con i figli. Infatti già a 24

mesi le bambine parlano più frequentemente di emozioni rispetto ai loro

coetanei maschi (Dunn, Bretherton e Munn 1987). Fivush (1989) ha trovato

che le madri rivolgono ai figli sia maschi che femmine la stessa quantità di

linguaggio sulle emozioni, ma con le figlie parlano sopratutto di emozioni

positive mentre coi figli si riferiscono allo stesso modo ad emozioni positive

e negative. In uno studio di Baumgartner e Devescovi (2002) sono state

raccolte storie (audioregistrate e integralmente trascritte) raccontate da 36

bambini di età compresa tra i 4 e 5 anni che sono state valutate attraverso due

parametri: uno relativo alla lunghezza della storia, espressa in clausole, e

l’altro riguardante la frequenza dei diversi tipi di riferimenti agli stati mentali,

e il rapporto tra questi ultimi e le spiegazioni. I bambini sono stati invitati a

raccontare la storia raffigurata nel libro dal titolo Frog,where are you? Erano

presenti due condizioni di interazione, una prima in cui era presente soltanto

un adulto al quale il bambino racconta la storia, e una seconda nella quale vi

sono due bambini che raccontano insieme la stessa storia, alla presenza di un

adulto che non si pone come interlocutore, ma che svolge semplicemente una

funzione di regolazione. La lunghezza della storia espressa in clausole

8

Page 78: Federica Sassi Tesi

rappresenta una misura tradizionale della competenza linguistica e narrativa.

Infatti la clausola permette di confrontare fra loro racconti di diversa

lunghezza, che altrimenti non sarebbero confrontabili. La clausola è definita

una unità composta dal predicato più i suoi argomenti (es. “il ragazzino si

mette paura”, “il bambino dorme”, “il cervo sorrise”). La narrazione

(espresso dal numero di clausole contenute nei racconti) sembra essere

influenzata dalla situazione comunicativa. Infatti le storie raccontate dai

bambini da soli sono più lunghe di quelle raccontate con un coetaneo. Sulla

lunghezza delle storie potrebbero però incidere diversi fattori tra cui l’età: i

bambini osservati nel racconto individuale avevano un’età leggermente

superiore (5 anni e 6 mesi) di quelli in coppia (5 anni e 1 mese). Nelle storie

raccontate in coppia il linguaggio appare con molta evidenza strumento di

mediazione per la costruzione di una conoscenza condivisa, mentre

nell’interazione con l’adulto i bambini solo raramente si rivolgono

all’interlocutore con delle richieste esplicite di informazione. In sostanza

dove vi è asimmetria di relazione il bambino sembra sentirsi sottoposto a

giudizio. Spesso le figure che vengono scelte per essere commentate

dipendono fortemente da quello che ha appena osservato il compagno, sia per

confermarlo, sia per completarlo, o per esprimere un punto di vista diverso.

Nel raccontare la storia i bambini non si sentono vincolati dalla successione

delle figure, infatti spesso iniziano il loro racconto dalla seconda (la fuga

della rana), oppure modificano l’ordine degli eventi indipendentemente dalla

loro sequenza logica. Per quanto riguarda la comprensione psicologica si è

visto le storie raccontate, pur essendo più brevi, contengono un numero

maggiore di termini psicologici. Nelle storie dei bambini raccontate a un

interlocutore adulto i termini più frequenti sono quelli che si riferiscono alle

percezioni o agli stati fisiologici ( è molto frequente il termine vedere). I

termini che si riferiscono ad emozioni e affetti rappresentano il 27,8%, a

desideri e intenzioni il 14,3%, a cognizioni il 4,3% e a percezioni e stati

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Page 79: Federica Sassi Tesi

fisiologici il 53,6%. Nei racconti in coppia vediamo che le espressioni di

desideri e intenzioni rappresentano il 12,4%, di cognizioni il 4,3%, di

percezioni e stati fisiologici il 28,9%, di doveri il 3% e di emozioni e affetti il

50,8%. Perciò i racconti con l’adulto sono orientati alla descrizione, mentre

quelli prodotti in coppia sono più interpretativi e valutativi. Nelle storie

raccontate dai coetanei in coppia le descrizioni del mondo interno dei

personaggi sono più articolate: le emozioni più frequentemente nominate dai

bambini sono sia positive (contentezza e felicità) che negative (tristezza e

rabbia). Sono frequenti anche i vocaboli che si riferiscono all’espressione di

emozioni (piangere, ridere) o affetti (abbracciare, leccare). Sono invece più

rari i termini che riguardano l’espressione di emozioni interpersonali (dare

fastidio, mettere paura, fare pace) mentre sono del tutto assenti i riferimenti a

emozioni di ordine cognitivo più complesso quali la sorpresa e la delusione,

che pure sono raffigurate chiaramente nella storia (Baumgartner e Devescovi

2002). Per identificare queste emozioni il bambino dovrebbe immaginare

anche la credenza originaria che le ha provocate e quindi deve essere in grado

di collegare due diverse rappresentazioni della realtà. Inoltre la sorpresa e la

delusione non sono associate in modo univoco a una determinata espressione

facciale. Nella lettura dei libri illustrati l’attribuzione di una particolare

emozione si basa su due diversi indici: l’espressione facciale dei personaggi

e la trama. Nei soggetti impiegati per questo studio l’utilizzo dell’espressione

facciale è la più frequente. Infatti nell’infanzia i bambini pensano che vi sia

corrispondenza tra ciò che una persona sente e la sua espressione facciale. I

bambini di cinque anni indipendentemente dall’interlocutore hanno delle

difficoltà ad utilizzare la trama come indice emotivo. La caratteristica più

importante dei racconti in coppia coi coetanei è che i bambini trattano e

accertano insieme le attribuzioni di stati emotivi ai vari personaggi, mentre

non discutono i riferimenti agli stati fisiologici o alle percezioni. In una

situazione scarsamente dialogica come quella con l’adulto il bambino si

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Page 80: Federica Sassi Tesi

limita ad ascoltare ed è poco motivato a rendere esplicita la propria

conoscenza. Come in tutta la letteratura anche questa ricerca dimostra come i

riferimenti agli stati cognitivi sono scarsi, sia nelle storie raccontate in coppia

che in quelle con l’adulto. Sono molto rari anche i riferimenti ai “giudizi

morali” e ai “doveri” in ambedue le situazioni di racconto. In conclusione si è

dimostrato che nel racconto di una storia di fantasia anche i bambini in età

prescolare utilizzano un lessico psicologico articolato, che implica la

rappresentazione dei personaggi come esseri caratterizzati da attività emotiva

e mentale: abbiamo inoltre osservato delle differenze nei racconti prodotti dai

bambini a seconda che vi fosse un interlocutore adulto o una coppia di

bambini, entrambi coinvolti nella narrazione. Tali differenze riguardano

soprattutto il contenuto e lo stile del racconto, più esteso e descrittivo nelle

storie raccontate all’adulto, più interpretativo e meno circostanziato nelle

storie raccontate tra bambini (Baumgartner e Devescovi 2002). Nelle storie

raccontate dai bambini coi loro coetanei, vengono spiegati soprattutto i

riferimenti a intenzioni, emozioni e giudizi morali. Le percezioni vengono

giustificate solo in minima parte. Con l’adulto invece, le spiegazioni più

frequenti riguardano lo stato fisiologico o percettivo, anche perchè sono i più

frequenti all’interno dei racconti. Nelle storie tra pari la percentuale di

riferimenti agli stati psicologici è di gran lunga maggiore rispetto alla

percentuale di spiegazioni rilevate nelle storie raccontate all’adulto. Questo

può essere interpretato in due modi:

La partecipazione di entrambi i bambini al racconto fa si che, per

sostenere la propria opinione, sia necessario convincere il compagno,

persuaderlo dell’utilità e sensatezza di quanto si è detto.

Inoltre la situazione dialogica stimola i bambini a esplicitare i nessi

che essi creano nella storia e a sforzarsi di dare consistenza psicologica

ai personaggi, spiegandone il comportamento o le cause degli stati

interni.

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Page 81: Federica Sassi Tesi

Con l’adulto la necessità di spiegare le proprie opinioni è ridotta al minimo,

perchè l’adulto tende ad accettare le opinioni del bambini senza opporsi. Può

semplicemente chiedere al bambino di ampliare ciò che ha detto, ma non si

oppone. In più l’adulto viene visto dal bambino come portatore di conoscenza

e quindi non vi è la necessità di convincerlo, perchè il bambino immagina che

il suo interlocutore conosca già la storia e ne sappia più di lui.

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Page 82: Federica Sassi Tesi

Capitolo 4

LA NARRAZIONE NEI BAMBINI CON SVILUPPO

ATIPICO

Molteplici ricerche, hanno indagato le abilità e la produzione narrativa in

bambini e adolescenti con sviluppo atipico dovuto a cause diverse e hanno

permesso di individuare più chiaramente il peso che le diverse componenti

cognitive, sociali e linguistiche hanno nel racconto di storie e hanno

contemporaneamente contribuito a definire il profilo di competenze e

difficoltà che può essere considerato caratteristico di ogni determinata

popolazione atipica.

Gli aspetti della produzione di storie indagati nello sviluppo atipico fanno

riferimento alle diverse aree di competenza sopraccitate.

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Page 83: Federica Sassi Tesi

Gli aspetti strutturali includono la lunghezza della narrazione prodotta

in termini di numero d’enunciati o di proposizioni; la strutturazione

della storia in episodi logicamente connessi e riportati nella sequenza

corretta.

Gli aspetti linguistici fanno riferimento alla complessità sintattica delle

proposizioni prodotte, alla presenza di errori morfosintattici e al

corretto uso dei connettivi.

Dal punto di vista emotivo-affettivo viene infine considerata la

produzione di enunciati in cui il narratore esprime il proprio punto di

vista sugli eventi narrati, riferisce le emozioni e gli stati mentali dei

protagonisti alla storia e coinvolge l’attenzione del proprio

interlocutore.

Nel presente capitolo sarà proposta la discussione di alcune tra le più

significative ricerche che negli ultimi 20 anni hanno indagato le competenze

narrative in bambini con sviluppo atipico nei quali si assiste ad una diversa

compromissione delle specifiche abilità implicate nella narrazione. In alcuni

casi i deficit o le difficoltà sembrano essere limitati alla competenza

linguistica -come nel caso dei disturbi specifici di linguaggio o della

balbuzie- in altri si situano prevalentemente a livello sociocognitivo -come

nel caso dell’autismo- in altri casi ancora si collocano a diversi livelli che

sembrano però essere compromessi in misura diversa come si rileva nei

ritardi mentali e nelle lesioni cerebrali. Lo studio di come la competenza

narrativa si manifesta in queste diverse condizioni atipiche offre utili

indicazioni rispetto al ruolo di diverse componenti cognitive nella produzione

linguistica e al loro processo di sviluppo (Pirchio, in press). Verranno prese

in considerazione le seguenti forme di sviluppo atipico:

La sindrome di Williams (SW) è una condizione genetica determinata da una

microdelezione sul braccio lungo del cromosoma 7 in corrispondenza del

gene che codifica per l’elastina. A questa condizione sono associate

9

Page 84: Federica Sassi Tesi

particolari caratteristiche fisiche, disturbi di tipo medico e la presenza di

ritardo mentale, con un profilo neuropsicologico caratterizzato da abilità

maggiormente compromesse (abilità visuospaziali e visuo-costruttive) e da

altre relativamente preservate (tra le abilità linguistiche, ad esempio quelle

fonologiche), sebbene siano osservabili riguardevoli difficoltà anche a livello

verbale (Arnold, Yule e Martin, 1985; Bellugi, Marks, Bihrle e Sabo, 1988;

Crisco, Dobbs e Mulhern, 1988; MacDonald e Roy 1988; Gosh, Stading e

Pankau, 1994; Volterra, Capirci, Pezzini, Sabbadini e Vicari, 1996) e

comunicativo (Stojanovik, Perkins e Howard, 2001; Udwin e Yule, 1990).

Infine, gli individui con SW si caratterizzano per una marcata

ipersocievolezza (per una rassegna sulle caratteristiche della sindrome vedi

Capirci e Pirchio, 2004).

La sindrome di Down (SD) è una sindrome genetica piuttosto diffusa, che

costituisce la maggiore causa di ritardo mentale dovuta ad un’anomalia

cromosomica (trisomia 21). Lo sviluppo cognitivo dei bambini con SD

sembra seguire la stessa sequenza stadiale rilevata nei bambini con sviluppo

tipico, anche se ci sono dei domini più danneggiati (Contardi e Vicari, 1994;

Ferri e Spagnolo, 1989; Rondal, 1993) come il dominio delle abilità verbali

(si vedano gli studi di Caselli, Marchetti e Vicari, 1994; Miller, 1988; 1992;

le rassegne di Gunn, 1985; Chapman, 1995; McDonald, 1997; Rondal, 1993).

La sindrome di Turner (STU), anch’essa genetica e dovuta ad un’alterazione

cromosomica a carico del cromosoma X che si presenta solo in persone di

sesso femminile in una proporzione di 1 ogni 4000-8000 nascite. Non

comporta ritardo mentale ma sono rilevabili aree di forza e di debolezza nel

profilo neuropsicologico associato a questa sindrome. In particolare le

competenze dell’area linguistica sembrano superiori a quelle dell’area di

performance sebbene siano stati evidenziati problemi nella denominazione e

nella fluenza verbale (Temple, 1996).

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Page 85: Federica Sassi Tesi

Le lesioni cerebrali avvenute in età precoce rappresentano un importante campo di

ricerca per poter evidenziare come il sistema cognitivo si strutturi durante lo sviluppo

raggiungendo l’organizzazione definitiva osservabile nell’adulto. In particolare, le

ricerche hanno lo scopo di identificare l’esistenza e il livello di processi di plasticità

neurologica, che permetterebbe al sistema cerebrale di trasferire, in caso di lesioni in

una particolare area, le funzioni solitamente servite dalla zona danneggiata in altre aree.

I bambini colpiti da lesione cerebrale possono manifestare deficit in diverse

componenti nella competenza linguistica, deficit che possono perdurare anche a lungo

termine. Tuttavia, i risultati di molte ricerche che hanno indagato le abilità di bambini

con diversi tipi di lesione cerebrale, sembrano indicare l’eziologia, la localizzazione

della lesione e l’età in cui è occorsa come predittori del tipo e della gravità delle

difficoltà linguistiche.

L’autismo è un disturbo pervasivo dello sviluppo. Sulle cause e l’eziologia di

questo disturbo non esistono ancora dati certi. I bambini con autismo

manifestano un deficit selettivo nell’area del funzionamento sociocognitivo e

in particolare della teoria della mente, che determina una serie di difficoltà

relazionali, nell’interazione sociale e nella comprensione e produzione

linguistica.

Infine verranno presi in considerazione quei bambini che presentano un disturbo

specifico dello sviluppo che coinvolge unicamente l’area delle abilità linguistiche. Non

manifestano infatti altre difficoltà (sensoriali, cognitive, sociali, ecc..).

4.1 Aspetti strutturali della narrazione

Ci si riferisce a quegli aspetti e elementi che rendono una storia coesa e coerente. In

molte ricerche è stato chiesto ai bambini di raccontare una storia con il supporto di

immagini (ad es. la storia “Frog where are you?) (Mayer, 1969). Questo tipo di ricerca

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Page 86: Federica Sassi Tesi

valuta la capacità dell’individuo di creare una storia coerente. L’utilizzo di immagini

pesa limitatamente sulla capacità di memoria rispetto ad esempio alla richiesta di

raccontare una storia dopo averla ascoltata dall’adulto o dopo aver guardato un cartone

animato. Per quanto riguarda l’analisi strutturale della storia sono state prese in

considerazione: la lunghezza della storia in termini di clausole o proposizioni; il

numero o la proporzione di episodi inseriti nella narrazione; l’identificazione del tema

che sottende la trama. Facendo riferimento al modello di grammatica delle storie

proposto da Stein e Glenn (1979) è possibile identificare 8 episodi componenti la storia

che possono essere racchiusi in tre macrocategorie: la definizione o primo annuncio del

problema; gli episodi della ricerca e la risoluzione.

La produzione narrativa dei bambini con sviluppo atipico si caratterizza nel seguente

modo:

Gli studi condotti sulla narrazione nella SW hanno messo in luce alcune caratteristiche strutturali che li differenziano dai bambini con ST o con altri tipi di ritardo mentale o di disturbo dello sviluppo, oltre ad un uso peculiare di elementi funzionali e narrativi. Le narrazioni di adolescenti con SW sono, infatti, mediamente più lunghe di quelle prodotte da adolescenti con SD della stessa età mentale e cronologica, e corrispondenti invece a quelle prodotte da bambini con età mentale equivalente (Reilly, Klima e Bellugi, 1990). Tuttavia, ad un’età inferiore a 7 anni i bambini con SW tendono a produrre storie più corte rispetto ai bambini con ST con età mentale equivalente (Losh, Bellugi e Wulfeck, 2004). Una produzione narrativa quantitativamente superiore è stata rilevata anche in bambini e adolescenti italiani con SW che a un’età mentale sia di 3-4 anni sia di 5-6 anni producono storie più lunghe rispetto a quelle raccontate da bambini con ST con età mentale corrispondente (D’Amico, Devescovi e Tonucci, 2002). I risultati di queste diverse ricerche convergono nell’indicare una tendenza dei bambini con SW alla verbosità, tendenza che viene rilevata anche in ricerche sulla conversazione ordinaria (Udwin e Yule, 1990). Tuttavia, non sempre questa produzione è caratterizzata da adeguatezza: nelle narrazioni di bambini italiani infatti si riscontra una consistente produzione di proposizioni incoerenti rispetto alla storia narrata (D’Amico et al., 2002).

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Page 87: Federica Sassi Tesi

È stato osservato che le storie prodotte dai narratori con SW contengono sempre il setting con l’indicazione dell’ambiente e dei personaggi implicati nella storia, mentre nelle narrazioni dei bambini con SD di pari età mentale e cronologica, questo elemento è spesso mancante. Manca persino il riferimento all’elemento che sottende l’intera storia e cioè la ricerca della rana. I narratori italiani con SW mostrano una maggior proporzione di episodi raccontati rispetto a bambini con ST di pari età mentale. Questo però non sempre corrisponde ad una più adeguata produzione narrativa: infatti spesso gli episodi raccontati da bambini con SW sono slegati fra loro, come se il bambino non fosse in grado di percepire che tutti mirano a svolgere un’unica storia piuttosto che essere singole rappresentazioni di eventi indipendenti, o non riuscisse ad esprimere linguisticamente queste relazioni (D’Amico et al., 2002).

Il confronto delle narrazioni di bambini con SW con quelle di bambini con DSL e con ST con equivalente età cronologica rileva una loro produzione deficitaria delle diverse componenti e degli episodi della storia (Reilly, Losh, Bellugi e Wulfeck, 2004). Anche in questa ricerca sono state dimostrate le difficoltà dei bambini con SW e SD nell’integrare i singoli episodi narrati. I bambini con DSL e quelli con ST non mostrano difficoltà di questo tipo. Ciò porta alcuni autori a concludere che esiste una dissociazione tra l’acquisizione di forme linguistiche (che costituisce per definizione il deficit dei soggetti con DSL) e la possibilità di utilizzare strategicamente queste forme per trasmettere un contenuto tematicamente complesso (Reilly et al., 2004).

Anche le funzioni esecutive possono giocare un ruolo rilevante nella produzione narrativa.

Tale ruolo è stato indagato in bambine con STU somministrando loro tre compiti di narrazione che pongono un diverso carico sulle funzioni esecutive: una descrizione di immagine, la narrazione di quanto accaduto il giorno precedente (“storia di ieri”) e l’organizzazione di una festa di compleanno (Temple, 2002). Nella descrizione di immagini non si rileva alcuna differenza quantitativa tra le bambine con STU e bambine con ST appaiate per età cronologica. È stata invece rilevata una minor produzione in termini di numero di parole nelle altre due storie per le bambine con STU, minor produzione che si estende anche al numero di enunciati per la narrazione di quanto è successo il giorno prima. Questi risultati sembrano dimostrare che le abilità di produzione narrativa siano in parte legate al carico del compito sulle funzioni esecutive e alla natura delle richieste che il compito pone al narratore, che può spiegare le differenze riscontrate nelle due storie “di ieri” e della “festa di compleanno”.

Le caratteristiche strutturali delle storie risultano strettamente legate all’organizzazione e al livello di funzionamento cognitivo dell’individuo.

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Page 88: Federica Sassi Tesi

L’analisi della produzione narrativa di bambini con lesioni focali (LF) nell’emisfero destro o sinistro può fornire interessanti informazioni circa la relazione tra cervello e comportamento e circa le modalità e i vincoli di sviluppo di tale relazione. Studi che hanno indagato le abilità linguistiche e discorsive in bambini con lesione cerebrale rilevano risultati in parte contrastanti nel definire il grado di plasticità neurologica in età infantile e l’entità del deficit linguistico (Pirchio, in press). L’analisi delle caratteristiche strutturali delle narrazioni in bambini da 4 a 10 anni con lesioni cerebrali precoci ha mostrato una prestazione deficitaria rispetto a quella di bambini con ST della stessa età. I bambini con LF producono storie più corte, anche se già a 7 anni mostrano una abilità compresa nella normalità (Reilly, Bates, e Marchman, 1998). Ciò sembra fornire evidenze a supporto dell’esistenza di una importante plasticità neurologica in fasi precoci della vita dell’individuo. Sono tuttavia in contraddizione con i risultati ottenuti su bambini con lesioni cerebrali occorse oltre il primo anno di vita, che rispetto a coetanei con ST, questi bambini producono storie con un numero ridotto di proposizioni, una struttura episodica più povera in cui l’espressione dell’idea o tema centrale della storia è deficitaria (Chapman, Levin, Wanek, Weyrauch e Bufera, 1998). Questa difficoltà possono essere in parte ricondotte ad una più generale difficoltà non verbale nell’organizzazione sequenziale delle informazioni.

Allo scopo di individuare differenze interne alla popolazione con LF rispetto alla

produzione discorsiva e in particolare narrativa, Ewing-Cobbs, Brookshire, Scott e

Fletcher (1998) hanno analizzato le storie di Cappuccetto Rosso prodotte da bambini

con lesione cerebrale traumatica con o senza deficit linguistico nella fase sub-acuta del

recupero clinico. L’analisi strutturale ha mostrato differenze relative alla macrostruttura

della storia tra bambini con LF e disturbo del linguaggio e i due gruppi di controllo di

bambini con LF ma senza disturbo linguistico e di bambini con ST. Le storie prodotte

da bambini con LF associato a disturbo del linguaggio, sono più corte, con un minor

numero e una minor varietà di parole. Compaiono più frequentemente omissioni di

proposizioni centrali per la storia ed errori nella sequenza di tali proposizioni e

maggiori difficoltà nella corretta identificazione dei protagonisti della storia. Maggiori

difficoltà nell’uso dei marcatori di coesione globale. In questi bambini per cui la

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Page 89: Federica Sassi Tesi

lesione è occorsa tra 1 e 8 anni le variabile relative alla macrostruttura narrativa sono

più inficiate rispetto alle strutture frasali.

Le ricerche sulle lesioni cerebrali contribuiscono non poco a chiarire il modo

in cui competenze e funzioni si organizzano nelle strutture cerebrali e su

come questa organizzazione avviene nel corso dello sviluppo. Tuttavia, le

variabili in gioco sono molte: l’età al momento della lesione, la

localizzazione e l’eziologia della lesione hanno un ruolo nel determinare la

successiva acquisizione e l’uso del linguaggio, ruolo che va compreso meglio

nel futuro (Pirchio, in press).

4.2 Morfologia e complessità frasale

Raccontare una storia in modo adeguato vuol dire anche saper esprimere i

contenuti narrativi attraverso una struttura morfosintattica appropriata. Le

abilità di tipo grammaticale rivestono un certo interesse per l’analisi

narrativa. Sono stati analizzati i seguenti aspetti:

La complessità sintattica delle preposizioni e frasi di cui la narrazione

si compone (e il conseguente uso di specifici tipi di connettivo).

La presenza di errori grammaticali di omissione o di commissione.

Come si è visto precedentemente la possibilità di narrare storie coese e

coerenti potrebbe essere legata alle abilità morfosintattiche, in particolare alla

produzione di connettivi e strutture frasali in grado di rendere le relazioni

logiche tra gli eventi della storia. Perciò il confronto tra bambini che hanno

abilità cognitive e linguistiche diverse, mostrando profili eterogenei di

compromissione e preservazione può costituire un’importante fonte di

informazione. Di seguito verranno quindi analizzate le narrazioni prodotte da

bambini con disturbo specifico del linguaggio, con lesioni cerebrali o con

ritardo mentale rispetto alle caratteristiche morfosintattiche.

Sono stati ottenuti risultati in parte contrastanti. Alcune ricerche rilevano che

bambini con LF tra 4 e 10 anni commettono un maggior numero di errori

1

Page 90: Federica Sassi Tesi

morfologici e producono una minor varietà e una minor quantità di strutture

frasali complesse. Tuttavia, queste difficoltà tenderebbero ad attenuarsi con

gli anni fino a scomparire nel corso dell’età scolare (Reilly et al., 1998). Al

contrario altre ricerche hanno mostrato che bambini con lesione cerebrale non

si differenziano da quelli con ST rispetto alla produzione sintattica e alla

produzione di elementi di coesione del testo, fornendo indicazioni

sull’efficacia dei processi di plasticità neurale (Chapman et al., 1998; Jordan,

Murdoch e Buttsworth, 1991). Questi risultati possono essere spiegati

operando una distinzione tra gli elementi di coesione del testo a livello della

frase da quelli che si esprimono a livello globale del testo (Pirchio, in press).

In questo modo, emergono infatti differenze importanti tra i bambini con LF

che hanno manifestato o meno un deficit linguistico nella fase acuta (Ewing-

Cobbs et al., 1998). Se non vengono riscontrate anomalie nell’uso di

meccanismi coesivi da parte di questi bambini con LF, tuttavia a livello della

coesione globale i bambini con deficit linguistico acuto mostrano livelli

inferiori di produzione e correttezza dei marcatori delle referenza e dei

marcatori lessicali.

Maggiormente chiaro è il caso dei bambini con DSL. I bambini con DSL

mostrano una prestazione piuttosto deficitaria in questo aspetto delle

narrazioni. Questo a causa della minor produzione di strutture sintattiche

complesse rispetto ai bambini con ST e anche a quelli con LF, che all’età di

10-12 anni mostrano una produzione normale. I bambini con DSL hanno

maggiori difficoltà anche nella produzione di errori fonologici sia rispetto ai

bambini con ST sia con LF. A 12 anni comunque queste differenze

diminuiscono e la prestazione dei bambini con DSL si discosta

significativamente solo da quella tipica. Queste difficoltà sembrano

connottarsi in senso principalmente quantitativo: dal punto di vista

qualitativo infatti non si riscontrano particolarità nel tipo di errori commessi

dai bambini con DSL o con LF (Reilly et al., 2004).

1

Page 91: Federica Sassi Tesi

Anche i bambini con SW tendono a produrre strutture sintattiche complesse

ad un livello equivalente a quello dei bambini con DSL e quindi meno

frequentemente dei bambini con ST appaiati sia per età cronologica (Reilly et

al., 2004) sia per età mentale (D’Amico et al., 2002). Tuttavia, i bambini con

SW all’età di 10 anni, per quanto riguarda il repertorio di strutture sintattiche

complesse prodotte, pare raggiungano un livello corrispondente a quelli dei

bambini con ST. Inoltre quando vengono appaiati in base all’età mentale, i

bambini con SW producono una maggior proporzione di strutture

subordinate, a fronte di una maggior produzione di coordinate e focalizzate

da parte dei bambini con ST. Si osserva in questo caso una chiara

conseguenza dell’età cronologica legata alla scolarizzazione e comunque alla

maggior esperienza acquisita con il linguaggio, rispetto ai bambini tipici in

età prescolare. I bambini con SW, anche rispetto alla produzione

morfologica, misurata in termini di errori commessi, hanno una prestazione

deficitaria rispetto allo ST sia inglese (Reilly et al., 2004) sia in una lingua

morfologicamente articolata come l’italiano (D’Amico et al., 2002).

Prendendo in esame i bambini autistici, vediamo che le storie da loro

prodotte sono caratterizzate da un minor livello di complessità sintattica

rispetto a quelle dei bambini con ST appaiati per livello linguistico e sono

paragonabili a quelle di bambini con ritardo mentale (Capps, Losh e Thurber,

2000). Siccome la sintassi è uno degli elementi che collabora alla resa della

coesione globale e locale e alla messa in evidenza di situazioni importanti

della storia, la problematica rilevata in quest’area nei soggetti autistici

implica la produzione di storie potenzialmente meno coese e coerenti.

I risultati relativi alle caratteristiche morfosintattiche nelle narrazioni prodotte

da bambini con profili neuropsicologici diversi sembrano indicare da una

parte che la produzione morfosintattica può rimanere intatta anche a fronte di

gravi lesioni a carico della struttura cerebrale, come accade nelle lesioni

cerebrali. Dall’altra, questa competenza può incontrare problemi e difficoltà

1

Page 92: Federica Sassi Tesi

sia in un contesto di ritardo mentale, che coinvolge quindi più domini

funzionali, sia in casi dove il deficit si colloca a livello socio-cognitivo come

nell’autismo, sia in casi in cui il solo dominio deficitario è quello linguistico,

come accade nel DSL. Inoltre, queste difficoltà potrebbero non essere

all’origine della produzione di storie poco coerenti e coese che si è verificata

ad esempio nei bambini con SW ma non in quelli con DSL (Pirchio, in

press).

4.3 Cognizione ed emozione

In questo paragrafo verranno prese in esame le caratteristiche della produzione

narrativa relative ai fattori emotivi e sociali, mettendo a confronto le storie raccontate

da bambini con sviluppo tipico, con sindrome di Williams e con Autismo. Come

abbiamo detto in precedenza, questi due disturbi dello sviluppo sono stati da alcuni

autori descritti come collocati ai due estremi di un continuum di abilità linguistiche e

sociali ed è quindi rilevante indagare come il diverso livello di competenza in queste

aree di comportamento si riflettano nella produzione di storie (Bellugi, et al., 1994).

Le produzioni narrative dei bambini con SW sono caratterizzate da un uso

particolare di strategie discorsive che hanno lo scopo di attirare e coinvolgere

l’ascoltatore nella narrazione e di trasmettere il tono affettivo ed emotivo

delle storia (Reilly et al. 1990; 2004; Losh, Bellugi, Reilly e Anderson, 2000;

D’Amico et al. 2002). I bambini ed adolescenti con SW producono una

quantità maggiore di espedienti prosodici, di suoni e onomatopee, o vere e

proprie strategie linguistiche rispetto ai bambini con SD e con ST con età

mentale equivalente (Reilly et al.,1990).

In una situazione opposta sembrano trovarsi i bambini con autismo. Il loro

deficit socio-cognitivo pare essere all’origine di abilità narrative

notevolmente compromesse rispetto alla comprensione della funzione

dell’attività narrativa, alla considerazione dei bisogni comunicativi

1

Page 93: Federica Sassi Tesi

dell’interlocutore e, naturalmente, al riferimento alle emozioni e in generale

agli stati interni dei personaggi (Loveland, McEvoy, Tunali e Kelley, 1990;

Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985; Capps, Kehres e Sigman, 1998). Essendo

la narrazione costruita da eventi e da fatti il cui movente è riscontrabile nelle

reazioni interne dei personaggi e nelle loro intenzioni e credenze, il deficit

nella teoria della mente visibile nell’autismo può far si che la narrazione sia

un’attività discorsiva poco comprensibile, e quindi poco interessante, per i

soggetti facenti parte a questo gruppo. Da ciò può derivare la produzione di

storie più corte e con un inadeguato riferimento ai personaggi, ai loro stati

mentali e al movente delle loro azioni (Tager-Flusberg e Sullivan, 1995).

Pearlman-Avnion e Eviatar (2002) hanno trovato nei racconti di bambini con

SW e di bambini con autismo ad alto funzionamento cognitivo una

equivalente quantità di elementi informazionali (descrizione del contesto,

degli eventi della storia). Tali elementi sono comunque prodotti in quantità

minore rispetto a quelli prodotti dai bambini con ST. I due gruppi a sviluppo

atipico si differenziano invece rispetto alla presenza di elementi emozionali. I

bambini con SW infatti mostrano una produzione simile a quella dei bambini

con ST, mentre gli autistici raggiungono punteggi significativamente

inferiori. Risultati in parte discordanti sono stati ottenuti da uno studio in cui

sono state ritrovate nelle narrazioni di bambini con autismo o con ritardo

mentale le attribuzioni causali e i riferimenti a stati emotivi e cognitivi dei

personaggi (Capps et al., 2000): nelle storie raccontate dai bambini con ST un

quarto dei riferimenti a stati cognitivi o emotivi dei personaggi comprendono

anche un’attribuzione causale (ad es. il bambino è triste perchè ha perso la

sua rana), cosa che invece succede molto raramente sia nei bambini autistici

sia in con quelli con ritardo mentale. Questi si limitano infatti a fare

riferimento all’emozione senza ricavarne implicazioni per la trama delle

storie. Questo risultato è con ogni probabilità legato alla natura delle

attribuzioni causali prodotte dai bambini dei due gruppi atipici, che si

1

Page 94: Federica Sassi Tesi

riferiscono principalmente ai comportamenti dei personaggi mentre nei

bambini con ST si riferiscono agli stati mentali dei protagonisti.

È importante notare che sebbene non ci siano differenze significative tra i

bambini autistici e quelli con ritardo mentale rispetto alla produzione di

aspetti cognitivi e emotivi della narrazione, è solo nel gruppo degli autistici

che questi aspetti risultano correlati alle abilità di teoria della mente.

1

Page 95: Federica Sassi Tesi

1

Page 96: Federica Sassi Tesi

SECONDA PARTE

LA RICERCA

1

Page 97: Federica Sassi Tesi

Capitolo 5

SVILUPPO LINGUISTICO, COMPETENZA NARRATIVA E

PRODUZIONE DI LESSICO PSICOLOGICO

1

Page 98: Federica Sassi Tesi

All’interno della nostra ricerca ci siamo posti alcuni quesiti fondamentali, che

verranno riportati di seguito, a cui cercheremo di rispondere, almeno

parzialmente:

Esistono differenze significative tra maschi e femmine nello sviluppo

linguistico, nella competenza comunicativa e nella produzione di

lessico psicologico?

Esistono differenze significative riconducibili all’età? Cioè vi sono

differenze tra il gruppo che include bambini dai 64 ai 67 mesi e quello

che include bambini dai 68 ai 75 mesi per quanto riguarda lo sviluppo

linguistico, competenza comunicativa e produzione di lessico

psicologico?

Quali sono i termini, riferiti a stati interni, più utilizzati dai bambini

durante la narrazione?

Esiste una relazione tra le abilità linguistiche generali, la produzione di

lessico psicologico dei bambini e la loro competenza narrativa, definita

come la produzione libera di una storia dotata delle caratteristiche

specifiche di questo tipo di testo (coesione, struttura, coerenza)?

Il titolo di studio della madre può influenzare lo sviluppo linguistico, la

competenza comunicativa e la produzione di lessico psicologico nel

bambino?

In sostanza, con la presente ricerca, a partire dalla verifica delle informazioni

e teorie già presenti in letteratura riportate nei precedenti capitoli, si vorrebbe

contribuire a tracciare una modalità utile per la descrizione e l’analisi del

discorso narrativo del bambino e per l’identificazione delle relazioni tra

narrazioni e sviluppo del linguaggio.

5.1 Metodo

5.1.1 Obbiettivi ed ipotesi della ricerca

1

Page 99: Federica Sassi Tesi

Dalla serie di domande enunciate nel paragrafo precedente derivano gli

obbiettivi della ricerca che fanno riferimento a:

Differenze di genere e d’età nello sviluppo linguistico, competenza

comunicativa e produzione di lessico psicologico

Componenti del lessico psicologico più utilizzate dai bambini durante

la narrazione di storie

Relazione tra abilità linguistiche generali, produzione di lessico

psicologico e competenza narrativa

Possibile influenza del titolo di studio delle madri sullo sviluppo

linguistico, competenza narrativa e produzione di lessico psicologico

del bambino

Perciò le ipotesi conseguenti agli scopi possono essere così schematizzate:

1. Per quanto riguarda la prima ipotesi relativa alle differenze di genere ci

si aspetta che le femmine possiedano un maggior sviluppo linguistico,

una maggior ricchezza narrativa, e una maggior produzione di termini

psicologici. In quest’ultimo caso infatti, come specificato in

precedenza, alcune ricerche documentano che le madri parlano di

emozioni nelle conversazioni in famiglia più con le figlie che con i

figli. Infatti già a 24 mesi le bambine parlano più frequentemente di

emozioni rispetto ai loro coetanei maschi (Dunn, Bretherton e Munn,

1987). Fivush (1989) ha trovato che le madri rivolgono ai figli sia

maschi che femmine la stessa quantità di linguaggio sulle emozioni,

ma con le figlie parlano sopratutto di emozioni positive mentre coi figli

si riferiscono allo stesso modo ad emozioni positive e negative.

2. Prendendo in considerazione l’età, ci si aspetterebbe che i bambini più

grandi (dai 68 ai 75 mesi) abbiano uno sviluppo linguistico,

competenza narrativa e produzione di lessico psicologico maggiori di

quelli più piccoli (dai 64 ai 67 mesi).

1

Page 100: Federica Sassi Tesi

3. Relativamente alla “qualità” del lessico riferito a stati interni, partendo

da una ricerca di Devescovi e Baumgartner (1996), ci si attenderebbe

che i termini più utilizzati dai bambini di 5 e 6 anni siano quelli riferiti

a cognizioni. Infatti nel loro studio si è visto come il cambiamento più

rilevante che si verifica tra i 3 e i 5 anni è rappresentato dall’aumento

dei riferimenti fatti dai bambini alle conoscenze/credenze. A 5 anni il

37,9 % del lessico psicologico si riferisce alla cognizione, mentre a 3

anni tali riferimenti costituiscono solo il 16%. In questo caso, infatti,

vengono utilizzati maggiormente termini riferiti a emozioni (35,14%).

Questi dati sono in accordo con l’ipotesi di Wellman (1990) di una

transizione da una primitiva “psicologia del desiderio” ad una più

avanzata “psicologia della credenza-desiderio”.

4. Esaminando la possibile relazione tra abilità linguistiche generali e

competenza narrativa ci si aspetta che la produzione di storie sia

supportata dalle abilità linguistiche generali, e che quindi i soggetti

abili dal punto di vista linguistico si dimostrino anche più competenti

nel racconto di storie. Al tempo stesso, i soggetti con minori

competenze linguistiche generali dovrebbero produrre storie meno

articolate e ricche. In uno studio di Accorti Gamannossi (2001) è stato

dimostrato che i bambini più abili dal punto di vista linguistico lo sono

anche nel compito di produzione di storie. Per il compito di

comprensione e esposizione di una storia ascoltata i risultati mostrano

come i parametri di struttura, coesione e coerenza usati per valutare le

abilità narrative indichino l’esistenza di una stretta relazione con i

punteggi ottenuti nel test di sviluppo del linguaggio (Accorti e

Gamannossi, 2001). Inoltre ci si chiede se esiste una correlazione tra

produzione di lessico psicologico e competenza narrativa, se le abilità

coinvolte e le conoscenze necessarie sono le stesse o sono diverse.

1

Page 101: Federica Sassi Tesi

5. Infine prendendo in esame il titolo di studio delle madri, si ipotizza che

i bambini che hanno madri con un livello di studio più elevato sono

anche quelli che possiedono un maggior sviluppo linguistico e una

competenza narrativa più ricca. È stato inoltre ipotizzato che i bambini

con madri con un titolo di studio più basso utilizzino termini

psicologici maggiormente riferiti ad emozioni, mentre quelle con un

titolo di studio più elevato utilizzino un linguaggio più didattico

riferendosi maggiormente a cognizioni e percezioni, ricalcando le

differenze tra madri “espressive” e “referenziali” riportate in letteratura

da Nelson (1973).

5.1.2 Partecipanti

La ricerca è condotta con 23 bambini, di entrambi i sessi (14 maschi e 9

femmine), di età compresa tra i 64 e i 75 mesi. I bambini sono stati suddivisi

convenzionalmente in due gruppi: il primo gruppo comprende bambini dai 64

ai 67 mesi, mentre il secondo gruppo bambini dai 68 ai 75 mesi (vedi tabelle

5.1 e 5.2).

Tabella 5.1 – Composizione del campione per sesso.

Frequenza PercentualeValidi maschio 14 60,9

femmina 9 39,1Totale 23 100,0

Tabella 5.2 – Composizione del campione per età.

Frequenza PercentualeValidi da 64 a 67 mesi 11 47,8 da 68 a 75 mesi 12 52,2 Totale 23 100,0

1

Page 102: Federica Sassi Tesi

Tutti i bambini frequentavano l’ultimo anno di una scuola materna in provincia di Reggio

Emilia, appartenevano ad un livello socio culturale medio, come sostenuto anche dal titolo

di studio di entrambi i genitori (vedi tabelle 5.3 e 5.4) e non avevano problemi specifici

del linguaggio, a parte due bambini (uno con sindrome di Down e l’altro con disturbo

specifico del linguaggio) che sono però stati analizzati separatamente in un secondo

momento.

Tabella 5.3 – Titolo di studio della madre

Frequenza Percentuale

Validi medie 7 30,4diploma 14 60,9laurea 2 8,7Totale 23 100,0

Tabella 5.4 – Titolo di studio del padre

Frequenza PercentualeValidi medie 10 43,5

diploma 9 39,1laurea 3 13,0Totale 23 100,0

5.1.3 Disegno della ricerca

Il disegno della ricerca è quasi-sperimentale, sia per la natura delle variabili

non completamente controllabili (ad esempio la narrazione) che per il tipo di

campionamento; è un disegno misto che prevede come variabili between l’età

dei bambini, il sesso e il titolo di studio delle madri, e come variabili within

1

Page 103: Federica Sassi Tesi

le due fasi di cui si compone la ricerca, la prima in cui viene somministrato ai

bambini il Test di Valutazione del Linguaggio (TVL) e la seconda che

prevede la narrazione di un libro illustrato.

5.2 Le fasi della ricerca. Materiali e procedure

In sintesi la ricerca si è articolata in due momenti principali, di cui verranno descritti più in

dettaglio nelle prossime pagine i materiali impiegati, le procedure e i sistemi di codifica

utilizzati nell’analisi dei dati raccolti, mentre rimandiamo alle Appendici per

l’illustrazione particolareggiata dei materiali.

Fase 1. I bambini vengono sottoposti nel corso di un’unica seduta a prove

linguistiche individuali al fine di individuare lo sviluppo linguistico

raggiunto.

Fase 2. A distanza di qualche giorno i bambini sono invitati a raccontare una

storia con lo scopo di rilevare la loro competenza narrativa e la produzione di

lessico psicologico.

5.2.1 Fase 1-Il linguaggio

In un’aula della scuola materna, ciascun bambino è stato sottoposto

individualmente ad una seduta della durata di circa 20/30 minuti con il Test

di Valutazione del Linguaggio/TVL, Livello prescolare (Cianchetti e Sannio

Fancello, 1997). Il test valuta il linguaggio in bambini dai 2 anni e mezzo ai 6

anni, e indaga tutti i settori funzionali specifici del linguaggio ed è selettivo

per il linguaggio stesso, in quanto coinvolge il meno possibile funzioni

logiche extraverbali.

I parametri generali presi in considerazione sono:

Comprensione di parole e frasi

Ripetizione di frasi

Denominazione

Produzione spontanea su tema

1

Page 104: Federica Sassi Tesi

Il test permette un’indagine plurisettoriale rapida e completa e include gli aspetti

strutturali e funzionali principali della capacità linguistica nella sua duplice dimensione di

comprensione e produzione. Implica infatti, sia prove in cui il bambino deve identificare

oggetti a partire dalla loro denominazione da parte dello sperimentatore che prove in cui

deve denominare lui stesso gli oggetti.

Si parte con la somministrazione di prove che riguardano la capacità di comprensione (Comprensione di parole e frasi), innanzitutto rivolta alla conoscenza lessicale (include termini relativi a oggetti, azioni, qualità) poi a elementi morfo-sintattici, con uso di frasi semplici o di modesta complessità. Alle classiche prove di ripetizione (Ripetizione frasi), che implicano la padronanza da parte del bambino, delle parole, delle loro variazioni morfo-grammaticali e della sintassi, oltre che la corretta percezione di sillabe e parole e la capacità di articolazione delle parole stesse, seguono prove di denominazione di oggetti e di azioni (Denominazione). In questo caso la capacità lessicale è provata rispetto alla capacità di rievocare una parola nota. Partendo poi da situazioni stimolo diverse, il bambino è invitato ad esprimersi in modo da analizzare il suo versante espressivo inerente agli aspetti fonologici, morfo-sintattici, e costruttivi della frase e del periodo (Produzione spontanea su tema). I parametri presi in considerazione in questa fase sono: correttezza fonologica e morfo-sintattica, costruzione della frase (collegamenti appropriati vs inappropriati), costruzione del periodo (subordinate vs principali), lunghezza media dell’enunciato (LME), totale delle parole prodotte e tipo di stile espresso durante la produzione spontanea. Di seguito, nella tabella 5.5, si presenta il piano del test, di cui in Appendice, viene riportato a titolo esemplificativo il Protocollo di valutazione completo

Tabella 5.5 – Indice delle prove del TVL

1- COMPRENSIONE DI PAROLE E FRASI

1.1 Parti del corpo e Oggetti

1.2 Figure di oggetti

1.3 Colori

1.4 Figure di oggetti secondo l’uso

1.5 Aggettivi

1.6 Frasi semplici designanti azioni

1.7 Frasi complesse designanti oggetti

1.8 Frasi con concetti spaziali e temporali

2- RIPETIZIONE DI FRASI

3- DENOMINAZIONE

3.1 Parti del corpo

3.2 Oggetti

3.3 Figure di oggetti

4- PRODUZIONE SPONTANEA SU TEMA

4.1 Descrizione di figure: persone e azioni

4.2 Parlare liberamente in relazione a due figure

4.3 Ripetere il racconto di una storia con l’aiuto di vignette

4.4 Descrizione di una sequenza di azioni

1

Page 105: Federica Sassi Tesi

5.2.2 Fase 2- Narrazione di un libro illustrato

Ciascun bambino, in un’aula della scuola materna, è stato invitato, sempre

individualmente, a narrare una storia partendo da un libro illustato “Filippo e le farfalle” di

Hanne Turk (1986) presentato in Appendice. Le istruzioni che i bambini ricevevano erano

“Bene, ora guarda questo libretto e raccontami tu la storia”.

Dei racconti prodotti dai bambini si è valutata la produzione di lessico psicologico e la

competenza narrativa.

Per quanto riguarda il lessico psicologico, è stata utilizzata una tabella di riconoscimento e

codifica dei termini riconducibili a stati interni, derivata da Camaioni, Longobardi,

Bellagamba (1998) alla quale è stata aggiunta la categoria denominata “Stati

Comunicativi”. In tabella 5.6 si presenta la lista completa degli stati psicologici e dei

corrispondenti termini “ricercati” nelle narrazioni dei bambini.

Tabella 5.6- Termini riferiti a stati interni

Stati percettivi (n. 13) avvistare, fare attenzione a, fissare, guardare, osservare, riconoscere, sentire, sentir caldo, sentir freddo, sentir male, udire, vedere.

Stati emotivi positivi (n. 22) affascinare, affezionarsi, amare, avere coraggio, avere fiducia, farsi coraggio, far tenerezza, divertirsi, emozionarsi, essere amici, essere il preferito di, innamorarsi, piacere, sentirsi orgoglioso, tirar su d’animo, voler bene, allegro, contento, felice, fiero, simpatico, soddisfatto.

Stati emotivi negativi (n. 21) aver paura, arrabbiarsi, detestare, disperarsi, dispiacersi, esser geloso di, infuriarsi, invidiare, odiare, prendersela con, preoccuparsi, rimanerci male, sentirsi solo, spaventarsi, vendicarsi, vergognarsi, antipatico, infelice, povero

1

Page 106: Federica Sassi Tesi

(=da commiserare), terrorizzato, tristeStati volitivi e di abilità (n. 25) avere intenzione di, cercare di, decidere,

desiderare, esaudire, esser dotato di, fare apposta, osare, ordinare, potere (=essere capace di), permettere, preferire, promettere, provare, rassegnarsi, rimpiangere, riuscire, scommettere, sapere (=essere capace di), sperare, tentare, vietare, volere, bravo, capace.

Stati cognitivi o epistemici (n. 39) accorgersi, aspettarsi, cascarci (=essere ingannato), capire, chiedersi, conoscere, constatare, credere, dimenticare, dirsi, escogitare, essere curioso, essere interessato, essere perplesso, essere sicuro o non sicuro di, è vero, è falso, fregare (=imbrogliare), ingannare, ignorare, indovinare, inventare, leggere nel pensiero, meravigliarsi, pensare, prevedere, rendersi conto, ritenere, ricordare, riflettere, sapere, sbalordirsi, scoprire, sembrare, sognare, sospettare, sorprendersi, venire in mente.

Stati di giudizio morale (n. 17) ammirare, approfittare, beffarsi di, bisogna (=si deve), consolare, dovere (=avere l’obbligo di), essere costretto, importare, pentirsi, perdonare, potere (=avere il permesso di), prendere in giro, ridere di, rispettare, sacrificarsi; buono, cattivo.

Stati comunicativi (n.4) dire, chiedere, raccontare, chiamare

Riferendoci invece alla competenza narrativa sono state analizzate la complessità

strutturale, la coesione e la coerenza.

La complessità strutturale fa riferimento al chi, cosa, quando, dove e come,

cioè fa riferimento agli elementi costitutivi della storia. Per formare storie che

possano essere definite ben strutturate occorre che le informazioni presenti

facciano riferimento a :

inizio o introduzione con definizione di personaggi, ambientazione e

problema;

1

Page 107: Federica Sassi Tesi

svolgimento o complicazione del problema;

soluzione del problema e conclusione.

La presenza, assenza o combinazione di questi elementi costitutivi definisce la complessità

strutturale, che è stata ordinata in cinque livelli (Spiniello e Pinto, 1994):

non storia: descrizione o elencazione di eventi, fatti, oggetti, aspetti del

paesaggio discontinuità dei personaggi e mancanza di una conclusione

(punteggio 1);

abbozzo di storia: varie combinazioni degli elementi costitutivi in cui

però mancano sempre parti importanti quali il problema e/o la

soluzione e/o lo svolgimento (punteggio 2);

storia incompleta: presenza di molti elementi strutturali, ma assenza

costante dello svolgimento (punteggio 3);

storia essenziale: mancanza di elementi strutturali non essenziali, ad

esempio l’ambientazione (punteggio 4);

storia completa: presenza di tutti gli elementi costitutivi, di cui solo il

titolo è considerato opzionale (punteggio 6).

Per analizzare i livelli di coesione presenti nelle storie narrate dai bambini

sono state utilizzate le due tipologie di connettivi individuate da Halliday

Hasan (1976):

1. i connettivi causali, che indicano i rapporti causa-effetto esistenti tra

gli elementi della storia (ad esempio: quindi, allora, perchè, così, di

conseguenza, per cui, perciò, ecc..);

2. i connettivi temporali, che esprimono una scansione di ordine

cronologico all’interno della storia (ad esempio: c’era una volta,

quando, poi, mai, prima, alla fine, improvvisamente, da allora, in un

attimo, presto, sempre, dopo, nel frattempo, ecc..)

Due giudici indipendenti hanno valutato la coesione delle storie attraverso il

computo dei connettivi causali e temporali presenti in esse, corretti in

relazione alla lunghezza delle storie stesse attribuendo poi un punteggio

1

Page 108: Federica Sassi Tesi

articolato per diversi livelli: la scarsa coesione indica l’uso di un solo

connettivo (punteggio 1); la coesione media indica l’uso di due-tre connettivi

(punteggio 2); l’elevata coesione indica la presenza di più di tre connettivi

(punteggio 3).

Per analizzare l’aspetto della coerenza, le storie sono state valutate da due

giudici indipendenti attraverso il computo delle incoerenze tra un enunciato

l’altro. Il numero di incoerenze, corretto per il numero complessivo degli

enunciati, è stato quindi ricondotto, sulla base della distribuzione

complessiva dei punteggi entro il campione, in tre categorie indicate come:

scarsa coerenza (punteggio 1); coerenza media (punteggio 2); coerenza

elevata (punteggio 3). Per tutti e tre i parametri utilizzati, l’accordo tra i

giudici è compreso tra l’85% e il 100%; i casi di disaccordo sono stati risolti

tramite discussione.

1

Page 109: Federica Sassi Tesi

Capitolo 6

I RISULTATI DELLA RICERCA

La descrizione della ricerca presentata nel capitolo precedente avrà senza

dubbio comunicato la sensazione di trovarsi davanti ad un apporto composito

nel quale i fattori chiamati in causa sono diversi, come sono differenti gli

effetti e le interazioni di cui si cerca di indagare l’esistenza.

Partendo dai dati presenti in letteratura si è voluto indagare prima di tutto il

livello di sviluppo linguistico dei bambini attraverso l’utilizzo del TVL, per

poi passare allo studio della produzione di lessico psicologico e della

competenza narrativa con il supporto di un libro illustrato “Filippo e le

farfalle” di Hanne Turk (1986), cercando di individuare le possibili

correlazioni tra le diverse abilità citate e le possibili differenze tra maschi e

femmine, tra i bambini più piccoli (dai 64 ai 67 mesi) e quelli più grandi (dai

68 ai 75 mesi) e tra i bambini che hanno madri con diverso titolo di studio.

Non tutte le ipotesi che hanno ispirato il presente lavoro sono state

confermate, per alcune sono stati ottenuti dati facilmente interpretabili e

coerenti con la letteratura, per altri dati nuovi e diversi da quelli già

consolidati, che, comunque, ci pare possano essere interessanti per stimolare

ricerche future.

1

Page 110: Federica Sassi Tesi

6.1 TVL e valutazione dello sviluppo linguistico

Attraverso la somministrazione del TVL si è voluto verificare il livello di

sviluppo linguistico dei bambini, se effettivamente si differenziano per

genere, età e titolo di studio dei genitori.

Il t di Student per campioni indipendenti sui punteggi grezzi relativi a tutti i

parametri mostra differenze significative per genere nelle categorie Colori,

Totale parole e Totale comprensione (Tabella 6.1).

Tabella 6.1 M, DS e t di Student per genere e categoria del linguaggio

indagate dal TVL

Categorie del

linguaggio

Genere M e DS t Sig.

Colori (grezzo) Maschio

Femmina

9.1667 (.83485)

9.7778 (.44096)

- 2,165 p=.045

Totale parole

(grezzo)

Maschio

Femmina

74.2500 (2.26134)

77.3333 (2.23607)

- 3,107 p=.006

Totale

comprensione

(grezzo)

Maschio

Femmina

107.5000 (3.26134)

111.3333 (3.64005)

- 2,537 p=.020

Anche se i punteggi ottenuti negli altri parametri non presentano una

differenza significativa si notano comunque differenze a favore del genere

femminile. Le scale del TVL con le differenze per genere sono state divise in

due grafici (figure 6.1 a e 6.1 b) per facilitare la lettura dei risultati.

Figura 6.1 a – Differenze di genere nello sviluppo linguistico

1

Page 111: Federica Sassi Tesi

Figura 6.1 b – Differenze di genere nello sviluppo linguistico

Vediamo come le femmine ottengono punteggi maggiori anche se non

significativi in Parti del corpo e Oggetti, Figure di oggetti, Figure di oggetti

secondo l’uso, Aggettivi, Frasi complesse designanti oggetti, Totale frasi,

1

Page 112: Federica Sassi Tesi

Comprensione totale, Figure di oggetti (Denominazione), Totale

denominazione, Fonologia, Morfosintassi, Costruzione frase, Stile,

Produzione spontanea parziale, Produzione spontanea totale. I maschi invece

ottengono punteggi leggermente più elevati in Frasi con concetti spazio

temporali e Ripetizione.

Per quanto riguarda l’età, le due categorie prese in esame (dai 64 ai 67 mesi e

dai 68 ai 75 mesi) non mostrano differenze significative nei risultati ottenuti

attraverso il t di Student sui punteggi grezzi relativi a tutti parametri che

compongono il TVL. Perciò i bambini più grandi non presentano uno

sviluppo linguistico maggiore rispetto ai più piccoli.

Benchè non vi siano differenze significative, notiamo comunque la presenza

di differenze a favore del gruppo dei “piccolo” che va dai 64 ai 67 mesi

(figura 6.2 a; 6.2 b). Si ipotizza che sia stato ottenuto questo risultato perchè

il gruppo dei bambini più piccoli è composto da una percentuale maggiore di

femmine (7 femmine e 4 maschi), che come abbiamo visto hanno ottenuto

punteggi maggiori nelle prove del test. E comunque le troppo piccole

differenze di età non ci permettono di fare ulteriori inferenze.

Figura 6.2 a – Differenze nello sviluppo linguistico in relazione all’età

1

Page 113: Federica Sassi Tesi

Figura 6.2 b – Differenze nello sviluppo linguistico in relazione all’età

Prendendo in esame la possibile influenza del titolo di studio della madre

sullo sviluppo linguistico dei bambini, vediamo (sempre attraverso t di

Student per campioni indipendenti) differenze significative nel parametro

Aggettivi a favore del titolo di studio “diploma, laurea”. Anche se non si

rilevano altre differenze significative è comunque possibile notare una

differenza per titolo di studio più elevato (diploma, laurea) come era naturale

attendersi (figura 6.3 a; figura 6.3 b).

Tabella 6.2 M, DS e t di Student per titolo di studio della madre e categoria

del linguaggio indagate dal TVL

Categorie del

linguaggio

Titolo di studio M e DS t Sig.

Aggettivi

(grezzo)

Medie

Diploma, laurea

16.6667 (1.21106)

18.0000 (1.30931)

- 2,149 p=.045

Figura 6.3 a – Differenze nello sviluppo linguistico in relazione al titolo di studio della

madre

1

Page 114: Federica Sassi Tesi

Figura 6.3 b – Differenze nello sviluppo linguistico in relazione al titolo di studio della

madre

1

Page 115: Federica Sassi Tesi

I bambini che hanno madri con un titolo di studio più elevato ottengono

risultati maggiori, anche se non significativi in Frasi semplici designanti

azioni, Totale parole, Totale frasi, Ripetizione, Figure di oggetti

(Denominazione), Totale denominazione, Fonologia, Morfosintassi, LME e

Produzione spontanea totale. Nei parametri rimanenti i bambini ottengono

più o meno i medesimi risultati indipendentemente dal titolo di studio della

madre.

6.2 Produzione di lessico psicologico

Attraverso la narrazione di un libro illustrato da parte dei bambini, è stato

possibile verificare quali termini riconducibili al lessico psicologico sono più

frequentemente utilizzati e, come analizzato precedentemente, se vi sono

differenze significative per genere, età e titolo di studio della madre.

La percentuale di produzione di ogni termine mentale è stata calcolata sul

totale dei termini riferiti agli stati psicologici

È stato riscontrato che i termini più utilizzati dai bambini sono quelli volitivi

(40%) (figuara 6.4)

Figura 6.4 Distribuzione dei termini riconducibili al lessico psicologico nella produzione

narrativa dei bambini

1

Page 116: Federica Sassi Tesi

Questo risultato sembra essere in contraddizione con la nostra ipotesi iniziale

secondo la quale ci si aspettava che i termini più utilizzati dai bambini di 5 e

6 anni fossero quelli riferiti a cognizioni come rilevato da Devescovi e

Baumgartner (1996), anche se, come verrà riportato in seguito, la differenza

tra i termini cognitivi e volitivi è molto sottile.

Confrontando tra loro le percentuali di termini psicologici utilizzati dai

bambini, il test del Chi-quadrato ci mostra differenze significative rispetto

alle attese nelle categorie di termini cognitivi, morali, comunicativi e riferiti a

stati emotivi positivi (vedi tabella 6.1), evidentemente meno frequenti dei

termini volitivi, percettivi ed emotivi negativi.

Tabella 6.2 - Previsioni delle frequenze dei termini psicologici utilizzati

percettivi positivi negativi volitivi cognitivi morali comunicativi

Chi-

quadrato

df

Sig. Asint

8,095

12

.778

18.857

8

.016*

7.000

11

.799

7.66

13

.865

31.857

5

.001***

39.333

6

.001***

30.857

2

.001***

1

Page 117: Federica Sassi Tesi

Prendendo in esame le differenze di genere, attraverso il test di Mann-

Whitney, non sono state riscontate differenze significative tra maschi e

femmine, anche se è stata riscontrata un differenza nella produzione di

lessico psicologico a favore del genere femminile. Si può notare come

avevamo ipotizzato all’inizio che, sebbene in modo non significativo, le

femmine producono un maggior numero di termini riconducibili a stati

psicologici e che in particolar modo producono un maggior numero di

termini riferiti a stati emotivi positivi visto che come citato da Fivush (1989)

le madri rivolgono ai figli sia maschi che femmine la stessa quantità di

linguaggio sulle emozioni, ma con le figlie parlano sopratutto di emozioni

positive mentre coi figli si riferiscono allo stesso modo ad emozioni positive

e negative.

Solo per quanto riguarda i termini riconducibili a emozioni negative e

cognizione, la produzione è a favore del genere maschile (nella figura 6.5

oltre alle percentuali di ciascuna categoria di termini psicologici sul totale dei

termini psicologici, riportiamo anche la percentuale di termini psicologici sul

totale delle parole usate dai bambini)

Figura 6.5 Differenze di genere nell’utilizzo del lessico psicologico

1

Page 118: Federica Sassi Tesi

Prendendo in considerazione il titolo di studio delle madri siamo riusciti a

dimostrare attraverso l’applicazione del test di Mann Whitney (sul totale dei

termini mentele) le nostre ipotesi iniziali, secondo cui i bambini con madri

con un titolo di studio più basso utilizzano termini psicologici maggiormente

riferiti ad emozioni, mentre quelli con madri con un titolo di studio più

elevato utilizzano un linguaggio più didattico riferendosi maggiormente a

cognizioni e percezioni. Infatti notiamo che vi sono differenze significative

per quanto riguarda l’utilizzo di termini riferiti a stati percettivi, a favore di

bambini con madri che hanno un titolo di studio più elevato, e riferiti a stati

positivi, in questo caso a favore dei bambini con madri con un titolo di

studio più basso (tabella 6.3). Anche se non sono state riscontrate altre

differenze significative notiamo comunque che la produzione di termini

riferiti a stati negativi è maggiore nei bambini con madri con un titolo di

studio inferiore (medie), mentre in tutti gli altri casi abbiamo una maggior

produzione di termini da parte dei bambini con madri con un titolo di studio

più elevato (diploma, laurea) (figura 6.6)

Tabella 6.3 – Differenze nelle produzione di lessico psicologico in relazione al titolo di

studio della madre

percettivi positiviU di Mann-Whitney

16,500 19,000

W di Wilcoxon 37,500 139,000Z -2,233 -2,090Sig. Asint. a 2 code

,026 ,037

Significatività esatta [2*(Significatività a 1 coda)]

,023* ,045*

1

Page 119: Federica Sassi Tesi

Figura 6.6 – Differenze nella produzione di lessico psicologico in relazione al titolo di

studio materno

Per quanto riguarda la variabile età non sono state riscontrate differenze

significative e non nella produzione di lessico psicologico. Questo molto

probabilmente è dato dal fatto che le età che rientrano nelle due categorie

considerate sono molto ravvicinate tra loro.

Attraverso l’utilizzo del test di Rho di Spearman abbiamo cercato di

verificare l’esistenza di possibili correlazioni tra lo sviluppo linguistico e la

produzione di lessico psicologico, senza ottenere però risultati

significativamente rilevanti.

6.3 La competenza narrativa nella produzione di racconti

Come specificato in precedenza lo studio della competenza narrativa prevede l’analisi

della complessità strutturale, della coesione e della coerenza. Anche in questo caso si sono

indagate le possibile differenze tra genere, età e titolo di studio della madre. Abbiamo poi

effettuato una correlazione tra la competenza narrativa, sviluppo linguistico e produzione

di lessico psicologico, ottenendo risultati interessanti. Per iniziare vediamo come non

1

Page 120: Federica Sassi Tesi

siano state riscontrate differenze significative in nessuna delle tre variabili considerate

(genere, età, titolo di studio della madre) (vedi figure 6.7, 6.8, 6.9).

Figura 6.7 – Competenza narrativa e genere

Figura 6.8 - Competenza narrativa e età

1

Page 121: Federica Sassi Tesi

Figura 6.9 – Competenza narrativa e titolo di studio della madre

Vediamo come le femmine ottengano risultati più elevati nelle variabili

struttura e coerenza, mentre i maschi nella coesione; i bambini dai 64 ai 67

mesi ottengono punteggi maggiori nella struttura mentre quelli dai 68 ai 75

mesi nella coerenza e coesione; infine i bambini con madri che hanno un

titolo di studio inferiore ottengono punteggi più elevati nella coesione,

mentre gli altri nella struttura e coerenza.

Mettendo poi in correlazione la competenza narrativa con lo sviluppo

linguistico e la produzione di lessico psicologico abbiamo ottenuto risultati

particolarmente significativi: attraverso il test Rho di Spearman si è visto

come la struttura correla chiaramente con la coerenza e con alcuni parametri

misurati dal TVL quali la Comprensione totale, la Fonologia, la

1

Page 122: Federica Sassi Tesi

Morfosintassi, la Costruzione della frase e lo Stile. La coesione non presenta

correlazioni significative con nessuna delle variabili considerate. La coerenza

presenta correlazioni significative con la struttura, la Morfosintassi, la

Costruzione della frase e lo Stile (tabella 6.4 a, 6.4 b, 6.4c)

Tabella 6.4 a – Correlazione tra competenza narrativa e abilità linguistiche

generali

struttura coesione coerenza totcomprenRho di Spearman struttura Coefficiente

dicorrelazione

1.00 .167 .643* .569**

Sig. (2 code) . .468 .002 .007N 21 21 21 21

coesione Coefficiente dicorrelazione

.167 1.000 .361 - .260

Sig. (2 code) .468 . .163 .255N 21 21 21 21

coerenza Coefficiente dicorrelazione

.643** .316 1,000 .369

Sig. (2 code) .002 .163 . .100N 21 21 21 21

Tabella 6.4 b – Correlazione tra competenza narrativa e abilità linguistiche

generali

ripetizione totdenom fonologia morfosinRho di Spearman struttura Coefficiente

dicorrelazione

.287 .133 .587** .531*

Sig. (2 code) .208 .567 .005 .013N 21 21 21 21

coesione Coefficiente dicorrelazione

.140 - .113 .370 .369

Sig. (2 code) .545 .625 0.99 0.99N 21 21 21 21

coerenza Coefficiente dicorrelazione

.126 .094 .384 .459*

Sig. (2 code) .585 .686 .086 .036N 21 21 21 21

1

Page 123: Federica Sassi Tesi

Tabella 6.4 c – Correlazione tra competenza narrativa e abilità linguistiche generali

costrfrase collai collsp LME stileRho di Spearman struttura Coefficiente

dicorrelazione

.680* .410 .214 - .018 .493*

Sig. (2 code) .001 .065 .351 .939 .023N 21 21 21 21 21

coesione Coefficiente dicorrelazione

.297 .370 - .019 .332 .273

Sig. (2 code) .191 .098 .936 .141 .231N 21 21 21 21 21

coerenza Coefficiente dicorrelazione

.637** .335 .218 - .033 .502*

Sig. (2 code) .002 .138 .343 .886 .020N 21 21 21 21 21

La correlazione positiva tra struttura e stile, e tra coerenza e stile dimostra

come all’aumentare della competenza stilistica la storia è più strutturata e

coerente. Stessa cosa per la correlazione tra struttura e comprensione totale:

più la trama della storia è strutturata maggiore è la comprensione di questa.

Partendo dalle nostre ipotesi iniziali perciò, le abilità linguistiche generali

correlano con la struttura e con la coerenza del racconto narrativo, ma non

con la coesione.

Dai risultati notiamo che non vi sono correlazioni significative tra

competenza narrativa e utilizzo di lessico psicologico. Questo potrebbe

dimostrare come evidentemente siano chiamate in causa abilità diverse: per la

competenza narrativa sono chiamate in causa abilità che si rifanno alla

conoscenza della struttura esplicita della storia, mentre per la produzione di

lessico psicologico è necessaria la conoscenza degli stati mentali propri e

altrui (teoria della mente). Gli aspetti quantitativi della competenza narrativa

non sono in relazione con la qualità della storia. Stessa spiegazione può

1

Page 124: Federica Sassi Tesi

essere data alla mancanza di correlazione rilevata precedentemente tra

produzione di lessico psicologico e sviluppo linguistico generale.

Correlazione negativa interessante ma non significativa, è quella tra la

struttura e i termini riferiti a stati percettivi. Questo risultato dimostra che più

una storia ha una sua organizzazione strutturale e meno è necessario

utilizzare termini percettivi.

6.4 Il bambino DSL e il bambino Down

Come accennato precedentemente, nella nostra ricerca sono stati coinvolti

anche due bambini, uno con sindrome di Down e uno con disturbo specifico

del linguaggio che però sono stati “esclusi” dall’analisi complessiva dei

risultati. Dal momento che i due bambini sono stati sottoposti alle stesse

prove dei loro coetanei, somministrazione del TVL e lettura di un libro

illustrato, ci sembra opportuno introdurre qualche breve riflessione sulle loro

prestazioni sia rispetto allo sviluppo linguistico che alla narrazione.

Il bambino Down ha 86 mesi, mentre quello con disturbo specifico del

linguaggio 72 mesi.

Non conoscendo l’età mentale del bambino Down il profilo del TVL è stato

calcolato sui punteggi grezzi.

Nei seguenti grafici verrà riportato un confronto tra il bambino DSL e il

bambino con sindrome di Down per quanto riguarda i parametri analizzati dal

TVL (6.10), il lessico psicologico (6.11) e la competenza narrativa (6.12).

1

Page 125: Federica Sassi Tesi

Figura 6.10 – Punteggi ottenuti nel TVL

6.11 – Produzione di lessico psicologico

6.12 – Competenza narrativa

1

Page 126: Federica Sassi Tesi

Per quanto riguarda il bambino con sindrome di Down si evidenzia un ritardo

specifico nella produzione di parole, a cui supplisce con una ricca produzione

di gesti comunicativi. Il bambino con DSL invece produce un numero

maggiore di parole (108 contro le 46 del bambino Down). Analizzando i

diversi parametri calcolati col TVL (vedi grafico presentato il figura 6.10)

notiamo che i bambini ottengono punteggi simili nei parametri

Comprensione, Denominazione, Costruzione frase, Costruzione periodo a/i e

Ripetizione. Il bambino con DSL ottiene punteggi maggiori soprattutto in

Correttezza fonologica e Correttezza Morfosintattica.

Per quanto riguarda la produzione di lessico psicologico il bambino con

sindrome di Down non produce termini riconducibili a stati psicologici, se

non un unico termine volitivo. Invece, il bambino con DSL produce, sebben

in bassa percentuale, alcuni termini riconducibili a stati psicologici, in

specifico termini percettivi, volitivi e riconducibili a stati negativi. Nel

grafico 6.11 viene presentata la produzione dei termini mentali in

percentuale, cioè la produzione di ogni termine mentale è stata calcolata sul

totale dei termini mentali prodotti.

Analizzando la competenza narrativa vediamo come il bambino con DSL

produca storie maggiormente strutturate e coese rispetto al bambino con

sindrome di Down, mentre i due bambini ottengono punteggi simili nel

parametro coerenza (figura 6.12)

Anche in questo caso è possibile notare che il bambino che ha ottenuto

punteggi maggiori nel TVL è anche quello che presenta una maggior

competenza narrativa. Infatti il bambino DSL che ha ottenuto una miglior

prestazione nei parametri Correttezza fonologica e Correttezza

morfosintattica è anche quello che produce storie più strutturate e coese. C’è

da notare che in questo caso abbiamo una correlazione tra sviluppo

linguistico generale, struttura e coesione, mentre nei risultati ottenuti

precedentemente dal nostro campione vi era una correlazione tra sviluppo

13

Page 127: Federica Sassi Tesi

linguistico generale, struttura e coerenza. Si può comunque concludere che

anche in questo caso lo sviluppo linguistico generale correla con la

competenza narrativa, cioè il bambino che presenta uno sviluppo linguistico

maggiore sarà anche quello con maggiori abilità narrative.

13

Page 128: Federica Sassi Tesi

Capitolo 7

DISCUSSIONE DEI RISULTATI

Attraverso la narrazione di un brano è possibile cogliere il funzionamento di

numerosi processi psicologici. Innanzitutto vi si ritrovano implicati il

linguaggio, l’uso della memoria episodica e semantica e l’attivazione di

processi di problem solving; è inoltre coinvolta la sfera emotiva, tramite i

sentimenti empatici che possono svilupparsi verso i personaggi dei racconti.

Infine, le storie e in particolare quei testi che entrano a far parte della vita

quotidiana - come i discorsi, gli aneddoti, le autobiografie, che

contribuiscono alla strutturazione del Sè in un contesto sociale –

rappresentano un vero e proprio prodotto culturale attraverso il quale si

tramandano valori, conoscenze e principi educativi (Accorti Gamannossi,

2001).

Le abilità narrative in età evolutiva sono un argomento di notevole interesse.

Il periodo dei 5 anni è indicato dalla letteratura come particolarmente

significativo per il consolidamento della competenza narrativa, e al tempo

stesso però si è rilevata una scarsità di ricerche relative ai rapporti fra le

competenze narrative e le abilità linguistiche generali dei bambini in età

prescolare (Hudson e Shapiro, 1991; Karmiloff-Smith, 1986; Pinto, Bergamo

e Cioncolini, 1994).

All’interno del nostro studio, condotto su bambini dell’ultimo anno della

scuola dell’infanzia, abbiamo cercato di evidenziare quali legami

intercorrano tra le competenze linguistiche generali, le abilità narrative e la

produzione di lessico psicologico. Per quanto riguarda la produzione di

storie, i risultati mostrano come la struttura e la coerenza siano gli indicatori

maggiormente legati alle abilità linguistiche generali, mentre la coesione non

mostra alcuna relazione significativa. Perciò partendo dallo studio di Accorti

14

Page 129: Federica Sassi Tesi

Gamannossi, vediamo che, anche nella nostra ricerca, i bambini più abili dal

punto di vista linguistico lo sono anche nel compito di produzione di storie

per ciò che riguarda l’organizzazione strutturale del testo e dal punto di vista

dell’uso di connettivi, mentre non sono state rilevate correlazioni

significative per quanto riguarda la coesione.

Questi dati confermerebbero le nostre aspettative: i bambini più abili dal

punto di vista linguistico generale lo sono anche nel compito di esposizione

della storia; analogamente i più scadenti nelle abilità linguistiche lo sono

anche in quelle narrative. Ciò può suggerire che a 5 anni la comprensione e

l’esposizione di una storia, sottendano abilità fortemente supportate da quelle

linguistiche generali.

Come riportato nell’articolo di Accorti Gamanossi (2001), visto lo stretto

legame rilevato, si potrebbe pensare all’esistenza di una relazione circolare

tra le due competenze e perciò attività didattiche mirate al potenziamento

delle abilità linguistiche potrebbero quindi portare anche a un miglioramento

in quelle narrative, e parallelamente, interventi specifici sulla comprensione

di storie avrebbero una ripercussione positiva sulle competenze linguistiche

di base.

Prendendo in esame il lessico psicologico, si è visto come, al contrario delle

nostre aspettative i termini più utilizzati dai bambini siano quelli riferiti a

stati volitivi. Ci si sarebbe aspettato infatti un maggior utilizzo di termini

cognitivi. Anche se c’è da precisare che la distinzione tra termini cognitivi e

volitivi è molto sottile, le due categorie presentano confini molto labili e i

termini che rientrano in una categoria potrebbero rientrare anche nell’altra.

Non sono state riscontrate correlazioni significative tra produzione di lessico

psicologico - abilità linguistiche generali, e tra produzione di lessico

psicologico - competenza narrativa. Ciò potrebbe essere un indice del fatto

che nella competenza narrativa sono chiamate in causa abilità che si rifanno

ad una sorta di metacognizione della storia, mentre per la produzione di

14

Page 130: Federica Sassi Tesi

lessico psicologico è necessaria la conoscenza degli stati mentali propri e

altrui (teoria della mente). Ci troviamo di fonte a due diversi aspetti della

narrazione, una quantitativa (competenza narrativa) e l’altra qualitativa

(lessico psicologico).

Alla stessa motivazione può essere ricondotta la mancanza di correlazione tra

produzione di lessico psicologico e competenze linguistiche generali. Le

molteplici abilità coinvolte nella produzione di lessico psicologico non

possono essere tutte supportate dalle abilità linguistiche rilevate attraverso il

TVL.

Per quanto riguarda le possibile differenze di genere, età, titolo di studio della

madre nello sviluppo linguistico generale, competenza comunicativa e

produzione di lessico psicologico dei bambini, non sono state riscontrate

differenze particolarmente significative, se non per quel che riguarda i

parametri Totale parole, e Comprensione totale a favore del genere

femminile. Il genere femminile ha comunque ottenuto punteggi maggiori

anche se non significativi in gran parte delle prove del TVL e nella

produzione di lessico psicologico. Solo per quanto riguarda i termini

riconducibili a emozioni negative e cognizione, la produzione è a favore del

genere maschile.

Le femmine producono un maggior numero di termini riconducibili a stati

psicologici e che in particolar modo producono un maggior numero di

termini riferiti a stati emotivi positivi visto che come citato da Fivush (1989)

le madri rivolgono ai figli sia maschi che femmine la stessa quantità di

linguaggio sulle emozioni, ma con le figlie parlano sopratutto di emozioni

positive mentre coi figli si riferiscono allo stesso modo ad emozioni positive

e negative.

Prendendo in esame i due gruppi di età considerati (dai 64 ai 67 mesi e dai 68

ai 75) non sono state riscontrate differenze significative nelle diverse prove,

14

Page 131: Federica Sassi Tesi

probabilmente a causa del fatto che le età considerate sono molto ravvicinate

tra loro, perciò la nostra suddivisione è stata più che altro arbitraria.

Non sono state riscontrate differenze significative nei bambini con madri con

diversi titoli di studio nelle prove del TVL se non nel parametro Aggettivi a

favore del titolo “diploma, laurea”. Sono stati comunque rilevati punteggi

maggiori a favore del titolo di studio più alto.

Prendendo in esame la produzione di lessico psicologico vediamo come le

madri con un titolo di studio più basso utilizzano termini psicologici

maggiormente riferiti ad emozioni, mentre quelle con un titolo di studio più

elevato utilizzano un linguaggio più didattico riferendosi maggiormente a

cognizioni e percezioni. Infatti notiamo che vi sono differenze significative

per quanto riguarda l’utilizzo di termini riferiti a stati percettivi, a favore

delle madri che hanno un titolo di studio più elevato, e riferiti a stati positivi,

in questo caso a favore delle madri con un titolo di studio più basso. Anche

se non sono state riscontrate altre differenze significative, la produzione di

termini riferiti a stati negativi è maggiore nelle madri con un titolo di studio

inferiore (medie), mentre in tutti gli altri casi abbiamo una maggior

produzione di termini da parte delle madri con un titolo di studio più elevato

(diploma, laurea). Probabilmente i bambini non sono stimolati da queste

madri a parlare di stati interni, probabilmente l’importante per queste madri è

che i loro bambini utilizzino descrizioni esplicite riconducibili a eventi ed

oggetti oggettivi, senza inferenze su quelli che possono essere gli stati interni

delle persone/personaggi. Sarebbe interessante somministrare alle educatrici

e alle madri un questionario che metta in evidenza quale sia per loro la storia

“migliore”, se quella descrittiva o se quella ricca di riferimenti a stati interni.

Per la competenza narrativa non sono state riscontrate differenze di genere,

età e titolo di studio della madre nelle tre variabili considerate (struttura,

coerenza e coesione).

14

Page 132: Federica Sassi Tesi

Numerosi sono gli spunti, anche critici che derivano dai risultati di questo

lavoro, sia per gli approfondimenti teorici che per le implicazioni pratiche .

Della narrazione di racconti si sarebbe potuto studiare oltre che la

competenza dei bambini nella comprensione e esposizione di una storia

partendo da un libro illustrato, anche abilità narrative e lessico psicologico

nei compiti di produzione libera. Sarebbe interessante verificare l’effetto di

training mirati, attività didattiche mirate a favorire miglioramenti sensibili nei

bambini con maggior difficoltà.

14

Page 133: Federica Sassi Tesi

14

Page 134: Federica Sassi Tesi

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APPENDICE

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Appendice 1: libro illustrato “Filippo e le farfalle”

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Appendice 2: alcuni esempi di storie raccontate dai bambini in riferimento

al libro “Filippo e le farfalle”

Maya, 64 mesi

Filippo aveva rotto il retino

e poi la la la aggiustato

poi è andato a cercare un bastone e ce l’ha attaccato

e Filippo è molto contento che lo ha riparato

e allora va nel prato a catturare le farfalle

poi si nasconde dietro un cespuglio

poi salta fuori, ma Filippo non le prende le farfalle

nel retino non c’è niente

e si ingarbuglia

poi ci prova di nuovo ma niente

e dopo lo rompe

si ingarbuglia nella testa e poi dopo lo rompe

Filippo è triste, guarda, proprio piange

Filippo pensa non bisogna catturare le farfalle

bisogna guardarle

e allora le guarda

si mette nel prato poi le guarda le farfalle

Marta, 64 mesi

C’era una volta un topolino

Io non mi ricordo il nome (io dico Filippo)

che si chiamava Filippo

e voleva catturare le farfalle

però il suo retino è rotto

e allora lui lo aggiusta

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e pensa adesso però mi metto solo un bastone nel buco

e va a prendere un bastone

lo infila nel retino

e adesso è pronto il retino

prova a vedere se è troppo basso o troppo in alto

e poi va in mezzo ai campi

guarda se ci sono le farfalle

ne vede due

e va fuori dal cespuglio

e poi

gli va incontro ma si ingarbuglia con le mani

allora prova ancora

ma lui non ci riesce

prova ancora ma si rompe il retino

allora lo guarda prova ad aggiustarlo ma non ci riesce

e si mette a piangere

però dopo pensa a una cosa e dice “Non c’è bisogno di catturarle basta solo

guardarle”

si sdraia nel prato per guardarle

Luca, 68 mesi

Un bel giorno un topolino, cioè Filippo voleva andare a caccia di farfalle

ma il suo retino era rotto

e allora aggiustò il retino e poi prese un bastone e ce lo attaccò

poi andò sul prato

sul prato

e si nascose dietro a un cespuglio

poi quando le farfalle arrivarono lui viene fuori per cercare di prenderle

ma non ci riuscì e si ingarbugliò le mani nel retino

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ci riprovò ma si ingarbugliò la testa nel retino e il bastone si ruppe

allora Filippo si mise a piangere

e poi capise come si faceva a vedere le farfalle

sdraiarsi sul prato e guardare le farfalle

Federico, 66 mesi

C’era uno che si chiamava Filippo

voleva andare a caccia di farfalle

ma invece il suo retino è rotto

però ancora lui non ci riesce

e poi con un bastone

attaccò il bastone

aggiustò il retino per andare a caccia di farfalle

e qui eh....... cercò di catturare le farfalle

con un salto saltò ma si... intorcigliò

e dopo lo stesso

si è attorcigliato

e si è rotto il retino

adesso è arrabbiato e non sa cosa fare

e dopo piange

allora non c’è bisogno di catturare le farfalle

c’è bisogno che si sdraiò e guardava le farfalle

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