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LO SPACCAPIETRE – Fiaba Cinese C'era una volta un povero spaccapietre che col sole o con la pioggia passava la giornata a spezzar sassi sul ciglio della strada. " Ah, se potessi essere un gran signore ", pensò un giorno, " mi riposerei finalmente ". C'era per aria un Genio, che lo Udì: " Sia esaudito il tuo desiderio! ", gli disse. Detto fatto. Il povero spacca pietre si trovò di colpo in un bel palazzo, servito da uno stuolo di domestici. Poteva riposare a suo agio...Ma un giorno lo spacca pietre ebbe l'idea di levar gli occhi al cielo, e vide ciò che forse non aveva guardato mai; il Sole! " Ah, se potessi diventare il Sole! ", sospirò. " Non avrei neppure il fastidio di vedermi intorno tutti quei domestici ". Anche questa volta il Genio buono lo volle far contento; " Sia come vuoi! ", gli disse. Ma quando l'uomo fu diventato il Sole, ecco che una nube venne a passargli innanzi, offuscando il suo splendore. " Potessi essere una nuvola! ", pensò. " Una nuvola è persino più potente del Sole ". Ma esaudito che fu, soffiò il Vento, che ridusse a brandelli le nuvole nel cielo. "Vorrei essere il Vento che travolge ogni cosa! " E il Genio compiacente di nuovo lo esaudì: Ma, divenuto Vento impetuoso e violento, incontrò la Montagna che resiste anche al Vento. Trasformato in Montagna, si accorse che qualcuno gli spezzava la base a colpi di piccone. " Ah, poter esser quello che spezza le montagne! " E per l'ultima volta, il Genio lo esaudì: Così lo spaccapietre si ritrovò di nuovo sul ciglio della strada nella sua prima forma di umile operaio. Ne' mai d'allora in poi si lagnò più. Questa fiaba cinese è un intelligente invito a saper valorizzare quanto siamo, quanto abbiamo, un invito alla sobrietà TREMOTINO ( Trampolino tonante ) C'era una volta un mugnaio che era povero, ma aveva una bella figlia. Un giorno, per caso, ebbe una conversazione con il re, e così, per far colpo su di lui, gli disse: "Io ho una figlia che riesce a filare la paglia in oro." Il re disse allora al mugnaio: "Ma è prodigioso! Se veramente vostra figlia è abile come dite, portatela domani al mio castello, perché voglio

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LO SPACCAPIETRE – Fiaba Cinese

C'era una volta un povero spaccapietre che col sole o con la pioggia passava la giornata a spezzar sassi sul ciglio della strada. " Ah, se potessi essere un gran signore ", pensò un giorno, " mi riposerei finalmente ". C'era per aria un Genio, che lo Udì: " Sia esaudito il tuo desiderio! ", gli disse.Detto fatto. Il povero spacca pietre si trovò di colpo in un bel palazzo, servito da uno stuolo di domestici. Poteva riposare a suo agio...Ma un giorno lo spacca pietre ebbe l'idea di levar gli occhi al cielo, e vide ciò che forse non aveva guardato mai; il Sole! " Ah, se potessi diventare il Sole! ", sospirò. "Non avrei neppure il fastidio di vedermi intorno tutti quei domestici ". Anche questa volta il Genio buono lo volle far contento; " Sia come vuoi! ", gli disse. Ma quando l'uomo fu diventato il Sole, ecco che una nube venne a passargli innanzi, offuscando il suo splendore. " Potessi essere una nuvola! ", pensò. " Una nuvola è persino più potente del Sole ". Ma esaudito che fu, soffiò il Vento, che ridusse a brandelli le nuvole nel cielo."Vorrei essere il Vento che travolge ogni cosa! " E il Genio compiacente di nuovo lo esaudì: Ma, divenuto Vento impetuoso e violento, incontrò la Montagna che resiste anche al Vento. Trasformato in Montagna, si accorse che qualcuno gli spezzava la base a colpi di piccone. " Ah, poter esser quello che spezza le montagne! " E per l'ultima volta, il Genio lo esaudì:Così lo spaccapietre si ritrovò di nuovo sul ciglio della strada nella sua prima forma di umile operaio. Ne' mai d'allora in poi si lagnò più.

Questa fiaba cinese è un intelligente invito a saper valorizzare quanto siamo, quanto abbiamo, un invito alla sobrietà

TREMOTINO ( Trampolino tonante )

C'era una volta un mugnaio che era povero, ma aveva una bella figlia. Un giorno, per caso, ebbe una conversazione con il re, e così, per far colpo su di lui, gli disse: "Io ho una figlia che riesce a filare la paglia in oro." Il re disse allora al mugnaio: "Ma è prodigioso! Se veramente vostra figlia è abile come dite, portatela domani al mio castello, perché voglio metterla alla prova." Così, il re condusse la fanciulla in una stanza colma di paglia fino al soffitto; le consegnò aspo e fuso e le disse: "Mettiti subito al lavoro. Fila tutta la notte, e se per domattina non avrai trasformato tutta questa paglia in oro, morirai." Poi chiuse la porta a chiave, e la povera fanciulla rimase lì da sola, e per la prima volta in vita sua non seppe davvero che fare, poiché non aveva la minima idea di come si facesse a filare la paglia in oro. Cominciò ad impaurirsi sempre di più, finché scoppiò in lacrime; improvvisamente la porta si aprì, ed ecco che vide un ometto avanzare nella stanza e dire: "Buona sera, signorina mugnaia, perché piangi?" Rispose la fanciulla: "Perché il re mi ha ordinato di filare tutta questa paglia in oro, ma io non ne sono capace." E il nanetto disse: "Se lo faccio io al posto tuo, tu cosa mi darai in cambio?" "La mia collana" rispose la ragazza. Il nano prese la collana, si sedette presso l'arcolaio e, frr, frr, tirò il filo per tre volte e il rocchetto fu pieno; poi, di nuovo, ripeté l'perazione altre volte, continuando per tutta la notte, finché al mattino tutta la paglia fu filata in oro. Al tramonto tornò il re, e alla vista di tutta quell'oro rimase sorpreso e contento; ma il suo cuore avido non era ancora appagato: rinchiuse la figlia del mugnaio in un'altra stanza tutta piena di paglia, ancora più grande della prima. Le ordinò di filarla tutta in oro entro il mattino dopo, pena la morte. La poveretta non sapeva che pesci

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prendere, e pianse; tornò il nano e le chiese: "Che cosa mi dai se io ti filo tutta questa paglia?" "Il mio anello" rispose lei. Allora l'ometto prese l'anello, e si rimise al lavoro, e la mattina dopo tutta la paglia era diventata oro. Il re andò in brodo di giuggiole, ma non era ancora pago: per la terza volta condusse la figlia del mugnaio in una stanza colma di paglia e disse: "Adesso mi devi filare tutta quest'altra: se ci riuscirai, diventerai mia moglie." Infatti, pensò: 'anche se è la figlia di un mugnaio, non troverò mai una donna più ricca in tutta la terra." Quando la fanciulla rimase sola, riecco il nano fare capolino per la terza volta, e disse: "Questa volta cosa mi darai in cambio?" "Non ho più niente da darti" rispose la povera infelice. "Allora promettimi, che quando sarai regina, mi consegnerai il tuo primogenito." La figlia del mugnaio pensò di non avere alternative, perciò, non sapendo che altro fare, acconsentì alla richiesta del nano. Quello, in cambio, trasformò per la terza notte tutta la paglia in oro, e quando il mattino seguente si ripresentò il re, vedendo che la fanciulla aveva ubbidito agli ordini, mantenne la promessa e la sposò. Così, la bella mugnaia divenne regina.

Passò un anno e la regina partorì un bel bambino; ormai non pensava più al nano, ma, improvvisamente, quello apparve nella stanza e disse: "Adesso, regina, dammi ciò che mi hai promesso." Terrorizzata, la poveretta cominciò a offrirgli tutte le ricchezze del regno purché non le portasse via il bambino, ma il nano non volle sentire ragioni e rispose: "No, la tua creatura vale per me più di tutto l'oro del mondo." Allora la regina cominciò a gemere e a piangere così forte che l'omino n'ebbe pietà e disse: "Hai tre giorni per scoprire come mi chiamo; se ci riuscirai, ti lascerò il bambino." E la regina trascorse tutta la notte in piedi, a pensare a tutti i nomi che le vennero in mente. Il giorno dopo, mandò un messaggero tra le terre del reame a raccogliere tutti i nomi che sentiva; quando si ripresentò il nano, ella cominciò a sciorinare diversi nomi, tra cui, Gaspare, Melchiorre, Baldassarre, ed uno ad uno, recitò tutti i nomi che sapeva, ma il nano scuoteva la testa e diceva: "Sbagliato, sbagliato!" Il secondo giorno inviò i suoi fedeli ad indagare tra la gente del villaggio, e quando il nano tornò, gli enunciò tutti i nomi più strani e meno comuni che aveva sentito; "Ti chiami forse Vitello di Montone? O Laccio di Gamba? O forse di ti chiami Gamba di Tricheco?" ma quello continuava a dire: "Non è il mio nome, non è il mio nome!" Finalmente, il terzo giorno il messaggero tornò e disse alla regina: "Nomi nuovi non ne ho trovati, ma quando fui presso un alto monte ad ovest della foresta, dove trovai una volpe e una lepre a darmi la buonanotte, vidi una casetta, e proprio lì di fronte c'era un buffo ometto che saltellava intorno al fuoco con una gamba sola, che diceva:

«Oggi faccio il pane, domani il tèpoi di corsa a brendere il bebèTremotino io mi chiamoma la regina non lo sail mio nome mai indovinerà,e il principino mio sarà.»"

Potete immaginarvi la felicità della regina nel sentire il nome esatto. Di lì a poco arrivò l'omino e disse: "Allora, Maestà, come mi chiamo?" "Ti chiami Kunz?" "No." "Allora, Heinz?" "No, no!" "Ci sono: tu ti chiami Tremotino!" "Te lo ha detto il diavolo!" urlò l'omino, furente di rabbia. E così dicendo, con il piede destro, diede un colpo così forte nel pavimento, che ci crollò dentro fino al petto; poi con entrambe le mani afferrò il piede sinistro e si squarciò a metà.

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IL TESORO DEI POVERI (Gabriele D'Annunzio)

Racconta un poeta:

C’era una volta, non so più in quale terra, una coppia di poverelli.Ed erano, questi due poverelli, così miseri che non possedevano nulla, ma proprio nulla di nulla.Non avevano pane da metter nella madia, né madia da mettervi pane.Non avevano casa per mettervi una madia, né campo per fabbricarvi casa.Se avesser posseduto un campo, anche grande quanto un fazzoletto, avrebbero potuto guadagnare tanto da fabbricarvi casa.Se avessero avuto casa, avrebbero potuto mettervi la madia.E se avessero avuto la madia, è certo che in un modo o in un altro, in un angolo o in una fenditura, avrebber potuto trovare un pezzo di pane o almeno una briciola.Ma, non avendo né campo, né casa, né madia, né pane, erano in verità assai tapini.

Ma non tanto del pane lamentavano la mancanza, quanto della casa.Del pane ne avevano abbastanza per elemosina, e qualche volta avevan anche un po’ di companatico e qualche volta anche un sorso di vino.Ma i poveretti avrebber preferito rimaner sempre a digiuno e possedere una casa dove accendere qualche ramo secco o ragionar placidamente d’innanzi alla brace.Quel che v’ha di meglio al mondo, in verità, a preferenza anche del mangiare, è posseder quattro mura per ricoverarsi. Senza le sue quattro mura, l’uomo è come una bestia errante.E i due poverelli si sentirono più miseri che mai, in una sera triste della vigilia di Natale, triste soltanto per loro, perché tutti gli altri in quella sera hanno il fuoco nel camino e le scarpe quasi affondate nella cenere.

Come si lamentavano e tremavano su la via maestra, nella notte buja, s’imbatterono in un gatto che faceva un miagolìo roco e dolce.Era, in verità, un gatto misero assai, misero quanto loro, poiché non aveva che la pelle su le ossa e pochissimi peli su la pelle.S’egli avesse avuto molti peli su la pelle, certo la sua pelle sarebbe stata in miglior condizione.Se la sua pelle fosse stata in condizion migliore, certo non avrebbe aderito così strettamente alle ossa.E s’egli non avesse avuta la pelle aderente alle ossa, certo sarebbe stato egli forte abbastanza per pigliar topi e per non rimaner così magro.Ma, non avendo peli ed avendo invece la pelle su l’ossa, egli era in verità un gatto assai meschinello.

I poverelli son buoni e s’aiutan fra loro.I due nostri dunque raccolsero il gatto e neppure pensarono a mangiarselo; ché anzi gli diedero un po’ di lardo che avevano avuto per elemosina.Il gatto, com’ebbe mangiato, si mise a camminare d’innanzi a loro e li condusse in una vecchia capanna abbandonata.C’eran là due sgabelli e un focolare, che un raggio di luna illuminò un istante e poi sparve.Ed anche il gatto sparve col raggio di luna, cosicché i due poverelli si trovaron seduti nelle tenebre, d’innanzi al nero focolare che l’assenza del fuoco rendeva ancor più nero.«Ah!» dissero, «se avessimo a pena un tizzone! Fa tanto freddo! E sarebbe tanto dolce scaldarsi un poco e raccontare favole!»

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Ma, ohimè, non c’era fuoco nel focolare, poiché essi erano miseri, in verità miseri assai.D’un tratto due carboni si accesero in fondo al camino, due bei carboni gialli come l’oro.E il vecchio si fregò le mani, in segno di gioia, dicendo alla sua donna: «Senti che buon caldo?»«Sento, sento,» rispose la vecchia.E distese le palme aperte innanzi al fuoco.«Soffiaci sopra,» ella soggiunse. «La brace farà la fiamma.»«No,» disse l’uomo, «si consumerebbe troppo presto.»E si misero a ragionare del tempo passato, senza tristezza, poiché si sentivano tutti ringagliarditi dalla vista dei due tizzoni lucenti.I poverelli si contentan di poco e son più felici. I nostri due si rallegrarono, fin nell’intimo cuore, del bel dono di Gesù Bambino, e resero fervide grazie al bambino Gesù.

Tutta la notte continuarono a favoleggiare scaldandosi, sicuri ormai d’essere protetti dal bambino Gesù, poiché i due carboni brillavan sempre come due monete nuove e non si consumavano mai.E, quando venne l’alba, i due poverelli che avevano avuto caldo ed agio tutta la notte, videro in fondo al camino il povero gatto che li guardava dai suoi grandi occhi d’oro.Ed essi non ad altro fuoco s’erano scaldati che al baglior di quelli occhi.E il gatto disse: «Il tesoro dei poveri è l’illusione.»